XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Lunedì 20 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE C. 14  COST. D'INIZIATIVA POPOLARE, C. 21  COST. VIGNALI, C. 148  COST. CAUSI, C. 178  COST. PISICCHIO, C. 180  COST. PISICCHIO, C. 243  COST. GIACHETTI, C. 284  COST. FRANCESCO SANNA, C. 398  COST. CAPARINI, C. 568  COST. LAFFRANCO, C. 579  COST. PALMIZIO, C. 580  COST. PALMIZIO, C. 581  COST. PALMIZIO, C. 839  COST. LA RUSSA, C. 939  COST. TONINELLI, C. 1439  COST. MIGLIORE, C. 1543  COST. GOVERNO, C. 1660  COST. BONAFEDE, C. 1925  COST. GIANCARLO GIORGETTI, C. 2051  COST. VALIANTE, C. 2147  COST. QUARANTA, C. 2221  COST. LACQUANITI, C. 2227  COST. CIVATI, C. 2293  COST. BOSSI, C. 2329  COST. LAURICELLA, C. 2338  COST. DADONE, C. 2378  COST. GIORGIS, C. 2402  COST. LA RUSSA, C. 2423  COST. RUBINATO, C. 2458  COST. MATTEO BRAGANTINI, C. 2462  COST. CIVATI E C. 2613  COST. GOVERNO, APPROVATO DAL SENATO, IN MATERIA DI REVISIONE DELLA PARTE SECONDA DELLA COSTITUZIONE

Audizione di esperti e di rappresentanti dei Comitati Dossetti.
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 
Ancora Felice , Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Cagliari ... 3 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 5 
Besostri Felice , Esperto della materia ... 5 
D'Atena Antonio , Presidente dell'Associazione italiana costituzionalisti ... 7 
Falcon Giandomenico , Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Trento ... 9 
Grosso Enrico , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Torino ... 11 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 14 
La Valle Raniero , Presidente Comitati Dossetti per la Costituzione ... 14 
Michelotto Paolo , Esperto della materia ... 16 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 18 
Scaccia Gino , Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Teramo ... 18 
Stame Nicoletta , Professore ordinario di politica sociale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 20 
Villone Massimo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» ... 22 
Volpi Mauro , Professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Perugia ... 25 
Caravita di Toritto Beniamino , Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 26 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 29 
Fraccaro Riccardo (M5S)  ... 29 
Giorgis Andrea (PD)  ... 29 
Quaranta Stefano (SEL)  ... 30 
Toninelli Danilo (M5S)  ... 31 
Fiano Emanuele (PD) , relatore ... 31 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 31 
Fiano Emanuele (PD) , relatore ... 31 
Dadone Fabiana (M5S)  ... 32 
Ferrari Alan (PD)  ... 32 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 33 
Caravita di Toritto Beniamino , Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 34 
Volpi Mauro , Professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia ... 35 
Villone Massimo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» ... 36 
Stame Nicoletta , Professore ordinario di politica sociale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 37 
Scaccia Gino , Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Teramo ... 37 
Michelotto Paolo , Esperto della materia ... 38 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 39 
La Valle Raniero , Presidente Comitati Dossetti per la Costituzione ... 39 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 40 
Grosso Enrico , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Torino ... 40 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 41 
Scalfarotto Ivan (PD) , Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri ... 41 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 42 
Falcon Giandomenico , Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Trento ... 42 
D'Atena Antonio , Presidente dell'Associazione italiana costituzionalisti ... 43 
Ancora Felice , Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Cagliari ... 44 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 44

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO PAOLO SISTO

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperti e di rappresentanti dei Comitati Dossetti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, in relazione all'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame dei progetti di legge C. 14 cost. d'iniziativa popolare ed abbinate, in materia di revisione della parte seconda della Costituzione, l'audizione di esperti e di rappresentanti dei Comitati Dossetti.
  Ringrazio tutti i nostri ospiti per la loro presenza e per la disponibilità e do subito loro la parola in ordine alfabetico per 6-7 minuti per ciascuno, con la preghiera di lasciare agli atti eventuali contributi scritti.
  Vi chiedo scusa se siamo costretti a contingentare i tempi, ma la parte verbale della vostra relazione è soltanto il «bonsai» di quanto mi auguro potrete darci per iscritto con maggiore compiutezza e con maggiore disponibilità per i componenti della Commissione.
  Do la parola al professor Felice Ancora, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Cagliari.

  FELICE ANCORA, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Cagliari. Signor Presidente, onorevoli componenti della Commissione, sono molto lieto di essere presente oggi in questa sede. In realtà avevo un impegno presso la mia istituzione di appartenenza, ma ho scelto il Parlamento con assoluta convinzione. Spero che lo stesso sia per i consiglieri regionali che faranno anche i senatori: che aderiscano molto di più agli impegni nei confronti del Senato che a quelli nei confronti della Regione. L'ho detto scherzando, ma il discorso è serio.
  Ho lasciato alla Presidenza una memoria scritta, quindi sarò abbastanza succinto.
  Il bicameralismo in Italia ha delle ragioni sentite, che risiedono nel pluralismo, nell'istituto regionale ma anche nella evidenziata esigenza da parte di Vanoni e di Einaudi nell'Assemblea costituente di creare una istanza di riflessione. Tale esigenza è espressa anche nel testo sacro del federalismo, Il federalista di Hamilton.
  Vengo ai contenuti concreti del disegno di legge, manifestando il mio punto di vista: la funzionalità delle mega istituzioni, quale può essere il Parlamento e in generale tutto l'apparato pubblico democratico, dipende fortemente dal grado di effettività, di efficienza, di credibilità delle micro istituzioni. Nelle suddette micro istituzioni comprendo ordini professionali, apparati burocratici, formazioni sociali.
  Mi soffermo brevemente sulla parte del disegno di legge che riguarda l'articolo 117 della Costituzione. Esso mi sembra largamente condivisibile nel ridisegnare la materia. Esprimo qualche osservazione, che mi viene dall'esperienza concreta di uno studio sulla difesa del suolo agricolo. Ci Pag. 4sono molte espressioni che indicano varie attività, vari campi che invece riguardano la gestione del territorio, la gestione di quello che l'articolo 44 della Costituzione chiama «suolo». In realtà, il testo comporta ancora qualche rischio di decettività.
  Colgo con soddisfazione l'idea di riservare alla competenza statale la materia della disciplina del procedimento amministrativo e degli ordini professionali per il discorso che facevo prima, che in un ordinamento democratico è molto importante la politica delle istituzioni minori, perché da questa dipende la vera democraticità e la vera efficienza di un ordinamento.
  Importante è anche la competenza statale sui livelli dei diritti civili. Noi viviamo in un momento di forte immissione di diritti dall'esterno del nostro ordinamento, ma ormai questi nuovi diritti sono spesso in rapporto di conflittualità tra loro. Concedere un diritto, attribuire un diritto in molti casi significa comprimerne altri. È giusto che ci sia quindi una regolamentazione a livello nazionale dagli organi espressivi della volontà popolare generale su questa materia. Era mio dovere esprimere questo punto di vista.
  Vengo a un contenuto apparentemente molto modesto, che nel disegno di legge riguarda l'articolo 118 della Costituzione attuale. Lì c’è un'enfatizzazione del criterio di responsabilità riguardante lo svolgimento delle pubbliche amministrazioni. Non che io sia per un'amministrazione irresponsabile, ma faccio notare che già l'articolo 28 della Costituzione afferma il principio della responsabilità degli amministratori pubblici ed esprimo con forza l'avviso che un eccesso di responsabilità gravanti sull'attività amministrativa e sui pubblici funzionari trasforma tendenzialmente questi, da operatori, in risponditori, e, cioè, in persone preoccupate di rispondere dando il segno di una qualità esteriore della loro attività, e finisce con il diminuire l'efficienza della pubblica amministrazione.
  Vengo al Senato e alla sua composizione. Non sono in grado di dare giudizi sul grado di proporzionalità che avrebbe il suo sistema di formazione. Il progetto di legge parla di «criterio proporzionale» per le votazioni, ma non so come giochino i ridotti numeri di senatori che spettano a ogni Regione e a monte il premio di maggioranza che vale Regione per Regione.
  Circa lo status dei senatori è importante la riaffermazione dell'articolo 68 della Costituzione, che in Italia è stato fattore di civiltà, perché crea un elemento di separazione tra potere politico e magistratura.
  Sull'indennità parlamentare non mi soffermo, noto con soddisfazione la presenza di un Ufficio di Presidenza stabile e ben individuato. Sulla verifica dei poteri, cioè la riscrittura dell'articolo della Costituzione che riguarda la verifica dei titoli di appartenenza, prospetto un aggiornamento del contenuto alla luce dell'efficacia della legge Severino. Parlare di ineleggibilità sopravvenuta è poco significativo e impreciso: occorre inserire il riferimento anche alle cause di cessazione del mandato per condanna.
  Sulla ripartizione delle materie al procedimento bicamerale, al procedimento monocamerale cosiddetto «ordinario» e a quello rinforzato non entro, ma mi soffermo brevemente su un altro aspetto che riguarda le funzioni del Senato.
  Al Senato resterebbero le indagini conoscitive e il potere di inchiesta, e qui devo prospettare un punto interrogativo, perché l'efficacia di queste attività dipenderà largamente dalle dotazioni di questo Senato. L'esperienza del Parlamento italiano tra il 1970 e il 1992 ci presenta una forte incisività delle indagini conoscitive (penso a quelle sull'ENI, sul settore pubblico della nostra economia) nonché delle grandi Commissioni parlamentari di inchiesta.
  Devo fare un cenno anche alla funzione di valutazione della pubblica amministrazione da affidarsi al Senato regionale. Riscontro l'incongruenza di una classe di politici regionali che va a valutare l'attività amministrativa anche di apparati ministeriali. Torno a insistere su questo dato del controllo, della valutazione, che può sembrare un punto di vista da funzionario Pag. 5ministeriale giolittiano, ma anche autori moderni progrediti come Ugo Mattei e Laura Nader, che nel libro Il saccheggio denunciano con forza la negatività della prevalenza di forme di controllo ex post sulle attività.
  Il giudizio finale su questo Senato non è negativo, forse è più positivo sulla riscrittura dell'articolo 117, che di fatto sposta da un procedimento legislativo strettamente monocamerale come quello regionale a un procedimento bicamerale legislativo o semi-bicamerale molti campi di legislazione.
  Non ho espresso però il giudizio finale su tutta la riforma: dipende tutto dal sistema elettorale che si troverà per la Camera dei Deputati. Se sarà un sistema elettorale che assicura alla Camera dei Deputati di essere la proiezione del Paese, con tutte le sue componenti governative e anche antagoniste che sono sempre entrate nella Camera dei Deputati e al Senato, il giudizio può essere positivo.
  Se invece il sistema elettorale per la Camera sarà un sistema strettamente maggioritario, il mio giudizio (lo dice prima di tutto il mio viso) sarebbe negativo, come negativo sarebbe sulla ghigliottina che si vuole introdurre e che contrasta con l'esperienza storica, con il progredire di questo Parlamento.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Approfitteremo anche dello scritto che ci ha cortesemente depositato. Ringrazio anche il Sottosegretario Scalfarotto di essere presente e cedo la parola a Felice Besostri.

  FELICE BESOSTRI, Esperto della materia. Ringrazio il presidente di avermi dato questa possibilità, la seconda dopo l'audizione sulla legge elettorale. Il tempo a disposizione non è sufficiente a esprimere le mie riflessioni, però come l'altra volta consegnerò, in seguito, una memoria scritta.
  C’è un detto inglese molto noto che dice che il diavolo si annida nei dettagli, e di questi io voglio parlare prima di affrontare, nella memoria scritta, il più importante problema dell'impianto generale, di cui un solo punto è apprezzabile: il tentativo di superamento del bicameralismo paritario, anche se non riuscito.
  Primo dettaglio: ai sensi dell'articolo 114 della nuova versione licenziata dal Senato, la Repubblica è costituita da Comuni, Città metropolitane, Regioni e Stato. Nell'articolo 57, al comma secondo della nuova versione, possono essere eletti nel nuovo Senato i consiglieri regionali e i Sindaci dei Comuni. Questa dizione esclude – del tutto irragionevolmente – quei Sindaci di Città metropolitane che volessero farsi eleggere direttamente, perché cesserebbero di essere Sindaci dei Comuni capoluogo. Tra l'altro, le Città metropolitane sono le città più importanti che abbiamo nel nostro Stato, per cui trovo illogico escludere a priori da questo nuovo Senato proprio i Sindaci delle Città metropolitane, che abbiano fatto la scelta di farsi eleggere direttamente dal corpo elettorale.
  Un'altra questione riguarda le minoranze linguistiche, che la Repubblica in base all'articolo 6 della Costituzione, tutela con apposite norme. Peraltro le apposite norme di tutela nel sistema elettorale non sono state attuate, perché nella legge elettorale europea (questa questione è stata mandata innanzi alla Corte costituzionale dal tribunale di Cagliari) soltanto tre minoranze linguistiche hanno una tutela, cioè la francese della Val d'Aosta, la tedesca dell'Alto Adige e la slovena del Friuli Venezia Giulia.
  Nel Testo unico per l'elezione della Camera dei Deputati, invece, sono tutelate le minoranze linguistiche di Regioni a statuto speciale, nel cui statuto siano previste speciali norme di tutela per le minoranze linguistiche. In questo modo si lasciano fuori le minoranze linguistiche anche consistenti di Regioni a statuto ordinario (parlo del Piemonte e della Calabria, ma ce ne sono anche altre) e anche di una Regione a statuto speciale, la Sardegna, nel cui antico statuto non c’è alcuna norma di tutela della minoranza, che pure è la più consistente tra tutte le minoranze linguistiche riconosciute dalla legge n. 482 del 1999.Pag. 6
  Nell'ultimo comma dell'articolo 57 è detto che con una legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi di elezione dei membri del Senato della Repubblica. Faccio un'ultima annotazione su questo: le Province autonome di Trento e Bolzano sono sovra rappresentate rispetto ad altre Regioni della stessa consistenza demografica.
  In base a una norma dell'articolo 117, ultimo comma, con legge regionale viene determinata la rappresentanza delle minoranze linguistiche nel Parlamento, e tra l'altro Parlamento significa sia Camera dei Deputati che Senato della Repubblica. Questo è chiaramente in contrasto sia con l'articolo 57, ultimo comma, di cui ho parlato prima, sia con l'articolo 117, comma secondo, lettera f), per cui è competenza della legislazione statale la legge elettorale degli organismi dello Stato.
  Questa mancanza di coordinamento a mio avviso è sicuramente pericolosa. Tra l'altro, c’è un problema che riguarda in generale le elezioni di secondo grado, alla luce della recente ordinanza n. 495/2014 del TAR Friuli, sezione I, dove, con riferimento anche a due sentenze della Corte Costituzionale, la n. 6 del 2002 e la n.230 del 2002, dice che dal combinato disposto degli articoli 1, 5 e 114, se la Repubblica è una Repubblica democratica, devono essere democratiche, informate allo stesso principio le singole componenti, perciò non si può stabilire elezioni di secondo grado che non diano questa garanzia.
  Capisco l'esigenza di passare da un premio di maggioranza abnorme, che consentirebbe di sapere chi ha vinto le elezioni la sera delle elezioni, a un sistema di elezioni di secondo grado che, come hanno dimostrato le ultime elezioni di Province e Città metropolitane, hanno il vantaggio di far sapere chi vincerà la sera prima delle elezioni, quando ci sono norme che consentono la presentazione di una lista unica pari al numero dei seggi da ricoprire.
  I nostri vicini svizzeri hanno il buonsenso di dire che, quando i candidati sono pari ai posti da ricoprire con le elezioni, queste non hanno luogo e si procede alla loro nomina diretta. Siccome il contenimento delle spese sembra una delle regole che presiede alle nostre riforme, sarebbe sicuramente un contributo alla riduzione dei costi della politica.
  L'altra questione riguarda la mancata riforma dell'articolo 66 sull'autodichia, proprio alla luce di quanto è successo con la legge elettorale, che è stata parzialmente annullata con la sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale. Qui abbiamo questo buco che non consentiva, finché non si è trovata quella strada, di poter controllare la costituzionalità delle leggi elettorali prima che queste siano applicate o al momento della loro applicazione. Credo che la soluzione sia quella di un ordinamento simile al nostro, l'ordinamento tedesco, che prevede che sulle decisioni del Bundestag in ordine ai suoi membri ci sia il ricorso alla Corte Costituzionale.
  Ritengo che questa sia una soluzione più facile, più trasparente e più efficace di quella del disegno di legge che invece prevede solo per queste leggi una specie di controllo preventivo su iniziativa di una minoranza parlamentare.
  Concludo con una questione, che sarebbe opportuno prevedere anche ai fini di una maggiore accelerazione dell’iter approvativo in un sistema bicamerale, ossia che sia eliminata la decadenza dei disegni di legge con la fine della legislatura, anche di quelli che in un ramo del Parlamento fossero stati approvati, decadenza prevista unicamente da norma di regolamenti parlamentari.
  Tra l'altro, questo non è previsto per le leggi di iniziativa popolare, che dovrebbero aumentare nel nuovo impianto. Questo consentirebbe anche un diverso atteggiamento nei confronti delle leggi di modifica costituzionale, perché, se tra le prime due approvazioni e quella definitiva si tenessero elezioni di carattere generale, queste esprimerebbero un segno di gradimento o meno delle riforme molto superiore di quello del referendum confermativo, che è un prendere o lasciare e che perciò non offre questa possibilità.Pag. 7
  Il superamento del bicameralismo a me sembra pasticciato, sarebbe più logica e meno pericolosa per gli equilibri democratici una soluzione tedesca di un Bundesrat, Camera dei deputati eletto alla proporzionale, e di un Bundesrat Senato espressione dei Lander.

  ANTONIO D'ATENA, Presidente dell'Associazione italiana costituzionalisti. Il tempo a disposizione è giustamente ristretto, quindi mi limito ad alcuni flash che si riferiranno specificamente alla riforma del bicameralismo e al riparto delle competenze legislative.
  Per quanto riguarda la riforma del bicameralismo, saluto con favore la creazione di un Senato rappresentativo degli enti territoriali. A mio modo di vedere, era un pezzo che mancava alla riforma costituzionale del 2001 e la tecnica utilizzata per costruire questo Senato, che in larga misura ricalca quella usata in Austria per il Bundesrat, a me sembra una tecnica apprezzabile, salvo poi qualche problema sul quale mi soffermerò.
  Considero anche favorevolmente il superamento del bicameralismo perfetto, perché, soprattutto per quanto riguarda il rapporto fiduciario, avere due Camere che non siano la fotocopia l'una dell'altra, come è accaduto nella prima stagione della nostra esperienza costituzionale, e che intrattengano un rapporto fiduciario con il Governo crea quegli inconvenienti e quei problemi dei quali siamo stati testimoni.
  Detto tutto questo, però, debbo manifestare qualche perplessità, che passo ad analizzare rapidamente. Per quanto riguarda la disciplina organizzativa del Senato, trovo assolutamente non appropriato il mantenimento dei senatori di diritto a vita nella figura degli ex Presidenti della Repubblica e della componente non elettiva del Senato. Mi riferisco a quei – fortunatamente ridotti a 5 – senatori di nomina presidenziale.
  Un Senato che è Camera delle autonomie, delle istituzioni territoriali non è la sede, a mio avviso, per collocare questo tipo di esperienza, questo tipo di competenza, che più appropriatamente andrebbe eventualmente spostata nella Camera dei Deputati. L'osservazione che mi permetto di fare è questa: se ci sono queste componenti non elettive, è bene che siano nella Camera politica, quella che a trecentosessanta gradi legifera a pieno titolo su tutte le materie piuttosto che in una Camera che è portavoce di esigenze provenienti dal territorio.
  Mantengo delle perplessità sulla presenza dei sindaci. I sindaci sono espressione di enti territoriali senza potere legislativo e in un sistema che per questa parte viene poi a collegarsi alla disciplina del riparto di competenze di cui al Titolo V della Costituzione è una componente che mi lascia perplesso.
  Mi lascia anche perplesso il fatto che nell'attuale versione del disegno di legge costituzionale nelle Regioni piccole la rappresentanza sarebbe ripartita a metà: un rappresentante Sindaco e un rappresentante consigliere regionale. Tra l'altro, mi domando come si possa ottemperare a quella esigenza di proporzionalità della rappresentanza del Consiglio nel momento in cui la rappresentanza è così ridotta.
  Sempre con riferimento alla rappresentanza mi lascia perplesso la notevole escursione che si avrebbe tra la rappresentanza massima e la rappresentanza minima. Con l'attuale ripartizione dei seggi a base 2, la rappresentanza minima è 2, la rappresentanza massima 14, sette volte maggiore della minima. Non c’è alcuna seconda Camera che intende rappresentare le autonomie territoriali in cui si ha uno squilibrio così forte: o le rappresentanze sono paritarie o comunque c’è l'escursione massima pari a quattro volte del Bundesrat austriaco.
  Riterrei quindi preferibile partire da una rappresentanza a base 3 per le Regioni minori, per cui avremmo un'escursione che porterebbe a 13 per la maggiore, la Lombardia, che sarebbe più consentaneo all'esigenza di un Senato che debba rappresentare enti territoriali.
  La funzione rappresentativa di questo Senato è diversa: la Camera politica rappresenta le popolazioni e quindi è giusto che i territori si esprimano nella Camera Pag. 8politica in modo proporzionale rispetto alla loro consistenza demografica, mentre per quanto riguarda invece il Senato delle autonomie è opportuno che gli enti abbiano la loro esponenzialità, che risulterebbe troppo annacquata qualora vi fossero escursioni rappresentative così forti.
  Passo alla questione della disciplina delle funzioni. Considero opportuno l'aumento delle leggi bicamerali rispetto al disegno di legge governativo. Mi lascia perplesso l'inserimento di alcune materie; non vedo per quale ragione un Senato che rappresenta gli enti territoriali debba occuparsi di famiglia, di trattamenti sanitari obbligatori.
  Forse risente di una vecchia idea, che era circolata ai tempi della Bicamerale, quando non si riusciva a costruire un Senato con una vocazione rappresentativa delle autonomie: quella di creare un Senato delle autonomie e delle garanzie. Se fosse così, famiglia e trattamenti sanitari obbligatori sarebbero poco, però ritengo che in questa versione della riforma, che io trovo appropriata, queste materie siano inopportune.
  Sul Senato vorrei aggiungere una cosa: un Senato di rappresentanza territoriale è una grande risorsa per le istituzioni e, come ho rilevato in apertura, dopo la riforma del Titolo V se ne avvertiva la mancanza perché, come non solo la nostra esperienza dimostra, la pretesa di tagliare con una rigida linea di demarcazione le competenze è una pretesa illusoria.
  Ci troviamo di fronte a una serie di elementi di intersezione, competenze trasversali dello Stato; la giurisprudenza della Corte ha elaborato la figura dell'attrazione in sussidiarietà e poi il caso degli oggetti a imputazione multipla, oggetti che non sono naturaliter collocabili in questo o quel settore.
  A questo punto la Corte Costituzionale, laddove non ravvisi criteri di prevalenza per attrarre tutti gli aspetti dell'oggetto sotto una competenza principale, dovrà ricorrere alla risorsa della cooperazione. Questo è un elemento fondamentale, però la Corte fino a questo momento ha dovuto far ricorso alle Conferenze, cioè a un organo rappresentativo degli Esecutivi, a volte motivando questo riferimento alle Conferenze con il fatto che fosse l'unica struttura disponibile, in mancanza di una disciplina del Senato.
  Credo che un Senato federale dovrebbe vedere arricchita la propria competenza proprio su questo versante, in quanto c’è una complessità da gestire e per gestirla una Camera rappresentativa delle autonomie che partecipi ai procedimenti di decisione sarebbe fondamentale.
  Dirò qualcosa sul riparto di competenze legislative. Rispetto alla disciplina attuale rilevo un miglioramento. Il punto più critico è la clausola cosiddetta «di supremazia». Il tempo a disposizione non consente di dire cosa sia, ma certo non è una clausola di supremazia: è una clausola il cui contenuto secondo me è stato peggiorato dopo l'intervento del Senato, perché si è introdotta la tutela dell'interesse nazionale, cioè un parametro che diventa difficilmente giustiziabile. Allora, il rischio è che questa clausola diventi quella che in passato avevo qualificato come clausola vampiro, che cioè consente allo Stato una licenza di ingresso in tutte le competenze regionali, quindi svuotando il senso di un riparto costituzionale di competenza.
  Quello previsto è un correttivo debole. La proposta di modifiche da parte del Senato federale, che possa essere superata a maggioranza assoluta da parte della Camera dei deputati, è molto debole in considerazione del fatto che la legge elettorale sarà, verosimilmente, maggioritaria, e quindi la maggioranza assoluta sarà nelle mani della maggioranza politica. Questo veramente è un elemento di forte debolezza.
  Per questo è un procedendo fortemente derogatorio. Tutto l'impianto è derogato per effetto di quest'intervento. Preferibile sarebbe prevenire maggioranze qualificate, in questo caso, perché non dobbiamo dimenticare che deve essere un caso eccezionale: o sempre o maggioranze qualificate quando a maggioranza qualificata provenga la richiesta da parte del Senato.Pag. 9
  In questo caso, potrebbe esserci una graduazione delle maggioranze, come si verifica in altre esperienze.

  GIANDOMENICO FALCON, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Trento. Mi sembra giusto avvertire sin dall'inizio che le mie valutazioni largamente coincidono con quelle del professor D'Atena, che abbiamo appena sentito: segno – mi pare – che chi ha seguito a fondo queste vicende, alla fine, arriva a conclusioni simili. Tuttavia, ecco la mia opinione su taluni punti che mi appaiono essenziali.
  Molto in sintesi, a me sembra che quella del Senato sia una vera riforma, anzi la maggiore riforma della nostra storia repubblicana, nella linea e nello spirito della Costituzione del 1947, come un coerente sviluppo.
  Invece, la nuova riforma del Titolo V sembra figlia tardiva di paure che potevano essere giustificate dal 2001 al 2003, prima che la Corte Costituzionale razionalizzasse, prendendo atto della realtà, il sistema, riconoscendo allo Stato una rilevantissima serie di poteri non esplicitamente previsti, ma ormai pacifici e consolidati. Inoltre, si fonda su premesse concettuali molto discutibili, per non dire sbagliate.
  Perché la riforma del Senato è a mio avviso la maggiore riforma istituzionale della nostra storia repubblicana ? Perché essa muta la natura politica della nostra comunità nazionale, trasformandola da sola comunità di persone in comunità di persone e comunità di comunità. Da doppione politico e mero concorrente della Camera, il Senato si trasforma nella sede di cooperazione e condivisione tra la rappresentanza politica nazionale e i poteri locali.
  Va però ribadito, a mio avviso, che anche nella nuova composizione il Senato non è chiamato a rappresentare interessi locali, ma è chiamato a una diversa sintesi, a una diversa visione dell'interesse nazionale. Questo non trasforma il Senato in organo di garanzia. Questo è davvero troppo ovvio, e non spreco parole per sottolineare quanto sia incongruo prevedere una sua specifica competenza in relazione alla famiglia o ai trattamenti sanitari obbligatori. Semmai avrebbe senso la previsione di una legge bicamerale per la disciplina del servizio sanitario (che è, in effetti, una delle maggiori competenze delle Regioni) e di altre materie di competenza regionale.
  Condivido anche quanto è stato detto da altri sulla circostanza che sia incongrua la presenza in Senato di membri di nomina presidenziale, che non rappresentano alcuna comunità territoriale; e anch'io sono favorevole a un ampliamento delle leggi bicamerali. Mi pare ad esempio che dovrebbero in ogni caso essere bicamerali le leggi che fissano livelli essenziali di prestazioni, che poi debbano essere erogate in sede locale con risorse locali.
  Per quanto riguarda le competenze statali, chi conosce la giurisprudenza costituzionale sa che oggi lo Stato ha amplissime competenze o dirette o per via di clausole trasversali o per via di sussidiarietà e che, praticamente, non manca nulla di ciò che è necessario.
  Alcuni inserimenti di nuove materie cosiddette esclusive statali, poi, creeranno solo complicazioni: tra queste, sicuramente, l'introduzione della disciplina del procedimento amministrativo, ove non sia limitata agli aspetti generali e di principio. Si noti che lo Stato già ora disciplina ampiamente il procedimento amministrativo in largo e in lungo attraverso la clausola che riserva ad esso la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni.
  Peggio ancora se la nuova riserva dovesse essere intesa – ma penso che qui la giurisprudenza costituzionale interverrebbe a correggere – come diretta a precludere alle Regioni la disciplina dei propri specifici procedimenti: se si considera che le Regioni disciplinano esclusivamente attività amministrativa, se si toglie loro la disciplina del procedimento o addirittura dei procedimenti amministrativi, ci si deve chiedere su che cosa mai possano legiferare.Pag. 10
  Ho detto sopra che la riforma del Titolo V è non solo discutibile, ma concettualmente contraddittoria. La ragione è che, ancor più di prima, il riparto dell'articolo 117 della Costituzione si fonda sull'idea di una doppia esclusività, come se nella realtà esistessero da una parte le materie statali, dall'altra quelle regionali, come entità distinguibili e separate.
  In realtà, se si eccettua un ristretto numero di materie nelle quali davvero la disciplina può e deve rimanere solo statale, in tutte le rimanenti non può che esistere una situazione di concorrenza e di intreccio.  
  Il problema dunque non è far finta che esistano due vasche separate, cosa in cui poi – alla fine – neppure i riformatori credono. Anche nel nuovo elenco delle materie statali cosiddette esclusive, per molte di esse la stessa denominazione allude a una concorrenza: così è per le norme generali sul territorio, per le norme generali sul turismo, per le norme generali sull'istruzione.
  Se si prescinde dalle materie che sono realmente esclusive statali, in tutte le altre ciò che davvero conta è il modo in cui si disciplina la concorrenza: conclusione che può sembrare paradossale se si pensa che la riforma in teoria si accinge a sopprimere proprio la potestà concorrente.
  Ora, poco male se si sopprime «la» potestà concorrente, purché ci si renda conto che essa rappresentava solo uno dei tipi di concorrenza che dovrebbero e potrebbero essere disciplinati. All'estremo inferiore c’è la concorrenza che non consiste in una potestà garantita dalla Costituzione, ma in una potestà attribuita e delimitata dal legislatore ordinario, come avviene oggi in materia di ambiente, dove la stessa legislazione statale chiama le Regioni a vari compiti, e in altre materie. Poi ci sono le materie regionali per Costituzione, in cui però il legislatore regionale subisce in varie forme la concorrenza – e sotto molti aspetti la supremazia – del legislatore statale.
  In questo quadro, sarebbe utile ricordare che per le Regioni speciali sono previste le norme di attuazione dello statuto, che svolgono un ruolo essenziale nello specificare meglio e più in dettaglio il senso del riparto costituzionale. Non si vede perché uno strumento di precisazione non debba essere previsto anche per le Regioni ordinarie. Non ha senso, infatti, affidare il riparto soltanto a una decima di mere «etichette» di materia e a una clausola residuale che rischia di rivelarsi priva di contenuto.
  Il vero riparto può essere precisamente determinato solo materia per materia con attenzione e con ampiezza. Occorre dunque uscire dalla finzione delle materie separate, e trovare il modo – che potrebbe essere la legge bicamerale – per precisare in modo vincolante (come accade con le norme di attuazione) per ciascuna singola materia le funzioni legislative (e amministrative) rispettive dello Stato e delle Regioni.
  Vengo a un breve commento sulla semplificazione dei poteri locali. Va benissimo la soppressione della menzione delle Province nella Costituzione. Vi rimangono però le Città metropolitane. La Corte Costituzionale ci dirà tra qualche mese se negli enti attualmente nominati nell'articolo 114 gli organi debbano o meno essere eletti direttamente, a suffragio universale. Se – come mi pare probabile – questa risposta varrà sia per le Province sia per le Città metropolitane, bisognerà che nella riforma costituzionale venga trovata una soluzione coerente per entrambe le istituzioni locali.
  Segnalo, ancora, l'estrema povertà dell'intero progetto per quanto riguarda i principi sulle funzioni amministrative. È una questione che non riguarda solo il Titolo V. La nostra Costituzione è nata povera sulle funzioni amministrative. Tuttora non vi è contenuto nulla che corrisponda, ad esempio, all'enunciazione di principi che si trova nell'articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. In questo la nostra Costituzione è rimasta indietro, e l'accenno alla semplificazione che la riforma introdurrebbe nell'articolo 118 è molto povero: è più il segno di una lacuna che resta che non il rimedio.Pag. 11
  Ancora alcuni brevi cenni. Il primo riguarda la questione dell'autonomia finanziaria, e quindi della corretta formulazione dell'articolo 119. È un problema che non risolveremo certamente in questo periodo di crisi e di finanza magra. Tuttavia, una volta che l'idea della comunità di comunità avesse trovato la sua espressione istituzionale nel Senato, risulterebbe coerente che nell'articolo 119 della Costituzione ci fosse un'indicazione, se si vuole di principio, ma vincolante, sulla suddivisione delle risorse tra lo Stato da un lato e le Regioni e le comunità locali dall'altro, e anche un'indicazione almeno di metodo sul riparto tra le diverse comunità territoriali.
  Il secondo cenno riguarda le Regioni a statuto speciale. Nella riforma esse rimangono fuori dal quadro. E rimangono fuori, purtroppo, anche nelle loro esperienze positive. La loro competenza primaria in materia di enti locali non ha trovato eco nella riforma, che va piuttosto nella direzione opposta. E più in generale le Regioni speciali, almeno alcune, hanno qualcosa da insegnare sull'autonomia amministrativa e anche sull'autonomia finanziaria. Il legislatore della riforma non ne tiene conto. Forse una riflessione sarebbe utile.
  Infine, molti lamentano l'eccesso di contenzioso tra lo Stato e le Regioni. In realtà, i contenziosi Stato-Regioni e Regioni-Stato sono molto diversi. Le Regioni agiscono solo a tutela della propria autonomia, e tranne qualche eccezione le loro decisioni di agire contro le leggi statali sono assunte «politicamente»: fanno ricorso le Regioni che sono all'opposizione e contestano – ovviamente traducendola in questioni di legittimità costituzionale – la linea di politica istituzionale del Governo, come espressa nelle leggi. Il contenzioso dello Stato, invece, è generale e burocratico: le leggi regionali sono passate al setaccio in un unico ufficio e sono impugnate per qualunque ragione di legittimità costituzionale, per giunta sulla base di letture spesso frettolose. Forse non si sbaglia pensando che attualmente la maggior parte del contenzioso derivi dalle impugnazioni del Governo.
  Sarebbe a mio avviso opportuno sancire che anche lo Stato può agire solo a tutela della sua competenza, e non allo scopo di esercitare un generalizzato controllo di legittimità costituzionale delle leggi regionali, sotto qualunque profilo. Per quanto non riguarda la competenza statale esiste il giudizio incidentale, quello che nasce in concreto da un giudizio a quo, sulla base di un filtro puntuale e di un contraddittorio tra le parti.
  Sempre in tema di contenzioso, finisco questo intervento con una domanda, per la quale non ho il tempo di accennare una risposta, ma che può essere utile a mettere in rilievo un ulteriore aspetto della riforma in discussione: potrebbe essere utile dare al Senato un esplicito potere di impugnazione delle leggi per la tutela delle sue competenze ?

  ENRICO GROSSO, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Torino. Il tempo è molto tiranno, quindi anch'io mi limiterò ad alcuni flash, lasciando al testo scritto uno sviluppo più articolato e argomentato delle mie riflessioni.
  Vorrei soffermarmi innanzitutto su quella che, a mio giudizio, è la vera questione centrale con riferimento al senso complessivo che il disegno di legge costituzionale pretende di accreditare, quasi il suo meta-significato: il modello di Senato che si è inteso perseguire e realizzare. Già qualcuno prima di me ha accennato a problemi di legittimazione che la nuova composizione del Senato rischia di creare, con riferimento alla presenza dei sindaci, dei senatori a vita (gli ex Presidenti della Repubblica), dei senatori non a vita ma di nomina presidenziale. Secondo me, c’è un problema più generale che deve essere oggetto di riflessione.
  Facciamo bene attenzione. Non è una questione che coinvolge soltanto la tecnica di designazione dei membri del Senato. È una questione che tocca il senso complessivo dell'operazione che si è inteso realizzare. Qualsiasi organo costituzionale, quale che sia la sua funzione, deve sempre essere organizzato in funzione del ruolo Pag. 12che dovrà svolgere. La sua composizione deve pertanto riflettere quello scopo. Dalla funzione che si vuole assegnare all'organo dipende la sua composizione. Non è possibile ragionare in astratto su quale sia la composizione ottimale: occorre chiedersi quale sia la composizione funzionale alla realizzazione degli obiettivi.
  Il nuovo articolo 55 come riscritto nell'articolo 1 del disegno di legge recita che il Senato rappresenta le «istituzioni territoriali». Se davvero la funzione del Senato deve essere quella di rappresentare «istituzioni», occorre che la sua composizione, da un lato, sia effettivamente in grado di riflettere tale obiettivo e, dall'altro, che le funzioni concretamente assegnate a quell'organo, cioè i poteri che gli sono concretamente riconosciuti, consentano effettivamente di realizzare quel compito.
  A me sembra che la composizione del nuovo Senato, da un lato, e i poteri ad esso assegnati, dall'altro, non consentano all'organo di organizzarsi e operare in funzione dello scopo enunciato, cioè di esercitare un ruolo propriamente «rappresentativo delle istituzioni territoriali», e quindi di raccordo tra quelle istituzioni e lo Stato.
  I senatori, dei quali si proclama che sono rappresentativi di «istituzioni territoriali», in realtà non lo sono affatto. Sono rappresentativi tutt'al più, se va bene, delle forze politiche presenti in ciascuna Regione e del peso politico che ogni forza politica è in grado di esercitare sia in relazione alle altre sia nella sua dinamica interna.
  Non vi tedierò ulteriormente – lo hanno già illustrato autorevoli colleghi prima di me – sulle condizioni che nel diritto comparato consentono davvero di attribuire al Senato la natura di ente rappresentativo delle istituzioni. Ciò avviene soltanto se sono le istituzioni a parlare all'interno dell'organo rappresentativo attraverso i componenti da loro designati. Ciò avviene, ad esempio, nel modello tedesco.
  Nel nostro caso, invece, i senatori saranno rappresentativi delle classi politiche locali, in quanto saranno eletti con il meccanismo di liste politiche concorrenti. Inevitabilmente, gli eletti di quelle liste politiche concorrenti agiranno in Senato sulla base di issue e si divideranno sulla base di cleavage politici, non istituzionali. Le loro decisioni, quindi, non rifletteranno la dinamica delle istituzioni territoriali, ma quella politica.
  Scusatemi, ma su questo punto è bene intendersi: non c’è nulla di male a prevedere una rappresentanza di istanze politiche, ma allora non ha senso affidare l'elezione di quei oggetti a meccanismi di secondo grado. Qui i casi sono due. Se si vuole che i Senatori rappresentino le istituzioni, ha perfettamente senso che essi siano designati con sistemi di secondo grado. Allora, però, non devono essere selezionati con meccanismi che replichino in sedicesimo le contrapposizioni per liste politiche.
  Se, invece, si vuole che i senatori rappresentino le diverse istanze politiche, allora ha perfettamente senso che essi siano eletti, ma traendo dal suffragio universale la loro legittimazione, non attraverso meccanismi di secondo grado.
  La soluzione escogitata nel disegno di legge è, a mio avviso, un ibrido incoerente, che fa dei senatori dei rappresentanti politici (e non istituzionali), i quali infatti esercitano non a caso le loro funzioni senza vincolo di mandato, perché sono appunto dei rappresentanti politici e non istituzionali, ma sono eletti da altri rappresentanti in istituzioni territoriali.
  Che senso ha tutto ciò ? Non è perseguito il modello della rappresentanza istituzionale dei territori, ossia la rappresentanza degli enti, perché quel modello si persegue solo se sono gli enti in quanto tali a designare i senatori (come avviene in Germania). Non è perseguito neppure il modello della rappresentanza politica nei territori, perché si evita accuratamente di affidare l'elezione al voto popolare. Ciò, a mio avviso, è gravemente contraddittorio.
  Due soluzioni, entrambe semplicissime, avrebbero potuto essere tranquillamente adottate, e forse possono ancora esserlo, a seconda che si decida di privilegiare l'uno Pag. 13o l'altro di due modelli che ho provato a enunciare, senza minacciare quell'altro pilastro che a me sembra venga fuori tra le righe del progetto, ossia l'esigenza fondamentale di fare in modo che i senatori eletti siano anche consiglieri regionali o sindaci o comunque occupino anche un'altra carica dalla quale traggano autonomamente la loro indennità. Mi sembra in fondo che questa sia un po’ la logica politica sottesa a tutto il dibattito che ha preceduto l'esame di questo disegno di legge.
  Ma allora, lo stesso obiettivo si potrebbe realizzare senza difficoltà prevedendo che gli eletti siano tutti consiglieri regionali – sono d'accordo col professor D'Atena, i sindaci in questo quadro hanno veramente poco a che fare con il tipo di competenze assegnate al Senato – o prevedendo, secondo il modello tedesco, che siano nominati dai Governi, ovvero, secondo il modello della rappresentanza politica nei territori, che siano eletti tra i consiglieri regionali a suffragio universale diretto in occasione delle elezioni regionali.
  Esistono meccanismi per consentire che tutto ciò funzioni nella maniera più efficace. La soluzione individuata finora, invece, costruisce delegazioni depotenziate, poco rappresentative in senso sostanziale, in quanto prive di una forte legittimazione (né di un tipo né dell'altro).
  Spenderò poche parole sulle funzioni assegnate al Senato. Si è ripetuto più volte che il nuovo Senato dovrebbe favorire uno snellimento del procedimento parlamentare, un'accelerazione delle prestazioni decisionali, una maggiore efficienza dei processi legislativi. A me sembra che si siano poste tutte le premesse per un aggravamento delle procedure, e di conseguenza per un inasprimento dei contenziosi.
  Vi sono quattro tipi di procedimento. La distinzione tra i casi in cui si applica l'uno o l'altro è affidata a formulazioni molto generiche, che spesso fanno riferimento a materie. Sono poste le premesse per infiniti contenziosi anche di fronte alla Corte Costituzionale sul corretto procedimento legislativo adottato.
  A me sembra che si potrebbe invece adottare, come sperimentato in altri Paesi, un modello assai più semplice, in cui la Camera ha la prevalenza sulla decisione finale in merito all'approvazione della legge, ma in ordine a tutti i tipi di legge che sono oggetto di discussione. Tutt'al più, per taluni tipi formali di legge (non di «materia»), si potrebbe prevedere l'obbligo della procedura bicamerale.
  Se ho ancora un minuto, vorrei sensibilizzare questa Commissione su un tema che oggi non è stato ancora dibattuto, ma che secondo me è molto importante: quello affrontato dall'articolo 12 del disegno di legge che modifica l'articolo 72 della Costituzione, introducendo non soltanto, come qualcuno ha provato a sostenere, il voto a data fissa, ma un vero e proprio privilegio governativo attraverso la possibilità di ricorrere al voto bloccato.
  È bene che il Parlamento sia molto consapevole di che cosa sta votando: sta introducendo un fortissimo autolimite al proprio funzionamento. È una decisione del tutto legittima, ma molto impegnativa. Essa avrà inevitabili rilevanti conseguenze sulla forma di Governo, che pure non è formalmente modificata. Ovviamente, il richiamo è nuovamente all'esempio francese, che appunto consente al Governo di ottenere non solo il voto a data fissa, ma il voto bloccato. Non si dica che questo istituto è neutrale rispetto alla volontà del Parlamento. Il Governo, soprattutto se una parte della sua maggioranza parlamentare ne sostiene l'azione, può far perdere tranquillamente sessanta giorni al Parlamento e, dopo la scadenza, obbligare il Parlamento ad approvare il progetto originario da lui proposto. La realtà, quindi, è che l'istituto del voto bloccato costituzionalizza, solo in maniera un po’ più elegante, la detestata prassi dei maxiemendamenti su cui viene posta la questione di fiducia.
  Vengo a un'ultimissima questione. Vi rivolgo in proposito un accorato appello. Nel 1947 fu affidato il compito di una revisione linguistica e stilistica della Costituzione a tre illustri letterati, Concetto Marchesi, Pietro Pancrazi e Antonio Baldini. Ovviamente, qui non si pretende Pag. 14altrettanto, ma ricordo che anche grazie alla cura con cui è scritta, alla sua struttura linguistica, alla sua leggibilità, alla semplicità e pregnanza delle sue formulazioni, la Costituzione è diventata patrimonio giuridico civile e culturale della nostra collettività. Per favore, esercitate il massimo sforzo di ripulitura, di semplificazione, di coordinamento, omogeneizzate le formulazioni, cercate di non scrivere periodi troppo lunghi, di non abusare del fastidioso e corrivo gergo legislativo dei nostri tempi. Anche così rafforzerete, nei cittadini, un indispensabile sentimento di «appropriazione» del nuovo testo costituzionale e forse passerete alla storia come coloro che hanno riscritto una larga parte della Costituzione mantenendola nel solco della continuità della cultura costituzionale del nostro Paese.
  Dipende da voi dimostrarvi, mi permetto di dire, più attenti e più accurati rispetto a ciò che sono stati capaci di fare i vostri colleghi senatori. Credo che l'intera comunità nazionale, non solo la più ristretta comunità dei costituzionalisti, ve ne sarà grata e riconoscente.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Grosso. La cautela nelle riforme mi sembra un suggerimento da non trascurare.
  Do la parola al professor Raniero La Valle, presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione.

  RANIERO LA VALLE, Presidente Comitati Dossetti per la Costituzione. Ringrazio il presidente e i colleghi deputati per quest'invito.
  Avrei voluto soprattutto rappresentare il disagio di una vasta area dell'opinione pubblica, che si riconosce nell'eredità politico-costituzionale di Dossetti, che è stato un grande ispiratore della Costituzione. Questo disagio deriva non tanto dal fatto che quest'area ritiene la Costituzione immodificabile, dato che invece naturalmente si può modificare, ma soprattutto che si debba mantenere quel prestigio, quel credito, quell'autorevolezza che la Costituzione ha e che è sembrata in questo periodo fortemente vilipesa dal modo in cui si è affrontata l'opera della sua revisione. Il disagio, la difficoltà risiede non tanto e non solo sul merito della riforma, ma soprattutto sul metodo.
  Il fatto che la riforma sia stata subito volgarizzata come diretta all'abolizione del Senato e poi accompagnata da spinte di carattere autoritativo, da una fretta straordinaria, ha suscitato un senso di profonda difficoltà.
  Si è detto che, se si deve necessariamente eliminare il Senato entro l'8 agosto, bisognerebbe poter dimostrare che questo serve al vero bene della Repubblica e non per fare un inchino al Presidente del Consiglio, altrimenti c’è il rischio di finire come la Costa Concordia.
  Su piano più specifico, la difficoltà e il disagio risiedono nel fatto che si pensa che la Costituzione sia stata l'unica cosa che veramente ha retto in questi anni, in questi decenni di turbamento e di travaglio del nostro Paese, e che quindi anche adesso, prima di affrettate modifiche, nel momento in cui tutto muta – mutano la sovranità, la moneta, lo statuto del lavoro, l'industria, perfino il clima, la guerra, nessuno sa dove si andrà a finire – la Costituzione possa essere l'unica cosa che regge, l'unico punto di stabilità, di rassicurazione per un Paese sovrano. Cominciare una riforma dalla decapitazione del sovrano è imprudente. Semmai, attraverso il dimezzamento del Parlamento, sarebbe da fare alla fine, non all'inizio del processo riformatore.
  Perché la gente si occupa della Costituzione ? Si è detto che da tanti decenni si vuole riformare questa Costituzione e non ci si riesce e che questo sarebbe una frustrazione. Bisogna ricordare, però, che tutte le spinte alla riforma della Costituzione sono venute dal Palazzo, non dal popolo. Il primo che ha proposto la riforma è stato il primo «picconatore», il Presidente Cossiga, nel 1991 e con un messaggio dal palazzo del Quirinale che non era controfirmato neanche dal Presidente del Consiglio.
  Il popolo, certo, vorrebbe una Costituzione ancora più efficiente. Quando, però, si è trattato di porre mano a modifiche Pag. 15sostanziali della Costituzione, ha scelto altre strade. Il popolo è riuscito, per esempio, a modificare di fatto l'articolo 52 della Costituzione, che prevede il servizio militare obbligatorio, attraverso un ricorso in massa all'obiezione di coscienza. Allo stesso modo, pone fortemente oggi il problema di una legge di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione sui partiti, perché ci si rende conto che oggi non sono più in grado di assicurare quel concorso dei cittadini alla determinazione della politica nazionale che la Costituzione loro riserva.
  Semmai, quindi, si riterrebbe più urgente una legge di riforma dei partiti che ne garantisca la democrazia interna, la trasparenza, che li metta al riparo da catture di agenti esterni e che, soprattutto, ne faccia organi della società e non dello Stato attraverso opportune incompatibilità tra cariche di partito e cariche nelle istituzioni pubbliche.
  Un altro aspetto che fortemente ha preoccupato è questo dubbio insinuato dalla Corte Costituzionale che l'attuale Parlamento, data la sua composizione dovuta a una legge che non assicura la rappresentatività del Paese, non sarebbe abilitato a un'operazione di riforma costituzionale.
  Nel merito della riforma del Senato, posso solo dire che, nella mia esperienza, in molte occasioni l'apporto del Senato al processo legislativo è stato determinante, prezioso. Si potrebbe benissimo far uscire il Senato dal circuito della fiducia, lasciando questa alla sola Camera, ma conservando il Senato come organo della legislazione. Ricordo che la legge n. 194 sull'aborto non avrebbe superato il vaglio delle sentenze della Corte costituzionale e dei referendum popolari se il Senato non l'avesse profondamente modificata rispetto al modo in cui era uscita dalla Camera, essendone uscita soprattutto come una bandiera ideologica sull'aborto. Il Senato, invece, ne ha fatto un momento di responsabilità della donna, della società, mettendo in campo i consultori e provocando lo Stato a fare politiche di sostegno alla maternità responsabile. Oggi, è una legge la cui attuazione è reclamata perfino da quelli che ieri le si opponevano.
  Non bisogna dimenticare neanche che il Senato ha prodotto quel modello di civiltà giuridica che è stata la legge Gozzini – la legge n. 663 del 1986 – per il ritorno di un umanesimo nelle carceri.
  Io non ricordo mai che il Senato abbia fatto il «ping pong» delle leggi per sport: quella che era in gioco era la qualità della legislazione.
  Soprattutto sul Senato come viene configurato dall'attuale riforma resta la gravissima riserva della sua sottrazione al voto popolare diretto e, dato che al Senato sono rimasti molti poteri di controllo e di indirizzo politico, con una forte incidenza anche sull'attività dell'Esecutivo, nonché su atti o documenti all'esame della Camera, il rischio è che le responsabilità del Governo o di eletti che rappresentano la nazione cadano sotto il vaglio e la censura di senatori non eletti, che per Costituzione non dovrebbero neanche rappresentare la nazione.
  Così a noi pare che il Senato, che all'inizio era stato considerato come un ente inutile, diventerebbe addirittura un ente dannoso. Se si restituisse al Senato la sua caratteristica di Camera elettiva a suffragio universale diretto, ma questa volta senza sbarramenti e senza premi di maggioranza, esso al di fuori del rapporto di fiducia e quindi in condizioni di una vera, reciproca indipendenza rispetto al Governo potrebbe assolvere a un ruolo di garanzia e adempiere tra l'altro a compiti necessari di alta legislazione (leggi organiche, codici, testi unici) per riportare ordine nella giungla legislativa italiana.
  Se si abolisse l'incompatibilità tra le cariche negli enti locali e l'elezione al Senato, si potrebbe per altra via fare del Senato una larga espressione delle classi dirigenti locali senza elezione di secondo grado, facendo adempiere al Senato la funzione di maggiore raccordo tra lo Stato e le regioni.
  Ancora due piccole annotazioni. La prima riguarda la gratuità. Va benissimo non dare un'indennità ai senatori soprattutto Pag. 16se pagati da un altro ente, però la gratuità è un valore positivo, non può essere né una punizione, né un ingrediente di un populismo demagogico, mentre così il suo valore viene offuscato.
  Se ne potrebbe lasciare la scelta agli stessi senatori: chi avesse altre risorse potrebbe optare per la gratuità, chi avesse bisogno di un compenso per il suo lavoro dovrebbe avere il diritto e perfino il dovere di pretenderlo.
  Infine, la cosa a mio giudizio tra le più gravi è che il Senato, che pure dovrebbe raccordarsi con l'Europa, che pure dovrebbe esprimere direttamente i territori, sarebbe escluso dalla decisione sullo stato di guerra. Questa diverrebbe un affare interno tra il Governo e la sua maggioranza, peraltro costruita con il sistema maggioritario, e qui mi pare che si rivelerebbe la verità ultima di quella che viene chiamata la governabilità. Non tanto che il Governo possa meglio governare il Paese, ma che possa farne in sostanza quello che vuole, portandolo perfino alla guerra. Come i dossier degli Uffici della Camera ci ricordano, in tutti i Paesi europei dove c’è il bicameralismo entrambe le Camere contribuiscono alla decisione sullo stato di guerra.

  PAOLO MICHELOTTO, Esperto della materia. Premetto che usufruisco della videoproiezione per alcune immagini che serviranno più di molte parole.
  Sono uno dei promotori della iniziativa di legge popolare «Quorum zero e Più democrazia», che ha raccolto 52.000 firme tra il 2011 e il 2012 ed è stata depositata al Senato.
  Faccio una breve panoramica di quello che succede nel resto del mondo riguardo gli strumenti di democrazia diretta. In Svizzera esiste il referendum obbligatorio dal 1848. Dopo una breve guerra civile, in Svizzera hanno deciso di creare una nuova Costituzione che è stata approvata dalla popolazione a maggioranza, e da allora ogni singola modifica, ogni singola virgola posta sulla Costituzione svizzera deve essere approvata dei cittadini senza quorum.
  Dal 1874 sempre in Svizzera esiste il referendum opzionale: tutti gli atti emanati dal Parlamento entro cento giorni, se i cittadini raccolgono 50.000 firme, vanno a referendum senza quorum. Voi obietterete che così si blocca l'attività legislativa, ma non è successo, perché gli studiosi di democrazia svizzera hanno rilevato che solo il 7 per cento delle leggi emanate dal Parlamento sono state poste alla votazione popolare, e di queste circa il 51 per cento non è stato approvato. Questo significa che il 3,5 per cento delle leggi è stato cassato, ma il 96,5 per cento è stato approvato così come concepite dai rappresentanti.
  L'iniziativa popolare costituzionale, che in Italia definiremmo meglio referendum propositivo, esiste in Svizzera dal 1891, cioè da 120 anni. Si tratta di un testo pensato dai cittadini, su cui raccolgono 100.000 firme in diciotto mesi, dopodiché viene depositato nel Parlamento svizzero, che ha il tempo di discuterlo, se vuole può fare una controproposta oppure può accettare la proposta dei cittadini, e va a votazione popolare.
  Nel giro di un paio d'anni, quindi, un'iniziativa popolare costituzionale pensata dai cittadini svizzeri, passando attraverso il Parlamento svizzero, va a voto popolare. Ribadisco che questo strumento esiste in Svizzera da 120 anni.
  Con la democrazia diretta in Svizzera gli studiosi hanno messo in ordine di maggiore o minore democrazia tutte le varie città e i Cantoni con vari parametri, quali ad esempio la percentuale di firme necessarie per attivare un referendum, il tempo dato ai cittadini, e hanno stilato una graduatoria delle città e dei Cantoni che hanno più democrazia diretta. Hanno visto che queste città e Cantoni svizzeri hanno un PIL pro capite più alto del 5 per cento della già alta media svizzera, hanno il 10 per cento in meno di spese per gestire i rifiuti, hanno il 20 per cento in meno di tasse e il 30 per cento in meno di debito pubblico. Gli enti svizzeri dove c’è più democrazia diretta hanno il 30 per cento in meno di debito. Questo per dire i Pag. 17vantaggi che potrebbe portare la democrazia diretta se introdotta in maniera efficace in Italia.
  Un altro esempio molto forte è dato dagli Stati Uniti. A livello federale non esiste la democrazia diretta, ma a livello statale esiste in 27 Stati su 50, e dove questi strumenti sono applicati lo sono senza quorum. Negli Stati americani come ad esempio California e Oregon in cui vengono applicati questi strumenti, sono applicati a quorum zero. Sono gli Stati che sono indicati in rosso nella slide che potete vedere, e che rappresentano tutta la costa ovest degli Stati Uniti, mentre gli Stati in blu sono quelli dove non c’è alcuno strumento, gli Stati in verde e giallo sono quelli dove c’è il referendum o l'iniziativa.
  Gli Stati Uniti chiamano referendum quello che noi chiamiamo referendum abrogativo, e chiamano iniziativa quello che noi chiameremmo referendum propositivo, se ci fosse. Hanno un altro strumento interessante, la revoca degli eletti.
  Non si può ovviamente revocare il Presidente degli Stati Uniti, ma si possono revocare i Governatori dei singoli Stati, i Sindaci, i consiglieri comunali e scolastici, i giudici (in molti Stati i giudici sono eletti dai cittadini e quindi possono anche essere revocati). L'ultimo Governatore revocato nel 2003 in California è stato il Governatore Davis.
  Questi sono i casi più recenti: il Presidente del Senato dell'Arizona è stato revocato dai cittadini nel 2011, il Governatore del Wisconsin ha subito una votazione di revoca nel 2012, ma ha vinto e quindi è rimasto in carica.
  L'istituto della revoca esiste a livello locale anche in Germania, dove per esempio il sindaco di Duisburg è stato revocato nel 2012; esiste anche in Polonia, a Varsavia, dove però c’è il 30 per cento del quorum, e infatti è andato a votare il 25 per cento e quindi la votazione di revoca è stata invalidata. Questo è avvenuto nell'ottobre 2013, un anno fa, e il sindaco di Varsavia quindi è rimasto al suo posto.
  Esiste a livello nazionale in due Stati. Il primo è il Venezuela, Chávez ha subito nel 2004 un referendum revocatorio, ma ha vinto e quindi è rimasto in carica. In Bolivia Evo Morales l'ha subìto nel 2008, ma ha vinto ed è rimasto in carica.
  Esiste a livello collettivo in Svizzera, dove non si può revocare il singolo rappresentante eletto, ma si revoca tutto il Governo o tutto il Parlamento, e per questo motivo non è stata quasi mai usata, però esiste come strumento.
  Esiste anche in Canada nella provincia di British Colombia, in Russia e in Argentina. In Russia non è mai stato usato, nella provincia di Córdoba in Argentina invece è stato usato.
  Parliamo del quorum, il numero dei partecipanti necessario perché una votazione sia considerata legalmente valida. Introdurre il quorum è una scelta politica, tanto che in Italia è introdotto nel caso di referendum, ma per esempio nella Repubblica serba c’è nel caso delle elezioni presidenziali, che sono state ripetute nel 2002 e nel 2003 perché non si era superato il quorum del 40 per cento previsto per l'elezione del Presidente della Repubblica. Alla fine, nel 2004 è stato eletto Boris Tadic. Esiste sempre nelle elezioni presidenziali della Repubblica della Macedonia.
  Quant’è il quorum ? In Italia siamo abituati a un range che va dallo zero per cento a livello nazionale fino al 50 per cento dei referendum abrogativi. Nelle Regioni è più vario: va dal 50 per cento di quasi tutte al 45 per cento della Val d'Aosta al 33 per cento della Sardegna e al 30 per cento in questi anni della Toscana, perché in Toscana c’è un quorum variabile, che corrisponde al 50 per cento dell'ultima affluenza alle elezioni regionali.
  Nelle Province è sempre al 50 per cento, perché adesso a Bolzano hanno abrogato la legge che poneva il quorum allo zero per cento, e nei Comuni va dal 50 allo zero per cento. Ci sono alcuni Comuni (ancora pochi in Italia) dove il quorum è zero per cento, sono quasi tutti nella provincia di Bolzano, uno in provincia di Trento. C’è però un primo grande Comune capoluogo, Vicenza, che dal gennaio 2013 ha messo il quorum allo zero per cento nei referendum comunali. Pag. 18
  Gli Stati dove esiste il quorum sono Italia, Slovenia, Repubbliche ceca e slovacca, Polonia e Ungheria. L'Italia quindi fa parte del piccolo numero di Paesi europei in cui esiste il quorum, ma gran parte dei Paesi europei di antica tradizione democratica non ha il quorum. Il quorum non c’è in Gran Bretagna, in Irlanda, in Francia, in Olanda, in Svizzera, in Austria, in Spagna.
  Perché togliere il quorum ? Un motivo è la mancanza di segretezza, in quanto un articolo della Costituzione prevede che il voto sia segreto, ma nell'ultimo referendum nazionale, il referendum sul nucleare del 2011, l'affluenza è stata del 54 per cento e il voto a favore del sì è stato del 94 per cento. Questo significa che stando fuori del seggio a guardare le persone che andavano a votare avremmo saputo con una probabilità del 94 per cento che avrebbero votato sì, eliminando quindi il segreto.
  Il quorum diminuisce inoltre l'affluenza al voto. Sembra un paradosso ma è proprio quello che è successo in Italia: se prendete la lista di tutti i referendum fatti in Italia dal 1946, i referendum con quorum sono stati 66 e l'affluenza media è stata del 54 per cento, i referendum senza quorum sono stati 4 e l'affluenza media è stata del 64 per cento.
  Per concludere, se voi membri della Commissione intendete mantenere il quorum nella Costituzione italiana, sappiate che per parità di logica dovreste introdurre il quorum anche nelle elezioni dei rappresentanti, tanto che Clinton nel 1996 è stato eletto con una percentuale di votanti americani del 49 per cento. Se avesse avuto il quorum, non sarebbe stato eletto.
  Un'ultima cosa: spero di avervi dato qualche flash di curiosità per leggere la relazione della legge di iniziativa popolare, che ho trasmesso come allegato. Sono dieci pagine dove sono scritte in maniera molto dettagliata le motivazioni per cui 52.000 cittadini chiedono a voi rappresentanti di poter ampliare gli strumenti di democrazia diretta esistenti in Italia oggi. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie per questa interessante lettura dei problemi non soltanto limitata al nostro Paese. Do la parola al professor Scaccia, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Teramo.

  GINO SCACCIA, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Teramo. Nei tempi così ristretti farò volentieri rinvio a quanto è stato già detto dai colleghi che mi hanno preceduto e consegnerò un testo per quanto riguarda una riflessione più specifica sul Titolo V della Costituzione, mentre farò qualche rapida osservazione in ordine alla riforma del bicameralismo.
  È innanzitutto una riforma che muta in profondità il sistema costituzionale agendo sia sulla forma di Governo, sia sulla forma di Stato. Quanto alla prima, l'obiettivo di adeguamento dei processi decisionali alle esigenze di speditezza e di efficienza di un'economia globalizzata, nonché di un percorso di integrazione sempre più spinta mi sembra ben perseguito, sia pure con alcuni correttivi tecnici che sarebbero sempre possibili, poiché il venire meno della relazione di fiducia pone in una relazione più diretta il Governo con il Parlamento, consente una più coerente attuazione dell'indirizzo politico, semplifica indubbiamente il percorso decisionale.
  Non altrettanto si può dire per quanto concerne invece la forma di Stato, cioè il modo in cui il Senato è stato inserito nella relazione tra Stato e autonomie, perché a mio giudizio non riesce a corrispondere ad alcuna delle due aspettative o prestazioni che ci si attendevano dal Senato delle autonomie.
  Intanto rappresentare al centro le istanze provenienti dalle autonomie territoriali, in modo da cambiare il segno della legislazione regionale adeguandola, secondo il dettato dell'articolo 5, alle esigenze dell'autonomia e del decentramento. In secondo luogo, un'altra finalità dichiarata era quella di ricomporre in sede politica il conflitto di competenze fra Stato e Regione, che ha così pesantemente affaticato i ruoli della Corte Costituzionale, Pag. 19oltre ad aver bloccato la vita politica e amministrativa del Paese.
  A me pare che nessuno di questi due obiettivi sia stato realizzato con pienezza per il difetto soprattutto legato alla composizione del Senato. Sono state già avanzate perplessità dai colleghi che mi hanno preceduto sul coinvolgimento dei sindaci, che non è pienamente giustificabile in relazione alle funzioni legislative che il Senato sarà chiamato ad esercitare, ma ovviamente si comprende che questo è un elemento insostituibile della trattativa politica, quindi lo dico soltanto con una valutazione un po’ «naïf».
  L'altro vero problema sta nel fatto che è stata operata una scelta ibrida (anche questo è stato ricordato) tra rappresentanza di tipo politico e rappresentanza di interessi territoriali, una rappresentanza – quella che è stata costruita – che non risponde esattamente a nessuno di questi due modelli e che quindi fa cadere il Senato italiano in quello che è stato definito «il paradosso di Madison».
  Se infatti la Camera delle autonomie agisce secondo linee di aggregazione del consenso di tipo partitico, se non assume la vera rappresentanza degli interessi territoriali, rischia di essere catturata dalla Camera politica, di essere un doppione inutile della Camera politica, di quella che concede la fiducia, e non assicura neppure l'autentica mediazione degli interessi statali con le istanze autonomistiche, quindi non è in grado di portare al centro gli interessi locali.
  Madison dice chiaramente cosa è necessario fare per evitare questo paradosso, vale a dire occorre introdurre quattro congegni tecnici: un meccanismo di elezione indiretta dei senatori, un meccanismo cioè di secondo grado per evitare un conflitto tra rappresentanze politiche insediate sul medesimo territorio, la cumulabilità degli incarichi tra Governo locale e Senato delle Regioni, così da assicurare una trasposizione dell'indirizzo politico regionale nell'ambito delle Camere e fare in modo che le Regioni rappresentino davvero un indirizzo politico consonante con quello delle loro istituzioni rappresentative, una distribuzione dei seggi che non sia strettamente proporzionale alla popolazione regionale e infine, e soprattutto, un vincolo di mandato.
  Si può dire che la riforma ha introdotto tre di questi correttivi, ma non il quarto, il più importante, cioè il vincolo di mandato. Si è fatta valere sotto questo profilo una resistenza della nostra cultura giuridico-costituzionalistica a porre limiti alla libertà della rappresentanza parlamentare, eppure soltanto attraverso il vincolo di mandato si potrebbe autenticamente dare un contenuto effettivo e reale alla rappresentanza degli interessi territoriali.
  Per questo una coerenza maggiore con il modello del Senato autenticamente rappresentativo delle autonomie avrebbe richiesto un meccanismo analogo a quello che opera ad esempio in Germania, che da molti è considerato un modello da seguire.
  Anche sul piano della rappresentanza proporzionale delle Regioni (sposo interamente quanto è stato osservato in precedenza dal professor D'Atena) il meccanismo rischia di non funzionare, perché garantisce una sovrarappresentazione alle Regioni maggiori.
  Questo non soltanto altera quel principio di pari dignità costituzionale che pure è previsto nell'articolo 114 della Costituzione, ma soprattutto dal punto di vista politico non impedisce che un'intesa fra le Regioni più grandi metta sistematicamente fuori gioco le Regioni meno popolose e crei in queste ultime, se non disaffezione, comportamenti ostruzionistici. Perché dovrebbero infatti essere parte di un processo di decisione politica che sistematicamente le penalizza ?
  Si dovrebbero quindi riequilibrare i rapporti, in modo tale da non superare mai un coefficiente rappresentativo che sia di 1 a 3 o 1 a 4: la Regione più popolosa non dovrebbe poter avere più del triplo o del quadruplo dei senatori di quella meno popolosa.
  C’è poi un profilo che riguarda la composizione ed è quello dei senatori di nomina presidenziale, che non solo sono inopportuni per la loro ratio originaria e Pag. 20la loro collocazione in questa Camera, ma che è inopportuno a mio giudizio anche limitare nella loro durata.
  La durata settennale del mandato dei 5 senatori presidenziali toglie ragione alla loro presenza in una Camera, infatti politicizza la nomina del senatore, legandola a un certo Presidente e a un certo periodo di durata, e toglie un elemento di indipendenza e di neutralità alla carica, facendo in modo che essa non persegua secondo gli intendimenti l'interesse oggettivo della Repubblica, ma che sul finire del mandato si preoccupi dell'interesse soggettivo della rielezione.
  È vero infatti che il senatore non può essere rinominato dal Presidente, ma certamente può essere rieletto, quindi cercherà sul finire del mandato di operare non per portare in quella Camera la saggezza o l'autorevolezza di un punto di vista superiore e super-partitico, ma piuttosto di collocarsi per assicurare la propria carriera politica.
  Prendo ora in considerazione un elemento tecnico sulle competenze legislative. È stato già detto che si vengono a delineare più procedimenti legislativi, alcuni bicamerali, altri bicamerali con prevalenza Camera, altri con maggioranza qualificata, però tra questi procedimenti legislativi occorrerà scegliere a seconda della materia a cui fa riferimento il testo della legge.
  Rischiamo quindi di ritrovarci nel problema in cui ci ha collocati la riforma del Titolo V: il problema della qualificazione della materia che ha angustiato la Corte dovrà ora essere risolto ai fini dell'individuazione del procedimento da seguire dalle Camere.
  A questo proposito, mi pare che sarebbe indispensabile prevedere uno strumento che eviti l'esplosione di un contenzioso costituzionale tra Camera e Senato in ordine al procedimento da seguire, cioè alla qualificazione della materia. Sarebbe opportuno a mio giudizio predisporre un organismo bicamerale a composizione paritetica, con il compito di indicare per ciascun progetto di legge qual è la materia a cui fa riferimento e quindi qual è il procedimento da seguire, ovviamente applicando tutte le tecniche che la Corte ha affinato come il giudizio di prevalenza.
  Dinanzi alla legislazione italiana, che spesso è fatta di leggi omnibus, questo porrebbe il problema dello spacchettamento, con l'assegnazione di diverse norme o diversi plessi normativi a differenti procedimenti legislativi.
  Se così non fosse, non si dovrebbe nemmeno attendere ciò che auspicava il professor Falcon suggerendolo sommessamente, cioè l'introduzione di un ricorso diretto in via di azione da parte del Senato nei confronti della Camera per lesione della sua competenza, perché già oggi il Senato potrebbe ricorrere per conflitto di attribuzione. Rischieremmo quindi di far gravare sulla Corte Costituzionale un ulteriore carico nella ridefinizione degli ambiti di competenza interni tra Camera e Senato.
  Ovviamente perché questo sistema tenga e abbia luogo in sede politica la ripartizione delle rispettive aree di competenza tra Senato e Camera, occorrerebbe prevedere che le assegnazioni disposte dal Comitato paritetico non siano impugnabili dinanzi alla Corte Costituzionale, che cioè quell'assegnazione abbia luogo su base politica, con un comitato in cui siano paritariamente rappresentati, e che poi questa assegnazione non possa impugnarsi dinanzi alla Corte, altrimenti rischieremmo di introdurre un problema di giustiziabilità, un problema di controllo ex ante, senza eliminare i problemi di competenza ex post, che comunque a mio giudizio rimangono largamente sul terreno.

  NICOLETTA STAME, Professore ordinario di politica sociale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Io mi limiterò a fare alcune osservazioni riguardo a un tema, che è quello dell'introduzione della funzione di valutazione nell'ambito delle competenze e delle funzioni del Senato, che è compreso nell'articolo 1, comma quinto. Ho con me una nota che ho già trasmesso questa mattina e a cui mi posso ricollegare.Pag. 21
  Voglio dire subito che ritengo molto positivo questo inserimento, che è un'assoluta novità non solo nell'ordinamento italiano, ma anche nell'ordinamento di molti altri Paesi. L'idea di introdurre la valutazione come funzione del legislativo è particolarmente innovativa rispetto ad altri ordinamenti.
  L'idea di inserire la valutazione in questa riforma del Senato, che mira a una maggiore efficienza del sistema e a un collegamento con i territori, mi sembra particolarmente opportuna, perché la valutazione significa valutare l'efficacia delle politiche nella loro attuazione, non semplicemente nei procedimenti amministrativi, ma nei risultati che hanno ottenuto nella loro applicazione.
  Le politiche pubbliche a qualunque livello siano decise, sia centrale che regionale, poi vengono applicate concretamente all'interno delle situazioni ed è lì che bisogna andare a vedere quali sono stati i loro risultati.
  Questo inserimento mi sembra quindi molto positivo. Il vero, grande esempio rispetto a questo è quello del General Accounting Office degli Stati Uniti, che costituisce un esempio molto importante perché è legato all'istituzione della valutazione per la prima volta negli ordinamenti politici moderni ed è legato al fatto che il General Accounting Office è una istituzione del Parlamento, un istituto molto diverso dalla nostra Corte dei conti, perché è un istituto parlamentare, non una corte.
  All'interno del General Accounting Office è stata istituita una commissione che si chiama Program evaluation and methodology division, una divisione specializzata nella valutazione con delle competenze multidisciplinari, che lavora per individuare metodologie e strumenti per l'analisi delle politiche. Questa ha svolto una funzione molto importante in diversi periodi, sia nel periodo della Great Society che nei periodi di maggiore restringimento della spesa pubblica, e ha avuto sempre questa funzione di studiare gli effetti delle politiche e di fornire al Parlamento degli elementi conoscitivi particolarmente importanti.
  Questa mi sembra la lezione che dobbiamo raccogliere e mi sembra che il fatto che il Senato in questa sua riforma intenda introdurre questa funzione nuova sia un fatto estremamente positivo, che io considero un'importante innovazione, e le mie riflessioni sono alla luce di questo.
  Proprio perché si è fatta questa scelta, riterrei doveroso portarla avanti con molta determinazione e coerenza. Vorrei quindi che fosse chiaro cosa si intende per valutazione e che differenza c’è da altri tipi di attività che si svolgono già e che sono già presenti nel nostro ordinamento, che secondo me non devono essere confusi con la valutazione delle politiche pubbliche.
  La valutazione mira a scoprire se quello che è stato fatto ha avuto risultati positivi, quelli attesi, ma anche eventuali risultati positivi non attesi, su chi ha prodotto questi risultati e produce degli apprendimenti sia direttamente, da quello che succede, sia da altre informazioni raccolte.
  Questo è molto diverso da altri istituti, principalmente dal controllo, e anche da altre funzioni che già esistono e che sono state e spesso sono richiamate, nel senso che da noi esiste già qualcosa del genere, ma non è così. Abbiamo la valutazione VIR, la valutazione dell'impatto dei regolamenti, ma riguarda le procedure. Abbiamo delle clausole valutative all'interno di certe situazioni nei Consigli regionali, ma anche questo riguarda se siano state prese delle iniziative per portare avanti l'attuazione delle leggi. La valutazione, invece, significa che si verificano i risultati, quindi si lavora sui soggetti a cui sono destinati questi procedimenti.
  Alla luce di queste considerazioni, ossia del fatto che a mio parere va nettamente distinta la funzione di valutazione, che vedo positivamente introdotta, da altre che già esistono, vorrei commentare questo quinto comma dell'articolo 1, che, secondo me, mette insieme tutte queste cose e non le distingue, mentre penserei che sarebbe il caso di tenerle distinte.Pag. 22
  Si parla di valutazione a proposito di atti normativi e politiche dell'Unione europea. Questo è coerente, perché il Senato lavora all'interno di questo ed è molto bene che valuti queste politiche.
  Si parla di valutazione delle attività delle pubbliche amministrazioni. Già questo è diverso, perché non è valutazione delle politiche, ma delle amministrazioni, funzione attualmente svolta a livello governativo e all'interno del Ministero della funzione pubblica. Se si inserisce qualcosa del genere, forse bisognerebbe specificare cosa si intende, altrimenti non so quale sia stata l'intenzione del legislatore in questo senso. Forse intende produrre degli orientamenti e delle linee guida, ma non credo che possa entrare direttamente in questo articolo.
  Si parla di verifica di attuazione delle leggi. Trovo che forse non sia giusto affiancare tutti questi altri tipi di attività alla valutazione. Soprattutto, non trovo che sia giusto affiancare controllo e valutazione. Mi sembra che mettere insieme controllo e valutazione delle politiche pubbliche in qualche modo sia sminuire quest'innovazione. Il controllo è un'attività che già esiste, già si sa cosa sia, è svolto con certe modalità, è già regolato. La valutazione è qualcosa di diverso.
  Controllo significa sapere che ci sono determinati requisiti, che si deve procedere in un certo modo e si verifica se sia stato così. La valutazione, invece, è diversa. Si aspira a qualcosa che non si sa cosa sia, come possa succedere. Si vuole verificare se quanto è successo sia veramente positivo. Si può anche trovare qualcosa di nuovo che può servire da guida per nuove legislazioni. La valutazione, quindi, presenta un elemento conoscitivo molto diverso da quello del controllo. Affiancare controllo e valutazione a me sembra sminuire la portata dell'innovazione.
  Vorrei spiegare che la maggior parte dei sistemi che hanno delle attività di valutazione sono, tra quelli più importanti, la Svezia, il Canada in particolare, l'Australia. In quei Paesi la valutazione esiste a livello governativo, in certi casi anche molto sviluppata, ma è sempre un'iniziativa che parte dal Governo. Credo, invece, che aver pensato di far partire un'iniziativa dal Senato sia estremamente positivo. Il Senato è un organo legislativo che ragiona in termini di interesse pubblico, interesse di quello che vuole perseguire e cerca di procacciarsi le informazioni che gli servono. Ritengo che questo sia molto positivo.
  Naturalmente, bisognerà organizzare questa funzione, creare una commissione, lavorare al suo interno. Personalmente, ho elaborato una specie di bozza: eventualmente, se fosse utile, potrei consegnarla. Con l'associazione di valutazione che esiste, con altri organismi di cui faccio parte, abbiamo già anche cominciato a pensare a come potrebbe essere organizzata questa funzione.
  Assumere una funzione di questo genere vuol dire sapere bene che tipo di competenze sono necessarie, che sono competenze certamente di carattere valutativo, ma anche di carattere specifico della legislazione che si vuole andare a valutare. Bisogna trovare dei modi per stabilire come si valuterà, quali politiche e con quali criteri scegliere, come organizzare le domande di valutazione, un'intera attività sulla quale esiste una grande esperienza. Ritengo che quella del General accounting office americano sia utile proprio da questo punto di vista. Esiste una grande esperienza su come svolgere questa funzione, ma appunto ribadisco che l'aspetto importante mi sembra sia prendere sul serio quanto si è detto.
  Il mio invito sarebbe che, essendo stato deciso in un certo modo, lo si prenda sul serio e si ragioni concretamente su come quest'attività possa essere svolta. Credo che questo possa dare veramente il segno del cambiamento di una politica più orientata all'efficienza del sistema e al risultato economico-sociale che si vuole perseguire attraverso la legislazione.

  MASSIMO VILLONE, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II». Pag. 23Per i tempi ristretti, mi riservo di mandare un testo scritto. Adesso guarderò solo ad alcune teste di capitolo.
  Credo che ci siano cinque punti da considerare, più le considerazioni finali. Metterò i cinque punti nell'ordine che va dal pieno consenso al pieno dissenso. Si tratta del CNEL, del Titolo V, della partecipazione popolare, del Governo in Parlamento e del Senato.
  Parto con un pieno consenso sulla soppressione del CNEL. Non c’è niente da dire. Nessuno rimpiangerà il CNEL, che non ha mai svolto la funzione cui probabilmente si pensava in Assemblea costituente. Io stesso da parlamentare ne ho più volte proposto e sostenuto la soppressione. È bene che sparisca.
  Sul Titolo V ho un consenso sostanziale, anche se in parte. Condivido soprattutto l'obiettivo del Governo di andare a una maggiore efficienza di sistema. E devo dire che condivido la proposta iniziale del governo più che quella emersa dai lavori del Senato.
  La riforma del Titolo V fu sbagliata e scritta male fin dall'inizio. Fu scritta – ahimè, qui alla Camera – sotto dettatura del popolo delle autonomie. In Senato arrivò un testo blindato, sorretto dalla convinzione dello stato maggiore del centrosinistra che facesse riguadagnare il nord e vincere le elezioni del 2001. Ovviamente fu solo una grande illusione, poi del tutto smentita dai fatti.
  Conteneva essenzialmente tre errori. Il primo era dato da alcune evidenti omissioni nell'elenco delle potestà legislative esclusive. Ne cito solamente due di particolare rilievo: le grandi reti e il coordinamento della finanza pubblica. Basta pensare a un coordinamento fatto attraverso venti leggine regionali di finanza pubblica per cogliere la portata dell'errore. Come anche fu un errore l'espansione abnorme della potestà legislativa concorrente: un corpaccione per il quale Leopoldo Elia disse che si trattava di un «federalismo à la carte».
  Voglio dire all'amico e collega Falcon, dal quale mi divide forse una trentina d'anni di colluttazione su questi temi o forse anche di più, che non si può ragionare come fa lui quando si chiede cosa lasciamo se eliminiamo i procedimenti amministrativi. Credo che dobbiamo chiederci a chi interessa spezzettare i procedimenti amministrativi tra venti repubblichette. Se fossi un imprenditore con una proiezione appena più che locale, sarebbe per me un mal di testa pensare che, passando il confine regionale, il diritto amministrativo cambia. Questo può interessare agli amministratori e forse agli avvocati amministrativisti, ma a tutti gli altri certamente no.
  Infine, fu un errore davvero grave la soppressione dell'interesse nazionale. Questo fu dovuto soprattutto a una lettura sbagliata dei regionalisti dell'epoca, che criticavano una certa interpretazione data dalla Corte Costituzionale all'interesse nazionale come limite alla potestà legislativa regionale. Ma vediamo che non c’è federalismo di successo al mondo privo di una clausola di supremazia. Come non c’è federalismo di successo al mondo che abbia sotto il livello primario (lo Stato) quattro livelli istituzionali che si vorrebbero in principio garantiti costituzionalmente alla pari (Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni). Noi li abbiamo, ed è un'architettura che non si tiene.
  Credo che siano condivisibili, come dicevo, gli obiettivi perseguiti dal Governo, che vanno dalla correzione degli errori più evidenti alla reintroduzione di una clausola di supremazia ispirata al sistema tedesco, come io e Franco Bassanini proponemmo ben undici anni fa (XIV legislatura, AS 2507) con un disegno di legge le cui linee fondamentali erano molto vicine a quel che oggi propone il Governo, quasi con le stesse parole.
  Ritengo che l'impianto sia in parte peggiorato nel passaggio parlamentare. Voglio segnalare in specie un'ambiguità che credo si possa correggere: l'introduzione delle disposizioni generali e comuni, un novum genus. Di che si tratta ? Non è, ovviamente, la legge quadro o cornice, altrimenti sarebbe bastato lasciare tutto com'era. La legge cornice, tra l'altro, non è una disciplina della materia, ma reca gli Pag. 24indirizzi che la disciplina della materia dettata con legge regionale deve osservare. Le disposizioni generali e comuni, invece, sembrano indicare dettati normativi che entrano nella materia, come se ci fosse un ritaglio nella materia che sarebbe in astratto di competenza regionale, in cui lo Stato invece penetra con la propria disciplina. Qui vedo un'ambiguità che potrebbe affaticare dottrina e giurisprudenza per anni, dando luogo a un nuovo enorme contenzioso davanti alla Corte Costituzionale. Era più netta la formulazione iniziale del Governo tesa a superare la potestà legislativa concorrente. In ogni caso, ritengo il testo in discussione un progresso rispetto all'odierno Titolo V.
  Quanto alla partecipazione popolare, credo che l'intento iniziale fosse quello di comprimerla, e che su questo non si possa, ovviamente, tacere. È chiaro che non sono d'accordo. Quello che è stato fatto in Senato è un lifting di poca sostanza. In realtà, come diceva il collega che ha parlato della democrazia diretta, se si vuole, come penso che si debba in questo contesto, rafforzare la partecipazione popolare, l'unica alternativa è il referendum approvativo – diciamo le cose come stanno – non quello propositivo e di indirizzo sostenuto da Calderoli, che ha insistito su questo spot come se fosse la grande innovazione del secolo.
  A parte la Svizzera, è stato citato l'Oregon. Negli Stati Uniti è accaduto che sia stata approvata con voto popolare una legge sul suicidio assistito. In California, nel 2008 fu approvata con voto popolare la nota Proposition 8,che vietava il riconoscimento del matrimonio tra omosessuali. Due questioni politicamente sensibilissime, affrontate con voto popolare diretto, nel bene o nel male. Non importa cosa si decide e come. Importa sapere che esistono strumenti che danno sostanza vera alla partecipazione e vanno ben oltre la pubblicità ingannevole che è stata fatta qui da noi su questo tema.
  Quanto al Governo in Parlamento, ha detto bene Grosso: qui abbiamo un potere di ghigliottina permanente, l'equivalente di una questione di fiducia ad nutum, ed anzi di più. Bisogna dire le cose come stanno: è uno strumento di grande pericolosità. La proposta richiama il «testo proposto o accolto». Si apre a una lettura per cui il Governo può, magari con centinaia di emendamenti già approvati, il sessantesimo giorno portare in votazione il testo non come emendato, ma quello che ha in origine proposto. Cancellando così retroattivamente le votazioni effettuate. Questo punto è di straordinaria gravità. Come diceva Grosso, infatti, è facilissimo per un Governo organizzare un ostruzionismo di maggioranza, facendo intervenire i suoi sostenitori per impedire che si giunga al voto finale entro il termine dato. Chiedendo che si voti il testo come in origine proposto, il governo potrebbe non solo far cadere tutti gli emendamenti ancora da votare, come accade con la questione di fiducia, ma altresì azzerare tutti quelli già votati e approvati. Un punto di assoluta gravità. Ancor più perché posto non attraverso il Regolamento parlamentare, che lascia un margine alla dialettica delle forze politiche, ma direttamente in Costituzione. In tal modo, come giustamente Grosso sottolineava, diventa un elemento determinativo della forma di governo. Il fatto che sia previsto in dettaglio a livello costituzionale riduce al minimo lo spazio per convenzioni della Costituzione e prassi applicative, e irrigidisce il rapporto governo-parlamento. Ecco perché determina la forma di governo. Questo è uno dei punti in assoluto più pericolosi del testo, certo non adeguatamente considerato.
  Vengo al Senato. Sul punto ho parlato e scritto più volte, e non voglio qui ripetere le considerazioni già svolte. Le riprenderò nella memoria scritta. Ora dirò soltanto che la composizione e i poteri non sono accettabili. In specie, con la perdita della natura elettiva si ha una riduzione drastica della rappresentatività dell'istituzione Parlamento nel suo complesso.
  Voglio sottolineare l'ultimo concetto. Non si valuta bene quest'aspetto se non si guarda alla sinergia tra la riforma del Senato e le altre proposte di riforma. Bisogna considerare insieme il Senato non elettivo, la legge elettorale iper-maggioritaria Pag. 25a liste bloccate con soglie di sbarramento alte, il Governo in Parlamento. Se ne trae la possibilità che sia distorto l'intero sistema di checks and balances, con impatto sull'elezione del Capo dello Stato, dei giudici della Corte Costituzionale e dei componenti laici del CSM.
  Qui abbiamo forse non un disegno, poiché può darsi che non lo sia, ma comunque un esito pericoloso. Per me, è un esito di riduzione degli spazi di democrazia. Ritengo che sarebbe più democratico un sistema monocamerale: cancelliamo il Senato. Meglio non averlo che averne uno pessimo, purché si accompagni a una legge elettorale ragionevolmente proporzionale, che non tagli troppo le soggettività politiche presenti nel paese. Oppure, facciamo un sistema all'americana, un presidenzialismo classico, quello vero, in cui c’è una legittimazione separata di Congresso e Presidente, non la brutta copia della Francia con gli esiti che sappiamo. Puntiamo almeno ad avere un Governo forte, ma anche un popolo non di sudditi, ma di cittadini, che si esprime pienamente in una Camera altrettanto forte. Facciamo queste scelte, piuttosto che non la soluzione inaccettabile data in questa proposta di riforma.

  MAURO VOLPI, Professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Perugia. Partirò dall'ultima osservazione del collega Villone, cioè sullo sfondo della riforma elettorale, peraltro già approvata dalla Camera dei deputati. Ne deriva, secondo me, il rischio di uno squilibrio, di una maggioranza alla Camera più o meno artificiale prodotta dal premio, che potrà eleggere da sola organi di garanzia costituzionale, a cominciare dal Presidente della Repubblica, e avrà di fronte contrappesi che a me sembrano piuttosto deboli.
  Nel merito, vengo alla questione del Parlamento. Sono totalmente d'accordo sul superamento del bicameralismo perfetto e sull'esistenza di un'unica Camera politica, ma non bisogna cadere in un bicameralismo inutile, come mi pare quello prospettato. Abbiamo di fronte un Senato incerto, definito nel disegno di legge originario Senato delle autonomie, ma che si è tornati a chiamare Senato della Repubblica. Non rappresenta la Nazione, ma c’è il divieto del mandato imperativo, quindi l'incertezza di cui ha parlato Grosso mi sembra evidente.
  È un Senato debole innanzitutto per la composizione, perché non ha una forte legittimazione. Ci sono consiglieri regionali e sindaci che cumulano le cariche. Qui seguiamo una via esattamente opposta a quella che stanno seguendo in Francia, dove c'era un notevole cumulo e stanno approvando leggi che tendono ad abolirlo, a superare il cumulo delle cariche. Qualcuno ha detto che forse faranno i senatori nei ritagli di tempo e si troveranno poi a contrattare in gran parte con il Governo la distribuzione delle risorse. Forse, nella migliore delle ipotesi, svolgeranno un ruolo analogo a quello attualmente svolto dal sistema dei conférences.
  Inoltre, è un Senato debole per le funzioni. Veramente ce ne sono alcune forti: addirittura la revisione della Costituzione, che forse però richiederebbe una legittimazione più forte. Qui c’è un evidente contraddizione. Dall'altra parte c’è il potere di richiamo della grande maggioranza delle leggi, che può essere facilmente superato dalla maggioranza della Camera anche per quelle per cui è richiesta la maggioranza assoluta, garantita artificialmente dal premio di maggioranza.
  Andiamo poi al procedimento legislativo e alla partecipazione popolare. Qui c’è la centralità del Governo, il meccanismo di cui si è parlato: il Governo paga uno e prende due, non solo il voto a data fissa, ma anche il voto bloccato. Accoppia le due cose: voto a data fissa entro sessanta giorni, esattamente il termine previsto per l'approvazione delle leggi di conversione dei decreti-legge. In più, c’è il voto bloccato, con la decadenza di tutti gli emendamenti.
  Ci sono contrappesi adeguati ? Le minoranze conquistano forse qualche potere in più, quello di attivare inchieste, come previsto in altri ordinamenti, o di impugnare preventivamente le leggi approvate Pag. 26dalla maggioranza di fronte alla Corte Costituzionale ? Questo è limitato soltanto alle leggi elettorali.
  Veniamo agli istituti di partecipazione popolare. È introdotto un vero referendum propositivo, una vera iniziativa legislativa popolare ? Mi pare proprio di no. C’è una garanzia di discussione e deliberazione contro tale rinvio ai regolamenti parlamentari per tempi forme e limiti.
  C’è poi l'assurdità di quello che è stato previsto per il referendum abrogativo: il doppio quorum a seconda del numero delle firme. Lasciatemi dire che questa è stata una mediazione politico-parlamentare assurda. Il quorum deve essere uno. Non sono favorevole all'abolizione del quorum, ma lo si calcoli e lo si parametri sulla maggioranza di quelli che hanno partecipato alle ultime elezioni politiche.
  Non si è fatta un'altra cosa elementare come l'anticipazione del sindacato della Corte Costituzionale sull'ammissibilità dopo che si è raccolto un certo numero di firme, per esempio un terzo delle firme necessarie. È inutile far raccogliere 500-800.000 firme per poi verificare che quel referendum non era ammissibile. Di questo non c’è traccia.
  Infine, c’è la riforma del Titolo V. Qui ho qualche elemento di accordo in più, come anche il collega Villone. Tuttavia, bisogna essere molto chiari. Mi pare che si passi dall'enfatizzazione di una prospettiva, forse esagerata in passato, di tipo federale a una forma di ricentralizzazione. Non c’è niente di male, ma è una forma di ricentralizzazione che non fa chiarezza su una questione fondamentale: natura e ruolo del regionalismo. Quale regionalismo vogliamo ? Ancora un regionalismo politico legislativo o uno prevalentemente amministrativo ? Questa è una scelta che va fatta con grande chiarezza.
  Sono d'accordo sullo spostamento di alcune materie nell'ambito delle competenze esclusive dello Stato, sulla clausola di supremazia. Aggiungerei a quelle critiche di D'Atena un'altra osservazione: perché solo su proposta del Governo può intervenire la legge dello Stato e non, ad esempio, su proposta dei parlamentari ?
  Anche qui ci sono elementi critici: l'abolizione delle competenze concorrenti come se la ragione del contenzioso tra Stato e Regioni fosse qui. Non è qui. La ragione del contenzioso è stata nell'incertezza e nell'erosione, soprattutto, di competenze residuali, spettanti alle Regioni. Si dice che lo Stato deve dettare le disposizioni generali in materie importanti, e quindi c’è il rischio che una competenza concorrente buttata fuori dalla finestra rientri dalla porta.
  Trovo poi una contraddizione che sarà probabilmente fonte di nuovo forte contenzioso: l'aver spostato da concorrente a esclusiva la materia dell'amministrazione del bilancio pubblico e del coordinamento della finanza pubblica, che mi può anche andar bene, ma dall'altro lato si sposta da concorrenti a residuali, quindi regionali, una serie di materie di forte impatto sociale, come la gestione dei servizi sociali. Questo sarà, secondo me, inevitabilmente fonte di un nuovo forte contenzioso.
  In definitiva, vi è secondo me il rischio, se c’è un senso complessivo di tutto questo insieme di forma costituzionale – ribadisco, però, anche di forma elettorale – di una centralità del Governo, fondato su una maggioranza creata dal premio, quindi artificiale, su un ulteriore svilimento di un Parlamento già avvilito in questi ultimi anni e con un regionalismo incerto. Speriamo che funzioni, ma sicuramente rimarrà incerto.

  BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Personalmente, sono partecipe della vecchia massima secondo cui il meglio è nemico del bene. Personalmente, di nuovo, di fronte all'alternativa tra l'approvazione del testo così com’è e l'ingresso nelle sabbie mobili delle continue modifiche, opterei per l'approvazione del testo così come uscito dal Senato.
  Tre passaggi nel testo del Senato sono talmente importanti che fanno premio su qualsiasi considerazione: il superamento del bicameralismo paritario e perfetto; la Pag. 27riforma del palesemente erroneo testo del Titolo V. Qui è stato ricordato l'interrogativo sull'approvazione del testo presentato dalle Regioni come base della trattativa. Le Regioni scrissero un testo dichiarando che lo portavano per trattare e quel testo fu approvato tal quale. Era un testo che sparava cento per avere cinquanta ed ebbe cento. Qui mi differenzio da molti testi: l'introduzione di una corsia preferenziale per l'attuazione del programma di Governo in luogo – questo è importante – dell'uso abnorme del decreto-legge. Ci tornerò tra un attimo.
  C’è poi una serie di dati su cui nemmeno mi soffermerò, ma se non aboliamo a questo giro il CNEL, ce lo porteremo per i prossimi cent'anni. La mia speranza è che il clima politico-parlamentare possa permettere un confronto fruttuoso, all'interno del quale forse alcune modifiche possono essere ulteriormente introdotte.
  Faccio una premessa di fondo. Lo scenario all'interno del quale vanno collocate le approvande riforme costituzionali è quello del rapporto tra l'Italia e l'Europa. Abbiamo bisogno di istituzioni che permettano all'Italia di stare in maniera efficace in Europa e poter far valere efficacemente gli interessi nazionali nello scenario europeo. Rispetto a questo quadro, senza soffermarmi in molte considerazioni, presenterò alcune osservazioni puntuali, che poi saranno maggiormente commentate in un testo scritto.
  Vengo al primo punto, il Presidente della Repubblica. Siamo proprio sicuri che il miglior supplente sia il Presidente della Camera, espressione di un indirizzo politico netto, o non è forse preferibile il Presidente del Senato ? Siamo sicuri che la riduzione della maggioranza per l'elezione del Presidente a quell'assoluta, a partire dalla nona votazione, sia effettivamente opportuna o, in realtà, non costringe ad accettare il Presidente proposto dalla maggioranza ?
  Su questi due punti mi permetto di chiedere una possibile riflessione.
  Relativamente al Parlamento in seduta comune, è stato detto da tanti che la sproporzione è troppa, 630 verso 100. Aumentare a 150 ? Chiaramente, è impopolare. Aggiungere i parlamentari europei ? Forse sì. Mantenere i delegati regionali del vecchio testo ? Non lo so. Certo, la sproporzione 630 a 100 è troppo evidente.
  Secondo me, il Senato non è il luogo della rappresentanza politica, ma quello della rappresentanza dei territori. Nella tradizione europea, la rappresentanza dei territori non è mai sganciata dalla rappresentazione politica – uso apposta rappresentanza e rappresentazione – quindi non è un Senato di garanzia, ma un Senato di raccordo tra interessi nazionali e locali.
  In questa logica, l'elezione diretta o l'elezione indiretta non è cruciale. Personalmente, mi sono espresso per l'elezione diretta in precedenti occasioni, ma riconosco che non è cruciale, mentre è cruciale e non mi soffermerò a spiegare – lo dirò dopo – la presenza dei sindaci. Devo aggiungere che non trovo squilibrata la differenza tra Regioni, che secondo i calcoli del servizio studi della Camera è 2,14, ma che modificando leggermente, nel rispetto del testo costituzionale, sarebbe addirittura 2,12.
  Trovo, invece, inappropriata la presenza dei senatori di nomina presidenziale al Senato, un elemento di confusione sul modello di rappresentanza che il Senato vuole offrire. Casomai, è opportuno, se lo si ritiene necessario, che i nominati dal Presidente della Repubblica vadano alla Camera, anche perché tempererebbero l'effetto maggioritario. Anche gli ex Presidenti, eventualmente, sarebbero deputati a vita, non senatori a vita, perché modificano la logica della rappresentanza del Senato.
  Sempre sul Senato, ho alcune altre considerazioni da svolgere. La legge elettorale del Senato deve depurare l'elezione del Senato dall'effetto maggioritario delle elezioni delle Regioni e dei Comuni. Noi abbiamo Regioni e Comuni eletti con un sistema maggioritario e la legge elettorale che si propone non depura da questo effetto maggioritario di base. Forse in Costituzione bisogna introdurre qualche regola sul funzionamento del Senato.Pag. 28
  Vi faccio un solo esempio. Le Commissioni del Senato come sono composte, sulla base della rappresentanza per Gruppi parlamentari o sulla base della rappresentanza per Gruppi territoriali ? Questa è una questione cruciale per il tipo di rappresentanza del Senato, che il testo non risolve.
  Nonostante tutto, a me pare equilibrato il testo dell'articolo 70. Anche suddividere la competenza per tipi di legge formale non risolve il problema della materia, perché il problema si riverbera su quando la legge è organica o altrimenti. Se io dico che una data materia è disciplinata con legge organica, ricado pari pari nel problema dell'individuazione delle materie, che è un problema ineliminabile, dalle Sezioni dei tribunali che ragionano per suddivisione per materia fra le Sezioni fino al rapporto fra Unione europea e Stati membri. Forse, invece, occorre prevedere, e questo è un punto importante, un luogo consensuale di definizione delle materie.
  Aggiungo una questione su cui ho sentito molto disaccordo. La corsia preferenziale per il Governo, salvo possibili modifiche e aggiustamenti, è cruciale. Diversamente, in questo Paese non ci sarebbe alcuno strumento per l'attuazione dell'indirizzo politico tranne l'uso abnorme, che noi tutti conosciamo e che è fonte di confusione non solo politica, ma anche amministrativa e giudiziaria, del decreto-legge. In questo Paese non c’è uno strumento di attuazione dell'indirizzo politico e, quindi, ci si butta su questa fonte di confusione che è il decreto-legge.
  Collegato a questo tema c’è quello, che qui ho omesso, ma che naturalmente aleggia, della fiducia al solo Presidente del Consiglio. Qui è omesso, ma è un tema che aleggia.
  Non mi soffermo su qualche altro punto, mentre sollevo alcune questioni sull'articolo 114. Io trovo squilibrata la discrasia fra Città metropolitane e Province. Città metropolitane e Province sono strumenti di governo di area vasta, nello stesso modo. O stanno tutte e due nel 114, o stanno tutte e due in un secondo comma del 114 in cui si dice che esistono strumenti di governo di area vasta e se ne disciplina la competenza. Trovo questa una discrasia. Dal punto di vista geografico, le Città metropolitane rappresentano poco più di 10 milioni di abitanti, forse 15, un quarto della popolazione del Paese. E gli altri ? Non hanno diritto a uno strumento di governo di area vasta ?
  Passiamo all'articolo 117. Il 117 riscrive totalmente il vecchio testo, secondo me recependo indicazioni provenienti dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Molte indicazioni di modifica sono state già raccolte dal Senato.
  In merito ho due osservazioni. La prima è che la potestà legislativa concorrente è esclusa solo formalmente, ma in realtà esiste.
  La seconda osservazione è questa: a questo punto non è un'ipocrisia conservare la clausola residuale a favore delle Regioni ? Non sarebbe meglio un modello come quello canadese – non mi ci soffermo, lo farò nel testo scritto – di duplice clausola residuale a favore dello Stato e a favore delle Regioni ? Quella clausola residuale è un po’ una foglia di fico.
  Devo dire che non abbiamo corretto l'articolo 118, che rimane una norma inutile e fuorviante. È una norma manifesto di eccessivo dettaglio quella sul contenuto degli stipendi dei senatori, così come mi sembra una norma manifesto e di eccessivo dettaglio la norma transitoria sullo status dei funzionari parlamentari. Non ce n’è bisogno.
  Vi segnalo poi quello che, secondo me, è un errore tecnico di redazione. Nell'articolo 126 precedentemente la procedura di commissariamento era prevista in Costituzione e poi è scomparsa dalla Costituzione ed è rimasto un aggancio alla legge. Per un problema di tecnica di redazione oggi, secondo me, scompare anche il rinvio alla legge. Pertanto, c’è un procedimento di scioglimento ex 126 che non avrebbe fonte, ponendo qualche problema.
  Il tema delle riforme delle Regioni a statuto speciale non lo tocco. Anch'io penso, però, come altri colleghi, che dietro questa vicenda ci sia il tema della legge Pag. 29elettorale. Qui non c’è nulla di antidemocratico, non c’è nulla di violativo della democrazia liberale e parlamentare. C’è un rischio di autoreferenzialità, questo sì, perché, se si va verso una legge elettorale della Camera maggioritaria e senza preferenze che si aggiunge a una legge elettorale del Senato maggioritaria in secondo grado, perché si basa su leggi maggioritarie, anch'essa senza scelta delle persone, il rischio di un carattere autoreferenziale del sistema politico io personalmente lo vedo.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Prima porremo tutte le domande e poi, eventualmente, anche a seconda degli argomenti che ciascuno avrà affrontato, darò brevemente la parola a tutti gli auditi per una rapida risposta.

  RICCARDO FRACCARO. Non me ne vogliano tutti gli autorevoli esperti auditi, ma io non farò la domanda a loro, semplicemente per rispetto per quei 52.000 cittadini che hanno sottoscritto una proposta di legge di iniziativa popolare. Questo è un Parlamento che, come spesso è accaduto nella storia più recente, quella che conosco meglio, non ha ancora discusso in Aula una legge di iniziativa popolare, nonostante le dichiarazioni frequenti della maggioranza di volerlo fare. Credo sia giusto da parte mia chiedere una precisazione su questa proposta di iniziativa popolare.
  In particolare, chiederei a colui che in questa sede rappresenta questi 52.000 cittadini, che sono tanti, se potesse concludere l'elenco delle motivazioni per cui loro ritengono che il quorum vada tolto. Non ho capito se ha avuto il tempo di svolgere l'elenco completo delle motivazioni per cui, secondo loro, va tolto il quorum.
  Soprattutto vorrei chiedere a chi oggi rappresenta quei 52.000 cittadini se la previsione di un quorum fissato al 50 per cento dell'affluenza alle ultime elezioni possa rappresentare un passo in avanti verso la direzione auspicata dalla proposta di iniziativa popolare.

  ANDREA GIORGIS. Anche quest'oggi mi sembra che le audizioni siano state molto utili. Seppure a volte con sfumature diverse, noi abbiamo sentito riproporre problemi che avevamo già avuto modo di ascoltare nelle precedenti audizioni.
  Alludo innanzitutto alla questione relativa alla composizione del Senato. Anche oggi abbiamo sentito i nostri esperti metterci in guardia dal rischio di una composizione che presenti profili di contraddittorietà, per quanto riguarda non solo i senatori di nomina presidenziale, il che è molto evidente, ma anche, per esempio, i sindaci.
  È stato osservato dal professor D'Atena come effettivamente si determini una qualche contraddizione tra un Senato delle istituzioni territoriali e la presenza di alcuni sindaci di alcuni territori che non sono espressione di enti titolari di potestà legislativa e come, dunque, si rischi di immettere in una Camera che è partecipe del procedimento legislativo soggetti che, invece, proprio per la loro specifica natura, sono espressione di enti con competenze puramente amministrative.
  Oltre a questi aspetti c’è poi una questione, sulla quale io ho già avuto modo di chiedere approfondimenti nel corso delle precedenti audizioni, che riguarda il tema della legittimazione del Senato. Se noi prendiamo sul serio la formula del Senato come Camera delle Istituzioni territoriali, cioè se i senatori sono i rappresentanti delle Istituzioni territoriali, bisognerebbe immaginare poi un meccanismo di legittimazione che non consenta la riemersione di una legittimazione di tipo politico generale. Diversamente, noi rischiamo di produrre un'incertezza nell'ambito della composizione del Senato e di avere un Senato che non sia poi in grado di realizzare quell'obiettivo di integrazione territoriale che dovrebbe, invece, essere la sua specifica funzione.
  Se il Senato delle istituzioni territoriali ha il compito di garantire un'integrazione territoriale tra territori che permangono tuttora profondamente diversi dal punto di vista economico, sociale e culturale, se ripete una dinamica di carattere politico Pag. 30secondo gli schemi tradizionali che legittimano, invece, la Camera dei deputati, c’è il rischio che poi non adempia a questa funzione.
  Quello che io vorrei chiedere è se vi siano degli accorgimenti ulteriori rispetto a quella che sarebbe la soluzione più semplice, che anche il professor Grosso oggi metteva in evidenza, che è quella di perseguire con linearità il modello tedesco, prevedendo che i componenti della seconda Camera siano espressione degli Esecutivi e, dunque, delle Istituzioni in quanto Istituzioni.
  Se non si volesse imboccare questa strada, vi sono accorgimenti che potrebbero comunque garantire la soddisfazione della medesima esigenza, cioè quella di una legittimazione inequivocabilmente in grado di escludere le dinamiche politiche ? Va da sé che i gruppi dovrebbero essere gruppi che non si formano per appartenenza politica, ma che si costituiscono per rappresentanza territoriale, altrimenti si ripropone questo problema.
  Questa è una grande questione, sulla quale poi ruota tutta una serie di questioni minori, perché, a seconda di come risolviamo questa, abbiamo risposte anche per risolverne molte altre.
  L'altro tema è quello che ha ripreso, in ultimo, il professor Caravita, quello del come fare in modo che si creino istituti che offrano al Governo un percorso alternativo all'utilizzo del decreto-legge.
  A questo proposito io ricordo un'audizione svoltasi alcuni mesi fa in ordine proprio ai problemi della decretazione d'urgenza. Mi sembrava che ci fosse un'opinione comune piuttosto diffusa. Non ricordo bene la posizione del professor Caravita, ma mi sembra che anch'egli condividesse la necessità di introdurre un istituto che garantisse tempi certi all'approvazione dei disegni di legge del Governo considerati essenziali, sostenendo però che questa disciplina non potesse che avvenire in sede di Regolamento parlamentare, perché solo in sede di Regolamento parlamentare si può prevedere in quali casi ammettere tale istituto, entro quali limiti e accompagnato da quali garanzie per le opposizioni.
  Diversamente si rischia di introdurre una disposizione che, quand'anche non si spingesse al voto bloccato, come pure invece il testo prevede, e quindi quand'anche venisse ricondotta nell'alveo degli istituti che garantiscono al Governo tempi certi ma non il controllo dei contenuti, quand'anche, in sostanza, rimanesse nell'alveo della forma di governo parlamentare, creerebbe dei problemi.
  In ogni caso io chiedo se questo istituto della cosiddetta procedura d'urgenza non sarebbe ragionevole prevederlo in sede di Regolamenti parlamentari, inserendo in Costituzione soltanto un richiamo analogo a quello che viene fatto per la tutela delle prerogative dell'opposizione, rispetto alla quale si dice che i Regolamenti parlamentari predispongono norme a tutela delle minoranze. Analogamente si potrebbe immaginare che in Costituzione ci fosse un rinvio alla competenza regolamentare per disciplinare modalità di garanzia per l'azione politica del Governo.

  STEFANO QUARANTA. Sollevo due questioni riprese da alcuni interventi, ma non da tutti, su cui mi interessava avere un giudizio più ampio: il tema delle garanzie e l'elezione del Presidente della Repubblica e della Corte costituzionale.
  Il tema è quale collegio sia necessario, per il Presidente della Repubblica alla luce anche della riforma elettorale che si prospetta per la Camera, per la Corte costituzionale perché anche nelle audizioni precedenti a quella di oggi abbiamo sentito opinioni molto differenti.
  Il disegno di legge prevede una parte dei giudici eletta dal Senato e una parte dalla Camera. La domanda è se questa scelta sia opportuna, dato che alcuni interventi prospettavano che forse questo dovesse essere un compito della Camera politica, cioè della Camera dei deputati, altri, per ragioni opposte, cioè di maggiori garanzie e imparzialità, che dovesse essere Pag. 31un ruolo esclusivo del Senato e altri ancora che dovesse essere un ruolo della Camera e del Senato insieme.
  Infine, la seconda questione è la seguente: a me sembra che dal testo esca un disegno in cui l'Esecutivo si rafforza in maniera forte, senza però forse i contrappesi di sistemi quali i sistemi presidenziali. D'altra parte, molti interventi hanno sottolineato come la seconda Camera, il Senato, rischi di avere davvero un ruolo marginale e come, quindi, si rischi di andare verso un monocameralismo di fatto.
  Detto che rischiamo di avere un Governo forte e un monocameralismo di fatto senza i contrappesi necessari, mi chiedo, a questo punto, se davvero la suggestione, che è uscita da qualche intervento, del monocameralismo possa essere da prendere in considerazione seriamente oppure no. Su questo vorrei avere il parere degli esperti.

  DANILO TONINELLI. Vorrei soffermarmi esclusivamente su due questioni: il procedimento legislativo e le modifiche inserite al Titolo V.
  Mi rivolgo, nel quesito che pongo sulla parte relativa al procedimento legislativo, al professor Scaccia, al professor Villone e al professor Caravita, ovverosia a coloro che mi è parso di udire, soprattutto il professor Caravita, aver giustificato la necessità di una corsia preferenziale in virtù della necessità di un intervento nei confronti della decretazione d'urgenza, che di fatto è aumentata anche in questa legislatura.
  La domanda che pongo è molto semplice: non ritenete che la corsia preferenziale e, quindi, l'introduzione di un voto a data certa, definibile quasi come ghigliottina, nel quale addirittura si possa porre in votazione in Parlamento un provvedimento così come è uscito dal Consiglio dei ministri, sia alla stessa stregua di un maxiemendamento con voto di fiducia e, di conseguenza, sia semplicemente un mettere la maschera alla decretazione d'urgenza ?
  L'altra domanda che pongo è relativa al Titolo V e parte dal presupposto che uno dei maggiori danni sull'impianto istituzionale del nostro Paese sia il frutto proprio di quella modifica fatta a fine legislatura nel 2001 che ha portato – in questo caso mi limito a parlare di costi – un incremento enorme di costi e la creazione di una sorta di vero e proprio feudalesimo, in cui le regioni sono diventate degli imperi con una sorta di autodichia interna.
  Ebbene, sulla scorta di tredici anni trascorsi e di una valutazione oggettiva dei danni, oggi cosa si fa in questa riforma ? Si interviene con modalità similari, non prendendo atto del fallimento della scelta di allora, ma prendendo, invece, una strada completamente differente rispetto a una che magari prendesse atto di questo fallimento.
  Vi chiedo se questa sia una considerazione che voi potete attuare con un'idea di diverso intervento, magari – abbozzo io – addirittura con un ritorno a prima del 2001, ossia a quello che diceva l'articolo 117 prima della riforma del 2001.

  EMANUELE FIANO, relatore. Mi scuso, presidente, per non aver potuto ascoltare i primi interventi.

  PRESIDENTE. Sappiamo che era impegnato presso la Segreteria nazionale del suo partito.

  EMANUELE FIANO, relatore. Mi scuso, quindi, se affronterò un aspetto che magari è già stato trattato. Io vorrei riferirmi a due aspetti. Di uno ha parlato poco fa il collega Giorgis, cioè le modalità di rappresentatività dei membri del Senato delle autonomie, così come è delineata nel quadro del testo di riforma che ci è pervenuto dal Senato.
  Mi pare che Andrea Giorgis abbia lasciato una domanda aperta, ossia se possano sussistere situazioni – non sono parole sue – di commistione e di compromesso su quella composizione che possano mitigare in parte i rilievi che lui ha sostenuto. Penso, per esempio, forse all'introduzione in quella composizione di presidenti Pag. 32di Regione, che abbiano, quindi, una rappresentanza dei Governi delle Regioni sul modello più del Bundesrat che dei Consigli.
  Con riferimento a questa critica, che è già stata avanzata in molti interventi, anche di molti docenti qui convenuti, io vorrei porre una domanda rispetto all'idea di chi dice che la Camera che si viene a configurare sia comunque una Camera politica e il Senato un Senato di rappresentanza istituzionale, per cui i rappresentanti eletti nel Consiglio regionale debbano avere un'unità di rappresentanza, a meno che non vengano rappresentati i Governi.
  Purtuttavia, voglio chiedere – non so chi vorrà rispondere – se la modalità politica con cui vengono eletti questi rappresentanti dai Consigli regionali, ossia il metodo elettorale con liste sulla base di voti, non dia loro la legittimazione (seppure di secondo livello, è pur sempre una legittimazione) dell'espressione di un voto autonomo, che non sia vincolato all'obbligo dell'esercizio di una rappresentanza «monolitica» dell'istituto che essi rappresentano.
  La seconda questione che voglio porre è sul modello di elezione del Presidente della Repubblica come configurato nella proposta di riforma che abbiamo in esame. Vorrei un giudizio su questa nuova modalità e sulle maggioranze necessarie per l'elezione del Presidente della Repubblica.

  FABIANA DADONE. Io vorrei fare una domanda in merito al percorso che dovrà seguire questa riforma. Mi domando se il percorso che è essa intenzionata a seguire rispetterà lo spirito dell'articolo 138.
  Mi spiego meglio. A mio modo di vedere – io, almeno, l'ho sempre interpretato così – l'articolo 138 prevede i procedimenti di revisione costituzionale, in cui la revisione è da intendersi come una modifica di piccole parti della Carta costituzionale. Questo tipo di riforma, invece, si propone di modificare notevoli articoli della Carta costituzionale. Sono circa una cinquantina, se non erro.
  A mio modo di vedere, si tratta quasi più di una fase costituente che di un piccolo procedimento di revisione, ragion per cui sono a chiedervi se, secondo voi, rispetto a quello che è proprio lo spirito dell'articolo 138 e, quindi, a quella che era l'intenzione dei Padri costituenti di prevedere un procedimento aggravato di modifica, questo sia lo strumento legittimo per un tipo di riforma così tanto – possiamo definirla proprio così – epocale, oppure se sia maggiormente opportuno aprire una fase costituente.

  ALAN FERRARI. Intervengo molto rapidamente ringraziando tutti gli esperti che anche oggi ci hanno portato diversi contributi e diverse suggestioni. Io mi auguro che possiamo farne tesoro nei prossimi giorni.
  È ovvio che, per ragioni di tempo, molti di loro si sono soffermati sugli aspetti prevalenti di questa riforma, quali modalità di composizione e formazione del Senato e sull'equilibrio dei poteri, con tutto ciò che ne deriva. Ci sono stati, però, alcuni passaggi, in particolare del professor D'Atena e della professoressa Stame, che hanno cercato di spostare l'attenzione anche sul tema delle funzioni del Senato.
  In particolare, il professor D'Atena ha citato quella che sarebbe la cultura mancante e, certamente, anche in questo caso, non ben trascritta, dell'inevitabile cooperazione tra livelli istituzionali, che io penso fosse molto più presente sicuramente nell'intenzione dei Padri fondatori di quanto non sia stato poi esplicitato dalla nostra Costituzione.
  La professoressa Stame mette l'accento su uno degli aspetti più rilevanti che, a mio avviso, dovrebbero far parte nel suo complesso di un'organizzazione istituzionale che, nel momento in cui non si dota di uno strumento come quello della valutazione dell'impatto delle politiche, rischia di diventare di fatto inefficiente e improduttiva.
  Mi piacerebbe magari se loro stessi potessero maggiormente puntualizzare questo tema, ossia quale funzione attribuire al Senato in questa logica, ma anche Pag. 33che ci fosse da parte degli altri qualche suggerimento.
  Chiudo con questo punto. A me pare che, al di là di come ognuno di noi vive la Costituzione e si ispira ad essa, – trattandosi di una Costituzione in cui è ben presente tutta l'idealità che è stata sottotraccia nel momento in cui si è scritta – in realtà questa Costituzione rimandi a degli obiettivi estremamente concreti. Non a caso si fonda sul lavoro, non a caso attribuisce una funzione estremamente significativa all'impresa e non a caso si pone come grande obiettivo quello di liberare ogni singola persona dai vincoli che le impediscono il proprio sviluppo.
  Voglio dire che questa Costituzione, in realtà, aveva la presunzione che da essa seguissero un'architettura istituzionale, un funzionamento e una cooperazione tra diversi livelli dello Stato che questi obiettivi così concreti li potessero garantire e consentire di raggiungere. Io ho la sensazione che, se i nostri Padri costituenti vedessero quello che è accaduto nei decenni successivi e lo Stato di oggi, sarebbero i primi a mettere in discussione l'assetto che è stato pensato in partenza.
  Se questo è vero, io credo che una riflessione attenta su quali siano le funzioni che vengono assegnate in particolare al Senato e su come vada riscritto il Titolo V, in una logica evolutiva rispetto a quella del 2001 e non involutiva, sia assolutamente centrale.

  PRESIDENTE. Mi consentirete qualche osservazione, sempre di metodo.
  Il professor Caravita, quando dice che il meglio è nemico del bene, isola tre elementi che ritiene proficui in questa riforma e che ritiene da soli essere capaci di giustificare la riforma stessa, se male non ho inteso: il tema del bicameralismo, l'articolo 117 e la corsia preferenziale per i disegni di legge del Governo.
  Chiedo a tutti voi: siamo proprio sicuri che in tema di riforme costituzionali si possa ragionare con «il meglio è nemico del bene», cioè che ci si possa accontentare di tre passaggi per dire che ne bastano tre e che tutti gli altri sono assorbiti, come se questa fosse una qualsiasi legge ordinaria, modificabile facilmente ?
  Io credo che questo debba essere un punto metodologico di sicura rilevanza e penso che su ogni parola di questa riforma noi dobbiamo riflettere. Ogni passaggio deve essere assolutamente calibrato, non si può sacrificare nulla.
  Chiedo agli esperti se questa impostazione metodologica può essere condivisa o se possiamo fare una somma algebrica, in cui, tra più e meno, se magari siamo a più uno, questo basti per giustificare una riforma costituzionale. Io su questo aspetto – non ho timore di dirlo – ho moltissime perplessità.
  In secondo luogo, un altro elemento emerso da quest'audizione è una riforma che privilegia il Governo sui poteri del Parlamento. Segnalo alcuni indici che vorrei che rapidamente potessero essere valutati dai nostri ospiti.
  Innanzitutto c’è la riforma dell'articolo 72, in cui il Governo può stabilire che ci sia un disegno di legge di rilevanza fondamentale per la sua politica e che – uso un termine che non mi sembra neanche inappropriato – strozza i tempi e i termini della discussione in Parlamento. Infatti, se non c’è una discussione che si esaurisce in quel tempo, si approva il testo del Governo senza alcuna discussione parlamentare.
  Io trovo, sinceramente, che questo punto meriti un'ampia discussione, perché afferma e consolida in capo al Governo un potere che forse non è neanche del Parlamento, nell'ambito della perentorietà dei termini entro cui poi si bypassa. Questo, ripeto, nella logica del principio per cui il Governo prevale sul Parlamento.
  Come terzo punto, c’è lo strapotere della Camera, che vede un Senato che io ho addirittura definito per scritto «lillipuziano», in cui le competenze non sono davvero incidenti nel percorso formativo. Probabilmente chi sostiene che questo modo di gestire il Senato non abbia una sua efficacia nel vero percorso ha ragione. Aggiungerò un'altra considerazione di qui a un attimo.
  Il tema è questo: è possibile affermare che questa sia una riforma che privilegia Pag. 34il Governo e che chiude l'importanza dell'unica Camera residuale rispetto alle terapie governative ?
  Questo è aggravato, peraltro – è un'altra osservazione che propongo ai nostri esperti – dall'aggravamento (scusate il bisticcio) della democrazia diretta, cioè del tema dei referendum. Si ha l'impressione, ascoltandovi insieme su questo punto, che questa sia una riforma che, lungi dall'ampliare le garanzie del Parlamento e della democrazia diretta, le restringa in favore del Governo. Vi chiedo se questo sia un pensiero che può essere condiviso.
  Svolgo un'altra considerazione, sempre metodologica, ossia che la semplificazione cosiddetta, in realtà, diventa abrasione dei diritti. Si semplifica, cioè, eliminando dei passaggi che hanno il sapore delle garanzie.
  Un altro segnale è la clausola di supremazia. Una clausola di supremazia di iniziativa governativa è un altro indice che, ripeto, io sottopongo alla vostra attenzione per stabilire se non accentui questa sensazione.
  Ancora, ci sono due temi che riguardano direttamente il Senato. Il primo è se sia possibile ritenere che non vi sia uno iato fra senatori che vengono eletti in modo indiretto fra i consiglieri regionali e i poteri di questi senatori nell'ambito del Senato, così come rimodulati dalla riforma, che parla di leggi costituzionali e trattati dell'Unione europea. Non si sa chi andrà al Senato. I senatori vengono individuati successivamente fra i consiglieri regionali. Vi è o non vi è una differenza fra legittimazione e rappresentanza, cioè fra quello che uno è geneticamente e quello che poi è chiamato a fare, indipendentemente da un'indicazione ?
  L'ultimo problema, ma non ultimo – è uno di quelli che mi è sorto ascoltandovi – deriva sempre dai princìpi generali che voi avete così brillantemente esposto. Mi chiedo se si possa affidare al Senato l'elezione di due giudici della Corte Costituzionale. Io su questo punto non so che parentela la rappresentanza territoriale possa avere con un'elezione dei giudici della Corte Costituzionale.
  Sono stato troppo sintetico. Gli argomenti erano rilevanti, ma i tempi dell'Aula incombono e abbiamo troppo interesse ad ascoltare i pareri dei nostri esperti.
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». Sul monocameralismo personalmente ritengo che un elemento di riflessione sia importante. Gli esempi che prima citava il senatore La Valle sono importanti. Il Senato può essere un luogo di riflessione e di ripensamento. Ancorché con una prevalenza di rappresentanza territoriale, palesi errori, palesi misunderstanding, palesi distonie con l'opinione pubblica possono essere recuperati attraverso il potere generale di richiamo che avrebbe il Senato. Personalmente, quindi, sono per mantenere un bicameralismo non paritario e non perfetto. Poi si può ragionare.
  Naturalmente, il mio era un paradosso. Anch'io preferisco che ci siano delle correzioni. Quello che esponevo all'inizio era un paradosso.
  Quanto alla corsia preferenziale, il tema di fondo è il seguente: il decreto-legge, scusatemi, ma voi lo vedete da queste aule. Da queste aule il decreto-legge lo vedete come fonte di contraddizione fra Governo e Parlamento. Per chi non sta in queste aule il decreto-legge è fonte di una continua confusione, perché il decreto-legge entra immediatamente in vigore, il che vuol dire che l'amministrazione, la giurisdizione e i privati per sessanta giorni non sanno che cosa devono fare.
  C’è, dunque, questo elemento di confusione amministrativa che il decreto-legge comporta, ma il decreto-legge oggi nel nostro ordinamento è l'unico strumento che il Governo abbia per l'attuazione del programma di governo. Fra il decreto-legge e la corsia preferenziale io ritengo preferibile assolutamente la corsia preferenziale. Dopodiché, ragioniamo su alcune cautele e su alcune modalità, che sono quelle che hanno ricordato l'onorevole Pag. 35Giorgis e altri colleghi, chiedendosi se siano opportuni solo il principio e poi il rinvio al Regolamento parlamentare.
  Io invito a ricordarsi che il decreto-legge altro è vissuto qui dentro e altro è vissuto nel Paese. Nel Paese il decreto-legge è fonte di confusione totale e continua.
  Passando al Titolo V, tornare al 1948 non è molto utile. Perché ? Perché ci sono state le riforme Bassanini del 1998 che hanno già allargato l'ambito di potestà legislativa regionale e, quindi, è difficile pensare di tornare indietro. La verità è che andrebbe rimesso in discussione il tema dell'ampiezza delle Regioni, valutando se andare verso le macroregioni o no.
  Questo, però, pone un problema con le Regioni a statuto speciale. Se andiamo alle macroregioni, che ci facciamo con la Valle d'Aosta e, se la Valle d'Aosta riusciamo magari a incorporarla, che ci facciamo con la Sicilia e col Trentino-Alto Adige ? Il tema della riorganizzazione territoriale delle regioni pone il drammatico problema del rapporto con le Regioni a statuto speciale.
  L'altro tema è quello di capire se effettivamente le Regioni siano organi di legislazione o siano ormai organi. Io penso che ormai vada superata la logica delle Regioni come organo di legislazione, ma mi ci soffermerò in un altro momento.
  Concludo con due battute. Fase costituente o no ? Certo, la riforma è molto ampia e riguarda 50 articoli. C’è un precedente, ma si può pensare di non toccare insieme questa serie di problemi ? Questo è un problema su cui si è discusso tantissimo.
  Sulla logica del Senato io mi chiedo se il funzionamento del Senato e la modifica del lavoro delle Commissioni non per gruppi politici, ma per gruppi territoriali non possano rappresentare una spinta in una direzione diversa.

  MAURO VOLPI, Professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia. Sarò brevissimo. La prima questione riguarda il Senato: quale Senato vogliamo ? Mi pare che il collega Grosso nel suo intervento abbia chiarito molto bene le alternative. Qui i casi sono due. Possiamo avere il coraggio di propendere per un Senato che sia veramente, fino in fondo, rappresentativo delle Regioni (lasciamo perdere i sindaci). In tal caso, forse possiamo imitare il modello tedesco, in modo che il Senato sia più un Consiglio che un Senato. È facile attuarlo ? È una situazione analoga alla nostra quella della Germania ? No.
  Se, invece, si pensa di avere un Senato in cui ci siano alcuni consiglieri regionali eletti con un sistema di secondo grado, mi permetto di pensare che essi non avranno una forte legittimazione e che quel Senato sarà debole.
  Ne volete una riprova ? Andate a vedere quello che è successo nei giorni scorsi per le Province, che non sono state abolite. È stato abolito il voto popolare, ma sono stati rieletti gli organi delle Province, il presidente e i Consigli regionali. Io vi assicuro che il 99 per cento dei cittadini non se n’è accorto e che quell'un per cento che se n’è accorto è rimasto avvilito e talvolta anche piuttosto indignato per i balletti e le alleanze più o meno trasversali tra diavoli e acqua santa che sono stati fatti quasi dovunque.
  Invito i deputati a riflettere e a evitare che si possa proporre un Senato che segua lo stesso percorso.
  In secondo luogo, è stato evocato opportunamente lo spirito dell'articolo 138. Io credo che qui, però, non sia importante tanto il numero degli articoli che vengono modificati, quanto il rispetto dei princìpi e degli equilibri costituzionali. Nella Costituzione c’è anche il principio dell'equilibrio fra i poteri. Questo è un punto fondamentale.
  Ancora, occorre che le revisioni siano per parti omogenee, anche con riferimento a questo disegno di legge. Anche su questo punto non ci siamo. Dovevano essere almeno due i disegni di legge. C’è stato un passo indietro rispetto al disegno di legge che è stato approvato per tre volte e al quale, alla fine, mancò la quarta approvazione ai tempi del Governo Letta, Pag. 36quando si prevedeva che alla fine di quel percorso sarebbero stati presentati dei distinti disegni di legge.
  Come ultima questione, io apprezzo molto i dubbi e le perplessità che sono stati sollevati dal presidente, onorevole Sisto, con il quale credo di poter condividere gran parte di quello che ha affermato.
  Volevo dire qualcosa sulla famosa corsia preferenziale, come è stata illustrata. Ho già avuto modo di osservare, in un'audizione che ci fu sulla decretazione di urgenza, che io non accetto il discorso per cui da un'anomalia evidente, abnorme, in questa legislatura – il 60 per cento delle leggi approvate sono leggi di conversione dei decreti, ad oggi – si possa giustificare l'introduzione di un'altra anomalia, per di più in Costituzione, stabilendo che comunque entro sessanta giorni il Governo, per un disegno di legge che ha dichiarato indispensabile per l'attuazione del proprio programma, impone alla fine la sua volontà, accoppiando due cose che neppure nella Costituzione francese ci sono. Il voto a data fissa è limitato a due materie in Francia e il voto bloccato è rarissimo. Come fa il Governo francese a governare ? La domanda è retorica.

  MASSIMO VILLONE, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II». Cominciando dalle domande poste dal presidente, è chiaro che alla revisione costituzionale non è comunque applicabile il principio che il meglio è nemico del bene. Bisognerebbe che lo capissero costituzionalisti e non costituzionalisti, ma a quanto pare invece non tutti lo pensano.
  Vorrei dire che Beniamino Caravita ha ragione quando dice che fuori di qui la gente non capisce il decreto-legge, che va in paranoia e così via, ma il problema è che non si potrebbe comunque abolire. Ovviamente, uno strumento come il decreto-legge deve rimanere, altrimenti, col terremoto, il Governo che fa, ricorre al percorso preferenziale ? In realtà, si avrebbe in Costituzione lo strumento emergenziale di compressione dei poteri del Parlamento e lo strumento ordinario di compressione dei poteri del Parlamento. Di fatto, emergerebbe questo.
  Come diceva giustamente il presidente, non credo che possiamo permetterci un Senato lillipuziano e la compressione degli strumenti di democrazia diretta. Non è un problema di quelli che stanno fuori e quelli che stanno dentro. Il problema è che questo Parlamento deve rappresentare qualcuno e deve avere potere per incidere sulle questioni che interessano ai governati e ai rappresentati.
  Non c'entra il bicameralismo paritario o non paritario: se dobbiamo avere un Parlamento che non riesce a parlare, a esserci, a essere portatore di qualche istanza, è meglio che chiudiamo anche questa Camera, non solo l'altra. Chiudiamole tutte e due, così risparmiamo il doppio e facciamo contento qualcuno che pensa che le istituzioni valgano quello che costano, mentre secondo me le istituzioni costano quello che valgono.
  È chiaro che bisogna stare veramente molto attenti. Gli snodi sono delicati, a volte non si vedono. Giustamente è stata posta la questione del perché qui l'iniziativa del Governo: appunto, sono piccoli strumenti. A volte incide su quegli strumenti e può cambiare gli equilibri, ovviamente gli equilibri complessivi.
  Su questo percorso preferenziale, non ricordo di chi sia il commento sui tempi non contenuti: è giustissimo, questa clausola incide sui contenuti. Come ho segnalato, «il testo proposto o accolto», significa che il Governo mette i sessanta giorni, organizza i pasdaran per farli trascorrere e cadono anche 700 emendamenti già votati dal Parlamento, non come per la questione di fiducia che subentra al testo così com’è. Si prende il testo proposto dal Governo e si mettono nel nulla 60 giorni di dibattito parlamentare, qualunque cosa sia accaduta. Questo non esiste in nessun Parlamento del mondo. Diciamo le cose come stanno. Diceva bene Mauro Volpi che queste cose non succedono altrove.
  Dice bene il presidente: il meglio è nemico del bene ? No, attenzione, non facciamo slogan.Pag. 37
  L'onorevole Toninelli non mi aveva probabilmente compreso: sono contrarissimo. Adesso spero che mi abbia compreso meglio. È chiaro che qui abbiamo un grande rafforzamento del Governo, oltre che irragionevole. Riguardo alla composizione del Senato, così com’è, la composizione è la peggiore possibile. Sono, ero e sarò sempre favorevole al Senato elettivo, ma questa composizione è veramente inaccettabile. Trovo intollerabile che questo Senato, con la revisione della Costituzione, decida dei miei diritti e delle mie libertà di cittadino.

  NICOLETTA STAME, Professore ordinario di politica sociale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Sarò rapidissima. Voglio solo ringraziare l'onorevole Ferrari, che mi consente di chiarire meglio il mio pensiero.
  Sono molto d'accordo con la sua impostazione, sul fatto che l'efficacia di un'istituzione come quella del Senato si vede dal fatto di raggiungere e ottenere degli obiettivi concreti. Lui ha parlato addirittura dell'impostazione dei Padri costituenti.
  Quali sono gli obiettivi concreti e in che senso si può dire che questa riforma punta a ottenere quest'efficacia ? Ottenere una maggiore occupazione, lo sviluppo delle imprese, una maggiore equità nei servizi, ridurre le grandi disuguaglianze. Questi sono gli obiettivi concreti di sviluppo che si pone una legislazione e rispetto a cui si cerca di creare delle istituzioni in grado di fornire questo.
  L'aspetto positivo che ho ravvisato è proprio questo: se si pone l'obiettivo concreto dei contenuti delle politiche e questo tipo di obiettivi al centro dell'attività del Parlamento nel suo complesso – in questo caso, stiamo parlando del Senato con la sua particolare configurazione di legame coi territori – bisogna poi valutare se questi obiettivi siano stati raggiunti o meno.
  La valutazione finora è avvenuta nell'ordinamento corrente soltanto dal punto di vista delle procedure. Esistono normative molto limitate che riguardano la questione se un procedimento sia legittimo, se sia stato fatto nel modo in cui doveva e così via, ma non si verifica se il risultato di quei procedimenti ottenuti, per quanto legittimi, sia stato positivo o negativo.
  Se l'obiettivo è ottenere più sviluppo, più occupazione, maggiore equità e via discorrendo, bisogna appurare se le politiche che abbiamo promosso hanno ottenuto questi risultati. A questo serve la funzione della valutazione ed è importante che ci si ponga questi obiettivi e che ci si doti di strumenti che toccano proprio quest'aspetto.
  Vorrei solo dire, per concludere, che, se questa è l'idea, mi sembra che questo tra l'altro smentisca l'idea di diminuzione delle funzioni del Senato. Attribuire al Senato questa funzione, infatti, gli dà una grande importanza, per cui continuo a pensare che sia molto importante questa funzione che va nel senso proprio di restituire la fisionomia giusta al Parlamento. In questo caso, non si può più parlare di uno svilimento del Senato, ma di una funzione specifica propria che gli viene attribuita e che mi sembra particolarmente importante.

  GINO SCACCIA, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Teramo. Forse vale solo la pena di ricordare che la soluzione monocamerale è propria o di Paesi estremamente piccoli e con un fortissimo grado di omogeneità sociale o di Paesi autoritari. Mi terrei il bicameralismo imperfetto, ma con un Senato delle autonomie che corrisponda effettivamente alle finalità che ci si aspetta esso possa realizzare.
  Mi auguro di rispondere, così, all'onorevole, nonché collega costituzionalista, Giorgis: un Senato senza sindaci, con designazione dei senatori da parte degli esecutivi regionali e con un voto di delegazione. A me sembra che il modello sia quello del Bundesrat. Anche se la situazione di partenza è diversa, nelle condizioni date mi sembra la cosa più ragionevole e coerente da fare.
  Quanto alla corsia preferenziale, l'onorevole Toninelli mi chiedeva se non avesse Pag. 38effetti analoghi a un maxiemendamento su cui è posta la fiducia. Credo che anche nel disegno pur a tratti non perfettamente coerente della riforma ci sia, però, una lettura di questa disposizione che va in sinossi con quella del decreto-legge.
  La decretazione d'urgenza è stata ridisciplinata in senso restrittivo incorporando in Costituzione vincoli che si erano affermati o in via di legislazione ordinaria, e quindi erano facilmente derogabili, o attraverso la più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, soprattutto quella degli ultimi due anni. L'intento sembrerebbe, quindi, quello di svuotare l'uso del decreto-legge o di ridurlo in confini molto più controllabili anche dal punto di vista giurisdizionale, per aprire invece la strada della corsia preferenziale.
  Detto questo, sono d'accordo che occorra correggere delle storture, anzitutto introducendo dei correttivi e prevedendo l'eliminazione di quell'inciso così pericoloso sul quale il collega Villone aveva giustamente appuntato la sua attenzione, cioè facendo in modo che il Governo non possa comunque fare a meno di portare al voto un testo che è stato parzialmente modificato, non possa ritornare allo status quo ante. Ulteriori correttivi si possono introdurre, come mi pare suggerisse lo stesso onorevole Giorgis, anche in via regolamentare.
  Quanto al Titolo V, ho l'impressione che stiamo vivendo un passaggio storico in cui è tramontata la stagione delle chimere del federalismo e c’è stata una realistica presa d'atto delle condizioni reali e concrete in cui versano le nostre Regioni. Mi è sembrato di poter vedere che in questa ridefinizione delle materie unita al rafforzamento dei vincoli sulla finanza pubblica esercitati sulle Regioni anche per effetto del vincolo del pareggio di bilancio, e quindi del coordinamento delle nostre politiche pubbliche con quelle di livello europeo, mi pare che si stia svalutando l'autonomia regionale dal piano legislativo a quello amministrativo. Mi pare che ci sia un disegno che concorre a definire le Regioni come enti di gestione e di amministrazione marginalizzando il ruolo della legislazione. Non credo necessariamente che sia questo uno svantaggio.
  Ho un solo un appunto da fare sulla revisione organica. Si è sempre posto un problema teorico, in parte superato dalla definitiva approvazione di due testi di revisione organica. Quello del 2001 ha avuto successo, mentre l'altro, come è noto, è stato bocciato in sede referendaria.
  Un problema specifico e puntuale riguarda, però, questo Parlamento e questa revisione costituzionale, e cioè la sentenza n. 1 del 2014: sebbene abbia riconosciuto la legittimità formale delle Camere dal punto di vista giuridico, non può non avere l'effetto di aver inserito un vulnus nella sua legittimazione politica.
  Sotto questo profilo, sebbene non sia giuridicamente obbligatorio, credo che però sarebbe fortemente opportuno che fosse l'elettorato a essere chiamato a pronunciarsi sul progetto di revisione costituzionale. Mi pare che il Governo stia andando in questa direzione quando afferma che, pur in presenza di un consenso largo, non consentirebbe il raggiungimento della maggioranza dei due terzi così da non precludere l'appello al popolo. A me sembra che così potrebbe essere in qualche modo ricomposto o sanato questo vulnus originario.

  PAOLO MICHELOTTO, Esperto della materia. Aggiungo solo un punto a quanto avevo detto.
  Sembra che un'idea da portare avanti stia emergendo: quella di abbassare il quorum anziché eliminarlo. Abbassare il quorum non è una soluzione. O il quorum c’è e il referendum non funziona o il quorum non c’è e il referendum funziona, dal punto vista dei cittadini, con dei numeri molto semplici dati dall'esperienza svizzera e bavarese.
  In Svizzera, va a votare in media il 42 per cento dei cittadini: vuol dire che circa il 60 per cento dei cittadini a ogni votazione non va a votare. Questa è la media. A volte, va a votare il 20, a volte l'80 per cento. Quando hanno detto di no all'ingresso nell'Unione europea, è andato a Pag. 39votare più dell'80 per cento. Altre volte va a votare il 20 per cento.
  Gli studiosi hanno verificato che, dei cittadini svizzeri, va a votare sempre il 20 per cento, mai il 20 per cento, il 60 per cento va a votare a seconda di quanto giudica importante l'argomento. Questo ci dice che i votanti dei referendum sono un numero minore di quelli delle elezioni per i rappresentanti, perché il tema è unico e a volte non interessa il cittadino.
  Un altro esempio molto forte è dato dalla Baviera, dove nel 1995 hanno introdotto, a livello di tutte le municipalità bavaresi, i referendum propositivi e abrogativi. Hanno introdotto, però, dopo tre anni il quorum del 10, del 15 e del 20 per cento a seconda della grandezza della città. Apparentemente, quindi, lì il quorum è molto basso, dal 10 al 20 per cento, ma in media il 15 per cento delle votazioni è comunque invalidato perché non si raggiunge il quorum. Anche lì, infatti, ovviamente il numero dei votanti ai referendum è molto più basso rispetto a quello delle elezioni.
  Torniamo in Italia. Dal 1946, in Italia si è votato per 70 referendum e la media dei votanti è stata del 55 per cento. Vuol dire che la media degli astenuti è del 45 per cento. Se poniamo come quorum, come è stato proposto, la metà dell'ultima affluenza al voto, che nel 2013 è stata dell'80 per cento per la Camera, questo significa un quorum del referendum al 40 per cento. Già il 45 per cento degli italiani non va mai a votare i referendum, come dimostra la storia dal 1946 a oggi: basta che il 15 per cento dei no si astenga dal voto e invaliderà il referendum.
  È inutile stabilire un quorum, per quanto basso, a meno che non sia proprio basso, come il 10 per cento. Se, però, lo poniamo al 20, al 30 per cento, è comunque un modo per chiamare l'astensionismo dei no al voto e per far invalidare i referendum.
  Infine, vi ricordo che il referendum meno votato in Italia ha avuto un'affluenza del 24 per cento, 10 milioni di cittadini italiani, cui è stato invalidato il voto dicendo loro che non sono importanti, mentre 1.000 cittadini che siedono in Parlamento sono più importanti dei 10 milioni di cittadini italiani. Dal punto di vista dei cittadini, questa è un po’ di presunzione.

  PRESIDENTE. È anche un punto di vista costituzionale. In ogni caso, la ringrazio e cedo la parola al professor La Valle.

  RANIERO LA VALLE, Presidente Comitati Dossetti per la Costituzione. Mi pare che siano stati posti due problemi molto rilevanti. Il primo è quello posto dalla deputata Dadone, cioè se la modifica dei 50 articoli della Costituzione rientri nello spirito dell'articolo 138 o se non significhi, sostanzialmente, scrivere un'altra Costituzione.
  Inoltre, ci sono i problemi posti dal presidente Sisto, che per condiscendenza lui ha definito di metodo, ma che sono di merito e di quale merito. Coinvolgono, infatti, il problema del rapporto tra Governo e Parlamento, la compressione della discussione, l'aggravamento della democrazia diretta, l'eliminazione delle garanzie, la clausola di supremazia imposta dal Governo, la discrasia tra legittimazione dei consiglieri regionali divenuti senatori e le loro funzioni anche politiche e così via.
  In relazione a questi due aspetti, devo dire anzitutto che ringrazio il presidente. Se questo senso della serietà delle cose in gioco fosse veramente condiviso da tutta la Camera, le direi che saremmo molto più tranquilli e sereni nel seguire il dibattito parlamentare. Il problema è che non ci sembra che questa consapevolezza sia così diffusa e presente.
  La questione vera non è di una qualche misura di perfezionamento di maggiore efficienza del sistema, ma della qualità della democrazia. La democrazia si è raffinata in secoli di sperimentazione, e quindi anche istituti, che oggi con tanta facilità si pensa si possano cancellare, sono in realtà il frutto di grandi esperienze e anche di grandi sofferenze di popoli interi.
  Se, però, è vero questo, cioè se è in gioco la qualità della democrazia nel nostro Pag. 40Paese, si può pensare che anche una riforma di questo tipo soggiaccia alla regola della data certa, che anche questa possa soggiacere alla regola del contenuto bloccato, come abbiamo visto succedere al Senato ? È mai possibile che un processo di questa portata possa avvenire nella fretta, nella predisposizione di contenuti che comunque vanno approvati e così via ? Questo è il punto. Non si tratta di una legge di stabilità, per cui, se si sbaglia, si può cambiare e non succede il finimondo. È la nuova Costituzione, una nuova forma della Repubblica, una nuova forma del rapporto della democrazia con i cittadini e dei diritti.
  Vorrei anche dire un'altra cosa. Dovremmo veramente riprendere in esame un punto della Costituzione: oggi, l'attuazione dell'articolo 3 entra in contraddizione formale, ad esempio, con i trattati europei, che ci impediscono iniziative pubbliche di carattere economico, industriale, di investimenti ? Questo è il problema. Probabilmente, la nostra Costituzione già oggi è impedita nel funzionamento per il sistema in cui siamo entrati.
  Formulerò un'ultimissima osservazione. Vorremmo essere tranquillizzati che alla Camera possa non prevalere l'idea che comunque bisogna arrivare a un risultato certo in poco tempo e che non si finisca per accettare la tesi Caravita, meglio questo che niente. Se questo avvenisse, scomparirebbe la seconda lettura. Secondo il suo Regolamento, infatti, il Senato non potrebbe ritornare sul già discusso, potendo discutere solo quanto modificato dalla Camera; se la Camera non dovesse apportare modifiche, anche il Senato non potrebbe più e la cosa sarebbe consumata così com’è.

  PRESIDENTE. Professore, posso rassicurarla, insieme al collega Fiano, correlatore di questo provvedimento, che certo i tempi saranno asciutti, essenziali, ma sarà garantito il più ampio dibattito su ogni passaggio di questa riforma. Su questo credo che non ci siano dubbi e i relatori sono assolutamente in linea su questa «economizzazione aperta» – mi faccia passare quest'espressione – dei tempi.

  ENRICO GROSSO, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Torino. Molto brevemente, è stato lei, presidente, a porre il problema centrale non soltanto quando ci ha richiamati non soltanto alla necessità che, appunto, stiamo parlando della Costituzione, e quindi è bene che sia trattata con il principio del meglio e non del mero bene, ma soprattutto quando ha posto l'attenzione sulla stratificazione di modifiche: Governo in Parlamento, Senato depotenziato, Camera sottoposta al Governo, Senato lillipuziano rispetto alla Camera. Tutto questo insieme preoccupa.
  Allora, sul versante del Senato, secondo me è assolutamente indispensabile che la legittimazione, come la si voglia declinare, sia alzata, sia alzato il tono costituzionale dell'organo che, così come viene fuori dal progetto uscito dal Senato, a me sembra diventi davvero un organo recessivo dell'ordinamento.
  Come si fa a innalzare il tono ? Ho provato a dire prima che ci sono due modi. Sono d'accordo con il collega Gino Scaccia e continuo a ritenere che il modello tedesco pulito, semplice, con le delegazioni designate dagli esecutivi regionali e con il vincolo di mandato o, comunque, il voto per delegazione, sia la soluzione più pulita. Se si vuole immaginare qualche compromesso che possa venire incontro a esigenze diverse, sicuramente quantomeno la presenza obbligatoria dei presidenti delle Regioni, che hanno la loro legittimazione in quanto hanno ricevuto un'investitura popolare molto forte.
  Viene poi, a mio avviso, sicuramente l'abolizione di questa elezione di secondo grado. Ha detto giustamente prima il collega Volpi, ricordando quello che è successo la settimana scorsa per un altro tipo di elezione di secondo grado, veramente miserevole dal punto di vista dell'appuntamento democratico: i nuovi consigli che hanno sostituito quelli provinciali sono stati designati con modalità davvero poco edificanti. Vogliamo riprodurre questo modello in un'elezione importante come quella del Senato ?Pag. 41
  Sul voto bloccato sono già state dette molte cose che condivido. Vorrei soffermare l'attenzione su un punto relativamente a quello che diceva Beniamino Caravita sul decreto-legge, un atto che, con tutti i problemi che ha e che produce, una volta arrivato in Parlamento, è liberamente emendabile, liberamente modificabile. Dopo quei sessanta giorni, entra in vigore una legge di conversione come l'ha voluta il Parlamento. Qui ci troveremmo di fronte a un atto che, alla fine dei sessanta giorni, come è stato detto, entra in vigore come lo vuole il Governo, indipendentemente dal dibattito che c’è stato prima. È una bella differenza.
  Si può modificare ? Certo che si può. Si può introdurre dei paletti. Nessuno mette in discussione che sia necessario assicurare al Governo la possibilità di esercitare meglio di come faccia oggi la sua funzione di indirizzo politico. Questo si può tranquillamente garantire al Governo senza arrivare a una vera e propria strozzatura come quella prevista dalla norma che mi auguro in parte modificherete. Si possono trovare degli accorgimenti per impedire quantomeno che il Governo possa bellamente fare a meno di un dibattito parlamentare che magari si è sviluppato in quei sessanta giorni in maniera proficua e che si possa impedire al Parlamento di fare entrare in vigore norme che il Parlamento ha abbondantemente discusso e condiviso.
  Due piccolissime battute. Siamo stati sollecitati, ma non ho ancora sentito nessun collega che vi si sia soffermato, su due punti che riguardano l'elezione del Presidente dalla Repubblica e quella della Corte Costituzionale. Sulla Corte Costituzionale, francamente, non capisco perché si sia introdotta questa norma che divide l'elezione parlamentare in tre giudici eletti dalla Camera e due dal Senato. Proprio non ne capisco la ratio. Oltretutto, il Senato, soprattutto se diventerà più rappresentativo di istituzioni territoriali, rischia di essere poi parte di conflitti di attribuzione e di questioni di legittimità costituzionale che la Corte sarà chiamata a risolvere. Trovo davvero una cosa strampalata mettere i rappresentanti del Senato delle autonomie territoriali nella Corte Costituzionale. Tornerei, banalmente, all'elezione da parte del Parlamento in seduta comune. Non vedo nessuna ragione per abbandonare questa strada.
  Per quello che riguarda il Presidente della Repubblica – forse c’è stato un accenno – si continua a equivocare sul concetto di maggioranza assoluta. Sappiamo benissimo che questa è il prodotto artificiale di un sistema elettorale, sul quale quindi si sposta tutto il discorso, ma non ha senso affidarsi alla maggioranza assoluta. Se bisogna prevedere 7-8 votazioni all'esito delle quali ci sia la maggioranza assoluta, tanto vale che ci sia già alla terza. Non cambia assolutamente nulla. O si innalza il quorum e basta o tanto vale mantenere, come oggi, la previsione della maggioranza assoluta al quarto scrutinio.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il Sottosegretario Scalfarotto.

  IVAN SCALFAROTTO, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Molto brevemente, è chiaro che il ruolo del Governo in queste audizioni è quello di ascoltare tutti gli interventi e rispettare il dibattito parlamentare, per cui mi intrometto il meno possibile, ma mi sembra opportuno e necessario raccogliere uno spunto del professor La Valle sull'andamento dei lavori del Senato.
  Per amore di verità storica, è bene dire che il dibattito in Senato è stato ricchissimo e molto ampio. È vero che abbiamo lavorato quattro mesi complessivi, ma sono stati intensissimi. La Commissione affari costituzionali presieduta dalla senatrice Finocchiaro ha aperto un dibattito di discussione generale sulle riforme costituzionali in cui sono intervenuti quasi tutti i senatori, intendo tutti i senatori della plenaria. Anche quelli non componenti della 1a Commissione affari costituzionali ne hanno avuto facoltà e l'hanno utilizzata per intervenire. Il portafoglio delle audizioni è stato ricco, come ricchissimo è in questo caso alla Camera dei deputati. Anche il dibattito in Senato ha occupato l'Aula del Senato per molte settimane.Pag. 42
  Siccome insieme alle responsabilità sulle riforme istituzionali abbiamo anche quella dei rapporti con il Parlamento, mi sembra necessario ripristinare un minimo di verità storica sottolineando la ricchezza del contributo che il Senato ha dato al disegno di legge che nasceva come iniziativa governativa. Tanto per ricordarlo, il disegno di legge d'iniziativa governativa aveva 35 articoli, quello alla fine approvato dal Senato ne ha 40, non solo a testimonianza del fatto che il lavoro è stato ricco, ma che ha avuto la facoltà e la possibilità di incidere sui contenuti attraverso il dibattito parlamentare, tra le forze politiche, all'interno della Commissione affari costituzionali del Senato e poi in Aula in modo molto sensibile.
  Naturalmente, mi aspetto che questo accada anche alla Camera e, comunque, tenevo a ricordarlo soprattutto anche a beneficio dei colleghi che qui alla Camera non hanno avuto il privilegio, quale io ho avuto, di partecipare a quei lavori, che sono stati importanti, ficcanti, sostanziali e hanno lasciato un impatto, un'impronta su questo provvedimento che sarebbe ingiusto e ingeneroso trascurare o minimizzare.

  PRESIDENTE. L'intervento, ovviamente, è perfettamente condivisibile.

  GIANDOMENICO FALCON, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Trento. È stato accennato al possibile monocameralismo, che considero una volontaria provocazione, perché è evidente che si traduce, contro l'intenzione di chi ne parla, in una diminuzione di garanzie. Anche relativamente alla riforma costituzionale, il Senato non può imporre alla Camera contenuti tirannici. Al più, potranno moderarsi a vicenda e impedire ai contenuti tirannici che qualunque organo voglia introdurre di entrare in vigore.
  Posto che una seconda Camera è comunque un aumento di garanzia, una procedura che consente una riflessione, un ripensamento, data l'ipotesi, che è stata accolta nella formulazione del Senato, di una rappresentanza territoriale, mi pare un'indicazione importante che sia chi la vuole sia chi non la vuole ha sostenuto che sarebbe meglio se fosse territoriale, nel senso che ogni Regione esprimesse una votazione politicamente omogenea.
  La direzione indicata da chi la vuole e da chi non la vuole è quella del modello Bundesrat. Qui mi associo a quello che ha detto il collega Grosso, valuteranno poi la Camera e il Senato in quale misura questo si possa realizzare, ma mi sembra interessante che dagli esperti venga comunque questa indicazione, come ad esempio certamente la legittimazione della presenza dei Presidenti delle Regioni nel Senato.
  Dissento invece dal collega Grosso sull'elezione dei giudici costituzionali. Non voglio fare lunghe argomentazioni, ma ricordo che proprio nel modello tedesco, il Bundesrat elegge metà dei giudici costituzionali, non due. Nel nostro caso sarebbero sette e mezzo, se si potessero dimezzare, e dire che ne elegge due non mi sembra una grossa bestemmia.
  Sulla corsia preferenziale, anche qui, facendo un po’ di sintesi, se è possibile farla, mi sembra che l'indicazione che ne esce sia che la corsia preferenziale serve, ma che ci vogliono parecchie garanzie per evitare l'abuso di maggioranza anche sul piano dell'ostruzionismo per far passare i sessanta giorni.
  Qui ci sono anche precedenti nella giurisprudenza costituzionale, che ha detto chiaramente che meccanismi puramente legati al tempo, senza andare a vedere chi ha impedito chi, sono inaccettabili già nel rapporto Stato-Regioni, a maggior ragione nei rapporti interni al Parlamento. Direi quindi che la corsia preferenziale serve, ma ci vogliono parecchie garanzie sia sui tempi, sia sulla non vanificazione delle modifiche avvenute in sede parlamentare.
  Ultimo punto, il rapporto tra costi e benefici. Nessuno vuol fare il rapporto tra costo e beneficio, però, se come io spero e credo su questo progetto avremo un referendum, ciascuno di noi dovrà pur fare un bilancio: è meglio il testo della Costituzione vigente, con tutti i suoi pregi ma anche con tutti i suoi difetti sia nel bicameralismo sia nel Titolo V, o è meglio Pag. 43questa cosa che verrà fuori e che comunque non sarà quella che a ciascuno di noi personalmente piace ?
  Credo che ciascuno di noi dovrà fare il suo bilanciamento e credo fosse anche questo il senso che Beniamino Caravita dava alla sua frase.

  ANTONIO D'ATENA, Presidente dell'Associazione italiana costituzionalisti. Brevemente: composizione della seconda Camera, modello Bundesrat tedesco. In passato, al tempo della Commissione bicamerale, io ero un fautore del Bundesrat tedesco, ma da allora sono cambiate delle cose: si è introdotta l'elezione diretta dei Presidenti delle Regioni, mentre in Germania c’è la forma di Governo parlamentare.
  La mia impressione è che, se si accogliesse il modello Bundesrat tedesco, si verrebbe ad impoverire proprio il contenuto democratico di questa istituzione.
  C’è peraltro il Bundesrat austriaco, che è quello che funge oggi da modello, che in genere in Austria è sottoposto a delle critiche per quanto riguarda il carattere della partitizzazione. Non tutti i membri del Bundesrat optano per una partecipazione ad un gruppo parlamentare, ma questi gruppi sono comunque gruppi partitici, quindi a questo punto diventa veramente un'istituzione esposta a questo rischio.
  Quali possibili correttivi ? Uno è stato indicato in questa sede: prevedere che il Presidente della Regione o un suo delegato sia membro di diritto di questo di questo organo, prevedere che i gruppi si costituiscano a base regionale, a base territoriale, e prevedere il voto di delegazione. A questo punto, se non si mettono d'accordo i rappresentanti della Regione, è come se si astenessero e non partecipano alla votazione. Questi accorgimenti potrebbero consentire di conciliare diverse esigenze.
  Secondo punto: garanzie, elezione del Presidente della Repubblica. Qui ha ragione il presidente: è fortemente squilibrato a favore della Camera, la cui maggioranza rischia di essere drogata da un premio di maggioranza, senza corrispondenza con la maggioranza nel Paese.
  Qui bisogna fare qualcosa, perché tra l'altro si determina una reazione a catena: la maggioranza politica elegge il Presidente della Repubblica, il Presidente della Repubblica elegge 5 giudici della Corte Costituzionale, la maggioranza politica ne controlla 2 su 3, quindi è proprio l'intera architettura delle garanzie che viene messa in discussione.
  Terzo punto: il procedimento dell'articolo 138 della Costituzione per una grande riforma. Qui c’è un grande problema, rappresentato dal fatto che può intervenire, ed è auspicabile che intervenga, il referendum. C’è tutta una giurisprudenza della Corte Costituzionale non ovviamente su questi referendum, ma sui referendum abrogativi, che fa leva sull'esigenza dell'omogeneità del quesito, per evitare di coartare la volontà dell'elettore, il quale può essere d'accordo su una soluzione e in disaccordo sull'altra e, se deve optare, allora fa una scelta di carattere politico, di schieramento politico, quindi privando il referendum del valore aggiunto che potrebbe avere.
  Preferibile era quindi la soluzione del precedente disegno di legge costituzionale che era stato ricordato e comunque pervenire con più leggi costituzionali approvate sarebbe opportuno (non so se ci siano le condizioni).
  Un accenno soltanto ai procedimenti cooperativi. È chiaro che questo è un tema che andrebbe affrontato, perché la Corte costituzionale ha costruito tutto sul nulla, con ovvie oscillazioni nella sua giurisprudenza: a volte richiede che ci sia il parere, altre che ci sia l'intesa, in certi casi che sia la Conferenza Stato-Regioni, in altri casi la Conferenza Unificata. Una parola di diritto scritto in questa materia non sarebbe inopportuna.
  Una questione posta dal presidente, e con questo mi avvio a concludere. Lo iato tra la legittimazione dei senatori e la competenza del Senato. Già se il Senato venisse modificato nel senso suggerito, questo iato si ridurrebbe, però dobbiamo Pag. 44considerare per esempio che per la revisione costituzionale in Austria non c’è la partecipazione piena del Senato: il Senato partecipa soltanto se interviene una legge costituzionale che riduce le competenze dei Lander, cioè delle Regioni.
  Qui sarebbe un organo rappresentativo delle entità territoriali, il quale partecipa alla revisione costituzionale nella misura in cui è intervento sul riparto di competenze, quindi competenza della competenza, per il resto invece sarebbe la Camera politica.
  Può il Senato eleggere i giudici della Corte ? Qui non vedrei difficoltà proprio per dare una pluralità di investitura.

  FELICE ANCORA, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Cagliari. Per la Costituzione l'articolazione del potere pubblico è un valore fondante, quindi, se si cambia radicalmente questa, probabilmente si va nel cambio di Costituzione. Che poi questo sia non sanzionato è un altro discorso ancora.
  Circa la domanda se la riforma debba essere approvata o possa essere perfezionata, questa riforma non mi sembra obbligata, perché l'identità regionale non mi sembra sufficientemente sviluppata per renderla del tutto imposta.
  Tra l'altro, ho l'impressione che aggiungere il processo costituente ai processi di riforma in atto di quelle che avevo chiamato micro istituzioni (c’è un programma di riforma abbastanza intenso) possa essere eccessivo.
  I disparati tipi di procedimento legislativo che si introdurranno, oltre a essere poco conoscibili per i terzi, per i cittadini, e quindi ad allontanare dal Parlamento i cittadini, solleciteranno sicuramente un contenzioso costituzionale su vizi procedurali del procedimento legislativo, finora quasi del tutto inedito.
  Sulla fisionomia politica dei senatori è difficile fare previsioni, cioè dal disegno di legge non possiamo capire se saranno degli amministratori o dei politici emergenti.
  Circa i gruppi mi sono domandato anch'io se nel Senato ci saranno gruppi parlamentari, e la risposta forse è nell'articolo 39, comma 4 del disegno di legge, dove parla di «formazioni organizzate».
  Circa la coesistenza tra decreto-legge, istituto della fiducia e voto a data certa, noto in effetti una certa sovrabbondanza. Sul decreto-legge, oltre a quello che ha detto il professor Villone, ho l'impressione che esso sia meno pericoloso di quanto sembri, perché l'esperienza storica ci mostra che esso mette in difficoltà lo stesso Governo, inducendolo a fare il primo passo eventualmente compiendo delle attività esposte ad essere azzerate. È quindi fonte di imbarazzo ed è stato da sempre un paradossale strumento di negoziazione politica.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Credo che questa audizione sia stata veramente molto interessante e utile, e ringrazio per l'impegno tutti gli esperti. Se potessimo trarre una sola conclusione metodologica, sarebbe quella che tutti crediamo in quello che diciamo e facciamo, e credo che questo sia il miglior modo per dare la stura a una democrazia non soltanto parlamentare.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.35.