XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Giovedì 26 febbraio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO C. 2798 , RECANTE MODIFICHE AL CODICE PENALE E AL CODICE DI PROCEDURA PENALE PER IL RAFFORZAMENTO DELLE GARANZIE DIFENSIVE E LA DURATA RAGIONEVOLE DEI PROCESSI E PER UN MAGGIORE CONTRASTO DEL FENOMENO CORRUTTIVO, OLTRE CHE ALL'ORDINAMENTO PENITENZIARIO PER L'EFFETTIVITÀ RIEDUCATIVA DELLA PENA, E DELLE ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE C. 370  FERRANTI, C. 372  FERRANTI, C. 373  FERRANTI, C. 408  CAPARINI, C. 1194  COLLETTI, C. 1285  FRATOIANNI, C. 1604  DI LELLO, C. 1957  ERMINI, C. 1966  GULLO, C. 1967  GULLO, C. 2165  FERRANTI, C. 2771  DORINA BIANCHI E C. 2777  FORMISANO

Audizione di rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura e di Piercamillo Davigo, consigliere della Corte di Cassazione.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Davigo Piercamillo , consigliere della Corte di Cassazione ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 4 
Davigo Piercamillo , consigliere della Corte di Cassazione ... 4 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 8 
Amoddio Sofia (PD)  ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Davigo Piercamillo , consigliere della Corte di Cassazione ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Davigo Piercamillo , consigliere della Corte di Cassazione ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Davigo Piercamillo , consigliere della Corte di Cassazione ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Davigo Piercamillo , consigliere della Corte di Cassazione ... 13 
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 13 
Davigo Piercamillo , consigliere della Corte di Cassazione ... 13 
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 13 
Davigo Piercamillo , consigliere della Corte di Cassazione ... 13 
Colletti Andrea (M5S)  ... 13 
Davigo Piercamillo , consigliere della Corte di Cassazione ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Improta Vincenzo , vicepresidente dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Improta Vincenzo , vicepresidente dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura e di Piercamillo Davigo, consigliere della Corte di Cassazione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge del Governo C. 2798, recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena, e delle abbinate proposte di legge C. 370 Ferranti, C. 372 Ferranti, C. 373 Ferranti, C. 408 Caparini, C. 1194 Colletti, C. 1285 Fratoianni, C. 1604 Di Lello, C.1957 Ermini, C. 1966 Gullo, C. 1967 Gullo, C. 2165 Ferranti, C. 2771 Dorina Bianchi e C. 2777 Formisano, di Vincenzo Improta, Vicepresidente dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA), accompagnato da Maurizio Condipodero, Componente della Giunta Centrale, e di Piercamillo Davigo, consigliere della Corte di Cassazione.
  Do la parola al consigliere Piercamillo Davigo.

  PIERCAMILLO DAVIGO, consigliere della Corte di Cassazione. In linea generale richiamo quanto ha detto il Presidente della sezione dell'Associazione nazionale magistrati della Corte di Cassazione, che è stato ascoltato e ha prodotto una relazione che ha trasmesso anche a me, in copia, e che io ho letto e condivido, con alcune precisazioni che adesso farò.
  Vorrei prima fare un riferimento di carattere più ampio, perché questo disegno di legge si inserisce nell'intenzione di deflazionare il carico giudiziario. Ho sempre la sensazione che quando si discute di questi problemi non si abbia presente la drammaticità della situazione. Ci sono delle cose che vengono dette sempre, ma è meglio ripeterle. Il rapporto Doing Business della Banca Mondiale, circa i Paesi dove conviene investire indica l'Italia al 157esimo posto su 183 per la durata dei procedimenti e per l'inefficienza della giustizia. È un dato soprattutto relativo alla giustizia civile, ma che vale in gran parte anche per la giustizia penale.
  Per fare un riferimento alla giustizia civile, in Italia occorrono 1.210 giorni per il recupero di un credito; in Germania 394. Anche questo è uno spread, e forse più devastante degli spread economici.
  Venendo alla questione delle cause di tutto questo, va detto che non dipende affatto da una carenza di produttività degli apparati giudiziari italiani, i quali sono i più produttivi del Consiglio d'Europa in materia penale e al secondo posto in materia civile.
  Non mi stanco mai di ripetere che i magistrati italiani lavorano il doppio dei loro colleghi francesi e il quadruplo dei loro colleghi tedeschi. Questa situazione Pag. 4non è, secondo me, ulteriormente gestibile, prima di tutto perché non è ulteriormente aumentabile la produzione senza andare a scapito della qualità della produzione stessa; in secondo luogo, il problema è che la macchina giudiziaria sembra una macchina gigantesca che gira a vuoto.
  Faccio un esempio: noi facciamo circa 3 milioni di processi penali ogni anno, contro i 300.000 della Gran Bretagna, quindi dieci volte di più. La Gran Bretagna, con 300.000 processi penali, ha 100.000 detenuti. L'Italia ne aveva 67.000 e ha dovuto sfollare le carceri per evitare condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo.
  Il rapporto tra numero di procedimenti e numero di detenuti è un indicatore importante: non è che i processi servano solo a fabbricare detenuti, però da un lato è l'indice della necessità del processo, dall'altro è l'indice della sua efficacia. Fare processi per non avere detenuti significa che si potrebbero anche non fare.
  Qui voglio mettere in risalto il primo dato. Noi abbiamo un'udienza preliminare che, per come è concepita adesso, non serve a nulla. Il giudice per l'udienza preliminare può prosciogliere – salvo i casi di clamorose sviste, abolizioni del reato, prescrizioni eccetera – solo se ritiene inutile il dibattimento, che è una roba che non vuol dire niente. Il risultato è che vanno a giudizio quasi tutti. Infatti, abbiamo una percentuale di assoluzioni che è sconosciuta in altri Paesi. Io trovo incivile che un imputato venga assolto in primo grado, in appello o peggio che mai in Cassazione. Un innocente non deve andare a giudizio, questa è la questione. Il filtro deve essere forte all'inizio; le garanzie vanno concentrate all'inizio del procedimento, anche per evitare un lavoro giudiziario inutile.
  Ho visto che, sotto questo profilo, il disegno di legge governativo...

  PRESIDENTE. (fuori microfono) È quasi il contrario.

  PIERCAMILLO DAVIGO, consigliere della Corte di Cassazione. Infatti, è quasi contrario: diminuisce i poteri del giudice dell'udienza preliminare invece di ampliarli.
  Secondo me, è necessario ampliare i poteri del giudice per l'udienza preliminare in punto di acquisizione delle prove e se è necessario di decisione, sfoltendo dall'udienza preliminare tutto quello che è possibile sfoltire. In altre parole, se c’è da prosciogliere, che prosciolga il giudice per l'udienza preliminare, così si evita di appesantire gli organi giudicanti di primo grado e poi quelli di appello e di Cassazione con processi destinati comunque all'assoluzione.
  Seconda questione. Le riforme del sistema proposte dal Governo qualche volta sono controproducenti. Per esempio, viene ripristinato il cosiddetto «patteggiamento d'appello», l'accordo sull'accoglimento parziale dei motivi. Io la trovo una cosa devastante, perché un altro dei problemi italiani è il numero eccessivo di impugnazioni. Non parlo dei gradi di giudizio, tre gradi di giudizio ci sono in tutti i Paesi del mondo. La questione è che in Italia vengono davvero percorsi, mentre all'estero no.
  Tanto per fare un paragone concreto con un Paese che ci somiglia molto, anche se ha un codice diverso, mentre in Italia le sentenze di condanna a pena da eseguire vengono appellate tutte, in Francia solo il 40 per cento. Bisogna farsi una domanda: perché in Francia solo il 40 per cento delle sentenze di condanna a pena detentiva da eseguire vengono appellate e in Italia tutte ? Non è soltanto il differimento dell'esecuzione della sentenza – questo varrebbe anche in Francia – è che in Italia c’è il divieto di reformatio in peius in appello, in Francia no.
  Ora, se c’è una cosa che mi fa innervosire, anche fra i miei colleghi, è quando sento fare questioni di civiltà giuridica sul divieto di reformatio in peius. La Francia è certamente uno stato di diritto, e lo è da molto più tempo dell'Italia, quindi pretendere di essere saccenti nei confronti della Francia trovo che sia una manifestazione di arroganza intellettuale intollerabile.Pag. 5
  Il problema è che se fosse incostituzionale, come sostiene parte della dottrina, la reformatio in peius, dovrebbe valere anche per l'opposizione al decreto penale di condanna. Invece, il decreto penale di condanna, quando uno fa opposizione, può essere condannato a una pena maggiore di quella riportata dal decreto. Il risultato è che non tutti i decreti penali di condanna vengono opposti, mentre tutte le sentenze di condanna a pena detentiva vengono appellate.
  Questa questione diventa rilevantissima non soltanto per l'accordo sull'accoglimento parziale dei motivi, ma anche per una questione che qui è accennata parzialmente ma che sarà presto all'esame del Parlamento, che è la modifica del sistema di prescrizione. Io sono assolutamente favorevole alla modifica del sistema di prescrizione perché è un altro istituto nefasto che crea problemi. Ma oggi la prescrizione comunque un po’ di processi li porta via, specie in appello, perché l'appello è l'anello debole del sistema, attualmente, in Italia. Siccome la struttura è piramidale, come in tutto il mondo, il numero di processi che si abbatte sulle corti d'appello è enormemente più elevato di quanto accade in altri Paesi. È lì che, tra l'altro, maturano la maggior parte delle prescrizioni.
  Il risultato è che se si cambia la prescrizione la corte d'appello salta, in assenza di correttivi sugli appelli, perché non ce la faranno mai a fare tutti questi processi. Credo, allora, che il sistema vada valutato complessivamente. Non mi pare di aver visto qualcosa di questo genere nella delega che il Governo chiede per riformare il codice di procedura penale.
  Sulle impugnazioni posso fornirvi qualche dato che indica la situazione. Gli appelli pendenti in Francia sono poco più di 37.000. La Corte di Cassazione francese è investita di circa 8.000 ricorsi l'anno, contro gli oltre 100.000 di cui è investita la Corte suprema di Cassazione italiana. In Francia sono un centinaio gli avvocati cassazionisti; in Italia sono oltre 50.000. Anche queste cose dovrebbero essere ripensate: non è possibile un accesso così indiscriminato alle giurisdizioni superiori.
  Nel Regno Unito, come in quasi tutti i Paesi di common law, il sistema è curioso e probabilmente un po’ ostico da accettare alla nostra mentalità. Per cominciare, per impugnare un provvedimento ci vuole il permesso del giudice che l'ha pronunciato, in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, il cosiddetto «leave».
  In secondo luogo, la maggior parte dei procedimenti vengono pre-esaminati da un giudice unico in appello, che li definisce, scrivendo a margine dell'appello, «loss of time» cioè «perdita di tempo». Certo, se uno insiste il processo lo fanno lo stesso, però di solito con conseguenze devastanti anche sotto il profilo del contempt of court, perché fa perdere tempo ai giudici.
  Nel 2010, su 4.800 domande – questo vi dà l'idea della differenza, di fronte alle centinaia di migliaia di appelli nostri – rivolte a un single judge ne sono state accolte 1.400 e respinte 3.300. Davanti alla corte d'appello piena, da tre a cinque giudici, se è stato bollato con «perdita di tempo», le possibilità che venga esaminato il ricorso in appello sono minime.
  Negli Stati Uniti, come sapete, ci sono cinquantadue ordinamenti: quello civile e quello militare federale, più quelli dei cinquanta Stati. Quello federale si applica anche nel District of Columbia. Le corti d'appello federali hanno esaminato 12.797 appelli, su 300 milioni di abitanti. I numeri italiani non hanno equivalenti al mondo. Se si vuole dare un briciolo di efficienza alla giustizia italiana, questi numeri vanno ricondotti a normalità.
  Il problema è che la Corte suprema degli Stati Uniti – che tra l'altro svolge, oltre che le funzioni di Corte suprema, anche le funzioni che in Italia sono proprie della Corte costituzionale – ha ricevuto solo 8.159 casi, tra civili e penali, a fronte dei 100.000 italiani. Però lì vige la regola dei quattro noni: perché un ricorso sia esaminato, bisogna che almeno quattro dei nove giudici chiedano di esaminarlo, altrimenti non viene esaminato e il processo è finito.Pag. 6
  Come dicevo prima, le regole del mondo di common law, che il nostro legislatore dice di aver copiato, sono probabilmente ostiche per noi da accettare, ma allora bisogna introdurre delle deterrenze come fanno gli altri Paesi europei. Prima di tutto, occorre controllare il numero degli avvocati ammessi a patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori. Non è pensabile che ce ne siano più a Rieti che in tutta la Francia. Questa è la questione.
  L'altro problema riguarda la deterrenza che il disegno di legge pensa di ottenere aumentando le sanzioni pecuniarie. Vi faccio un esempio: la Corte di Cassazione, tutte le volte che dichiara inammissibile un ricorso in sede penale, infligge una sanzione, che consiste nel pagamento di una somma alla Cassa delle ammende, che va da un po’ meno di 500 euro a poco più di 2.000 euro.
  Mediamente le tariffe d'uso sono queste: ricorso senza motivi o ricorso rinunciato 500 euro; ricorso inammissibile normale 1.000 euro; ricorso contro sentenza di patteggiamento 1.500 euro e nei casi di particolare protervia 2.000 euro. Va detto, infatti, che c’è anche qualcuno che, dopo aver patteggiato, dice di essere innocente, quindi è doppiamente inammissibile, perché fa una questione di merito e perché neanche indica alcuno dei motivi per cui è ammesso ricorso per Cassazione. Lo scopo è solo dilatorio; non c’è altra ragione di fare un ricorso dopo che uno ha chiesto l'applicazione di quella pena.
  Solo la nostra Settima Sezione penale, tratta circa duecento processi ogni giorno, ed essendovi più ricorrenti in ogni procedimento, a volte, infligge circa 250.000 euro al giorno alla Cassa delle ammende. Se queste somme venissero riscosse pagherebbero il funzionamento della Corte di Cassazione. Il problema è che nessuno le paga. I nostri ricorrenti sono di solito persone che non hanno beni al sole, su cui quindi non c’è alcuna possibilità di eseguire coattivamente la sanzione, se non la pagano spontaneamente. Prima di tutto, non c’è il personale per eseguirla, ma anche se ci fosse il personale si perderebbe tempo a far lavorare la gente inutilmente, perché non riuscirebbero comunque ad eseguire e a portare a casa queste somme. Qui bisognerebbe fare qualcosa di serio.
  Quando dico queste cose gli avvocati si arrabbiano moltissimo, però io continuo a dirle lo stesso. Se si abolisce il ricorso personale dell'imputato, com’è previsto nel disegno di legge, bisogna rendere responsabile in solido l'avvocato, in primo luogo perché se il ricorso è inammissibile l'ha fatto lui, in secondo luogo perché così si fa dare i soldi dal cliente prima e assicura la riscossione. Questo non costa niente, perché se mettiamo la cauzione – a parte i profili di incostituzionalità, perché bisogna comunque escludere gli ammessi al patrocinio a spese dello Stato – c’è un problema infinito di personale che deve raccogliere la cauzione e restituirla se il ricorso non è ammissibile. Ovviamente la cauzione bisogna metterla per tutti i ricorsi, perché non si sa prima se è inammissibile o no.
  La soluzione semplice è questa: se il ricorso è inammissibile i soldi li chiediamo al difensore, così quello se li fa dare prima dal suo cliente. Se il Parlamento avesse il tempo e il modo di monitorare quello che arriva in Cassazione, è una roba da inorridire.
  La maggior parte dei ricorsi è meramente dilatoria. Ad esempio, c’è un avvocato che fa tutti i ricorsi uguali, cambiando solo il nome dell'imputato, e dice, nel primo motivo, che la detenzione era per uso personale. Il problema è che non lo scrive solo nei processi di droga, ma anche nei casi di qualcuno che aveva un kalashnikov. Ora, non vuol dire niente che la detenzione di un kalashnikov è per uso personale. Inoltre, cita la mancata concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza: ebbene, se si va a vedere la sentenza di primo grado si rileva che è dal primo grado che egli è andato alle generiche prevalenti.
  Abbiamo fatto decine di segnalazioni al Consiglio dell'ordine, ma non è accaduto apparentemente niente. Lo scopo è meramente dilatorio, questa è la ragione. Nessuno fa quel ricorso sperando che venga accolto, ma perché intanto non passa in giudicato la sentenza, magari arriva la Pag. 7prescrizione, magari cambia la norma e via dicendo. Del resto, è ovvio che se uno deve andare in carcere preferisce rimandare il più possibile. Lo farei anch'io, se le regole sono queste. Il problema è che all'estero le regole non sono queste.
  Se vogliamo far diventare una cosa seria l'amministrazione della giustizia dobbiamo ridurre il numero dei procedimenti e, soprattutto, il numero di impugnazioni meramente dilatorie o comunque manifestamente infondate che vengono presentate. Tenete conto che attualmente la percentuale di ricorsi dichiarati inammissibili dalla Corte suprema di Cassazione è del 71 per cento. Quindi, quasi tre quarti dei ricorsi sono inammissibili. Badate, questa circostanza non è neutrale, perché sottrae tempo ed energie all'esame dei ricorsi fondati, o magari infondati ma non palesemente fuori dal mondo.
  Dopo un mese che ero arrivato in Cassazione fui chiamato dal mio presidente di Sezione che mi chiese come mi trovassi. Gli risposi che mi trovavo bene ma aggiunsi che i tempi di decisione mi parevano un po’ contratti e spiegai che mi sembrava che otto minuti a ergastolo fossero pochi, dal momento che noi decidevamo un ergastolo in otto minuti. Siccome si facevano cinquanta processi al giorno e quel giorno ne avevamo fatto uno con dodici ergastoli, avevo calcolato quanto tempo avevamo impiegato a trattare quel procedimento e, dividendo per il numero degli ergastoli, il risultato era otto minuti per ogni ergastolo.
  Per carità, erano soggetti di Cosa nostra già condannati, ma non è una ragione per dedicare solo otto minuti. Comunque, più di quattordici ore in udienza non si riesce a stare, perché poi si perde di lucidità. Questa è la questione.
  Si può anche decidere di continuare così. Io sento parlare di questioni della giustizia da quarant'anni, ma da quarant'anni vedo che si cerca di risolvere il problema dal lato dell'offerta. Abbiamo raddoppiato i magistrati, abbiamo raddoppiato le risorse (adesso non più, ma per quarant'anni lo abbiamo fatto), però non è servito a niente perché nel frattempo il contenzioso è triplicato.
  Dico una cosa terribile, ma purtroppo vera: paradossalmente i tribunali italiani stanno in qualche modo in piedi – male, ma stanno ancora in piedi – grazie alla loro inefficienza. Ci sono un sacco di persone i cui diritti sono stati violati che non fanno causa o non fanno una denuncia perché sanno che passerebbero dieci anni e poi probabilmente non otterrebbero soddisfazione, quindi rinunciano a tutelarsi in giudizio.
  Se con un colpo di bacchetta magica da domani i tribunali diventassero efficienti, si scaricherebbe una domanda, oggi sommersa, che li paralizzerebbe di nuovo in pochi giorni. Quindi, o si introducono deterrenze serie a chi agisce o resiste indebitamente in giudizio sapendo di avere torto e a mero scopo dilatorio, come avviene in tutti gli altri Paesi, oppure da questa situazione non si esce. Questo è il punto decisivo.
  Un'altra forma di deterrenza che si potrebbe introdurre rispetto ai giudizi cautelari – io mi occupo del penale – è quella di stabilire che i princìpi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione nei giudizi cautelari vincolino i giudici della cognizione. Vi faccio un esempio: in tutti i ricorsi che riguardano ordinanze di custodia cautelare, per esempio, che derivano da intercettazioni telefoniche, vengono dedotte la nullità e l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche di solito perché fatte presso la sala ascolto dei corpi di polizia anziché presso quella della procura, dicendo che il decreto non è sufficientemente motivato.
  La Corte di Cassazione respinge il ricorso, perché sostiene che il decreto era adeguatamente motivato o per altre questioni. Insomma, perché questa decisione non deve far stato nel giudizio di cognizione ? Perché è possibile andare di nuovo dal giudice della cognizione e riporgli la stessa questione, se si è già pronunciata la Corte suprema ? Così può essere che sia un deterrente a proporre ricorsi per vederseli rigettare, ma tanto non fa niente, Pag. 8perché anche se è stato rigettato verrà rifatto, e intanto verrà rifatto dopo un mese chiedendo la revoca della misura cautelare e reimpugnando.
  Torno a ripetere che tutto ciò non è neutrale, perché sottrae tempo ed energie per esaminare il ricorso di chi ha ragione e sta in carcere avendo ragione. L'alternativa è moltiplicare all'infinito i giudici, ma non si può fare, in primo luogo perché non ci sono i soldi, in secondo luogo perché, anche se ci fossero i soldi, non ci sarebbe il gettito – noi di solito non riusciamo a coprire il numero dei posti messi a concorso – e terzo perché già oggi, con la produzione di 100 mila tra sentenze e ordinanze l'anno, nessuno di noi in Corte di Cassazione è in grado di conoscere compiutamente la nostra giurisprudenza, perché è impossibile. Se io passassi tutto il mio tempo a leggere tutte le nostre sentenze e ordinanze, non riuscirei comunque a leggerle tutte e non mi resterebbe tempo per fare i processi.
  Allora aumentano i contrasti inconsapevoli, cioè quando una sezione prende una decisione in contrasto con un'altra sezione non perché la pensa diversamente ma perché non sa che c’è stata una pronuncia di segno diverso. Allora, l'unico modo per evitare queste cose è ridurre il numero di pronunce della Corte di Cassazione. Ciò si ottiene introducendo deterrenze, anche qui. Una è quella che ho segnalato, l'altra è la riduzione del numero degli appelli con adeguate deterrenze in appello.
  L'alternativa è continuare come si procede adesso. Io ho la sensazione che le proposte che sono state fatte – per carità, non che siano sbagliate – non sono in grado di incidere seriamente su una crisi di queste dimensioni, che prima o poi porterà l'Italia a rispondere in sede internazionale dello sfascio dei suoi apparati giudiziari.

  PRESIDENTE. Ringrazio il consigliere Davigo.
  Parliamo di un disegno di legge, quindi noi stiamo facendo l'indagine conoscitiva anche per arricchirlo di contenuto e di proposte, perché la maglia di riforma si può allargare.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VITTORIO FERRARESI. Ringrazio del contributo il consigliere Davigo. Non vorrei che questi interventi legislativi, che da una parte potrebbero avere il fine di deflazionare i processi, dall'altro, con questa maniera disordinata di intervenire, potessero in qualche modo inficiare il buon funzionamento della giustizia.
  Pongo alcune domande schematiche. L'articolo 11 preclude l'integrazione delle indagini preliminari quando il giudice non può decidere allo stato degli atti. Parliamo del giudice dell'udienza preliminare, che non potrà, nel caso di indagini lacunose, ordinare nuova indagine. Lei non pensa che questo potrà creare pregiudizio al processo e alla ricerca dei fatti e della verità ?
  L'articolo 12 elimina la facoltà della persona offesa costituita parte civile di impugnare. Vorrei conoscere il suo parere al riguardo.
  Inoltre, ci sono due deleghe, una delle quali sulle intercettazioni. Vorrei sapere cosa pensa di questa delega sulle intercettazioni e se non ritiene che anche qui si vada in contrasto con un buon funzionamento della giustizia, soprattutto per quanto riguarda l'attività dei magistrati. L'altra delega, che riguarda il 4-bis, è molto ampia. Noi riteniamo che sia una delega in bianco e ci sembra molto pericolosa.
  Parlando di prescrizione, sono state presentate proposte emendative dal Governo e dalla maggioranza – noi riteniamo che la prescrizione debba essere interrotta con il rinvio a giudizio – che creano solo delle sospensioni. La mia paura è che tutte queste riforme, se non vanno a toccare l'articolo 161, comma 2, del codice penale, laddove si prevede, come lei sa, che l'interruzione e la sospensione non possano andare oltre un quarto del tempo necessario a prescrivere, siano assolutamente inutili. Noi possiamo allargare le maglie di Pag. 9sospensione quanto vogliamo, ma se c’è questo limite introdotto dall'ex Cirielli nel 2005 sarà assolutamente inefficace.

  SOFIA AMODDIO. Mi aggancio a quest'ultima domanda sulla prescrizione. Lasciando permanere l'aumento delle interruzioni al massimo di un quarto – l'articolo 161, lo ricordo bene, parla di interruzioni, non di sospensioni – chiedo al giudice Davigo se, pur sapendo che sospensioni e interruzioni sono due istituti separati, ci può dare delucidazioni in merito.

  PRESIDENTE. L'onorevole Amoddio è la relatrice sul provvedimento di modifica della prescrizione.

  PIERCAMILLO DAVIGO, consigliere della Corte di Cassazione. Quanto alle prime due domande, relative all'udienza preliminare, c’è una questione irrisolta nel nostro codice di procedura penale. Quando è stato modificato l'articolo 111 della Costituzione, stabilendo che il processo penale si rifà ai princìpi del processo accusatorio, ci si è dimenticati che esiste l'articolo 112 che stabilisce che l'azione penale è obbligatoria.
  L'azione penale obbligatoria, per consolidata giurisprudenza, è intesa nel senso non solo che il pubblico ministero ha l'obbligo di procedere, ma che la sua inerzia deve essere controllata e, ove necessario, supplita dal giudice. Quindi, stabilire che il giudice dell'udienza preliminare non può integrare le indagini, a parte l'eventuale questione di legittimità costituzionale che si può proporre, significa trasferire al giudice del dibattimento quella integrazione.
  Tutto nasce da un equivoco: quando hanno scritto il codice, hanno stabilito che le indagini preliminari sono svolte dal pubblico ministero ai fini delle sue determinazioni per l'esercizio dell'azione penale. Poi c’è stata la questione dell'abbreviato, che doveva essere richiedibile – tant’è che è stato introdotto il meccanismo dell'abbreviato condizionato – se il procedimento era stato definito allo stato degli atti, ma essendo le indagini preliminari finalizzate solo alle determinazioni del pubblico ministero per l'esercizio dell'azione penale, è chiaro che il pubblico ministero può scegliere benissimo di fare solo le indagini che gli servono e non di fare le indagini per la completezza del procedimento.
  Questo è un nodo irrisolto. La mia personale opinione è che il processo accusatorio sia incompatibile con l'azione penale obbligatoria. È un processo ad azione penale obbligatoria, quindi un processo, per usare il termine che è caro a chi lo avversa, inquisitorio pubblico. Io preferisco chiamarlo un processo con istruzione pubblico. Il processo accusatorio ha come caratteristica che il pubblico ministero dispone dell'azione; se il pubblico ministero non dispone dell'azione non si può fare il processo accusatorio, perché non può far cadere le accuse.
  Una volta esercitata l'azione, il giudice ne è investito e il pubblico ministero non può far finire un processo dicendo che ritira l'azione, come avviene nel processo accusatorio per eccellenza, che è il processo civile. In quel caso, l'attore può sempre dire che lascia perdere, che rinuncia alla causa.
  Se si accetta l'idea che io ho richiamato all'inizio, l'udienza preliminare deve essere un filtro serio, nel senso che devono andare a giudizio le persone che ragionevolmente saranno condannate, non quelle che ragionevolmente saranno assolte. È una cosa priva di senso ed è, tra l'altro, una cosa che di nuovo all'estero non capiscono e si chiedono perché facciamo i processi a persone che all'evidenza devono essere assolte. La risposta è che il pubblico ministero intanto ha il terrore, se chiede l'archiviazione, di vedersela non accolta con l'ordine di procedere a ulteriori indagini, oppure con l'imputazione coattiva, quindi nei casi dubbi fa la richiesta di rinvio a giudizio.
  Vi racconto un episodio che è capitato a me, che può darvi l'idea. Mi era capitata una querulomane, che aveva denunciato per concussione il custode del cimitero a cui lei dava dei soldi per pulire la lapide. Pag. 10Secondo lei questa era concussione. Siccome una volta la questione riguardava anche il cambio della lampadina comunale per cui aveva dato una mancia al custode e questo esulava forse dal rapporto esclusivamente privatistico e poteva astrattamente essere condotto a una fattispecie, ho pensato: sono sicuro che se chiedo l'archiviazione la signora fa opposizione, devo andare all'udienza di opposizione, dopodiché probabilmente il giudice per le indagini preliminari per togliersi di torno questa signora mi ordinerà di fare altre indagini, mi farà sentire la vicina di casa che l'ha accompagnata un giorno al cimitero e altre cose di questo genere, allora chiedo il rinvio a giudizio, vado all'udienza preliminare e chiedo il proscioglimento, così risparmio tempo e lo faccio risparmiare a un sacco di persone.
  Tragicamente, il giorno in cui c'era udienza preliminare, mi mandano in udienza per un altro processo, e lì è andato il giudice di sostituzione, che non aveva la minima idea di tutto il resto. Ha visto che avevo fatto la richiesta di rinvio a giudizio e ha insistito su quella richiesta, pensando che ci fossero delle buone ragioni. Il giudice per l'udienza preliminare, di fronte alla richiesta di rinvio a giudizio reiterata, non potendo prosciogliere a meno che il dibattimento non sia inutile, ha rinviato a giudizio. Ovviamente questo custode del cimitero è stato assolto.
  Se noi cominciassimo a stabilire, per esempio, che bisogna motivare molto di più la richiesta di rinvio a giudizio rispetto al decreto di archiviazione, sposteremmo a richieste di archiviazione quelle che oggi sono richieste di rinvio a giudizio. Un magistrato è sommerso di carte, questa è la realtà di cui ci si dimentica. Quando si scrivono le norme si pensa sempre che ci siano tempi illimitati, energie illimitate e un solo processo da fare. Non è così. Ci sono milioni di processi da fare a cui uno può dedicare pochi minuti e allora tende inevitabilmente a cercare la strada più rapida, altrimenti muore sotto le carte e poi finisce nei guai disciplinari perché fa arretrato, perché non rispetta i termini e altre cose di questo genere.
  Se ragioniamo nei termini che tutto quello che può essere definito udienza preliminare va definito tale, intanto non ha senso togliere poteri al giudice dell'udienza preliminare. Semmai, io obbligherei il pubblico ministero a motivare sulla richiesta di rinvio a giudizio in termini di ragionevole probabilità di condanna: ti chiedo il rinvio a giudizio perché questo probabilmente sarà condannato. Oggi non è così. Il pubblico ministero deve solo indicare le fonti di prova, che in genere è un elenco di atti, mentre per fare una richiesta di archiviazione deve motivare, anche perché ci sarà probabilmente una opposizione e un contraddittorio.
  Sulla questione della parte civile, l'Italia a mio giudizio non tutela adeguatamente le vittime. I diritti delle vittime nel processo penale sono piuttosto limitati. C’è una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che è estremamente significativa. La sentenza riguardava la Francia che, come credo sappiate, ha l'azione penale discrezionale. È accaduto questo: un tale denuncia alla Procura di essere stato picchiato a sangue dalla Gendarmeria; il pubblico ministero decide di non procedere argomentando che, fra l'interesse contrapposto di uno che dice di averle prese e della Gendarmeria di essere posta al riparo da denunce magari infondate, lui preferisce la seconda strada, quindi non procede.
  Ovviamente i Paesi che hanno l'azione penale discrezionale hanno, in genere, un altro modo per andare davanti al giudice. La Francia ha la querela con costituzione di parte civile. Loro hanno conservato il giudice istruttore. In questo caso, la vittima può rivolgersi al giudice istruttore chiedendogli di fare lui le indagini, sporgendo questa querela e costituendosi parte civile. Per evitare i querulomani, che sono un problema in tutti i Paesi al mondo, questa procedura è sottoposta a cauzione.
  Il decano dei giudici istruttori impose una cauzione equivalente a 84 milioni di vecchie lire, che il soggetto in questione non era in grado di pagare, per cui la sua querela fu dichiarata inammissibile. Fece allora ricorso alla Corte di Strasburgo, la Pag. 11quale condannò la Francia argomentando, in primo luogo, che la vittima ha diritto di andare davanti al giudice. Quindi, bisogna tenerne conto; se si sbarra la strada alla parte civile e qualcuno ricorre a Strasburgo, probabilmente c’è il rischio che l'Italia venga condannata per aver impedito alla vittima di adire il giudice.
  In secondo luogo, la Corte di Strasburgo ha detto alla Francia che si può mettere una cauzione per evitare i querulomani, ma non in misura tale da impedire l'accesso al giudice; va bene, insomma, che sia un deterrente per le azioni pretestuose, ma non può essere un ostacolo totale, insuperabile.
  Vi sono alcuni aspetti curiosi della nostra dottrina, che è sempre attenta all'aspetto delle tutele dell'imputato e un po’ meno all'aspetto della tutela dei diritti delle vittime. Secondo me, le vittime devono essere poste almeno sullo stesso piano dell'imputato, perché hanno diritti anche loro e comunque anche loro possono ricorrere alle Corti internazionali per vederli tutelati.
  Venendo alla questione della prescrizione, certamente sospensione e interruzione sono due cose diverse, nel senso che la sospensione sospende i termini. Tuttavia, l'attuale criterio di un quarto è devastante. I termini di prescrizione forse in Italia non sono di per sé brevi. Se dovessi decidere io, li accorcerei e, per i delitti, passerei da sei anni a cinque. Però, dopo l'esercizio dell'azione penale basta. Il problema è questo: se oggi il pubblico ministero riceve la notizia di un reato commesso cinque anni prima, laddove la prescrizione è di sei anni, deve interrompere la prescrizione, dopodiché gli restano due anni e mezzo per fare indagini preliminari, udienza preliminare, primo grado, appello e Cassazione e, se c’è annullamento con rinvio, anche giudizio di rinvio e nuovo giudizio per Cassazione. È impossibile.
  Non ha alcun senso un sistema di questo genere, che obbliga gli uffici giudiziari a lavorare per nulla. Meglio accorciare la prescrizione prima, però una volta esercitata l'azione penale basta. Diversamente, il risultato è che oggi molte energie sono buttate su processi destinati a prescriversi.
  Oltretutto, siccome quando fanno le ispezioni ordinarie, cioè circa ogni dieci anni per ogni ufficio giudiziario, gli ispettori con molta diligenza rilevano il numero delle prescrizioni, se uno ne ha troppe gli arrivano richieste di spiegazioni, qualche volta anche un procedimento disciplinare. Il risultato è che c’è la perniciosa tendenza a passare il cerino in mano al successivo organo di giustizia, quindi fare la richiesta di rinvio a giudizio, fare il rinvio a giudizio, fare la sentenza e mandare in appello, finché a qualcuno il cerino si spegne in mano, con soluzioni a volte anche comiche.
  Ricordo un episodio che mi capitò con il vecchio codice, appena arrivato alla Procura di Milano...

  PRESIDENTE. Non per interromperla, ma abbiamo poco tempo.

  PIERCAMILLO DAVIGO, consigliere della Corte di Cassazione. Mi spaventai moltissimo, perché avevo chiesto una sentenza di prescrizione al giudice istruttore, che l'aveva pronunciata, e arrivò una lettera del Procuratore generale che chiedeva a me e al giudice istruttore spiegazioni del perché fosse stata pronunciata una sentenza di prescrizione. Allora non erano tante come oggi. Mi agitai moltissimo e chiesi consiglio a dei colleghi più anziani su che cosa dovessi scrivere.
  Mi fu dato un modulo a stampa, in cui c'era solo da mettere il numero del procedimento, con il quale si comunicava che nel procedimento numero tale era stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per prescrizione per il decorso del tempo previsto dalla legge. Era una risposta cretina e se io fossi stato Procuratore generale mi sarei arrabbiato moltissimo di fronte a una risposta di quel tipo, ma siccome comunque erano molte, anche se non tante quanto oggi, non aveva alcun senso chiedere perché. Il Procuratore agiva in quel modo perché era obbligato a farlo da una norma regolamentare e la Pag. 12risposta era in sintonia con il fatto che in realtà lui non voleva affatto sapere perché, anche perché lo sapeva benissimo, cioè non era possibile fare tutti i procedimenti.
  Trovo che la diminuzione del periodo di interruzione sia stata devastante; semmai bisogna accorciare la prescrizione di base e ampliare quella successiva all'interruzione. Questo può dare una qualche ragionevolezza al sistema. Oggi il sistema di ragionevolezza non ne ha affatto e io trovo, anzi, che sia sorprendentemente basso il numero di prescrizioni che viene dichiarato nonostante questo meccanismo. Ho la sensazione che qualche volta alcune sentenze di assoluzione dissimulino delle prescrizioni che non si vogliono dichiarare.
  Per quanto riguarda le intercettazioni, la questione di non poter trascrivere i passi delle intercettazioni nelle ordinanze...

  PRESIDENTE. Dato che oggi non abbiamo avuto tutto il tempo che pensavamo di avere a disposizione, alla fine darò la parola al vicepresidente dell'OUA.
  Poiché stiamo registrando l'audizione, tendo a chiarire che è nostra abitudine, se ci sono due audizioni, permettere a chi deve intervenire successivamente di assistere all'audizione precedente. Sono presenti le due persone audite proprio perché non c’è nulla da nascondere.
  Tuttavia, poiché non ci sarà il tempo di dare spazio adeguato all'OUA e alle 15 noi dobbiamo essere in Aula, se volete posso anche darvi la parola alla fine del dibattito, ma vi riconvocheremo nella data a voi più comoda.
  Dottor Davigo, vorrei che chiudesse con le risposte. Successivamente intende porre una domanda sul tema della prescrizione l'onorevole Dambruoso, anch'egli relatore insieme alla collega Amoddio.

  PIERCAMILLO DAVIGO, consigliere della Corte di Cassazione. Per quanto riguarda la trascrizione di passi delle intercettazioni o delle intercettazioni integrali, a parte la maledizione conseguente all'informatica – l'introduzione dell'informatica ha avuto come effetto di far lievitare gli atti, perché tutti fanno il copy file, anziché trascrivere o fare la sintesi, che è faticoso – il problema è che se l'idea è di tutelare in qualche modo la privacy, il discorso non funziona. Fare una sintesi vuol dire esattamente la stessa cosa, ma in più, siccome verrà riportata comunque sui giornali, vi sono complicazioni nei processi civili conseguenti, perché siccome il brano riportato non corrisponde esattamente all'intercettazione può essere che dicano che l'intercettazione è una cosa diversa. L'intercettazione quella è, e poi ognuno la interpreta come vuole, ma la questione è indiscutibile.
  A me pare un rimedio sbagliato. Il problema c’è, ma la tutela va affrontata nella diffamazione. Oggi i casi di diffamazione riguardano, oltre all'ipotesi della prova liberatoria, i fatti commessi dal pubblico ufficiale nell'esercizio o a causa delle sue funzioni o i fatti per cui è aperto o può aprirsi il procedimento penale, ma devono riguardare l'imputazione. Se si tratta di fatti estranei che vengono pubblicati, la tutela è nella diffamazione. Se si ritiene che le pene per la diffamazione siano basse le si alzino, così non le scrivono più, oppure con risarcimenti di danni efficaci si risolve il problema. Ma non ha senso pensare di filtrarlo in qualche modo. Peraltro, che filtro è sintetizzare il contenuto di un atto ? Alla fine, comunque dice le stesse cose, ma le dice in sintesi. Si è perso un po’ più di tempo, ma non si tutela in realtà il bene che si vuole tutelare, cioè la reputazione dell'interessato.
  Anche facendo l'udienza-filtro, dubito che questo serva a non far uscire le intercettazioni non pertinenti. Si può anche stabilire che il pubblico ministero ha il potere di decidere lui ciò che è rilevante e ciò che non lo è, e allora queste non verranno mai a conoscenza di nessuno, ma mi pare – questa sì – una violazione dei diritti della difesa, perché il pubblico ministero può non ritenere rilevante un'intercettazione che il difensore potrebbe considerare come rilevante e vedere in essa la prova dell'innocenza del suo assistito, Pag. 13letta in un'altra ottica. Quindi, fare una censura a monte mi pare pericoloso.
  Se, come accade frequentemente nei processi di criminalità organizzata o comunque con un rilevantissimo numero di imputati, ci sono duecento parti, ognuna delle quali ha due difensori, è incontrollabile – perché lo sanno quattrocento persone, alla fine, qual è il contenuto di quell'atto – la non uscita di quelle notizie.
  Per quanto riguarda il 4-bis, l'ho dimenticato. Me lo può ricordare ?

  PRESIDENTE. L'ordinamento penitenziario.

  PIERCAMILLO DAVIGO, consigliere della Corte di Cassazione. Io non mi occupo di ordinamento penitenziario e non ne ho sufficienti conoscenze.

  STEFANO DAMBRUOSO. In tema di prescrizione, quanto lei ha detto è uno degli aspetti che è maturato nel dibattito che è ancora in corso sull'individuazione esatta dei termini della prescrizione. Molti hanno anche considerato che il tempo del quarto in più fosse troppo lungo e forse si dovesse addirittura diminuire, come lei ha detto.

  PIERCAMILLO DAVIGO, consigliere della Corte di Cassazione. No, io ho detto che bisogna ridurre la base. Il quarto va invece aumentato, e di molto.

  STEFANO DAMBRUOSO. C’è un punto che ci interessa maggiormente sottolineare. Nel caso in cui si dovesse interrompere con la richiesta di rinvio a giudizio il termine di decorrenza della prescrizione, quale sarebbe allo stato attuale un eventuale bilanciamento con l'altro interesse, la ragionevole durata del processo e il diritto di difesa che deve essere garantito a ciascuno, cioè di uscire fuori da un processo che può diventare troppo lungo se rimesso solo nelle mani dei giudici ? Questo è l'altro aspetto del dibattito che è emerso in maniera chiara.

  PIERCAMILLO DAVIGO, consigliere della Corte di Cassazione. La breve durata del procedimento si assicura facendo meno processi. I processi durano tanto perché ce ne sono troppi.
  Io non ho mai visto un processo da solo durare tantissimo per i suoi atti. Se un giudice ha un processo da fare e questo processo richiede quattro udienze si fa in quattro giorni; se sono necessari adempimenti fra un'udienza e un'altra, che richiedono un mese, si fa in quattro mesi. Certo, se il giudice deve fare un'udienza ogni sei mesi perché ha centinaia di processi sul ruolo, allora quattro udienze fanno due anni.
  Noi facciamo un numero di processi che non ha equivalenti al mondo. Questo è il punto decisivo che prima o poi qualcuno dovrà affrontare.

  ANDREA COLLETTI. Vorrei sollevare un punto che riguarda le opposizioni alle archiviazioni. Ho vissuto il problema di molte associazioni che presentavano esposti e denunce, ma non veniva notificata loro l'archiviazione disposta dal PM.
  Non ritiene che debba essere allargata l'opposizione all'archiviazione non solo alla parte offesa bensì anche a tutti coloro che hanno, ad esempio, presentato l'esposto o la denuncia, anche se non sono parti offese in un procedimento ? Faccio riferimento a reati contro la pubblica amministrazione, per esempio.

  PIERCAMILLO DAVIGO, consigliere della Corte di Cassazione. Io penso di no. Abbiamo un problema molto serio, che è la tutela delle vittime. Le persone che vittime non sono perché devono poter interferire in un procedimento penale ? Questa è la questione. Se io sono denunciante, per esempio, ma non sono vittima, se ho degli interessi che possono essere fatti valere in sede civile, mi tutelerò in sede civile.
  Le faccio un esempio: noi abbiamo di frequente ricorsi per Cassazione contro il mancato avviso in materia di circonvenzione di incapace. Ora, in materia di circonvenzione di incapace, la vittima è la Pag. 14persona circonvenuta. Gli eredi, che ce l'hanno per il fatto che magari la persona, che è pure morta, è stata spogliata dei suoi beni, possono tutelarsi in sede civile. Non sono vittime in senso proprio, sono danneggiati dal reato, ma è un'altra cosa. Tuttavia, c’è in questo modo lo spostamento in sede penale di azioni che possono essere tranquillamente coltivate in sede civile.
  Il problema è che il processo penale non ha lo scopo di regolare i rapporti tra i privati; ha lo scopo di punire i colpevoli e di tutelare le vittime, ma le vittime, non quelli che hanno qualche interesse conseguente. Questo è il problema.
  Se si aumenta a dismisura, vorrà dire che aumenterà a dismisura la serie di opposizioni. Guardate, è un problema statistico. È inevitabile che se il giudice fa dieci o quindici udienze non può in tutte archiviare; alla fine, statisticamente, qualcuna l'accoglierà, esattamente come, a furia di fare appelli, qualcuno verrebbe accolto in ogni caso.
  Gli studiosi di sistemi sanno cos’è la retroazione e potrebbero spiegare molto meglio di me quali sono gli effetti del moltiplicare una serie di azioni.

  PRESIDENTE. La ringraziamo.
  Do ora la parola, ma non ovviamente per l'audizione, che non si può svolgere oggi, al vicepresidente dell'OUA.

  VINCENZO IMPROTA, vicepresidente dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura. Noi dell'OUA avremmo molto da dire sia sul provvedimento in esame sia sulle opinioni espresse dal presidente Davigo. Ci limitiamo soltanto a dire una cosa...

  PRESIDENTE. Scusate, voglio ribadire le regole. Non si può fare l'audizione sugli altri. Ognuno fa la sua.

  VINCENZO IMPROTA, vicepresidente dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura. Per carità, intendo dire che faccio un breve inciso di premessa. Noi dell'OUA apprezziamo molto il fatto che Governo e Parlamento si siano posti il problema di risolvere questa annosa questione, che ormai è questione sociale, quella della giustizia. Vi volevo fare un complimento.
  Da parte della nostra organizzazione c’è un'attenzione verso questo sforzo riformista che coinvolge Governo e Parlamento, che finalmente fa della giustizia un tema centrale nella dialettica politica nazionale. In questo senso, mi riferivo al fatto che il mio Paese non è sempre da descrivere in una formula negativa, perché c’è un impegno da parte di Parlamento, Governo, associazioni professionali e magistratura che deve essere valorizzato.
  Non ci possiamo sempre ritrovare in questa sorta di provincialismo per il quale altrove sono sempre migliori di noi. Per il momento mi limito a questo.

  PRESIDENTE. La ringrazio anche di questo spirito positivo e propositivo, che ci serve in questo percorso non facile. Ve ne rendete conto, però noi lo porteremo avanti. Questo provvedimento è molto ampio, quindi avrà ovviamente dei tempi di assimilazione non lenti, ma adeguati.
  Mi scuso. Solitamente concedo più tempo in queste audizioni, proprio perché la materia è ampia. Sono trenta articoli che prendono tutto. Mi ero scusata prima dicendo che non abbiamo voluto dirvi di non venire perché pensavamo di farcela. Ovviamente c’è anche l'esigenza dei deputati di svolgere il dibattito.
  Sarà per la prossima volta. Sarete i primi a essere sentiti nella seduta prossima.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.