XVII Legislatura

Commissioni Riunite (I e XII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 11 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 2 

Audizione del presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, sulla disciplina vigente e sugli eventuali interventi di riforma in materia di ordini delle professioni sanitarie, con particolare riferimento alla prevenzione e repressione della corruzione e delle illegalità, ivi compresi i profili di inconferibilità e incompatibilità di incarichi (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 2 
Sisto Francesco Paolo (FI-PdL) , Presidente della XII Commissione ... 2 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 2 
Cantone Raffaele , Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione ... 2 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 4 
D'Ambrosio Giuseppe (M5S)  ... 4 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 5 
Nuti Riccardo (M5S)  ... 5 
Bernini Paolo (M5S)  ... 6 
Binetti Paola (AP)  ... 6 
Grillo Giulia (M5S)  ... 7 
Giordano Silvia (M5S)  ... 8 
Lorefice Marialucia (M5S)  ... 9 
Gigli Gian Luigi (PI-CD)  ... 10 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 11 
Miotto Anna Margherita (PD)  ... 12 
Lenzi Donata (PD)  ... 13 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 13 
Lenzi Donata (PD)  ... 13 
Sisto Francesco Paolo (FI-PdL) , Presidente della XII Commissione ... 14 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 14 
Cantone Raffaele , Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione ... 17 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 19 
Cantone Raffaele , Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione ... 19 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA I COMMISSIONE FRANCESCO PAOLO SISTO

  La seduta comincia alle 20.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, sulla disciplina vigente e sugli eventuali interventi di riforma in materia di ordini delle professioni sanitarie, con particolare riferimento alla prevenzione e repressione della corruzione e delle illegalità, ivi compresi i profili di inconferibilità e incompatibilità di incarichi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, sulla disciplina vigente e sugli eventuali interventi di riforma in materia di ordini delle professioni sanitarie, con particolare riferimento alla prevenzione e repressione della corruzione e delle illegalità, ivi compresi i profili di inconferibilità e incompatibilità di incarichi.
  Ringrazio il presidente Cantone, anche a nome del presidente della XII Commissione Francesco Paolo Sisto, per la sua presenza e disponibilità e gli lascio subito la parola per la sua relazione.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Presidente della XII Commissione. Ringraziamo anche la Presidente Ferranti, che, stante l'interesse specifico, ha deciso di stare con noi questa sera.

  PRESIDENTE. Ci tengo a farlo io. Ringrazio il Presidente Ferranti per averci dato il piacere di averla, come sempre, in ultima fila, perché noi cerchiamo di evitare di apparire troppo. Vero, presidente ? Ci mettiamo in posizioni defilate.
  Do la parola al presidente Cantone per lo svolgimento della relazione.

  RAFFAELE CANTONE, Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione. Mi scuso, prima di tutto, del ritardo, ma purtroppo oggi avevamo una seduta di Consiglio, che non è ancora finita e che io ho lasciato. Proverò a essere velocissimo perché credo che la parte significativa possa essere costituita dalle domande.
  Io credo che il tema vero, per quanto mi riguarda, non sia quello della riforma delle professioni sanitarie, un argomento su cui avrei pochissimo da dire, ma il tema dell'incompatibilità e dell'inconferibilità e soprattutto la natura degli ordini professionali, rispetto ai quali, come è noto, c’è una situazione in evoluzione dal punto di vista anche dell'interpretazione che noi stiamo attribuendo sull'applicabilità delle norme anticorruzione.
  In particolare, per essere sintetici, noi abbiamo fatto su questo specifico punto tre delibere significative sugli obblighi di pubblicità che possono riguardare anche gli ordini professionali.
  Prima di tutto, con la delibera n. 144 del 2014 noi individuiamo quali sono gli organi di indirizzo politico in generale negli enti pubblici, che individuiamo in un Pag. 3concetto molto più ampio rispetto agli organi elettivi. Gli organi di indirizzo politico all'interno degli enti pubblici sono tutti quelli che esprimono la volontà politica degli enti che hanno un vertice.
  C’è, quindi, la delibera n. 144, che riguarda in generale tutti gli enti pubblici e che noi riteniamo, per quello che dirò, che si applichi anche agli ordini professionali.
  Poi c’è la delibera n. 145, con la quale abbiamo ritenuto, a seguito anche di una richiesta di parere del CUP (Comitato unitario permanente degli ordini e dei collegi professionali), di considerare enti pubblici a tutti gli effetti gli ordini professionali e, quindi, di ritenere applicabili sia la legge n. 190 del 2012, sia i decreti nn. 33 e 39 del 2013, che sono conseguenze applicative del carattere di enti pubblici.
  Ci sono poi le due delibere che sono state emanate nel 2015, le delibere nn. 1 e 8, che hanno precisato come noi riteniamo debba funzionare il meccanismo dell'incompatibilità fra cariche di vertice all'interno degli ordini professionali e il ruolo di parlamentare.
  Noi abbiamo ritenuto che il rilievo dell'incompatibilità per quanto riguarda il ruolo di parlamentare spetti al Parlamento, in base al principio chiarissimo della Costituzione. L'ANAC, però, può essere chiamato in causa con riferimento all'incompatibilità che riguarda l'aspetto dell'ordine professionale.
  Segnalo che proprio oggi nella seduta del Consiglio – questo è, però, un fatto casuale, perché si tratta di una fissazione dell'ordine del giorno molto precedente rispetto alla richiesta di audizione – è stata valutata la dichiarazione di incompatibilità di alcuni parlamentari con riferimento alle cariche elettive all'interno degli ordini professionali.
  In particolare, era stata segnalata la possibile incompatibilità di quattro senatori; noi abbiamo ritenuto che in un caso ci fosse questa incompatibilità e che negli altri casi l'incompatibilità non ci fosse, perché si applica la norma transitoria, quella dell'articolo 29-bis, mi pare, che prevede che il decreto n. 39 non si applichi per tutti quegli uffici che siano stati assunti prima dell'entrata in vigore dello stesso decreto n. 39.
  Di questa delibera che abbiamo adottato oggi spero di poter parlare, perché noi abbiamo affrontato soprattutto il tema di come va interpretato l'articolo 1, comma 2, lettera l) del decreto legislativo n. 39 del 2013 in ordine alla presenza di deleghe di carattere gestionale da parte dei presidenti degli ordini.
  Noi abbiamo ritenuto, con la delibera adottata questa sera, che l'individuazione della funzione o meno di attività di tipo gestionale vada verificata in concreto in relazione ai compiti svolti specificamente dai presidenti degli ordini.
  Nel caso di specie, applicandosi con riferimento in particolare all'ordine dei farmacisti, abbiamo ritenuto che il regolamento che riguarda l'ordine dei collegi e delle federazioni dei farmacisti individuasse il ruolo di presidente come idoneo a consentire di ritenere che, nel caso in questione, ci fossero deleghe di carattere gestionale. La delibera è stata adottata questa sera e sarà comunicata domani all'ordine dei farmacisti di Bari, Barletta, Andria e Trani.
  Io riterrei, in questa fase, di fermarmi, perché credo che, tutto sommato, questo sia un tema che possiamo sviscerare nella fase delle domande. Si tratta dell'unica parte dell'argomento che sia oggetto di interesse da parte dell'Autorità nazionale anticorruzione.
  Per la verità, c'e anche la delibera che riguarda l'applicazione delle norme del decreto n. 33 ai dirigenti delle ASL. Tuttavia, essendo una questione non direttamente collegata alle professioni sanitarie, non credo che sia rilevante. Ad ogni modo, riguardo all'incompatibilità e all'inconferibilità noi abbiamo escluso che si applicasse ai dirigenti medici il decreto legislativo n. 39 del 2013.
  Se ritiene, presidente, le delibere eventualmente gliele lascerei, anche se si tratta di delibere che sono state già state tutte pubblicate, ad eccezione di quella di questa sera.

Pag. 4

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIUSEPPE D'AMBROSIO. Grazie, presidente. Innanzitutto mi consenta di ringraziare il dottor Cantone che generalmente, compatibilmente con i suoi impegni, è disponibile sia ai lavori di Commissione, sia alle sollecitazioni personali di noi parlamentari. Devo dare atto effettivamente che questa è una delle poche componenti del sistema che ci risponde. Va dato atto, da questo punto di vista, del merito.
  Chiedo scusa al presidente se leggerò, ma mi serve per inquadrare meglio la domanda e, quindi, per articolarla.
  Gli ordini e i collegi professionali sono enti pubblici non economici, come chiarito, oltre che dal Consiglio di Stato e dalla Corte di cassazione, anche e soprattutto dalla Corte costituzionale, che, presieduta dal Presidente Capotosti, con sentenza n. 405 del 2005, afferma quanto segue: «Dalla dimensione nazionale e non locale dell'interesse sotteso e dalla sua infrazionabilità deriva che a essere implicata sia la materia ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, che l'articolo 117, secondo comma, lettera g) della Costituzione riserva alla competenza esclusiva dello Stato, piuttosto che la materia professioni, di cui al terzo comma del medesimo articolo 117 della Costituzione evocata come resistente.
  La vigente normazione riguardante gli ordini e i collegi professionali risponde all'esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso e a istituire appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria cui affidare il compito di curare la tenuta degli albi, nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che comunque aspirano a iscriversi. Ciò è, infatti, finalizzato a garantire il corretto funzionamento della professione a tutela dell'affidamento della collettività».
  Così anche con la delibera dell'ANAC n. 145 del 2014 si chiarisce di ritenere applicabili le disposizioni di prevenzione della corruzione di cui alla legge n. 190 del 2012, e i decreti delegati, agli ordini e ai collegi professionali, dove si dice – cito testualmente –: «considerato che i rapporti di lavoro del personale degli ordini e dei collegi professionali integrano un rapporto di pubblico impiego e tenuto conto, altresì, che i suddetti organismi rientrano nella categoria degli enti pubblici non economici, ricompresi nell'ambito di applicazione della pubblica amministrazione di cui all'articolo 1, comma 2, della legge n. 165 del 2001, che operano sotto la vigilanza dello Stato per scopi di carattere generale».
  Contro questa sua delibera l'ordine forense, dottor Cantone, ha fatto ricorso al TAR, assistito da Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, nonché giudice di quella Consulta che emanò la sentenza testé citata, nonché ex ministro della giustizia vigilante dell'ordine forense medesimo.
  Così anche l'ex giudice della Corte costituzionale Sabino Cassese, nonché ex ministro della funzione pubblica, cui gli ordini professionali afferiscono perché pubblica amministrazione, pare abbia prodotto un parere a sostegno dell'inapplicabilità della sua delibera, specificatamente del decreto legislativo n. 39 del 2013, riguardo all'incompatibilità dei senatori che rivestono anche la carica di presidenti degli ordini professionali.
  Alla luce di tale evidenza normativa e giurisprudenziale, diremmo quasi banale, domando come sia possibile e ammissibile che questi ordini professionali possano reiteratamente cercare di eludere l'applicazione delle norme sulla trasparenza e sull'anticorruzione, raccogliendo e pagando con costi a carico degli iscritti pareri e assistenza legale tra quei medesimi soggetti che, in veste di giudici costituzionali o di ministri, chiarirono la loro natura indiscutibile di enti pubblici non economici, facendoli finanche rientrare nella materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli Pag. 5enti pubblici nazionali che l'articolo 117, secondo comma, lettera g) della Costituzione riserva alla competenza esclusiva dello Stato.
  Domando, quindi, se l'espressione di tali pareri, oltre che inopportuna dal punto di vista deontologico, non sia essa stessa in conflitto di interesse perché fatta da ex giudici costituzionali e da ex ministri dello Stato che in quelle vesti ebbero comunque ad affermare princìpi radicalmente contrastanti con i pareri testé resi. È evidente che ne vale la credibilità dello Stato e dei suoi massimi consessi o esponenti.
  Per questo, presidente, a lei chiedo una risposta in merito a questa tematica.

  PRESIDENTE. Preferirei che prima raccogliessimo tutte le domande, perché eventualmente ce ne possono essere alcune che presentano aspetti incrociati e, quindi, parzialmente simili – e poi passassimo alle risposte.

  RICCARDO NUTI. La mia domanda riguarda la complementarietà della legge n. 60 del 1953 e del decreto legislativo n. 39 del 2013.
  La legge n. 60 del 1953, agli articoli 1 e 2, chiarisce che «i membri del Parlamento non possono ricoprire cariche o uffici di qualsiasi specie in enti pubblici o privati, per nomina o designazione del Governo o di organi dell'amministrazione dello Stato. [...] I membri del Parlamento non possono ricoprire cariche, né esercitare funzioni di amministratore, presidente, liquidatore, sindaco o revisore, direttore generale o centrale, consulente legale o amministrativo con prestazioni di carattere permanente in associazioni o enti che gestiscano servizi di qualunque genere per conto dello Stato o della pubblica amministrazione, o ai quali lo Stato contribuisca in via ordinaria, direttamente o indirettamente».
  Le convalide effettuate dalla Giunta e dai componenti di Camera e Senato nel corso degli anni passati non hanno mai valutato nel merito la questione perché mai posta o rilevata da alcuno.
  Il dibattito che si profila, come è già stato detto, alla Giunta del Senato rischia di creare un pericoloso precedente, ovvero di rendere ammissibile che un parlamentare sia anche esponente o amministratore di enti pubblici non economici, ovvero di organi dello Stato o della pubblica amministrazione quali sono appunto gli ordini e i collegi professionali, nel chiaro pronunciato della Consulta (sentenza n. 405 del 2005). Questo in contrasto sia con lo spirito della Costituzione, sia con quello che più volte ha detto la Consulta individuando l'esistenza di un divieto di cumulo di cariche. Il rischio è che ciò si ripercuota negativamente sull'efficienza e imparzialità delle funzioni (in particolare, cito le sentenze nn. 277 del 2011 e 143 del 2014).
  L'incompatibilità de quo è stata, altresì, valutata anche da lei con due successive delibere, ritenute applicabili anche agli ordini e ai collegi professionali, le norme sulla trasparenza e sulla prevenzione della corruzione, ivi incluse le norme sulla incompatibilità di cui al decreto legislativo n. 39 del 2013.
  Il conflitto di interesse sotteso alla situazione di incompatibilità è, peraltro, manifesto e corroborato dall'intensa iniziativa legislativa dei quattro senatori che diffusamente hanno presentato emendamenti o disegni di legge volti a regolamentare gli enti pubblici che presiedono da decenni, arrivando addirittura a prospettare e chiedere esplicitamente deroghe ad hoc sulle norme in materia di trasparenza e anticorruzione o, in taluni casi, ad aumentare la durata delle loro cariche.
  L'applicabilità della legge n. 60 del 1953, ovviamente, compete alla Giunta delle elezioni del Senato e non all'ANAC. D'altro canto, però, la Giunta non può ignorare, nell'ambito di tale competenza, che analogo principio è stato espresso e rafforzato anche con il decreto legislativo n. 39 del 2013.
  Quindi, le chiedo: lei ritiene che le due norme, ossia la legge n. 60 del 1953 e il decreto legislativo n. 39 del 2013, siano complementari per il caso di specie e che Pag. 6rafforzino l'incompatibilità esistente tra l'essere parlamentare e l'essere un amministratore di un ente pubblico ?

  PAOLO BERNINI. La mia domanda è sul potere gestionale dei presidenti degli ordini professionali e sulla delibera ANAC n. 8 del 2015.
  In riferimento alla delibera n. 8 del 21 gennaio 2015, che sostituisce integralmente la precedente delibera n. 1 del 2015, è giunta al Movimento 5 Stelle una segnalazione riguardo a un'incongruenza, prima facie condivisibile, che abbiamo formalmente inviato all'ANAC.
  Il comma 2, lettera l), dell'articolo 1 del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, nell'esplicitare che cosa debba intendersi per «amministratore pubblico», non prevede esclusivamente l'incarico di presidente con deleghe gestionali dirette, ma anche l'incarico di altro organo di indirizzo dell'attività dell'ente, comunque denominato negli enti pubblici.
  Pertanto, quanto previsto dal punto 3 della delibera n. 8 del 21 gennaio 2015 – nel caso sottoposto all'attenzione dell'autorità si tratta di accertare la specifica posizione ricoperta all'interno degli organi elettivi degli ordini professionali e, in particolare, se l'incarico di presidente dell'ordine dei farmacisti comporti deleghe gestionali dirette – potrebbe indurre a un'interpretazione non corretta o comunque non esaustiva riguardo alla sussistenza dell'incompatibilità tra presidente dell'ordine, che rappresenta l'ente e presiede il Comitato centrale e il Consiglio nazionale, ovvero gli organi di indirizzo dell'ente, e la carica di parlamentare.
  Infatti, alla luce di questa lettura della norma, non appare esaustivo e probabilmente neanche necessario accertare se l'incarico di presidente dell'ordine dei farmacisti comporti deleghe gestionali dirette, essendo sufficiente che lo stesso abbia un incarico o quantomeno presieda gli organi di indirizzo dell'ente.
  È indubbio che le norme istitutive degli ordini delle professioni sanitarie attribuiscano agli organi di indirizzo di tali enti, ovvero al Comitato centrale e alle cariche istituzionali – presidente, vicepresidente, segretario e tesoriere – precisi poteri gestionali, deliberando le spese, firmando mandati di pagamento, amministrando i beni e avendo la rappresentanza legale.
  Tali cariche sono individuate non già dagli iscritti all'albo tramite elezioni, ma all'interno dell'organo di indirizzo eletto da altro organo dell'amministrazione, ovvero il Consiglio nazionale, composto di diritto dai presidenti nominati all'interno dei Consigli direttivi degli ordini territoriali, i cui componenti sono in ultima istanza gli unici a essere eletti dalla platea dei professionisti iscritti all'albo.
  Ciò per evidenziare che il presidente di un ordine non può essere definito come carica elettiva, ma solo ed esclusivamente come amministratore di un ente, designato da un organo dell'amministrazione, il Comitato centrale, e, a sua volta eletto, da altro organo di indirizzo dell'amministrazione, il Consiglio nazionale, che, peraltro, approva il bilancio dell'ente.
  Da quanto chiarito dalla Corte costituzionale sappiamo che gli ordini professionali sono amministrazioni dello Stato, tanto da rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera g), con esclusione di qualsiasi concorrenza delle regioni riguardo alla loro organizzazione.
  Questo argomento va a rafforzare proprio l'incompatibilità tra chi ha una carica elettiva, qual è quella di un parlamentare, e una carica di qualsiasi altra natura di un organo o amministrazione dello Stato, come già previsto dal legislatore con la legge n. 60 del 1953 e come ultimamente affermato con il decreto legislativo n. 39 del 2013.
  Questo chiarimento sui poteri gestionali è necessario sia a tutela del responsabile della prevenzione della corruzione dell'ente, sia per consentire alla Giunta delle elezioni del Senato, investita dalla questione, una corretta interpretazione della norma.

  PAOLA BINETTI. Prendere la parola dopo questi interventi giuridicamente così fondati e articolati sembra un po’ imbarazzante Pag. 7a chi viene da una Commissione diversa. Io parlo, però, in questo momento, da medico che si trova a riflettere e ragionare sulla presenza del presidente dell'ordine dei medici, del presidente dell'ordine dei farmacisti e del presidente dell'ordine degli infermieri nell'ambito, peraltro, di una stessa Commissione, di una stessa realtà, il Senato, e, per di più, di uno stesso partito.
  Non c’è dubbio che, volente o nolente, si configuri quella che, a occhi esterni, potrebbe sembrare una sorta di lobby. Noi non abbiamo una legge sulle lobby, ma abbiamo comunque delle realtà concrete che si interfacciano, che si integrano e che in qualche modo costituiscono dei rimandi degli uni agli altri.
  Non so, quindi, se la norma dica esattamente che si possa o non si possa. Certamente esistono quelle che si chiamano «opportunità politiche». Esiste una rappresentanza formale che garantisce all'esterno quella mancanza di conflitto di interessi, quella capacità di interfacciare prima, più e meglio esigenze anche diverse e di non operare in senso strettamente funzionale alle proprie categorie.
  Questi soggetti non sono gli unici. Sappiamo che in Parlamento la categoria più numerosa è quella degli avvocati. Tuttavia, la singolarità di questa situazione è veramente la convergenza delle cariche, la convergenza di cariche che sono rispettivamente un rimando l'una all'altra.
  I problemi dei medici, degli infermieri e dei farmacisti costituiscono comunque una circostanza, un contesto che probabilmente non è facilmente riproducibile all'esterno. A norma di legge io non so esprimermi. Non conosco sufficientemente la legge. Credo, però, che quanto a opportunità ci sia moltissimo da eccepire.

  GIULIA GRILLO. Presidente, grazie di essere venuto qui alla Camera per rispondere ad alcune delle nostre osservazioni e anche dell'informazione che ci ha appena reso sulla delibera cui avete lavorato oggi pomeriggio.
  Credo che ormai non vi sia più dubbio sul fatto che agli ordini professionali vada applicata la normativa prevista dai decreti legislativi nn. 33 e 39 del 2013, consecutivi alla legge n. 190 del 2012. Noi ci auguriamo che, nelle more di quanto lei ha già fatto e di quanto si è impegnato a fare come presidente dell'ANAC, tutti gli ordini si stiano adeguando, piuttosto che arruolare ex ministri di grande fama e uomini del mondo giuridico per non sottostare a un regime di controllo e trasparenza cui, invece, in quanto rappresentanti di organi di categoria di professioni importantissime dovrebbero anelare.
  Questi soggetti dovrebbero aspirare alla massima trasparenza e al massimo controllo. Io non sono un'esperta della vita degli ordini professionali. Basta, però, andare un attimo a vedere la storia degli ordini professionali degli ultimi anni per vedere con quale zelo abbiano cercato in tutti i modi di sottrarsi ai controlli, financo a quello della Corte dei conti, proprio per poter essere sempre più opachi rispetto alla gestione amministrativa e contabile dell'ente stesso. Noi auspichiamo che questo suo intervento di oggi vada a rinforzare quanto già evidenziato nella delibera.
  Poiché queste federazioni continuano a lavorare opacamente, io le pongo un quesito che riguarda gli organismi che vengono finanziati dagli ordini professionali. Faccio due esempi: il CUP e il CoGeAPS (Consorzio gestione anagrafica professioni sanitarie). Sono organismi finanziati dagli ordini professionali che hanno anche dei poteri di rappresentanza, come, per esempio, quello del CUP, che credo non sia stato ancora ben delineato dal punto di vista giuridico.
  Il CUP è integralmente finanziato dagli ordini e, quindi, da enti pubblici non economici che – almeno su questo penso che ci sia un punto di certezza – pertanto, hanno natura di organismo di diritto pubblico che potrebbe essere assimilato a una partecipata o a una controllata pubblica. Questa, naturalmente, è una nostra valutazione. L'aspetto che ci sembra particolare è che, se andiamo sul sito del CUP, noi non rinveniamo praticamente alcun elemento di pubblicità e trasparenza.Pag. 8
  Ribadisco che, a nostro avviso, ad avviso del Gruppo parlamentare di cui faccio parte, gli ordini professionali dovrebbero garantire già di per se stessi, senza aspettare che qualcuno obblighi loro a farlo, la massima trasparenza su contributi che vengono erogati da noi lavoratori. Io mi annovero tra questi, essendo anch'io un medico. Abbiamo il diritto di conoscere come vengono utilizzate le risorse che obbligatoriamente vengono riscosse da questi enti per una delega che è stata affidata loro dallo Stato a suo tempo.
  La mia domanda è se questi organismi – ci sono anche fondazioni create dagli ordini, come, per esempio, quella degli ordini dei notai, che ha creato una SpA per fornire loro tutte le strutture informatiche – che vengono finanziati da questi enti pubblici non economici, che, a loro volta, vengono finanziati dai nostri contributi, se queste emanazioni, sottostanno anch'esse alla normativa citata, ossia ai decreti legislativi nn. 33 e 39 e poi, naturalmente, anche a eventuali norme collegate antecedenti.

  SILVIA GIORDANO. Grazie, presidente. Grazie per la disponibilità.
  Vorrei farle una domanda proprio per sentire un suo parere, visto che non sempre abbiamo l'opportunità di averla con noi in Commissione o comunque in Parlamento. Vorrei farle una domanda per quanto riguarda l'attività legislativa che sta avvenendo in questi giorni, o comunque in quest'ultimo periodo, in Parlamento, sia con la riforma della pubblica amministrazione, con il disegno di legge n. 1577, adesso al Senato, sia con la riforma delle professioni sanitarie inserita nel cosiddetto disegno di legge Lorenzin.
  La riforma della pubblica amministrazione, infatti, all'articolo 8, include, per quanto mi riguarda correttamente, gli ordini professionali tra le amministrazioni pubbliche, assimilandole alle amministrazioni nazionali, a quelle territoriali e a quelle di istruzione e cultura.
  Su tale articolo, però, i senatori e i presidenti di ordini sono, guarda caso, prontamente intervenuti con pareri ed emendamenti volti a dare una soluzione un po’ creativa e sui generis alla natura degli ordini che presiedono.
  Proprio a titolo di esempio ho ripreso un emendamento – esattamente l'emendamento 8.0.2 – presentato dai senatori Mandelli e D'Ambrosio Lettieri, che vorrei citare per capire bene di cosa stiamo parlando.
  Lo leggo: «Articolo 8-bis (Ordini e collegi professionali). Gli ordini, i collegi professionali e i relativi organismi nazionali sono enti pubblici non economici a carattere associativo. Nel rispetto dell'articolo 2, commi 2 e 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, essi sono dotati di autonomia patrimoniale e finanziaria, sono finanziati esclusivamente con i contributi degli iscritti, determinano la propria organizzazione con appositi regolamenti, agli stessi non si applicano le restrizioni in materia di rapporti di lavoro e sono soggetti esclusivamente alla vigilanza del ministro competente. Conseguentemente al comma 1, lettera e), sopprimere le parole: “nonché gli ordini professionali”».
  Ancora, in un altro emendamento, esattamente il 12.25, sempre del senatore D'Ambrosio Lettieri, si propone, in effetti, una deroga alla legge n. 190 del 2012 per quanto riguarda gli ordini professionali: «Dopo il comma 5 aggiungere il seguente 5-bis: “La normativa di cui alla legge 6 novembre 2012, n. 190, al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, e al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, si applica agli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, con le modalità semplificate individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri”.
  Come questi emendamenti ce ne sono altri che cercano di individuare un organismo di diritto pubblico, per esempio l'ANAS SpA, e altri che, invece, attribuiscono una natura veramente sui generis, prevedendo un articolo ad hoc, come richiesto dalla senatrice presidente dell'IPASVI.Pag. 9
  Il disegno di legge Lorenzin, invece, presenta una riforma delle professioni sanitarie alquanto speculare, per non dire identica, ai disegni di legge presentati dai medesimi senatori presidenti degli ordini, disegni di legge che definire retrogradi – perdonatemi – è estremamente riduttivo.
  Basti rilevare che mantengono intatto il Collegio dei revisori dei conti composto da soggetti iscritti all'albo, medici e/o infermieri che fanno i revisori, e così anche la rete provinciale, anche se sono privi di dipendenti e non sono in grado di funzionare. Oppure rafforzano la gestione autonoma e priva di ogni controllo in capo agli organi di indirizzo politico-amministrativo, il tutto tramite uno Statuto da fare e approvare in totale autonomia.
  Leggendo questi esempi e questi emendamenti che sono stati presentati, che non sono frutto della mia invenzione, le vorrei chiedere: non le sembra che ci sia un leggero, leggerissimo, conflitto di interessi e che queste riforme siano viziate già dall'origine proprio da questo conflitto di interesse e da questa conclamata incompatibilità ?
  Vede, questo è il problema che si ha fin dall'origine, ed è a questo che, secondo me, adesso dovremmo cercare di porre rimedio. È normale che, se continuiamo a fare leggi viziate con un conflitto di interessi già dall'origine, poi si rientri in un circolo vizioso. Mi farebbe molto piacere avere una sua opinione al riguardo.

  MARIALUCIA LOREFICE. Presidente Cantone, la mia domanda riguarda soprattutto la trasparenza, perché, come ha sottolineato lei stesso, con la delibera n. 145 del 2014 gli ordini professionali si sono adeguati, o avrebbero dovuto adeguarsi a questa normativa.
  Se, però, per esempio, si va a guardare sul sito della Federazione nazionale dei medici, si vede che sono assenti i bilanci dell'ente, le dichiarazioni dei redditi dei componenti del Comitato centrale e l'indicazione di altre cariche che ricoprono. Inoltre, per esempio, è impossibile avere notizie sia sui bandi, sia sui contratti.
  Eppure, il bilancio della FNOMCeO (Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurgi e degli odontoiatri) è molto rilevante, se si tiene conto che l'ente sta avviando una spesa di circa 10 milioni di euro per l'acquisto di un immobile quale futura sede degli uffici. Potrei farle anche altri esempi.
  Per esempio, alla Sezione Amministrazione trasparente della Federazione farmacisti non si sa nulla sul presidente in carica, se non il fatto che è un senatore della Repubblica, né sugli altri componenti degli organi di indirizzo politico-amministrativo. Se ne conosce solamente il nome e il cognome, ma non abbiamo notizie – questo sarebbe fondamentale, se parliamo di trasparenza – in merito al curriculum, ai compensi, alle dichiarazioni dei redditi, ai contratti stipulati, al direttore generale dell'ente, che pare (sottolineo pare) guadagni cifre non indifferenti.
  Se poi si va sul sito della Federazione IPASVI, si vede che la presidente, che è anche una senatrice, non pubblica le altre cariche che ricopre, così come non pubblica nemmeno la sua dichiarazione dei redditi. Eppure, risulta che la senatrice in questione sia fondatrice, per esempio, di un'associazione, tale Promesa, che viene promossa presso gli iscritti con tanto di circolare sottoscritta dalla stessa presidente.
  Questa associazione, pur dichiarandosi senza scopo di lucro, in realtà svolge attività di intermediazione assicurativa, perché, per iscriversi a Promesa, per gli iscritti alla Federazione IPASVI si tratta di dover pagare anche un premio di polizza assicurativa.
  Noi pensiamo di trovarci in pieno conflitto di interessi, perché questa persona, da una parte, è una senatrice in Parlamento e, quindi, presenta disegni di legge sulla responsabilità professionale degli infermieri e, dall'altra, è presidente dell'IPASVI e, in quanto tale, siede al tavolo tecnico del Ministero della salute che deve definire i requisiti minimi delle polizze assicurative.
  Tra tutte le bizzarrie colpisce il fatto che la Federazione IPASVI e la Federazione Pag. 10farmacisti abbiano nominato quale responsabile della trasparenza e dell'anticorruzione un componente del Comitato centrale, ovvero un componente dell'organo di indirizzo politico-amministrativo, nonostante abbiano nel loro organico fior fiore di dirigenti. In pratica, controllori e controllati sono le medesime persone. Così hanno fatto anche gli ordini territoriali di tutte le professioni sanitarie, con la scusa di non avere personale dipendente o che questo personale dipendente non abbia le competenze adeguate.
  Giungo, pertanto, alle mie quattro domande. È possibile che tali competenze appartengano, invece, ai farmacisti, agli infermieri e ai medici ?
  È possibile che il responsabile dell'anticorruzione sia nominato tra i componenti degli organi di indirizzo politico-amministrativo, che, peraltro, non possono rispondere del loro operato perché non organicamente legati all'ente che amministrano ?
  Ancora, i componenti dell'organo di indirizzo, qual è il Comitato centrale, sono sovente dipendenti di altre amministrazioni pubbliche. Com’è possibile che le amministrazioni di appartenenza abbiano autorizzato tali incarichi ?
  In conclusione, com’è possibile che esistano pubbliche amministrazioni senza dipendenti pubblici ?

  GIAN LUIGI GIGLI. Vorrei partire, in questo breve intervento, da una constatazione. Sono molte le attività che hanno a che fare con l'amministrazione pubblica per le quali vige un regime di incompatibilità nell'esercizio del mandato parlamentare. Sono molte e comportano il fatto che il neoparlamentare faccia un passo indietro se vuole accettare il mandato e debba, conseguentemente, anche rinunciare allo stipendio.
  Si discute se gli organi che riguardano gli ordini professionali siano di diritto pubblico. Io credo, però, che ci sia un'osservazione, se si vuole lapalissiana, molto semplice da fare. Quando io ero un neolaureato in medicina, ricordo che nelle lezioni di medicina legale si diceva che l'ordine dei medici esercitava funzioni addirittura di magistratura, forse un po’ pretenziosamente, rispetto a quelle che ha svolto lei, dottor Cantone. Lasciando da parte la magistratura, essi assolvono sicuramente una serie di funzioni che sono certamente di diritto pubblico.
  Voglio ricordarne una molto banale. In Italia, giustamente, non è possibile fare il medico, cioè esercitare la professione sanitaria, se non si è iscritti all'ordine dei medici. Non ci si può nemmeno iscrivere a una scuola di specializzazione se non si è iscritti all'ordine dei medici.
  Questo sarebbe il meno. Questi soggetti svolgono funzioni di esazione, come è stato già detto, svolgono funzioni di tipo previdenziale, seppure indirettamente. Un ente come l'ENPAM, per esempio, è un organo di previdenza di fatto controllato poi dalla Federazione degli ordini dei medici.
  Essi svolgono funzioni di formazione, anche con riferimento alla formazione obbligatoria, alla cosiddetta educazione continua in medicina, per esempio.
  Svolgono addirittura funzioni di giustizia, nel senso che è possibile essere portati in giudizio di fronte alla Commissione disciplinare dell'ordine ed essere sanzionati, fino al punto di essere radiati dall'albo e perdere, quindi, il diritto di esercitare la professione.
  Svolgono funzioni, come è stato già richiamato, di intermediazione assicurativa e intervengono anche in una serie di attività che hanno a che fare con fondi di investimento.
  Detto tutto questo, come campo di attività ordinistica, io credo che si pongano alcuni punti interrogativi riguardanti la trasparenza – è stato già richiamato il problema dei revisori dei conti, per esempio – e il conflitto di interesse.
  In due parole, peraltro, esso non riguarda solo l'attività legislativa, ma anche il fatto che – questo non è scritto nelle leggi, né nei regolamenti, ma nella prassi – i Consigli degli ordini sono di fatto espressione di attività sindacale, sono di fatto nominati a partire da liste sindacalizzate che rappresentano precisi interessi anche di natura corporativa, se vogliamo Pag. 11usare un termine molto blando, molto soft. Questi interessi di natura corporativa vengono composti e rappresentati a livello degli organismi dirigenti degli ordini provinciali e della Federazione nazionale.
  Detto tutto questo, le rifaccio un'unica domanda, che è quella che in buona sostanza le aveva fatto poco fa la collega Binetti. Io non sono in grado di giudicare se esista un vincolo giuridico che dovrebbe portare a una situazione di incompatibilità, ma certamente esiste una ragione di opportunità molto forte che dovrebbe portare a questa incompatibilità.

  ANDREA CECCONI. Io faccio una domanda esplicita e particolare rispetto solo al revisore dei conti degli ordini professionali.
  Già nel lontano 2005 il Consiglio di Stato aveva previsto che anche gli ordini e i collegi professionali, essendo enti pubblici non economici, dovessero sottostare al decreto legislativo n. 286 del 1999 e, quindi, dotarsi di revisori dei conti interni presi dall'albo depositato presso il Ministero dell'economia e delle finanze, a cui le pubbliche amministrazioni e gli enti devono accedere per avere il proprio organo interno di revisione dei conti.
  Detto questo, dal 2005 ad oggi gli organi professionali e i collegi non hanno ottemperato a questa sentenza del Consiglio di Stato e continuano ad avere i revisori dei conti all'interno dei propri ordini, presi tra gli iscritti allo stesso albo professionale.
  Per semplificare, nella Federazione dei medici i revisori dei conti sono medici, in quella dei farmacisti i revisori dei conti sono farmacisti, nell'IPASVI i revisori dei conti sono infermieri, ovviamente senza le competenze di un revisore dei conti, perché, se uno fa l'infermiere o il medico, ha esperienze contabili ridotte.
  Bisogna anche focalizzare il fatto che la stima della mole di denaro o di proprietà immobiliari, compreso anche ciò che riguarda i contributi previdenziali delle casse speciali, ammonta a circa 60 miliardi di euro. La mole di risorse che questi enti hanno nelle mani è, quindi, molto ampia.
  Quando interpellati, gli ordini professionali e i collegi si fanno forti di una sentenza della Corte di cassazione che aveva stabilito solo e unicamente per la Federazione dei farmacisti che l'ordine professionale dei farmacisti non dovesse sottostare al controllo della Corte dei conti.
  Peraltro, la Corte dei conti, negli anni successivi – nel 2013, ma anche in una delibera del 2014 – precisa che effettivamente la Corte di cassazione ha previsto che la Federazione dei farmacisti non debba avere questo controllo. Si chiede, però, se questo controllo su tutti gli altri ordini si debba fare, se sia doveroso farlo. Nonostante questa sentenza, la Corte di cassazione ribadisce l'opportunità di trovare una soluzione definitiva per fare chiarezza su come la Corte dei conti si debba approcciare nei confronti degli ordini professionali.
  Il comportamento degli ordini e dei collegi è strano, anche perché, quando fa loro più comodo, ritengono di essere enti pubblici non economici, mentre, quando non fa loro comodo, dicono di essere organismi diversi e di non dover sottostare alle norme della pubblica amministrazione.
  Un caso particolare è quello della regione Toscana, che aveva provato a fare una Consulta delle professioni. Gli ordini e i collegi professionali toscani hanno detto che loro sottostanno a un'organizzazione statale e che, quindi, la regione non può mettere mano a un'organizzazione che ha un ambito statale e non regionale. In questo caso, quindi, loro si richiamavano come enti pubblici a livello nazionale. In altri casi, invece, sono enti a sé stanti.
  La domanda, in particolare, è la seguente: com’è possibile conciliare le norme della trasparenza che lei, quale presidente dell'ANAC, deve far ottemperare e rispettare, nonché quelle dell'anticorruzione, in un sistema come quello degli ordini professionali, che è assolutamente inefficace, anzi inesistente nei confronti sia della trasparenza, sia del controllo interno ? Pag. 12Sulla questione del revisore dei conti è come non avere la revisione dei conti, se la fa un organo interno.
  Soprattutto, secondo una sua valutazione, potrebbe essere corretto e urgente prevedere un accorpamento di tutti quegli enti e quelle strutture che comunque non ottemperano, o quale potrebbe essere una soluzione normativa tale da fare in modo che gli ordini professionali prima di tutto si dotino di una revisione dei conti accettabile e di una sezione trasparenza all'interno dei loro siti altrettanto accettabile ? È sotto gli occhi di tutti – tutti possono accedere e rendersene conto – che sia piuttosto scarsa, tant’è che ci sono bilanci di poche pagine rispetto a 10, 20 o 30 milioni di euro di incassi.
  Vorrei ricordare che l'ordine professionale non si regge su una contribuzione volontaria dei professionisti, ma su una contribuzione obbligatoria. Io sono infermiere di professione e non posso fare l'infermiere se annualmente non pago il mio ordine professionale. Pertanto, mi piacerebbe, in qualità di infermiere, sapere come i soldi che tutti gli infermieri italiani versano all'ordine vengono investiti e spesi.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. Gran parte della discussione di questa sera avrebbe un titolo e un oggetto diverso, richiamante la necessità di riformare gli ordini professionali, o di abolire gli ordini professionali, come meglio vogliamo intendere. Sarebbe interessante affrontare questa questione.
  Io ricordo che abbiamo affrontato questo tema del riordino attraverso una legge delega che, purtroppo, poi si è bloccata al Senato. Questa necessità di rivedere tutta la normativa degli ordini professionali alla luce delle esigenze di maggiore trasparenza e anche di evidenziazione di procedure opache è già stata oggetto di un lavoro interessante che si è fatto nella XII Commissione della Camera, nella nostra Commissione. Pertanto, mi auguro che quel lavoro possa essere ripreso, perché penso che possa risolvere molte delle questioni che sono state qui sollevate.
  Vorrei semplicemente formulare una banale domanda e fare una precisazione.
  La collega Binetti prima, con insolita veemenza, ha etichettato quattro colleghi senatori come rappresentanti delle lobby del mondo sanitario, appartenenti allo stesso partito. Vorrei almeno che rimanesse agli atti che non è così.
  Nel Partito Democratico ci sono due senatori, peraltro validissimi, il dottor Bianco e la signora Silvestro, di FNOMCeO e di IPASVI. Sono due professioni che certamente rappresentano i pilastri del sistema sanitario, ma che non sono propriamente alleate e che, quindi, determinano quantomeno un po’ di dialettica anche all'interno dei lavori parlamentari. Questo se vogliamo aprire ironicamente una piccola porta all'idea che non necessariamente essi siano lì come esponenti di una lobby che deve fare gli interessi di chissà chi.
  Il nostro è ancora un sistema parlamentare con due Camere, ancora paritario, per un po’. Mi pare di non avere visto in questo anno e mezzo provvedimenti segnati da un'influenza lobbistica in questo campo. Ho visto ben altre lobby, magari da parte di chi non ha un ruolo di primaria importanza come la presidenza di organismi importanti come gli ordini professionali, ma è semplicemente il portatore d'acqua di interessi più opachi e che non hanno il coraggio di autorappresentarsi.
  La mia è una domanda banale e riguarda la delibera n. 1 del 2015. Giustamente, l'Autorità e, quindi, il professor Cantone, ci ricorda che è compito della Giunta per le elezioni rilevare le cause di incandidabilità e ineleggibilità. È quella la sede più appropriata. Si fa riferimento a cariche di natura elettiva ricoperte all'interno degli ordini professionali.
  La domanda, molto semplice, è se dobbiamo estendere, per quanto attiene alle valutazioni in ordine all'incompatibilità negli ordini, in questo caso, non tanto alle cause di incompatibilità parlamentari, anche la semplice appartenenza dell'organismo che rappresenta l'ordine, cioè il fatto di essere un consigliere dell'ordine, oppure Pag. 13se questo riguarda esclusivamente l'incarico di presidente. L'organismo ha un numero piuttosto ristretto di rappresentanti. Anch'essi rappresentano, in verità, l'ordine. La stessa cosa avverrebbe per i farmacisti, ragion per cui sarebbe utile conoscere questo aspetto.

  DONATA LENZI. Presidente, mi permetta una prima osservazione; lei ha un'esperienza parlamentare un po’ più lunga della mia, ma a me non era ancora capitato di vedere un'ora di trasmissione sul canale della Camera in cui con nome e cognome sono chiamati in campo quattro senatori a cui non è offerta alcuna possibilità di difendersi, proprio perché siamo alla Camera dei deputati.

  PRESIDENTE. Onorevole Lenzi, questo sarebbe stato l'oggetto del mio intervento. Io non posso togliere, come lei sa, la parola ai deputati. Non è mio compito, né posso farlo, salvo che non si tratti di espressioni irriguardose e offensive. Tuttavia, avrei segnalato questo aspetto, che lei opportunamente ha voluto anticipare, come trend delle risposte nel rispetto del titolo della nostra audizione. Anzi, ne approfitto e lo dico subito, scusandomi con l'onorevole Lenzi se interrompo il suo intervento.
  Il titolo dell'audizione è molto chiaro. Si tratta dell'audizione del presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione «sulla disciplina vigente e sugli eventuali interventi di riforma in materia di ordini delle professioni sanitarie, con particolare riferimento alla prevenzione e repressione della corruzione e delle illegalità, ivi compresi i profili di inconferibilità e incompatibilità di incarichi».
  Si tratta, quindi, di un tema di carattere generale, che – è vero – può prendere le mosse da singoli casi, per essere però sviluppato nelle risposte non come una denuncia a cui in questo momento va fornita una risposta. Non è neanche, credo, nei poteri del presidente dell'ANAC fornire immediate risposte su denunce che vengono fatte nel corso dell'audizione. Si tratta, invece, di trarre spunto da questi casi singoli per sviluppare delle linee di carattere generale. Non possiamo trasformare, a mio avviso, l'audizione – credo che il Presidente Sisto sia d'accordo su questo punto – in una sorta di processo in contumacia in cui i soggetti a cui vengono fatti riferimenti specifici non sono neanche in condizioni di esprimere non dico un diritto di difesa, ma una propria opinione in merito.
  Io credo che la logica dell'audizione non debba essere un processo alle persone, ma la possibilità di avere da parte del Presidente Cantone un'illustrazione sui princìpi, come l'audizione specifica, perché questo è il tema dell'audizione: princìpi e riforme degli ordini professionali, prevenzione e repressione della corruzione, profili di inconferibilità e incompatibilità di incarichi. Il caso singolo è soltanto un punto di partenza per giungere poi a delle conclusioni che possono valere per tutti come princìpi, come, ripeto, il titolo della nostra audizione prevede.
  Le chiedo scusa, onorevole Lenzi. Può continuare, prego.

  DONATA LENZI. Grazie. Mi conferma, Presidente, che, se fossimo stati in un altro contesto e se fosse stato uno di noi, avrebbe potuto almeno alzare la mano e dire che parlava per fatto personale. Qui, invece, non è possibile che lo faccia e tocca farlo in parte a noi.
  Io vorrei spezzare una lancia perché temo che una deriva dell'incompatibilità per vari passaggi ci porti al Parlamento degli incompetenti.
  Io ho il massimo rispetto della collega Binetti, che è un medico, del collega Gigli, che è un medico, della collega Grillo, che è un medico, e del collega Cecconi, che è un infermiere. So che sono impegnati nella competente Commissione che si occupa di materie sanitarie e che sono in grado di stare in altre Commissioni, perché l'attività parlamentare è vasta. Penso che la presenza di magistrati, ex magistrati, avvocati e altri professionisti dia a questo Parlamento la capacità di entrare nel merito dei singoli problemi e non di fermarsi a quelle che, a volte, sono mere Pag. 14letture di giornali. In Parlamento, senza arrivare a dire quello che dice la senatrice Cattaneo, ossia che dovrebbe essere il Parlamento degli ottimati, un po’ di competenze sono necessarie.
  Ci sono poi dei profili che possono riguardare la compatibilità o meno di un ruolo svolto in contemporanea a un altro. Io non vorrei che ci dimenticassimo che nella vita ci sono varie fasi. Uno può svolgere più ruoli in momenti diversi.
  Vorrei porre al Presidente Cantone una domanda non preparata e non inviata prima, mentre mi è sembrato di capire dai loro interventi che molti colleghi erano invece molto documentati e preparati. Avendo fatto parte per otto anni della Giunta delle elezioni fino alla legislatura precedente – Giunta delle elezioni che, peraltro, ha spesso affrontato casi difficili con comunicazioni esterne e ha dato testimonianza del suo lavoro – devo dire che in questa legislatura trovo la medesima Giunta molto silente e molto lenta. Io mi domando quale sia l'interlocuzione che la sua Autorità ha avuto, se c’è stata, con la competente Giunta delle autorizzazioni e delle elezioni – nel caso del Senato, è una sola, mentre la Camera ne ha due – in merito alle questioni che sono state sollevate.

  FRANCESCO PAOLO SISTO, Presidente della XII Commissione. Il mio intervento è relativamente breve e prende lo spunto da quello che ha appena detto la collega Donata Lenzi.
  Io credo che la disciplina che riguarda gli ordini professionali abbia subìto negli anni modifiche piuttosto significative e che anche il tema su cui abbiamo discusso nella giornata odierna, fondamentalmente quello che ha ripetuto il Presidente Sisto, ossia l'argomento all'ordine del giorno di questa serata, non sia quello dell'incandidabilità dei presidenti degli ordini o dei presidenti dei collegi, ma quello dell'eventuale sussistenza dell'incompatibilità nel momento in cui i presidenti sono eletti.
  Sostanzialmente, l'attività gestionale che è stata attribuita negli anni agli ordini professionali o ai collegi può configurare una situazione che pone in conflitto il parlamentare eletto con il suo ruolo gestionale. Su questo io credo che correttamente si sia chiesto da parte dell'Autorità, che si era già espressa, peraltro, più volte su questo argomento, un intervento.
  I colleghi del Movimento 5 Stelle sono coloro che hanno sollecitato nella giornata odierna l'audizione. È giusto, quindi, che abbiano avuto una parte importante nelle domande che sono state fatte all'Autorità nazionale anticorruzione. Immagino che siate già arrivati a questa riflessione. Vi inviterei, però, a riflettere sull'incompatibilità formale e sull'incompatibilità sostanziale. L'attività lobbistica all'interno del Parlamento, l'attività di rappresentanza di categorie professionali all'interno del Parlamento, non è forzatamente legata agli incarichi ricoperti all'interno di strutture. Il controllo delle strutture avviene in modi che sono anche differenti da quelli legati al ricoprire un incarico.
  Pertanto, forse il tema fondamentale, che peraltro voi nei vostri interventi avete sottolineato, è quello della trasparenza delle attività. Anche l'attività di rappresentanza delle professioni, che può diventare un'attività lobbistica, ma assolutamente alla luce del sole, può essere un'attività da cui il Parlamento addirittura trae vantaggio, se viene svolta attraverso una criteriologia di trasparenza, che è quella che noi sempre speriamo di trovare negli atti di chiunque sieda all'interno di un Parlamento.

  PRESIDENTE. Il nostro ospite avrà la pazienza di ascoltarmi qualche minuto.
  Io innanzitutto ribadisco quello che mi sembra corretto ribadire. Invito la saggezza del Presidente Cantone a soffermarsi sui princìpi e non certamente sui casi personali, che, ripeto, possono essere spunto per sollecitare le valutazioni di carattere generale, ma non possono mai essere una denuncia in sede di audizione a cui un'Autorità rilevante come il presidente dell'ANAC sia «costretto» a fornire risposte senza che vi sia un contraddittorio che possa validamente formarsi.Pag. 15
  Al di là di questo, io ho due questioni da sottoporre.
  Ho letto rapidamente le delibere. In primo luogo, chiarisco subito che la domanda riguarda un problema di poteri del Parlamento rispetto alla contestazione, che viene mossa, di incompatibilità. È un problema di suddivisione di poteri fra le prerogative degli organi parlamentari e degli organi ordinari.
  Nella delibera n. 1 del 9 gennaio 2015 si fa riferimento al tema per cui «le cause di incompatibilità tra il mandato parlamentare e lo svolgimento di cariche di natura elettiva ricoperte all'interno degli ordini professionali devono essere accertate non dall'Autorità nazionale anticorruzione, ma dalla Giunta delle elezioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, ai sensi della normativa vigente in tema di incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità».
  L'affermazione è perentoria: il controllo su queste situazioni di incompatibilità fra il mandato parlamentare e lo svolgimento di cariche di natura elettiva ricoperte all'interno degli ordini è di competenza delle Giunte della elezioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Questa è un'affermazione rilevante, perché vuol dire che questo è un potere di matrice parlamentare. È il Parlamento, cioè, che controlla questa incompatibilità.
  Questo è un punto, a mio avviso, estremamente rilevante. Per carità, io non sono innamorato dei problemi di merito, come sanno i colleghi della I Commissione. Questo è un problema di metodo. Se noi ci preoccupiamo di mantenere i poteri rigorosamente separati e il cuique suum, soprattutto in materia parlamentare, va difeso, mi sembra che questa delibera dell'anticorruzione lo ribadisca. Le cause di incompatibilità fra il parlamentare e le cariche di natura elettiva ricoperte sono di competenza delle Giunte, quella del Senato e quella della Camera.
  Vi è poi una seconda delibera, la n. 8 del 21 gennaio 2015, in cui si afferma un principio strano. Lo dico con molta chiarezza, Presidente Cantone. Approfitto anche della comune genesi di operatori del diritto. È chiaro che i processi non sono come questo tipo di questioni, ma abituano alla riflessione. In questa delibera del 21 gennaio si dice che la contestazione può avvenire in due modi: o attraverso l'ordine professionale – sintetizzo – o attraverso la Camera di appartenenza parlamentare. Su questo aspetto io inviterei l'ANAC a una profonda riflessione, perché si corre il serio rischio, col doppio potere di intervento, di pregiudicare una prerogativa parlamentare.
  Noi, cioè, deleghiamo lo stesso accertamento all'ordine dei farmacisti o dei medici e alla Giunta del Senato e della Camera. A me questo non sembra corretto sul piano del rispetto delle prerogative del Parlamento rispetto ai dati ordinari. Lo dico anche con molta curiosità. Se c’è una Giunta del Senato o della Camera che deve fare lo stesso accertamento che deve essere effettuato dagli ordini, io credo che si debba cedere il passo all'accertamento parlamentare. Diversamente, corriamo il rischio, attraverso rimedi ordinari, di usurpare poteri che sono propri soltanto del Parlamento.
  Questo non è un problema secondario, perché afferisce a prerogative di garanzia nell'ambito del ruolo dei parlamentari che porterebbero elementi di rango inferiore rispetto alle garanzie costituzionali dei parlamentari a interferire su prerogative che sono soltanto del Parlamento. Questo a me sembra un tema che merita degli approfondimenti. Non può essere un ordine professionale ad attaccare garanzie che sono proprie soltanto degli organi parlamentari.
  In secondo luogo, mi sembra che il meccanismo sollecitato da quest'ultima delibera di cui abbiamo soltanto notizia sia un meccanismo che corre il rischio di essere addirittura incostituzionale, perché sottrae prerogative al Parlamento a mezzo di strumenti ordinari con un accertamento identico. L'accertamento è, infatti, identico fra la Giunta parlamentare e il ruolo del meccanismo ordinario.
  Questo l'ANAC lo dice. In quella delibera si dice espressamente, al punto 6 – Pag. 16parlo della seconda delibera – che «sotto il secondo profilo l'ANAC non ha, invece, alcun potere di accertamento e contestazione delle cause di incompatibilità previste dal D. Lgs. n. 39 o da altre leggi che riguardino la permanenza in carica di un parlamentare».
  Questa mi sembra – lo dico sempre con rispetto – una fictio. Da un lato, io dico che non ho competenza, ma, dall'altro, me la prendo sul lato dell'ordine. Questo non mi sembra un equilibrio. Forse a livello lessicale è un ottimo modo per dire due cose diverse contemporaneamente, ma io credo che si debba, in presenza di ruoli parlamentari, dare al Parlamento il potere di decidere, esattamente come accade nella Giunta per le elezioni e come abbiamo appreso accadere, per esempio, in tema di incompatibilità derivanti da altre cause, in cui la Giunta ha rivendicato esattamente i suoi poteri senza che nessuno abbia potuto dire una parola su altre incompatibilità.
  Qualcuno mi deve spiegare allora perché per talune incompatibilità vi sia la competenza della Giunta e per altre vi sia questa sovrapposizione, a mio avviso inammissibile, che lede delle prerogative che, invece, sono soltanto del Parlamento.
  Iniziamo in questo modo a erodere talune garanzie del Parlamento. Si può essere d'accordo oppure no, ma, in un'ottica di non appartenenza e di non amore per le ideologie che possano propendere per l'uno o per l'altro, le garanzie del Parlamento, a mio avviso, hanno carattere assolutamente primario. Attaccare quelle garanzie a mezzo di strumenti ordinari costituisce, a mio avviso, un'operazione, diciamo così, un po’ ardita. Voglio usare questa espressione per dire che mi sembra che ci si debba riflettere molto. Non è vero che, se agisce l'anticorruzione o l'ordine dei medici, questo consenta un «liberi tutti». C’è un Parlamento che rivendica le sue prerogative e queste prerogative vanno rispettate. Io solleciterei, dunque, un'approfondita riflessione dell'ANAC, perché un'Istituzione è più credibile se manifesta il rispetto per taluni passaggi di carattere costituzionale. Se un'Istituzione diventa, invece, una sorta di badge di accesso a tutte le forme di garanzia, io credo che si corra il rischio di un eccesso di zelo che non sempre ha un ritorno dal punto di vista della democrazia parlamentare.
  Quanto al secondo passaggio, il tema è che non si è incompatibili se si esercita una delega di carattere non gestionale. Se ho letto male, sono pronto a essere immediatamente corretto. Bisognerebbe verificare da parte di questi soggetti «l'esercizio di funzioni di rappresentanza e di indirizzo prive di compiti gestionali». Il riferimento è a regolamenti interni, essenzialmente, nel caso di specie. Se c’è una norma di legge, è chiaro che, in questo caso, la situazione cambia.
  Dato, però, che si parla di ordini professionali, in questo caso, prendo spunto dalla specificità per andare sui temi di carattere generale, che sono quelli che mi interessano. C’è un regolamento interno, in questo caso, dell'organizzazione Federazione ordini farmacisti italiani, che ha una serie di indicazioni. La fonte è, quindi, regolamentare e non legislativa.
  Io avrei due sotto-domande. La prima è: la modifica del regolamento interno comporterebbe il venir meno della clausola di incompatibilità ? Se il regolamento interno fosse modificato, questo significherebbe che alcune situazioni ritenute dall'ANAC incompatibili vengono meno ?
  In secondo luogo, io vedo qui che si tratta di curare l'esecuzione di delibere, curare l'indirizzo politico-amministrativo, effettuare un controllo strategico sull'attività degli uffici, resistere alle liti, emanare circolari, conferire incarichi per attribuzioni al Comitato centrale. Davvero queste funzioni sono una delega gestionale diretta ? Non sono, invece, più vicine alle funzioni di indirizzo ?
  Dobbiamo anche intenderci. Io sono d'accordo con la collega Lenzi e con chi teme che l'eccesso di incompatibilità svuoti il Parlamento di saperi. Per carità, se c’è un potere gestionale diretto, chi nega l'incompatibilità ? Facciamo attenzione, però, all'interpretazione della differenza con funzioni di indirizzo, anche di indirizzo spinto, perché non si può Pag. 17indirizzare scrivendo soltanto il civico sulla busta. L'indirizzo è un indirizzo attivo, ma vi è una differenza fra un indirizzo attivo che non sia soltanto formale e una gestione diretta ?
  Questa è infatti l'espressione. Non è una gestione, ma una gestione diretta, ossia un'intensità di gestione che ci consenta di non disperdere i saperi. È proprio questo il punto. Se c’è qualcuno che normativamente ha un'individuazione di gestione diretta, è giusto che l'incompatibilità ci sia. Se, invece, siamo in situazioni, come io ritengo siano queste indicate, di indirizzo, sia pure effettivo – quello che non è effettivo non funziona – io credo che l'ANAC debba fare una riflessione su questo e sancire l'incompatibilità non tanto sul possibile, quanto sul probabile.
  In qualche modo occorre dare consistenza a questo giudizio di gestione diretta (insisto sulla parola «diretta») ed evitare che funzioni di indirizzo, benché marcatamente di indirizzo, possano, per una sorta di principio di precauzione applicato con eccessiva severità, tracimare in una penalizzazione di chi ha dei meriti, sa ed è in condizioni di dare indirizzi, ma non per questo deve essere ritenuto incompatibile.
  Pertanto, io credo che l'esigenza della valutazione politica di carattere generale sia quella di una sapiente e rigorosa lettura nell'ambito non di quello che potrebbe in assoluto, ma di quello che, a termini di regolamento, può diventare un rischio concreto – noi parliamo in diritto penale di rischio concreto, non di rischio virtuale – ossia un pericolo concreto, non un pericolo astratto.
  Noi dovremmo puntare alle incompatibilità per evitare la penalizzazione dei saperi e la creazione nella politica di soggetti che, per fare politica, non devono sapere, perché, se sanno, diventano incompatibili o, se operano nella vita, diventano incompatibili e, quindi, una politica completamente staccata.
  È questo il crinale su cui si rischia di andare. Lo dico con molto rispetto delle posizioni di tutti. Noi abbiamo l'obbligo di dare al nostro Parlamento tutti i saperi possibili, con la mannaia della gestione diretta, che giustamente impedisce l'accesso, per evitare situazioni che normativamente sono inibite. Io le chiedo, dunque, presidente Cantone, una riflessione su questi punti.
  La seconda domanda è se la modifica del regolamento può comunque essere un utile rimedio per smussare eventualmente le asperità che possano non consentire a persone, chiunque esse siano, di qualsiasi appartenenza, che possiedono un know-how spendibile nella politica di essere messe ai margini perché l'indirizzo spinto diventa gestione diretta.
  Chiedo scusa se ho fatto perdere qualche secondo. Ripeto, su questi princìpi attenderei una risposta.
  Do la parola al Presidente Cantone per la replica.

  RAFFAELE CANTONE, Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione. Non so se riuscirò a rispondere a dovere, perché la quantità di domande è veramente numerosa. Ammetto di essere un po’ stanco. Stamattina sono partito da Napoli alle 5. Proverò comunque a rispondere su tutto. Vi chiedo scusa se non dovessi essere del tutto esaustivo.
  Prima di tutto, l'incompatibilità non ha niente a che vedere con l'incompetenza. L'incompatibilità è un istituto che è stato previsto dal decreto legislativo n. 39 del 2013 in attuazione a una delega contenuta nella legge n. 190 del 2012 (legge anticorruzione), che tende a evitare che si sovrappongano funzioni e che quella sovrapposizione di funzioni rappresenti una valutazione legislativa di un possibile conflitto di interessi.
  Presidente Sisto, se mi consente, questa è una presunzione iuris et de iure insuperabile. È il legislatore che stabilisce che, nel caso di specie, di fatto c’è un conflitto di interessi e che è inopportuno per chi riveste cariche di un dato tipo che contestualmente rivesta altri tipi di ruoli.
  Io non so se la valutazione e il bilanciamento che sono stati fatti siano corretti, ma sono stati fatti dal legislatore, sia pure dal legislatore delegato e, davanti al legislatore, Pag. 18io, come al solito, mi tolgo il cappello. La valutazione sull'incompatibilità l'ha fatta il legislatore, il quale ha ritenuto che in alcuni casi si debba evitare la sovrapposizione di funzioni.
  Consentitemi di dire che questo non significa affatto limitare l'accesso alle cariche parlamentari, ma semplicemente che in quel momento lo stesso soggetto non deve svolgere due incarichi. Un presidente o un consigliere dell'ordine, trattandosi del caso di specie, può certamente diventare parlamentare. Deve semplicemente optare per una delle due cariche, secondo la nostra impostazione. Poi arriverò alla sua valutazione definitiva.
  Io credo, quindi, per rispondere sia alla domanda dell'onorevole Binetti, sia alla domanda dell'onorevole Gigli, che qui ci sia una valutazione che viene fatta dal legislatore fuori dalla quale ci sono delle questioni di opportunità. Qui c’è una valutazione fatta dal legislatore. Chi ha alcuni incarichi di vertice all'interno di una serie di enti pubblici non deve contestualmente rivestire un altro incarico. Se questa norma viene considerata troppo restrittiva o troppo ampliativa, spetta a voi stabilirlo attraverso le leggi.
  Aggiungo che qui non si tratta tanto di una questione di lobby. Non c’è un problema di tutela rispetto alle lobby, ma c’è un problema di tutelare l'immagine sia del soggetto che riveste l'incarico pubblico, sia dell'ente pubblico che si trova con un soggetto che, per esempio, fa il consigliere regionale ed è presidente di un ente pubblico, al limite della stessa Regione.
  Qui si tratta di una valutazione che non ha niente a che vedere con le lobby, ma che ha a che vedere con un meccanismo di conflitto di interessi che è stato cristallizzato direttamente dal legislatore.
  Io, quindi, riterrei che, nel caso di specie, non ci sia un problema di limitazione dei saperi. C’è semplicemente un'indicazione del legislatore di questo tipo. Seppure la norma su questo punto non sia molto chiara, come è stato evidenziato in una domanda, io ritengo che questa incompatibilità non si applichi assolutamente ai consiglieri degli ordini. Si tratta di una carenza della norma, probabilmente. Poi dirò anche perché. C’è una ragione. La norma era arrivata in un certo modo alle Commissioni competenti. In base alla proposta che venne fatta al Governo, lo stesso Governo modificò un pezzo della norma. Lo chiarirò più avanti rispondendo ad alcune domande.
  Allo stato, le incompatibilità riguardano semplicemente gli organi di vertice degli enti pubblici. I consiglieri sono fuori, perché non sono organi di vertice. Su questo in linea di principio direi di poter essere piuttosto sicuro, per ragioni che esporrò.
  Quanto alle sue domande, presidente Sisto, a cui rispondo per prime – non me ne vorranno gli altri parlamentari – dopo questa introduzione di carattere generale, io non credo che ci sia una valutazione che riguarda le guarentigie costituzionali. Noi siamo assolutamente attenti e rispettosi. Qui si tratta di stabilire due vicende diverse.
  Ci sono due ambiti che sono assolutamente autonomi: da un lato, l'ambito del Parlamento, su cui c’è una riserva di legge costituzionale che prevede la competenza della Giunta; dall'altro, una competenza prevista dalla legge ordinaria che riguarda l'ente pubblico.
  Sull'ente pubblico il decreto legislativo n. 39 del 2013 prevede espressamente la vigilanza dell'Autorità nazionale anticorruzione e nello stesso decreto legislativo viene citata espressamente anche l'incompatibilità dei parlamentari.
  Ovviamente, qual è il senso di quelle due delibere, di cui la seconda precisa la prima ? Per quanto riguarda l'incompatibilità nel ruolo di parlamentare, non può che decidere il Parlamento. Ci mancherebbe altro. Poiché, però, la legge stabilisce che la valutazione che viene fatta nei confronti degli enti pubblici spetta al responsabile della prevenzione e della corruzione, che deve seguire un preciso procedimento, e che la vigilanza spetta all'Autorità nazionale anticorruzione su tutta la legge, è evidente che quella legge si applichi a tutti i soggetti per i quali c’è l'incompatibilità, anche ai parlamentari, Pag. 19non con riferimento all'incarico parlamentare. Questa non è, presidente, una minuzia. È una differenza netta. C’è una vigilanza che riguarda l'organo, perché l'incompatibilità non è solo col ruolo di parlamentare, ma è anche col ruolo di presidente dell'ordine, di presidente di un ente pubblico o di amministratore delegato di una società pubblica. Si può verificare un meccanismo di conflitto di interessi anche al contrario. Si pone, quindi, l'esigenza non solo di tutelare la trasparenza del ruolo di parlamentare, ma anche la trasparenza del ruolo di presidente di un ordine o, nel caso di specie, per esempio, di una società pubblica o di un altro ente pubblico.
  Questa non è una minuzia da avvocato. Del resto, io appartengo a un'altra categoria. È un dato obiettivo.

  PRESIDENTE. Se posso fare una piccola osservazione: che cosa accade in caso di conflitto ?

  RAFFAELE CANTONE, Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione. Ci stavo arrivando, presidente, perché già sapevo che l'avrebbe chiesto.
  Che cosa accade se il Parlamento dovesse ritenere che non ci sia incompatibilità e se l'ANAC o il responsabile della prevenzione e della corruzione dovessero ritenere che ci sia incompatibilità ? Io credo che, a questo punto, sia evidente che prevale l'organo superiore per eccellenza, ossia il Parlamento, assumendosi la responsabilità politica di un gesto. Su questo credo che siamo assolutamente fuori da ogni discussione, fermo restando che il decreto legislativo n. 39 attribuisce un potere di controllo che riguarda esclusivamente tutte le cariche indicate, anche quella di parlamentare.
  Quanto alla funzione delle deleghe gestionali, devo leggere, così rispondo anche a una domanda che è stata fatta, l'articolo in questione. Siamo tutti stanchi, ma la norma non è veramente scritta bene.
  Premetto che noi da tempo chiediamo una revisione del decreto n. 39, in cui ci sono alcune norme scritte veramente in modo strano. Ce ne sono alcune che riguardano l'inconferibilità. Tutti conosciamo le questioni che riguardano la sospensione. Ci sono in questo momento alcune questioni che riguardano i reati per i quali si applica o meno la sospensione.
  La lettera l) del comma 2 dell'articolo 1 parla di «incarichi di amministratore di enti pubblici o di enti privati in controllo pubblico». Ai nostri fini persino agli enti privati in controllo pubblico si applica questa norma. Sono «gli incarichi di presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo delle attività dell'ente, comunque denominato, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico».
  Qualcuno diceva che quel riferimento ad altro organo di indirizzo politico dell'attività dell'ente si riferirebbe anche a soggetti diversi dal presidente. La norma, così com'era stata scritta all'origine, prevedeva espressamente anche i consiglieri. Abbiamo su questo punto l'interpretazione autentica, perché uno dei componenti dell'ANAC aveva partecipato alla scrittura del decreto n. 39 e ricordava come fosse previsto dalla lettera l) originaria; è stato tolto un pezzo, chiaramente.
  Noi oggi lo interpretiamo dicendo che, in relazione al riferimento al presidente di amministratore delegato di altro organo, l’«altro organo» comunque si riferisce alla parola «presidente». Sotto questo profilo, quindi, l'unico soggetto che verta in situazioni di incompatibilità è l'organo di vertice di una società pubblica, di un ente pubblico o di un ente di controllo pubblico.
  Come dobbiamo valutare l'eventuale attività di delega gestionale diretta ? Io credo che si debba andare a verificare in concreto – ha ragione lei, presidente – non in astratto, andando a verificare non solo i regolamenti, laddove ci sono, ma anche gli Statuti e poi, in base agli Statuti e ai regolamenti, andare a verificare i poteri che vengono esercitati.
  Rispondo con assoluta certezza che la modifica del regolamento e dello Statuto consente sicuramente di aggirare, cioè di Pag. 20evitare, questo meccanismo di incompatibilità. È chiaro che, se c’è un'indicazione del legislatore che fa riferimento a deleghe gestionali dirette, ciò significa che c’è uno spazio per cui questo soggetto, pur essendo vertice, possa non avere deleghe gestionali dirette. Questo è scontato.
  Nel caso di specie, mi consenta di dire che l'articolo 50 prevede alcuni poteri, che sono difficili da definire di mera funzione di indirizzo, almeno noi non li riteniamo tali. Se il soggetto ha il potere di emanare una circolare per assumere personale e partecipare a processi eventualmente con facoltà di transazione delle controversie, io credo che questi siano poteri più che gestionali. Basterebbe il potere di transazione in sede di processi per individuare una funzione gestionale.
  Non devo certamente fare io un trattato di diritto civile, non ne sarei capace, ma, se transigo, sto rinunciando a una parte dell'attività, a una parte di un interesse e di un diritto. Pertanto, il potere di transazione, di per sé, ossia il potere di partecipare al processo con facoltà di transazione è senza dubbio un potere gestionale, ma lì c’è di più. Quell'attività attribuisce certamente poteri gestionali.
  Mi riferisco all'emanazione di una circolare. Anche in questo caso non posso che ricordare mere valutazioni di conoscenze anche elementari di diritto amministrativo. La circolare vincola i soggetti che ne fanno parte. Io con la circolare posso prendere valutazioni che non sono di mero indirizzo, ma che riguardano l'attività.
  Pertanto, io credo che, nel caso di specie, quella interpretazione che noi abbiamo dato sia formalmente insuperabile, fermo restando che noi proprio oggi abbiamo a lungo discusso di questo punto, ossia che sarà nostro compito indicare quando i poteri di un presidente o di un organo di vertice non siano gestionali. La legge ce lo impone. Ci impone di dire che ci sono poteri gestionali e che ci sono anche poteri non gestionali. Nel caso di specie, noi riteniamo che quei poteri comportino una gestione anche particolarmente significativa. Riferisco quella vicenda specifica semplicemente come fatto indicativo.
  Mi lasci dire, presidente, che qui non si tratta di fare il processo a nessuno. Non si sta parlando di reati, diciamolo con chiarezza. Non si sta parlando né di reati, né di comportamenti scorretti. Si sta parlando di un'indicazione prevista dalla legge, la quale prevede che un soggetto non possa avere due cariche e prevede semplicemente l'obbligo di opzione. Non stiamo parlando assolutamente di reati, né di comportamenti scorretti. Stiamo parlando semplicemente di individuare se un soggetto possa o meno ottenere due cariche, ragion per cui non c’è alcun processo a nessuno e alcuna difesa.
  Qualora il Consiglio dell'ordine, nel caso di specie, dovesse prevedere di adeguarsi, come dovrà fare, alla nostra delibera, dovrà operare la contestazione e lì ci sarà la possibilità di difendersi nella sede opportuna, così come prevede il decreto legislativo n. 39.
  Quanto alle altre domande, io vorrei astenermi dalle valutazioni che sono state fatte in ordine a chi, avendo avuto un ruolo all'interno della Corte costituzionale, ha difeso gli ordini professionali. Peraltro, non tutti gli ordini professionali si sono opposti a questa delibera. La maggior parte degli ordini professionali, al contrario, sta provando ad adeguarsi a questa delibera trovando una serie di oggettive difficoltà, tant’è che noi non abbiamo ancora attivato tutti i poteri di controllo – poi risponderò sulle questioni della trasparenza – perché ci sono problemi oggettivi di cui ci dobbiamo far carico come Autorità anticorruzione.
  Per esempio, l'ordine dei geologi di Lanusei ha otto iscritti e non ha dipendenti. Noi dobbiamo capire come possiamo pretendere che un ordine di otto iscritti abbia gli stessi obblighi di trasparenza previsti dall'ordine degli avvocati di Roma, di Napoli o di Palermo. Su questo punto dobbiamo pretendere il rispetto delle regole, ma fornendo indicazioni su come muoversi.Pag. 21
  Per esempio, noi stiamo provando a pensare che gli ordini, soprattutto quelli piccoli, attraverso lo strumento degli accordi di cui all'articolo 15 della legge n. 241 del 1990, possano consorziarsi solo al fine di adempiere agli obblighi di cui alla legge n. 190 del 2012 e al decreto n. 33 del 2013. Noi dobbiamo offrire, soprattutto alla maggior parte degli ordini che vogliono adeguarsi, una spiegazione su come devono ottemperare.
  Su questo punto noi abbiamo avviato una serie di tavoli di confronto e al più presto emaneremo le linee-guida su come noi riteniamo, soprattutto per i piccoli ordini, che debba esserci un adeguamento alle regole della legge n. 190.
  Di tutte le questioni di incompatibilità fatemi solo dire una cosa con riferimento al professor Cassese, il quale ha presentato un parere depositato in Giunta, che noi abbiamo letto e che sostiene la nostra tesi. Quel parere sostiene, cioè, che agli ordini professionali si applicano la legge n. 190 del 2012 e il decreto legislativo n. 33 del 2013. Ritiene semplicemente che in alcuni casi i presidenti non svolgano funzioni gestionali dirette. Giusto per amore dell'arte, va precisato che quel parere del professor Cassese non mette affatto in discussione la sentenza della Corte costituzionale, ma dice giusto il contrario, ossia che si applica quell'indicazione.
  Sulla questione del rapporto fra potere della Giunta e potere di chi debba dichiarare l'incompatibilità credo di aver in parte già risposto. Io mi rendo conto benissimo che c’è il problema del conflitto. Noi siamo assolutamente consapevoli che, in presenza di un conflitto, c’è un organo superiorem non recognoscens, che è la Giunta delle immunità del Parlamento.
  Noi abbiamo fatto la nostra valutazione fornendo indicazioni, nel caso di specie, a un ordine, perché è l'unico caso. Valuterà poi la Giunta di fare quello che ritiene. Per quanto io sappia, la Giunta del Senato non si è ancora pronunciata. Noi non abbiamo avuto interlocuzioni con la Giunta del Senato, credo correttamente, perché la Giunta non ce l'ha chiesto. Noi riteniamo, però, che abbia fatto bene a non chiedercelo, perché si tratta di un potere di valutare in modo assolutamente indiscusso. Del resto, le nostre delibere sono pubblicate sul sito e possono essere chiaramente individuate.
  Ho risposto sulla questione di che cosa intendiamo noi per organi di indirizzo e sulle ragioni per le quali escludiamo che la norma si applichi ai consiglieri e non ai soli presidenti.
  Certo, questa parte della norma ha una sua irrazionalità, ma un'interpretazione che volesse andare oltre l'indicazione normativa e ritenerla applicabile anche ai consiglieri sarebbe un'interpretazione ai limiti dell'analogia. Trattandosi di norme limitative di una facoltà, nel caso di specie la più importante facoltà, che è l'elettorato passivo, sarebbero certamente incostituzionali.
  Sono consapevole che quella norma è scritta male. Abbiamo anche la ragione dell'interpretazione autentica di quella norma scritta male. Noi riteniamo, però, che il decreto n. 39 abbia molte norme scritte male. Chiediamo da tempo che si avvii una riflessione.
  C’è la possibilità nel decreto Madia di riaprire la delega sul decreto legislativo n. 39 perché ci sono cose veramente paradossali. Esistono alcuni reati per i quali l'inconferibilità non si applica, per esempio, ad alcune ipotesi di tentativo che sono questioni veramente paradossali. Alla concussione si applica e al tentativo di concussione no. Poi si applica, invece, a fattispecie come l'abuso d'ufficio, il che è veramente un paradosso. Si applica a reati meno gravi e non a reati più gravi. La tentata concussione è obiettivamente reato più grave rispetto all'abuso d'ufficio.
  Quanto alla questione della trasparenza, è vero, noi abbiamo verificato che ci sono ordini professionali che ancora non si sono adeguati alle indicazioni del decreto legislativo n. 33. La ragione per la quale non abbiamo ancora attivato i controlli, però, è quella che abbiamo indicato. Noi riteniamo di dover, prima di tutto, fornire indicazioni su come tutti gli ordini Pag. 22professionali possano adeguarsi alle regole della trasparenza, per consentire poi un controllo che abbia un senso.
  Non avrebbe senso, cioè, effettuare oggi un controllo nei confronti di un ordine, per esempio, particolarmente grande, nei cui confronti non ci dovrebbero essere problemi, mentre sappiamo per certo che ci sono alcuni ordini che non sono assolutamente in condizioni, ad oggi, di poter sottostare alle indicazioni. Noi speriamo nel giro di pochissimo tempo di riuscire a emanare le linee-guida su come gli ordini professionali, soprattutto quelli piccoli, possano adeguarsi alle regole sulla trasparenza.
  Abbiamo anche da poco elaborato l'interpretazione su come debba funzionare il meccanismo sanzionatorio. Il decreto legislativo n. 33 del 2013 contiene una norma sulle sanzioni, all'articolo 47, assolutamente incomprensibile, che è stata un vero e proprio rompicapo. Non si capisce nulla su come debba essere applicata la sanzione e chi la debba applicare. Noi abbiamo fatto uno sforzo interpretativo. Aspetteremo poi la valutazione della giurisprudenza.
  Inoltre, c’è un altro aspetto, che riguarda l'individuazione di chi deve svolgere il ruolo di responsabile della trasparenza all'interno degli ordini. Noi riteniamo che lo debba svolgere un soggetto che abbia una posizione di stabilità, ossia un dipendente, laddove, però, ci sono i dipendenti.
  Questo è il punto. La legge prevede espressamente che, di regola, il responsabile per la prevenzione e la corruzione debba essere un soggetto che svolga il ruolo di dirigente, se c’è un dirigente, perché non è necessario che ci sia.
  Anch'io ritengo che sia piuttosto incompatibile l'idea che lo faccia un consigliere il responsabile della prevenzione e della corruzione. Tuttavia, ripeto, ci sono alcune questioni che vanno affrontate tenendo conto che ci sono ordini in cui gli unici organi sono i consiglieri. Non ci sono altri organi. Noi dobbiamo stabilire un criterio valido per tutti.
  Ad oggi io direi che certamente i soggetti che svolgono funzioni di indirizzo politico non possono svolgere funzioni di prevenzione della corruzione e della trasparenza. Dobbiamo prevedere per gli organismi piccoli la possibilità di consorziarsi per poter avere almeno un dipendente, che, fra l'altro, si occupi materialmente dell'inserimento dei dati nel sistema dell'Amministrazione trasparente.
  Non possiamo fare regole che valgono solo per l'ordine degli avvocati di Roma. Ci dobbiamo preoccupare anche dell'ordine dei geologi di Lanusei, perché è giusto così. Il principio impone che, una volta che siamo partiti, possiamo controllare tutto.
  Del resto, lo avete detto voi. Fino a poco tempo fa questo tema non era stato posto. L'abbiamo posto con una delibera di qualche mese fa. La legge sulla trasparenza è entrata in vigore da poco. Stiamo provando a fare controlli, che vanno ben oltre gli ordini professionali.
  Io credo che gli ordini professionali – lo si diceva negli interventi – siano certamente enti pubblici. Hanno una serie di poteri certificatori indiscussi, che non hanno nemmeno alcuni enti pubblici certi. Il solo fatto di iscrivere a un ordine con la valutazione dei requisiti è certamente un potere certificatorio, anzi è forse ai limiti di una concessione.
  Sicuramente noi riteniamo che ci debbano essere gli obblighi di trasparenza su tutte le spese, sulle consulenze, sugli incarichi che vengono affidati, così come riteniamo che i presidenti degli ordini e i consiglieri siano organi di indirizzo politico che hanno l'obbligo di sottostare ai princìpi di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n. 33 del 2013. Siamo sicuri che questo sarà uno degli argomenti di maggiore preoccupazione da parte degli organi professionali, perché, come voi sapete, l'articolo 14 citato prevede che si rendano noti non solo gli emolumenti ricevuti, ma anche la situazione patrimoniale che i soggetti hanno. Noi riteniamo che quella norma si applichi certamente al presidente e, nel caso di specie, anche ai consiglieri degli ordini professionali.Pag. 23
  Sugli organi di revisione non mi posso esprimere. Si tratta di una valutazione che non rientra nella nostra competenza. I meccanismi di valutazione della prevenzione e della corruzione non hanno niente a che vedere con un controllo contabile. La legge prevede che ci debba essere una trasparenza a trecentosessanta gradi delle attività contabili, ma il controllo su come viene svolta l'attività contabile non è competenza dell'Autorità nazionale anticorruzione.
  Infine, ammetto che non avevo pensato al tema della qualificazione del CUP o del CoGeAPS. Tuttavia, su questo punto noi stiamo facendo con il Ministero dell'economia un'elaborazione che riguarda le società pubbliche e anche le fondazioni pubbliche.
  Esistono nel nostro sistema alcune entità che sono di fatto organismi di diritto pubblico od organismi finanziati dal pubblico, per i quali noi stiamo provando a individuare una serie di elementi che li sottoporranno alle regole sia della trasparenza, sia della prevenzione e della corruzione. Da qui a qualche giorno presenteremo con il Ministero dell'economia delle linee-guida che riguardano le fondazioni pubbliche e le società pubbliche partecipate dal Ministero dell'economia, ma che, in linea di massima, riguarderanno tutte le fondazioni pubbliche e tutte le società di carattere pubblico.
  Non vorrei esprimere giudizi sull'attività legislativa che viene svolta. Tuttavia, la norma che prevede che gli ordini e i collegi professionali siano enti pubblici non economici di carattere associativo non cambia assolutamente nulla ai fini dell'applicazione dei decreti legislativi nn. 33 e 39 e della legge n. 190, che si applicano a tutti gli enti pubblici. Quella qualificazione non sposta niente.
  L'indicazione che dovrebbe prevedere un regime semplificato di trasparenza rappresenterebbe sicuramente una disparità di trattamento rispetto agli altri enti pubblici. Su questo punto, però, noi stiamo da tempo chiedendo al Parlamento e al Governo una revisione del decreto n. 33.
  Si tratta di un argomento di cui mi piacerebbe parlare. Faccio fatica a individuare gli esatti punti, ma il decreto n. 33, che io credo sia una norma epocale, perché ha cambiato la logica della trasparenza pubblica, prevede una serie di obblighi che finiscono per essere un eccesso di trasparenza e anche un difetto di trasparenza. Noi abbiamo bisogno di una trasparenza di qualità, non di una trasparenza di quantità.
  All'interno del decreto n. 33 ci sono spesso adempimenti che rischiano di essere puramente formali. Noi vogliamo migliorare – io ho provato a scriverlo in un articolo alcuni giorni fa – anche interfacciandoci ai sistemi del FOIA (Freedom of information act) statunitense e ampliando l'area dell'accesso pubblico, ma evitando che la quantità di dati che possono essere pubblicati finisca per non essere intellegibile ai cittadini comuni.
  Io, quindi, credo che ci possa essere una semplificazione, ma che la semplificazione non debba riguardare un'unica entità, bensì la totalità degli enti pubblici. Bisogna prevedere meccanismi di trasparenza che tengano conto anche delle differenze fra gli enti pubblici medesimi, ma sempre in un quadro di carattere generale e non con interventi ad entem più che ad personam.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Presidente Cantone per questa esposizione del suo punto di vista. Credo che questa sia stata una delle audizioni più interessanti degli ultimi tempi.
  È stata molto interessante e soprattutto è stata interessante perché non si è trattato di postulati. Il Presidente Cantone ha messo a fuoco una serie di problemi, tutti meritevoli di approfondimenti.
  Il nostro, presidente Cantone, è un work-in-progress continuo. Sostanzialmente, noi cerchiamo insieme, sia il legislatore, sia l'ANAC, di coniugare la necessità di trasparenza e il bisogno di anticorruzione.
  Sul decreto legislativo n. 33 noi c'eravamo. È una cosa che abbiamo fatto noi. Siamo molto orgogliosi di averlo fatto. Mi Pag. 24sembra eccellente la valutazione dell'applicazione di questi modelli alle piccole strutture, che ovviamente non sono in condizioni di garantire la stessa risposta di grandi strutture.
  In questo lavoro di reciproca collaborazione affinché le cose possano essere utilmente realizzate io credo che possiamo chiudere con questo auspicio, ringraziando i colleghi del Movimento 5 Stelle, che sono sempre presenti tutti. Vedo, invece, intorno una decimazione progressiva, un dato che va comunque rimarcato, perché essere presenti in Aula onora l'impegno di parlamentare.
  Ringrazio tutti e, in particolare, non ultimo, il Presidente Sisto.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 22.