XVII Legislatura

Commissioni Riunite (II e IV)

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 10 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vito Elio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO C. 2893 , RECANTE DL 7/2015: MISURE URGENTI PER IL CONTRASTO DEL TERRORISMO, ANCHE DI MATRICE INTERNAZIONALE, NONCHÉ PROROGA DELLE MISSIONI INTERNAZIONALI DELLE FORZE ARMATE E DI POLIZIA, INIZIATIVE DI COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO E SOSTEGNO AI PROCESSI DI RICOSTRUZIONE E PARTECIPAZIONE ALLE INIZIATIVE DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI PER IL CONSOLIDAMENTO DEI PROCESSI DI PACE E DI STABILIZZAZIONE

Audizione di Angela Del Vecchio, Ordinario di diritto dell'Unione europea presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli di Roma (LUISS).
Vito Elio , Presidente ... 3 
Del Vecchio Angela , Ordinario di diritto dell'Unione europea presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli di Roma (LUISS) ... 4 
Vito Elio , Presidente ... 7 
Artini Massimo (Misto-AL)  ... 8 
Vito Elio , Presidente ... 8 
Villecco Calipari Rosa Maria (PD)  ... 8 
Tofalo Angelo (M5S)  ... 9 
Vito Elio , Presidente ... 9 
Del Vecchio Angela , Ordinario di diritto dell'Unione europea presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli di Roma (LUISS) ... 9 
Vito Elio , Presidente ... 10 

Audizione di Roberto Sgalla, Direttore centrale per la Polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato:
Vito Elio , Presidente ... 10 
Sgalla Roberto , Direttore centrale per la Polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato ... 10 
Vito Elio , Presidente ... 13 
Artini Massimo (Misto-AL)  ... 13 
Tofalo Angelo (M5S)  ... 13 
Farina Daniele (SEL)  ... 14 
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 14 
Manciulli Andrea (PD)  ... 14 
Vito Elio , Presidente ... 14 
Sgalla Roberto , Direttore centrale per la Polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato ... 15 
Apruzzese Antonio , Direttore del servizio Polizia postale e delle comunicazioni ... 15 
Vito Elio , Presidente ... 16 

Audizione di Aldo Giannuli, Professore di storia del mondo contemporaneo presso l'Università statale di Milano:
Vito Elio , Presidente ... 16 
Giannuli Aldo , Professore di storia del mondo contemporaneo presso l'Università statale di Milano ... 16 
Vito Elio , Presidente ... 18 
Pagano Alessandro (AP)  ... 18 
Giannuli Aldo , Professore di storia del mondo contemporaneo presso l'Università statale di Milano ... 19 
Vito Elio , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA IV COMMISSIONE ELIO VITO

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Angela Del Vecchio, Ordinario di diritto dell'Unione europea presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli di Roma (LUISS).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno delle Commissioni riunite Giustizia e Difesa reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge del Governo C. 2893, recante DL 7/2015: Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, l'audizione della professoressa Angela Del Vecchio, ordinario di diritto dell'Unione europea presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli di Roma (LUISS).
  Cominciamo, colleghi, dando il benvenuto e ringraziando i nostri ospiti per la disponibilità a partecipare ai nostri lavori, con l'audizione della professoressa Angela Del Vecchio.
  Professoressa Del Vecchio, come lei sa, il Parlamento sta svolgendo un lavoro di approfondimento sulla vicenda dei due fucilieri di Marina da oltre tre anni detenuti, o trattenuti in vario modo, in India.
  In particolare, nel precedente decreto-legge di proroga delle missioni internazionali è stata introdotta una norma che prevedeva che la nostra partecipazione alle missioni internazionali antipirateria fosse valutata dal Parlamento proprio in relazione agli sviluppi della vicenda dei due fucilieri di Marina. Peraltro, anche in questi giorni ci sono stati ulteriori sviluppo che poi valuteremo. In particolare, il Governo, nelle sue valutazioni, ha riproposto solo la partecipazione del nostro Paese alla missione internazionale antipirateria Atalanta dell'Unione europea.
  Quello che è nostro interesse, in sede di conversione, è, naturalmente, conoscere la sua opinione, quale esperta di diritto internazionale, sullo stato della vicenda e anche in relazione alla nostra prosecuzione nelle missioni antipirateria.
  Concludo, nel darle la parola, ricordando anche che più volte il Parlamento si è già espresso sulla possibilità di avviare la procedura dell'arbitrato internazionale, votando e approvando un ordine del giorno all'unanimità che impegnava il Governo in tal senso.
  Do la parola alla professoressa Del Vecchio. Al termine dell'intervento della professoressa sarà possibile rivolgere, naturalmente, brevi domande, alle quali la professoressa replicherà. Ricordo a tutti che dobbiamo poi svolgere altre due audizioni, Pag. 4concludendo i nostri lavori entro le 15, quando riprenderanno le votazioni in Assemblea.

  ANGELA DEL VECCHIO, Ordinario di diritto dell'Unione europea presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli di Roma (LUISS). Grazie, presidente, per l'onore che mi avete fatto invitandomi a quest'audizione. Cercherò di portare via poco tempo e di mettere in luce gli elementi principali.
  Il quadro generale è che noi abbiamo alcune risoluzioni del Consiglio di sicurezza obbligatorie, perché prese nell'ambito del capitolo VII, che riguardano le missioni internazionali. La questione che concerne la mia audizione è quella dei due marò, che si inserisce nell'articolo 13, comma 3, del decreto-legge, che prevede le missioni militari in Africa.
  Il problema si riassume nella seguente maniera. Come ha già detto il presidente, sono più di tre anni che i due marò sono bloccati in India. Praticamente, ancora non abbiamo il quadro esatto di quale tribunale debba giudicarli, perché la sentenza della Corte suprema indiana, nel gennaio del 2013, aveva stabilito che la Corte suprema indiana non era competente e che bisognava istituire un tribunale speciale.
  Già allora l'Italia avrebbe potuto cogliere al volo l'occasione, perché, se non è competente il massimo organo giurisdizionale di un Paese e ci vuole un tribunale speciale, il tribunale non può che essere un tribunale internazionale. Diversamente, non si vede perché un tribunale speciale dovrebbe essere costituito all'interno di un Paese.
  Il problema è fermo. Non ci sono, neanche oggi, con queste ultime notizie delle agenzie stampa, evoluzioni da parte dell'India, anche se sembrava che la diplomazia fosse riuscita in qualche modo a fare passi avanti.
  Quello che va detto è che la diplomazia ha lavorato già per tre anni. Tre anni sono un tempo lungo per la diplomazia stessa e per la soluzione di una controversia che sta diventando sempre più complessa. Pertanto, bisogna passare a trovare altri strumenti di soluzione.
  Più la controversia va avanti, più presenta profili problematici, perché a questo punto noi abbiamo, come tutti voi sapete, uno dei due marò, Massimiliano Latorre, che è in Italia e l'altro che è rimasto in India. Se noi non rinviamo Latorre in India, qual è lo scenario ?
  Lo scenario è questo. Quando sono stati rimandati indietro i due marò per le vacanze natalizie, il nostro ambasciatore ha dovuto firmare un affidavit, un giuramento, una sorta di garanzia, in cui si assicurava il rientro in India dei due marò. Attualmente, però, l'ha dovuto fare ancora una volta per riportare in Italia Latorre per l'intervento chirurgico cui doveva sottoporsi. Pertanto, abbiamo un'altra volta la situazione di un impegno preso dall'ambasciatore in quanto rappresentante dello Stato italiano, non come ambasciatore Mancini, ad assicurare il rientro in India del marò.
  Le ipotesi, a questo punto, quali sono ? Latorre rimane in Italia. Se Latorre rimane in Italia, noi abbiamo due problemi.
  In primo luogo, si crea un incidente diplomatico, com'era già successo la prima volta, questa volta con l'aggravamento che uno dei due marò è rimasto in India, bloccato nell'ambasciata italiana, e che, quindi, ci possono essere delle ritorsioni su di lui. Potrebbero, per esempio, trasferirlo nelle carceri indiane, che non sono il top della situazione, oppure prendere altri provvedimenti.
  In secondo luogo, si potrebbe verificare il ripetersi dell'increscioso problema di natura giuridico-internazionale che riguardò l'ambasciatore italiano. Infatti, l'ambasciatore italiano, dopo l'annuncio, nel marzo 2013, del mancato rientro dei due marò in India, fu bloccato. Il Ministero degli affari esteri indiano emanò un'ordinanza per cui non poteva spostarsi e fu dichiarato personalmente responsabile di questi fatti. Vedremo poi in base a quali norme, perché le norme internazionali che permettevano questo atteggiamento all'India non ci sono, anzi, dicono proprio tutto il contrario.Pag. 5
  La prima conseguenza all'incidente diplomatico – che è molto poco probabile, ma che dobbiamo prendere in esame, perché è una reazione che nel diritto internazionale noi troviamo – è la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. È un gesto molto simbolico, che si fa generalmente, perché crea grande scalpore, ma poche conseguenze. In ogni modo, è un gesto molto significativo. Non credo che si vada verso questa strada.
  Qual è la misura da adottare subito per risolvere questo caso ? Si è parlato molto di un'iniziativa internazionale diplomatica europea. Questa iniziativa c’è stata di recente da parte del Parlamento europeo.
  Come tutti ricorderete, lo scorso 12 gennaio, per la prima volta in via ufficiale, il Parlamento europeo ha chiesto il rimpatrio dei due marò in Italia e ha incoraggiato l'Alto Rappresentante europeo, Federica Mogherini, a intraprendere tutte le misure necessarie al raggiungimento di una soluzione equa, rapida e soddisfacente. Finora, però, a parte questa grande enunciazione, non c’è stato alcun altro passaggio. Non abbiamo avuto alcun risultato da questa iniziativa del Parlamento europeo.
  Valutiamo, dunque, quello che sin dall'inizio era forse, dopo i primi mesi di tentativi diplomatici, lo strumento che a disposizione dell'Italia. Qui si tratta di un conflitto fra due giurisdizioni interne. L'Italia ritiene di avere competenza a giudicare i due marò per verificare se essi siano responsabili, colpevoli dell'incidente provocato, in quale misura e in quali proporzioni. L'India, da parte sua, dice di essere competente a giudicare i due marò, in quanto hanno ucciso due cittadini indiani. Gli indiani, infatti, sostengono, in base a dei princìpi di Common Law sui quali non mi soffermo, di avere la competenza.
  Nel diritto internazionale, quando c’è una controversia fra due giurisdizioni, cioè tra competenze di due Stati, questa non la risolve lo Stato A o lo Stato B. Bisogna ricorrere a un arbitro terzo e imparziale e, quindi, a un tribunale internazionale.
  In questo scenario il tribunale internazionale che noi possiamo adire, e che possiamo adire unilateralmente immediatamente, è il Tribunale internazionale del mare, dando applicazione attraverso di esso al ricorso all'arbitrato obbligatorio previsto nell'allegato VII della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.
  Questo arbitrato è obbligatorio perché è previsto nella Convenzione sul diritto del mare proprio per risolvere le controversie fra due Stati che non abbiano scelto il medesimo organo giurisdizionale, come è il caso dell'Italia e dell'India. Abbiamo scelto due organi giurisdizionali diversi per risolvere le controversie, anzi, diciamo meglio: l'India non ha scelto alcun organo giurisdizionale, è stata solo l'Italia che ha scelto un organo giurisdizionale.
  In questo caso la Convenzione sul diritto del mare prevede che, in mancanza di scelta comune dell'organo giurisdizionale competente a risolvere le controversie, si debba fare ricorso all'arbitrato obbligatorio previsto dall'allegato VII. Questo arbitrato si può mettere in atto molto rapidamente.
  Preliminarmente al ricorso all'arbitrato bisogna aver esperito tutti i tentativi di soluzione diplomatica, che noi abbiamo esperito per oltre tre anni. Queste consultazioni reciproche, questi passaggi li abbiamo fatti tutti, come risulta da un'ampia documentazione e da diverse note verbali, quantomeno del Ministero degli affari esteri. Questo passaggio obbligato noi l'abbiamo fatto.
  Che cosa si può fare ? L'arbitrato obbligatorio prevede l'istituzione di un tribunale arbitrale. Si tratta di una procedura molto semplice, perché la parte attrice, in questo caso l'Italia, può inviare alla parte convenuta, ossia all'India, una notificazione scritta, accompagnata dall'esposizione della domanda e dall'indicazione di un arbitro.
  In tempi molto brevi, trenta giorni, l'India deve a sua volta nominare un arbitro e rispondere alla notifica dell'Italia. Se la nomina non viene effettuata – si può pensare che accada; l'India può sostenere Pag. 6di avere la propria Corte suprema – non c’è problema, perché questo è un arbitrato obbligatorio. L'India ha firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, come l'ha firmata l'Italia. L'hanno entrambe ratificata. Queste sono norme obbligatorie, che non possono essere discusse.
  Se entro i trenta giorni dalla ricezione della notifica l'India non nomina l'arbitro, l'Italia può chiedere al presidente del Tribunale internazionale del mare, un organo giurisdizionale internazionale, di nominare un arbitro per conto dell'India.
  Ancora, il collegio arbitrale deve essere composto di altri tre membri di comune accordo tra le parti. Se questo comune accordo tra le parti – immaginiamo – non si verifica, anche qui il presidente del Tribunale internazionale del mare, su istanza della parte attrice, in questo caso dell'Italia, provvederà a effettuare le nomine degli arbitri. Si costituirebbe, quindi, un tribunale arbitrale anche se l'India fosse completamente contraria, perché questo è previsto nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, proprio nelle controversie più spinose in cui le parti non troverebbero mai gli accordi.
  Il tribunale così costituito può procedere anche in contumacia. Si può, quindi, arrivare a una decisione anche in contumacia della parte convenuta.
  Come vedete, i tempi sono molto ritmati e ben precisi per ogni possibile evenienza.
  Certo, c’è anche l'ipotesi buona, che possiamo sempre tenere presente, che Italia e India concordino una procedura di scelta gradita a entrambe e che si vada, per esempio, davanti alla Corte internazionale di giustizia. Tuttavia, vedendo come sono le situazioni da oltre tre anni, non mi sembra che potremmo avere un accordo.
  Che cosa succede, però ? Voi intanto potrete obiettare che si costituisce il tribunale arbitrale, ma che, come è stato scritto, un arbitrato richiede tempi lunghi. Sì, è vero, prenderà i suoi tempi, come è normale che sia, ma sempre nella Convenzione sul diritto del mare, all'articolo 290, paragrafo 5, è previsto che addirittura nelle more della costituzione del tribunale arbitrale – stiamo in quei famosi trenta giorni, più trenta giorni, più trenta giorni – la parte attrice può domandare delle misure cautelari al Tribunale internazionale del mare.
  Il Tribunale internazionale del mare sospende tutto quello che sta facendo per dare la precedenza a questa richiesta da parte di uno Stato e, infatti, emette la sua decisione entro due settimane dalla richiesta. Anche questi sono tempi molto cadenzati e molto precisi. Le parti della controversia si devono conformare senza indugio alle misure cautelari adottate dal Tribunale internazionale del mare.
  Quale misura cautelare possiamo chiedere ? Che i due marò vengano tolti dalla competenza indiana. Perché ? Perché, se fossero lasciati nell'ambito di competenza dell'India, si darebbe ragione all'India, dicendo in qualche modo che la sua competenza ha qualche motivo di fondamento.
  Lo stesso noi possiamo dire per l'Italia, perché, se lo mandassero da noi, gli indiani direbbero in qualche modo che l'Italia ha ragione. La misura cautelare ha lo scopo, per non aggravare la situazione, di eliminare un elemento della controversia. È plausibile, quindi, che, se seguissimo questa strada, si potrebbe avere come misura cautelare, per esempio, la consegna dei marò a un altro Stato, alla Francia, al Giappone, oppure alla NATO, o a Bruxelles. La scelta dipende da quello che chiederanno gli avvocati.
  Questo rende intanto più facile il giudizio sui due marò, perché, quando non sono coinvolte una pubblica opinione da una parte e una pubblica opinione dall'altra, si spersonalizza il problema.
  Avevamo detto che c'erano due aspetti. Uno era che cosa potremmo fare per tentare di risolvere questo caso. Lo strumento ce l'abbiamo. Tra l'altro, una grande preoccupazione è che si stia perdendo troppo tempo per questo ricorso obbligatorio, perché, più l'Italia continua ad andare avanti alla Corte suprema indiana, più si accetta questa competenza. Domani un tribunale internazionale potrebbe Pag. 7dirci che noi abbiamo fatto acquiescenza, che siamo stati tante volte davanti a questo organo, un organo supremo giurisdizionale in un altro Stato, e abbiamo fatto acquiescenza.
  Questo è molto pericoloso, perché noi abbiamo il diritto internazionale dalla nostra parte. Lo vedo con razionalità. Non lo vedo perché sono italiana, ma perché il diritto internazionale è dalla nostra parte. Tuttavia, ce lo perdiamo se noi continuiamo ad andare davanti alla Corte suprema indiana.
  Il secondo aspetto – e poi credo di aver approfittato troppo della vostra cortesia – è quello che riguarda l'ambasciatore italiano. Se si crea un nuovo incidente diplomatico, l'ambasciatore italiano viene un'altra volta accusato di non avere rispettato un affidavit, ossia questo giuramento che nel diritto anglosassone, che ha ereditato l'India, vale come una promessa.
  Anche qui è stato commesso un grosso errore, se mi permettete di dirlo, dall'Italia. Perché ? Ci sono ben due convenzioni internazionali che proteggono gli agenti diplomatici. L'agente diplomatico che, in questo caso, firma per conto del proprio Stato rappresenta il proprio Stato. Pertanto, se c’è un responsabile, non è l'ambasciatore come persona, ma lo Stato italiano. Uno Stato non può essere convenuto in giudizio davanti alle giurisdizioni nazionali perché c’è una Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, oltre a norme di carattere consuetudinario.
  Quello che ha fatto l'India, sbagliando, l'altra volta è stato dire che l'ambasciatore rispondeva come privato. Anche qui l'India ha fatto un grosso errore, perché ci sono norme di diritto consuetudinario e norme di diritto convenzionale. C’è una convenzione di codificazione, la Convenzione sulle relazioni diplomatiche, che sancisce che il personale diplomatico può essere giudicato soltanto nel proprio Paese.
  Pertanto, l'agente diplomatico gode dell'immunità funzionale per tutti gli atti compiuti nella sua vita privata, perché nella sua vita ufficiale è responsabile lo Stato, non è responsabile lui come persona. Lui, come privato, è coperto dall'articolo 31 della Convenzione sulle relazioni diplomatiche delle Nazioni Unite.
  L'India aveva violato queste due convenzioni. L'Italia avrebbe potuto fare un ricorso unilaterale immediato, perché questo è previsto da un protocollo allegato a queste dichiarazioni, alla Corte internazionale di giustizia.
  In merito si sarebbe dovuta anche sollevare l'opinione pubblica mondiale. Non si può fare a un ambasciatore un simile trattamento, di qualunque Stato sia, perché si mettono in discussione i pilastri della vita dei rapporti internazionali, che risalgono addirittura alla Repubblica Veneta. Sono norme antichissime, che regolano i rapporti tra Stati.
  Il problema oggi davanti a voi è quale soluzione adottare. Io ho cercato di mettervi in luce i problemi e anche le soluzioni che noi abbiamo. Forse ho abusato del vostro tempo, ragion per cui mi fermo qui.

  PRESIDENTE. No, anzi, la ringraziamo per l'ampiezza e la completezza della sua illustrazione, che ci consente di avere degli ulteriori elementi di conoscenza. Il Parlamento, naturalmente, farà le sue valutazioni in merito, in generale, al decreto e, in particolare, agli aspetti di cui ci stiamo interessando con questa sua audizione rispetto alla missione antipirateria.
  Una valutazione, però, ripeto, il Parlamento l'ha già fatta e mi sento, quindi, di riprenderla. Dopo oltre tre anni di privazione della libertà i nostri due fucilieri di Marina, non solo senza che sia stato celebrato loro alcun tipo di processo, ma senza che sia stato sollevato nei loro confronti alcun capo di imputazione e senza che sia stata sollevata alcuna accusa, hanno di fatto già subìto una vera e propria condanna. Tre anni di privazione della loro libertà, dei loro affetti e dei loro cari – lasciamo stare la parentesi per un grave motivo di salute che ora si sta registrando – sono, naturalmente, una misura che noi riteniamo inaccettabile e che non può essere aggravata da un ulteriore Pag. 8prolungamento o da un diversificarsi di misure cautelari.
  Pertanto, la soluzione che noi tutti auspichiamo che si raggiunga al più presto, d'intesa tra il Governo e il Parlamento, è che ai due fucilieri di Marina possa essere al più presto ridata piena e completa libertà, naturalmente con il rientro in Patria.
  Ringrazio e saluto il Sottosegretario, onorevole Scalfarotto, che ha seguito l'audizione.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MASSIMO ARTINI. Io ringrazio la professoressa per due motivi. Uno è più contingente e riguarda la discussione di questo decreto, in particolare la norma a cui faceva riferimento, cioè l'articolo 13, comma 3.
  La ringrazio, però, anche perché, per la prima volta dopo due anni da quando io sono in questo Parlamento – non è la prima volta che affrontiamo il tema dei fucilieri di Marina – abbiamo un po’ più chiare le possibili procedure, anche da un punto di vista di norme internazionali. Fino a oggi né il Governo Monti, né il Governo Letta, né il Governo Renzi ci avevano mai fornito una definizione chiara degli strumenti che potevano essere utilizzati già da ormai un anno.
  Di questo io la ringrazio perché la visione è assolutamente più chiara. Abbiamo dei riferimenti normativi su cui valutare una possibile azione successiva anche con degli atti di indirizzo o con degli ordini del giorno direttamente in questo decreto.
  In merito alla norma in questione, nel precedente decreto – non so se lei ne sia a conoscenza – c'era una disposizione in particolare, ed è il motivo per cui penso che lei sia qui oggi, che ci offriva la possibilità di valutare se effettivamente fosse cambiato ad oggi qualcosa rispetto al processo.
  Dalle sue parole mi sembra di intendere, e spero che questo sia abbastanza condiviso, che non è cambiato niente. Pertanto, la domanda che mi faccio io è: a che titolo il Governo ha comunque previsto il proseguimento della missione Atalanta sia pure oscurando la missione della NATO Ocean Shield, che è stata inglobata nella missione Active Endeavour ? Tale missione, infatti, è nascosta, ma in realtà c’è, perché, se si guardano gli importi della missione Active Endeavour, si vede che non si tratta di un valore proporzionale a nove mesi, ma di un valore che comprende anche la parte di Ocean Shield, che non è esplicitata nel decreto.
  Io ritengo che sia opportuno, durante la fase emendativa che verrà fatta svolta nelle Commissioni, valutare se sospendere la missione Atalanta. Non dico di eliminare il comma, ma di riformularlo in modo tale che la missione sia abilitata, ma sospesa, in attesa di alcune decisioni serie su questa questione.

  PRESIDENTE. Ascoltiamo anche le domande dell'onorevole Villecco Calipari e dell'onorevole Tofalo e la replica della professoressa. Poi passeremo alle altre audizioni. Ricordo che per le 15 dobbiamo concludere.

  ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Grazie, professoressa. Io ho una domanda breve.
  Avendo ascoltato quello che lei ci ha illustrato in merito a una procedura che non sarebbe tanto complessa, non si spiegherebbe perché avremmo perso tre anni, secondo quello che lei dice. Non abbiamo capito che cosa avremmo dovuto fare, ossia che avremmo dovuto subito ricorrere a un arbitrato internazionale.
  La mia domanda è un'altra, però. Lei ha parlato, in relazione all'ambasciatore, della norma relativa all'immunità funzionale. Più volte, anche in merito alla questione dei marò, si è fatto riferimento al ricorso a tale immunità. Dico «anche» perché l'immunità funzionale è già stata usata in un'altra vicenda, relativamente a un soldato americano, come forse lei saprà. Le chiedo se, in questo caso, sia applicabile o meno l'articolo relativo all'immunità funzionale dei nostri marò.

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  ANGELO TOFALO. Sarò breve per motivi di tempi.
  Nel ringraziare la professoressa Del Vecchio, volevo dire che molti si riempiono la bocca dei marò, ma che, per la prima volta, ho sentito un'analisi veramente puntuale e precisa. Vorrei approfittarne per chiedere, se possibile, uscendo dal merito della questione marò, se la professoressa ci può, anche in maniera semplificata – in un minuto o trenta secondi – fornire una sua visione sul pacchetto delle missioni e su tutto il DL antiterrorismo, perché, a mio giudizio, non c’è una visione geopolitica nell'insieme degli articoli.
  Io trovo questo decreto più simile a un continuo gioco da parte del Governo. L'Italia e l'Europa sembrano come un tavolo di Risiko, con le truppe spostate ogni volta, senza una visione d'insieme. Chiedo, quindi, un suo parere su questo tema.

  PRESIDENTE. Professoressa, a lei la parola per la risposta. Ha visto l'interesse che hanno suscitato le sue parole.

  ANGELA DEL VECCHIO, Ordinario di diritto dell'Unione europea presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli di Roma (LUISS). Grazie a voi per queste domande interessanti.
  Per quanto riguarda l'operazione Atalanta, io penso che sia opportuno continuare la missione, perché, a parte il caso dei due marò, la pirateria nelle zone interessate dall'operazione è andata diminuendo in maniera incredibile. Pertanto, la missione ha raggiunto i suoi obiettivi, tant’è vero che adesso i fenomeni di pirateria non si hanno più tanto in quella zona, ma si sono spostati verso la Guinea.
  Questi Paesi, che hanno enormi sacche di povertà e Governi inesistenti, vengono a trovarsi nella tentazione di approfittare della pirateria come mezzo di sostentamento, tant’è vero che noi sappiamo che in Somalia Portland è diventata una zona ricca proprio per via degli atti di pirateria e dei riscatti ottenuti.
  Atalanta è stata utilissima. Pertanto, non partecipare ad Atalanta mi sembrerebbe poco producente. Questo è un mio parere. È un'operazione dell'Unione europea e, peraltro, noi con l'Unione europea abbiamo dei vincoli che sarebbe difficile non rispettare. Il mio parere, quindi, è di continuare.
  Quanto alle immunità funzionali, so che questo è un punto su cui si è molto insistito per il caso dei due marò. Tuttavia, se noi dobbiamo trovare una soluzione, la soluzione che vi ho prospettato io è l'unica possibile, perché la possiamo attivare subito, è unilaterale e permette di istituire un tribunale arbitrale anche con il mancato consenso dell'India e di lavorare anche se l'India non partecipa al processo.
  La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare non prevede nessun caso di immunità funzionale. Questo è uno strumento che noi abbiamo per tutto ciò che riguarda l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione sul diritto del mare.
  L'immunità funzionale noi la potremmo esercitare solo se potessimo andare davanti alla Corte internazionale di giustizia, ma qui ci vorrebbe un accordo tra Italia e India. Non è impossibile, tutto è possibile. Ci vorrebbe un compromesso, ma già un compromesso per una soluzione arbitrale o per un ricorso alla Corte internazionale di giustizia richiederebbe quanto meno due anni. Abbiamo visto che per gli indiani non sono stati sufficienti tre anni per indicare i capi di imputazione.
  Per questo motivo io ho mirato il mio intervento sulla possibilità. In linea teorica possiamo fare tutto, ma quanti anni ci vogliono ? Diventano vecchi i due marò. L'immunità funzionale, per quanto molto valida come forza di argomentazione, non la possiamo utilizzare se vogliamo cercare di risolvere subito il caso. Possiamo utilizzare soltanto le norme che riguardano il diritto del mare – non vi tedio sulle norme tecniche, ma ne abbiamo diverse – non l'immunità funzionale.
  Sul resto la domanda è molto complessa. Questo è un atto in cui noi dobbiamo eseguire degli obblighi internazionali. È una strada molto stretta, perché abbiamo contratto questi obblighi facendo parte delle Nazioni Unite.Pag. 10
  Quando le Nazioni Unite emettono delle risoluzioni in base al capitolo VII, sono decisioni. Le decisioni devono essere rispettate da tutti gli Stati e, quindi, devono essere rispettate, tornando al caso dei nostri due marò, anche dall'India.
  Se leggiamo bene le risoluzioni n. 2170 e n. 2178, tra le prime cose che affermano esortano le parti al rispetto della Convenzione sul diritto del mare per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima. Queste decisioni ci forniscono delle chiare indicazioni.
  Che poi l'Italia abbia assicurato la sua presenza in tanti scenari è vero, ma forse questo fa parte del nostro voler essere una potenza di rilievo. Nell'Unione europea noi siamo fra i primi quattro grandi Stati. I quattro grandi Stati che sono sempre considerati anche ai fini del pondus del voto nell'Unione europea sono la Francia, la Germania, l'Italia e il Regno Unito. Questi, quindi, sono obblighi che un po’ la nostra posizione ci porta ad assumere.
  Certo, se fossimo un piccolo Stato, come Malta, la situazione sarebbe diversa. Malta tante volte si sottrae agli obblighi dell'Unione europea, oppure a obblighi internazionali, perché è un piccolo Stato. Invece, noi, che vogliamo, per esempio, il seggio permanente in seno alle Nazioni Unite e stiamo battendoci da anni per un seggio permanente, possiamo poi dire che non partecipiamo alle missioni ? È una strada un po’ difficile da percorrere.
  Mi scusi se la mia risposta è così breve, ma è quella che posso darle in tempi così rapidi.

  PRESIDENTE. Io la ringrazio molto della cortesia e della disponibilità. Riprendendo quanto aveva affermato l'onorevole Villecco Calipari, il Parlamento si è soffermato anche, più che sulla questione dell'immunità, sull'aspetto che i nostri due fucilieri erano in missione per conto del nostro Stato e svolgevano delle mansioni loro assegnate sulla base di una legge votata dal Parlamento. Hanno diritto, quindi, a veder riconosciuto anche questo aspetto, oltre che a essere considerati pienamente innocenti fino a quando non sarà provata una loro colpevolezza, che, come dicevo, allo stato, non è ancora nemmeno in vista di poter essere provata, fermo restando che stanno già scontando in queste condizioni una dura pena.
  La ringrazio, professoressa.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di Roberto Sgalla, Direttore centrale per la Polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge del Governo C. 2893, recante DL 7/2015: Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, l'audizione del dottor Roberto Sgalla, direttore centrale per la Polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato, che è accompagnato dal dottor Apruzzese.
  Saluto il direttore che sarà ascoltato dalle Commissioni sugli aspetti riguardanti la lotta al terrorismo internazionale, naturalmente con particolare riferimento alle funzioni e ai compiti che lei svolge.
  Do la parola al dottor Sgalla.

  ROBERTO SGALLA, Direttore centrale per la Polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato. Grazie, signor presidente. Buongiorno a tutti gli onorevoli.
  Tralascio alcune riflessioni sulla Polizia postale, perché credo che sia ormai ben conosciuta. Lascerò comunque l'intervento, che può diventare patrimonio della Commissione.
  Già il decreto-legge n. 144 del 2005, il famoso decreto Pisanu, attribuiva alla Polizia postale diversi compiti nell'ambito Pag. 11della lotta al terrorismo. Li attribuiva proprio al servizio Polizia postale in quanto organo individuato all'interno del Ministero dell'interno con questi compiti specifici. Dentro il servizio Polizia postale esiste, infatti, un sistema di protezione delle infrastrutture critiche informatizzate – noi lo chiamiamo CNAIPIC, ossia Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione di infrastrutture critiche – che proprio in materia di antiterrorismo ha il compito di allertare, allarmare, avvertire queste strutture critiche nel caso di attacchi informatici.
  È evidente che noi veniamo molto colpiti dagli effetti di comunicazione. L'attacco dell'ISIS, o del presunto ISIS, al sito di una scuola o di un partito genera effetti che possono creare un fenomeno di insicurezza e destare situazioni di allarme. Chi conosce questi fenomeni, però, sa che questi sono siti estremamente vulnerabili e facilmente attaccabili e che spesso dietro queste sigle terroristiche si nascondono anche hacker di altra natura.
  Il tema delle infrastrutture critiche è, invece, un tema estremamente complesso, a cui bisogna prestare molta attenzione. Quando noi parliamo di infrastrutture critiche, parliamo di energia, di sistema bancario, di sistema dell'informazione, ossia di sistemi su cui si regge un Paese, su cui si regge la democrazia.
  All'interno di questo servizio Polizia postale c’è un'apposita struttura specializzata in grado proprio di garantire e assicurare il necessario coordinamento con l'attività investigativa e con i compartimenti sul territorio. Voi sapete che la Polizia postale è organizzata a livello regionale, anche perché molti, anzi – oserei dire – la quasi totalità dei reati informatici sono di competenza delle procure distrettuali. È, quindi, un'organizzazione speculare al sistema giudiziario.
  La Polizia postale, grazie alla normativa Pisanu, gode già di alcuni strumenti investigativi speciali, quali le intercettazioni preventive e telefoniche, quelle telematiche e l'attività di indagine sotto copertura. In questo caso, l'indagine sotto copertura è «virtuale», perché avviene attraverso il computer, a differenza, per esempio, del sotto copertura dell'antidroga che lavora fisicamente sul territorio. Nel caso in esame è un sotto copertura all'interno di strumenti informatici.
  Tralascio per motivi di tempo tutta la parte relativa alla formazione tecnico-specialistica del personale che è impiegato in questa attività, perché è evidente che oggi fare questo tipo di attività presuppone un'elevata conoscenza e un'elevata formazione.
  Oggi, infatti, al di là degli effetti della comunicazione, che comunque credo vadano tenuti molto in considerazione rispetto all'opinione pubblica, una particolare attenzione deve essere dedicata a quelle comunicazioni in rete spesso non identificabili, le famose tecniche di anonimizzazione, il dark web, il dark net, cioè spazi informatici molto più «sicuri» per la comunicazione tra sodalizi criminali e quindi anche per traffici illeciti di varia natura.
  Uno per tutti, di cui purtroppo ci occupiamo, è la pedopornografia, e chiaramente anche il terrorismo può utilizzare questi strumenti, che offrono elementi di sicurezza maggiori anche rispetto all'identificazione del soggetto che ha portato un attacco.
  La cronaca è quotidianamente invasa da notizie che vengono rilanciate da questo sistema di comunicazione jihadista, il quale ha una sensibilità strategica veramente rilevante, perché attraverso la viralizzazione di questa propaganda si pone in un'ottica di reclutamento di possibili terroristi. Si tratta quindi non solo di creare allarme, di incutere insicurezza, di creare situazioni di insicurezza soggettiva, ma anche di reclutare possibili adepti.
  A tal proposito, al di là dei terribili video che abbiamo visto, voglio solo ricordare che l'utilizzo di questi palcoscenici virtuali rende facile farsi conoscere immediatamente, anche se poi il processo di indottrinamento e di reclutamento avviene attraverso un sistema molto più sofisticato. Abbiamo quindi due livelli: il livello della conoscenza e il livello molto più sofisticato che si realizza attraverso chat Pag. 12rooms che sono ben nascoste nel dark web, dove l'indottrinamento e il reclutamento sono più facili.
  Siamo di fronte a persone che hanno una profonda conoscenza del mondo e degli strumenti di internet, sanno l'effetto insicurezza perché rilanciare continuamente che sono stati violati dei siti, che – torno a ripetere – hanno bassissimi livelli di sicurezza, ma d'altronde sarebbe complicato pensare che per una scuola si debba costruire uno strumento di sicurezza come è stato costruito per l'ENI, per l'ENEL o per altre strutture critiche (banalizzo per fare intendere i livelli di web e l'impossibilità di creare forme di sicurezza oltre un certo livello).
  Questa violazione ormai è diventata sistematica, basta aprire i giornali al mattino per trovare continui attacchi, in quanto vengono cambiate le pagine, il defacement, o altri attacchi virali che generano insicurezza.
  Come dicevo, questo decreto che il Parlamento sta convertendo e su cui avete richiesto la nostra audizione ha per noi un interesse rilevante. In particolare, sono due gli articoli che ci stanno particolarmente a cuore. L'articolo 2, commi 2 e 3, ha previsto la creazione e l'aggiornamento del servizio di Polizia postale e lo ha individuato quale organo per la sicurezza delle comunicazioni del Ministero dell'interno, con la possibilità di creare una blacklist di spazi virtuali contenente materiale terroristico.
  Questo è molto importante specialmente sul versante estero, dove non c’è un aspetto giudiziario, ma grazie a un rapporto che si è costruito negli anni con i più importanti provider e a un aspetto da non tralasciare, che è la reputation che questi provider vogliono mantenere perché il loro lavoro è fare business, questo sistema di comunicazione di spazi virtuali contenenti materiale terroristico segnalato all'estero permette la cancellazione.
  A livello nazionale l'introduzione da parte dell'autorità giudiziaria della rimozione di contenuti illeciti per siti che risiedono nel nostro Paese, strumento che già altri Paesi hanno adottato (ad esempio, la Francia lo ha adottato da poco), attraverso il provvedimento dell'autorità giudiziario ci offre la possibilità di rimuovere contenuti illeciti ospitati in spazi web.
  Vado quindi alla conclusione perché i tempi sono molto ridotti, pertanto mi limito solamente a segnalare gli aspetti più importanti. È evidente che i destinatari di questi provvedimenti dell'autorità giudiziaria sono tutti soggetti che comunque forniscono servizi di immissione e gestione, attraverso i quali il contenuto relativo alle medesima attività è reso accessibile al pubblico, e l'inottemperanza è sanzionata con l'oscuramento dell'intero dominio.
  Vorremmo richiamare l'attenzione su questo aspetto, perché nell'applicazione di una sanzione, siccome deve sempre ispirarsi a un criterio di economicità, principio generale richiamato in materia (basti vedere il sequestro preventivo), dovrà tenersi conto anche del diritto degli utenti incolpevoli, che finirebbero per ricevere loro stessi un danno dall'oscuramento totale dello spazio web.
  Credo che questo aspetto vada considerato e si debba quindi prevedere l'ipotesi di una formulazione che, tenendo conto del potere dell'autorità giudiziaria di rimuovere gli spazi virtuali contenenti messaggi o contenuti terroristici, non arrivi a limitare completamente lo spazio web per tutto il resto dell'opinione pubblica, della collettività dei cittadini.
  Sul piano operativo noi abbiamo da tempo sistematizzato un'attività coordinata di monitoraggio delle reti internet insieme alla Direzione centrale della Polizia di prevenzione. Vi do alcuni dati: solo nel bimestre dicembre-gennaio (possiamo aggiornare i dati nel caso sia necessario), abbiamo monitorato 420 spazi virtuali ricollegabili alle varie fenomenologie di cui si parla. Di 20 di essi, siccome non c’è stata un'attenzione investigativa (finché c’è un'attenzione investigativa lo spazio si tiene aperto per ovvi motivi) è stato richiesto all'autorità giudiziaria il sequestro e, quindi, la rimozione dal web; 64 profili sui social network sono stati rimossi, a seguito di segnalazione ai vari gestori.Pag. 13
  Cito un caso di cui l'opinione pubblica e la stampa hanno parlato molto, il caso del 21 febbraio di quest'anno. Noi abbiamo ricevuto una segnalazione attraverso il commissariato online di cui la Polizia postale dispone, in cui si possono fare segnalazioni e che è attivo 24 ore. Una cittadina ci ha segnalato di aver trovato girando sul web un contenuto che richiamava aspetti terroristici, cioè dei video in cui un personaggio era ritratto armato con un fucile mitragliatore, un AK47, che per fortuna poi si è rivelato un'arma non vera.
  Questo ci ha permesso di attivarci immediatamente, di individuare il soggetto attraverso gli strumenti informatici e di intervenire con i nostri reparti sul territorio e arrestarlo.
  Questa è l'esplicita dimostrazione della collaborazione dei cittadini. La possibilità di ricevere segnalazioni che non solo non tralasciamo, ma vengono accuratamente seguite, è uno strumento importante. A noi compete il lavoro prioritario, ma utilizziamo anche questo strumento, riceviamo tantissime segnalazioni in particolare sulla pedopornografia, sulle truffe, e ci fa piacere evidenziarlo perché è un primo esempio di come il cittadino segnali contenuti di stampo terroristico. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Sgalla. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  MASSIMO ARTINI. Grazie mille per aver chiarito alcuni aspetti fondamentali per quanto riguarda la parte investigativa e l'oscuramento. Uno dei dubbi maggiori emersi nell'analisi del decreto era che l'oscuramento potesse ridurre la capacità investigativa, ma lei ha evidenziato come la vostra procedura preveda di utilizzare tutte le forme investigative sugli spazi virtuali e arrivare poi a un punto in cui viene oscurato. Questo sinceramente non era chiaro e anche da tecnico mi sembrava una procedura molto strana.
  L'unica cosa che le chiedo è la valutazione in merito all'aggravante per l'istigazione per una serie di reati, in considerazione del fatto di essere commessa tramite strumenti informatici. L'ampiezza per me è effettivamente elevata.
  Le chiedevo quindi un parere, perché ritengo che su tale punto debba essere fatto un ragionamento. È funzionale alla riduzione del fenomeno dei foreign fighters o è una limitazione eccessiva del privato o comunque della capacità di ognuno di sfruttare gli strumenti informatici ?
  La definizione è talmente ampia che non vorrei che impattasse troppo sui diritti del singolo cittadino. Grazie.

  ANGELO TOFALO. Sull'articolo 2, comma 2, non vorrei soffermarmi sulla blacklist, considerato che abbiamo già fatto molte domande nelle audizioni precedenti e personalmente sono molto critico anche sulla chiusura dei siti. Il collega Daniele Farina nelle precedenti audizioni ha citato l'esempio del PKK e anche molti altri colleghi hanno espresso perplessità su chi e come verrà inserito nella lista, quindi credo che la questione vada precisata.
  Vorrei invece soffermarmi sui commi 3 e 4, sui quali lei ci ha detto alcune cose importanti, ma nella cui formulazione vedo un pericolo forte per quanto riguarda la libertà di espressione.
  Da un punto di vista operativo e procedurale, la Polizia postale sarà a stretto contatto con i colossi Google, Facebook, Twitter ? Se, ade esempio, dopo 48 ore il contenuto non viene rimosso, che facciamo, oscuriamo Facebook ? Non credo che arriveremo a questo, però credo che già scriverlo...
  Certo l'Italia non è come la Turchia, però abbiamo visto in altri posti cosa è successo, e non vorrei che – in silenzio – mettessimo sulla carta cose che sono successe in altri Paesi. Vorrei capire quindi da un punto di vista operativo e procedurale se la Polizia postale sarà non dico proprio a stretto contatto, ma lì dentro, perché, se magari siamo in vacanza e non vediamo la segnalazione, passano 48 ore e che facciamo ? Oscuriamo Twitter o Facebook ?Pag. 14
  Vorrei capire come avvenga questo passaggio dal punto di vista operativo-procedurale, per evitare gravi chiusure.

  DANIELE FARINA. Io ribadisco semplicemente alcune delle domande che ho già posto in altre audizioni.
  Visto che l'articolo 2, comma 2, assegna alla Polizia postale l'onere di tenere aggiornata la lista dei siti potenzialmente utilizzati da condotte di tipo terroristico, ci siamo posti il problema di come venga composta questa lista e se sia pubblica, cioè quali siano i criteri di formazione, perché il paragone esplicito che abbiamo è la blacklist relativa alla normativa sulla pedopornografia, che però non ho trovato da nessuna parte, neanche nella relazione che accompagna il decreto-legge.
  Trasferendo questo tipo di problematiche, mi pongo il problema di quali organizzazioni vadano invece sul piano del provvedimento che stiamo esaminando a comporre l'obiettivo di interesse della Polizia postale. Se domani, come parlamentare, chiedessi alla Polizia postale l'elenco dei siti delle organizzazioni terroristiche presunte o attenzionate, questa me lo fornirebbe ? Lo chiedo anche per fugare i dubbi che questo provvedimento fa emergere nello specifico.

  STEFANO DAMBRUOSO. Grazie, dottor Sgalla, per le informazioni che oggi hanno arricchito la nostra conoscenza in relazione al decreto.
  Volevo chiederle se nell'ambito delle valutazioni che sono state fatte ai fini della prevenzione e del controllo che spetta al suo ufficio sia stata segnalata l'opportunità di attuare le attività di de-radicalizzazione su internet. Mi riferisco ad esperienze che sono state già effettuate in altri Paesi non migliori dei nostri, ma che hanno comunque dimostrato prontezza nell'avviarle.
  In particolare, mi è stata prospettata un'esperienza in Canada, dove soprattutto nelle chat dei social network, allorché una conversazione abbia un contenuto che fa accendere un warning nei controllori, scatterebbe immediatamente un messaggio contrario alla prosecuzione dell'azione. Stiamo parlando di ragazzi di 10,12, 13, anni, per i quali in Canada esiste un piccolo cartoon – raffigura un vero jihadista pentito che mostra le sue mani mozzate nel corso dell'attività terroristica – che immediatamente si attiva appena c’è una chat di due ragazzi su questo argomento.
  Simili attività di de-radicalizzazione sono state prospettate ?

  ANDREA MANCIULLI. Innanzitutto la ringrazio molto del lavoro che fate, che so è molto attento e preciso. C’è un punto emerso ieri nelle audizioni che abbiamo fatto e che a mio avviso è estremamente importante. Trattandosi di un fenomeno molto eterogeneo, nel quale ci sono realtà classificabili, durature nel tempo e riconoscibili, ma ci sono anche molti attori che sulla rete si affacciano sporadicamente in maniera artigianale e che portano ad una grande frammentazione, pensate che da questo punto di vista le maglie del decreto siano sufficientemente strette ?
  Nutro infatti qualche perplessità sul fatto che si arrivi a colpire anche l'auto radicalizzato che si fa il suo sito, perché non lo troviamo nelle liste. Su questo vorrei conoscere la vostra opinione.
  Condivido le considerazioni dell'onorevole Dambruoso. Penso che in questo decreto manchi la parte de-radicalizzazione, che a mio avviso andrebbe affrontata in uno strumento connesso al decreto. Si potrebbe, ad esempio, approvare un atto di indirizzo che preluda a un disegno di legge sulla de-radicalizzazione, perché questa non è solo via rete. In Germania c’è un interessante fenomeno di organizzazioni volte alla de-radicalizzazione, ma ritengo che il tema necessiti di uno strumento normativo che oggi è difficilmente inseribile nel decreto. Ci si potrebbe lavorare con un altro strumento di legge, che va fatto ex novo.

  PRESIDENTE. Do la parola al direttore centrale per la Polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato, Roberto Sgalla, per la replica.

Pag. 15

  ROBERTO SGALLA, Direttore centrale per la Polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato. Do due risposte io e poi, se permette, presidente, lascerei la parola al collega Apruzzese per rispondere alle altre domande.
  A parte l'uso di tecniche investigative che permettono di utilizzarli finché sono «validi», per noi non è un problema avere un rapporto costante con i provider. L'unica difficoltà è rappresentata dal fuso orario con l'America, ma le nostre segnalazioni partono in tempo reale, arrivano e nel giro di poche ore questo avviene.
  Il problema non sono le 48 ore, il problema è valutare se si deve chiudere completamente il sito oppure oscurare solo quella parte, ma per quanto riguarda la tempistica non ci sono problemi. Volevo solamente richiamare l'attenzione sull'equilibrio tra le libertà necessarie che vanno salvaguardate e i diritti di sicurezza dei singoli cittadini. Per noi forze di Polizia questo aspetto è il lavoro che facciamo costantemente e si concretizza negli indicatori su cui costruiamo le blacklist e gli strumenti di prevenzione.
  Anche sull'aggravante è evidente che molti di questi reati prima avvenivano nelle piazze o comunque in luoghi fisici, e per determinate circostanze scattavano delle aggravanti. Oggi probabilmente bisogna appunto ripensare a queste piazze, che non sono più fisiche, ma sono virtuali, e quindi ragionare di eventuali aggravanti, che il Parlamento nella sua sovranità valuterà, non più per un luogo fisico, ma per un luogo virtuale quale il web.

  ANTONIO APRUZZESE, Direttore del servizio Polizia postale e delle comunicazioni. Buongiorno a tutti e grazie. Due considerazioni che credo siano trasversali a varie domande poste. Partirei dal chiarire il concetto di aggravante quando il proselitismo, il reato viene commesso attraverso il web.
  Questa norma è stata mutuata dall'esperienza maturata nel mondo della pedopornografia on line. È stata fondamentale l'esperienza fatta in quel settore. Nel mondo della pedopornografia on line l'aggravante viene introdotta, per la prima volta nel nostro sistema, su una nuova insidiosissima forma di reato contro i minori, che è l'adescamento, il grooming. Per l'adescamento per la prima volta viene introdotta l'aggravante qualora la condotta attuata attraverso il web.
  C’è un filo che unisce le due ipotesi, perché chi pensa all'adescamento comprenderà bene quale effetto devastante possa avere un adescamento effettuato su web, quindi in maniera mascherata, rispetto a un adescamento normale che può avvenire in strada. Il minore è molto più sensibile e molto più esposto a questa minaccia estremamente subdola, perché il mascheramento che consente il web è totale.
  Se passiamo al settore del proselitismo, le campagne di incitamento a forme eversive hanno maggior forza proprio per il fatto di essere portate attraverso il web, perché l'utilizzo dei muri, delle piazze, delle stazioni, che fino a qualche tempo fa era il mezzo più frequente di diffondere idee, pensieri e quindi attività istigatoria, non è minimamente comparabile a quello che si può fare attraverso il web. Ecco perché questa aggravante.
  Per quanto attiene al discorso delle attività investigative e ai concetti di radicalizzazione, il tipo di contrasto previsto dal decreto presenta caratteristiche totalmente nuove rispetto a quanto fatto finora.
  Noi svolgiamo un'attività assolutamente complementare a quella svolta dai servizi di sicurezza, dalla Polizia di prevenzione, cosa che non va dimenticata perché c’è una parte investigativa che analizza, studia, segue condotte che si sono già concretizzate, che sono già in forma di reti criminali consolidate e quindi hanno bisogno di tutt'altro approccio. Noi siamo nella fase paradossalmente più delicata, più sottile: la cosiddetta forma della radicalizzazione.
  Il dottor Sgalla ha citato alcuni mezzi speciali di cui siamo stati dotati dalle norme entrate in vigore, ma paradossalmente per analizzare e perseguire le forme Pag. 16di radicalizzazione via web – lo dico con assoluta certezza – non è necessario parlare di intercettazioni preventive o attività così intrusive, perché l'attività prevalente di questi gruppi si svolge oggi non attraverso il meccanismo dei vecchi siti on line, ma attraverso i social network, e attraverso i social network la parola d'ordine è il mostrarsi, non il nascondersi.
  Loro sanno di essere una cerchia particolare in alcuni gruppi e sono quei gruppi che vanno al limite seguiti. Tuttavia, sono gruppi aperti, perché la loro forza è proprio quella di mandare il messaggio in forma aperta agli altri. Ecco il perché dell'aggravante ed ecco perché queste forme di radicalizzazione vanno seguite sui social network. È questa l'ultima spiaggia su cui si sta operando, che richiede un'attenzione profonda e il ricorso a strumenti di analisi estremamente complessi che utilizziamo. Infatti, siamo soliti dire che cerchiamo di seguire alcune persone, alcuni gruppi, quando cominciano a scaldarsi oltre un certo livello. Superato quel livello, è tutt'altro tipo di indagine. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei e al dottor Roberto Sgalla per l'interessante audizione. Grazie e buon lavoro, che è importante per la nostra sicurezza.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di Aldo Giannuli, Professore di storia del mondo contemporaneo presso l'Università statale di Milano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge del Governo C. 2893, recante DL 7/2015: Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, l'audizione del professor Aldo Giannuli, professore di storia del mondo contemporaneo presso l'Università statale di Milano, che illustrerà gli aspetti del decreto in generale e gli scenari geostrategici.

  ALDO GIANNULI, Professore di storia del mondo contemporaneo presso l'Università statale di Milano. Io ovviamente non mi occuperò degli aspetti di costituzionalità del decreto che credo siano stati trattati molto meglio da altri esperti. Vorrei fare riferimento ad alcuni aspetti relativi all'efficacia di queste misure, sulla base anche dell'esperienza storica della lotta al terrorismo, ai vari terrorismi che si sono affacciati.
  Questo decreto non nasce oggi, ma in qualche modo è inserito in una produzione normativa che ormai va avanti da una dozzina di anni. Credo che si debba partire da una constatazione: il sostanziale insuccesso della lotta antiterrorismo in questi quindici anni. Certo, c’è stata l'uccisione di Bin Laden, c’è stato l'abbattimento del regime dei talebani in Afghanistan (una serie di risultati parziali indubbiamente ci sono stati), ma nel complesso i risultati che ci troviamo davanti sono tutt'altro che soddisfacenti, anzi, per certi versi segnalano un peggioramento della situazione.
  A parte al-Qaeda che, dopo un periodo di sbandamento successivo alla morte del suo leader e fondatore, sembra essersi ripresa, o almeno essere tornata ad avere una capacità aggressiva non trascurabile, come è successo a Parigi e in Danimarca, ci troviamo di fronte a un fenomeno completamente nuovo come quello dell'Isis, del Califfato, e della rete che si è costruita in un'area molto più ampia di quella dei soli Paesi arabi o della zona considerata precedentemente. È di oggi la notizia di Boko Haram che riconosce come suo punto di riferimento il Califfato.
  Tutto questo non mi sembra un risultato soddisfacente dopo quindici anni, tre guerre, un fiume di denaro speso, migliaia di agenti di intelligence dedicati specificamente a questo compito, che è stato senza dubbio quello che ha assorbito il maggior Pag. 17numero di operatori e di risorse, dopo l'impiego di un sistema tecnologico avanzatissimo che non ha precedenti. Trovarsi di fronte a questi risultati dopo quindici anni non è certamente un fatto positivo, o almeno non è quello che vorremmo.
  Dunque, cosa è mancato ? Non certamente l'aspetto repressivo militare di polizia che – sia chiaro – deve comunque esserci, è inevitabile di fronte a un fenomeno come il terrorismo, ma che probabilmente ha totalmente assorbito l'altro aspetto, quello del contrasto politico-culturale e psicologico, che invece è stato largamente insufficiente in questi anni.
  È stato insufficiente nei confronti delle masse arabe – dove ci siamo posti il problema del perché questi hanno successo, perché reclutano, perché trovano tanti consensi – e nello stesso tempo non siamo riusciti (peggio ancora) a farlo neanche nei confronti delle aree islamiche delle nostre società. Quello che è successo in Francia dovrebbe darci la misura di quanto è stato inefficace il contrasto politico e, insisto, psicologico nei confronti del fenomeno del radicalismo islamico jihadista.
  Fatte queste considerazioni, veniamo al merito di questo decreto, che trovo per certi versi in perfetta continuità con i precedenti, con quell'orientamento che ha dato i risultati insoddisfacenti di cui dicevo e che è un po’ la politica delle grida manzoniane, per cui per ogni cosa alziamo la soglia delle pene, senza però essere più efficaci nella repressione.
  Alcune norme sinceramente mi lasciano perplesso sulla loro utilità. Ad esempio, perché, per combattere il fenomeno dei foreign fighters abbiamo utilizzato l'articolo 270 e non l'articolo 288 che era già nel codice penale ? Bastava aggiungere una o due parole e avremmo tranquillamente stabilito una pena uguale da 3 a 6 anni.
  Peraltro, non credo che questo sia granché efficace, in quanto, se uno si sta arruolando per andare a combattere lì, quindi rischiare anche la vita, non è tipo che si spaventi per una pena minacciata da 3 a 6 anni di carcere. Dubito molto seriamente che questo possa avere particolare deterrenza.
  Ancora, la norma riguardante la Procura nazionale antimafia può anche andar bene, anche se avrei trovato più logica l'istituzione di un organismo apposito e distinto, per evitare sovrapposizioni e magari il fatto che uno dei due temi finisca per soverchiare l'altro. Se però alla Procura nazionale antimafia non si danno strumenti, uomini, denaro, mezzi adeguati, credo che sia una cosa destinata a restare sulla carta, perché queste attività richiedono tutto ciò. Questa ipotesi quindi va benissimo, però vediamola meglio nel merito.
  Quella che mi desta maggiori perplessità è la norma sulle aggravanti di alcuni reati se condotti via web, sia perché temo che finisca per diventare la solita norma civetta, per cui poi ci si aggiunge come un trenino «si applica anche...» e cominciamo ad avere un'area estremamente estesa; sia perché, come altri hanno detto, è eccessivamente generica e quindi corre il rischio di creare situazioni non auspicabili di limitazione della libertà dei cittadini.
  A parte questo, in primo luogo trovo questa norma di difficile attuazione, perché in effetti, di fronte al server che non è sul territorio nazionale, siccome ho molti dubbi sul fatto che realmente si possa oscurare un gruppo come Google o altri, credo che la cosa finirebbe per restare ampiamente inattuata o attuata solo molto parzialmente.
  In secondo luogo, mi sembra una misura sostanzialmente inefficace, perché una volta oscurato un determinato sito ne creeranno un altro, per cui dovrai impiegare uomini (per identificare questi siti si devono. Infatti, fare attività investigative) e risorse per ricominciare a identificare questi siti. Diventerebbe quindi una fatica di Sisifo perfettamente inutile.
  Temo soprattutto che sia controproducente per due ottime ragioni. La prima è perché questi siti, una volta identificati, e al di là del se ci sia un'attività investigativa in atto finalizzata alla denuncia (se si arriva alla denuncia, è ovvio che il sito è identificato) li lascerei tranquillamente aperti e li seguirei, li monitorerei quotidianamente, trattando con modelli di simulazioni Pag. 18tutte le informazioni che è possibile ricavarne (analisi del linguaggio, analisi dei simboli, eventuali segnalazioni operative mascherate, ricorrenza del nome di un Paese o di una certa città). Credo, quindi, che sia molto più utile spremere questi siti come fonti di informazione.
  Da ultimo, e torno al discorso del contrasto politico e psicologico, credo che invece sia necessario attivare un'iniziativa nostra di contrasto via web. L'esempio citato dall'onorevole Dambruoso riferito al Canada è interessante, ma si può fare molto di più in questo senso. Abbiamo bisogno di siti esca per capire chi si collega, di siti che disturbino gli altri, creando divisioni nel campo avversario, di sostenere siti che nell'area dell'Islam radicale, ma non armatista, possano fare una critica di questi ed abbiamo anche bisogno di raggiungere la gente da cui questi attingono, per frenare la loro capacità di reclutamento.
  Nel momento in cui invece ti dedichi essenzialmente alla repressione e all'oscuramento di questi siti, credo che questo altro tipo di attività non possa essere condotto.
  Torniamo quindi, proprio nel senso della riflessione precedente, a ripensare all'opportunità di dare più risalto al contrasto politico e psicologico, senza per questo nulla togliere al contrasto militare di polizia, che deve esserci. Penso che questa misura vada in controtendenza rispetto a questa possibilità.
  Vorrei ricordare solo una cosa: storicamente tutti i fenomeni di terrorismo che sono stati battuti non lo sono stati perché si è colpito, individuato, arrestato o ucciso fino all'ultimo terrorista. Il terrorismo si vince quando crolla la sua capacità psicologica di tenere unito un gruppo, per perseguire alcuni obiettivi che appaiono evidentemente non più perseguibili.
  È lì che si determina la sconfitta. Noi non abbiamo messo in carcere in tutti quelli che sono passati per le Brigate Rosse, sicuramente c’è una bella quantità di ex brigatisti non individuati. Le Brigate Rosse sono crollate quando il loro disegno è apparso a loro stessi evidentemente non più perseguibile, e questo deve continuare ad essere l'unico modo serio per combattere il terrorismo jihadista radicale.
  È chiaro che questo si fa anche per via militare e di polizia, ma non è l'unico modo, e soprattutto per via militare e di polizia resta un modo altamente dispendioso e monco, che non colpisce alla radice il fenomeno, che cura i sintomi, ma spesso trascura la radice della malattia. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professor Giannuli. Do, quindi, la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALESSANDRO PAGANO. Pongo una domanda aperta che si riallaccia anche all'audizione precedente.
  Ho molto apprezzato, professor Giannuli, alcuni passaggi del suo intervento, per esempio a proposito della necessità di contrapporre le tesi dell'Islam moderato rispetto a quelle radicali. Lo condivido e penso che ci siano tante cose interessanti da un punto di vista culturale, che non si conoscono e che invece abbiamo interesse a diffondere non solo da un punto di vista della sicurezza, ma in generale come fatto culturale.
  Ciò riguarda anche autori che rivestono ruoli di primo piano nella diplomazia internazionale e nei Governi nazionali del Paesi del Maghreb, però questo è un tema generale che riguarda la cultura e ha una dimensione più di lungo periodo indispensabile, perché sono convinto che il dato culturale prevalga sempre. Tuttavia, non è tema che riguardi l'argomento che oggi stiamo trattando e che troverà una conclusione in questo provvedimento. È comunque un'impostazione che rimane come patrimonio che ciascuno di noi deve declinare nelle sedi opportune.
  Quello che mi lascia molto perplesso è la prima parte del suo intervento. Se ho capito bene, lei propone di lasciare aperti questi siti, perché prolifereranno comunque, mentre in questo modo c’è la possibilità di captare notizie.
  A parte che è un po’ romanzesco perché tutte queste cose bisogna misurarle con i Pag. 19budget, perché quando si hanno i soldi si può fare tutto e di più, ma quando i soldi sono limitati ovviamente bisogna individuare le priorità, vorrei sottolineare che questi soggetti si muovono non soltanto in termini di provocazione, per cui inneggiano alla guerra santa di 1,6 miliardi di musulmani contro i nuovi crociati, ma anche in base alla loro necessità di arruolare foreign fighters, combattenti che con diversi passaporti si uniscano alla Jihad o Isis.
  Se lasciamo in vita questi siti, il soggetto debole che è ammalato di relativismo etico, che non ha più valori, non ha più ideali, non ha più principi, ammalato di una società che gli ha tolto tutto e tutti, trova dall'altra parte loro che gli dicono di essere il pensiero forte che funziona, lo invitano ad arruolarsi e a combattere. Non possiamo consentirlo nemmeno per un secondo.
  La funzione delle forze di Polizia è dunque essenziale in termini di combattimento concreto e quotidiano, fermo restando che la battaglia culturale che è altrettanto – se non più – importante deve essere fatta, ma non nel contesto che oggi stiamo esaminando.
  Mi perdoni, forse non era una domanda, ma un intervento.

  ALDO GIANNULI, Professore di storia del mondo contemporaneo presso l'Università statale di Milano. Telegraficamente, non si tratta di contrasto culturale, che pure deve esserci, ma di contrasto politico. Probabilmente non sono stato chiaro su questo punto.
  Proprio perché questi siti sono usati per reclutare, noi abbiamo bisogno di siti civetta che in qualche modo creino sfiducia in chi si collega, abbiamo bisogno di siti esca. So che questo è il discorso poco gradevole dell'agente provocatore, ma abbiamo fatto una riforma dei servizi nel 2007 che scrimina una serie di comportamenti, quindi abbiamo bisogno di fare contrasto.
  Non mi riferisco solo all'Islam moderato, perché esiste una fetta di Islam radicale che però non è jihadista, non è per la lotta armata. Abbiamo bisogno di differenziare il più possibile lo schermo avversario, quindi non si tratta solo di contrasto culturale, ma anche politico.
  Come si fa se il budget non basta ? Questo lo so, però è anche vero che si fa un discorso complessivo su come si spendono i soldi. Non abbiamo detto che dobbiamo fare un coordinamento europeo per la lotta al terrorismo ? Credo che tutta la comunità di intelligence europea abbia interesse a combatterli.
  Che questi possano attrarre qualcuno è un rischio inevitabile, ma anche chiudendo blog e siti non eviti il problema, perché quanto è stato detto prima dal dottor Sgalla e dal dottor Apruzzese a proposito del ruolo dei social aperti dimostra come sia molto facile aggirare un intervento del genere.
  Proprio per questo devi contrastarli su quel piano, creando l'incertezza in chi voglia farsi reclutare di non essere capitato nelle mani di un sito di Polizia. Mi spiace fare questo esempio, ma era quello in cui eccelleva l'OVRA negli anni ’30, esempio spiacevolissimo, ma purtroppo storicamente presente.
  Non è quindi certamente tolleranza la mia nei confronti di questo genere di siti, ma stiamo discutendo di quale sia il modo migliore per combattere questo fenomeno.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Con le audizioni odierne, di intesa con la Presidente della Commissione Giustizia Ferranti, che saluto, concludiamo l'indagine conoscitiva.
  L'esame del decreto riprenderà la settimana prossima. Ricordo a tutti che l'Ufficio di presidenza ha stabilito per lunedì alle ore 12 il termine per gli emendamenti e che da martedì inizieremo a esaminarli.
  Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.55.