XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Giovedì 25 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA TUTELA DEI DIRITTI DELLE MINORANZE PER IL MANTENIMENTO DELLA PACE E DELLA SICUREZZA A LIVELLO INTERNAZIONALE

Audizione di esperte, con particolare riferimento al tema degli stupri e violenze di genere nei conflitti armati.
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 3 
Peretti Isabella , Co-autrice dell'introduzione al volume ... 4 
Tola Vittoria , Responsabile nazionale dell'Unione Donne in Italia ... 4 
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 6 
Valentini Chiara , Giornalista e saggista ... 6 
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 7 
La Rocca Simona , Curatrice del volume ... 8 
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 10 
Farina Gianni (PD)  ... 10 
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 11 
Maestri Patrizia (PD)  ... 11 
Zampa Sandra (PD)  ... 12 
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 13 
Cimbro Eleonora (PD)  ... 13 
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 13 
Tola Vittoria , Responsabile nazionale ... 13 
Peretti Isabella , Co-autrice dell'introduzione al libro ... 13 
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 14 

ALLEGATO: Documentazione depositata da Simona La Rocca ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE PIA ELDA LOCATELLI

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta tramite la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperte, con particolare riferimento al tema degli stupri e violenze di genere nei conflitti armati.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela dei diritti delle minoranze per il mantenimento della pace e della sicurezza a livello internazionale, l'audizione di esperte, con particolare riferimento al tema degli stupri e violenze di genere nei conflitti armati.
  Do il benvenuto a Simona La Rocca, che è la curatrice del volume Stupri di guerra e violenze di genere, esperta di diritti umani e di diritto dell'ambiente; a Isabella Peretti, co-autrice dell'introduzione al libro e curatrice della collana «Sessismoerazzismo», a Vittoria Tola, responsabile nazionale dell'Unione donne in Italia – peraltro, abbiamo avuto una bella lezione sull'aggiornamento del nome di questa associazione, che ha una lunghissima e interessante vita – e a Chiara Valentini, giornalista e saggista conosciuta. Facciamo, infine, gli auguri ad Annamaria Rivera, antropologa e autrice di numerose pubblicazioni, che purtroppo non può essere con noi oggi per problemi di salute.
  Abbiamo ricevuto la richiesta dell'audizione di queste esperte per esporre quanto è emerso dalla ricerca sugli stupri e le violenze di genere nei conflitti armati. La ricerca si inserisce in un progetto della Regione Lazio, intitolato «Lungo la linea Gustav. Le vittime delle violenze e dell'oblio.», che si propone, tra gli obiettivi, di contribuire a stimolare la riflessione e il dibattito pubblico sulle violenze e sugli stupri di guerra compiuti ai danni delle popolazioni civili all'indomani dello sfondamento della linea Gustav durante la Seconda Guerra Mondiale e di collocare il dramma delle cosiddette «marocchinate» nell'ambito più generale degli stupri di guerra, rendendo – ahimè – attuale il dibattito, anche alla luce di quanto avviene nei conflitti armati in un anno. Sappiamo, infatti, che più di sessanta Paesi al mondo sono teatro di guerra, quindi gli esempi che possiamo citare sono numerosissimi. Si tratta, pertanto, di una ricostruzione storica e di un'attualizzazione di un tema che ci sta profondamente a cuore.
  Colgo questa occasione per ricordare a noi, ma soprattutto alle nostre esperte che sta scadendo il Piano previsto dalla risoluzione ONU n. 1325, approvata all'unanimità il 31 ottobre 2000 dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e relativa al ruolo che le donne possono svolgere nelle fasi di peacebuilding, peacekeeping e peace enforcing. Scade, quindi, anche il nostro secondo Piano italiano, e si sta predisponendo il terzo, per cui un contributo dalla vostra esperienza può essere preziosissimo.
  Mi fermo, per dare immediatamente la parola a Isabella Peretti, co-autrice dell'introduzione al libro Stupri di guerra e Pag. 4violenze di genere, che vi mostro. Possiamo procedere con interventi di 5-6 minuti per ciascuna di voi; poi avremo un dibattito e infine, se del caso, una replica da parte vostra. Cedo, quindi, la parola ad Isabella Peretti.

  ISABELLA PERETTI, Co-autrice dell'introduzione al volume «Stupri di guerra e violenze di genere» e curatrice della collana «Sessismoerazzismo». Buongiorno a tutti e a tutte. Faccio una brevissima introduzione, per poi lasciare spazio alle mie colleghe.
  Come ha detto la presidente, quarantuno sono i Paesi in cui sono avvenuti stupri di guerra durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma la lista è, purtroppo, aperta alle continue violenze sessuali che stanno accadendo nei conflitti armati in atto in più di sessanta Stati, come ben documenterà, dopo di me, Simona La Rocca e come documenta il libro citato, Stupri di guerra e violenze di genere. Il libro sta alla base di questo nostro incontro sia per la documentazione di quanto è avvenuto e avviene sia come frutto di una passione politica che ci accomuna, di sdegno, di condanna e di condivisione delle sofferenze e delle lotte delle vittime e di impegno politico, che ci ha accomunato come autrici e autori, che ci porta a confrontarci con le istituzioni per possibili iniziative comuni; da qui appunto il nostro grande interesse per questo incontro, per il quale ringraziamo la presidente del Comitato.
  Le analisi giuridiche contenute nel libro ci offrono le conoscenze sulle normative e la giurisprudenza dei tribunali penali internazionali in tema di stupri di guerra, ma anche sulla lunga storia giuridica che, dalla considerazione dello stupro come bottino di guerra e, successivamente, come danno collaterale e «normale» delle guerre, con la conseguenza dell'impunità degli stupratori, giunge finalmente al riconoscimento dello stupro come crimine contro l'umanità.
  I racconti sui diversi casi storici e nazionali ci parlano di guerre e violenze, ma anche di ribellione delle donne che hanno reagito. Infatti, fin dal secondo dopoguerra, nonostante tutto ciò che era successo con le cosiddette «marocchinate», in Ciociaria – ne parlerà Vittoria Tola – le donne hanno lottato, anche se è poco noto, almeno per il risarcimento delle violenze subite, quindi mostrandosi. Arriviamo, così, ai giorni nostri, ovvero al Tribunale delle donne per la ex Jugoslavia sui crimini di guerra, al riscatto delle donne in Ruanda, alle azioni intraprese dalle donne del Kashmir, alla resistenza delle donne curde. Siamo all'attualità, purtroppo, degli stupri di guerra e delle violenze nei conflitti armati, ma anche della resistenza, del riscatto e dei movimenti delle donne.
  Non sono l'onore umiliato degli uomini e neppure l'onore della patria sopraffatta a essere colpiti, ma prima di tutto vite, menti e corpi di donne. Eppure, a lungo nella storia e ancora oggi, sentimenti quali pudore, vergogna, silenzio, sofferenza e depressione hanno prevalso tra le vittime degli stupri di guerra – adesso le cose stanno cambiando –, chiuse in una sorta di gabbia patriarcale, consentendo l'impunità degli stupratori, membri di etnie rivali, eserciti occupanti, bande armate e persino forze di pace. Degli stupri condotti dalle forze di pace avrebbe dovuto parlare Annamaria Rivera, per cui vi invito a leggere la sua prefazione al libro, in cui cita il caso Ibis, operazione condotta dai parà della Folgore nell'ambito di Restore Hope in Somalia dal 1992 al 1995, per richiamare poi tantissimi altri casi (Eritrea, Burundi, Liberia, Guinea, Sierra Leone, Haiti, Congo e così via). Peraltro, sappiamo di quello che sta succedendo nella Repubblica Centrafricana circa gli stupri condotti da forze di pace, che sono il massimo dell'aberrazione.
  Ho fatto questa brevissima introduzione per dare più spazio alle colleghe. Adesso, parlerà Vittoria Tola; poi a seguire, Chiara Valentini e, infine, sulla parte propositiva, Simona La Rocca.

  VITTORIA TOLA, Responsabile nazionale dell'Unione Donne in Italia. Abbiamo cominciato questo progetto «Lungo la linea Pag. 5Gustav» – come potete vedere anche dalla presentazione di Simona La Rocca – per affrontare un tema storico, in termini di trasmissione di memoria, nell'incontro con i comuni e con le scuole, con un lavoro che rendesse consapevoli le nuove generazioni delle radici e anche dei traumi che, nonostante tutto, in quei contesti la gente continua a portarsi appresso.
  Nel lavoro fatto ci siamo rese conto che in realtà non c'era nessuna connessione tra la memoria storica ufficiale e la memoria di queste popolazioni. Infatti, mentre noi partivamo dal fatto che nella Liberazione il peggio che l'Italia aveva vissuto era stata naturalmente l'occupazione nazifascista, in quei circa cinquanta paesi della zona della battaglia di Montecassino, nei racconti non solo delle persone anziane, ma anche dei giovani continua a emergere che, tra l'orrore della battaglia di Montecassino e l'orrore che avevano prodotto le truppe coloniali francesi, la bilancia pende contro i cosiddetti «liberatori». Questo è un problema importantissimo perché dimostra che l'effetto degli stupri di massa e di guerra ha una durata straordinariamente longeva e ampia nella memoria collettiva. Infatti, a distanza di tanti anni, nonostante il lavoro per l'indennizzo dello stupro di guerra come reato di guerra che doveva essere fatto, attraverso il Governo italiano, da parte dei francesi, e poi con la battaglia per il riconoscimento della pensione per tutte le persone che erano rimaste coinvolte in questa tragica violenza (che riguarda prevalentemente le donne, ma anche tanti uomini e bambini), non ci sono mai stati un vero risarcimento e una vera giustizia. È rimasto, quindi, un problema, aperto, non solo con le istituzioni di quel periodo, ma anche ai giorni nostri, atteso che le poche sopravvissute hanno ancora delle vertenze pendenti presso i gradi più alti della giurisdizione italiana.
  C’è, poi, la questione delle cosiddette «marocchinate», quindi della violenza considerata assolutamente normale in guerra. Del resto, veniva considerata normale anche in pace; infatti, non dobbiamo dimenticare che per tanti anni la questione è stata considerata tutto sommato molto grave, ma comunque come un fatto che in guerra succede sempre, come un dato naturale delle guerre. Secondo le testimonianze, molti uomini venivano uccisi dalle truppe coloniali, ma anche da altri, per difendere l'onore delle donne. Infatti, eravamo un Paese che aveva come base il Codice Rocco, in cui lo stupro era un reato contro l'onore e non contro la persona. Ci vorranno anni, fino a al 1996, per riuscire a cambiare questo stato di cose.
  In sostanza, con la questione delle «marocchinate» ci siamo rese conto che, per esempio, non solo lo Stato italiano, ma anche chi ne era stato particolarmente responsabile – quindi le truppe coloniali francesi – non aveva mai riconosciuto tutto questo. Non erano, ovviamente, mai finiti davanti a nessun tribunale. Addirittura, nelle memorie del generale Juin, che pure era l'artefice della vittoria di Montecassino, questo viene sempre taciuto, mentre gli storici francesi, anche contemporanei, continuano a dire che quella vittoria, straordinaria, nella Seconda Guerra Mondiale è dimenticata – oubliée – perché è prevalsa l'idea che le «marocchinate» erano dovute non al fatto che l'esercito francese e i suoi ufficiali avessero permesso quello che era successo, ma al fatto che le truppe coloniali erano un po’ selvagge, quindi loro non riuscivano a controllarle – non si capisce, però, perché se le portavano dietro – e ai costumi dissoluti delle donne italiane. Questa è la dichiarazione del 2012 dell'ultimo storico francese, Jean-Christophe Notin che si è occupato di Montecassino.
  Dunque, la questione è che gli stupri di guerra sono – in questo caso, ma come abbiamo visto, anche negli altri – un'arma di guerra e, per i francesi, anche di vendetta per quello che era stato considerato il tradimento dell'Italia. Infatti, loro erano alleati a Montecassino, ma consideravano il tradimento dell'Italia nel 1940. Contemporaneamente, c’è l'idea che questo sia nell'ordine naturale delle cose. Nessuno riesce a capire fino in fondo non solo la devastazione di un'intera comunità, Pag. 6ma anche cosa ha lasciato nella memoria, anche in termini sociali e sanitari. Per esempio, non si parla mai – perché nessuno ha mai fatto una ricerca in proposito – del fatto che in quel periodo, oltre a molti suicidi di donne, ci furono moltissimi infanticidi perché, appunto, nessuno si occupava delle vittime di quegli stupri, che – ripeto – non erano solo le donne.
  Il Parlamento italiano – per questo abbiamo pensato che fosse importante parlare con questo Comitato – fu il primo che affrontò il problema degli stupri di guerra, anche se in seduta notturna, anche se dopo sette anni, anche se in realtà con una minimizzazione tale che il sottosegretario Targetti rispose a Maria Maddalena Rossi dicendo che non erano 60 mila gli stupri delle «marocchinate», ma «solo» 20 mila e che non bisognava pensare di risarcire tutti perché uno stupro in guerra è come finire sotto un camion militare nel porto di Napoli (si riferiva, ovviamente, ai camion alleati), per cui non si poteva fare nulla. Fu una risposta burocratica, che, naturalmente, non soddisfece nessuno di quelli che avevano fatto quella battaglia, comprese le donne che, a centinaia, si erano esposte per raccontare quel problema.
  L'ultima cosa che rimane da dire è che lo stupro come arma di guerra, ma anche come arma di pace, viene sanzionato dalla Convenzione di Istanbul, ma, esattamente come per gli stupri di guerra, non c’è un interesse sufficiente su questo problema.

  PRESIDENTE. Grazie a Vittoria Tola. La parola a Chiara Valentini.

  CHIARA VALENTINI, Giornalista e saggista. Centrerò il mio intervento sul tema della doppia violenza, che è un segnale distintivo – una condanna, se volete – che accompagna il rapporto tra le donne e la guerra.
  Nelle guerre, in tutte le guerre, nelle guerre di tutti i tempi le donne non solo hanno subito le violenze, le devastazioni e le uccisioni di tutta la popolazione, ma in più hanno dovuto subire – sia pure in modi diversi, come cercherò brevemente di argomentare – delle violenze legate strettamente alla loro identità sessuale, cioè gli stupri, le violenze sessuali, la tratta, sempre a scopo di violenza sessuale e anche in molti casi il sequestro in campi bordello o in luoghi in cui venivano messe a disposizione dei vincitori del momento.
  Questa doppia violenza è venuta alla luce, in modo ancora più diretto e direi brutale, nell'ambito delle guerre etniche degli ultimi decenni, quelle che la studiosa Mary Kaldor ha definito «guerre asimmetriche» perché sono state, e sono tuttora, prevalentemente quelle in cui il nemico è la popolazione civile. Infatti, basta guardare i numeri per vedere che i morti civili sono in una proporzione molto più alta rispetto a quelli militari, a differenza di quanto avveniva nelle guerre tradizionali. In queste nuove guerre, la doppia violenza nei confronti delle donne ha trovato una specie di sinistra codificazione nelle guerre della ex Jugoslavia. In quelle guerre una parte delle élite serbe, di cui non per niente facevano parte anche alcuni psichiatri, aveva elaborato l'idea che lo stupro poteva diventare, in senso proprio e diretto, un'arma di guerra. Una vera e propria direttiva imposta ai soldati era quella di violentare le cosiddette «donne del nemico», cosa che è avvenuta in proporzioni molto grandi. Bisognava violentare le donne del nemico perché in questo modo se ne terremotava l'identità o perlomeno si indeboliva la loro etnia. Siccome lo scopo di questa guerra era quello di scacciare determinate popolazioni dai loro territori, accanto agli incendi, alle uccisioni di personaggi locali influenti e così via, lo stupro era stato praticato su larga scala. Si parla di 50 mila stupri, anche se, purtroppo, nessuno può avere i dati precisi, per i motivi più svariati. Peraltro, molte donne non avevano nemmeno denunciato lo stupro, anche per evitare di essere ostracizzate dalle loro famiglie. Questa, infatti, è l'altra faccia della medaglia, perché spesso venivano viste come persone da ripudiare o da mettere al bando. Altre donne erano state uccise dai loro stessi stupratori. Insomma, i numeri non sono sicuri, però le stime oscillano Pag. 7dalle 20 mila alle 50 mila persone. Questi stupri avvenivano – lo ricorderete credo tutti – all'inizio degli anni Novanta in Europa. Questi sono due punti importanti. La ex Jugoslavia, seppure ai lembi, faceva parte dell'Europa; in più, avvenivano in una fase che era stata segnata da vent'anni di femminismo e da un forte riconoscimento dei diritti delle donne, che avevano marcato l'immaginario, il costume e anche le leggi, dal momento che nei vari Paesi erano state approvate molte leggi a favore delle donne.
  L'indignazione che aveva suscitato lo stupro usato come arma di guerra si era diffusa in tutti i Paesi europei attraverso la stampa, i giornali e i rapporti, molto puntuali e approfonditi, delle varie organizzazioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite. Alla fine della guerra c’è stata, dunque, la nascita di un Tribunale internazionale – come ricordava Isabella Peretti – in cui per la prima volta lo stupro veniva giudicato come crimine contro l'umanità e come violazione del diritto di guerra. Questo era successo anche in relazione al Ruanda, Paese del tutto lontano geograficamente, anche come cultura e come storia, dove, però, si erano verificati dei fenomeni abbastanza simili. Questi due tribunali avevano costituito un passo avanti importantissimo su questo terreno perché lo stupro era riconosciuto e punito, anche se spesso con difficoltà perché non era semplice processare questi militari e personaggi vari. Per fare un esempio, Radovan Karadzic, lo psichiatra che più di tutti aveva ideato questi obbrobri, è ancora sotto processo. Ecco, il suo processo non si è ancora concluso. Pensate quanti anni sono passati. Comunque, un passo avanti importante era stato fatto, come si è detto. Tuttavia, da allora le cose sono cambiate un'altra volta. Soprattutto negli anni più recenti, c’è stata in mezzo una grande destabilizzazione di zone intere del mondo. Mi riferisco al Medio Oriente e ad ampie parti dell'Africa, dove è avanzato un estremismo islamista che si è poi concretizzato nel cosiddetto «Califfato», che si è diffuso – come nuclei – nei tentativi di aggredire anche gli Stati che hanno una loro identità diversa. L'avanzare di questo Islam estremista ha cambiato e ha terremotato ancora una volta la figura e il profilo della doppia violenza delle guerre. Questa volta si è configurato, però, in modo esplicito come guerra contro le donne, non più come arma di guerra, non più come premio ai soldati. Questa volta è una guerra contro le donne, che è diventata addirittura – per semplificare, visto che sto occupando troppo tempo – uno degli scopi, quindi quasi una bandiera, della guerra dell'estremismo islamico contro l'Occidente. La paura delle donne e dell'emancipazione femminile gioca una parte molto importante nel seguito che riesce ad ottenere l'ISIS, con tutte le sue emanazioni. Siamo tornati a una specie di Medioevo, che può essere visto solo attraverso qualche documentario di qualche coraggioso che è riuscito a penetrare nei territori, in cui si vedono, appunto, le donne ridotte a ombre nere, coperte fino agli occhi, o vendute come schiave sessuali, nei mercati oppure attraverso Internet. Insomma, non mi dilungo troppo perché, purtroppo, è la cronaca dei nostri giorni e dei nostri telegiornali.
  È successo, però, che l'indignazione che aveva accompagnato le violenze nella ex Jugoslavia questa volta non c’è stata; non c’è il senso di ribellione e della necessità di far sentire la nostra voce come donne per denunciare quello che sta succedendo, chiedendo interventi che non consistano solo nel bombardare l'ISIS, ma anche nell'intervenire sul territorio, dove è possibile, per liberare le donne ridotte in stato di schiavitù. Credo che questo sia uno dei compiti che siamo tenuti a darci, come donne e come operatrici della cultura, proprio perché siamo di fronte a uno degli orrori più grandi di questa epoca.

  PRESIDENTE. Grazie. Mi scuso per il sollecito, ma ha raddoppiato il tempo. Capisco, però, che la passione prenda. Interviene ora Simona La Rocca, curatrice del volume Stupri di guerra e violenze di genere ed esperta di diritti umani e di diritto dell'ambiente.

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  SIMONA LA ROCCA, Curatrice del volume «Stupri di guerra e violenze di genere» ed esperta di diritti umani e di diritto dell'ambiente. Non c’è zona nel mondo dove non ci sono conflitti armati, purtroppo. Da alcuni anni, la situazione si fa sempre più grave, come mostra questa mappa geografica in cui le diverse sfumature mostrano i vari conflitti, per gravità (vedi allegato).
  L'Europa, l'Asia, l'America latina e il Medio Oriente sono tutti interessati da conflitti armati più o meno gravi. Per quanto riguarda il numero dei conflitti possiamo vedere che è maggiore in Asia e in Oceania, mentre le situazioni più gravi si registrano in Africa, soprattutto per numeri di conflitti che si protraggono nel tempo. In questa rappresentazione c’è una distribuzione dei conflitti per regione e per intensità di conflitto. Vi lascerò, comunque, questa presentazione in Power Point.
  Si tratta di dati aggiornati al 16 febbraio 2016, quindi sono recentissimi. Possiamo vedere le zone più a rischio. In Africa ci sono ventotto Stati coinvolti, 201 tra milizie, guerriglieri e gruppi separatisti. Le zone a rischio sono l'Egitto, la Libia e così via, come tutti sappiamo.
  Anche in Europa ci sono zone molto pericolose, come la Cecenia, il Daghestan e l'Ucraina. Le zone a rischio in Medio Oriente sono l'Iraq, Israele, la Siria, ma anche lo Yemen, di cui si parla molto poco. Nelle Americhe, la Colombia e il Messico, che sono tra i cinque Stati in cui la situazione è molto grave, soprattutto per quanto riguarda le violenze sulle donne. In Asia, zone a rischio sono la Birmania, il Pakistan e l'Afghanistan.
  Di questi conflitti conosciamo poco, anche di quelli che si protraggono da anni, come il Darfur, la Somalia e la Repubblica democratica del Congo. Eppure, proprio a causa di questi conflitti, c’è un esodo di massa della popolazione, da un punto di vista sia interno sia transfrontaliero. Secondo dati dell'UNHCR del giugno 2015, le persone in fuga sono 60 milioni. Si tratta un numero che, purtroppo, sta salendo negli ultimi mesi, perché sappiamo tutti che dalla Siria e dall'Iraq è in corso una vera e propria diaspora. Questi dati sono ancora più allarmanti perché di questa gravissima situazione stanno approfittando diverse organizzazioni criminali che trafficano in esseri umani. Secondo i dati di Europol di febbraio 2016, considerando solo gli ultimi 18-24 mesi sarebbero oltre 10 mila i bambini migranti che sono arrivati in Italia di cui, però, si è persa traccia. Ora, non saranno tutti vittime di trafficanti, ma ci sono evidenze che molti di loro sono caduti in una rete che li sfrutta anche dal punto di vista sessuale.
  Questa rappresentazione mostra come ci sia un esodo, sia interno sia transfrontaliero, di persone che stanno scappando da conflitti e da violenze. Come potete vedere, la situazione è molto grave perché le vittime dei conflitti armati e di queste guerre interne o internazionali sono soprattutto donne. «È diventato più pericoloso essere una donna che va ad attingere l'acqua o a raccogliere la legna da ardere che essere un combattente al fronte». Queste parole sono state pronunciate dall'allora Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per i crimini sessuali in situazioni di conflitto Margot Wallström che nel 2012, con tali parole appunto, voleva attirare l'attenzione su una situazione gravissima.
  Nei conflitti armati, ancora oggi il corpo delle donne è considerato il campo di battaglia, il terreno sul quale si combatte. Questo è il lato più oscuro dei conflitti armati, quello degli stupri di massa e delle violenze di genere compiute a danno della popolazione civile. È un evento che sembra «normale»; ecco, questo è un termine agghiacciante per noi, dal momento che anche degli esperti e degli storici ci hanno confermato che è normale che in una guerra, anche attuale, le donne siano bottino di guerra. Gli stupri di massa e le violenze sessuali nei conflitti armati interessano in modo sproporzionato il genere femminile. Questo è stato evidenziato sia delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sia dalla convezione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro le violenze nei confronti delle donne e la Pag. 9violenza domestica, che è stata siglata ad Istanbul nel 2011 e che l'Italia ha ratificato. Le violenze sono commesse anche a danno degli uomini e dei minori, ma interessano in modo sproporzionato il genere femminile. Queste violenze, in molti casi, sono il risultato di una esacerbata disuguaglianza di genere che preesiste nella società prima delle ostilità e che, quindi, si aggrava con il conflitto e nel post-conflitto.
  Durante e dopo i conflitti le donne e le bambine sono più esposte alle violenze di genere, che possono assumere diverse forme, quali gli stupri di massa, le violenze sessuali, la tratta di donne e la riduzione in schiavitù a scopo di sfruttamento sessuale, ma anche di violenza domestica o di matrimoni precoci e forzati. L'uso del corpo delle donne è visto come un simbolo, come un'arma e anche come una strategia di guerra. Come anticipato dalle mie colleghe, lo stupro di massa e le violenze di genere sono una vera e propria strategia. Purtroppo, abbiamo prove di questo sia dai documenti, sia dalle ricerche svolte, ma anche da conflitti come quelli nella ex Jugoslavia, in Ruanda, in Palestina, in Siria, in America Latina.
  Riguardo alla ricerca che abbiamo fatto, siamo veramente costernate sia per la quantità delle violenze che abbiamo rilevato in tutti i Paesi sia per la gravità della situazione. Soprattutto, è agghiacciante constatare che non c’è dibattito su questo tema nel nostro Paese. Per questo, vorremo attirare la vostra attenzione proponendo alcune misure, che possono essere ridotte a tre linee: sensibilizzazione, monitoraggio e formazione.
  Per la sensibilizzazione, sarebbe necessario un convegno internazionale mediante il quale l'Italia possa assumersi l'impegno di accendere i riflettori su quanto sta avvenendo in molti Paesi del mondo per quanto riguarda gli stupri e le violenze sessuali nei conflitti armati. Questo accenderebbe appunto i riflettori, ma rafforzerebbe anche l'impegno su quanto predisposto nella Dichiarazione di intenti per porre fine alle violenze sessuali nei conflitti armati fatta a Londra dai ministri degli esteri dei Paesi del G8 nel 2013. Il convegno si porrebbe anche in linea con l'iniziativa dell'ONU, ovvero con il Programma internazionale Stop rape now. Questo consesso dovrebbe prevedere la partecipazione delle sopravvissute, delle testimoni delle violenze, delle studiose e degli studiosi e dei rappresentanti di organizzazioni a difesa dei diritti delle donne.
  I focus di approfondimento potrebbero essere, innanzitutto, la due diligence degli Stati, quindi obblighi non soltanto negativi, ma anche positivi, e l'approfondimento della relazione esistente tra tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e le situazioni di conflitto armato e post-conflitto. A questo proposito, vi faccio rilevare che lo sfruttamento sessuale e le violenze riguardano soprattutto le minoranze, come accade in Birmania, là dove sono dirette contro le donne che fanno parte delle minoranze Arakan, Karen e Kachin. Anche in Siria, le violenze maggiori si verificano contro le donne yazide, che vengono rapite in massa dai guerriglieri dell'ISIS, vendute e ridotte in schiavitù, subendo ogni giorno stupri e violenze inaudite.
  Un altro focus di approfondimento che meriterebbe di essere indagato è il rapporto tra le violenze di genere e le migrazioni (ad esempio, le violenze sessuali e la tratta di donne che avvengono durante gli spostamenti dai Paesi del Corno d'Africa, passando per il deserto, fino alla Libia).
  Un'altra linea di proposte potrebbe essere la formazione. Con questa pubblicazione abbiamo cercato di riprendere la memoria di quello che è stato, sia con le cosiddette «marocchinate» sia con le «mongolate» (questione ancora poco indagata). Infatti, entrambe fanno parte di una storia raccontata solo in parte.
  Umberto Eco diceva che la memoria è l'anima. Noi proponiamo di ricostruire questa memoria del passato per costruire le basi di un futuro condiviso. Questo lo possiamo fare soltanto inserendo questi argomenti nei programmi e nei libri di testo di storia destinati alle scuole superiori Pag. 10di secondo grado, perché i ragazzi non conoscono questa storia, e non è giusto.
  Un'ultima linea è quella del monitoraggio. Chiediamo, infatti, un adeguato impegno istituzionale di monitoraggio rispetto alle regole di ingaggio delle missioni militari all'estero, con l'adozione di una politica di tolleranza zero nel caso di violenze, nonché l'applicazione degli impegni presi nel secondo Piano d'azione nazionale, che, appunto, volge al termine.
  Un aspetto poco discusso, ma molto importante, è l'applicazione del Trattato sul commercio delle armi, che sembrerebbe non essere connesso direttamente con la tematica in oggetto, ma lo è, perché negli articoli 6 e 7 ci sono delle disposizioni che prevedono un obbligo giuridicamente vincolante per gli Stati parte di non autorizzare alcuna esportazione di armi se vi è un rischio che le stesse possano essere utilizzate per combattere o facilitare gravi atti di violenza di genere.
  L'ultimo punto è quello di rivedere gli accordi di cooperazione e lo stanziamento di aiuti economici a favore dei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, soprattutto quando questi flussi sono causati da conflitti armati, affinché tali Paesi siano effettivamente vincolati al rispetto dei diritti umani, con precisi impegni a favore della promozione dei diritti delle donne. Penso, per esempio, all'Accordo di amicizia con la Libia, ma anche con l'Eritrea. Grazie.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio per questa relazione molto «packed», molto intensa. Non voglio riprendere il tema, ma sottolineo un aggettivo che ha usato la nostra relatrice: «costernata» per quantità e gravità della situazione e per il silenzio del nostro Paese.
  Noi ci impegniamo a riflettere su queste proposte, che si riferiscono alla sensibilizzazione, al monitoraggio e alla formazione. C’è da lavorare molto, ma cercheremo di stabilire un'interlocuzione con il nostro Ministro degli esteri su questi temi per «dare le gambe» al lavoro che è stato fatto. Ricordo ai colleghi e dico a voi che abbiamo previsto per maggio – la data è ancora da definire – un'audizione di una testimone yazida, Nadia Murad, che è già intervenuta nella sede dell'ONU e che sarà a Milano per il Festival dei diritti umani. Quindi, cogliamo l'occasione di questa presenza per farla venire a parlare in questa sede. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire.

  GIANNI FARINA. Grazie presidente. Ringrazio di cuore le nostre tre relatrici per questa opera, che ritengo fondamentale e che tutti dovrebbero leggere. Io cercherò di sconfiggere il «terrore di volare», ma volo sempre, quindi ne approfitterò per entrare in contatto con le informazioni e la cultura che avete espresso in questo bellissimo libro, per quello che dice e per l'intento che si ripromette.
  È inutile ricordare cosa è avvenuto sempre in passato, anche durante il periodo coloniale. Noi non conosciamo quella storia, che continua, quindi figuriamoci cosa avverrà adesso nelle terre d'Africa. Non sappiamo niente; avverranno delle cose inaudite che, forse, Dio, nella sua grandezza, riuscirà un giorno a perdonare.
  Voglio raccontare una piccola storia personale. Dal 2006 al 2008 ebbi occasione di visitare per l'OSCE i Paesi della ex Jugoslavia, per questioni di controllo di carattere democratico, elettorale e così via. Quindi, visitammo Mostar, Sarajevo, Srebrenica e via dicendo, dove vedemmo tante cose, che voi avete rappresentato molto bene oggi. Ecco, mi colpiva che la Jugoslavia è Europa. In quel periodo, vivevo tra la Svizzera e Parigi. In Svizzera avveniva un fenomeno che a raccontarlo è persino incredibile: c'erano i «guerriglieri del fine settimana»; migliaia di ex jugoslavi – croati, bosniaci e serbi – partivano il venerdì sera, con aerei speciali, per andare a fare la guerra nelle loro terre, e poi il lunedì ritornavano a Zurigo, a Ginevra o a Basilea per lavorare.
  In quella terribile esperienza di odio e di violenza tra uomini e donne che si erano rispettati fino al giorno prima, le Pag. 11donne erano sempre il lato debole e l'effetto di un dramma e di un crimine. C'era la rottura familiare; le donne venivano sterminate. Eppure, c'erano sempre stati matrimoni tra musulmani, ortodossi e così via. Nella violenza, la donna aveva la peggio, sempre la donna. E non se n’è più parlato. Oggi la Jugoslavia e i Paesi dell'Est stanno vivendo – forse – un'altra fase; ho viaggiato tra Pristina, Podgorica, Sarajevo, e così via, e posso dire che non c’è una casa dove non ci sia il segno della violenza, ancora oggi. Di questo dramma nel dramma, quello delle donne è stato ancora più violento, un massacro di umanità che viene dimenticato, ancora oggi.
  Sono molto d'accordo che vincerà la cultura se si faranno le iniziative che si vogliono fare, e che mi sembrano estremamente importanti. Dovrebbe, però, esserci la scuola. Ecco, un compito della nuova Europa dovrebbe essere quello di inventare qualcosa di più grande sul piano culturale, come prevedere la narrazione di questa storia nelle scuole non solo italiane, ma europee, come insegnamento obbligatorio e come tentativo di andare oltre, perché il dramma della donna in tutto quanto avviene di brutto e di terribile è persino indescrivibile. Non ci sono parole per fare questo, quindi solo con la cultura potremmo sconfiggere un giorno questo, che è il mostro vero dall'umanità.
  Vi ringrazio di tutto cuore; leggerò il libro e sono sempre pronto a dare il mio piccolo e modesto contributo in queste grandi occasioni.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola alla collega Maestri, voglio ricordare che questo libro verrà presentato, con tempi meno ristretti – sarà una presentazione di respiro e più completa – il 30 marzo nella Sala del Refettorio. Faremo, dunque, circolare anche fra di noi questa informazione, in modo che anche i componenti del Comitato diritti umani e, più ampiamente, della Commissione affari esteri e comunitari possano averne notizia. La parola a Patrizia Maestri.

  PATRIZIA MAESTRI. Vi ringrazio per questa audizione di grande interesse. Del resto, conosciamo l'onorevole Locatelli per l'attenzione che ha sempre avuto per i diritti umani. Ringrazio le relatrici perché ci hanno non solamente proposto una ricerca particolare, ma ci hanno anche confermato quello che già potevamo conoscere, in maniera più scientifica e con tanta passione, che ho sentito. Infatti, quando si parla di queste cose abbiamo una sensazione di grande malessere, che credo possiamo condividere.
  Ho molto apprezzato anche le cose che avete detto. In sintesi, c’è tutto: la doppia violenza, lo stupro come arma di guerra e il corpo delle donne come terreno di battaglia. C’è anche non una mancanza, ma un calo di attenzione, che oggi nel nostro Paese stiamo rivolgendo a fenomeni come il femminicidio, che ci sta impegnando su diversi fronti, anche a livello legislativo. Nel 2014 abbiamo posto in essere delle azioni su questo fronte. Credo che il femminicidio non sia altro che un aspetto di questa violenza che viene da una discriminazione e da una disuguaglianza. Quindi, c’è una storia precedente.
  Detto questo, dobbiamo ritornare tutti a impegnarci per sensibilizzare uomini e donne su un tema come questo, che non è italiano, ma mondiale. Credo davvero che anche la ricerca nella memoria sia importantissima. Lo stiamo facendo anche su altre vicende della nostra storia, per quanto riguarda l'Italia in particolare. La memoria di cosa è successo, negli anni e nei secoli, sul tema della violenza contro il corpo delle donne è una questione su cui dobbiamo impegnarci tutti.
  Ogni tanto molti di noi partecipano alle mobilitazioni che si trovano sul web, come quelle di Change.org, riguardo al matrimonio forzato o a donne che devono essere lapidate per crimini commessi nei loro Paesi. Partecipare in questo modo non è sufficiente, occorrerebbe qualcosa di più organizzato e strutturato. Credo che anche noi, nel nostro ruolo, dobbiamo farci carico di questo. Abbiamo l'Intergruppo parlamentare, quindi possiamo lavorare su questo tema con l'onorevole Locatelli e con tutti coloro e tutte coloro che intendono partecipare.Pag. 12
  Dobbiamo, inoltre, sensibilizzare anche sui territori, non solamente qui, nel nostro ruolo parlamentare. Infatti, mentre parlavate pensavo già a come presentare il libro anche nel mio territorio. Insomma, dobbiamo cercare di fare in modo di coinvolgere tutto quello che c’è di movimento organizzato, dal partito, ai centri antiviolenza, a tutti coloro che possono dire qualcosa e impegnarsi in questa operazione. Vi ringrazio ancora e spero che continueremo a impegnarci tutte insieme, quindi a rivederci.

  SANDRA ZAMPA. Sono davvero telegrafica, per ringraziarvi, innanzitutto, degli spunti che avete portato, che costringono a una riflessione ulteriore e anche a interrogativi. Credo, infatti, che non ci siano tutte le risposte. In particolare, mi colpiva l'intervento di Chiara Valentini, che ci lasciava con una domanda riguardo all'assenza di indignazione per quello che sta avvenendo, soprattutto nei territori dove Daesh ha compiuto, e continua a compiere, violenze inaudite su donne e bambini. Perché non c’è indignazione e perché in questa circostanza della storia non si riesce a ritrovare quello slancio dell'anima ed etico che aveva portato, appunto, a una condanna collettiva nel caso della Bosnia ?
  Credo anch'io che ci sia, da un lato, una progressiva assuefazione dell'opinione pubblica. Probabilmente, non ci stiamo abbastanza chiedendo quanto i nuovi media, portandoci tutti i giorni sotto gli occhi queste immagini, le stanno incredibilmente banalizzando, come fossero ormai una componente della nostra quotidianità. Forse c’è anche qualcosa di peggio di questo, cioè si pensa che ciò che avviene in quei luoghi accade per responsabilità loro e non nostre, quindi, nella differenza delle culture l'opinione pubblica vede un elemento per cui vi sono ragioni loro che non sono più nostre. Questo spiegherebbe in parte cosa avviene.
  Avete fatto vedere velocemente dei dati sui minori scomparsi, tema di cui mi sono particolarmente occupata, ma questo vale anche per le donne. Non so se sapete che Orbán sta chiedendo un referendum sulle quote di rifugiati e non c’è nessuna attenzione o sensibilità – lì siamo all'apice – da parte dell'Europa, che non sta affrontando il tema dei rifugiati prendendo in considerazione il fatto che tra queste persone ci sono donne o bambini a cui è accaduto tutto ciò che questa mattina, anche se rapidamente, ci avete fatto rivedere.
  Credo, quindi, che sia davvero una domanda molto, molto importante chiedersi perché non c’è indignazione collettiva. Voi avete chiamato in causa poco l'ONU, ma penso ci siano anche delle responsabilità molto grandi delle grandi organizzazioni sovranazionali e internazionali. C’è qualcosa che non funziona. È vero infatti che l'opinione pubblica si sta abituando, ma è anche vero che non si vedono reazioni neanche da parte di chi è chiamato a intervenire, a cominciare dall'Europa. Parlo delle sue istituzioni, in questo caso. Non ci sono reazioni, né prese di posizione davvero significative neanche da parte di chi governa queste istituzioni.
  Intanto, chiedo formalmente di poter avere le slide che ci avete fatto vedere, dove ci sono le proposte per valutare insieme eventualmente cosa e come fare, per fare in modo che il Consiglio d'Europa, in cui sono membro supplente (ma c’è anche la collega Cimbro), e tutti gli organismi internazionali in cui i parlamentari sono presenti possano adottare soluzioni, azioni o iniziative perché si riaccenda l'attenzione.
  Vorremmo, poi, avere più tempo per valutare le vostre proposte. Di certo mi convince moltissimo l'idea che nei manuali di storia debba assolutamente entrare questo tema. Quindi, possiamo fare una risoluzione anche in Commissione cultura, o mandare al MIUR una formale richiesta almeno di apertura di confronto su questi temi. Anche altre proposte che avete fatto andranno, però, certamente prese in considerazione. Ci sarebbe da dire e da riflettere di più, ma il tempo è tiranno. Ci rivedremo sicuramente.

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  PRESIDENTE. Grazie, prima di dare la parola alla collega Cimbro, vi informo che invieremo il materiale oggi stesso a tutti i componenti del Comitato diritti umani, così lo avranno in mano anche quelli che non hanno potuto partecipare questa mattina, in modo che avranno strumenti per riflettere.

  ELEONORA CIMBRO. Dovrò per forza essere telegrafica perché è iniziata l'Aula, quindi risparmio tutte le riflessioni che avrei voluto fare con voi. Innanzitutto, vi ringrazio per averci dato questa splendida occasione per riflettere su questi temi. Peraltro, nel Comitato diritti umani abbiamo già ha parlato altre volte di questi argomenti e abbiamo avviato un percorso che credo debba essere portato avanti.
  Mi ricollego a quanto diceva prima la collega Zampa. Siccome molti di noi sono presenti in altri consessi, anche internazionali, credo sia auspicabile che questo libro possa essere presentato anche al Consiglio d'Europa o che si possa intervenire con una risoluzione e degli impegni, anche formali, per avviare una discussione su questi temi, a partire proprio dallo spunto che ci viene fornito dal libro. Mi viene in mente che sarebbe utile sensibilizzare i nostri colleghi al Parlamento europeo. In particolare, penso a Pier Antonio Panzeri, che l'onorevole Locatelli conosce molto bene, che è nel Comitato diritti umani ed ha presentato la Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo 2013 e politica dell'Unione europea in materia. Insomma, credo che sia utile introdurre anche a livello europeo questa tematica e sensibilizzare i nostri esponenti presso il Parlamento europeo, proprio perché nelle relazioni future entri anche questo argomento.
  Quindi, vi ringrazio ancora e spero di poter contribuire insieme ai miei colleghi, anche in Commissione affari esteri e comunitari, per la creazione di qualche testo che possa supportare l'azione che state facendo.

  PRESIDENTE. Do la parola alle audite, per una brevissima replica.

  VITTORIA TOLA, Responsabile nazionale dell’Unione Donne in Italia. Vorrei rispondere sul problema dei libri di testo perché, come abbiamo detto, la questione della violenza è arma di guerra e arma e di pace (i femminicidi che venivano ricordati).
  Il piano nazionale antiviolenza, quello successivo alla legge n. 119 del 2013 che è stato votato dal Parlamento dopo la Convenzione di Istanbul, aveva questo come uno degli obiettivi, che era stato introdotto proprio grazie al dibattito parlamentare.
  Nonostante le numerose richieste rivolte alla Ministra dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, quest'ultima non ha mai dato risposte soddisfacenti fino in fondo su questo problema. Se nei libri di testo la storia delle donne e della violenza non entra come un problema di educazione – non come «ora a parte», ma come integrazione nei programmi scolastici – saremo con un'arma spuntata. Questo è molto importante.

  ISABELLA PERETTI, Co-autrice dell'introduzione al libro «Stupri di guerra e violenze di genere» e curatrice della collana «Sessismoerazzismo». Vorrei solo dire che ci terremmo molto, tra tutte queste proposte, a quella del convegno internazionale, non soltanto per impegnare le istituzioni, a partire dall'Italia, ma per dare voce ai movimenti delle donne che hanno vissuto o subito queste violenze. Questa è la cosa più importante e interessante, perché sono vittime, ma anche donne che si ribellano perché vogliono costruire un futuro diverso. Sotto questo aspetto, il Tribunale delle donne della ex Jugoslavia è estremamente significativo. Abbiamo documentato casi analoghi in Ruanda, in India e in tante altre zone del mondo, quindi studieremo ulteriormente l'elemento della soggettività delle donne. Vedremo quello che si riuscirà a fare perché per un convegno internazionale ci vogliono tempo e soldi. Sappiamo che ci sono questioni diplomatiche e così via. Tuttavia, sarebbe un grande nostro obiettivo Pag. 14dare voce alle donne che hanno subito, e vogliono costruire un futuro diverso. Grazie.

  PRESIDENTE. Possiamo concludere. È stata un'ora intensa, ricca di emozioni, di informazione e di cultura. Adesso è a noi l'impegno affinché questa audizione non si fermi qui, perché possiamo «darle gambe». Mi sembra che siano scaturite alcune richieste. Una riguarda un'interlocuzione con il Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, per un impegno preciso: queste cose devono entrare nei libri di testo. Vedremo se mandare una lettera alla Ministra oppure chiederle un incontro. L'altra è l'organizzazione di un convegno internazionale, cosa che dobbiamo valutare. Possiamo organizzare – ovviamente dobbiamo pensarci – questo convegno in collaborazione con un'istituzione internazionale, in modo che già nella fase organizzativa parta il collegamento con il livello internazionale. Pensiamo al Consiglio d'Europa o al Parlamento europeo. Ci impegniamo a pensarci e poi a dare continuazione a questa audizione. Nel ringraziare nuovamente le audite, autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna del materiale consegnato (vedi allegato) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.40.

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