XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 6 maggio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 1335  BONAFEDE E C. 3017  GITTI, RECANTI DISPOSIZIONI IN MATERIA DI AZIONE DI CLASSE

Audizione di Giuseppe Conte, ordinario di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze, e di Andrea Giussani, ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Giussani Andrea , Ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 5 
Bonafede Alfonso (M5S) , Relatore ... 5 
Giussani Andrea , Ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo ... 5 
Bonafede Alfonso (M5S) , Relatore ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Conte Giuseppe , Ordinario di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Conte Giuseppe , Ordinario di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Conte Giuseppe , Ordinario di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze ... 6 
Bonafede Alfonso , Presidente ... 10 
Colletti Andrea (M5S)  ... 10 
Bonafede Alfonso , Presidente ... 11 
Giussani Andrea , Ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo ... 11 
Colletti Andrea (M5S)  ... 11 
Giussani Andrea , Ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo ... 11 
Conte Giuseppe , Ordinario di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze ... 11 
Bonafede Alfonso , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 15.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna, se non vi sono obiezioni, sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Giuseppe Conte, ordinario di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze, e di Andrea Giussani, ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 1335 Bonafede e C. 3017 Gitti, recanti disposizioni in materia di azione di classe, l'audizione di Giuseppe Conte, ordinario di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze, e di Andrea Giussani, ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo.
  Do la parola al professor Andrea Giussani, ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo. Per motivi organizzativi arriverà tra poco anche il professor Giuseppe Conte.
  Credo che il professore conosca la proposta di legge presentata dall'onorevole Gitti e anche, perché gliel'abbiamo mandata, la proposta dell'onorevole Bonafede. Poiché noi per ora non abbiamo mai esaminato la proposta Gitti, se crede, oltre che parlare della proposta Bonafede, le chiedo di fornirci anche qualche traccia dell'altra linea, se coincidente, se diversa, se in parte integrabile. Grazie.

  ANDREA GIUSSANI, Ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo. Ringrazio molto la presidente e anche, naturalmente, la Commissione giustizia per questo invito a parlare del tema di cui mi occupo ormai da una trentina di anni e che è senz'altro quello che mi è più caro.
  Prendo in esame innanzitutto la proposta di legge C. 1335 che sono stato invitato a commentare, la prima proposta, che – devo dire – apprezzo moltissimo nelle sue intenzioni. Mi sembra che colga uno degli aspetti fondamentali delle esigenze di riforma dell'istituto, colmando una lacuna segnalata da quasi tutta la dottrina, in particolare nel prevedere l'attribuzione del palmario al difensore tecnico della classe che abbia visto accogliere la domanda.
  Dal punto di vista tecnico forse qualche limatura del testo sarebbe giustificata, considerando che, per come appare a una prima lettura, sembrerebbe che il palmario resti a carico delle parti vincitrici, il che corrisponde, naturalmente, all'esperienza statunitense, ma non tanto a quella italiana. Da noi, infatti, vale come regola generale, diversamente che negli Stati Uniti, il principio del victus victori, ossia la regola per cui tendenzialmente la parte vincitrice deve restare indenne dal costo affrontato per la tutela giurisdizionale.
  Naturalmente, si può anche, se si vuole, seguire la soluzione americana, tenendo presente, però, che comporta dei Pag. 4costi considerevoli, laddove ci si proponga la deflazione del contenzioso. La responsabilità da soccombenza, infatti, svolge una funzione deflattiva, imponendo a chi esercita la lite – a chi agisce in giudizio – di utilizzare una certa cautela, poiché, in caso di soccombenza, si troverà a dover rispondere, oltre che delle proprie spese, anche di quelle dell'avversario.
  Più in generale, mi sembra che un altro aspetto sempre della disciplina del palmario permetta di introdurre quello che, a mio parere, è forse il problema chiave della disciplina. Se notate, è previsto che, in caso di pluralità di parti attrici, questo palmario venga diviso in parti eguali tra i rispettivi difensori tecnici.
  Orbene, l'ipotesi di pluralità di parti attrici emerge allorquando vi sia pluralità di azioni di classe riunite in un unico procedimento. Una formulazione di questo tipo evidentemente tende a incentivare fenomeni di opportunismo, perché chi abbia esercitato un'azione di classe a cui abbiano aderito, per esempio, soltanto due interessati si ritrova a spartirsi la torta del palmario sullo stesso piano di chi, invece, abbia ricevuto la fiducia di centinaia di migliaia di interessati.
  Perché questo, a mio avviso, permette di introdurre i problemi di ordine più generale ? Perché questo progetto continua a contemplare, per un verso, il meccanismo del filtro di ammissione all'azione di classe e, per altro verso ancora, il fatto che la sentenza produca i suoi effetti soltanto nei confronti di quegli interessati – non si tratta più solo di consumatori – ossia di quei componenti della classe, che abbiano tempestivamente aderito.
  Nel contempo, però, con riferimento al filtro di ammissibilità, i presupposti dell'ammissione sono leggermente modificati. Per come ho inteso la proposta di riforma, sembra che l'ammissione sia subordinata a una valutazione di non manifesta infondatezza, ma non più, come in passato, o meglio, come attualmente, alla valutazione dell'insussistenza di conflitti di interessi e di adeguatezza della rappresentatività del proponente.
  Orbene, nel momento in cui si continua a contemplare un'azione di classe che potremmo definire, utilizzando la terminologia americana, spuria, cioè un'azione di classe che coinvolge solo i soggetti che abbiano tempestivamente aderito, per un verso il giudizio di ammissione appare alquanto superfluo, perché finisce per voler proteggere da se stessi gli aderenti.
  Altro discorso è il ruolo del giudizio di ammissione in quei sistemi in cui si adotta il cosiddetto meccanismo dell’opt-out, cioè quello dell'onere di recesso degli interessati dall'azione di classe, perché in questo caso il filtro di ammissione ha l'obiettivo di proteggerli dagli effetti di atti che sono altri a compiere.
  Aggiungo l'osservazione che, in realtà, vi sono anche sistemi che prendono l’opt-out che non contemplano alcun filtro di ammissione, come, per esempio, quello australiano, e senza particolari difficoltà. Perché ? Perché, in realtà, è nell'interesse stesso dell'attore abbattere i costi del contenzioso e assicurare che la classe sia il più possibile omogenea. In realtà, quindi, non è davvero indispensabile.
  In particolare, anche la valutazione di non manifesta infondatezza della domanda non trova riscontro nell'esperienza statunitense e appare sinceramente uno spreco di risorse giurisdizionali, perché, nel momento in cui il giudice affronta il merito della causa, è congruo che possa farlo con provvedimento che sia idoneo al giudicato.
  Pertanto, la direzione in cui muove questo progetto è senz'altro buona, apprezzabile e animata da ottime intenzioni, ma a me sembra che tenda un po’ ad avallare la scelta italiana di continuare ad adottare il sistema dell’opt-in. Invece, i requisiti dell'assenza di conflitto di interesse e di adeguatezza della rappresentatività hanno perfettamente senso in un sistema basato sull’opt-out.
  Da questo punto di vista mi prendo la libertà di accennare a quanto previsto dalla proposta di legge C. 3017, laddove, invece, se non ho frainteso, è adottato proprio questo diverso meccanismo. In proposito vorrei, in particolare, sottolineare Pag. 5che, ancorché si dica ancora sovente che il sistema dell’opt-out è proprio solo degli ordinamenti di common law, merita ricordare che, anche soltanto limitandoci all'Europa continentale, meccanismi di azione collettiva in forza dei quali la sentenza produce i suoi effetti nei confronti dei componenti della classe rimasti completamente passivi sono, in realtà, già previsti in Spagna, Portogallo, Norvegia, Danimarca, Olanda, Bulgaria e, da ultimo, Belgio. Si tratta, cioè, dell'esperienza che si sta rivelando, sul lungo periodo, vincente.
  Io credo che sia un'ottima opportunità per il nostro Paese quella di adottare anche noi questo tipo di sistema, che assicura competitività della giurisdizione e, in particolare, assicura all'azione di classe un pieno perseguimento di tutte le finalità a cui essa è preposta, non soltanto quella di favorire l'accesso alla giustizia, che certamente è commendevole, ma anche, e non da ultima, soprattutto quella di assicurare efficienza nell'allocazione di risorse giurisdizionali, permettendo così l'abbattimento dei costi di contenzioso per tutti i soggetti interessati, compresi i potenziali convenuti nell'azione di classe.
  Le obiezioni che tradizionalmente vengono mosse nei confronti di questa soluzione e che sovente fanno capo al richiamo dell'articolo 24 della Costituzione sono, in realtà, superabili proprio nell'ottica della proposta di legge C. 3017. Perché ? Perché noi sappiamo bene che il nostro ordinamento contempla già numerose occasioni in cui la sostituzione processuale è esplicitamente ammessa dalla legge.
  La caratteristica comune di queste situazioni è che l'ordinamento sul piano sostanziale assicura una cointeressenza del sostituto e del sostituito all'accoglimento della domanda. La proposta di legge C. 3017 si propone di risolvere questo problema attribuendo una sorta di premio per l'accoglimento della domanda direttamente alla parte proponente, oltre che di prevederlo anche in favore del difensore tecnico della classe.
  Creando questa cointeressenza, tutti i problemi che sono stati sollevati in passato sulla rispondenza del meccanismo all'articolo 24 della Costituzione non hanno più alcuna ragion d'essere, a meno che non ci si voglia spingere a sostenere l'illegittimità costituzionale dell'azione surrogatoria del meccanismo che opera nell'ipotesi di trasferimento della res litigiosa inter vivos nel corso del processo e così via. Sono tutte ipotesi in cui è pacifico che sia consentito a un soggetto far valere i diritti altrui sulla base di un'espressa previsione di legge e senza che ciò comporti alcuna violazione delle garanzie costituzionalmente previste.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Bonafede, che è il relatore, e ha una domanda da porre.

  ALFONSO BONAFEDE, Relatore. Io ho avuto modo di leggere velocemente la proposta di legge dell'onorevole Gitti, che è stata stampata questa mattina, ragion per cui può essermi sfuggito qualcosa. Devo dire la verità: sulla scelta tra l’opt-in e l’opt-out io ho fatto anche, nella relazione alla proposta di legge, delle valutazioni politiche sulla capacità del nostro ordinamento di metabolizzare un cambiamento così brusco. Ovviamente, su questo punto si aprono delle riflessioni. Questo è chiaro.
  Sulla proposta Gitti c’è un punto che mi lascia un po’ perplesso. Essa dice, infatti, che «il giudice può autorizzare l'attore, su istanza contenuta nell'atto introduttivo del giudizio di cognizione, a far valere in nome proprio anche i diritti altrui contro lo stesso convenuto quando tali diritti siano fatti valere in un altro giudizio e il convenuto li abbia violati tramite la stessa azione od omissione». Sembra quasi che l'azione di classe, alla fine, si restringa soltanto alle persone che hanno iniziato una causa per quella stessa azione.

  ANDREA GIUSSANI, Ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo. Oggettivamente non ho avuto la possibilità di leggerlo, Pag. 6perché ancora stamattina non era stato pubblicato. Conoscevo un po’ i lavori preparatori. Su questo inciso per cui i diritti siano stati fatti valere in un altro giudizio sono d'accordo che sia senz'altro da eliminare.

  ALFONSO BONAFEDE, Relatore. Grazie. Ringrazio il professore anche per il contributo sul discorso del palmario, che è importante, perché anche nelle altre audizioni è emerso un discorso proprio sulla ripartizione delle spese e sulla soccombenza. Ovviamente, saranno riflessioni di cui terremo molto conto.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Giuseppe Conte, ordinario di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze. Il professore non ha avuto la proposta di legge che è stata assegnata oggi, ragion per cui parlerà della proposta di legge dell'onorevole Bonafede.

  GIUSEPPE CONTE, Ordinario di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze. Infatti, mi stavo già scusando. Volevo anticipare le mie scuse perché non sono in condizione di interloquire o di esprimere qualche considerazione in merito.

  PRESIDENTE. Volendo, gliela possiamo mandare via mail, se lo ritiene opportuno, come ho intenzione di fare anche per gli altri auditi. Attualmente noi abbiamo adottato il testo base Bonafede e è stato posto il termine per la presentazione degli emendamenti ad esso. Il termine è lunedì. A questo punto, non c’è un testo unificato, ragion per cui le altre proposte potrebbero essere base per eventuali emendamenti.

  GIUSEPPE CONTE, Ordinario di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze. La ringrazio, presidente. Questa può essere un'opportunità per esprimere qualche valutazione anche su questo testo che non ho avuto la possibilità di esaminare.

  PRESIDENTE. Intanto glielo offriamo oggi. Data la complessità della materia, io mi permetto già fin d'ora di dire che, se poi, oltre all'audizione di oggi, ci volete mandare anche delle proposte di modifica o di integrazione più specifiche, penso che saranno valutate sia dai componenti della Commissione, sia dal relatore.

  GIUSEPPE CONTE, Ordinario di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze. Gli strumenti di tutela collettiva sono ovviamente caratterizzati da scelte precise sul piano della politica del diritto, sono ispirati da differenti disegni e obiettivi, devono essere declinati in modo ineccepibile e devono perseguire delicati equilibri tra i vari interessi in gioco che sono confliggenti.
  Tali strumenti sono vari. Vi voglio risparmiare, ovviamente, l'audizione dell'ennesimo professore che viene qui a riassumere le sue personali astratte dottrine e le sue personali considerazioni teoriche. Cercherò di avvalermi anche della mia esperienza di avvocato, ossia della mia esperienza professionale, oltre che dell'esperienza di studio in questo campo.
  Per cercare di portare un contributo concreto alla riflessione muoverei da un primo interrogativo: possiamo considerare soddisfacente l'esperienza fin qui maturata, questa prima esperienza applicativa al cospetto dell'articolo 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005 ? L'azione di classe nella versione Italian style ha deluso le aspettative che aveva creato o no ?
  Io direi che i risultati non sono affatto soddisfacenti, ragion per cui è auspicabile un intervento riformatore. È auspicabile un intervento riformatore considerando, peraltro, che il modello di regolazione e di disciplina che è stato realizzato in Italia è stato realizzato per via di successive approssimazioni.
  Conosciamo tutti la versione originaria, che cercava di tradurre un modello di tutela collettiva in senso proprio. Essa contemplava l'iniziativa di un ente esponenziale preordinato a tutelare interessi collettivi, nel senso di interessi superindividuali Pag. 7o comuni a una pluralità di consumatori.
  Alla fine c’è stato uno scarto finale e si è arrivati a questa attuale disciplina. Io l'ho definita personalmente un modello di tutela «individual-cumulativa». Qual è l'obiettivo ? L'obiettivo è anche piuttosto modesto, se vogliamo, rispetto ai vari modelli di regolazione. L'obiettivo è di realizzare un simultaneus processus che abbia a oggetto crediti risarcitori e restitutori che presentano una caratteristica comune – qui è stato introdotto il riferimento alla famigerata omogeneità – e che scaturiscano da una medesima causa petendi.
  Perché allora, se il progetto nella versione finale si è definito e caratterizzato in questi termini, non ha avuto grandi riscontri applicativi ? Forse perché ispirato a princìpi e mirato a perseguire obiettivi non condivisibili, non persuasivi sin dall'origine ? Direi di no. Semplicemente è stato declinato forse con eccessiva cautela. Le motivazioni, quindi, sono varie e complesse. Provo a identificarle offrendo qualche suggerimento. Ovviamente, terrò conto, nel declinare questi passaggi critici, della proposta di legge d'iniziativa dei deputati Bonafede, Agostinelli ed altri – la chiamerò Bonafede per semplificare – che è l'unica che ho potuto leggere.
  Un primo aspetto è il filtro dell'ammissibilità. È consigliabile e raccomandabile oppure no ? Ci è stato ricordato dal collega poco fa che generalmente il filtro di ammissibilità esiste in quasi tutti i Paesi, tranne che in Australia. Effettivamente, io direi che non è che non abbia funzionato perché c’è un filtro di ammissibilità.
  Il filtro di ammissibilità è auspicabile. È auspicabile perché in qualche modo cerca di delimitare il campo dell'amministrazione della giustizia da iniziative pretestuose. D'altra parte, è uno strumento efficacissimo nelle mani dei proponenti. Le iniziative pretestuose non solo non sono gradite, ma effettivamente non sono affatto auspicabili nell'arena dell'amministrazione della giustizia.
  Probabilmente, però, questo filtro di ammissibilità è stato declinato con soverchia solerzia. In pratica, il Collegio, lo ricordo, può escludere l'azione quando sia manifestamente infondata, quando ricorrono ipotesi di conflitto di interessi, quando non vi sia omogeneità di diritti individuali e qualora il proponente non sia in grado di curare l'iniziativa collettiva di tutela.
  Io ho apprezzato il tentativo, nella proposta di legge, di semplificare un poco questo passaggio preliminare, che io ritengo – ripeto – importante e fondamentale, ma che è stato un po’ depurato da qualche riferimento soverchio.
  Per esempio, «il proponente che non sia in grado di curare l'iniziativa collettiva di tutela» è una formula troppo generica. Addirittura il mondo dell'avvocatura si spaventò quando la vide comparire, perché poteva attribuire al Collegio il potere di dire a un avvocato che egli non ha la competenza tecnica adeguata. Forse è improprio che sia il giudice a dire questo. Lo dirà con un provvedimento finale, ma dirlo preventivamente sulla base di una valutazione preliminare, di una delibazione di ammissibilità è un compito un po’ impervio. Senz'altro quel riferimento viene opportunamente scalzato.
  Inoltre, guardiamo anche l'esperienza applicativa. Perché oggi questo strumento non riesce a esplicare appieno le sue potenzialità ? Molto spesso ci si ferma a delle ordinanze di inammissibilità, ma non è quello il problema. Non si tratta di far saltare il filtro. Se noi andiamo a leggere le ordinanze di inammissibilità, notiamo che effettivamente sono dovute a iniziative, dal punto di vista tecnico, non calibrate.
  Per esempio, ne ricordo alcune: l'errata individuazione del convenuto, l'errata individuazione addirittura del tribunale competente, il difetto di legittimazione attiva, proposizione di domande o rivendicazioni di diritti che non rientrano nell'articolo 140-bis e che non sono azionabili con lo strumento della tutela collettiva.
  Tutto questo può rifluire, sotto la valutazione di «non manifesta infondatezza». Pertanto, possiamo semplificare quel filtro auspicando un rafforzamento, come avverrà poi da parte della magistratura, Pag. 8di quella valutazione preliminare sotto la formula della manifesta infondatezza.
  Forse l'ipotesi che venga scacciato via il conflitto di interessi è un po’ più rischiosa – questa è la mia personale valutazione – nella misura in cui iniziative di comodo, con questo chiaro parametro, vengono scongiurate sin dall'inizio. Differentemente, probabilmente, le iniziative di comodo sarebbero più difficilmente aggredibili in via preliminare.
  C’è un secondo aspetto: la selezione dei rapporti giuridici che possono costituire oggetto della controversia. Attualmente, ricordo a me stesso che l'articolo 140-bis in pratica affida questa selezione a quattro criteri. Il primo è di natura soggettiva e riguarda, ovviamente, la qualifica dei soggetti tutelati, consumatori e utenti. Il secondo è di natura oggettiva, cioè riguarda il carattere omogeneo che deve contraddistinguere le pretese. Il terzo, sempre di natura oggettiva, riguarda le materie particolari.
  Secondo me, questa è la grande limitazione che è stata introdotta con l'articolo 140-bis, perché non c’è alcun motivo per cui – faccio un'ipotesi – in materia di protezione dei dati personali, in cui uno strumento di tutela collettiva si presta tranquillamente a iniziative di tutela seriale, sia stata esclusa quest'area.
  Un altro classico tema – me lo insegnate tutti – su cui si sperimentano volentieri all'estero iniziative di tutela collettiva (chiamiamole così genericamente) è anche quello della tutela ambientale.
  Aver escluso queste materie significa aver voluto – diciamolo con un eufemismo – introdurre uno strumento di tutela e, in fase di prima sperimentazione, averne limitato un po’, con il freno a mano, la portata per verificare come le cose, all'esito di una prima fase di applicazione, sarebbero risultate, per poter poi intervenire successivamente.
  C’è anche un altro criterio, il quarto, sempre di natura oggettiva, che riguarda il tipo di tutela richiesta, risarcimento o azione restitutoria. Questa, francamente, è una scelta selettiva, ma non mi sentirei di criticarla.
  L'iniziativa legislativa che ho letto preserva il riferimento ai diritti individuali omogenei. Ricordiamo che nella versione originale si era parlato e ragionato di diritti identici, che era un fuor d'opera effettivamente, perché qui sono in gioco diritti individuali e, quindi, il predicato dell'identità appariva davvero poco pertinente. Identica può essere la causa petendi da cui originano le pretese, ma poi ciascuno vanta un diritto. Possiamo forse ragionare di omogeneità.
  Abbiamo creato questa categoria concettuale, non ce l'avevamo neppure noi. Personalmente mi è piaciuta, a molti colleghi è piaciuta e, secondo me, offre uno strumento duttile concettuale ai giudici. Personalmente l'ho apprezzata più a posteriori che quando l'ho letta la prima volta, perché ha offerto ai nostri giudici, alla nostra magistratura, uno strumento duttile per valutare concretamente se sia perseguibile o no un simultaneus processus che consenta evidentemente di concentrare gli accertamenti e le verifiche giudiziali in unico contesto giudiziario.
  È una formula molto elastica, che consente un margine di manovra importante, anche perché nella disciplina attuale c’è anche un quinto criterio. Il giudice determina lui concretamente la delimitazione della classe. Dispone, quindi, di strumenti duttili e flessibili per sagomare e valutare in concreto la possibilità di esperire un simultaneo processo.
  Cosa significa questo ? Significa che le pretese devono scaturire da un'unica condotta illecita da parte dell'imprenditore ? No, questo non è un requisito da pretendere. Immaginate, per esempio, delle pratiche commerciali scorrette, che si possono ripetere nel tempo. Ecco perché è importante il criterio dei diritti individuali omogenei, che io conserverei. L'importante è che sul piano dei destinatari le ricadute siano assimilabili, ossia che siano stati lesi diritti del medesimo genere e della medesima specie.Pag. 9
  Per esempio, nel campo dei prodotti difettosi ci può essere una pluralità di vendite, con varie iniziative. L'importante è che le ricadute in termini di pregiudizio siano in qualche modo valutabili in un medesimo contesto giudiziario.
  Quello che, invece, va richiesto è che la condotta del professionista esprima un'attitudine senz'altro plurioffensiva, perché chiaramente deve essere idonea a ledere una pluralità di interessi dei destinatari.
  Il fatto di aver eliminato le varie tipologie di rapporti giuridici e di situazioni, secondo me, apre notevolmente la possibilità di utilizzare questo strumento di tutela collettiva in termini molto più ampi e, quindi, amplia il raggio applicativo.
  Non si richiedono, invece – questo è il vero problema – l'identità e l'omogeneità del danno sul piano delle vittime e, quindi, le ricadute pregiudizievoli. Qui in Italia, con qualche difficoltà all'inizio – qualcuno addirittura pretendeva un'identità di danno – tutti abbiamo ormai convenuto sul fatto.
  Il problema non è l'identità del danno, perché, a quel punto, sarebbe impensabile promuovere uno strumento di tutela collettiva. Sicuramente quello che è sullo sfondo in qualsiasi strumento di tutela collettiva è il problema della finalità della sanzione, il problema dei danni punitivi. Se deve avere una funzione compensativa, noi restringiamo molto il raggio applicativo dell'iniziativa di tutela. Perché ? Perché, se deve avere una funzione retributiva, compensativa, riparatoria in senso specifico, allora probabilmente dobbiamo limitare molto il raggio soltanto a quei danni che sono veramente comparabili. Se c’è la necessità di dosare gli accertamenti e le verifiche in relazione alle singole situazioni, diventa tutto complicato.
  A me piace molto anche l'idea di stabilire un criterio omogeneo e poi di lasciare a un accordo collettivo – la trovo un'ottima soluzione – la ripartizione della torta risarcitoria. Qualora poi non ci sia l'accordo, una sorta di giudizio di ottemperanza o, meglio ancora, di verifica del danno specifico subito dal singolo andrà poi a dosare nella sfera giuridica dei singoli le ricadute.
  Questi vari aspetti io li giudico positivi. Certo, sullo sfondo c’è un problema di politica del diritto grande, che è quello dell’opt-in/opt-out. Sentivo anche che il collega che mi ha preceduto, ovviamente, si è soffermato su questo punto.
  Si tratta di un problema delicato, forse del passaggio più delicato di uno strumento di tutela collettiva, se guardiamo anche alle iniziative e ai suggerimenti che ci vengono dall'Unione europea. È questo lo spartiacque vero dei vari sistemi. Il nostro ha optato per un regime di opt-in, che chiaramente è un regime che potremmo dire di low profile rispetto al contrapposto regime opt-out.
  Molto francamente, non credo neppure io che sia un problema di costituzionalità e di articolo 24, anche se ci sono dei colleghi in dottrina che evocano problemi di costituzionalità e di compatibilità con il quadro dei valori costituzionali. Non è questo. Il problema è che bisogna essere molto pratici.
  È chiaro che, dal punto di vista politico, questo sarebbe un intervento che avrebbe un forte impatto sul piano sociale e direi anche culturale. Sì, è vero che è diffuso, adottato e applicato in molti ordinamenti giuridici, ma avrebbe un forte impatto politico. Forse ho sentito anche prima, nel suo intervento, il deputato Bonafede che richiamava l'impatto politico. Sicuramente è vero.
  In astratto, se ci saranno i presupposti per realizzare questo, forse lo preferirei anch'io, anche se vi dico che, anche per la mia personale sensibilità giuridica, il fatto di essere coinvolto in un procedimento mio malgrado mi rende perplesso. Forse questo vi fa capire che, tutto sommato, queste potrebbero essere valutazioni diffuse anche tra persone che abbiano un'educazione minore sul piano giuridico.
  Chiaramente l'efficacia sarebbe garantita. Queste sono valutazioni politiche. Non spetta farle a me, ma a voi, nella consapevolezza – temo – che nel nostro contesto culturale questa sia una misura che Pag. 10potrebbe rallentare molto un progetto riformatore, per quanto e per come vedo io le cose.
  Se fosse possibile, quello che auspicherei sul piano risarcitorio è cercare di favorire un modello e, quindi, un intervento che possa un po’ aprire ai danni punitivi, non nella misura che può spaventare, con riferimento agli Stati Uniti. C’è tutta una filmografia, più che una letteratura giuridica, che chiaramente colpisce molto l'immaginario collettivo della società civile.
  Si tratta semplicemente di capire che, se vogliamo uno strumento di tutela collettiva, in termini di accertamento del danno, a parte il fatto che la valutazione equitativa è già consentita allo stato vigente – si comprende che una cosa è accertare l’an del danno, un'altra è intervenire poi con una valutazione equitativa, altrimenti diventa difficile introdurre e operare verifiche all'interno delle singole sfere giuridiche – si deve entrare in una logica sanzionatoria. Nella logica sanzionatoria ci si allontana, inevitabilmente, dalla dimensione compensativa e reintegratrice. Questo consentirebbe allo strumento di funzionare più ampiamente.
  Se noi potessimo, cum grano salis, orientarci verso un meccanismo punitivo e via discorrendo, avremmo la possibilità veramente di avere uno strumento più efficace, uno strumento che potrà servire anche a depurare il mercato da condotte e pratiche illecite o da pratiche commerciali scorrette o comunque dannose che normalmente gli imprenditori pongono in essere e sicuramente potremmo anche andare a colpire quella soglia degli small claims in cui, giustamente, si concentra l'ineffettività della tutela. È ovvio, infatti, che è in quel segmento dell'amministrazione della giustizia che bisognerebbe operare, nella misura in cui io consento di agire anche a chi non lo fa singolarmente perché non ne vale la pena. A quel punto, lo strumento di aggregazione diventa più efficace.
  Se mi posso permettere – e termino; scusate, forse sono stato lungo nell'intervento; non avevo preso il tempo, o meglio non mi era stato neppure dato, il che è pericolosissimo per un docente – una battuta finale, suggerirei, ovviamente se sposerete la logica dell'intervento sul testo vigente o comunque su un progetto riformatore un po’ conservativo rispetto alla disciplina vigente, di valutare il problema della legittimazione attiva, che non è stato mai affrontato del tutto. Lo dico anche proprio da un punto di vista lessicale, oltre che concettuale.
  Non è sullo stesso piano, non è comparabile il fatto che, se agisce un'associazione, debba avere il mandato dal componente della classe, mentre il comitato agisce perché c’è uno che partecipa al comitato. Partecipare a un comitato non significa nulla. Ci sono promotori, ci sono coloro che versano l'obolo, ci sono gli aderenti e via elencando. Vedo un po’ un disallineamento sul piano del rigore anche concettuale, che poi diventa pratico.
  Attenzione: qui c’è sullo sfondo anche un problema di politica del diritto. Vogliamo o no anche delle iniziative ad hoc, dei comitati nati ad hoc ? Io non sono contrario. Qualche collega si spaventa perché dice che queste possono essere iniziative aggregative pretestuose che nascono. Io non le trovo pretestuose. Sicuramente sono pretestuose letteralmente, nella misura in cui nascono per perseguire un'iniziativa di tutela collettiva. Non mi meraviglio e non mi scandalizzo. L'importante è chiarire meglio questo meccanismo di legittimazione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFONSO BONAFEDE

  PRESIDENTE. Perfetto. Grazie, professore. Dedichiamo adesso uno spazio piuttosto breve per le domande, perché alle 16 dobbiamo ritornare in Aula.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA COLLETTI. In realtà, lei ha già risposto sui danni punitivi. Io pensavo proprio che una fattispecie come quella Pag. 11dell'azione di classe si attagliasse perfettamente a una prova nel nostro ordinamento dei danni punitivi. Non ritornerò, quindi, su questo punto.
  Un secondo punto è proprio l'ultimo, quello dei cosiddetti comitati di scopo che nascono. Da avvocato di provincia le dico che la mia paura è la «societarizzazione» della tutela dei diritti individuali delle persone. Temo che si possa uscire dalla tutela giuridica verso l'attuale funzione che hanno alcune società o associazioni nel comporre e nel cercare di pubblicizzare, attraverso attività di marketing, la tutela di diritti individuali.
  È l'unico timore che posso avere di una tale fattispecie, perché io ritengo che lì si creerebbe un ulteriore danno, ovvero la differenza di informazione tra chi promuove il comitato e chi aderisce per aderire alla propria tutela. Il cosiddetto aderente potrebbe avere, quindi, una doppia causa, contro il primo danno e contro il secondo danno, nel caso in cui il comitato non faccia gli interessi propri.
  Non so se sono stato chiaro, ma ho questa paura soprattutto perché negli ultimi anni stanno nascendo in Italia queste società che cercano di tutelare alcuni interessi. Io mi occupo di malasanità. Nel mio campo queste società sono molto forti, come, per esempio, lo sono nel campo dell'anatocismo e dell'usura bancaria. Ci sono anche, per fortuna, iniziative dell'Antitrust su alcune pratiche commerciali scorrette. Andare a influire da quella parte può essere utile da un certo punto di vista, ma può essere pericoloso anche per gli stessi cittadini che cercano di tutelare i propri diritti.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  ANDREA GIUSSANI, Ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo. A proposito della questione dei danni punitivi, mi viene da osservare che la proposta di legge C. 3017, in realtà, pur non introducendo in via generale i danni punitivi, nell'innescare il meccanismo premiale, naturalmente, implica che vi sia un'attribuzione monetaria che non è fondata sul risarcimento del danno, ma è ulteriore. In un certo senso, quindi, si muove in quella direzione.

  ANDREA COLLETTI. Io non l'ho letta.

  ANDREA GIUSSANI, Ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Urbino Carlo Bo. Lo dicevo per questo.

  GIUSEPPE CONTE, Ordinario di diritto privato presso l'Università degli studi di Firenze. Ci ritroviamo, mi sembra, sui danni punitivi. Mi fa piacere che questa proposta di legge che non conosco abbia sviluppato questo orientamento. Tradizionalmente noi siamo legati all'esistenza del danno e all'accertamento del nesso di causalità tra condotta e danno. Alcuni dicono che è questo che verrebbe un poco oscurato o comunque non sufficientemente illuminato dai riflettori giuridici in questa dimensione. Tuttavia, bisogna fare delle scelte di politica. Anche questa è una scelta politica. Quale funzione vogliamo perseguire ?
  Nel migliore dei mondi possibili personalmente opterei anch'io per l’opt-out per la funzione punitiva. Il problema è che, avendo delle responsabilità – in qualche modo l'amministrazione della giustizia la vivo perché sono anche nel Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e, quindi, so come funzionano le logiche – mi rendo conto che bisogna scegliere un modello che sia percorribile e che, quindi, possa offrire se non il migliore dei mondi possibili, comunque un modello che possa avere una chance di funzionare in un contesto culturale.
  Sullo sfondo diventa anche quello un problema ideologico. È chiaro che ci sono delle distorsioni nella dimensione collettiva dell'organizzazione degli interessi. Si tratta delle medesime associazioni che pure noi abbiamo creato, con quel meccanismo di registrazione presso il Ministero competente, delle associazioni che abbiano una rappresentatività. Anche lì si Pag. 12stanno creando – ormai sono sotto gli occhi di tutti – delle distorsioni. Posso immaginare che ancor più in dimensioni locali e territoriali più circoscritte meccanismi distorsivi si possano creare.
  Tuttavia, secondo me, non dobbiamo rinunciare alla prospettiva tradizionale. La dimensione collettiva è chiaramente quella che rafforza di più l'iniziativa individuale. La dimensione aggregativa consente di organizzare gli interessi e di mettere delle persone non dico a tempo pieno, ma specificamente dedicate a perseguire quegli interessi.
  Certo, ci saranno abusi, ci saranno distorsioni. Lei, però, mi parlava di società. Noi comunque qui stiamo parlando, almeno sulla carta, di associazioni e comitati che dovrebbero essere enti no-profit, per definizione, di cui al libro I del codice civile, o comunque enti no-profit di cui alla legislazione speciale.

  PRESIDENTE. Ringraziando i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.