XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Giovedì 23 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Toninelli Danilo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE C. 14  COST. D'INIZIATIVA POPOLARE, C. 21  COST. VIGNALI, C. 148  COST. CAUSI, C. 178  COST. PISICCHIO, C. 180  COST. PISICCHIO, C. 243  COST. GIACHETTI, C. 284  COST. FRANCESCO SANNA, C. 398  COST. CAPARINI, C. 568  COST. LAFFRANCO, C. 579  COST. PALMIZIO, C. 580  COST. PALMIZIO, C. 581  COST. PALMIZIO, C. 839  COST. LA RUSSA, C. 939  COST. TONINELLI, C. 1439  COST. MIGLIORE, C. 1543  COST. GOVERNO, C. 1660  COST. BONAFEDE, C. 1925  COST. GIANCARLO GIORGETTI, C. 2051  COST. VALIANTE, C. 2147  COST. QUARANTA, C. 2221  COST. LACQUANITI, C. 2227  COST. CIVATI, C. 2293  COST. BOSSI, C. 2329  COST. LAURICELLA, C. 2338  COST. DADONE, C. 2378  COST. GIORGIS, C. 2402  COST. LA RUSSA, C. 2423  COST. RUBINATO, C. 2458  COST. MATTEO BRAGANTINI, C. 2462  COST. CIVATI E C. 2613  COST. GOVERNO, APPROVATO DAL SENATO, IN MATERIA DI REVISIONE DELLA PARTE SECONDA DELLA COSTITUZIONE

Audizione di rappresentanti della regione Veneto e di esperti.
Toninelli Danilo , Presidente ... 3 
Clarich Marcello , Professore ordinario di diritto amministrativo presso la Libera università internazionale degli studi sociali «Guido Carli» (LUISS) di Roma ... 3 
Ciambetti Roberto , Assessore al bilancio e agli enti locali della giunta regionale del Veneto ... 4 
D'Amico Maria Elisa , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano ... 5 
Toninelli Danilo , Presidente ... 6 
D'Amico Maria Elisa , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano ... 6 
Toninelli Danilo , Presidente ... 8 
D'Amico Maria Elisa , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano ... 8 
Demuro Gianmario , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Cagliari ... 9 
Guzzetta Giovanni , Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata ... 10 
Lagrotta Ignazio , Professore aggregato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari «Aldo Moro» ... 12 
Manetti Michela , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Siena ... 15 
Pace Alessandro , professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 17 
Portaluri Pierluigi , Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi del Salento ... 19 
Toninelli Danilo , Presidente ... 22 
Toniatti Roberto , Professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Trento ... 22 
De Vergottini Giuseppe , Professore emerito di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Bologna ... 24 
Toninelli Danilo , Presidente ... 26 
Fiano Emanuele (PD) , relatore ... 26 
Quaranta Stefano (SEL)  ... 27 
Toninelli Danilo , Presidente ... 27 
Pace Alessandro , Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 27 
Toninelli Danilo , Presidente ... 27 
Pace Alessandro , Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 27 
Fiano Emanuele (PD) , relatore ... 28 
Pace Alessandro , Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 28 
Toninelli Danilo , Presidente ... 28 
Pace Alessandro , Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 28 
Toninelli Danilo , Presidente ... 28 
De Vergottini Giuseppe , Professore emerito di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Bologna ... 28 
Toninelli Danilo , Presidente ... 29 
Pace Alessandro , professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 29 
Toninelli Danilo , Presidente ... 29

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DANILO TONINELLI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della regione Veneto e di esperti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, in relazione all'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame dei progetti di legge costituzionali C. 14 e abbinati, recanti revisione della parte seconda della Costituzione, l'audizione di rappresentanti della regione Veneto e di esperti.
  Ringrazio i nostri ospiti della loro presenza e della loro disponibilità. Abbiamo un folto numero di intervenuti, che ascolteremo in ordine alfabetico. Il professor Marcello Clarich e l'assessore al bilancio e agli enti locali della regione Veneto Roberto Ciambetti ci hanno fatto richiesta di intervenire per primi, per motivi personali e di lavoro.
  Ringrazio anche il Governo, rappresentato dal sottosegretario Scalfarotto.
  Do la parola a Marcello Clarich, professore ordinario di diritto amministrativo presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli di Roma, per lo svolgimento della sua relazione.

  MARCELLO CLARICH, Professore ordinario di diritto amministrativo presso la Libera università internazionale degli studi sociali «Guido Carli» (LUISS) di Roma. Presidente, vorrei ringraziarvi per questo invito, perché credo che cercare di dare un contributo alla discussione parlamentare sia per i docenti universitari e per gli studiosi un'occasione estremamente importante.
  Vorrei limitare la mia analisi a tre brevissime considerazioni, che mi riservo di approfondire in un testo scritto, anche per risparmiare tempo.
  Tenendo conto della mia formazione di studioso del diritto amministrativo, ho focalizzato l'attenzione sulle innovazioni introdotte nel progetto di riforma costituzionale che interessano la pubblica amministrazione.
  La premessa è che, come sappiamo, la Costituzione, a testo vigente, ha dedicato pochi articoli allo statuto e all'attività della pubblica amministrazione. È un segnale che ritengo molto positivo che questa riforma aggiunga tasselli importanti, come mi accingo a dire.
  Il primo punto sul quale voglio soffermarmi con quest'angolo di visuale sono le nuove funzioni del Senato, di cui all'articolo 55, ultimo comma, nel testo del disegno di legge. Il Senato accentua le funzioni di controllo per valutare l'attività delle pubbliche amministrazioni, verificare l'attuazione delle leggi dello Stato, che, come sappiamo, avviene sempre in via amministrativa, controllare e valutare le politiche pubbliche.
  Ritengo che questa funzione nuova del Senato possa essere particolarmente qualificante, anche alla luce dell'esperienza dei Paesi con i quali ci confrontiamo, dove non è soltanto la funzione legislativa che Pag. 4connota il ruolo delle Camere, ma c’è anche una forte accentuazione della funzione di controllo sull'operato delle pubbliche amministrazioni e sullo stato di attuazione delle leggi.
  Infatti, come sappiamo, la legge normalmente è solo il primo tassello di un percorso a cascata, fatto di atti normativi secondari e provvedimenti attuativi che spesso richiedono molto tempo e, come è apparso anche da indagini recenti, rendono non operative numerose leggi del Parlamento.
  Pertanto, avere un organo, il Senato, che acquista questa funzione significa anche migliorare la qualità, in termini di risultati concreti, del processo legislativo.
  Un secondo punto, sempre da questo angolo di visuale, riguarda l'articolo 117 della Costituzione, vale a dire il nuovo assetto delle competenze legislative dello Stato e delle regioni. Alla lettera g) del comma secondo si introducono come competenza esclusiva dello Stato anche le norme generali sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
  Emerge, dunque, a livello di Costituzione l'aspetto che per gli studiosi di diritto amministrativo, ma in generale per l'attività delle pubbliche amministrazioni, è fondamentale: le regole generali e lo svolgimento del procedimento amministrativo, che oggi trovano nella legge n. 241 del 1990 una fonte esclusivamente legislativa.
  L'idea dell'amministrazione che agisce attraverso procedimenti, con la partecipazione e la trasparenza, i diritti degli utenti e così via, è un elemento estremamente rilevante, ed è importante che trovi riconoscimento nella Costituzione.
  Allo stesso modo, anche la disciplina giuridica del lavoro, cioè il pubblico impiego, trae come riferimento normativo una fonte costituzionale.
  Più in generale, trovo molto positiva la riorganizzazione dell'attribuzione di materie che erano precedentemente ripartite tra Stato e Regioni, come già da tanti anni veniva richiesto dagli addetti ai lavori in diverse occasioni. Mi riferisco, in particolare, alla produzione, al trasporto e alla distribuzione nazionale di energia elettrica e alle infrastrutture strategiche, per le quali in questi anni si è verificato spesso un conflitto di competenze tra Stato e Regioni che determinava rallentamenti nell'esecuzione delle opere infrastrutturali, che sono indispensabili, anche alla luce degli impegni europei, per creare un sistema più funzionante.
  Chiedo scusa per la brevità, ma lo faccio anche per rispetto dei colleghi che mi seguiranno.
  Il terzo e ultimo aspetto riguarda l'articolo 118 in materia di funzioni amministrative. Trovo molto opportuno il nuovo comma inserito, dove si afferma che le funzioni amministrative sono esercitate in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell'azione amministrativa, perché, anche da questo punto di vista, troviamo a livello costituzionale dei princìpi che invece fino a oggi trovavamo soltanto nella legislazione ordinaria. Sappiamo quanto siano importanti la semplificazione e la trasparenza amministrativa.
  Avrei solo un piccolo suggerimento di perfezionamento del testo. Il comma prosegue in questo modo: «secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori». Poiché il principio dell'efficienza, cioè del buon andamento, è già incluso nell'articolo 97, che cita anche l'imparzialità, suggerirei di aggiungere il principio di imparzialità – non farebbe male – oppure di sopprimere l'efficienza, perché a quel punto ci sarebbe il richiamo implicito all'articolo 97.
  Vi ringrazio per l'attenzione.

  ROBERTO CIAMBETTI, Assessore al bilancio e agli enti locali della giunta regionale del Veneto. Grazie per l'invito e anche per la disponibilità al cambio di scaletta degli interventi, perché la giornata è piuttosto animata e impegnativa.
  Abbiamo depositato alcuni documenti: uno con delle osservazioni puntuali e precise sull'articolato riferito alla Costituzione; uno un po’ più discorsivo con le criticità che mettiamo in evidenza; e infine Pag. 5la risoluzione approvata dal Consiglio regionale, dove c’è la richiesta, all'articolo 116, di prevedere il Veneto come Regione a statuto speciale.
  Mi permetto di fare qualche considerazione generale, per poi lasciare agli atti quello che vi ho depositato.
  Siamo assolutamente favorevoli al fatto che ci sia una revisione delle competenze in maniera chiara fra Stato e Regioni, anche per non incrementare ulteriormente il lavoro di molti avvocati che in questi anni hanno fatto fortuna sulle cause fra Stato e Regioni.
  Ciò nonostante, mi permetto di fare alcune osservazioni. La clausola della supremazia statale, come è presentata, secondo me, può condurre alla fine a un Senato delle autonomie senza un vero federalismo effettivo e senza competenze certe, con un ramo del Parlamento che potrebbe avere un'attività con scarso significato.
  Solo una contestuale forte devoluzione di poteri dal centro alle periferie, o almeno a quelle periferie che hanno dimostrato di sapersi amministrare con lungimiranza e capacità, giustifica in maniera forte il Senato delle autonomie, con competenze chiare e chiamato a pronunciarsi su forme articolate e differenziate di autonomia, anche con modelli già sperimentati, come, ad esempio, quello tedesco.
  Non vorremmo che ci fosse un Senato delle autonomie gravido di contraddizioni e magari con una difficile gestione.
  Peraltro, mi inquieta, anche da politico, pensare a una Camera dei deputati che possa avere scarsi poteri nei confronti di un Governo che sembra avere maggior peso, ovvero una Camera marginalizzata e svuotata delle sue prerogative. Se fosse così, staremmo assistendo a un processo di straordinario accentramento di poteri, non solo esecutivi ma anche decisionali, in un solo organo, il Governo, con tutti i rischi che questo comporta.
  Secondo me, in questo momento siamo ben lontani dalla combinazione dei princìpi di sussidiarietà e di responsabilità che costituiscono un faro anche in altre realtà dell'Europa più avanzate. Siamo anche lontanissimi da un processo di riforma per il rafforzamento dell'autonomia nella responsabilità, come già prefigurato nella legge delega n. 42 del 2009.
  Ricordo, peraltro, che il prossimo 21 novembre scade la legge delega senza che, dal Governo Monti, che ha attuato la legge n. 42 solo per Roma capitale, in poi, nessun Governo, specialmente quelli a investitura politica, l'abbia utilizzata come si sarebbe potuto fare.
  Oggi all'incontro tra le Regioni e i Sottosegretari Delrio e Bressa, l'espressione «costi standard» è stata usata in maniera importante, però mi auguro che dalla volontà espressa oggi si arrivi anche alla messa in pratica nei prossimi mesi, per fare qualcosa che sia veramente utile a questo Paese.
  Come sistema delle regioni e delle autonomie locali, dopo che nel 2001 la Bassanini ci ha dato maggiori deleghe e competenze che dovevano arrivare risorse adeguate al seguito, siamo arrivati ad avere zero risorse per quelle deleghe, mantenendo la responsabilità di quello che c’è stato trasferito.
  Non vorremmo che accadesse quello che è accaduto per le Province. Appena passata l'ubriacatura elettorale dei giorni scorsi, i presidenti delle neo Province stanno venendo a battere cassa in Regione per gestire viabilità e scuole, che sono materie delegate in maniera fondamentale con legge nazionale.
  Mi auguro che ci sia la volontà, anche nella riforma costituzionale, di riuscire effettivamente a dare peso e importanza al Senato delle autonomie e di attuare una ripartizione di deleghe, competenze e responsabilità, come sarebbe necessario per far funzionare la macchina statale.
  Mi fermo a questo punto e rimando alle osservazioni scritte che ho depositato. Grazie ancora per l'attenzione e per la disponibilità.

  MARIA ELISA D'AMICO, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano. Ringrazio dell'opportunità di potervi dare le nostre osservazioni su questo testo di Pag. 6riforma. Ho già trasmesso delle osservazioni scritte abbastanza dettagliate.
  Vorrei sapere, presidente, i tempi che ho a disposizione. I colleghi che mi hanno preceduto sono stati fulminei. Io, se il presidente lo consente, potrei dedicare qualche minuto in più, però le chiedo di dirmi lei, presidente, quanto tempo ho a disposizione.

  PRESIDENTE. Ha perfettamente ragione. È stata una mia dimenticanza. Siccome notavo che gli auditi rientravano tutti nei tempi, non l'ho detto. Il tempo a disposizione è di circa dieci minuti. Penso che sia un tempo congruo anche per dare spazio al dibattito.

  MARIA ELISA D'AMICO, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano. Benissimo. In dieci minuti riassumerò le annotazioni specifiche e partirò da alcune considerazioni di carattere generale.
  Da un punto di vista generale, premetterei che le finalità di questo progetto di riforma costituzionale sono pienamente condivisibili ed erano attese: il superamento del bicameralismo perfetto, la conseguente riconfigurazione del Senato e delle sue competenze, la revisione e la semplificazione del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni.
  Faccio solo un cenno più articolato a uno degli aspetti che hanno suscitato maggiore dibattito, non solo fra le forze politiche, ma anche tra gli studiosi, vale a dire la scelta di prevedere un meccanismo di elezione di secondo grado per i nuovi senatori.
  A mio avviso, si tratta di una soluzione coerente col sistema che si intende introdurre e, anzi, da esso necessitata, in considerazione sia delle differenti e meno ampie competenze legislative conferite al Senato sia della circoscrizione del rapporto di fiducia al solo circuito Camera-Governo. Per apprezzare al meglio questa scelta, visto che è stato uno degli elementi più conflittuali, non solo nell'ambito del Parlamento, ma anche nella società e fra gli studiosi, occorre, a mio avviso, provare a ragionare al contrario. Immaginiamo senatori eletti direttamente dai cittadini a cui venga sottratto il potere di dare o revocare la fiducia al Governo e ai quali sia interdetto esercitare la competenza legislativa in molte rilevanti materie.
  L'aspetto della trasformazione del Senato in Camera delle Regioni, eletta con un meccanismo di secondo livello e non più direttamente, a mio avviso, non limita la democrazia. Il fatto che ci sia una sola Camera politica che fa le leggi e con cui si instaura il rapporto politico fra Parlamento e Governo è un modo per far funzionare e decidere meglio, anche perché la democrazia possa migliorare. Non basta eleggere dei rappresentanti, ma occorre che questi facciano delle cose.
  Da questo punto di vista, io giudico positivamente tutte le misure nel progetto di riforma costituzionale volte alla razionalizzazione della forma di Governo parlamentare e all'eliminazione di alcune storture.
  Da un lato, si irrobustisce il potere del Governo, attribuendogli la facoltà di indicare disegni di legge da iscrivere prioritariamente all'ordine del giorno, con ciò imponendo alla Camera dei deputati di deliberare in via definitiva entro sessanta giorni dalla richiesta; ma, dall'altro lato, nel testo costituzionale si inseriscono alcuni paletti, che sono già stabiliti dalla legge n. 400 del 1988, alla decretazione d'urgenza del Governo, che, come sappiamo, è da sempre proliferata. Da sempre, l'articolo 77, in via di prassi, è stato trasformato profondamente. Questa è una delle cause di un cattivo funzionamento. Come ha detto la Corte Costituzionale nella decisione che ha dichiarato incostituzionale la prassi della reiterazione dei decreti-legge (la sentenza n. 360 del 1996), questa utilizzazione distorta dell'articolo 77 della Costituzione è in grado di alterare completamente la forma di Governo parlamentare. Tuttavia, una volta limitata dal punto di vista della reiterazione, purtroppo la decretazione d'urgenza è proliferata incostituzionalmente fino a oggi.
  Passo ora a un aspetto specifico che interessa anche alcune componenti della Pag. 7Commissione affari costituzionali con cui stiamo lavorando su questi temi da anni. Vorrei indicare positivamente l'articolo 55, comma secondo, che prevede che le leggi per l'elezione delle Camere dovranno promuovere l'equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza. Si impone che nella leggi elettorali ci sia un meccanismo, non di quota, ma di promozione di una rappresentanza paritaria.
  C’è un altro aspetto che vorrei sottolineare. Nel testo di riforma costituzionale, pur modificando il Titolo V della Costituzione, non si tocca il tema della Conferenza Stato-Regioni. Bisognerà prendere in considerazione che cosa ne sarà delle Conferenze rispetto al Senato delle Regioni e probabilmente alcuni compiti attualmente spettanti alla Conferenza dovranno essere in parte assorbiti dal nuovo Senato.
  Vengo ora alle osservazioni specifiche. Mi limiterò a prenderne in considerazione solo alcune.
  La più importante, su cui vi chiedo veramente di considerare una modifica o un'eliminazione, riguarda l'articolo 55, comma quinto, che credo sia il risultato di un emendamento votato a scrutinio segreto nell'ambito delle votazioni del testo esaminato dal Senato.
  In questo comma si afferma che il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali e, a questo punto, anziché nell'articolo 70, si introduce una competenza del Senato, il quale «concorre paritariamente nelle materie di cui agli articoli 29 e 32, secondo comma, nonché, nei casi e secondo modalità stabilite dalla Costituzione, alla funzione legislativa».
  Questo è uno degli aspetti più controversi, perché non solo rischia di introdurre un elemento irrazionale nella riforma, ma comprometterebbe definitivamente quello che invece potrebbe essere uno degli esiti molto positivi di questa riforma. Se c’è una sola Camera che assume le decisioni, sia pure con la possibilità per il Senato di rivedere e di chiedere modifiche, molta parte della società spera che si possano assumere le decisioni sulle cosiddette «materie eticamente sensibili» che oggi vedono le due Camere incapaci di decidere, anche per il rimpallo da una all'altra.
  Questa norma reintroduce una competenza paritaria proprio su queste materie. Sul piano formale, a mio avviso, è criticabile l'inserimento di questa scelta, relativa a un'importante competenza legislativa paritaria del Senato, nell'articolo 55 della Costituzione, anziché nell'articolo 70.
  Da un punto di vista più generale, si introduce una competenza di un Senato che non è più eletto direttamente dai cittadini e che non vota più la fiducia al Governo, su una materia su cui politicamente la maggioranza dovrebbe invece assumere le proprie scelte e averne la responsabilità.
  A me sembra che, introducendo questo meccanismo, sul fondo ci sia una visione assolutamente contraria allo spirito di questa riforma. Si può dissentire completamente sullo spirito e dire che questa riforma non va bene e che lasciamo inalterata la Costituzione, però, se si accettano positivamente la ratio e l'impostazione della riforma, il fatto di dare questa competenza anche al Senato non si giustifica ed è un elemento di totale irragionevolezza.
  Infatti, quest'idea del Senato che deve concorrere con la Camera nelle materie eticamente sensibili, in cui non basta la decisione politica e ci vuole una pausa di riflessione, mi sembra ostile in principio alla creazione di una democrazia decidente, in cui la Camera politica ha la forza e l'autorevolezza, pur all'esito di aspre divisioni, di assumere scelte nette e chiare al cospetto del corpo elettorale e dell'opinione pubblica.
  Peraltro, le conseguenze pratiche potrebbero essere enormi, perché l'interpretazione della materia famiglia e della materia salute potrebbe essere talmente estensiva che quello che facciamo uscire dalla porta potrebbe rientrare dalla finestra. A un certo punto si potrebbe pensare che qualsiasi riforma fiscale, siccome incide sulla famiglia, dovrebbe essere approvata paritariamente e così via.Pag. 8
  Ricordo qui, di fronte all'autorevolezza dell'organo legislativo, che il giudice costituzionale, in alcuni importanti momenti, come nel caso della decisione sulla fecondazione assistita, anche quando decide, comunque ricorda (sentenza n. 162 del 2014) che non è lui l'organo primariamente competente, ma interviene solamente in supplenza del legislatore. Dovrebbero in primo luogo essere queste le decisioni che devono essere prese dal potere rappresentativo.
  Questo è il primo punto su cui mi permetto di chiedere una modifica. Ho inserito tutte le annotazioni nel testo scritto, dove le potete ritrovare.
  Un altro aspetto che vorrei sottolineare è un collegamento fra l'articolo 57, comma primo, e il nuovo articolo 59 sui senatori eletti dal Presidente della Repubblica. Chiederei di introdurre formalmente il rinvio all'articolo 55 rispetto alla norma dell'articolo 59, perché altrimenti, in via di prassi, ci potrebbe essere un Presidente della Repubblica che non si sente limitato dal numero di cinque senatori e a cui potrebbe venire in mente di nominarne qualcuno in più.
  C’è un altro aspetto su cui mi permetto di dissentire, perché capisco profondamente la ratio della norma, però forse si potrebbe pensare a un modo diverso per risolvere il problema. Nell'articolo 64, ultimo comma, che è introdotto ex novo, si afferma che i membri del Parlamento hanno il dovere di partecipare alle sedute dell'assemblea e ai lavori delle Commissioni. Questo dovere non è sanzionato; potrebbero sanzionarlo, però, i regolamenti parlamentari.
  Una norma di questo tipo nega il valore politico dell'astensione dai lavori. Io capisco benissimo che questa norma è stata introdotta per rispondere a un malcostume, richiamando i parlamentari ai loro doveri principali. Tuttavia, mi chiedo se la scelta migliore sia introdurre un principio costituzionale che a quel punto limiterebbe politicamente un valore, cioè l'astensione dall'attività non perché si va al mare, ma come scelta politica.
  Mi domando se questo aspetto non possa essere risolto in modo diverso, vale a dire stabilendo dei meccanismi di trasparenza in cui ci sia una maggiore responsabilizzazione, proprio per creare una sorta di casa di cristallo in cui i cittadini vedono se quel parlamentare che hanno eletto, che magari ha chiesto i voti e ha fatto delle promesse, in realtà va al mare e non si presenta. Da questo punto di vista, un meccanismo di pubblicità forte del lavoro delle Commissioni e di quello che il parlamentare produce forse potrebbe raggiungere lo stesso obiettivo, senza mettere in pericolo un principio dell'autonomia del singolo parlamentare a cui non rinuncerei.
  Ho ancora qualche minuto ?

  PRESIDENTE. Sì, ha un paio di minuti.
  Colgo l'occasione per rendere noto che pochi istanti fa abbiamo ricevuto una comunicazione in seguito al termine della Conferenza dei capigruppo. L'inizio delle dichiarazioni di voto sulla fiducia non avverrà alle 17, come inizialmente si pensava, ma alle 16. Di conseguenza, abbiamo un'ora in meno e dobbiamo ridurre a un massimo di otto minuti il tempo a disposizione degli altri esperti che interverranno.

  MARIA ELISA D'AMICO, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano. Concludo al massimo in due minuti.
  Ho fatto delle osservazioni su alcuni aspetti che irrobustiscono le funzioni del Senato, ma che, secondo me, sono problematici nell'ottica di una Camera che non è più eletta direttamente dai cittadini, ma rappresenta l'istanza territoriale a livello regionale, la quale non può avere delle funzioni che possano mettere in dubbio la coerenza del circuito politico che si creerà solo fra la Camera dei deputati e il Governo.
  C’è poi il problema del ricorso a priori sulla legge elettorale, ma lo potete leggere nel testo scritto. È un problema tecnico molto interessante.
  C’è invece un aspetto su cui vi chiederei una riflessione. Mi riferisco al potere, di Pag. 9cui all'articolo 74 della Costituzione, di rinvio parziale da parte del Presidente della Repubblica prima della promulgazione, che sembra sottintendere anche il potere di promulgazione parziale.
  Questo potere viene chiarito sulla base della prassi e soprattutto del problema enorme relativo agli emendamenti eterogenei introdotti in sede di conversione del decreto-legge, che il Presidente della Repubblica è costretto a promulgare.
  Tuttavia, il potere di promulgazione parziale, se veramente fosse così (non c’è scritto, ma pare che sia così), darebbe al Presidente della Repubblica il potere di selezionare i disegni di legge, di dividere l'atto legislativo rispetto alla scelta del Parlamento e comunque di concorrere all'indirizzo politico, concorrendo sostanzialmente anche a decidere.
  Questo è un elemento che si giustificherebbe se pensassimo a una forma di governo presidenziale. Siccome non è così, vi invito a riflettere su questo punto.
  L'ultimo aspetto riguarda l'articolo 117 della Costituzione. Io vedo favorevolmente questa semplificazione e l'eliminazione della potestà concorrente, però occorre fare attenzione agli aspetti che riguardano, nella potestà esclusiva statale, il rinvio alle disposizioni generali, che sono una cosa diversa dai princìpi fondamentali, ma nel rapporto con le disposizioni specifiche di competenza regionale potrebbero creare ulteriori problemi.
  Mi permetto di fare un richiamo alla necessità di concentrarsi particolarmente sulla competenza in tema di salute, che ritorna allo Stato da un punto di vista generale, ma lascia alle Regioni un'ampia potestà organizzativa, perché oggi il regionalismo sanitario, a mio avviso, è una delle materie di maggiore squilibrio fra i diritti fondamentali dei cittadini.

  GIANMARIO DEMURO, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Cagliari. Tratterò un solo tema e poi trasmetterò un testo scritto su questo argomento.
  Vorrei concentrarmi sul tema del regionalismo in generale. Condivido molte delle cose che ho sentito poc'anzi dalla collega e amica Maria Elisa D'Amico, però vorrei concentrare qualche riflessione sull'anima della Costituzione, se vogliamo usare un'espressione un po’ forte.
  Nell'impostazione della Costituzione italiana, il tema della democrazia regionale è molto importante. È previsto dall'articolo 5 della Costituzione. Il decentramento nella storia del regionalismo – basterebbe semplicemente ricordare Laconi, Lussu e tanti altri in Assemblea costituente – era un pezzo della democrazia rappresentativa italiana.
  Condivido la riforma del bicameralismo e molte delle scelte previste nella revisione della Costituzione. Vorrei provare a chiedere lo sforzo alla Camera dei deputati e al Senato di riportare in forza l'idea iniziale del regionalismo in Italia, cioè il fatto che le Regioni contassero davvero e potessero avere autonomia legislativa.
  Da questo punto di vista, vi segnalo soltanto dei piccoli riferimenti. Laddove all'articolo 55 si afferma che il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali e all'articolo 57 si parla di senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali, io proverei a fare una riflessione in prospettiva della rappresentanza delle comunità territoriali. Questo era lo spirito della riforma dell'articolo 114 e dell'idea di una Repubblica fondata su varie comunità, secondo uno schema che potremmo definire «a matrice» della storia della Repubblica italiana.
  Il rischio è che con questa revisione, che peraltro ha il merito di riferire con chiarezza su alcuni temi, si possa perdere il tema della democrazia rappresentativa. Leggendo bene l'articolo 117 (lo avrete scritto, quindi sicuramente lo conoscete molto bene), emerge che la maggior parte delle competenze esclusive delle Regioni sono sostanzialmente amministrative.
  Devo dire che rispetto al testo precedente dell'articolo 117, alcune materie, quali la mobilità all'interno dalla Regione, la pianificazione (non più il governo) del territorio e altre che, a mio modo di vedere, sono molto importanti per le autonomie Pag. 10regionali vengono visti dal punto di vista dell'ordinamento amministrativo.
  Questo è un tema importante, però il rischio vero è che in questa riforma le Regioni si possano trasformare in dei grandi Comuni e, quindi, paradossalmente la funzione legislativa abbia poco senso, sempre che ne abbia mai avuto o che lo abbia avuto all'inizio dell'esperienza dell'autonomia regionale.
  Io vivo e insegno in Sardegna. Per noi l'autonomia speciale ha avuto un significato molto importante. Condivido l'ultima parte, laddove si prevede che gli statuti delle Regioni a Statuto speciale debbano essere definiti sulla base di intese, però il problema è che in prospettiva le intese partono da una matrice, quella dell'articolo 117, che sotto il profilo delle competenze legislative regionali è abbastanza debole.
  Potremmo parlare anche degli articoli 118 e 119. Da questo punto di vista, la prospettiva della revisione della Costituzione, a mio modo di vedere, deve riuscire a garantire il tema del regionalismo come si sarebbe dovuto avverare e non si è avverato per molti profili. A un certo punto, è parso che si potesse avverare per via legislativa, dalla legislazione Bassanini in poi, con la riforma di alcune parti sbagliate del Titolo V e la legislazione sul federalismo fiscale.
  Conosciamo tutti la Costituzione americana per la sua anima federalista. Mi piacerebbe che la prospettiva della Costituzione italiana potesse essere conosciuta per la capacità di integrare anche dal centro le comunità sotto il profilo delle autonomie regionali, un elemento su cui l'Italia era all'avanguardia. Quello della distribuzione a matrice delle realtà regionali è diventato un tema europeo, tant’è che il 2014 è stato l'anno della celebrazione del regionalismo.

  GIOVANNI GUZZETTA, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Alla luce delle tante audizioni che avete già fatto e delle cose che sono già state dette oggi, molte delle quali condivido, il mio sarà un intervento forse breve, ma certamente erratico. Mi concentrerò su cose spurie.
  Faccio una premessa: io credo che sia assolutamente apprezzabile la decisione del Parlamento di porre mano al bicameralismo, che rappresenta in questa forma un'anomalia assoluta nel panorama mondiale.
  Aggiungo che questa scelta, al di là delle soluzioni di merito, risponde evidentemente a due esigenze. Una è stato appena ricordata da chi mi ha preceduto: cogliere l'occasione per rivalutare o valorizzare diversamente il regionalismo. L'altra è compiere una decisione sulla forma di governo. Infatti, l'eliminazione della doppia fiducia è certamente una scelta che va nella direzione di una modifica significativa della forma di governo, soprattutto rispetto alle debolezze che questa forma di governo, pensata dal costituente, ha manifestato.
  Ciò ovviamente mette in luce anche il limite di questo intervento, che affronta i problemi sotto questa particolare visuale. A mio modo di vedere, ci sono certamente esigenze che andrebbero altrettanto curate, ma non spetta a me dire in questa sede quali e come. Io tendo a dire che questa è una riforma necessaria, ma probabilmente non sufficiente rispetto ai problemi che l'evoluzione del nostro sistema costituzionale ha mostrato.
  Fatta questa premessa, mi concentrerò su alcuni aspetti. È stato detto, però mi pare utile ribadire che evidentemente la scelta di eliminazione del bicameralismo perfetto fa sorgere il problema di compensare il Senato di ciò che ha perso.
  A questo proposito, condivido quello che hanno detto già in tanti. Non sempre la scelta di come compensarlo in termini di potere e di coinvolgimento nei processi di decisione e in particolare nei processi legislativi mi sembra felice. L'esempio degli articoli 29 e 32 da questo punto di vista è lampante, ma ce ne sono anche altri su cui nella relazione scritta posso tornare.
  Sul tema della composizione del Senato e delle modalità di elezione dei senatori, io ho manifestato anche prima di questa Pag. 11occasione l'idea che si potesse trovare un compromesso tra l'esigenza di un'elezione diretta e l'esigenza di una elezione esclusivamente regionale. Ciò potrebbe avvenire attraverso la previsione costituzionale di meccanismi che impongano alle leggi elettorali regionali di consentire all'elettore di graduare il consenso dei consiglieri regionali. Questo è possibile praticamente con qualsiasi sistema elettorale. Nello scegliere i consiglieri regionali, l'elettore potrebbe contemporaneamente realizzare una sorta di ranking tra di loro in termini di consenso e consentire loro di essere anche senatori.
  Non si tratta di lasciare la scelta diretta ai cittadini con un meccanismo separato, che ha tutti gli inconvenienti che sono già stati ricordati, né di far sì che siano i gruppi parlamentari, attraverso i loro accordi, a selezionarli, bensì di fare in modo che la legge elettorale regionale consenta ai cittadini, nello scegliere i consiglieri regionali, di graduarne la loro importanza. Tuttavia, temo che questo sia un punto di compromesso non modificabile.
  Malgrado siamo in un'epoca in cui la prospettiva bipolare sembra essere stata abbandonata, io continuo ad avere un po’ di nostalgia dell'idea per cui la competizione elettorale era soprattutto una competizione per il Governo tra una potenziale maggioranza e una potenziale opposizione.
  Da questo punto di vista, secondo me, la modifica dell'articolo 64, in cui si fa riferimento, come sempre tralaticiamente, al plurale ai diritti delle minoranze che i regolamenti dovrebbero assicurare, dovrebbe essere integrata con un riferimento all'opposizione.
  È chiaro che ci possono essere tante minoranze, però, nella vita fisiologica di un ordinamento, qualora sia un ordinamento che funziona in termini competitivi, come ha aspirato a essere il nostro negli ultimi venti anni, secondo me, bisognerebbe avere una cura particolare per la minoranza più significativa, che si chiama «opposizione».
  Dopo esserci lamentati di un bipolarismo aggressivo, probabilmente sarebbe utile che il diritto parlamentare e la Costituzione, nella misura in cui lo regola, propiziassero invece un ruolo di responsabilizzazione dell'opposizione nei confronti della maggioranza, come avviene in alcune delle democrazie avanzate.
  Anch'io sono d'accordo con la considerazione che sembra un po’ elusa la domanda su cosa il Senato rappresenti e cosa i senatori rappresentino. Se rappresentano istituzioni, allora sembra quasi contraddittorio dire che non hanno vincolo di mandato. Nel modello tedesco, i membri del Bundesrat rappresentano i governi regionali e, quindi, agiscono su mandato di questi ultimi.
  Forse è più corretto dire che, così come i membri delle Camere rappresentano la Nazione, i membri del Senato rappresentano le comunità territoriali oppure la Nazione, inducendoli ad assumere una posizione che sia sempre nell'interesse generale, malgrado la loro provenienza. Bisogna fare una delle due scelte. Questa mi sembra piuttosto infelice.
  Sul rinvio parziale delle leggi, secondo me, sarebbe opportuno chiarire se questo rinvio implica la possibilità di promulgazione parziale ovvero circoscrive il procedimento e l'oggetto della nuova deliberazione delle Camere, per cui il Presidente, rinviando parzialmente una legge, consente alle Camere di riapprovare esclusivamente quell'articolo o quegli articoli, senza dover seguire nuovamente il procedimento, così come già previsto. Secondo me, questa è un'opportunità di ecologia procedimentale che si dovrebbe sfruttare.
  Un altro punto, a mio avviso, non chiaro è quello che riguarda l'autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, che viene attribuita, se non sbaglio – il testo, come ben sapete, è molto complesso – alla Camera dei deputati.
  Qui sorge il problema che i trattati internazionali possono incidere su materie sulle quali il Senato ha competenza interna. Vedo un'asimmetria tra una competenza generalizzata alla Camera nell'autorizzare la ratifica dei trattati internazionali Pag. 12e il fatto che quei trattati possono riguardare materie sulle quali il Senato a livello interno ha una competenza.
  Affronto altri due punti, di cui uno provocatorio, che è il seguente. L'articolo 88 disciplina il potere di scioglimento del Presidente della Repubblica, che ovviamente si limita a una sola Camera.
  Poiché, come dicevo all'inizio, mi pare che questa riforma riguardi, seppur parzialmente e indirettamente, la forma di governo, mi chiedo se non potrebbe essere questa l'occasione per fare i conti con un tema che gli ultimi vent'anni ci hanno sistematicamente proposto davanti agli occhi. Mi riferisco al vincolo, che il Presidente della Repubblica sente allorché ci sono crisi di Governo, di cercare una maggioranza purchessia per formare un nuovo Governo.
  Non dico che questo modello, che appartiene al parlamentarismo di tipo classico, dovrebbe essere rovesciato, ma probabilmente si potrebbe fare un accenno al fatto che il Presidente si possa sentire libero, sulla base di una valutazione, di sciogliere le Camere, anche considerando che, pur essendo possibile sulla carta un'altra maggioranza, questa sarebbe talmente distonica rispetto ai risultati elettorali da determinare una situazione di scollamento.
  Io penso che questa opportunità potrebbe essere sfruttata, ovviamente senza stabilire lo scioglimento automatico in caso di ribaltone o cose del genere, ma offrendo quantomeno al Presidente della Repubblica la possibilità di discostarsi, se lo ritiene, dalla consuetudine, che si ritiene tuttora esistente, per cui un governo purchessia va fatto. Peraltro, questa consuetudine non appartiene nemmeno alla tradizione del diritto parlamentare. È vero che nel Regno Unito il potere di scioglimento non è esclusivamente nelle mani del Primo Ministro, però la dottrina inglese è molto attenta nel dire che la regina o il re possono negare lo scioglimento al Primo Ministro che lo chiede solo quando abbiano la convinzione che si possa formare un Governo che abbia possibilità di durare tanto o più di quello a cui negano lo scioglimento.
  Concludo sull'articolo 117. È vero che è stata eliminata la competenza concorrente, però sono state introdotte talmente tante norme in cui si prevede una competenza sulle norme generali da parte dello Stato che ho la sensazione che sia il gioco delle cose che escono dalla porta e rientrano dalla finestra. Forse anche su questo bisognerebbe fare una riflessione, ma non ne ho il tempo. Vi ringrazio e chiedo scusa per aver abusato del tempo a disposizione.

  IGNAZIO LAGROTTA, Professore aggregato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Bari «Aldo Moro». Tenuto conto dei tempi limitati che il presidente ha prospettato, ho cambiato in parte l'angolo di visuale del mio intervento.
  Ringrazio innanzitutto per l'invito. Ho seguito con attenzione, attraverso i mezzi che sono stati messi a disposizione dalla Camera come la trasmissione sulla web-tv, le audizioni che sono state svolte. Mi sono fatto un'idea, sentendo i colleghi che sono intervenuti e leggendo i pareri della dottrina.
  Tutto ciò mi ha fatto venire in mente due movimenti artistici dell'inizio del 1900, il concretismo e l'astrattismo, collegando il primo a coloro i quali sono favorevoli ad ogni costo alla riforma costituzionale e il secondo a coloro che leggono la realtà come vorrebbero che essa fosse ma non è e applicando questo concetto anche ai testi costituzionali e alla nostra Costituzione in particolare, questi ultimi rientrerebbero tra quelli che sono sfavorevoli a tutti i costi alla riforma.
  Tra queste due posizioni, io vorrei collocarmi in quella dei realisti, ovvero di mediazione. Chiamiamola così, anche se non so se l'espressione è corretta. Realista in che senso ? Io credo che una riforma costituzionale probabilmente questa volta si farà. È ovvio che non abbiamo la sfera di cristallo, ma quello che è avvenuto negli ultimi anni in Italia e la spinta dei partner europei e dei mercati, che può non piacere Pag. 13– a me, onestamente, non piace questo condizionamento per riforme di questo genere – ci portano a ritenere che probabilmente questa volta si farà.
  Rinvierò al testo scritto che ho consegnato alla presidenza le analisi puntuali di alcuni punti che possono essere opportuni per la Commissione e per la Camera dei deputati, se riterrà, come io spero, di operare delle modifiche.
  Quello che si può fare in questa sede, in pochi minuti, è una riflessione di carattere metodologico, che non è mancata, anzi tutti gli interventi, ben più autorevoli del mio, l'hanno portata all'attenzione di questa Commissione. In che senso di carattere metodologico ? Innanzitutto va sottolineato il carattere disomogeneo del disegno di riforma, che affronta, come è stato detto, la forma di governo e il Titolo V, mettendoli insieme attraverso il procedimento di revisione di cui all'articolo 138 e gli eventuali ulteriori passaggi per arrivare alla possibilità, anzi in questo caso all'obbligatorietà (lo spero) di un referendum confermativo.
  Io non sapevo che oggi sarebbero stati invitati illustri docenti. È presente, ad esempio, il professor Pace, che immagino si soffermerà – semmai, lo farà dopo questa mia sollecitazione – su un passaggio molto importante, che fa riferimento anche ad alcuni interrogativi che forse proprio chi presiede oggi questa Commissione ha sollevato in qualche suo intervento. Mi riferisco alla legittimazione di questo Parlamento a poter operare, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 2014.
  Rispetto a questo tema, alla luce di quello che sta avvenendo, è evidente che questo Parlamento sta legiferando e sta operando. Non credo che si possa ritenere che se fa le leggi ordinarie non possa fare la riforma costituzionale. Dobbiamo prendere il fatto così come è.
  Tuttavia, c’è una ragione di opportunità politica. Qual è la motivazione che ha portato alla dichiarazione d'incostituzionalità, tra le tante ? Quella delle maggioranze: una maggioranza relativa sostanzialmente pari di tre schieramenti politici, dei quali uno ha preso il 27 o il 29 per cento e ha una maggioranza parlamentare molto ampia. Con quali maggioranze approviamo il progetto di riforma costituzionale ? La maggioranza assoluta, almeno come maggioranza minima in seconda lettura.
  Questo cosa ci porta a dire ? È evidente che l'assetto costituzionale che era stato pensato originariamente in una certa maniera oggi viene inciso. Un Parlamento, seppur non da un punto di vista di illegittimità e, quindi, di non possibilità ad operare, si trova nelle condizioni, da un punto di vista di opportunità politica, di valutare che, se ci sarà un progetto di riforma costituzionale così ampio e disomogeneo, questo venga quantomeno portato all'attenzione attraverso il referendum confermativo.
  I problemi di carattere metodologico quali possono essere ? È un po’ come quando si opera con un paziente. Quando c’è un malato, il dottore cosa dovrebbe fare ? Analizza qual è la patologia e poi applica una terapia. Io non vorrei che la Camera dei deputati in questo caso potesse essere responsabile di colpa grave qualora non si analizzasse qual è la patologia che affligge il nostro sistema e qual è la terapia efficiente per poterla risolvere.
  Faccio due esempi e poi rinvio al testo scritto: bicameralismo perfetto e assetto delle competenze legislative. Siamo veramente convinti ? Credo che ormai sul problema della «fiducia monocamerale» ci sia una trasversale adesione e forse anche una pressione psicologica, perché sembra una semplificazione.
  Siamo sicuri che il bicameralismo perfetto abbia prodotto veramente i problemi che ci sono nel nostro Paese ? È un problema di carattere costituzionale o un problema di carattere politico ? La simmetria tra le due Camere è stata creata grazie a un problema costituzionale o ad una legge elettorale che ha determinato una discrasia tra i premi di maggioranza nella Camera dei deputati e nel Senato della Repubblica, la quale determina poi lo squilibrio che evidenzia una crisi del sistema politico ?Pag. 14
  Se analizziamo la situazione dal punto di vista legislativo – le statistiche non mentono – il Senato della Repubblica nella XVI legislatura evidenzia come il problema dei passaggi tra una Camera e l'altra dei provvedimenti legislativi sia praticamente nullo e non possa determinare un rallentamento della macchina.
  Nella XVI legislatura vengono approvati con due letture 301 provvedimenti, di cui 131 in ratifica e 82 decreti-legge; con tre letture 75 provvedimenti, dei quali 24 decreti-legge; con quattro letture solo dodici e con oltre quattro letture solo tre.
  Per quanto riguarda la tipologia, ben venga che su alcune leggi che coinvolgono le coscienze, quali quelle sui temi eticamente sensibili, ci sia un dibattito ampio, perché sono leggi che, se vanno fatte, vanno fatte con un consenso ampio.
  Il problema, dunque, è legislativo ? È questo il motivo per cui modifichiamo il bicameralismo ? Non lo so. Da questo punto di vista, se va bene la questione del rapporto fiduciario, vanno un po’ meno bene i poteri che attribuiamo al Senato.
  Non ritorno su ciò che è già stato detto, ma c’è un aspetto che non è emerso oggi. Dal punto di vista numerico, le proiezioni confermano un assetto di espressione che vede la Lombardia con quattordici senatori e Regioni che ne avranno due.
  Se l'assetto di questo Senato deve essere realmente di rappresentazione delle istituzioni territoriali, uno degli aspetti che è ampiamente condiviso, tratto anche da esperienze di tipo comparato, è che ci deve essere una rappresentanza più o meno omogenea. Il divieto di mandato imperativo diventa la conseguenza logica di un mandato che deve essere espressione di quelle territorialità, con un voto che deve essere omogeneo, come avviene in Germania. Altrimenti replichiamo, in una Camera che non dovrebbe avere più un assetto di tipo politico, le dinamiche della politica, che sono di contrapposizione.
  Bisogna fare una scelta, come è stato detto dal professor Guzzetta. Sotto questo profilo il suo intervento è coincidente con il mio. Va fatta una scelta: stabiliamo quali sono le problematiche e come le vogliamo risolvere, e facciamo una riforma che vada in quella direzione. Altrimenti, la situazione diventa abbastanza schizofrenica.
  Su un altro punto sono forse un po’ in distonia, almeno in apparenza, con quanto sentito dalla maggioranza degli intervenuti. Riguardo all'articolo 117 e alle competenze legislative, mi sembra che la riforma non faccia buon esercizio dell'esperienza che deriva dalle sentenze della Corte Costituzionale, che, come sappiamo, ha di fatto ridisegnato l'articolo 117, attraverso le sue pronunce, forse non sempre condivisibili al 100 per cento, perché in alcuni casi mortificanti delle autonomie territoriali. C’è una ricentralizzazione.
  Sotto questo profilo, però, io mi sento di dire che un ripensamento sulla competenza concorrente sia fondamentale. È vero che può rientrare dalla finestra, però giochiamo sempre sull'equivoco. O facciamo come nel 2001, cioè scriviamo delle regole poche chiare che poi sono oggetto di conflitto dinanzi alla Corte Costituzionale, o cerchiamo di scrivere delle regole che, in linea con quello che è già stato tracciato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, ci consentano di avere un sistema che funzioni meglio.
  Credo che vada favorita la responsabilità tra gli organi istituzionali. Come ? Si può favorire attraverso degli strumenti che siano flessibili. La rigidità delle materie ha già scontato la sua sanzione disciplinare, quindi andare di nuovo sulle materie non è proprio la scelta migliore.
  Volendo individuare delle materie, avendo saputo che ci sono materie non materie e competenze trasversali, eliminare proprio la competenza concorrente, che, nella sua flessibilità intrinseca, consentiva un dialogo tra la periferia e il centro, secondo me, è un'ulteriore situazione in controtendenza rispetto all'obiettivo auspicato.
  Concludo con l'ultima parte dell'articolo 117, che conferma la clausola di residualità. Tutto quello che non è stato previsto in ciò che è stato scritto in maniera molto più ampia oggi diventa di competenza delle Regioni. Questo mi sembrerebbe Pag. 15mantenere un ulteriore elemento di conflitto. Se si volevano evitare i conflitti, si poteva essere più chiari.

  MICHELA MANETTI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Siena. Vi ringrazio dell'invito a discutere una riforma così importante.
  La riforma del Senato appare abbastanza equilibrata, considerando le finalità che si proponeva. Al riguardo faccio soltanto due osservazioni e suggerisco dei perfezionamenti, secondo me, indispensabili.
  In primo luogo, torno sul tema della rappresentanza. Il Senato rappresenta le collettività territoriali, più che le «comunità». Se vogliamo dire che rappresenta le istituzioni territoriali, va bene, però non contrapponiamolo in questo alla Camera, affermando che la Camera rappresenta la Nazione e il Senato no, perché si potrebbe fare l'errore di identificare il Senato con le autonomie e la Camera con lo Stato.
  Invece, sia la Camera che il Senato sono organi dello Stato. Sia la Camera che il Senato sono legittimati dal voto popolare. Anche se il Senato è legittimato in via indiretta e in secondo grado (cosa che non fa scandalo perché succede anche in altri Paesi e per altre istituzioni), è comunque un soggetto legittimato dal voto popolare, che risponde davanti a tutti gli elettori e non davanti a coloro che l'hanno materialmente eletto in seno al Consiglio regionale.
  Pertanto, bisogna assolutamente mantenere la formula originaria dell'articolo 67, che afferma «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione, senza vincolo di mandato».
  Se si vuole poi specificare nel nuovo articolo 55 che il Senato rappresenta le istituzioni, o meglio le collettività territoriali, va bene (lo fanno anche in Francia e in Spagna), però senza contrapporre – lo ripeto – alla Nazione queste istituzioni. Questo sarebbe infatti un regalo non dovuto alle istanze separatistiche o secessionistiche.
  Lo stesso problema, secondo me, sta dietro al fatto che non è stato precisato il modo in cui verranno composte le Commissioni del Senato. Mentre alla Camera naturalmente le Commissioni sono composte in modo da rispecchiare la proporzione tra i gruppi. Credo che questo lasci spazio alla possibilità, già ventilata in passato, come sapete benissimo, di costituire delle Commissioni per aree territoriali presuntamente omogenee, che abbiano degli interessi contrapposti ad altre aree, per esempio Nord e Sud.
  Onde evitare simili conflitti, dovrebbe essere, a mio avviso, precisato che anche al Senato le Commissioni sono composte in modo proporzionale. Oltretutto, il sistema di elezione da parte dei Consigli regionali è proporzionale, quindi è logico che la composizione rispecchi degli equilibri politici. Non c’è niente di male. La rappresentanza territoriale non è e non può essere in contrasto con la rappresentanza politica.
  La seconda osservazione, relativamente alle competenze del Senato, riguarda il timore che molti nutrono, di troppe dichiarazioni di incostituzionalità delle leggi per vizi in procedendo, in quanto sarebbe facile sbagliare nello scegliere il procedimento legislativo appropriato.
  Personalmente, sono fautrice dell'incostituzionalità per vizio in procedendo, ma in questo caso penso, che se venisse prevista, come era stata già prevista in altre proposte, un'intesa dei Presidenti delle Assemblee sulla scelta del procedimento legislativo, quest'intesa non sarebbe sindacabile né dal Capo dello Stato né dalla Corte Costituzionale. Nella sua concezione processualistica del procedimento parlamentare, infatti, Alessandro Pizzorusso ci ha insegnato che alcuni vizi possono essere sanati se sono previste delle forme per farlo. Se dunque ci fosse un vizio, nel senso che sia stato scelto un procedimento sbagliato rispetto alla distribuzione costituzionale delle competenze, l'intesa tra i Presidenti lo sanerebbe definitivamente. Questo è fondamentale perché, naturalmente, Pag. 16non possiamo esporci al rischio ripetuto di incostituzionalità per vizi del genere.
  L'unica incognita è che l'intesa non sia raggiunta, caso di scuola, ma che non possiamo escludere. In questo caso, secondo me, deve essere permesso al Presidente dell'Assemblea che si senta pregiudicata di rivolgersi alla Corte Costituzionale in termini brevissimi, e in termini altrettanto brevi la Corte dovrebbe decidere quale procedimento scegliere rispetto a un certo disegno di legge. Non vedo alternative. Oltretutto, il controllo preventivo su questo tema impedisce che le leggi siano impugnate e invalidate successivamente. D'altra parte, se non si raggiunge l'intesa, ipotesi di scuola, come ripeto, ma che non possiamo escludere, soprattutto nei primi tempi – non sappiamo come si orienterà questo Senato rappresentativo delle collettività territoriali – dobbiamo dare alla Corte Costituzionale questa competenza.
  Passo alla seconda parte delle mie osservazioni, che riguardano il disegno complessivo della riforma, che, come è stato detto mille volte, è chiaramente indirizzato a semplificare il procedimento legislativo e a rafforzare il potere del Governo all'interno di questo procedimento. Lo si vede non solo dal voto a data certa, che è il simbolo di quest'atteggiamento, ma anche dal fatto che sia stato eliminato in via generale l'esame in Commissione dei disegni di legge, previsto dalla Costituzione obbligatoriamente.
  La Commissione infatti era la sede storica in cui il Parlamento faceva e fa le leggi. In Commissione si sono sempre create le leggi, senza nessun limite, senza remore, senza condizionamenti di sorta. Adesso, questa possibilità dell'esame in Commissione è mantenuta per le leggi paritarie, mentre negli altri casi non è prevista. Questo vuol dire che la riforma ufficializza il fatto, come è nella pratica almeno da vent'anni, che la legge non si fa più in Parlamento. A torto o a ragione, è così.
  Nel momento in cui, però, prendiamo atto di questo, e quindi cambiamo anche le regole, dobbiamo renderci conto che esiste un prezzo, che gli altri Paesi che hanno fatto la stessa scelta – di dare al Governo il dominio del procedimento legislativo – sono disposti a pagare. Questo prezzo consiste nel garantire alle minoranze alcune forme di tutela, che non mirano al trasferimento della discussione parlamentare mancata davanti al giudice costituzionale – questo non è possibile, perché ormai la discussione parlamentare è ridotta, ristretta – ma all'impugnazione di determinati provvedimenti dei quali si sospetti che ledano diritti o princìpi costituzionali davanti alla Corte. Secondo me, questa tutela è indispensabile, perché è la grammatica del diritto costituzionale a richiederla.
  Nel momento in cui si rafforzano i poteri del Governo in Parlamento – scelta legittima, come ripeto – questi debbono essere compensati da un contrappeso, che non può essere altro che la tutela delle minoranze, non più protagoniste del lavoro parlamentare, in un'altra sede, ripeto non politica, ma giurisdizionale, per i casi estremi di violazione della Costituzione.
  Da questo punto di vista, il testo del disegno di legge non è soddisfacente, anzitutto perché parla dei regolamenti parlamentari come sede in cui sono tutelati i diritti delle minoranze, mentre questi diritti devono essere previsti in Costituzione, come già lo sono alcuni. Se si vuole prevederli nel regolamento, bisogna almeno aggiungere che quest'ultimo è sindacabile dalla Corte costituzionale.
  Tra l'altro, con la sentenza 120 del 2014, la Corte ha finalmente aperto alla sindacabilità dei regolamenti parlamentari, in sede di conflitto tra poteri. Il fatto è però che le minoranze parlamentari non sono, secondo la giurisprudenza costituzionale, poteri dello Stato. Se, quindi, la legge di revisione costituzionale non specifica che le minoranze sono abilitate a impugnare i regolamenti parlamentari per la tutela dei loro diritti, è difficile che la Corte Costituzionale di sua iniziativa possa ammetterlo. È dunque essenziale introdurre una simile precisazione.Pag. 17
  La tutela delle minoranze deve altresì essere assicurata dal controllo della Corte sulla verifica dei poteri, che in questi vent'anni ha dimostrato di dare luogo ad abusi inimmaginabili. La verifica dei poteri alla Camera e al Senato deve poter essere impugnata dagli interessati, anche in questo caso con termini brevissimi, secondo il modello tedesco.
  È essenziale comunque estendere la previsione che riguarda l'impugnazione della legge elettorale su azione di un terzo dei membri delle Camere, sino a ricomprendervi tutte le leggi che siano considerate dalle minoranze lesive dei princìpi o dei diritti costituzionali. Naturalmente, sarà il legislatore costituzionale a stabilire quanti parlamentari debbano poter agire in giudizio, e quindi a rendere più o meno facile questo tipo di ricorso, ma a mio avviso è indispensabile capire che anche di fronte agli altri Paesi che ammettono questi tipi di tutele non possiamo continuare a fingere di non averne bisogno. Ne abbiamo bisogno perché il nostro parlamentarismo è cambiato.
  L'ultimo punto riguarda la promulgazione da parte del Capo dello Stato. Come diceva la collega Maria Elisa D'Amico, il testo è molto ambiguo, perché non si capisce che cosa si intenda per rinvio parziale. Siccome il rinvio parziale c’è sempre stato finora, (il Capo dello Stato difficilmente rinvia una legge perché tutta completamente illegittima), se ha un senso questa norma, vuol dire che si vuole consentire al Capo dello Stato di promulgare parzialmente, cioè di rinviare in parte, ma di promulgare il resto.
  Secondo il mio giudizio, questo non è possibile, perché fa del Capo dello Stato un coautore della legge. Se anche il Parlamento volesse aderire ai rilievi del Presidente della Repubblica, potrebbe scoprire che, cambiando le norme che sono state rinviate, è necessario cambiare anche il resto della legge, quindi dovrebbe approvare una nuova legge. A quel punto, avremmo davanti all'opinione pubblica un conflitto palese – del quale secondo me non abbiamo bisogno – tra un testo che è stato promulgato dal Capo dello Stato, in quanto voluto soltanto dal Capo dello Stato, e un altro voluto dal Parlamento.
  Certo il presupposto è che il Capo dello Stato dovrebbe fare quest'operazione soltanto quando le parti da, rispettivamente, rinviare e promulgare sono chiarissimamente separabili, cioè disomogenee; ma questo criterio della separabilità è politico, come ci insegna la giurisprudenza della Corte.
  Nel momento in cui il Capo dello Stato dovesse decidere quale parte sia separabile e quale no, diventerebbe dunque coautore della legge, e quindi anziché essere un garante verrebbe, irretito nel gioco politico.
  Consentitemi di dire un'ultima cosa: la possibilità di prolungare la durata del decreto-legge a novanta giorni come sottospecie di questa promulgazione parziale è, secondo me, dannosa. Già i sessanta giorni producono effetti irreversibili, figuriamoci novanta. In ogni caso, lo stesso Capo dello Stato ha ammesso che, quando c’è un rinvio del genere della legge di conversione, il Governo può reiterare il decreto-legge perché ci sono nuovi motivi di necessità e urgenza, non dipendenti dal Governo, ma appunto dal rinvio operato dal Capo dello Stato. Si potrebbe, dunque, tranquillamente reiterare il decreto-legge da parte del Governo per quelle parti che il Presidente non ha rinviato.

  ALESSANDRO PACE, professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Vi ringrazio preliminarmente dell'invito.
  Data la brevità del tempo previsto a mia disposizione, mi limiterò a trattare dei problemi connessi alla modifica della forma di Governo. Tuttavia, ritengo doveroso premettere nel merito due rilievi pregiudiziali che lasceranno il tempo che trovano, ma che, per onestà nei confronti della mia professione di costituzionalista, non posso non fare.
  Il primo è stato ricordato dal professor Lagrotta. Si tratta della tesi, che ho ripetuto mille volte, sulla delegittimazione di questo Parlamento in conseguenza della sentenza n. 1 del 2014. L'ho motivata Pag. 18tante volte e qui l'ho richiamata nel testo che ho consegnato alla presidenza.
  La seconda è una questione che ho visto che non è mai stata sollevata finora. Quella in discussione è un'ennesima legge costituzionale dal contenuto disomogeneo, ma migliore delle precedenti, perché è un disomogeneo netto. Da un lato, tratta della forma di Governo, dall'altro, della forma di Stato. Se restasse così, se dovesse esserci il referendum confermativo, credo che, avendo gli elettori un unico voto, si determinerebbe, in violazione della sovranità popolare e della libertà dei cittadini, una coercizione nei confronti dell'elettore che sia d'accordo sulla forma di Governo ma non su quella di Stato o il contrario. A mio modo di vedere, come ho già detto in Senato, sarebbero stati opportuni due autonomi disegni di legge costituzionale.
  Passo al merito. Qui credo di essere l'unico radicalmente critico di questo disegno di legge. È indubbio che, se fosse approvato con questo testo e in più con l’Italicum o con un'altra legge che desse un premio di maggioranza alla lista e così via, come risultato avremmo una Camera dei deputati priva di contropoteri. Tutti i poteri starebbero là, a partire dall'elezione del Presidente della Repubblica.
  Questo, però, va contro le premesse democratiche del nostro sistema istituzionale. Sono andato a rileggere uno studio, famoso per l'autorevolezza dello studioso, Giuseppe Guarino, intitolato Riflessioni sui regimi democratici nel quale si legge: «In una democrazia fondata sulla sovranità popolare il potere deve essere ripartito tra più soggetti e organi in modo che nessuno di essi sia in condizione di sopraffare gli altri. La pluralità degli organi costituzionali comporta che questi siano reciprocamente indipendenti e si trovino in una condizione di equilibrio tale da garantire in modo effettivo il ruolo che a ciascuno di essi è attribuito».
  Di qui un'ineludibile alternativa o passare al monocameralismo con un sistema elettorale proporzionale con adeguate garanzie per la minoranza e il Senato composto così come previsto nel disegno di legge Costituzionale, cioè da consiglieri regionali e sindaci, ma dotato soltanto di poteri consultivi e non legislativi, oppure superare il bicameralismo perfetto, e quindi da un lato attribuendo alla sola Camera dei deputati eletta con sistema maggioritario il rapporto fiduciario col Governo, e la prevalenza nella funzione legislativa, e dall'altro attribuendo al Senato eletto dal popolo su base regionale un maggior numero di componenti qualche ulteriore potere nell'esercizio dalla funzione legislativa come dirò tra poco.
  Perché quest'alternativa ? Perché nella configurazione data dal disegno di legge al nostro esame il Senato si pone in contraddizione con un altro principio fondamentale del costituzionalismo moderno. In un sistema democratico nel quale la sovranità spetta al popolo, la legislazione in senso stretto rinviene infatti la sua legittimità nel mandato diretto che gli organi a ciò abilitati hanno ricevuto dal popolo. L'organo che fa le leggi, quindi, deve essere eletto direttamente dal popolo.
  Per contro, il disegno di legge costituzionale al nostro esame attribuisce al Senato addirittura la partecipazione alla funzione di revisione costituzionale, la funzione legislativa ordinaria, ancorché con limiti e condizioni, nonché l'elezione di ben due giudici costituzionali, tutto ciò senza essere eletto a suffragio universale. È non solo errato ma soprattutto fuorviante definire elezione la designazione tra i propri componenti compiuta dai consigli regionali e dai consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano nonché tra i sindaci.
  Né si dica, come ha osservato il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, la cui tesi è stata ripresa oggi dalla professoressa D'Amico, che se fosse ribadita l'elettività diretta del Senato, si dovrebbe allora riconoscergli anche la titolarità del rapporto fiduciario. Sono due cose diverse. Mentre è la logica democratica a imporre che la funzione legislativa debba essere esercitata da rappresentanti del popolo, il conferimento alla sola Camera della titolarità del rapporto fiduciario costituisce una soluzione di mero diritto positivo.Pag. 19
  L'auspicata riaffermazione del principio democratico dell'elezione popolare dei senatori avrebbe, oltretutto, il grande merito, onorevole presidente, di evitare che le funzioni di senatore siano svolte contemporaneamente alla carica di consigliere o di Sindaco, come deriva dalla lettura congiunta dei commi secondo e quinto del futuro articolo 57, il che implicherebbe che essi sarebbero necessariamente dei senatori part time, che farebbero male i consiglieri e male i senatori. Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento ha parlato di due giorni da una parte a tre dall'altra, il che è indicativo che sarebbe un impiego part time.
  Mi preoccupa il fatto che il Presidente della Repubblica sia eletto da questa specie di «Leviatano» posto al centro del nostro sistema. La soluzione prudenziale approvata dal Senato, secondo la quale solo a partire dall'ottava votazione 366 voti sarebbero sufficienti a eleggere il Presidente della Repubblica, non risolve il problema. Abbiamo molti esempi sotto gli occhi: quando si vuole arrivare a un certo risultato, altro che 20 votazioni sono sufficienti per escluderlo.
  Per me, qui si dovrebbe tornare a quanto è stato detto da tanti all'inizio: perché la Camera dei deputati 630 e il Senato 100 ? Invece, 400 e 200, 450 e 200 e si risparmiano le indennità di questi benedetti 250 senatori che il premier vorrebbe togliere di mezzo, ma almeno avremmo anche una Camera dei deputati più agile e nel contempo con i 200 senatori anche l'elezione del Presidente della Repubblica potrebbe essere più garantita.
  Ammesso pure il superamento del bicameralismo perfetto, deve comunque essere sottolineato che ci sono tipi di legge che non possono essere riservati, anche se restano così le cose, alla sola Camera. È il caso dell'amnistia e dell'indulto, delle deliberazioni relative allo stato di guerra o di deliberazioni analoghe, delle leggi di conversione dei decreti-legge, quanto meno nelle materie sulle quali il Senato potrebbe astrattamente esercitare la funzione legislativa, il che oltre tutto costituirebbe un deterrente all'abuso della decretazione d'urgenza, come sembrerebbe rispondente allo spirito del futuro articolo 77, ma non alla prassi del Governo Renzi, che proprio non ci si ritrova nel disegno di legge che ha redatto lui stesso.
  Infine, allo stesso modo mi sembra di dover dire che il Senato deve poter «mettere becco» su alcune leggi di maggior rilievo, come quelle che disegnano il quadro autonomistico della Repubblica, nonché sulle materie che toccano la vita quotidiana di tutti i cittadini, quali la disciplina della cittadinanza, l'istruzione scolastica e universitaria e così via.
  Sottolineo, infine, e con ciò termino, uno svarione nell'articolo 82, primo comma, a proposito del potere d'inchiesta. Me ne sono occupato per anni e anni. C’è un punto fermo in tutte le legislazioni dal mondo: si ha potere d'inchiesta se c’è una competenza a monte. Se si ha potere di controllare o di legiferare, si possono fare le inchieste sulle stesse materie. Ebbene, qui si dice che il Senato può fare soltanto inchieste su materie di pubblico interesse concernenti le autonomie territoriali. Se, però, a seguito delle modifiche del Senato, le materie di competenza dello stesso Senato si sono allargate, è un'assurdità che il Senato possa fare una legge ma non possa istituire una Commissione d'inchiesta sulla stessa materia. Molto meglio eliminare quest'inciso, perché se ha la competenza, la esercita; se non ce l'ha, non potrà farlo.
  Vi ringrazio per l'attenzione.

  PIERLUIGI PORTALURI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi del Salento. Ringrazio il presidente e la Commissione intera per l'invito che davvero mi onora.
  Poiché è mio fermo intendimento rimanere nei limiti degli otto minuti che sono stati assegnati, salterò tutta la prima parte, relativa ai profili più strettamente costituzionalistici, e mi soffermerò sulla parte più propriamente amministrativistica, essendo tra l'altro io un professore di diritto amministrativo.Pag. 20
  Vorrei toccare tre temi. Il primo riguarda le Regioni. La premessa di metodo è che siamo già in seconda battuta. Quando ho avuto l'onore di essere audito davanti alla 1a Commissione del Senato, il sentire comune era quello di poter dare un apporto che potesse incidere maggiormente sulle questioni di sistema. Ora siamo in una fase di quanto meno tendenziale ossificazione del modello. Purtroppo, non siamo o confidiamo di non poter più modificare veramente i nodi datici. Dove voglio andare a parare ? Mi sembra che non si voglia cambiare il punto centrale del sistema, cioè l'esperienza negativa che le Regioni hanno reso in questi anni, il tema del cosiddetto optimal size.
  Le Regioni hanno fallito per quanto riguarda la loro funzione primigenia. Dovevano essere enti di legislazione e di programmazione: sono diventate enti di amministrazione e di spesa. Avevamo pensato di proporre un ridisegno del mosaico territoriale riducendo l'estensione territoriale delle Regioni e rendendole davvero enti di programmazione.
  Programmare territori ampi, diversi, disomogenei – io sono pugliese – non è facile. Spesso, è un'esperienza che si scontra con l'impossibilità addirittura fisica, morfologica, geomorfologica della realtà con la quale ci si confronta, ma tutto questo, ahimè, ha il segno un po’ triste del tramonto di un'idea che forse poteva essere meglio ripensata.
  Allora, cosa, probabilmente, possiamo ancora immaginare ? Possiamo cercare di non perseverare in errori che vedo continuano ad allignare nella nostra esperienza di Costituzione redigenda. Dicevo che mi riferisco a tre aspetti. In relazione alle Regioni, penso che debba essere molto più premiato il senso di una Regione che, come ho sentito anche questo pomeriggio prima di me, si avvicini a realtà amministrativa, ma non di amministrazione diretta e immediata.
  Mi occupo molto di diritto urbanistico e ho chiara l'esperienza, anch'essa fallimentare, di Regioni che inseguono la regolazione delle singole particelle di terreno, dando vita a una sorta di contrattazione spesso non priva di aspetti di oscurità. È un'esperienza che vorremmo dimenticare. Questo sarà un punto sul quale mi soffermerò più avanti.
  Gli altri due profili di cui vorrei occuparmi sono anch'essi in qualche modo di sistema. Non dispero della possibilità di incidere, in modo almeno significativo, su un concetto che dovrebbe essere particolarmente caro, ossia quello che deriva dal combinato disposto degli articoli 5 e 114 della Costituzione, il principio democratico nella sua declinazione della rappresentanza territoriale.
  Stiamo assistendo, nel disinteresse o nello scarso interesse più generale, a una vicenda che considero molto negativa. Sta accadendo che il quadro degli enti costitutivi della Repubblica, disciplinato ed enumerato dall'articolo 114, si sta modificando in un modo poco chiaro, strisciante, surrettizio. Sta entrando, infatti, in questo sistema un ente non direttamente rappresentativo e dalle oscurissime funzioni: la Città metropolitana, ente che peraltro porta in sé il germe di un'intrinseca diseguaglianza, perché riguarda il 20-30 per cento della popolazione italiana che vede i propri organi eletti non direttamente, ma attraverso il meccanismo del secondo grado, che però fruirà di importantissime risorse economiche.
  Mi chiedo quanto questo sia in linea non solo con gli articoli 5 e 114 della Costituzione, ma ancor prima con una norma fondamentale, con il nostro vero e proprio credo laico, cioè l'articolo 3, secondo comma, della Costituzione.
  La mia proposta, quindi, per uscire di genericità, è quella di espungere dal catalogo dell'articolo 114, come ente costitutivo, la Città metropolitana. Mi sembra che sia un ossimoro, non so se giuridicamente, ma sicuramente come politica del diritto, quello di considerare quale costitutivo un ente non direttamente rappresentativo come il sistema delle Città metropolitane in questo momento. Affido ulteriori dettagli su questo per me inquietante aspetto alla «memorietta» scritta che trasmetterò nei prossimi giorni.Pag. 21
  In realtà – ecco il secondo profilo – sembra che questo disegno di legge voglia mettere da parte, ma poi far entrare dalla finestra, il problema dell'area vasta. Il modello era quello, una volta per tutte, di dimenticare l'area vasta, che all'epoca – sembra già passata un'era giuridico-politica – erano le Province, che dovevano essere espunte dall'articolo 114. La legge cosiddetta Delrio, la legge 7 aprile 2014, n. 56, doveva svuotarle nelle funzioni in attesa della definitiva loro eliminazione dalla vita attiva. Così non è stato, innegabilmente. Le Province oramai hanno riguadagnato – giusto o sbagliato che sia, dobbiamo prenderne atto – un pieno diritto di esistenza.
  Faccio solo un riferimento che può apparire dei rami bassi dell'ordinamento, ma che tale non è: in Conferenza Unificata, l'11 settembre scorso, quando è stato stipulato l'accordo, una delle prime proposizioni sulle quali è stato trovato l'accordo, guarda caso, è stata quella di cambiare il nomen delle Province in enti di area vasta. Da quel punto in poi, nell'accordo dell'11 settembre non si parla più di Province, ma di enti di area vasta. Anche qui, guarda caso, leggiamo nell'articolo 39, quarto comma, improvvisamente con una norma dal terribile drafting – vi invito a rileggerla – che esistono, non si dice altro, gli enti di area vasta.
  È la sconfessione del modello di espunzione progressiva delle Province dalla vita ordinamentale e pratica italiana ? Forse, a livello costituzionale, avremmo bisogno di un po’ di chiarezza rispetto a questi che comunque restano temi d'apice.
  L'ultimo punto riguarda il Titolo V. Ovviamente, non affronto il «capo delle tempeste», tranne un aspetto. Avevo detto prima che uno dei miei interessi peculiari è il diritto urbanistico. Mi permetto di dire che stiamo perseverando nell'errore. Non voglio entrare nel merito del problema circa l'opportunità o meno della legislazione concorrente, ma mi limito a dire che forse ha fatto il suo tempo se non rivista secondo il notissimo modello tedesco della konkurrierende Gesetzgebung, ma non è questo il tema. Voglio parlare veramente di assetto normativo.
  Abbiamo un sistema proposto dal Senato che vede una competenza esclusiva statale concernente le disposizioni generali e comuni sul governo del territorio e poi una competenza esclusiva regionale sulla pianificazione del territorio regionale. Siamo consapevoli che questo significa consegnare lavoro con gli straordinari – perdonerete la domesticità del linguaggio – alla Consulta per i prossimi dieci anni ? Effettivamente, significa scrivere due norme in aperto e dichiarato contrasto. Com’è possibile far convivere due norme di questo tenore ?
  Bisogna avere coraggio: o si reintroduce – io non sono d'accordo – la vecchia competenza concorrente o si arriva a un livello maggiore di specificazione degli ambiti di competenza statale e di quelli di competenza regionale. Come ? È facile, infatti, esortare in modo parenetico alla migliore specificazione, alla bright line. Mi permetterei di proporre che, a livello costituzionale, si indichino gli oggetti di cui la legge statale deve occuparsi. Potrebbe essere, per esempio, la tipologia dei piani. Ogni Regione ha una pluralità indistinta e confusa di piani. Che la Costituzione allora preveda che sia la legge statale a prevedere la tipologia dei piani.
  Passiamo al procedimento di formazione. Abbiamo già in Costituzione il procedimento amministrativo: bene, prevediamo anche il procedimento di formazione, così come il regime dei vincoli, gli effetti conformativi della proprietà. Già questi quattro punti affidati dalla Costituzione alla legislazione esclusiva dello Stato costituirebbero un affidante modello di riparto di competenze tra Stato e Regioni, tanto più che abbiamo un'arma segreta in mano allo Stato: la competenza in materia paesaggistica, attraverso la quale lo Stato potrebbe svuotare ulteriormente di contenuti il potere legislativo regionale se sarà vera e si confermerà la linea andamentale che vede ormai l'urbanistica svuotata di contenuti a favore della panpaesaggistica.Pag. 22
  Ho un ulteriore profilo da chiarire. Non ripetiamo, per favore – è davvero un appello accorato – l'errore commesso in passato. In materia paesaggistica, abbiamo un'assurda distinzione tra tutela e valorizzazione dei beni culturali statale e promozione regionale. Come facciamo a districarci tra i due temi ? Con altri dieci anni di lavoro per la Corte Costituzionale.

  PRESIDENTE. Abbiamo, purtroppo, ancora circa un quarto d'ora. Stiamo monitorando, ovviamente, l'inizio dell'Aula e valuteremo se aprire o meno il dibattito o rimandare a un dibattito successivo.

  ROBERTO TONIATTI, Professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Trento. Farò quello che posso nei pochi minuti di tempo che sono a mia disposizione. Lascerò poi alla presidenza la memoria scritta che ho già preparato.
  Premetto di essere, probabilmente, il secondo audito oggi pomeriggio a esprimere un giudizio ampiamente e radicalmente critico nei confronti del testo e dell'impianto, anche se ho scelto un focus distinto rispetto a quello del professor Pace, fondato soprattutto sull'assenza di un solido impianto di natura sistematica che caratterizzi il bicameralismo residuo in ragione della configurazione quale espressivo di un'autentica funziona autonoma di governo territoriale.
  In altre parole credo che la cultura istituzionale italiana sia in grado di elaborare opere di ingegneria costituzionale meno superficiali e affrettate di quanto sia stato prodotto in prima lettura dal Senato. Dico questo perché mi sembra che il nucleo centrale del progetto proveniente dal Senato sia rappresentato dalla ridefinizione dell'ordinamento regionale e dall'interazione tra ordinamento dello Stato e ordinamento regionale. È proprio in questa funzione, del resto, che è modificata la composizione del Senato.
  A me sembra che, da questo punto di vista, la riconfigurazione dell'ordinamento regionale e della composizione del Senato sia ampiamente difforme rispetto a quanto previsto sia dall'articolo 5 sia dell'articolo 114 della Costituzione, entrambi come princìpi costituzionali direttivi anche nei confronti del legislatore della revisione costituzionale.
  Dico subito che una possibile giustificazione rispetto all'insufficienza del progetto del Senato risale, probabilmente, a un vuoto d'elaborazione sul piano sia storico sia teorico per quanto riguarda la forma di Stato regionale. Per la forma di Stato regionale faccio riferimento alla Spagna del 1931, poi alla Costituzione italiana, poi di nuovo a quella spagnola. Al di là dell'ordinamento devoluto del Regno Unito, non abbiamo molte esperienze in Europa che possano rientrare nella categoria del governo regionale. Questa categoria si trova in un certo senso a svolgere una funzione ibrida perché, da un lato, risente del richiamo del modello federale, dall'altro, di quello dello Stato unitario non decentrato.
  È questo il motivo per il quale, ancora sul piano sia teorico sia storico, i due Stati regionali (Italia e Spagna) non sono stati in grado di esprimere un modello di organizzazione della seconda Camera e, in particolare, di partecipazione attraverso la seconda Camera allo svolgimento di funzioni dello Stato. Direi che, da questo punto di vista, certamente quanto viene dal Senato non rappresenta oggi né mi sembra abbia le credenziali per diventare domani un modello.
  Ci troviamo, tutto sommato, a oltre sessant'anni dall'entrata in vigore della Costituzione repubblicana alla ricerca di un assetto serio, effettivo, efficace e garantito di una propria organizzazione istituzionale e funzionale quale forma di Stato regionale.
  Si diceva da parte di chi mi ha preceduto che è un fallimento delle Regioni, ma io dico che è un fallimento dell'ordinamento costituzionale italiano dopo sessant'anni non essere riuscito a dare una sistemazione alle due vere innovazioni della Costituzione repubblicana: la giustizia costituzionale che, in prevalenza, funziona, e l'ordinamento regionale, che invece Pag. 23non funziona ma non è neanche posto nella condizione di poter funzionare.
  Dico, inoltre, che è mancata, nonostante un'autorevole sollecitazione di dottrina – penso in particolare a Marco Cammelli – una chiara e responsabile riflessione politica e istituzionale che portasse a maturare il convincimento circa l'opportunità provocatoria di eliminare del tutto il quadro ordinario del decentramento legislativo e dell'autonomia di indirizzo politico regionale, salvo con riguardo alle specialità, e farne discendere, di conseguenza, forme di riorganizzazione eventualmente partecipata dell'amministrazione decentrata dello Stato.
  In altre parole, è mancata una riflessione su quest'opportunità che credo laicamente si debba porre all'ordine del giorno nel momento in cui ci si mette all'opera di una revisione costituzionale che si vuole importante e significativa.
  Mi soffermo ancora un attimo proprio sul criterio di composizione del Senato. Il nuovo testo dell'articolo 55 stabilisce che ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione. È stato detto che il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali e i 95 senatori elettivi sono rappresentativi delle istituzioni territoriali. Tutti i membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato. Lo schema sottostante l'assetto attuale risulta ben chiaro, quello che fa capo all'articolo 67 e a Camera e Senato come sono oggi, ma la stessa chiarezza sistematica a mio giudizio non è dato riscontrare nel disegno innovativo proveniente dal Senato. Cosa significa « rappresentanza delle istituzioni territoriali» ?
  L'unico significato che si può conferire alla formula della rappresentanza delle istituzioni territoriali si può collegare, a mio avviso, a una logica di rappresentazione esistenziale, più che di rappresentanza in senso proprio, delle istituzioni territoriali, quasi una proiezione descrittiva o simbolica dell'esistenza di istituzioni territoriali, a prescindere dalla loro configurazione come organi di governo, in parziale attuazione dell'articolo 114, secondo il quale la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province e così via.
  Dando per scontata l'abolizione delle Province, (voglio sperare con l'eccezione delle due autonome), si può ritenere che il Senato sia la sede istituzionale di rappresentanza dei Comuni e delle Regioni, con buona pace delle Città metropolitane, mentre la Camera dei deputati si confermerebbe come sede istituzionale di rappresentazione dello Stato, le due Camere essendo invece la sede istituzionale di rappresentazione della Repubblica.
  Questo nuovo impianto istituzionale non agevola, a mio giudizio, la definizione di un profilo di nebulosità e incertezza che ho espresso in altra sede con la formula di «dilemma del senatore», segnatamente se i senatori, (almeno quelli elettivi), vengono a essere titolari di una funzione regionale esercitata in sede accentrata, ovvero siano senz'altro titolari di una funzione dello Stato sulla base di un presupposto di legittimazione o di investitura regionale, ovvero ancora siano titolari di una funzione condivisa regionale e statuale di mediazione degli interessi che, alla stregua dell'articolo 114 novellato nel 2001, potrebbe qualificarsi come una «funzione della Repubblica».
  Credo che quella risultante sia in realtà una funzione dello Stato sulla base di un presupposto di legittimazione e di investitura regionale che nulla ha a che fare, però, con la funzione di governo regionale. Da qui, allora, mi sembra addirittura poco coerente la distribuzione delle funzioni e, soprattutto, l'attribuzione al Senato di una serie di funzioni che non sono in realtà riconducibili al governo regionale, ma che si collegano ad un significato del Senato stesso assolutamente astratto.
  Aggiungo, perché mi sembra rilevante, che il «dilemma del senatore» non costituisce solo un dato di incertezza circa l'interpretazione che il senatore deve dare del proprio ruolo individuale, ma anche circa la valutazione della responsabilità politica di quella che gli anglosassoni chiamano la political accountability dei senatori verso gli organi che li hanno eletti, ossia i consigli regionali, ma anche della Pag. 24responsabilità politica dei consiglieri regionali (quali grandi elettori dei senatori) verso il corpo elettorale regionale. Non si può pensare che l'innovazione istituzionale possa comportare l'estinzione di una categoria come quella della political accountability, ineludibile nella democrazia costituzionale.
  L'unica dimensione che si salva è quella del Parteienstaat, ma su questo non faccio ulteriori riferimenti, anche perché non sappiamo più cosa si accingano a essere i partiti politici, che sono un animale, come ben sappiamo, in fase di rapida evoluzione.
  Per motivi di tempo, presidente, non mi soffermerò su un'analisi dettagliata delle diverse funzioni attribuite al Senato. In parte mi riallaccio a cose già dette, e quindi non voglio ripeterne delle altre.
  Qual è il punto ? Non vorrei che alla fine ci trovassimo, anche in occasione dell'esercizio del potere di richiamo da parte del Senato, niente altro che di fronte a un interesse nazionale valutato differentemente dal Senato e dalla Camera dei deputati, cioè una situazione non dissimile da quella che abbiamo oggi, e allora mi sembra veramente che la montagna abbia partorito un topolino, tra l'altro brutto.

  GIUSEPPE DE VERGOTTINI, Professore emerito di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Bologna. Cercherò di essere il più celere possibile e di fare più che altro una carrellata richiamando i testi di capitolo più che analizzare.
  Presidente, anzitutto ringrazio lei e la Commissione per darmi questa possibilità. Tendenzialmente, sono sempre stato favorevole alla riforma per il superamento del bicameralismo paritario e per interventi che toccano la forma di Governo, che in parte sono inseriti in questo testo.
  Dal punto di vista, però, delle criticità, devo dire che, se per nostra sventura, questo testo dovesse domani con un colpo di bacchetta magica diventare il nuovo testo fondamentale della Repubblica, sarebbe veramente una sciagura. Questo è un testo assolutamente impresentabile non tanto per i contenuti, ma per come è articolato, per la sua complessità, difficoltà di lessico e di comprensione. È un testo che pone problemi di legittimazione: come si fa a pensare che questo possa diventare una Costituzione ? È impossibile. È illeggibile in certe parti e inapplicabile in altre.
  Sono, quindi, molto critico, soprattutto perché penso – ma credo sia condivisibile – che la Costituzione debba essere un documento il più possibile chiaro, comprensibile, per avere una sua legittimazione anche lessicale, dal cittadino e non solo dagli esperti di diritto e delle istituzioni.
  Il testo vigente, sicuramente a mio parere superato, soprattutto per la parte sulla forma di Governo e sul bicameralismo, ha però, come tutti hanno sempre riconosciuto, il pregio della grande chiarezza. È un testo che, se anche lo prende in mano e lo apre una persona che non ha studiato diritto, capisce di cosa si parla. Questo è un testo incomprensibile in larghe parti. Da questo punto di vista, al di là di certe critiche del collega Pace e di altri, ritengo vada riscritto sia per quanto riguarda alcuni contenuti che, soprattutto, per la sua inaccettabile presentazione formale.
  Pensavo che si dovesse privilegiare l'idea della rappresentanza dei territori, cioè del Senato come sede di rappresentanza degli interessi territoriali, quindi vedevo bene l'idea del doppio binario, rappresentanza nazionale della Camera dei deputati e rappresentanza territoriale del Senato.
  Il problema è che nel testo, per come è emerso, c’è una continua sovrapposizione di piani. Anche se il Senato rimanesse un organo con una forte presenza politica pur non votando la fiducia – è chiaro che il Governo e la maggioranza dovrebbero sempre fare i conti col Senato per una serie di delibere, per cui sarebbe sbagliato pensare che, non essendoci rapporto fiduciario, non ci sarebbe rilevanza politica dell'organo – resta il fatto che, per come è strutturato il testo, già solamente Pag. 25l'allargamento a dismisura delle leggi paritarie, in controtendenza rispetto a uno dei propositi della riforma, dà dimostrazione del fatto che anche la rappresentanza degli enti territoriali va a sconfinare su quelle che dovrebbero essere, teoricamente, competenze della rappresentanza nazionale.
  A parte questa considerazione, il vero problema è che c’è un intreccio tra regionalismo e municipalismo. Questo ci porterebbe lontano come argomento su cui parlare, ma questa sopravalutazione del ruolo di Comuni, storicamente indiscutibile, che va a interferire e quasi a livellarsi a livello regionale, è qualcosa di confuso che non penso sia utile. Avrei visto soprattutto la Camera dei territori come la Camera delle Regioni, le quali a loro volta dovrebbero dare spazio al loro interno, con meccanismi filtrati, alla partecipazione dei Comuni. In questo modo, c’è una sorta di livellamento tra Comune e Regione che, francamente, mi lascia molto perplesso.
  La questione del mandato imperativo è un'altra occasione di confusione. Se avessimo, in teoria, una vera Camera dei territori, la logica sarebbe, avendo presente il modello del Bundesrat tedesco, non quello austriaco, di consentire il mandato imperativo necessitato da parte dell'ente territorio. Comunque lasciare il divieto di mandato imperativo nei confronti di soggetti che bene o male sono espressione degli enti regionali, francamente non mi pare abbia molto senso.
  L'altro profilo delicatissimo è dato dal cumulo dei mandati con tutte le confusioni tra mandato senatoriale, mandato regionale, consigliere regionale, cui seguono tutti i problemi che sono stati già ricordati.
  L'altro problema è la scansione temporale. Si mette insieme qualcuno che ha un mandato di sette anni con altri soggetti che possono stare tre, quattro, cinque anni, non sappiamo quanto tempo. Non sappiamo quanto duri la consiliatura regionale o municipale. È veramente un intreccio di pasticci non indifferente.
  Chiedo scusa se vado un po’ in fretta, ma vorrei arrivare a un punto che mi sembra importante e a cui ho accennato all'inizio, vale a dire l'espansione progressiva che c’è stata delle leggi a delibera Camera-Senato, cioè paritaria, addirittura mettendo dentro l'articolo 29 e l'articolo 32. Se la seconda dovesse essere la Camera dei territori, francamente la vedrei orientata sulle questioni legate alle autonomie territoriali piuttosto che a questioni che dovrebbero essere tipiche della rappresentanza politica piena nazionale, come nel caso di salute e famiglia. Francamente, non c’è una gran logica in questo inserimento estemporaneo e in questa specie di calderone delle attribuzioni legislative.
  In relazione alle attribuzioni che riguardano la pienezza della sovranità, come il referendum popolare, i trattati dell'Unione europea, la revisione costituzionale, il fatto che ci sia una presenza paritaria del Senato può dar adito a delle perplessità. Mi rendo conto che si può controdedurre su tutto questo, ma dal mio punto di vista certi tipi di attribuzione sono quelli classici della piena rappresentanza politica nazionale che, facendo un salto all'indietro nel Settecento, colleghiamo alla rappresentanza dell'Assemblea elettiva su base popolare.
  Detto questo, chiedo scusa al Presidente della concitazione e della fretta, ma vorrei ricordare un capitolo. Un pacchetto di disposizioni che veramente a mio parere fa rizzare i capelli in testa è quello sul procedimento legislativo, articoli 70 e 72. È incredibile quello che viene fuori.
  A parte una sommatoria incredibile di possibili procedimenti e subprocedimenti, probabilmente una materia forse più adatta all'analiticità dei regolamenti interni delle Assemblee che a un testo di Costituzione, è mai possibile che le leggi di utilizzo della clausola di supremazia e quelle che si riferiscono all'uso del potere sostitutivo siano paritarie ? Il Senato territoriale può bloccare l'eventuale ricorso che il Parlamento, in questo caso chiaramente su iniziativa governativa, dovesse Pag. 26fare per censurare le Regioni ? Mi pare un controsenso che non sta né in cielo né in terra.
  Ci sono veramente tante osservazioni anche di buonsenso. Probabilmente, il disegno complessivo soffre della progressiva accumulazione di stimoli e di esigenze che non si è avuto il coraggio di filtrare, ma che si sono aggiunti gli uni agli altri.
  In merito alla promulgazione, concordo su quanto ho sentito, perché chiaramente quella è una norma monca. Non si capisce bene cosa possa fare il povero Presidente o cosa faccia il Parlamento dopo sui risultati della promulgazione parziale.
  Non entro nel tema delle competenze regionali perché anche tecnicamente non c’è il tempo di fare riferimenti. Personalmente sarei contrario all'eliminazione delle materie concorrenti e la doppia lista di competenze sicuramente – mi pare di aver sentito degli esempi – sarà fonte di contenziosi di fronte alla Corte. Forse non così acerrimi come quelli che abbiamo conosciuto, ma non credo che la soluzione scelta li eviterebbe.
  Mi permetto di fare tre notazioni. Una riguarda l'assenza totale, in un groviglio sul procedimento legislativo, della procedura conciliativa. Tutti i Parlamenti bicamerali in cui ci sono rappresentanti territoriali, regionali o federali che siano, prevedono, per uscire dall’impasse tra Camera nazionale e Camera territoriale, la procedura di conciliazione, che tra l'altro si scrive in quattro righe. In un profluvio di commi, non ci sono dieci, venti o trenta parole che dicano che si istituisce, in caso di bisogno, una commissione di conciliazione tra Camera e Senato, il che è una lacuna a mio parere gravissima.
  Inoltre, non abbiamo nulla sulle Autorità indipendenti, che già erano state menzionate nel 1997 dalla Commissione D'Alema. Ormai sono entrate nel nostro ordinamento. Visto che sono situazioni in cui si deroga alla responsabilità Governo-Parlamento, forse una parola meriterebbe di esser detta.
  Del riconoscimento del ricorso delle minoranze alla Corte Costituzionale è stato detto e concordo pienamente.
  Se mi permettete, c’è una questione su cui tra l'altro proprio alla Camera dei deputati sono venuto ben due volte a parlare in relazione alle missioni militari all'estero in Commissione Difesa nelle passate legislature. È singolare che nel XXI secolo utilizziamo la formula della delibera e dichiarazione dello stato di guerra, cosa che nel 1948 era già del tutto superata, cioè già sessant'anni fa era roba vecchia, un catenaccio che non serviva a nessuno.
  Il vero problema oggi è condensato nella risoluzione Ruffino del 2001, ossia l'invio dei corpi armati all'estero. Eliminiamo l'ipocrisia dalle missioni di pace. Sappiamo benissimo che solo a volte sono missioni di pace, ma è quello il vero problema, la vera delibera che serve. Facendo i debiti scongiuri, speriamo non si debba arrivare allo stato di guerra.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, ma dato che è iniziata l'Aula, do la parola a un collega per gruppo parlamentare per una domanda puntuale rivolta a un solo esperto.

  EMANUELE FIANO, relatore. Vorrei rivolgermi al professor Pace con molto rispetto sul punto specifico dell'illegittimità. Lei ha usato la questione illegittimità per due punti nel suo intervento. Una è l'illegittimità – tocco a mia volta un punto molto pesante che lei ha toccato – di questo Parlamento a legiferare in senso costituzionale.
  Ho idea che il punto 7 delle considerazioni in diritto della sentenza n. 1 del 2014 della Corte Costituzionale che si riferiva alla legge elettorale abbia chiarito in diritto perché questo Parlamento sia perfettamente legittimato a legiferare in qualsiasi campo e perché tutte le legiferazioni di questo Parlamento anche conseguenti a quella sentenza siano legittime. Ovviamente, questa è la mia interpretazione.
  Per il secondo caso di illegittimità, ha citato l'aspetto – mi corregga se sbaglio, Pag. 27professore, ovviamente – che un Parlamento di seconda istanza non sia legittimato a legiferare. Pur tuttavia, nel corso di moltissime audizioni, ancora ieri (ma anche adesso mi pare che il professore l'abbia citato) citiamo spesso, come esempio di un Senato delle autonomie di composizione diversa da quello qui presentato nel testo del Senato, il Bundesrat tedesco. È certamente un esempio di Senato di secondo livello. Lì sono eletti in seconda istanza rappresentanti dei Governi dei Länder, che hanno perfetta legittimità e funzione legislativa pur essendo nominati di secondo livello.

  STEFANO QUARANTA. Condivido l'approccio che molti hanno avuto di critica radicale rispetto a questo disegno di riforma. Cito solo due questioni. Il ruolo dell'Esecutivo che rischia di diventare il dominus assoluto e di invadere il potere legislativo non solo con questo nuovo voto a data certa e bloccato, ma anche con il combinato disposto di un Senato chiaramente residuale e di una Camera ipermaggioritaria.
  Condivido la critica sul Senato, che ha un'elezione indiretta, che dovrebbe essere finalizzata alla rappresentanza delle istituzioni, ma senza vincolo di mandato, e condivido il fatto che l'articolo 117, che aveva l'obiettivo di semplificare e di chiarire i contenziosi, di fatto non raggiunge questo risultato.
  Se il ragionamento è una critica radicale anche al cuore della riforma, la mia domanda si rifà anche a quello che diceva il professor Pace. Penso che siamo ancora alla seconda lettura e si dovrebbe poter fare un dibattito assolutamente libero. Parliamo della riforma della Costituzione, non di una legge qualsiasi. Premesso questo, in una logica riduzione del danno finalizzata al fatto di evitare di arrivare a una sorta di Esecutivo forte, senza averne però i contrappesi, e di un monocameralismo di fatto, anche qui senza avere contrappesi, mi chiedo se la soluzione del monocameralismo con una legge proporzionale, come detto nell'intervento del professor Pace, possa essere appunto una soluzione di riduzione del danno. Lo chiedo al professor De Vergottini.

  PRESIDENTE. Pongo anch'io una domanda, in particolare al professor Pace. Le chiedo come consideri l'idea del Governo di fare comunque un referendum indipendentemente o, meglio, imponendo alla maggioranza di rimanere sotto i due terzi, invitandola quindi a un voto insincero, come secondo la recente risposta del Ministro Boschi a un question time in Commissione.
  Ritengo che possa rappresentare un'idea da parte della maggioranza del Governo dare legittimità a un'illegittima riforma della Costituzione, o meglio fatta da una maggioranza politicamente illegittima in seguito alla sentenza di cui abbiamo parlato della Corte costituzionale.
  Do ora la parola al professor Pace per la replica.

  ALESSANDRO PACE, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Potrei rispondere a tutte e tre le domande. Direi: molti amici, molto onore.
  Quanto alla prima, non so se l'onorevole Fiano abbia davanti il testo che ho consegnato alla Presidenza.

  PRESIDENTE. Sarà inviato anche per e-mail a tutti membri della Commissione.

  ALESSANDRO PACE, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Nel testo ho scritto che dovrebbe essere intuitivo che un Parlamento nel quale perduri la «eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa» non può considerarsi legittimato a procedere a revisioni costituzionali laddove potrebbe tutt'al più esercitare la normale attività legislativa e di controllo. Ciò deriva dalle esplicite indicazioni date dalla Corte al legislatore sui criteri da seguire per la «nuova» legge elettorale. La Corte Costituzionale ha quindi distinto la legislazione ordinaria dalla legislazione costituzionale.Pag. 28
  D'altra parte, è bensì vero che alcuni studiosi hanno sottolineato che la Corte avrebbe detto che il Parlamento potrebbe andare avanti fino alla consultazione elettorale, ma coerenza vuole che si tratti delle consultazioni elettorali previste dall'articolo 88 conseguenti allo scioglimento anticipato del Presidente della Repubblica, e non le consultazioni elettorali di quattro anni dopo. Sarebbe infatti un controsenso dire che è illegittimo e poi continuare ad andare avanti.
  Non ricordo la seconda questione posta.

  EMANUELE FIANO, relatore. È sul fatto che il Bundesrat può legiferare.

  ALESSANDRO PACE, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Attenzione: qui direi che ognuno deve guardare alla propria cultura. La cultura italiana è che le leggi – non sto dicendo dei regolamenti, che hanno una legittimazione indiretta dal fatto che il Governo riceve la fiducia delle Camere e così via, quindi può fare regolamenti – devono essere fatte da chi ha il mandato elettorale. Deve esserci il suffragio universale.
  Lei, onorevole Fiano, mi richiama il Bundesrat, che però ha una storia del tutto diversa. De Vergottini me lo insegna. Nel 1860, l'Italia, una volta unita, ha fatto sparire tutte le identità territoriali. La Germania le ha conservate da allora, tranne la parentesi di Hitler, e questo ha determinato una situazione diversa della Germania rispetto alla nostra. Inoltre, il Bundesrat ha, come ricordava sempre De Vergottini, la rappresentanza del Land.
  Onorevole Quaranta, rileggo la frase della mia relazione scritta che prima ho citato un po’ affrettatamente: «Di qui la seguente ineludibile alternativa. O passare al monocameralismo con un sistema elettorale proporzionale, con adeguate garanzie per la minoranza» e in nota richiamavo addirittura le inchieste di minoranza che in prima lettura davanti al Senato Casson e Morra avevano proposto, che esistono in Germania, l'invenzione di Max Weber: quando c’è la richiesta della minoranza, si devono fare le inchieste.
  Se abbiamo questo «Moloch» della Camera dei deputati, se non ci sono contropoteri, possiamo agire all'interno, cioè dando la possibilità alle minoranze di far sentire la loro voce.

  PRESIDENTE. Manca, a meno che io non abbia ascoltato a sufficienza e le chiedo perdono, la risposta alla mia domanda sul referendum della maggioranza.

  ALESSANDRO PACE, Professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». È illegittimo, perché non si gioca con la Costituzione. La Costituzione dice che si può fare. Prima di tutto, è di scarso fair play dire che si farà l'imbroglio. Semmai, si riuniscono tutti e non arrivano a quel risultato.
  D'altra parte, però, a quel risultato si è arrivati nel 2001, quando hanno fatto così con la legge costituzionale. Forse non è chiara la mia risposta: ritengo che lo si possa fare, ma se lo si tiene per sé. Non si può andare a dirlo. Se lo si dice, si sta facendo una cosa incostituzionale. È assolutamente di cattivo gusto. Per gli inglesi, sarebbe la sconfitta peggiore.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Pace.
  Do ora la parola al professor De Vergottini per la replica alla domanda dell'onorevole Quaranta.

  GIUSEPPE DE VERGOTTINI, Professore emerito di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Bologna. Sarò rapidissimo. Mi pare che il problema riguardasse in generale la forma di governo. Vorrei dire due cose. Sul monocameralismo come soluzione mi permetto, personalmente, di non essere d'accordo. Sono convinto che il bicameralismo sia opportuno, a condizione che ci sia, appunto, come dicevo, questo doppio binario nazione-territorio.
  Non ultimo, sarebbe interessante parlare dell'importante forza trainante che ha Pag. 29la tradizione costituzionale, di cui qualcuno si è occupato tra di noi. In Italia, dal 1848 in avanti, abbiamo avuto un sistema bicamerale. Non ricordo l'anno esatto a partire dal quale si parla di riforma del Senato, ma sicuramente prima del 1861 si era già cominciato a dire che bisognava cambiare il modo di scegliere i senatori e le funzioni del Senato.
  A parte la parentesi del fascismo, quindi, sono state tantissime le proposte di riforma e continuiamo ad averne. Questo ha il suo peso nella storia di un Paese, per cui l'idea delle due Camere che possono tra loro interagire, probabilmente la vecchia idea della Camera di riflessione, cioè il fatto che ci siano due Assemblee che possono verificare un testo, soprattutto se si tratta di testi normativi importanti, a mio parere rimane valida. È una delle idee, delle giustificazioni del bicameralismo che rimane valida, soprattutto se c’è un sistema di rappresentanza territoriale in concorso con quella nazionale. Da questo punto di vista, questa è la mia modesta opinione.
  Quanto all'idea del Governo forte come pericolo, indubbiamente questo è un rischio sempre ipotizzabile. Ma non credo che il fatto di utilizzare di per se stesse soluzioni classiche del sistema a cancellierato, o del sistema Westminster sia da considerarsi rischioso. L'idea che il Governo abbia forza in Parlamento e che si imponga alla maggioranza non mi scandalizza. Il problema è quello dei contropoteri, come mi pare dicesse il professor Pace. Non è tanto il fatto che il Governo possa a data fissa dire che si deve votare, ma sapere se esistano delle sedi in cui questa decisione possa essere contrastata, verificata, e quindi l'opposizione abbia spazio, i ricorsi ci siano.
  Come dicevo all'inizio, credo che le scelte di fondo del disegno di legge non siano sbagliate. Sono le modalità attraverso cui si vuole arrivare a certi risultati a lasciare perplessi. Mi rendo conto che non sarò stato soddisfacente nelle risposte.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il professor Pace per una precisazione.

  ALESSANDRO PACE, professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Vorrei aggiungere, a chiarimento di quella mia alternativa netta, che quella è stata fatta proprio per poggiare sul fatto che nella prima ipotesi il Senato ha soltanto poteri consultivi, nella seconda ha poteri legislativi. Avendo poteri legislativi, non può che essere eletto dal popolo, mentre se ha poteri consultivi può anche benissimo essere eletto dai consiglieri regionali.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli esperti per l'importanza dei contributi offerti.
  Invito chi non l'avesse ancora fatto a consegnare un contributo scritto che sarà messo a disposizione di tutti i membri della Commissione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.20.