ALLEGATO 1
5-05211 Capezzone: Pubblicazione dei nominativi dei dirigenti delle agenzie fiscali le cui nomine sono state annullate a seguito di una recente sentenza della Corte costituzionale e definizione delle modalità di annullamento dei provvedimenti illegittimi da essi sottoscritti.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'onorevole interrogante chiede, in particolare, «come si intenda provvedere a rendere noto, in particolare ai cittadini interessati dai loro atti, i nominativi dei dirigenti coinvolti dalla decisione della Consulta, con relativa indicazione della data della cessazione dalla funzione dirigenziale e come si intenda, anche con un atto normativo di assoluta urgenza, definire le modalità attraverso cui i cittadini potranno chiedere l'annullamento dei provvedimenti illegittimi, anche riaprendo – se necessario – i termini per le relative opposizioni».
Al riguardo, come già avuto modo di rappresentare a questa Commissione, con la sentenza n. 37 del 2015 in data 17 marzo 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma di cui all'articolo 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, e delle disposizioni successive che ne hanno prorogato l'efficacia, in base alle quali l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli hanno attribuito incarichi dirigenziali a tempo determinato a propri funzionari, all'esito di procedure di interpello e nelle more dell'espletamento delle procedure concorsuali, allo scopo di assicurare la migliore funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all'evasione.
L'affidamento di incarichi dirigenziali a funzionari – coerentemente con la legislazione all'epoca vigente – si è rivelato, secondo quanto sostenuto dalle Agenzie fiscali, uno strumento necessario per far fronte alle carenze di organico dirigenziale delle Agenzie in considerazione delle loro peculiarità e delle loro attività spiccatamente operative. Si pensi – nel caso dell'Agenzia delle dogane – al presidio dei maggiori porti ed aeroporti nazionali, dei residui valichi di confine, dei principali snodi del sistema logistico nazionale e l'effettuazione di controlli a tutela del made in Italy, del patrimonio artistico, della salute e – nel caso dell'Agenzia delle entrate – all'attività di controllo e verifica nella lotta all'evasione fiscale ed alla gestione del contenzioso tributario.
L'intervento della Corte costituzionale non pregiudica, contrariamente a quanto paventato dell'Onorevole Interrogante, la funzionalità delle Agenzie che – come affermato dalla stessa Corte – non è condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata e assicurata, quanto alla validità degli atti, da regole organizzative interne che prevedono la possibilità di ricorrere all'istituto della delega anche a funzionari, per l'adozione di atti a competenza dirigenziale. A conforto, la stessa Corte costituzionale richiama una consolidata giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione (Sezione tributaria civile sentenze n. 220 del 2014, n. 17044 del 2013, n. 18515 del 2010) che giudica sufficiente, ai fini del riconoscimento della validità dell'atto tributario, la provenienza dell'atto dall'ufficio in quanto idoneo ad esprimerne all'esterno la volontà. Pag. 69Ciò risponde, peraltro, ai principi di buon andamento di cui all'articolo 97 della Costituzione, di conservazione degli atti amministrativi e di continuità dell'azione amministrativa, nonché all'istituto, pacificamente riconosciuto e sicuramente applicabile alla fattispecie, del funzionario di fatto.
La sentenza n. 14942 del 2013 richiamata dall'interrogante, con cui la Corte di cassazione ha censurato l'Agenzia delle entrate che si era limitata «ad affermare che il sottoscrittore apparteneva all'ufficio stesso e che era abilitato alla firma, senza aver mai documentato ciò, investe esclusivamente l'aspetto della distribuzione dell'onere probatorio a carico delle parti, relativamente alla delegazione dei poteri di firma».
Secondo quanto prospettato dai tecnici dell'Agenzia delle Entrate, sul punto interpellato, non vi sarebbero, pertanto, rischi di invalidità degli avvisi di accertamento e delle cartelle esattoriali emesse. Tantomeno possono ipotizzarsi vuoti di potere, per il principio – più volte affermato in giurisprudenza – per cui occorre individuare in ogni momento un'autorità con la funzione di decidere e di provvedere.
Quanto a future iniziative, ferma la necessità di tenere conto delle indicazioni emerse dalla sentenza della Corte Costituzionale, si stanno valutando le soluzioni possibili per assicurare piena funzionalità all'operato delle Agenzie.
In merito alla richiesta di pubblicazione dei nominativi degli interessati dalla sentenza della Corte costituzionale, sul sito istituzionale delle Agenzie vengono pubblicati i nominativi e curricula di tutti i soggetti preposti a uffici dirigenziali.
Con riguardo, infine, alle modalità attraverso cui i cittadini potranno far valere le loro ragioni, si deve far necessariamente rinvio agli ordinari mezzi di tutela giurisdizionale già previsti dall'ordinamento generale in funzione del riconoscimento e della piena garanzia delle situazioni giuridiche soggettive dei cittadini.
ALLEGATO 2
5-05212 Busin: Classificazione delle stazioni filoviarie, funicolari e funiviarie nell'ambito della categoria catastale E/1.
TESTO DELLA RISPOSTA
Gli Onorevoli interroganti con il documento in esame chiedono che l'Amministrazione finanziaria emani provvedimenti al fine di ricomprendere, anche a seguito dell'emanazione della sentenza della Corte di Cassazione 5 marzo 2015, n. 4541, le stazioni filoviarie, funicolari e funiviarie all'interno della categoria catastale E/1 e non nella categoria D/8, affinché sia correttamente riconosciuto a simili strutture, da un punto di vista giuridico, anche ai fini fiscali, la funzione pubblica di trasporto, non dissimilmente da altri impianti e infrastrutture esplicanti il medesimo servizio di trasporto.
Diversamente, tali fattispecie, a seguito della citata sentenza, risulterebbero inquadrabili fra gli immobili urbani a fini catastali e, quindi, gli impianti di risalita vedrebbero riclassificare i propri immobili, con conseguente ridefinizione della rendita catastale incidente nel calcolo dell'IMU.
Per ben comprendere la problematica occorre evidenziare che la citata sentenza della Cassazione (accogliendo il ricorso dell'Agenzia delle entrate e del territorio contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto-Mestre 80/06/11 del 5 ottobre 2011 che rigettava l'appello sul nuovo classamento di un immobile di pertinenza di una società di gestori funiviari del Veneto) ha stabilito che, in considerazione del fatto che gli impianti di risalita insistenti all'interno di un'area sciabile, non possono essere classificati come mezzo pubblico di trasporto, perché non sono nemmeno parzialmente utilizzabili come mezzo di trasporto a disposizione del pubblico, ma svolgono un'esclusiva funzione commerciale di ausilio e integrazione della fruizione delle aree sciabili da parte degli utenti, detti impianti vanno conteggiati nello stabilire la rendita catastale degli immobili ospitanti le stazioni degli impianti di risalita, posto che per le disposizioni tributarie sono beni immobili non solo il suolo ed i fabbricati, ma anche tutte le strutture fisse che concorrono al pregio ed alla utilizzabilità degli immobili stessi.
Al riguardo sentiti gli Uffici dell'Amministrazione si fa presente quanto segue.
Preliminarmente, occorre evidenziare che con specifico riferimento al classamento catastale delle unità immobiliari che ospitano gli impianti di risalita, le caratteristiche peculiari degli stessi rendono necessaria una stima puntuale e diretta della loro redditività e un'inventariazione in categorie diverse da quelle a destinazione ordinaria.
In particolare, gli impianti di risalita sono censiti nella categoria «a destinazione particolare» E/1, relativa a stazioni per servizi di trasporto terrestri, marittimi ed aerei, nel caso in cui, nel loro complesso, siano assimilabili ad una stazione per il servizio pubblico di trasporto collettivo di persone e cose e consentano, analogamente a quanto avviene per un porto marittimo ovvero una stazione ferroviaria, lo spostamento di passeggeri e cose nel contesto di un'attività riconducibile a finalità di servizio pubblico.
Questo è il caso delle funivie utilizzate per raggiungere, ad esempio, piccoli centri urbani, ovvero destinate al trasporto non esclusivamente o prevalentemente dedicato alle attività turistiche.Pag. 71
Per converso, gli impianti sciistici a vocazione ludico-ricreativa sono censiti nella categoria catastale D/8, che ricomprende «Fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni».
Con riferimento alla destinazione del bene, è opportuno evidenziare che le unità immobiliari sensibili nelle categorie particolari di cui al gruppo «E», a differenza di quelle appartenenti alle categorie speciali del gruppo «D», hanno, come tratto caratteristico, proprio la tendenziale estraneità del bene alla sola logica del commercio o della produzione, in quanto trattasi di immobili funzionali anche ad esigenze di pubblica utilità.
A conferma del peculiare connotato che caratterizza le categorie particolari, si richiama l'articolo 2, commi 40 e seguenti, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, richiamato dalla stessa Corte di Cassazione, il quale ha dettato disposizioni in materia di censimento delle unità immobiliari nelle categorie catastali del gruppo «E».
In particolare, il comma 40 dell'articolo 2 stabilisce che: «Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale».
Come rilevato in altro contesto dalla Suprema Corte, la suddetta norma «... stabilisce una sorta di intrinseca incompatibilità tra la destinazione ad uso commerciale o industriale di un immobile e la possibile classificabilità in categoria “E”, fino al punto di prevedere che se un immobile a tale uso destinato sia ricompreso in una più ampia unità immobiliare in detta categoria classificata, l'immobile de quo, che abbia una propria autonomia funzionale e reddituale, debba essere necessariamente classificato in un diverso gruppo».
Tali caratteristiche «non commerciali» non si riscontrano nel trasporto realizzato per meri fini ludici/sportivi da società che perseguono un profitto di natura imprenditoriale, non qualificabile come esigenza di natura pubblicistica volta al soddisfacimento di un bisogno di interesse generale. Ne è una prova il prezzo per l'utilizzo degli impianti di risalita sportivi, non commisurato al prezzo «politico» di un servizio di trasporto pubblico essenziale, ma a quello di un servizio di impresa.
Sulla base di tali chiarimenti, appare coerente escludere la destinazione catastale di «servizio di trasporto» per quegli impianti di risalita (funivie, seggiovie o mezzi similari) che non sono utilizzabili quali «mezzi di trasporto» a disposizione della collettività – garantendo così la mobilità generale – ma svolgono una esclusiva funzione commerciale di ausilio ed integrazione dell'uso delle piste sciistiche.
Quanto sopra non risulta in contrasto con la definizione che ne offrono alcune leggi regionali, essendo tali normative dettate, all'evidenza, per disciplinare la materia del trasporto a mezzo fune anche in un'ottica di promozione della pratica sportiva e di sicurezza, senza che questo possa avere riflessi automatici sulla nozione catastale di «servizio per il trasporto» e sulle regole che presiedono il classamento.
Per quanto concerne gli elementi che devono essere considerati nella stima diretta degli immobili di specie, finalizzata alla determinazione della rendita catastale, la Circolare n. 6 del 30 novembre 2012 – peraltro «legificata» con l'articolo 1, comma 244, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 – chiarisce inoltre che negli impianti di risalita (siano essi su fune o su sede fissa) sono da includere nella stima i motori che azionano i sistemi di trazione, se posti in sede fissa, mentre vanno esclusi le funi, i carrelli, le sospensioni, le cabine, al pari dei vagoni e delle locomotrici, che fanno specificamente parte della componente mobile del trasporto.
Pertanto, ne consegue che per la determinazione della rendita catastale degli Pag. 72impianti sopra richiamati vengono prese in considerazione soltanto la stazione di valle e quella di monte, con esclusione di tutte le strutture intermedie (piloni, tralicci, eccetera) e di tutte le componenti mobili (funi, cabine, eccetera).
Alla luce delle considerazioni sopra esposte vengono individuati i principi e i criteri che guidano i tecnici dell'Agenzia delle Entrate e del Territorio per la corretta applicazione della prassi e delle norme catastali relative al classamento degli impianti di risalita.
Per i motivi sopra esposti, risulta quindi evidente che un'eventuale esenzione degli impianti come richiesta dall'interrogante necessiterebbe di un'apposita previsione legislativa, in relazione alla quale andrebbero valutati anche gli effetti in termini di impatto sull'erario.
ALLEGATO 3
5-05213 Causi: Ridefinizione del quadro regolatorio relativo alle reti di raccolta di scommesse.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con il documento in esame, gli onorevoli interroganti evidenziano il fenomeno per cui in Italia, da circa quindici anni a questa parte, alcune società legalmente stabilite in Paesi dello Spazio economico europeo a fiscalità di vantaggio sono riuscite a costituire e sviluppare in Italia vere e proprie reti fisiche di raccolta di scommesse alternative a quelle proprie dei concessionari di Stato legittimati alla raccolta del gioco mediante scommesse e con queste in diretta concorrenza all'interno di un unico mercato di riferimento.
Ciò posto, gli interroganti chiedono di sapere quali iniziative intenda assumere il Governo nella predisposizione del decreto legislativo delegato di attuazione dell'articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, al fine di ristabilire le necessarie regole di concorrenza tra reti ufficiali e reti alternative di raccolta scommesse in Italia.
Al riguardo, sentita l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, si rappresenta quanto segue.
La dimensione del fenomeno è notevole. Come riferiscono le stesse società estere nel corso di processi, le reti alternative contano ormai circa 7.000 punti di offerta di gioco sul territorio, più della metà di quelli delle reti dei concessionari che assommano a circa 12.700.
La convenienza a mantenere e sviluppare reti alternative sta nel vantaggio competitivo – efficace all'interno di un unico contesto di mercato del gioco interessato da concorrenza transfrontaliera, ossia quello della raccolta in rete fisica di scommesse – dato dall'assenza di costi per oneri di concessione, dal differenziale di costo fiscale tra il prelievo tributario nazionale sulla raccolta di scommesse e quello più conveniente (peraltro solo sui ricavi aziendali) del Paese di stabilimento legale della società di regia della rete alternativa in Italia (rete dei centro trasmissione dati, cosiddetti CTD), della autonomia nella scelta dei prodotti-scommessa da offrire sul mercato italiano (grazie al mancato rispetto delle regole di palinsesto italiane), nonché dall'assenza dei controlli sull'offerta di tali prodotti-scommessa (grazie al mancato collegamento al totalizzatore nazionale).
La convenienza risalta anche di più alla luce dell'obiettivo finale perseguito da tali società estere, ossia, attraverso sistematica erosione, delegittimazione e progressivo smantellamento del mercato della raccolta di scommesse gestito dai concessionari nazionali, quello di una sostanziale liberalizzazione di tale mercato, che – per quanto da loro auspicato – si dovrebbe trasformare, al più, in un «mercato meramente autorizzato».
L'attenzione concorrenziale delle società estere è concentrata sulla raccolta fisica delle scommesse. Lo dimostra anche il fatto che una di queste società ha effettivamente conseguito, a seguito di apposita gara nel 2011, una concessione per l'offerta on line di scommesse, ai sensi della legge n. 88 del 2009 (articolo 24, comma 13 e seguenti), che le permetterebbe di praticare concorrenza transfrontaliera in competizione con le altre concessionarie di gioco on line. La società, però, non utilizza appieno tale concessione, evidentemente perché è meglio – Pag. 74grazie al vantaggio competitivo sopra detto – concorrere nel settore dell'offerta di scommesse attraverso reti fisiche.
Vale precisare come si è realizzata fino ad oggi la neutralizzazione del sistema nazionale costituito da concessione ed autorizzazione, per effetto di un assunto teorico – giusto di per sé se preso isolatamente – dato anni addietro dalla Corte di Giustizia.
La Corte rilevò che nelle gare italiane del 1999 e del 2006 per l'attribuzione di concessioni per la raccolta in rete fisica di scommesse alcune prescrizioni erano comunitariamente non compatibili e tali da costituire barriera di ingresso in Italia a prestatori esteri di offerta di scommesse in regime di concorrenza transfrontaliera, di fatto discriminando – dal punto di vista concorrenziale – i prestatori esteri rispetto a quelli nazionali.
Una società estera – quella che storicamente esprime il modello organizzativo cui altre si sono accodate – si è così dotata del titolo di soggetto discriminato. La società, non partecipando alle gare dell'epoca, non ha conseguito concessione per la raccolta in Italia in rete fisica e, di conseguenza, neppure ha ottenuto provvedimento abilitativo ex articolo 88 Tulps.
La società si è concentrata su questa soluzione organizzativa: contrattualizzare una serie di titolari di esercizi (fisici) di offerta di scommesse dislocati in Italia, che a quel punto avrebbero potuto operare sotto il suo nome. Quindi ha fatto sì che questi esercizi di offerta di scommesse dialogassero in modalità telematica con lei – stabilita in un Paese dello Spazio economico europeo sufficientemente conveniente –, onde poter sostenere che tali esercizi non fossero loro a vendere prodotti-scommessa ai giocatori italiani bensì che tali prodotti-scommessa fossero venduti informaticamente direttamente all'estero.
Le autorità preposte ai controlli, applicando le norme proibitive di settore che sanzionano, anche penalmente, chi vende in Italia scommesse in assenza di concessione ed autorizzazione (i.e., licenza del Questore ex articolo 88 Tulps), hanno quindi preso ad irrogare sanzioni nei riguardi dei punti fisici di offerta di scommesse in Italia contrattualizzati con la società estera (giacché non concessionari né titolari di titolo abilitativo ex articolo 88 Tulps).
Sempre la Corte di Giustizia, investita incidentalmente da giudici nazionali che dovevano decidere sulle sanzioni impugnate dagli esercizi contrattualizzati dalla società estera o da questa impugnati direttamente, ha poi stabilito che non fosse comunitariamente compatibile una norma sanzionatoria nazionale applicata nei riguardi di un soggetto «discriminato» nei termini anzidetti.
L'effetto, a livello di contenzioso nazionale (specie in sede penale), è stato che risultassero spuntati ed inefficaci gli strumenti di contrasto alla proliferazione in Italia di punti di offerta fisica di scommesse contrattualizzati con società estera e che si dilatassero progressivamente le reti fisiche di raccolta di scommesse affrancate de facto dal quadro regolatorio nazionale.
Questo spiega la finalità ultima perseguita dal Governo con le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 643 e 644, della legge n. 190 del 2014.
Il risultato della giurisprudenza comunitaria ricordata è che, oggi, nel mercato nazionale dell'offerta di scommesse in rete fisica operano due «circuiti» di reti: quella dei concessionari di Stato e quella degli esercizi contrattualizzati con le società estere (cosiddette bookmaker). È però il secondo circuito, nei fatti, a godere del vantaggio competitivo innanzi detto.
La qualifica di soggetto discriminato, indicato dalla citata giurisprudenza comunitaria, non poteva ovviamente essere ex se eterno. In primo luogo perché, scadute le concessioni in relazione alle quali la discriminazione era stata dichiarata, questa evidentemente non poteva esistere più. In secondo luogo perché l'ordinamento nazionale ha fatto tesoro di quella giurisprudenza.
Così l'articolo 10, comma 9-octies, del decreto-legge n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del Pag. 752012, il cui obiettivo è stato – cogliendo l'occasione della necessità di riporre in gara 2.000 concessioni all'epoca scadute – anche quello di offrire a quanti cosiddetti bookmaker esteri avessero voluto la opportunità di entrare nel mercato dell'offerta di scommesse in rete fisica data in concessione dello Stato.
Ma la società estera sopra ricordata – a differenza peraltro di un altro operatore suo collega, che si è aggiudicato un non marginale numero delle concessioni bandite – neppure ha fatto domanda di partecipazione alla selezione, assumendo che ancora una volta le condizioni di gara fossero discriminatorie.
Il motivo di questo atteggiamento sta in ciò. Soltanto ottenendo un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, per pretesa incompatibilità comunitaria della normativa nazionale, sarebbe stato possibile perpetuare quel meccanismo di sostanziale salvacondotto che opera attraverso l'equivalenza «discriminato=non punibile» che pure, involontariamente, è stato creato dalla stessa Corte di Giustizia.
Un meccanismo che – secondo plastica traslazione esemplificativa – potrebbe portare un qualsiasi concorrente transfrontaliero rispetto al mercato italiano, per quanto regolato, ad operarvi in concorrenza con gli operatori che rispettano le regole di mercato. Ma una concorrenza falsata dalla possibilità di non dover osservare quelle stesse regole.
Rispetto alla gara della norma del 2012 è tuttavia mutato il panorama giurisprudenziale di riferimento.
Il Consiglio di Stato prima, in sede di rinvio pregiudiziale, e la Corte di Giustizia poi, rispondendo (sentenza 22 gennaio 2015), hanno stabilito che quella società estera non è stata discriminata.
In sede di giudizi penali, però, altri rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia sono stati sollevati nei riguardi della gara del 2012. Né le società estere di regia si astengono dal promuovere nuovo contenzioso. Il più recente di tutti, innanzi al Tar Lazio e di prossima decisione, anche contro le norme, e gli atti applicativi dell'Agenzia, di cui all'articolo 1, commi 643 e 644, della legge n. 190 del 2014.
In ciò, si direbbe, i motivi di questa ulteriore iniziativa giudiziaria:
da un lato, tenere salde le fila di reti che – altrimenti sfaldandosi – potrebbero non credere più al granitico assunto secondo il quale il modello organizzativo sopra descritto è vincente e lo sarà per sempre;
da un altro lato, e soprattutto, alimentare il moto continuo di rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia – per presunte nuove forme di non compatibilità comunitaria di norme nazionali – che costituisce il motore di quel modello organizzativo che si basa tutto sulla possibilità di perpetuare anche solo l'ipotesi di una discriminazione ad infinitum, all'ombra del quale poter poi via via invocare il «diritto» alla non soggezione alle norme sanzionatorie che vigono in Italia nei riguardi di chi offre e vende prodotti-scommessa in assenza di concessione ed autorizzazione.
È utile rappresentare altresì che, dal punto di vista fenomenico, quello che gli stessi onorevoli interroganti definiscono «salvacondotto comunitario» si manifesta come una medaglia a due facce.
Da un lato, le sembianze di un elaborato processo argomentativo di tipo giuridico. Dall'altro, però, una aggressività nella incalzante pretesa della totale immunità dal pur possibile vaglio critico della sua stessa plausibilità e tenuta.
Si allude all'amplissimo fenomeno messo in atto da una delle società estere in questione di progressiva e sistematica diffida di tutto il personale dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (oltre che del coadiuvante personale delle Forze di Polizia), impegnato nei propri ordinari compiti di istituto, e financo dei vertici dell'Agenzia, a disapplicare in logica comunitaria tutte le norme nazionali sanzionatorie che invece, per ambito soggettivo ed oggettivo, si applicherebbero alla società e alla sua rete fisica di offerta di scommesse sul territorio nazionale. E ciò perché, a Pag. 76suo dire, proprio quello che qui è stato sinteticamente definito un «ragionamento salvacondotto» imporrebbe tale risultato ed effetto.
Agli atti di diffida, se ritenuti non ottemperati, la società fa quindi seguire sistematicamente veri e propri atti di citazione di quel personale innanzi al G.O. per il risarcimento dei danni che essa assume di subire (e la cui prova viene data per implicita ed assodata, pur se il persistente sviluppo della fenomenologia del sistema lascerebbe pensare l'esatto contrario) in conseguenza degli atti sanzionatori dell'Amministrazione che vengono – causa carenza di concessione ed autorizzazione – adottati per la non osservata disapplicazione pretesa.
La «politica» di un siffatto modo di agire è sufficientemente chiara: riuscire progressivamente a mettere sotto scacco l'intera azione amministrativa dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, e delle Forze di Polizia che la coadiuvano istituzionalmente, e a paralizzarla, in modo da coronare anche nei fatti «l'effetto salvacondotto» frutto dell'impianto argomentativo sopra descritto.
Sono ormai giunti circa 230 atti di diffida ai dipendenti e 19 atti di citazione in giudizio per risarcimento dei danni.
La paralisi dell'azione dell'Agenzia non si ferma al fronte degli atti sanzionatori. La società estera più attiva sul fronte giudiziario assume che illegittimi siano anche gli atti di accertamento tributario che l'Agenzia adotta per il mancato assolvimento della fiscalità nazionale sulle singole transazioni di gioco che si realizzano in occasione di ciascuna vendita di un prodotto-scommessa da parte della rete fisica di offerta di gioco che con la società è contrattualizzata.
All'architettura argomentativa della società (basata sull'assunto che i contratti di scommessa si concludano all'estero e che quindi in Italia non ricorra il presupposto impositivo per la fiscalità nazionale sul gioco) è però replicabile che:
1) una discriminazione, pur patita in occasione di gare risalenti nel tempo vale al più per il periodo di durata delle concessioni attribuite in forma discriminatoria. Allo stato, tutt'al più, una discriminazione patita risulta essere stata affermata dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE) solo fino alle gare anteriori a quella del 2012;
2) comunque, quando pure un soggetto sia stato discriminato questo non significa affatto che quel dato soggetto possa liberamente esercitare l'attività per la cui legittimazione la procedura selettiva era stata indetta, come se dunque la procedura stessa, e la relativa selezione, non servissero a nulla;
3) non è vero che la CGUE abbia affermato che una società estera di regia possa operare in Italia, attraverso CTD, a suo totale piacimento. All'opposto, la sentenza 12 settembre 2013 della CGUE ha affermato che, in ogni caso, la discriminazione patita in passato da una società non legittima affatto i suoi CTD ad operare in assenza dell'altro titolo abilitativo necessario in Italia per offrire scommesse, ossia il provvedimento ex articolo 88 Tulps;
4) non vale invocare il fatto che la società paga imposte all'estero, tra l'altro esclusivamente «sul margine», ossia sulla differenza tra denaro raccolto con le scommesse e vincite pagate, senza nulla dovere al fisco straniero sulle singole transazioni di gioco costituite dalle singole scommesse vendute. Queste imposte, ove la società avesse sede in Italia, equivarrebbero allora alla nostra Ires. Ma le concessionarie di Stato, in Italia, pagano, oltre all'Ires, anche le imposte sul gioco raccolto in forma di scommessa. La simmetria, dunque, è totalmente imperfetta;
5) è un «gioco di specchi» far credere che l'offerta di gioco della società estera operi, a livello giuridico-contrattuale, secondo lo schema della «offerta al pubblico». Si sa che nel nostro ordinamento, anche in materia di contratti, la sostanza prevale sulla forma. Ad un esame più attento del fenomeno, allora, non si può disconoscere che, in ogni caso, è sempre il giocatore italiano a costituire la Pag. 77parte contrattuale «proponente» nei riguardi di una parte contrattuale «accettante» estera che ha sempre e comunque il diritto di rifiutare l'offerta (delle condizioni) di gioco – del giocatore in Italia – che le viene trasmessa informaticamente attraverso il CTD. Del resto, questo è ora anche legislativamente ribadito dall'articolo 1, comma 643, alinea della legge n. 190 del 2014, dove si legge «in considerazione del fatto che, in tale caso, il giocatore è l'offerente e che il contratto di gioco è pertanto perfezionato in Italia e conseguentemente regolato secondo la legislazione nazionale».
Al momento, la giurisprudenza delle Commissioni tributarie è percentualmente favorevole all'Amministrazione: 68 le decisioni positive per l'Erario, 38 quelle contrarie.
Questo scenario non esaurisce però il panorama problematico per il quadro regolatorio nazionale in materia di raccolta di scommesse. Al contenzioso ancora pendente – e dal quale i ricorrenti sperano di ottenere nuovi rinvii pregiudiziali in Corte di Giustizia – altro se ne aggiungerà. La società estera più attiva, oltre ad avere impugnato come detto, insieme ad altra analoga società estera, le disposizioni di cui ai commi 643 e 644 citati, ha già mediaticamente annunciato che impugnerà anche tutti i titoli abilitativi ex articolo 88 Tulps che saranno rilasciati dalle Questure ai soggetti che hanno chiesto di regolarizzarsi ai sensi dell'articolo 1, comma 643, della legge n. 190 del 2014 (e si tratta di quasi 2.200 soggetti).
Per rispondere dunque al quesito conclusivo degli On.li interroganti, si crede che l'unica soluzione veramente affidabile a breve non possa che essere la seguente: attuare la delega legislativa di cui all'articolo 14 della legge n. 23 del 2014.
Lo schema di decreto delegato, che riconfermerebbe, in tema di raccolta di gioco in rete fisica, il modello tradizionale della concessione ed autorizzazione, peraltro in formale e sostanziale aderenza ai principi e criteri direttivi della delega legislativa, dovrà necessariamente essere sottoposto ad esame e giudizio anche della Commissione europea.
Se questo giudizio sarà favorevole all'impianto italiano difficilmente potranno sopravvivere contestazioni da parte di concorrenti transfrontalieri.
Una riprova sta nelle disposizioni di cui all'articolo 24, comma 13 e seguenti, della legge n. 88 del 2009 che disciplinano la raccolta di gioco (incluse le scommesse) attraverso reti on line.
Nessuna delle società estere in argomento, fino ad oggi, ha mai eccepito alcunché in relazione a questa disciplina.
Anzi la più attiva delle società estere sul fronte del contenzioso, relativamente al mercato della raccolta di gioco in rete fisica, si è addirittura procurata di sua libera scelta, come detto, una di tali concessioni.
Dunque l'attuazione della delega legislativa – o comunque un qualunque adattamento del quadro regolatorio nazionale –, abbinata al suo riscontro positivo in sede comunitaria, potranno solo fornire un quadro di certezze regolatorie in vista della scadenza di tutte le concessioni di Stato in tema di scommesse che avverrà a giugno 2016. Diversamente questa scadenza potrà coincidere con un panorama contenzioso ed incerto alquanto ampio.
ALLEGATO 4
5-05214 Sottanelli: Emanazione del decreto ministeriale per l'attuazione del credito d'imposta in favore delle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo di cui all'articolo 3 del decreto-legge n. 145 del 2013.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con il documento in esame l'Onorevole interrogante fa riferimento alle recenti novità introdotte dall'articolo 1, comma 35, della legge 23 dicembre 2015, n. 190, in merito alla disciplina del credito d'imposta a favore delle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo.
In particolare, l'onorevole evidenzia che ai sensi dell'articolo 3, comma 15, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 4, come modificato dall'articolo 1 comma 35 della legge 190 del 2014, viene prevista l'adozione di apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello Sviluppo economico, cui è demandato il compito di definire le disposizioni attuative necessarie, concernenti, tra l'altro, le modalità di verifica e controllo dell'effettività delle spese sostenute, le cause di decadenza e revoca del beneficio, le modalità di restituzione del credito in argomento da parte delle imprese che ne abbiano indebitamente fruito.
Ciò premesso, al fine di rendere pienamente operativa la fruizione di detta agevolazione, l'Onorevole interrogante chiede entro quale termine sarà emanato il cennato provvedimento attuativo.
Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
Il Dipartimento delle Finanze ha predisposto la bozza dello schema di decreto in questione dopo aver acquisito le conclusioni emerse al termine della riunione di coordinamento tenutasi in data 18 marzo 2015 in relazione ad alcuni punti controversi.
Detta bozza di decreto è stata trasmessa all'Agenzia delle entrate e alla Ragioneria Generale dello Stato per l'acquisizione dell'assenso definitivo.
Pertanto, è verosimile ritenere che la trasmissione dello schema di decreto attuativo al Ministero dello sviluppo economico per l'acquisizione del previsto concerto avverrà in tempi brevi.
ALLEGATO 5
5-05215 Cancelleri: Adeguamento alla normativa europea del regime tributario nazionale relativo allo scambio di partecipazioni mediante conferimento.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con il documento di sindacato ispettivo in esame, gli Onorevoli interroganti chiedono chiarimenti in merito alla disciplina fiscale dello scambio di partecipazioni mediante conferimento di cui all'articolo 177, comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, recante il Testo Unico Imposte sui redditi.
In particolare, si chiede al Governo di sapere se il trattamento fiscale dello scambio di partecipazioni mediante conferimento di cui all'articolo 177 comma 2 del TUIR, sia conforme alle normative europee e, in caso contrario, quali iniziative intenda assumere per allineare le disposizioni dell'ordinamento interno a quello comunitario, nel rispetto del principio di prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno.
Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
L'articolo 177, comma 2, del TUIR disciplina lo scambio di partecipazioni mediante conferimento disponendo che qualora l'operazione si realizzi per effetto di un conferimento in società – mediante il quale la società conferitaria acquisisce il controllo di diritto di un'altra società, ex articolo 2359, comma 1, n. 1, c.c., ovvero, incrementa in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario la percentuale di controllo sull'altra società – l'eventuale plusvalenza realizzata dal soggetto conferente deve essere determinata attribuendo alle sue azioni o quote una valutazione in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento. La disposizione costituisce un peculiare regime di determinazione del valore di realizzo delle partecipazioni conferite da parte dei soci della società conferita nella società conferitaria, ossia un criterio di valutazione delle partecipazioni ricevute a seguito del conferimento per la determinazione delle eventuali plusvalenze realizzate dai soci della società conferita (cosiddetta «regime a realizzo controllato»).
Per quanto concerne i profili di compatibilità comunitaria giova innanzitutto segnalare che la problematica in argomento in data 20 febbraio 2014 è stata sollevata da alcuni membri del Parlamento Europeo mediante un'interrogazione con richiesta di risposta scritta alla Commissione Europea (E 002041-14).
In particolare si è richiesto all'Esecutivo comunitario se, con riferimento alla normativa di cui all'articolo 177, comma 2, del TUIR, il quale disciplina il trattamento fiscale delle operazioni di conferimento di partecipazioni attraverso lo scambio delle stesse:
si possa configurare un'ipotesi di discriminazione «a rovescio», in quanto viene accordato ai soggetti interni un trattamento meno vantaggioso rispetto a quello previsto per i transazionali;
vi sia una restrizione alla libertà di stabilimento e una limitazione alla libera concorrenza, in quanto si disincentiverebbe gli operatori degli altri Stati membri dall'esercitare lo stabilimento in Italia alla luce del trattamento meno vantaggioso previsto dalla normativa interna;
si ritenga di intervenire per porre rimedio alla presunta incompatibilità con Pag. 80i principi di cui alla direttiva 90/434/CE, attualmente direttiva 2009/133/CE (relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, alle scissioni parziali, ai conferimenti d'attivo e agli scambi d'azioni concernenti società degli Stati membri diversi e al trasferimento della sede sociale di una SE e di una SCE tra Stati membri).
La Commissione nella risposta del 10 aprile 2014, ha escluso, in via preliminare, la propria competenza a valutare la compatibilità di norme interne applicabili esclusivamente a fattispecie nazionali che non abbiano carattere transfrontaliero. Nel merito, ha osservato che «... il requisito di mantenere una corrispondenza tra il valore fiscale delle partecipazioni trasferite per il cedente e per il cessionario non costituisca norma che esclude la neutralità fiscale delle operazioni, lasciando nel contempo agli operatori interessati la libertà di decidere quale valore fiscale attribuire alle partecipazioni trasferite».
Nell'ambito della predetta risposta la Commissione ha ribadito che «Gli Stati membri sono liberi di elaborare i propri regimi di imposizione diretta, tuttavia, nella misura in cui non comportano elementi transfrontalieri, tali regimi devono essere conformi alla normativa UE».
L'Esecutivo comunitario ha concluso di non dover intraprendere alcuna misura in ordine alla presunta incompatibilità della disciplina interna atteso che i principi stabiliti nella direttiva 2009/133/CE non interessano le operazioni nazionali e non è pertanto rinvenibile alcun profilo discriminatorio ai danni dell'operatore nazionale.
La citata direttiva che ha riscritto la Direttiva n. 90/434/CEE del Consiglio del 23 luglio 1990 reca la disciplina da applicare, fra l'altro, agli scambi d'azioni concernenti «società residenti in Stati Membri diversi».
Dalla lettura dei considerando emerge che il regime fiscale comune previsto dalla Direttiva è ispirato al principio secondo cui «l'attribuzione ai soci della società conferente di tali titoli della società beneficiaria o acquirente non deve di per sé stessa dar luogo ad una qualsiasi imposizione dei soci medesimi» (cosiddetto regime di neutralità fiscale).
L'articolo 1 della menzionata Direttiva specifica chiaramente che l'ambito applicativo del regime di neutralità fiscale sancito dall'ordinamento comunitario è circoscritto alle operazioni «riguardanti società di due o più Stati membri».
Tale disciplina ha trovato attuazione in Italia a seguito dell'adozione del decreto legislativo n. 544 del 1992, successivamente trasfuso nel Titolo III, Capo IV del TUIR (rubricato «Operazioni straordinarie fra soggetti residenti in Stati membri diversi dell'Unione europea»).
In particolare, lo scambio di partecipazioni è disciplinato dagli articoli 178 e 179 del TUIR, che ne sanciscono, al verificarsi delle condizioni ivi previste, il regime di neutralità fiscale.
Diversamente, la disciplina dello scambio di partecipazioni mediante conferimento, regolata dal menzionato articolo 177, comma 2, del TUIR non riguardando operazioni di tipo transnazionale, non è stata adottata in recepimento della richiamata Direttiva 90/434/CEE.
L'origine di tale norma è rinvenibile nell'articolo 3, comma 161, della legge delega n. 662 del 1996, tramite cui si impegnava il Governo ad «armonizzare» il regime tributario degli scambi di partecipazione con quello previsto dal sopra citato decreto legislativo n. 544 del 1992 «per le operazioni poste in essere tra soggetti residenti nel territorio dello Stato e soggetti residenti in altri stati membri dell'Unione Europea».
L'anzidetta «armonizzazione» è stata realizzata attraverso la disciplina di cui al decreto legislativo n. 358 del 1997, successivamente trasfusa nell'articolo 177, comma 2, TUIR.
In definitiva deve ribadirsi che nessuna valutazione può essere compiuta circa la «conformità» dell'articolo 177, comma 2, del TUIR alle disposizioni della Direttiva 90/434/CEE in quanto la portata applicativa di quest'ultima non coincide con quella della disciplina recata dal richiamato articolo 177 del TUIR.
ALLEGATO 6
5-05216 Paglia: Inserimento nell'ambito di patti di sindacato di clausole concernenti l'obbligo di coordinamento nella vendita delle azioni possedute dai soci contraenti del patto.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con l'interrogazione immediata in Commissione l'onorevole Paglia chiede se alla luce della normativa, della giurisprudenza e della prassi, sia da ritenere possibile l'inserimento, in un patto di sindacato, di clausole relative ad un obbligo di coordinamento nella vendita delle azioni possedute dai soci contraenti, eventualmente anche attraverso modalità di vendita accentrate determinata da un Comitato nominato dagli stessi.
Al riguardo, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ha comunicato che, ai sensi della normativa in materia di patti parasociali, dettata dal decreto legislativo n. 58 del 1998, non sussistono ragioni ostative all'inserimento, in un patto di sindacato, di clausole relative «ad un obbligo di coordinamento nella vendita delle azioni possedute dai soci contraenti, eventualmente anche attraverso modalità di vendita accentrata determinate da un Comitato nominato dagli stessi».
Le parti aderenti al patto parasociale potranno disciplinare le concrete modalità operative secondo le quali dare corso alla predetta vendita anche tenuto conto delle eventuali ulteriori norme di settore alle medesime applicabili (natura dell'investitore e caratteristiche della partecipazione sindacata).
ALLEGATO 7
Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (solvibilità II) (Atto n. 146).
PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE
La VI Commissione Finanze della Camera dei deputati,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (Atto n. 146);
rilevato come lo schema di decreto legislativo rechi un'ampia serie di modifiche al Codice delle assicurazioni private (CAP) di cui al decreto legislativo n. 209 del 2005;
evidenziato come la direttiva 2009/138/CE armonizzi le legislazioni degli Stati membri in materia assicurativa, al fine di fornire alle imprese un quadro giuridico unitario nel quale esercitare la propria attività nel mercato interno;
rilevato inoltre come il quadro normativo delineato dalla direttiva intenda migliorare la quantità e qualità dei requisiti patrimoniali delle imprese di assicurazione, nonché conferire alle autorità di vigilanza gli strumenti appropriati per determinare la solvibilità complessiva delle imprese di assicurazione e riassicurazione;
sottolineato altresì come la direttiva riveda la vigilanza prudenziale sul settore assicurativo, seguendo un approccio orientato al rischio, secondo il quale le imprese dovranno tenere in considerazione tutti i rischi ai quali sono esposte, tenendo conto anche dei rischi dal lato dell'attivo e delle interrelazioni tra tutti i rischi in capo all'impresa, gestendo tali rischi in maniera efficace ed efficiente,
esprime
PARERE FAVOREVOLE
con le seguenti osservazioni:
a) valuti il Governo l'opportunità di inserire nel Titolo III, Capo IV, del CAP, dopo l'articolo 44-bis, una norma che vieti la possibilità di effettuare distribuzioni di utili o di altri elementi del patrimonio in relazione agli elementi dei fondi propri, tra cui il capitale, in caso di inosservanza del requisito patrimoniale di solvibilità, in quanto, dando certezza normativa a tale aspetto si eviterebbe che ogni singola società sia costretta a modificare il proprio statuto, con possibili diverse modalità, nonché in quanto, in tal modo, tutti gli azionisti assicurativi avrebbero un uguale trattamento e si eviterebbero gravosi oneri per le imprese;
b) con riferimento all'articolo 76 del Codice delle assicurazioni private, come modificato dall'articolo 1, comma 94, dello schema di decreto, il quale estende l'obbligo di possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza già previsti per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo, anche a coloro che svolgono funzioni fondamentali presso le imprese di assicurazione, valuti il Governo l'opportunità di specificare che il predetto obbligo si riferisce solo ai titolari o responsabili di tali funzioni fondamentali, in armonia con il dettato della direttiva 2009/138/CE, valutando altresì l'opportunità di modulare i requisiti di professionalità secondo un principio di proporzionalità e tenendo Pag. 83conto della rilevanza e complessità del ruolo ricoperto;
c) con riferimento all'articolo 102 del CAP, relativo alla revisione del bilancio delle imprese di assicurazione e riassicurazione, come modificato dall'articolo 1, comma 106, dello schema di decreto, il quale prevede che la relazione del revisore o della società di revisione esprime anche un giudizio sulla sufficienza delle riserve tecniche dell'impresa, valuti il Governo l'opportunità di individuare meccanismi volti a garantire che tale attività di revisione dei bilanci delle imprese di assicurazione e riassicurazione avvenga nel rispetto dei principi di revisione ISA Italia a cui si attengono i revisori legali e le società di revisione legale, attraverso interventi di coordinamento con la disciplina nazionale vigente, eventualmente mediante l'adozione di regolamenti IVASS che ne garantiscano l'applicazione per quanto riguarda la specifica tematica delle riserve tecniche;
d) valuti il Governo l'opportunità di definire con maggiore precisione gli ambiti di competenza delle diverse autorità di vigilanza che a vario titolo esercitano poteri sul settore assicurativo, assicurando, in armonia con la previsione dell'articolo 247, comma 8, della direttiva 2009/138/CE, nonché con gli sviluppi della normativa comunitaria in materia, la massima collaborazione tra di esse, al fine di garantire la migliore efficacia degli assetti di vigilanza pubblicistica in materia, in particolare evitando duplicazioni, sovrapposizioni o conflitti di competenza tra le medesime autorità;
e) con riferimento alla lettera e) del comma 3-bis dell'articolo 188 del CAP, come modificato dall'articolo 1, comma 115, dello schema di decreto legislativo, laddove si prevede che l'IVASS possa disporre la rimozione dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione e controllo, nonché dei titolari di funzioni fondamentali presso le imprese di assicurazione, valuti il Governo se tale previsione trovi specifica rispondenza nel contenuto della direttiva 2009/138/CE, valutando altresì l'opportunità di circoscrivere tale potere di rimozione ai soli esponenti aziendali che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione e controllo, analogamente a quanto previsto in ambito creditizio dagli articolo 70-bis e 98-bis del TUB, come introdotti dallo schema di decreto legislativo per il recepimento della direttiva CRD IV (Atto n. 147);
f) con riferimento ai poteri di intervento dell'IVASS di cui all'articolo 188 del CAP, valuti il Governo l'opportunità, per garantire parità di trattamento degli assicurati e salvaguardare la stabilità dei mercati, di dotare l'IVASS del potere di ordinare il differimento delle scadenze sulle polizze e il collegamento del valore di riscatto al valore degli attivi posti a copertura delle riserve, nel caso di eccezionali condizioni dei mercati finanziari o dei titoli governativi, considerato anche che una norma analoga è prevista per i fondi comuni dall'articolo 7, comma 3, del TUF;
g) con riferimento all'articolo 189, comma 2, del CAP come modificato dall'articolo 1, comma 116, dello schema di decreto, che consente all'IVASS di avvalersi di esperti esterni per le ispezioni nei confronti delle imprese che hanno a oggetto i modelli interni di cui al Titolo III, Capo IV-bis, Sezione III, valuti il Governo l'opportunità, in considerazione dell'eccezionalità e specificità della disposizione, di limitare temporalmente l'efficacia della previsione al 31 dicembre 2016;
h) con riferimento all'articolo 191, comma 1, del CAP, come sostituito dall'articolo 1, comma 119, dello schema di decreto, valuti il Governo l'opportunità di integrare la disposizione nel senso di prevedere che l'IVASS può adottare regolamenti o altre disposizioni di carattere generale, nelle materie elencate dallo stesso comma 1, anche per l'attuazione delle raccomandazioni, delle linee-guida e delle altre disposizioni emanate dalle Autorità di vigilanza europee;
i) con riferimento all'articolo 191, comma 1, lettera b), numero 3), del CAP, come sostituito dell'articolo 1, comma 119, dello schema di decreto, valuti il Governo se mantenere la previsione, contenuta nell'ambito dei poteri regolamenti dell'IVASS, Pag. 84dell'eventuale sottoposizione dell'informativa societaria a verifica da parte della società di revisione;
l) con riferimento all'articolo 210, comma 2, del CAP, come modificato dell'articolo 1, comma 147, dello schema di decreto, relativo alla vigilanza dell'IVASS sui gruppi assicurativi, valuti il Governo l'opportunità di specificare la definizione a tali fini di società capogruppo, facendo riferimento alla società che sia in grado di esercitare un'effettiva attività di direzione e coordinamento sulle altre società del gruppo;
m) con riferimento agli articoli 214 e 214-bis del CAP, come sostituiti dall'articolo 1, comma 151, dello schema di decreto, valuti il Governo l'opportunità di prevedere che l'IVASS, nell'ambito della vigilanza sui gruppi assicurativi, può effettuare ispezioni, oltre che presso le società del gruppo, anche presso i soggetti che svolgono funzioni parzialmente comprese nel ciclo operativo delle società indicate dall'articolo 210-ter, comma 2, del CAP, nonché di prevedere che la stessa IVASS possa esercitare nei confronti della società capogruppo i poteri di intervento previsti dall'articolo 188 del CAP;
n) con riferimento all'articolo 311, comma 3, del CAP, valuti il Governo l'opportunità di prevedere che le sanzioni amministrative pecuniarie ivi previste si applicano anche nel caso di mancata alienazione, entro i termini stabiliti dall'IVASS ai sensi dell'articolo 77, comma 3, delle partecipazioni nelle imprese di assicurazione e riassicurazione eccedenti le soglie previste dall'articolo 77;
o) valuti il Governo l'opportunità di integrare lo schema di decreto nel senso di prevedere che le sanzioni previste dal Titolo XVIII, Capo II, del CAP si applicano anche in caso di inosservanza del Regolamento UE n. 2015/35, delle norme tecniche di regolamentazione e di attuazione emanate dalla Commissione europea ai sensi degli articoli 10 e 15 del Regolamento UE n. 1094/2010, ovvero in caso di inosservanza degli atti dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) direttamente applicabili ai soggetti vigilati, adottati ai sensi di tale ultimo Regolamento;
p) con riferimento all'articolo 335 del CAP, come modificato dell'articolo 1, comma 191, dello schema di decreto, relativo al contributo di vigilanza dovuto all'IVASS dalle imprese di assicurazione e riassicurazione, dalle relative sedi secondarie e dalle mutue di assicurazione, valuti il Governo l'opportunità di specificare che tutti i contributi dovuti da tali soggetti devono intendersi calcolati al netto di un'aliquota per oneri di gestione sostenuti dai medesimi soggetti;
q) valuti il Governo l'opportunità di assicurare il massimo coordinamento tra le previsioni del CAP e quelle del TUF, in particolare:
1) prevedendo che l'articolo 76 del CAP, relativo ai requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza degli esponenti aziendali e dei soggetti che svolgono funzioni fondamentali nelle imprese di assicurazione, modificato dall'articolo 1, comma 94, dello schema di decreto, sia formulato in termini speculari all'articolo 26 del TUB, come sostituito dall'articolo 1, comma 13, dello schema di decreto recante recepimento della direttiva 2013/36/UE, relativo all'idoneità allo svolgimento degli esponenti aziendali delle banche;
2) prevedendo che l'articolo 77 del CAP, relativo ai requisiti dei partecipanti al capitale delle imprese di assicurazione, modificato dall'articolo 1, comma 95, dello schema di decreto, sia formulato in termini speculari all'articolo 25 del TUB, come sostituito dall'articolo 1, comma 12, dello schema di decreto recante recepimento della direttiva 2013/36/UE, relativo ai partecipanti al capitale delle banche;
r) valuti il Governo l'esigenza di rafforzare le risorse umane e professionali dell'IVASS, alla luce delle nuove competenze affidate all'Istituto dal nuovo sistema normativo sotteso alla direttiva Solvency II, perseguendo prioritariamente a tal fine ogni possibile sinergia con la Banca d'Italia e con la CONSOB.
ALLEGATO 8
Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2013/36/UE che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE per quanto concerne l'accesso all'attività degli enti creditizi e la vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento. Modifiche al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Atto n. 147).
PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE
La VI Commissione Finanze della Camera dei deputati,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2013/36/UE che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE per quanto concerne l'accesso all'attività degli enti creditizi e la vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento;
evidenziato come lo schema di decreto legislativo rechi un'ampia serie di modifiche al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB) di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF) di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58;
rilevato come la direttiva 2013/36/UE, di cui si dispone il recepimento, faccia parte di un complesso più ampio di misure, denominato CRD-IV package, costituito, oltre che dalla predetta direttiva, dal regolamento (UE) n. 575/2013 con cui si innova la normativa in materia di regolazione, supervisione delle banche e risoluzione delle crisi bancarie, e si recepisce a livello UE l'accordo di Basilea 3 sui requisiti patrimoniali delle banche;
segnalato come la direttiva tocchi molti aspetti fondamentali della disciplina relativa all'attività degli enti creditizi e alla relativa vigilanza, in particolare per quanto riguarda: le condizioni generali di accesso all'attività; la disciplina delle partecipazioni qualificate in un ente creditizio; i requisiti di capitale iniziale delle imprese di investimento; il diritto di stabilimento degli enti creditizi; la vigilanza prudenziale, i poteri di vigilanza e i poteri sanzionatori; il processo di valutazione dell'adeguatezza del capitale interno; i criteri tecnici relativi all'organizzazione e al trattamento dei rischi; la disciplina sul governo societario le politiche di remunerazione e le sanzioni; le riserve di capitale;
evidenziato quindi come l'intervento normativo costituisca un ulteriore, positivo passo avanti nel processo, stimolato dalla gravissima crisi economico-finanziaria iniziata nel 2009, di completamento e consolidamento dell'Unione bancaria europea e del Sistema di vigilanza comune su tutte le banche dell'area Euro attraverso la definizione di nuovo corpus normativo organico in materia;
sottolineata la necessità di emanare sollecitamente il decreto legislativo, atteso che, a causa della scadenza del termine di recepimento della direttiva 2013/36/UE, fissato al 31 dicembre 2013, il 16 ottobre 2014 la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione (n. 2014/Pag. 860142) per il mancato recepimento della predetta direttiva;
evidenziato altresì come la direttiva 2014/59/UE istituisca un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento, volto ad assicurare alle autorità un insieme credibile di strumenti per un intervento precoce e rapido in un ente in crisi o in dissesto, al fine di garantire la continuità delle funzioni finanziarie ed economiche essenziali dell'ente, riducendo al minimo l'impatto del dissesto sull'economia e sul sistema finanziario;
segnalato come la predetta direttiva 2014/59/UE abroghi conseguentemente il paragrafo 4 dell'articolo 74 della direttiva 2013/36/UE, oggetto di recepimento da parte dello schema di decreto, in materia di piani di risanamento e risoluzione, in quanto tali norme sono interamente sostituite dalle procedure introdotte dalla citata direttiva 2014/59/UE, la quale, tra l'altro, stabilisce che gli Stati membri possono prevedere che l'autorità di risoluzione sia l'autorità competente per la vigilanza ai fini del regolamento (UE) n. 575/2013 e della direttiva 2013/36/UE;
rilevato come occorra permettere all'Italia di fornire il proprio contributo alla realizzazione di un quadro di risanamento e risoluzione che tenga conto delle peculiarità del nostro Paese, e come sia in tale quadro necessario consentire all'autorità nazionale di risoluzione di partecipare attivamente alla fase di avvio del Meccanismo di Risoluzione Unico (RMU) e al Resolution Committee istituito presso l'Autorità bancaria europea (EBA);
sottolineata pertanto l'esigenza di designare – con la massima urgenza – la Banca d'Italia quale autorità di risoluzione nazionale, attribuendo a quest'ultima tutti i poteri assegnati all'autorità di risoluzione dalla direttiva 2014/59/UE,
esprime
PARERE FAVOREVOLE
con la seguente condizione:
provveda il Governo a designare la Banca d'Italia quale Autorità Nazionale di risoluzione ai sensi dell'articolo 3 della direttiva 2014/59/UE, ai fini della partecipazione al Comitato per la risoluzione presso l'Autorità bancaria europea previsto dall'articolo 127 della direttiva stessa, nonché ai fini dell'applicazione dell'articolo 99, paragrafi 3 e 4, del Regolamento 2014/806/UE, affidandole i poteri e i compiti che le disposizioni richiamate attribuiscono alle autorità di risoluzione nazionali;
e con le seguenti osservazioni:
a) valuti il Governo l'opportunità di inserire la previsione di un coinvolgimento della CONSOB, per le società quotate nei mercati regolamentati, e della Autorità garante della concorrenza e del mercato, per gli intermediari vigilati dalla Banca centrale europea, nella valutazione della Banca d'Italia finalizzata alla rimozione dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo la cui permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione, di cui all'articolo 26 del TUB, come sostituito dall'articolo 1, comma 13, dello schema di decreto;
b) con riferimento alla disciplina relativa ai limiti al cumulo di incarichi per gli esponenti delle banche, recata dall'articolo 26 del TUB, come sostituito dall'articolo 1, comma 13, dello schema di decreto, e alla disciplina relativa ai limiti al cumulo di incarichi per gli esponenti delle SIM, recata dall'articolo 13 del TUF, come sostituito dall'articolo 3, comma 11, dello schema, valuti il Governo l'esigenza di contemperare l'obiettivo, pienamente condivisibile, di evitare l'accumularsi in capo alla medesima persona fisica di un numero eccessivo di incarichi, con la necessità di assicurare la migliore efficienza nella gestione di tali intermediari, consentendo loro di avvalersi di professionalità adeguatamente qualificate, anche nel caso di intermediari di minori dimensioni: a tal Pag. 87fine si valuti l'opportunità di modulare tali limiti anche sulla base delle dimensioni di tali intermediari e dell'effettiva esistenza di rapporti concorrenziali tra loro, in aderenza al principio di proporzionalità richiamato dalle stesse norme dei richiamati articoli 26 e 13;
c) con riferimento ai poteri di vigilanza informativa della Banca d'Italia, valuti il Governo l'eventualità di chiarire la portata del nuovo articolo 51 del TUB, comma 1-quinquies, introdotto dall'articolo 1, comma 17, dello schema di decreto, che include anche i soggetti ai quali le banche abbiano esternalizzato funzioni aziendali importanti e al loro personale tra quelli cui la Banca d'Italia può chiedere dati e documenti, al fine di evitare duplicazioni;
d) con riferimento all'articolo 1, comma 51, lettera b), dello schema di decreto legislativo, il quale sostituisce il comma 1 dell'articolo 144 del TUB, valuti il Governo l'opportunità di inserire, dopo le parole: «funzioni aziendali essenziali o importanti» le seguenti: «, se costoro esercitano l'attività in modo professionale e prevalente,»; conseguentemente, valuti il Governo l'opportunità di integrare la formulazione dell'articolo 190, comma 1, del TUF, come sostituito dell'articolo 4, comma 4, lettera a), dello schema di decreto, nel senso di inserire, dopo le parole: «funzioni aziendali essenziali o importanti» le seguenti: «, se costoro esercitano l'attività in modo professionale e prevalente,»;
e) con riferimento all'articolo 1, comma 51, lettera e), dello schema di decreto legislativo, il quale abroga il comma 3-bis dell'articolo 144 del TUB, recante le sanzioni amministrative pecuniarie previste nel caso di inosservanza degli obblighi in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali del credito e dei servizi di pagamento e di rapporti con i clienti, valuti il Governo la necessità di adeguare a tale previsione il vigente dettato dell'articolo 2 del decreto-legge n. 3 del 2015, il quale, nel recepire le previsioni del Capo III della direttiva 2014/92/UE in materia di trasferibilità dei servizi di pagamento connessi al conto di pagamento di un consumatore, al comma 9 prevede l'applicazione delle sanzioni di cui al predetto comma 3-bis nel caso di inosservanza di quanto previsto dal medesimo articolo 2, al fine di assicurare la completezza e coerenza del tessuto normativo recato dal citato articolo 2 del decreto-legge n. 3;
f) con riferimento all'articolo 3, comma 3, del TUF, come sostituito dall'articolo 3, comma 3, dello schema di decreto, valuti il Governo l'opportunità di prevedere che anche i provvedimenti della CONSOB diversi dai regolamenti e dai provvedimenti di carattere generale siano pubblicati sul sito internet dell'Autorità, eliminando la pubblicazione sul relativo Bollettino, analogamente a quanto avviene per i provvedimenti di tale natura della Banca d'Italia;
g) con riferimento all'articolo 7, comma 2, del TUF, come sostituito dall'articolo 3, comma 5, lettera c), dello schema di decreto, il quale prevede l'adozione a fini di stabilità da parte della Banca d'Italia di provvedimenti restrittivi o limitativi nei confronti dei soggetti abilitati, valuti il Governo, nelle ipotesi in cui tale previsione si sovrapponga con la fattispecie di cui all'articolo 51, comma 2, del TUF, la quale, in materia di provvedimenti ingiuntivi nei confronti degli intermediari nazionali e extracomunitari, stabilisce un previo coordinamento fra le due Autorità di vigilanza, l'opportunità di prevedere in tali casi un coordinamento tra la Banca d'Italia e la CONSOB, così da assicurare maggiore uniformità tra le diverse previsioni del TUF;
h) con riferimento alla definizione, con regolamento del MEF, sentita la CONSOB, dei requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo nelle società di gestione dei mercati regolamentati di strumenti finanziari, prevista dall'articolo 61 del Pag. 88TUF, modificato dall'articolo 3, comma 20, dello schema di decreto, e alla definizione, con regolamento del MEF, sentita la Banca d'Italia e la CONSOB, dei requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo nelle società di gestione accentrata di strumenti finanziari, prevista dall'articolo 80 del TUF, modificato dall'articolo 3, comma 21, dello schema di decreto, valuti il Governo l'opportunità di specificare, in entrambe le disposizioni, che trovano applicazione i medesimi requisiti e criteri indicati per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso SIM, SGR, SICAV e SICAF, dall'articolo 13 del TUF, come sostituito dall'articolo 3, comma 11, dello schema di decreto, al fine di assicurare maggiore omogeneità alla normativa in materia;
i) con riferimento alle previsioni sanzionatorie interessate dalle modifiche recate dallo schema di decreto legislativo, valuti il Governo l'opportunità di inserire, nell'articolo 144 del TUB, come modificato dall'articolo 1, comma 51, dello schema di decreto, nonché nell'ambito del sistema sanzionatorio del TUF, un esplicito richiamo al principio di proporzionalità e ai criteri generali in materia previsti, rispettivamente, dall'articolo 144-quater del TUB e dall'articolo 194-bis del TUF, nella determinazione, caso per caso, dell'ammontare della sanzione amministrativa pecuniaria da parte dell'Autorità competente;
l) con riferimento alla disciplina dei procedimenti sanzionatori previsti svolti dalla Banca d'Italia o dalla CONSOB ai sensi delle previsioni del TUB o del TUF, valuti il Governo l'opportunità di stabilire, in capo ai soggetti interessati, il diritto, oltre che di presentare deduzioni, di chiedere un'audizione personale anche nella fase finale del procedimento dinanzi all'organo responsabile dell'adozione della decisione, modificando conseguentemente l'articolo 145 del TUB e gli articoli 187-septies e 195 del TUF;
m) valuti il Governo l'opportunità di precisare meglio l'obbligo, gravante sul collegio sindacale ai sensi dell'articolo 149, comma 3, del TUF, di comunicare alla CONSOB le irregolarità riscontrate nell'attività di vigilanza, specificando che tale obbligo riguarda le irregolarità significative, e attribuendo alla stessa CONSOB il compito di individuare, con proprio regolamento, i criteri di «significatività» delle irregolarità oggetto di comunicazione, così da superare i dubbi interpretativi, sorti anche in sede giudiziaria, circa la portata del predetto obbligo di cui al predetto articolo 149, comma 3, del TUF;
n) con riferimento all'articolo 193, comma 2, del TUF, modificato dall'articolo 4, comma 11, lettera d), dello schema di decreto, valuti il Governo l'opportunità di ridurre da 10.000 a 5.000 euro il minimo edittale della sanzione amministrativa pecuniaria prevista nel caso di omissione delle comunicazioni delle partecipazioni rilevanti e dei patti parasociali, di esercizio del diritto di voto inerente le azioni per cui sono stati omessi gli obblighi di comunicazione, di superamento dei limiti alle partecipazioni reciproche, al fine di attribuire all'Autorità maggiore flessibilità nel determinare l'ammontare della sanzione in base alle circostanze del caso concreto e sulla base dei criteri per la determinazione delle sanzioni indicati dall'articolo 194-bis del TUF, introdotto dall'articolo 4, comma 14, dello schema di decreto;
o) in considerazione dell'esigenza di rafforzare i meccanismi di deflazione del contenzioso e di semplificare i procedimenti sanzionatori già introdotti dallo schema di decreto, valuti il Governo l'opportunità di estendere l'istituto dell'oblazione previsto dall'articolo 194-quinquies del TUF, introdotto dall'articolo 4, comma 14, dello schema di decreto, anche a ulteriori violazioni del TUF che discendono da errori operativi o disattenzioni nell'adempimento della normativa primaria e secondaria e che sono connotate da una scarsa efficacia lesiva dell'integrità dei mercati e della tutela degli investitori, in Pag. 89particolare per quanto riguarda le sanzioni irrogate ai sensi dell'articolo 193 del TUF per la violazione dell'obbligo di comunicazione di cui all'articolo 149, comma 3, del TUF;
p) con riferimento all'articolo 144-bis del TUB, come inserito dall'articolo 1, comma 52, dello schema di decreto, valuti il Governo l'opportunità di introdurre una previsione in base alla quale, qualora vi è stata una tempestiva e completa rimozione degli effetti della violazione da parte dell'interessato, la Banca d'Italia o la CONSOB, secondo le rispettive competenze, ne tengono conto ai fini della conclusione del procedimento con provvedimento di archiviazione, da comunicare ai soggetti interessati; conseguentemente, valuti il Governo l'opportunità di integrare la formulazione dell'articolo 194-quater del TUF, come inserito dall'articolo 4, comma 14, dello schema di decreto, nel senso di inserire anche in tale ambito la medesima previsione;
q) valuti ulteriormente il Governo l'opportunità di disciplinare esplicitamente, in applicazione del principio di delega di cui all'articolo 3, comma 1, lettera m), numero 1), della legge n. 154 del 2014, l'introduzione, nel sistema sanzionatorio del TUF, dell'istituto del favor rei, in base al quale si esclude l'applicazione di sanzioni per un fatto precedentemente punibile, ma che non risulta più punibile a seguito di modifiche apportate alla disciplina vigente nel momento in cui è stata commessa la violazione, prevedendo l'applicazione di tale istituto solo per le violazioni commesse successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo;
r) valuti il Governo l'opportunità di definire più puntualmente la nozione di fatturato cui fanno riferimento gli articoli 188, comma 1, 189, comma 1, e 190, comma 1, del TUF, come novellati, rispettivamente, dall'articolo 4, commi 2, 3 e 4 dello schema di decreto, per il calcolo del massimo edittale delle sanzioni amministrative pecuniarie ivi previste, al fine di evitare incertezze applicative, nonché l'insorgere in merito di contestazioni in sede contenziosa.
ALLEGATO 9
Schema di decreto ministeriale per l'individuazione delle manifestazioni da abbinare alle lotterie nazionali da effettuare nell'anno 2015 (Atto n. 150).
PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE
La VI Commissione Finanze della Camera dei deputati,
esaminato lo schema di decreto ministeriale recante l'individuazione delle lotterie nazionali da effettuare nell'anno 2015 (Atto n. 150);
condivisa la scelta del Governo di confermare la riduzione del numero delle lotterie nazionali a estrazione differita già avviata da alcuni anni, limitandone il numero, per il 2015, alla Lotteria Italia, cui sono collegate trasmissioni televisive e radiofoniche e ad un'altra lotteria cui sarà abbinata la manifestazione «Premio Louis Braille», organizzata dall'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti;
evidenziato il rilievo sociale e solidaristico della manifestazione cui è abbinata la seconda lotteria a estrazione differita prevista per il 2015, che può contribuire a favorire un andamento positivo della stessa lotteria;
segnalato come la scarsa attrattività nei confronti del pubblico delle lotterie ad estrazione differita sia principalmente legata all'incremento esponenziale di altre offerte di gioco, soprattutto quelle con prospettiva di vincita immediata, nonché al fatto che è venuto meno il senso dell'abbinamento a manifestazioni e a eventi tradizionali,
esprime
PARERE FAVOREVOLE.