CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 4 novembre 2015
534.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per le questioni regionali
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge di stabilità 2016) (S. 2111 Governo).

PROPOSTA DI PARERE DELLA RELATRICE

  La Commissione parlamentare per le questioni regionali,
   esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge del Governo S. 2111, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2016)»;
   rilevato che:
    l'articolo 32, comma 14, ridetermina il fabbisogno sanitario nazionale standard per il 2016, fissandolo in 111.000 milioni di euro;
    il Patto per la salute 2014-2016 aveva determinato il livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale (SSN) a cui concorre lo Stato in 115.444 milioni di euro per il 2016, importo confermato dalla legge di stabilità 2015, e successivamente ridotto dal decreto-legge n. 78/2015, per un importo pari a 2.352 milioni di euro, a decorrere dal 2015;
    la rideterminazione a 111.000 milioni di euro comporta, per il 2016, una ulteriore riduzione rispetto a quanto previsto dal suddetto Patto per la salute, ma comunque in aumento rispetto a quanto stanziato per il 2015;
    la rideterminazione del fabbisogno sanitario nazionale standard non è stata preceduta da una intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, nonostante il fatto che l'intesa del 10 luglio 2014 sul Patto per la salute per il triennio 2014-2016, prevedesse che, in caso di modifiche degli importi relativi al finanziamento del SSN, la stessa intesa sul Patto della salute dovesse essere oggetto di revisione;
   evidenziato che:
    l'articolo 34, comma 4, ai fini della riduzione del debito, attribuisce, nell'anno 2016, alle regioni a statuto ordinario un contributo di complessivi 1.300 milioni di euro, che non rileva ai fini del pareggio di bilancio; tale intervento non determina peraltro oneri in termini di indebitamento netto;
   considerato che:
    l'articolo 34 prevede il concorso alla finanza pubblica delle Regioni e Province autonome per il quadriennio 2016-2019: il comma 1 determina il contributo alla finanza pubblica delle Regioni e Province autonome in 3.980 milioni di euro per il 2017 e 5.480 milioni per ciascuno degli anni 2018 e 2019, mentre i commi 2 e 3 modificano l'articolo 46 del decreto-legge n. 66 del 2014 per estendere al 2019 il contributo richiesto alle regioni a statuto ordinario; per effetto di tale ultima modifica, le regioni a statuto ordinario dovranno nel 2019 assicurare un contributo di 4.202 milioni di euro;
    l'articolo 35 dispone il superamento del Patto di stabilità interno, introducendo una nuova disciplina per il pareggio di bilancio degli enti territoriali;
    per gli enti locali, la nuova disciplina pone fine alla stagione dei tagli ai bilanci, avviata dal 2007, che ha determinato una contrazione delle risorse pari a oltre 18 miliardi dal 2007 ad oggi, di cui Pag. 223ben 13 miliardi nell'ultimo quinquennio; essa favorirà una ripresa delle politiche locali rivolte agli investimenti e alla crescita;
    il nuovo saldo di riferimento (entrate finali di competenza meno spese finali di competenza), senza previsione di avanzo e con l'inserimento del Fondo pluriennale vincolato non finanziato da debito, potrà determinare una significativa ripresa degli investimenti locali, anche attraverso il riassorbimento degli avanzi di amministrazione cumulati, già nel primo anno di applicazione;
    l'articolo 27, comma 7, prevede l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, di un fondo finalizzato ad interventi di carattere economico, sociale e ambientale nei territori della cosiddetta «terra dei fuochi», con una dotazione di 150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017; l'individuazione degli interventi e delle amministrazioni competenti a cui destinare le risorse è demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   rilevato che:
    diverse disposizioni dell'articolo 30 richiamano, inoltre, interventi da adottare con «provvedimento della Giunta regionale»; secondo la giurisprudenza costituzionale, sono costituzionalmente illegittime le norme statali che provvedono a indicare specificamente l'organo regionale titolare della funzione amministrativa, trattandosi di normativa di dettaglio attinente all'organizzazione interna della Regione (sentenze n. 22 e 293 del 2012, n. 95 del 2008 e n. 387 del 2007);
   considerato che:
    l'articolo 30, comma 6, demanda ad un decreto del Ministro della salute, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, la definizione, fra l'altro, degli ambiti assistenziali e dei parametri di riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, anche tenendo conto di quanto previsto dal decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70, concernente il regolamento recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera;
    l'articolo 32, comma 7, introduce una procedura di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) che non determinino ulteriori oneri a carico della finanza pubblica e che modifichino esclusivamente gli elenchi di prestazioni erogabili dal Servizio sanitario nazionale ovvero individuino misure intese ad incrementare l'appropriatezza dell'erogazione delle medesime prestazioni, in base alla quale il provvedimento finale è costituito da un decreto del Ministro della salute, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome;
    la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 134 del 2006, si è espressa circa la necessità di conseguire l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni in materia di sanità;
   considerato altresì che:
    l'articolo 33, comma 35, prevede il finanziamento di progetti per la realizzazione di ciclovie turistiche e ciclostazioni nonché per la sicurezza della ciclabilità cittadina, rimandando l'individuazione dei relativi interventi ad un decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il concerto, per i progetti di ciclovie turistiche, del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
    tale intervento potrebbe essere riconducibile alle materie «reti di trasporto di interesse regionale» e «turismo», ascritte alla competenza regionale ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, Cost.; la materia è già oggetto di intervento da parte di leggi regionali (cfr. Legge Regione Puglia n. 1 del 2013; Legge Regione Abruzzo n. 8 del 2013; Legge Regione Toscana n. 27 del 2012; Legge Regione Marche n. 38 del 2012); Pag. 224
   rilevato infine che:
    l'articolo 43, comma 5 – per il concorso dello Stato al raggiungimento degli standard europei del parco mezzi destinato al trasporto pubblico locale e regionale – istituisce, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un Fondo finalizzato all'acquisto diretto, ovvero per il tramite di società specializzate, degli automezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale, cui confluiscono, previa intesa con le Regioni, le risorse disponibili sul fondo volto favorire il rinnovo dei parchi automobilistici e ferroviari destinati ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, istituito dall'articolo 1, comma 1031, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006);
    esso rimette inoltre ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti l'individuazione di modalità innovative e sperimentali per l'attuazione delle disposizioni del medesimo comma 5, per il quale occorre valutare il coinvolgimento delle Regioni in materia di trasporto pubblico locale,
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   1) all'articolo 30, comma 6, sia valutato di prevedere l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in luogo del parere della medesima, per l'emanazione del decreto del Ministro della salute, che definisce gli ambiti assistenziali ed i parametri di riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 134 del 2006;
   2) all'articolo 30, sia valutato di sostituire i riferimenti al «provvedimento della Giunta regionale» con un riferimento generico ad un provvedimento della Regione, sulla base della giurisprudenza costituzionale richiamata in premessa;
   3) all'articolo 32, comma 7, sia valutato di prevedere l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in luogo del parere della medesima, per l'emanazione del decreto del Ministro della salute di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) che modifichino esclusivamente gli elenchi di prestazioni erogabili dal Servizio sanitario nazionale ovvero individuino misure intese ad incrementare l'appropriatezza dell'erogazione delle medesime prestazioni, senza determinare ulteriori oneri a carico della finanza pubblica;
   4) all'articolo 33, comma 35, siano valutate le opportune forme di coinvolgimento delle Regioni per l'emanazione del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che individua gli interventi per la realizzazione di ciclovie turistiche e ciclo stazioni;
   5) all'articolo 43, comma 5, si valuti l'opportunità di prevedere il coinvolgimento delle Regioni ai fini dell'emanazione del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per l'individuazione di modalità innovative e sperimentali per l'attuazione delle disposizioni relative al Fondo per l'acquisto degli automezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale;
   6) all'articolo 34 comma 4, si chiarisca l'effettiva spendibilità delle risorse derivanti dal contributo per la riduzione del debito regionale;
   7) all'articolo 27, comma 7, si valuti l'opportunità di prevedere il coinvolgimento della Regione interessata ai fini dell'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che disciplina il fondo finalizzato ad interventi di carattere economico, sociale e ambientale nei territori della cosiddetta «terra dei fuochi».

Pag. 225

ALLEGATO 2

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2016) (S. 2111 Governo).

PARERE APPROVATO

  La Commissione parlamentare per le questioni regionali,
   esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge del Governo S. 2111, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2016)»;
   rilevato che:
    l'articolo 32, comma 14, ridetermina il fabbisogno sanitario nazionale standard per il 2016, fissandolo in 111.000 milioni di euro;
    il Patto per la salute 2014-2016 aveva determinato il livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale (SSN) a cui concorre lo Stato in 115.444 milioni di euro per il 2016, importo confermato dalla legge di stabilità 2015, e successivamente ridotto dal decreto-legge n. 78 del 2015, per un importo pari a 2.352 milioni di euro, a decorrere dal 2015;
    la rideterminazione a 111.000 milioni di euro comporta, per il 2016, una ulteriore riduzione rispetto a quanto previsto dal suddetto Patto per la salute, ma comunque in aumento rispetto a quanto stanziato per il 2015;
    la rideterminazione del fabbisogno sanitario nazionale standard non è stata preceduta da una intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, nonostante il fatto che l'intesa del 10 luglio 2014 sul Patto per la salute per il triennio 2014-2016, prevedesse che, in caso di modifiche degli importi relativi al finanziamento del SSN, la stessa intesa sul Patto della salute dovesse essere oggetto di revisione;
   evidenziato che:
    l'articolo 34, comma 4, ai fini della riduzione del debito, attribuisce, nell'anno 2016, alle regioni a statuto ordinario un contributo di complessivi 1.300 milioni di euro, che non rileva ai fini del pareggio di bilancio; tale intervento non determina peraltro oneri in termini di indebitamento netto;
   considerato che:
    l'articolo 34 prevede il concorso alla finanza pubblica delle Regioni e Province autonome per il quadriennio 2016-2019: il comma 1 determina il contributo alla finanza pubblica delle Regioni e Province autonome in 3.980 milioni di euro per il 2017 e 5.480 milioni per ciascuno degli anni 2018 e 2019, mentre i commi 2 e 3 modificano l'articolo 46 del decreto-legge n. 66 del 2014 per estendere al 2019 il contributo richiesto alle regioni a statuto ordinario; per effetto di tale ultima modifica, le regioni a statuto ordinario dovranno nel 2019 assicurare un contributo di 4.202 milioni di euro;
    l'articolo 35 dispone il superamento del Patto di stabilità interno, introducendo una nuova disciplina per il pareggio di bilancio degli enti territoriali;
    per gli enti locali, la nuova disciplina pone fine alla stagione dei tagli ai bilanci, avviata dal 2007, che ha determinato una contrazione delle risorse pari a oltre 18 miliardi dal 2007 ad oggi, di cui Pag. 226ben 13 miliardi nell'ultimo quinquennio; essa favorirà una ripresa delle politiche locali rivolte agli investimenti e alla crescita;
    il nuovo saldo di riferimento (entrate finali di competenza meno spese finali di competenza), senza previsione di avanzo e con l'inserimento del Fondo pluriennale vincolato non finanziato da debito, potrà determinare una significativa ripresa degli investimenti locali, anche attraverso il riassorbimento degli avanzi di amministrazione cumulati, già nel primo anno di applicazione;
    l'articolo 27, comma 7, prevede l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, di un fondo finalizzato ad interventi di carattere economico, sociale e ambientale nei territori della cd. «terra dei fuochi», con una dotazione di 150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017; l'individuazione degli interventi e delle amministrazioni competenti a cui destinare le risorse è demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   rilevato che:
    diverse disposizioni dell'articolo 30 richiamano, inoltre, interventi da adottare con «provvedimento della Giunta regionale»; secondo la giurisprudenza costituzionale, sono costituzionalmente illegittime le norme statali che provvedono a indicare specificamente l'organo regionale titolare della funzione amministrativa, trattandosi di normativa di dettaglio attinente all'organizzazione interna della Regione (sentenze n. 22 e 293 del 2012, n. 95 del 2008 e n. 387 del 2007);
   considerato che:
    l'articolo 30, comma 6, demanda ad un decreto del Ministro della salute, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, la definizione, fra l'altro, degli ambiti assistenziali e dei parametri di riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, anche tenendo conto di quanto previsto dal decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70, concernente il regolamento recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera;
    l'articolo 32, comma 7, introduce una procedura di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) che non determinino ulteriori oneri a carico della finanza pubblica e che modifichino esclusivamente gli elenchi di prestazioni erogabili dal Servizio sanitario nazionale ovvero individuino misure intese ad incrementare l'appropriatezza dell'erogazione delle medesime prestazioni, in base alla quale il provvedimento finale è costituito da un decreto del Ministro della salute, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome;
    la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 134 del 2006, si è espressa circa la necessità di conseguire l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni in materia di sanità;
   considerato altresì che:
    l'articolo 33, comma 35, prevede il finanziamento di progetti per la realizzazione di ciclovie turistiche e ciclostazioni nonché per la sicurezza della ciclabilità cittadina, rimandando l'individuazione dei relativi interventi ad un decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il concerto, per i progetti di ciclovie turistiche, del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
    tale intervento potrebbe essere riconducibile alle materie «reti di trasporto di interesse regionale» e «turismo», ascritte alla competenza regionale ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, Cost.; la materia è già oggetto di intervento da parte di leggi regionali (cfr. Legge Regione Puglia n. 1 del 2013; Legge Regione Abruzzo n. 8 del 2013; Legge Regione Toscana n. 27 del 2012; Legge Regione Marche n. 38 del 2012); Pag. 227
   rilevato infine che:
    l'articolo 43, comma 5 – per il concorso dello Stato al raggiungimento degli standard europei del parco mezzi destinato al trasporto pubblico locale e regionale – istituisce, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un Fondo finalizzato all'acquisto diretto, ovvero per il tramite di società specializzate, degli automezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale, cui confluiscono, previa intesa con le Regioni, le risorse disponibili sul fondo volto favorire il rinnovo dei parchi automobilistici e ferroviari destinati ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, istituito dall'articolo 1, comma 1031, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006);
    esso rimette inoltre ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti l'individuazione di modalità innovative e sperimentali per l'attuazione delle disposizioni del medesimo comma 5, per il quale occorre valutare il coinvolgimento delle Regioni in materia di trasporto pubblico locale,
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   1) valuti la Commissione di merito l'impatto della manovra economica sulle politiche sanitarie regionali;
   2) valuti la Commissione di merito la sostenibilità, sul piano del bilancio pluriennale, del contributo richiesto alle Regioni dall'articolo 34, commi 1 e 2;
   3) all'articolo 30, comma 6, sia valutato di prevedere l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in luogo del parere della medesima, per l'emanazione del decreto del Ministro della salute, che definisce gli ambiti assistenziali ed i parametri di riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 134 del 2006;
   4) all'articolo 30, sia valutato di sostituire i riferimenti al «provvedimento della Giunta regionale» con un riferimento generico ad un provvedimento della Regione, sulla base della giurisprudenza costituzionale richiamata in premessa;
   5) all'articolo 32, comma 7, sia valutato di prevedere l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in luogo del parere della medesima, per l'emanazione del decreto del Ministro della salute di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) che modifichino esclusivamente gli elenchi di prestazioni erogabili dal Servizio sanitario nazionale ovvero individuino misure intese ad incrementare l'appropriatezza dell'erogazione delle medesime prestazioni, senza determinare ulteriori oneri a carico della finanza pubblica;
   6) all'articolo 33, comma 35, siano valutate le opportune forme di coinvolgimento delle Regioni per l'emanazione del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che individua gli interventi per la realizzazione di ciclovie turistiche e ciclo stazioni;
   7) all'articolo 43, comma 5, si valuti l'opportunità di prevedere il coinvolgimento delle Regioni ai fini dell'emanazione del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per l'individuazione di modalità innovative e sperimentali per l'attuazione delle disposizioni relative al Fondo per l'acquisto degli automezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale;
   8) all'articolo 34 comma 4, si chiarisca l'effettiva spendibilità delle risorse derivanti dal contributo per la riduzione del debito regionale;
   9) all'articolo 27, comma 7, si valuti l'opportunità di prevedere il coinvolgimento della Regione interessata ai fini dell'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che disciplina il fondo finalizzato ad interventi di carattere economico, sociale e ambientale nei territori della cosiddetta «terra dei fuochi».

Pag. 228

ALLEGATO 3

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018. (S. 2112 Governo).

PARERE APPROVATO

  La Commissione parlamentare per le questioni regionali,
   esaminato il disegno di legge del Governo S. 2112, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2016 e bilancio pluriennale per il triennio 2016-2018» (S. 2112 Governo);
  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

Pag. 229

ALLEGATO 4

Misure per favorire l'emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata (Testo unificato C. 1138 e abb.).

PARERE APPROVATO

  La Commissione parlamentare per le questioni regionali,
   esaminato il testo unificato delle proposte di legge 1138 d'iniziativa popolare e abbinate C. 1039 Gadda, C. 1189 Garavini, C. 2580 Vecchio, C. 2786 Bindi, C. 2737 Bindi e C. 2956 Formisano, recante «Norme per accelerare i procedimenti in materia di contrasto ai patrimoni illeciti e per favorire il riutilizzo sociale dei beni e delle aziende confiscati alle mafie e tutelare il lavoro», come risultante dagli emendamenti approvati dalla Commissione di merito il 29 ottobre 2015;
   considerato che il contenuto del provvedimento risulta riconducibile alle materie «giurisdizione e norme processuali», «ordinamento penale» e «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato», ascritte alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere l) e g), della Costituzione,
  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

Pag. 230

ALLEGATO 5

Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare. C. 348-B, approvata dalla Camera e modificata dal Senato.

PARERE APPROVATO

  La Commissione parlamentare per le questioni regionali,
   esaminato il nuovo testo della proposta di legge C. 348-B Cenni, approvata dalla Camera dei deputati e modificata dal Senato della Repubblica, recante «Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare»;
   richiamati i propri pareri espressi in data 29 ottobre 2014 e 24 febbraio 2015,
  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

Pag. 231

ALLEGATO 6

Indagine conoscitiva sulle problematiche concernenti l'attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale, con particolare riferimento al ruolo delle Commissioni paritetiche previste dagli statuti medesimi.

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO

1. Premessa.

  La Commissione parlamentare per le questioni regionali, prevista dall'articolo 126 della Costituzione e istituita dall'articolo 52 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, ha deliberato, in data 25 febbraio 2015, di svolgere un'indagine conoscitiva sulle problematiche concernenti l'attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, con particolare riferimento al ruolo delle Commissioni paritetiche.
  È la prima volta che il Parlamento affronta in maniera organica il tema dell'attuazione degli statuti speciali, tema che potrebbe apparire molto tecnico e per «addetti ai lavori», ma che in realtà ha riflessi di rilievo sul funzionamento complessivo del sistema regionale italiano.
  La Commissione ha complessivamente dedicato all'indagine 20 sedute: le audizioni hanno avuto inizio il 17 marzo 2015 e si sono concluse il 30 luglio 2015. In tale arco temporale si trovava all'esame del Senato, per la terza lettura della prima deliberazione, il disegno di legge di riforma costituzionale (S1429-B), testo sul quale si sono confrontati gli auditi. Successivamente alla conclusione delle audizioni, il Senato ha ulteriormente modificato il testo; di tali modifiche tengono conto le conclusioni del documento.
  L'indagine svolta si è collocata in linea di continuità con l'indagine conoscitiva – avviata il 12 febbraio 2014 e non conclusa – sulle questioni connesse al regionalismo ad autonomia differenziata. Gli esperti auditi in quell'occasione – salvo limitate eccezioni – hanno sostanzialmente confermato il perdurare delle esigenze, quanto meno dal punto di vista etnico-culturale, che hanno storicamente giustificato il conferimento di forme particolari di autonomia alle Regioni speciali e ritenuto condivisibile mantenere l'attuale differenziazione pur nel rispetto di «doveri costituzionali di solidarietà». Peraltro, anche nel resto dell'Europa, le forme di federalismo e di regionalismo asimmetrico e il consolidamento dei regimi di autonomia speciale sono in ascesa.
  Le audizioni svolte in occasione dell'indagine conoscitiva avviata nel 2014 hanno poi messo in evidenza come non si possa parlare di un unico modello di regionalismo speciale ma di modelli diversi anche in ragione della concreta attuazione che storicamente è stata data alle disposizioni statutarie. La mancata attuazione degli statuti e la vetustà delle norme statutarie ha nei fatti prodotto, in alcune Regioni, un sostanziale assottigliamento della specialità regionale e un incremento Pag. 232delle spese per il funzionamento della Regione. Un criterio per la quantificazione dell'autonomia può essere dunque proprio ravvisato nella mole dei provvedimenti attuativi adottati.
  Tale procedimento conoscitivo ha rappresentato dunque la premessa logica del presente lavoro.
  L'esigenza di deliberare una nuova indagine conoscitiva è nata infatti dall'impossibilità di proseguire quella avviata nel 2014 in quanto tale attività era strumentale all'esame in sede consultiva dei progetti di legge costituzionale ad essa assegnati (S. 574 Zanettin e altri, C. 582 e C. 758 Giancarlo Giorgetti e altri), in relazione ai quali la Commissione aveva espresso il parere di competenza l'11 giugno 2014.
  Lo scopo dell'indagine conoscitiva è stato quello di approfondire le questioni connesse:
   alle procedure bilaterali di attuazione degli statuti regionali;
   al concreto funzionamento delle Commissioni paritetiche anche alla luce di disfunzioni operative che si sono spesso registrate, come, ad esempio, i ritardi nella periodica ridefinizione della loro composizione o nella presa in considerazione da parte del Governo degli schemi di provvedimenti attuativi da esse elaborati;
   al ruolo svolto dalle Commissioni paritetiche nel conferimento delle competenze ulteriori alle Regioni a statuto speciale alla luce della clausola di maggior favore di cui all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001;
   al contenzioso derivante dalla parziale attuazione della normativa e, conseguentemente, dall'incertezza circa la normativa applicabile;
   all'incidenza della mancata o ritardata attuazione delle norme statutarie sui rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali anche in relazione al peso preponderante assunto dagli strumenti pattizi in questo ambito;
   a eventuali ipotesi di riforma e di codificazione delle procedure di adozione delle norme attuative degli statuti, attualmente basate principalmente sulla prassi.

2. Il programma dell'indagine conoscitiva.

  Il programma dell'indagine, previa acquisizione delle intese con i Presidenti della Camera e del Senato, è stato approvato dalla Commissione il 25 febbraio 2015.
  L'indagine conoscitiva svolta presuppone il mantenimento di un sistema di decentramento istituzionale fondato sulla presenza di un regionalismo differenziato, che vede, accanto alle Regioni c.d. ordinarie, cinque Regioni a statuto speciale. Le revisioni costituzionali realizzate nel 1999 e nel 2001, interessando soprattutto le Regioni di diritto comune, hanno, di fatto, posto in un cono d'ombra le Regioni speciali, le quali, negli ultimi quindici anni, hanno tentato faticosamente di far valere le proprie prerogative statutarie, con esiti difformi a seconda della Regione presa in esame. In attesa di una significativa Pag. 233revisione degli statuti speciali, l'attuazione di questi ultimi, per il tramite dei decreti legislativi appositamente previsti, sembra costituire l'unico strumento per assicurare una sia pure parziale realizzazione del modello di regionalismo differenziato. Di qui l'interesse della Commissione per le problematiche concernenti l'attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale ed in particolare per il ruolo svolto dalle Commissioni paritetiche chiamate, per espressa previsione degli statuti speciali, a predisporre gli schemi di decreti legislativi di attuazione.
  L'indagine conoscitiva è stata articolata essenzialmente in due fasi: la prima dedicata alle questioni generali attinenti al tema delle norme di attuazione e la seconda relativa alle specifiche problematiche delle cinque Regioni speciali. Nell'ambito della prima fase sono stati poi distinti i profili costituzionali da quelli finanziari; siffatta distinzione è stata mantenuta anche nella seconda fase, sebbene le specificità regionali risiedano, il più delle volte, proprio nella peculiare regolamentazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e la singola Regione speciale, finendo per questo verso con l'esaurire le ragioni di un esame distinto.
  Sui temi sopra indicati si è proceduto all'audizione di studiosi esperti della materia (D'Atena, D'Amico, Vitale, Caravita di Toritto, Palermo, Bin, Falcon, Longobardi, Antonini, Sterpa e Tria, cui si aggiunge il contributo scritto di Ruggeri, impossibilitato a partecipare ai lavori della Commissione ), di rappresentanti di istituti di ricerca sulle Regioni (Mangiameli), del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, della Direttrice generale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze (Lapecorella); dell'Ispettore generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato (Bilardo); del Presidente del Consiglio nazionale dell'Associazione nazionale comuni italiani (Bianco); del Presidente della sezione autonomie della Corte dei conti (Falcucci), di alcuni Presidenti dei consigli regionali delle Regioni a statuto speciale (Ardizzone, Ganau, Iacop, Vierin) e dei consigli Provinciali delle Province autonome, o di loro delegati; di alcuni Presidenti delle giunte delle Regioni a statuto speciale (Pigliaru, Rollandin, Serracchiani) e delle giunte delle Province autonome (Rossi), o di loro delegati (Lo Bello); di alcuni Consiglieri di Stato (Chieppa e Pajno); di alcuni consiglieri della Corte dei conti (Pallaoro); di alcuni Presidenti delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti (Graffeo, Petronio, Fino, Chiappinelli, Valente); del Presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (De Lipsis, cui si è aggiunto il contributo scritto del Presidente della prima sezione del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia Monteleone); del sindaco di Palermo (Orlando) e, infine, di alcuni componenti delle Commissioni paritetiche (La Spina, Nicotra, Verde, Ruggiu, Louvin, Strizzolo, cui si aggiunge il contributo scritto di Platzer, impossibilitata a partecipare ai lavori della Commissione).
  La Commissione si è inoltre avvalsa della consulenza del professor Giacomo D'Amico e del dottor Antonino Iacoviello.

Pag. 234

2.1. I quesiti attinenti alle questioni generali in materia di norme di attuazione statutaria.

2.1.1. I quesiti concernenti i profili di diritto costituzionale.

  Quali sono, a suo avviso, le ragioni principali della ritardata o, in molti casi, mancata attuazione delle norme degli statuti speciali ? La mancata attuazione degli statuti speciali può essere imputata alla difficoltà di individuare strumenti attuativi di previsioni statutarie ormai datate ? In che misura può avere influito sulla mancata attuazione la vaghezza di alcune disposizioni degli statuti speciali ? Vi sono, a suo avviso, ragioni politiche della ritardata o mancata attuazione ?
  Lo strumento del decreto legislativo, previsto negli statuti speciali, previa elaborazione/approvazione da parte di una Commissione paritetica Stato-Regione, continua ad essere, a suo avviso, la modalità migliore per assicurare la concreta attuazione delle disposizioni statutarie ?
  Quali indicazioni è possibile desumere dalla giurisprudenza, specie da quella amministrativa e costituzionale, in merito al carattere vincolante delle norme di attuazione degli statuti speciali e alla loro sindacabilità ?
  Il rango di legge costituzionale degli statuti speciali e la natura di fonte c.d. interposta delle norme di attuazione possono, paradossalmente, aver reso più difficili i meccanismi attuativi delle disposizioni statutarie ? In sostanza, la particolare forza dei decreti attuativi può aver contribuito a rallentarne o a impedirne l'emanazione da parte del Governo, per timore di introdurre un vincolo stringente al legislatore statale ?
  In che misura la mancata attuazione delle previsioni degli statuti speciali è stata determinata dal concreto funzionamento delle Commissioni paritetiche ? In particolare, quanto hanno influito i ritardi nella periodica ridefinizione della loro composizione ? E quanto è imputabile al procedimento di formazione dei decreti di attuazione ? A questo proposito ritiene utile una codificazione della procedura di adozione delle norme attuative degli statuti, fin qui rimessa in larga parte alla prassi ?
  La mancata attuazione delle disposizioni degli statuti speciali può essere ritenuta una delle cause principali del contenzioso Stato-Regioni speciali ? In particolare, la mancata attuazione delle previsioni statutarie che regolano i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali è, a suo avviso, all'origine dell'incremento della conflittualità tra questi enti, registratosi negli ultimi anni ?
  L'articolo 39 del disegno di legge cost. AC 2613-A reca al comma 11 la previsione secondo cui le disposizioni contenute nella legge costituzionale de qua non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino all'adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. Si stabilisce inoltre che «Sino alla revisione dei predetti statuti speciali, resta altresì ferma la disciplina vigente prevista dai suddetti statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione».Pag. 235
  A suo avviso, queste disposizioni, inserite in un quadro di sostanziale ridimensionamento delle competenze delle Regioni a statuto ordinario, potranno contribuire ad una complessiva rivalutazione della specialità regionale e dei decreti di attuazione degli statuti speciali ?

3. Sintesi delle audizioni e proposte attinenti i profili di diritto costituzionale.

3.1. Il mantenimento della specialità regionale come presupposto dell'indagine conoscitiva e la sua messa in discussione.

  La presente indagine conoscitiva presuppone il mantenimento di un sistema di decentramento istituzionale fondato sulla presenza di un regionalismo differenziato, che vede, accanto alle Regioni c.d. ordinarie, cinque Regioni a statuto speciale. D'altra parte, anche il testo di riforma costituzionale, attualmente all'esame del Parlamento, mantiene lo status quo.
  Questo presupposto, che dovrebbe essere oggetto di uno specifico approfondimento, non è stato condiviso da tutti i soggetti auditi; in particolare, merita di essere segnalata la posizione del professor Caravita, il quale, in premessa, ha rilevato come le esigenze che hanno portato all'istituzione delle Regioni speciali siano in larga misura superate. In particolare, sarebbero venute meno le ragioni che hanno portato al riconoscimento dell'autonomia speciale del Friuli Venezia Giulia, della Valle d'Aosta, della Sicilia e della Sardegna, le cui esigenze potrebbero essere affrontate attraverso strumenti diversi. Quanto al Trentino-Alto Adige, Caravita ha precisato come sia giunto il tempo di una nuova riflessione sulla permanenza della peculiare collocazione della Provincia di Bolzano. Ha inoltre richiamato il dibattito in corso sulla riorganizzazione territoriale delle Regioni, il quale si è peraltro arenato, oltre che per ragioni politiche, proprio sulla questione delle autonomie speciali.
  La considerazione preliminare svolta dal professor Caravita è stata ripresa dal professor Palermo, secondo cui la dottrina giuridica italiana cade in un equivoco quando affronta il tema del superamento della specialità. Se è vero, infatti, che la specialità non può non essere messa in discussione, anche in considerazione del fatto che gli statuti speciali non sono stati aggiornati dopo la riforma del Titolo V del 2001, è altrettanto vero che occorre capire quale deve essere l'alternativa alla specialità. Secondo Palermo, la soluzione alternativa non può essere quella di mantenere il regime speciale solo per alcune Regioni (ad es. Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta) perché, così facendo, si aumenterebbe ulteriormente il fossato che già esiste fra queste Regioni e le altre. Al contempo, la soluzione non può essere neanche quella di un accentramento dei poteri di governo. Pertanto, Palermo ritiene decisivo interrogarsi sull'alternativa alla specialità e tentare di dare delle risposte anche diversificate a seconda delle Regioni.
  Il Presidente Bianco ha dichiarato di ritenere eccessivamente elevato il numero delle Regioni, anche a statuto ordinario; a suo Pag. 236avviso, più alto è il numero delle Regioni, più si accentua la tendenza a occuparsi di fatti gestionali e amministrativi, anziché di politiche di indirizzo, di coordinamento e di pianificazione generale. Tra l'altro, per Bianco le ragioni storiche, che portarono alla previsione delle Regioni speciali, oggi si sono enormemente attenuate.
  Sulle ragioni della specialità regionale è, poi, ritornato anche il Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, che ha ricordato le tappe salienti della storia delle cinque autonomie speciali e ha evidenziato come la Corte costituzionale abbia individuato il significato profondo della specialità nella cooperazione paritetica tra la Regione e lo Stato, in altre parole, nel rispetto del principio pattizio.
  Per il consigliere Chieppa le autonomie speciali non furono il frutto di un accordo concluso per mere ragioni di opportunità politica, ma trovano una ragione nell'assetto e nelle caratteristiche di ciascun territorio e di ciascuna popolazione.

3.2. Le cause della ritardata o della mancata attuazione delle norme degli statuti speciali (risposte al quesito 1).

Quesito 1: Quali sono, a suo avviso, le ragioni principali della ritardata o, in molti casi, mancata attuazione delle norme degli statuti speciali ? La mancata attuazione degli statuti speciali può essere imputata alla difficoltà di individuare strumenti attuativi di previsioni statutarie ormai datate ? In che misura può avere influito sulla mancata attuazione la vaghezza di alcune disposizioni degli statuti speciali ? Vi sono, a suo avviso, ragioni politiche della ritardata o mancata attuazione ?

  Le ragioni della mancata o ritardata attuazione delle norme statutarie sono individuate dal professor D'Amico in una pluralità di fattori, sicuramente in ragioni politiche, ma anche nella genericità di alcune formule statutarie che rende difficoltosa già la sola determinazione delle modalità di attuazione. D'altra parte, già all'indomani dell'approvazione della Costituzione Gaetano Salvemini definì le disposizioni costituzionali sulle Regioni come un vaso vuoto con sopra la targhetta «Regioni». Parimenti rilevanti sono le ragioni economiche che, in una fase come quella attuale, spesso hanno avuto la meglio sul rispetto delle norme statutarie, specialmente di quelle che regolano i rapporti finanziari tra Stato e Regione. In generale, ad avviso di D'Amico, occorrerebbe ripensare il concetto di attuazione degli statuti speciali, in modo tale da ricomprendervi non solo l'esecuzione ma anche l'integrazione degli stessi.
  Il professor Vitale ha rilevato, nel suo intervento, il dislivello esistente tra specialità e specialità, cioè tra Regioni che hanno sfruttato bene le norme di attuazione e Regioni che invece non sono riuscite a fare ciò. A suo dire, questo dislivello è imputabile soprattutto a scelte politiche; a quanto detto si aggiunga la tradizionale difficoltà a trovare spazi al regionalismo.
  Secondo il professor Caravita le difficoltà nell'attuazione degli statuti speciali nascono da una discrasia tra la situazione politica ed economica di fatto e gli strumenti per affrontarla. In particolare, a fronte della possibilità di disporre di strumenti molto forti (ad es. Pag. 237statuti speciali approvati con legge costituzionale, decostituzionalizzazione delle norme finanziarie, norme di attuazione predisposte da Commissioni paritetiche, decreti legislativi operanti come fonti interposte nel giudizio di legittimità costituzionale) vi sono ragioni politiche che impediscono la piena attuazione delle norme statutarie.
  Anche il professor Palermo ritiene che le cause della ritardata o mandata attuazione non siano giuridiche ma prevalentemente politiche. D'altra parte, ha aggiunto Palermo, non è nemmeno vero che gli statuti speciali siano «poco attuati»; in proposito, ha richiamato i dati degli ultimi anni, sottolineando la profonda differenza fra il numero di norme di attuazione approvate per il Trentino rispetto a quello delle norme di attuazione per la Sicilia o per la Sardegna. Per Palermo, quindi, il problema non è la macchina ma la benzina, cioè la politica, e la responsabilità di mettere o no la benzina è sia dello Stato sia delle Regioni. Sicché mentre alcune Regioni hanno privilegiato il canale della normativa di attuazione, altre hanno privilegiato canali politici, che si sono rivelati molto meno efficaci in termini di sviluppo della specialità (es. la Sicilia).
  Il Prof. Tria si è collocato sulla medesima linea di pensiero, rilevando analiticamente il diverso livello di attuazione degli Statuti della Regione Sicilia e della Provincia Autonoma di Trento; ed evidenziando un possibile collegamento tra il funzionamento meno efficace dello strumento paritetico siciliano, e l'entità delle entrate finanziarie pro – capite della regione, significativamente inferiori a quelle delle Autonomie Speciali settentrionali (tanto da far emergere, peraltro, il dubbio sulla sussistenza di interessi reali rispetto al processo di affrancamento dai trasferimenti statali).
  Il professor Mangiameli, dopo aver sinteticamente ricostruito la genesi delle disposizioni degli statuti della Sicilia, del Friuli-Venezia Giulia e del Trentino-Alto Adige in tema di norme di attuazione, ha precisato che la mancata o ritardata attuazione non è dipesa dalla vaghezza delle previsioni statutarie. D'altra parte, in tutti gli ordinamenti che conoscono un sistema enumerativo delle competenze, la dottrina e la giurisprudenza costituzionale hanno costruito degli schemi per poter interpretare adeguatamente tutte le enumerazioni. Ciò è avvenuto anche nel nostro ordinamento, in cui la Corte costituzionale, attraverso strumenti ermeneutici, opzioni di carattere metodologico e momenti di precomprensione giuridica, ha chiarito e risolto i problemi che potevano nascere dall'elencazione di materie.
  Per le Regioni speciali non c'era, quindi, motivo perché il contenuto del potere legislativo su una determinata materia dovesse essere determinato da una norma di attuazione. Ciò ha determinato un'inversione logica nel sistema delle fonti, nel senso che la Costituzione e le leggi costituzionali (come gli statuti speciali) sono state interpretate non per quello che dicono, ma per il contenuto delle leggi che vi hanno dato attuazione. Quanto appena detto è stato possibile, secondo Mangiameli, anche in virtù di un'infelice posizione di parte della dottrina (spec. Paladin) che ha considerato l'articolo 117 Cost. una pagina bianca.
  Ad avviso di Mangiameli, questa lettura dei rapporti tra legge costituzionale e norme di attuazione ha fatto sì che, mentre le Regioni ordinarie, dopo le iniziali difficoltà organizzative, sono andate avanti Pag. 238speditamente sull'assetto dei poteri, facendo sinergia fra loro nei confronti dello Stato, le Regioni speciali hanno continuato a camminare a ranghi separati, rincorrendo la possibilità di ottenere competenze attraverso il meccanismo dei decreti di attuazione. Ciò ha portato nel 2001 alla scrittura dell'articolo 10 della legge costituzionale n. 3, che – prevedendo l'applicazione alle Regioni speciali delle norme del nuovo Titolo V solo per le parti che prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite dagli statuti – ha creato per le Regioni speciali un sistema a doppia enumerazione (quella degli statuti e quella dell'articolo 117 Cost.).
  Secondo Mangiameli, quindi, le Regioni speciali dopo il 2001 si sono trovate, dal punto di vista costituzionale, di nuovo un passo avanti rispetto all'intero sistema. Il meccanismo delle Commissioni paritetiche e delle norme di attuazione ha, però, impedito a queste Regioni di utilizzare al massimo tale sistema costituzionale.
  Il professor Bin, in apertura del suo intervento, ha dichiarato di considerare sbagliato discutere di Regioni speciali come se fosse una categoria omogenea, trattandosi piuttosto di Regioni che hanno problemi, capacità amministrativa, presenza politica e storie molto diverse, con la conseguenza di ritenere arbitrario il tentativo di fare un bilancio complessivo. La lentezza dell'attuazione degli statuti – che Bin, peraltro, considera tutta da verificare – è dipesa non dal cattivo funzionamento delle Commissioni paritetiche, ma dalla fortissima resistenza delle burocrazie centrali. In sostanza – ha osservato Bin – le Commissioni paritetiche funzionano avendo come interlocutore né il Governo né il Parlamento, bensì le burocrazie che spesso non rispondono o, se lo fanno, rispondono in ritardo.
  Ad avviso di Bin, quindi, non rileva il fatto che alcune previsioni statutarie siano o no datate, innanzitutto perché si tratta di una definizione relativa (si pensi alla Costituzione americana) e poi perché l'aspetto positivo delle norme di attuazione e delle Commissioni paritetiche è proprio quello di consentire di dare un'attuazione progressiva alle disposizioni statutarie mutando i contenuti dell'etichetta.
  Secondo Bin non rileva neanche la vaghezza delle norme, sia perché tutte le norme, specie quelle costituzionali, sono vaghe, sia perché il problema è semmai quello di avere gli strumenti per adeguare l'applicazione della Costituzione ai fenomeni nuovi.
  In merito alle cause della mancata o ritardata attuazione degli statuti, il professor Falcon ha ritenuto di dover dare un'unica risposta a questo quesito e a quello relativo al concreto funzionamento delle Commissioni paritetiche. A suo avviso la mole enorme di norme di attuazione per il Trentino-Alto Adige dimostra che quando si vuole si fanno.
  Per il consigliere Chieppa le ragioni della mancata o ritardata attuazione delle disposizioni statutarie siano molteplici e possano variare da Regione a Regione. Si pensi, ad es., alle situazioni di stallo all'interno delle Commissioni paritetiche; ai ritardi nel rinnovo della composizione della Commissione; ai cambi di legislatura e di Governo; all'inerzia del Governo dopo l'elaborazione degli schemi di decreto da parte delle Commissioni; alla scarsa inventiva nel cercare di sfruttare l'autonomia speciale.

Pag. 239

3.3. L'attualità dello strumento del decreto legislativo di attuazione statutaria, previa elaborazione/approvazione da parte di una Commissione paritetica Stato-Regione (risposte al quesito 2).

Quesito 2: Lo strumento del decreto legislativo, previsto negli statuti speciali, previa elaborazione/approvazione da parte di una Commissione paritetica Stato-Regione, continua ad essere, a suo avviso, la modalità migliore per assicurare la concreta attuazione delle disposizioni statutarie ?

  Per il professor D'Atena lo strumento dei decreti legislativi di attuazione degli statuti speciali mantiene una sua giustificazione fino a quando dureranno le autonomie speciali. È uno strumento di cooperazione bilaterale che corrisponde alla ratio costitutiva delle Regioni speciali. D'altra parte, è anche lo strumento più coerente con la riforma costituzionale in corso di approvazione, la quale, com’è noto, prevede che le modifiche agli statuti speciali vengano apportate d'intesa; quindi, per D'Atena è senz'altro da condividere che ci sia un momento cooperativo anche per quanto concerne l'attuazione degli statuti.
  Anche per il professor D'Amico i decreti legislativi di attuazione costituiscono oggi, a normativa costituzionale e ordinaria vigente, l'unico strumento per dare attuazione agli statuti speciali. D'altra parte, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 76 del 1963, ha sostenuto la necessità delle norme di attuazione anche per quelle Regioni, come la Valle d'Aosta, il cui statuto non le prevedeva.
  Secondo il professor Caravita, che ha richiamato l'esperienza del d.P.R. n. 616 del 1977 e delle leggi Bassanini, lo strumento «Commissione paritetica-decreto legislativo per le norme di attuazione» è, sotto il profilo teorico, una soluzione tecnicamente ineccepibile perché è lo strumento più rapido per l'attuazione delle norme statutarie.
  Ad avviso del professor Palermo il decreto legislativo di attuazione, più che essere lo strumento migliore, è l'unico strumento a disposizione, con la conseguenza che non c’è altra possibilità se non quella di mantenere in vita le Commissioni paritetiche per poter modificare la normativa di attuazione. D'altra parte, è impossibile pensare di far confluire tutto il contenuto delle norme di attuazione (peraltro assai dettagliato) negli statuti speciali.
  Il professor Palermo ha poi sottolineato come questo meccanismo sia l'espressione del principio pattizio che, secondo la giurisprudenza costituzionale, è l'elemento distintivo delle Regioni speciali rispetto a quelle ordinarie. Secondo Palermo, si possono immaginare altri strumenti per realizzare questo principio (ad es. una legge ordinaria paritetica) ma anche queste soluzioni non risolverebbero il problema delle modalità con cui modificare le norme di attuazione esistenti.
  Secondo il professor Mangiameli non c’è più bisogno delle Commissioni paritetiche e dei decreti di attuazione. Questa tesi, che discende dalla ricostruzione delle ragioni della mancata attuazione statutaria di cui si è dato conto in precedenza, muove dall'assunto che le Regioni sono ormai una realtà consolidata, hanno apparti amministrativi consistenti e sono in grado di decidere l'allocazione delle Pag. 240loro risorse. Quindi, il meccanismo del passaggio delle competenze in questi termini non è più accettabile. In definitiva, anche alla luce di quanto previsto dal testo di riforma costituzionale, per Mangiameli l'esperienza delle Commissioni paritetiche può ritenersi ampiamente esaurita; di conseguenza, occorre trovare nuovi strumenti per avviare la nuova fase del regionalismo speciale.
  Per il professor Bin l'esperienza delle norme di attuazione e delle Commissioni paritetiche è molto interessante e istruttiva. A suo avviso la forma del decreto legislativo è sicuramente adeguata perché consente di realizzare la concertazione tra Stato e Regioni speciali.
  Secondo il professor Falcon, il quale considera lo strumento del decreto legislativo la modalità migliore per l'attuazione degli statuti, è essenziale che quest'ultima avvenga ad opera di un atto normativo e che quindi le norme di attuazione non possano essere semplicemente sostituite da accordi che hanno valore solo per le parti. È importante, infatti, che si tratti di un atto che ha un posto riconoscibile tra le fonti, inevitabilmente intermedio tra livello costituzionale e livello legislativo ordinario, in modo che Costituzione e statuto costituiscano un vincolo per le norme di attuazione e il livello legislativo ordinario sia vincolato da esse. Al riguardo, occorre sottolineare che le norme in parola non solo attuano, ma anche integrano lo statuto, come la Corte costituzionale ha riconosciuto.
  Falcon è consapevole che il Parlamento resta fuori dal circuito di produzione di queste norme; per questa ragione ha sostenuto che si potrebbe pensare a un coinvolgimento della nuova struttura delle assemblee parlamentari, come ad esempio ad un potere di richiamo. Vi è però la preoccupazione che venga eccessivamente complicata una procedura che, essendo sostanzialmente negoziata, deve restare flessibile e quindi rimessa alla contrattazione politica.
  A parere della professoressa Lapecorella le Commissioni paritetiche si presentano come una sede privilegiata nella quale avviene un laborioso confronto tra i rappresentanti dello Stato e quelli delle singole Regioni ad autonomia differenziata per specifici temi, attorno ai quali ruotano interessi contrapposti che trovano adeguata composizione nelle norme di attuazione statutaria finalizzate a rendere operative quelle disposizioni statutarie che non sono direttamente applicabili. Quello che manca, secondo Lapecorella, è però la previsione di un modello unitario del ruolo che le Commissioni paritetiche sono chiamate a svolgere, che sarebbe auspicabile adottare al fine di coordinare le diverse formule statutarie, le quali descrivono l'intervento delle Commissioni paritetiche in termini di «determinazione» o di «proposta» o di «parere». In realtà, la stessa Lapecorella ha notato che, nonostante l'eterogeneità delle formulazioni statutarie, si è avuta una sostanziale omologazione del ruolo delle Commissioni, avallata anche dalla Corte costituzionale, che non ha inteso valorizzare le differenze nella definizione del ruolo previsto dai diversi statuti.
  Secondo il consigliere Chieppa sono uno strumento ancora valido, che può essere perfezionato, ma sicuramente una regolazione condivisa ha maggiore possibilità di essere ben attuata e di prevenire i conflitti.
  Per l'on. Bressa ha ancora senso parlare di norme di attuazione, perché il sistema pattizio, che è alla base di queste, è il contenuto Pag. 241stesso dell'autonomia speciale, così come costantemente ribadito dalla giurisprudenza costituzionale (per tutte, sentenza n. 213 del 1998). Questa considerazione ha due evidenti conseguenze: il binomio supremazia/collaborazione non può essere declinato in chiave centralistica ma deve trovare una composizione paritetica, perché questa è la sostanza della specialità; la questione non si riduce ai soli profili giuridici ma ha evidenti implicazioni di tipo politico.
  Al riguardo l'on. Bressa ha citato come esempio le modifiche concordate dello statuto del Trentino-Alto Adige. L'aver riconosciuto che le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono direttamente a pagare gli oneri per gli interessi della propria parte del debito pubblico costituisce, a suo dire, un esempio di come, a fronte di un contributo speciale, ci sia una responsabilità speciale. Al contempo, l'individuazione del sistema territoriale integrato, cioè dell'insieme di Regioni, Province, enti locali, amministrazioni socio-sanitarie e università, come soggetto che concorre al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica ha responsabilizzato, al massimo livello, il ruolo istituzionale e politico delle Province autonome sia verso lo Stato, sia rispetto ai propri Comuni ed enti di amministrazione.
  In definitiva, secondo l'on. Bressa, dove le esigenze particolari delle collettività territoriali sono più forti e più sentite, gli strumenti sono utilizzati meglio e le soluzioni adottate sono differenziate; al contrario, dove è più difficile individuare queste esigenze, vi sono spazi di erosione delle competenze, pure in astratto più forti e garantite di quelle delle Regioni ordinarie.
  Dunque, per l'on. Bressa non sono solo gli statuti a generare la specialità, ma è piuttosto la specialità sentita e declinata in un disegno di autonomia a determinare gli spazi di vera differenziazione e di vera efficienza delle Regioni speciali.
  L'on. Bressa ha, da ultimo, sottolineato il ruolo delle norme di attuazione rispetto alla definizione del contenuto della materia. Infatti, per quanto accurata e dettagliata possa essere la scrittura delle materie, non è questo il modo in cui si possono chiarire i tanti problemi applicativi. Da questo punto di vista, le Regioni speciali hanno uno strumento per negoziare il contenuto delle materie – le norme di attuazione, appunto – creando un legame tra le materie e le loro articolazioni, provando a predeterminare i contenuti delle materie in modo da assicurare un minimo di certezza per il regionalismo speciale.

3.4. La natura e il carattere vincolante delle norme di attuazione statutaria (risposte al quesito 3).

Quesito 3: Quali indicazioni è possibile desumere dalla giurisprudenza, specie da quella amministrativa e costituzionale, in merito al carattere vincolante delle norme di attuazione degli statuti speciali e alla loro sindacabilità ?

  Secondo il professor D'Atena non è condivisibile l'orientamento ormai invalso nella giurisprudenza costituzionale, secondo cui le norme di attuazione sarebbero fonti interposte tra Costituzione e legge e quindi sovraordinate a quest'ultima. Operando solo il criterio Pag. 242gerarchico – ha osservato D'Atena – se intervenisse una legge ordinaria di attuazione statutaria senza che vi fosse una norma di attuazione, questa legge sarebbe perfettamente ammissibile. Diventerebbe incostituzionale solo se vi fosse una norma di attuazione precedente con la quale contrastasse.
  Per D'Atena il rapporto tra legge ordinaria e norme di attuazione va costruito non in termini di gerarchia ma di ripartizione delle competenze, con la conseguenza che le norme di attuazione opererebbe in un ambito a loro riservato e quindi sarebbe del tutto preclusa la possibilità di una legge ordinaria di attuazione statutaria.
  In merito alla posizione dei decreti di attuazione nel sistema delle fonti, D'Amico ha ricordato come si tratti di una questione assai discussa dalla dottrina costituzionalistica (fra tutti, Crisafulli). Oggi la giurisprudenza della Corte costituzionale, dopo qualche oscillazione, si è attestata nel qualificare queste norme come integrative del parametro statutario. Per D'Amico, il riconoscimento della loro natura di fonte interposta tra la Costituzione e lo statuto, da un lato, e la legge regionale o quella statale, dall'altro, finisce per esaltarne le potenzialità.
  Il professor Vitale, riallacciandosi alla tesi del professor D'Atena, ha manifestato la sua preferenza per l'impostazione che costruisce il rapporto tra norme di attuazione e legge ordinaria non in termini di gerarchia ma di separazione delle competenze.
  Ad avviso del professor Caravita la giurisprudenza della Corte costituzionale sul carattere vincolante delle norme di attuazione si muove nella direzione di una forte autolimitazione della Corte stessa, non essendosi mai esplicitamente pronunciata sulla sindacabilità delle norme di attuazione. Di sicuro, per Caravita si tratta di norme di rango superiore, in quanto le stesse fungono da parametro nei giudizi di costituzionalità sulle norme statali e regionali.
  Anche il professor Palermo ha richiamato la giurisprudenza costituzionale secondo cui le norme di attuazione costituirebbero una fonte atipica, rafforzata e interposta tra la legge costituzionale e la legge ordinaria. Palermo ha ricordato come la Corte costituzionale non abbia mai dichiarato l'illegittimità di queste norme, sebbene ciò sia teoricamente possibile. È stato richiamato in proposito quanto affermato nella sentenza n. 213 del 1998, secondo cui tali norme rappresentano «tra le realizzazioni astrattamente possibili dell'autonomia regionale speciale, quelle storicamente vigenti», finendo con il porre «un limite [...] superato il quale si determinerebbero conseguenze non controllabili relativamente a quell'equilibrio complessivo dell'ordinamento cui le norme di attuazione sono preordinate».
  Il professor Bin ha ricordato come la Corte costituzionale abbia riconosciuto ai decreti di attuazione una posizione superiore alla legge ordinaria. Si tratta di un risultato importante perché consente di dare un senso alle etichette costituzionali che altrimenti resterebbero una pagina vuota (secondo la nota definizione di Paladin). Secondo Bin, c’è piuttosto una debolezza storica del criterio di delimitazione delle competenze fondato sulle materie. La regolamentazione dei rapporti tra Stato e Regioni tramite gli elenchi di materie può essere una strumentazione utile solo a condizione che poi si provveda ad un'attuazione mediante atti legislativi di tipo diverso.Pag. 243
  Per il professor Falcon non vi è alcun dubbio sul carattere vincolante delle norme di attuazione, come pure sulla loro sindacabilità da parte della Corte costituzionale. Al riguardo, sono state citate due sentenze della Corte costituzionale: la n. 353 del 2001 con la quale è stata dichiarata l'incostituzionalità di una norma di attuazione per il Trentino-Alto Adige in materia di piano di bacino, perché non era stato previsto un meccanismo che consentisse di coinvolgere la Regione Veneto, la quale riceve i fiumi del Trentino; e la n. 227 del 2003 nella quale la Corte ha affermato che le norme di attuazione devono essere interpretate alla luce dello statuto.
  La professoressa Lapecorella ha evidenziato come si registrino in dottrina e in giurisprudenza interpretazioni non univoche sulla posizione che i decreti legislativi di attuazione occupano all'interno del sistema delle fonti. A fronte di chi privilegia la loro natura atipica, trattandosi di una fonte di rango primario ma dotata di una sfera di competenza riservata e separata rispetto alle altre, vi è chi ritiene che esse abbiano un rango intermedio tra la legge ordinaria e la Costituzione.
  In ogni caso, aggiunge Lapecorella, il valore giuridico delle norme di attuazione non le sottrae al controllo di legittimità costituzionale, quando contraddicano il loro compito di armonizzare, nell'unità dell'ordinamento giuridico, i contenuti e i particolari obiettivi dell'autonomia speciale. Pertanto, esse, oltre a non essere in contrasto con la Costituzione, non devono essere contra statutum. Possono, invero, avere un contenuto praeter legem, nel senso di integrare le norme statutarie anche aggiungendo qualcosa che queste ultime non contenevano.
  Il consigliere Chieppa ha ricordato il contrasto che per qualche anno ci fu in dottrina e in giurisprudenza sul valore da attribuire alle norme di attuazione. Oggi questo contrasto è stato risolto nel senso che le norme attuative si pongono in un livello intermedio tra Costituzione e legge ordinaria, e proprio questa sovra ordinazione rispetto alla legge ordinaria costituisce lo strumento che consente di dare piena attuazione agli statuti speciali. Questo comporta, tra l'altro, che le norme di attuazione possono essere oggetto di sindacato di costituzionalità.

3.5. La particolare forza dei decreti legislativi di attuazione come causa del rallentamento nell'attuazione delle disposizioni statutarie (risposte al quesito 4).

Quesito 4: Il rango di legge costituzionale degli statuti speciali e la natura di fonte c.d. interposta delle norme di attuazione possono, paradossalmente, aver reso più difficili i meccanismi attuativi delle disposizioni statutarie ? In sostanza, la particolare forza dei decreti attuativi può aver contribuito a rallentarne o a impedirne l'emanazione da parte del Governo, per timore di introdurre un vincolo stringente al legislatore statale ?

  Per il professor D'Atena è chiaro che procedimenti nei quali si inserisce un elemento non convenzionale, ma comunque cooperativo, sono procedimenti più lenti di procedimenti unilaterali. Tuttavia, questo è un prezzo che si paga alla cooperazione e, quindi, secondo D'Atena, ne vale la pena.Pag. 244
  Il professor Caravita individua principalmente in ragioni politiche le difficoltà nell'attuazione degli statuti speciali; infatti, se anche si può ragionare sull'efficacia di qualche strumento tecnico, le ragioni della difficoltà sono di tipo politico.
  Secondo il professor Palermo, potrebbe esserci il rischio che il Governo, per il timore di vincolarsi troppo, adotti poche norme di attuazione. Ciò è dovuto, a suo dire, al fatto che l'autonomia speciale continua ad essere vista come un'eccezione, da contenere il più possibile, con la conseguenza che le Regioni che perorano la propria causa con più veemenza riescono ad ottenere un maggior numero di norme di attuazione.
  Ad avviso del professor Bin il rango di legge costituzionale degli statuti e la natura di fonte interposta delle norme di attuazione hanno sicuramente reso più difficile l'attuazione; infatti, trattandosi di norme specifiche, superiori alla legge, esse incontrano il massimo della resistenza da parte della burocrazia. A questo proposito, Bin ha citato il caso del decreto legislativo n. 266 del 1992, recante norme di attuazione per il Trentino-Alto Adige, in cui si prevede che le leggi statali non si applicano per sei mesi nella Regione, che ha invece (insieme alle Province autonome) l'obbligo di adeguare la propria normativa entro il lasso di tempo indicato. Trascorsi i sei mesi, lo Stato ha novanta giorni per impugnare davanti alla Corte costituzionale. Questo è un sistema assolutamente intelligente e odiato dalla burocrazia ministeriale – ha osservato Bin – perché obbliga i funzionari ministeriali ad effettuare un controllo sulla legislazione vigente e a individuare i casi di mancato adeguamento, piuttosto che limitarsi a rilevare le disposizioni regionali o Provinciali in contrasto con la legge statale.
  Il professor Falcon, in apertura del suo intervento, ha ripreso l'ultima considerazione svolta dal professor Bin a proposito del decreto legislativo n. 266 del 1992, sottolineando come lo Stato non impugni mai le leggi del Trentino-Alto Adige e delle due Province autonome per mancato adeguamento. Ciò è dovuto al fatto che, mentre è facile esaminare le singole leggi regionali al fine della loro impugnativa, è assai più complesso individuare le leggi statali che richiedono un adeguamento e verificare se le leggi regionali e Provinciali si sono adeguate.
  Falcon ha poi escluso l'esistenza di un nesso tra la particolare forza dei decreti di attuazione e il ritardo nell'attuazione degli statuti; a suo dire, la resistenza all'attuazione dipende dal contenuto delle norme, non dalla loro forza.

3.6. La composizione e il funzionamento delle Commissioni paritetiche (risposte alla prima parte del quesito 5).

Prima parte del quesito 5: In che misura la mancata attuazione delle previsioni degli statuti speciali è stata determinata dal concreto funzionamento delle Commissioni paritetiche ? In particolare, quanto hanno influito i ritardi nella periodica ridefinizione della loro composizione ?

Non vi è dubbio, a parere del professor D'Amico, che un ritardo nel rinnovo delle Commissioni paritetiche rallenti il lavoro delle stesse. Pag. 245Questo è dovuto anche al fatto che non è prevista una sorta di prorogatio dei componenti delle Commissioni paritetiche, i quali, com’è noto, sono rinnovati ad ogni cambio di esecutivo, sia statale sia regionale.
  Anche per i professori Caravita e Vitale è evidente che i ritardi nella composizione delle Commissioni paritetiche abbiano influito sulla mancata o ritardata attuazione degli statuti speciali.
  Il professor Palermo, dopo aver precisato che i ritardi nella composizione delle Commissioni sono di natura prevalentemente politica, ha sottolineato come un certo rallentamento sia inevitabile per il fatto che le Commissioni paritetiche sono organi consultivi del Governo, quindi cambiano o comunque devono essere rinnovate a ogni cambio di Governo.
  Per il professor Palermo è poi rilevante la provenienza dei componenti della Commissione, nelle quali c’è stata storicamente una prevalenza di accademici, i quali sono meno votati al compromesso rispetto ai politici. Palermo ha richiamato in proposito quanto avvenuto nella Commissione paritetica che meglio ha funzionato negli ultimi anni, cioè quella per il Trentino-Alto Adige; questa Commissione è stata sempre, prevalentemente o esclusivamente, composta da politici.
  In conclusione del suo intervento il professor Palermo è ritornato sul tema del funzionamento delle Commissioni paritetiche suggerendo che i Consigli regionali, nei loro regolamenti, prevedano l'audizione periodica dei membri delle Commissioni di nomina regionale. Si tratterebbe di un momento di pubblicità dei lavori e anche di controllo politico da parte dei Consigli regionali che accrescerebbe la legittimazione democratica dei membri delle Commissioni.
  Per il professor Bin le Commissioni paritetiche operano come organi di consulenza, le cui proposte non vengono contrattate con il Governo o con i suoi rappresentanti ma con la burocrazia. A suo avviso ciò è molto lontano dall'idea originaria per cui nella Commissione paritetica avrebbero dovuto esserci i campioni della Regione e dello Stato che svolgono il loro duello. Quanto alle cause del ritardo nell'attuazione statutaria, a parere di Bin molto dipende dall'impulso dato dalla Regione. Negli ultimi tempi le Regioni speciali, spinte dall'urgenza della crisi finanziaria, hanno cercato un colloquio con lo Stato e lo hanno ottenuto; da lì sono venute fuori agende politiche condivise, che hanno dato e danno alla Regione la forza di proporre iniziative, rispetto alle quali la Commissione paritetica svolge un ruolo di consulente. Resta il fatto, però, che nella fase della contrattazione di queste proposte non vi è un interlocutore politico governativo.
  Secondo il professor Falcon, che ha dato un'unica risposta a questo quesito e a quello relativo alle cause della mancata o ritardata attuazione degli statuti, è evidente che il ritardo nella composizione della Commissioni paritetica si traduce in un problema per i suoi lavori; ciò nondimeno, non sembra che la mancata attuazione delle disposizioni statutarie sia una delle cause principali del contenzioso.
  La professoressa Lapecorella ha sottolineato l'esistenza di alcune criticità procedurali nel funzionamento delle Commissioni, ponendo l'accento sul silenzio delle norme statutarie su questo tema.Pag. 246
  Anche il consigliere Chieppa ha proposto l'introduzione di meccanismi che evitino situazioni di stallo, soprattutto quando il cambio di legislatura statale si differenzia, come sempre avviene, da quello regionale o delle Province autonome.

3.7. Il procedimento di formazione dei decreti legislativi di attuazione statutaria (risposte alla seconda parte del quesito 5).

Seconda parte del quesito 5: E quanto è imputabile al procedimento di formazione dei decreti di attuazione ? A questo proposito ritiene utile una codificazione della procedura di adozione delle norme attuative degli statuti, fin qui rimessa in larga parte alla prassi ?

  Il professor D'Atena ha sottolineato come la funzione svolta dalle Commissioni paritetiche sia fondamentalmente consultiva, nonostante le diverse formulazioni statutarie, alcune delle quali (es. quella dello statuto siciliano) sembrerebbero riservare alla Commissione paritetica il compito di determinare le norme attuative. Quello che il Governo non può fare è solo procedere in senso completamente diverso da quanto emerso dal lavoro della Commissione paritetica. Ma che succede in caso di modifiche anche significative al testo elaborato dalla Commissione ? Si dovrebbe ritenere che ci sia un onere di sottoposizione alla Commissione paritetica.
  Su questo punto D'Atena ritiene utile un intervento normativo che regoli gli aspetti anzidetti, fin qui rimessi alla prassi; in particolare, si reputa necessaria una disciplina che regoli l'ipotesi degli scostamenti fra quanto elaborato dalla Commissione e quanto deciso dal Governo. Nel caso di scostamenti, D'Atena ha suggerito di prevedere, più che un onere di motivazione, una sorta di ulteriore appello alla Commissione paritetica.
  Quanto alla fonte competente a disciplinare questi aspetti, per D'Atena deve essere esclusa la legge dello Stato; parimenti deve escludersi che la procedura di formazione delle norme di attuazione «nuovo stile» possa essere disciplinata da una norma di attuazione «vecchio stile». A fronte del rischio di una eccessiva differenziazione delle normative da Regione a Regione, D'Atena ha suggerito di ridurre questo rischio mediante un coordinamento statale, non delle Commissioni in quanto tali, ma dei membri di nomina statale delle stesse.
  Anche il professor D'Amico ha posto l'accento sull'inesistenza di un obbligo per il Governo di prendere in esame il testo elaborato dalle Commissioni paritetiche. In particolare, a suo dire, i lavori delle Commissioni quando giungono a conclusione si arrestano in sede di c.d. pre-Consiglio, con la conseguenza che il testo non viene neanche preso in esame dal Consiglio dei ministri.
  Sicuramente da condividere è, per D'Amico, la proposta – avanzata dal Presidente emerito della Corte costituzionale Silvestri – di introdurre una norma che obblighi il Governo a esaminare gli schemi di decreti legislativi approvati dalle Commissioni paritetiche. Niente affatto scontata pare la scelta del tipo di atto normativo con cui dettare siffatta regolamentazione; mentre Silvestri ha avanzato l'idea di introdurla con legge costituzionale, D'Amico ha manifestato la sua Pag. 247preferenza per una modifica dell'articolo 4, comma 3, della legge n. 400 del 1988, esprimendo qualche dubbio sulla forza vincolante che avrebbe un eventuale decreto legislativo di attuazione che introducesse questo vincolo per il Governo (come sostenuto da D'Atena nella sua audizione).
  A questa obiezione il professor D'Atena ha replicato sostenendo che una norma di attuazione può vincolare le altre future norme di attuazione qualora si tratti di una norma strumentale, volta a disciplinare il procedimento di formazione delle seconde.
  In sede di replica, D'Amico ha aggiunto che non è sufficiente prevedere un termine entro il quale il Governo deve decidere se approvare o no gli schemi di decreto esitati dalla Commissione paritetica; è necessario, piuttosto, che sia introdotta una normativa di composizione del dissenso, simile a quella prevista in materia di Conferenza di servizi, in modo da instaurare un rapporto dialettico fra il Governo e la Commissione.
  Anche il professor Vitale ha dichiarato di ritenere necessaria la fissazione di un termine per l'esame degli schemi di decreti da parte del Governo.
  La codificazione della procedura di adozione delle norme di attuazione è considerata dal professor Caravita un'ottima idea, sebbene ci si muova sempre all'interno delle soluzioni tecniche che scontano, quindi, la mancata soluzione del problema politico generale del mantenimento delle Regioni speciali.
  Il professor Palermo ha evidenziato l'eccessiva discrezionalità nella procedura di adozione delle norme di attuazione, con la conseguenza che, se non ci sono buoni rapporti politici, c’è il rischio che si blocchi tutto. In particolare, Palermo ha posto l'accento sulla mancanza di un termine entro il quale i Ministeri interpellati sono tenuti a fornire una risposta e sulla mancanza di un termine per la trattazione delle norme in seno al Consiglio dei ministri dopo la loro approvazione definitiva ad opera della Commissione paritetica.
  In conclusione del suo intervento il professor Palermo ha suggerito che le Commissioni paritetiche si dotino di un regolamento interno che preveda, tra l'altro, la possibilità di disporre l'audizione di soggetti esterni, esperti su determinate materie.
  La professoressa Lapecorella, richiamando la giurisprudenza costituzionale, ha precisato che la Commissione paritetica, per svolgere correttamente la funzione consultiva affidatale, deve essere posta in grado di esaminare ed esprimere il proprio avviso sugli schemi di decreti legislativi. Pertanto, il Governo non può apportare modificazioni o aggiunte suscettibili di alterare il contenuto sostanziale della disciplina su cui la Commissione ha già avuto modo di manifestare il proprio parere. Inoltre, Lapecorella ha suggerito di indirizzare il raggio d'azione delle Commissioni paritetiche verso settori in cui gli statuti non risultano ancora attuati.
  Lapecorella si è poi soffermata sulla tempistica dei singoli passaggi procedurali che è disciplinata solo nell'articolo 108 dello statuto del Trentino-Alto Adige. In proposito, ha proposto di regolamentare le varie casistiche che possono verificarsi nella pratica.
  Per il consigliere Chieppa gli schemi di norme di attuazione approvati dalla Commissione paritetica non dovrebbero essere sindacati Pag. 248nel merito dal c.d. Pre-Consiglio dei ministri ma, al più concedere, dovrebbero essere esaminati solo per un'opera di drafting. Ad avviso di Chieppa dovrebbe essere previsto anche un obbligo per il Consiglio dei ministri a prendere in esame le proposte delle Commissioni paritetiche entro un termine ragionevole.
  Un'altra proposta, formulata da Chieppa, è quella volta a dare pubblicità alle proposte, ai pareri, ai verbali e all'iter delle norme delle Commissioni. In generale, le singole Commissioni dovrebbero calendarizzare le proprie riunioni, potrebbero prevedere una programmazione dei propri lavori, dovrebbe esservi un maggior raccordo tra le Commissioni paritetiche,

3.8. La mancata attuazione delle disposizioni degli statuti speciali e il contenzioso Stato-Regioni speciali (risposte al quesito 6).

Quesito 6: La mancata attuazione delle disposizioni degli statuti speciali può essere ritenuta una delle cause principali del contenzioso Stato-Regioni speciali ? In particolare, la mancata attuazione delle previsioni statutarie che regolano i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali è, a suo avviso, all'origine dell'incremento della conflittualità tra questi enti, registratosi negli ultimi anni ?

  Il professor D'Atena ha escluso che la mancata attuazione delle disposizioni degli statuti possa essere ritenuta una delle cause principali del contenzioso Stato-Regioni speciali.
  Anche il professor D'Amico ha escluso l'esistenza di un rapporto di causa ed effetto tra la mancata attuazione e l'aumento del contenzioso, il quale cresce nel momento in cui si cambia una formula o un'etichetta. In sostanza, l'innovazione determina, di per sé, un problema di interpretazione di nuove formule; se poi l'innovazione non è chiara, i problemi interpretativi aumentano e quindi cresce il contenzioso.
  Per il professor Caravita la percentuale di contenzioso derivante dalla mancata attuazione degli statuti speciali è assai ridotta rispetto a quello derivante dalle enormi difficoltà interpretative della riforma del Titolo V del 2001.
  Il professor Palermo, pur ribadendo che la mole di contenzioso derivante dalla mancata o ritardata attuazione degli statuti speciali è molto ridotta, ha affermato che la ritardata attuazione, determinando l'applicazione della normativa statale, può generare dei conflitti. Più in generale, Palermo ha richiamato l'attenzione sul fatto che la conflittualità tra Stato e Regioni si è molto ridimensionata negli ultimi anni rispetto a quanto avvenuto nei primi di applicazione del nuovo Titolo V. Muovendo da questa prospettiva è assai probabile che il contenzioso aumenti dopo l'entrata in vigore della riforma costituzionale attualmente all'esame del Parlamento ma ciò, secondo Palermo, non è del tutto negativo, perché l'intervento della Corte costituzionale consentirà di delineare con precisione i confini dell'autonomia regionale.
  Al contempo – ha osservato Palermo – occorre stare attenti a non utilizzare le norme di attuazione come strumento di soluzione dei conflitti, come spesso si è verificato per il Trentino-Alto Adige.Pag. 249
  Particolarmente interessante è poi quanto avvenuto sul piano dei rapporti finanziari, che, secondo l'articolo 27 della legge sul federalismo fiscale, sono fondati sul principio della pariteticità. Qui l'intervento della Corte costituzionale (spec. sentenza n. 109 del 2011) è servito ad affermare in maniera chiara che lo Stato può intervenire unilateralmente per ragioni emergenziali ma con modalità paritetiche (es. con intese). Sempre in tema di rapporti finanziari, Palermo ha aggiunto che in questo ambito si sconta la difficoltà derivante dal fatto che in un sistema a finanza derivata, come quello italiano, la pariteticità non può funzionare completamente attraverso norme di attuazione. In altre parole, non si può pensare che le relazioni finanziarie siano disciplinate solo con norme di attuazione perché uno dei contraenti, lo Stato, parte da una posizione di vantaggio. Per questa ragione, secondo Palermo, le relazioni finanziarie, per funzionare, devono essere disciplinate negli statuti o attraverso la modifica degli stessi oppure, ove previsto, attraverso una legge paritetica.
  Anche il professor Mangiameli ha negato l'esistenza di un nesso di causalità tra la mancata attuazione delle disposizioni statutarie e l'incremento del contenzioso; innanzitutto perché, in un sistema costituzionale come quello italiano, l'aumento del contenzioso è normale e fisiologico. In secondo luogo, non si è registrata una particolare litigiosità delle Regioni speciali, le quali, anzi, hanno spesso adottato una tecnica difensiva, mirando ad ottenere dalla Corte costituzionale il riconoscimento dell'operatività di una clausola di salvaguardia contenuta nella normativa statale impugnata.
  Per il professor Bin le norme di attuazione generalmente tendono a risolvere il contenzioso, che si annida anche in cose molto piccole (si pensi, oggi, alle problematiche connesse agli ospedali psichiatrici giudiziari e, in generale, alle questioni attinenti alla natura demaniale di un bene). Diverso è, invece, il discorso per le norme attinenti ai rapporti finanziari, che sono ormai regolati, non da norme di attuazione, ma da patti politici. Al riguardo, Bin ha sottolineato come questi patti funzionino piuttosto bene e costituiscano una pagina molto interessante della specialità, perché, sebbene non utilizzino lo strumento delle norme di attuazione, rappresentano una ulteriore modalità di realizzazione del principio di collaborazione.
  Anche per il professor Falcon si deve escludere che l'incremento della conflittualità tra Stato e Regioni speciali degli ultimi anni sia riconducibile alla mancata attuazione delle disposizioni statutarie. Peraltro, l'incremento di conflittualità è quasi finito, perché con i nuovi accordi che hanno coinvolto quasi tutte le Regioni speciali, la gran parte di queste ha rinunciato al contenzioso.

3.9. Il futuro della specialità regionale alla luce del progetto di riforma della Costituzione (risposte al quesito 7).

Quesito 7: L'articolo 39, comma 11, del ddl cost. AC 2613-A reca la previsione secondo cui le disposizioni contenute nella legge costituzionale de qua non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino all'adeguamento dei Pag. 250rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. Si stabilisce inoltre che «Sino alla revisione dei predetti statuti speciali, resta altresì ferma la disciplina vigente prevista dai suddetti statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione».
  A suo avviso, queste disposizioni, inserite in un quadro di sostanziale ridimensionamento delle competenze delle Regioni a statuto ordinario, potranno contribuire ad una complessiva rivalutazione della specialità regionale e dei decreti di attuazione degli statuti speciali ?

  Per il professor D'Atena la riforma costituzionale, determinando un depotenziamento delle autonomie regionali ordinarie (con l'aumento delle materie statali, con la scomparsa della potestà concorrente, con il sostanziale venir meno del carattere residuale della potestà legislativa piena delle Regioni e con l'introduzione della c.d. clausola di supremazia), potrebbe comportare una rivalutazione della specialità regionale. In particolare, per D'Atena la norma di salvaguardia prevista nell'articolo 39 del ddl cost. non solo fa salvi gli statuti speciali ma assicura la perdurante applicabilità alle Regioni speciali della clausola di maggior favore per effetto della quale queste ultime acquisiscono oggi le maggiori competenze attribuite alle ordinarie dal Titolo V.
  Pertanto, il sistema delle autonomie speciali, pur non registrando uno stato di avanzamento rispetto alla situazione attuale, in considerazione del decremento delle autonomie regionali ordinarie, si troverebbe in una situazione di vantaggio. Peraltro, questa situazione, sebbene sia prevista in via provvisoria, rischierebbe di diventare definitiva perché le Regioni speciali non avrebbero interesse a modificare, tramite intesa, i loro statuti speciali.
  Secondo il professor D'Amico, è naturale che il ridimensionamento delle attribuzioni delle Regioni ordinarie determini una rivalutazione delle attribuzioni delle Regioni speciali. Ciò, però, non equivale a dire che si avrà anche una rivalutazione delle norme di attuazione, perché le Regioni speciali potrebbero accontentarsi di quello che hanno proprio in considerazione del fatto che le Regioni ordinarie hanno subito un drastico ridimensionamento.
  Ad avviso del professor Vitale, il testo di riforma costituzionale non consente di fare delle valutazioni ottimistiche sulla specialità regionale, principalmente perché da esso emerge una tendenza centralistica. A questo punto, la specialità ha due possibili vie d'uscita: o si procede alla revisione degli statuti speciali oppure si continua, in maniera concreta e decisa, con i procedimenti di attuazione statutaria.
  In merito al disegno di legge di riforma della Costituzione, il professor Caravita ha posto l'accento sulla possibile influenza dei senatori provenienti dalle Regioni speciali sulla composizione del Senato e quindi sulla formazione della maggioranza parlamentare. Il rischio paventato da Caravita è quello verificatosi in Spagna, cioè che si creino maggioranze politiche alla Camera che si appoggiano a partiti regionali al Senato per creare o rafforzare la propria posizione di maggioranza.Pag. 251
  Infine, per Caravita è stata abbandonata, troppo rapidamente, la strada indicata dall'articolo 116 Cost., cioè quella del regionalismo differenziato. La realizzazione di quest'ultimo presuppone, a suo dire, una grande autorevolezza ma anche una grande flessibilità a livello di governo centrale; condizioni, queste, che non sempre sussistono. Ciò spiega, secondo Caravita, le grandi difficoltà di attuazione dell'articolo 116 Cost.; tuttavia, se si vuole mantenere aperta la prospettiva di un regionalismo speciale, la strada dovrebbe essere quella dell'avvicinamento fra Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario. Questo avvicinamento può avvenire solo in due modi: riducendo l'autonomia delle speciali o aumentando il tasso di autonomia e di differenziazione di quelle ordinarie. In questa prospettiva lo strumento costituzionale utilizzabile è quello delineato dall'articolo 116 Cost., che però, fino ad oggi, ha avuto solo due sporadici tentativi di attuazione (da parte delle Regioni Lombardia e Toscana).
  In merito alla considerazione svolta dal professor Caravita sul ruolo dei senatori delle Regioni speciali nel futuro Senato, il professor Palermo ha precisato come si tratti di una questione di natura politica più che giuridica, nel senso che – come già accade attualmente – ci sono alcune Regioni che interpretano la rappresentanza in senso territoriale e altre che la interpretano in senso partitico. Ad avviso di Palermo, quindi, non cambierà molto nel nuovo Senato; probabilmente, com’è stato fin qui, non ci sarà la delegazione parlamentare siciliana mentre sarà molto più presente quella del Trentino-Alto Adige o della Valle d'Aosta.
  In generale, sulla riforma costituzionale in itinere, il professor Palermo ritiene che la previsione di una clausola di salvaguardia, rafforzata dalla previa intesa, per l'adeguamento degli statuti metta in sicurezza, dal punto di vista formale, la specialità. A suo avviso, in base alla successione delle norme, alle Regioni speciali continuerà ad applicarsi l'attuale Titolo V, con il probabile incremento della confusione e quindi del contenzioso. Lo Stato, infatti, dovrà continuare ad approvare le leggi cornice per la competenza concorrente delle Regioni speciali ma la stessa materia rientrerà fra quelle di competenza statale primaria nei confronti delle altre Regioni.
  Il vero problema, secondo Palermo, è quello del significato da dare alla formula «adeguamento degli statuti». È ipotizzabile, infatti, un adeguamento ad una riforma che riduce fortemente l'autonomia ? Ed ancora può il Parlamento modificare il testo di modifica di uno statuto approvato dal Consiglio regionale ? O meglio, se lo modifica, si deve seguire la procedura dell'intesa prevista per le proposte di revisione di iniziativa parlamentare o governativa ?
  Il rischio che sta dietro ciascuna di queste domande è quello che gli statuti speciali non siano modificati. Questo potrebbe portare, nel breve periodo, ad una valorizzazione delle norme di attuazione ma se lo statuto diventa un mero simulacro l'autonomia speciale morirà per asfissia. In conclusione Palermo, pur riconoscendo la grande importanza delle norme di attuazione, ritiene centrale il ruolo degli statuti e il problema del loro adeguamento.
  Il professor Mangiameli ha evidenziato come la previsione dell'articolo 39 del disegno di legge di riforma costituzionale impedisca l'applicazione alle Regioni speciali della nuova enumerazione dell'articolo Pag. 252117 Cost., della clausola di flessibilità o di supremazia e della visione delle competenze residuali in termini di marginalità territoriale. A queste Regioni, pertanto, continueranno ad applicarsi l'attuale articolo 117 Cost. e l'articolo 10 della legge cost. n. 3 del 2001, con la conseguenza che se volessero adeguare il proprio statuto dovrebbero rinunciare allo standard di autonomia che queste norme riconoscono.
  Ad avviso del professor Bin la riforma costituzionale in cantiere non riduce le competenze regionali, nel senso che riporterebbe in capo allo Stato competenze, forse troppo frettolosamente, assegnate alle Regioni. In proposito, Bin ha osservato che già oggi sono state trasferite allo Stato molte delle competenze formalmente riconosciute alle Regioni dal nuovo Titolo V, che, per questo motivo, è totalmente disapplicato. Ciò è avvenuto, a suo dire, sia perché il Titolo V è stato scritto avventatamente sia perché con il passare degli anni (dal 2001 ad oggi) la Corte costituzionale ha abbandonato l'originaria posizione di difesa delle autonomie. Pertanto, secondo Bin non può dirsi che le Regioni con la riforma perdano qualcosa che in realtà non hanno mai avuto.
  Più in generale, è singolare, per Bin, che la questione dei rapporti tra Stato e Regioni continui ad essere trattata tramite la definizione delle etichette che designano le materie di competenza legislativa. Questo approccio poteva andar bene nel 1947 perché per la Costituente era importante dare alle Regioni la potestà di smarcarsi dall'indirizzo politico della maggioranza parlamentare e per ottenere questo occorreva concedere potestà di legge. Oggi, invece, è l'amministrazione a pesare ma di ciò non si è occupata la riforma del 2001 e non si occupa quella in itinere.
  Al riguardo, secondo Bin, non ha molto senso modificare la competenza in una certa materia da concorrente a esclusiva dello Stato, mentre avrebbe grande senso portare l'esperienza delle intese tra Stato e Regione dentro la Costituzione; in questo modo, tra l'altro, diventerebbe cruciale la questione del Senato, sempre a condizione che esso rappresenti i territori. Nel testo di riforma non c’è poi alcuna menzione del coordinamento amministrativo, presente invece nelle Costituzioni di molti Paesi.
  Sul punto Bin ha aggiunto che le materie hanno un carattere difensivo e l'esperienza del nuovo Titolo V e della norma di salvaguardia di cui all'articolo 10 della legge cost. n. 3 del 2001 è particolarmente indicativa perché è stata un totale fallimento. C’è stata, infatti, un'erosione totale delle competenze delle Regioni ordinarie e la residualità ha giocato un ruolo residuale. Ciò ha fatto sì che le Regioni speciali, per ridurre l'impatto dell'erosione delle competenze, facessero un uso difensivo delle materie scritte in statuto, come reinterpretate dalle norme di attuazione.
  Da ultimo, Bin ha sottolineato l'urgenza di ridurre il contenzioso tra Stato e Regioni che ha assunto proporzioni tali da paralizzare l'azione del Governo, al punto che oggi per capire cosa sia il diritto regionale occorre guardare alle innumerevoli sentenze della Corte costituzionale e alle evoluzioni della sua giurisprudenza, piuttosto che alla Costituzione.Pag. 253
  Il professor Falcon, in apertura del suo intervento, ha ripreso la considerazione svolta dal professor Bin a proposito della centralità dell'amministrazione rispetto alla funzione legislativa, precisando che il riconoscimento di quest'ultima, a prescindere dallo spessore dei suoi contenuti, dà comunque la garanzia che vi è un giudice deputato a valutare la legittimità della normazione regionale, la Corte costituzionale e non il giudice ordinario o quello amministrativo.
  Falcon ha, inoltre, individuato due cause della possibile rivalutazione degli statuti speciali: per un verso, l'articolo 39 del disegno di legge di riforma della Costituzione e, per altro verso, il fallimento delle aspettative riposte nella riforma del Titolo V del 2001. La presa di coscienza dell'inutilità della clausola residuale e, in generale, dell'inesistenza di un reale ampliamento dell'autonomia regionale ha indotto ad «aggrapparsi» di nuovo agli statuti speciali e alle norme di attuazione.
  A sostegno della sua lettura, Falcon ha richiamato una serie di casi in cui la Corte costituzionale, offrendo una lettura restrittiva delle autonomie regionali, ha sostanzialmente svuotato di senso le competenze delle Regioni (sono state citate le pronunce in tema di lavori pubblici di interesse Provinciale, di procedimento amministrativo e di forme associative dei Comuni). Alla luce di quanto detto, per Falcon è un bene che le Regioni speciali restino fuori dall'ambito applicativo della riforma costituzionale in itinere, anche perché quest'ultima non ha colto quanto c'era di positivo nell'esperienza delle autonomie speciali: prima fra tutte, la contrattazione per l'acquisizione delle funzioni amministrative. Altre esperienze positive delle Regioni speciali sono state individuate da Falcon nello specifico ambito finanziario; in particolare, potrebbe essere utile la previsione in Costituzione di un criterio di riparto tra le risorse che vanno allo Stato e quelle che vanno alle Regioni.
  Da ultimo, per Falcon non vi è il rischio che le Regioni blocchino la revisione degli statuti per il timore di ottenere dalla contrattazione condizioni peggiori di quelle attuali.
  Il professor Antonini ha posto in evidenza come la previsione della mancata applicazione del nuovo Titolo V alle Regioni speciali, fino all'adeguamento dei loro statuti, creerà dei problemi al sistema, perché ci saranno due diversi Titoli V della Costituzione: uno (quello che entrerà in vigore con la riforma costituzionale attualmente all'esame del Parlamento) che si applicherà alle Regioni ordinarie e uno (quello entrato in vigore nel 2001 ma solo per le parti che prevedono forme di autonomia più ampie) che si applicherà alle Regioni speciali. A suo dire, ciò determinerà uno squilibrio tra Regioni troppo ordinarie e Regioni troppo speciali.
  Inoltre, ha notato Antonini, la clausola di supremazia, anche qualora si applicasse alle Regioni speciali, si attiverebbe sul presupposto dell'interesse nazionale. Tuttavia, l'interesse nazionale non c’è nello statuto siciliano mentre è previsto in quello delle altre Regioni. Pertanto, nella Regione Sicilia sarebbe inapplicabile in ogni caso.
  Il professor Sterpa ha posto l'accento su alcuni punti salienti del testo di riforma. Innanzitutto, la previsione di un adeguamento degli statuti speciali, sulla base di intese, dà vita ad una fonte, non solo di rango costituzionale, ma rafforzata e atipica, in quanto frutto di un Pag. 254procedimento particolare che introduce, per la prima volta, un elemento pseudo-pattizio alla base dello statuto. Deve, inoltre, ritenersi che il contenuto dell'intesa venga riversato pedissequamente nella legge costituzionale.
  Un secondo elemento da considerare è l'utilizzo del termine «adeguamento» per alludere alla revisione degli statuti speciali. Si tratta dello stesso termine utilizzato dall'articolo 10 della legge cost. n. 3 del 2001, anche se collocato nell'attuale testo di riforma che mira ad una riduzione dello spazio di autonomia legislativa delle Regioni ordinarie.
  Il terzo dato su cui riflettere è, per Sterpa, quello dei «vasi comunicanti fra i vecchi statuti e la nuova Costituzione». In particolare, gli statuti speciali attualmente vigenti contengono riferimenti normativi, espressioni giuridiche e concetti che, nella riforma costituzionale, sono innovati rispetto al passato. Uno di questi concetti è sicuramente quello di «interesse nazionale», che è presente in quasi tutti gli statuti speciali ma che era sparito nel testo costituzionale approvato nel 2001. Al riguardo, Sterpa ha posto il problema dell'interpretazione che la Corte costituzionale darà a questo nuovo «interesse nazionale», riferito alla c.d. clausola di supremazia, e dell'eventuale applicazione di questa lettura anche alle Regioni speciali i cui statuti prevedono il riferimento all'interesse nazionale. In questo senso Sterpa ha parlato di vasi comunicanti tra gli statuti speciali e il nuovo testo della Costituzione; in altre parole, occorre chiedersi se il nuovo interesse nazionale transiterà, per il tramite delle disposizioni statutarie che lo prevedono, nell'ambito proprio delle Regioni speciali.
  Il rischio paventato da Sterpa rende decisiva, a suo avviso, la previsione della formula «sulla base di intese», quale strumento pattizio con il quale fissare regole di differenziazione a vantaggio delle Regioni speciali. Ad accrescere i timori per le Regioni speciali contribuisce, secondo Sterpa, anche il grado di penetrazione che avrà nei loro confronti la nuova competenza statale piena in materia di coordinamento della finanza pubblica.
  Occorre poi chiedersi se l'articolo 10 della legge cost. n. 3 del 2001 continuerà ad essere in vigore nei confronti delle Regioni speciali. Al riguardo, Sterpa ha osservato che, in teoria, questa clausola dovrebbe perdere ogni efficacia con l'entrata in vigore del nuovo Titolo V, ma quest'ultima è posticipata per le Regioni speciali fino all'adeguamento dei loro statuti. Pertanto, sembra doversi presumere che, almeno formalmente, finché non ci saranno i nuovi statuti, continuerà ad applicarsi alle Regioni speciali il Titolo V originario (cioè quello entrato in vigore nel 2001), compresa la clausola dell'articolo 10.
  A questo punto, per Sterpa il problema decisivo è quello di capire se le Regioni speciali possano procrastinare la trattativa con lo Stato sine die. In sostanza, il rischio è che l'opportunità dell'intesa si traduca in un potere di interdizione del processo di revisione da parte delle Regioni speciali.
  L'on. Bressa ha individuato nell'espressa previsione del principio dell'intesa, come base dell'opera di adeguamento degli statuti speciali, una significativa novità procedurale della riforma del Titolo V della Costituzione. Questa previsione rende necessario, a suo dire, un Pag. 255approccio comune delle cinque Regioni speciali rispetto al processo di aggiornamento costituzionale dei rispettivi statuti. La questione più importante è, dunque, quella di rinsaldare il carattere pattizio della specialità e cominciare a riscrivere insieme, Regioni, Province autonome e Stato, il percorso della revisione degli statuti.
  A questo fine l'on. Bressa ha proposto l'apertura di un confronto unitario tra Regioni speciali, Province autonome e Stato, che potrebbe concludersi con una convenzione tra lo Stato e le autonomie speciali che tracci le linee procedurali per la revisione degli statuti, facendo di questo un passaggio capace di esaltare il pluralismo costituzionale e rimotivare i fondamenti della specialità in chiave di responsabilità e solidarietà. In tal senso, l'on. Bressa ha indicato un precedente nell'esperienza conclusasi con l'approvazione della legge cost. n. 2 del 2001.
  Il professor Ruggeri, nella memoria inviata, ha precisato che l'articolo 10 della legge cost. n. 3 del 2001 non potrà continuare a trovare applicazione alle Regioni speciali, in quanto travolto a seguito dell'abrogazione delle altre norme contenute nella medesima legge costituzionale. Più in generale, per Ruggeri è incomprensibile prevedere che la riforma non si applicherà alle Regioni speciali, precludendo, con ciò, ogni possibilità di rinvenire nel nuovo Titolo V una forma di autonomia più ampia per la Regione.

4. Sintesi delle audizioni e proposte attinenti ai profili di finanza pubblica.

  Tra i temi oggetto dell'indagine conoscitiva ampio spazio è riservato ai rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali, sotto diversi profili.
  L'obiettivo perseguito è acquisire una serie di informazioni per verificare alcune tra le principali questioni aperte, tra cui le seguenti:
    la situazione concreta attuale ed il grado di recepimento dei principi del federalismo fiscale, tenendo conto anche dei più recenti accordi;
    l'efficacia degli strumenti di attuazione degli Statuti con specifico riferimento agli aspetti economici e finanziari, ed in particolare del sistema pattizio;
    il grado di attuazione degli accordi, con particolare riferimento al trasferimento delle funzioni statali delegate;
    la validità del meccanismo pattizio ai fini del bilanciamento tra l'autonomia finanziaria degli enti territoriali e l'esigenza statale di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.

  Di seguito si illustrano i principali risultati, seguendo l'ordine dei temi indicati nei singoli quesiti sottoposti all'attenzione di coloro che hanno contribuito al lavoro di approfondimento e studio.

Pag. 256

4.1. I quesiti concernenti i profili di finanza pubblica.

  1) Quale è oggi la situazione concreta dei rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni ad autonomia differenziata ? E, in particolare, quale è lo stato dell'arte in relazione al recepimento dei principi di federalismo fiscale da parte delle Regioni speciali ? Vale ancora quanto si affermava all'indomani dell'approvazione della legge n. 42 del 2009 e cioè che l'andamento dei flussi finanziari delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome – o di alcune di esse – mostrerebbe il mancato rispetto del principio della correlazione tra le funzioni svolte e le risorse attribuite ? Si può sostenere che gli Accordi fin qui siglati abbiano posto rimedio, almeno in parte, a tale criticità ?

  2) La procedura con la quale le Regioni speciali e le Province autonome hanno recepito i principi del federalismo fiscale si è in parte discostata rispetto al procedimento delineato dall'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 poiché un ruolo preponderante è stato giocato dagli Accordi propedeutici di modifica statutaria che – secondo il procedimento previsto dai rispettivi statuti speciali – hanno trovato sanzione legislativa attraverso leggi ordinarie seppur rinforzate volte a modificare le disposizioni statutarie in materia di ordinamento finanziario.
  Le leggi che hanno recepito tali accordi hanno fatto espresso riferimento alle norme di attuazione, in relazione alla cui adozione si sono registrati però ritardi.
  Dopo aver illustrato più diffusamente la procedura in questione, potrebbe chiarire quali sono, secondo Lei, le ragioni del ritardo nell'adozione delle norme di attuazione ? E quali conseguenze ha prodotto tale ritardo ? Quale spazio residua ancora all'attività delle Commissioni paritetiche in materia di ordinamento finanziario ?

  3) Autorevole dottrina, all'indomani dell'accordo di Milano, ha affermato che la mancata adozione delle norme di attuazione ha comportato la non immediata operatività della dismissione delle funzioni statali delegate, poiché tale dismissione richiederebbe, appunto, l'adozione delle norme attuative, mentre gli oneri finanziari sarebbero passati subito a carico delle Regioni speciali e delle Province autonome. Condivide questa affermazione ?

  4) A livello sostanziale, il meccanismo concertativo – cui rinviano le stesse norme statutarie – è stato a Suo avviso un valido strumento di bilanciamento tra l'autonomia finanziaria degli enti territoriali e l'esigenza statale di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica ?

  5) Quali indicazioni è possibile desumere dalla giurisprudenza costituzionale in merito alla cogenza del principio pattizio nella definizione delle modalità del concorso delle Regioni speciali e delle Province autonome al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica ?

Pag. 257

  6) Potrebbe fornire alla Commissione una breve panoramica dei contenuti dei più recenti accordi siglati tra lo Stato, le Regioni speciali e le Province autonome in materia finanziaria ? Quali sono stati gli effetti dello sfasamento temporale tra i vari accordi delle diverse Regioni a statuto speciale e delle Province autonome ? È possibile valutare gli effetti finanziari dei diversi accordi e l'impatto sulle funzioni esercitate nelle Regioni speciali e nelle Province autonome ? Quali sono le criticità e i problemi principali da affrontare e da risolvere con riguardo alle singole Regioni speciali ?

  7) In tema di relazioni finanziarie, si avverte ancor di più l'impossibilità di riferirsi ad un unico modello di specialità regionale. A tale proposito, oltre a parlarsi di specialità nella specialità, sono stati individuati sei diversi regimi speciali. Quali sono i loro connotati principali ? Quali sono i principali elementi di differenziazione e quali, se vi sono, gli elementi comuni ?

  8) In una prospettiva de iure condendo, quali modifiche statutarie dovrebbero essere apportate per rendere più chiari e, di conseguenza, certi i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali ?

  9) Ritiene che il disegno di legge di riforma della Costituzione possa, in qualche modo, incidere, anche sui profili relativi all'autonomia finanziaria delle Regioni speciali e delle Province autonome ?

* * * * * *

  Gran parte dei contributi ai lavori dell'indagine conoscitiva ha affrontato congiuntamente alcuni dei temi indicati in diversi quesiti.
  Pertanto, con riferimento ai profili di finanza pubblica, si procederà ad illustrare i risultati del lavoro di approfondimento e studio raggruppando i temi indicati nei quesiti come segue: lo stato attuale del sistema di finanziamento delle Regioni speciali (quesiti 1 e 7); le procedure per l'attuazione degli Statuti speciali in materia finanziaria e il grado effettivo di recepimento dei principi del federalismo fiscale nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome (quesiti 1 e 2); l'incidenza della mancata attuazione delle previsioni statutarie sul contenzioso costituzionale in materia di rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali (quesito 6, concernente i profili istituzionali); gli accordi tra Stato, Regioni speciali e Province autonome: sintesi dei principali contenuti, effetti finanziari e impatto sulle funzioni esercitate nelle Regioni speciali e nelle Province autonome (quesiti 2, 3 e 6); il principio pattizio nella definizione delle modalità del concorso delle Regioni speciali e delle Province autonome al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, alla luce della recente giurisprudenza costituzionale (quesiti 4, 5); le soluzioni possibili per rendere più chiari e certi i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali: le questioni aperte con riguardo alle singole Regioni speciali (quesiti 7 e 8); i possibili effetti della riforma costituzionale in corso di discussione sui profili relativi all'autonomia finanziaria delle Regioni speciali e delle Province autonome (quesito 9).

Pag. 258

4.2. Il sistema di finanziamento delle Regioni a Statuto speciale: lo stato attuale.

  Il contributo degli esperti e dei rappresentanti istituzionali ha messo in evidenza che lo stato attuale dei rapporti finanziari tra lo Stato e le diverse Regioni a statuto speciale e le Province autonome è il risultato di storie diverse, caratterizzate dalle diverse regole statutarie, dai diversi percorsi di attuazione e di modifica degli statuti e dal grado di attuazione interno del federalismo fiscale di cui alla legge n. 42 del 2009.
  Per un approfondimento sullo scenario complessivo delle relazioni finanziarie intergovernative si rinvia alle memorie depositate agli atti dell'indagine, ed in particolare ai documenti depositati dalla professoressa Lapecorella per il Dipartimento delle Finanza del MEF, dal dott. Bilardo per la Ragioneria generale dello Stato, dal consigliere Falcucci per la Sezione delle autonomie della Corte dei conti, dagli esperti auditi professor Tria, professor Longobardi e professor Antonini.
  Sulla base della documentazione depositata agli atti dell'indagine conoscitiva e tenendo conto delle osservazioni espresse nel corso delle audizioni, il sistema delle relazioni finanziarie intergovernative può essere riassunto come segue.
  Attualmente, le fonti di finanziamento delle Regioni a statuto speciale sono le compartecipazioni ai tributi e alle imposte erariali, i tributi propri e i trasferimenti dalle amministrazioni centrali.
  Nello specifico, i vari ordinamenti finanziari si caratterizzano per talune diversità; per un approfondimento sui principali aspetti che differenziano le fonti della finanza regionale si rinvia in particolare ai documenti depositati dal cons. Falcucci (pagg. 8 e ss.), dalla professoressa Lapecorella e dal dott. Bilardo.
  I risultati dell'indagine conoscitiva hanno evidenziato che la fonte prevalente rimane la compartecipazione ai tributi erariali, ovvero l'attribuzione di quote dei tributi e delle imposte stabiliti dallo Stato che gravano su imponibili generati sul proprio territorio e devolute senza vincoli di destinazione.
  La misura della compartecipazione varia a seconda di quanto previsto da ciascuno Statuto di autonomia e dalle norme di attuazione: nel corso delle audizioni, è stato rappresentato che – con riferimento all'anno 2013 – le compartecipazioni hanno rappresentato il 76,1 per cento del totale delle entrate finanziarie nella Valle d'Aosta, il 66,8 per cento nella Provincia autonoma di Bolzano, il 74,6 per cento della Provincia autonoma di Trento, il 59,6 per cento in Friuli Venezia Giulia, il 38,9 per cento in Sicilia, il 78 per cento in Sardegna (per ulteriori approfondimenti si rinvia alle tabelle elaborate dal Prof. Tria).
  Complessivamente, dai dati illustrati nel corso delle audizioni, si evince che le compartecipazioni rappresentano circa il 60 per cento del totale delle entrate finanziarie delle Regioni speciali, contro il 30 per cento circa del totale delle entrate delle Regioni ordinarie.Pag. 259
  La maggiore o minore incidenza delle compartecipazioni consente di misurare il grado di autonomia di ciascuna Regione, in considerazione del fatto che ormai sempre di più, vi è una corrispondenza tra risorse e funzioni attribuite.
  Al contrario, sebbene le norme statutarie abbiano da sempre consentito alle Regioni a Statuto speciale la facoltà di stabilire tributi propri, tale componente delle entrate corrisponde a circa il 12 per cento del totale (contro il 25 per cento circa delle Regioni a Statuto ordinario).
  Le Regioni a Statuto speciale si sono infatti limitate ad applicare i tributi regionali istituiti con legge statale, come ad esempio l'Irap e l'addizionale regionale all'Irpef (ovvero i cc.dd. tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali il cui gettito è attribuito alle Regioni, che si contrappongono ai tributi propri, che sono quelli istituiti dalle Regioni con proprie leggi in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale).
  Anche in questo caso, la percentuale varia a seconda del grado di attuazione del federalismo fiscale nelle singole Regioni speciali.
  Infine, vi sono i trasferimenti dalle amministrazioni centrali che però incidono in maniera minore, rispetto a quanto accade per le Regioni ordinarie. È stato però rilevato che mentre le Regioni Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Valle d'Aosta e la Provincia autonoma di Trento dipendono solo marginalmente dai trasferimenti, la Provincia autonoma di Bolzano ha una dipendenza simile a quella delle Regioni ordinarie, e la Regione siciliana ha una dipendenza di molto superiore, in quanto percepisce sia Fondi strutturali europei per la coesione e lo sviluppo, sia il Fondo di solidarietà nazionale riconosciuto dall'articolo 38 dello statuto.
  Il Prof. Tria per esempio, rileva che la Sicilia, che costituisce la realtà speciale con una relativa minore acquisizione di funzioni, presenta una struttura delle entrate correnti più simile a quelle delle RSO, proprio per la sua dipendenza da trasferimenti correnti (per esempio per sanità, che nel 2013 coprono l'11,7 per cento delle entrate finanziarie della Regione). L'affrancamento finanziario delle altre RSS e delle PA, sempre in relazione al settore sanitario, è invece il risultato di un percorso che ha portato la Valle d'Aosta e le Province Autonome (legge n. 724 del 1994), il Friuli Venezia Giulia (legge n. 662 del 1996) e per ultima la Sardegna (legge n. 296 del 2006) a provvedere al finanziamento complessivo del Servizio sanitario nazionale sul proprio territorio, senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato.
  Complessivamente, come è stato rilevato nel corso dei lavori, le Regioni speciali si sono assicurate le risorse necessarie per i loro fabbisogni puntando prevalentemente sulla compartecipazione ai tributi erariali, relegando in secondo piano il ricorso ai tributi propri, complice la pressione fiscale già elevata.
  Ne consegue che gli attuali tributi delle Regioni speciali, tranne alcune eccezioni, sono prevalentemente espressione del potere impositivo statale e non dell'autonomia regionale, esplorata solo da alcune autonomie speciali (in particolare dalla Regione Trentino-Alto Adige e dalle Province autonome).

Pag. 260

4.3. Le procedure per l'attuazione degli Statuti speciali in materia finanziaria e il grado di recepimento dei principi del federalismo fiscale nelle Regioni a Statuto speciale e nelle Province autonome.

  La legge n. 42 del 2009 concernente la delega sul c.d. federalismo fiscale, nel disegno di riorganizzazione delle relazioni finanziarie intergovernative, prevede misure di coordinamento con gli Statuti speciali al fine di favorire un percorso di progressivo adeguamento al mutato contesto costituzionale.
  Come evidenziato nelle memorie depositate agli atti dell'indagine conoscitiva, l'articolo 1 della predetta legge, al comma 2, stabilisce che alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome si applicano esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15 (finanziamento delle città metropolitane), 22 (perequazione infrastrutturale) e 27 (coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome); l'articolo 27 prevede l'emanazione di apposite norme di attuazione per disciplinare il concorso delle autonomie speciali al conseguimento degli obiettivi di perequazione e solidarietà, all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento europeo (in particolare dal patto di stabilità interno), al coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi regionali e i principi fondamentali del coordinamento del sistema tributario.
  L'approvazione delle predette norme di attuazione è regolata dagli Statuti di autonomia che, in materia finanziaria, prevedono la possibilità di interventi con la procedura della legge ordinaria sentita la Regione (ad eccezione della Sicilia).
  La professoressa Lapecorella, sul punto, ha rilevato che in materia finanziaria gli Statuti di autonomia prevedono una «decostituzionalizzazione» della disciplina, in quanto le norme statutarie in materia possono essere modificate attraverso una legge ordinaria dello Stato, il cui contenuto sia stato oggetto di un accordo tra lo Stato e la singola Regione o Provincia autonoma.
  Analogamente, il consigliere Falcucci ha evidenziato che dall'osservazione oggettiva della prassi degli ultimi anni emerge che nella materia finanziaria la tendenza affermatasi è quella del costante ricorso all'emanazione di una legge statale – di solito disposizioni contenute nella legge di stabilità – preceduta da una fase concertativa.
  Il dato è stato confermato con riferimento alle singole esperienze regionali tra gli altri dal consigliere Petronio che, con specifico riferimento all'esperienza della Regione Sardegna, ha riferito che sebbene restino prevalenti i decreti delegati, in materia di finanze, demanio e patrimonio della Regione si è affiancato lo strumento della legge ordinaria, nonché dal consigliere Chiappinelli per la Regione Friuli Venezia Giulia.
  Il consigliere Falcucci, come pure il dott. Bilardo ed il cons. Petronio, hanno evidenziato che il ricorso alla legge ordinaria preceduto da una fase concertativa è uno strumento utile che consente di dare risposte tempestive alle pressanti istanze di coordinamento finanziario e di consolidamento dei conti pubblici, consentendo anche Pag. 261una riduzione del contenzioso costituzionale, come peraltro osservato nella memoria della Sezione di controllo sulle autonomie della Corte dei conti.
  Tali procedure sono state utilizzate, in parziale deroga al regime ordinario, anche per l'adeguamento alle nuove regole in materia di autonomia finanziaria delle Regioni e di coordinamento con la finanza statale; per un approfondimento si rinvia alla memoria depositata dalla Sezione di controllo delle autonomie della Corte dei conti, che dedica specifica attenzione ai profili attuativi del federalismo fiscale nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome.
  In particolare, utilizzando il metodo pattizio, le Regioni speciali hanno avviato le trattative con il Governo per un primo tentativo di adeguamento della loro autonomia finanziaria ai principi del federalismo fiscale; gli Accordi segnano una nuova tappa del processo di attuazione degli Statuti di autonomia, in materia finanziaria, che come meglio si vedrà oltre, si caratterizzano per un tentativo di bilanciamento tra le garanzie proprie delle autonomie speciali e le esigenze pressanti del coordinamento della finanza pubblica per il raggiungimento degli obiettivi fissati a livello europeo.
  Tuttavia, come si dirà meglio più innanzi gli Accordi tra Stato, Regioni ed autonomie speciali hanno inciso notevolmente sulle relazioni finanziarie intergovernative, ma non hanno inciso sull'attuazione dei principi del federalismo fiscale.
  Sul punto tutti gli auditi sembrano concordare.
  Il professore Longobardi, che ha dedicato maggiore attenzione al tema, ha evidenziato che la riforma del federalismo fiscale è rimasta largamente inattuata.
  Il dott. Bilardo ha fermato in particolare l'attenzione sulla mancata definizione dei costi standard con riferimento alle autonomie speciali, e sulle conseguenze di tale mancato adeguamento al mutato contesto costituzionale, precisando che nel nuovo sistema delineato dalla riforma costituzionale del 2001 e dalla legge n. 42 del 2009, si tratta di un punto cruciale nel rapporto con le Regioni a statuto speciale e con le Province autonome.
  In tal senso, ha ricordato che la Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) nella relazione del 30 giugno 2010 aveva già evidenziato la necessità di estendere alle autonomie speciali i principi generali ricavabili dalla legge n. 42 del 2009, quali la determinazione del fabbisogno standard, il superamento della spesa storica, la perequazione, la solidarietà, con strumenti diversi dai decreti legislativi delegati. In tale ottica, il decreto legislativo n. 68 del 2011 ha previsto all'articolo 31 l'estensione con la procedura prevista dall'articolo 27 agli enti locali appartenenti ai territori delle autonomie speciali delle disposizioni relative alla raccolta dei dati inerenti al processo di definizione dei fabbisogni standard, da far confluire nelle banche dati informative, ai sensi degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n. 216 del 2010; tuttavia, ha evidenziato che tale procedura non è stata attuata.
  Il grado di attuazione dei principi del federalismo fiscale è pertanto lontano dagli obiettivi fissati dalla legge delega; in particolare, come già detto, per le autonomie speciali e i loro enti locali non risultano definiti i costi e i fabbisogni standard, con importanti conseguenze.Pag. 262
  Il professor Antonini ha sottolineato altresì che il superamento della spesa storica e la determinazione dei costi e fabbisogni standard anche per le Regioni speciali sarebbe stato particolarmente utile da diversi punti di vista, ad esempio inerenti al riparto dei fondi tra i Comuni insistenti nel loro territorio.
  In tal senso, il dottor Bilardo ha ricordato quanto accaduto con il Fondo di solidarietà comunale 2015, laddove in base alla legge di stabilità 2015 il 20 per cento è distribuito tenendo conto di fabbisogni standard, ovvero circa 800 milioni di euro. Tali somme, destinate ai Comuni delle Regioni destinatarie del Fondo di solidarietà comunale, sono state appunto distribuite sulla base di criteri determinati tenendo conto dei fabbisogni standard; in assenza di tale indicatore, ai Comuni delle Regioni Sicilia e Sardegna, anch'esse beneficiarie del Fondo, sono state distribuite sulla base della spesa storica, quindi prescindendo da valutazioni di efficientamento o di perequazione.
  Richiamata tale vicenda, la Ragioneria generale ha rilevato che per il coordinamento della finanza pubblica è fondamentale che i processi di riforma della finanza pubblica costituiti dal federalismo fiscale, dal pareggio di bilancio, dalla riforma contabile riguardino anche i territori delle autonomie speciali.

4. 4. I recenti Accordi tra Stato, Regioni speciali e Province autonome: sintesi dei principali contenuti, effetti finanziari e impatto sulle funzioni esercitate nelle Regioni speciali e nelle Province autonome.

  La base giuridica di questa nuova fase in materia di relazioni finanziarie tra Stato e Regioni va individuata nell'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 e negli Statuti di autonomia che prevedono, come meglio detto sopra, una procedura che «decostituzionalizza» l’iter di modifica degli ordinamenti finanziari, nel senso che detti ordinamenti possono essere modificati mediante una norma ordinaria «negoziata» con le singole Regioni speciali.
  Le procedure sono diverse: «sentita» la Regione (Friuli Venezia Giulia, articolo 63 dello statuto, Sardegna, articolo 54 dello statuto); «su concorde richiesta del Governo ... e delle Province autonome» (Trentino Alto Adige, articolo 104 dello statuto); per la Valle d'Aosta la procedura richiede l'intervento della Commissione paritetica (articolo 48-bis dello statuto); nel caso della Sicilia, non rinvenendosi disposizioni specifiche, si procede mediante revisione dello statuto o mediante le norme di attuazione per l'individuazione dei criteri di determinazione del gettito (sul punto si rinvia alla ricostruzione delle procedure descritta nella relazione depositata dal dott. Bilardo, da cui sono estratti i riferimenti sopra riportati).
  Il sistema pattizio previsto dalle norme statutarie in materia finanziaria e dal citato articolo 27 della legge n. 42 del 2009, ha dato impulso all'adeguamento degli ordinamenti finanziari delle Regioni speciali ai principi ispiratori del federalismo fiscale.
  In particolare, è stato lo strumento utilizzato per un tentativo di realizzazione del coordinamento della finanza pubblica, in vista del raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa.Pag. 263
  Come rilevato dal dott. Bilardo, in tale contesto si collocano gli accordi siglati tra le Regioni speciali e lo Stato tra il 2009 e il 2010, e le loro «ristrutturazioni» concluse nel 2014.
  Il contenuto degli accordi è analiticamente descritto in particolare nei documenti depositati dalla professoressa Lapecorella, per il Mef, dal consigliere Falcucci per la Sezione di coordinamento delle autonomie della Corte dei conti e dal dottor Bilardo per la Ragioneria generale dello Stato, cui si rinvia; il professor Longobardi ha invece offerto una scheda sintetica che consente un efficace primo approccio per comprendere le modifiche intervenute nel sistema delle relazioni finanziarie per effetto di tali accordi.
  Sulla base dei dati estratti dai predetti documenti, si procede di seguito ad una ricostruzione essenziale del contenuto degli accordi, funzionale alla comprensione degli effetti sul sistema delle relazioni finanziarie tra lo Stato e le Regioni speciali, con particolare riferimento al bilanciamento tra le garanzie della specialità e le esigenze di coordinamento della finanza pubblica.
  I primi accordi sono stati i seguenti: accordo tra lo Stato, le Province autonome di Trento e Bolzano e la Regione Trentino-Alto Adige/Sud Tirol per il coordinamento della finanza pubblica nell'ambito del processo di attuazione del federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione (Milano 30 novembre 2009 «accordo di Milano»); Protocollo di intesa tra lo Stato e la Regione Friuli Venezia Giulia per l'attuazione della legge n. 42 del 2009, Roma 29 ottobre 2010 («patto Tremonti – Tondo»); Protocollo di intesa tra il Governo e la Valle d'Aosta, Roma 11 novembre 2010.
  Tali accordi si caratterizzano per avere consentito una determinazione «negoziata» del contributo delle autonomie al processo di contenimento della spesa pubblica, nel periodo di reazione alla crisi economica; in tal modo, come meglio si dirà oltre, si è disinnescato quasi del tutto il contenzioso costituzionale tra Stato e autonomie in materia finanziaria.
  Essi, inoltre, hanno inciso sull'autonomia regionale, rafforzandola: la professoressa Lapecorella ha infatti osservato che l'elemento comune degli accordi riferiti al periodo descritto è rappresentato dal riconoscimento alla singola autonomia speciale del potere da un lato di istituire nuovi tributi locali, e dall'altro di prevedere deduzioni, detrazioni ed esenzioni dei tributi erariali esistenti ad esse attribuiti.
  Secondo le tesi illustrate dalla professoressa, il risultato di tali interventi è stato quello di avere norme che caratterizzano ancor più la specialità di tali autonomie, consentendo spazi di manovra ancora più ampi di quelli riconosciuti alle Regioni a statuto ordinario. Questa nuova leva fiscale è stata inizialmente azionata dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, che hanno fatto da apripista a un processo in continua evoluzione; sulla strada tracciata dalle Province autonome, si sono poi posizionati il Friuli Venezia Giulia e la Sardegna, con conseguenti effetti di politica tributaria in termini di competitività delle Regioni speciali.
  Più di recente, a partire dal 2014, si registra un nuovo ciclo di accordi: accordo tra il Ministro dell'economia e delle finanze e la Regione siciliana in materia di finanza pubblica (9 giugno 2014); accordo tra il Ministro dell'economia e delle finanze e la Regione Pag. 264Sardegna in materia di finanza pubblica (21 luglio 2014); accordo tra il Governo, la Regione trentino Alto Adige e le Province autonome di Trento e Bolzano in materia di finanza pubblica (Roma 15 ottobre 2014); Protocollo di intesa tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia per la revisione del protocollo del 29 ottobre 2010 e per la definizione dei rapporti finanziari negli esercizi 2014-2017 (Roma 23 ottobre 2014); Intesa tra il Ministro dell'economia e delle finanze e la Regione autonoma della Sardegna in materia di compartecipazione della Regione ai tributi erariali (24 febbraio 2015).
  Il professor Longobardi ha evidenziato che i due accordi maggiormente significativi, entrambi del 2014, sono quello con la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e Bolzano, e quello con il Friuli Venezia Giulia, in quanto prefigurano un processo di adeguamento al nuovo contesto delle relazioni finanziarie intergovernative e delle regole europee. Gli accordi con Sicilia e Sardegna sono invece ancora molto in linea con l'impostazione iniziale.
  Segnatamente, ha rilevato che i principali tratti dell'accordo con la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e Bolzano, a regime, possono riassumersi come segue: 1. Passaggio al principio del pareggio di bilancio ex articolo 9 della legge n. 243 del 2012; 2. Conseguente venir meno del criterio del contributo in termini di miglioramento dell'indebitamento netto, proprio del patto di stabilità interno; 3. Conferma del contributo alla copertura degli oneri del debito pubblico (in termini di saldo netto da finanziare del bilancio statale); 4. Definizione dell'importo di tale contributo secondo le seguenti modalità: a) è stabilito in via definita; b) varierà automaticamente in ragione dell'andamento nel tempo degli interessi sul debito pubblico; c) potrà essere aumentato discrezionalmente e unilateralmente da parte dello Stato per far fronte ad eventuali eccezionali esigenze di finanza pubblica, nella misura massima del 10 per cento; d) per aumenti oltre tale limite sarà necessaria nuova intesa.
  L'accordo siglato invece con la Regione Friuli Venezia Giulia è sostanzialmente finalizzato a definire i contributi alla sostenibilità del debito pubblico a carico della Regione e degli enti locali del suo territorio.
  Sempre secondo quanto si legge nel documento depositato dal professor Longobardi, rispetto a quello siglato con la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e Bolzano, si tratta di un accordo di minore portata, almeno per due motivi: è temporalmente limitato; non prevede la transizione al criterio del pareggio di bilancio.
  Sugli effetti degli accordi, la professoressa Lapecorella ha messo in evidenza le singole esperienze regionali.
  Con riferimento all'esperienza della Regione Trentino Alto Adige e delle Province autonome ha osservato che, in particolare a seguito dell'accordo del 2014, le Province autonome si vedono riconosciuta una particolare libertà di manovra, per cui possono anche concedere con legge incentivi, contributi, agevolazioni, sovvenzioni e benefici di qualsiasi genere, da utilizzare in compensazione con il modello F24, naturalmente nel rispetto delle norme dell'Unione europea sugli aiuti di Stato (come pure consentito alla Regione Friuli Venezia Giulia).Pag. 265
  Le modifiche allo statuto della Regione Friuli Venezia Giulia consentono di istituire nuovi tributi locali nelle materie di competenza della Regione; consentono altresì, limitatamente ai tributi erariali per i quali lo Stato ne prevede la possibilità, di modificare le aliquote, in riduzione, oltre i limiti previsti, e in aumento, entro il livello massimo di imposizione stabilito dalla normativa statale, nonché di prevedere esenzioni dal pagamento, introdurre detrazioni di imposta e deduzioni dalla base imponibile. I poteri impositivi attribuiti dallo statuto di autonomia sono stati delineati analiticamente dal decreto legislativo n. 129 del 2014, recante «Norme di attuazione concernenti l'articolo 51, comma 4, dello statuto speciale della Regione Friuli Venezia Giulia in materia di tributi erariali».
  Le stesse prerogative statutarie in materia di modificazione delle aliquote di tributi erariali (nei limiti di quanto consentito dalle norme statali) e di esenzioni dal pagamento, deduzioni e detrazioni, concesse dapprima alla Regione Trentino-Alto Adige e poi alla Regione Friuli Venezia Giulia, sono state riconosciute anche alla Regione Sardegna ed alla Regione Valle D'Aosta, che in alcuni casi è destinataria del 100 per cento dei tributi erariali (con riferimento all'esperienza della Regione Valle d'Aosta un elemento di criticità è sorto dopo l'emanazione del d. lgs. n. 12/2011 «Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Valle d'Aosta/Vallèe d'Aoste recanti modifiche alla legge 26 novembre 1981, n. 690, recante revisione dell'ordinamento finanziario della Regione, in materia di quantificazione delle accise di spettanza regionale»).
  Nel caso della Sicilia, invece, il disegno tratteggiato nello statuto è rimasto incompiuto ed è stato anzi sostituito da un sistema finanziario sostanzialmente basato sulla devoluzione alla Regione del gettito di tributi erariali riscossi nel suo territorio. Rimane pertanto l'annosa questione del criterio del «riscosso», che ai fini del rispetto del criterio di territorialità delle entrate, prevede che il gettito sia riferito al territorio in cui avviene l'effettivo versamento dell'imposta; secondo la professoressa Lapecorella, occorrerebbe riflettere sull'opportunità di una modifica statutaria – come già avvenuto per la Sardegna e il Trentino-Alto Adige – predisponendo una norma con la quale si identifichi in maniera certa il criterio generale del gettito «maturato», espressione della capacità fiscale che si manifesta nel territorio della Regione, in luogo del criterio del «riscosso» (nel sistema finanziario siciliano, l'unica eccezione al criterio generale del «riscosso», è rappresentata dall'attribuzione del gettito delle imposte sui redditi prodotte dalle imprese industriali e commerciali, aventi sede fuori dal territorio regionale, in misura corrispondente alla quota riferibile agli impianti e agli stabilimenti ubicati nello stesso).
  Complessivamente, analizzando le esperienze delle singole Regioni speciali, ha però concluso che si registra un rafforzamento dell'autonomia finanziaria.
  L'importanza degli Accordi, come strumento di concertazione tra Stato e Regioni, è stata sottolineata da tutti i relatori.
  Il consigliere Chiappinelli ha rilevato che la forma pattizia sperimentata negli ultimi anni si è rivelata efficace e ha anche comportato un effetto deflattivo del contenzioso costituzionale. Ripercorrendo, sinteticamente, il processo di attuazione dello statuto di autonomia Pag. 266della Regione Friuli Venezia Giulia ha messo altresì in evidenza che siffatta procedura di modifica statutaria è stata ampiamente utilizzata proprio in ragione della tempestività che assicura nell'adeguamento delle esigenze finanziarie del livello nazionale con quelle del livello regionale.
  Nello stesso senso, il consigliere Chieppa ha valutato positivamente l'esperienza della recente stagione degli accordi, che ha dimostrato come il bilateralismo nei rapporti tra Stato e autonomie speciali porti buoni frutti: in particolare, ha rilevato che gli Accordi hanno assicurato una certezza delle risorse su cui poter contare e delle risorse da destinare alla compartecipazione al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, e una serie di possibilità differenziate, tra cui il credito e la possibilità di prevedere crediti di imposta: una serie di possibilità sicuramente interessanti.
  Il dott. Bilardo ha sottolineato che si tratta di uno strumento particolarmente importante, soprattutto in considerazione del fatto che ha consentito rapidamente interventi anche sul sistema delle Regioni speciali in un periodo difficile, caratterizzato da una particolare scarsità di risorse pubbliche che ha interessato l'ultima fase della finanza pubblica creando non poche situazioni di conflittualità.
  Più precisamente, ha ricordato che «si tratta di accordi importanti perché hanno toccato punti fondamentali del percorso della finanza territoriale nel nostro Paese, tra cui: a) la definizione del concorso finanziario delle autonomie speciali alla finanza pubblica; b) l'impegno delle Regioni ad assumere come regola incontestabile il pareggio di bilancio come definito dalla legge n. 243 del 2012, attuativa del nuovo articolo 81 della Costituzione; c) l'impegno delle Regioni ad acquisire nei propri territori – quindi con riferimento ai propri bilanci ma anche con riferimento ai bilanci di tutti gli enti locali del proprio territorio – le nuove regole di contabilità degli enti territoriali introdotte dal decreto legislativo n. 118 del 2011.».
  Ha altresì evidenziato che «il concorso sulle manovre, che ha costituito l'elemento più conflittuale in questi anni, ha collaborato a dare certezza sia per quanto riguarda la finanza pubblica nel suo complesso, sia per quanto riguarda la singola autonomia speciale. Si tratta di un contributo consistente: nel 2015, cumulati dai vari provvedimenti che si sono succeduti dal 2010, si registrano 3,2 miliardi in termini di saldo netto da finanziare, con riferimento a risorse che dai bilanci delle autonomie speciali vengono acquisite dalla finanza pubblica, e oltre 6 miliardi per quanto riguarda l'indebitamento netto, inteso come riduzione della capacità di spesa delle autonomie speciali per il perseguimento degli obiettivi indicati dall'Unione europea.». Infine, ha messo in evidenza come tali importi, benché consistenti, non abbiano pregiudicato il livello delle funzioni esercitate, ma in alcuni casi abbiano invece riequilibrato situazioni di eccesso di risorse statutariamente spettanti.
  Pertanto, sebbene non sempre vi è stato il trasferimento delle funzioni delegate, gli accordi hanno comunque consentito di ottenere un importante contributo delle Regioni speciali in termini di concorso al risanamento della finanza pubblica, temperando il sovradimensionamento delle risorse finanziarie a disposizione delle autonomie in forza di ciascuna specialità.Pag. 267
  In definitiva, dai contributi emerge che gli accordi costituiscono nuove vie, ulteriori rispetto a quelle ordinamentali, che hanno consentito di convenire un nuovo assetto dei rapporti finanziari e consentire il superamento dell'attuale fase del contenzioso, garantendo l'autonomia finanziaria degli enti territoriali e l'esigenza statale di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica (Cfr. Bilardo).
  Alla luce dell'esperienza degli ultimi anni, la definizione bilaterale delle misure da assumere per gli obiettivi di coordinamento della finanza pubblica si è realizzata attraverso leggi ordinarie, rinforzate dalle previe intese, che hanno modificato come sopra illustrato anche le disposizioni statutarie in materia di ordinamento finanziario.
  Come meglio si vedrà oltre, è ora possibile applicare le manovre finanziarie anche al sistema delle autonomie.

4.5. Il ricorso agli strumenti pattizi e la riduzione del contenzioso costituzionale: quadro generale, esperienze regionali e cogenza del principio pattizio nella definizione delle modalità del concorso delle Regioni speciali e delle Province autonome al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.

  La materia dei rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali ha impegnato molto la giurisprudenza costituzionale, soprattutto con riferimento ai principi di coordinamento della finanza pubblica.
  Negli ultimi anni si sono susseguiti diversi interventi statali destinati ad incidere significativamente sull'autonomia finanziaria regionale.
  Le Regioni speciali hanno sollecitato più volte la Corte costituzionale per una verifica della effettiva possibilità di applicazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica e delle clausole di salvaguardia previste da singole specifiche normative.
  La Corte, in estrema sintesi, ha ritenuto che anche le Regioni speciali devono modificare la propria autonomia finanziaria in coerenza con i nuovi principi dell'articolo 119 della Costituzione; ha affermato altresì, come rilevato dal consigliere Falcucci, che le autonomie speciali non possono essere affrancate dal principio del coordinamento della finanza pubblica e che sono sottoposte, al pari degli altri soggetti istituzionali, alle regole della Costituzione economica del nostro Paese.
  Sul punto, la Ragioneria generale dello Stato ha rilevato che l'aspetto di maggiore rilevanza nell'ambito dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie speciali è la questione del coordinamento finanziario.
  Nello stesso senso, il Presidente Iacop, rispondendo al quesito sulle principali ragioni del contenzioso costituzionale, ha osservato che la competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica ha consentito allo Stato, insieme alle materie cc.dd. trasversali, di legiferare in ambiti materiali di spettanza regionale in base allo statuto, e al Governo di intervenire in modo frequente sulle norme regionali in termini invasivi. Segnatamente, ha messo in evidenza che il tasso di conflittualità davanti alla Corte costituzionale si è concentrato soprattutto sul tema del coordinamento della finanza pubblica.Pag. 268
  Il dott. Bilardo ha precisato che, proprio per la centralità del tema, la Ragioneria generale ha chiesto che il coordinamento della finanza pubblica, insieme all'armonizzazione dei bilanci pubblici, potessero essere riqualificati come competenza esclusiva statale, nell'ambito del disegno di legge di riforma della Costituzione.
  Sul punto ha ricordato che la Corte ha altresì affermato che la finanza delle Regioni speciali è parte della «finanza pubblica allargata» nei cui riguardi lo Stato ha poteri di disciplina generale e di coordinamento, nell'esercizio dei quali può chiamare pure tali autonomie a concorrere al conseguimento degli obiettivi complessivi di finanza pubblica, connessi anche ai vincoli europei (sentenza n. 425 del 2004). Ancora, ha riportato che in proposito la Corte afferma che la specificità di talune prescrizioni legislative statali non esclude il carattere di principio, qualora essa risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione (sentenza n. 430 del 2007).
  Come già ricordato, il problema è stato ridimensionato per effetto della positiva esperienza degli Accordi bilaterali tra lo Stato e le singole Regioni speciali, che hanno consentito di trovare soluzioni condivise sul difficile terreno dell'autonomia finanziaria.
  In materia finanziaria, la tendenza affermatasi negli ultimi anni è infatti quella del costante ricorso all'emanazione di una legge statale preceduta da una fase concertativa; in un quadro di finanza pubblica deteriorato, ciò è dovuto all'esigenza di dare risposte tempestive alle pressanti istanze di coordinamento finanziario ai fini del consolidamento dei conti pubblici e del rispetto dei vincoli comunitari.
  L'adozione di norme statali previo accordo, in quanto fondata su strumenti condivisi, ha comportato un effetto deflattivo del contenzioso costituzionale.
  In corso di audizione è stato infatti ricordato – tra gli altri dal dott. Bilardo – che a seguito del raggiungimento di tali intese, che in alcuni casi hanno comportato anche la modifica degli statuti di autonomia, talune Regioni hanno rinunciato ai ricorsi proposti (sentenze nn. 19, 46 e 65 del 2015).
  Occorre però fermare l'attenzione sulla cogenza del sistema pattizio e, in particolare, sulla possibilità di interventi unilaterali dello Stato per determinare il concorso del sistema delle autonomie speciali agli obiettivi di finanza pubblica.
  Il tema è stato affrontato dalla Corte costituzionale con alcune recenti sentenze: si tratta, in particolare, delle sentenze nn. 19 e 46 del 2015; per un approfondimento si rinvia al documento depositato dal prof. Antonini.
  In questa sede rileva evidenziare che la Corte, mutando in parte il precedente orientamento, ha affermato con chiarezza che il concorso delle Regioni a statuto speciale rientra nella manovra finanziaria che lo Stato italiano è tenuto ad adottare per conseguire il rispetto dei vincoli di bilancio concordati a livello europeo; pertanto, secondo la Corte, «la determinazione unilaterale preventiva appare funzionale alla manovra e, in quanto tale, conforme alla Costituzione» (sentenza n. 19/2015).
  Successivamente, con la sentenza n. 46 del 2015, intervenendo con riferimento ad alcune disposizioni della legge di stabilità per il 2013 Pag. 269(legge n. 228 del 2012), che disciplinavano le sanzioni connesse all'inosservanza del patto di stabilità interno, ha affermato che «è vero che merita di essere privilegiata la via dell'accordo (sentenza n. 353 del 2004), con la quale si esprime un principio generale, desumibile anche dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione» (sentenze n. 193 e n. 118 del 2012), ma è anche vero che in casi particolari può essere derogato dal legislatore statale (sentenze n. 23 del 2014 e n. 193 del 2012)»; secondo la Corte, «... i margini costituzionalmente tutelati dell'autonomia finanziaria e organizzativa della Regione si riducono quando essa ha trasgredito agli obblighi legittimamente imposti dalla legislazione dello Stato, al fine di garantire la tenuta della finanza pubblica allargata».
  Si tratta di pronunce particolarmente rilevanti, come sottolineato da tutti i relatori che hanno esaminato gli aspetti finanziari.
  Il Professor Antonini, illustrando il contenuto di tali sentenze, alla luce della precedente giurisprudenza costituzionale, ha evidenziato i seguenti aspetti particolarmente significativi: «i principi di coordinamento si applicano anche alle Regioni speciali»; «la via dell'accordo merita di essere privilegiata, ma vi si può derogare»; «i margini dell'autonomia regionale si riducono se ha trasgredito a obblighi imposti legittimamente dal legislatore statale in nome della finanza pubblica».
  Ne deriva che, sebbene gli accordi si siano rivelati uno strumento utile per disciplinare le relazioni finanziarie intergovernative, e sebbene gli Statuti di autonomia prevedano comunque un'intesa per gli interventi in materia finanziaria, il regime di specialità non impedisce interventi unilaterali statali, se finalizzati al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica funzionali al rispetto dei vincoli di bilancio previsti o concordati in ambito europeo.

4.6. Le soluzioni possibili per rendere più chiari e certi i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali: le questioni aperte con riguardo alle singole Regioni speciali.

  I contributi offerti dagli esperti e dai rappresentanti istituzionali propongono diversi interventi per la correzione delle principali criticità individuate nell'ambito dell'indagine conoscitiva.
  Il primo tema riguarda l'esigenza di armonizzazione degli Statuti regionali e delle norme di attuazione.
  Complessivamente, i risultati dell'indagine confermano che lo stato attuale dell'autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, e delle competenze da esse esercitate, è il risultato di un percorso differenziato per ciascuna di esse (Prof. Tria).
  L'articolata disamina delle regole di finanziamento e di spesa che governano i rapporti fra lo Stato e le autonomie speciali (per cui si rinvia in particolare alla relazione depositata agli atti dell'indagine conoscitiva dal dott. Bilardo), ha messo in evidenza che appare fondato parlare di sei diversi regimi speciali.
  La professoressa Lapecorella, sulla base dei dati illustrati nell'ambito della articolata ed efficace ricostruzione del sistema di finanziamento Pag. 270delle Regioni speciali, per superare tale criticità, ha messo in evidenza la necessità di promuovere un processo di armonizzazione, anche terminologico, delle norme statutarie e delle norme di attuazione dei singoli statuti.
  Asimmetrie e disomogeneità, in particolare con riferimento all'acquisizione delle entrate, alla correlata capacità di spesa, alle funzioni esercitate ed ai regimi contabili sono state rilevate anche dal rappresentante della Sezione di controllo sulle autonomie della Corte dei conti, che ha rilevato l'opportunità di procedere alla definizione di un quadro unitario di principi fondamentali e di criteri generali per tutte le autonomie speciali che, nel rispetto dei principi costituzionali di tutela delle minoranze, di pari opportunità, di non discriminazione, di perequazione, di solidarietà e di salvaguardia dei livelli essenziali dei diritti civili e sociali, assicuri una stretta correlazione tra risorse finanziarie e funzioni svolte da ogni singola Regione nel rispetto degli impegni derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea.
  L'obiettivo, ancora secondo il consigliere Falcucci, dovrebbe essere di delineare un modello in cui le differenziazioni siano riferiti ad ambiti di funzioni esercitate e non basarsi su meccanismi di mero ordine fiscale sganciati da ogni riferimento a misure oggettive di fabbisogni, in coerenza con i principi affermati dalla Corte costituzionale anche nella sentenza n. 19 del 2015; sollecitato dal dibattito, ha precisato inoltre che la misura della specialità è data dalla diversa ripartizione di competenze, ma deve sempre essere agganciata ad un'analisi dei costi. Pertanto, va benissimo che ci sia una differenziazione e attribuzioni diverse, ma sempre sul presupposto che ci sia un raccordo tra competenza e costo, stante l'esigenza del rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio previsto in Costituzione.
  Nello stesso senso, il presidente Chiappinelli ha ribadito che l'area delle autonomie speciali registra ancora un quadro di asimmetria in termini di rappresentazione contabile; per una più adeguata rappresentazione contabile, pur permanendo le ragioni dell'autonomia differenziata, ha affermato che potrebbe essere rilevante una considerazione del modello di funzioni conferite, in considerazione delle finalità da assegnare in via esclusiva alle Regioni speciali e, di conseguenza, del modello di finanziamento.
  Il denominatore comune nelle diverse dimensioni e realtà territoriali si individua proprio nello stretto legame tra funzioni, fabbisogni e risorse.
  In tale contesto, ha concluso che rivestono un ruolo essenziale da un lato i percorsi in atto per l'armonizzazione del sistema degli schemi di bilancio di specifica rilevanza nelle autonomie differenziate per i peculiari raccordi tra profili finanziari e ordinamentali, dall'altro il concorso dello stesso sistema dei controlli affidati alla Corte dei conti, in coerenza all'evoluzione della disciplina di contabilità pubblica e delle regole nazionali ed europee.
  Un secondo tema riguarda l'esigenza di individuare criteri di determinazione del gettito da attribuire alle autonomie speciali, in modo da assicurare per quanto possibile certezza per la finanza pubblica e per ciascuna autonomia speciale, nonché l'eliminazione del rischio di duplicazioni di oneri per il bilancio dello Stato.Pag. 271
  Il tema è stato sottolineato con forza dal rappresentante della Sezione di controllo delle autonomie della Corte dei conti, che ha precisato che la Corte ritiene necessaria una riforma per assicurare alle Regioni a statuto speciale, per quanto possibile e nell'ambito del concorso al risanamento del Paese, certezze e stabilità di gettito con riferimento anche alle funzioni intestate agli enti sulla base delle norme di attuazione degli statuti.
  Anche il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha sollecitato una revisione sistematica degli Statuti speciali e delle relative norme di attuazione in materia finanziaria, al fine di consentire l'individuazione di criteri di determinazione del gettito da attribuire alle singole autonomie speciali tali da non comportare il rischio di duplicazioni a carico del bilancio dello Stato, come invece ha ricordato che accade non di rado (sul punto si rinvia al documento depositato agli atti dell'indagine).
  Ancora sul punto, sebbene proprio non strettamente con riferimento alla duplicazione degli oneri statali, la professoressa Lapecorella ha messo in luce il problema del superamento del criterio del «riscosso», rilevando che si tratta di un criterio ormai obsoleto perché elaborato in presenza di un sistema fiscale in evoluzione, per cui il luogo di versamento delle imposte costituiva l'unica informazione disponibile per ricondurre il gettito tributario ad un unico territorio.
  Secondo la professoressa Lapecorella, occorrerebbe riflettere sull'opportunità di una modifica statutaria – come già avvenuto per la Sardegna e il Trentino Alto Adige – predisponendo una norma con la quale si identifichi in maniera certa il criterio generale del gettito «maturato», espressione della capacità fiscale che si manifesta nel territorio della Regione, in luogo del criterio del «riscosso» (nel sistema finanziario siciliano, l'unica eccezione al criterio generale del «riscosso», è rappresentata dall'attribuzione del gettito delle imposte sui redditi prodotte dalle imprese industriali e commerciali, aventi sede fuori dal territorio regionale, in misura corrispondente alla quota riferibile agli impianti e agli stabilimenti ubicati nello stesso).
  Ha sottolineato inoltre che il superamento di tale criterio per la determinazione delle quote di spettanza di ciascuna delle Regioni gioverebbe anche al bilancio dello Stato, con riferimento ai casi in cui norme statutarie attribuiscano le stesse somme a due Regioni distinte: all'una perché spettanti sulla base del diritto di compartecipazione al gettito di tributi «riscossi» all'interno del proprio territorio, all'altra perché spettanti in virtù del diritto di compartecipazione al gettito di tributi erariali «maturati» nel proprio territorio, ancorché riscossi al di fuori di esso (si pensi al caso di un contribuente residente a Trento che versa 100 nella Regione siciliana a titolo di Irpef. Alla Regione siciliana spettano i 9/10 del medesimo gettito, in quanto maturato nel relativo territorio, anche se riscosso fuori. L'assolvimento dell'obbligazione tributaria da parte del contribuente genera un credito di 100 da parte della Regione siciliana e un credito di 90 da parte della Provincia autonoma di Trento: pertanto a fronte di un'entrata di 100, lo Stato dovrebbe corrispondere 190).
  Ha osservato infine che l'armonizzazione degli statuti e delle norme di attuazione potrebbe risolvere tale problema, anche mediante l'inserimento negli statuti di apposite clausole di salvaguardia che Pag. 272assicurino la neutralità finanziaria per il bilancio dello Stato delle disposizioni relative ai criteri di attribuzione del gettito tributario.
  Un ulteriore tema è rappresentato dalla necessità di individuare sedi istituzionali di coordinamento e confronto in materia di rapporti finanziari intergovernativi, nonché quella di evitare duplicazioni e sovrapposizioni tra gli organismi che regolano i rapporti finanziari tra Regioni e governo.
  Tale criticità è stata segnalata in particolare dai professori Antonini e Longobardi.
  Il professor Antonini ha ricordato che il concorso degli enti territoriali alle manovre di finanza pubblica viene deciso nel segreto delle stanze dei ministeri a seguito di confronti tra tecnici, senza alcuna stima delle ricadute sui sistemi territoriali, come peraltro rilevato dalla Corte dei conti nella delibera del 29 dicembre 2014 recante «Relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali», in cui si legge l'auspicio che «futuri interventi di contenimento della spesa assicurino mezzi di copertura finanziaria in grado di salvaguardare il corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni nonché delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali».
  Per superare tale anomalia, ha indicato il potenziamento della Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica, che è stata invece convocata solo una volta nel 2013, e della Commissione tecnica paritetica per il coordinamento della finanza pubblica, anch'essa marginale.
  Ha concluso sottolineando che «sarebbe davvero decisivo ridare dignità istituzionale (e sarebbe opportuno prevederlo a livello costituzionale) a questi due organismi: si potrebbe davvero determinare una svolta sul piano del coordinamento della finanza pubblica, portando il sistema italiano su livelli di quello tedesco, dove questi strumenti sono decisivi per la competitività del sistema, a vantaggio di tutto il sistema, incluso quello delle autonomie speciali».
  Nello stesso senso, il professor Longobardi ha altresì evidenziato la necessità di mettere mano all'insieme di organismi che regolano i rapporti finanziari tra Regioni e Governo, per evitare inutili e defatiganti sovrapposizioni.
  In definitiva, si deve intervenire per rendere più omogenee le regole che disciplinano le relazioni finanziarie tra lo Stato e le autonomie speciali e per favorirne l'adeguamento al mutato contesto dell'ordinamento generale.
  Come evidenziato dal consigliere Chieppa, la sfida a cui sono chiamate le autonomie speciali nel contesto attuale è di sfatare il mito che siano delle sacche di privilegio e di dimostrare di poter offrire a minori costi una migliore qualità dei servizi e delle funzioni trasferite; a tal fine, il consigliere. Chieppa ha osservato che si deve continuare a percorrere la strada di trasferire funzioni statali a fronte della maggiore autonomia finanziaria. Ha precisato però che, a differenza di quanto avvenuto per le Regioni ordinarie, le autonomie speciali devono dimostrare di essere in grado di svolgere meglio dello Stato le funzioni ad esse attribuite, con risparmio per lo Stato e con una gestione più virtuosa ed efficiente.

Pag. 273

4.7. I possibili effetti della riforma costituzionale in corso di discussione sui profili relativi all'autonomia finanziaria delle Regioni speciali e delle Province autonome.

  I risultati dell'indagine conoscitiva hanno chiarito che le autonomie speciali, pur mantenendo la loro autonomia differenziata, sono chiamate a modificare la disciplina della propria potestà finanziaria in coerenza con i principi del nuovo articolo 119 della Costituzione, tenendo conto della giurisprudenza costituzionale.
  Con riferimento al tema dell'adeguamento del sistema delle autonomie speciali al mutato contesto costituzionale, l'indagine conoscitiva ha dedicato specifica attenzione ai possibili effetti della riforma costituzionale in corso di discussione.
  Tutti i contributi hanno evidenziato che il disegno di legge di riforma della seconda parte della Costituzione conferma il sistema della specialità; ancora una volta, l'applicazione alle autonomie differenziate è rinviata a future modifiche degli Statuti speciali.
  Il tratto di particolare novità è la specifica introduzione di un inedito meccanismo pattizio che attribuisce alle Regioni speciali una partecipazione al procedimento di modifica statutaria esteso agli aspetti di carattere finanziario, all'esito del quale potrebbe venire riconfigurato il modello complessivo delle autonomie differenziate, adeguandolo nei contenuti all'evoluzione del regionalismo e coordinandolo con i nuovi principi della Costituzione finanziaria (cfr. audizione del consigliere Petronio).
  Il dottor Bilardo ha osservato che il rinvio alla revisione degli Statuti speciali conferma ulteriormente la necessità di una complessiva revisione e armonizzazione degli Statuti, anche al fine di scongiurare che il potere di coordinamento finanziario statale rimanga inapplicato nei territori delle autonomie speciali.
  Nello stesso senso, il consigliere Chiappinelli ha osservato che la revisione costituzionale, per il particolare modello pattizio che introduce, costituisce un'occasione per una riconfigurazione del modello complessivo delle autonomie differenziate coerentemente all'evoluzione del regionalismo e ai nuovi principi della costituzione finanziaria.
  Ha segnalato però che sarebbe opportuno valorizzare quel tratto fondamentale della specialità riconducibile al bilanciamento tra una maggiore autonomia finanziaria e una maggiore responsabilità, qualificata da un valore aggiunto costituito da una misurabile qualità dell'azione regionale che sia concreta espressione dei benefici traibili dall'autonomia finanziaria, sottolineando che una specialità intesa in tal senso, ovvero espressa dai valori sopra evidenziati, potrebbe rappresentare un punto di riferimento per l'intero regionalismo italiano.
  Sono invece emersi dubbi in ordine all'applicazione concreta della clausola di maggior favore prevista dal testo in discussione.
  Sul punto, il consigliere Graffeo ha evidenziato che la predetta clausola introduce, sostanzialmente, una sorta di potere di veto su modifiche statutarie e finanziarie non favorevoli, con il rischio di rinviare sine die ogni revisione.Pag. 274
  Il professor Antonini ha messo in evidenza con chiarezza il rischio di un eccessivo ampliamento, oltre ogni capacità di tenuta del sistema, del «divario tra autonomie troppo ordinarie (fortemente depotenziate) e troppo speciali (non adeguate)»: considerata la clausola di maggior favore, che rinvia l'adeguamento degli statuti speciali senza un termine certo mantenendo invariati i commi primo e secondo dell'articolo 116 Cost., alle Regioni speciali si continuerebbe infatti ad applicare l'attuale Titolo V della Costituzione, mentre a quelle ordinarie si applicherebbe invece il forte ridimensionamento dei loro poteri imposto dalla riforma.
  Sotto un diverso profilo, ha rilevato che la stessa clausola di supremazia prevista in favore dello Stato, non risulterebbe quasi mai applicabile alle Regioni speciali, ed in particolare alla Sicilia, il cui statuto non prevede un riferimento all'interesse nazionale.
  Di qui un concreto rischio dell'insorgere di inedite questioni interpretative, suscettibili di dar luogo ad un nuovo contenzioso costituzionale dovuto al fatto che una medesima disposizione costituzionale andrà valutata sulla base di un diverso parametro costituzionale a seconda che si riferisca a Regioni ordinarie o a Regioni a statuto speciale.
  Pertanto, rispetto alla modifica costituzionale del 2001, registra una inversione di tendenza del legislatore costituzionale: la mancata considerazione delle Regioni speciali nel disegno di revisione costituzionale rischia di creare una differenza abissale rispetto alle Regioni ordinarie davvero priva di senso e di una qualche ragionevole giustificazione, come già evidenziato in dottrina.
  Nello stesso senso, il consigliere Pajno ha osservato che la clausola di maggior favore, per come strutturata, introduce un sistema molto complicato e confuso, in quanto ad esempio la competenza concorrente continua a permanere per le Regioni a statuto speciale, ma non per le Regioni a statuto ordinario; inoltre, ha sottolineato l'irragionevolezza di un ripensamento del regionalismo nel suo complesso, che non coinvolga, anche per confermarne le ragioni, il regionalismo speciale.
  Ha concluso constatando che, in una situazione di questo genere, tali norme non garantiscono il regionalismo speciale.
  La garanzia, e la giustificazione, della specialità va ricercata in un giusto rapporto tra il regionalismo speciale ed il regionalismo ordinario.
  In particolare, ritiene fondamentale interrogarsi sul problema del rapporto fra regionalismo ordinario e regionalismo a statuto speciale: sul punto, ha osservato che non può esservi antagonismo fra questi due regionalismi, perché un regionalismo speciale senza collegamento con il regionalismo ordinario indebolisce la causa delle Regioni nell'intero sistema.
  Deve essere un rapporto tra regionalismo speciale e interesse generale, cioè le Regioni a statuto speciale devono dimostrare di poter partecipare a una condizione in cui è l'interesse generale che viene in discussione, perché essere Regioni speciali non significa non essere partecipi di una causa comune.
  Ci sono quindi cambiamenti che possono utilmente essere effettuati, però in buona parte la partita delle Regioni speciali è nelle mani Pag. 275degli attori politici e istituzionali, cioè delle Regioni stesse e della parte statale, che intende ugualmente rilanciare questa prospettiva della dimensione regionale.
  Il consigliere Chieppa, intervenendo sul rapporto tra regionalismo ordinario e regionalismo speciale, ha osservato che appare utile mettere in discussione non la specialità nel nuovo contesto costituzionale, ma il problema del corretto utilizzo delle risorse che sono la misura vera della specialità.
  Ancora con riferimento alla riforma costituzionale, la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani ha sottolineato che l'eventuale attuazione della riforma costituzionale sarebbe una occasione per una riforma non solo del Titolo V della Costituzione, ma anche dei rapporti tra le Regioni a statuto speciale ed il Governo; il tutto nella convinzione che la specialità può essere lo strumento per declinare in modo ancora più efficace la possibilità di intervenire su alcune materie, rendendosi indispensabile per lo Stato.
  In tal senso, ha ricordato l'esperienza del Friuli Venezia Giulia che gestisce in modo autonomo e totalmente a carico del bilancio regionale la sanità; se lo strumento della specialità è usato bene, è utile anche per lo Stato.
  Ha osservato però che la riforma pone il problema dell'applicazione alle Regioni speciali, differita ad un momento successivo con un innovativo regime pattizio.
  A suo avviso occorrerà riadattare lo strumento delle Commissioni paritetiche, che certamente si confermeranno strumenti utili per assicurare l'evoluzione ed il miglioramento della specialità.
  In tal senso, ha espresso fiducia sul lavoro avviato dal sottosegretario Bressa, che ha convocato tutte le Regioni speciali per iniziare a ragionare su due fronti: da un lato, la declinazione della natura, forma e metodo del cosiddetto «regime pattizio» e, dall'altro, la riforma della disciplina delle norme di attuazione per renderle più flessibili ed utilizzabili rispetto ai rapporti Stato – Regioni.
  Sollecitata da alcune domande, ha aggiunto che il regime pattizio è certamente utile ed opportuno, perché favorisce un rapporto costante di sistema con il governo per consentire alla Regione di esercitare la specialità.
  Infine, ha sollecitato l'attenzione della Commissione sul tema dell'abolizione delle Province, illustrando l'iniziativa della Regione Friuli Venezia Giulia che ha quasi concluso la riforma degli enti territoriali sostituendo le Province con le cosiddette unioni territoriali di più comuni.
  Il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha poi sottolineato che la clausola di maggior favore è stata richiesta proprio dalle Regioni speciali; ha precisato però, con particolare determinazione, che il termine «salvaguardia» non significa affatto tutela, protezione, privilegio, conservazione, staticità, contrapposizione alle Regioni ordinarie, come se ci fosse una diversità di natura istituzionale tra le Regioni speciali e quelle ordinarie. Va invece inteso come riconoscimento di un assetto ordinamentale dinamicamente variabile e asimmetrico, caratterizzato da territori in competizione Pag. 276virtuosa tra di loro, ma tutti proiettati verso un regionalismo moderno espressione dell'autonomismo e del federalismo multilivello, come delineato dal Trattato di Lisbona.
  In definitiva, ritiene che la necessità dell'intesa per l'adeguamento degli statuti speciali costituisca senza dubbio un'importante garanzia diretta ad evitare modifiche unilaterali da parte del Parlamento.
  Ha osservato tuttavia che non appare chiaro in quale fase del procedimento debba collocarsi l'intesa, quali siano gli organi statali e regionali competenti ad esprimerla, quali effetti possano discendere dalla mancanza dell'intesa e se le intese raggiunte possano vincolare il Parlamento, tenuto conto del rango costituzionale delle leggi di revisione degli statuti speciali, non inferiore alla stessa legge costituzionale che prevede l'intesa.
  Cogliendo lo spunto offerto dalla relazione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie Gianclaudio Bressa, ha anzitutto concordato sull'opportunità di adottare disposizioni che favoriscano l'adeguamento dell'ordinamento delle Regioni speciali all'evoluzione di quello generale.
  A tal fine ha richiamato la dichiarazione di Cagliari delle Regioni speciali, fatta propria anche dalla Conferenza dei presidenti dei Consigli regionali, con cui si sottolinea: «la volontà che l'adeguamento dei rispettivi statuti avvenga, come previsto dalla riforma costituzionale in discussione, secondo le forme di intesa previste, in modo da adeguare e svolgere compiutamente le ragioni della specialità secondo le diversità dei territori interessati, e la loro evoluzione e attualità; l'esigenza di rafforzare il rapporto con lo Stato in materia finanziaria mediante il ricorso a strumenti pattizi; l'impegno per un pieno coinvolgimento in tali procedimenti delle assemblee elettive regionali e delle Province autonome per dare forza al processo di riforma, esprimere con pienezza le istanze delle autonomie, rappresentare i diritti e le aspettative delle popolazioni; la determinazione ad operare al rilancio di tutte le autonomie regionali secondo i più avanzati modelli e principi costituzionali ed europei ed i valori del federalismo solidale e cooperativo e di condividere le richieste delle Regioni ordinarie, in applicazione dei principi di differenziazione e adeguatezza.».
  Sulla base di tali argomentazioni, ha dichiarato di ritenere opportuna l'introduzione di una norma di attuazione che definisca, per ciascuno Statuto, i confini e il perimetro delle rispettive competenze dello Stato e delle Regioni, anche in virtù del fatto che, per la riforma costituzionale, le competenze concorrenti dovrebbero essere eliminate.
  Ha proposto infine di introdurre il referendum regionale confermativo sulle modifiche statutarie.
  Sollecitato dalla domanda del Presidente della Commissione parlamentare per le questioni regionali, ha affermato che il tavolo istituito dal Governo allo scopo di individuare un metodo condiviso dalle cinque Regioni speciali in vista della riforma costituzionale ha natura tecnica: vi partecipano i segretari generali della giunta e del consiglio regionale.Pag. 277
  Ha segnalato invece l'opportunità di convocare rappresentanti dei Consigli regionali, perché sono questi i soggetti titolari dell'intervento sugli statuti e delle proposte di intervento legislativo.
  La Commissione parlamentare, su proposta del Presidente, ha dichiarato di farsi carico di segnalare al Governo ed al Dipartimento per gli affari regionali la necessità di coinvolgere tutti i presidenti delle assemblee elettive, o almeno i vertici di tali assemblee, proprio per consentire che l’iter sia compiuto con il coinvolgimento delle assemblee regionali.
  Con riferimento alla possibile revisione degli Statuti di autonomia, il Presidente della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, Ugo Rossi, si è detto convinto che la modifica degli statuti, senza compromettere il livello di autonomia raggiunto, possa consentire un adattamento ai mutamenti socioeconomici: ha infatti sottolineato che, sebbene sia giusto mantenere i livelli di autonomia, si deve avere una forte responsabilità sotto il profilo della partecipazione al risanamento della finanza pubblica.
  A tal fine ritiene utile il lavoro impostato dal Sottosegretario Bressa finalizzato ad addivenire ad una proceduralizzazione e ad un miglioramento dei meccanismi che portano all'adozione delle norme di attuazione, sottolineando che potrebbe stimolare anche le autonomie speciali che hanno utilizzato meno questo strumento.
  Allo stesso modo, si è detto fiducioso del lavoro in corso per quello che riguarda la clausola di salvaguardia contenuta nel disegno di legge costituzionale relativa all'adeguamento degli statuti delle autonomie speciali da realizzarsi con intesa.
  Nello stesso senso, il Presidente della Giunta provinciale di Bolzano Kompatscher, a proposito della clausola di salvaguardia e della rilevanza del nuovo sistema pattizio per la modifica degli statuti di autonomia, ha sottolineato che l'obiettivo da perseguire deve essere il dinamismo della specialità, sebbene il disegno complessivo della riforma sia centralista, in quanto chi usa bene l'autonomia rende un servizio al sistema Paese.

PARTE SPECIALE

5. REGIONE VALLE D'AOSTA

5.1. I quesiti formulati alle autorità audite.

  1. A suo avviso, è ancora utile insistere sulla necessità di norme di attuazione dello statuto speciale valdostano ?

  2. Come giudica l'esperienza sin qui maturata in relazione all'attuazione delle norme statutarie ? Come giudica il procedimento delineato dall'articolo 48-bis dello statuto finalizzato all'approvazione delle norme di attuazione ?

  3. In che misura può avere influito sulla mancata attuazione la vaghezza di alcune disposizioni degli statuti speciali ? Vi sono, a suo avviso, ragioni politiche della ritardata o mancata attuazione ?

Pag. 278

  4. Nell'esperienza istituzionale da Lei maturata, ritiene che i meccanismi di funzionamento debbano essere rivisti ? ... e le procedure per la nomina e la sostituzione dei componenti ?

  5. Per quanto le risulti, in che modo è assicurato un collegamento tra l'operato della componente regionale all'interno della Commissione paritetica e la Giunta regionale ?

  6. Per quanto le risulti, il Consiglio della Valle ottempera tempestivamente a quanto prescritto dall'articolo 48-bis dello statuto, ai sensi del quale le norme elaborate dalla Commissione paritetica sono sottoposte al parere del Consiglio ?

  7. La mancata attuazione delle disposizioni degli statuti speciali può essere ritenuta una delle cause principali del contenzioso Stato-Regioni speciali ? In particolare, la mancata attuazione delle previsioni statutarie che regolano i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali è, a suo avviso, all'origine dell'incremento della conflittualità tra questi enti, registratosi negli ultimi anni ?

  8. L'articolo 39 del ddl cost. AC 2613-A reca al comma 11 la previsione secondo cui le disposizioni contenute nella legge costituzionale de qua non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino all'adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. Si stabilisce inoltre che «Sino alla revisione dei predetti statuti speciali, resta altresì ferma la disciplina vigente prevista dai suddetti statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione».
  A suo avviso, queste disposizioni, inserite in un quadro di sostanziale ridimensionamento delle competenze delle Regioni a statuto ordinario, potranno contribuire ad una complessiva rivalutazione della specialità regionale e dei decreti di attuazione degli statuti speciali ? ... o porteranno piuttosto ad un ulteriore appiattimento delle autonomie speciali, le quali preferiranno «accontentarsi» di ciò che hanno ?

Quesito rivolto solo al Presidente della Regione e al Presidente del Consiglio regionale.

  9. A tale ultimo proposito, il sottosegretario di Stato agli Affari regionali, on. Gianclaudio Bressa, nell'ambito della sua audizione presso la Commissione lo scorso 20 maggio, ha auspicato l'apertura di un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le cinque Regioni a statuto speciale rispetto al processo di aggiornamento costituzionale dei rispettivi Statuti. In particolare, il confronto si potrebbe concludere con una convenzione tra lo Stato e le Autonomie speciali che tracci le linee procedurali per la revisione degli Statuti anche allo scopo di addivenire alla predisposizione di un disegno di legge costituzionale di revisione che – sul modello della legge costituzionale n. 2 del 2001 – riguardi tutte le Regioni a statuto speciale.
  Qual è la Sua opinione al riguardo ?

Pag. 279

5.2. Sintesi delle audizioni.

5.2.1. L'utilità dello strumento delle norme di attuazione pur in presenza di alcune norme statutarie meritevoli di essere riviste (risposte al quesito 1).

Quesito 1: A suo avviso è ancora utile insistere sulla necessità di norme di attuazione dello statuto speciale valdostano ?

  Per il Presidente Rollandin la funzione delle norme di attuazione, introdotte per la Valle d'Aosta con la riforma statutaria del 1993, è oggi più che mai essenziale per uno sviluppo dinamico dell'autonomia regionale.
  Il Presidente Louvin ha sottolineato l'utilità delle norme di attuazione, oltre che la loro duttilità, che consente di modellare gli ambiti di competenza dello Stato e della Regione a seconda delle esigenze poste dalle situazioni locali e dagli ambiti professionali e territoriali.
  Ad avviso del Presidente Vierin, in un contesto di sincera collaborazione tra lo Stato e la Regione, le norme di attuazione possono costituire un efficace e rapido strumento di lavoro. Secondo Vierin, però, occorre rendere questo dialogo tra Stato e Regione ancora più semplice ed efficace, probabilmente rafforzandone la dimensione politica. Proprio l'impegno politico di parte statale è stato discontinuo ed è spesso mancata la necessaria attenzione da parte dei Governi nazionali, con la conseguenza che talora si è dovuto aspettare molti anni prima che il Consiglio dei ministri approvasse il decreto di attuazione.

5.2.2. La mancata adozione delle norme di attuazione e le cause della incompleta realizzazione del disegno statutario (risposte al quesito 2).

Quesito 2: Come giudica l'esperienza sin qui maturata in relazione all'attuazione delle norme statutarie ? Come giudica il procedimento delineato dall'articolo 48-bis dello Statuto finalizzato all'approvazione delle norme di attuazione ?

  Il Presidente Rollandin ha preliminarmente rilevato che il procedimento per l'approvazione delle norme di attuazione è delineato in termini molto sintetici dallo statuto, che ha il pregio di coinvolgere fattivamente il Consiglio regionale nell'espressione di pareri sulle norme in questione, allargando quindi sensibilmente la base del consenso interno a queste innovazioni legislative. L'esperienza fin qui maturata ha, però, evidenziato anche forti discontinuità di comportamento da parte dei governi in carica rispetto all'adozione degli schemi di norme licenziati dalla Commissione paritetica. In particolare, Rollandin ha stigmatizzato il considerevole ritardo con il quale sono state approvate in via definitiva dal Consiglio dei ministri alcune proposte di rilevante importanza.Pag. 280
  Per queste ragioni Rollandin ha proposto di introdurre un meccanismo che garantisca la rapida chiusura dei procedimenti avviati, attraverso l'obbligo di pronuncia entro un termine prefissato, tanto da parte della Regione, quanto e soprattutto da parte del Consiglio dei ministri, la cui decisione, talvolta, è stata adottata dopo molti anni.

5.2.3. La vaghezza di alcune disposizioni statutarie come causa della loro mancata attuazione (risposte al quesito 3).

Quesito 3: In che misura può avere influito sulla mancata attuazione la vaghezza di alcune disposizioni degli statuti speciali ? Vi sono, a suo avviso, ragioni politiche della ritardata o mancata attuazione ?

  Il Presidente Rollandin ha escluso che la presunta vaghezza di alcune disposizioni statutarie possa aver influito sul grado di attuazione dei medesimi. D'altra parte, le cause della mancata attuazione non sono tanto attribuibili alla politica, quanto a resistenze di natura burocratica, nel senso che spesso sono state le strutture delle amministrazioni a resistere alla devoluzione di competenze, probabilmente per motivi interni.

5.2.4. La composizione e il funzionamento delle Commissioni paritetiche (risposte al quesito 4).

Quesito 4: Nell'esperienza istituzionale da Lei maturata, ritiene che i meccanismi di funzionamento debbano essere rivisti ? ... e le procedure per la nomina e la sostituzione dei componenti ?

  A parere del Presidente Rollandin il lavoro delle Commissioni paritetiche trarrebbe beneficio da un'intesa-quadro fra il Governo statale e la Giunta regionale, che individui un programma, ancorché aperto, sulle tematiche generali d'intervento, evitando l'eccessiva frammentarietà delle questioni trattate.
  Per il Presidente Luovin è importante che, all'interno della Commissione, ci sia un adeguato mix di sensibilità politiche e tecniche. Da questo punto di vista, a suo avviso, andrebbe rafforzata la componente statale. Sul piano del funzionamento della Commissione, Louvin ha sottolineato la necessità che sia prevista la possibilità di ripetere le istruttorie dopo che i testi sono stati approvati dalla Commissione paritetica e dalla Regione o Provincia autonoma e prima che approdino in Consiglio dei ministri.
  Il Presidente Vierin ha rilevato la mancanza, nel procedimento di formazione delle norme di attuazione, di un ruolo attivo e propositivo del Consiglio regionale, che attualmente si limita alla semplice espressione di un parere, oltretutto non vincolante.
  Il Presidente Fino ha ricordato come il lavoro della Commissione paritetica non sia reso pubblico ed ha auspicato che venga potenziata l'attività conoscitiva sui lavori della Commissione da parte dei soggetti interessati e dei cittadini.

Pag. 281

5.2.5. Il rapporto tra Commissione paritetica e Giunta regionale (risposte al quesito 5).

Quesito 5: Per quanto le risulti, in che modo è assicurato un collegamento tra l'operato della componente regionale all'interno della Commissione paritetica e la Giunta regionale ?

  Sul punto il Presidente Rollandin ha precisato che da sempre esiste un legame molto stretto tra l'organo di indirizzo politico regionale e la delegazione tecnica in seno alla Commissione. Questo raccordo ha luogo sia per le vie formali, sia attraverso un intenso e continuo dialogo in ordine ai contenuti delle proposte e soprattutto agli effetti delle norme oggetto di elaborazione. Ad avviso di Rollandin un analogo raccordo non esiste tra i componenti di parte statale e i Ministeri competenti, dal momento che alcune norme di attuazione, licenziate all'unanimità dalla Commissione, sono state poi bloccate dai Ministeri stessi.
  Per il Presidente Louvin la componente statale è spesso sprovvista di adeguate indicazioni su come procedere e risente molto delle valutazioni che vengono fatte in sede tecnica dai vari ministeri.
  Ad avviso del Presidente Vierin il rapporto tra la Giunta e la delegazione regionale della Commissione è stretto ed efficace, perché si esprime in modo diretto, rapido e informale.

5.2.6. Il rapporto tra Commissione paritetica e Consiglio regionale (risposte al quesito 6).

Quesito 6: Per quanto le risulti, il Consiglio regionale valdostano ottempera tempestivamente a quanto prescritto dall'articolo 48-bis dello Statuto, ai sensi del quale le norme elaborate dalla Commissione paritetica sono sottoposte al parere del Consiglio regionale ?

  In proposito il Presidente Rollandin ha riferito che la delegazione regionale è regolarmente audita, a richiesta della competente commissione consiliare, in ordine al suo operato. Ciò si verifica a discrezione dell'organo consiliare, sia per gli aggiornamenti informativi di carattere generale, sia per una puntuale illustrazione degli schemi adottati, prima che gli stessi siano iscritti per il previsto parere all'ordine del giorno del Consiglio. Per Rollandin la tempestività con cui il Consiglio della Valle ha finora proceduto all'emanazione dei pareri di sua competenza è per tutti un esempio.
  Il Presidente Vierin ha precisato che i tempi di espressione del parere da parte del Consiglio regionale sono, di regola, inferiori ai trenta giorni. Ciò è stato possibile grazie all'impegno del Consiglio regionale e alla sinergia di tutte le forze politiche. Vierin ha, altresì, ricordato che i membri della delegazione regionale in seno alla Commissione paritetica vengono di norma auditi dalle commissioni consiliari al momento dell'illustrazione degli atti che si propongono al parere del Consiglio regionale.

Pag. 282

5.2.7. La mancata attuazione delle disposizioni statutarie e il contenzioso con lo Stato, con particolare riguardo ai rapporti finanziari (risposte al quesito 7).

Quesito 7: La mancata attuazione delle disposizioni degli statuti speciali può essere ritenuta una delle cause principali del contenzioso Stato-Regioni speciali ? In particolare, la mancata attuazione delle previsioni statutarie che regolano i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali è, a suo avviso, all'origine dell'incremento della conflittualità tra questi enti, registratosi negli ultimi anni ?

  In proposito il Presidente Rollandin ha osservato che gran parte del contenzioso costituzionale è legato alla definizione degli ambiti di legislazione dello Stato e della Regione, piuttosto che a eventuali carenze della normativa di attuazione. Una riduzione del contenzioso si avrebbe, invece, se fosse consentito alle Commissioni paritetiche di formulare proposte di precisa e articolata delimitazione dei rispettivi ambiti legislativi.

5.2.8. Il futuro della specialità regionale alla luce del progetto di riforma della Costituzione (risposte al quesito 8).

Quesito 8: L'articolo 39 del ddl cost. AC 2613-A reca al comma 11 la previsione secondo cui le disposizioni contenute nella legge costituzionale de qua non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino all'adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. Si stabilisce inoltre che «Sino alla revisione dei predetti statuti speciali, resta altresì ferma la disciplina vigente prevista dai suddetti statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione».
  A suo avviso, queste disposizioni, inserite in un quadro di sostanziale ridimensionamento delle competenze delle Regioni a statuto ordinario, potranno contribuire ad una complessiva rivalutazione della specialità regionale e dei decreti di attuazione degli statuti speciali ? ... o porteranno piuttosto ad un ulteriore appiattimento delle autonomie speciali, le quali preferiranno «accontentarsi» di ciò che hanno ?

  Per il Presidente Rollandin l'enunciazione in Costituzione della necessità di una previa intesa per l'adeguamento degli statuti speciali rappresenta uno snodo fondamentale per la rivalutazione del nostro sistema di autonomia differenziata. Al riguardo, Rollandin ha ipotizzato che l'adeguamento degli statuti speciali possa essere reso «allettante» da un atteggiamento più aperto dello Stato, che potrebbe accordare alle Regioni speciali virtuose maggiori spazi di autonomia, in termini di gestione delle competenze e delle relative risorse per farvi fronte.
  Il Presidente Vierin ha richiamato l'attenzione sulla necessità di assicurare un coinvolgimento democratico diretto nel processo di riforma statutaria, anche tramite una consultazione popolare a livello regionale.

Pag. 283

5.2.9. La proposta di costituire un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le Regioni speciali al fine di concordare le linee procedurali comuni per la revisione degli statuti (risposte al quesito 9, rivolto solo al Presidente della Regione e al Presidente del Consiglio regionale).

Quesito 9: A tale ultimo proposito, il sottosegretario di Stato agli Affari regionali, on. Gianclaudio Bressa, nell'ambito della sua audizione presso la Commissione lo scorso 20 maggio, ha auspicato l'apertura di un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le cinque Regioni a statuto speciale rispetto al processo di aggiornamento costituzionale dei rispettivi Statuti. In particolare, il confronto si potrebbe concludere con una convenzione tra lo Stato e le Autonomie speciali che tracci le linee procedurali per la revisione degli Statuti anche allo scopo di addivenire alla predisposizione di un disegno di legge costituzionale di revisione che – sul modello della legge costituzionale n. 2 del 2001 – riguardi tutte le Regioni a statuto speciale.
  Qual è la Sua opinione al riguardo ?

  Il Presidente Rollandin ha affermato che se lo spirito della proposta avanzata dal Governo è quello di individuare in questa fase soltanto modalità procedurali omogenee, la proposta merita sicuramente di essere approfondita e discussa. In ogni caso, per Rolladin l'iniziativa non può portare a una omologazione delle soluzioni concrete rispetto alle diverse Regioni, perché l'esperienza degli ultimi decenni ha messo in evidenza forti e spesso giustificate asimmetrie interne tra le stesse Regioni speciali.
  Il Presidente Vierin ha invitato alla prudenza per evitare di incorrere negli errori del passato.

6. REGIONE FRIULI VENEZIA-GIULIA

6.1. I quesiti formulati alle autorità audite.

Quesito 1: A suo avviso, è ancora utile insistere sulla necessità di norme di attuazione dello Statuto speciale del Friuli Venezia Giulia ?

Quesito 2. Come giudica l'esperienza sin qui maturata in relazione all'attuazione delle norme statutarie ? A tale riguardo, l'articolo 65 dello Statuto assegna alla Commissione paritetica funzioni meramente consultive. In concreto, la Commissione come esercita il suo ruolo nel procedimento di attuazione delle norme statutarie ?

Quesito 3. Nell'esperienza istituzionale da Lei maturata, ritiene che i meccanismi di funzionamento della Commissione paritetica debbano essere rivisti ? ... e le procedure per la nomina e la sostituzione dei componenti ?

Pag. 284

Quesito 4. Per quanto le risulti, in che modo è assicurato un collegamento tra l'operato della componente regionale all'interno della Commissione paritetica e la Giunta regionale ?

Quesito 5. In assenza di una norma statutaria che disponga al riguardo, in che modo è inoltre assicurato un collegamento tra i lavori della Commissione paritetica e quelli del Consiglio regionale ?

Quesito 6. In che misura può avere influito sulla mancata attuazione la vaghezza di alcune disposizioni degli statuti speciali ? Vi sono, a suo avviso, ragioni politiche della ritardata o mancata attuazione ?

Quesito 7. La mancata attuazione delle disposizioni degli statuti speciali può essere ritenuta una delle cause principali del contenzioso Stato-Regioni speciali ? In particolare, la mancata attuazione delle previsioni statutarie che regolano i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali è, a suo avviso, all'origine dell'incremento della conflittualità tra questi enti, registratosi negli ultimi anni ?

Quesito 8. L'articolo 39 del ddl cost. AC 2613-A reca al comma 11 la previsione secondo cui le disposizioni contenute nella legge costituzionale de qua non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino all'adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. Si stabilisce inoltre che «Sino alla revisione dei predetti statuti speciali, resta altresì ferma la disciplina vigente prevista dai suddetti statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione».
  A suo avviso, queste disposizioni, inserite in un quadro di sostanziale ridimensionamento delle competenze delle Regioni a statuto ordinario, potranno contribuire ad una complessiva rivalutazione della specialità regionale e dei decreti di attuazione degli statuti speciali ? ... o porteranno piuttosto ad un ulteriore appiattimento delle autonomie speciali, le quali preferiranno «accontentarsi» di ciò che hanno ?

Quesito rivolto solo alla Presidente della Regione e al Presidente del Consiglio regionale.

Quesito 9. A tale ultimo proposito, il sottosegretario di Stato agli Affari regionali, on. Gianclaudio Bressa, nell'ambito della sua audizione presso la Commissione lo scorso 20 maggio, ha auspicato l'apertura di un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le cinque Regioni a statuto speciale rispetto al processo di aggiornamento costituzionale dei rispettivi Statuti. In particolare, il confronto si potrebbe concludere con una convenzione tra lo Stato e le Autonomie speciali che tracci le linee procedurali per la revisione degli Statuti anche allo scopo di addivenire alla predisposizione di un disegno di legge costituzionale di revisione che – sul modello della legge costituzionale n. 2 del 2001 – riguardi tutte le Regioni a statuto speciale.
  Qual è la Sua opinione al riguardo ?

Pag. 285

6.1.1. Sullo stato di attuazione dello Statuto regionale e sulla attuale necessità di norme di attuazione.

  La Presidente Serracchiani ha evidenziato che la Regione per quanto riguarda le norme di attuazione ha raggiunto risultati positivi, in particolare negli ultimi anni grazie ad un buon rapporto di collaborazione con la Commissione paritetica.
  Circa le criticità, ha evidenziato che, pur essendo prevista una serie di norme di attuazione che avrebbero dovuto specificare la natura anche di alcune norme dello statuto speciale, in realtà queste norme di attuazione non sono mai state approvate e non sono mai andate nella fase concreta di attuazione.
  Ritiene che si tratti del limite più grande, perché molte delle cose che in qualche modo sarebbero consentite a questo tipo di specialità oggettivamente in questo momento non sono praticamente utilizzabili, semplicemente perché mancano le norme di attuazione.
  Tuttavia ha evidenziato che negli ultimi anni si sono raggiunti importanti risultati con riferimento alle norme legate alla cosiddetta fiscalità di vantaggio.
  Il Presidente Iacop, con riferimento al quesito sul grado di attuazione dello statuto speciale di autonomia, ha riferito che esso ha avuto un grado di attuazione soddisfacente, attraverso un corpus di norme di attuazione contenute in più di quaranta decreti legislativi, e della successiva legislazione regionale di disciplina dell'esercizio delle funzioni trasferite.
  Ha concluso quindi che per la Regione Friuli Venezia Giulia non può parlarsi di mancata attuazione dello statuto.
  È mancato invece l'adeguamento dello Statuto alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, che ha determinato un grado di incertezza dei criteri di riparto delle funzioni tra Stato e Regione; è mancata altresì l'attuazione della riforma costituzionale con riferimento ad alcune materie attribuite alla competenza legislativa regionale, estesa alle Regioni speciali per effetto della clausola di maggior favore, per le difficoltà di concordare il trasferimento delle risorse finanziarie e di personale.
  Infine, ha segnalato la difficoltà della disciplina attuativa in tema di rapporti internazionali, che la Regione ritiene un tratto peculiare della propria specialità per la sua collocazione geo-politica, dovuta a ostacoli di carattere politico.
  Sul punto, richiamando i recenti accordi tra lo Stato e la Regione, ha conclusivamente affermato che ciò che sembra decisivo è la sintonia politica tra il governo centrale e quello regionale, che facilita indubbiamente l'azione delle Commissioni paritetiche e la conclusione degli accordi.
  Per una ricostruzione del processo di attuazione dello statuto di autonomia della Regione Friuli Venezia Giulia si rinvia al documento depositato dal consigliere Chiappinelli, che tra l'altro, con specifico riferimento alla materia finanziaria, mette in evidenza l'efficacia della forma pattizia utilizzata negli ultimi anni proprio in ragione della tempestività che assicura nell'adeguamento delle esigenze finanziarie del livello nazionale con quello regionale.Pag. 286
  Da ultimo, come ricordato dal dott. Bilardo, l'accordo tra lo Stato e la Regione del 2014, che ha disposto la revisione del Protocollo d'intesa sottoscritto in data 29 ottobre 2010, ha regolato le controversie e i rapporti finanziari pendenti ed ha, inoltre, definito i rapporti finanziari per gli anni dal 2014 al 2017, nel reciproco interesse di stabilità e certezza della programmazione finanziaria.

6.1.2. Sul ruolo esercitato in concreto dalla Commissione paritetica e sul coordinamento con Giunta e Consiglio.

  Sul punto, la Presidente Serracchiani ha osservato che, con riferimento all'esperienza della Regione Friuli Venezia Giulia, la Commissione paritetica continua ad essere uno strumento assolutamente ben utilizzato ed utile: ha evidenziato infatti che ha consentito di sciogliere nodi tra Governo e Regione, soprattutto nell'interpretazione della riforma del Titolo V, dal 2001 in poi, in particolare per quanto riguarda la potestà concorrente.
  Con riferimento alla composizione ed al funzionamento della Commissione paritetica, ha osservato che il sistema dei raccordi con la Giunta e con il Consiglio è efficace: i membri di nomina regionale hanno un rapporto costante di comunicazione con il Consiglio, che fornisce le linee di indirizzo dapprima al momento dell'insediamento della Commissione e poi annualmente.
  Il presidente Iacop ha osservato che nel caso della Regione Friuli Venezia Giulia per la Commissione paritetica è previsto una funzione meramente consultiva; tuttavia, nell'esperienza applicativa il procedimento di formazione delle norme di attuazione dello statuto ha assunto natura consensuale, con un ruolo determinante della Commissione paritetica, che si è confermata sede di elaborazione e condivisione delle scelte politico-normative.
  Operativamente, l'agenda della Commissione paritetica è determinata per lo più da accordi politici tra l'esecutivo regionale e quello statale, che si concretizzano in articoli elaborati dagli uffici regionali e, più raramente, ministeriali, sottoposti poi all'esame della Commissione.
  Pertanto, ha evidenziato che la concreta efficacia dell'attività della Commissione è sensibilmente influenzata dalla volontà politica delle due parti e, in particolare, da quella del Governo nazionale, nella cui disponibilità discrezionale rimane la responsabilità di adottare o meno l'atto finale del procedimento.
  Per risolvere il problema dell'incertezza dei tempi di esame degli atti, suggerisce di introdurre regole procedurali più dettagliate che disciplinino l'iniziativa e i tempi della fase istruttoria, cui potrebbe aggiungersi anche una disciplina della nomina dei componenti della Commissione e del funzionamento della stessa.
  Rileva infatti che, nell'alternanza dei governi nazionali e nella sintonia delle maggioranze o dei governi regionali, si verifica spesso una «sfasatura» della nomina dei componenti e quindi nella impossibilità per la Commissione paritetica di funzionare per la mancanza o per la dilazione dei tempi della nomina dei componenti della Commissione stessa.Pag. 287
  Ha precisato che a suo avviso la fonte più efficace per introdurre tale disciplina potrebbe essere individuata, a seguito di una modifica statutaria, in una legge ordinaria rinforzata.
  Sul tema dei rapporti tra la Commissione paritetica e gli organi regionali, in particolare Giunta e Consiglio, ha riferito che, in base alla prassi seguita sino ad ora, la Giunta regionale, anche secondo vari indirizzi del Consiglio regionale, esercita l'iniziativa o valuta le proposte del Governo, fornendo supporto istruttorio ai membri di nomina regionale che si relazionano anche con i ministeri; per espressa previsione statutaria, il Presidente della Regione informa periodicamente il Consiglio sull'attività svolta dalla Commissione paritetica.
  La Commissione paritetica trasmette inoltre periodicamente al Presidente del Consiglio regionale gli ordini del giorno della Commissione, preventivamente allo svolgimento dei lavori della seduta della Commissione stessa.
  Il Presidente del consiglio, con cadenza semestrale, invita i componenti della Commissione paritetica di nomina consiliare e il presidente della Regione a riferire sulle attività svolte e sullo stato di attuazione delle linee di indirizzo formulate dal Consiglio medesimo.
  Il dottor Strizzolo, riportando la sua esperienza maturata in seno alla Commissione paritetica, ha premesso che la Commissione da lui presieduta opera in un clima di assoluta collaborazione tra i membri di designazione governativa e quelli di designazione regionale, peraltro espressione sia del mondo scientifico, sia del mondo politico-istituzionale.
  Con riferimento al funzionamento, ha illustrato le modalità di raccordo tra la Commissione ed il Consiglio regionale e tra la Commissione e la Giunta: nell'esperienza della Regione Friuli Venezia Giulia, la Commissione paritetica opera sulla base di indirizzi che vengono approvati dal Consiglio regionale, in una seduta specifica nella quale si dà una sorta di mandato politico-istituzionale, in particolare ai rappresentanti regionali nella Commissione; inoltre, periodicamente, la Commissione deve riferire al Consiglio sull'attività svolta. I rapporti con la giunta sono ancora più stretti, perché la formazione delle bozze di norme di attuazione deriva prevalentemente da una iniziativa della Regione, sulla base di protocolli di intesa definiti tra la Regione e lo Stato.
  Quindi, il raccordo è piuttosto stretto.
  Ha rilevato invece particolari difficoltà con riferimento alla fase di acquisizione dei pareri dei ministeri; si tratta di un problema particolarmente avvertito, già evidenziato nel corso delle audizioni.

7. REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE / PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO / PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO.

7.1. I quesiti formulati alle autorità audite.

  1. A suo avviso, è ancora utile insistere sulla necessità di norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino Alto Adige ?

Pag. 288

  2. Come giudica l'esperienza sin qui maturata in relazione all'attuazione delle norme statutarie ? Come si è atteggiato nella prassi il procedimento finalizzato all'approvazione delle norme di attuazione ?

  3. Le Province autonome sono gli enti ad autonomia differenziata che hanno manifestato la migliore capacità negoziale con lo Stato, beneficiando di un numero di norme di attuazione assai maggiore rispetto a quello delle altre Regioni a statuto speciale. Quali sono a suo avviso le ragioni che hanno consentito ai meccanismi delineati dallo Statuto di funzionare così virtuosamente ? In particolare, le Commissioni paritetiche della Sua Regione, rispetto alle altre, vedono una prevalenza di politici piuttosto che di docenti universitari come accade invece nelle altre Regioni. Pensa che questo dato possa aver influito positivamente sulla capacità negoziale delle Commissioni ?

  4. Nell'esperienza istituzionale da Lei maturata, ritiene comunque che, nonostante gli ottimi risultati raggiunti, i meccanismi di funzionamento delle Commissioni paritetiche debbano essere rivisti ? ... e le procedure per la nomina e la sostituzione dei componenti ?

  5. Per quanto le risulti, in che modo è assicurato un collegamento tra l'operato della componente Provinciale all'interno delle Commissioni paritetiche e le Giunte Provinciali ? E con i Consigli Provinciali ?

  6. Lo Statuto assegna alle Commissioni paritetiche un ruolo meramente consultivo. Nella prassi applicativa, tale ruolo si arricchito con l'esercizio di ulteriori funzioni ?

  7. L'articolo 39 del ddl cost. AC 2613-A reca al comma 11 la previsione secondo cui le disposizioni contenute nella legge costituzionale de qua non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino all'adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. Si stabilisce inoltre che «Sino alla revisione dei predetti statuti speciali, resta altresì ferma la disciplina vigente prevista dai suddetti statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione».
  A suo avviso, queste disposizioni, inserite in un quadro di sostanziale ridimensionamento delle competenze delle Regioni a statuto ordinario, potranno contribuire ad una complessiva rivalutazione della specialità regionale e dei decreti di attuazione degli statuti speciali ? ... o porteranno piuttosto ad un ulteriore appiattimento delle autonomie speciali, le quali preferiranno «accontentarsi» di ciò che hanno ? (le risposte al quesito 7 sono illustrate nella parte generale).

  8. A tale ultimo proposito, il sottosegretario di Stato agli Affari regionali, on. Gianclaudio Bressa, nell'ambito della sua audizione presso la Commissione lo scorso 20 maggio, ha auspicato l'apertura di un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le cinque Regioni a statuto speciale rispetto al processo di aggiornamento costituzionale dei rispettivi statuti. In particolare, il confronto si potrebbe concludere con una convenzione tra lo Stato e le Autonomie speciali che tracci Pag. 289le linee procedurali per la revisione degli statuti anche allo scopo di addivenire alla predisposizione di un disegno di legge costituzionale di revisione che – sul modello della legge costituzionale n. 2 del 2001 – riguardi tutte le Regioni a statuto speciale.
  Qual è la Sua opinione al riguardo ? (le risposte al quesito 8 sono illustrate nella parte generale).

7.1.1. Sull'attuazione dello Statuto regionale e sulla attuale necessità di norme di attuazione.

  Il Presidente Rossi ha espresso un giudizio positivo dell'esperienza di utilizzo delle norme di attuazione, ricordando che ne sono state approvate 146 del 1972; ritiene pertanto che si tratti di uno strumento non solo da mantenere, ma anche da valorizzare.
  Il Presidente Kompatscher ha convintamente sostenuto che le norme di attuazione rimangono uno strumento utile per assicurare l'adeguamento degli statuti di autonomia al mutato contesto della società e dell'ordinamento costituzionale, affermando che «un'autonomia o è dinamica o non è».
  Il regime pattizio, per come si è evoluto, secondo la sua esperienza, potrebbe rivelarsi un momento di dialogo utile a comporre conflitti con il governo sia in termini di conflitti di attribuzione, sia in termini di finanza regionale, con conseguente alleggerimento del contenzioso costituzionale.
  Ha poi rilevato che il grado di attuazione degli statuti regionali dipende molto dalla volontà politica: nel caso della Provincia autonoma di Bolzano, c’è stata la volontà politica a chiedere le competenze, a voler assumersi le responsabilità, perché autonomia non vuol dire altro che responsabilità, responsabilizzazione dei territori.
  I rappresentanti della Sezione di controllo della Corte dei conti per la Regione Trentino-Alto Adige, sull'attuale utilità delle norme di attuazione dello statuto speciale, hanno osservato che lo Statuto ha avuto sostanzialmente totale attuazione; tuttavia, si potrebbe ancora ipotizzare la necessità di ulteriori norme di attuazione, che, in base alla normativa costituzionale vigente, restano lo strumento ordinario di attuazione statutaria, qualora si pongano nuove esigenze di attuazione dello Statuto.
  In definitiva, hanno concluso che l'esperienza sin qui maturata in relazione all'attuazione delle norme statutarie è da qualificare in termini positivi, fermo restando che in taluni casi si è registrato un utilizzo di tale strumento normativo al di fuori di esigenze strettamente connesse all'attuazione dello Statuto (sul punto si veda la relazione depositata agli atti dell'indagine conoscitiva).
  Ancora con riferimento all'attuazione dello Statuto, rileva sottolineare che il dott. Bilardo, nell'ambito della accurata ricostruzione delle esperienze regionali contenuta nella relazione depositata agli atti dell'indagine conoscitiva, ha messo in evidenza che lo Statuto per il Trentino-Alto Adige e le relative norme di attuazione rappresentano, probabilmente, il modello autonomistico più evoluto sia dal punto di vista delle funzioni effettivamente esercitate dalla Regione e dalle Province autonome, che dal punto di vista delle risorse messe loro a disposizione dall'ordinamento finanziario.Pag. 290
  Attualmente, a seguito dell'accordo del 15 ottobre 2014, con il quale sono stati definiti i rapporti finanziari tra lo Stato, la Regione Trentino Alto Adige e le Province autonome di Trento e Bolzano a decorrere dall'anno 2014, si è assicurato il bilanciamento tra le funzioni esercitate ancora dallo Stato a beneficio delle comunità insediate sul territorio regionale e le entrate tributarie che rimangono in capo allo Stato dall'imposizione fiscale sul territorio del Trentino Alto Adige.

7.1.2. Sulla composizione della Commissione paritetica, sul ruolo esercitato in concreto e sul coordinamento con Giunta e Consiglio.

  Il presidente Rossi ha sottolineato che le Province autonome di Trento e di Bolzano e la Regione hanno sempre utilizzato le norme di attuazione dandogli una forte caratterizzazione d'impulso politico, quindi la Commissione paritetica è stata chiamata a svolgere un ruolo di approfondimento e soprattutto di bilanciamento, in un'ottica paritetica, delle esigenze delle parti che la compongono, in un processo virtuoso, ma dentro un'iniziativa politica che, almeno nel caso della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome, è sempre stata portata avanti con la partecipazione dei membri che possono conservare comunque una certa capacità di proposta anche autonoma.
  Ha inoltre osservato che tutti i risultati sono sempre stati ottenuti mediante un lavoro sui contenuti dentro la Commissione, perché così dicono le norme e così è giusto che sia, ma anche attraverso un rapporto, evidentemente esterno alla Commissione, di impulso e di stimolo rispetto a quella che deve essere l'azione politica d'indirizzo rispetto agli obiettivi che le norme proposte si pongono.
  Il presidente Kompatscher, con riferimento al ruolo delle Commissioni paritetiche, ha aggiunto che sono effettivamente diventate tavoli di confronto dove si cerca di risolvere questioni che altrimenti dovrebbero essere risolte davanti al giudice costituzionale.
  I rappresentanti della Sezione di controllo della Corte dei conti per la Regione Trentino-Alto Adige hanno rilevato che una delle ragioni del buon funzionamento della Commissione è la sua composizione, non predeterminata nei requisiti soggettivi dei componenti, che storicamente ha visto la prevalenza di soggetti di estrazione politica (il che ha contribuito a realizzare tempestività e flessibilità dei meccanismi delineati dallo Statuto).
  Tuttavia, hanno sottolineato che «una eventuale previsione normativa dei requisiti di nomina dei Componenti delle Commissioni garantirebbe maggior trasparenza, nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento»; più precisamente, ritengono maggiormente consona ai principi costituzionali una previsione normativa che predetermini la partecipazione maggioritaria di figure provenienti dal mondo accademico e delle professioni (ad esempio docenti universitari, magistrati ordinari, amministrativi e contabili, liberi professionisti), ciò che potrebbe agevolarne ancor più la funzionalità.Pag. 291
  Con specifico riferimento al ruolo svolto dalle Commissioni paritetiche hanno evidenziato che nel corso degli anni il parere della Commissione paritetica ha assunto un ruolo di particolare rilevanza nell'ambito del procedimento di formazione delle norme attuative dello statuto, a scapito del momento decisionale intestato all'esecutivo.
  Sul punto hanno infatti rilevato che raramente il Governo ha disatteso il testo proposto dalla Commissione, comunque rinviando in tal caso all'esame della Commissione per un nuovo parere (obbligatorio).
  La dottoressa Platzer, nella memoria depositata, ha sottolineato come sarebbe auspicabile l'introduzione di una disciplina più specifica e stringente sull'attività delle Commissioni paritetiche, considerata l'estrema delicatezza di tale attività, che consiste pur sempre nell'esercizio di potere legislativo. Allo stesso modo appare opportuna la previsione di regolamenti interni delle Commissioni, che garantiscano anche la trasparenza dei lavori. Inoltre, al fine di ovviare al deficit democratico-rappresentativo che caratterizza il procedimento di produzione delle norme di attuazione degli statuti, occorrerebbe disciplinare forme di partecipazione/cooperazione, quantomeno a livello consultivo, degli organi elettivi di rappresentanza a livello territoriale.

8. REGIONE SARDEGNA

8.1. I quesiti formulati alle autorità audite.

  1. A suo avviso è ancora utile insistere sulla necessità di norme di attuazione dello Statuto speciale sardo ?

  2. Guardando all'esperienza fin qui maturata nei rapporti tra Stato e Regione sarda, può dirsi che la mancata attuazione dello Statuto speciale sia imputabile, in gran parte, alla mancata adozione di norme di attuazione dello stesso ?

  3. In che misura può avere influito sulla mancata attuazione la vaghezza di alcune disposizioni degli statuti speciali ? Vi sono, a suo avviso, ragioni politiche della ritardata o mancata attuazione ? Potrebbe, a tale proposito, illustrare alla Commissione la questione sorta in relazione all'attuazione (o, meglio, mancata attuazione) dell'articolo 8 dello Statuto sardo ?

  4. Nell'esperienza istituzionale da Lei maturata, ritiene che i meccanismi di funzionamento debbano essere rivisti ? ... e le procedure per la nomina e la sostituzione dei componenti ?

  5. Per quanto le risulti, in che modo è assicurato un collegamento tra l'operato della componente regionale all'interno della Commissione paritetica e la Giunta regionale ?

  6. Per quanto le risulti, il Consiglio regionale sardo ottempera tempestivamente a quanto prescritto dall'articolo 56 dello Statuto, ai Pag. 292sensi del quale le norme elaborate dalla Commissione paritetica sono sottoposte al parere del Consiglio regionale ?

  7. La mancata attuazione delle disposizioni degli statuti speciali può essere ritenuta una delle cause principali del contenzioso Stato-Regioni speciali ? In particolare, la mancata attuazione delle previsioni statutarie che regolano i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali è, a suo avviso, all'origine dell'incremento della conflittualità tra questi enti, registratosi negli ultimi anni ?

  8. L'articolo 39 del ddl cost. AC 2613-A reca al comma 11 la previsione secondo cui le disposizioni contenute nella legge costituzionale de qua non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino all'adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. Si stabilisce inoltre che «Sino alla revisione dei predetti statuti speciali, resta altresì ferma la disciplina vigente prevista dai suddetti statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione».
  A suo avviso, queste disposizioni, inserite in un quadro di sostanziale ridimensionamento delle competenze delle Regioni a statuto ordinario, potranno contribuire ad una complessiva rivalutazione della specialità regionale e dei decreti di attuazione degli statuti speciali ? ... o porteranno piuttosto ad un ulteriore appiattimento delle autonomie speciali, le quali preferiranno «accontentarsi» di ciò che hanno ?

Quesito rivolto solo al Presidente della Regione e al Presidente del Consiglio regionale

  9. A tale ultimo proposito, il sottosegretario di Stato agli Affari regionali, on. Gianclaudio Bressa, nell'ambito della sua audizione presso la Commissione lo scorso 20 maggio, ha auspicato l'apertura di un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le cinque Regioni a statuto speciale rispetto al processo di aggiornamento costituzionale dei rispettivi statuti. In particolare, il confronto si potrebbe concludere con una convenzione tra lo Stato e le Autonomie speciali che tracci le linee procedurali per la revisione degli statuti anche allo scopo di addivenire alla predisposizione di un disegno di legge costituzionale di revisione che – sul modello della legge costituzionale n. 2 del 2001 – riguardi tutte le Regioni a statuto speciale.
  Qual è la Sua opinione al riguardo ?

8.2. Sintesi delle audizioni.

8.2.1. Il mantenimento della specialità regionale come presupposto dell'indagine conoscitiva e la sua messa in discussione.

  Il Presidente Ganau, prima di rispondere ai quesiti posti, ha ritenuto necessario ribadire le ragioni – geografiche, storiche, politiche e istituzionali – dell'autonomia speciale della Regione Sardegna, Pag. 293soffermandosi, in particolare, sul fatto che la Sardegna è esclusa dai sistemi di rete nazionali ed europei (soprattutto per quel che concerne la distribuzione di energia, la rete autostradale, i trasporti). Ciò ha delle evidenti ricadute sul sistema produttivo; a ciò si aggiunga la presenza di un elevato numero di servitù militari insistenti sul territorio sardo. Per questa ragione il Presidente Ganau ha ribadito la totale indisponibilità della Sardegna ad accogliere il sito nazionale di deposito delle scorie nucleari.
  Ganau ha poi insistito sulle ragioni di carattere identitario della speciale autonomia sarda e sul forte sentimento autonomistico che si è venuto diffondendo nel popolo sardo. Per le ragioni anzidette l'autonomia regionale deve essere vista come il canale su cui concentrare le forze di riscatto politico e sociale dell'intera Regione.
  Anche il Presidente Pigliaru si è soffermato sulla persistente attualità delle motivazioni storiche della specialità regionale, sottolineando come esse debbano essere individuate, principalmente, nella insularità e nella perifericità della Sardegna. Queste caratteristiche della Regione determinano svantaggi profondi perché rendono molto difficili le politiche di connessione in rete. Pigliaru ha, inoltre, posto l'accento sul forte sentimento di identità che caratterizza il popolo sardo.

8.2.2. L'utilità dello strumento delle norme di attuazione pur in presenza di alcune norme statutarie meritevoli di essere riviste (risposte al quesito 1).

Quesito 1: A suo avviso è ancora utile insistere sulla necessità di norme di attuazione dello Statuto speciale sardo ?

  Il Presidente Ganau, pur riconoscendo che lo statuto deve essere adeguato ai nuovi tempi e alle nuove condizioni, ha affermato che le norme di attuazione rappresentano uno strumento utile e collaudato per questo adeguamento, ferme restando le forme previste per la revisione dello statuto speciale.
  Anche per il Presidente Petronio le norme attuative restano lo strumento ordinario di attuazione statutaria. A sua volta, la Commissione paritetica costituisce un essenziale raccordo tra la Regione e lo Stato, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi indicati dallo statuto. In ogni caso, la possibilità di procedere all'attuazione dello statuto al di fuori dell'emanazione di norme attuative non è generalizzata e riguarda specifiche materie. In particolare, la disciplina dei rapporti finanziari può essere regolamentata senza il ricorso alle norme di attuazione; in proposito, l'articolo 54 dello statuto prevede che le disposizioni in materia di finanze, demanio e patrimonio della Regione possono essere modificate con legge ordinaria della Repubblica, su proposta del Governo o della Regione, in ogni caso sentita quest'ultima. Tale percorso normativo semplificato non è, però, percorribile per altri vasti settori di disciplina delineati dallo statuto, per i quali l'unico strumento disponibile è quello delle norme di attuazione.Pag. 294
  Da ultimo, Petronio ha sottolineato la necessità di rivedere le norme vigenti sul controllo della Corte dei conti nella Regione, in quanto riflettono un modello ampiamente superato, che si incentra ancora sui controlli preventivi di legittimità sugli atti della Regione, ormai desueti, mentre non considera una serie di aspetti innovativi contenuti nella disciplina più recente.
  Per il Presidente Pigliaru il binomio Commissioni paritetiche e decreti legislativi recanti le norme di attuazione costituisce ancora oggi la migliore soluzione a tutela dell'autonomia, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 213 del 1998. Le norme di attuazione si sono rivelate, infatti, un utile strumento per dare sostanza alla specialità; peraltro, la Corte costituzionale ha attribuito ad esse non solo la funzione di attuazione, bensì anche quella di integrazione degli statuti speciali. Il giudizio positivo sulla validità dello strumento in questione non può, poi, essere messo in discussione dal fatto che siano state approvate poche norme di attuazione per la Sardegna. Inoltre, le norme di attuazione consentono di non lasciare alla sola iniziativa del legislatore statale la determinazione degli ambiti di competenza dello Stato e della Regione; al riguardo, la più recente giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 314 del 2009) ha posto in evidenza che, in presenza di norme di attuazione ben redatte, è possibile ancorare le competenze regionali a un parametro costituzionale certo, rendendo particolarmente difficile la sottrazione delle competenze alle Regioni speciali.
  La professoressa Ruggiu ha affermato che le norme di attuazione sono ancor oggi lo strumento più forte e più realisticamente utilizzabile per implementare l'autonomia della Regione Sardegna, sebbene il numero di decreti approvati sia decisamente più basso di quelli approvati dalle altre Regioni speciali.

8.2.3. La mancata adozione delle norme di attuazione e le cause della incompleta realizzazione del disegno statutario (risposte al quesito 2).

Quesito 2: Guardando all'esperienza fin qui maturata nei rapporti tra Stato e Regione sarda, può dirsi che la mancata attuazione dello Statuto speciale sia imputabile, in gran parte, alla mancata adozione di norme di attuazione dello stesso ?

  Per il Presidente Ganau la mancanza delle norme di attuazione non può essere considerata un freno all'attuazione degli statuti. Sono, infatti, ragioni di altra natura, e specialmente di natura politica, quelle che impediscono l'attuazione degli statuti, si pensi, per tutti, all'applicazione dell'articolo 8 dello statuto sardo.
  Il Presidente Petronio, con specifico riguardo alla materia finanziaria, ha sottolineato come l'attuazione delle norme finanziarie sia stata affidata ad accordi correlati con la manovra annuale di bilancio statale e abbia avuto un costante aggiornamento, che invece non si è avuto per altre materie. Peraltro, la materia finanziaria fa premio sulle altre e quindi la difficoltà di disporre di risorse adeguate ha probabilmente frenato le spinte innovatrici negli altri ambiti statutari.Pag. 295
  Ciò ha prodotto, secondo Petronio, una graduale compressione delle competenze riservate all'autonomia statutaria, specie ad opera delle norme statali in materia di coordinamento della finanza pubblica.
  Secondo la professoressa Ruggiu la mancata attuazione dello statuto sardo è imputabile a tre fattori: alla carenza di norme di attuazione, alla imperfetta interiorizzazione del regionalismo speciale da parte dello Stato, che non ha esitato ad impugnare leggi regionali espressive di politiche di differenziazione; alla mancata modifica o implementazione dello statuto ad opera della stessa Regione.

8.2.4. La vaghezza di alcune disposizioni statutarie come causa della loro mancata attuazione (risposte al quesito 3).

Quesito 3: In che misura può avere influito sulla mancata attuazione la vaghezza di alcune disposizioni degli statuti speciali ? Vi sono, a suo avviso, ragioni politiche della ritardata o mancata attuazione ? Potrebbe, a tale proposito, illustrare alla Commissione la questione sorta in relazione all'attuazione (o, meglio, mancata attuazione) dell'articolo 8 dello Statuto sardo ?

  Il Presidente Ganau ha escluso che la vaghezza di alcune disposizioni statutarie possa aver influito sulla loro mancata attuazione. In proposito, ha richiamato le vicende connesse all'articolo 8 dello statuto, che non ha necessità di norme attuative, in quanto prevede le quote esatte spettanti alla Regione. Nonostante fosse sufficiente una legge statale per decidere in quale mese dell'anno devono essere trasferite le risorse, ci sono voluti contenziosi di decenni perché si realizzassero le condizioni previste nell'accordo.
  In premessa il Presidente Petronio ha precisato di ritenere che gli statuti debbano, per loro stessa natura, contenere precetti di carattere generale e astratto e non una disciplina di dettaglio, che ne potrebbe irrigidire eccessivamente la portata. Quanto allo specifico ambito finanziario, Petronio ha rilevato che la tendenza affermatasi negli ultimi anni è quella del costante ricorso all'emanazione di una legge statale preceduta da una fase concertativa. Ciò è stato determinato dall'esigenza di dare risposte tempestive alle pressanti istanze di coordinamento finanziario, ai fini del consolidamento dei conti pubblici e del rispetto dei vincoli comunitari. Le esigenze di riequilibrio della finanza pubblica hanno reso necessario il ricorso a importanti manovre di aggiustamento, contenute, non solo nelle leggi finanziarie (o di stabilità) annuali, ma anche in numerosi decreti-legge. In questo scenario si comprende la ragione dell'abbandono dello strumento del decreto legislativo di attuazione.
  A queste considerazioni Petronio ha aggiunto che la stessa interpretazione dei criteri di riparto del gettito tra lo Stato e la Regione è risultata controversa, con la conseguenza di far lievitare il contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale. A ciò ha contribuito principalmente la c.d. ‘vertenza entrate’, sorta per la mancata attribuzione alla Regione Sardegna delle quote di gettito tributario maturate nel territorio regionale. Il ritardo nella corresponsione di queste somme Pag. 296è solo in parte attribuibile alla circostanza che le quote dei tributi spettanti alla Regione sono quantificabili annualmente solo in via provvisoria, per l'impossibilità di conoscere entro il 31 dicembre l'ammontare esatto dei gettiti tributari riscossi o venuti a maturazione nel corso dell'esercizio.
  In proposito Petronio ha richiamato la sentenza n. 95 del 2013, con la quale la Corte costituzionale ha riconosciuto che negli anni successivi alla modifica statutaria del 2006, da cui si è sviluppata la c.d. «vertenza entrate», le nuove previsioni hanno ricevuto puntuale attuazione sul versante delle spese, con la conseguenza che, scaduto il periodo transitorio (2009), gli oneri relativi a sanità, trasporto pubblico locale e continuità territoriale sono venuti a gravare sul bilancio della Regione Sardegna. Dal canto suo, lo Stato non ha, invece, trasferito alla Regione le risorse corrispondenti alle maggiori compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, come previsto dall'articolo 8 dello statuto, sostenendo che, per individuare l'esatto ammontare dovuto, sarebbero state necessarie ulteriori norme attuative.
  Il contenzioso sembra essersi risolto a seguito dei versamenti effettuati dal Ministero dell'economia e delle finanze, che hanno considerevolmente ridotto l'ammontare dei residui attivi derivanti dalla «vertenza entrate».
  Da ultimo, Petronio ha segnalato come risultino in corso presso la Commissione paritetica i lavori per la revisione delle norme di attuazione in materia di entrate regionali.
  Per la professoressa Ruggiu la vaghezza di alcune disposizioni concernenti le competenze costituisce sicuramente un problema; in particolare, a suo avviso, le liste di materie presenti nello statuto sono datate, sia nei contenuti, sia nella tecnica di redazione. Al riguardo, Ruggiu ha richiamato le tecniche di redazione delle materie utilizzate nello Scotland Act e nello statuto catalano; in entrambi i casi le liste sono molto lunghe e dettagliate. Di conseguenza, ha osservato Ruggiu, c’è più certezza a monte e ciò evita il contenzioso.

8.2.5. La composizione e il funzionamento delle Commissioni paritetiche (risposte al quesito 4).

Quesito 4: Nell'esperienza istituzionale da Lei maturata, ritiene che i meccanismi di funzionamento debbano essere rivisti ? ... e le procedure per la nomina e la sostituzione dei componenti ?

  Il Presidente Ganau ha suggerito che alcuni dei passaggi del procedimento di formazione delle norme di attuazione siano rivisti nel senso di renderli vincolanti e cadenzati, soprattutto in relazione all'obbligo di esame da parte del Consiglio dei ministri.
  Sul punto, il Presidente Petronio ha ricordato come il meccanismo di attuazione degli statuti speciali si ponga oggi in termini diversi da quelli configurati dal legislatore costituzionale del 1948. In particolare, l'articolo 27 della legge sul federalismo fiscale (n. 42 del 2009) ha posto una disciplina generale della forma pattizia quale modalità per la regolazione dei rapporti finanziari tra Regioni speciali e Stato, Pag. 297indicando la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome quale sede istituzionale di confronto tra Governo e autonomie.
  Per il Presidente Pigliaru è certamente opportuna una revisione dei meccanismi di funzionamento delle Commissioni paritetiche e della nomina dei loro componenti al fine di garantire una maggiore effettività delle loro azioni.
  La professoressa Ruggiu ha, preliminarmente, sottolineato la natura delle Commissioni paritetiche che sono, a suo dire, essenzialmente degli organi di consulenza tecnica e giuridica, piuttosto che degli autentici organi collaborativi. Si è poi evidenziato come la Commissione paritetica per la Sardegna non sia un organo permanente, con la conseguenza che per molto tempo essa non è stata nominata. Inoltre, il funzionamento della Commissione è rimesso principalmente alla prassi. Secondo Ruggiu, se si scrivesse nello statuto che la Commissione è un organo di collaborazione permanente, rinnovabile nella sua composizione ad ogni legislatura, si garantirebbe, innanzitutto, la sua esistenza. Parimenti si dovrebbe garantire il rinnovo della composizione o, in caso di mancanza di rinnovo, la permanenza dei vecchi membri.
  In definitiva, per Ruggiu la questione principale è quella di garantire una maggiore stabilità all'organo. Si potrebbe, infine, prevedere la presenza, oltre che dei funzionari ministeriali, anche di funzionari regionali.

8.2.6. Il rapporto tra Commissione paritetica e Giunta regionale (risposte al quesito 5).

Quesito 5: Per quanto le risulti, in che modo è assicurato un collegamento tra l'operato della componente regionale all'interno della Commissione paritetica e la Giunta regionale ?

  Per il Presidente Ganau il rapporto tra i rappresentanti della Commissione paritetica, di nomina regionale, e la Giunta è un rapporto di tipo fiduciario. In particolare, per la Regione Sardegna, ormai da anni, il direttore generale della Presidenza della Regione fa parte della Commissione paritetica e quindi rappresenta il collegamento diretto tra la politica e la Commissione stessa.
  Anche in merito a questo quesito, il Presidente Petronio si è rimesso a quanto riportato dal Presidente Ganau.
  La professoressa Ruggiu ha rilevato l'esistenza, in materia, di prassi che assicurano uno stretto collegamento tra Commissione e Giunta, la quale, tramite una delibera, comunica alla componente regionale della Commissione le posizioni da assumere. Dal canto suo, la componente regionale sottopone alla Giunta anche le modifiche avanzate dalla componente statale.
  La prassi anzidetta riduce, per Ruggiu, il ruolo della Commissione che, in virtù dell'articolo 56 dello statuto sardo, ha anche un ruolo propositivo. Nella prassi, però, la Commissione ha un ruolo più tecnico, di lavoro sul testo, di aggiustamento e coordinamento giuridico, proprio perché il potere di proposta promana essenzialmente dalla parte regionale.

Pag. 298

8.2.7. Il rapporto tra Commissione paritetica e Consiglio regionale (risposte al quesito 6).

Quesito 6: Per quanto le risulti, il Consiglio regionale sardo ottempera tempestivamente a quanto prescritto dall'articolo 56 dello Statuto, ai sensi del quale le norme elaborate dalla Commissione paritetica sono sottoposte al parere del Consiglio regionale ?

  Quanto al ruolo del Consiglio regionale, il Presidente Ganau ha precisato come il Consiglio abbia sempre espresso tempestivamente il parere previsto nello statuto dopo l'approvazione delle norme di attuazione.
  In merito a questo quesito, il Presidente Petronio si è rimesso a quanto riportato dal Presidente Ganau.
  La professoressa Ruggiu ha osservato che, non essendo previsti né un obbligo né un termine, il Consiglio regionale può sempre arrestare e bloccare la norma di attuazione. Da questo punto di vista, ci sono dunque delle criticità sul rischio di una dilatazione dei tempi ma per Ruggiu, trattandosi di atti politici, non è opportuno suggerire la previsione di una tempistica o di vincoli per il Consiglio regionale.

8.2.8. La mancata attuazione delle disposizioni statutarie e il contenzioso con lo Stato, con particolare riguardo ai rapporti finanziari (risposte al quesito 7).

Quesito 7: La mancata attuazione delle disposizioni degli statuti speciali può essere ritenuta una delle cause principali del contenzioso Stato-Regioni speciali ? In particolare, la mancata attuazione delle previsioni statutarie che regolano i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali è, a suo avviso, all'origine dell'incremento della conflittualità tra questi enti, registratosi negli ultimi anni ?

  Il Presidente Ganau ha escluso che la mancata attuazione di alcune disposizioni statutarie, specie di quelle in materia finanziaria, abbia determinato un incremento del contenzioso. Sono state piuttosto ragioni politiche a produrre un aumento di quest'ultimo. Infatti, l'articolo 8 dello statuto non necessita di norme attuative, in quanto prevede le quote esatte spettanti alla Regione. In definitiva, nonostante fosse sufficiente una legge statale per decidere in quale mese dell'anno devono essere trasferite le risorse, ci sono voluti lunghi contenziosi perché si realizzassero le condizioni previste nell'accordo.
  Il Presidente Petronio ha rilevato che i profili di maggiore criticità nei rapporti tra Stato e Regione hanno riguardato, negli ultimi anni, l'estensione delle materie riservate all'autonomia statutaria, la corretta definizione dei principi di coordinamento della finanza pubblica e la portata delle clausole di salvaguardia previste da singole e specifiche normative incidenti su profili di autonomia statutaria.
  L'esigenza di un corretto ruolo di intervento della normativa di attuazione dello statuto speciale si è, poi, manifestata in modo evidente nell'ambito della disciplina sul sistema dei controlli, che ha Pag. 299subito una significativa evoluzione. Per questa ragione Petronio ha auspicato l'adozione di norme di attuazione che regolino adeguatamente gli spazi sempre più esigui nei quali è consentito l'esercizio dell'autonomia statutaria.
  Per la professoressa Ruggiu la mancata attuazione degli statuti speciali non è la causa del contenzioso tra lo Stato e le Regioni speciali. A suo dire, se ci fossero più norme di attuazione, ciò significherebbe che ci sono più politiche concordate. Semmai l'assenza di tante norme di attuazione è una delle ragioni per le quali la Sardegna perde i ricorsi dinanzi alla Corte costituzionale.
  Secondo Ruggiu l'incremento del contenzioso è stato determinato dalla scarsa sensibilità dello Stato nei confronti delle Regioni speciali e, al contempo, dal fatto che queste ultime hanno spinto troppo oltre la loro autonomia.

8.2.9. Il futuro della specialità regionale alla luce del progetto di riforma della Costituzione (risposte al quesito 8).

Quesito 8: L'articolo 39 del ddl cost. AC 2613-A reca al comma 11 la previsione secondo cui le disposizioni contenute nella legge costituzionale de qua non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino all'adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. Si stabilisce inoltre che «Sino alla revisione dei predetti statuti speciali, resta altresì ferma la disciplina vigente prevista dai suddetti statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione».
  A suo avviso, queste disposizioni, inserite in un quadro di sostanziale ridimensionamento delle competenze delle Regioni a statuto ordinario, potranno contribuire ad una complessiva rivalutazione della specialità regionale e dei decreti di attuazione degli statuti speciali ? ... o porteranno piuttosto ad un ulteriore appiattimento delle autonomie speciali, le quali preferiranno «accontentarsi» di ciò che hanno ?

  Secondo il Presidente Ganau la previsione di una clausola di salvaguardia per le Regioni speciali, piuttosto che esprimere una reale attenzione verso le autonomie, è il frutto della necessità di procedere con celerità alla riforma del Titolo V della Costituzione. Al riguardo, per Ganau occorre evitare che la revisione degli statuti determini un appiattimento, che porti alla eliminazione delle caratteristiche peculiari contenute negli statuti, che garantiscono la specialità regionale. Sempre a proposito della revisione degli statuti, Ganau ha precisato che la Regione Sardegna ha già previsto alcune novità introdotte per le Regioni ordinarie, senza attendere le norme di attuazione; il riferimento è all'omogeneizzazione degli ordinamenti contabili e, prima ancora, alla riduzione del numero dei consiglieri e all'abbattimento delle spese di funzionamento degli organi.
  A parere del Presidente Petronio, la riforma costituzionale imporrà una nuova verifica dell'adeguatezza del rapporto tra risorse e funzioni, in quanto, per un verso, il modello di fondo utilizzato per le Pag. 300devoluzioni tributarie è ormai risalente, e, per altro verso, sono intervenute negli ultimi anni pressanti esigenze di coordinamento della finanza pubblica.
  Per il Presidente Pigliaru la previsione di una clausola di salvaguardia, che prevede l'intesa per l'adeguamento degli statuti, è sicuramente una soluzione positiva, poiché viene sancito, per la prima volta in Costituzione, lo strumento pattizio.
  La professoressa Ruggiu ha ipotizzato due diversi scenari a seguito dell'entrata in vigore della riforma della Costituzione. Da un lato, si può immaginare che la specialità torni ad essere un punto di forza e di sicurezza. Dall'altro lato, è possibile che ci sia una paura a riformare gli statuti per evitare corse al ribasso all'autonomia.

8.2.10. La proposta di costituire un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le Regioni speciali al fine di concordare le linee procedurali comuni per la revisione degli statuti (risposte al quesito 9, rivolto solo al Presidente della Regione e al Presidente del Consiglio regionale).

Quesito 9: A tale ultimo proposito, il sottosegretario di Stato agli Affari regionali, on. Gianclaudio Bressa, nell'ambito della sua audizione presso la Commissione lo scorso 20 maggio, ha auspicato l'apertura di un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le cinque Regioni a statuto speciale rispetto al processo di aggiornamento costituzionale dei rispettivi statuti. In particolare, il confronto si potrebbe concludere con una convenzione tra lo Stato e le Autonomie speciali che tracci le linee procedurali per la revisione degli statuti anche allo scopo di addivenire alla predisposizione di un disegno di legge costituzionale di revisione che – sul modello della legge costituzionale n. 2 del 2001 – riguardi tutte le Regioni a statuto speciale.
  Qual è la Sua opinione al riguardo ?

  Per il Presidente Ganau la proposta di un tavolo comune, avanzata dall'on. Bressa, è un utile momento di confronto, a condizione che in questo percorso siano garantiti gli spazi e i differenti livelli di confronto, che sono appunto alla base delle diverse autonomie.

9. LA REGIONE SICILIANA

9.1. I quesiti formulati alle autorità audite.

  1. A suo avviso è ancora utile insistere sulla necessità di norme di attuazione dello Statuto speciale siciliano, pur in presenza di parti di quest'ultimo che richiederebbero un aggiornamento ?

  2. Guardando all'esperienza fin qui maturata nei rapporti tra Stato e Regione siciliana, può dirsi che la mancata attuazione dello Statuto speciale sia imputabile, in gran parte, alla mancata adozione di norme di attuazione dello stesso ?

Pag. 301

  3. In che misura può avere influito sulla mancata attuazione la vaghezza di alcune disposizioni degli statuti speciali ? Vi sono, a suo avviso, ragioni politiche della ritardata o mancata attuazione ?

  4. Nell'esperienza istituzionale da Lei maturata, ritiene che i meccanismi di funzionamento debbano essere rivisti ? ... e le procedure per la nomina e la sostituzione dei componenti ?

  5. Per quanto le risulti, in che modo è assicurato un collegamento tra l'operato della componente regionale all'interno della Commissione paritetica e la Giunta regionale ?

  6. Per quanto le risulti, l'Assemblea regionale siciliana monitora periodicamente l'attività svolta dalla Commissione paritetica ?

  7. La mancata attuazione delle disposizioni degli statuti speciali può essere ritenuta una delle cause principali del contenzioso Stato-Regioni speciali ? In particolare, la mancata attuazione delle previsioni statutarie che regolano i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali è, a suo avviso, all'origine dell'incremento della conflittualità tra questi enti, registratosi negli ultimi anni ?

  8. L'articolo 39 del ddl cost. AC 2613-A reca al comma 11 la previsione secondo cui le disposizioni contenute nella legge costituzionale de qua non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino all'adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. Si stabilisce inoltre che «Sino alla revisione dei predetti statuti speciali, resta altresì ferma la disciplina vigente prevista dai suddetti statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione».
  A suo avviso, queste disposizioni, inserite in un quadro di sostanziale ridimensionamento delle competenze delle Regioni a statuto ordinario, potranno contribuire ad una complessiva rivalutazione della specialità regionale e dei decreti di attuazione degli statuti speciali ? ... o porteranno piuttosto ad un ulteriore appiattimento delle autonomie speciali, le quali preferiranno «accontentarsi» di ciò che hanno ?

Quesito rivolto solo al Presidente della Regione e al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana

  9. A tale ultimo proposito, il sottosegretario di Stato agli Affari regionali, on. Gianclaudio Bressa, nell'ambito della sua audizione presso la Commissione lo scorso 20 maggio, ha auspicato l'apertura di un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le cinque Regioni a statuto speciale rispetto al processo di aggiornamento costituzionale dei rispettivi statuti. In particolare, il confronto si potrebbe concludere con una convenzione tra lo Stato e le Autonomie speciali che tracci le linee procedurali per la revisione degli statuti anche allo scopo di addivenire alla predisposizione di un disegno di legge costituzionale Pag. 302di revisione che – sul modello della legge costituzionale n. 2 del 2001 – riguardi tutte le Regioni a statuto speciale.
  Qual è la Sua opinione al riguardo ?

9.2. Sintesi delle audizioni.

9.2.1. Il mantenimento della specialità regionale come presupposto dell'indagine conoscitiva e la sua messa in discussione.

  La questione della permanenza di un assetto costituzionale delle autonomie regionali articolato in Regioni ordinarie e speciali è stata ripresa dal Presidente De Lipsis, secondo cui le specificità delle Regioni a statuto differenziato sono «realtà indubbiamente non modificabili, delle quali non può non prendersi atto». Ciò non toglie, però, che gli statuti speciali debbano essere modificati alla luce delle mutate competenze dello Stato e delle Regioni ordinarie, quali risultano dal testo di riforma della Costituzione attualmente all'esame del Parlamento.
  Il Presidente Monteleone, impossibilitato a partecipare all'audizione, nella memoria inviata ha indirettamente toccato il tema del mantenimento della specialità regionale, precisando che, a suo dire, lo statuto speciale storicamente non ha apportato un valore aggiunto rispetto all'assetto ordinamentale delle Regioni a statuto ordinario. In particolare, la potestà legislativa esclusiva, che è la maggiore espressione dell'autonomia regionale, si è posta statisticamente come barriera all'ingresso di norme statali in Sicilia, così bloccando, di fatto, un'evoluzione ordinamentale che, soprattutto in materia di enti locali, attività produttive e lavori pubblici, sarebbe intervenuta con molti anni di anticipo. Monteleone ha aggiunto che il legislatore regionale, nelle materie di sua competenza, o non ha legiferato o quando lo ha fatto si è spesso limitato a disporre un rinvio statico o dinamico alle previgenti leggi statali.
  Il sindaco Orlando si è interrogato sull'attualità della specialità, individuando tre ordini di ragioni: innanzitutto, quelle storiche, ormai superate, legate alla politica internazionale e al rischio di scissione della Sicilia; quelle che si riferiscono all'identità dei siciliani e che, in quanto tali, possono valere anche per altre Regioni; quelle legate alla sperequazione infrastrutturale sotto il profilo finanziario, economico e sociale di alcune Regioni rispetto ad altre. Esistono, poi, tre livelli di strumentazione posta al servizio della specialità: quella di rango costituzionale, che si esaurisce nelle disposizioni statutarie e che oscilla tra l'essere inattuata, parzialmente attuata o addirittura superata; quella di rango sub-costituzionale, dettata nell'esercizio della potestà legislativa esclusiva della Regione (rispetto alla quale Orlando ha depositato un documento da cui risultano alcune criticità, specie in materia di ordinamento degli enti locali); quella che riguarda l'autonomia finanziaria e i meccanismi compensativi.
  Al fine di evitare che la specialità regionale si trasformi in una barriera all'ingresso di norme statali, Orlando ha suggerito di immaginare un meccanismo, sia pure automatico, di recepimento della normativa nazionale, specie in tema di acqua, di rifiuti e di ordinamento Pag. 303degli enti locali, qualora il legislatore regionale non provveda a manifestare, entro un termine congruo, un contrario avviso.
  Anche con riferimento alle questioni connesse alla perequazione finanziaria ed economica della Regione, Orlando ha rilevato il cattivo funzionamento della specialità siciliana, la quale ha precluso prospettive di sviluppo, impedendo, ad esempio, l'applicazione in Sicilia della legge sul federalismo fiscale e quindi la perequazione infrastrutturale.

9.2.2. L'utilità dello strumento delle norme di attuazione pur in presenza di alcune norme statutarie meritevoli di essere riviste (risposte al quesito 1).

Quesito 1: A suo avviso è ancora utile insistere sulla necessità di norme di attuazione dello Statuto speciale siciliano, pur in presenza di parti di quest'ultimo che richiederebbero un aggiornamento ?

  Il Presidente dell'Assemblea regionale siciliana Ardizzone, pur sottolineando la necessità di una «attualizzazione» dello statuto, ha riconosciuto alle norme di attuazione un ruolo importante, in quanto volte a garantire, sia da un punto di vista formale sia da uno sostanziale, la pari dignità fra la Regione siciliana e lo Stato. Il punto di debolezza è invece individuabile nel fatto che, una volta assunta la decisione dalla Commissione paritetica, il procedimento si blocca finché non viene emesso il relativo decreto legislativo.
  La mancata previsione di un termine per l'adozione del decreto finisce con il riconoscere al Governo un'ampia discrezionalità. Al riguardo, Ardizzone rammenta che, già nella XIII legislatura, era stata approvata una proposta di riforma dello statuto che prevedeva un termine perentorio di centottanta giorni per l'emanazione del decreto legislativo.
  L'esigenza dell'introduzione di un termine per l'adozione del decreto legislativo è stata ribadita dalla Vicepresidente della Regione siciliana Lo Bello, la quale ha richiamato le vicende relative all'adozione delle norme di attuazione in materia di credito e risparmio (per le quali il Governo ha proceduto tempestivamente) e in materia di trasferimento di beni immobiliari (per le quali, invece, sono già trascorsi tre anni dalla decisione della Commissione paritetica). Pertanto, la non obbligatorietà dell'adozione del decreto e la mancanza di un termine finiscono con il condizionare, in maniera decisiva, la sorte della decisione assunta dalla Commissione paritetica.
  Quanto all'utilità dello strumento delle norme attuative, per Lo Bello esse hanno una «funzione centrale per l'essenza della stessa autonomia»; infatti, le procedure per l'adozione delle norme di attuazione e la funzione della Commissione paritetica assicurano pari dignità alla Regione e allo Stato. A suo dire l'attuazione vera si realizza attraverso il ruolo svolto dalla Commissione paritetica.
  Il Presidente De Lipsis ha richiamato l'articolo 11 della legge n. 131 del 2003 per sottolineare l'attualità delle Commissioni paritetiche, in particolare per quanto riguarda il trasferimento dei beni e delle risorse strumentali, finanziarie, umane e organizzative. Secondo De Pag. 304Lipsis è prevedibile che l'adeguamento degli statuti speciali sulla base di intese, previsto nel testo di riforma della Costituzione attualmente all'esame del Parlamento, non avverrà in tempi brevi. Ciò comporterà, a suo avviso, che medio tempore non si congelino le norme di attuazione, le quali, quindi, continueranno ad essere lo strumento necessario per la piena operatività dello statuto.
  Anche il Presidente Graffeo ha ribadito la centralità delle norme di attuazione e quindi del lavoro svolto dalla Commissione paritetica come unico strumento idoneo a realizzare le prescrizioni statutarie. Al riguardo, sono state richiamate numerose pronunzie della Corte costituzionale in cui è stato rimarcato come la Commissione paritetica abbia una speciale funzione di partecipazione al procedimento legislativo e, di conseguenza, costituisca un essenziale raccordo tra la Regione e lo Stato.
  Molto scettico sulla persistente utilità di norme di attuazione dello statuto siciliano è il Presidente Monteleone, secondo cui, come si è visto nel precedente paragrafo, lo statuto speciale storicamente non ha apportato un valore aggiunto rispetto all'assetto ordinamentale delle Regioni a statuto ordinario, con la conseguenza di rendere inutili norme di attuazione di disposizioni statutarie ormai risalenti nel tempo.
  La professoressa Nicotra ha ribadito come non si possa prescindere dalle norme di attuazione, pur essendo urgente un profondo aggiornamento dello statuto siciliano. In particolare, il ricorso alle norme di attuazione e quindi al lavoro della Commissione paritetica è il frutto della necessità di un metodo basato sull'intesa, che costituisce la declinazione dell'autonomia.
  Anche il professor Verde ha ricordato la grande valenza delle norme di attuazione, che non sono la trasposizione su un piano sub-costituzionale di un principio ma una normativa che può farsi carico di amplificare e adattare al momento contingente lo spirito statutario.

9.2.3. La mancata adozione delle norme di attuazione e le cause della incompleta realizzazione del disegno statutario (risposte al quesito 2).

Quesito 2: Guardando all'esperienza fin qui maturata nei rapporti tra Stato e Regione siciliana, può dirsi che la mancata attuazione dello Statuto speciale sia imputabile, in gran parte, alla mancata adozione di norme di attuazione dello stesso ?

  Per il Presidente Ardizzone il mancato adeguamento delle disposizioni statutarie in materia finanziaria ha avuto un rilievo particolare, in quanto ha, tra l'altro, generato un cospicuo contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale in relazione agli articoli 36 e 37 dello statuto.
  Secondo la Vicepresidente Lo Bello l'attuazione dello statuto passa sia dall'acquisizione di funzioni sia dall'adeguamento delle disposizioni in materia di rapporti finanziari tra Stato e Regione siciliana. La ridefinizione di questi rapporti costituisce, al momento, il fondamentale Pag. 305elemento che ostacola l'operato della Commissione paritetica, non potendosi altrimenti individuare le nuove risorse finanziarie con le quali far fronte alle funzioni da acquisire. In questa prospettiva, Lo Bello ha ricordato come la Corte costituzionale, nella sentenza n. 95 del 2013 abbia censurato l'inerzia statale in quanto produttiva di conseguenze negative per le finanze regionali.
  Il Presidente Graffeo ha dato una risposta unica ai quesiti 2, 3 e 7, sottolineando come alla base della mancata realizzazione del disegno statutario stia la difficoltà di definire gli ambiti di competenza dello Stato e della Regione. Questi problemi interpretativi, che avrebbero dovuto essere risolti mediante l'intervento delle norme di attuazione, si sono protratti anche per le difficoltà di portare a compimento il procedimento di formazione dei decreti di attuazione. In particolare, per Graffeo i due fondamentali ambiti in cui si sono riscontrate le anzidette difficoltà nell'approvazione delle norme di attuazione sono stati quello del trasferimento di funzioni in materia di pubblica istruzione, assistenza pubblica, insegnamento universitario e sanità, e quello del sistema di finanziamento della Regione siciliana.
  La professoressa Nicotra, pur ritenendo che la mancata adozione di norme di attuazione abbia impedito la piena realizzazione del disegno statutario, ha sottolineato come quest'ultimo possieda dei caratteri che non sono più in linea con la Costituzione e che quindi sia necessario procedere all'aggiornamento dello statuto.
  Per il professor Verde la mancata adozione di norme di attuazione ha certamente inciso sui rapporti tra Stato e Regione, in quanto l'eventuale approvazione di decreti attuativi avrebbe consentito la risoluzione di una serie di controversie o di questioni riguardanti i rapporti tra le leggi regionali e quelle statali.

9.2.4. La vaghezza di alcune disposizioni statutarie come causa della loro mancata attuazione (risposte al quesito 3).

Quesito 3: In che misura può avere influito sulla mancata attuazione la vaghezza di alcune disposizioni degli statuti speciali ? Vi sono, a suo avviso, ragioni politiche della ritardata o mancata attuazione ?

  Ad avviso del Presidente Ardizzone le cause della mancata attuazione devono essere individuate, non tanto nella vaghezza delle prescrizioni statutarie, quanto nella mancata revisione dello statuto.
  Secondo il Presidente De Lipsis la vaghezza di alcune disposizioni statutarie non ha influito sulla loro mancata o incompleta attuazione, fatta eccezione per le norme dello statuto siciliano in tema di rapporti finanziari con lo Stato. In particolare, per De Lipsis lo statuto non può contenere enumerazioni dettagliate, sono, piuttosto, proprio le norme di attuazione predisposte dalla Commissione paritetica la sede idonea per la puntuale individuazione delle specifiche norme di settore.
  Il Presidente Graffeo ha rilevato come la disciplina statutaria della potestà legislativa della Regione siciliana abbia posto, sin dal 1946, non pochi problemi di raccordo con la normativa statale, in particolare per la difficoltà di individuare in concreto i rispettivi ambiti di competenza e limiti. Analoghi problemi interpretativi si sono posti con Pag. 306riguardo alle disposizioni statutarie in materia di rapporti finanziaria tra Stato e Regione, con la conseguenza che più volte è stata chiamata a pronunciarsi la Corte costituzionale.
  Per la professoressa Nicotra la mancata attuazione dello statuto non è stata dovuta alla vaghezza di alcune disposizioni quanto alla presenza nello statuto di espressioni disarmoniche rispetto alla Costituzione (ad esempio, il limite delle riforme agrarie e industriali di cui all'articolo 14 rispetto al limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali previsto negli altri statuti speciali).
  Secondo il professor Verde la vaghezza di alcune disposizioni statutarie non ha assolutamente influito sulla loro mancata attuazione. Anzi, la vaghezza delle formule costituzionali rappresenta un vantaggio in quanto avrebbe potuto consentire e consente tutt'oggi la dialettica tra i soggetti politici e il diritto costituzionale.

9.2.5. La composizione e il funzionamento delle Commissioni paritetiche (risposte al quesito 4).

Quesito 4: Nell'esperienza istituzionale da Lei maturata, ritiene che i meccanismi di funzionamento debbano essere rivisti ? ... e le procedure per la nomina e la sostituzione dei componenti ?

  Per il Presidente Ardizzone non è necessario rivedere le procedure di nomina dei componenti della Commissione paritetica; ciò è confermato, a suo avviso, dalla assoluta autorevolezza di coloro che sono stati chiamati a ricoprire questa carica. Piuttosto, come si accennava in precedenza, il punto debole è visto da Ardizzone nella mancata previsione di un termine per l'adozione del decreto legislativo dopo che la Commissione paritetica ha adottato la sua decisione. Al riguardo, Ardizzone ha proposto di introdurre il termine perentorio di centottanta giorni per l'approvazione delle norme di attuazione da parte del Governo, come previsto nella legge voto approvata dall'Assemblea regionale siciliana nel 2005.
  Quanto alla sostituzione dei componenti della Commissione paritetica, la Vicepresidente Lo Bello ha evidenziato come in occasione dell'ultimo rinnovo della componente statale, avvenuto nel 2014 a seguito dell'avvicendarsi di due Governi, siano trascorsi molti mesi prima di pervenire alla predetta sostituzione, al punto che per tutto il 2013 la Commissione non si è riunita. In merito al funzionamento dell'organo paritetico, Lo Bello ha ribadito quanto affermato in apertura del suo intervento a proposito della tempistica variabile per l'emanazione del decreto legislativo di attuazione.
  Il Presidente De Lipsis ha ritenuto di non potersi esprimere sulla procedura di nomina e sul funzionamento della Commissione, trattandosi di valutazioni di ordine politico.
  Il Presidente Graffeo ha ricostruito le vicende connesse alla nomina dei componenti della Commissione paritetica attualmente in carica, evidenziando come sia trascorso più di un anno per il rinnovo della componente statale. Per questa ragione Graffeo ha sostenuto la necessità di codificare, tramite adeguate fonti normative, le procedure di sostituzione dei componenti e di funzionamento delle Commissioni Pag. 307paritetiche. Su questo punto Graffeo ha dichiarato di condividere la proposta di introdurre il termine (ordinatorio e non perentorio) di centottanta giorni per l'adozione del decreto legislativo, contenuta nella legge voto approvata dall'Assemblea regionale siciliana nel 2005 e ripresa dal Presidente Ardizzone nel suo intervento.
  Per il Presidente Monteleone la Commissione paritetica dovrebbe ricomprendere anche i rappresentanti degli enti locali secondo criteri selettivi di carattere oggettivo.
  A parere del sindaco Orlando, la Commissione paritetica non funziona perché è divenuta un luogo deputato a sistemare soggetti meritevoli di un qualche riconoscimento per pregressi meriti nell'attività di controllo o giudiziaria, ma che nulla hanno a che fare con il reale interesse dell'amministrazione regionale.
  A detta della professoressa Nicotra le Commissioni paritetiche presentano delle forti criticità per il fatto di essere ricomposte a ogni formazione degli esecutivi. Per questa ragione, ha proposto di sganciare la nomina della Commissione paritetica dalla formazione di un nuovo governo e di prevederne la durata per un'intera legislatura. Peraltro, la mancata previsione della prorogatio dei componenti e i ritardi dei Governi e dei ministri degli affari regionali nella sostituzione dei membri in scadenza sono la causa del notevole lasso di tempo che può trascorrere tra una seduta e l'altra. La professoressa Nicotra ha segnalato, altresì, la mancanza di una procedura che regoli il passaggio dello schema predisposto dalla Commissione paritetica al Consiglio dei ministri per la sua approvazione finale. In proposito, ha suggerito la fissazione di un termine entro il quale adottare il decreto legislativo e la previsione di un obbligo di motivazione per il Governo che adotti uno schema in difformità o che non lo adotti.
  Il professor La Spina ha riassunto, nel suo intervento, l’iter che ha portato la Commissione paritetica all'approvazione di uno schema di norme di attuazione in materia di sanità penitenziaria, sottolineando come questo abbia preso avvio da un preciso input del Ministero della giustizia. Questo episodio, secondo La Spina, dimostra che quando c’è un interesse specifico di un'amministrazione dello Stato il procedimento di formazione delle norme di attuazione può andare avanti speditamente. In altri casi, invece, non si è riusciti a fare una programmazione dei lavori. Proprio su questo punto ha insistito La Spina, proponendo di regolare, con una normativa statale specifica, la formazione dell'agenda dei lavori delle Commissioni paritetiche. A suo avviso, l'ideale sarebbe che la programmazione dei lavori fosse frutto di un accordo fra il Governo nazionale e i governi regionali, in modo da indicare una strada chiara ai componenti della Commissione.
  La Spina ha ricordato, altresì, che lo schema di decreto legislativo, approvato dalla Commissione paritetica, deve essere accompagnato dalla scheda di impatto finanziario e da quella di impatto della regolamentazione. Di fatto, queste schede sono predisposte dagli uffici della Regione in collegamento con le varie branche dell'amministrazione statale. In ogni caso, la Commissione, se anche avesse al suo interno le professionalità per la redazione di queste schede, avrebbe bisogno di informazioni, di dati e di statistiche di cui normalmente non dispone.Pag. 308
  Per La Spina non è necessario creare un apparato ad hoc ma sarebbe già sufficiente un'adeguata programmazione dei lavori, possibilmente concordata fra i Governi nazionali e regionali, per mettere la Commissione in condizione di sapere di quali temi occuparsi.

9.2.6. Il rapporto tra Commissione paritetica e Giunta regionale (risposte al quesito 5).

Quesito 5: Per quanto le risulti, in che modo è assicurato un collegamento tra l'operato della componente regionale all'interno della Commissione paritetica e la Giunta regionale ?

  Il Presidente Ardizzone ha sottolineato come il rapporto tra i componenti di nomina regionale e il Presidente della Regione sia un rapporto diretto, curato dalla segreteria generale della Regione, che assicura altresì il coordinamento in materia.
  Anche la Vicepresidente Lo Bello ha ribadito l'esistenza di un coordinamento tra la componente regionale della Commissione paritetica e il Presidente della Regione, per il tramite della segreteria generale.
  Il Presidente Graffeo ha richiamato nel suo intervento le risposte già date dal Presidente Ardizzone e dalla Vicepresidente Lo Bello.
  La professoressa Nicotra ha ricordato come i componenti di nomina regionale siano nominati dal Presidente della Regione, che può dar loro anche delle direttive. Addirittura, nella Commissione attualmente in carica, uno dei componenti è uno degli assessori regionali.
  Il professor Verde ha precisato che la componente regionale della Commissione è nominata con un decreto del Presidente della Regione, che poi viene fatto proprio dal Ministro per gli affari regionali. Questo decreto ha valore costitutivo per la parte statale ma ricognitivo per la parte regionale; pertanto, il Ministro per gli affari regionali non può modificare le decisioni assunte dal Presidente della Regione. Nei fatti è la Segreteria generale che assicura i rapporti tra la Presidenza della Regione e i componenti della Commissione paritetica. È dunque dalla Segreteria generale che i componenti di nomina regionale dovrebbero avere indicazioni, obiettivi e ordini del giorno da portare in seno alla Commissione.

9.2.7. Il rapporto tra Commissione paritetica e Assemblea regionale siciliana (risposte al quesito 6).

Quesito 6: Per quanto le risulti, l'Assemblea regionale siciliana monitora periodicamente l'attività svolta dalla Commissione paritetica ?

  Il Presidente Ardizzone ha osservato che, sebbene all'Assemblea non sia trasmesso alcun documento sull'attività svolta dalla Commissione paritetica, la stessa Assemblea può comunque svolgere la propria attività ispettiva sull'operato della Commissione. A suo avviso, Pag. 309non è auspicabile un maggiore coinvolgimento dell'Assemblea perché ciò potrebbe comportare un aggravamento del procedimento.
  Per la Vicepresidente Lo Bello la discrezionalità del Governo nazionale nel decidere se adottare il decreto di attuazione rende necessario assicurare il collegamento tra la componente regionale della Commissione, gli assessori competenti e l'Assemblea, attraverso gli atti ispettivi.
  Il Presidente Graffeo ha richiamato nel suo intervento le risposte già date dal Presidente Ardizzone e dalla Vicepresidente Lo Bello.
  La professoressa Nicotra ha sottolineato come l'Assemblea regionale siciliana, nella sua attività ispettiva, goda dei poteri per audire i componenti della Commissione paritetica e, quindi, per dettare loro delle linee o per suggerire degli argomenti da trattare.
  Il professor Verde ha rilevato che l'Assemblea regionale siciliana è, di fatto e di diritto, estranea al processo decisionale della Commissione paritetica. Le norme di attuazione sono definite dal rapporto dialettico tra Governo nazionale e governo regionale; peraltro, il Presidente della Regione partecipa alla deliberazione del Consiglio dei ministri che approva il decreto di attuazione. Questo vanifica la possibilità di attivare un contenzioso dinanzi alla Corte, perché la partecipazione della Regione all'approvazione del decreto la priva dell'interesse a ricorrere da un punto di vista processuale. Pertanto, secondo Verde, il Parlamento regionale è coinvolto solo per il garbo istituzionale dei componenti della Commissione paritetica.

9.2.8. La mancata attuazione delle disposizioni statutarie e il contenzioso con lo Stato, con particolare riguardo ai rapporti finanziari (risposte al quesito 7).

Quesito 7: La mancata attuazione delle disposizioni degli statuti speciali può essere ritenuta una delle cause principali del contenzioso Stato-Regioni speciali ? In particolare, la mancata attuazione delle previsioni statutarie che regolano i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali è, a suo avviso, all'origine dell'incremento della conflittualità tra questi enti, registratosi negli ultimi anni ?

  Per il Presidente Ardizzone il contenzioso con lo Stato è stato determinato dai problemi interpretativi posti dagli articoli 36 e 37 dello statuto, che ne hanno impedito una piena attuazione. In proposito, Ardizzone ha richiamato alcune delle vicende più importanti che hanno caratterizzato il contenzioso con lo Stato, sottolineando l'urgenza di una revisione degli articoli 36 e 37 che delimiti in modo chiaro le competenze della Regione e dello Stato.
  In merito ai rapporti finanziari tra Stato e Regione Sicilia, il Presidente De Lipsis ha posto l'accento sulla vaghezza delle disposizioni di cui agli articoli 36, 37 e 38, che ha prodotto un cospicuo contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale. In particolare, De Lipsis ha evidenziato l'assenza di indicazione della latitudine e dell'area di imposizione dei cc.dd. tributi propri della Regione ex articolo 36, e l'approccio sostanziale riferito al luogo del realizzo del presupposto di imposta ex articolo 37. A sua volta, la giurisprudenza costituzionale Pag. 310in materia è stata piuttosto oscillante, a causa sia della richiamata vaghezza sia dell'alluvionale legislazione statale di settore sia, da ultimo, della mancata adozione di norme di attuazione.
  Il Presidente Graffeo, attraverso un'approfondita analisi della giurisprudenza costituzionale in materia, ha ricostruito le tappe salienti del lento e non sempre univoco processo di definizione dei rapporti finanziari tra Stato e Regione Sicilia, evidenziando come le difficoltà di definizione degli ambiti di competenza abbiano favorito il sorgere di un cospicuo contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale. In particolare, Graffeo ha posto l'accento sul contenzioso circa i criteri per qualificare come nuova un'entrata tributaria o per individuare la clausola di finalizzazione o le garanzie procedurali nell'applicazione dei provvedimenti in deroga al criterio ordinario di riparto dei tributi.
  Nella ricostruzione dei principali orientamenti della Corte costituzionale in materia Graffeo ha concluso soffermandosi sui più recenti arresti giurisprudenziali (sent. n. 19 del 2015) che hanno fatto salva la determinazione unilaterale dello Stato dell'entità del contributo della Regione alla manovra di finanza pubblica, riconducendo siffatto intervento statale non solo all'articolo 117 Cost. ma anche all'articolo 11 Cost.
  Per il Presidente Monteleone l'assenza di norme di attuazione che, per la loro natura rinforzata, avrebbero contribuito se non altro alla chiarezza nell'ambito di un processo politico di leale rapporto bilaterale tra centro e periferia, ha concorso alla formazione di un assetto nel quale, anche sotto il profilo dei rapporti finanziari, non vi è certezza.
  A parere della professoressa Nicotra la causa del contenzioso con lo Stato va individuata non solo nella mancata attuazione delle disposizioni statutarie ma anche nella difficoltà di coordinare talune norme di attuazione con quelle statutarie. A conferma di ciò, la professoressa Nicotra ha richiamato delle pronunce in cui la Corte costituzionale ha messo in crisi il contenuto delle stesse norme di attuazione.
  Secondo il professor La Spina, il contenzioso con lo Stato, specie in materia finanziaria, è stato fin qui parzialmente attutito dal Commissario dello Stato, che impugnando una normativa regionale ha indotto la Regione ad espungere la norma impugnata dal testo approvato e quindi ha posto fine al giudizio di legittimità costituzionale. Quanto allo specifico tema dei rapporti finanziari, La Spina ha dichiarato di aspettarsi un forte impulso della Regione siciliana per l'attuazione delle norme statutarie in materia, che però finora non ha rilevato. Anche su questo punto La Spina ha sottolineato l'urgenza di una programmazione dei lavori e di un supporto (non necessariamente sotto forma di un apparato specifico) alla Commissione per poterle consentire di svolgere i suoi lavori.
  Il professor Verde, in premessa, ha insistito sulla necessità di smentire l'affermazione ricorrente secondo cui tutti i redditi dei siciliani sarebbero assegnati alla Regione Sicilia, la quale avrebbe, quindi, una dotazione finanziaria che produce un surplus. Nel merito dei rapporti finanziari, Verde ha affermato la necessità di ridefinire Pag. 311le norme di attuazione sui rapporti finanziari, sottolineando, tra l'altro, come il decreto attuativo del 1965 non sia stato mai coordinato con la riforma tributaria del 1973.
  Sul tema dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione Sicilia si è soffermato anche il professor Antonini, pur essendo stato audito sulle problematiche generali connesse alle norme di attuazione. Al riguardo, Antonini ha attentamente ricostruito le principali tappe legislative e giurisprudenziali che hanno caratterizzato la storia di questi rapporti, evidenziando talune conseguenze contraddittorie prodotte dalle norme di attuazione. Il riferimento è, in particolare, alla vicenda connessa all'addizionale sulla tassa automobilistica, il cui gettito è stato considerato dalla Corte costituzionale di spettanza dello Stato, per la Regione Sicilia, e di spettanza della Regione, per il Trentino-Alto Adige. Ad avviso di Antonini questo è un caso emblematico della necessità che la nuova stagione di revisione degli statuti, che si aprirà dopo l'approvazione della riforma costituzionale, sia attentamente monitorata al fine di evitare che si producano effetti che danneggino la Sicilia.

9.2.9. Il futuro della specialità regionale alla luce del progetto di riforma della Costituzione (risposte al quesito 8).

Quesito 8: L'articolo 39 del disegno di legge cost. AC 2613-A reca al comma 11 la previsione secondo cui le disposizioni contenute nella legge costituzionale de qua non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino all'adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. Si stabilisce inoltre che «Sino alla revisione dei predetti statuti speciali, resta altresì ferma la disciplina vigente prevista dai suddetti statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione».
  A suo avviso, queste disposizioni, inserite in un quadro di sostanziale ridimensionamento delle competenze delle Regioni a statuto ordinario, potranno contribuire ad una complessiva rivalutazione della specialità regionale e dei decreti di attuazione degli statuti speciali ? ... o porteranno piuttosto ad un ulteriore appiattimento delle autonomie speciali, le quali preferiranno «accontentarsi» di ciò che hanno ?

  Il Presidente Ardizzone ha rilevato l'urgenza di un processo di «attualizzazione», piuttosto che di revisione, dello statuto siciliano, al fine di assicurare l'aggiornamento di alcune sue parti. A tal fine, ha annunciato l'intenzione di istituire una Commissione per la revisione dello statuto. In questa prospettiva Ardizzone ha auspicato, tra l'altro, la soppressione del Consiglio di giustizia amministrativa (CGA), allo scopo di assicurare un'uniformità di giudizio rispetto al resto d'Italia.
  In merito alla soppressione del Consiglio di giustizia amministrativa, il Presidente De Lipsis ha rilevato come questa proposta appaia in contraddizione con quella, fatta oggetto di un disegno di legge, di istituire in Sicilia una sezione della Corte di cassazione. Più in Pag. 312generale, De Lipsis ha evidenziato come il CGA, in quanto sezione del Consiglio di Stato, operi in consonanza con quest'ultimo e non in difformità.
  In merito all'adeguamento, previa intesa, degli statuti speciali a seguito dell'entrata in vigore della riforma della Costituzione, De Lipsis ha osservato come le Regioni speciali potrebbero non avere interesse a stipulare tali intese, ove il prezzo delle stesse dovesse comportare una compressione delle proprie competenze. Inoltre, il procedimento di aggiornamento dello statuto sulla base di intese sembrerebbe sovrapporsi al vigente articolo 41-ter dello statuto siciliano. Pertanto, per modificare quest'ultimo non troverebbe più applicazione il procedimento stabilito dalla Costituzione per le leggi costituzionali, essendo sufficienti le intese.
  Con specifico riguardo alla giustizia amministrativa in Sicilia, De Lipsis ha auspicato l'adozione di modifiche statutarie e delle relative norme di attuazione volte a prevedere: l'obbligatorietà del parere del Consiglio di giustizia amministrativa (CGA) per l'adozione di regolamenti regionali; la possibilità di richiedere analogo parere per altri atti, quali, ad esempio, i contratti tipo per la pubblica amministrazione; il potere di proposta del CGA al fine di assicurare l'ottimale funzionamento della giustizia amministrativa in Sicilia; l'inserimento fra i componenti della Commissione paritetica di un membro togato del CGA; il carattere vincolante del parere reso dal CGA sui ricorsi straordinari al Presidente della Regione, analogamente a quanto previsto dalla legge n. 69 del 2009 per il parere del Consiglio di Stato sui ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica; l'obbligo per la Regione di relazionare subito al CGA sui gravami che contengono la richiesta di sospensiva dell'atto impugnato; la possibilità di consentire l'inserimento dei consiglieri laici del CGA assegnati alla sezione consultiva nei collegi della sezione giurisdizionale.
  In merito alle proposte formulate dal Presidente De Lipsis, il Presidente Graffeo si è dichiarato d'accordo nel rendere obbligatorio il parere del CGA sui regolamenti regionali ed ha evidenziato la necessità della previsione di componenti di nomina regionale nella sezione siciliana della Corte dei conti.
  Con specifico riferimento all'esercizio della funzione giurisdizionale amministrativa in Sicilia, il Presidente Monteleone – al fine di fugare del tutto i dubbi sulla composizione speciale del CGA – ha auspicato una modifica delle norme di attuazione per ricondurre la composizione del CGA a quella di una sezione del Consiglio di Stato.
  Secondo la professoressa Nicotra, se si vuole davvero che le Regioni speciali riformino i loro statuti si deve, quantomeno, mettere un termine alla loro revisione, sia pure con la procedura concordata. Scaduto questo termine, troverebbe applicazione per tutte le Regioni il testo riformato della Costituzione.
  Il professor Verde ha espresso un giudizio fortemente negativo sulla norma contenuta nel disegno di legge costituzionale che esclude dal suo ambito di applicazione le Regioni speciali. Secondo Verde l'entrata in vigore di questa norma obbligherà le Regioni a cercare in quattro fonti di rango costituzionale (Costituzione, statuto speciale, legge cost. n. 3 del 2001 e nuovo Titolo V) le norme da applicare, determinando un incremento del contenzioso.Pag. 313
  A questa difficoltà Verde ha aggiunto: quelle derivanti dal coordinamento tra la norma che consente di modificare gli statuti previa intesa e la procedura ex articolo 138 Cost. prevista per modificare le norme costituzionali; e quelle relative all'individuazione dei soggetti dell'intesa, che potrebbero portare ad un esautoramento del Parlamento regionale sebbene questo possa approvare una legge-voto sulla modifica statutaria.
  Per queste ragioni Verde ha affermato che sarebbe stato meglio affidare alle Regioni speciali un termine entro il quale avrebbero dovuto modificare lo statuto, pena l'applicazione della Costituzione.

9.2.10. La proposta di costituire un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le Regioni speciali al fine di concordare le linee procedurali comuni per la revisione degli statuti (risposte al quesito 9, rivolto solo al Presidente della Regione e al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana).

Quesito 9: A tale ultimo proposito, il sottosegretario di Stato agli Affari regionali, on. Gianclaudio Bressa, nell'ambito della sua audizione presso la Commissione lo scorso 20 maggio, ha auspicato l'apertura di un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le cinque Regioni a statuto speciale rispetto al processo di aggiornamento costituzionale dei rispettivi statuti. In particolare, il confronto si potrebbe concludere con una convenzione tra lo Stato e le Autonomie speciali che tracci le linee procedurali per la revisione degli statuti anche allo scopo di addivenire alla predisposizione di un disegno di legge costituzionale di revisione che – sul modello della legge costituzionale n. 2 del 2001 – riguardi tutte le Regioni a statuto speciale.
  Qual è la Sua opinione al riguardo ?

  Secondo il Presidente Ardizzone è utile il confronto con gli organi nazionali, purché ciò non incida sulla celerità del procedimento di revisione statutaria.
  Anche la professoressa Nicotra ha ritenuto di intervenire sul punto, affermando di ritenere utile la creazione di un tavolo unitario dello Stato e delle Regioni speciali al fine di consentire una procedura unitaria e quindi la razionalizzazione del percorso di revisione. Al riguardo, la professoressa Nicotra ha proposto di prevedere un termine perentorio al fine di accelerare un percorso unitario di revisione degli statuti speciali.

10. Conclusioni: le proposte della Commissione.

10.1. Le Commissioni paritetiche nell'attuazione degli statuti delle Autonomie speciali: composizione e funzioni.

  Come chiarito dalla Corte costituzionale (sent. 109/1995), le Commissioni paritetiche rappresentano lo «strumento di collaborazione fra Stato e Regione o Province autonome» e costituiscono Pag. 314l’«organo finalizzato alla ricerca di una sintesi positiva tra posizioni ed interessi potenzialmente diversi».
  Esse svolgono dunque un fondamentale ruolo nell'attuazione degli statuti e sono espressione del principio collaborativo tra lo Stato e le Regioni, che trova ora la sua espressa codificazione nell'articolo 39, comma 13, del disegno di legge costituzionale C2613-B, all'esame della Camera nella quarta lettura della prima deliberazione, che prevede che la revisione degli statuti delle Regioni speciali e delle Province autonome avvenga sulla base di intese con lo Stato.
  Le Commissioni paritetiche (nominate con decreto del Ministro per gli affari Regionali, composte da membri designati in numero uguale dal Governo e dalla Regione o Provincia autonoma e previste dagli statuti degli enti ad autonomia differenziata (1)) rappresentano la sede del confronto tra i rappresentanti dello Stato e quelli della singola Regione ad autonomia differenziata su specifici temi attorno ai quali ruotano interessi contrapposti e che trovano adeguata composizione nelle norme di attuazione statutaria, le quali sono finalizzate a rendere operative quelle disposizioni dello Statuto di autonomia che non sono direttamente applicabili.

   (1) L'articolo 43 dello Statuto speciale per la Sicilia prevede che: «Una Commissione paritetica di quattro membri nominati dall'Alto Commissario della Sicilia e dal Governo dello Stato, determinerà le norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione, nonché le norme per l'attuazione del presente Statuto»; l'articolo 56 dello Statuto speciale per la Sardegna stabilisce che «Una Commissione paritetica di quattro membri, nominati dal Governo della Repubblica e dall'Alto Commissario per la Sardegna sentita la Consulta regionale, proporrà le norme relative al passaggio degli uffici e del personale dallo Stato alla Regione, nonché le norme di attuazione del presente Statuto»; l'articolo 65 dello Statuto della Regione Friuli Venezia Giulia prevede che «Con decreti legislativi, sentita una Commissione paritetica di sei membri, nominati tre dal Governo della Repubblica e tre dal Consiglio regionale, saranno stabilite le norme di attuazione del presente Statuto e quelle relative al trasferimento all'Amministrazione regionale degli uffici statali che nel Friuli-Venezia Giulia adempiono a funzioni attribuite alla Regione»; l'articolo 107 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige stabilisce che «Con decreti legislativi saranno emanate le norme di attuazione del presente statuto, sentita una Commissione paritetica composta di dodici membri di cui sei in rappresentanza dello Stato, due del Consiglio regionale, due del Consiglio Provinciale di Trento e due di quello di Bolzano. Tre componenti devono appartenere al gruppo linguistico tedesco. In seno alla commissione di cui al precedente comma e istituita una speciale commissione per le norme di attuazione relative alle materie attribuite alla competenza della Provincia di Bolzano, composta di sei membri, di cui tre in rappresentanza dello Stato e tre della Provincia. Uno dei membri in rappresentanza dello Stato deve appartenere al gruppo linguistico tedesco; uno di quelli in rappresentanza della Provincia deve appartenere al gruppo linguistico italiano»; l'articolo 48-bis dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta dispone infine che «Il Governo è delegato ad emanare uno o più decreti legislativi recanti le disposizioni di attuazione del presente statuto e le disposizioni per armonizzare la legislazione nazionale con l'ordinamento della Regione Valle d'Aosta, tenendo conto delle particolari condizioni di autonomia attribuita alla Regione. Gli schemi dei decreti legislativi sono elaborati da una Commissione paritetica composta da sei membri nominati, rispettivamente, tre dal Governo e tre dal consiglio regionale della Valle d'Aosta e sono sottoposti al parere del consiglio stesso».

  Pur in presenza di un'eterogeneità di funzioni assegnate dagli statuti alle Commissioni paritetiche, si è assistito ad una sostanziale omologazione del ruolo svolto dalle Commissioni medesime, avallata dalla stessa Corte costituzionale, che non ha inteso valorizzare le suddette differenze.
  L'elemento che accomuna tutte le norme statutarie è comunque rappresentato dall'attribuzione alle Commissioni paritetiche dello specifico compito di intervenire nella fase di predisposizione delle norme per l'attuazione dei singoli statuti. Esse «rappresenta(no), Pag. 315dunque, un essenziale raccordo tra la Regione e il legislatore statale, funzionale al raggiungimento di tali specifici obiettivi.» (Corte cost. sent. n. 101 del 2010) e sono prevalentemente investite di funzioni consultive (istruttorie o preparatorie) (Corte cost. sent. n. 37 del 1989, n. 95 del 24 marzo 1994).
  Stante il quadro normativo e giurisprudenziale sopra descritto, l'indagine conoscitiva ha evidenziato numerose criticità nel funzionamento di tali organi, per superare le quali la Commissione per le questioni regionali propone di:
   1) armonizzare le diverse formulazioni contenute negli statuti di autonomia che definiscono compiti e composizione delle Commissioni paritetiche;
  Si segnala, in proposito, il modello rappresentato dalla norma contenuta all'articolo 48-bis dello Statuto valdostano (vedi nota n. 1) che maggiormente valorizza il ruolo delle Commissioni paritetiche. In particolare, lo Statuto valdostano assegna a tali organi: il potere d'impulso nella predisposizione degli schemi dei decreti legislativi; la fondamentale funzione di armonizzare la legislazione statale rispetto al contesto regionale e prevede, nel procedimento di formazione dei decreti legislativi, il coinvolgimento del Consiglio regionale, chiamato ad esprimersi sugli schemi dei decreti predisposti dalla Commissione paritetica.
   2) prevedere che le Commissioni paritetiche, nelle more del rinnovo dei relativi componenti, conseguente ad ogni cambio di Governo, siano assoggettate a forme di prorogatio;
  In questo senso, appare necessario prevedere esplicitamente, nei singoli statuti, che le Commissioni sono organi permanenti rinnovabili nella loro composizione ad ogni cambio di legislatura ovvero, come appare preferibile, di Governo, introducendo meccanismi volti ad assicurare il rinnovo della composizione o prevedendo, fino al rinnovo, la permanenza dei vecchi membri. A sostegno di tale intervento, si ricorda che le Commissioni sono organi previsti da leggi costituzionali e sono necessari all'attuazione degli statuti.
   3) introdurre negli statuti di autonomia disposizioni volte a regolamentare il funzionamento delle Commissioni paritetiche ed a prevedere l'obbligo di adozione, da parte di queste ultime, di regolamenti interni che attuino e specifichino le disposizioni statutarie;
   4) prevedere forme di programmazione dei lavori delle Commissioni che, anche sulla base di intese quadro tra Governo statale e Giunta regionale, consentano di individuare i temi generali di intervento, allo scopo di evitare l'eccessiva frammentarietà delle questioni trattate.
  Si segnala, in proposito, il modello del Friuli Venezia Giulia, in base al quale, in via di prassi, la stesura delle proposte degli schemi dei decreti legislativi di attuazione deriva principalmente da un'iniziativa della Regione, sulla base di protocolli d'intesa definiti tra lo Stato e la Regione.Pag. 316
   5) intensificare il collegamento tra le Commissioni paritetiche e gli esecutivi statale e regionale, oltre che mediante la programmazione dei lavori, anche intervenendo sulla composizione delle Commissioni medesime. A tal fine, si potrebbe prevedere che tra i membri di nomina statale sieda un rappresentante del Governo nazionale e/o degli apparati ministeriali e che, tra i membri di nomina regionale, sieda un rappresentante dell'Esecutivo regionale e/o degli apparati amministrativi regionali;
  In particolare, si potrebbe ipotizzare che i rappresentanti delle strutture amministrative dello Stato e della Regione prendano parte al procedimento istruttorio, mentre i rappresentanti degli esecutivi nazionale e regionale, con mandato ad esprimere la volontà dell'organo in via definitiva, intervengano nella fase decisoria.
   6) intensificare il collegamento tra le Commissioni paritetiche e le Assemblee legislative regionali.
  Al riguardo, si potrebbe ipotizzare l'introduzione in tutti gli statuti regionali di norme che prevedano un coinvolgimento, nel processo di formazione degli schemi dei decreti legislativi, dei Consigli regionali, che potrebbero essere chiamati ad esprimersi sugli schemi medesimi (cfr. 48-bis Statuto della Valle d'Aosta). Si potrebbe inoltre immaginare l'audizione periodica della delegazione regionale in seno alle Commissioni paritetiche, ovvero ipotizzare un'informativa al Consiglio, da parte del Presidente della Regione, sui lavori svolti dalla Commissione.
  In questo senso, si segnala l'articolo 174-bis (Informazioni sulle attività svolte dalla Commissione paritetica) del Regolamento del Consiglio della Regione Friuli Venezia Giulia che recita:
   «1. Il Presidente del Consiglio, con cadenza almeno semestrale, invita i componenti di nomina consiliare della Commissione paritetica prevista dallo Statuto e il Presidente della Regione, a riferire davanti alla V Commissione, allargata ai Presidenti dei gruppi consiliari, sulle attività svolte dalla Commissione paritetica e sullo stato di attuazione delle linee di indirizzo formulate dal Consiglio regionale.
  2. Il Presidente del Consiglio può chiedere periodicamente ai componenti nominati dal Consiglio regionale nell'ambito della Commissione paritetica informazioni e documenti sui programmi della loro attività e ne informa le Commissioni competenti e i Consiglieri.»
   7) nel caso in cui entri in vigore la riforma costituzionale, prevedere che, il Senato, nell'esercizio delle funzioni di raccordo tra Stato ed enti territoriali e di valutazione delle politiche pubbliche, possa disporre l'audizione dei componenti di nomina statale delle Commissioni paritetiche;
   8) assicurare, con le modalità che il Governo riterrà più opportune, il coordinamento dell'azione dei membri della Commissioni paritetiche di nomina statale;
   9) introdurre forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni.
  Al riguardo, si suggerisce che nei regolamenti dei Consigli regionali sia prevista l'audizione periodica dei membri di nomina regionale, che assicuri un momento di pubblicità dei lavori e di controllo politico Pag. 317sull'operato di tali organi, anche allo scopo di accrescerne la legittimazione democratica. Si potrebbe inoltre immaginare che siano resi pubblici le proposte, i pareri, i verbali e l'iter di esame degli schemi dei decreti legislativi o, quanto meno, l'ordine del giorno dei lavori delle Commissioni (in proposito, si segnala, ad esempio, che, nella Regione Friuli Venezia Giulia, il regolamento consiliare contempla la trasmissione periodica al Presidente del Consiglio regionale degli ordini del giorno delle sedute della Commissione paritetica).

10.2 Il procedimento di formazione dei decreti legislativi di attuazione statutaria.

  I decreti legislativi di attuazione degli statuti di autonomia vengono emanati all'esito di un peculiare procedimento che vede, tra l'altro, l'esclusione del Parlamento dal relativo iter, il coinvolgimento delle Commissioni paritetiche previste dagli statuti di autonomia e, nelle Regioni Valle d'Aosta e Sardegna, dei Consigli regionali. La peculiare posizione che tali decreti ricoprono nel sistema delle fonti del diritto (al pari delle norme statutarie possono infatti essere utilizzati come parametro del giudizio di costituzionalità) ha inoltre indotto la dottrina e la giurisprudenza a considerarli come un modello a sé di atto-fonte e ad interrogarsi in merito al rapporto intercorrente tra di essi e la legge ordinaria (v. supra par. 3.4).
  Come precisato dalla Corte costituzionale (sent. n. 133 del 2010), inoltre, alla legge ordinaria è inibito intervenire negli ambiti di competenza riservati ai decreti legislativi di attuazione ed il confronto tra Stato e Regioni, propedeutico alla formazione dei decreti, non può essere sostituito con accordi presi in altre sedi o in altri modi, ma deve necessariamente seguire il procedimento previsto dagli statuti.
  La Consulta ha altresì chiarito (sent. n. 37 del 1989) che, nel silenzio delle norme statutarie sul funzionamento delle Commissioni paritetiche ed in assenza di una disciplina quadro che regolamenti le procedure di adozione dei decreti legislativi di attuazione degli statuti, il Governo non è legittimato ad adottare modificazioni o aggiunte suscettibili di alterare il contenuto sostanziale della disciplina su cui la Commissione abbia già avuto modo di manifestare il proprio parere, a meno che non si tratti di variazioni di carattere squisitamente formale.
  Come emerso nelle audizioni (Lapecorella): «È evidente, dunque, che l'aver attribuito alle sole Regioni speciali ed alle Province autonome uno strumento normativo di tale portata, antesignano della strategia della concertazione che oggi rappresenta il punto di forza di ogni confronto interistituzionale, costituisce un importante tassello per differenziare ancor più le Regioni ad autonomia speciale rispetto alle Regioni ordinarie.»
  Si tratta, inoltre, di strumenti che consentono di modellare gli ambiti di competenza dello Stato e delle Regioni a seconda delle esigenze poste dalle situazioni locali e dai diversi ambiti territoriali (Louvin) e che hanno consentito di dare sostanza alla specialità: come precisato dalla Corte costituzionale (sent. n. 213 del 1998), esse svolgono non solo una funzione di attuazione, ma anche di integrazione Pag. 318degli statuti speciali. Le norme di attuazione, come chiarito nelle audizioni (Verde), non rappresentano dunque la mera trasposizione su un piano sub-costituzionale di un principio, ma introducono una disciplina che può farsi carico di amplificare e adattare al momento contingente lo spirito statutario.
  Gli elementi conoscitivi acquisiti nel corso delle audizioni hanno tuttavia evidenziato numerose criticità procedurali che connotano il procedimento di adozione dei decreti legislativi in oggetto, le quali, quanto meno in alcune delle Regioni a statuto speciale, hanno contribuito a rallentare notevolmente il processo di attuazione degli statuti e, quindi, della stessa specialità regionale.
  In particolare, la Commissione per le questioni regionali ritiene che il superamento delle criticità evidenziate nel corso dell'indagine possa consentire di sfruttare al massimo tutte le potenzialità insite nel binomio Commissioni paritetiche – norme di attuazione che le ha rese, ad esempio nelle Province autonome di Trento e di Bolzano (così come nelle altre Regioni a statuto speciale del nord Italia), rispettivamente, la principale sede istituzionale del confronto con lo Stato e «lo strumento principe dell'implementazione prima e dell'allargamento poi della sfera dell'autonomia, per l'ovvio motivo della loro efficienza, velocità, resistenza alle modifiche e scarsa pubblicità» (Palermo).
  Al riguardo, la Commissione ritiene improcrastinabile l'introduzione di una regolamentazione del procedimento di adozione dei decreti legislativi di attuazione, oggi affidato alla prassi (la quale, peraltro, ha condotto a risultati non sempre omogenei).
  In proposito, stante la difficoltà di individuare la fonte del diritto idonea a dettare una disciplina quadro del procedimento di adozione delle norme attuative, ritiene si debba in intervenire con legge dello Stato allo scopo di risolvere i profili di criticità che riguardano la fase del procedimento che investe competenze statali e, in primo luogo, di garantire termini certi per la conclusione del procedimento di adozione dei decreti legislativi.

  1) In particolare, si ritiene che si debba in prima battuta novellare la legge 23 agosto 1988, n. 400, allo scopo di:
   a) regolamentare i passaggi procedimentali nei quali il Governo è coinvolto nella fase dell'istruttoria sugli schemi dei decreti legislativi presso le Commissioni paritetiche, introducendo obblighi e termini per la trasmissione degli atti, dei documenti e dei pareri che siano a tal fine richiesti;
   b) procedimentalizzare la successiva fase dell'esame degli schemi dei decreti legislativi esitati dalle Commissioni paritetiche, introducendo un obbligo di iscrizione dei medesimi all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri entro termini certi decorrenti dalla relativa trasmissione, nonché un obbligo di pronuncia sui medesimi (entro termini prestabiliti) prevedendo altresì che, in ogni caso, gli schemi dei decreti legislativi siano esaminati nel merito in sede di Consiglio dei ministri e non di così detto pre-Consiglio;
   c) prevedere che, qualora il Governo intenda respingere ovvero modificare il testo esitato dalle Commissioni, debba motivarne le ragioni;Pag. 319
   d) individuare, nei casi di cui alla lettera c), una procedura di composizione del dissenso che consenta di assicurare una celere e proficua interlocuzione tra Commissioni paritetiche e Governo per giungere ad una soluzione condivisa;
   e) prevedere che i termini per la nuova iscrizione all'ordine del giorno e per la ulteriore deliberazione del Consiglio dei ministri sugli schemi dei decreti legislativi modificati all'esito del procedimento di cui alla lettera d) siano dimezzati.

  2) Contestualmente, al fine di razionalizzare l'attività delle Commissioni paritetiche, si auspica che:
   a) negli statuti di autonomia siano introdotte norme volte a scandire la tempistica dei singoli passaggi procedurali prodromici all'adozione degli schemi dei decreti legislativi, anche allo scopo di favorire il confronto tecnico-giuridico che deve svolgersi all'interno delle Commissioni paritetiche;
   b) i regolamenti interni delle Commissioni paritetiche, ove adottati, disciplinino lo svolgimento dell'istruttoria in Commissione, contemplando anche la possibilità che sia disposta l'audizione di soggetti esterni.

10.3. Le procedure per l'attuazione degli statuti speciali in materia finanziaria.

  Come noto, l'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 prevede espressamente il concorso delle Regioni a statuto speciale al conseguimento degli obiettivi di perequazione e solidarietà e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, secondo la disciplina che avrebbe dovuto essere introdotta da apposite norme di attuazione degli statuti. Con le medesime norme di attuazione si sarebbe dovuto altresì assicurare il coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi regionali.
  Tale previsione non ha ricevuto attuazione. La definizione dei rapporti finanziari tra il Governo e le Province autonome è infatti avvenuta non attraverso l'emanazione di norme di attuazione, bensì con la modifica degli statuti speciali con legge ordinaria previa sigla di appositi accordi, come previsto, limitatamente alla materia finanziaria, dagli stessi statuti (cfr. articolo 54, quinto comma, dello statuto della Regione Sardegna; l'articolo 63, quinto comma, dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia; l'articolo 50, quinto comma, dello statuto della Regione Valle d'Aosta; l'articolo 104, primo comma, dello statuto del Trentino-Alto Adige), con l'eccezione di quello della Regione siciliana.
  In relazione alla procedura (de-costituzionalizzata) in oggetto, le audizioni hanno evidenziato che «il ricorso al metodo dell'accordo viene considerato ormai dalla giurisprudenza costituzionale come un passaggio imprescindibile per modificare l'ordinamento finanziario degli enti ad autonomia differenziata, ponendosi come una garanzia tra il bilanciamento di opposti interessi, quello cioè di assicurare la Pag. 320specialità riconosciuta a dette autonomie dall'articolo 116 della Costituzione, e quello di garantire l'esigenza di unitarietà dell'ordinamento stabilita dall'articolo 5 della Costituzione» (Lapecorella).
  Una volta raggiunto l'accordo, è seguita, di regola, l'approvazione di modifiche ai singoli statuti, spesso il preludio per procedere alla predisposizione di norme di attuazione. Si è innestata, quindi, in tale solco – già percorso da procedure pattizie – un'ulteriore fase di confronto tra Stato e Regione ad autonomia speciale dinanzi alle Commissioni paritetiche, chiamate a riempire di significato le disposizioni statutarie che necessitano di adeguate integrazioni per poter essere in concreto applicate.
  Da questo punto di vista, anche la materia finanziaria ha postulato, «quale momento di chiusura, la modifica delle norme di attuazione, da definire, allo stato, attraverso le consuete procedure in seno alle Commissioni paritetiche, le quali, nonostante criticità funzionali e lentezze, costituiscono ancora la sede appropriata per la ponderazione degli interessi statali e delle autonomie speciali in ambito regionale» (Corte dei conti).
  In tale contesto, gli elementi conoscitivi acquisiti evidenziano che i contenuti dei più recenti accordi in materia economico-finanziaria hanno prodotto una significativa divergenza tra Regione e Regione in ordine allo stato di attuazione dell'autonomia finanziaria e al quadro delle competenze statutarie effettivamente esercitate.
  A riguardo, si ricorda che, come del resto segnalato nelle varie audizioni, le entrate finanziarie delle Regioni ad autonomia speciale dipendono principalmente dalle compartecipazioni ai tributi erariali, cioè da quote di tributi statali gravanti su una base imponibile generata nel territorio delle Regioni speciali e poi ad esse devoluti senza vincoli di destinazione.
  Si tratta di un gettito legato all'andamento e alle caratteristiche dell'economia locale, consistente in quote di gettito prodotto in ciascuna Regione e Provincia autonoma, e quindi rappresenta il legame tra la finanza regionale e il territorio, secondo i princìpi propri del federalismo fiscale.
  Vi sono però delle discrepanze significative tra le diverse autonomie: queste compartecipazioni rappresentano infatti, sul totale delle entrate finanziarie, circa il 75 per cento delle entrate totali nella Provincia autonoma di Trento, e solo il 39 per cento in Sicilia. In base a questo indicatore, l'autonomia finanziaria delle Regione Sicilia appare più vicina a quella delle Regioni ordinarie che alla media delle altre Regioni speciali.
  D'altro lato, altra peculiarità delle Regioni a statuto speciale è quella di dipendere in misura minore rispetto alle Regioni ordinarie dai trasferimenti dalle amministrazioni centrali.
  Questo tuttavia è vero solo per la Valle d'Aosta, il Friuli Venezia Giulia, la Provincia autonoma di Trento e la Sardegna, che dipendono solo marginalmente da trasferimenti, mentre la Provincia autonoma di Bolzano ha una dipendenza dai trasferimenti simile a quella media delle ordinarie, e la Sicilia ha una dipendenza dai trasferimenti molto superiore a quella delle Regioni ordinarie.Pag. 321
  In tale quadro, la Provincia autonoma di Trento e la Regione Siciliana rappresentano i due estremi del livello di autonomia finanziaria raggiunto da tali enti territoriali.
  Le ragioni del raggiungimento di un maggiore o minore grado di autonomia finanziaria secondo i princìpi propri del federalismo fiscale sono state rinvenute:
   1) nel minore o maggiore attivismo negoziale delle singole Regioni speciali;
   2) nel diverso potere contrattuale delle singole Regioni con lo Stato centrale;
   3) nella diversa capacità fiscale di ciascun territorio, dipendente dalle disomogenee condizioni socio-economiche delle autonomie speciali;
   4) nel differente riparto di competenze legislative tra lo Stato e le Regioni speciali, delineato in ciascuno statuto di autonomia;
   5) nell'esperienza applicativa dei principi del federalismo fiscale che sembra essere andata oltre lo spirito delle disposizioni che ne contenevano la disciplina (articoli 117 e 119 della Costituzione e legge n. 42 del 2009).

  In relazione al differente attivismo negoziale delle singole Regioni speciali, è stato in particolare evidenziato come, anche in questo caso, i due poli estremi siano rappresentati dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione Sicilia. La prima ha visto infatti l'approvazione, dall'istituzione della Commissione paritetica nella Provincia, di circa 87 provvedimenti normativi di attuazione, laddove, nello stesso periodo, per la Sicilia ne sono stati approvati 29 (si rinvia, alle tabelle contenute nella relazione depositata dal Prof. Tria).
  Con questo strumento, la Provincia autonoma di Trento assieme a quella di Bolzano e alla Regione Valle d'Aosta ha proceduto, utilizzando lo strumento pattizio e quello delle Commissioni bilaterali, lungo la strada di una progressiva acquisizione di autonomia, caratterizzata dalla contemporanea assunzione di maggiori competenze e da una quota crescente di compartecipazione al gettito di tributi erariali afferenti al proprio territorio.
  In tal modo, la Provincia di Trento è giunta fino alla quasi completa devoluzione di tutte le entrate tributarie erariali e a ottenere anche buona parte delle imposte e accise, dalle quali era ed è invece ancora esclusa la Sicilia (articolo 36, comma 2, dello statuto).
  Diversamente, tale ultima Regione beneficiava fin dalle origini dell'attribuzione integrale di tutti i tributi erariali riscossi sul proprio territorio, con l'eccezione delle accise sugli oli minerali, delle entrate del monopolio dei tabacchi e del lotto. La Sicilia disponeva dunque di un federalismo più avanzato rispetto alle altre autonomie speciali, ma nel corso degli anni il processo di attuazione dell'autonomia in termini sia di esercizio di nuove competenze, sia di compartecipazione alle imposte escluse non ha conosciuto sostanziali progressi. Ne è conferma il fatto che, ad esempio, in ordine all'esercizio delle funzioni Pag. 322fondamentali di sanità e istruzione, le competenze esercitate sono assai minori rispetto a quelle acquisite dalle altre autonomie speciali.
  In ordine al secondo profilo, è stato evidenziato come il diverso potere contrattuale delle singole Regioni con lo Stato centrale si è tradotto in molti casi nella mancata o nella ritardata presa in considerazione da parte del Consiglio dei ministri degli schemi dei decreti attuativi elaborati dalle Commissioni paritetiche delle Regioni speciali e, segnatamente, di quelle insulari.
  Quanto all'impatto prodotto dalle diverse formulazioni contenute negli statuti speciali, è stato osservato come tali statuti, pur con analogie di fondo, presentino diversità rilevanti sia per la numerosità delle materie per le quali conferiscono alla Regione la potestà legislativa – e, quindi, per le quali il finanziamento è a carico del bilancio regionale – sia per l'ampiezza e la qualificazione della potestà medesima. Con particolare riguardo alla Regione Sicilia, è stato osservato che proprio le materie affidate alla competenza legislativa regionale si sono trasformate in una sorta di barriera all'ingresso per le riforme ordinamentali che, in quel territorio, sono sempre intervenute con un significativo ritardo.
  Quanto all'applicazione dei principi del federalismo fiscale, come da più parti notato, gli articoli 117 e 119 della Costituzione come riformati nel 2001 e la relativa legislazione di attuazione (tra tutte, la legge n. 42 del 2009), pur nel pieno rispetto delle prerogative delle autonomie differenziate correlate alle rispettive specificità costituzionalmente rilevanti, tendevano ad individuare basi comuni per la definizione dell'autonomia finanziaria per tutti i livelli istituzionali, per le autonomie ordinarie e per quelle speciali, almeno sotto il profilo dei principi fondamentali, al fine di assicurare l'adeguatezza e la proporzionalità delle risorse in relazione alle funzioni (effettivamente) trasferite al livello regionale e locale, anche attraverso la perequazione per i territori con minore capacità fiscale e la solidarietà per la rimozione degli squilibri economici e sociali. L'esperienza applicativa è stata invece di segno diverso.
  L'evoluzione dei rapporti finanziari, delle stesse norme statutarie e delle relative norme di attuazione, per le ragioni prima indicate, si è andata infatti sempre più differenziando anche tra le stesse autonomie speciali, fino ad arrivare a singole e separate misure nell'ambito soprattutto delle leggi di stabilità, che, dal 2009 in avanti, sono diventate anche sede di ripetute ed articolate modifiche ‘concordate’ degli statuti speciali, in particolare per le autonomie dell'arco alpino.
  A tale riguardo, la Commissione, cogliendo gli spunti emersi nell'ambito dell'indagine conoscitiva, ritiene che debba essere assicurata maggiore stabilità e certezza dei principi e dei criteri che regolano i rapporti finanziari delle Regioni speciali con lo Stato e che, con il coinvolgimento di ogni autonomia speciale, mediante intese e correlate specifiche norme di attuazione per ciascuna di esse, dovrebbero essere definiti principi generali e criteri direttivi, tenendo anche conto delle competenze effettivamente trasferite e delle caratteristiche del territorio.
  In questo senso, senza con ciò voler perseguire l'obiettivo di un'omologazione delle specialità, che sarebbe contrario alla stessa Pag. 323essenza della medesima, l'occasione per individuare un nucleo di regole comuni per la disciplina dei rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni ad autonomia differenziata è rappresentata dall'attuazione della riforma costituzionale (C. 2613-B) attualmente all'esame della Camera dei deputati.
  A tale proposito, come preannunziato dall'on. Bressa nel corso della sua audizione, il Governo si è già attivato con l'apertura di un tavolo di confronto unitario tra il Governo e le cinque Regioni a statuto speciale rispetto al processo di aggiornamento costituzionale dei rispettivi statuti.
  A tale riguardo, la Commissione, apprezzando l'iniziativa del Governo, si riserva comunque, nell'ambito delle proprie competenze, di monitorare l'applicazione che delle regole comuni verrà data nei territori interessati allo scopo di verificare che essa, con particolare riferimento ai rapporti finanziari, sia effettivamente uniforme e non discriminatoria rispetto alle diverse realtà interessate.
  Quanto, infine, alla Regione Sicilia, in relazione alla quale le audizioni svolte hanno evidenziato le maggiori difficoltà nel funzionamento delle Commissioni paritetiche e nell'adozione delle norme di attuazione, e, in termini generali, le maggiori difficoltà nel processo di attuazione dell'autonomia con riguardo sia all'esercizio di nuove competenze, sia alla realizzazione di un adeguato livello di autonomia finanziaria rispetto allo Stato centrale, la Commissione, sulla base del quadro conoscitivo acquisito, evidenzia come molte delle suddette difficoltà dipendano dalla non sempre agevole definizione degli ambiti di competenza dello Stato e della Regione.
  Per la Sicilia, in aggiunta alle difficoltà comuni ad alcune delle altre Regioni a statuto speciale in ordine al funzionamento delle Commissioni paritetiche e alla lentezza e alla laboriosità delle procedure di adozione delle norme di attuazione, la Commissione per le questioni regionali segnala dunque l'urgenza di avviare un processo di attualizzazione dello Statuto, allo scopo di:
   1) definire, in modo chiaro ed in armonia con la Costituzione, gli ambiti materiali affidati alla competenza legislativa esclusiva della Regione;
   2) rivedere le disposizioni statutarie in materia finanziaria (articoli 36, 37 e 38) allo scopo di definire un quadro certo dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione, contestualmente procedendo ad un simmetrico trasferimento alla Regione siciliana delle funzioni ancora svolte dallo Stato. Al riguardo:
    a) dovrebbe essere chiaramente individuata la latitudine e l'area di imposizione dei così detti tributi propri della Regione;
    b) dovrebbe essere prevista espressamente, eventualmente mutuando formulazioni contenute in altri statuti speciali (cfr. l'articolo 75-bis dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) l'attribuzione alla Regione del gettito dei tributi maturati nel suo territorio in ragione della collocazione nel medesimo del fatto cui si collega o da cui sorge l'obbligazione tributaria;
    c) si dovrebbero, infine, prevedere forme di compartecipazione alle accise agli oli minerali raffinati negli impianti situati in Sicilia.

Pag. 324

10.4. Il futuro delle Regioni a statuto speciale alle luce del progetto di riforma costituzionale.

  Il progetto di riforma costituzionale conferma il riconoscimento della specialità regionale, operando la scelta del mantenimento della stessa, a fronte del ridimensionamento delle competenze delle Regioni ordinarie.
  Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome sono infatti escluse dall'applicazione della nuova disciplina del titolo V, che segna un ri-accentramento delle competenze, con l'ampliamento delle materie di competenza esclusiva dello Stato e la soppressione della competenza concorrente tra Stato e Regioni. Tale applicazione è rimessa alla revisione degli statuti, previa intesa con la Regione interessata. La previsione dell'intesa rappresenta la consacrazione a livello costituzionale del metodo pattizio che ha da sempre improntato il rapporto tra lo Stato centrale e le autonomie speciali, caratterizzando anche il procedimento di approvazione delle norme di attuazione degli statuti speciali.
  Questa valorizzazione della specificità delle autonomie speciali risulta vieppiù accentuata alla luce delle modifiche approvate in terza lettura al Senato – intervenute dopo la conclusione delle audizioni – che hanno sostituito il termine «adeguamento» degli statuti con «revisione», intendendo così che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome non dovranno necessariamente uniformarsi al nuovo titolo V. Questa modifica sembra aver colto alcune indicazioni che erano emerse nel corso dell'indagine conoscitiva, nell'ambito della quale diversi auditi hanno sottolineato che l'obbligo di adeguarsi ad una riforma che determina una riduzione di competenze avrebbe potuto costituire un ostacolo al processo di aggiornamento degli statuti.
  Peraltro, si viene così a creare – almeno sino alla revisione degli statuti – una netta separazione tra autonomie speciali e Regioni ordinarie nell'applicazione del titolo V, in quanto alle Regioni a statuto speciale continuerà ad applicarsi il testo attualmente vigente, integrato dalla clausola di maggior favore di cui all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. È stato in proposito messo in evidenza come questo regime potrà dar luogo a nuovo contenzioso costituzionale, dovuto al fatto che una medesima disposizione andrà valutata sulla base di un diverso parametro costituzionale (Titolo V vigente e Titolo V previgente) a seconda che si riferisca a Regioni ordinarie o a Regioni statuto speciale. Ciò accadrà anche per una materia di particolare rilievo quale il «coordinamento della finanza pubblica», che risulterà di competenza esclusiva statale con riferimento alle Regioni a statuto ordinario e di competenza concorrente per le Regioni a statuto speciale.
  Nel corso della terza lettura al Senato, è stata altresì introdotta l'applicabilità alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome della disposizione costituzionale sul cosiddetto «regionalismo differenziato», recata dall'articolo 116, terzo comma. Si tratta anche in questo caso di un rilevante rafforzamento della specialità, in quanto l'articolo 116, terzo comma, che nel vigente testo costituzionale segna Pag. 325la strada per un possibile avvicinamento delle Regioni a statuto ordinario alle Regioni a statuto speciale, potrà invece costituire la base per un ulteriore ampliamento delle competenze delle autonomie speciali, che oltretutto hanno una maggiore consuetudine con la procedura pattizia delineata dalla disposizione costituzionale.
  Allo stesso modo, il mantenimento della disciplina prevista dagli statuti speciali e dalle norme di attuazione relativa al potere sostitutivo dello Stato esclude le autonomie speciali, almeno fino alla revisione degli statuti, dall'applicazione dell'articolo 120 della Costituzione.
  Merita altresì sottolineare che, per le Regioni speciali, le disposizioni sul «regionalismo differenziato», con la disciplina transitoria applicabile sino alla revisione degli statuti, e sul potere sostitutivo entrano in vigore e sono applicabili immediatamente, quindi in via anticipata rispetto al resto della riforma costituzionale, che si applicherà a decorrere dalla prossima legislatura.
  Per ciò che attiene al procedimento di revisione statutaria, occorre richiamare l'attenzione sul carattere innovativo della procedura prevista, che richiede la previa intesa con la Regione interessata. Si viene così a delineare un nuova fonte del diritto, di rango costituzionale, rafforzata e atipica, in quanto frutto di un procedimento particolare, che introduce, per la prima volta, un elemento di natura pattizia alla base dello statuto. Appare in proposito meritevole di approfondimento la questione circa il rapporto che intercorrerà tra il contenuto dell'intesa e quello della legge costituzionale di modifica dello statuto speciale.
  Il riconoscimento del principio dell'intesa quale base per il processo di revisione degli statuti risulta fondamentale ai fini di un approccio comune delle cinque autonomie speciali nei confronti di tale revisione, un approccio che sia in grado di rinsaldare il pluralismo costituzionale e rileggere i fondamenti della specialità in chiave di responsabilità e solidarietà.
  A tal fine la Commissione propone la prosecuzione del confronto unitario – con il coinvolgimento delle Assemblee elettive regionali – avviato tra Regioni speciali, Province autonome e Stato, che possa concludersi con una convenzione che tracci le linee procedurali per un percorso comune di revisione degli statuti, come già accaduto nell'esperienza conclusasi con l'approvazione della legge costituzionale n. 2 del 2001.
  Questa potrebbe essere la sede per delineare le soluzioni comuni già indicate nel dettaglio nei paragrafi precedenti, riguardanti, oltre che l'aggiornamento degli statuti:
   l'armonizzazione della disciplina della composizione e del funzionamento delle Commissioni paritetiche;
   la regolamentazione del procedimento di adozione degli schemi dei decreti legislativi di attuazione degli statuti;
   la definizione di principi e criteri direttivi comuni nella disciplina dei rapporti finanziari con lo Stato.

  In tale sede, potrebbe altresì addivenirsi ad una definizione comune dei criteri di riparto delle competenze, anche alla luce del Pag. 326nuovo assetto costituzionale, al fine di prevenire l'insorgere di nuovo contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale.
  Nell'ambito di procedure concordate, ciascuna autonomia speciale, in base alle proprie caratteristiche, alle proprie esigenze, alla propria cultura politica, economica e sociale, potrà organizzarsi ed autodeterminarsi in un quadro condiviso di responsabilità nazionale.