XVII Legislatura

Commissioni Riunite (II e XII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Lunedì 18 gennaio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Marazziti Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 3139 , APPROVATA DAL SENATO, C. 1986  CAMPANA, C. 2408  IORI, C. 2435  BRAMBILLA E C. 2670  IORI, RECANTI DISPOSIZIONI A TUTELA DEI MINORI PER LA PREVENZIONE E IL CONTRASTO DEL FENOMENO DEL CYBERBULLISMO

Audizione di Anna Maria Baldelli, procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni Piemonte e Valle d'Aosta, di Giuseppe Pierro, dirigente Ufficio II della direzione generale dello studente e responsabile del «Safer Internet Centre Italiano» del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, di Giovanni Boccia Artieri, professore straordinario presso la Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo», nonché di rappresentanti del Movimento Difesa del Cittadino, del Gruppo Abele, del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia (CISMAI), dell'Associazione «CamMiNo» e della Comunità di Sant'Egidio.
Marazziti Mario , Presidente ... 3 
Baldelli Anna Maria , procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del Piemonte e Valle d'Aosta ... 4 
Marazziti Mario , Presidente ... 5 
Pierro Giuseppe , dirigente Ufficio II della direzione generale dello studente e responsabile del « ... 5 
Marazziti Mario , Presidente ... 5 
Pierro Giuseppe , dirigente Ufficio II della direzione generale dello studente e responsabile del « ... 5 
Marazziti Mario , Presidente ... 7 
Boccia Artieri Giovanni , professore straordinario presso la Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo» ... 8 
Marazziti Mario , Presidente ... 11 
Beni Paolo (PD) , relatore per la XII Commissione ... 11 
Nizzi Settimo (FI-PdL)  ... 12 
Marazziti Mario , Presidente ... 12 
Pierro Giuseppe , dirigente Ufficio II della Direzione generale dello studente e responsabile del « ... 12 
Marazziti Mario , Presidente ... 12 
Pierro Giuseppe , dirigente Ufficio II della Direzione generale dello studente e responsabile del «Safer Internet Centre Italiano» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 12 
Boccia Artieri Giovanni , professore straordinario presso la Facoltà di sociologia dell'Università degli studi di Urbino «Carlo Bo» ... 13 
Baldelli Anna Maria , procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del Piemonte e Valle d'Aosta ... 14 
Marazziti Mario , Presidente ... 14 
Maggi Mauro , educatore scolastico del Gruppo Abele ... 15 
Marazziti Mario , Presidente ... 15 
Maggi Mauro , educatore scolastico del Gruppo Abele ... 15 
Pagano Olivia , referente CISMAI regione Lazio ... 17 
Marazziti Mario , Presidente ... 18 
Pagano Olivia , referente CISMAI regione Lazio ... 18 
Ruo Maria Giovanna , presidente nazionale dell'Associazione «CamMiNo» – Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni ... 18 
Marazziti Mario , Presidente ... 18 
Ruo Maria Giovanna , Presidente nazionale dell'Associazione «CamMiNo» – Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni ... 18 
Marazziti Mario , Presidente ... 21 
Gullotta Adriana , coordinatrice della Sezione minori della Comunità di Sant'Egidio ... 21 
Marazziti Mario , Presidente ... 24 
Beni Paolo (PD)  ... 24 
Iori Vanna (PD)  ... 24 
Marazziti Mario , Presidente ... 24 
Iori Vanna (PD)  ... 24 
Marazziti Mario , Presidente ... 25 
Pennetta Anna Livia , presidente della sede di Novara di CamMiNo e referente della Regione Piemonte ... 25 
Marazziti Mario , Presidente ... 25 
Pennetta Anna Livia , presidente della sede di Novara di CamMiNo e referente della Regione Piemonte ... 25 
Marazziti Mario , Presidente ... 25 
Pennetta Anna Livia , presidente della sede di Novara di CamMiNo e referente della Regione Piemonte ... 25 
Marazziti Mario , Presidente ... 26 
Pagano Olivia , referente CISMAI regione Lazio ... 26 
Marazziti Mario , Presidente ... 26 
Maggi Mauro , educatore scolastico del gruppo Abele ... 27 
Marazziti Mario , Presidente ... 27 
Gullotta Adriana , coordinatrice della sezione minori della Comunità di Sant'Egidio ... 27 
Marazziti Mario , Presidente ... 27 
Gullotta Adriana , coordinatrice della sezione minori della Comunità di Sant'Egidio ... 27 
Ruo Maria Giovanna , presidente nazionale dell'Associazione «CamMiNo» – Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni ... 28 
Marazziti Mario , Presidente ... 28

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale - Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO MARAZZITI

La seduta comincia alle 15.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso il circuito chiuso della Camera dei deputati.
 (Così rimane stabilito).

Audizione di Anna Maria Baldelli, procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni Piemonte e Valle d'Aosta, di Giuseppe Pierro, dirigente Ufficio II della direzione generale dello studente e responsabile del «Safer Internet Centre Italiano» del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, di Giovanni Boccia Artieri, professore straordinario presso la Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo», nonché di rappresentanti del Movimento Difesa del Cittadino, del Gruppo Abele, del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia (CISMAI), dell'Associazione «CamMiNo» e della Comunità di Sant'Egidio.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 3139 approvata dal Senato, C. 1986 Campana, C. 2408 Iori, C. 2435 Brambilla e C. 2670 Iori, recanti «Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo» deliberata il 26 novembre scorso, l'audizione della dottoressa Anna Maria Baldelli, procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del Piemonte e Valle d'Aosta, del dottor Giuseppe Pierro, dirigente Ufficio II della direzione generale dello studente e responsabile del «Safer Internet Centre Italiano» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, del professor Giovanni Boccia Artieri, professore straordinario presso la Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo», nonché di rappresentanti, del Gruppo Abele, del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia (CISMAI), dell'Associazione «CamMiNo» e della Comunità di Sant'Egidio.
  Avverto che sono stati invitati a partecipare all'audizione odierna anche il dottor Vincenzo Spadafora, garante dell'Autorità per l'infanzia e l'adolescenza, la dottoressa Giovanna Boda, direttore generale del dipartimento del sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, il professor Federico Tognoni, ricercatore universitario, nonché i rappresentanti dell'associazione «La Caramella Buona», della cooperativa E.D.I. e del Movimento difesa del cittadino, i quali hanno comunicato di non poter partecipare.
  In considerazione dei tempi a disposizione, si potrebbe procedere ripartendo i soggetti auditi in due gruppi, dando la parola a ciascun soggetto per un massimo di dieci minuti e prevedendo al termine degli interventi un tempo aggiuntivo per le eventuali domande e per le repliche.
  In realtà procediamo in due ondate, quindi, avremo tre audizioni e poi le successive. Gli altri possono ascoltare, ma ovviamente non interagendo con gli auditi.Pag. 4
  Lascio la parola alla dottoressa Anna Maria Baldelli, procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del Piemonte e Valle d'Aosta.

  ANNA MARIA BALDELLI, procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del Piemonte e Valle d'Aosta. Grazie, presidente. Buongiorno. Per sintetizzare il mio pensiero su questo tema vorrei mettere alcuni punti fermi.
  Credo che sia importante comprendere come il fenomeno del bullismo sia la conseguenza di una cattiva educazione e come, quindi, occorra investire sulla prevenzione e sulla possibilità di costruire dei rapporti di rispetto all'interno della scuola. Le iniziative che sono state poste in essere dalla Procura presso il Tribunale per i minorenni del Piemonte e della Valle d'Aosta sono state quelle di sollecitare il territorio, compresa la scuola, affinché si formulassero e si attuassero dei progetti di sostegno alla legalità e al benessere all'interno della scuola, consapevoli del fatto che la sola punizione non è assolutamente appagante, meno che mai quella nei confronti di un minorenne.
  Voi sapete perfettamente quanto esistano degli strumenti di fuoriuscita dal processo penale che sono propri del processo minorile e che anche in questi casi devono trovare attuazione. Gli stessi progetti di legge parlano di concessione del perdono giudiziale, di messa alla prova, di articolo 98, di immaturità, quindi è evidente che questi strumenti caratterizzanti il processo penale minorile devono potersi applicare anche a queste fattispecie.
  Va, però, detto che è molto pericoloso immaginare che venga configurato un reato di bullismo, intanto perché non sarebbe esaustivo delle condotte e poi perché le condotte pericolose non sono solo quelle che contrastano le norme penali già esistenti. Non c’è, quindi, alcun bisogno di immaginare un reato diverso: già ora alcune condotte sono punibili, perché vanno dal furto alle minacce, alle lesioni, alle ingiurie.
  È, invece, importante intercettare da parte dell'agenzia educativa quei comportamenti che ancora non sono un fatto di reato e che però manifestano e si traducono in un grave disagio nelle relazioni fra i pari. L'esempio classico è non invitare ai compleanni una persona in modo sistematico, che non è e non può diventare una condotta penalmente rilevante, ma è una condotta che è fonte di grave disagio.
  Così come mi sembra molto pericoloso individuare un'ipotesi di'istigazione al suicidio quando sappiamo perfettamente che è un istituto giuridico che si insegna, ormai, soltanto all'università, ma che è difficilissimo da provare. Ve lo dico per esperienza personale, perché ci ho provato ottenendo una condanna per istigazione al suicidio in primo e secondo grado, ma riformata in Cassazione.
  Quello che abbiamo contestato – esistono però già gli strumenti per poterlo fare – è il decesso come conseguenza di altro delitto. Se, infatti, minaccio reiteratamente una persona e quella persona si suicida, la sua morte mi può essere attribuita se è conseguenza delle mie minacce con questa fattispecie. Non c’è bisogno quindi di inventare altro: basta applicare la normativa già attualmente in vigore.
  È però molto importante non dare la responsabilità soltanto alla Polizia postale di operare in questo settore, perché certamente la Polizia postale è unica detentrice del sapere che vale l'informazione all'interno della scuola, ma non può essere l'unica che promuove e attua gli interventi di prossimità che sono necessari.
  Noi ci siamo battuti per molto tempo e stiamo ottenendo dalla Regione Piemonte la creazione di corsi di formazione con le polizie locali, proprio perché tutte le forze di polizia devono poter essere autori d'interventi all'interno della scuola, che sono sì di formazione, sì di repressione, ma possono anche essere interventi che trasformano il rapporto con le forze dell'ordine in un rapporto con la divisa amica, verso la quale far emergere quei disagi che non sono mai emersi prima all'interno della scuola.
  Vi ho portato una copia informale della relazione che ho presentato al Procuratore generale per l'inaugurazione dell'anno giudiziario, nella quale, fra le altre cose, Pag. 5indico l'attività della Procura presso il Tribunale per i minorenni anche in questo campo. Ci sono i progetti concreti, che sono ispirati a quanto vi sto dicendo e quindi possono essere meglio dettagliati.
  Per arrivare ad altri punti tecnici cito la proposta di legge C. 3139. Si fa riferimento alla costituzione di un comitato che possa essere una regia di valutazione degli interventi attuati all'interno del nostro territorio. Viene sistematicamente esclusa l'autorità giudiziaria minorile dalla composizione di qualsiasi comitato che possa occuparsi di minorenni. Questo è un paradosso, perché credo che nessuno meglio dell'autorità giudiziaria minorile, e in particolare delle procure per i minorenni, laddove non dimentichiamo che dal giusto processo in poi gli oneri di relazione e di promozione verso il territorio si sono spostati verso la procura presso il tribunale per i minorenni...
  Credo che la possibilità che l'autorità giudiziaria minorile e in particolare le procure per i minorenni possano essere interessate sia in grado di apportare dei vantaggi. Anche la creazione di un comitato di monitoraggio, come ho scritto nel documento lasciato agli atti, ha un senso se il comitato è composto da personale degli stessi enti che compongono la commissione.
  La possibilità di muovere qualche azione di contrasto reale nei confronti di questo fenomeno sta nella possibilità di prevenzione. Gli strumenti per la punizione esistono già, ma mi preoccupa molto la previsione dell'ammonimento nei confronti del minorenne. Intanto l'ammonimento è un atto amministrativo, ha senso prevederlo a prescindere dall'età, non ha senso prevederlo dopo i 14 anni come se ci fosse un problema di imputabilità. Si tratta di un atto amministrativo, quindi, se è utile, è utile al di sotto dei 14 anni, perché sappiamo perfettamente che fin dalle elementari si attuano queste condotte di bullismo.
  Evidenzia un grosso rischio d'interferenza con le indagini prevederlo in caso di reati procedibili d'ufficio, quindi può avere un significato e un'importanza solo per reati procedibili a querela e prima che la querela venga presentata, altrimenti il prefetto andrebbe a intralciare le indagini della Procura, rendendo impossibile gestire il percorso.
  La previsione di un'obbligatorietà della messa alla prova in un'altra proposta di legge, da un lato è superflua, perché il 99 per cento dei casi del processo minorile nei quali questo non si esaurisca per un proscioglimento nel merito o per una dichiarazione d'immaturità ai sensi dell'articolo 98 o di rilevanza del fatto va in messa alla prova. Il problema è che la messa alla prova deve avere dei contenuti specifici, perché in genere si rivolge a ragazzi che non hanno abbandonato la scuola, non sono esclusi dai percorsi ordinari di educazione, bensì hanno bisogno di altri tipi di intervento.
  La scommessa sulla messa alla prova non è, quindi, tanto sulla obbligatorietà quanto sul contenuto e quindi sulla predisposizione di strumenti che possano dare un significato al contenuto. Mi posso fermare qui.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Qualora vi siano delle domande, nelle risposte potrà aggiungere altre osservazioni.
  Diamo la parola al dottor Giuseppe Pierro, dirigente Ufficio II della direzione generale dello studente e responsabile del «Safer Internet Centre Italiano» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

  GIUSEPPE PIERRO, dirigente Ufficio II della direzione generale dello studente e responsabile del «Safer Internet Centre Italiano» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Grazie, presidente, e grazie per questa opportunità di confronto.

  PRESIDENTE. Naturalmente non c’è un obbligo di raggiungere il decimo minuto, si può essere anche più sintetici, ma in ogni caso c’è tutto il tempo per approfondire.

  GIUSEPPE PIERRO, dirigente Ufficio II della direzione generale dello studente e Pag. 6responsabile del «Safer Internet Centre Italiano» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Sì, infatti, ho consegnato una relazione che contiene nel dettaglio i punti rispetto ai quali riteniamo opportuno un approfondimento, quindi, cercherò solo di richiamare sinteticamente le macroaree di questa relazione.
  Noi abbiamo fatto una valutazione degli atti e abbiamo visto che una parte di questi si concentra molto sulla prevenzione, che vede il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avere un ruolo centrale, un'altra parte si concentra di più sull'aspetto sanzionatorio. Nella relazione abbiamo, quindi, provato a esprimere il punto di vista del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca rispetto a questi due approcci, richiamando le azioni che abbiamo avviato dal 2007 in avanti.
  Noi riconduciamo (e apprezziamo anche il tentativo di meglio inquadrare il fenomeno del cyberbullismo) a tutta l'attività che come Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, abbiamo avviato in generale sull'area della prevenzione del bullismo, perché consideriamo il cyberbullismo, o comunque l'origine dei fenomeni di cyberbullismo, in quell'area più ampia che è l'area di disagio all'interno della quale il bullismo ha avuto negli anni passati un ruolo centrale.
  Si tratta di un fenomeno che, purtroppo, è sempre stato presente e che ultimamente, in virtù dell'ampia diffusione della tecnologia tra i ragazzi, ha visto aggiungersi un elemento critico, perché come sappiamo l'atto di bullismo diventa efficace nella presenza di più osservatori. È, quindi, evidente che le nuove tecnologie, e soprattutto i social network, hanno fatto e fanno un servizio in favore di coloro che effettuando un atto di bullismo hanno immediatamente una platea estesa di persone, quindi la gravità dell'atto in alcuni casi assume una rilevanza particolare.
  Alcuni provvedimenti, tra i quali soprattutto la proposta di legge C. 3139, richiamano molto il ruolo educativo, rispetto al quale siamo convinti che si debba proseguire con le azioni poste in essere, soprattutto, cercando di diffondere iniziative a sostegno delle scuole. Si deve intervenire su due livelli: da una parte la prevenzione, rafforzando l'azione educativa, aiutando gli insegnanti e fornendo loro tutti gli strumenti utili per leggere meglio il disagio che può sfociare in questi atti, ovviamente rafforzando l'azione educativa nei confronti dei ragazzi, dall'altra parte fornire gli strumenti per intervenire di fronte a queste situazioni.
  Accogliamo con favore, soprattutto nella proposta di legge C. 3139, il richiamo all'impegno interistituzionale. Come Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca siamo coordinatori del Safer Internet Centre, che è un programma europeo che richiama tutti gli Stati ad attivare azioni per la prevenzione dei fenomeni di bullismo e di cyberbullismo.
  In questo caso l'azione interistituzionale è fondamentale, quindi, consideriamo positivo aver istituzionalizzato un coordinamento tra tutte le istituzioni che devono intervenire su questo fronte. Forse è anche corretto che sia affidato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il compito di coordinare queste azioni, perché è sulla scuola che dobbiamo insistere nel rafforzare queste azioni.
  Il frutto di questa azione interistituzionale è stato un testo di linee di indirizzo che abbiamo mandato alle scuole, testo che richiamava alla necessità da parte delle istituzioni scolastiche di realizzare iniziative per prevenire questi fenomeni e forniva loro indicazioni su quali modalità attuare per intervenire di fronte a casi di bullismo.
  Sottolineo che l'accordo non solo deve essere interistituzionale, ma si deve collaborare anche con tutti gli enti, le organizzazioni non governative e il privato sociale che intervengono in questo settore. Il fenomeno è talmente complesso che le istituzioni devono collaborare con il privato sociale e con tutti gli enti che a vario titolo operano in questo settore.
  Non a caso uno dei nuclei del progetto Safer Internet è proprio una helpline, una linea di aiuto, che in questo caso è fatta in collaborazione con Telefono Azzurro, e Pag. 7delle hotline, degli strumenti pensati sia per gli insegnanti che per gli studenti per poter fare delle segnalazioni che in accordo con le autorità si possano verificare immediatamente, e la collaborazione anche con i social network, perché l'accordo prevede la possibilità di ritirare immediatamente i contenuti ritenuti lesivi.
  La proposta di legge C. 3139 cristallizza, quindi, questa situazione che ha dato dei frutti in questo periodo e quindi l'accogliamo favorevolmente come intervento. È giusto anche allargare il più possibile questo tavolo a tutti i soggetti che possano contribuire. Il dettaglio è contenuto nella relazione.
  Un aspetto fondamentale è quello che riguarda l'impianto sanzionatorio. Consideriamo fondamentale che il testo faccia l'analisi degli strumenti attualmente posseduti dalle scuole per sanzionare.
  Fortunatamente nel corso degli anni l'impianto delle sanzioni disciplinari irrogate agli studenti è già stato normato in maniera complessa. Richiamo lo Statuto delle studentesse e degli studenti, un atto del 1998, che è stato allora una conquista e viene in più di un'occasione utilizzato per creare un collegamento tra le autorità giudiziarie e la scuola, che devono intervenire insieme e irrogare sanzioni che prevedano l'attività rieducativa, uno dei princìpi fondamentali richiamati nello Statuto delle studentesse e degli studenti.
  Credo che le Commissioni dovrebbero fare un approfondimento per capire in che modo integrare e soprattutto evitare situazioni di conflitto tra i provvedimenti e le sanzioni disciplinari che le scuole possono irrogare e quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 2007, che prevede già che in presenza di alcuni reati ritenuti particolarmente gravi il collegamento con le autorità giudiziarie debba essere immediatamente attivato dalla scuola.
  Lo richiamo perché è una norma che pone al centro l'azione rieducativa in caso di sanzioni disciplinari, e sono previsti anche l'elemento della gradualità della pena e l'informazione con le famiglie. Varrebbe la pena di richiamare tutto questo per provare a perseguire alcune strade di legificazione di questo decreto del Presidente della Repubblica per ascrivere tutti i reati di bullismo e cyberbullismo tra i reati ritenuti gravi per le conseguenze che possono avere. Questo attiverebbe in automatico alcune delle previsioni normative già contenute nel citato decreto n.235 del 2007.
  Per quanto riguarda l'aspetto dell'istituzione di una pena specifica, sarebbe opportuno ripensare attentamente questa parte e metterla in collegamento con l'impianto di sanzioni disciplinari già previste nell'ordinamento.
  Il citato decreto n.  235 del 2007 è un atto di integrazione e modifica del decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 1998, il primo atto che ha cercato di disciplinare tutto l'impianto delle sanzioni disciplinari irrogate a scuola.
  Si tratta di un documento molto importante, perché ogni istituzione scolastica ha il dovere di rivedere il proprio regolamento d'istituto alla luce di tutti i princìpi previsti dallo Statuto delle studentesse e degli studenti. Qui si potrebbe prevedere anche un intervento normativo primario per aggiornare il decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 2007, perché i fenomeni di bullismo immaginati nel 1998 sono negli anni notevolmente cambiati e non a caso stiamo parlando di cyberbullismo, cosa che allora non era prevista.
  Il suggerimento che ci sentiamo di fornire alla Commissione è quello di fare un ragionamento su questo documento, che riteniamo strategico per assicurare l'azione rieducativa della pena. Faccio un esempio: il ragazzo che dovesse imbrattare i muri viene richiamato a tornare a scuola e risistemare la parete, quindi, a risarcire il danno ma contemporaneamente a effettuare un'azione rieducativa, laddove rispetto a fenomeni di bullismo e cyberbullismo è importante comprendere che la ragione ha importanti elementi di natura sociologica oltre che penali.

  PRESIDENTE. Grazie. Diamo la parola al professor Giovanni Boccia Artieri professore straordinario presso la Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo».

Pag. 8

  GIOVANNI BOCCIA ARTIERI, professore straordinario presso la Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo». Grazie, presidente, e grazie anche ai presenti per l'invito, è un tema che mi sta molto a cuore da diversi punti di vista, come educatore, come genitore e anche come studioso.
  Due minuti per contestualizzare il fenomeno anche rispetto a quanto ho letto nelle diverse proposte di legge, e i restanti per avanzare qualche proposta o correttivo rispetto alle cose che ho letto.
  Il cyberbullismo, ovviamente, è un fenomeno sociale e culturale complesso. Lo possiamo vedere attraverso due aspetti: come allarme sociale che crea un panico morale o come una dimensione comportamentale, che ha a che fare con la dimensione culturale di quelle culture della connessione della network society di cui facciamo parte anche noi, non solamente i nostri figli e i minori.
  Oggi, la dimensione dell'allarme sociale è costruita attorno a un racconto che è prodotto dal discorso pubblico, dalle istituzioni e dai media, che tendono a esaltare una relazione strettissima tra gli ambienti digitali e le nuove forme di violenza, miscelando spesso in modo confuso in questo tipo di narrazione elementi molto diversi fra di loro, cioè il bullismo online, lo stalking, il sexting, la minaccia, la diffamazione, l'insulto, cose che sono estremamente variegate e riconducono a reati diversi, non strettamente connesse al tema di cui stiamo parlando ma spesso citate nello stesso «calderone» all'interno delle leggi.
  Qual è il rischio ? La reazione della collettività e delle istituzioni rischia di favorire in maniera involontaria e paradossale proprio quello che vorrebbe allontanare e di produrre una sorta di stigma sociale attraverso un controllo normativo. Il rischio è che si producano degli effetti perversi, un allarme sociale che vorremmo scongiurare. Di questo bisogna tenere conto perché lo abbiamo visto anche in altri tentativi normativi nell'Unione europea ma anche in America.
  D'altra parte gli stessi adolescenti percepiscono il cyberbullismo come un elemento di cui preoccuparsi quando viene chiesto loro in maniera precisa dai questionari. Non sappiamo quanto questa preoccupazione dipenda da esperienze dirette o da un racconto sociale tossico sul fenomeno, cosa di cui dobbiamo tener conto.
  Per costruire una percezione corretta del fenomeno nel dibattito quotidiano sul cyberbullismo occorre partire dalla sua definizione. La semantica è importante: il prefisso «cyber» sembra spesso portare la discussione sul tema del bullismo rispetto a una funzione allusiva, che mette al centro più la componente tecnologica che i comportamenti sociali. L'alto rischio è quello di cadere in una visione del fenomeno in un'ottica di determinismo tecnologico (lo troviamo anche in alcune proposte di legge su cui tornerò).
  Le ricadute portano a farsi domande e a dare risposte anche normative sul lato delle piattaforme e delle tecnologie utilizzate, e si rischia di trascurare o non bilanciere bene la dimensione culturale del fenomeno e quindi la necessità di riflettere sui comportamenti sociali, i rischi connessi a essi e di intervenire in chiave preventiva di educazione sociale.
  Prendiamo il caso di Nadia, 14 anni, che a febbraio 2014 si è lanciata da un palazzo di trenta metri uccidendosi e che aveva un profilo su Ask.fm con il nome di Amnesia e ha riempito le prime pagine di tutti i quotidiani nazionali con la tesi della correlazione diretta, suicida a causa degli insulti e dell'odio online.
  Il 3 settembre 2014, pochi mesi dopo, il giudice ha archiviato la causa perché non c’è stata istigazione al suicidio, e scopriamo che accanto agli insulti online, a cui aveva risposto energicamente, Amnesia aveva ricevuto anche offerte di aiuto, così come nel suo mondo quotidiano. Purtroppo non è bastato, però il punto è questo: spesso l'atteggiamento di panico morale che si crea attorno al concetto di cyberbullismo rischia di far perdere di vista il fatto che sono i comportamenti culturali più in generale a influenzare la logica di utilizzo del social media da parte Pag. 9degli adolescenti e soltanto comprendere queste dinamiche permette di sviluppare strategie d'intervento adeguate.
  Per questo occorre partire dalla lettura dei dati per inquadrare il fenomeno e in molte proposte di legge ho trovato molti dati proposti in modo un po'confuso, miscelando cose molto diverse, utilizzando esempi di culture straniere non sempre (direi quasi mai) riconducibili alla specificità del caso italiano, perché quando parliamo di minori e social network, di internet e tecnologie la dimensione culturale conta, quindi i diversi Paesi hanno comportamenti sociali che possono essere profondamente differenti.
  Un riferimento che viene utilizzato è quello della famosissima ricerca Ipsos che è stata ripresa più volte, in cui fondamentalmente si riporta un dato errato, secondo cui il 69 per cento dei ragazzi italiani sarebbe vittima di cyberbullismo. In realtà, come ha spiegato un'inchiesta giornalistica fatta per Wired Italia da Fabio Chiusi e Carola Frediani, i giovani hanno risposto a un questionario in cui si chiedeva «quali dei seguenti fenomeni sociali sono un pericolo forte in questo momento per i ragazzi come te».
  In questo elenco si suggerivano diversi item, uno era il bullismo e il 69 per cento si dichiarava preoccupato, dato in calo rispetto al 2013 dal 77 al 69, droghe 55 per cento, molestie e aggressioni da parte degli adulti 45 per cento.
  Faccio questa precisazione solo per chiarire come sia delicato il tema ed alto il livello di allarme sociale proprio sull'onda di avvenimenti singoli ai quali i media possono dare risalto oppure ci può essere un trattamento leggero di dati seri su cui vale la pena riflettere.
  Provo a dare il quadro con una ricerca sufficientemente recente che si chiama Net Children Go Mobile, che è stata cofinanziata dal Better Internet for Kids Programme della Commissione europea e ha riguardato 3.500 ragazzi, utenti internet fra i 9 e i 16 anni, e i loro genitori in sette Paesi europei (Belgio, Danimarca, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Portogallo e Romania).
  Per sintetizzare i dati riguardanti l'Italia, il 6 per cento dei ragazzi italiani fra i 9 e i 16 anni si è sentito turbato, a disagio e infastidito da qualche esperienza online, contro una media europea del 17 per cento; il 13 per cento dei ragazzi italiani ha riferito di aver subìto qualche forma di bullismo online o offline (come vedete, dati diversi dal 69 per cento), contro il 23 della media europea, e l'8 per cento ne è stato turbato. Questo è un altro dato interessante: non sempre pensare di aver subìto degli atti di bullismo che vengono predefiniti dagli item può avere conseguenze rispetto a una turbativa vera e propria. Ci torno perché lo ritengo fondamentale per la legge.
  Il cyberbullismo (questo è il dato italiano) è relativo al 6 per cento. Il 6 per cento degli intervistati, contro la media europea del 12 per cento, dichiara, quindi, di aver subìto cyberbullismo, dato in crescita dal 2010. L'incidenza del bullismo è superiore fra le ragazze rispetto ai ragazzi, nei bambini di 9-10 anni rispetto ai ragazzi più grandi e nei ragazzi con stato socio-economico medio rispetto a quelli delle fasce più basse e più alte. Sei ragazzi su 100 sono, quindi, stati vittime di cyberbullismo e si tratta ora di capire la natura di questo dato. Provo a sintetizzare e andare molto velocemente.
  Quando parliamo di cyberbullismo tra gli adolescenti abbiamo a che fare principalmente con due tipi di fenomeni, uno più controllabile attraverso la normativa, l'altro più difficilmente controllabile. Solitamente avvengono all'interno dei social network o nei sistemi di messaggistica (WhatsApp, Telegram).
  All'interno dei social network noi conosciamo Facebook, Twitter, ma è una cosa che riguarda il mondo degli adulti – «Facebook è un Paese per vecchi», potrei sintetizzarlo così – i nostri ragazzi stanno da altre parti, si spostano in luoghi in cui diventa molto difficile sia monitorarli che far togliere un contenuto. Penso a Snapchat, che gli adolescenti italiani utilizzeranno sempre di più, a uno strumento chat come Telegram, che produce chat che Pag. 10si cancellano dopo essere state lette, quindi, la persona può ricevere un contenuto che non sarà più visibile.
  Questo per dire come ci muoviamo in un panorama in grande trasformazione, dove è difficile tenere un punto fermo. Come si diceva prima, le cose più interessanti sono le forme di esclusione sociale, quindi, così come si escludono dei compagni non invitandoli alla festa delle elementari o delle medie, si possono escludere da WhatsApp, ed essere out rispetto a un gruppo WhatsApp può essere un fenomeno che ti ferisce.
  La legge si occupa anche delle persone anonime, il grande dramma è che nei social network tutti noi frequentiamo persone che conosciamo nella vita reale di tutti i giorni, e lì nascono i problemi in modo molto forte.
  L'altro dato interessante è che nei social network spesso troviamo scambi di offese e di minacce che, a differenza del bullismo, si caratterizzano per la loro reciprocità, cioè il livello di tensione è alto ma da parte di entrambi i partecipanti. Che poi uno dei due subisca una ripercussione emotiva molto forte ricade nelle fragilità dei singoli.
  Queste sono vere e proprie forme di drammatizzazione, bisogna stare attenti perché una ricerca del 2014 di Marvik e Boyle parla proprio di drama, cioè della tendenza dei giovani ad alzare i toni, comunicare sopra le righe (chiunque di voi frequenti i social network da adulto quando si parla di alcuni temi come la politica o il calcio sa di cosa sto parlando) ma non necessariamente questo tipo di tematica è immediatamente configurabile come cyberbullismo, in quanto spesso sono strategie comunicative dell'ambiente digitale degli adolescenti. Il problema è che bisogna riconoscerle.
  Per fare un esempio riporto un frammento di una ricerca che ho diretto, finanziata dal Ministero, sui social network italiani: B., ragazzina di 13 anni, di fronte alla mamma che le prende il cellulare e legge su WhatsApp una comunicazione interna dice «mia mamma non capisce quando legge le cose che ci spariamo contro nel gruppo WhatsApp di classe e pensa che litighiamo, invece ci prendiamo le misure o è un modo nostro di esagerare, ma poi finisce lì», quindi c’è anche il problema di come l'occhio dell'adulto può intervenire.
  C’è il caso recente di un dirigente scolastico che sequestrando un cellulare ha visto una alterazione dei toni in una chat di WhatsApp e ha portato il problema, che effettivamente c’è, sottovalutando come entrambi i comunicanti avessero alzato i toni, si difendessero e prendessero le misure. Spesso questo ha a che fare con comportamenti sociali che stanno mutando ed è un modo di posizionarsi rispetto agli altri creando una propria reputazione, è una forma problematica.
  Il problema con i social network è quello che io chiamo «effetto magnitudo», che fondamentalmente ha a che fare con la propagazione e la visibilità, due elementi su cui la legge forse potrebbe fare qualcosa. La velocità di circolazione delle piattaforme online è alta e anche il grado di sovraesposizione delle persone.
  Da questo punto di vista basta una normativa che agisca tecnologicamente ? Dal punto di vista della legge (l'abbiamo visto in alcune proposte) che chiunque possa inoltrare un'istanza per rimuovere qualsiasi dato personale ricorrendo al Garante e che entro 48 ore lo possa fare rappresenta una sanzione amministrativa interessante ma spesso cieca rispetto al reato, con attribuzione di responsabilità solo alla piattaforma o al web, chiedendo di intervenire. Tra l'altro, alcune cose sono difficili, altre sono infattibili, come togliere un contenuto da una chat di WhatsApp.
  Noi immaginiamo una rete che è fatta di siti internet, mentre la realtà dei social network è molto più complessa. Anche l'idea di un marchio di qualità per i fornitori di servizi online o addirittura per i dispositivi tecnologici e i loro produttori si scontra con il rischio di attribuire a un comitato di indirizzo scelte di orientamento di mercato, come il comitato che decide quale cellulare è giusto acquistare o quale piattaforma utilizzare, cosa che Pag. 11tende a diventare problematica e porta a concentrarsi sui mezzi e non sui comportamenti sociali.
  Provo a chiudere con un esempio. Uno dei principali problemi ha a che fare con l'educazione e la riflessione: Trisha Prabhu è una programmatrice di 15 anni e ha sviluppato un software che si chiama ReThink che in automatico, riconoscendo attraverso la semantica la presenza di parole violente o negative, fa comparire il messaggio «ripensaci» e il 90 per cento degli utenti adolescenti blocca quel messaggio, lo cancella o lo riformula, il che ci fa pensare che il problema sia fortemente educativo.
  Probabilmente, come è stato detto prima, introdurre una nuova fattispecie di reato non è necessario perché la legge ha una serie di cose che già possono funzionare per i diversi tipi di reati, mentre lo è lavorare sulla digital literacy, sulle competenze digitali. Sulle competenze digitali è importante lavorare perché tutte le ricerche ci dicono che non si tratta di insegnare ai ragazzi come lavorare sulla difesa dei propri dati personali, ma più in generale sulle culture internet all'interno di gruppi di pari. Per questo la scuola è uno dei luoghi migliori su cui investire, anche perché riesce a risolvere il gap della competenza digitale presente all'interno delle famiglie in Italia, quindi è l'unico luogo in cui si riesce a sopperire alle mancanze su cui la mediazione familiare non riuscirà a lavorare ancora a lungo.
  Questa deve essere competenza unicamente di chi si occupa della protezione del dato del minore ? Probabilmente no, perché accanto alle polizie locali e alla Polizia postale, che già si occupano di un'altra dimensione, quella dei pericoli, c’è il problema di insegnare la vita quotidiana normale, perché abbiamo visto che molte delle forme del cyberbullismo emergono proprio dalla quotidianità dei rapporti e dalla normalità dell'utilizzo dei social network, per cui prenderci cura della dimensione emotiva e della capacità espressiva dei ragazzi online, visto che comunque lo fanno e lo faranno sempre di più, è una competenza su cui investire, coinvolgendo operatori che hanno a che fare non solamente con la dimensione amministrativa o le reprimende, ma anche con il mondo culturale e le piattaforme su cui interagiscono quotidianamente.
  Grazie, mi scuso se ho sforato.

  PRESIDENTE. Grazie. Potremmo passare al secondo ciclo di auditi, ma vorrei fare due sottolineature.
  Ritengo che per ora alcune delle osservazioni che abbiamo ascoltato portino a dire che dovremmo lavorare, per esempio, sul tema della cultura digitale in età scolastica molto avanzata. È un tema che allo stato attuale non c’è nell'ordinamento e nella prassi dell'insegnamento nella scuola elementare e nella scuola media, ossia nella scuola dell'obbligo.
  La seconda osservazione, invece, la propongo come nutrimento per chi si occupa di questo. Con riferimento all'ultimo esempio, quello della ragazza quindicenne che inventa ReThink, mi chiedo se non si possa, una volta individuati i social media più interessanti a cui chiedere collaborazione, individuare in ogni caso un sistema di help anche dal soggetto.
  Essendo chiaro che c’è la reciprocità, che ci sono toni alti e che non sempre siamo di fronte a un comportamento violento tale da configurare un reato, un crimine o una conseguenza terribile successiva – fermo restando che ci sono comportamenti diversi e reazioni diverse a frasi uguali da parte di fragilità diverse – si pone il problema, per esempio, se non sia da ipotizzare, non solo in fase repressiva, ma anche in fase molto anticipata, un pulsante che si possa spingere per cui qualcuno possa, a un certo punto, seguire per un po’ quelle conversazioni, essendo autorizzato a farlo.
  Prima di passare alla seconda fase degli auditi, do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PAOLO BENI, relatore per la XII Commissione. Ho una domanda brevissima. Vorrei capire meglio il riferimento che faceva il dottor Pierro – mi sembra Pag. 12molto interessante questo aspetto – al decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 2007 rispetto all'utilizzo dello Statuto delle studentesse e degli studenti, se ho capito bene.
  Si è parlato molto – anche le audizioni precedenti che abbiamo fatto insistono molto su questo – della necessità di non avere una torsione eccessiva sull'aspetto sanzionatorio quanto sulla dimensione della prevenzione e dell'educazione. Lei faceva riferimento al riportare la dimensione sanzionatoria nell'ambito della comunità scolastica, con riferimento allo Statuto. Vorrei capire meglio quell'aspetto, anche perché confesso che ora non ho presente il provvedimento di cui si parla.

  SETTIMO NIZZI. Riferendomi a quanto sentito da parte del dottor Pierro, capisco che ci troviamo davanti a una duplice ipotesi, una volta che il messaggio è stato inviato o postato. Ciascuno di noi può fare la segnalazione a Facebook o a qualunque altra società. Il problema è che spesso, da una parte, facciamo la segnalazione e, dall'altra, cerchiamo di rimuovere tale messaggio quanto prima, perché è dannoso lasciare l'immagine. Quasi sempre le società ci rispondono – Facebook è una delle tante – che hanno avuto la nostra segnalazione, ma che non è stato possibile per loro intervenire perché non avevano più il dato che rappresentava il reato (a nostro avviso) oppure quanto scritto in danno della persona che ha ricevuto il messaggio.
  Penso che dovremmo spingerci a fare qualcosa che possa permettere questo, così come qualcuno ha detto per quanto riguarda la questione di Telegram. Non tutti i messaggi si possono eliminare dopo un tot numero di secondi oppure dopo l'avvenuta lettura. Penso che dovremmo agire di più su chi gestisce direttamente il sistema. Non sarà facile.

  PRESIDENTE. Se tra gli auditi c’è chi volesse aggiungere qualcosa, lo può fare. Sicuramente avrà la parola il professor Boccia, ma possono intervenire anche altri.
  Do la parola agli auditi per la replica.

  GIUSEPPE PIERRO, dirigente Ufficio II della Direzione generale dello studente e responsabile del «Safer Internet Centre Italiano» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Rispondo al volo su una questione che riguarda le competenze digitali. Vorrei richiamare solo il fatto che «La buona scuola» prevede già un potenziamento della parte delle competenze digitali. Sono state istituite addirittura le figure di tutor digitale all'interno di ciascuna scuola. Sarebbe opportuno anche monitorare l'attuazione di questa parte della riforma, che centra esattamente questo punto.
  Con riguardo allo stesso programma del Safer Internet, prima il programma della Commissione europea si chiamava Safer Internet. Adesso si chiama Better Internet for Kids. L'orientamento è sempre quello di potenziare le competenze digitali degli studenti per far capire loro come si può e come si deve usare bene la rete, non vedendo quindi la rete solo come pericolo.
  Venendo invece alle domande, ho citato quel documento dello Statuto delle studentesse e degli studenti proprio perché, come dicevo prima, richiama alcuni dei princìpi che devono essere tenuti in considerazione quando si sta sanzionando...

  PRESIDENTE. È talmente bello che, come la Costituzione italiana, dobbiamo conoscerlo meglio.

  GIUSEPPE PIERRO, dirigente Ufficio II della Direzione generale dello studente e responsabile del «Safer Internet Centre Italiano» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Bisogna conoscerlo un po’ meglio. Nello specifico, l'articolo 1, comma 2, sottolinea proprio che le sanzioni disciplinari devono avere una funzione educativa, rafforzando la possibilità di recupero dello studente attraverso attività di natura sociale e culturale e in generale a vantaggio della comunità scolastica. Questo era l'articolo a cui si faceva riferimento prima.
  Nel complesso, lo Statuto prevede una serie di strumenti di verifica. Addirittura prevede l'istituzione di un organo di garanzia Pag. 13interno alla scuola, di cui fanno parte tutte le componenti, sia il rappresentante degli studenti, sia quello dei genitori, che di volta in volta valuti le denunce. Addirittura avverso l'organo di garanzia scolastico si può ricorrere in misura gerarchica a un organismo di garanzia regionale, che istituisce l'Ufficio scolastico regionale e che deve prevedere al suo interno referenti di tutti gli enti che possono collaborare a questo caso.
  Al cuore di tutto questo c’è la gradualità della pena, la valutazione della pena e rispetto a fatti gravi – dobbiamo guardare bene il testo, ma è così – sono previsti in una parte del testo riconoscimenti di fenomeni ritenuti particolarmente gravi, per le conseguenze dei quali scattano automaticamente delle misure severe, come, per esempio, il dover ripetere l'anno o soluzioni di questo tipo. Questo riferimento è utilissimo.
  Per quanto riguarda, invece, l'altra osservazione, richiamavo prima il bisogno del raccordo interistituzionale. Come ministero, abbiamo attivato degli strumenti di segnalazione. Al di là del fatto che poi ciascun social network si è dotato di un regolamento di policy per la denuncia – questo l'abbiamo fatto; gliel'abbiamo chiesto e abbiamo pubblicato in linea per tutte le scuole e per tutti gli alunni come fare per segnalare – abbiamo istituito anche noi alcuni strumenti per fare delle segnalazioni. Attraverso le helpline o le hotline arrivano a noi, al Ministero, le segnalazioni per quei fatti che accadono nel contesto scolastico rispetto ai quali c’è bisogno di un'azione di recupero educativo non solo di colui che ha commesso il reato, ma anche dei compagni di classe che non hanno denunciato o comunque di valutare bene gli effetti psicologici di un danno grave su tutta la classe.
  Per questo motivo anche noi abbiamo attivato degli strumenti di denuncia, che però poi hanno bisogno del raccordo interistituzionale di cui parlavo prima, perché la denuncia che ci arriva viene valutata contemporaneamente da noi, dalla Polizia postale e dall'autorità giudiziaria.
  Qual è il problema ? Per esempio, in Italia c’è una differenza rispetto agli altri Stati: le hotline degli altri Paesi possono accedere al dato e fare delle attività di denuncia e proprio ispettive sul dato, mentre l'Italia è uno degli ultimi Paesi rispetto ai quali questo non è possibile. C’è un'interlocuzione a livello europeo su questo problema normativo. Di questo la Polizia postale è al corrente. Una delle risposte all'osservazione fatta prima è proprio quella del rafforzare questo raccordo interistituzionale e il collegamento con il privato sociale di cui parlavo prima.

  GIOVANNI BOCCIA ARTIERI, professore straordinario presso la Facoltà di sociologia dell'Università degli studi di Urbino «Carlo Bo». Faccio una battuta rispetto all'idea del bottone. Il problema è lo stesso di cui parlavo prima: molto spesso non abbiamo risposte tecnologiche. Il vero problema è che gli unici anticorpi rispetto alle problematiche che abbiamo in rete siamo noi. La sensibilizzazione – l'abbiamo visto in tutte le ricerche – viene prima ed è difficile arrivare anche alla denuncia sullo specifico contenuto.
  Quello che tutti i ragazzi chiedono, in particolare i minori, è l'ascolto. Il problema è trovare punti di ascolto. Molto spesso non possono esserci nelle famiglie, l'abbiamo detto prima, per via delle competenze digitali, o nei fratelli. Un'altra battuta della ricerca è proprio: «A mio fratello non lo dico perché potrebbe usarlo contro di me, prendendomi in giro».
  Con riferimento agli educatori a scuola bisogna capire quali sono i punti di ascolto che si possono attivare. È possibile, invece, sviluppare una soluzione che in altri Paesi c’è, ossia dei punti d'ascolto online, anche con delle regole che vengono spiegate e motivate, cioè con una cultura che viene diffusa all'interno delle stesse piattaforme online.
  Sono d'accordo sulla dimensione interistituzionale, ma, a parte Facebook, che possiede quasi tutto – è un monopolista, possedendo sia WhatsApp sia Instagram, i quali sono tra i social network più utilizzati dagli adolescenti – l'altra questione Pag. 14che abbiamo visto in altri Paesi europei, o addirittura in America, è che tendenzialmente il problema non è di piattaforma, perché, a mano a mano che arriveranno gli adulti e i controlli, i ragazzi si stanno spostando e si sposteranno da altre parti.
  È ovvio, quindi, che bisogna lavorare su diversi fronti. Sicuramente la dimensione della prevenzione culturale e di una collaborazione forte è fondamentale, anche perché – e qui chiudo – molto spesso i ragazzi si trovano di fronte a un contenuto fastidioso, ma non si sentono legittimati a segnalarlo a Facebook, per esempio. Parlo di Facebook, che non usa più nessuno, ma giusto per capirci. È difficile segnalarlo, perché segnalarlo a Facebook significa riconoscersi come vittime di un atto di cyberbullismo. Questo è un altro tipo di problematica.
  Bisogna riuscire a capire come creare dei cuscinetti affinché i ragazzi si sentano liberi di parlarne senza sentirsi delle vittime. Questo è il tipo di problematiche che, secondo me, a livello educativo e anche all'interno della legge bisogna riuscire ad affrontare con la collaborazione delle scuole e degli altri organismi.

  ANNA MARIA BALDELLI, procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del Piemonte e Valle d'Aosta. Faccio solo una precisazione. I ragazzi sanno insegnare a noi come usare Internet e non viceversa. Quello che devono imparare è esserne responsabili.
  Perché dico questo ? Perché finché la Polizia postale ha impostato gli interventi nelle scuole sulla formazione e su come si usa Internet, gli interventi si sono rivelati assolutamente inefficaci. Quando invece ha incominciato a sottolineare la responsabilità per quanto determinate condotte postate su Internet potessero creare, allora si è cominciato a vedere il risultato.
  La possibilità di togliere dalla rete informatica le cose che possano danneggiare è estremamente difficile da realizzare, anche con la previsione della procedura davanti al Garante. Tenete conto che, se qualcuno fa opposizione, si va poi davanti all'autorità giudiziaria e che, quindi, i tempi, come potete immaginare, non sono certamente brevi. Bisogna evitare che queste cose accadano.
  Per evitare che accadano, esiste già all'interno della rete – il che è fondamentale – la collaborazione di tutti i protagonisti del territorio: la scuola e il servizio di psicologia con la peer education all'interno della scuola. Nel progetto Noi, che trovate nella mia relazione, si parla proprio di attivare le risorse già esistenti perché possa essere fatto un progetto all'interno della scuola. Non possiamo farlo calare sulla testa dei ragazzi. Dobbiamo coinvolgerli nella maturazione di un percorso che crei benessere all'interno della scuola.
  La sperimentazione che è stata fatta l'anno scorso nella Regione Piemonte ha dato conto del fatto che è possibile chiedere ai ragazzi di essere i facilitatori della comunicazione. La confidenza con l'adulto – proprio perché il ragazzo che si sente vittima si vergogna di essere vittima – è molto difficile. È molto più facile avere un fratello in prestito, che non ti prende in giro perché non è tuo fratello, ma fa parte della scuola. Magari frequenta il quarto anno e tu sei in seconda. È molto più facile confidare a questo fratello in prestito che cosa che ti è successo. Se questi gruppi all'interno della scuola fossero promossi anche a livello generale, credo che si aumenterebbe la percentuale di cose che non vanno più in rete.

  PRESIDENTE. Grazie. Dichiaro conclusa questa prima parte delle nostre audizioni. Qualora voleste restare per ascoltare il seguito potete farlo. A questo punto, ringrazio voi come auditi e do la parola agli altri nostri ospiti.
  Do la parola al dottor Mauro Maggi, educatore scolastico del Gruppo Abele, alla dottoressa Olivia Pagano, referente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia (CISMAI) della regione Lazio, e ai rappresentanti dell'Associazione «CamMiNo», l'avvocato Maria Giovanna Ruo, presidente nazionale, e l'avvocato Anna Livia Pennetta, presidente della sede di Novara e referente della Regione Piemonte, nonché Pag. 15ai rappresentanti della Comunità di Sant'Egidio, dottoressa Adriana Gullotta, coordinatrice della Sezione minori, e dottoressa Evelina Martelli, responsabile dei lavori con i minori.
  Do la parola, nell'ordine, al dottor Mauro Maggi.

  MAURO MAGGI, educatore scolastico del Gruppo Abele. Grazie per l'opportunità. Scusate se sarò anche un po’ emozionato, perché è un'occasione che non capita tutti i giorni.
  Mi insinuo nelle relazioni precedenti perché si è parlato molto di educazione e prevenzione. Noi ci occupiamo in ambito scolastico di questo tema da una decina d'anni, nel momento in cui capitò che una preside, fotografata, messa in rete e presa in giro, fu presa, secondo me, da un paio di elementi che sono determinanti rispetto a questi temi di cui stiamo discutendo, ovvero l'esigenza da parte del mondo adulto del controllo nei confronti di ciò che fanno i ragazzi e l'esigenza di dare risposta alle proprie paure. Secondo me, occorre muoversi su questa doppia strada. Se poi si procede nell'ambito sanzionatorio, credo che questi siano gli elementi critici con cui affrontare questo tipo di problematica.
  Parlando di cyberbullismo e di questioni di violenza online, se all'epoca il nostro rapporto con la preside fu di ribaltare il discorso, oggi come oggi vedo ancora fortemente una grossissima incapacità del mondo adulto di affrontare questi temi. Peraltro, credo che la violenza online non sia solamente una questione giovanile, ma che, oggi come oggi, sia molto evidente anche nel mondo adulto. Basta vedere il forum di un sito come www.gazzetta.it. Si leggono e si scrivono cose abbastanza indicibili.

  PRESIDENTE. Anche nei comunicati di colleghi parlamentari che a volte si lasciano un po’ andare.

  MAURO MAGGI, educatore scolastico del Gruppo Abele. Se la questione del cyberbullismo riguarda la violenza online, allora – io credo – anche gli aspetti sanzionatori non riguardano solamente il mondo giovanile. Questi aspetti forse sono più allargati proprio all'incapacità oggi di avere un rapporto sano col mondo tecnologico, anche perché forse non si sono ancora creati una crescita e uno sviluppo di competenze generali e condivise rispetto a quello che succede e a quello che si fa e si produce in rete.
  Fatta questa piccola premessa, che ribaltamento abbiamo provato a portare avanti noi nel corso di questi dieci anni di lavoro con qualche migliaio di studenti ? Fondamentalmente affrontiamo la questione rispetto a questo nodo culturale, ossia all'accettazione che online – ma anche nella vita reale; in realtà, non c’è niente di differente, ma le tecnologie fanno emergere in maniera evidente questo aspetto – ciascuno di noi è produttore di informazione e di comunicazione.
  All'interno del contesto scolastico questo aspetto mette proprio in crisi l'assioma docente-discente. Quello che, secondo me, la scuola, nel suo piccolo – o nel suo grande – dal punto di vista educativo può fare è affrontare il fatto che deve mettere un po’ in discussione se stessa. Deve accettare il fatto che ci sia un rapporto con il mondo giovanile e con la capacità di produzione e di informazione dei giovani a cui stare a fianco, senza doverla per forza reprimere.
  La sfida educativa è altissima e, secondo me, un elemento determinante da affrontare è proprio quello di insegnare ad apprendere e conoscere come stare online e, quindi, come vivere online, come vivere online la propria normalità e trasformare i percorsi educativi anche scolastici proprio in quest'ottica, nella capacità di rappresentarsi, di far conoscere e di scrivere la propria esistenza, la propria vita, le proprie informazioni e anche i propri apprendimenti scolastici (la matematica, l'italiano, l'educazione sessuale), aiutando i ragazzi a scrivere e condividere quello che viene messo online, cosa che invece risulta in questo momento un paradosso. Stiamo a chiederci, infatti, se la scuola debba reprimere le attività di cyberbullismo, ma non c’è dentro, non le conosce. Come fa un Pag. 16preside, a un certo punto, a prendere in mano una situazione che non conosce, se non è a conoscenza della storia e dello sviluppo del fenomeno ?
  Sottolineo il fatto che, come diceva il professore Boccia Artieri, l'elemento storico per cui ci sono un carnefice e una vittima rispetto al classico bullismo in realtà nel cyberbullismo è del tutto offuscato, nel senso che l'essere carnefice e l'essere vittima in qualche modo costituiscono un rapporto biunivoco. Poi magari qualcuno ci rimane peggio, ma non ce la si manda tanto a dire.
  Questo elemento di costruzione di percorsi di vita, di aiutare a realizzare percorsi individualizzati di costruzione di personalità online penso sia un elemento che manca un po’ nella lettura complessiva delle proposte di legge, anche perché in quest'ottica gli insegnanti non hanno un ruolo secondario. Il loro diventa un ruolo determinante nel momento in cui l'accompagnamento alla ricostruzione di quello che capita nella vita dei ragazzi diventa un accompagnamento individualizzato. È molto interessante affrontare questo aspetto in un contesto collettivo di gruppo, dando un senso sociale a qualche cosa che, invece, ahimè, si percepisce – e forse lo è – come un elemento di grande difficoltà a livello individuale.
  Nella mia stanza io mi confronto con qualcuno che mi insulta e insulto a mia volta. Come rielaboro questa situazione a livello sociale ? Non la rielaboro, ma me la tengo per la mia anima. Ho difficoltà a parlarne con genitori, insegnanti e fratelli. Invece, se ci fosse un contesto collettivo – e la scuola lo è – in cui elaborare delle situazioni che capitano a livello individuale, penso che sarebbe davvero un passo avanti.
  In questo momento ritengo che la sfida stia proprio, a volte, in questo: usare le tecnologie e immaginare la tecnologia come qualche cosa di sociale e non come qualche cosa che produce solitudini. Secondo me, questo è un elemento che ha molto a che fare con la rielaborazione e la difficoltà della rielaborazione di qualche cosa che ci capita di negativo.
  In questo modo di vedere in un'ottica di prevenzione a fenomeni di distorsione del sistema e dell'utilizzo delle tecnologie credo sia fondamentale attivare percorsi volti all'apprendimento attraverso il fare, lo sperimentare e l'utilizzo proprio delle tecnologie. Non basta parlarne in termini virtuali. Occorre parlarne in termini concreti, attivando delle sperimentazioni effettive, pratiche.
  Occorre sfruttare lo strumento e, quindi, attivare un'esperienza e, attraverso l'esperienza, toccare le corde emotive, sapendo che le tecnologie fondamentalmente attivano un'esperienza virtuale molto profonda ed esperienziale, ma anche molto emotiva. La capacità della scuola dovrebbe essere, secondo me, quella di lavorare preventivamente sulla rielaborazione di ciò che capita dal punto di vista emotivo, cosa che invece viene molto lasciata come elemento residuale a qualche insegnante particolarmente attento.
  Rieducare a una vita in rete è una questione davvero trasversale. Come dicevo prima, secondo me non si tratta solamente di lavorare sulla prevenzione, sulla sessualità o sul rapporto tra uomini e donne, nonché sull'intercultura, sulle dipendenze o sul costruire una netiquette condivisa, ma si tratta proprio di una questione che forse la scuola potrebbe mettere in discussione nel suo intero fare, nel lavorare in gruppo, non portando a una competizione, ma facendo collaborare i ragazzi.
  Volgo al termine evidenziando qualche problema. Per fare tutto questo, chiaramente, qualche fondo bisognerebbe destinarlo. Questo è un elemento, lavorando nel privato sociale, non da poco. Stare accanto a percorsi di attenzione alle persone e ai ragazzi prevede, ovviamente, anche delle professionalità nuove che si vanno a sviluppare.
  Lo sviluppo di educatori online oggi è qualcosa che si ipotizza. Nel concreto non è semplicissimo, ma fa emergere veramente qualcosa di straordinario, ossia le difficoltà enormi dei ragazzi. Ritorno ai ragazzi che si tagliano, al cutting, o a ragazzi che raccontano di suicidi, che si vogliono suicidare. Queste sono situazioni molto tipiche, che si incontrano lavorando online con gli studenti.Pag. 17
  C’è anche un tempo lavoro che va veramente a travalicare il semplice incontro e le ore in classe. Questa è una cosa che molti insegnanti sanno e che molti insegnanti praticano, ma incrociare la vita lavorativa con la vita privata non è un elemento secondario e non è neanche un elemento semplice.
  Aggiungo altre tre cose un po’ pratiche e problematiche, secondo me. Sentivo di una sentenza di quest'estate in cui un genitore, imputando alla scuola il fatto che il figlio fosse preso in giro online, ha denunciato la scuola e ha ottenuto un risarcimento da parte del ministero. Questo elemento mi sembra da valutare. Nel momento in cui si attribuiscono delle responsabilità ai dirigenti scolastici sul fatto che capitino delle cose online e che vengano presi in giro degli studenti, c’è poi la rivalsa nei confronti dell'Istituzione, che, a ricaduta, si rivarrà. Facciamo attenzione, però, a dare troppa responsabilità alle Istituzioni scolastiche, perché poi, in questo momento, ci si potrebbe ritrovare di fronte a montagne insormontabili di gente che denuncia persone qualsiasi.
  Chiudo dicendo che mi sembra che forse, in questo momento, urga avere degli immaginari culturali nuovi, degli orientamenti culturali nuovi che portino a costruire un contesto socializzante e sociale. I social network vincono perché fanno vincere le persone che ci stanno dentro. Se qualcuno non ce la fa, è quel residuale che potrebbe essere tenuto in conto. Ricostruire dei percorsi che utilizzino internet, la rete e i social network, ma che siano capaci di costruire un contesto sociale, secondo me è davvero determinante.
  Mi scuso se sono stato lungo.

  OLIVIA PAGANO, referente CISMAI regione Lazio. Buongiorno a tutti e grazie per l'invito. Parlo anche a nome della presidente nazionale, la dottoressa Gloria Soavi, che ha incaricato me di partecipare oggi all'audizione. Concordo con tutte le cose dette. Vorrei sottolineare alcuni aspetti che riguardano la specificità proprio della nostra associazione, che è quella di lavorare nei servizi con i servizi.
  Vorrei porre l'accento, in particolare, rispetto ai disegni di legge, che abbiamo letto insieme anche alla presidente, sul tema della prevenzione, su cui concordiamo. Riteniamo, però, che sia indispensabile, per poterla mettere in opera – si è parlato della peer education e di prevenzione nelle scuole – introdurre due azioni, che sono la formazione (come è, infatti, indicato nel disegno) degli insegnanti e, ci permettiamo di dire, anche forse di un supporto agli insegnanti. Il concetto di formazione forse dovrebbe essere spiegato in maniera un po’ più specifica.
  Il lavoro frontale con gli insegnanti, in cui noi andiamo a spiegare le nostre competenze sul tema, non funziona. Gli insegnanti nella realtà della scuola italiana si sentono molto soli ad affrontare queste tematiche. Pertanto, riteniamo che debbano essere stanziati dei fondi per potere fare anche una supervisione insieme agli insegnanti e parlare delle situazioni difficili che loro si trovano ad affrontare, con un’équipe multidisciplinare, in cui sia previsto sicuramente l'intervento degli educatori. Penso anche alla questione degli educatori online per i ragazzi, ma non a un educatore o psicologo, bensì a un educatore e psicologo.
  Scendo dalla questione della prevenzione alla questione della cura. Occorre la prevenzione innanzitutto, ma le situazioni che sono già deflagrate e che si registrano vanno curate.
  Apro e chiudo una parentesi. C’è un problema sulle segnalazioni. Ci sono tanti progetti, sia a livello della regione Lazio, sia a livello nazionale, per cercare di aiutare le scuole, per esempio, a segnalare o a risolvere il problema magari all'interno dell'istituto stesso.
  Il problema della cura è un problema serio, che deve essere garantito, così come è indicato anche nel disegno, da professionisti esperti, che si possano fare una presa in carico. Nell'articolo 9 della proposta C. 2408 si parla di quando la scuola ha l'obbligo di informare la famiglia, che è una cosa straordinariamente importante. Molto spesso i genitori – vi parlo della prassi, lavorando nei servizi con le scuole Pag. 18e con i casi, con i ragazzi e con le loro famiglie – non sono a conoscenza. La prima cosa da farsi, quindi, è quella di convocare la famiglia. Nel secondo comma dell'articolo viene indicato che il preside deve predisporre una riunione con i soggetti coinvolti, ossia la figura referente che viene indicata nella legge e tutti i professionisti che conoscono il ragazzo.
  Scendo al terzo punto, quello dell'importanza della questione della rete. Un fenomeno come questo sicuramente ci mette alla prova, come adulti, come si diceva prima, nell'affrontare questioni su cui i ragazzi sono più competenti – la questione dello strumento, il digitale – e noi lo siamo molto meno. Pertanto, siamo chiamati a diventare sicuramente più competenti sullo strumento, ma anche ad accogliere e ad ascoltare.
  Di conseguenza, credo che questo tipo di organizzazione sia molto opportuna e importante perché queste tematiche si possono affrontare solo con una comunità educante, cioè agendo insieme e non parcellizzando i saperi, né, tanto meno, le risposte dei fondi. Lavorando nel settore, so che sono aperti sul bullismo moltissimi progetti di vari ministeri, che non conoscono però una risposta sistemica e sistematica e che possano essere garantiti a tutte le realtà.

  PRESIDENTE. Siamo qui noi, signora.

  OLIVIA PAGANO, referente CISMAI regione Lazio. Di questo siamo contenti.
  Rispetto a questo credo sia molto importante quel commento che faceva lei prima rispetto al fatto di lavorare anche molto con le vittime. Sicuramente la questione repressiva è importante. Non sono un giurista e, quindi, dal punto di vista legislativo mi rimetto a chi prima di me ha espresso i suoi pareri. Credo, però, che la questione sia quella di agganciare i ragazzi.
  La prevenzione può consistere nel raccontare le norme già presenti nel nostro ordinamento, perché molti ragazzi non sanno a che cosa vanno incontro per quello che già esiste. Si tratta, quindi, di fare un discorso di educazione integrata e di prevenzione rispetto alla legalità con un linguaggio prosociale a un'educazione all'affettività che rafforzi anche la possibilità per le vittime di dire di no.
  I progetti ci sono fin dalle elementari. A me è capitato di lavorare in alcuni progetti proprio di contrasto al maltrattamento e all'abuso nello specifico con le seconde e terze elementari. Questi sono lavori che funzionano molto con il gruppo, sia nella prevenzione, sia quando poi il gruppo è stato colpito da un problema. Non si può, come diceva un collega prima, non affrontare quel problema con tutta la classe, perché la violenza è contagiosa e, quindi, dilaga. Abbiamo un gruppo di ragazzi che ha bisogno di essere sostenuto e rispetto al quale questo evento deve assumere un significato, altrimenti diventa un nonsense.
  Questo è ciò che noi volevamo dire.

  MARIA GIOVANNA RUO, presidente nazionale dell'Associazione «CamMiNo» – Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni. Grazie dell'opportunità che ci viene offerta. Noi siamo un'associazione di avvocati e, quindi, siamo quell'anello tra la vita e il diritto. Siamo fiduciari di tante persone. Siamo i professionisti cui le persone si rivolgono nei momenti di disagio e raccogliamo tante fenomenologie sommerse.
  Interveniamo per questo. Interveniamo anche come autori di molta formazione e di ricerche nel territorio nazionale. Abbiamo 51 sedi. In particolare, ci sono due sedi – una è la sede di Novara, l'altra è quella di Cassino – che hanno svolto dei lavori sul territorio proprio sugli argomenti del bullismo e del cyberbullismo, raccogliendo dati. Abbiamo allegato alla nostra breve nota anche queste relazioni, che ci sembrano importanti. È vero che non sono fatte secondo le statistiche e i criteri scientifici di statistica, ma raccolgono l'umore...

  PRESIDENTE. Sono indagini qualitative.

  MARIA GIOVANNA RUO, Presidente nazionale dell'Associazione «CamMiNo» – Pag. 19Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni. Sono indagini qualitative e soprattutto ci danno la percezione che il fenomeno sia equamente – ahimè – diffuso sia in grandi aree urbane, in cui forse ci sono meno controllo sociale e più solitudine, sia in centri minori, dove invece il controllo sociale e la conoscenza personale sussistono. Senza creare allarme sociale, è un fenomeno sul quale riflettere.
  Una notazione che mi è venuta in mente adesso, rileggendo, è che si parla di «minori». È un arretramento culturale che mi permetto di segnalare. Già nel 2011, nella legge istitutiva del Garante, si parlò di «persone di età minore». Parlare di «minori» sta a indicare un concetto che non è nemmeno anagrafico, perché correttamente si parlerebbe di «minorenni». Credo che dobbiamo stare un po’ attenti – mi permetto di segnalarlo al legislatore – a non arretrare culturalmente rispetto a conquiste lessicali che stanno a indicare, però, un concetto diverso, di persona che si evolve e che è un valore comunque, anche nella minore età, come soggetto di diritti.
  Aggiungo ancora una notazione lessicale. Si è parlato di educazione alla legalità. Io parlerei molto, anche avendo sentito chi mi ha preceduto, di educazione alla responsabilità sociale. Non si tratta solo di sapere ciò che è reato e ciò che non è reato, ciò che è lecito e ciò che è illecito. Si tratta di concepire l'insieme delle persone che costituiscono una comunità e il fatto che ciascuno è responsabile dell'altro. Questo è un tema sul quale noi di «CamMiNo» stiamo riflettendo moltissimo e che ci sembra uno degli elementi deboli della cultura attuale: l'assenza di responsabilità sociale.
  Ciò detto, ovviamente, essendo degli operatori del diritto, abbiamo riguardato la normativa sotto questo aspetto. Condividiamo la necessità di un intervento legislativo sul piano della prevenzione e della responsabilità sociale e genitoriale. Abbiamo, invece, molte perplessità su tutto ciò che riguarda un rafforzamento dell'impianto repressivo e penalistico, sia perché ci sembra che sia più che esaustivo ciò che esiste attualmente – non nutriamo l'esigenza di configurare un nuovo reato che sia una summa di tutto ciò che già c’è – sia perché andiamo a sovrapporre aree che forse non sono quelle più corrette. Questa legge ha la sua ragion d'essere – riterremmo – nell'andare a coprire aree scoperte, che sono quelle del fenomeno, anche indipendentemente dall'intenzione di chi pone in essere un comportamento che finisce con l'essere percepito come dileggiante, ridicolizzante e marginalizzante.
  Il professore Boccia Artieri diceva prima – mi sembra – che si tratta anche della sensibilità della persona. La responsabilità sociale sta proprio in questo. La sottolineatura della responsabilità sociale sta in questo: non conta solo che ciò che io faccio può costituire o non può costituire reato, conta anche il fatto che devo essere socialmente responsabile delle conseguenze, anche a livello personale, del soggetto vulnerabile (è un altro dei nostri temi preferiti) che mi sta di fronte.
  Serve una definizione di bullismo, in questo caso di cyberbullismo ? Riterremmo di sì, ma non come configurazione di reato, bensì per sapere quale sia il fenomeno che la normativa va a disciplinare. Ci siamo permessi un suggerimento nella nostra nota, che non è qui il momento di leggere, ma che riguarda il fenomeno, non il reato, eliminando tutti quei riferimenti a reati già esistenti, perché potrebbero essercene degli altri, e anche agli strumenti mediatici esistenti. Mi sembra di aver capito che io, che non uso Facebook perché sono vecchia, anche se lo usassi, sarei già superata. È un rincorrersi continuo. Evitiamo di irregimentare in forme standardizzate oggi ciò che, invece, è aperto.
  Quanto alle aree di intervento giuridico, le aree di intervento giuridico ci sembrano sostanzialmente tre. Una riguarda la pubblica amministrazione e le sue varie articolazioni e prevede un intervento preventivo, un intervento contestuale e un intervento successivo. Poi ci sono aree di intervento civilistico sul piano della responsabilità, e patrimoniale e genitoriale. Sto parlando di tutti i progetti di legge. Abbiamo seguito il DDL che proviene Pag. 20dal Senato, ma sostanzialmente li abbiamo riguardati tutti, o abbiamo tentato di riguardarli tutti. Il terzo aspetto è quello penalistico.
  Con riferimento agli interventi preventivi, si parla di rimozione e oscuramento dei dati. Ho sentito l'esigenza di avere accanto a me, mentre leggevo queste proposte, qualcuno che si occupasse di informatica perché mi sono resa conto di non avere gli strumenti per capire se funziona o non funziona. Anche qualora funzionasse, però, questo è un ingranaggio estremamente farraginoso. Perché si vuole dare alla vittima del reato l'onore di presentare due istanze, la prima al responsabile del sito Internet e la seconda al Garante ? Si presenta un'istanza diretta a tutti e due e sarà il Garante, sempre che funzioni, a occuparsene.
  Premettendo che la mia ignoranza è totale e che ho sentito l'esigenza di avere qualcuno con cui interloquire per capire se questo congegno funzioni, almeno non oneriamo la vittima anche di una duplice istanza di dover controllare e poi di fare istanza al Garante. Si fanno tutte e due: è il Garante che controlla e interviene lui.
  Passo a un altro intervento preventivo. Non mi soffermo su alcuni aspetti. Vorrei soltanto dire che i corsi di formazione previsti dall'articolo 4 della proposta di legge proveniente dal Senato dovrebbero essere aperti anche ad altri, non soltanto alla scuola: circoli sportivi e altri centri di aggregazione giovanile sono luoghi nei quali avvengono esattamente le stesse cose che avvengono in ambito scolastico. Così si tratterebbe di curare un segmento e non l'insieme.
  Un altro aspetto che ci sembra importante e che abbiamo tratto dall'articolo 6 della proposta di legge C. 2408 riguarda i sondaggi. Mi viene in mente che in altri settori manca, per esempio, un database nazionale. Penso alla violenza domestica e di genere. Ci si è accorti pochi anni fa che ci sono tanti database frazionati, ma non c’è un database nazionale. Come si risponde a un fenomeno, se non esiste un database nazionale ? Forse su questo andrebbe sollecitato l'ISTAT, anche per evitare che poi sui territori si abbia un frazionamento di rilevazione e che ci troviamo nelle stesse problematiche che in altri settori si sono già manifestate.
  Poi ci sono gli interventi contestuali. Ho molte perplessità sull'ammonimento, perché mi sembra che spetti al questore. Che competenza ha il questore per interloquire, tra l'altro col quattordicenne ? Il dodicenne lo lasciamo fuori ? Qual è la competenza di un questore per interloquire con una persona di età minore ? C’è l'autorità giudiziaria minorile, anzi, c’è il pubblico ministero minorile, che ci sembra la persona deputata a un intervento di questo genere. Il pubblico ministero minorile potrebbe poi promuovere un intervento amministrativo.
  Questo è l'ultimo argomento che vorrei trattare, perché ci sembra veramente nodale ed è totalmente pretermesso dalle proposte di legge. Il pubblico ministero minorile potrebbe promuovere un procedimento in sede amministrativa del tribunale per i minorenni che potrebbe riguardare anche gli infraquattordicenni e che si prolunga fino ai ventun anni.
  Con riferimento all'età dell'imputabilità, se c’è un minorenne – il procuratore mi correggerà, ovviamente, se sbaglio – che commette reato, se ha quattordici anni, è imputabile. Se il minorenne è infraquattordicenne, non è imputabile. Allora che cosa facciamo ? Sia che vada dal questore, sia che si possa aprire un procedimento penale minorile, lo lasciamo perché è in quest'area grigia ? Il procedimento amministrativo ex articolo 25 del regio decreto n. 1404 del 1934 – ci arrivo alla fine – va tutto rivisitato, ma è un ottimo strumento anche a questo fine.
  Con riguardo all'informativa alle famiglie dei percorsi personalizzati, va benissimo l'informativa alle famiglie, non soltanto a quella dell'autore, ma anche a quella della vittima, cercando anche percorsi conciliativi, percorsi personalizzati di cui all'articolo 9 della proposta di legge C. 2408. La competenza, però, è già del giudice specializzato minorile in sede amministrativa. Bisogna raccordare in qualche Pag. 21modo queste normative, perché è importante questo dialogo tra le varie professionalità.
  Passo all'intervento in sede civile e al profilo patrimoniale. L'articolo 5 della proposta di legge C. 1986 appare tautologico o addirittura limitativo perché dice che i responsabili pagano i danni solo se sono in condizioni abbienti. I danni si pagano perché c’è un illecito. Sarebbe quasi incostituzionale – mi sembra – inserire una limitazione in relazione alla capacità patrimoniale della persona.
  L'articolo 5 del DDL C. 2435 amplia l'onere economico anche per il tutore alle spese per la riabilitazione dei soggetti violenti e per la cura psicologica degli offesi. A questo proposito c’è già l'articolo 2048 del Codice civile. Sintetizzo: i tutori sono in gran parte o assistenti sociali o professionisti (avvocati) che esercitano la tutela quando i genitori hanno avuto una decadenza dalla responsabilità genitoriale. Non hanno alcuna possibilità di educare e, tra l'altro, espletano questo compito gratuitamente. Forse questa sarebbe una buona occasione anche per rivedere l'articolo 2048.
  Salto tutto il resto e mi fermo un attimo sull'articolo 25. Quest'articolo 25 riguarda i minorenni irregolari per condotta o per carattere e mira alla loro tutela e al loro pieno recupero. Si tratta di uno strumento che, rimodernato, potrebbe essere estremamente attuale, perché non ha il limite inferiore ai quattordici anni e non ha nemmeno il limite superiore ai diciott'anni, potendosi prolungare l'intervento fino ai ventun anni.
  La normativa va integralmente rivisitata ed è anche per questo motivo che ci riservavamo in un secondo momento di poter presentare dei suggerimenti emendativi. Tra l'altro, è una normativa di grande attualità perché ci sono una serie di altre problematiche (minorenni dipendenti, minorenni con problematiche e così via, CISMAI mi può confortare) che, in realtà, non sappiamo dove collocare. Si attiva l'articolo 25, ma l'articolo 25 è veramente uno strumento vecchio, obsoleto, da rimodernare.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Chiederei veramente, per cortesia, di rimandare l'intervento dell'altra dottoressa alla replica, ossia eventualmente al momento dopo le domande.
  In conclusione, do la parola, per la Comunità di Sant'Egidio, alla dottoressa Adriana Gullotta, coordinatrice della Sezione minori.

  ADRIANA GULLOTTA, coordinatrice della Sezione minori della Comunità di Sant'Egidio. Grazie, presidente, di avermi convocato in questa seduta per dare un contributo a partire dall'esperienza di Sant'Egidio.
  La nostra comunità non è un centro studi, ma siamo impegnati nel territorio con i minori e i giovani, soprattutto nella realtà delle periferie a Roma, in tutta Italia e in più di 70 Paesi nel mondo. Si tratta di un lavoro concreto per cambiare queste realtà di emarginazione e non tanto di compiere studi o analisi sociologiche. Tuttavia, credo che, a partire da questa esperienza, possiamo trarre alcune osservazioni per evidenziare alcune criticità e proporre linee di azione per influire positivamente sullo sviluppo dei ragazzi.
  Vorrei fare una breve premessa. Il fenomeno del bullismo, che naturalmente non nasce oggi, e quello del cyberbullismo, che preoccupa perché raggiunge con rapidità grandi quantità di persone, sono aspetti di quello sfarinamento della società che crea vuoti di punti di riferimento, in cui molti giovani crescono accompagnati più dagli oggetti che dalle persone.
  C’è anche una certa violenza, di cui parlava anche prima il presidente, anche verbale, che impronta tanti rapporti quotidiani. Questo lo constatiamo particolarmente nelle periferie. Vorrei allora sottoporvi qui, limitandomi alla realtà italiana, alcune osservazioni e alcune riflessioni frutto proprio della nostra conoscenza diretta di situazioni a contatto con più di 10.000 giovani e adolescenti per aiutarli a definire un po’ il loro progetto di vita e, a partire da questo, soprattutto per lottare contro un destino di marginalità che tante volte sembra segnato.Pag. 22
  I nostri centri in più di 20 città italiane sono le Scuole della pace per i minorenni dai tre ai dieci anni e i laboratori del movimento Giovani per la pace, che raccolgono invece ragazzi, adolescenti e giovani, delle periferie. Sono tutti collocati nelle periferie, ma credo sia fondamentale osservare la realtà a partire dalle periferie, perché lì si trova a crescere una parte preponderante dei nostri giovani e lì si presentano quelle criticità che rappresentano la sfida per il futuro.
  In periferia vive la popolazione più disagiata e proprio in quartieri meno provvisti di infrastrutture o di servizi si scaricano i nuovi problemi sociali. Penso alla mancata integrazione dei nuovi italiani – chiamerei così i figli degli immigrati che sono nati qui e si sentono italiani – e penso all'assenza di reti sociali, a una violenza diffusa, alla mancanza di legalità e tanto altro.
  Vorrei dire che la periferia rappresenta un osservatorio privilegiato e che questa premessa mi è utile per spiegare che il fenomeno del bullismo è uno degli aspetti, non da oggi, della vita difficile di queste periferie. Noi lo conosciamo e lottiamo da tempo contro questo fenomeno attraverso attività di peer education, di service learning e molte altre che non ho il tempo di illustrare. Tuttavia, vorrei dire che la violenza in genere e il bullismo in particolare sono tante volte una realtà quotidiana di queste periferie degradate e che sono stati a lungo tollerati perché considerati un po’ endemici.
  Ciò che ha cominciato a preoccupare è che questa violenza da qualche anno a questa parte è divenuta un fenomeno diffuso anche nei quartieri e nelle scuole «bene» delle nostre città. Inoltre, con l'arrivo di internet e delle nuove tecnologie il fenomeno si diffonde in tutti gli strati sociali, si amplifica e si presenta in modo nuovo.
  Vorrei sottolineare che fra i diversi fattori che entrano in gioco mi sembra che il principale sia l'assenza di autorevolezza da parte delle agenzie educative, ossia i genitori, gli insegnanti, gli adulti in generale. Ciò accade particolarmente nella fascia di età fra gli undici e i tredici anni che fra l'altro, secondo un recente report dell'Istat del 15 dicembre scorso, è la fascia di età che è più oggetto di fenomeni di bullismo.
  Inoltre, sappiamo che l'adolescenza è il periodo forse più complesso della vita in cui si assiste a una riduzione del dialogo con gli adulti e si accentua quella tendenza individualista che fa vivere i ragazzi isolati o in gruppo e che rischia di mettere a repentaglio la loro crescita. Molti studi individuano l'ampiezza di questo fenomeno che, com’è evidente, non è un fatto residuale. In merito, vorrei dire che quello che diviene notizia tante volte, però, è più la punta di un iceberg.
  Vorrei sottolineare che le scuole spesso sono teatri di episodi gravi, senza che gli adulti intervengano, che correggano o che educhino. Purtroppo nelle scuole, quando la violenza oltrepassa il livello di guardia, si fanno intervenire le forze dell'ordine o si fanno intervenire i servizi sociali. Questo tante volte è davvero la punta dell’iceberg.
  Spessissimo noi ci troviamo di fronte a un problema educativo generalizzato che ha il suo elemento in una socialità su cui gli adulti non operano dal punto di vista educativo e dell'accompagnamento di questi adolescenti.
  Inoltre, queste vittime predestinate sono i più deboli. Vorrei sottolineare che spesso si tratta degli immigrati o dei disabili. Sono tanti gli episodi a questo riguardo e vorrei soltanto dire che una ricerca dello scorso giugno del Pew research center ha individuato l'Italia rispetto ad altri cinque Paesi europei (la Francia, la Polonia, la Gran Bretagna, la Spagna e la Germania) come il Paese con l'atteggiamento più razzista verso i rom e verso i musulmani che ormai sono piuttosto numerosi dentro le nostre scuole. È qualcosa, quindi, che noi verifichiamo con triste quotidianità.
  In alcune scuole le ingiurie, le offese e le discriminazioni verso i piccoli rom o contro i «nuovi piccoli italiani» diventano il pane quotidiano insieme alle lezioni scolastiche, per cui il bullismo si colora Pag. 23con grande facilità di razzismo. Certo, si tratta di un razzismo banale o che potremmo definire «banalizzato». Tale razzismo mette alla berlina le diversità del compagno, ridicolizza gli aspetti della sua vita quotidiana eccetera. Potremmo dire che si tratta di un razzismo di circostanza alimentato anche dalle semplificazioni veicolate dai media.
  In merito, cosa si può fare ? Non sempre nelle scuole si reagisce in maniera adeguata – io credo – e lo dico a partire dalla nostra esperienza, soprattutto nelle periferie. Magari si allontanano i ragazzi momentaneamente con una punizione che non incide realmente nella loro coscienza, senza un dialogo serio e senza mettere in campo iniziative di educazione alla diversità.
  Adesso assistiamo a un nuovo fenomeno che viene chiamato «apprendimento parentale». Per un ragazzo in difficoltà o un bullo della scuola media viene incoraggiata la famiglia ad accettare l'apprendimento parentale, per cui il ragazzo viene ritirato dalla scuola. Chi si occuperà del suo itinerario scolastico ? Se ne occuperanno i genitori, spesso analfabeti, il che è una follia.
  Certo, sono da apprezzare moltissimo, nelle proposte e nei disegni di legge che ho potuto visionare, i riferimenti a queste misure preventive e al coinvolgimento delle scuole nell'individuazione di misure educative e di percorsi educativi per gli infraquattordicenni, ma quello che io ritengo sia ancor più necessario è che la comunità educativa che è intorno ai ragazzi si assuma le sue responsabilità.
  Riguardo al cyberbullismo vorrei ricordare la grande diffusione dell'uso del cellulare fra gli undici-diciassettenni ormai si calcola sia dell'82,7 per cento perché tanti sono i nostri undici-diciassettenni che sono in possesso del cellulare e che usano internet e vorrei fare alcune osservazioni a questo riguardo.
  Spesso chi è oggetto di cyberbullismo vive come in un incubo e sente questa ingiuria come un'ingiuria che rimane per sempre, che è visibile a tutti e che toglie diritto alla sua stessa vita. Sembra che questi adolescenti siano in un mondo senza regole o meglio dove le regole le fa il branco, per cui gli adulti sono esclusi da queste piazze virtuali, non ci sono mediazioni di istanze educative e si consumano quelle violenze in cui la legge è fatta dal più aggressivo e dal più forte.
  Alcune caratteristiche vorrei sottolineare di questo discorso del cyberbullismo che noi verifichiamo.
  La prima è che la velocità non facilita le reazioni equilibrate e che, allo stesso tempo, quell'azione ingiuriosa spesso è perenne sulla rete.
  La seconda cosa è la polarizzazione delle conversazioni o delle situazioni. Questa tendenza facilita l'estremizzazione, quindi con rapidità si arriva alla violenza verbale.
  Il terzo discorso che vorrei sottolineare è l'effetto alone: tutti dicono così e tutti fanno così, per cui ci si adegua alla massa che si coalizza contro qualcuno.
  A questo riguardo, vorrei dire che la vastità e la pervasività del fenomeno richiedono che gli interventi principali siano appunto di tipo educativo. L'effetto alone è la conseguenza tipica del bisogno che gli adolescenti avvertono di uniformarsi per non essere a loro volta oggetto di spiacevoli attenzioni del gruppo. Inoltre, in una realtà in cui non si educano i ragazzi a comprendere e a vivere la diversità, il web amplifica i fenomeni di conflitto, li estremizza, li perennizza e aggrava la situazione delle vittime.
  Per tale motivo vorrei sottolineare un altro aspetto. In questa fascia di età noi assistiamo a quello che viene chiamato «analfabetismo emotivo». Gli adolescenti non sono in grado, e tante volte non sono aiutati, a comprendere le proprie emozioni, a contenerle e a elaborarle. Questo in generale avviene normalmente in un dialogo educativo con gli adulti, ma questo dialogo si fa sempre più difficile e spesso gli adolescenti si trovano soli.
  Io ritengo che sia necessario che gli attori del sistema educativo si mettano in gioco considerando una propria responsabilità la crescita etica ed emotiva di questi ragazzi, non solo l'apprendimento di nozioni specifiche. Non sono tematiche che Pag. 24possono essere relegate a esperti che collaborano con la scuola o con la famiglia, ma ogni adulto che coopera all'educazione dei bambini e dei ragazzi si deve assumere questa responsabilità.
  Noi crediamo molto nell'educazione e nella cultura e per questo vorrei tornare sull'importanza del fatto che anche nel dettato della legge siano previsti compiti specifici delle scuole e percorsi di coinvolgimento degli insegnanti che li preparino ad affrontare queste realtà che ormai sono diffuse in tutte le nostre scuole.
  Vorrei aggiungere solo tre punti per concludere.
  Qual è la strada da percorrere ? Bisogna sensibilizzare gli adulti, quindi non minimizzare e non considerare gli episodi solo scherzi di ragazzi, e sensibilizzare i genitori che spesso sono estranei alle vicende e si trovano tagliati fuori dal riserbo dei ragazzi, quando sono vittime, o anche dalla vergogna di essere scoperti quando sono artefici. Poi, bisogna sensibilizzare i professori e tutte le figure scolastiche valorizzando la figura dell'insegnante che può rispondere a questo bisogno di punto di riferimento autorevole da parte dei ragazzi. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Gullotta.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PAOLO BENI. Grazie. Vorrei fare una domanda che in realtà è rivolta a tutti.
  Voi tutti avete ricevuto e avete visto le cinque proposte di legge che sono all'esame e indubbiamente siete stati molto chiari. Su alcuni aspetti avete notato le diversità di approccio e soprattutto mi sembra che vi siete espressi molto chiaramente sulla diversità più forte di approccio fra le proposte che privilegiano la dimensione sanzionatoria e penale e quelle che privilegiano, invece, la dimensione della prevenzione, degli aspetti educativi e del ruolo dell'istituzione scolastica eccetera.
  C’è un aspetto che credo sia un nodo non marginale che noi dobbiamo sciogliere nel lavoro che dovremmo proseguire di rielaborazione di un testo da queste cinque proposte. Inoltre, ai fini dell'utilità della legge, è fondamentale circoscrivere il perimetro nell'ambito del quale la legge intende agire e definire il fenomeno. Io ritengo che la definizione – in alcune proposte è nell'articolo 1 -sia la parte fondamentale.
  Voi – la domanda è questa perché già qualcuno di voi si è pronunciato in merito – fareste, a cominciare dal titolo della legge, una legge sul bullismo anche informatico, come qualcuno dice, e sul cyberbullismo oppure vi occupereste in questa norma soltanto dei fenomeni di bullismo attraverso l'uso della rete, cioè del cyberbullismo ? Vorrei sapere cosa ne pensate di questo dubbio che a me non sembra affatto peregrino.

  VANNA IORI. Anch'io vorrei sottolineare un aspetto e fare una domanda.
  La sottolineatura riguarda il fatto che mi hanno particolarmente colpito, nella totalità degli interventi di oggi, l'interesse e l'accentuazione della dimensione emotiva perché qui stiamo parlando di violenza psicologica prevalentemente e, quindi, che cosa l'ha originata e che cosa si può fare per contenerla o per – uso una brutta parola, inadeguata – «gestirla» o comunque per farle fronte. Lo dico perché il bullismo e il cyberbullismo sono forme di aggressività e di violenza psicologica premeditata che hanno una dimensione di gruppo, quindi non è una violenza individuale.
  Questo mi sembra un primo aspetto su cui vorrei fare anche la domanda. Non è mai soltanto un singolo contro un singolo, i gruppi «contro» che riguardano...

  PRESIDENTE. Tutti e due.

  VANNA IORI. Certo, tutti e due, però dal punto di vista normativo e sanzionatorio mi preoccupa molto la possibilità di dirimere la dimensione di gruppo. Per esempio il discorso della scuola e delle sanzioni scolastiche rientra in quest'ambito, ma anche tutte le altre realtà educative, Pag. 25a partire da quelle sportive che sono spessissimo luoghi di fenomeni di bullismo, e anche gli oratori che dovrebbero essere luoghi educativi e che spesso, così come la scuola, sono invece luoghi in cui si verificano fenomeni di bullismo. Questo, secondo me, è importante.
  Vorrei chiedere anche alcuni chiarimenti in merito a un aspetto che ha attirato la mia attenzione anche nella stesura delle mie due proposte di legge. Il fatto che si tratti di un reato che prevalentemente è di un minore verso un minore credo che sia un nodo particolarmente delicato, per cui vi chiedo – e interrogo in questo senso soprattutto i giuristi – che cosa differenzia un intervento sanzionatorio di un minore su un minore rispetto a quello di un adulto nei confronti del minore.

  PRESIDENTE. Cedo la parola all'avvocato Anna Livia Pennetta della sede di Novara di CamMiNo e referente della Regione Piemonte.

  ANNA LIVIA PENNETTA, presidente della sede di Novara di CamMiNo e referente della Regione Piemonte. Approfitto della domanda che era stata...

  PRESIDENTE. Per motivi di microfono, chiedo a tutti i presenti di parlare sempre alla Presidenza.

  ANNA LIVIA PENNETTA, presidente della sede di Novara di CamMiNo e referente della Regione Piemonte. È stato chiesto prima per quale motivo intitolare le varie proposte di legge alla lotta al cyberbullismo, invece che al bullismo o a entrambi.
  Effettivamente il cyberbullismo non è altro che una forma di bullismo dove cambia esclusivamente il mezzo o i mezzi. Questo è anche il motivo per il quale abbiamo indicato nelle nostre osservazioni la necessità di non individuare i vari mezzi telematici e digitali perché oggi noi ne conosciamo alcuni, domani chissà quanti ne verranno inseriti. Si rischierebbe oltretutto di avere una normativa che non riuscirebbe a coprire tutte le forme di bullismo attraverso determinati sistemi informatici e digitali, quindi, volendo, potrebbe anche essere una proposta di legge che indichi il bullismo perché poi rientrerebbe anche il cyberbullismo.
  Vi leggo la definizione che abbiamo indicato nella nostra proposta in poche parole. Per bullismo si intendono «fatti, atti e comportamenti agiti da minorenni nei confronti di altri minorenni che, anche se non costituiscono con un reato, offendono la dignità di questi ponendoli in una situazione di marginalizzazione, dileggio e ridicolizzazione sociale». Per cyberbullismo si intendono «gli stessi atti e comportamenti agiti con strumenti telematici e informatici».
  Questo potrebbe essere una risposta che magari può anche sembrare poco specifica e generica, ma che consentirebbe di poter affrontare le varie problematiche applicative e di tipo amministrativo e giudiziario per parecchi anni.
  In base alle nostre osservazioni – già la collega Ruo ha esposto molte delle riflessioni – posso dire che sicuramente noi ci ritroviamo in un periodo di grande emergenza educativa che riguarda i minori. Si parla, però, anche delle varie agenzie...

  PRESIDENTE. Persone di età minore.

  ANNA LIVIA PENNETTA, presidente della sede di Novara di CamMiNo e referente della Regione Piemonte. Ha ragione. Si tratta di minorenni.
  Come stavo dicendo, siamo in un periodo di un'emergenza educativa, per cui il focus è sui minorenni. Tuttavia, dobbiamo tener presente che nella «lotta» – chiamiamola in questo modo – al bullismo e al cyberbullismo devono essere prese in considerazione tutte le varie agenzie formative, quindi ci si è espressi sulla responsabilità della famiglia, della scuola e del sociale, visto che adesso si parla anche di sociale.
  Per quanto concerne la responsabilità della scuola, ho notato prima che in un intervento se ne parlava come di un peso obiettivamente molto forte. Io vorrei ricordare Pag. 26che abbiamo una norma del codice penale che prevede la responsabilità penale del dirigente scolastico, in quanto pubblico ufficiale, quindi è necessario che anche il mondo adulto acquisisca e diventi cosciente delle varie responsabilità.
  Nel sociale, per esempio, una grande responsabilità è data anche dalla stampa. In merito, non appare nulla, però un riferimento, per esempio alla responsabilità dei media, penso che sia appunto molto importante, cioè non parlare soltanto di fatti negativi, come per esempio oggi è successo. Per quanto riguarda la ragazzina di Pordenone sicuramente andranno a cercare che cosa è successo nella famiglia – poi, capita – perché bisogna cercare di infarcire l'articolo.
  Bisogna far sapere, informare e comunicare che ci sono mezzi e risorse per poter fronteggiare il fenomeno, quindi sia i minori che le famiglie possono essere aiutati perché le risorse ci sono nel mondo il civile.
  Abbiamo anche una necessità che forse non appare – a me sembra – sulla riparazione della sofferenza del danno subìto dalla vittima. Molto probabilmente andrebbe inserito un riferimento anche a quest'aspetto che nel procedimento penale minorile si può raggiungere.
  Inoltre, anche sotto il profilo amministrativo vi possono essere dei percorsi di conciliazione. Alcuni sono già stati attuati, ma per ora sono una «perla» della realtà piemontese. Vengono messi in gioco ragazzi, classi, scuole e famiglie in un percorso di riconciliazione in cui l'aggressore non si limita a chiedere scusa, ma fa appunto tutto un percorso che può durare anni e che si conclude con la restituzione di questo percorso riconoscendo alla vittima l'offesa subita di fronte alla scuola, ai genitori e agli insegnanti, quindi è di particolare interesse considerare che ci sono queste realtà che non sono state previste.

  PRESIDENTE. Chi è intervenuto il primo ciclo farà arrivare altre osservazioni scritte o in privato può aiutarci a elaborare un pensiero più compiuto.
  Do la parola alla dottoressa Pagano, se vuole intervenire, per la replica o anche per confermare quello che ha già detto.

  OLIVIA PAGANO, referente CISMAI regione Lazio. Confermo quanto ho già detto e confermo anche l'idea emersa rispetto alla domanda sul titolo, nel senso che sicuramente è una declinazione del bullismo, quindi voi potreste trovare una definizione oppure possiamo ragionarci insieme. Credo che la definizione sia importante, quindi anche noi, magari come CISMAI, vi manderemo qualche cosa di scritto.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola al dottor Maggi, vorrei porre all'attenzione comune una domanda.
  Tutti i dispositivi di legge tendono a prefigurare comunque l'introduzione di un nuovo reato, mentre più o meno tutti gli interventi, anche di oggi pomeriggio, tendono a porre il problema in altri termini, sicuramente in termini educativi e in termini preventivi, anche ai fini del discorso della riparazione. Pertanto, una cosa è configurare partendo mentalmente dall'introduzione di una nuova fattispecie di reato, altra cosa è il fatto che la riparazione del danno fa parte di un percorso riabilitativo ed educativo.
  In merito, vi chiedo quale secondo voi può essere lo strumento in cui la riparazione comprenda un percorso di riannodamento di fili e di relazioni, quindi anche di comprensione, di perdono e di amicizia. Ve lo chiedo perché, se noi ragioniamo in termini di riparazione e in termini giuridici, noi non introdurremmo mai questo elemento. Tuttavia, se noi ragioniamo in un altro modo, tale elemento diventa uno degli strumenti più normali per il superamento del problema, quindi anche del superamento di una delle cause del problema che è l'atomizzazione sociale.
  Vorrei un parere, anche di chi ancora deve intervenire, in merito a questa osservazione che poi ovviamente il relatore raccoglierà.

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  MAURO MAGGI, educatore scolastico del gruppo Abele. Mi sembra che lo specifico della violenza online davvero travalichi l'elemento dell'età anagrafica. Quest'aspetto secondo me è determinante. Vi chiedo che cosa capita invece a un adulto nel caso della diffamazione online e se questa può essere equiparata al bullismo dei giovani.
  Mi domando se questo tipo di percorsi potrebbero travalicare l'elemento dell'età anagrafica e se in questi la scuola potrebbe essere un attore nuovo in cui si attivano dei percorsi in cui giovani e adulti si incontrano su questo piano.
  Inoltre, mi chiedo se ci sono dei percorsi formativi rispetto a una possibile sanzione. Certo, bisognerebbe pensarci ed è una domanda interessante a cui rispondere in termini educativi.
  Secondo me il campo da gioco è molto più labile rispetto al tema «giovani di minore età» perché i minorenni imparano quello che vedono negli adulti. Su questo piano credo che sia fortissimo l'impatto dell'educazione data dal mondo adulto e dell'incapacità di risolvere le questioni in maniera pacifica. Credo che siamo stati dei cattivi maestri per tanti anni e che i ragazzi imparino questo atteggiamento anche all'interno dei contesti scolastici perché non sempre gli insegnanti tra loro vanno d'accordo o è tutto a posto. Spesso accade il contrario.
  Anch'io sottolineo l'elemento della dimensione emotiva come un elemento di lavoro e di approccio perché tocca delle corde veramente profonde e perché credo sia l'aspetto che, nel caso della rielaborazione solitaria di un ragazzo nella propria stanza col cellulare in mano, magari di notte, può creare i veri problemi. Voglio dire che, se la dimensione emotiva è quella che mi spinge a fare delle cose grandissime, può essere anche un elemento che mi spinge a fare delle cose molto problematiche per la propria persona.
  Credo che questo elemento vada rielaborato in contesti di gruppo. Non so se un insegnante, o, a maggior ragione, un allenatore sportivo abbia le competenze adeguate, quindi la formazione adulta credo che sia un elemento da non sottovalutare.

  PRESIDENTE. Vi chiedo se qualcuno, del secondo ciclo degli auditi, ha da aggiungere qualcosa.

  ADRIANA GULLOTTA, coordinatrice della sezione minori della Comunità di Sant'Egidio. Grazie, Presidente. Vorrei provare a rispondere a qualcuna di queste domande e poi alla domanda del Presidente...

  PRESIDENTE. Telegraficamente.

  ADRIANA GULLOTTA, coordinatrice della sezione minori della Comunità di Sant'Egidio. Io credo che il cyberbullismo sia un aspetto – non sempre il più eclatante – del discorso del bullismo, quindi fa parte di questo fenomeno.
  Noi saremmo contrari all'introduzione di una nuova fattispecie di reato perché veramente le leggi che ci sono già sono sufficientemente adatte a contrastare il fenomeno. L'impressione che noi abbiamo è che c’è una carenza di responsabilità della comunità educativa intorno al minorenne e che questi ragazzi sono tendenzialmente lasciati soli.
  Vorrei fare un'osservazione sul discorso del gruppo o del singolo, quale autore dell'atto di bullismo. Spesso il singolo è colui che agisce, ma ha alle sue spalle una schiera di osservatori silenziosi che sono quelli che poi lo istigano, quindi spesso il singolo che è l'autore dell'atto di bullismo è anche una vittima.
  In base alla nostra esperienza riteniamo necessario ricreare – credo di rispondere alla domanda del presidente Marazziti – delle nuove relazioni sociali, cioè creare una nuova capacità per i ragazzi di imparare a vivere insieme e di avere delle relazioni sociali tra pari senza violenza in cui anche la diversità sia accettata. Questa è nostra strada ed è la strada educativa che crediamo sia assolutamente necessaria perché tante volte queste forme e questi atteggiamenti di bullismo non sono altro Pag. 28che il frutto dell'esperienza di una solitudine e della ricerca di questi ragazzi di creare delle regole da soli.

  MARIA GIOVANNA RUO, presidente nazionale dell'Associazione «CamMiNo» – Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni. Proverò a fare un intervento molto breve.
  È stato chiesto, se i reati già ci sono, a cosa serve definire il bullismo e il cyberbullismo come sua categoria. Vorrei rispondere che non tutti gli atti di bullismo sono reato e i reati sono considerati da una legge penale che prevede già un processo penale minorile all'interno del quale si possono fare dei percorsi. Tuttavia, rimane fuori tutta l'area grigia che non è meno pregiudizievole per i minorenni rispetto all'area nera del reato.
  Questa è la grande novità di questa legge, cioè prevedere gli aspetti amministrativi che forse sono un po’ labili per quanto riguarda la vittima su cui forse bisognerebbe lavorare di più e prevedere di più.
  Rimane fuori tutto ciò che non è imputabile, per cui definire il bullismo e cyberbullismo non serve a tirare fuori una nuova categoria di reato della quale mi sembra che nessuno dei giuristi presenti o dei non giuristi senta il bisogno, quanto a descrivere l'area culturale e educativa per interventi amministrativi, per interventi riabilitativi e per interventi riconciliativi all'interno della quale si può agire con questi strumenti.
  Io lascerei perdere il reato, anche perché, quando c’è anche il reato, risponde già l'autorità giudiziaria.
  Rispetto alla questione degli adulti, vorrei precisare che gli adulti non sono soggetti vulnerabili, salvo che in particolari circostanze. Qui abbiamo a che fare, invece, con soggetti in formazione, per cui è chiaro che hanno necessità di una tutela rafforzata in ragione della loro particolare vulnerabilità.

  PRESIDENTE. La ringrazio e ringrazio tutti gli auditi.
  In realtà, oggi abbiamo fatto un lavoro accurato che credo sia estremamente utile al relatore, alla Commissione Affari sociali e alla Commissione Giustizia. Continueremo i nostri lavori con grande rapidità perché, fuori consuetudine, lavoriamo sotto una grande pressione mediatica. Questo può spiegare certe enfatizzazioni e certe approssimazioni.
  Certo, noi commissari e membri del Parlamento – mi riferisco a chi parla e a chi è presente – sappiamo che, se possiamo, dobbiamo lanciare un messaggio di rassicurazione al Paese dicendo che stiamo lavorando seriamente anche sul cyberbullismo, su tutto il fenomeno del bullismo e sui nuovi aspetti del cyberbullismo. Inoltre, è importante reagire a qualunque titolo che parli di cyberbullismo – questo purtroppo è quello che arrivato alle cronache – perché c’è una sofferenza di tanti minori fragili che è immensa, infinita e innumerevole e che tante volte non è neanche cyber. Dobbiamo stare attenti nella comunicazione e nel modo di parlarne.
  Vi chiediamo di mandarci tutte le vostre dichiarazioni e di rimanere in contatto. Grazie.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.45.