XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Mercoledì 25 maggio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGISLAZIONE IN MATERIA DI ADOZIONI ED AFFIDO

Audizione Franca Biondelli, Sottosegretario di Stato del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, di Vincenzo Casone, professore di diritto di famiglia presso l'Università Lum Jean Monnet e di rappresentanti dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA).
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 ,
Tangorra Raffaele , Direttore Generale della Direzione Generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ... 3 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 ,
Tangorra Raffaele , Direttore Generale della Direzione Generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ... 7 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 ,
Tangorra Raffaele , Direttore Generale della Direzione Generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ... 7 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 ,
Casone Vincenzo , Professore di diritto di famiglia presso l'Università Lum Jean Monnet ... 8 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 ,
Micucci Donata Nova , Presidente dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA) ... 10 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 ,
Tonizzo Frida , Consigliere dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA) ... 11 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 ,
Tonizzo Frida , Consigliere dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA) ... 15 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 ,
Tonizzo Frida , Consigliere dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA) ... 15 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, se non vi sono obiezioni, anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione Franca Biondelli, Sottosegretario di Stato del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, di Vincenzo Casone, professore di diritto di famiglia presso l'Università Lum Jean Monnet e di rappresentanti dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legislazione in materia di adozioni e affido, di Franca Biondelli, Sottosegretario di Stato del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, di Vincenzo Casone, professore di diritto di famiglia presso l'Università Lum Jean Monnet e di rappresentanti dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA).
  Faccio presente che il sottosegretario Biondelli, peraltro delegata dal Ministro Poletti, è impossibilitata a partecipare alla seduta odierna e che interverrà, in sostituzione, il dottor Raffaele Tangorra, direttore generale della Direzione Generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, accompagnato da Adriana Ciampa, dirigente della divisione III – ISEE e prestazioni sociali agevolate, Politica per l'infanzia e l'adolescenza. Il sottosegretario ha fatto sapere della propria impossibilità a venire oggi in questa seduta per un impegno intervenuto dopo la disponibilità data. In ogni caso, abbiamo la rappresentanza autorevole del Ministero.

  RAFFAELE TANGORRA, Direttore Generale della Direzione Generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Innanzitutto, oltre che i saluti, porto le scuse del Sottosegretario Biondelli. In realtà, il suo è un impegno istituzionale sopraggiunto in mattinata: è in Senato per gli emendamenti sulla proposta di legge sul «Dopo di Noi» e per gli ordini del giorno. Mi ha avvisato stamattina di sostituirla, per cui anche la mia relazione risentirà delle condizioni che si sono verificate. Il sottosegretario dà la sua disponibilità, da subito, a venire per l'audizione promessa.
  Vengo ai temi che vorrei affrontare. Innanzitutto, vorrei un po’ delineare il quadro di contesto, a che punto siamo oggi nell'attuazione della legge n. 149 del 2015 in materia di continuità affettiva dei bambini, in particolare con riferimento ai minori fuori famiglia. Il nostro ambito d'intervento è quello dell'affido più che quello dell'adozione, su cui la competenza è del Ministero della giustizia.
  Se guardiamo al fenomeno da una prospettiva storica, è evidente che nel Paese abbiamo raggiunto dei risultati, oserei dire, eccezionali. Negli anni Sessanta, avevamo ancora 200.000 bambini nei cosiddetti orfanotrofi ma ancora negli anni Ottanta ne avevamo più di 50.000. Da punto di vista, il trend storico di evoluzione del fenomeno Pag. 4dimostra come l'attenzione riservata dal legislatore abbia avuto successo.
  Ha avuto successo, in particolare, quel percorso di lunga data che ha portato nel 2006 alla chiusura degli istituti. Per una norma programmatica, che imponeva una scadenza con qualche anno di ritardo, direi che i risultati che si sono ottenuti sono straordinari. Oggi gli istituti sono chiusi e, comunque, fuori dalla famiglia di origine abbiamo circa 30.000 bambini e ragazzi, bambine e ragazze.
  È un fenomeno che negli ultimi anni manifesta una sostanziale stabilità. Non osserviamo particolari tendenze nei numeri complessivi. Abbiamo osservato, soprattutto dopo l'impulso dell'approvazione della legge n. 149 del 2015, una certa crescita negli affidi familiari, cresciuti, appunto, nei primi anni di circa il 50 per cento, dai 10.000, che registravamo alla fine degli anni Novanta, ai 15.000 che abbiamo registrato negli ultimi dieci anni. Non abbiamo dati puntuali aggiornati, ma su questo mi riserverò di dire qualcosa più avanti.
  Dicevo che il fenomeno mostra una certa stabilità nel tempo, negli ultimi anni, ma al di là di questo notiamo molti mutamenti nella composizione dei gruppi che si ritrovano in una situazione di affidamento familiare o in una comunità residenziale. Cambia radicalmente il panorama, con particolare riferimento – questo è il dato più eclatante – ai minori stranieri, che anche nel caso dell'affidamento familiare cominciano a costituire numeri rilevanti. Circa il 20 per cento dei minori affidati oggi è costituito da minori stranieri. Nel caso delle comunità, in alcune regioni la maggioranza dei bambini in comunità è di origine straniera. Questo è, chiaramente, un dato su cui riflettere, perché impatta direttamente sulla capacità dei servizi di accogliere i bisogni di queste famiglie.
  Ci dice anche qualcos'altro. Sui numeri complessivi bisognerebbe fare anche un approfondimento legato a un fenomeno che non è di allontanamento dalla famiglia nel senso cui siamo abituati a pensare. C'è tutto il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati. Come dicevo, nelle comunità il fenomeno dominante è quello dei minori stranieri, e nella comunità di minori stranieri, in particolare per i minori prossimi alla maggiore età, la gran parte dei minori accolti è appunto non accompagnata. Al netto dei minori stranieri non accompagnati, avremo un numero di minori ancora inferiore. Questo è il primo dato su cui riflettere.
  Il secondo dato su cui riflettere è legato all'eterogeneità del sistema dell'accoglienza nel nostro Paese. Come per tanti altri fenomeni, il nostro è un Paese, come si suol dire, stretto, lungo e fatto in maniera diversa a seconda del campanile. Nel caso delle politiche sociali, queste differenze sono a volte estreme. Lo notiamo nei dati aggregati. La spesa sociale dei comuni è estremamente variegata muovendosi da sud verso nord in generale, non solo per l'affido o per le comunità.
  Per dare un ordine di grandezza, in Calabria la spesa pro capite per le politiche sociali è di 25 euro, nelle province autonome è di 300 euro, quindi parliamo di differenze da 10 a 1. Questo ci fornisce un indice di quanto diversi siano, innanzitutto, i diritti delle persone fragili oggetto di attenzione delle politiche sociali a seconda del posto in cui si è nati. Non sono tanto le caratteristiche della persona, ma il posto in cui si è nati una delle prime caratterizzazioni delle possibilità del sostegno dei servizi che a una persona fragile sono dedicati, a seconda appunto del contesto in cui ci si muove.
  Quest'eterogeneità, magari non in queste proporzioni – queste sono spese obbligatorie per i comuni, soprattutto quando c'è un affidamento di natura giudiziaria – è una caratteristica anche del fenomeno dell'accoglienza. Lo vediamo anche dal confronto tra il numero di affidi familiari e quello di affidamento in comunità. Come dicevo, in media nazionale, i numeri sono sostanzialmente simili, circa 15.000 gli affidamenti familiari e altrettanti quelli in comunità, ma se ci muoviamo nel territorio, osserviamo che questo rapporto uno a uno può diventare molto diverso da regione a regione. Pag. 5
  Gli affidamenti familiari possono essere il doppio rispetto a quelli in comunità, e questo è tipico di alcune regioni del nord; possono essere, viceversa, la metà. Se poi li confrontiamo, diventano rapporti di 1 a 4 in alcune regioni del Mezzogiorno. Questa dell'eterogeneità è, quindi, un'altra delle caratteristiche di sistema che devono essere messe in evidenza.
  Il terzo elemento che vorrei porre alla vostra attenzione riguarda alcune piste di lavoro che sicuramente dobbiamo avere davanti. Una pista di lavoro è legata a un fenomeno che spesso ritengo sia male interpretato, quello visto negativamente nella vulgata degli affidamenti sine die. È vero che gli affidamenti in una quota rilevante superiore al 50 per cento, ma non esclusiva, si prolungano oltre i due anni immaginati dal legislatore, ma è vero anche che molto spesso sono le condizioni del bambino, il suo superiore interesse a motivare una decisione di quel tipo.
  Ci capita nell'esperienza, nel confronto con gli operatori e con le famiglie, di ascoltare di situazioni in cui le competenze, le capacità genitoriali della famiglia d'origine, non sono perse del tutto, poiché c'è con essa un legame che non si perde, ma che magari non può essere ricostituito del tutto, nel superiore interesse del bambino. Qui c'è un tema di appropriatezza dell'intervento. In alcuni casi, non quelli marginali, l'appropriatezza dell'intervento può andare ben oltre i due anni ordinariamente immaginati per la situazione dell'affido. La durata dell'affido è, dunque, una pista di lavoro su cui ragionare nel senso dell'appropriatezza.
  Ci sono altre piste di lavoro che immaginiamo debbano essere all'attenzione del policy maker, qui soprattutto del lavoro dei servizi locali, tra cui quella relativa ai bambini piccoli. Per i bambini più piccoli, l'affidamento familiare è sicuramente una pratica difficile, complessa, che richiede tanto lavoro, una difficoltà evidente a individuare le famiglie, ma riteniamo che questa fascia d'età debba essere particolarmente tutelata, e che quindi questo lavoro difficile debba essere un po’ un imperativo per i servizi al fine di ribaltare la percentuale che oggi vede maggioritari gli affidamenti in residenze, per questa fascia d'età, 0-5 anni in particolare, ma direi 0-10 anni più in generale, piuttosto che nelle famiglie.
  Un'altra pista di lavoro credo che debba essere quella degli affidamenti cosiddetti difficili, dei bambini con disabilità per intenderci. Sono affidamenti complessi, ma proprio per la fragilità di questi bambini credo che l'attenzione nei loro confronti debba essere doppia, e quindi devono essere immaginati strumenti specifici d'azione.
  Che cos'abbiamo immaginato? Nel contesto attuale, che come sappiamo bene con la riforma del Titolo V della Costituzione ha lasciato poco spazio a un intervento nazionale d'indirizzo forte, abbiamo, comunque, immaginato un percorso volto a omogeneizzare le pratiche dei territori a partire da quelle dei servizi. Abbiamo stretto un accordo anni fa con il coordinamento dei servizi per l'affido familiare, lavorato e realizzato diverse iniziative sui territori, raccolto buone pratiche, coinvolto esperti e provato a metter giù, sulla base di quest'esperienza di anni, delle linee d'indirizzo per l'affidamento familiare.
  Abbiamo approvato un volumetto, che abbiamo consegnato ai territori, in Conferenza unificata. È un documento che i diversi livelli di Governo hanno, quindi, fatto proprio e si sono impegnati a promuovere sui territori. Il documento, nella forma delle raccomandazioni e degli indirizzi operativi, individua molto chiaramente che cosa c'è da fare in tutti i campi dell'affido familiare e per tutti i soggetti responsabili dell'affidamento familiare. Li stiamo sottoponendo a un monitoraggio attento. Quello che emerge è un quadro di luci e ombre, un po’ il quadro che discende dall'eterogeneità dei servizi.
  Tornando ai numeri cui facevo cenno, dobbiamo segnalare una lacuna forte. Sull'onda dell'emozione della chiusura degli istituti, nel 2006 abbiamo avviato un'indagine annuale per il tramite delle regioni e delle province autonome, di analisi del fenomeno. Ci siamo accorti che quest'onda è stata un po’ lunga e ha prodotto risultati negli ultimi anni, ma stiamo facendo sempre Pag. 6 più fatica a raccogliere i dati. Riteniamo che sia necessario un sistema di monitoraggio su questi aspetti.
  Abbiamo, in realtà, un sistema di monitoraggio già sviluppato normativamente. Abbiamo previsto un modulo specifico di raccolta dati all'interno del cosiddetto casellario dell'assistenza. In una Commissione giustizia il casellario rimanderà, probabilmente, a qualcosa che non è esattamente quello a cui noi tenderemmo, ma cambieremo il nome e lo chiameremo «sistema informativo dei servizi sociali». La delega è in questo momento in approvazione in Parlamento.
  Quelli che raccoglieremo con questo casellario, con il modulo SinBa in particolare, «Sistema informativo nazionale bambini adolescenti», sono dati di dettaglio, che ci diranno molto più di quello che sappiamo oggi sulla pratica dei servizi e sulla situazione delle famiglie oggetto di un provvedimento di allontanamento.
  Avremo dati sulla valutazione del minore e della sua famiglia, sul tipo di segnalazione, sugli esiti degli affidi, sul carattere dell'inserimento in una struttura residenziale e così via. Sono dati che avremo puntuali, individuali e che saranno utilizzabili nella gestione del caso sul territorio, ma preziosissimi per la promozione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche. Speriamo che l'attuazione di questo provvedimento sul casellario dell'assistenza dia i risultati sperati.
  Con riferimento allo strumento d'indirizzo di cui abbiamo parlato per l'affidamento familiare, l'altro lavoro che abbiamo in cantiere e che dovrebbe concludersi entro la fine dell'anno è uno strumento analogo per le comunità. Conosciamo tutti i problemi che ci sono spesso rimbalzati dai media in chiave scandalistica, a volte giustamente scandalistica, perché qualche volta le notizie fanno davvero scandalo, ma detto questo il tema degli standard delle comunità, della qualità dell'accoglienza, delle tipologie di comunità, soprattutto dopo la chiusura degli istituti, merita un'attenzione particolare.
  Abbiamo messo in piedi un gruppo di lavoro analogo a quello formato a suo tempo per l'affidamento familiare, con l'idea di produrre entro l'anno delle linee di indirizzo sulle comunità. Dovremmo avere alla fine di questo percorso un set di linee d'indirizzo che riguarda tutto il sistema dell'accoglienza, in famiglia e in residenza. Si tratta di strumenti d'indirizzo che, peraltro, con l'attesa riforma della Costituzione – a ottobre ci sarà l'approvazione con il referendum confermativo – potrà avere un ruolo preponderante nell'attività d'indirizzo, che torna nella competenza dello Stato centrale.
  Questo vale per il fenomeno dell'allontanamento ma credo che fondamentale sia in questo contesto ragionare su quello di cui ci dimentichiamo troppo spesso, la prevenzione. È giusto, fondamentale, occuparsi di come i servizi devono essere organizzati, della qualità della presa in carico per questi bambini e ragazzi sfortunati, sicuramente fragili, ma dobbiamo preoccuparci anche di quello che viene prima, che a volte può essere evitato se l'intervento avviene per tempo.
  Lo abbiamo dimostrato anche con dei numeri. Qualche anno fa, abbiamo avviato una sperimentazione, inizialmente in grandi città, le cosiddette città riservatarie del Fondo infanzia adolescenza, le quindici più grandi o più problematiche città per l'infanzia. In quel contesto abbiamo sperimentato un piccolo programma di presa in carico dei bambini e delle famiglie cosiddette negligenti, cioè che hanno un rischio di allontanamento, ma che può essere evitato, e abbiamo dimostrato che con alcuni strumenti, come la famiglia d'appoggio, un programma intenso di educativa domiciliare, gruppi di auto-aiuto tra le famiglie, tra i bambini, la collaborazione delle diverse istituzioni con la creazione di un’équipe multidisciplinare che comprende la scuola, il sanitario e il sociale, si riesce molto spesso a evitare l'allontanamento.
  Nella prima annualità avevamo immaginato, accanto al gruppo inserito nel programma, anche un cosiddetto gruppo di controllo, cioè famiglie con caratteristiche simili in una situazione di ordinaria presa in carico da parte dei servizi, e abbiamo osservato che, a fronte del gruppo di controllo, Pag. 7 gli allontanamenti dalle famiglie si sono abbattuti del 20 per cento.
  Non abbiamo, sostanzialmente, visto allontanamenti nel «programma Pippi», in omaggio al personaggio della Lindgren, Pippi Calzelunghe, un po’ simbolo della resilienza dei bambini, rispetto al gruppo di controllo, in cui appunto il 20 per cento circa dei bambini aveva una situazione di allontanamento. Il programma da circoscritto è diventato nazionale e sta impattando sui servizi, sulla modalità in cui essi si fanno carico delle famiglie in questa condizione di fragilità.

  PRESIDENTE. Ci lasciate nulla? Ho visto che aveva degli appunti.

  RAFFAELE TANGORRA, Direttore Generale della Direzione Generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Ve li manderemo.

  PRESIDENTE. Aspettiamo numeri e altri dati a vostra disposizione utili per l'indagine conoscitiva.
  Mi riaggancio all'ultimo punto. Da quello che ho capito, un progetto-pilota forse in attuazione dell'articolo 1 della legge sull'adozione, che sancisce che le condizioni di indigenza dei genitori non devono essere di ostacolo all'esercizio del diritto dei minori e che lo Stato, le regioni e gli enti locali sostengono con idonei interventi i nuclei familiari al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato dalla propria famiglia.
  Relativamente a questo punto, segnalato anche recentemente, in un'audizione dello scorso lunedì, in realtà manca il regolamento di attuazione. L'articolo 1 della legge sulle adozioni ha questo momento fondamentale. Lei ha fatto un ragionamento giusto: a valle c'è l'abbandono, e quindi le soluzioni, o comunque anziché l'abbandono c'è l'affidamento, e comunque il sostegno. Lo Stato, però, dovrebbe farsene carico.
  Vorrei segnalarle che abbiamo provato anche a inserire un emendamento nella legge di stabilità, ma all'ultimo momento, quindi non c'è stato modo per risolvere il problema, ma mi sembra che l'iniziativa di cui ha parlato vada un po’ in questa direzione: sono iniziative sporadiche, sperimentali, o esiste un programma, un piano, che tende a dare attuazione a questa norma?
  Lancio questo messaggio, che ci era stato riproposto.

  RAFFAELE TANGORRA, Direttore Generale della Direzione Generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Credo che, più che di una regolamentazione specifica ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 184 del 1983, il tema sia più generale di lotta alla povertà. È evidente che quella di indigenza è una situazione che può caratterizzare sicuramente il benessere del bambino, ma caratterizza in generale il benessere di quella famiglia.
  Qui il Governo ha in mente di varare entro l'anno il primo piano nazionale di lotta alla povertà. Non a caso, nel piano nazionale infanzia, che sta per essere varato in questi giorni, quella della povertà minorile è un'area su cui c'è grossa richiesta al Governo di un intervento. Ci sarà un programma nazionale, il cosiddetto sostegno per l'inclusione attiva, che parte quest'anno e che fornirà un sostegno economico a tutte le famiglie con figli al di sotto di una certa soglia di ISEE. Questo è un programma di civiltà prima di tutto.
  Il «programma Pippi» a cui facevo cenno è proprio sui servizi. Spesso le dimensioni del problema della famiglia non sono meramente economiche. Quella economica non è la causa, ma spesso l'effetto di altre problematiche all'interno della famiglia. Qui c'è l'idea di farsi carico della fragilità della famiglia e di un bisogno, che è un bisogno complesso, cercando di mettere insieme le diverse filiere amministrative responsabili del benessere di quel bambino, a partire dalla scuola, ma ci rientra anche il genitore. A volte, infatti, basta poco per smuovere alcune qualità che il genitore comunque mantiene.
  Il progetto è più orientato sulla presa in carico da parte dei servizi sociali con l’équipe multidisciplinare, insieme alla scuola, laddove c'è bisogno dell'insegnante, i servizi sanitari, laddove c'è bisogno di Pag. 8sostegno psicologico, ma anche con alcuni programmi specifici, cui facevo cenno, come i gruppi di auto-aiuto tra le famiglie prese in carico, che sembrano essere molto funzionanti, la famiglia di appoggio. Anziché affidare il bambino, si può affidare la famiglia. Sono tutti strumenti che si rivelano molto utili nella pratica dei servizi.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo molto.
  Do ora la parola a Vincenzo Casone, professore di diritto di famiglia presso l'Università Lum Jean Monnet.

  VINCENZO CASONE, Professore di diritto di famiglia presso l'Università Lum Jean Monnet. Ringrazio la presidente e gli onorevoli deputati presenti per l'opportunità che mi viene offerta di partecipare a quest'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozione e affido a 33 anni dall'approvazione della legge n. 184 del 1983 e a 15 dal primo e unico rilevante intervento modificativo della stessa avutosi con la legge n. 149 del 2001.
  Al di là delle considerazioni su alcuni aspetti critici e farraginosi della legge, già evidenziati nelle precedenti audizioni, che talvolta rendono il ricorso alla stessa un percorso assai complesso e difficoltoso, vorrei soffermare la mia attenzione su alcuni aspetti giuridici che mi competono e che credo andranno assolutamente evidenziati e tenuti in considerazione nel momento in cui si vorrà modificare ulteriormente la legge in questione.
  A tal fine vorrei partire proprio da una considerazione svolta dalla presidente Ferranti nel corso di una precedente audizione di questa Commissione di cui ho letto. Ella stimolava a un'opportuna riflessione dei partecipanti su alcuni limiti riguardanti i requisiti degli adottanti, e cioè se effettivamente il superiore interesse del minore corrispondesse esclusivamente a un suo inserimento in una famiglia bi-genitoriale fondata sul matrimonio o andasse anche presa in considerazione la situazione in cui amore e responsabilità possono essere ugualmente garantite dalla famiglia mono-genitoriale.
  Ormai aggiungerei anche una famiglia composta da conviventi more uxorio, possibilità peraltro già prevista in caso di affidamento di un minore. Del resto, la società ci testimonia la molteplicità di tali esperienze di vita, genitori single, vedovi, conviventi con figli, che credo garantiscano, comunque, una crescita adeguata ai loro figli.
  Vorrei, quindi, in questo mio breve intervento sollecitare la vostra attenzione su alcune considerazioni. La vigente normativa, innanzitutto, consente di individuare una pluralità di modelli socialmente tipizzati e ormai giuridicamente tutelati. In particolar modo, a seguito della legge n. 219 del 2012 e del successivo decreto legislativo n. 154 del 2013, la cosiddetta riforma della filiazione, l'ordinamento tratta come familiari legami che pure prescindono dal matrimonio.
  Le predette disposizioni, infatti, nell'enunciare il principio secondo cui tutti i figli, indipendentemente dalla sussistenza di matrimonio tra i loro genitori, hanno lo stesso stato giuridico e sono legati da vincoli di parentela con i soggetti che discendono dallo stesso stipite, hanno ampliato la nozione legale di famiglia, che ora non appare più necessariamente fondata sul matrimonio considerato che la disciplina dei vincoli giuridici precedenti può prescindere da esso.
  La «famiglia dei figli», espressione felicemente adottata ben prima della riforma, vuole indicare essenzialmente la centralità che assume la figura del figlio. Intorno ai figli ruota la responsabilità di genitori, che rappresenta l'aspetto relazionale su cui essa si fonda. Il legislatore ha attribuito formale riconoscimento alla «famiglia dei figli» accanto alla famiglia legittima fondata sul matrimonio. Del resto, già il dettato dell'articolo 30, terzo comma, della Costituzione, pur non esprimendo una prevalenza della famiglia legittima, introduceva attraverso la compatibilità importanti princìpi, che ormai si sono espressi in regole.
  La compatibilità evidenzia di fatto la necessità di dialogo, dovendo porre attenzione al vissuto e alla significatività dei Pag. 9rapporti. A seguito della novella legislativa, anche la «famiglia dei figli», che trova fondamento appunto nell'articolo 30 della Costituzione, è ormai oggetto di una puntuale disciplina codicistica. La riforma ha portato a compimento il dettato costituzionale, che appare utile ribadire non postula un rapporto gerarchico tra le due famiglie, ma pone solo i diritti dei figli nati fuori dal matrimonio in termini di compatibilità con i diritti dei membri della famiglia legittima.
  In questo quadro, rispetto alla relazione genitore-figlio, non solo non assume alcuna rilevanza il matrimonio, ma ancor più il rapporto tra genitori e figli prescinde dalle vicende che riguardano il legame tra i genitori. Tutto ciò, a ben vedere, devia dall'originario modello costituzionale di famiglia considerato che, in virtù delle richiamate disposizioni, il matrimonio non si configura più come necessario presupposto per relazioni legalmente familiari, che, quindi, possono sorgere indipendentemente dalla sussistenza del vincolo.
  Oltre all'unificazione dello stato della filiazione, quindi, con l'eliminazione della partizione tra figli legittimi e naturali e la ricomprensione nel novero dei parenti anche dei soggetti nati fuori dallo stesso, si configura famiglia anche senza che sussista o siano mai sussistiti legami di coppia tra i genitori, perché il figlio di persona single è comunque a pieno titolo inserito nella rete parentale dei genitori da cui discende.
  Alla luce di ciò, un primo aspetto che andrebbe a mio avviso modificato è proprio relativo ai requisiti degli adottanti. La legge attualmente disciplina i requisiti di ordine formale e sostanziale che devono possedere coloro i quali aspirano ad adottare un fanciullo. L'articolo 6, comma 1, al fine di garantire l'inserimento in un nucleo familiare dotato di una certa stabilità, richiede che gli aspiranti adottanti siano uniti in matrimonio da almeno tre anni e che non sussista o non abbia avuto luogo negli ultimi tre uno stato di separazione personale neppure di fatto o che abbiamo convissuto prima del matrimonio per almeno tre anni.
  L'adozione rimane, dunque, preclusa ai partner di fatto, giustificando tale resistenza in nome di una pretesa maggior garanzia di stabilità del matrimonio rispetto alla convivenza, che si riverbererebbe sull'idoneità della funzione educativa.
  Tuttavia, una tale preclusione andrebbe ormai superata per due ordini di motivi. In primis, la recente novella legislativa sulla filiazione, rendendo unico lo stato dei figli matrimoniali e non matrimoniali, potrebbe non giustificare più la previsione dell'articolo 6, commi 1 e 4, della legge n. 184 del 1983, che riserva solo ai coniugi la capacità di adottare.
  Se, invero, il matrimonio ha perduto l'attitudine a qualificare il rapporto di filiazione, sembra non più coerente esigere il matrimonio quale requisito per adottare. La previsione potrebbe, dunque, apparire, oggi, costituzionalmente illegittima per violazione del principio d'uguaglianza, in quanto dà rilevanza a una modalità di essere della coppia richiedente che non riveste più un ruolo specifico nella disciplina legale della relazione genitoriale.
  In secondo luogo, e mi avvio alla conclusione, la norma andrebbe ripensata alla luce della recentissima approvazione della disciplina delle convivenze, che ha approntato una cornice legislativa e un'organicità normativa a tale tipo di relazione, cristallizzando diritti e doveri dei conviventi, che gli stessi acquisiscono fondando il proprio legame sulla stabilità.
  Certamente, non può porsi il problema se anche la coppia omosessuale debba beneficiare di una pari considerazione e dell'estensione dell'analoga possibilità di adottare. Una non puntuale regolamentazione del problema rappresenta, a mio sommesso avviso, un vulnus, fonte di abdicazione del legislatore alle decisioni dalla giurisprudenza, che ha già manifestato aperture per l'accoglimento di tale tipo di adozione.
  Come noto, nonostante la legge n. 184 del 1983 riconosca la possibilità dell'adozione del figlio del partner ex articolo 44, comma 1, lettera b), soltanto al coniuge, taluni giudici di merito ammettono l'adozione del figlio del convivente more uxorio sulla base di un'interpretazione estensiva della disposizione citata, riconoscendo parimenti pari capacità di adottare il figlio Pag. 10del partner anche al convivente del medesimo sesso, ritenendo non potersi discriminare in ragione dell'orientamento sessuale sulla base della presunzione che l'interesse del minore non possa realizzarsi nell'ambito del nucleo familiare costituito da una coppia di soggetti del medesimo sesso.
  Tale interpretazione, in attesa di un'imminente parola definitiva della Suprema corte, non appare certamente conforme al diritto vigente. Allo stato della legislazione, l'unico caso in cui il convivente, eterosessuale o omosessuale, potrebbe adottare il figlio del partner è dopo la morte di quest'ultimo, ai sensi dell'articolo 44, comma 1 lettera a), che in ipotesi di minore orfano di padre e madre e privo di parenti che lo assistano riconosce la capacità di adozione alle persone già legate al minore da preesistente rapporto stabile e duraturo. Nulla impedisce allora che l'adottante sia la persona che, precedentemente alla morte del proprio partner, avesse instaurato un rapporto stabile e duraturo con il di lui o di lei figlio.
  Infine, sempre muovendo dal presupposto che il minore ha il diritto di non essere privato della doppia figura genitoriale, la legge nega la possibilità di adottare alla persona singola, se non in casi del tutto particolari, possibilità contemplata dall'articolo 6 della Convenzione di Strasburgo del 1967, norma rispetto a cui la nostra Corte costituzionale ha dichiarato sì la natura non precettiva, ritenendo tuttavia costituzionalmente legittima un'eventuale futura introduzione di tale tipo di adozione. Rispetto a ciò, tuttavia, il legislatore del 2001 è rimasto silente.
  In conclusione, consentitemi un ultimo riferimento sempre alla già citata riforma della filiazione. Relazionandola proprio alla cosiddetta adozione di minori in casi particolari, di cui all'articolo 44 della legge n. 184 del 1983, andrebbe chiarito in modo inequivoco se il nuovo articolo 74 del codice civile, così come riformulato dalla legge n. 219 del 2012, includa il pieno inserimento del figlio adottivo in casi particolari nella famiglia dell'adottante con l'estinzione del vincolo parentale al ramo genitoriale o tale effetto sia limitato all'ipotesi di adozione ordinaria, escludendo il sorgere del vincolo di parentela tra l'adottato e la famiglia dell'adottante, così come previsto per adozioni di maggiorenni, con rilevanti conseguenze sotto il profilo degli effetti.
  La questione si pone in quanto l'articolo 55 della legge sull'adozione, nel delineare la condizione giuridica dell'adottato ex articolo 44, richiama proprio le disposizioni in materia di adozioni di maggiorenni, in particolare l'articolo 300 del codice civile, che espressamente prevede che l'adozione non induce alcun rapporto civile tra l'adottante e la famiglia dell'adottato né tra l'adottato e i parenti dell'adottante.
  Ove, invece, si tendesse a interpretare l'articolo 74 del codice civile come tendente al primo inserimento del figlio adottivo nella famiglia dell'adottante anche nell'ipotesi di adozioni in casi particolari, si avrebbe l'abrogazione implicita del combinato disposto dell'articolo 55 sulla legge dell'adozione e delle norme del codice civile adesso richiamate, con l'effetto di un'equiparazione pressoché totale sotto tale profilo all'adozione ordinaria.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto, professore, per quest'approfondimento e questo quadro d'insieme dal punto di vista sistematico giuridico.
  Do ora la parola a Donata Nova Micucci, presidente dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie ( ANFAA) che farà una piccola introduzione.

  DONATA NOVA MICUCCI, Presidente dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA). Voglio innanzitutto ringraziare la presidente Ferranti e tutta la Commissione per quest'opportunità che ci offre per esprimere le nostre valutazioni in merito, che esporrà Frida Tonizzo.
  La nostra associazione è nata nel 1962 e ha avuto un ruolo determinante e propulsivo per la prima legge sull'adozione del 1967, che ha rappresentato veramente una rivoluzione copernicana nell'ambito del diritto minorile, perché ha spostato l'accento dal desiderio dell'adulto di avere un erede al diritto del bambino in situazione di Pag. 11abbandono a essere adottato e ad avere una famiglia. Ha avuto questo ruolo propositivo anche per l'approvazione della legge n. 184 del 1983.
  Mi fermo qui. Le nostre considerazioni saranno espresse da Frida Tonizzo, consigliere nazionale.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Micucci e do la parola a Frida Tonizzo.

  FRIDA TONIZZO, Consigliere dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA). Noi partiamo dalla considerazione iniziale che quello a crescere in famiglia, pur affermato a chiare lettere dalla legge n. 184 del 1983, non è ancora un diritto esigibile dato che le priorità di intervento previste, a partire dal sostegno alla famiglia d'origine precedentemente evocato e, a seconda delle situazioni, all'affidamento familiare e all'adozione, sono ancora in buona parte disattese. La realizzazione di questi interventi è, purtroppo, ancora condizionata dalla disponibilità delle risorse dello Stato, delle regioni e degli enti locali.
  Dobbiamo a questo riguardo evidenziare la forte riduzione negli ultimi anni dei finanziamenti a livello sia nazionale sia regionale, che hanno determinato una limitazione se non una cancellazione di molti interventi nel settore socio-assistenziale e sanitario e una diminuzione del relativo personale, sovente precario, assunto con contratto a termine, con conseguente mancanza di specializzazione e carichi di lavoro eccessivi, che pregiudicano in molte realtà la tempestività e l'appropriatezza degli interventi necessari per tutelare i minori di cui ci occupiamo. Facciamo, ad esempio, riferimento a provvedimenti di sostegno alle famiglie d'origine evocati anche dalle autorità giudiziarie e non realizzati e a provvedimenti di affidamento familiare inattuati da parte degli enti competenti.
  Vogliamo richiamare in questa sede anche il crescente aumento della povertà minorile, evidenziato anche nell'intervento precedente del dottor Tangorra. Come è stato documentato nell'VIII rapporto sull'attuazione della Convenzione ONU in Italia – facciamo parte come ANFAA di questo gruppo di lavoro – nel paragrafo su bambini e adolescenti in condizioni di povertà, è necessario e urgente, a livello sia nazionale sia locale, lo stanziamento di adeguate risorse per rispettare le giuste priorità di intervento previste da questa legge.
  È anche necessario un rinnovato e generale impegno che passi, anzitutto, attraverso l'adozione su tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali degli interventi, su cui peraltro c'è stato un importante contributo fornito da un gruppo di lavoro attivato dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza.
  Occorre anche garantire il diritto di tutti i bambini all'opportunità di sviluppo cognitivo, emotivo e sociale nei primi anni di vita, come è stato evidenziato nella premessa del rapporto che ho precedentemente citato. È necessario programmare e attuare interventi in un'ottica preventiva, mirati al sostegno della genitorialità, valorizzando ed estendendo una sperimentazione già ricordata dal direttore Tangorra a livello nazionale di progetti quali il «progetto Pippi», o, comunque, di altre forme di intervento e affiancamento familiare. Va contrastata – lo ripetiamo anche in questa sede – l'ottica miope e tardo-riparativa confermata anche nella recente ricerca di CISMAI (Coordinamento italiano servizi maltrattamento) e Terre des Hommes «Maltrattamento sui Bambini: quante le vittime in Italia?», prima indagine nazionale quali-quantitativa sul maltrattamento a danno dei bambini.
  Per quanto riguarda gli affidamenti familiari, dagli ultimi dati forniti dal Ministero, già anticipati e su cui non torno, abbiamo ancora 15.000 minori affidati, di cui 6.750 affidati a parenti. In alcune regioni, quelli affidati a parenti raggiungono percentuali molto elevate, ad esempio il 72,6 per cento in Puglia, l'84,7 in Basilicata, il 61,3 in Campania. Continuano, però, a mancare su questi affidamenti a parenti approfondimenti specifici, più volte anche da noi richiesti, quanto mai necessari anche per avere elementi di analisi significativi Pag. 12 e utili per una loro più corretta valutazione. Su questo anche come tavolo nazionale affidi, di cui facciamo parte come ANFAA, abbiamo elaborato concrete proposte che allegheremo a questo nostro intervento.
  Voglio ancora richiamare l'attenzione, anche se è già stato fatto, sul ridotto numero di minorenni, di età compresa tra 0 e 2 anni, che vengono affidati. Sono molti di più quelli inseriti in comunità. Parliamo del 35,8 per cento di minori in comunità rispetto a quelli affidati, nonostante siano conosciute da anni le conseguenze negative sullo sviluppo del bambino della carenza e delle deprivazioni di cure familiari nei primissimi anni di vita.
  Decisamente elevata e crescente è anche la percentuale degli affidi di minorenni stranieri tra i minorenni affidati, su cui non mi soffermo visto che il tema è già stato affrontato in maniera ampia nell'intervento precedente. Voglio, però, ancora sottolineare che, al 31 dicembre 2012, il 74,2 per cento degli affidamenti era giudiziario, ma di questi non si conosce il numero degli affidamenti consensuali, diventati inevitabilmente giudiziari avendo una durata che ha superato i due anni previsti dalla legge, con forti divari da una regione all'altra.
  Lo stesso rapporto ministeriale conferma la tendenza a intervenire con lo strumento dell'affidamento familiare rispetto a situazioni molto compromesse. Si parla di affidamento familiare sovente come intervento tardo-riparativo, mentre dovrebbe essere quello cui si ricorre quando non è possibile la permanenza del minore nella sua famiglia anche attraverso adeguati e appropriati interventi.
  Alla luce di questi e altri dati esaminati e che forniremo come allegati a questo nostro intervento, vanno pertanto rilanciati, secondo noi, e promossi anzitutto gli affidamenti consensuali, quelli realizzati dai servizi d'intesa con la famiglia d'origine del minore, e quelli dei bambini, a partire da quelli più piccoli, che come dicevo maggiormente risentono della deprivazione di cure familiari.
  Vorrei adesso soffermarmi un attimo sul tema degli affidamenti familiari a lungo termine. Certo, questi meritano una precisazione, che forse può sembrare ovvia: la validità di un affidamento non può essere valutata in base alla sua durata o al rientro o meno del bambino nella sua famiglia d'origine. Un buon affidamento, anche in base alle nostre esperienze, è tale se risponde alle reali esigenze del bambino e della sua famiglia, come ci richiamava anche il dottor Tangorra.
  Condizione indispensabile per la buona riuscita di un affidamento, indipendentemente dalla sua durata, è il sostegno e l'aiuto che i servizi devono offrire al bambino, alla sua famiglia d'origine, alla famiglia affidataria, e la presenza anche di un progetto conosciuto e condiviso tra tutti i soggetti dell'affidamento, che deve essere costantemente monitorato e ricalibrato in funzione dell'evolversi della situazione.
  In altre parole, a nostro parere – lo sottolineo ancora, in base alle nostre esperienze – un buon affidamento è tale quando le due famiglie, anche con il sostegno determinante degli operatori dei servizi, riescono a creare e a mantenere un buon rapporto tra di loro e il bambino viene aiutato a rafforzare il suo legame con la sua famiglia d'origine. Ribadiamo con forza che è necessaria una maggiore tempestività nella decisione di avviare un affidamento familiare per evitare di dover intervenire quando la situazione si è ormai troppo deteriorata, e realizzare quegli interventi tardo-riparativi che già richiamavo.
  Sul piano propositivo, ricordiamo l'importanza delle linee d'indirizzo per l'affidamento familiare precedentemente richiamate. Purtroppo, sono inattuate in moltissime realtà. Forniscono indicazioni positive, ma non essendo obbligatorie e cogenti e non avendo la necessaria copertura finanziaria, rischiano di restare delle splendide linee inattuate.
  Vogliamo fare un'altra precisazione in questa sede. La legge n. 184 del 1983 non vieta la possibilità di realizzare affidamenti a lungo termine. In base alle nostre esperienze, vorremmo evidenziare che ci sono Pag. 13situazioni in cui la famiglia d'origine, spesso composta da un solo genitore, non sarebbe in grado da sola di occuparsi in maniera adeguata delle necessità affettive ed educative dei propri figli, con cui ha però dei legami affettivi significativi, che devono essere salvaguardati.
  In queste situazioni gli affidamenti familiari possono prolungarsi per anni, anche fino alla maggiore età, se non oltre, del ragazzo. Non devono, però, essere tramutati in adozione, e spiegherò perché, ma essere costantemente monitorati e verificati, come, peraltro, la legge prevede.
  La legge prevede – voglio richiamarlo – che i servizi territoriali segnalino e rendicontino ogni sei mesi all'autorità giudiziaria sull'andamento del programma di recupero della famiglia d'origine e sull'andamento dell'affidamento riferito alla situazione, alle condizioni, ai miglioramenti intervenuti nel minore nel corso dell'affidamento familiare. Questa è una delle disposizioni più disattese del nostro ordinamento, che andrebbero adeguatamente richiamate.
  Per noi, quindi, e non solo per noi, l'affidamento familiare ha una sua validità nel momento in cui consente a genitori con difficoltà di svolgere, per quanto loro possibile, la funzione genitoriale. Gli affidatari, a differenza degli adottivi, svolgono una funzione complementare ma non sostitutiva della famiglia d'origine. In questi casi, a nostro parere, il ricorso all'adozione in casi particolari, di cui alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983, dopo un certo periodo di tempo porterebbe a una modifica e uno snaturamento della finalità dello stesso istituto dell'affidamento familiare.
  Ribadisco, infatti, che nella nostra legge attuale non è previsto, contrariamente a quanto anche nel corso dell'audizione è stato sostenuto, che gli affidi non possano durare più di due anni, magari aggiungendone altri due. Sono gli affidi consensuali che dopo due anni devono concludersi o diventare, nell'interesse preminente del minore, giudiziari. Questo non significa che non siano «legittimi» gli affidamenti familiari giudiziari disposti per periodi più lunghi, ricorrendo magari anche all'articolo 330 e 333 del codice civile, come la stessa normativa richiama.
  Dobbiamo, però, anche dire che, attualmente, ci sono affidamenti familiari in corso di minori che per la situazione problematica, anzi direi drammatica, in cui versa la famiglia d'origine, si trovano in una situazione di privazione di assistenza morale e materiale che avrebbe comportato, comporterebbe, la segnalazione per l'accertamento dell'eventuale stato di adottabilità del minore. Purtroppo, tale segnalazione non avviene e si preferisce, da parte dei giudici, dei servizi – ovviamente, non vale per tutti i giudici né per tutti gli operatori dei servizi – far prolungare nel tempo senza prendere decisioni che potrebbero essere importanti per tutelare l'interesse preminente del minore.
  Dobbiamo anche rilevare in questa sede le carenze della magistratura minorile in ordine agli obblighi che dicevo relativi alla verifica delle relazioni che i servizi dovrebbero inviare. Dobbiamo anche segnalare una difficoltà da parte della magistratura a richiamare nei provvedimenti di affido quello che la legge sull'adozione e l'affidamento prevede all'articolo 80, e cioè che gli affidamenti familiari dovrebbero essere supportati anche dal punto di vista economico in termini di rimborso spese, non certo di pagamento di altra natura.
  In molte regioni, ad esempio, gli affidamenti familiari vengono disposti dall'autorità giudiziaria senza nessuna indicazione, gli enti locali non rimborsano agli affidatari neppure una minima quota per il mantenimento dei bambini accolti. Tra l'altro, proprio per questo voglio segnalare che l'ANFAA è tra i promotori, insieme a molte altre associazioni, di una campagna informativa accompagnata da una petizione, che si intitola «Donare il futuro», che ha proprio come oggetto quello di richiamare l'impegno, direi anzi l'obbligo, delle regioni a intervenire per garantire il diritto del minore alla famiglia attraverso aiuti alle famiglie d'origine, ma anche adeguati supporti agli affidamenti familiari (compresa la loro proroga per minori che arriveranno alla maggiore età accolti in famiglie e non Pag. 14sapranno poi dove andare) e alle adozioni difficili.
  Recentemente, il Parlamento ha approvato la legge n. 173 del 2015 sull'affidamento familiare, su cui ci sono stati anche altri interventi nel corso dell'audizione precedente. In questa sede confermiamo la nostra piena condivisione delle finalità di questa legge, che finalmente tutela la continuità affettiva dei minori affidati dopo la conclusione dell'affidamento, rendendo possibile, come era già possibile prima ma non sempre attuata, l'adozione del minore affidato dichiarato adottabile a essere adottato dagli stessi affidatari.
  Vorrei sottolineare anche la continuità degli affetti garantita al minore quando rientra nella sua famiglia d'origine. Voglio ricordare che oltre il 40 per cento dei minori in affidamento comunque rientra nella sua famiglia d'origine, e rappresenta, quindi, la percentuale più alta rispetto alla conclusione degli affidamenti familiari.
  Importante è anche il ruolo riconosciuto agli affidatari col dare loro la possibilità di documentare nelle diverse sedi, oltre che con i servizi, anche con le autorità giudiziarie competenti, la quotidianità di vita del bambino che hanno accolto. Questo ci sembra molto importante: quando si è chiamati a decidere sul futuro di un bambino, è estremamente importante, per gli operatori prima, ma soprattutto per i giudici che devono decidere, disporre di tutti gli elementi per una valutazione nell'interesse preminente del minore.
  Il tempo è tiranno. Relativamente alle adozioni – per ragioni di tempo ci riserviamo di mandare un contributo scritto più articolato – vorrei solo soffermarmi su due punti importanti. Il numero di minori dichiarati adottabili è di molto inferiore a quello delle domande di adozione, per cui c'è da chiedersi se sia necessario ampliare ulteriormente il parterre degli aspiranti genitori adottivi quando abbiamo 10-15 domande per ogni minore dichiarato adottabile.
  Abbiamo, invece, ogni anno uno scarto tra il numero di minori dichiarati adottabili e quelli adottati rappresentato dalle situazioni dei minori più difficili, o portatori di handicap o dichiarati adottabili ormai preadolescenti e adolescenti, per cui obiettivamente è difficile trovare una famiglia e, quando la si trova, deve essere ben valutata e supportata se vogliamo che porti avanti una scelta di accoglienza così impegnativa.
  I 300 minori, di cui si è parlato anche nelle audizioni precedenti, sono in situazioni estremamente difficili per le poche anticipazioni che ci ha dato il Ministero della giustizia. Noi riteniamo che quanto la legge sulle adozioni prevede all'articolo 6, comma 8, cioè che lo Stato, le regioni e gli enti locali supportino le adozioni dei minori con handicap accertato o ultradodicenni, dovrebbe essere reso cogente con sostegno agli affidi e aiuti alle famiglie d'origine.
  In questo caso, dobbiamo denunciare un'assoluta indifferenza da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali. Solo la regione Piemonte dà un contributo pari a quello per l'affidamento a queste famiglie; nelle altre realtà, una volta che si trovano queste famiglie, che vorrei dire sovente si trovano solo attraverso appelli specifici e iniziative mirate, non attingendo magari all'elenco delle coppie che non hanno altri figli – sarebbe veramente molto impegnativo partire con queste adozioni così difficili – sarebbe estremamente importante un progetto mirato, come il «progetto Pippi» richiamato dal dottor Tangorra, dedicato all'individuazione e al sostegno delle famiglie che fanno questo tipo di scelta.
  Le si considera eroi, le si considera sante, ma siamo testimoni e riteniamo doveroso dar voce alla solitudine in cui molte di queste famiglie vivono. Ci sono bambini che comunque hanno trovato una famiglia, che generosamente si spende giorno dopo giorno per alleviare le loro difficoltà, me ne abbiamo tanti – si parla di 300 – che, invece, stanno ancora aspettando.
  Riteniamo che l'adozione nell'interesse del minore debba presupporre e comportare sempre la preventiva dichiarazione dello stato di adottabilità. Si può parlare di adozione solo se c'è un accertamento preventivo dello stato di adottabilità, altrimenti Pag. 15 si rischia di scivolare in una concezione dell'adozione in termini contrattuali o consensuali che era la realtà dell'adozione ordinario-tradizionale che avevamo prima del 1967.
  Alla luce di tutto questo, sicuramente dovrebbe essere rivisto l'articolo 44 della legge n. 184 del 1983, che rappresentava un po’ la casistica residuale, almeno questo era nell'intenzione di Alfredo Carlo Moro, Giorgio Battistacci e di coloro che avevano lavorato alla stesura di questo testo di legge. Anche recenti dibattiti su queste tematiche hanno portato a riflettere sul fatto che bisogna ridefinire e verificare se in mancanza del presupposto dello stato di adottabilità non debba essere pensata un'altra soluzione giuridica, che non può essere a nostro parere abbinata e definita in termini di adozione, seppure in casi particolari.
  Voglio solo dire che, se mai passasse l'ipotesi da alcuni ventilata che gli affidamenti familiari possano trasformarsi in adozione in casi particolari, questo creerebbe nei confronti dell'istituto dell'affidamento familiare giuste reazioni di diffidenza da parte delle famiglie d'origine cui proponiamo l'affido come intervento anzitutto di aiuto a loro e al loro figlio. Potrebbe, inoltre, portare a un aumento degli inserimenti in comunità. Mentre, infatti, c'è rispetto alla durata dell'affidamento una grossa riflessione, che certo si deve fare, come ho cercato di riassumere molto brevemente prima, invece, relativamente ai minori in comunità, questa della durata è una variabile mai considerata, anche se è molto facile entrarci e molto difficile uscirne.
  Voglio ricordare che oltre il 40 per cento dei minori è in comunità a seguito di un provvedimento dell'autorità giudiziaria. Sono situazioni familiari molto difficili, che fanno pensare a una reale difficoltà anche di rientro del minore. Forse bisogna riflettere, come dicevo, su una riscrittura dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983, perché c'è da porsi una serie di domande. Se manca l'accertamento dello stato di abbandono perché c'è ancora un genitore o altro, forse non possiamo più continuare a chiamarla adozione e dobbiamo pensare se riusciamo con un altro istituto giuridico.
  Mi rendo conto di aver corso, ma manderemo questi primi appunti in forma più articolata.

  PRESIDENTE. Sì, non abbiamo completato. Vi ringraziamo e aspettiamo il testo. Comunque, i temi già sul tappeto sono molti, e anche le riflessioni. Aspettiamo quest'ulteriore testo di sintesi con le proposte. Indubbiamente, fermo restando che la legge su cui stiamo lavorando sicuramente è stata ed è all'avanguardia, crediamo che alcuni istituti vadano forse perfezionati o adeguati alla luce delle nuove esigenze che stanno emergendo, sempre avendo come punto di riferimento principale appunto l'interesse dei minori.

  FRIDA TONIZZO, Consigliere dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA). È quello che a noi preme, non tornare indietro al diritto dell'adulto, che ci sembra di cogliere ogni tanto.

  PRESIDENTE. È bene sempre richiamarla come finalità.

  FRIDA TONIZZO, Consigliere dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA). Come filo rosso dei ragionamenti che stiamo facendo.

  PRESIDENTE. Certo. Vi ringraziamo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.

Pag. 16