XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Mercoledì 2 luglio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROIEZIONE DELL'ITALIA E DELL'EUROPA NEI NUOVI SCENARI GEOPOLITICI. PRIORITÀ STRATEGICHE E DI SICUREZZA

Audizione del consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI), professor Stefano Silvestri.
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 
Silvestri Stefano , Consigliere scientifico e ... 3 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 7 
Garavini Laura (PD)  ... 7 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 7 
Silvestri Stefano , Consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI) ... 7 
Chaouki Khalid (PD)  ... 8 
Silvestri Stefano , Consigliere scientifico e ... 9 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 9 
Silvestri Stefano , Consigliere scientifico e ... 9 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 10 
Silvestri Stefano , Consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI) ... 10 
Cassano Franco (PD)  ... 10 
Silvestri Stefano , Consigliere scientifico e ... 10 
Cimbro Eleonora (PD)  ... 11 
Silvestri Stefano , Consigliere scientifico e ... 11 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 12 
Silvestri Stefano , Consigliere scientifico e ... 12 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI), professor Stefano Silvestri.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI), professor Stefano Silvestri, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla proiezione dell'Italia e dell'Europa nei nuovi scenari geopolitici.
  Il professor Silvestri, ben noto alle cronache e alle storie, è stato audito da questa Commissione più volte nel corso della passata legislatura, con particolare riferimento alla partecipazione italiana alle missioni internazionali e alla prospettiva della governance mondiale.
  Lo ringrazio sia per essere venuto, sia per iniziare la sua audizione con un pubblico altamente qualificato, ma scarsamente numeroso.
  Do la parola al professor Silvestri per lo svolgimento della relazione.

  STEFANO SILVESTRI, Consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI). Grazie, presidente. Grazie a tutti i presenti e a coloro che verranno. Prima di tutto mi incombe di porgervi le scuse del mio successore come presidente dello IAI, l'ambasciatore Nelli Feroci, che avrebbe voluto essere qui, ma è altrimenti impegnato.
  L'Istituto ha realizzato numerosi studi su questi argomenti, alcuni dei quali anche proprio per il Parlamento. Alcuni li avete a vostra disposizione. Io cercherò di fare una sintesi relativamente breve di quelli che ritengo siano i punti principali del nuovo scenario internazionale e della collocazione dell'Italia e dei suoi interessi in questo scenario.
  La mia convinzione, la convinzione che abbiamo in Istituto, è che l'Italia sia un attore di alto livello internazionale, sia per la sua collocazione geografica – che è cosa per cui non ha particolare merito, ma che comunque le conferisce un'importanza rilevante – sia per la fitta e complessa rete dei suoi rapporti e impegni multilaterali nell'ambito delle Nazioni Unite, dell'Unione europea, della NATO e delle altre Istituzioni internazionali.
  Sottolineo questo aspetto perché, in realtà, è difficile e, in certa misura, è anche un'operazione molto teorica e, in qualche modo, inutile immaginare una politica estera italiana o una politica di sicurezza italiana del tutto autonoma e indipendente da questi ambiti multilaterali che possa, allo stesso tempo, difendere meglio i nostri interessi fondamentali o addirittura, in qualche caso, anche semplicemente difenderli contro minacce di alto livello.
  Questa non è una situazione propria dell'Italia da sola, è una posizione che noi condividiamo con gli altri Paesi europei. Possiamo fare una parziale eccezione per le due potenze nucleari, la Francia e il Pag. 4Regno Unito, ma anche questa eccezione è parziale, poiché, in realtà, anche queste potenze sono tutt'altro che pienamente autonome, sia per ragioni tecnologiche, sia per ragioni operative. In pratica, anche la loro capacità di dissuasione nucleare dipende essenzialmente, in buona misura, dai loro rapporti con gli Stati Uniti.
  In compenso, naturalmente, noi abbiamo un peso piuttosto rilevante in queste realtà multilaterali, ossia abbiamo la possibilità di influenzare queste realtà a nostro vantaggio. Si tratta di realtà multilaterali che, nel caso dell'Unione europea e della NATO, sono potenzialmente al vertice del quadro delle potenze internazionali, insieme con gli Stati Uniti.
  Dico «potenzialmente» perché questa loro capacità in genere si manifesta solo in modo frammentario e sporadico a causa delle diversità e incertezze del sistema decisionale ed è pienamente visibile solo in un quadro di risposta a minacce, ossia in un quadro strettamente difensivo.
  È, quindi, più passiva che attiva questa capacità di peso dell'Unione europea e della NATO. In particolare, è una capacità molto limitata nella proiezione di potenza e nella gestione delle crisi, anche se i nostri Paesi, insieme agli Stati Uniti, sopportano ancora oggi il peso maggiore della governabilità internazionale, malgrado la crescita di nuove potenze. Non sono sicuramente ancora la Cina, il Brasile, il Sudafrica, l'India, il Messico o l'Indonesia – per citare Paesi che hanno un ruolo crescente, soprattutto in campo economico, ma anche militare – che finora sopportano il grosso del peso della governabilità internazionale.
  Questa è una situazione in qualche maniera squilibrata, nel senso che potenze che perdono peso in termini relativi rimangono quelle responsabili del sistema. Non è una situazione nuova nella storia. Il problema, in genere, si evidenzia quando le nuove potenze si decidono a sfidare le vecchie in questa situazione, se esistono potenze riformiste del sistema che decidono di sfidare le vecchie.
  A questo non siamo ancora arrivati esplicitamente, ma è vero che il sistema acquista margini sempre minori di governabilità anche perché, in molti casi, errori o strategie insufficienti nella gestione delle crisi o nella loro limitazione hanno fatto sì che oggi paghiamo un prezzo anche più alto di quello che era inizialmente previsto. Basta vedere i rischi crescenti che si delineano oggi in Iraq e in Siria e che potrebbero estendersi anche nel Golfo, ma anche la situazione in Libia e quello che potrebbe accadere l'anno prossimo in Afghanistan dopo il ritiro delle truppe della NATO.
  Torniamo all'Italia. Quali sono gli interessi e i rapporti internazionali per l'Italia che nel quadro internazionale valgono di più, sempre nella premessa che, ovviamente, il quadro dei rapporti multilaterali è quello che maggiormente la contiene e la definisce ?
  Evidentemente, in primo luogo c’è il rapporto con gli Stati Uniti. Il rapporto con gli Stati Uniti è un elemento fondamentale, sia per il funzionamento delle Istituzioni multilaterali, in particolare della NATO, ma in qualche misura anche dell'Unione europea e sicuramente anche delle Nazioni Unite, sia per i rapporti bilaterali.
  In questo momento il rapporto con gli Stati Uniti è in via di ridefinizione, non certo per nostro interesse, ma perché sta cambiando la politica americana. La politica americana non è isolazionista in alcuna maniera, ma è più «realpolitica» e meno disposta ad assumersi responsabilità e oneri per il mantenimento del quadro di stabilità internazionale. Naturalmente, rimane essenziale per il mantenimento degli equilibri ad alto livello, ma la gestione delle molte crisi che si delineano a livello più basso non vede la presenza americana decisa come nel passato. Vede, anzi, una richiesta americana di maggior impegno da parte degli Alleati.
  Gli Alleati, peraltro, di fronte a questa richiesta di maggiore impegno hanno problemi di consenso a intervenire: problemi decisionali e problemi di bilancio per il costo alto di questo tipo di operazioni. Hanno poi anche un problema di strategie, Pag. 5nel senso che non si capisce bene, in molti casi, che cosa esattamente si debba fare.
  Tuttavia, c’è un tentativo di grosso approfondimento e rilancio dei rapporti con gli USA attraverso il negoziato tra l'Unione europea e gli Stati Uniti su un nuovo trattato che riguarda il commercio e gli investimenti e che dovrebbe costituire un'effettiva area di libero scambio transatlantica. Se questo dovesse riuscire, non sarebbe solo economicamente importante, il che è già di per sé rilevante, ma sarebbe anche significativo da un punto di vista politico.
  Inevitabilmente, infatti, la conclusione di un accordo euroamericano che riguardi la maggior parte del commercio internazionale e del movimento dei capitali e degli investimenti sarebbe una sorta di modello per tutti gli accordi per il resto del mondo e, quindi, in un dato senso, porrebbe l'Europa e gli Stati Uniti nuovamente e chiaramente al vertice del sistema economico internazionale.
  Per questo motivo è difficile concluderlo e ci sono numerose opposizioni, soprattutto di tipo protezionistico, sia negli Stati Uniti, sia in Europa, che sarà difficile superare. La scommessa, però, è quella di riuscirci. Se dovesse fallire, probabilmente il problema della ridefinizione del rapporto con gli Stati Uniti crescerebbe e diverrebbe drammaticamente più importante, perché comporterebbe il rischio di un effettivo allontanamento degli Stati Uniti dagli interessi europei.
  L'Italia è poi interessata, naturalmente, alle aree di maggiore vicinanza geografica, tra cui una delle più significative è quella dei Balcani. È in atto un processo difficile di allargamento, in questo momento un po’ fermo, dell'Unione europea verso gli ultimi Paesi dei Balcani che non fanno parte del quadro dell'Unione europea. Mi pare di capire che tra le linee programmatiche del Governo nei confronti della sua presidenza di turno nell'UE ci sia proprio quello dei Balcani come uno degli elementi significativi.
  Naturalmente, ci sono anche altre aree. Nel Mediterraneo il sostanziale fallimento di numerose politiche euromediterranee ha lasciato scoperto il quadro e l'ha frammentato, in un momento in cui la frammentazione è stata ulteriormente aggravata da tutto ciò che è avvenuto dalle primavere arabe in poi. Non credo che ci sia bisogno di diffondersi molto nei particolari.
  Naturalmente, questo riguarda anche il Medio Oriente. Tra le altre aree di interesse per l'Italia, ovviamente, c’è la Turchia. Anche in questo caso c’è un problema di rapporti con l'Unione europea, ma c’è anche un problema di individuare quali siano le linee politiche future della Turchia.
  C’è un'evoluzione della politica estera turca, che ha tentato un suo spostamento verso l'asse più mediorientale che europeo. Non è andata molto bene, ma la Turchia, nel frattempo, ha indubbiamente allentato anch'essa i suoi legami con l'Europa e con l'Occidente in genere e sta conducendo una politica fortemente nazionalista, ma anche piuttosto isolata, che può comportare dei pericoli.
  Per dirne una, la Turchia è stata uno dei Paesi che, per ragioni ideologiche, hanno indirettamente e, in qualche caso, direttamente aiutato la crescita dei fondamentalisti in Siria. Questo è un problema. Naturalmente, adesso paga questa decisione, ma ciò è tipico di una situazione di forte incertezza politica su quello che bisogna fare.
  In questo quadro si pone uno dei grossi problemi italiani, che è quello della sicurezza dei suoi approvvigionamenti energetici. Fortunatamente, i nostri approvvigionamenti energetici sono stati differenziati, come fonti, in maniera piuttosto netta. Tuttavia, la crisi in Libia, contemporaneamente alla crisi in Ucraina, riguarda già una forte percentuale dei nostri approvvigionamenti. D'estate questo tema si sente meno, per fortuna, ma bisogna vedere che cosa succederà più tardi.
  Tutto ciò accresce il nostro interesse anche verso altre aree, per esempio il Caucaso, da cui dovrebbe venire il gas del gasdotto TAP (Trans-Adriatic Pipeline), il quale potenzialmente potrebbe rappresentare Pag. 6un'ulteriore diversificazione attraverso il Sud, via Grecia e Italia, delle nostre forniture.
  È chiaro comunque che la sicurezza energetica rimane un elemento fondamentale e vitale. Questa è un'altra distinzione tra la posizione europea e quella americana, perché nel frattempo lo sviluppo dell'estrazione di gas e petrolio dagli scisti bituminosi negli Stati Uniti e in Canada ha fatto sì che quello che una volta era un interesse vitale americano, cioè il controllo del Golfo, sia diventato oggi un interesse strategico molto importante, ma non più vitale e, quindi, in un dato senso, un po’ diverso da quello che era nel passato.
  Molte altre questioni ci riguardano direttamente, a parte le vicinanze geografiche. Una di esse fa a metà con la vicinanza geografica ed è quella dei flussi migratori, anche questa largamente mescolata alle scelte di politica europea.
  Il problema dei flussi migratori, in particolare di quelli via Mediterraneo, ma non solo di quelli, è che, in realtà, è molto difficile controllare i flussi e regolarli al momento dell'arrivo. Praticamente è impossibile. Si dovrebbero controllare al momento della partenza. Bisognerebbe sviluppare una politica che teoricamente è stata individuata, ma che praticamente non viene ancora attuata, di controllo delle strade dell'emigrazione dai Paesi di origine sino al momento in cui avviene l'ultimo passaggio verso l'Italia.
  Questo comporta anche, naturalmente, altre conseguenze. Comporta in molti casi una maggiore lotta alla criminalità organizzata internazionale che gestisce questi flussi e anche un'attenzione crescente al terrorismo e alle aree di ingovernabilità, in particolare in Africa, perché attraverso queste aree non governate e attraverso queste strade e questi flussi passa buona parte dei flussi migratori.
  Le cose sono tra loro strettamente collegate, il che implica, naturalmente, una politica in qualche maniera di intervento, in cui la collaborazione europea e anche la collaborazione dell'Unione europea con l'Unione africana, con gli Stati Uniti e con la NATO sono parte importante, ma non ancora sufficiente a questo fine.
  L'impegno italiano, per esempio, a sviluppare un maggiore controllo dei confini meridionali della Libia è un impegno importante in questo quadro, non solo di stabilizzazione dell'area, ma anche di controllo di alcuni flussi migratori.
  Tuttavia, io vorrei sottolineare ancora altri due aspetti, con cui vorrei concludere. Uno è che ci sono altri spazi che sono importanti oggi per la politica internazionale e in cui è importante avere una strategia e una presenza dell'Italia.
  Il primo è lo spazio extra-atmosferico e, quindi, la politica spaziale. L'Italia è sempre stata presente nella politica spaziale e deve continuare a esserlo, attraverso l'Agenzia spaziale europea, oltre all'Agenzia spaziale italiana, ma c’è un problema di strategie da applicare per un maggiore controllo e regolamento dello spazio negli aspetti di sicurezza.
  Penso, per esempio, al controllo e all'eliminazione dei detriti che oggi invadono lo spazio. Lo spazio è diventato un'immensa pattumiera di detriti che sono pericolosi sia per i lanci spaziali, sia per i satelliti ed altro. A oggi l'unica mappatura di questi detriti la fanno gli Stati Uniti attraverso il Comando strategico, che controlla con radar e satelliti lo spazio, e gentilmente avvertono gli altri Paesi del mondo indicando dove vanno questi detriti, per cercare di evitarli.
  Tuttavia, molti di questi detriti sono troppo piccoli per essere individuati e possono comunque costituire rischi. In ogni caso, è importante cercare di evitare una politica di dominio di un solo Paese sulle informazioni e sul controllo dello spazio.
  Aggiungo che alcuni Paesi, come, per esempio, la Cina, stanno conducendo una politica di penetrazione spaziale in qualche maniera offensiva. Per esempio, la sperimentazione che la Cina ha fatto di armi antisatellite, facendo esplodere e intercettando con missili un suo satellite nello spazio, non solo è indicazione di una volontà di eventuale contrasto delle capacità Pag. 7esistenti, ma ha anche peggiorato il quadro dei detriti in maniera drammatica, anche solo con quell'operazione.
  Un secondo punto che volevo sottolineare, un altro spazio di enorme interesse, è quello cibernetico, da cui dipendono oggi enormemente la nostra sicurezza, il funzionamento della griglia energetica, il funzionamento dei telefoni, il funzionamento delle informazioni e via elencando.
  Ci sono tre elementi strettamente collegati tra loro. Il primo è il problema della sicurezza cibernetica, in particolare contro la criminalità. La criminalità causa danni enormi in campo cibernetico se si calcola che crea danni attraverso ricatti o furti per 60-70 miliardi di dollari l'anno, il che non è una cosa indifferente.
  Il secondo è il governo di Internet. Ormai Internet è diventata essenziale per il funzionamento della nostra società, ma la garanzia del buon funzionamento di Internet richiede un governo internazionale. Quella cui stiamo assistendo è una sorta di rinazionalizzazione del governo di Internet. Questo è estremamente pericoloso e può creare una serie di barriere che praticamente impediscono il buon funzionamento di questo media.
  Infine, c’è la protezione dei dati e delle informazioni in genere, che è un altro problema estremamente complesso e di enorme importanza.
  Si tratta di tre problemi collegati che volevo sottolineare. Con questi concludo la mia introduzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Silvestri e saluto alcuni colleghi che partecipano alla nostra Commissione per la prima volta, oppure per le prime volte. Abbiamo un turnover piuttosto intenso.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA GARAVINI. Grazie, professore, per la sua interessante illustrazione. In particolare, osservo che queste ultime sfide che lei ci proponeva sono sfide che, tutto sommato, interessano il livello globale e non soltanto l'Europa. Sono le sfide del presente e del futuro.
  Quale è la posizione dell'Europa in questo senso ? L'Europa è destinata a giocare un ruolo propulsivo e anche di best practice in relazione all'immediato, ma anche al futuro a medio e lungo termine, o è, invece, destinata a regredire rispetto ad altri Paesi proprio sulle sfide del futuro, quali possono essere quelle che lei ci illustrava, in particolare quella dell'innovazione telematica ?
  A queste, peraltro, io aggiungo anche la sfida dei diritti, perché queste sfide, che non sono soltanto di natura tecnica o legata al progresso, sono strettamente legate anche alla tutela e alla difesa dei diritti principali e prioritari delle persone.
  L'Europa è destinata a giocare una funzione di buona prassi e, dunque, di estensione e a portare avanti una situazione di sviluppo e di crescita a livello di modello per l'universo, oppure, viceversa, è destinata a essere la vecchia Europa, che soccombe o non riesce più a tenere il passo con il futuro ?
  Strettamente legato a questo tema, ce n’è un altro: il rischio dell'euroscetticismo può anche svolgere un ruolo negativo in questo senso ? Può contribuire ad accelerare una sorta di degrado dell'Europa, oppure lei lo vede come un rischio tutto sommato contenibile e destinato, nonostante i risultati elettorali perseguiti nella recente tornata elettorale, a essere comunque sufficientemente superabile ?

  PRESIDENTE. Siamo sintetici, sia nelle domande, sia nelle risposte, perché i tempi sono stretti.
  Do la parola al nostro ospite per la replica.

  STEFANO SILVESTRI, Consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI). La posizione europea, naturalmente, dipende in buona parte anche dalle iniziative che prendono i Paesi membri. In questo caso, anche la posizione italiana può essere molto importante.
  L'Europa nel campo, per esempio, cibernetico, come anche nel campo spaziale, ha compiuto alcuni passi avanti, cercando Pag. 8di proporre dei Codici di condotta. I Codici di condotta, come è noto, non sono obbligatori, però rappresentano un piccolo passo avanti, perlomeno, in direzione di alcuni criteri comuni accettati dalla comunità internazionale.
  Per il momento, peraltro, questi Codici di condotta non sono stati accettati dal resto della comunità internazionale. La chiave qui è veramente il rapporto con gli Stati Uniti.
  Gli Stati Uniti oggi dominano sia il campo cibernetico, sia il campo spaziale. Discutono e parlano di questi spazi come dei Commons, cioè come l'alto mare, come uno spazio comune di tutta l'umanità, ma poi, all'atto pratico, pensano che sia ancora possibile per loro dominare questi spazi comuni e, quindi, hanno una certa tendenza a non voler essere impastoiati da regole altrui.
  Io credo che stiamo arrivando al punto in cui questa politica, comprensibile fino a che si ha una totale superiorità tecnologica, diventerà difficile anche per gli Stati Uniti, perché questa superiorità tecnologica sta diminuendo. Non è ancora sparita, ma sta diminuendo. In questo caso, dovrebbe essere più conveniente per loro attuare una politica più di regole comuni.
  In questo senso, purtroppo, l'Europa – in alcuni casi e su alcuni aspetti, come, per esempio, quello della protezione dei dati nel campo cibernetico – non è completamente unita e, quindi, è indebolita. Questo perché, in realtà, i vari Paesi hanno accordi differenziati con gli Stati Uniti per la protezione dei dati e la condivisione delle informazioni. Penso, in primo luogo, alla Gran Bretagna, per i vecchi trattati già esistenti sin dalla seconda guerra mondiale e sempre mantenuti, ma anche ad altri Paesi, in particolare alla Francia, che ha una sua capacità autonoma in questo campo piuttosto importante e ha sempre mantenuto un rapporto bilaterale con gli Stati Uniti nel campo informativo, diverso da quello inglese, ma ciononostante molto stretto. Ora c’è stato anche un tentativo tedesco di aggiungersi a questo piccolo gruppo di testa. Finora rimane un mero tentativo.
  È evidente che, più andiamo verso l'accessione al gruppo di testa, meno andiamo verso un'azione collettiva. Bisogna un po’ vedere come si sviluppa la questione. Se l'azione europea dovesse diventare impossibile, forse per l'Italia diventerebbe opportuno cercare di aggregarsi anch'essa al gruppo di testa.

  KHALID CHAOUKI. Cercherò di essere davvero sintetico. Svolgo tre punti.
  In primo luogo, lei ha fatto un passaggio sulla Turchia e sull'eventuale responsabilità rispetto al prevalere dell'Isil in alcune regioni. Le chiedo se può essere un po’ più specifico rispetto a questo.
  Noi tutti sappiamo che c’è anche un problema dell'esercito iracheno, il quale pare che, di fronte a questa aggressione, abbia di fatto abbandonato il terreno o addirittura sia stato anche complice in alcune circostanze. In che misura possiamo attribuire le responsabilità e soprattutto perché la Turchia, secondo lei, è stata così determinante o ha comunque influenzato in modo negativo anche quest'ultima vicenda ?
  Il secondo punto riguarda l'assenza di una strategia americana – ma anche, aggiungiamo, occidentale – di visione geopolitica, soprattutto nella regione euro-mediterranea. Manca una strategia, mancano i soldi, come ha detto lei.
  Come vede il fatto di una delega all'Iran, che in questo momento in Iraq sta gestendo per conto terzi il tentativo di frenare l'avanzata jihadista ? Vorrei sapere se questo non possa rischiare davvero di determinare un fallimento, oppure la fine ormai di un presunto tentativo di avere ancora qualche ruolo nell'area da parte dell'Occidente e soprattutto, secondo lei, quale sarà la prospettiva delle prossime settimane. Si parla, ovviamente, di confine giordano e non solo.
  L'ultimo punto riguarda il Maghreb, che è più vicino a noi, e il tema dell'Egitto. Come valuta lei questa situazione di un nuovo sistema di governo, basato per alcuni su un colpo di Stato e per altri su un intervento che è stata la fortuna di quel Paese in questo momento ?Pag. 9
  Mi interesserebbe sapere se la repressione mirata di un movimento come Fratelli musulmani possa essere una questione già chiusa e archiviata, o se, invece, anche in quel caso rischiamo di trovarci di fronte a un contesto che poi ci si ritorcerà contro. So che il presidente e una delegazione sono stati recentemente in Egitto. Magari sarebbe utile anche avere il vostro punto di vista.

  STEFANO SILVESTRI, Consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI). Perdonatemi se le risposte saranno un po’ schematiche, a questo punto. Vorrei dire che la Turchia non è stata determinante. È stata uno degli elementi. Citavo questo come un esempio di un ritorno nazionalista della politica turca.
  La politica turca si è un po’ invischiata in un quadro di politica islamica estremamente complesso, di politica, peraltro, infrasunnita, fra le varie famiglie politiche del mondo sunnita, e ha appoggiato i Fratelli musulmani nel momento in cui essi sono stati praticamente messi in doppia crisi, in parte dalla loro incapacità a governare in Egitto, in parte dal ritorno dei militari e delle altre forze, in parte dall'opposizione a sinistra degli stessi Fratelli musulmani, cioè dei qaedisti e dei jihadisti puri.
  Oggi siamo arrivati al punto che i jihadisti dell'Isil arrivano ad accusare al-Qaeda di essere moderata. C’è sempre uno meno moderato. In questo senso la Turchia si è trovata spiazzata, sostanzialmente.
  Detto questo, ha fatto anche alcune azioni interessanti. La più interessante che sta conducendo è forse il recupero della sua politica curda, sia all'interno, sia nei confronti dello Stato semiautonomo del Kurdistan iracheno, ultimamente anche con un tentativo di apertura, almeno formale, nei confronti del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan). Tutto questo rappresenta un'indicazione interessante e intelligente della politica turca, ma è evidentemente in contraddizione con la precedente politica di appoggio ai Fratelli musulmani, perché i curdi, tra le altre cose, vogliono la spartizione dell'Iraq, oltre che della Siria.
  Quanto alla delega all'Iran, se ne parla molto, ma la realtà è che finora non sono stati fatti accordi con l'Iran. Io ho usato una formula un po’ scherzosa e ho detto che gli accordi con l'Iran per il momento sono in mente Dei, ma Dio non è a Teheran, bensì a Qom. Questo fa sì che le cose poi non arrivino fino all'incastro finale. Se fosse solo Rohani, probabilmente ci saremmo già da un po’.
  È evidente che per gli Stati Uniti sarebbe un enorme vantaggio recuperare un rapporto con l'Iran, malgrado l'opposizione di Israele, perché questo significherebbe stabilizzare in qualche misura il Golfo, specialmente se l'accordo comportasse l'eliminazione della possibilità di armi nucleari iraniane. Questo, peraltro, potrebbe anche rassicurare l'Arabia Saudita ed evitare quello che adesso è un altro maggiore rischio, cioè che l'Arabia Saudita si faccia vendere dal Pakistan alcune testate nucleari, magari da mettere sui missili cinesi che già ha.
  Questa è la situazione. La delega all'Iran per il momento non c’è e questo è un altro elemento di confusione e di debolezza del quadro e spiega anche perché nessuno sappia bene che cosa fare in Iraq. Adesso alcuni cominciano ad avere la tesi che sia meglio accettare la tripartizione dell'Iraq.
  Accettare la ripartizione dell'Iraq in questo momento, però, significa accettare l'esistenza del cosiddetto califfato. Noi siamo intervenuti in una guerra di quattordici anni in Afghanistan per non avere i talebani, ma questi sono peggio e stanno in un'area molto più importante dal punto di vista strategico.

  PRESIDENTE. C’è l'eterogenesi dei fini.

  STEFANO SILVESTRI, Consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI). Appunto, ma io ho il dovere di dirlo. Mi sembrerebbe una situazione, francamente, un po’ assurda. Tutto si può fare, ma rimane una situazione, a mio avviso, pericolosa.Pag. 10
  In Egitto i militari hanno preso il potere e hanno deciso di far fuori i Fratelli musulmani. Non è la prima volta che si tenta di fare questo in Egitto, ma non è riuscito fino a oggi e dubito che riuscirà. I Fratelli musulmani hanno alcuni potenti alleati nel mondo arabo. Il rischio è che questa politica interna egiziana faccia saltare definitivamente uno degli assi più importanti della politica mediorientale, che era l'alleanza tra Egitto e Arabia Saudita. Io mi auguro che questo non accada.

  PRESIDENTE. L'Arabia Saudita ha riempito di soldi l'Egitto.

  STEFANO SILVESTRI, Consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI). L'Arabia Saudita ha riempito di soldi l'Egitto, ma l'Arabia Saudita i soldi li distribuisce. Diciamo che cerca di parare i colpi distribuendo soldi.
  È in atto una repressione forte in Egitto e io non posso francamente sapere che cosa accadrà nei prossimi tempi. Secondo me, l'esercito è una struttura abbastanza forte da poter resistere anche a un ritorno di fiamma terroristico, o di opposizione della piazza, o dei Fratelli musulmani. I Fratelli musulmani sono effettivamente molto deboli in questo momento, anche perché pagano gli errori commessi da Morsi. Tuttavia, non sono convinto che la situazione resterà così stabile anche in futuro.
  Il problema, secondo me, è che, se l'esercito rimane l'unico elemento di stabilità vera e di governabilità dell'Egitto, ciò è in contraddizione con lo sviluppo dell'economia egiziana. L'esercito controlla praticamente una fetta molto grande dell'economia egiziana in un quadro non competitivo, di non reale modernizzazione di questa industria. Lo sviluppo economico egiziano è rallentato da questa situazione.
  D'altra parte, è anche evidente che, se l'esercito deve controllare il Paese, diventa difficile privatizzare le sue risorse.

  FRANCO CASSANO. Per la verità, è facile fare le domande. Le risposte sono necessariamente molto articolate. Io provo a fare tre battute.
  In primo luogo, a lungo si è pensato che la geografia non incidesse più sulla grande politica internazionale, o che vi incidesse molto di meno. Per quello che riguarda la politica estera dell'Europa, la geografia conta. C’è un'egemonia, in questo momento, dell'interesse per l'Est piuttosto che per il Sud. La mia domanda è: secondo lei, è possibile, rispettando il peso che ha la geografia, avere una politica estera unitaria ? In che modo si può affrontare questo problema ?
  La seconda domanda – molto rozza, e ciò mi dispiace anche perché il quadro che lei stava facendo era molto articolato – è la seguente: dovendo optare, nella crisi dell'attuale assetto del Medio Oriente, tra l'Iran e l'Arabia Saudita e il Qatar, che cosa scegliere ?
  Passo alla terza domanda. Quando parliamo di Paesi emergenti, guardiamo fondamentalmente a una serie di dati economici, ma basta semplicemente avvicinarsi a questi fenomeni di emergenza che ci si accorge che c’è anche una serie di conseguenze politiche molto forti.
  In altre parole, la Cina è uno dei nuovi protagonisti della scena mondiale, ma il Giappone conosce, in questo momento, una fase politica reattiva molto forte. Tutti questi Paesi in ascesa innescano un problema non semplicemente di concorrenza economica, ma proprio di spazi e di egemonia politica. Mi rendo conto che una domanda di questo tipo è difficile, ma mi piacerebbe che mi fornisse perlomeno qualche suggerimento di metodo.

  STEFANO SILVESTRI, Consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI). La geografia sicuramente incide. L'Italia non solo è un Paese che sta al meridione dell'Europa, ma è collocato anche geograficamente da Ovest ad Est, più che da Nord a Sud. Questa è già un'indicazione di come i nostri rapporti internazionali siano fortemente influenzati non solo dal Mediterraneo, ma anche da quello che succede ad Est.Pag. 11
  Nella mia presentazione io non ho parlato della Russia – avevo tutto un paragrafo e l'ho saltato – ma è evidente che la politica verso la Russia sia stata carente in tutti questi anni. Noi siamo sospettati dal resto d'Europa di essere troppo filorussi, o troppo blandi nella nostra visione verso la Russia – noi e un po’ anche i tedeschi, naturalmente – ma la realtà è che c’è una carenza di politica che rischia di mettere in forte crisi il quadro europeo, non soltanto sul piano energetico.
  Non voglio spaventare nessuno, per carità, ma, per esempio, è sempre più evidente che la Russia in questo momento sta aggirando gli impegni presi nel Trattato per l'eliminazione dei missili a medio raggio e questo pone all'Europa un problema molto grosso.
  In passato noi abbiamo contrastato questo problema mettendo gli euromissili, a Comiso. Ora sicuramente non c’è una volontà di questo genere nella politica europea e non c’è probabilmente neanche un desiderio di fare questo da parte degli Stati Uniti. Tuttavia, se questa situazione dovesse confermarsi e diventare effettiva, quale sarebbe la nostra risposta ? Una risposta in qualche maniera dovrebbe essere data, sia sul piano politico, sia sul piano militare, calcolando, in più, che oggi le frontiere della NATO sono molto più a Oriente di quanto fossero ieri.
  Su Iran e Arabia Saudita non credo che noi dovremo scegliere. Potremmo scegliere l'Iran solo se l'Iran accettasse un vero accordo. In quel caso non avremmo problemi ad avere rapporti con l'Iran. In realtà, io credo che dipenda in grande misura dall'Iran, in questa fase, se l'Iran sceglie di chiudersi o di aprirsi. Probabilmente vale molto il timore dell'attuale leadership politico-religiosa iraniana, che, in caso di apertura, potrebbe perdere di potere.
  Quella delle nuove potenze è una questione reale, su cui bisogna assolutamente riflettere. La politica italiana è stata una politica essenzialmente commerciale nei confronti delle nuove potenze fino a oggi e anche la politica europea non è stata molto di più. Oggi cominciano a delinearsi delle problematiche più complesse. Per esempio, la NATO è notevolmente coinvolta, in questo periodo, con il Giappone. Il Giappone e la Cina sono, in questo momento, in una rotta di collisione. Noi che cosa vogliamo fare ? Abbiamo una posizione di semplice allineamento con il Giappone o una più complessa di dialogo anche con la Cina ? Queste sono cose su cui forse bisognerebbe riflettere.

  ELEONORA CIMBRO. Sarò telegrafica. Più volte in Commissione abbiamo affrontato il tema del disimpegno statunitense sugli scenari geopolitici, anche quelli più prossimi all'Italia, al Mediterraneo e all'Europa. Vorrei sapere qual è il suo parere – lei ha fatto alcuni passaggi anche nell'intervento di poco fa – rispetto a una questione energetica che gli Stati Uniti stanno affrontando in modo diverso e, di conseguenza, anche a una diminuzione dell'interesse rispetto al Golfo e, più in generale, ad alcune aree geografiche.
  Vorrei sapere nello specifico se, secondo lei, è solo una questione di opportunità e di costi, oppure se c’è anche un cambiamento culturale nell'approccio che gli Stati Uniti hanno rispetto al loro impegno negli scenari geopolitici che fino a poco tempo fa li avevano visti protagonisti. Oppure questa situazione può essere semplicemente legata al passaggio tra Bush e Obama, nello specifico, soprattutto per quanto riguarda gli ultimi anni ?

  STEFANO SILVESTRI, Consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI). Certamente il cambio di presidente ha influito, anche se la politica di Bush stava cambiando nel suo secondo mandato. Obama è quello che io chiamerei un «freddo realpolitico», cosa che Bush non era. Bush era più un ideologo. Obama, quindi, ha una posizione di maggiore consapevolezza dei costi e delle opportunità.
  C’è poi il fatto che gli Stati Uniti sono stati scottati da tutto quello che è successo in Iraq e anche da quello che sta succedendo in Afghanistan, dove stanno cercando di impapocchiare un'uscita decente Pag. 12e dignitosa, ma non sono affatto sicuri che la situazione reggerà dopo la loro partenza.
  C’è anche un elemento di fatica, perché non si riesce a individuare una formula strategica che sia valida. A mio avviso, ciò in parte è dovuto anche a esagerate ambizioni da parte nostra. Non ci bastava combattere i terroristi in Afghanistan, volevamo anche cambiare la società afgana. Questo è un processo dignitoso.

  PRESIDENTE. Non è riuscito né l'uno, né l'altro.

  STEFANO SILVESTRI, Consigliere scientifico e past President dell'Istituto affari internazionali (IAI). Infatti. Il rischio è che poi, alla fine, non riesca né l'uno, né l'altro e, quindi, c’è un'esagerazione nobile, ma forse eccessiva.
  C’è stato un cambiamento culturale ? Non so se sia culturale. Secondo me, è essenzialmente un cambiamento di tono politico. Sono d'accordo che gli aspetti economici siano importanti, ma non fondamentali, da questo punto di vista. È un problema di volontà di impegno e di valutazione della possibilità di successo dell'impegno stesso. Evidentemente, Obama è molto più scettico del suo predecessore e, quindi, si impegna di meno.

  PRESIDENTE. Abbiamo avuto una riunione interessante.
  Nel ringraziare il nostro ospite, dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.