Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA TUTELA DEI DIRITTI DELLE MINORANZE PER IL MANTENIMENTO DELLA PACE E DELLA SICUREZZA A LIVELLO INTERNAZIONALE
Audizione di rappresentanti dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane sull'esodo degli ebrei dal mondo arabo.
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 2 ,
Di Segni Noemi , Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – UCEI ... 3 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 4 ,
Meghnagi David , Assessore alla Cultura dell'Unione delle comunità ebraiche italiane ... 4 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 6 ,
Magiar Victor , Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche ... 6 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 8 ,
Del Burgo Carolina , Rappresentante del Comitato ebrei espulsi dall'Egitto ... 8 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 9 ,
Mosseri Vittorio , Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Presidente della Comunità ebraica di Livorno ... 9 ,
Magiar Victor , Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ... 9 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 10 ,
Quartapelle Procopio Lia (PD) ... 10 ,
Meghnagi David , Assessore alla Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ... 10 ,
Magiar Victor , Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ... 11 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 12
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare-NCD-Centristi per l'Italia: AP-NCD-CpI;
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Scelta civica-ALA per la costituente libera e popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod;
Misto-UDC: Misto-UDC.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FABRIZIO CICCHITTO
La seduta comincia alle 8.25.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione sulla web-tv della Camera dei deputati e la trasmissione in differita sul canale satellitare della Camera dei deputati.
Audizione di rappresentanti dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane sull'esodo degli ebrei dal mondo arabo.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela dei diritti delle minoranze per il mantenimento della pace e della sicurezza a livello internazionale, l'audizione dei rappresentanti dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane sull'esodo degli ebrei dal mondo arabo.
Ringrazio i partecipanti, larga parte dei quali ha già partecipato ad altri lavori in questa Commissione esteri anche nell'altra legislatura. Vi chiedo scusa per l'orario, ma purtroppo – in parte già lo sapete – tutti i nostri lavori si sono complicati in seguito a una crisi di Governo, alla formazione di un altro Governo, ai conseguenti lavori. Oggi abbiamo il problema in Aula del salvataggio delle banche. I nostri lavori hanno avuto questo condizionamento. Aggiungo che avevamo programmato di cominciare alle 8.15, poiché abbiamo un vincolo di orario intorno alle 9-9.15. Prima di dare avvio all'audizione, mi preme ricordare alcuni punti.
L'esodo della popolazione ebraica dai Paesi arabi inizia molto prima della nascita di Israele, come minoranza non islamica di fede monoteista riconosciuta dal Corano, e quindi definita «gente del libro».
Nell'Impero ottomano gli ebrei hanno condiviso con i cristiani la condizione di dimmī, minoranza tollerata in quanto assoggettata a un rigoroso regime di restrizioni condizionali alla professione della fede e alla permanenza sul territorio dell'Impero.
Le complesse vicende legate alla dissoluzione dell'Impero ottomano e all'intreccio tra politica europea e mediorientale hanno determinato, nel corso del XX secolo, un crescendo di pogrom, fino a un massiccio esodo degli ebrei dal mondo arabo e a una conseguente nuova diaspora verso l'Europa e le Americhe.
Quanto all'aggravarsi esponenziale della questione dopo la nascita dello Stato di Israele, ricordo che nella scorsa legislatura, sempre nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, si è tenuta su questa stessa tematica il 16 giugno del 2009 l'audizione del presidente onorario del centro Justice for Jews from Arab Countries, Irwin Cotler, e di David Meghnagi, docente dell'università di Roma Tre, che sarà oggi nuovamente audito.
Emerse allora come i fatti del 1948 determinarono, insieme alla nota Nakba palestinese, anche un meno noto ma più consistente movimento di profughi ebrei, che coinvolse circa 850.000 persone. L'esilio/esodo fu allora determinato dal rifiuto da parte della leadership di molti Stati arabi nei confronti del nascente Stato di Israele ed ebbe per vittima i cittadini di ascendenza ebraica. Pag. 3
Il riconoscimento dei diritti dei profughi ebrei appartiene al novero delle questioni che compongono il nodo mediorientale e che dovrebbe trovare soluzione nel quadro dei negoziati di pace.
Quanto alla questione delle compensazioni, più che ragionare in termini di ritorno, è stata evidenziata allora l'opportunità di un ragionamento in termini di restituzione della memoria, della verità e della giustizia, concetti che rientrano nella nozione di compensazione data dal diritto internazionale.
L'audizione ha, quindi, dato risalto alla proposta di considerare il 29 novembre, giornata in cui presso le Nazioni Unite si commemora ogni anno la tragedia dei profughi palestinesi, la ricorrenza riguardante l'esodo forzato di entrambi i popoli, quale primo passo nella direzione di un reciproco riconoscimento della tragedia subita.
Affido agli auditi il compito di approfondire e di meglio descrivere questo fenomeno storico che ha riguardato anche l'Italia, con particolare riferimento alla comunità ebrea libica riparata in Italia dopo i fatti del 1967.
Concludo questa mia introduzione ricordando anche il tema della campagna di boicottaggio, di disinvestimento e sanzioni contro prodotti provenienti o ascrivibili a Israele quale discriminazione di stampo antisemita, lesiva a nostro avviso di diritti e libertà fondamentali. Si tratta di un tema che è oggetto di un'iniziativa legislativa allo stato presentata presso il Senato e che sarà depositata entro l'anno anche presso questo ramo del Parlamento.
Non so come abbiate stabilito l'ordine degli interventi.
NOEMI DI SEGNI, Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – UCEI. Farò una breve introduzione, poi lascerò alle persone che sono venute assieme a noi di raccontare i fatti.
Illustre presidente Cicchitto, onorevoli cari amici, siamo qui oggi per narrare un esodo, un'immigrazione di cui forse non si è mai prima parlato in un'Aula parlamentare. Nessuno lo sa, ma è avvenuto appena cinquant'anni fa.
L'esodo dall'Egitto di Mosè e del popolo di Israele attraversando il Mar Rosso e il deserto risalente a migliaia di anni fa è, invece, ben noto. Forse perché lo abbiamo tramandato di generazione in generazione, è divenuto una parte del nostro patrimonio narrativo, anche perché raccontato dalla Bibbia, e patrimonio oggi di un'intera umanità attraverso l'Antico Testamento.
Quanto si racconta oggi è avvenuto in molti Paesi, non solo in Egitto, e riguarda il destino di centinaia di migliaia di persone fuggite dalle loro case, dalle loro patrie. Se scrivessimo oggi una Bibbia, forse la nostra storia sarebbe più conosciuta.
Parliamo di centinaia di migliaia di persone: Iraq, 150.000; Egitto, 75.000; Algeria, 160.000; Libano, 25.000; Libia, 40.000; Marocco, 265.000; Siria, 30.000; Tunisia, 70.000; Yemen, 60.000; Iran, 100.000. Non vi voglio tediare con numeri, ma dietro i numeri ci sono persone, bambini, usanze, affetti quotidiani, lavoro, processi di distacco e processi di difficile integrazione, ma ancor più massacri, violenze, repressione, torture, disconoscimento e perdita di ogni riferimento. Tutto questo è racchiuso oggi nella simbolica data del 30 novembre, stabilita nel 2014 dalla Knesset, il Parlamento israeliano.
Ascolterete dagli amici presenti alcune storie personali e la ricostruzione storica dei fatti affinché, come ha detto Lei, presidente, sia restituita almeno la memoria.
Oggi più che mai, con l'Europa che vede la presenza di tanti immigrati provenienti dai medesimi Paesi arabi, che vive una trasformazione accelerata in una spaventosa dialettica tra l'abbraccio dell'accoglienza e il braccio della morte, dobbiamo non solo essere auditi: dobbiamo avere il coraggio di trasformare il vissuto, l'esperienza del passato, in una memoria condivisa e in modelli di integrazione efficaci.
La lettura data dalle organizzazioni internazionali del conflitto mediorientale, di quello tra Israele e i palestinesi in particolare, va integrata con questi dati per essere credibile, per dar credibilità all'azione di queste organizzazioni, di cui oggi l'intero agire va messo in discussione. Pag. 4
Dobbiamo poter guardare al futuro con fiducia, non con timore, con spirito di interesse e curiosità alla diversità anziché con diffidenza. Questo è per chi sceglie di cambiare Paese, ma esistono milioni di persone che desiderano rimanere nei loro Paesi, vivere e stare nelle loro patrie. Dobbiamo allora responsabilmente al contempo adottare una politica estera che generi stabilità nei Paesi di provenienza, nei Paesi arabi e del Medio Oriente, che gli esodi cui assistiamo quotidianamente siano storia, restino tali e non siano ancora il nostro futuro.
PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Noemi Di Segni, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. Darei ora la parola a David Meghnagi perché dia una rappresentazione storica dell'esodo, già intervenuto nella nostra Commissione in altre audizioni.
DAVID MEGHNAGI, Assessore alla Cultura dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. Ringrazio il presidente Cicchitto e i presenti in sala.
Come è stato già accennato dal presidente Cicchitto nella sua introduzione e nel successivo intervento e presentazione di Noemi, c'è una falsa narrazione, costruzione ideologica, che ha portato alla rimozione di questa realtà. Il conflitto mediorientale è stato iscritto in una lettura basata sulla dialettica imperialismo/antimperialismo, colonialismo/anticolonialismo, democrazia/dittatura, dimenticando che la dialettica del colonialismo riguarda anche un colonialismo interno ai Paesi che hanno subìto il colonialismo. Il colonialismo interno è la relazione che le maggioranze islamiche hanno istituito con le loro minoranze ebraiche e cristiane. Nel caso del cristianesimo, abbiamo a che fare con una civiltà precedente, che esisteva lì molto prima; nel caso ebraico, abbiamo a che fare con una presenza ebraica nel Mediterraneo ancestrale, con una realtà statuale nei millenni passati.
La rimozione serviva a occultare un dato, cioè a negare la realtà di una persecuzione esistente nei Paesi arabi, che è inspiegabile all'interno di quelle categorie, ma che attraverso una riflessione comparatista, come ho tentato di fare in questi cinquant'anni, permette di comprendere meglio anche i problemi che abbiamo oggi. Citerò due esempi storici.
In Germania, l'emancipazione degli ebrei è stata il prodotto delle invasioni napoleoniche. Non è stato un progetto endogeno, in quanto l'illuminismo tedesco è stato culturale, spirituale, non processuale, come avvenuto in Francia. Questo spiega perché, paradossalmente, la reazione romantica nazionalista avvenuta in Germania ha individuato gli ebrei come capro espiatorio, come espressione della modernità e come espressione di una dominazione esterna, fatto falso.
Lo stesso è avvenuto con il fenomeno panslavista. L'Illuminismo è avvenuto come processo esterno, non endogeno, nel senso che le forze interne non erano forti abbastanza da produrre dall'interno processi trasformativi che avviassero un processo di emancipazione delle minoranze locali oppresse. Nel momento in cui l'emancipazione è stata percepita dall'interno erroneamente come prodotto esterno, è avvenuto un corto circuito.
Lo stesso è avvenuto in Italia con il Risorgimento. La campagna antimodernista avviata dalla Chiesa in chiave antisemita individuava gli ebrei come l'espressione della modernità, dimenticando che gli ebrei erano stati oppressi dalla Chiesa nel corso dei secoli. È cioè avvenuto una sorta di rovesciamento speculare, per cui la vittima emancipata diventava colpevole di essere libera.
Un problema analogo si è verificato nel mondo arabo e islamico e ha colpito anche le minoranze cristiane, che sono state percepite come elemento esterno, come espressione di una dominazione esterna, legata all'impatto tra la civiltà europea e quella del Mediterraneo, mentre erano una civiltà antecedente, essa stessa oppressa, ed erano un elemento della borghesia nascente di quei Paesi.
Io credo che questo corto circuito culturale ancora non sia stato adeguatamente elaborato e abbia portato le classi dirigenti di quei Paesi a non percepire adeguatamente Pag. 5 e a non elaborare culturalmente il danno arrecato alle loro minoranze e alle conseguenze che tutto questo ha prodotto nei rispettivi Paesi. Ha portato, infatti, a un blocco dello sviluppo e a un blocco dell'emancipazione.
Un secondo elemento che ha portato all'occultamento di questo dato, fondamentale, molto importante, è che la narrativa terzomondista, che ha portato a occultare il dato di realtà dell'oppressione degli ebrei nel mondo arabo e delle minoranze cristiane, delle minoranze yazide, delle minoranze animiste nel Sudan, aveva come elemento portante una sorta di processo che portava a individuare la nascita di Israele come prodotto della Shoah, e quindi a scaricare la colpa della Shoah sugli europei, dato di realtà, e a costruire una falsa narrazione, secondo cui la nascita di Israele era il prodotto della Shoah, una sorta di «donazione» occidentale a danno di altre popolazioni, falsificando la realtà complessa del processo storico. La nascita di Israele è avvenuta nonostante la Shoah, non a causa della Shoah.
Poi esiste un problema di autopercezione, e qui concludo per dare spazio alle altre testimonianze, con cui gli ebrei del mondo arabo hanno percepito se stessi. Gli ebrei del mondo arabo, pur subendo angherie di ogni tipo, hanno trasformato il loro esilio in esodo, trasfigurato il loro dolore attraverso una visione del futuro, e la visione del futuro è stata il tentativo di ricostruire la loro esistenza spezzata o in Occidente, come è avvenuto per coloro che avevano la cittadinanza occidentale o hanno scelto o hanno avuto la possibilità di emigrare nelle diverse città europee o americane.
Costruire un'esistenza possibile in un mondo in cambiamento è difficile. La maggioranza è emigrata in Israele. Lo Stato di Israele è stato percepito da chi fuggiva come una specie di oasi di ricostruzione dell'esistenza e di una visione possibile del futuro, quasi messianica. Era questo il sentimento dominante nelle masse povere che emigravano.
La trasfigurazione del dolore attraverso una visione del futuro ha reso possibile la sopportazione del dolore e della fatica, della vita in tende, della vita in baracche, di una lenta trasformazione dell'esistenza. Lo Stato di Israele ha accolto, avendo appena 600.000 abitanti nel 1948, circa 400.000 scampati allo sterminio e oltre 700.000 ebrei fuggiti dal mondo arabo. È come se l'Italia passasse da una popolazione di 60 milioni a 180 milioni di abitanti nel giro di dieci anni. Tutto ciò è avvenuto faticosamente, con un processo trasformativo lento, che ha reso possibile la ricostruzione dell'esistenza spezzata.
Dall'altra parte, questo non è avvenuto. Occorre sottolineare, come anche Cotler ha sottolineato qui insieme a me alcuni anni fa, che la fuga degli ebrei del mondo arabo non è legata al conflitto mediorientale. Gli ebrei del mondo arabo non erano parte attiva di quel conflitto. Il conflitto avveniva anche a migliaia di chilometri.
Nel caso del conflitto che ha coinvolto il dramma della popolazione palestinese nel corso della guerra dal 1948 al 1949 scatenata dalla Lega araba per impedire la nascita di Israele, che ha avuto come conseguenza la tragedia dei profughi, avevamo a che fare con una componente del conflitto. Lo dico con affetto, senza alcuna forma di rancore, non per sottolineare una gradazione sul dolore. Il dolore umano è sempre identico per chi lo subisce e per chi lo esperisce.
Dal punto di vista politico, però, contro le false narrazioni dominante è importante sottolineare che la persecuzione di un ebreo di Libia, a migliaia di chilometri da un dramma che si svolge nel Medio Oriente, sarebbe come la persecuzione di una minoranza ebraica abitante in Svezia nel contesto di un conflitto tra il Piemonte e la Sicilia, pensato in termini chilometrici. Non ha nessuna relazione se non ideologica.
Gli ebrei sono stati percepiti come ostaggio in qualunque luogo essi fossero, come elemento colpevole per avere osato mettere in discussione l'ideologia dimmī, il patto di Omar, che stabilisce che nel dār al-Islām, nella casa dell'Islam, le minoranze possono essere rispettate a patto che accettino un atto di subordinazione ideologica, Pag. 6 che implica una serie di conseguenze. Possono essere tollerate, ma non possono essere libere. La messa in discussione di questo statuto è percepita come la messa in discussione di uno stato naturale.
Per questo ritengo che all'interno della cultura islamica, come dico a tanti amici islamici, è necessario anche in quel mondo una sorta di Concilio Vaticano II, cioè una capacità di rielaborare il tessuto ideologico, il tessuto culturale, che percepisce l'altro come dominato e non come uguale, all'interno del contesto del dār al-Islām.
Gli ebrei che vivevano a Rabat, a Tunisi, in Libia, a migliaia di chilometri, erano popolazioni pacifiche, abituate alla subordinazione da secoli, che ritagliavano uno spazio di esistenza personale. Non erano un elemento del conflitto, se non nella percezione di chi li ha perseguitati. Questo è un elemento molto importante per ricostruire una narrazione che non sia ideologica, ma una ricostruzione scientifica di quei processi complessi, che permettono anche di gettare le basi per un futuro diverso.
Io credo, come insegnava Walter Benjamin, che il passato debba essere redento perché il futuro sia possibile. Se redimiamo il passato, redimiamo la memoria, creiamo le condizioni perché le speranze del passato, che hanno unito tutte le popolazioni che hanno sofferto, possano trovare uno spazio di redenzione, anche il futuro sarà possibile e potrà essere declinato come un futuro possibile per questo mare, il Mediterraneo, così dilaniato, ma così ricco di storia e di speranze spezzate.
PRESIDENTE. Vi ringrazio dell'esposizione molto interessante. Faccio presente che, purtroppo, abbiamo dei vincoli di orario. Tenete conto di questi meccanismi derivanti dal fatto che non prevedevamo che oggi ci sarebbe stata Aula, come invece c'è.
Do la parola a Victor Magiar.
VICTOR MAGIAR, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche. Sono nato in Libia e sono scappato, come molti altri, nel 1967. Io vorrei, visto che siamo in questa sessione e abbiamo pochi minuti, offrire un ragionamento molto semplice, ma molto storico e molto politico.
Si racconta da decenni di una guerra tra arabi ed ebrei, un po’ la storia tra cani e gatti. Questa è la lettura semplificata. Io sarò subito molto tranchant, ma mi basteranno tre minuti per questa storia raccontata come sui libri dei bambini, una guerra tra cani e gatti. Non è così, non è mai stato così.
Nessuno si permetterebbe di raccontare la Seconda guerra mondiale come un conflitto tra inglesi e tedeschi. Per spiegare la Seconda guerra mondiale, bisogna spiegare che cos'è il nazismo, che cosa le ideologie totalitarie del XX secolo. Nessuno potrebbe raccontare la Guerra fredda parlando di inimicizia tra russi e americani. Dobbiamo usare categorie della politica e della storia. E la storia è molto semplice.
Il mondo di cui parliamo relativamente a questo conflitto è molto esteso. Le terre che erano una volta dell'Impero ottomano, i Paesi della Lega Araba, hanno un'estensione territoriale equivalente a due Europe geografiche e mezzo. Oggi hanno 350 milioni di abitanti, nel 1967 avevano 100 milioni di abitanti, all'inizio dello scorso avevano 50 milioni di abitanti, in mezzo ai quali c'era un milione di ebrei. Il punto è che, caduto l'Impero ottomano, in quel mondo sono nate tre ideologie politiche, che abbiamo ancora oggi davanti, le ideologie politiche dei regnanti, dei sovrani, su territori definiti con una memoria storica. La Tunisia, il Marocco, sono Stati piccoli, ma con confini veri, come potete vedere sulla cartina, dove non hanno delle linee rette ma appunto confini veri, una storia secolare, come il Marocco, che ha un regno con seicento anni di storia. Questi sovrani, queste dinastie, queste popolazioni, che avevano identità nazionale, hanno scelto delle strade di tolleranza e di incontro per accedere alla modernità.
Gli altri Paesi sono totalmente inventati, come la Libia, dove siamo nati noi, che durante l'Impero ottomano era solo una striscia di terra lungo il mare, mentre tutto il resto era deserto. L'Italia ha inventato la Libia, grande sei volte l'Italia, mentre il Sudan è grande dieci volte l'Italia e l'Algeria Pag. 7 otto volte. Questi territori immensi, senza legge, con popolazioni molto diverse sono state inventate dal colonialismo, sono nate delle Nazioni fasulle, delle colonie.
E sono nate altre due ideologie, che oggi seminano morte in Europa, prima contro di noi e poi contro tutti: il nazionalismo arabo, il panarabismo poi, e il panislamismo.
Che cosa sostiene il panislamismo? Secondo la teoria dei Fratelli Musulmani, è ciò che unisce tutte queste popolazioni assolutamente diverse tra loro. Oggi abbiamo il conflitto in Libia e siamo meravigliati che ci siano tante tribù. È normale, sono sempre esistite tante tribù, ma non è mai esistito uno Stato libico così come lo intendiamo oggi. È stato il colonialismo a inventare questi Stati. I Fratelli Musulmani inventano che la colla che lega tutte queste popolazioni è l'Islam, e quindi usano la religione per creare identità e sono i primi a creare un movimento che attraversa il continente.
Questa divisione ideologica è evidente sia alla fine del colonialismo sia durante la Seconda guerra mondiale – così capiamo che non è una storia tra cani e gatti, ma una storia ideologica e politica – quando il re del Marocco si rifiuta di consegnare ai nazisti i suoi 300.000 ebrei mentre il muftì di Gerusalemme si schiera con i nazisti. Quando finirà la Seconda guerra mondiale, i nazisti tedeschi che scapperanno dalla Germania, andranno in America Latina o in Siria, in Iraq, in Egitto.
C'è, quindi, una posizione, un collocamento ideologico e politico, e saranno i Paesi, sarà la nuova Lega Araba nascente negli anni Quaranta, a organizzare i primi pogrom antiebraici, che si verificavano quasi simultaneamente in tutte le città arabe, dal Marocco fino all'Iraq, in date prestabilite, come il 2 novembre, data della dichiarazione Balfour. A Tripoli, la nostra città, furono organizzati ben quattro pogrom molto sanguinari nel 1945, nel 1948, nel 1956 e nel 1967, quello che ho vissuto io. Mia madre li ha vissuti tutti e quattro.
Non vi racconterò questa storia di eccidi, che potete immaginare, ma è la storia che ha costretto gli ebrei a lasciare tutte queste terre. Anche qui, però, c'è un errore. Il punto fondamentale che bisogna capire è che queste città, Tripoli, come Algeri, con Istanbul, come tutte le città del Mediterraneo, sono da secoli, da millenni, città multietniche e multiculturali. Gli ebrei sono arrivati in Algeria nel 400 a.C., gli arabi ci sono arrivati nel 600 d.C., mille anni dopo di noi. In Libia siamo arrivati nel 200 a.C., a Tripoli nel 70 a.C., gli arabi nel 600 d.C.
E quando sono arrivati gli arabi c'erano già greci, armeni, ciprioti, quindi queste città, la città che io ho conosciuto, la scuola che frequentavo, dove si parlavano dieci lingue diverse, erano multietniche e multiculturali. Oggi, queste sono città rese unicamente arabe, perché tutte le minoranze sono state cacciate.
Quando pensiamo alle minoranze, non ci riferiamo a minoranze prodotte dal colonialismo, perché gli armeni sono da millenni in quelle terre, le chiese greche o quelle romaniche... La chiesa più antica di Tripoli, la chiesa di Santa Maria degli Angeli è stata realizzata dai maltesi. Parliamo, quindi, della sparizione della civiltà, della convivenza, della multiculturalità, del multilinguismo e della multireligiosità in terre che sono sempre state così, in città che sono state fondate dai Fenici, come Tripoli, coi quali arrivarono gli ebrei.
Non è, quindi, un conflitto e non siamo qui per raccontare una vicenda solo nostra, la storia della cacciata e della fuga. Romanticamente, lo chiamiamo esodo, ma non è un esodo. Noi l'abbiamo trasformato in esodo, perché ci siamo dati una narrazione positiva. In fondo, rispetto ai nostri fratelli, al pezzo della mia famiglia sterminata in Europa durante la Shoah, quella del pezzo della famiglia che dall'Africa è sopravvissuta ed è scappata in vari Paesi, rappresenta una storia più fortunata.
Questa è, però, la storia della cancellazione dell'identità multietnica del Mediterraneo e di queste terre. Non è una storia solo nostra. È una storia di tutti. Bisogna capire che il nemico non è l'arabo o il palestinese. Queste sono cose che personalmente rigetto. Con David Meghnagi abbiamo un impegno decennale in campo pacifista per il dialogo israelo-palestinese. Pag. 8
Il punto è proprio questo, bisogna capire che esistono ideologie totalitarie e di morte. Questi sono i nostri nemici. Io avrei finito. Spero di essere stato utile. Sono venuto in quest'aula già altre volte. Ho portato un piccolo regalo per i parlamentari, un libro che spero possa servire.
PRESIDENTE. Mentre parlava, mi evocava la memoria di mio padre, che è stato medico in Africa orientale, che poi fu fatto prigioniero dagli inglesi, che lo lasciarono sul campo. Lui mi raccontava che veniva avvertito in anticipo che doveva preparare garze, bisturi e così via, perché c'erano dei piccoli pogrom che si verificavano nei posti in cui faceva il medico, in parte tollerati, in parte bloccati, in una dinamica di grande ambiguità. Mi ha evocato una memoria personale di questo tipo.
Do ora la parola alla dottoressa Carolina Del Burgo, rappresentante del Comitato ebrei espulsi dall'Egitto.
CAROLINA DEL BURGO, Rappresentante del Comitato ebrei espulsi dall'Egitto. Mi sono rimasti cinque minuti. Ormai, non so più che cosa raccontare. Io ho la mia storia personale. Ne racconto proprio un estratto.
In piena notte sono venuti, hanno bussato dopo mezzanotte a casa nostra. I miei genitori sono andati ad aprire e hanno visto la Polizia con alcuni militari. Avevano un mandato di perquisizione. Hanno perquisito dappertutto in casa e non hanno trovato nulla, ma alla fine hanno detto a mio padre e mia zia, Sara, sorella di mamma e socia di mio padre negli affari, di seguirli al commissariato per delle formalità.
Non sono più tornati a casa. Dopo poco mia madre è stata contattata dal console italiano in quanto italiana e le ha detto che eravamo diventati cittadini sgraditi al popolo egiziano, che aveva tre settimane di tempo per liquidare tutto, casa, oggetti, ufficio, macchine, conti in banca, tutto, tre settimane. Ovviamente, non si riusciva a far nulla. Tutto è stato abbandonato.
Nel giorno designato dal console, ci siamo ritrovati tutti in piena notte in mezzo alla campagna. Dovevamo andare via senza essere visti da nessuno, cosicché il giorno dopo, quando sarebbero venuti a cercarci, non ci avrebbero trovato.
Il console aveva una lunga lista di nomi in mano e in piena notte chiamava queste persone, a cui, facendo fare un passo avanti, indicava un pullman dove dovevamo salire. Con questo pullman siamo arrivati da Il Cairo fino ad Alessandria, città di mare, e lì dall'alba fino all'ora del tramonto siamo stati umiliati, presi in giro, canzonati. Tutti i doganieri, i poliziotti, prendevano le valigie. Avevamo solo una valigia a testa e l'equivalente di 25 euro per ogni adulto e la metà per i bambini. Le valigie sono state capovolte e buttate a terra per il controllo, per vedere che non ci fossero dei denari o dell'oro. Poi hanno perquisito anche personalmente ognuno di noi.
Soltanto all'ora del tramonto, sfiniti, veramente senza neanche un briciolo di forza, siamo arrivati al molo dove ci aspettava la nave Achilleus, una nave greca che ci avrebbe portato in Italia, dove siamo arrivati all'alba di domenica, 29 novembre 1956. Nel porto ci hanno mantenuto dall'alba fino al tramonto, perché soltanto la Capitaneria di porto, i poliziotti e i giornalisti potevano salire a bordo per intervistarci e controllarci. Soltanto all'ora del tramonto ci fu dato il passaporto e potemmo scendere a terra.
Ci aspettavano dei pullman, che ci hanno portati in una stazione sanitaria marittima lontana dal centro, perché avevano paura che portassimo con noi anche delle malattie infettive. Siamo rimasti in questo campo per un mese e mezzo, poi mio padre ha trovato un lavoro molto più degradante di quello che aveva, a Napoli. Mia madre lo ha raggiunto poi con noi due figli piccoli, e infatti io avevo all'epoca undici anni. È iniziata per noi una vita estremamente difficile, con mille peripezie, mille problemi e umiliazioni.
Ora noi profughi italiani ebrei d'Egitto stiamo invecchiando, stiamo ormai piano piano scomparendo. Dopo di noi non ci sarà nessuno che verrà a raccontare questa storia. La memoria verrà cancellata. Noi, Pag. 9però, in questo frangente ci siamo dati da fare per creare un nuovo mondo per i nostri figli e per mantenere la memoria. Cerchiamo di parlare, comunicare, raccontare o scrivere dei libri per dire – si può dirlo chiaro e forte – che la nostra vita è stata ampiamente positiva.
Dalle macerie del mondo che fu, dalla perdita di tutti i nostri beni, dalle umiliazioni facemmo nascere nuove prospettive, nuove forze. Senza nessun aiuto da parte del Governo se non quello dell'accoglienza, ci siamo rimboccati le maniche e ci siamo ricostruiti una nuova e dignitosa vita qui in Italia.
PRESIDENTE. La ringrazio molto. Le voglio dire che anche questa riunione, che si svolge nel Parlamento della Repubblica, è un modo per conservare questa memoria e metterla in atti parlamentari. Sembra un atto burocratico, ma in effetti è un atto storico-politico quello che stiamo compiendo rispetto all'esposizione che ci ha fatto.
VITTORIO MOSSERI, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Presidente della Comunità ebraica di Livorno. Proverò a essere quanto più sintetico possibile, posto che anch'io ho vissuto le stesse sofferenze, le stesse vessazioni che ha vissuto tutto il popolo ebraico che è stato cacciato dall'Egitto, e non solo dall'Egitto. Dovrei oggi parlare di accoglienza alle popolazioni in fuga e del ruolo delle istituzioni pubbliche.
Cercando di sintetizzare e di stare nei due minuti piuttosto che nei quindici, direi che la cosa fondamentale rispetto alla fine degli anni Cinquanta e fino agli anni Settanta, è il contesto sociale in cui siamo arrivati. Sicuramente, c'era maggiore predisposizione all'accoglienza, sicuramente lo stato d'animo della popolazione italiana rispetto agli stranieri che arrivavano era diverso. Lo straniero non era visto come un invasore, come un nemico.
Oggi ci troviamo a dover accogliere centinaia di migliaia di persone che sono viste più come nemici che come una risorsa, sono visti come diversi piuttosto che non.
Io credo che un ruolo fondamentale di socializzazione sia stato svolto dalle comunità ebraiche che insistevano già in Italia. Ci hanno aiutato tantissimo, nelle difficoltà burocratiche, nel cercare lavoro, nella lingua. Credo che questo ruolo delle comunità ebraiche sia stato fondamentale per riuscire ad assorbire nel miglior modo possibile il trauma dell'allontanamento dalle proprie abitudini, dal proprio Paese, dal proprio vissuto.
Siamo venuti in Italia per costruirci una vita qua. Siamo venuti per essere italiani. Abbiamo recepito al 100 per cento i valori di questa società. Quello che credo sia necessario fare è riuscire a integrare quanto più possibile le comunità straniere che risiedono in Italia attraverso un dialogo stretto con loro, farli sentire facenti parte del corpo dello Stato, così come lo sono state e lo sono le comunità ebraiche italiane. Credo che davvero le istituzioni dovrebbero cercare un dialogo continuo.
Ovviamente, dobbiamo superare molte barriere, tra le quali una delle più importanti è sicuramente la lingua. Abbiamo bisogno di mediatori culturali, ma soprattutto di riuscire a far integrare le comunità straniere in Italia, in modo che anche loro possano svolgere quel ruolo di socializzazione così come lo hanno svolto e così come lo svolgono le comunità ebraiche italiane.
Credo che davvero ci troviamo di fronte a una sfida: integrazione o integralismo? Dobbiamo vincere questa battaglia dell'integrazione, altrimenti ci troveremo a dover affrontare una battaglia molto più grande, che è quella dell'integralismo. È davvero uno sforzo immane quello che chiediamo all'Italia, ma dobbiamo far tesoro dell'esperienza precedente avuta con le comunità ebraiche italiane per poter vincere questa sfida, che mette a rischio la nostra civiltà.
VICTOR MAGIAR, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Gli ebrei del Nord Africa erano o italiani o di cultura italiana, magari con passaporto francese, inglese. Alessandria d'Egitto era una città italiana in Africa, così come altre. Questo è importante. Poi siamo arrivati qui come stranieri, abbiamo vissuto vent'anni Pag. 10senza passaporto o documenti, ma questa è una storia diversa, complicata. Poi abbiamo fatto causa allo Stato. Io sono italiano optimo iure, iure sanguinis, posso diventare Presidente della Repubblica, ma per vent'anni ho vissuto con il permesso di soggiorno sotto la protezione delle Nazioni Unite per le ambiguità della politica post-coloniale dei Paesi europei e della politica estera italiana.
PRESIDENTE. Do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Presidente, vorrei ringraziarLa e ringraziare gli intervenuti anche a nome del gruppo del Partito Democratico per quest'occasione di storia, di memoria nelle istituzioni, e non solo negli ambiti più legati alla storia.
Vorrei fare solo un'osservazione sul tema della pluralità, che mi sembra essere veramente il tema centrale di questa vicenda e di tante vicende dell'oggi.
Quello della pluralità è un tema difficile nel Nord Africa, ma soprattutto e sempre di più nei nostri Paesi. Quella nordafricana e mediorientale è la vicenda di una tradizione di pluralità, cosa che qui in Occidente, in Europa, in Italia, abbiamo avuto più difficoltà ad assimilare nei comportamenti, soprattutto in alcune zone del Paese. Non parlo di Roma, ma in altre comunità del Paese quello della pluralità è un tema sconosciuto e molto recente, come diceva l'ultimo intervento.
La questione è come, guardando alla sponda sud del Mediterraneo, cerchiamo di favorire comportamenti, abitudini, usanze legati alla pluralità indipendentemente dall'ideologia o dalla retorica imperante.
Su questo mi piacerebbe avere qualche suggerimento. In parte sono venuti dall'ultimo intervento, ma ne vorrei più in generale, soprattutto guardando al Medioriente. Comunque, alcune città, alcuni luoghi, restano più avanzati di altre città e di altri luoghi d'Europa sui tema della convivenza, della normalità di vedere culture e religioni che vivono fianco a fianco.
DAVID MEGHNAGI, Assessore alla Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Innanzitutto, bisogna dire che la condizione della pluralità nel mondo islamico nel passato, nella sua fase fulgente, di grande sviluppo – parlo dell'epoca medievale in particolare, che aveva fondamentalmente una cultura mercantile – era strutturata su un duplice statuto, che implicava l'accettazione della dominazione dell'Islam come riferimento.
Ha funzionato fintanto che quest'elemento è stato dominante. Nel momento in cui la dominazione sulle minoranze viene incrinata, si incrina tutto, e la dominazione sulle minoranze è il frutto di un'ingiustizia se ragioniamo in termini illuministici, e io ragiono in termini illuministici.
La civiltà europea ha costruito un'ideologia illuministica basata sull'uguaglianza, ma al suo interno è attraversata da un vulnus legato all'incapacità di accettare le differenze all'interno di se stessa. È una dialettica culturale e politica.
Io penso che noi dobbiamo operare su due piani: sul piano politico, cercando di creare le condizioni migliori perché ci sia convivenza, attenuando, costruendo elementi di habeas corpus, delle condizioni minime, senza toccare l'insieme della struttura politica, perché i processi devono essere anche endogeni, non si possono esportare, bisogna avere degli elementi che non si discutono; sul piano culturale, rivisitando la cultura; è il lavoro degli intellettuali e degli studiosi.
Questo è curare la cultura dall'interno, attraverso la letteratura, la riflessione sulle religioni, facendo incontrare le religioni in ciò che unisce anziché in ciò che divide e così via. Questo è un problema molto complicato.
Spesso, abbiamo una percezione falsificata della realtà dei Paesi lontani da noi, perché non conosciamo le strategie elementari. Per esempio, nelle grandi città arabe, dove c'era una grande convivenza, ma c'era una micro-distruttività legata all'autocontrollo assoluto da parte delle persone, bastava poco perché esplodesse tutto. Io ho passato anni a studiare i mercati violenti e i mercati pacifici, sulla scia di Polanyi: bastava poco perché saltasse tutto. Pag. 11
Abbiamo bisogno di un incontro di riflessione congiunta tra antropologi, storici, psicologi e psicanalisti, uomini di religione, uomini politici, avendo però l'orizzonte comune che oggi qualcosa ci unisce. Il Mediterraneo rischia di implodere completamente. Abbiamo bisogno di sopravvivere tutti, e questo può forse unirci molto di più.
VICTOR MAGIAR, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Quello della pluralità è un tema antico, presente in tutte le culture, dai tempi di Caino e Abele, quindi le premesse non sono buone.
Bisogna storicizzare. È evidente che gli ebrei vivevano una condizione da dimmī, cioè di sottomesso nel mondo musulmano, ma questo valeva per gli ebrei anche nel mondo cristiano, quindi era la condizione dello straniero, di chi era considerato straniero. Valeva per gli ebrei come per le altre minoranze. Per secoli, comunque, gli ebrei sono scappati dal mondo cristiano verso il mondo musulmano, anche se non è sempre stato così. Bisogna storicizzare.
Noi abbiamo da fare uno sforzo. In queste culture millenarie c'è di tutto. La mia famiglia è stata in parte uccisa, sterminata in nome di Dio; altri di noi e io stesso siamo stati salvati in nome del Corano, chi ci ha salvato a Tripoli l'ha fatto in nome del Corano.
Non mi preoccupo di che cosa dicono le religioni, ma di quello che dicono gli uomini, di come gli uomini usano la religione. Noi dobbiamo usare esempi positivi.
In Marocco oggi abbiamo degli esempi positivi. Due anni fa, in Marocco è stata fatta per la prima volta una Costituzione, che riconosce che il Marocco non è uno Stato arabo, ma uno Stato arabo e berbero, una storia interessante dal punto di vista ebraico. Si riconosce la presenza dell'elemento ebraico. È stata usata l'espressione «elemento», perché non si sapeva bene come definire gli ebrei marocchini, era complicato con gli integralisti islamici, ma gli ebrei sono riconosciuti come elemento fondante del Marocco.
Quando gli arabi sono arrivati e hanno invaso il Marocco, nel 600, l'ultima regina berbera che si è opposta agli arabi, la Kāhina, era una berbera ebrea. Ci sono, quindi, degli esempi positivi. Proprio due giorni fa, il re del Marocco è andato a fare una visita alla sinagoga non mi ricordo più se di Casablanca o di Fez. Abbiamo, quindi, degli esempi positivi.
Secondo me, dobbiamo aiutare gli amici che dialogano col mondo musulmano e il mondo arabo. Questa è la prima cosa da fare. Occorre distinguere tra i mascalzoni che stanno lì, quelli che hanno ideologie totalitarie, e quelli che fanno uno sforzo sulla via della tolleranza; noi dobbiamo aiutarli e dobbiamo aiutarli anche qui – è giustissima l'osservazione su integrazione e integralismo – nelle comunità straniere.
Una parte di stranieri, quando parliamo di musulmani in Italia, sono delle ottime persone e una parte è fatta di persone problematiche. Dobbiamo aiutare le persone perbene. Aiutando le persone perbene e l'Islam democratico, che volge verso la democrazia, riusciamo veramente ad aiutare tutti i loro e noi stessi.
È sempre una questione – mi dispiace dirlo – politica. È una questione di cultura, prima di tutto, e di cultura politica. Al di là dei grandi sistemi, dobbiamo fare noi delle scelte, come sempre imparare a trovare degli alleati in tutti i campi. Dobbiamo fare questo sforzo.
Poi c'è il discorso dell'educazione nelle comunità italiane, quelle più periferiche, provinciali, ma onestamente mi occupo di rifugiati e di profughi e la provincia italiana inaspettatamente non si racconta ma ha una buona reazione nei confronti dello straniero che arriva, se arriva accompagnato e in misure contenute. È chiaro che sono i grandi numeri a creare i problemi sociali.
Anche noi a casa, se dovessi ragionare da politico italiano, sappiamo che, se facciamo degli innesti misurati e accompagnati, abbiamo un risultato; se lasciamo i processi non accompagnati, possiamo generare l'effetto contrario, cioè ostilità. Questo mi pare evidente.
Quello della pluralità è, quindi, il tema. Alla fine, che cos'è la democrazia? È la migliore forma di convivenza che abbiamo Pag. 12trovato, ed è un primato europeo, di cui secondo me gli europei dovrebbero essere orgogliosi.
PRESIDENTE. Ricordo che i parlamentari presenti sono Farina, Quartapelle, Cimbro e Fitzgerald Nissoli.
Vi ringrazio molto. Il pluralismo attraversa tutte le culture. Detto molto francamente, c'è una componente integrale o integralista anche nella cultura ebraica. Basta andare a Mea Shearim per cogliere queste componenti e queste sfumature.
Allo stesso modo, secondo me è profondissima la differenza politica e culturale nel mondo islamico. L'avete evocata voi, ci è presente in altre caratteristiche. Tra il Marocco e altre realtà c'è stato un abisso ieri e c'è un abisso oggi. È stata evocata la differenza di fronte al nazismo che ci fu tra chi si schierò col nazismo e chi, invece, resistette e difese i suoi ebrei. Il pluralismo è una delle lezioni con cui misurarsi.
Vi ringrazio moltissimo. Quest'audizione serve a portare anche nel Parlamento italiano – già è avvenuto nel passato – la testimonianza della memoria di un pluralismo di storie che non vanno dimenticate. Vi ringrazio molto del contributo che ci avete offerto.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 9.20.