XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Giovedì 26 ottobre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 4605 FERRANTI, RECANTE MODIFICHE ALL'ARTICOLO 5 DELLA LEGGE 1° DICEMBRE 1970, N. 898, IN MATERIA DI ASSEGNO SPETTANTE A SEGUITO DI SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO O DELL'UNIONE CIVILE

Audizione di Enrico Quadri, professore di istituzioni di diritto privato presso l'Università degli studi di Napoli «Federico II», di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», di Gianfranco Dosi, direttore della rivista «Lessico di diritto di famiglia», di rappresentanti del Consiglio nazionale forense (CNF) e di rappresentanti dell'Organismo congressuale forense (OCF).
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Quadri Enrico , professore di istituzioni di diritto privato presso l'Università degli studi di Napoli «Federico II» ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Morace Pinelli Arnaldo , professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Dosi Gianfranco , direttore della rivista «Lessico di diritto di famiglia» ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Losurdo Anna , consigliere nazionali del Consiglio nazionale forense (CNF) ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Sini Luigi , componente dell'Organismo congressuale forense (OCF) ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori PER l'Italia: Misto-CIpI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Enrico Quadri, professore di istituzioni di diritto privato presso l'Università degli studi di Napoli «Federico II», di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», di Gianfranco Dosi, direttore della rivista «Lessico di diritto di famiglia», di rappresentanti del Consiglio nazionale forense (CNF) e di rappresentanti dell'Organismo congressuale forense (OCF).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposta di legge C. 4605 Ferranti, recante modifiche all'articolo 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile, di Enrico Quadri, professore di istituzioni di diritto privato presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata, di Gianfranco Dosi, direttore della rivista Lessico di diritto di famiglia, di Anna Losurdo, consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense (CNF) e di Luigi Sini, componente dell'Organismo congressuale forense (OCF).
  Do la parola al professor Quadri per lo svolgimento della sua relazione.

  ENRICO QUADRI, professore di istituzioni di diritto privato presso l'Università degli studi di Napoli «Federico II». Ringrazio di questa convocazione, che mi consente di esprimere qualche considerazione sulla problematica generale dell'assegno di divorzio, con particolare riferimento alla proposta di legge C. 4605.
  Poiché già c'è stata un'audizione al riguardo, do per scontato tutto ciò che è stato detto e, quindi, cercherò di limitarmi a fissare qualche profilo di carattere generale per poi fare qualche osservazione sul testo della proposta di legge, in relazione alla quale mi sembra ci sia un consenso diffuso, salvo, ovviamente, qualche eventuale aggiustamento.
  Circa i punti fermi in questa materia, da cui non si può fare a meno di muovere, mi pare che il primo non possa che essere quello della consapevolezza che il divorzio costituisce il momento di definitiva rottura dell'esperienza familiare, così da mettere fuori gioco qualsiasi tentativo di fondare assetti economici post-coniugali su un'ultrattività del vincolo.
  L'altro punto fermo può essere sintetizzato con le parole della Corte costituzionale dell'ormai lontano 1975, quando, in vista della riforma del diritto di famiglia, si espresse nel senso che compito del legislatore è quello di assicurare una piena attuazione del principio costituzionale della parità giuridica dei coniugi anche sotto il profilo dei rapporti patrimoniali.
  Tale parità, se si deve dispiegare nella fase fisiologica della vita matrimoniale, da una parte non può risolversi, come accennato prima, in una protrazione del vincolo, Pag. 4sia pure sotto il solo profilo economico; dall'altra, però, non può non riflettersi in una partecipazione adeguata e in una condivisione, in vista della vita separata, di quanto in comune si è realizzato.
  Mi sembra che la Cassazione, nella notissima sentenza della prima sezione, abbia ragione a sottolineare che i coniugi, a seguito dello scioglimento del vincolo coniugale, sono destinati a essere persone singole, così come erano persone singole prima dell'instaurazione del vincolo coniugale.
  Il nocciolo della questione mi sembra possa individuarsi, a questo punto, in un'opzione: considerare l'esperienza matrimoniale una sorta di parentesi tendenzialmente irrilevante nella vita dei due soggetti, oppure, ove sia effettivamente consistita in una comunione di vita e di interessi, come ebbero a dire le Sezioni unite nel 1990, come la base di partenza per consentire a ciascuna delle parti un successivo autonomo percorso esistenziale.
  Quest'ultima mi pare la prospettiva da privilegiare. Questo mi sembra inevitabile se si vuole conservare un qualche senso al matrimonio e al rapporto di vita che ne costituisce la sostanza. Privilegiare questa prospettiva, contrariamente a ciò che sostengono alcuni, non pare incompatibile con l'auspicato pieno operare del principio dell'auto-responsabilità di ciascuno degli interessati per le proprie esigenze di vita dopo lo scioglimento del matrimonio. Ciò è possibile alla sola condizione che sia assicurata tra di loro, come punto di partenza della futura esistenza separata, come dicevo prima, una reale perequazione in ordine a quella complessiva economia familiare che ciascuno di essi ha contribuito a formare.
  Il pregio della recente svolta giurisprudenziale può essere individuato proprio nell'evidenziare l'incoerenza di qualsiasi tentativo di fondare il regime economico post-coniugale su un'ultrattività del matrimonio, come si è finito inevitabilmente con il fare fondando le valutazioni funzionali al riconoscimento dell'assegno di divorzio sull'obiettivo della conservazione di un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio.
  A questo riguardo, è bene fin d'ora precisare che questo parametro, anche per la grande confusione che si è fatta al riguardo nell'opinione pubblica, è estraneo alla lettera della legge e, in realtà, è una creazione giurisprudenziale. Semmai, se si fosse veramente inteso dar vita a una rottura con il precedente indirizzo esegetico, si sarebbe persa una buona occasione per abbandonare del tutto l'idea stessa di una solidarietà post-coniugale.
  Tale concetto, proprio ove ci si muova nell'ottica della prima sezione della Cassazione, diventa difficile da fondare, come dimostra la stessa decisione, che va alla ricerca, oltre che del principio generale dell'articolo 2, di un improbabile riferimento all'articolo 23 della Costituzione.
  Perché potrebbe sembrare strano, anche in relazione a quello che ho accennato prima, quest'affermazione sull'opportunità di evitare un riferimento alla solidarietà? Perché ragionare in chiave di solidarietà ci riporta inevitabilmente all'idea di un aiuto dell'altro coniuge al coniuge più debole. Ci riporta a quell'idea contro cui ebbe modo di pronunciarsi energicamente una delle prime decisioni nel 1974 sul testo originario della legge sul divorzio, dove si attaccò fortemente l'idea di concepire l'assegno di divorzio come «una sorta di elemosina» – sono parole della Cassazione – «graziosamente elargita a mezzo del giudice», secondo l'ottica assistenzialistica che si andava affermando in quel momento.
  In effetti, il coniuge che in dipendenza del divorzio si venga a trovare in una situazione di debolezza non cerca assistenza, ma semplicemente un giusto riconoscimento per gli sforzi, se non per i veri e propri sacrifici, profusi durante il matrimonio per assicurare il buon funzionamento della compagine familiare.
  Del resto, anche una decisione recente delle sezioni unite mette in evidenza come l'essenza del rapporto matrimoniale sia l'essere esso fonte di aspettative legittime e di illegittimi affidamenti dei componenti della famiglia.
  Questa istanza che potremmo definire perequativo-partecipativa, come baluardo di una parità dei coniugi non meramente Pag. 5formale, nel disegno del legislatore avrebbe dovuto essere assicurata, nel contesto della riforma del 1975, dall'operatività del regime legale di comunione.
  Tuttavia, fin troppo nota è la vastità del fenomeno della fuga dalla comunione, fenomeno che ha determinato gravi conseguenze in vista della realizzazione dell'istanza di parità che era alla base dell'opzione legislativa.
  Così, dato l'evidente collegamento per assicurare un'adeguata perequazione tra le condizioni dei coniugi nel regime patrimoniale operante nella fase fisiologica della vicenda coniugale e la definizione degli assetti economici post-coniugali, è sull'assegno di divorzio e sul suo regime che finiscono inevitabilmente con il riversarsi le attese di equo bilanciamento delle loro condizioni.
  Prima di esaminare la proposta in questione, ovviamente molto in breve, pare il caso di accennare almeno a come due pilastri dell'intera costruzione esegetica sviluppatasi in ordine alla disciplina del 1987 risultino, a ben vedere, frutto di un fraintendimento iniziale, che, consolidatosi a seguito di un intervento delle sezioni unite nel 1990, continua a rappresentare la premessa anche della prospettiva ora privilegiata dalla prima sezione.
  Si allude da una parte all'idea che l'assegno di divorzio abbia una natura esclusivamente assistenziale, dall'altra alla fede assoluta, persistentemente professata dalla Cassazione, sulla scia della sistemazione delle sezioni riunite, nel vedere prefigurato nell'articolo 5 come uscito dalla riforma del 1987 – sono parole della prima sezione – un giudizio nitidamente e rigorosamente distinto in due fasi, il cui oggetto è costituito rispettivamente dall'eventuale riconoscimento del diritto (fase dell’an debeatur) e, solo all'esito positivo di tale prima fase, dalla determinazione quantitativa dell'assegno (fase del quantum debeatur).
  Ovviamente rinviando allo scritto lo svolgimento più ampio di questa problematica, basti ricordare che effettivamente una curvatura assistenziale dell'assegno era individuabile nel testo originario quale fu sottoposto all'esame del Parlamento nel 1987, ma la modifica nel corso dei lavori in Aula di questo testo fu dichiaratamente intesa da tutti i protagonisti della discussione proprio come consapevole abbandono di una simile connotazione, a favore di una piena realizzazione nel nuovo testo, poi approvato, dell'esigenza partecipativo-compensativa.
  Tale esigenza fu valorizzata nel testo definitivamente approvato attraverso il convinto e unanime richiamo del parametro, che non a caso fu meglio articolato nella fase finale della discussione, rappresentato dal contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune.
  Ciò sembra valere a privare di qualsiasi fondamento la pretesa di scindere in due fasi, per di più considerate incomunicabili, un giudizio attributivo dell'assegno in relazione alla cui articolazione an et quantum, proprio alla luce di una serena considerazione del testo legislativo, non possono che ritenersi costituire facce della stessa medaglia.
  Venendo ora alla proposta, essa si presenta sicuramente apprezzabile, perché animata da un sano pragmatismo, forse da quello stesso pragmatismo che spinse le Sezioni unite a essere incoerenti con certe proprie affermazioni di principio, alla ricerca di una soluzione che si attagliasse a tutti gli infiniti tipi di comunità familiare.
  Questo si legge nella relazione della proposta, dove si parla dell'esigenza di evitare a un tempo «indebiti arricchimenti», le famose rendite parassitarie spesso additate dall'interprete, ma anche «il degrado esistenziale cui lo scioglimento del matrimonio tende a esporre il coniuge più debole» – sono parole delle relazione – «che abbia confidato nel programma di vita del matrimonio dedicandosi alla cura della famiglia».
  Contro ogni dubbio e possibile rilievo che non ci si muova nel contesto giuridico europeo, come pensa di aver fatto la prima sezione della Cassazione, la relazione, così come l'articolato, si ispira proprio a modelli di Paesi a noi vicini per tradizioni giusfamiliari, ordinamenti nei quali, anche Pag. 6quando, come in Germania, ci si è dichiarati fondati sul principio di auto-responsabilità, non si è mancato di prestare adeguata attenzione alla necessaria considerazione del concreto vissuto matrimoniale.
  Venendo poi al testo, se mi è consentito qualche rilievo specifico – comunque, sono tutti esposti – innanzitutto già l'altra volta fu fatto accenno al pericolo che la strutturazione possa prestarsi in qualche maniera a far rivivere e a confermare l'idea di una struttura bifasica dell'assegno. Non credo assolutamente che questo sia nelle intenzioni dei proponenti. Del resto, la presidente l'altra volta precisò questo.
  Per evitare questo tipo di possibile osservazione cui potrebbe dar luogo il contrapporsi alla delineazione dell'obiettivo e della funzione dell'assegno in un successivo comma, dove si parla di criteri di determinazione dell'assegno, probabilmente sarebbe il caso di utilizzare una dizione diversa, che potrebbe essere quella del comma 7 dell'articolo 5: «A tal fine il tribunale valuta, in rapporto alla durata del matrimonio: i diversi criteri...» Così si eliminerebbe qualsiasi possibilità di diversa interpretazione.
  Proprio dal passo che ho letto su questa possibile diversa formulazione del nuovo comma 7 dell'articolo 5 emerge come probabilmente sarebbe il caso di non annoverare la durata del matrimonio tra i parametri di determinazione dell'assegno, come peraltro fanno quasi tutte le legislazioni. Sarebbe meglio conservare l'attuale struttura dell'articolo 5, una corretta lettura del quale induce a ritenere la durata del matrimonio, non parametro come tutti gli altri, ma, come si è detto, una sorta di filtro attraverso il quale apprezzare la concreta rilevanza di ciascuno dei criteri.
  Circa il criterio delle condizioni, francamente eviterei di specificare «condizioni economiche», perché si è sempre ritenuta la locuzione «condizioni dei coniugi» comprensiva del riferimento alle problematiche relative all'età e alla salute dei coniugi stessi, che altrove sono specificamente indicate. Probabilmente non è il caso di appesantire eccessivamente l'elenco.
  Forse accanto al reddito sarebbe il caso di specificare il richiamo al patrimonio, cosa che sicuramente farà l'interpretazione. Dato che si fa una nuova legge, è inutile rimettere e aspettare l'interpretazione. Questo parametro potrebbe suonare come «il patrimonio e il reddito di entrambi».
  All'indicazione di tale parametro, forse, sarebbe meglio far seguire immediatamente il pure opportunamente previsto accenno alla ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive, perché si collega strettamente al parametro del reddito. Forse, accorpando tale criterio con quello della mancanza di adeguata formazione, si potrebbe adottare una formula unitaria: «il patrimonio e reddito di entrambi; la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive, anche in considerazione della mancanza di un'adeguata formazione e affermazione professionale, quale conseguenza dell'adempimento dei doveri coniugali».
  Circa l'impegno nella cura dei figli, ovviamente non può essere vista che con favore questa esplicita previsione, salvo precisare che le categorie di figli non sono solo quelle dei minori o dei disabili, ma anche quella dei maggiorenni non indipendenti economicamente, in ragione delle esigenze di coordinamento sistematico con la disciplina sulla responsabilità genitoriale.
  Quanto al contributo, è chiaro che diventa un po’ il criterio dei criteri, quindi forse sarebbe il caso di indicarlo immediatamente dopo quello delle condizioni dei coniugi quasi a specificarlo.
  Si viene poi a un altro criterio molto delicato, quello delle ragioni dello scioglimento del matrimonio, che riecheggia ovviamente il vigente criterio delle ragioni della decisione, su cui sono noti i fiumi di inchiostro versati e anche le divergenze esegetiche.
  Può essere condivisa l'opportunità di una persistente considerazione, almeno sul piano della definizione della contribuzione post-matrimoniale, dei comportamenti dei coniugi in ordine alla rottura del matrimonio, dato che nel nostro ordinamento non c'è una simile considerazione in relazione alla fattispecie costitutiva del divorzio, a Pag. 7differenza che in Francia, dove c'è un modello di divorzio per colpa.
  A questo riguardo, una volta modificata la formulazione del criterio, potrebbe essere un miglior partito eliminare quel comma, che sicuramente darà luogo e che ha già dato luogo a grosse discussioni. Ricollegare l'eventuale negazione dell'assegno alla violazione dei doveri matrimoniali verrebbe a caricare di valenze troppo sanzionatorie l'attribuzione dell'assegno.
  Potrebbe essere un partito migliore prevedere una disposizione di carattere più generale, relativa, non solo alle ragioni, ma anche a tutti gli altri criteri che possono essere preclusivi dell'assegno. Del resto, la Corte di Cassazione nella sentenza del 1990 prevedeva che l'assegno potesse essere escluso sulla base dell'incidenza negativa di uno o più dei criteri indicati.
  Anche su questo mi permetto di proporre una diversa formulazione: «Tenuto conto degli elementi di valutazione indicati nel comma precedente» – dove c'è anche la parte relativa alle ragioni della decisione – «il tribunale può predeterminare la durata dell'assegno, ovvero non accordarlo ove la sua attribuzione risulti palesemente iniqua». Devo dire che su questo mi sono fatto influenzare dall'ordinamento francese e da quello svizzero.
  Quanto alle ragioni della decisione, si potrebbe esprimere questo criterio come «il comportamento complessivamente tenuto da ciascuno in ordine al venir meno della comunione spirituale e materiale», con una formulazione più ampia.
  Fin qui è chiaro che in questa proposta di revisione del testo, pur mantenendone l'impianto, la temporaneità verrebbe accorpata con l'eventuale negazione dell'assegno, in relazione alla considerazione di tutti i criteri e non solo di quello reddituale, come avviene attualmente.
  Questo è quello che c'è nella proposta. Mi sono permesso di fare un'aggiunta, per una maggiore coerenza, dato che si deve fare una riforma destinata a imporre una svolta – è inutile sottolinearlo – e una diversa filosofia rispetto a quella fin qui ritenuta propria della disciplina dell'articolo 5, ovvero una finalizzazione sostanzialmente perequativa.
  Lo strumento dell'assegno periodico di per se stesso non è del tutto adeguato a svolgere questa funzione. Sarebbe auspicabile un'integrazione dello strumentario a disposizione, seguendo la via indicata dagli altri ordinamenti, forse più nitidamente proprio da quello francese, che mi sembra sia stato tenuto molto presente, a ragione, nella stesura dell'articolato.
  Mi riferisco alla via seguita univocamente in Francia, in Spagna e in Svizzera, al di là dell'esperienza inglese, dove il giudice ha il potere di risistemare del tutto gli assetti patrimoniali nel momento del divorzio. Nel momento della crisi e della determinazione dell'assetto post-matrimoniale, si potrebbe intervenire anche sullo strumentario a disposizione, conferendo, non solo alle parti, come nell'attuale comma 8 dell'articolo 5, ma anche al giudice, il potere di disciplinare gli assetti successivi al divorzio in maniera definitiva e una tantum.
  Ripeto che non è una scoperta, perché è chiarissimo nell'ordinamento francese, ma anche in quello spagnolo e in quello svizzero, in quasi tutti gli ordinamenti più vicini a noi.
  La disposizione potrebbe, più o meno, suonare in questi termini: «Il tribunale dispone preferibilmente, ove le circostanze lo consentano, la corresponsione in unica soluzione, determinandone le modalità. La corresponsione può avvenire in unica soluzione anche su accordo delle parti, se questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso, non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico».
  Completerei questa disposizione con un accenno a una questione attualmente sub iudice, che pende dinanzi alle Sezioni unite: se la sistemazione una tantum sia preclusiva dei diritti previdenziali. Francamente andrei contro a quello che ho sempre espresso nei miei interventi nel ritenere ciò, quindi completerei questa disposizione con una formula di questo tipo: «Restano comunque fermi i diritti di cui agli articoli 9, commi secondo e terzo, e 12-bis», proprio Pag. 8 per evidenziare che qui si tratta di diritti previdenziali e non di sistemare i rapporti economici tra i coniugi.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Cercheremo di cogliere i vari spunti che emergono da questi interventi. La ringrazio molto anche di questo lavoro scritto.
  Do la parola ad Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata, per lo svolgimento della sua relazione.

  ARNALDO MORACE PINELLI, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Presidente, innanzitutto, vorrei ringraziarla per l'invito a parlare qui oggi. Io sono onoratissimo. Questa è una Commissione che sotto la sua presidenza ha manifestato una particolare sensibilità e una forte attenzione alle tematiche che riguardano questo settore, il diritto di famiglia, che tocca un po’ gli interessi di tutti. Mi riferisco alla riforma sulla filiazione, al divorzio breve, alla legge n. 173 del 2015 sulla continuità affettiva dei bambini.
  Devo dire la verità: questa proposta di legge – per carità – è migliorabile, come tutte le proposte di legge di questo mondo, però, a mio avviso, è veramente una proposta importante e molto condivisibile nella sua impostazione generale, sotto tre profili.
  Nelle scorse audizioni il professor Bianca e la professoressa Bianca hanno posto come oggi ci sia un'esigenza di certezza del diritto, ed è vero. Ho visto proprio qualche giorno fa un appello a Genova che ha rideterminato l'assegno divorzile sulla base del tenore di vita matrimoniale. Abbiamo le note sentenze del tribunale di Milano, del giudice Buffone, che invece si è attenuto al rigoroso parametro indicato dalla Cassazione nella sentenza Lamorgese e ci ha detto che l'assegno divorzile è qualcosa appena più degli alimenti, i redditi del gratuito patrocinio.
  Che il legislatore in questo momento prenda l'iniziativa che gli è propria, credo sia una cosa veramente molto importante.
  A mio avviso, questa legge affronta un problema centrale in maniera adeguata: il ruolo che deve avere l'assegno divorzile nell'ambito di una peculiare visione matrimoniale. Infatti, quando si vanno a toccare questi istituti, ci si porta dietro un'idea del matrimonio.
  Già in un'altra audizione in questa Commissione, avevo avuto modo di dire che, a mio avviso, la sentenza Lamorgese della Cassazione aveva una certa visione del matrimonio come atto di libertà e di auto-responsabilità e, in quanto tale, dissolubile e soprattutto, che questa idea che il rapporto matrimoniale si estingue sul piano, non solo personale ma anche economico-patrimoniale e, quindi, l'ultrattività di cui ci diceva il professor Quadri non è concepibile.
  La libertà che il divorzio porta, il principio di auto-responsabilità interpretato in una certa maniera, significava anche incidere sui profili di responsabilità matrimoniale. In questa sentenza si guarda al futuro e non si tiene, a mio avviso, conto della vita matrimoniale passata. Infatti, la critica più generalizzata è questa: se un matrimonio è durato trent'anni o quarant'anni, è possibile che tutto questo non conti niente?
  A mio avviso, questa legge dà una giusta risposta, perché il profilo di libertà non significa elidere la responsabilità che sorge dal matrimonio, cioè guardare al passato della vita in comune, come prima diceva il professor Quadri.
  A questo proposito c'è la sentenza delle Sezioni unite che è stata più volte richiamata, la n. 16379 del 2014, che ha chiarito in maniera fortissima come il matrimonio-rapporto sia fonte di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi, sia come singoli sia nelle relazioni familiari.
  Per me, il grande pregio di questa proposta di legge è di aderire a questa visione del matrimonio: un matrimonio che è fonte di responsabilità, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi. È chiaro che il profilo della libertà prevale, ma è anche chiaro che sciogliere il matrimonio non significa elidere la vita passata matrimoniale. Pag. 9
  Questa proposta di legge si colloca, a mio avviso giustamente, in questa dimensione, proprio nel primo comma, laddove sancisce questo criterio squisitamente perequativo. Ha detto bene il professor Quadri: qui c'è un richiamo al Code civil, all'articolo 270. Il comma recita: «Il tribunale dispone l'attribuzione di un assegno a favore di un coniuge, destinato a compensare per quanto possibile la disparità che lo scioglimento o la cessazione degli effetti del matrimonio crea nelle condizioni di vita dei coniugi».
  Questo sconquassamento della vita che c'è stata prima che inevitabilmente lo scioglimento determina deve riportare a un assetto, a un riequilibrio, proprio perché entrambi i coniugi hanno contribuito in qualche modo alla vita matrimoniale e questo rapporto ha generato affidamenti e aspettative legittime.
  Ha ragione il professor Quadri quando afferma che questo significa attuare il principio di parità dei coniugi espresso nell'articolo 29 della Costituzione, quindi è un grande passo in avanti.
  Quando al comma 2 dell'articolo unico della proposta di legge si va ad analizzare i criteri, è estremamente apprezzabile il fatto che siano stati previsti dei criteri nuovi, quali la cura dei figli, l'impegno di cura personale e anche un richiamo ai disabili. Si esalta il ruolo del giudice che dovrà caso per caso andare ad applicare questi criteri.
  È vero che la durata del matrimonio è certamente un criterio chiave, perché questa vita in comune che determina le legittime aspettative chiaramente si rinsalda in una durata più elevata. Tuttavia, io credo che tutto sommato l'averla inserita tra i vari criteri sia saggio. Credo che anche tutti gli altri criteri abbiano un ruolo chiave.
  Questa proposta di legge risponde anche a una forte esigenza di giustizia, perché l'obiettivo perequativo che persegue è oggettivamente una finalità giusta e ha una rispondenza sociale molto elevata.
  L'unico aspetto su cui, invece, rifletterei con attenzione è proprio l'ultimo comma: «L'assegno non è dovuto nel caso in cui il matrimonio sia cessato o sciolto per violazione da parte del richiedente l'assegno degli obblighi coniugali». Sembra evocare un po’ il divorzio per colpa. Noi nel nostro ordinamento abbiamo la separazione prima, la quale sospende i doveri matrimoniali e probabilmente li estingue.
  Quali sarebbero queste violazioni prima del divorzio che dovrebbero giustificare questa sanzione? Quali sono i doveri matrimoniali? Mi ricordo una vecchia sentenza della Cassazione che diceva «non si sono riconciliati, non hanno ripristinato la comunione materiale e spirituale». Questo con la libertà personale obiettivamente c'entra poco. Io credo che ci sia una difficoltà dopo la separazione a individuare questi doveri.
  Se si vuole dire che è una rilevanza al momento del divorzio dell'addebito mi sembra altrettanto pericoloso, perché io sono sempre stato un fiero sostenitore dell'opportunità di abrogare l'addebito dall'ordinamento. Se questa fosse la lettura, significherebbe spingere la conflittualità al momento della separazione per ottenere la pronuncia di addebito che avrebbe rilevanza anche al momento del divorzio.
  Siccome saggiamente il criterio delle ragioni dello scioglimento e della decisione già c'è nel precedente comma, obiettivamente io credo che questo basti.
  Per il resto, devo dire la verità: è una proposta di legge veramente importante, che risponde a un'esigenza fortemente sentita di tutte le coppie in crisi e dà dei criteri nuovi molto importanti, assolutamente al pari con l'Europa. Il mio auspicio è che questa proposta di legge cammini.

  PRESIDENTE. Grazie, professore, di questi ulteriori spunti.
  Do la parola all'avvocato Gianfranco Dosi, che ha varie qualifiche ed è qui oggi anche come direttore della rivista Lessico di famiglia, per lo svolgimento della sua relazione.

  GIANFRANCO DOSI, direttore della rivista «Lessico di diritto di famiglia». Desidero, innanzitutto, ringraziare la Commissione e la presidente per l'opportunità di poter esporre il mio punto di vista sulla Pag. 10proposta di legge C. 4605 in discussione, concernente le modifiche all'articolo 5 della legge sul divorzio.
  I dati statistici ci dicono che ogni tre matrimoni uno è destinato alla separazione e al divorzio, che non sono quindi più vissuti nell'epoca contemporanea come elementi di disturbo sociale, ma come fallimento, spesso però anche doloroso, di progetti di vita privata.
  In questo contesto, il diritto di famiglia negli ultimi anni nel suo complesso ha certamente perso quella connotazione pubblicistica che affollava di diritti indisponibili questo settore, garantendo anche, in caso di accordi di separazione e divorzio, soluzioni coraggiose di degiurisdizionalizzazione, come la negoziazione assistita, un tempo impensabili.
  A questo giusto rispetto del diritto di famiglia per la vita privata delle persone, si è accompagnata, però, negli ultimi decenni una legislazione assolutamente doverosa a tutela dei soggetti più vulnerabili. Penso alle riforme in materia di contrasto alla violenza nelle relazioni familiari, alle norme sulla responsabilità genitoriale sull'affidamento condiviso, alla scomparsa di ogni disuguaglianza nello status dei figli, alla tutela dei diritti nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto.
  Dunque, il rispetto per la vita privata e la tutela delle condizioni di vulnerabilità sono i pilastri su cui finora si è mosso, ed è giusto che continui a muoversi, il diritto di famiglia.
  Entrando nel tema che la proposta di legge intende affrontare, un contesto specifico di vulnerabilità è quello della condizione femminile nel momento in cui il matrimonio si scioglie, che nel nostro Paese è già esposta a numerose altre vulnerabilità.
  La proposta di legge va senz'altro condivisa, a mio avviso, nello spirito e nel testo che propone, perché indica in modo chiaro le coordinate alle quali alle parti in caso di accordo e al giudice in caso di contenzioso si chiede di far riferimento.
  Sottolineerei l'aspetto dell'orientamento che ha verso le parti, perché il 90 per cento delle separazioni e dei divorzi sono ancora fatti su accordo delle parti, quindi è giusto che le parti si misurino anche con l'interpretazione che qui si chiede al giudice di seguire.
  Negli ultimi trent'anni, queste coordinate hanno poggiato su un'interpretazione giurisprudenziale, come si è detto, che consente alla donna al momento della cessazione del matrimonio, soprattutto di lunga durata, di poter pretendere sostanzialmente che il divorzio non comporti un inaccettabile deterioramento della sua condizione di vita, soprattutto quando la divisione del lavoro nell'ambito della famiglia non le ha potuto permettere uno sviluppo adeguato delle sue potenzialità reddituali.
  Tenere presenti, per quanto possibile, in sede di divorzio, le condizioni di vita realizzate nel matrimonio ha sempre significato anche garantire la conservazione di quella parità di diritti e di doveri che fondano il matrimonio nell'articolo 29 della Costituzione e che sono richiamati nell'articolo 153 del Codice civile, dove si parla di parità tra lavoro professionale e lavoro casalingo.
  In questa interpretazione giurisprudenziale, l'assegno divorzile ha finora assolto a una funzione giusta, che nei criteri di quantificazione indicati dalla norma è in grado di trovare i correttivi per evitare situazioni di parassitismo e di ingiustizia.
  Questa interpretazione trentennale, come si è visto, è stata abbandonata recentemente in un orientamento della Corte di cassazione, a mio avviso non condivisibile, che ha suggerito una diversa interpretazione dell'articolo 5, comma 6. Tale orientamento ritiene in sostanza che il diritto all'assegno divorzile non può essere riconosciuto quando il coniuge che lo richiede si trovi in una condizione di indipendenza economica, la cui valutazione deve prescindere dal collegamento con la pregressa vita matrimoniale. In tal modo si crea uno sbarramento dai confini opinabili, che impedisce l'accesso alla quantificazione dell'importo e, quindi, alla valutazione dei criteri su cui esso dovrebbe fondarsi.
  Ogni riferimento alla condizione matrimoniale viene annullato dalla qualificazione degli ex coniugi come persone singole Pag. 11– io qui sono molto più rigoroso degli interventi che mi hanno preceduto, ma mi sembra che questa sia anche l'opinione del professor Quadri e del professor Morace Pinelli – il cui rapporto, come per i conviventi di fatto, può trovare tutela solo nell'articolo 2 della Costituzione.
  Mai in queste sentenze viene richiamato l'articolo 29 della Costituzione, in coerenza, d'altra parte, con l'impostazione data al problema, come se il rapporto matrimoniale e la solidarietà coniugale non ci fossero mai stati. A mio avviso, è un'interpretazione che finisce per mettere sullo stesso piano l'annullamento del matrimonio ex tunc e la cessazione del vincolo ex nunc.
  Perciò, quella parità tra lavoro professionale e casalingo che l'articolo 143 del codice civile prescrive a fondamento del matrimonio e che può essersi tradotta in minori opportunità lavorative e reddituali per la donna – sottolineo il «può» – viene azzerata proprio nel momento in cui le sue eventuali condizioni di maggiore vulnerabilità richiederebbero di essere messe in primo piano.
  Il merito di questo diverso orientamento è stato, se non altro, quello di aver riaperto il dibattito sulla funzione dell'assegno divorzile in una società che cambia e che deve anche allinearsi agli altri Paesi europei, non senza considerare, però, che le questioni connesse alla condizione coniugale al momento del divorzio dipendono strettamente dalle condizioni sociali ed economiche di un Paese, dalle sue possibilità di welfare, da altre variabili, come quella, per esempio, del regime patrimoniale.
  Più, infatti, il regime patrimoniale della famiglia garantisce un riequilibrio economico della coppia alla fine del matrimonio, come nei casi di compartecipazione differita degli incrementi, meno l'assegno divorzile è chiamato ad assolvere funzioni di riequilibrio.
  La proposta di legge C. 4605 si inserisce in questo dibattito con alcune indicazioni molto chiare che non possono non essere condivise. La funzione dell'assegno viene, infatti, indicata guardando al futuro della vita degli ex coniugi, ma tenendo ben presente il passato. Si legge nella proposta: «L'assegno ha la funzione di compensare le disparità che si possono creare dopo il divorzio nella vita dei coniugi, anche, ma non solo, in relazione al fatto che nel corso del matrimonio non è stato possibile per i coniugi garantirsi pari opportunità».
  Ciò non vuol dire affatto, come qualcuno ha voluto affrettatamente affermare, che si tratti di una funzione compensativa nel senso classico di compensazione dei sacrifici e delle rinunce pregresse di uno dei coniugi. La proposta parla di compensare le disparità, non di compensare i sacrifici.
  È proprio sulla base di questa funzione di eliminazione delle eventuali disparità post-matrimoniali attribuita all'assegno divorzile che dovranno essere valutate, per determinarne l'importo o eliminarne l'attribuzione, le condizioni economiche in cui gli ex coniugi si trovano dopo il divorzio, tenendo presenti, secondo il condivisibile testo della proposta di legge, tutti i criteri indicati nel nuovo articolo 5, collegati, come è sacrosanto, sia alle possibilità future di autonomia, alla durata del matrimonio e ai redditi di ciascuno, sia all'impegno profuso e al contributo dato nel corso del matrimonio.
  Trovo molto convincente e ragionevole la possibile predeterminazione della durata dell'assegno, analogamente a quanto avviene in altri Paesi.
  È del tutto ragionevole, ed è oggi già praticabile – io così l'ho interpretata – la previsione della non spettanza dell'assegno di divorzio in caso di addebito della separazione, magari chiarendo bene che questo era il senso che si voleva dare a questa indicazione normativa.
  Grazie ancora, presidente. Ho lasciato un piccolo appunto.

  PRESIDENTE. Sì, grazie, lo abbiamo già acquisito ed è a disposizione di tutti i colleghi.
  Do la parola all'avvocatessa Anna Losurdo, rappresentante del Consiglio nazionale forense, per lo svolgimento della sua relazione.

  ANNA LOSURDO, consigliere nazionali del Consiglio nazionale forense (CNF). Buonasera Pag. 12 a tutti. Porto il ringraziamento del Consiglio nazionale alla Commissione e alla presidente, sia per l'audizione sia perché con la proposta di legge che oggi stiamo esaminando sicuramente viene dimostrata l'attenzione e lo «stare sul pezzo» su un problema che certamente è sentito dagli avvocati, ma anche dai cittadini coinvolti in queste vicende.
  Noi ci riserviamo di far arrivare una nota scritta articolata condivisa dal plenum. Abbiamo proceduto alla disamina della proposta di legge, rilevando dei punti di forza condivisibili che brevemente illustrerò e qualche suggerimento ulteriore che la Commissione esaminerà.
  Lo scopo è ripristinare il dato normativo rispetto a un panorama giurisprudenziale che – è stato messo in evidenza meglio di me, ma è noto – proprio a seguito della sentenza della Cassazione di cui tanto si è discusso oggi si è cominciato a vedere nell'ambito delle pronunce di merito.
  È sicuramente apprezzabile l'armonizzazione del nostro ordinamento con gli altri ordinamenti europei e, quindi, anche una condivisione dei princìpi che regolano la materia.
  Riteniamo senz'altro apprezzabile la previsione di una predeterminazione della durata dell'assegno nei casi in cui sia necessario fronteggiare situazioni contingenti, però con riferimento alla durata richiamiamo l'attenzione sulla necessità che, anche nel caso in cui l'assegno sia previsto per una durata predeterminata, si proceda preliminarmente a un riequilibrio delle posizioni nella divisione dei beni.
  Riteniamo che l'obiettivo perequativo dell'assegno, che è stato illustrato dai relatori intervenuti in precedenza, ovvero l'intento di favorire l'equo contemperamento degli interessi per l'intero nucleo familiare per il futuro, sia una direttrice dell'intervento normativo sicuramente condivisibile.
  Gli altri aspetti che vorremmo evidenziare sono i seguenti. Sicuramente questo intervento potrebbe essere l'occasione per chiarire definitivamente, come è stato già menzionato, la natura dell'assegno e le sue finalità, in modo anche da sgombrare il campo da ulteriori residui di perplessità in ordine alla natura dell'assegno di divorzio, anche alla luce delle disposizioni sul cosiddetto «divorzio breve» che sono intervenute in quest'ambito.
  Per quanto attiene ai criteri da utilizzare di cui al comma 2 dell'articolo 1 della proposta di legge, riteniamo che sia importante inserire come criterio valutativo il lavoro di cura svolto nel corso del matrimonio a favore di figli, di eventuali soggetti disabili, ma anche di anziani, ossia il ruolo di caregiver che i coniugi si suddividono.
  Con riferimento al criterio della mancanza di un'adeguata formazione professionale quale conseguenza dell'adempimento dei doveri coniugali, bisogna tener presenti le possibili ricadute pratiche dell'introduzione di questo criterio, in merito alle quali noi abbiamo rilevato qualche perplessità.
  Un soggetto può anche avere un'adeguata formazione professionale, per esempio essere iscritto a un albo professionale, ma, non avendo svolto per un lungo periodo durante il matrimonio, quell'attività professionale di per sé non è sufficiente. Dunque, anche in presenza di un'adeguata formazione professionale, potrebbe permanere un ostacolo reale a essere in grado di ottenere la redditività da quella professione.
  Per quanto attiene alla mancanza di previsione, ovvero alla previsione di non debenza dell'assegno nel caso in cui il matrimonio sia cessato o sciolto per violazione da parte del richiedente l'assegno degli obblighi coniugali, noi riteniamo che si debba tener presente anche tutto quello che la giurisprudenza nel tempo ha affermato, per esempio che la parte degli alimenti è comunque dovuta anche in caso di addebito della separazione.
  Accendiamo un po’ di allerta su questi aspetti, che potrebbero avere delle conseguenze pregiudizievoli nei confronti di un coniuge debole.
  L'altro auspicio che potrebbe trovare in questa sede un'eventuale soluzione è la previsione espressa di modalità diverse, ossia il ricorso alle convenzioni fra i coniugi anche mediante il conferimento di beni, ai Pag. 13fini di riequilibrare le posizioni anche patrimoniali, oltre che reddituali, dei coniugi.
  Tutto questo ovviamente vi verrà trasfuso in un documento che vi faremo avere quanto prima.

  PRESIDENTE. Grazie, aspettiamo quindi il documento, comunque già ci sono stati degli spunti costruttivi di riflessione.
  Do la parola all'avvocato Luigi Sini, componente dell'Organismo congressuale forense (OCF), per lo svolgimento della sua relazione.

  LUIGI SINI, componente dell'Organismo congressuale forense (OCF). Grazie, presidente e buonasera a tutti. Ringraziamo la Commissione e la presidente per l'attenzione alla materia. La relazione che noi abbiamo inviato è frutto del lavoro della commissione famiglia dell'Organismo congressuale forense, della quale faccio parte. Il lavoro è stato portato avanti, oltre che dal coordinatore, anche dalla collega Rosanna Rovere, presidente dell'ordine degli avvocati di Pordenone, che vorrei ringraziare perché ha dato grande apporto al lavoro stesso.
  Il parere dell'Organismo congressuale forense è sicuramente positivo rispetto alla proposta di legge. Richiamandomi a tutte le osservazioni che sono già state fatte, osservo che la proposta di legge non è soltanto condivisibile, ma è assolutamente condivisa. Prima di venire, quando ho saputo di partecipare, ho necessariamente contattato i colleghi dell'Organismo, ma anche i colleghi del foro, i quali hanno veramente sollecitato l'approvazione della legge, con l'auspicio che possa avere un percorso privilegiato.
  Crediamo nella necessità di fare urgente chiarezza rispetto a un contrastante quadro giurisprudenziale che si è venuto a creare, seppure in considerazione del brevissimo lasso di tempo che è intercorso dalla sentenza della prima sezione a oggi.
  Infatti, gli effetti della sentenza della Cassazione si sono sentiti e si sentono nelle parti, tra noi avvocati, nella magistratura. Noi ovviamente nei nostri studi stiamo cercando di fronteggiare molti clienti che ci chiedono di iniziare subito giudizi per la revisione di assegni. Gli avvocati non hanno ancora ben chiara la portata della sentenza. Purtroppo, vediamo nella giurisprudenza una via d'uscita spesso nelle decisioni che sono già chiamati a prendere, anche se ovviamente ci sono delle decisioni di tribunali di merito che cercano di discostarsi.
  Sicuramente questo ha dato origine a una grande incertezza sulla questione e il legislatore è chiamato a colmare e a fare urgente chiarezza su questo.
  Per quanto riguarda la proposta di legge, al di là di tutte le osservazioni assolutamente condivisibili di coloro che sono stati auditi oggi e nelle precedenti sessioni, ciò che l'Organismo rileva è forse un'inadeguatezza dell'intervento della sezione semplice della Cassazione, che, pur avendo risvegliato il dibattito, probabilmente non ha tenuto conto degli effetti e della realtà delle nostre famiglie.
  Innanzitutto, la Cassazione ha precisato anche con una sentenza successiva che il principio affermato non si applica nell'assegno che viene riconosciuto in sede di separazione, ma si applica in sede di divorzio.
  Questo in realtà crea qualche difficoltà concreta, soprattutto per il breve tempo che oggi abbiamo tra pronuncia della separazione e pronuncia del divorzio. Ciò non rende tanto condivisibile l'orientamento della Cassazione in tema di assegno divorzile, perché in realtà gli assetti in sei mesi non cambiano affatto. Forse le parti si rendono conto in questo breve lasso di tempo che quegli assetti non erano in realtà così consoni alla situazione che poi si sarebbe andata a sviluppare. Spesso la fretta della separazione fa accettare condizioni che debbono necessariamente essere riviste successivamente.
  Peraltro, i dati statistici a cui è stato fatto cenno prima ci rendono il quadro di un'Italia diversa da quella che probabilmente ha avuto in esame la Corte di cassazione. Infatti, la situazione è quella di affari di famiglia nei quali l'assegno è riconosciuto ed è necessario, e, soprattutto, non stiamo parlando degli assegni esaminati Pag. 14 dalla Corte, ma di situazioni in cui poche centinaia di euro fanno veramente la differenza. Essere così tranchant nell'assegnazione o meno dell'assegno forse è stato frettoloso.
  La proposta di legge ha appunto questo scopo. Si parla di compensare; forse il suggerimento che viene dato non è tanto quello di compensare la differenza di situazione patrimoniale che si è venuta a creare. Ho sentito parlare di perequazione; forse sarebbe opportuno come suggerimento parlare proprio di riequilibrare la situazione economica. Infatti, spesso lo scioglimento del matrimonio, con la separazione prima e con il divorzio dopo, crea delle disparità nelle situazioni economiche dei coniugi più che evidenti.
  Per quanto riguarda i requisiti che sono evidenziati c'è assoluta condivisione, anche sulle osservazioni che sono state fatte. Vorrei sottolineare un giudizio positivo sull'individuazione di questi criteri e di questi parametri e sull'inserimento di nuovi criteri e di nuovi parametri, perché hanno veramente la capacità di cogliere per valorizzarli degli elementi determinanti delle dinamiche familiari.
  Effettivamente la mancanza di un'adeguata formazione professionale, anche, come ha detto la collega, nell'ipotesi in cui c'è stata ma non è stata poi effettivamente esercitata la professionalità che era stata acquisita, quale conseguenza dell'adempimento dei doveri coniugali, è uno degli aspetti che noi operatori del diritto ci troviamo spesso a discutere. Sono situazioni effettivamente esistenti, che non possono essere in alcun modo disconosciute.
  Ribadisco il mio minimo suggerimento emendativo: piuttosto che compensare, che potrebbe dar luogo a quelle interpretazioni che alcuni avevano già dato, possiamo parlare di riequilibrare.
  Positiva è anche la previsione della possibilità di predeterminare la durata dell'assegno, che potrebbe avere l'effetto di limitare il ricorso a procedimenti di modifica, anche se in questo caso forse dovrebbe essere precisato che, laddove effettivamente ci sono nuove circostanze sopravvenute tra il riconoscimento e, quindi, la sentenza di divorzio con l'assegno e il tempo che è stato predeterminato dal giudice, possa essere chiesta eventualmente anche la caducazione anticipata come forma di modifica. Infatti, prevediamo alcune decisioni tranchant nelle quali si possa dire: «Abbiamo deciso che l'assegno dura cinque anni e non ritorniamo su questo aspetto».
  Problematico invece, ma non perché se ne disconoscano la funzione e la necessità, è il comma che è stato previsto, nel quale si dice che l'assegno non è dovuto nel caso in cui il matrimonio sia cessato o sciolto per violazione da parte del richiedente dell'assegno degli obblighi coniugali.
  È ovvio, come la presidente accennava prima, che si fa riferimento a fatti precedenti al matrimonio. Noi, però, ci troviamo di fronte a una chiusura in sede di giudizio divorzile da parte del tribunale, che ovviamente non lascia spazi, una volta che si è conclusa la fase di separazione, anche senza un addebito per scelta e anche con una separazione consensuale.
  Condivido quello che ha affermato il professor Quadri: sarebbe forse da ridiscutere l'addebito della separazione. Spesso capita che in fase di separazione, nelle separazioni consensuali, queste questioni non vengono portate all'attenzione, proprio perché, per evitare di rivivere il dolore di crisi familiari anche violente, si preferisce fortunatamente giungere a un accordo lasciando questioni che avrebbero potuto essere rilevanti ai fini della colpa.
  Tuttavia, se questo potesse essere portato successivamente in sede divorzile per la determinazione dell'assegno, noi ci troveremmo di fronte ai magistrati che ci direbbero: «Questioni precedenti dovevano essere sollevate in fase di separazione e non le possiamo trattare oggi». È un problema più che altro di prova.
  La Commissione valuterà se seguire anche i suggerimenti degli altri auditi, però, nell'eventualità in cui si volesse mantenere questo comma, dovrebbe essere esplicitata la possibilità di poter dare prova solo ed esclusivamente ai fini della determinazione dell'assegno e non ai fini dell'addebito, anche se questo renderebbe tutto molto complicato. La norma in sé sarebbe vana e Pag. 15inutile per quanto riguarda quei giudizi che si sono conclusi senza discussione sui profili di colpa, perché sono affatto preclusi.
  Detto questo, l'elaborato dell'Organismo congressuale forense vi è pervenuto e può andare in distribuzione. Abbiamo già dato qualcosa ai colleghi.
  Il giudizio è sicuramente positivo. L'ultimo suggerimento potrebbe essere quello di collegarlo anche a una discussione sui patti prematrimoniali, per i quali già c'è stata un'audizione, perché potrebbe essere la spinta per poter trattare e portare alla fase finale la questione dei patti prematrimoniali, che hanno anche lo scopo di prevenire le successive liti.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo. Non credo ci siano interventi di colleghi. Ringrazio il collega Ferraresi, la collega Giuliani, il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico, che hanno voluto dare comunque la rappresentanza del Gruppo.
  Sono giorni un po’ particolari, dove ci sono tanti impegni anche fuori dal Parlamento e, quindi, non vedete il solito pubblico, però è tutto registrato e trascritto, è un'indagine conoscitiva formale e, quindi, i colleghi, nel momento in cui ci sarà la fase emendativa, avranno a disposizione tutto il materiale.
  Vi ringrazio molto. Sarà mia cura sollecitare un'ulteriore riflessione e altri contatti, per cercare, dopo la presentazione degli emendamenti, di trovare un testo che possa essere ampiamente condiviso. Questo ci consentirebbe – me lo auguro – di avere alla Camera una fase abbastanza celere. Ovviamente poi la lasciamo ai tempi della legislatura e ai tempi del Senato.
  Cerchiamo di non lavorare a vuoto e tantomeno di non utilizzare la vostra disponibilità per nulla. Io credo che in ogni caso, anche qualora non riuscissimo a chiuderlo – perché purtroppo non decidiamo noi i tempi del Senato – sarebbe importante che il testo venisse elaborato e discusso almeno da un ramo del Parlamento, in modo tale da lasciare un testimone alla successiva legislatura e soprattutto da dare un indirizzo alla giurisprudenza che nel frattempo sta lavorando.
  Infatti, i giudici continuano a lavorare, così come gli avvocati, e i cittadini aspettano, mentre il Parlamento ha i suoi tempi di bicameralismo. Al Senato inizieranno la stabilità, quindi non so francamente se riusciremo ad approvare in via definitiva il provvedimento. Dipende molto dai tempi di chiusura della legislatura, da quando le Camere saranno sciolte; è ovvio. Questo ci consentirà di ricalibrare, però noi intanto stiamo cercando di lavorare.
  Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.