XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Martedì 26 luglio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGISLAZIONE IN MATERIA DI ADOZIONI ED AFFIDO

Audizione di Anna Genni Miliotti, professoressa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università degli Studi di Firenze.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 ,
Miliotti Anna Genni , professoressa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università degli Studi di Firenze ... 3 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 ,
Miliotti Anna Genni , professoressa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università degli Studi di Firenze ... 6 ,
Bonafede Alfonso (M5S)  ... 6 ,
Miliotti Anna Genni , professoressa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università degli Studi di Firenze ... 6 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 8

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Anna Genni Miliotti, professoressa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università degli Studi di Firenze.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legislazione in materia di adozioni ed affido, di Anna Genni Miliotti, professoressa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università degli Studi di Firenze.
  Do la parola alla professoressa Miliotti.

  ANNA GENNI MILIOTTI, professoressa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università degli Studi di Firenze. Vi ringrazio di aver trovato spazio anche per me in questa indagine conoscitiva che ritengo molto positiva, prima di modificare la legge. Peraltro, la legge attuale non è affatto male. A me piace molto. Ho lavorato per quattro anni all'Istituto degli Innocenti e quando è stata approvata ho fatto una pubblicazione che doveva, appunto, spiegare ai genitori adottivi cosa diceva la legge.
  In alcuni punti ci si riusciva abbastanza bene; in altri, invece, che sono forse rimasti ancora arzigogolati, era difficile. Penso, per esempio, alla parte sull'età di accesso o sulla ricerca delle origini, in cui si va su e giù.
  Ho fatto, quindi, un libricino per spiegare la legge – lo dico per far capire chi sono e per dare un senso alla mia esperienza e alle mie proposte – che si chiama Per una famiglia adottiva. Ha venduto 2 milioni di copie ed è in tutti i tribunali e i servizi sociali.
  Il titolo Per una famiglia adottiva è rimasto nel sito al quale ho lavorato. Abbiamo implementato le pagine e avevamo tantissimo entusiasmo, che non ho perso, anche se negli anni le capacità critiche trovano sostegno, soprattutto, perché non si può imputare tutto alla legge.
  A ogni modo, la legge, che andava bene nel 2001, va aggiornata perché il fenomeno dell'adozione è cambiato – avete un documento di 18 pagine, ma preferisco parlare a braccio – come sapete perché siete informati dai giornali e dalle persone ascoltate prima di me.
  Comunque, il mio intervento e la mia esperienza professionale sono diversi perché la mia esperienza personale è diversa. Sono, infatti, anche una mamma adottiva. Inoltre, ho approfondito, anche con master all'estero, alcuni aspetti come la open adoption. Sono membro dello IAC (Independent Adoption Center) e del CoramBAAF dell'UK, che è la più grande associazione di ricercatori ed esperti. Insomma, sono una delle poche persone che girano. Forse perché in Italia si sanno poco le lingue, non perché sono più brava degli altri.
  Talvolta, il confronto è duro. È difficile, per esempio, spiegare agli altri perché da noi i single non possono adottare. Bisogna farsi capire, ma è bello – lo voglio dire anche a voi – quando raccolgo dei complimenti. Pag. 4 Uno di questi è per la tipologia della famiglia italiana, che è ancora vista come la famiglia tradizionale. Non so se questo è vero ma credo sia ancora vero che è una famiglia accogliente.
  Se guardiamo, attraverso i dati, com'è cambiata la fisionomia di chi adotta, c'è un dato che a me interessa molto e che è stato sempre in salita negli ultimi 5 anni. Non si adotta solo per la sterilità delle coppie, ma c'è un 15 per cento, che – ripeto – è salito piano piano negli anni, di coppie che adottano già avendo un figlio biologico.
  Questa è la vera accoglienza, il che sposta l'attenzione dai provvedimenti e dalla formazione delle coppie. Infatti, gli psicologi dei servizi sociali puntano sul famoso discorso, che io odio, dell'elaborazione del lutto. Ebbene, qui non c'è nessun lutto perché queste coppie, che sono – ripeto – il 15 per cento, hanno già un figlio e sono fuori dai parametri di esame, di controllo, di assistenza e di sostegno. Sono, peraltro, invise alle coppie che non hanno figli, che le accusano di prendere loro un posto nelle liste che, effettivamente, sono lunghissime.
  Quindi, oggi chi adotta ha spesso già figli, è più anziano e ha una posizione sociale ed economica superiore rispetto a chi adottava 10 anni fa.
  Essendo anche una formatrice – sono una libera pensatrice e operatrice, ma, siccome mi piace moltissimo, ho collaborato e collaboro anche con gli enti; con diversi di essi perché con uno solo non si sa mai cosa può succedere, come spesso leggiamo sui giornali – quando nel 2001, nel 2005 o nel 2006 parlavo con queste coppie per spiegare le tematiche dell'adozione internazionale dovevo usare un linguaggio molto semplice.
  Alla mia sinistra avevo il muratore – parlavo oggi al telefono di queste mamme – e alla mia destra un giardiniere, che erano perfetti per prendersi cura di bambini complessi. Talvolta, infatti, una persona semplice è capace ancora di ascoltare l'istinto, che noi mettiamo da parte a causa di quello che abbiamo studiato. Avevo, però, anche l'avvocato e l'imprenditore, quindi dovevo stare attenta a essere semplice, ma non troppo, altrimenti gli altri si annoiavano.
  Oggi, invece, non c'è più nemmeno la classe media, ma solo le classi medio-alte. Tra quelle che elenco nella prima parte del mio intervento, una delle criticità considerata da chi adotta riguarda proprio i costi ed è comprensibile, visto che è evidente che all'adozione internazionale si approccia chi non ha problemi di reddito.
  Mi capita di incontrare persone che mi chiedono quanto costa l'adozione internazionale. Ecco, ho visto che qualche dato che vi è arrivato ed è molto sottostimato.
  L'adozione internazionale parte da 11-15.000 euro e può arrivare fino a 30.000 euro. Vorrei dirlo chiaramente. Questi costi, però, non sono tutti regolari, ovvero certificati. La legge prevede che si possa detrarre fiscalmente per il 50 per cento. Peraltro, conosciamo anche il problema dei rimborsi, che sono fermi.
  Personalmente, propongo di raddoppiare questa cifra e di renderla totale. Questa è una prima soluzione. La seconda è, invece, un controllo maggiore sui costi degli enti. Chi dà l'incarico a un ente dovrebbe leggere tutte le causali. Questo, però, non basta.
  Parlo in generale, perché ci sono anche enti perfetti. Tuttavia, se parliamo di criticità, mi permetterete di esprimermi liberamente. Il solo fatto che si chiamano «enti autorizzati» dà l'impressione del burocratese e mette in soggezione chi vi si approccia. Si parla sempre di abolirli, ma poi li ritroviamo anche nell'adozione.
  Del resto, «ente» è una parola un po’ fumosa; di solito all'estero le chiamiamo «agenzie di adozione» (adoption agency). Del resto, l'Agenzia regionale per l'adozione internazionale del Piemonte la chiamiamo, appunto, «agenzia».
  Insomma, si ha una posizione di sudditanza. Chi approccia gli enti si sente ricattabile perché dall'ente dipende l'attuazione del suo sogno di avere un bambino sano (tutti vogliamo avere figli sani), subito (il che è impossibile) e a quanto è stimato (questo dovrebbe essere possibile). Sa, quindi, che paga una somma per la preformazione. Pag. 5
  Le spese per i viaggi dipendono, invece, dal Paese; in alcuni Paesi si deve stare di più, quindi le spese sono maggiori. A parte quelle, ci sono, però, anche le spese non certificate, compresa la «bustarella» o la persona che si deve pagare di più per accelerare una pratica. Di solito, tutti accettano; non dicono di no e non denunciano per il timore di essere cancellati dalle liste, che sono davvero lunghe.
  In questi giorni avete letto degli scandali, che derivano dalla mancanza di un potere, che dovrebbe essere aumentato, della nostra autorità centrale, la Commissione per le adozioni internazionali (CAI). Forse la CAI stessa è oggetto di ricatto, nel senso che non si possono aspettare i bilanci dagli enti. Insomma, non ci si può limitare a chiederli, ma bisogna controllare. Se non diamo alla CAI una funzione ispettiva effettiva, sprechiamo inutilmente le parole.
  Non è, quindi, solo un problema di costi. I dati dagli enti spesso non sono completi o arrivano in ritardo. Le persone che adottano hanno almeno due lauree e navigano tutte su internet, quindi sanno benissimo che, come prevede la prassi, hanno il diritto di trovare sul sito della Commissione tutti i dati, che essa, appunto, come suo compito, raccoglie e pubblica sul web, sul sito che ho citato all'inizio.
  Spesso, però, i dati – ripeto – arrivano in ritardo. Alcuni enti non li mandano e talvolta non sono corretti. Ciò nonostante, abbiamo diritto di sapere quante adozioni fa un ente in un anno perché questo vuol dire trasparenza.
  La mia comunicazione si intitola, non a caso, «Proposte per la trasparenza e l'omogeneità procedurale nell'adozione internazionale e nazionale e negli affidi». La trasparenza è importante. Se non c'è trasparenza e informazione corretta, non c'è regolarità perché non possiamo fare controlli. Quindi, dobbiamo pretendere la trasparenza attraverso il controllo.
  Torniamo, così, al discorso dei costi, che forse avete già sentito. Dopodiché, parliamo anche della burocrazia.
  I costi si possono snellire con un controllo ispettivo, ma anche con azioni calmieranti o promuovendo maggiormente le agenzie regionali. Ho sentito anche della proposta di un'agenzia centrale. Non conosco i termini, ma tutto è possibile. Occorre, però, anche un intervento a sostegno delle famiglie.
  Penso alla fecondazione eterologa, che giustamente viene promossa anche togliendo il ticket, ma ci sono tanti bambini nelle case famiglia. Insomma, anche l'adozione è un progetto di famiglia, sebbene un po’ dimenticato. Abbiamo dimenticato migliaia di bambini nei nostri istituti e nelle nostre case famiglia, come abbiamo dimenticato di fare progetti reali e concreti a loro sostegno.
  A questo proposito, ultimamente c'è stata una polemica in Lombardia, dove c'era un bonus bebè non allargato alle coppie adottive. Con la pressione delle associazioni delle famiglie adottive, che sono realmente una forza, è stato poi esteso. Penso, quindi, anche a interventi di questo genere. Ci sono, inoltre, alcune regioni che offrono prestiti a tasso zero, come se ci volesse un mutuo anche per adottare.
  Ci sono, ancora, le azioni indirette, per le quali se si ottiene trasparenza si abbassano i costi. Una potrebbe essere quella di promuovere un cartello degli enti che operano nello stesso Paese, il che forse snellirebbe anche le pratiche. Infatti, il secondo nodo è quello della lentezza e della lunghezza delle pratiche. Ci si potrebbe appoggiare anche sui consolati esteri perché le spese degli enti ci sono, ma sono sempre soli a rappresentare l'Italia e non sempre possono farcela, anche se vi sono persone professionali e serie.
  Insomma, bisogna uscire dallo slogan che gli enti sono troppi. Gli enti devono essere corretti, quindi agire regolarmente. Il problema non è il loro numero, bensì la correttezza del loro lavoro.
  Spesso ho trovato costi minori e una migliore capacità di dialogo e di accompagnamento alle coppie in enti piccoli, fatti da associazioni familiari. Ne conosco perché scrivo tanti libri sull'adozione – questo è l'ultimo, che vi regalo – rivolti meno agli operatori e più al grande auditorio delle famiglie, che devono diventare le persone Pag. 6che si prendono cura in primis dei propri figli.
  Spesso gli enti piccoli hanno costi molto più bassi. Non faccio nomi, ma un ente di Imola mi diceva che degli 11.000 euro ne avanzano abbastanza, quindi fanno formazione, invitano l'insegnante e così via. Invece quelli grandi – non tutti; non voglio generalizzare – hanno senz'altro spese maggiori, con costi fissi maggiori.
  Secondo un lavoro che ho fatto con l'Istituto degli Innocenti, in Italia gli enti sono di tre tipologie. C'è quello che parte da un'associazione di familiari e ha una mission molto forte; ci sono quelli più vicini all'estrazione cattolica, nei quali i costi sono più bassi perché si appoggiano alle missioni all'estero; ci sono, infine, quelli più professionali, che, però, sono la minima parte.
  Mi piacerebbe molto che la cultura dell'adozione si trasformasse perché non è un'azione di beneficenza, ma deve essere un servizio professionale svolto entro i termini di un contratto e di un incarico. Questo eliminerebbe la dimensione psicologica della sudditanza, ovvero il pensare che l'ente è l'unico che può farci avere il bambino.
  Inoltre, gli enti fanno progetti. Molti hanno anche finanziamenti per fare progetti di sostegno nei Paesi esteri. Ecco, anche su questo bisognerebbe indagare. Un progetto che viene finanziato dalla CAI, sulla base del monte che ha, va dal rifare le mattonelle del bagno a creare una scuola per i bambini o per aiutare l'inserimento sociale di quelli che non vengono adottati. Bisognerebbe, dunque, stare attenti anche su questo per evitare lo spreco. Se si limitassero al sostegno alle buone adozioni, credo sarebbe sufficiente.
  Cominciamo dall'adozione nazionale. Quanto tempo ho?

  PRESIDENTE. Tra poco dobbiamo essere in Aula. Non so se ci saranno domande.

  ANNA GENNI MILIOTTI, professoressa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università degli Studi di Firenze. Lo spero, quindi vado avanti.
  Le persone che non sono di classi sociali elevate si rivolgono, appunto, all'adozione nazionale, che, come sapete, è a costo zero. Conoscete, però, anche i dati: ci arriva uno su quattro. Quindi, l'adozione nazionale presenta meno possibilità, anche se i bambini lasciati negli ospedali sono attualmente aumentati. C'è il progetto «Mamma segreta», che funziona; ci sono gli immigrati e così via.
  A questo riguardo, ho un dato che vi devo assolutamente dare: è aumentato percentualmente il numero di lasciti (non mi piace dire «abbandoni») negli ospedali da parte di donne senza lavoro. Non sono immigrate, ma italiane. Ebbene, dov'è la politica di sostegno alla maternità? Ricordiamolo, quindi, perché è una cosa che dobbiamo fare.
  A ogni modo, l'adozione nazionale è la sorellina minore, un po’ negletta.

  ALFONSO BONAFEDE. Lei citava il dato delle donne senza lavoro. Immagino che, invece, siano aumentati i casi di bambini abbandonati. Perché parla di donne senza lavoro? La percentuale è cresciuta perché prima c'erano più donne con il lavoro?

  ANNA GENNI MILIOTTI, professoressa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università degli Studi di Firenze. È un dato nuovo. Sul sito della Società italiana di neonatologia hanno delle schede in cui c'è la causa dell'abbandono. Tra queste c'è proprio la mancanza di un'occupazione. È interessante perché quando parliamo dei dati il problema è che in Italia non li abbiamo. A noi arrivano due anni dopo, quindi come facciamo a lavorare sulla modifica di una legge se non sappiamo cosa succede?
  Bisogna spulciarli di qua e di là. Dovremmo farlo tutti. In alcuni Paesi, però, arrivano molto prima.
  I dati sono segnali che la società è cambiata. Dobbiamo, però, leggerli perché potrebbe essere un'impressione mia o sua.
  Tornando all'adozione nazionale, rimane la criticità dei tempi lunghi (come, del resto, per quella internazionale). I genitori adottivi, di cui senz'altro avrete sentito Pag. 7 le associazioni, si saranno lamentati dell'attesa, i cui tempi sono aumentati perché è globalmente diminuita l'offerta – è una brutta parola perché termine economico, ma non so come dire – nei Paesi.
  Alcuni, infatti, hanno dei regimi nazionalistici, con delle revenge per cui preferiscono non mandare più i bambini all'estro, anche se non hanno da mangiare. Altri, invece, hanno promosso – cosa che mi piace di più – la domestic adoption, cioè l'adozione nazionale, quindi vuol dire che stanno bene e che comincia a esserci una classe media che addotta, aiutata da diverse leggi. Per esempio, la Russia non pone limiti d'età. Un mio amico giornalista, dopo i 60 anni, ha adottato un bambino di 5 anni. Insomma, riservano un trattamento di favore alle coppie del loro Paese per incrementare l'adozione e liberare gli istituti dai minori senza famiglia.
  L'adozione nazionale è un sistema che definivo il fratellino o la sorellina minore, soprattutto per il procedimento e, in particolare, per l'abbinamento. Questa è una criticità che molti segnalano; ho parlato anche oggi con altre persone. Come vengono scelte le coppie?
  Viene fatta una relazione sulla coppia. Non parlo dei contenuti della relazione, ma solo della modulistica di accesso, che varia solo per il fatto che per l'adozione internazionale occorre aver superato il procedimento dell'idoneità, che tra genitori adottivi si chiamava la «patente», ovvero l'essere idoneo per situazione economica, psicologica, culturale, ma anche affettiva. Questa è una cosa bellissima, che è stata introdotta nella legge.
  Comunque, per l'adozione nazionale occorre una relazione più semplificata, quindi non si ottiene l'idoneità, ma si viene messi in un mucchio. Chi sceglie da questo mucchio e quando?
  Il valore di questa relazione scade dopo tre anni, quindi di solito le coppie aspettano, appunto, tre anni. Succede che solo dopo tre anni vengono tirate fuori dal mucchio – posso parlare liberamente – e viene presa quella che corrisponde, generalmente, ai criteri dell'abbinamento, che solitamente riguarda l'età.
  Per il resto, non c'è un'informazione certa perché le relazioni senza idoneità rimangono archiviate. In sostanza, alle coppie viene letta, ma non hanno la possibilità di accesso durante la fase istruttoria. Non vedo, però, il perché.
  Insomma, non vengono informate, dunque aspettano in questo limbo. Spesso capita – non sempre, ma qui si parla di criticità – la classica telefonata di Ferragosto. Quello che c'è e risponde, è il primo della lista, quindi il giorno dopo deve recarsi a prendere il bambino, con grande felicità, ma con poca trasparenza, come dice la mia relazione.
  Le lentezze, le attese e la burocrazia si vincono, invece, con la trasparenza, dando risposte certe e chiare alle persone. Per questo propongo di snellire la procedura dell'idoneità, estendendola anche a chi fa una dichiarazione di disponibilità per l'adozione nazionale. In questo modo, abbiamo una norma scritta valida e uguale per tutti.
  Questo semplifica anche la procedura. Gli operatori si lamentano perché hanno molto carico, dal momento che 4.000 domande l'anno non sono uno scherzo. Visto che devono fare analisi doppie, perché non farle una volta sola, essendo quelli i criteri? In questo modo, sarebbe la procedura più certa.
  Passo al secondo punto. Attualmente, sappiamo che per l'adozione nazionale la coppia può accedere a tutti i tribunali che vuole, con la stessa documentazione, che però è archiviata, quindi si deve far comunque riferimento al tribunale dove l'ha lasciata, che è quello della sua residenza.
  Molte coppie, che non hanno i soldi per l'internazionale, si rivolgono a diversi tribunali. Qui si pone il tema dell'omogeneità. Il documento dovrebbe essere visibile – siamo nel 2016 – e si potrebbe trasmettere in qualche modo. Invece, le coppie si recano in ogni tribunale perché ognuno ha la sua modulistica e vuole avere un incontro con la coppia per sottoporla a un suo test, che pure è diverso. Quindi cominciano i costi anche per l'adozione nazionale, visto che i viaggi costano. Pag. 8
  Immagino, invece, che una sentenza di adozione firmata dal giudice debba essere un documento ritenuto valido da tutti i tribunali, essendo i criteri unici. Questo darebbe una risposta senza costi. In Italia, però, è difficile unificare le procedure. Sono delle battaglie immani.
  Passo a un'altra proposta per l'adozione nazionale, per rendere omogenei i due percorsi. Come sapete, per l'adozione internazionale è stato abolito – dopo il testo della legge, perché ci si accorge che le cose non funzionano – l'anno del preaffido adottivo. In sostanza, si andava all'estero, si prendeva un bambino, lo dichiaravano e lo scrivevano sul passaporto come figlio della coppia, facevano perfino un nuovo certificato di nascita, dopodiché si veniva in Italia e si avevano grossi problemi con gli uffici anagrafici.
  Questo ha creato sempre grandi problemi con le autorità dei Paesi esteri perché loro non davano in affido il bambino, ma riconoscevano il genitore a tutti gli effetti. Invece, quando si entrava in Italia, non si aveva il cognome sui documenti e non si poteva iscrivere a scuola, ma bisognava aspettare un anno, in cui gli assistenti sociali controllavano e così via.
  Questo meccanismo non poteva durare, quindi è stato eliminato. È, però, rimasto nell'adozione nazionale, con delle gravi problematiche, come la mancanza di privacy. Ci sono, infatti, situazioni in cui i minori necessitano di protezione.
  L'adozione nazionale è diversa da quella internazionale. C'è stato, per esempio, un caso a Roma in cui è dovuta intervenire la Polizia per un tentativo di rapimento perché l'ufficio anagrafico ha mandato le spese per la mensa ai genitori a cui il bambino era stato tolto. Erano genitori non tanto perbene, che hanno tentato un rapimento fuori dalla scuola.
  Occorre, allora, chiarezza e protezione. Oltretutto, che senso ha che rimanga, visto che dall'altra parte lo abbiamo tolto? Cos'altro si deve controllare, dopo aver fatto lo stesso tipo di esami e di analisi della coppia? Credo, insomma, che non abbia più molta importanza.
  Da ultimo, vi esorto a non modificare – so che trovo degli ascoltatori attenti – l'impianto della legge sia nell'affido sia nell'adozione internazionale e nazionale, che è quello di mettere il minore al centro.
  Quando ho sentito lo slogan di qualche tempo fa «un'adozione per tutti», ho pensato a un'adozione per tutti i bambini, invece si trattava di un'adozione per tutti gli adulti. Ecco, non è la stessa cosa. Un bambino ha diritto a una famiglia; gli adulti non hanno diritto a un bambino.

  PRESIDENTE. Purtroppo alle 15 dobbiamo scendere in Aula, quindi non abbiamo tempo per gli interventi. Avremo modo di fare successivi approfondimenti.
  Nel ringraziare nuovamente la professoressa, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.55.