XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 28 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL PROGETTO DI LEGGE COSTITUZIONALE C. 2613-B  COST. APPROVATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO, MODIFICATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DALLA CAMERA E NUOVAMENTE MODIFICATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO RECANTE DISPOSIZIONI PER IL SUPERAMENTO DEL BICAMERALISMO PARITARIO, LA RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI, IL CONTENIMENTO DEI COSTI DI FUNZIONAMENTO DELLE ISTITUZIONI, LA SOPPRESSIONE DEL CNEL E LA REVISIONE DEL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE

Audizione di esperti.
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 3 
Armaroli Paolo , già professore ordinario di diritto pubblico comparato ... 3 
Calderisi Giuseppe , esperto della materia ... 4 
Armaroli Paolo , già professore ordinario di diritto pubblico comparato ... 4 
Luciani Massimo , ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma ... 5 
Armaroli Paolo , già professore ordinario di diritto pubblico comparato ... 8 
Luciani Massimo , ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi La Sapienza di Roma ... 8 
Calderisi Giuseppe , esperto della materia ... 8 
Clementi Francesco , associato di diritto pubblico comparato presso Università degli Studi di Perugia ... 11 
D'Amico Giacomo , associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Messina ... 13 
D'Andrea Luigi , ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Messina ... 15 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 17 
Falcone Anna , esperta della materia ... 17 
Volpi Mauro , ordinario di diritto pubblico comparato presso Università degli Studi di Perugia ... 19 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 22 
Quaranta Stefano (SEL)  ... 22 
Toninelli Danilo (M5S)  ... 23 
Fiano Emanuele (PD)  ... 23 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 23 
Gelmini Mariastella (FI-PdL)  ... 24 
Mucci Mara (Misto-AL)  ... 24 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 24 
Armaroli Paolo , già professore ordinario di diritto pubblico comparato ... 24 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 25 
Armaroli Paolo , già professore ordinario di diritto pubblico comparato ... 25 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 25 
Calderisi Giuseppe  ... 25 
Clementi Francesco , associato di diritto pubblico comparato presso Università degli Studi di Perugia ... 25 
D'Amico Giacomo , associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Messina ... 26 
D'Andrea Luigi , ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Messina ... 26 
Falcone Anna , esperta della materia ... 27 
Volpi Mauro , ordinario di diritto pubblico comparato presso Università degli Studi di Perugia ... 27 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 28

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno della seduta odierna reca l'audizione di esperti nell'ambito dell'esame del progetto di legge costituzionale C. 2613-B Cost. approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera e nuovamente modificato, in prima deliberazione, dal Senato recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione.
  Sono presenti il professor Paolo Armaroli, già professore ordinario di diritto pubblico comparato, Giuseppe Calderisi, esperto, Francesco Clementi, associato di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Perugia, Giacomo D'Amico, associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Messina, Luigi D'Andrea, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Messina, Anna Falcone, esperta, Massimo Luciani, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi La Sapienza di Roma, e Mauro Volpi, ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Perugia.
  Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento delle rispettive relazioni.

  PAOLO ARMAROLI, già professore ordinario di diritto pubblico comparato. Signor presidente, signori deputati, ricordo a me stesso, come si dice in questi casi, che agli inizi del dicembre 1947 i lavori dell'Assemblea costituente – eravamo alle battute finali – rallentano e sappiamo bene perché. Palmiro Togliatti, che al di là del giudizio storico sicuramente conosceva la lingua italiana, legge il testo della Costituzione, gli si rizzano i capelli e suggerisce a Terracini di provare a ripulire, da un punto di vista stilistico, quel testo.
  Terracini, che aveva qualche disparità di opinione con Togliatti, ritiene la cosa giusta e dà incarico a tre personalità, come Concetto Marchesi, Pietro Pancrazi e Antonio Baldini, di ripulire il testo della Costituzione. A quanto pare, poi, questi tre egregi signori non poterono fare più di tanto perché tutte le Costituzioni sono dei castelli di carte e, se si toglie una carta, rischia di crollare tutto. Poiché la nostra Costituzione del 1947 è ovviamente compromissoria, queste tre personalità non poterono fare più di tanto.
  Ricordo, tuttavia, che costituzionalisti e giuristi, su tutti Arturo Carlo Jemolo in un suo libro dal titolo Questa Repubblica, fecero un paragone tra lo Statuto Albertino e la Costituzione repubblicana, che qualcuno ritiene sia la più bella del mondo. Il confronto «sfregiava» la Costituzione italiana per tante ragioni: gli 84 articoli dello Statuto Albertino contro la bellezza dei 139, più le disposizioni transitorie e finali, della nostra Costituzione; lo Pag. 4Statuto Albertino all'80 per cento composto da un solo comma per articolo, mentre la Costituzione di commi in genere ne ha diversi.
  Poi siamo passati alla riforma costituzionale del centro-destra estremamente enfatica e siamo arrivati a questa.
  Io ormai sono in pensione e sono fuori ruolo, ma ritengo, signor presidente, che questa riforma costituzionale non diventerà mai la «bibbia» degli italiani, non potrà cioè essere imparata a memoria dal quidam de populo, ma addirittura dai professori di diritto costituzionale, per non parlare degli studenti.
  Mi permetterei, signor presidente, di suggerire una modesta proposta. Perché non seguire oggi l'esempio di Palmiro Togliatti e affidare a qualche costituzionalista dalla penna appuntita o a qualche grande scrittore la ripulitura del testo ? Questo avvantaggerebbe non solo la lettura da parte dei cittadini, che hanno diritto a conoscere per filo e per segno la nostra carta delle libertà, ma ne trarrebbero anche profitto sia i professori sia gli studenti nelle università.
  Quest'operazione potrebbe essere fatta, a mio sommesso avviso, o nel passaggio tra la prima e la seconda lettura, atteso che con la seconda lettura vi sia soltanto approvazione articolo per articolo e votazione finale, oppure – forse meglio – a cose concluse, sotto forma di coordinamento formale.
  Veniamo ai sette emendamenti che sono stati apportati dal Senato e sui quali il mio giudizio è sostanzialmente positivo. Cominciamo con l'emendamento Cociancich, che ha «rimpannucciato» il Senato di quelle prerogative di cui, per il vero, la Camera dei deputati l'aveva un po’ spogliato. L'unica obiezione all'emendamento Cociancich e alla legge di Bentham è che forse aveva ragione Giolitti quando sosteneva che le leggi si applicano per i nemici e si interpretano per gli amici.
  Io personalmente, come modesto parlamentarista e, se mi consentite, come ex parlamentare, dubito che l'emendamento Cociancich fosse quello che più si allontanava dal testo come emendamento integralmente sostitutivo.
  Comunque è andata come è andata.

  GIUSEPPE CALDERISI, esperto della materia. Prima dell'emendamento Cociancich sono stati votati sette emendamenti integralmente sostitutivi del comma.
  Pertanto quello Cociancich non era il più lontano.

  PAOLO ARMAROLI, già professore ordinario di diritto pubblico comparato. Ma gli emendamenti erano molti più di sette o otto.
  Passiamo al secondo emendamento, signor presidente, cioè l'emendamento presentato dalla senatrice Anna Finocchiaro all'articolo 2. Si tratta del famoso compromesso: «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati» e così via. Lo trovo giusto. A mio avviso è stato un emendamento saggio. Ritengo – forse sono ottimista – che non ci saranno problemi di interpretazione.
  Resta il problema di fondo e cioè il collegamento, signor presidente, tra questa riforma costituzionale e la legge elettorale.
  Io non condivido, personalmente, i rilievi e gli oggetti dei ricorsi che sono in via di elaborazione. A me il governo di gabinetto non impressiona. È vero che non siamo più all'epoca di Giovanni Spadolini, quando tra il primo e il secondo Governo negli anni 1981-1982 diceva: «Siamo la Cenerentola d'Europa». In questi anni sicuramente il Governo e il Presidente del consiglio hanno assunto molto potere, ma ritengo che ci avviciniamo sempre più all'Europa.
  Quello che invece mi turba è il fatto che avremo, così come con il porcellum, una Camera dei deputati di nominati. Poiché saranno nominati i capilista, se per caso si presentassero cinque partiti, avremo 500 nominati, ma anche i residui 130 non sarebbero eletti dal popolo perché, attraverso il sapiente gioco delle opzioni, evidentemente il partito potrebbe dire chi è il «figlio dell'oca bianca» e chi invece è il «figlio dell'oca nera».Pag. 5
  Su questo, visto che anche il Presidente del Consiglio, a mio avviso giustamente, parla di possibili correttivi alla legge elettorale, magari non subito ma dopo le amministrative di primavera, non sarebbe male restituire lo scettro al popolo sovrano.
  L'emendamento presentato dal senatore Russo è un do ut des perché alcune attribuzioni che, in maniera un po’ spensierata, erano state accordate nel 2001 alle regioni sono tornate, a mio avviso giustamente, nella competenza dello Stato. C’è il «contentino» perché, attraverso l'emendamento Russo, avremo regioni a fisarmonica e quelle che sono virtuose potranno rivendicare altre attribuzioni.
  Avrei molte cose da dire, ma vorrei restare nei dieci minuti. Ho una preoccupazione, signor presidente. Non vorrei che questa riforma costituzionale finisse nelle grinfie – uso apposta questo termine – della Corte costituzionale sotto l'aspetto del vizio in procedendo. Al Senato se ne è parlato a lungo, signor presidente. È stato gabellato per un coordinamento quello che invece è un emendamento vero e proprio che è stato approvato. Si è cioè scambiata la forma con la sostanza. Mi domando se la riforma costituzionale non possa tornare al Senato – in un giorno si potrebbe fare tutto – affinché non vada alla Corte costituzionale. Sarebbe uno smacco incredibile.
  Altro non avrei da dire, anche perché ricordo un mio vecchio amico di quando ero molto giovane, Aldo Bozzi, il deputato liberale con quel pizzetto risorgimentale, che mi disse: «Paolo, quando parli in pubblico, non ti devi preoccupare se nelle prime file furtivamente si guarda l'orologio: ti devi preoccupare quando lo scuotono pensando che si sia fermato».

  MASSIMO LUCIANI, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma. Signor presidente, questa non è certamente la prima delle audizioni cui molti di noi partecipano in questo complesso processo di revisione della Costituzione e avrei deciso di abbordare il tema con una prospettiva un po’ diversa da quella usuale.
  La prospettiva di esame di questo testo licenziato dal Senato della Repubblica potrebbe essere, in astratto, molteplice. Ci potremmo chiedere se sia o meno opportuna una sua ulteriore modificazione; ci potremmo chiedere se abbia più pregi che difetti o più difetti che pregi e potremmo ragionare anche sulla portata delle modificazioni al precedente testo Camera; ci potremmo anche chiedere (ho ascoltato adesso il professor Armaroli) se non sia necessario un nuovo Pietro Pancrazi, che, come sapete, procedette alla revisione linguistica della Costituzione, per quanto Pancrazi non fosse propriamente un linguista, ma un letterato.
  A mio avviso, tuttavia, la prospettiva più utile è un'altra. Terrei fermo un punto e cioè che le valutazioni di opportunità sfuggono a coloro che, come me, sono chiamati qui semplicemente a esporre considerazioni di ordine tecnico-giuridico. Ma anche la valutazione tecnica di questo testo, al momento, non mi sembra particolarmente utile, perché, già nelle precedenti audizioni – lo sa chi, come me, ha avuto l'onore di parteciparvi, sia alla Camera che al Senato, ad altre di queste audizioni – è stato detto molto in proposito.
  Ritengo, quindi, che le Camere siano in possesso di tutti gli elementi conoscitivi e di valutazione necessari. Se noi costituzionalisti venissimo qui a ripetere quello che abbiamo già detto nelle audizioni precedenti, francamente, lo troverei proprio fuor d'opera. Credo, dunque, che sia miglior partito fare un'altra cosa, e cioè verificare quali siano le prospettive dell'applicazione del testo, qualora le Camere l'approvino in via definitiva ed esso esca indenne da un eventuale confronto referendario, come se fosse diritto vigente.
  Ritengo molto significativo l'intervento del relatore, onorevole Fiano, nella seduta della Commissione del 21 ottobre 2015, che gli uffici hanno avuto la cortesia di trasmetterci in resoconto. In sintesi, ha affermato il relatore che il Senato – cito testualmente –: primo «diviene a tutti gli Pag. 6effetti una Assemblea rappresentativa dei territori»; secondo «non eserciterà più la funzione di indirizzo politico»; terzo, piuttosto «sarà essenzialmente il luogo di raccordo tra i livelli di governo e la sede di coordinamento tra il legislatore statale e quelli regionali in funzione di prevenzione di possibili conflitti nell'esercizio delle rispettive competenze». Mi correggerà il relatore se ho sbagliato, ma queste sono le tre caratteristiche essenziali del disegno di legge di riforma che egli ha individuato.
  Credo che si possa concordare senz'altro sulla prima affermazione e cioè sul fatto che il Senato rappresenti i territori e non sia una vera e propria «Camera delle Regioni», anche se nello stesso intervento del relatore questa espressione in altro luogo viene usata. Ciò si evince agevolmente dal fatto che sono presenti nel nuovo Senato i sindaci, ancorché eletti dai consigli regionali, sicché non potremmo parlare propriamente di una Camera rappresentativa delle regioni. Soprattutto si desume dalla formulazione letterale del nuovo articolo 55, comma quinto, laddove si scrive che il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali, senza riferirsi specificamente – appunto – alle Regioni.
  La seconda affermazione, quella della non titolarità della funzione di indirizzo politico, merita forse qualche commento supplementare. È vero che il rapporto fiduciario col Governo è venuto meno perché il Senato non vota più la fiducia. Questo era il cuore del disegno riformatore e questo cuore è rimasto intatto. È anche vero che il quarto comma dell'articolo 55 sembra riservare questa funzione alla Camera. Afferma, infatti, espressamente che la Camera esercita la funzione di indirizzo politico e non dice nulla di tutto questo invece per il Senato. Tuttavia, non posso fare a meno di notare che, pur nei limiti tracciati dagli articoli 70 e seguenti, il Senato compartecipa alla funzione legislativa e che la funzione legislativa da sempre è considerata – per lo meno dalla larga maggioranza degli studiosi – una delle forme di manifestazione proprio della funzione d'indirizzo politico.
  Come possiamo uscire da questa apparente contraddizione ? A mio parere, distinguendo, dentro la funzione di indirizzo politico, due profili. Il primo attiene al rapporto diretto con il Governo e al circuito fiduciario: questo profilo è di pertinenza esclusiva della Camera. L'altro è relativo alle scelte politiche generali del Paese: queste, in una misura non indifferente, non sono sottratte al Senato, visto che esso compartecipa alla funzione legislativa. Tutto questo non può essere dimenticato.
  La terza affermazione è che il Senato è destinato a diventare il luogo di raccordo tra i vari livelli di governo. A mio parere ciò è molto corretto e sembra ancora più vero dopo l'ultima modifica, da parte dello stesso Senato, del quinto comma dell'articolo 55. Sembra evidente, infatti, che proprio questa sia l'ambizione della riforma.
  Personalmente aggiungo che ho dubbi sul fatto che effettivamente il contenzioso Stato-Regioni possa essere ridotto in modo molto significativo dalla riforma e le ragioni sono ben note. Qui, purtroppo, debbo ripetere cose dette più volte. Il contenzioso tra lo Stato e le Regioni non è dipeso tanto dalle materie di competenza concorrente (che si è voluto eliminare, sebbene alcuni dicano che sarebbero resuscitate in forma diversa), quanto dalle materie di competenza statale. Se andiamo a vedere bene, il contenzioso regionale è stato alimentato – appunto – da materie che sono quasi tutte di competenza esclusiva dello Stato (si pensi, in particolare, alla tutela della concorrenza) o, tra quelle di competenza concorrente, da una materia che concorrente è stata solo formalmente visto che è stata ricostruita sin dall'inizio come materia sostanzialmente esclusiva dello Stato (alludo al coordinamento della finanza pubblica).
  Non so quanto il contenzioso possa essere diminuito, dunque, ma il Senato potrebbe in questo certamente avere una funzione importante, perché finalmente si realizza per suo tramite l'emersione a Pag. 7livelli delle istituzioni centrali, da molti di noi auspicata, delle esigenze dei territori.
  Precisato tutto questo, è importante chiedersi come questo nuovo Senato potrebbe effettivamente funzionare nel nuovo scenario istituzionale. Signor presidente, questa ipotesi, per vero, oggi può essere fatta soltanto al netto della legge elettorale. Si è discusso nell'opinione pubblica (e anche autorevoli rappresentanti politici ne hanno parlato) dell'esigenza di un ulteriore intervento su quella legge elettorale, sicché, al momento, parliamo sotto il velo dell'ignoranza.
  Non sappiamo se la legge elettorale resterà esattamente quella che è adesso o se cambierà. Non sappiamo nemmeno come questa legge elettorale potrà ridisegnare il panorama politico italiano nel suo complesso, perché le leggi elettorali sono sempre oggetti molto delicati. Facciamo, quindi, un esercizio un po’ astratto. Mettiamo da canto la legge elettorale e vediamo come questo Senato potrebbe teoricamente funzionare, limitandoci al testo del disegno di legge.
  Ritengo che il disegno della riforma si presti a letture molteplici da parte degli attori politici e che dunque molto dipenderà dalle loro strategie. Tali strategie sono condizionate profondamente dalla forma costituzionale. È, questo, un tema al quale tengo moltissimo: non è affatto vero che il disegno formale – scusate il bisticcio – della forma di governo sia irrilevante. La «forma della forma» di governo è essenziale per definire gli ambiti entro i quali gli attori politici possono esercitare le loro scelte strategiche.
  Purtuttavia, se la forma è essenziale per delimitare la sostanza, è evidente che in particolare questo testo quella sostanza non la determina interamente. A mio parere, infatti, si tratta di un testo che lascia aperto un certo campo di flessibilità, aperto alle letture molteplici degli attori politici.
  La questione più importante, a mio parere, sarà l'opzione che verrà fatta sulla selezione delle candidature, cioè sul come gli attori politici interpreteranno quello che il nuovo Senato dovrebbe essere. Un Senato composto essenzialmente di personale politico regionale o addirittura locale – sappiamo che da parte di molti sindaci c’è una sorta di aspirazione a un cursus honorum che nel divenire consiglieri regionali e poi senatori avrebbe un passaggio essenziale – potrebbe avere una visione più circoscritta del proprio ruolo, mentre un Senato composto anche da personalità di spicco a livello nazionale potrebbe auto-interpretarsi in chiave di maggiore proiezione nazionale.
  Per i partiti politici entrambe le opzioni hanno vantaggi e svantaggi e per ciascun singolo partito politico la valutazione è – ovviamente – differente, perché a qualcuno conviene la prima e a qualcun altro la seconda. Non è possibile, allo stato, fare previsioni, ma quello che mi sembra certo è che il Senato non è affatto privo degli strumenti per acquisire una posizione non secondaria e che saranno la dialettica fra le parti politiche e la coesione della maggioranza alla Camera a decidere l'evoluzione futura del suo ruolo.
  Quanto agli strumenti in possesso del Senato, io sottolineo che proprio il Senato potrebbe decidere di far valere sia le sue non secondarie attribuzioni concernenti la funzione legislativa, sia le diverse e varie attribuzioni concernenti una funzione che chiamo genericamente «di controllo». Dico «controllo» non a caso, tra virgolette, perché la valutazione delle politiche pubbliche – prevista dal nuovo articolo 55 – e la verifica di impatto delle politiche europee attengono, certo, al controllo, ma confinano con l'indirizzo politico, anche se in necessario raccordo con la Camera, alla quale la funzione di indirizzo politico è formalmente riservata.
  Quale che sia la strategia che sarà seguita dal nuovo Senato, la complessità delle sue funzioni fa sì che egli sarà tutt'altro che un fainéant (utilizzo la famosa espressione di Vittorio Emanuele Orlando, che, di fronte al testo originario della Costituzione, leggendo le attribuzioni del Presidente della Repubblica, disse che sarebbe stato appunto un «fannullone», Pag. 8chiamato a non far niente e a scaldare la sua poltrona, senza un ruolo importante nella forma di Governo).
  Sappiamo che la storia si è incaricata di smentire Orlando e questa sua lettura.

  PAOLO ARMAROLI, già professore ordinario di diritto pubblico comparato. Ci fu la risposta di Togliatti.

  MASSIMO LUCIANI, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi La Sapienza di Roma. Oggi il professor Armaroli è sorprendentemente togliattiano !
  Il suggerimento che viene dalla lettura del testo è che, per il buon funzionamento del sistema, tutti gli organi costituzionali dovrebbero osservare, col massimo scrupolo, il principio di leale collaborazione. Lo dovrebbero osservare per due ragioni: per un'esigenza oggettiva del sistema e per un'esigenza soggettiva, direi egoistica, degli stessi attori istituzionali.
  I poteri del Senato, in alcuni casi, sono così significativi che uno scontro con la Camera potrebbe portare alla paralisi: pensiamo alla revisione costituzionale o alle leggi necessariamente bicamerali. Camera e Senato, quindi, dovranno interpretarsi non come competitori, ma come elementi coordinati della forma di governo, nel rispetto proprio del principio di leale collaborazione, un principio che non a caso la Corte costituzionale ha messo al centro della propria giurisprudenza sia per quanto riguarda i rapporti Stato-Regioni sia per quanto riguarda i rapporti tra poteri dello Stato.
  Ebbene: non è azzardato prevedere che la flessibilità del nuovo disegno – che, ribadisco, lascia aperte strategie molteplici agli attori politici – renda questo principio ancora più fondamentale. Ma qui veniamo all'interesse «egoistico» delle istituzioni sul quale basta dire che deve essere interesse della Camera e del Senato dar piena attuazione al principio di leale collaborazione anche per evitare che il modello dei reciproci rapporti trovi definizione soltanto al di fuori del circuito parlamentare: per essere chiari, da parte di un soggetto terzo.
  Mi fermerei qui, signor presidente. Mi scuso con lei e con la Commissione ma, poiché faccio parte di una commissione ministeriale, che a breve si riunirà, mi dovrò allontanare tra non molto.

  GIUSEPPE CALDERISI, esperto della materia. Ringrazio per l'invito. Essendo già intervenuto in altre audizioni, non mi soffermerò affatto sulle problematiche affrontate in quelle occasioni e mi limiterò strettamente alle modifiche approvate dal Senato, sulle quali si svolge ora l'esame della Camera in questa quarta lettura parlamentare.
  Per quanto riguarda le modifiche concernenti le funzioni del Senato, si tratta a mio avviso della ridefinizione di alcune di esse, una messa a punto che appare opportuna ed equilibrata. Innanzitutto, al primo periodo del comma 5 dell'articolo 55 si prevede di attribuire al Senato in via generale le funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Opportunamente si esplicita subito che il nuovo Senato, che rappresenta le istituzioni territoriali, ha la funzione principale di raccordare i legislatori regionali con il legislatore statale al fine di responsabilizzare il sistema delle autonomie e tendenzialmente e auspicabilmente riportare il contenzioso costituzionale tra lo Stato e le Regioni entro limiti fisiologici.
  Inoltre, il Senato concorre, insieme alla Camera, all'esercizio di una funzione di raccordo «triangolare» tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l'Unione europea. Di conseguenza, spetterà anche al Senato la funzione di raccordo tra lo Stato e l'Unione europea, precedentemente attribuita solo alla Camera. Al Senato è inoltre attribuita la verifica dell'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori. Si tratta di modifiche opportune anche in considerazione del fatto che il protocollo allegato al Trattato di Lisbona sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità stabilisce che ciascuna Camera dei Parlamenti nazionali possa esprimere un parere motivato di sussidiarietà e che spetta a ciascuna Camera dei Parlamenti nazionali Pag. 9consultare, all'occorrenza, i Parlamenti o i Consigli regionali con poteri legislativi.
  Al Senato è attribuita anche la valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni. Nel testo approvato dalla Camera si esplicitava che tali funzioni erano svolte in concorso con la Camera stessa. È bene precisare che la modifica apportata dal Senato, a mio avviso, non sottrae tali funzioni alla Camera, la quale, in base al comma 4 del medesimo articolo 55, è titolare del rapporto di fiducia con il Governo, esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell'operato del Governo, espressione sintetica che include implicitamente e necessariamente anche la valutazione delle politiche pubbliche e delle attività delle pubbliche amministrazioni.
  Certamente sarà opportuno – ma lo sarebbe stato anche con il testo approvato dalla Camera – che, in sede applicativa, l'esercizio di tali funzioni da parte del Senato sia adeguatamente definito in modo da evitare che possa incidere sul controllo dell'operato del Governo, che, ripeto, è una funzione attribuita dal medesimo articolo 55 – per me in modo inequivoco – alla sola Camera dei deputati.
  Per quanto riguarda il comma 5 del nuovo articolo 57, di cui all'articolo 2 del disegno di legge, la modifica introdotta prevede che l'elezione dei senatori da parte dei consigli regionali avvenga «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo di tali organi». Al riguardo voglio ricordare e sottolineare che questa modifica, individuata alla fine di una lunga e appassionata discussione che ha molto impegnato i senatori, l'opinione pubblica e i mezzi di informazione, non è affatto una sorta di «compromesso al ribasso», come sostenuto da alcuni, ma è anzi una soluzione logica e coerente, strettamente legata alle funzioni attribuite al nuovo Senato di cui ho parlato poco fa.
  Tanto è vero che essa corrisponde nella sostanza, se non nella forma, a una proposta che era stata già avanzata esplicitamente da un gruppo parlamentare sin dall'inizio del dibattito sulla riforma del bicameralismo proprio con riferimento a quelle funzioni attribuite al Senato che pongono una doppia esigenza.
  Da una parte, infatti, il Senato rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Pertanto, come ho già detto, ha la funzione fondamentale di raccordare i legislatori regionali con il legislatore nazionale al fine di ridurre il contenzioso. Queste funzioni rendono pertanto indispensabile che i senatori siano consiglieri regionali in carica, altrimenti non potrebbe svolgere questa funzione di raccordo.
  D'altra parte, in relazione alle altre rilevanti funzioni attribuite al Senato, in particolare l'approvazione in via paritaria con la Camera delle leggi di revisione della Costituzione e delle altre leggi costituzionali, l'elezione del Presidente della Repubblica e la nomina dei giudici costituzionali, appare opportuno rafforzare ulteriormente il collegamento del nuovo Senato con la sovranità popolare, come previsto dalla modifica del comma 5.
  Ho detto rafforzare ulteriormente perché occorre sottolineare che anche con la sola elezione di secondo grado i senatori non sarebbero affatto privi di legittimazione democratica in quanto eletti, in primo luogo, consiglieri regionali da parte degli elettori, anche attraverso il voto di preferenza – che personalmente non prediligo, ma che da molti è considerato la forma maggiore di legittimazione democratica –, e poi eletti senatori da parte del consiglio.
  Quanto alle modalità per dare concreta attuazione alla nuova previsione del comma 5 provvederà la nuova legge elettorale di cui al sesto comma del medesimo articolo 57.
  La soluzione individuata al Senato appare pertanto condivisibile e opportuna. Spiace soltanto che la discussione su questo punto abbia assorbito così tanto l'attenzione dei senatori e dei mezzi di informazione, distogliendola da altri aspetti che forse ne avrebbero meritato una maggiore. Pag. 10Ciò è accaduto anche perché alcuni hanno erroneamente e inutilmente ricercato un contrappeso di sistema nell'assetto del futuro Senato, laddove invece la seconda Camera non è un contrappeso in nessun'altra democrazia parlamentare né lo è mai stata neppure in Italia.
  Sarebbe stato, invece, necessario migliorare il sistema dei contrappesi su altri aspetti, in particolare: l'allargamento del collegio di elezione del Presidente della Repubblica, così da poter prevedere una norma di chiusura che evitasse il rischio di stallo e impasse per la sua elezione; un rafforzamento del ruolo delle opposizioni, in particolare attraverso una commissione di controllo sulla finanza pubblica a composizione paritaria tra maggioranza e opposizione; e magari una norma quadro sulle autorità indipendenti che le sottraesse all'indirizzo politico della maggioranza di governo.
  Si tratta di aspetti sui quali si potrà intervenire in seguito. Infatti, come opportunamente osservato dal professor Stefano Ceccanti proprio con riferimento alle norme sull'elezione del Presidente della Repubblica: «Non è che con questa riforma siamo esentati da una cultura della manutenzione costituzionale, riforme mirate per soluzioni che si rivelino imprecise sono sempre possibili con la tecnica dell'emendamento. Del resto i Costituenti, come ha ricordato Napolitano nella sua dichiarazione di voto sulla riforma costituzionale vollero l'articolo 138 sulla revisione non eccessivamente rigido.
  Quanto all'introduzione di due nuove materie, «disposizioni generali e comuni sulle politiche sociali» e «commercio con l'estero», tra quelle che possono essere attribuite alle regioni nell'ambito del cosiddetto «regionalismo differenziato» di cui all'articolo 116, terzo comma, si tratta di una scelta volta a dare equilibrio complessivo al nuovo Titolo V considerate le modifiche apportate all'articolo 117, nella logica condivisibile di un regionalismo differenziato responsabile. Sottolineo che il nuovo terzo comma impone che la regione, per essere destinataria di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, sia in condizioni di equilibrio tra entrate e spese del proprio bilancio.
  Per quanto riguarda la nomina dei giudici costituzionali, il Senato ha ripristinato la previsione, già presente nel testo in prima lettura, in base alla quale i cinque giudici di nomina parlamentare della Corte sono eletti distintamente dalla Camera (tre) e dal Senato (due), anziché tutti e cinque dal Parlamento in seduta comune.
  La scelta della Camera era stata effettuata nel presupposto che tutti i giudici debbano essere voce della Repubblica e che non fosse opportuno lasciare spazio a una logica «corporativa». Tale obiezione però non appare insuperabile, soprattutto in considerazione del ruolo della Corte costituzionale nelle controversie relative al riparto delle competenze tra i diversi livelli di governo; d'altro canto, dato il rapporto tra il numero di componenti della Camera rispetto al Senato (630 e 100), in caso di nomina da parte del Parlamento in seduta comune il contributo del Senato alla formazione del supremo organo di garanzia costituzionale risulterebbe eccessivamente compresso.
  Da questa scelta derivano anche la modifica, strettamente consequenziale, prevista dal comma 16 dell'articolo 38 e la norma transitoria prevista dal comma 10 dell'articolo 39, su cui non mi soffermerò.
  Un'altra modifica riguarda l'articolo 39, comma 11, in relazione alla possibilità di approvare la nuova legge elettorale del Senato anche nella legislatura in corso. Al riguardo è stato previsto il termine di 10 giorni dall'entrata in vigore della legge medesima per il ricorso alla Corte costituzionale su tale legge elettorale nonché il termine di 90 giorni dall'entrata in vigore della legge medesima entro il quale le Regioni dovranno adeguare le rispettive disposizioni legislative e regolamentari.
  Si tratta di una modifica senz'altro opportuna. Ricordo che, nel corso del dibattito svoltosi al Senato sulla portata normativa della modifica, è stato espressamente chiarito che essa è volta a fissare il termine iniziale (dies a quo) per l'approvazione Pag. 11della nuova legge elettorale del Senato, che decorre dall'entrata in vigore della legge costituzionale, fermo restando il termine finale (dies ad quem) per tale approvazione, fissato dal comma 6 dello stesso articolo 39, ossia sei mesi dall'elezione della nuova Camera dei deputati.
  Infine, per quanto riguarda il momento dal quale il Titolo V riformulato risulterà applicabile alle Regioni a statuto speciale (articolo 39, comma 13), l'espressione «adeguamento» degli statuti viene sostituita con l'espressione «revisione» e inoltre si prevede l'applicabilità alle Regioni a statuto speciale dell'articolo 116, terzo comma, relativo al cosiddetto regionalismo differenziato, a decorrere dalla revisione dei predetti statuti, con una disciplina transitoria per il periodo precedente.
  Dalla prima modifica – «revisione» anziché «adeguamento» – sembrerebbe derivare un allentamento dei termini in cui la revisione del Titolo V dovrà essere recepita dagli statuti speciali. La modifica in questo caso appare meno condivisibile, anche se occorre considerare che, in ogni caso, la modifica degli statuti avviene sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome, come prevede lo stesso comma 13 dell'articolo 39.

  FRANCESCO CLEMENTI, associato di diritto pubblico comparato presso Università degli Studi di Perugia. Grazie, presidente, a lei e alla Commissione intera per questo invito. Non essendo anche per me una delle prime audizioni tanto alla Camera quanto al Senato, ho pensato che forse poteva essere più interessante, almeno dal mio punto di vista, provare a focalizzare l'attenzione in particolare su una delle modifiche intervenute nell'ultimo passaggio parlamentare. Mi riferisco alle modifiche relative all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Ritengo, infatti, che l'articolo 116, terzo comma della Costituzione – quello che tutti noi chiamiamo «regionalismo differenziato», pur avendo la dottrina qualificato in vario modo lo stesso nome dell'articolo di cui sopra – abbia esercitato in questo Paese un certo fascino certamente dal 2001 in poi, e non solo in termini di classe politica e classe dirigente, avendo riscontrato un largo interesse in tutta l'opinione pubblica ed essendo riuscito ad affermarsi dentro il dibattito non semplici di quegli anni.
  Quel dibattito dal 2001 in poi ha preso il largo e ha avuto anche effetti non indifferenti nel dibattito stesso delle singole regioni e nel passaggio da un regionalismo dell'uniformità – come si diceva in dottrina – a un regionalismo della differenziazione, anche attraverso una lettura ulteriore dell'articolo 5 della Costituzione. Tuttavia, questo processo ha avuto una fase estremamente delicata di movimento, con momenti di forte interruzione. Dopo la parte iniziale del 2001, fino al 2007, il processo è andato in crescendo, anche nella ricerca di una nuova identità e di nuova forma di Stato per questo Paese, come diceva prima il professor Luciani. Dal 2007 in poi è intervenuta una rottura che lo ha frenato.
  Fino al 2007 questo processo ha avuto passaggi importanti. Cito, per esempio, il tentativo della regione Toscana nel 2003 e nel 2007 i tentativi delle regioni Lombardia, Veneto e Piemonte e ancora il tentativo del Governo nel 2007 di dare un impulso attraverso un proprio autonomo disegno di legge governativo. Come sappiamo, però, questa situazione in quegli anni si arenò, non da ultimo, per le difficoltà sul piano tanto della finanza nazionale e regionale, alla luce dei temi legati al cosiddetto «federalismo fiscale» in attuazione della legge n. 42 del 2009, quanto della doppia crisi finanziaria ed economica intervenuta a partire dal 2006 nello scenario italiano, dentro uno scenario globale.
  In questo contesto, il tema della forma di Stato si è arenato in un dibattito stantio dal punto di vista della politica e molto difficoltoso dal punto di vista della dottrina. Apprezzo moltissimo che questo Parlamento abbia preso sulle proprie spalle una scelta molto rilevante di allora, ma per certi aspetti rischiosa. Nelle audizioni precedenti e anche oggi pomeriggio sono state ricordate le difficoltà di trovare Pag. 12un'identificazione su questo tema della forma di Stato. È stata una scelta particolarmente complessa, ma apprezzo molto quanto è stato fatto sull'articolo 116, terzo comma, perché in questa lettura è stato introdotto quanto la Corte costituzionale ha ribadito in una recente sentenza (n. 118/2015) relativamente alla legge della regione Veneto intorno al referendum consultivo per avviare una procedura di autonomia differenziata.
  La Corte ha sottolineato che il referendum propositivo è legittimo. La Corte, quindi, non chiude gli spazi di una storia che il dibattito pubblico carsicamente sembrava voler chiudere. La scelta di questo Parlamento di sostenere il processo di riforma costituzionale verso una lettura della forma di Stato molto aperta, intestata a un rapporto tra Stato e regioni che non fosse un ritorno bieco, come è stato scritto anche sui giornali, a un neo-centralismo statale, si segnala nella costruzione di una nuova idea di forma di Stato che si lega alla costruzione del Senato e ad altri passaggi del testo, sui quali non entro.
  Mi interessa soprattutto sottolineare che questa nuova idea di forma di Stato si appunta a una novità, che secondo me diventa centrale. Mi riferisco alla novità della responsabilità in capo alle regioni, segnalata attraverso l'ulteriore vincolo, oltre a quelli già previsti dall'articolo 119 del testo costituzionale, dell'equilibrio di bilancio. È un legame diretto con la riforma dell'articolo 81.
  Questo passaggio mi sembra decisivo perché innesta una nuova lettura di forma di Stato dentro un principio chiaro e per certi aspetti nuovo, con un'idea di responsabilità politica dei legislatori, tanto nazionali quanto regionali, che rafforza e non depotenzia, a mio avviso, una lettura della forma di Stato che rischiava di trovarsi dentro uno stretto pendolo: o tutta centralista o tutta federale o federalistica, secondo uno schema simile al progetto di legge della cosiddetta devolution costituzionale.
  Questa scelta, che incardina la riforma lungo l'asse della responsabilità, mi sembra la scelta più chiara nel rapporto fra eletto ed elettori, riconducendo al «cittadino come arbitro» – per utilizzare le parole di Ruffilli – la dinamica dei rapporti tra Stato e regioni.
  Il professor Elia, nel corso delle audizioni dell'indagine conoscitiva che nel 2001 si fece esattamente su questo punto, segnalò con tutta chiarezza la difficoltà di ricorrere a una legge di autonomia negoziata, che, essendo fonte atipica e rinforzata, risulta particolarmente complessa sul piano delle fonti. Tuttavia, il professor Elia indicava una strada. Allora la responsabilità non era vincolata all'equilibrio di bilancio e questo è forse il segnale di una crescita culturale del Paese, ma il professore segnalava l'importanza di perseguire l'idea di un'intesa.
  A me sembra opportuno che questo testo racchiuda, con grande consapevolezza, la scelta di non tornare indietro verso un modello neocentralista e che, anzi, si sposi l'idea di un forte regionalismo, basato su alcuni cardini che negli ultimi dieci anni sono stati meglio identificati attraverso la giurisprudenza e anche attraverso la capacità della politica di razionalizzare le proprie intenzioni e gli obiettivi da raggiungere.
  Non possiamo permetterci una forma di Stato incoerente a livello nazionale rispetto alle autonomie e in questa direzione vanno la maggiore responsabilità e l'equilibrio di bilancio tanto a livello nazionale quanto a livello delle autonomie. Inoltre, c’è una razionalizzazione sistemica del modo di fare l'accordo. La modifica del testo relativo all'intesa è stata già citata in relazione alle regioni sia ordinare che a statuto speciale (articoli 30 e 39 del testo di riforma in discussione). A me sembra molto convincente il fatto che sia stato innovato il testo relativamente al procedimento di richiesta, che oggi parte dalle regioni ed è un segno di responsabilità. A maggior ragione, si prevede che le regioni approvino un testo a maggioranza semplice e non più assoluta, dentro vincoli che non sono per niente facili da eludere. Il primo punto, dunque, è una forma di Pag. 13Stato razionale nella responsabilità e più semplice perché la responsabilità incentiva l'intesa.
  C’è poi un'ultima grande funzione, secondo me. Domani ragioneremo dentro un modello che torna a essere di tipo duale, ma con maggiore chiarezza. A testo approvato, avremo un regionalismo ordinario, un regionalismo potenzialmente differenziato e il regionalismo speciale tuttora presente. Conosciamo bene la difficoltà di affrontare il tema del regionalismo speciale in questo Paese. Il modello del regionalismo differenziato consente a tutti di rimettersi in discussione. Consente alle regioni ordinarie di affrontare con maggiore responsabilità le proprie esperienze, e mi risulta che nella regione Lombardia sia già in corso un simile processo. Consente anche alle regioni a statuto speciale di interrogarsi su se stesse con maggiore coraggio e di trovare la forza di affrontare una nuova idea di forma di Stato, che credo sia il vero cardine del nuovo testo costituzionale.
  Credo che questo testo offrirà un nuovo e migliore punto di equilibrio rispetto a quello che negli ultimi vent'anni ha riguardato la forma di Stato.

  GIACOMO D'AMICO, associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Messina. Consentitemi di ringraziare il presidente e i componenti della Commissione per l'invito. Dico subito che cercherò di concentrarmi, nei pochi minuti a disposizione, sui punti principali che sono stati oggetto di modifica al Senato, consapevole – è inutile nasconderci dietro a un dito – che probabilmente i margini politici per eventuali modifiche sono assai esigui.
  Ritengo opportuno fare una sintetica premessa di metodo su due concetti che a me pare importante distinguere: per un verso, il concetto di incompletezza della riforma e, per altro verso, quello di incompletezza delle disposizioni costituzionali.
  Dico di distinguere questi due concetti perché pensare che ci possa essere una riforma costituzionale completa, cioè davvero esaustiva su tutti i settori, è un'utopia. In fondo, l'esperienza della nostra Carta costituzionale ci insegna che nel 1947 molti aspetti furono lasciati alla legislazione costituzionale e ordinaria successiva. Penso, per tutti, all'accesso alla Corte costituzionale in via incidentale, che fu deciso soltanto con la legge costituzionale n. 1 del 1948 e con le altre successive.
  Diverso, invece, è il discorso della completezza o forse della compiutezza delle singole disposizioni costituzionali. A mio avviso, le disposizioni costituzionali devono essere complete al loro interno, cioè dovrebbe essere evitato, per quanto possibile, quel gioco di rimandi e rinvii ad altri articoli che appesantisce la lettura, come diceva il professor Armaroli nel suo intervento, e rende difficoltoso dare un senso a determinate disposizioni costituzionali. Questo emerge in modo evidente, a mio avviso, leggendo le disposizioni transitorie e in particolar modo le ultime due, di cui mi occuperò alla fine dell'intervento.
  Soprattutto questa premessa mi serve per sottolineare come molte delle disposizioni costituzionali che sono adesso in cantiere si coloreranno in un modo o nell'altro soltanto alla luce di quella che sarà la futura normativa di attuazione – chiamiamola così in maniera impropria. Penso non solo alla legge elettorale del Senato, che è stata più volte evocata, ma penso alle stesse leggi delle regioni, che devono adeguare la propria normativa a quella del Senato entro i 90 giorni che si indicavano poc'anzi. Sono tutti dettagli che inevitabilmente finiranno col definire meglio il quadro costituzionale.
  Vado ai punti di cui vorrei occuparmi. Il primo riguarda la nuova funzione del Senato. A mio avviso, la definizione «esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi» vale più di un elenco di materie perché fotografa il ruolo del nuovo Senato. Anche questo ruolo del nuovo Senato è tutto da costruire. Lo diceva poc'anzi il professor Luciani. Se c’è un grande assente in questa riforma costituzionale è il sistema delle conferenze, che forse avrebbe potuto e dovuto trovare spazio in una riforma costituzionale. Individuare Pag. 14nel compito del Senato questa funzione di raccordo può forse essere utile in tale prospettiva.
  Per quanto riguarda in particolare la competenza attribuita al Senato di valutare le politiche pubbliche e l'attività delle pubbliche amministrazioni, la modifica è consistita nell'eliminare il concorso della Camera. Devo confessarvi che non mi convince del tutto questa eliminazione perché la valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni in cosa si traduce concretamente, se non in una forma di sindacato ispettivo ? Mi verrebbe da dire che entrambi i rami del Parlamento dovrebbero concorrere a valutare le politiche pubbliche e non il solo Senato.
  Diverso è ovviamente il discorso sulla verifica delle politiche dell'Unione sui territori. Qui ha un senso l'attribuzione in via esclusiva al Senato di questa competenza.
  Vado rapidamente al secondo punto, cioè la composizione del Senato in conformità alle scelte espresse degli elettori. La formula è piuttosto sibillina, ma capisco le ragioni politiche che stanno dietro a questa scelta. Devo confessarvi onestamente che forse non ci sarebbe stato bisogno della conformità alle scelte degli elettori. Da questo punto di vista, condivido la tesi del professor Barbera, che è stato audito dalla Commissione del Senato. A un certo punto Barbera si chiede chi rappresentino i senatori eletti in conformità alle scelte espresse dagli elettori.
  Di Barbera condivido soprattutto, come si diceva poc'anzi, i dubbi sul fatto che davvero la seconda Camera debba svolgere una funzione di garanzia. I contrappesi non sono piuttosto altri, il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale ? A me pare condivisibile questa impostazione di Barbera.
  Il terzo punto sono le ulteriori materie sulle quali le regioni ordinarie possono specializzarsi. Utilizzo questa espressione della specializzazione alludendo all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Io distinguerei le due materie. Mentre, secondo me, è quanto mai opportuno prevedere che le regioni ordinarie, nel meccanismo dell'articolo 116 nel testo di riforma, possano specializzarsi, cioè acquisire la competenza, in tema di disposizioni generali e comuni sulle politiche sociali – d'altra parte le politiche sociali sono oggi una materia di competenza piena delle regioni –, meno significativa, ma non inutile, mi pare la modifica che riguarda la materia del commercio con l'estero.
  La banale ragione è che la Corte in questi anni ha interpretato l'etichetta «commercio con l'estero» in una maniera riduttiva, cioè ricomprendendola nell'ambito della materia della tutela della concorrenza.
  C’è un altro punto che mi sembra interessante con riguardo all'articolo 116. È stata presa in considerazione l'eventuale reversibilità di un meccanismo di specializzazione ? Il meccanismo di specializzazione è subordinato alla condizione del rispetto dell'equilibrio di bilancio, ma l'equilibrio di bilancio può variare in una regione da un anno all'altro e questo può avere dei riflessi sulla gestione delle politiche sociali. È possibile un passo indietro e un ritorno a una fase precedente alla specializzazione ?
  Esamino rapidamente i punti conclusivi. Mi sembra sicuramente condivisibile la modifica relativa alla composizione della Corte, cioè la possibilità che due giudici siano eletti dal Senato, altrimenti il peso del Senato si sminuirebbe essendo composto da soli 100 componenti rispetto ai 630 della Camera. Mi sembra prevalente questa considerazione.
  Condivido la possibilità di impugnare la legge del Senato e quindi condivido la modifica al comma 11 dell'articolo 39. Segnalo però che si è creata e rischia di crearsi una zona franca dall'eventuale sindacato della Corte per quanto riguarda eventuali modifiche dell’Italicum che dovessero intervenire dopo che sono decorsi i 10 giorni per l'impugnazione dell'attuale legge elettorale e prima dell'entrata a regime del sistema definitivo, di cui all'articolo 73.
  Se la legge elettorale dovesse essere modificata successivamente alla scadenza Pag. 15dei 10 giorni di cui all'articolo 39, comma 11, rischia di crearsi un periodo in cui la legge elettorale della Camera non potrà essere sindacata né con il nuovo, perché ancora non è a regime, né con il vecchio, perché sono trascorsi dieci giorni. Questa è la sensazione che io ho avuto.
  Chiudo esprimendo un giudizio positivo sulla sostituzione del termine «adeguamento» con «revisione». Il termine «adeguamento» – è un dibattito iniziato nella Commissione bicamerale per le questioni regionali – poteva essere interpretato in un senso riduttivo delle competenze delle regioni speciali, dato che i loro statuti avrebbero dovuto essere adeguati a un nuovo Titolo V che sicuramente riduce le competenze delle regioni. Mi pare preferibile l'espressione revisione per non pregiudicare la modifica degli Statuti speciali.

  LUIGI D'ANDREA, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Messina. Ringrazio anch'io il presidente della I Commissione e tutta la Commissione per questa opportunità di interlocuzione. È la prima volta che prendo parola in questa sede così qualificata e prestigiosa, consentitemi quindi di esprimervi il mio ringraziamento e quanto ciò mi onori.
  Le osservazioni che avanzerò qui si limiteranno, come ci è stato richiesto, alle modifiche apportate dal Senato nell'approvazione del 13 ottobre di quest'anno. Le proporrò nella consapevolezza – dichiarata anche dal professor Luciani e adesso dal professor D'Amico – che i margini di discrezionalità politica per apportare innovazioni al testo pendente davanti alla Camera sono molto ristretti, per non dire nulli. Sean Connery direbbe: «mai dire mai». Tuttavia, certamente possiamo, e forse dobbiamo, ragionare nella prospettiva di un testo che si avvia a diventare vigente, cercando di vedere come possa interagire nell'ambito del sistema normativo e politico-istituzionale.
  La prospettiva delle mie osservazioni – che conducono al cuore della riforma pendente davanti al Parlamento, cioè la differenziazione del bicameralismo e il ripensamento del ruolo del Senato – muovono da una teoria generale della Costituzione che si riferisce in particolare allo spazio costituzionale europeo. Credo che sia questo il punto di vista dal quale ricostruire la riforma, tenendo conto che lo spazio costituzionale europeo si caratterizza, a mio avviso, in senso inter-livello.
  La dottrina solitamente ragiona di multi level constitutionalism, cioè di un costituzionalismo che si costruisce su più livelli territoriali. A me pare che, piuttosto che di costituzionalismo multilivello, si debba ragionare di costituzionalismo inter-livello per la semplice ragione che lo spazio costituzionale nel quale viviamo è caratterizzato dalla co-appartenenza dell'identità e della relazione. Le identità statali, regionali, comunali, europea non si danno che nella relazione e le relazioni sono co-essenziali per la definizione dell'identità. Questo discorso, che sembrerebbe astratto e teorico, in realtà impregna la lettura, nel nostro caso, del sistema normativo.
  A mio avviso, possiamo e dobbiamo ricostruire la logica della riforma e le singole parti di questa dentro al tentativo di dare corpo positivo, concreto, politico e istituzionale a uno spazio costituzionale nel quale le relazioni siano centrali. Parlo, naturalmente, di relazioni tra Stato e cittadini, tra istituzioni pubbliche e cittadini, tra i diversi livelli territoriali di governo e più in generale tra i diversi attori che appartengono allo spazio pubblico.
  Se questa prospettiva può essere accolta, allora la lettura dell’incipit del quarto comma dell'articolo 55 riformato anche dal Senato mi pare particolarmente significativa: «Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica».
  La rappresentanza nazionale – il rendere presente l'unità politica come tale della comunità Repubblica italiana – è, se così si può dire, «confinata» alla Camera dei deputati, alla quale soltanto ormai si riferisce, mentre al Senato della Repubblica si chiede di rappresentare le istituzioni Pag. 16territoriali. Che vuol dire rappresentare le istituzioni territoriali ? Credo che su questo punto la riflessione dovrà esserci e dovrà essere nutrita perché si tratta di un profilo di grande interesse teorico, ma anche di grande importanza per le ricadute giuridiche e politiche.
  A me pare che il Senato sia chiamato a rappresentare le autonomie in quanto esse si collocano dentro il sistema unitario repubblicano garantito dalla Costituzione italiana, sistema che è inter-livello. I singoli enti territoriali – forse non è inutile questa osservazione – rappresentano le comunità di cui sono enti esponenziali. Il Senato, invece, rappresenta le comunità regionali o i municipi non come tali, ma in quanto appartenenti al sistema, alla rete di relazioni che costituisce la Repubblica e che è collocata dentro l'Unione europea.
  In questo senso, a me pare che questa funzione di raccordo tra lo Stato e gli enti costitutivi della Repubblica vada letta – lo accennava poco fa anche il professore D'Amico – come descrizione non di una funzione, ma di un ruolo. È dentro questo ruolo, attento alle relazioni tra i livelli territoriali di governo e più in generale tra gli attori del sistema, che il Senato deve giocare le sue funzioni. Le singole funzioni sono un modo di esprimere questo ruolo complessivo che compete al Senato.
  Differenziare le Camere e muovere in direzione di un bicameralismo differenziato in questa prospettiva è molto impegnativo per chi si occupa di riflettere su questi fenomeni, ma anche per gli attori politici, come ricordava il professor Luciani, e tutti gli attori del sistema. Tutti sono chiamati in qualche modo a giocare la loro attività dentro questa rete di relazioni, soltanto all'interno della quale il sistema trova la sua dinamica fisiologica e la sua identità complessiva. Non sarà facile, ma questo è il compito che il Senato è chiamato a svolgere.
  Che questa sia la prospettiva affiora in qualche caso dallo stesso modo in cui sono fraseggiate le disposizioni che si riferiscono alle funzioni devolute al Senato. Si veda, per esempio, la modifica introdotta al Senato circa la verifica dell'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori. Mi sembra altrettanto significativo il ruolo rinforzato della proposta senatoriale nel caso in cui venga attuata la clausola di supremazia, di cui all'articolo 117 della Costituzione. Se la Camera, su proposta del Governo, intende «invadere» territori appartenenti alla potestà regionale in nome dell'interesse all'unità del sistema, mettendo in gioco la relazione tra i diversi livelli territoriali, il ruolo del Senato si rafforza e si impone alla Camera, ove voglia approvare il testo, di provvedere a maggioranza assoluta.
  Il Senato deve svolgere il ruolo che sto cercando rapidamente di descrivere secondo il principio di leale collaborazione, cioè con la consapevolezza che non può agire nel chiuso orto delle sue attribuzioni. Deve trovare sponde istituzionali, senza le quali questo compito di coordinamento, di monitoraggio, di verifica, di raccordo – per usare il termine usato dalla riforma – non potrebbe essere svolto. Penso al raccordo con la Camera, ma penso anche al raccordo con il Governo e le strutture dell'Esecutivo. Non è un caso che il Senato concorra anche al raccordo, nella misura in cui questo compito è svolto da altri soggetti nella fedeltà al ruolo loro devoluto.
  In questa prospettiva, esprimo qualche osservazione critica e qualche dubbio, senza poter approfondire più di tanto, sul vincolo della conformità alle scelte degli elettori, questa forma di elettività diretta per garantire una legittimazione piena al Senato. A me pare invece che, in coerenza con il ruolo che sto tentando di rappresentare e che mi sembra si possa evincere dal tessuto normativo della riforma, sarebbe stato preferibile consentire agli enti territoriali di rappresentarsi presso l'organo statale chiamato a questo compito secondo il modello, che io preferirei addirittura, del Bundesrat, cioè consentendo agli esecutivi regionali di decidere i propri rappresentanti.
  La scelta fatta precedentemente e poi superata era quella di dare spazio ai consigli regionali. La sovrapposizione tra volontà elettorale e volontà del consiglio Pag. 17regionale che viene a prevedersi non mi convince e credo che molti problemi ci saranno quando dovremo fare interagire la legge statale che disciplinerà l'elezione del Senato e le norme statutarie e regionali che, a loro volta, disciplinano la vicenda elettorale. Ho l'impressione che potranno aprirsi problemi notevoli.
  Nella prospettiva da me delineata forse può trovare un senso l'elezione da parte del Senato dei due giudici costituzionali, laddove gli altri tre devoluti al Parlamento sono di nomina della Camera dei deputati. Anche io troverei curioso che due giudici si configurassero come «avvocati delle regioni», come mi pare sia stato detto da Barbera nella sua audizione al Senato. Credo, invece, che tutti i giudici costituzionali debbano essere garanti della Costituzione che dentro questo spazio inter-livello vive e mi pare che, in questa prospettiva, consentire al Senato di eleggere due giudici costituzionali possa trovare un senso.
  Una parola soltanto sul tema delle regioni speciali e della specializzazione delle regioni di cui all'articolo 116 della Costituzione, a cui si è riferito anche il professor Clementi. La riforma ha voluto mantenere le regioni speciali. Io vengo da una regione speciale. Sono siciliano, come sapete, e credo di essere legittimato a dire, anche alla luce dell'esperienza della regione da cui provengo, ma forse non solo, che qualche dubbio in ordine alla vitalità della specialità, almeno dopo la riforma del 1999-2001, si può e si deve nutrire.
  Credo che occorra muovere, come segnala Francesco Clementi, in direzione di una specialità diffusa. Forse la riforma può offrire qualche spazio in questa direzione e ce n’è traccia nel testo, soprattutto laddove le opportunità aperte dall'articolo 116, terzo comma, vengono estese. Specialità diffusa vuol dire recuperare il senso genuino dell'autonomismo, cioè di un sistema che valorizza tutte le differenze allo stesso livello e nello stesso tessuto ordinamentale, senza specialità preconfezionate e secondo scelte che tengano conto delle differenze in gioco dentro un sistema in cui ciascuna regione e ciascun ente autonomo possano giocare la propria partita per un pieno potenziamento dell'autonomia e una più compiuta soddisfazione degli interessi della comunità locale che sono affidati alla cura delle rispettive istituzioni.
  Mi fermo qui.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Prima di dare la parola all'avvocato Anna Falcone, ho una comunicazione per i gruppi. Domani la Commissione si dovrebbe riunire alle 14 perché erano programmati lavori dell'Aula nella mattinata. Siccome non sarà più così, la mia proposta è cercare di contattare gli auditi per anticipare le audizioni dalle 10 in poi, in modo da concedere un tempo ragionevole e terminare prima la giornata.
  Non essendoci obiezioni, do la parola all'avvocato Falcone.

  ANNA FALCONE, esperta della materia. Ringrazio la presidenza per quest'invito, che mi dà l'occasione di intervenire per la seconda volta in questo autorevole consesso, dopo essere già intervenuta sulla legge elettorale, a cui mi riservo di fare un accenno nella mia relazione.
  Intendo concentrarmi su cinque punti, tre di merito e due procedurali, pur cercando di rimanere nell'alveo del merito di ciò che la Camera dei deputati discuterà, ossia delle modifiche apportate dal Senato.
  La riforma ci presenta una sorta di bicameralismo differenziato. Ciò che mi preoccupa è valutare quanto questo bicameralismo differenziato sia coerente con lo spirito della Costituzione, ma soprattutto che non si corra il pericolo che a un bicameralismo differenziato corrisponda anche una sorta di sovranità differenziata e un diverso peso delle regioni all'interno del Senato, così come rappresentato.
  La modifica intervenuta in Senato secondo cui l'elezione dei membri di questa Camera dovrà avvenire in conformità alle scelte degli elettori è una modifica alquanto vaga. Se è evidente che, una volta scelte le modalità di elezione, con la rappresentanza degli interessi locali cadrà il divieto di mandato imperativo in capo ai Pag. 18senatori, credo che occorra valutare quanto questo impatti sulla sovranità popolare, che è il primo valore da rispettare quando immaginiamo di ridisegnare le assemblee elettive rappresentative che partecipano alla funzione legislativa, nonché sulla possibilità di esercitarla pienamente e soprattutto sulla possibilità, da parte dell'elettore, di esercitare una funzione fondamentale che accompagna il voto, cioè la funzione di responsabilità politica.
  Come già contestato in merito alla legge elettorale, questa indicazione alquanto generica lascia dubbi sulle modalità di candidatura e, quindi, di scelta dei futuri senatori. È un aspetto di non secondaria importanza anche dal punto di vista della scienza costituzionale perché nelle ultime fasi della vita della nostra Repubblica le istituzioni sono state tutte interessate da un evidente scollamento dai cittadini ed è prevalso un senso di non rappresentatività delle scelte istituzionali rispetto alla volontà e alla richiesta di partecipazione degli elettori.
  L'impressione che si ha esaminando il quadro generale ridisegnato dai quarantasette articoli di cui si compone la riforma è che questa preoccupazione non sia stata tenuta in debito conto, come pure l'aspetto tecnico dell'impossibilità di fare valere la responsabilità politica da parte dei nuovi senatori. Nonostante la cautela con cui il Senato ha cercato di radicare il legame tra cittadini e istituzioni, la rappresentanza dei nuovi eletti sarà rappresentanza di istituzioni locali e non di territori locali e nell'evoluzione del ciclo di vita dei consigli regionali e del Senato essa potrebbe subire, come sempre accade, degli sfasamenti.
  A questo si aggiunga che il Senato partecipa non soltanto della funzione legislativa, ma anche della elezione di importanti organi di garanzia. La preoccupazione in tal senso è aumentata dal fatto che, con la diminuzione del numero dei senatori e il mantenimento di quello dei deputati, che restano 630, la possibilità di incidere su questi organi di garanzia sarà davvero minima.
  Nonostante la modifica dell'elezione del Senato, essa, a mio avviso, rimane pur sempre un'elezione di secondo grado. Da ciò dipende anche il rischio, nel caso di cessazione o decadenza dei senatori indicati in occasione delle elezioni locali, di avere un'imperfetta composizione dell'organo senatoriale e la mancanza del plenum nell'esercizio delle funzioni. Inoltre questo rischio, in relazione al diverso ciclo di vita dei consigli regionali, si riproporrà ciclicamente.
  Un altro aspetto riguarda la lettura combinata con la legge elettorale e gli effetti distorsivi sulle cariche di garanzia.
  Mi permetto anche di segnalare l'inserimento all'articolo 122, primo comma, della Costituzione di una nuova competenza in capo allo Stato circa la determinazione dell'equilibrio fra donne e uomini nella rappresentanza delle istituzioni locali. Questo comma si sovrappone all'articolo 117, settimo comma, che già costituzionalizzava il principio molto più pregnante della parità – e non delle pari opportunità – nell'accesso alle assemblee elettive fra uomini e donne. Ci auguriamo che questa modifica non degradi la garanzia di una parità che è ancora difficile da raggiungere nelle assemblee elettive locali e ancora più lontana nelle assemblee elettive nazionali.
  Quanto agli aspetti procedurali, questa riforma tocca quarantasette articoli della Costituzione. Letta in combinato disposto con la legge elettorale è evidente che non si tocca solo la composizione del Senato e tutta una serie di punti differenziati e disomogenei fra loro, come le competenze delle regioni eccetera. L'impressione che si ha, ad esempio leggendo l'aumento da 50.000 a 250.000 delle firme necessarie per la presentazione delle leggi di iniziativa popolare o l'aumento da 500.000 a 800.000 delle firme necessarie per presentare i referendum, è che il legislatore, più che pensare a un efficientamento del sistema, immagini una nuova forma di Stato e di governo in cui le decisioni sono accentrate in capo all'organo di governo, che infatti gode di una corsia preferenziale per l'approvazione dei propri disegni di legge.Pag. 19
  Avendo il Governo addirittura anticipato questa competenza nel momento in cui ha presentato il disegno di legge di revisione costituzionale, abbiamo già assistito ad alcune violazioni, dal mio punto di vista, della riserva di assemblea e dell'articolo 138 della Costituzione, che richiede per la discussione dei disegni e dei progetti di legge di revisione costituzionale la più accurata attenzione e la più ampia partecipazione di entrambi i rami del Parlamento. Ci auguriamo che questo non accada più in questa fase perché una riforma che incide in maniera così drastica sul testo costituzionale non può incorrere in incidenti quali «tagliole», procedimenti d'urgenza e questioni di fiducia.
  In questa riforma non manca la fiducia al Governo, anche se noi ci auguriamo che la questione di fiducia non venga posta. Manca la fiducia del Paese, e non perché i cittadini si siano già espressi su questa riforma – accadrà nel caso in cui venga richiesto il referendum confermativo –, ma perché grande assente di tutta questa riforma non sono i tecnici, non sono i parlamentari, è l'opinione pubblica, che è stata tenuta all'oscuro del merito, di cosa preveda in concreto e di come inciderà questa riforma sull'esercizio della sovranità, diretta o indiretta che sia.
  Nonostante gli stretti limiti di tempo che, come ricordava il professor D'Amico, pone la norma transitoria per sollevare la questione di legittimità costituzionale sulla legge elettorale del Senato, è evidente che l'intera riforma sarà comunque sottoposta al vaglio extra-parlamentare. Il referendum, ammesso che ci sarà – noi ne siamo quasi certi –, sarà un referendum difficile da svolgere per un motivo molto semplice. Quarantasette articoli che incidono su aspetti differenti espongono al rischio di presentare un referendum dai quesiti fortemente disomogenei.
  In tal caso, evidentemente, ci sarà una compressione della libertà di voto perché ogni votante sarà costretto a esprimersi con un sì o con un no su una riforma che incide drasticamente sull'assetto fondamentale dello Stato e sui rapporti fra i poteri e che ridisegna i rapporti tra Stato centrale e istituzioni territoriali.
  È auspicabile che, almeno in questa fase, i cittadini siano correttamente informati sul senso e la portata del referendum costituzionale e che questo referendum non si trasformi in uno strumento plebiscitario di ratifica dell'operato del Governo, ma rimanga uno strumento democratico per la riaffermazione della sovranità popolare sul più importante documento giuridico della nostra Repubblica.
  È strano, infatti, che in una Repubblica che ancora si dice parlamentare il progetto di revisione costituzionale più importante degli ultimi anni arrivi per iniziativa di un Governo eletto con una legge dichiarata incostituzionale. Quanto meno dal punto di vista dell'opportunità, se mi è consentito un giudizio tecnico su questo, bisognava riflettere con più attenzione e valutare meglio l'impatto delle riforme sul Paese e se esse siano percepite come realmente democratiche, efficaci e di ammodernamento del sistema.
  Vi ringrazio per l'attenzione.

  MAURO VOLPI, ordinario di diritto pubblico comparato presso Università degli Studi di Perugia. Ringrazio il presidente e tutti i membri della Commissione per questo invito. Un anno fa sono stato audito da questa Commissione sullo stesso oggetto, il disegno di legge costituzionale, e ho espresso una valutazione fortemente critica. Si tratta di vedere se, alla luce delle modificazioni successivamente arrecate, quel giudizio vada ripensato o debba essere confermato.
  In linea generale, penso di poter dire che le modificazioni recenti apportate dal Senato non siano qualitativamente molto rilevanti, anche perché è stata data un'interpretazione eccessivamente rigida della regola della doppia lettura conforme, non tenendo conto che un procedimento di revisione costituzionale non è la stessa cosa del procedimento con cui si approva una legge ordinaria.
  La modifica che è stata propagandata come la più rilevante riguarda la famosa Pag. 20conformità alle scelte del corpo elettorale, inserita nel comma 5 dell'articolo 2. Devo fare subito un rilievo di forma, come costituzionalista. L'emendamento è stato riferito non al comma 2 dell'articolo 2, che riguarda l'elezione dei consiglieri-senatori spettante ai consigli regionali e delle province autonome, ma al comma 5, che riguarda la durata in carica. A questo proposito in sede politica si è parlato di «bizantinismi costituzionali». Io credo che sia peggio. Credo che sia una vera e propria mortificazione del testo della Costituzione, che i nostri padri costituenti, come ricordava all'inizio il professor Armaroli, vollero il più chiaro e accurato possibile.
  Nella sostanza, questa modificazione presenta una notevole dose di ambiguità, che fa dire ad alcuni che i senatori saranno eletti dal corpo elettorale, ad altri che invece saranno eletti dai consigli regionali. L'ambiguità è già insita nel termine impiegato, quando si dice «scegliere». Scegliere non è come eleggere. Lo stesso relatore, onorevole Fiano, nella presentazione del disegno di legge in Commissione parla, a proposito della legge elettorale per il Senato, di «individuazione delle modalità con cui le scelte degli elettori incideranno sull'elezione dei senatori da parte dei consigli regionali e provinciali». Parla, quindi, di incidenza sull'elezione.
  Queste modalità saranno stabilite dalla legge bicamerale di cui al comma 6 dell'articolo 2 e qui vi sono problemi di non facile soluzione. Ricordo che nel comma 2 si dice che l'elezione dei consiglieri-senatori deve avvenire con metodo proporzionale e al comma 6 addirittura che i seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio. Già non ci siamo ! Tra voti espressi e composizione c’è un rapporto fortemente disproporzionale perché tutte le leggi elettorali regionali, come ben sapete, sono fortemente maggioritarie e quindi c’è un'assoluta disproporzionalità. Come si potrà combinare tutto questo con le indicazioni degli elettori francamente lo trovo misterioso.
  Si aggiunga poi la difficoltà che otto regioni e due province autonome – mi piace andare sul concreto – eleggono solo due senatori, di cui uno è sindaco. C’è da dire che i sindaci non sono in alcun modo eletti dagli elettori. Non c’è neanche la scelta o l'indicazione da parte degli elettori. È cosa interamente riservata ai consigli regionali. Come si farà ? Qualcuno ha riesumato la prospettiva dei listini regionali. Dio ce ne guardi ! È stata una cosa orribile, criticata in tutte le regioni, perché vi sono state collocate personalità politiche, più o meno vicino al presidente, automaticamente elette o, anzi, nominate dall'alto.
  Si parla di voto di preferenza. Ma come si fa, se si deve tenere conto della composizione del consiglio regionale e quindi della proporzionalità fra i gruppi consiliari, a prevedere che chi ha avuto più preferenze sia eletto senatore ? Potrebbe essere eletto chi ha avuto meno preferenze ma fa parte di un gruppo consiliare nettamente più consistente, che rivendica il diritto ad avere la carica di senatore.
  Questo pasticcio – perché questa modifica, secondo me, è un pasticcio – è ulteriormente accentuato dalla modifica che è stata recata alla norma transitoria. Sempre con quella rigida applicazione della regola della doppia lettura conforme, si è modificato il comma 11 dell'articolo 39, prevedendo il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale per approvare la legge elettorale statale che dovrà fungere da legge quadro. Però è rimasto in piedi il comma 6, che prevede un termine diverso, e cioè sei mesi dalla data di svolgimento delle elezioni della Camera. Lancio solo la domanda: vi sembra che vi sia congruenza tra queste due disposizioni ? A me pare assolutamente di no e potrebbe essere fonte di problemi.
  Un'unica cosa è certa in questa confusione. Il nuovo Senato, a meno di ipotizzare un improbabile scioglimento simultaneo di tutti i consigli regionali, sarà costituito a tappe, per gradi. Se ipotizziamo che la legislatura arrivi al suo termine naturale e che si riesca, entro i sei Pag. 21mesi dall'entrata in vigore della legge, ad approvare la legge quadro-statale e poi le normative elettorali regionali entro i novanta giorni successivi, cosa accadrà per la composizione del primo Senato ? Solo cinque regioni hanno il consiglio in scadenza entro la primavera del 2018 e quindi solo lì si potrà applicare la nuova normativa. In tutte le altre non c’è dubbio che i consiglieri saranno eletti senatori per scelta libera, e vorrei dire discrezionale, dei consigli regionali. In termini numerici questo significa che sui 74 senatori-consiglieri, 51 saranno eletti dai consigli senza nessuna scelta da parte del corpo elettorale.
  Rimane poi la scelta di fondo che i senatori elettivi siano giocoforza consiglieri regionali o sindaci. Io mi occupo di diritto costituzionale comparato e questo è molto raro negli ordinamenti in cui esiste una seconda camera eletta indirettamente, i quali prevedono, o almeno consentono, che a candidarsi alle elezioni siano i cittadini e non necessariamente i membri delle assemblee. L'unico Paese nell'ambito dell'Unione europea che stabilisce che debbono essere componenti dei parlamenti territoriali è il Belgio. In Austria di solito questo avviene, ma non è escluso che singoli cittadini possano candidarsi.
  C’è poi un problema di cumulo di cariche, che secondo me non avrebbe affatto effetti positivi sul buon funzionamento del nuovo Senato, e c’è un problema di autorevolezza. Pensate veramente che l'autorevolezza di questi senatori sarebbe più forte di quella che, all'interno del sistema delle conferenze, possono lucrare i presidenti delle regioni e i sindaci della grande città ? Anche qui lascio a voi la risposta.
  Veniamo alle funzioni della seconda Camera. La più rilevante, come è stato detto, è l'elezione dei due giudici costituzionali. Si può discutere se debbano essere avvocati delle regioni, come diceva il collega D'Andrea, ma questo, a maggior ragione, fa rilevare la discrepanza tra queste funzioni, così come quella di approvazione delle leggi costituzionali, che è la più alta e la più importante di tutte, e un Senato che non è diretta derivazione delle sovranità popolare. Io ho molte perplessità.
  Ci sono poi alcune innovazioni per quanto riguarda le funzioni del Senato. Non parliamo di quelle legislative che la Camera può facilmente aggirare, a parte quelle bicamerali ovviamente. Si dice che il Senato non concorre alla valutazione, come era in origine, ma valuta le politiche pubbliche e l'attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori. È tutto molto bello, ma si tratta di formule assai generiche, che dovranno essere riempite – o al limite svuotate – da future leggi che dovranno indicare quali sono gli atti, gli strumenti e le procedure attraverso cui questa valutazione/verifica può avvenire.
  Rimane poi aperta la questione dell'elezione degli organi di garanzia. Qui si tocca con mano quanto sia negativa la riduzione drastica del numero dei senatori rispetto al mantenimento dell'attuale numero di deputati. Può essere un argomento non molto popolare in questa sede, ma il dibattito sulle riforme costituzionali negli ultimi vent'anni ha sempre prospettato una riduzione contestuale e bilanciata dei componenti delle due Camere. È evidente che il peso specifico ridotto del Senato riduce la valenza dei quorum di garanzia per l'elezione del Presidente della Repubblica e della componente laica del Consiglio superiore della magistratura, della quale ho fatto parte qualche anno fa.
  È vero che per il Capo dello Stato la Camera ha previsto un innalzamento del quorum, cioè i tre quinti dei componenti, ma dopo il settimo scrutinio ha reso sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti. Qui cito una personalità non sospettabile di ostilità nei confronti delle riforme come il professor D'Alimonte, il quale sul Sole 24 Ore del 29 settembre 2015 ha ritenuto possibile «il rischio di un Capo dello Stato scelto da chi vince le elezioni». I quorum di garanzia dovrebbero essere sempre calcolati non sui votanti ma sui componenti, altrimenti si corre il rischio che la garanzia si riduca praticamente a zero.Pag. 22
  Pochissime parole sulle modifiche del Titolo V. Ho sentito con molto interesse l'intervento del collega di università, professor Clementi, e mi veniva da dire, alla fine: troppa grazia, Sant'Antonio ! Abbiamo già avuto un regionalismo differenziato, quello delle regioni ad autonomia speciale. Ora si prevede un'ulteriore differenziazione e si prevede anche che l'articolo 116, comma 3, sarà applicabile in via transitoria e poi definitivamente alle regioni a statuto speciale. Io fui contrario a quella norma già nel 2001, quando fu approvata, e quindi a maggior ragione posso insistere su questo aspetto.
  Il rischio è che si arrivi a un vero e proprio puzzle, in cui ci saranno regioni speciali, regioni differenziate e poi le altre, quelle residuali. Forse non è neppure accettabile dai cittadini perché essi non sono certo responsabili delle scelte finanziarie operate dalla regione nella quale risiedono e possiamo immaginare quali sarebbero le «altre» regioni. Sappiamo perfettamente che sarebbero tutte quelle meridionali.
  L'unica cosa che a me pare certa è che si è persa una buona occasione per fare chiarezza sul regionalismo italiano. In primo luogo, il nostro regionalismo deve essere prevalentemente legislativo o di esecuzione ? In secondo luogo, deve essere un regionalismo differenziato oppure no e differenziato in quale misura ? In terzo luogo, quali regioni ? Io sono stupefatto che non si discuta di questo. L'assetto delle regioni attuali, così frammentato, continua ad andare bene o se ne deve discutere prima e il più rapidamente e seriamente possibile ?
  Concludo, signor presidente. Restano intatte le ragioni di fondo che mi avevano spinto un anno fa a una valutazione fortemente critica perché le modificazioni arrecate, secondo me, non producono cambiamenti significativi. Ripeto quindi la ragione fondamentale: dal combinato disposto della legge elettorale, che è stata finalmente richiamata, con la riforma costituzionale deriva, secondo me, un cambiamento surrettizio della forma di governo, ma non in senso presidenziale perché non ci sono i contrappesi che caratterizzano il sistema di governo degli Stati Uniti. Verrebbe fuori quello che Leopoldo Elia definiva il «premierato assoluto», con riferimento alla riforma del 2005.
  Se volete una citazione più recente, allora farò quella di una importante personalità come Luciano Violante, che su La Stampa del 1o maggio 2015 ha detto che verrebbe fuori una forma di «governo non parlamentare del primo ministro, che senza idonei contrappesi può diventare un modello preoccupante».
  Grazie dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, raccomandando la sinteticità a ragione dei tempi ristretti che rimangono.

  STEFANO QUARANTA. Io penso che siamo a un bilancio finale. Non è la prima audizione e mi corre l'obbligo di ringraziare tutti gli auditi. Stiamo superando il bicameralismo paritario, intervenendo sostanzialmente sul Senato. Anche se io non condivido questo tipo di riforma – lo dico subito – voglio assumere il punto di vista dei promotori e valutare insieme agli esperti la coerenza della riforma che stiamo facendo, visto che questo testo è annunciato come non più modificabile.
  Stiamo istituendo un nuovo Senato della Repubblica, che nella versione del progetto originario era il Senato delle autonomie, e sappiamo che i membri non rappresentano la nazione ma le autonomie. Di questo Senato, però, fanno parte gli ex Presidenti della Repubblica, che, se non ricordo male, quando sono in carica dovrebbero rappresentare l'unità nazionale del Paese, e i senatori di nomina presidenziale che hanno il merito di aver illustrato la patria. Anche loro francamente non capisco perché ne facciano parte.
  La riforma del Senato, peraltro, che ha uno spirito regionalista o di potenziamento della rappresentanza delle autonomie, si verifica nel momento in cui si Pag. 23tolgono poteri alle regioni, come abbiamo visto prima sulla legislazione concorrente, e paradossalmente viene addirittura istituita una clausola di supremazia, che a mio giudizio avrebbe senso qualora i poteri delle regioni fossero aumentati e non quando vengono notevolmente diminuiti, al netto del fatto che si può diventare senatori a 18 anni e deputati a 25, che i sindaci vengono eletti dai consigli regionali e che la Lombardia avrà quattordici senatori contro i due di molte altre regioni.
  Questo inciderà, secondo me, anche sull'elezione dei giudici costituzionali da parte del Senato perché poche regioni potranno mettersi d'accordo per eleggere un giudice.
  In nome della semplificazione, inoltre, abbiamo un Senato di cento membri ma con cinque diverse tipologie di senatori: due pagate, due pagate da altri, una pagata da nessuno, con sette anni di sostanziale volontariato per lo Stato. Parliamoci chiaro. Possiamo ragionare sui poteri, ma non c’è né un potere di veto, né un potere esclusivo da parte del Senato sui temi che riguardano le autonomie, come avviene invece nelle camere alte di tipo tedesco, mentre addirittura abbiamo il potere di riforma della Costituzione. Laddove ci dovrebbero essere poteri in coerenza con la riforma dell'autonomia c’è poco, invece sulla riforma della Costituzione c’è forse troppo.
  La domanda è molto semplice. Io prendo atto del fatto che la maggior parte degli esperti pensi che questo sia un passo avanti, ma chiedo se non sarebbe stato meglio, potendo parlare in libertà, abolire il Senato anziché creare questa specie di ibrido, che secondo me non ha né capo né coda ?

  DANILO TONINELLI. Faccio anche io una brevissima premessa. Oggi ci stiamo confrontando e ringraziamo gli esperti che hanno espresso opinioni tecniche su questa cosiddetta riforma costituzionale, ma evidentemente non c’è alcuna possibilità politica di modificare il testo, ormai blindato.
  Ho ascoltato molto attentamente tutti gli esperti, indipendentemente dalle voci più o meno critiche, e penso che il dato sostanziale sia che passiamo da un testo costituzionale alto, per livello di chiarezza e limpidezza sia letteraria che interpretativa, a un testo che invece diventerà famoso per complicatezza e opacità.
  Detto questo, pongo due quesiti molto puntuali. Se la riforma costituzionale non dovesse superare lo scoglio del referendum confermativo, le due leggi elettorali vigenti (l’italicum per la Camera e il cosiddetto consultellum per il Senato) si sposerebbero dal punto di vista costituzionale oppure no ?
  La seconda domanda è se il sistema monocamerale prodotto da questa riforma, abbinato a un sistema di leggi elettorali totalmente maggioritario, abbia altri esempi in Europa. Esiste, tra i ventotto Paesi europei, un sistema totalmente monocamerale in cui il sistema elettorale dà a una forza politica, anche con una stretta minoranza tra il 25 per cento e il 30 per cento dei voti, la maggioranza certa in Parlamento ?

  EMANUELE FIANO. Vorrei chiedere al professor D'Amico se ci può descrivere nuovamente la fattispecie per cui potremmo avere una transizione temporale durante la quale la legge elettorale verrebbe applicata nella sua completezza, ma senza possibilità di sollevare un giudizio di costituzionalità.

  ANDREA CECCONI. Ho un paio di domande. Molti degli auditi hanno affermato che la riforma in alcune sue parti è opaca e poco chiara rispetto al testo originario che avevamo ereditato e che invece identificava molto nettamente i paletti entro cui si dovevano muovere la politica e i partiti.
  Ravvedete voi il rischio, nel momento in cui la riforma costituzionale prenda vita e vigore, che questa opacità metta i partiti, e non la politica nel senso più ampio del termine, nelle condizioni di determinare, con la forza dei numeri, uno spostamento piuttosto incisivo ? Mi spiego meglio. È Pag. 24possibile, secondo voi, che, a dispetto dell'intenzione dei costituenti di fissare paletti molto stretti, questa opacità permetta ad alcuni partiti politici di prendere una deriva che nel passato si voleva evitare ?
  La seconda domanda si collega alla prima. In tema di regionalismo differenziato abbiamo deciso, all'articolo 117, di riprenderci la titolarità di alcune materie, come per esempio la sanità. Questo nasce dal fatto che esistono ventidue sistemi sanitari regionali differenti l'uno dall'altro. Tuttavia, nel regionalismo differenziato abbiamo lasciato l'assistenza sociale, cosa che non accade negli altri Paesi occidentali, dove sanità e servizi sociali sono un fulcro unico.
  Il welfare è pensioni, lavoro, salute, sanità e servizi sociali insieme e si mantiene un'unità all'interno del Paese. Noi invece mettiamo la sanità in capo allo Stato, ma lasciamo ad alcune regioni e solo ad alcune, perché devono essere in pareggio di bilancio e i solo due terzi delle regioni italiane sono in pareggio di bilancio, il comparto sociale secondo direttive piuttosto labili.
  Vi chiedo se, anche in questo caso, la politica, il Governo o il partito di maggioranza potrà decidere se e a chi dare o negare la specialità. Si tratta di normative successive. La Costituzione dice che tutte le regioni in pareggio di bilancio possono chiedere e ricevere la specialità, stabilendo che tutti la possono avere, oppure questa differenziazione è nelle mani di qualcuno che può decidere a chi darla e a chi no ?

  MARIASTELLA GELMINI. Mi associo al ringraziamento agli esperti che sono intervenuti oggi e anche alla considerazione circa il fatto che i margini per poter modificare il testo sono risicati. Ho però ascoltato relazioni da parte degli esperti piuttosto critiche, soprattutto con riferimento alla riformulazione del Titolo V, al superamento del regionalismo differenziato e alla materia regionale in generale.
  Chiedo quali potrebbero essere tre proposte emendative per ridurre l'impatto della riforma su un tema, come quello del regionalismo, che trovo sia di assoluta attualità e particolarmente complesso. Noi avevamo fatto una battaglia per l'introduzione in Costituzione dei costi standard. Può essere questa una strada ?
  Quali possono essere i suggerimenti quanto meno per evitare le storture e fare in modo che questa parte, così complicata e che ha dato luogo in passato a un contenzioso importante, possa essere migliorata ?

  MARA MUCCI. Ringrazio gli auditi e mi collego all'intervento della collega Gelmini. Nello specifico, vorrei sapere da tutti, visto che solo uno degli auditi ha espresso la propria opinione al riguardo, quanto questa modifica costituzionale impatti sul contenzioso tra Stato e regioni.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare anche io gli auditi, do loro la parola per delle repliche telegrafiche.

  PAOLO ARMAROLI, già professore ordinario di diritto pubblico comparato. L'opacità, di cui ho parlato, volontaria o involontaria che sia serve a fare sì che le interpretazioni possano essere «a fisarmonica».
  Tornando su quanto detto, la riforma del Senato mi sembra che ruoti attorno a una battuta del nostro Presidente del Consiglio, che è anche un uomo di spettacolo molto sensibile agli umori della gente. Tutto nasce dal fatto che il Presidente del Consiglio ha detto: «Noi avremo dei senatori che non ci costeranno più un euro», cosa molto sensibile e molto affascinante per l'opinione pubblica ancorché non vera. I Presidenti della Repubblica e i senatori a vita riceveranno la loro indennità e così i senatori nominati dal Capo dello Stato. Anche i consiglieri regionali-senatori avranno un rimborso spese. Sembra che nell'universo terracqueo gli unici che non abbiamo diritto al rimborso spese siano gli auditi delle Commissioni parlamentari, se non vado errato.
  Un'ultima considerazione è il fatto che, oggi come oggi, mettere le regioni a guardia del Senato sarebbe come mettere Rodolfo Valentino a tutela di un harem.
  Mi pare un po’ azzardato.

Pag. 25

  PRESIDENTE. Professore, non l'ho interrotta, ma il riferimento al Presidente del Consiglio come uomo di spettacolo tendenzialmente non sarebbe opportuno.
  Capisco che il tono non era esageratamente polemico, ma se l'avesse detto un parlamentare avrei reagito in maniera diversa.

  PAOLO ARMAROLI, già professore ordinario di diritto pubblico comparato. Ho detto molto sensibile all'opinione pubblica.

  PRESIDENTE. Quella parte andava benissimo.

  GIUSEPPE CALDERISI. Tutta una serie di domande che attengono a problematiche di carattere complessivo io le rinvio alle audizioni che ho già svolto perché dovrei ripetere argomenti, e non c’è tempo, che sono già agli atti di questa Commissione. Chi ha fatto domande di carattere complessivo può quindi fare riferimento alle precedenti audizioni.
  Tenevo, però, a precisare un aspetto sul problema dell'elezione del Senato perché mi sembra che un punto vada chiarito. Con riguardo al comma 5, la conformità alle scelte degli elettori non si riferisce agli aspetti della legge elettorale che dovranno determinare, sulla base del criterio di proporzionalità, quanti eletti per ciascuna lista dovranno poi diventare senatori, bensì quali eletti, all'interno di ciascuna lista, avranno il gradimento degli elettori e dovranno pertanto essere scelti per fare i senatori. Distinguiamo, quindi, il «quanti» dal «quali».
  Ci sono alcuni meccanismi e alcuni criteri che sono tesi a indicare quanti senatori spettano a ciascuna lista e altri a indicare quali tra gli eletti di ciascuna lista dovranno essere scelti come senatori. Non facciamo confusione perché il «quali» non può interferire sul «quanti»: il quanti dipende dal voto di lista; le preferenze o altri meccanismi che potranno essere individuati serviranno a scegliere il quali.

  FRANCESCO CLEMENTI, associato di diritto pubblico comparato presso Università degli Studi di Perugia. Anche alla luce delle precedenti audizioni che ho avuto l'onore di tenere qui con voi, vorrei rimanere sul rapporto con le autonomie e l'articolo 116 della Costituzione.
  Credo che dovremmo essere molto chiari. Il testo, secondo me, chiarisce che questo non è un Senato federale, ma un Senato federatore. Nel rapporto con l'Unione europea, come dicevano prima i colleghi in audizione, e a maggior ragione nel rapporto tra lo Stato e le autonomie questa scelta è molto meno «violenta» di quanto potrebbe apparire la stessa lettura della differenziazione.
  L'onorevole Gelmini diceva di aver colto alcune critiche al Titolo V. Io non sono critico sul punto perché la lettura del 2005-2006 probabilmente non aveva in sé una tenuta sistemica e il contenzioso, di cui chiedeva l'onorevole Mucci, tra lo Stato e le regioni lo ha confermato. La scelta di costruire un sistema più razionale tra le due esclusive – regioni e Stato – e, dentro questo contesto, una configurazione a fisarmonica relativamente all'articolo 116 credo consenta una gestione del contenzioso meno dura.
  In parte, se posso permettermi, questo è già anticipato dalla lettura che la Corte costituzionale sta dando dalla fine dell'anno scorso attraverso le relazioni del suo presidente. Si è constatato che il contenzioso costituzionale sembra incardinarsi esattamente dentro tale contesto. La relazione della commissione di esperti di cui feci parte all'inizio della legislatura coglieva questo punto e io resto fedele a quella valutazione.
  Dico un'ultima cosa all'onorevole Quaranta, che chiedeva se non fosse stato meglio abolire il Senato. Capisco l'obiezione, non tanto in termini politici quanto in termini culturali. C’è un punto dietro. Nessuno mi distoglie dalla convinzione, come studioso della materia, che la complessità del Paese è ancora tale e che l'Italia è ancora così giovane sul piano della costruzione della propria forma di Stato che il monocameralismo sarebbe molto più disgregante di qualsiasi altra forma di bicameralismo.

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  GIACOMO D'AMICO, associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Messina. Anch'io cercherò di essere telegrafico.
  Vorrei rispondere sulla questione dell'abolizione del Senato. Io non sono dell'idea che fosse meglio abolire il Senato per la semplice ragione che, se oggi leggiamo una qualsiasi sentenza della Corte costituzionale in materia di contenzioso tra Stato e regioni, troviamo il perenne ricorso a una qualche forma di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni.
  Questo dimostra che ci vuole un organo di raccordo. Semmai la riforma è timida nel caricare sul Senato questa funzione di raccordo, che peraltro è entrata soltanto con l'ultima modifica del Senato. Quella è la sede, riallacciandomi a ciò che dicevano l'onorevole Gelmini e l'onorevole Mucci, che dovrà diventare il luogo deputato a ridurre all'origine il contenzioso Stato-regioni.
  Ci è stata chiesta una proposta per una possibile soluzione. Io ho vissuto l'esperienza del mandato del giudice Silvestri alla Corte costituzionale come suo assistente. Abbiamo visto che l'anno scorso il contenzioso si è ridotto perché il Ministero degli affari regionali ha adottato una serie di circolari e di provvedimenti volti a risolvere le dispute, quasi sotto forma di contrattazione con le regioni che avevano impugnato. Questo ha portato anche a una riduzione del contenzioso.
  Vado subito alla domanda dell'onorevole Fiano. È una questione che sottopongo alla vostra attenzione perché non ho certezze, sia chiaro. La sensazione che ho avuto leggendo il comma 11 è che ci siano due termini per impugnare la legge elettorale: il primo è entro 10 giorni dall'entrata in vigore della presente legge costituzionale (tale termine era nel testo originario); il secondo è entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore della legge del Senato.
  La possibile «zona franca» riguarderebbe un'eventuale modifica dell’italicum, la legge elettorale della Camera, che avvenga alla scadenza dei dieci giorni, cioè il primo termine previsto dal comma 11, e che avvenga sempre nella presente legislatura. Per un verso, sarebbe dunque spirato il termine dei dieci giorni. Per altro verso, però, non sarebbe ancora entrato a regime il nuovo meccanismo del controllo preventivo sulla legge elettorale di cui all'articolo 73.
  La mia osservazione nasceva dall'assenza di un termine per impugnare un'eventuale modifica dell’italicum.

  LUIGI D'ANDREA, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Messina. La riforma del Senato è all'ordine del giorno da quando è stata approvata la Costituzione del 1948, nel senso che Mortati – per fare il nome di un nume tutelare della scienza costituzionalistica – inserì la norma sul Senato eletto a base regionale come appiglio per una riforma del Senato quando fossero andate a regime le autonomie regionali, che allora erano praticamente inesistenti perché si costituirono soltanto le regioni a statuto speciale, tranne il Friuli.
  Se è vero che costruire un nuovo Senato è all'ordine del giorno da tanti anni e questa è la prima riforma che sembra sul punto di entrare in vigore, resta vero che costruire un Senato come Camera delle autonomie o delle regioni, rappresentativo delle istituzioni territoriali nella logica che ho cercato di descrivere prima, è molto complicato.
  Non sono un comparatista. Il professor Volpi potrà dire molto meglio di me, ma credo che le esperienze dei Senati – se così si può dire – non siano felicissime. Probabilmente quello che funziona meglio è il Bundesrat, salvo mio errore, nel quale – guarda caso – le regioni si rappresentano mediante il cuore della direzione politica, cioè l'Esecutivo. Infatti, qualcuno dice che non è un Senato. È un tema discusso.
  Per quanto riguarda l'opacità, tutti i testi costituzionali sono opachi, ma devono esserlo perché devono poter accogliere una pluralità di letture politiche. La possibilità di una pluralità di interpretazioni è un valore.Pag. 27
  Sulla legge elettorale dico solo una cosa. In generale potremmo ritenere che le esigenze di governabilità del sistema, che secondo me sono costituzionalmente apprezzabili e riconducibili all'articolo 1 della Costituzione, si scarichino sul sistema politico-partitico, come è stato nella «prima Repubblica» – termine che al professor Martines non piaceva e non piace neanche a me, ma ci capiamo –, cioè un sistema parlamentare con legge proporzionale. A quel punto sono i partiti che costruiscono le coalizioni col minimo dei vincoli da parte del livello istituzionale.
  Nel contesto politico presente possiamo pensare di ragionare in questo modo ? No, e allora delle due l'una: o costruiamo un sistema maggioritario, ma col maggioritario le obiezioni che muovete diventano gigantesche; oppure costruiamo un sistema in cui vi sia una distorsione, una disproporzionalità con alcuni correttivi, che è il prezzo da pagare per garantire la governabilità in questo contesto.
  Mi pare che si possa ragionare in questa prospettiva.

  ANNA FALCONE, esperta della materia. Sono costretta a selezionare alcune delle domande. Risponderò all'onorevole Quaranta, all'onorevole Cecconi e all'onorevole Mucci.
  Quanto sostiene l'onorevole Quaranta a proposito della sovranità differenziata che si esprime in questo Senato è assolutamente da sottoscrivere. È evidente, infatti, che alcune regioni avranno un peso molto maggiore di altre. Si pensi soltanto al fatto che la Lombardia peserà quanto sette regioni minori, ovvero quanto sette regioni che esprimeranno soltanto due senatori. È facile immaginare, nell'elezione dei giudici costituzionali, cosa questo possa significare, ad esempio, per l'incidenza dei giudizi sui conflitti di attribuzione.
  Quanto ai conflitti fra Stato e regioni, rispondendo all'onorevole Mucci, la maggior parte del contenzioso nasce dalle competenze esclusive dello Stato, non dalle competenze concorrenti e, quindi, non credo che questa riforma inciderà più di tanto sulla semplificazione e diminuzione del contenzioso.
  Mi interessa molto la sottolineatura dell'onorevole Cecconi a proposito dell'assistenza sociale. Io ho insegnato diritto dell'assistenza sociale all'Università della Calabria proprio negli anni successivi alla riforma del Titolo V, con cui questa materia è transitata nelle competenze esclusive delle regioni. Questo ha determinato un gravissimo problema di garanzia della cittadinanza sociale e dei diritti di cittadinanza sociale dei soggetti più deboli. La norma, letta in combinato disposto con l'articolo 119 della Costituzione sull'autonomia finanziaria delle regioni, metteva in capo alle regioni il peso di tutte le misure di sostegno ai soggetti più deboli.
  Se da una parte è auspicabile che la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni relative all'assistenza sociale ritorni in capo allo Stato, è evidente che acquisire questa materia all'interno del nuovo regionalismo differenziato, così come ridisegnato, comporta il rischio di avere nuovamente tanti statuti di cittadinanza sociale regionale quante saranno le garanzie che ogni singola regione potrà sostenere – lo ribadisco – economicamente.
  Le regioni più ricche daranno più diritti e le regioni più povere, quelle che hanno il maggior numero di soggetti deboli, ne daranno meno.

  MAURO VOLPI, ordinario di diritto pubblico comparato presso Università degli Studi di Perugia. Risponderò solo ad alcune domande per ragioni di tempo.
  All'onorevole Quaranta dico che, se il Senato deve essere, come ha dichiarato il collega Ainis, «un camerino senza dignità», allora sarebbe meglio abolirlo. A quel punto, però, l'unica Camera dovrebbe essere eletta con un sistema prevalentemente proporzionale e dovrebbero esserci garanzie interne, come ad esempio – cose che non sono state prese minimamente in considerazione in questa discussione – il potere riconosciuto in vari Paesi democratici a una minoranza qualificata di impugnare preventivamente le leggi di fronte al Pag. 28giudice costituzionale o di imporre l'istituzione di una commissione d'inchiesta. Non mi pare che sia questa l'aria che tira.
  All'onorevole Toninelli dico che, se passa il no e questa riforma costituzionale non va in porto, è chiaro che avremo due leggi elettorali tra loro contraddittorie e due Camere con una composizione politica totalmente contrastante. A monte c’è la scelta che è stata fatta, e che io trovo assolutamente illogica e contraddittoria, di approvare prima la legge elettorale e dopo la riforma costituzionale. Da umile costituzionalista, penso che la legge elettorale debba essere servente della forma di governo e del modello costituzionale e non possa essere vero il contrario.
  Quanto alla domanda se esistano sistemi monocamerali con sistemi elettorali maggioritari, a mia conoscenza, nell'ambito dell'Unione europea i quindici Paesi su ventotto che hanno un sistema monocamerale adottano sistemi proporzionali, ovviamente con correttivi.
  Dico all'amico D'Andrea che nessuno propone un sistema proporzionale allo stato puro. Ci vogliono i correttivi. Il correttivo alla tedesca va benissimo, ma quello che c’è in Italia e che si vuole proporre – l’italicum – non è un sistema maggioritario o proporzionale con correttivi: è un sistema iper-maggioritario. Nel mondo democratico sarebbe l'unico sistema elettorale che garantisce la maggioranza, costruita artificialmente dal premio, di un unico partito. Non ne esistono altri nel mondo democratico e quell'unico partito può essere un qualsiasi partito, anche un partito di estrema destra xenofobo.
  Non va bene. È un azzardo.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.10.