ALLEGATO 1
5-03184 Gebhard: Mantenimento del regime relativo all'imposizione fiscale sui lavoratori frontalieri italiani operanti in Svizzera.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con il documento in esame gli onorevoli interroganti segnalano la vicenda relativa ai cittadini italiani residenti nella provincia di Bolzano che quotidianamente si recano in Svizzera per svolgere la propria attività lavorativa passando per il territorio austriaco.
Nei confronti di tali soggetti infatti la Confederazione Elvetica non ha riconosciuto lo status di lavoratori frontalieri cui spettano, ai sensi dell'Accordo Bilaterale tra Italia e Svizzera del 3 ottobre 1974, l'esenzione fiscale nel loro luogo di domicilio in Italia e, tenuto conto dell'imposizione operata sulle remunerazioni da lavoro dalla Svizzera, un riversamento da parte della stessa Svizzera allo Stato Italiano del 38,8 per cento degli incassi fiscali derivanti dalla loro attività lavorativa.
Ciò premesso, gli onorevoli interroganti chiedono opportune iniziative volte a mantenere l'impianto normativo che disciplina l'imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri siglato nel 1974, garantendo il ristorno fiscale per tutti i lavoratori frontalieri anche se entrano nel territorio svizzero attraverso il territorio austriaco.
Al riguardo, sentiti gli uffici dell'amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
Il conteggio del ristorno fiscale nei confronti dei comuni confinanti con la Svizzera è effettuato, ai sensi dell'articolo 5 della legge 26 luglio 1975, n. 386, recante l'approvazione ed esecuzione dell'accordo tra l'Italia e la Svizzera relativo alla imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei comuni italiani di confine, firmato a Roma il 3 ottobre 1974, mediante apposito decreto ministeriale.
Il decreto ministeriale 18 luglio 2012, recante i criteri di ripartizione e di utilizzazione delle somme dovute dai Cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese a beneficio dei comuni italiani di confine, a titolo di compensazione finanziaria, prevede, all'articolo 2 che «ai fini della rilevazione della situazione del frontalierato esistente in ciascun Comune, si assumono i dati rilevati dalle competenti autorità dei Cantoni del Ticino, dei Grigioni e del Vallese alla data del 31 agosto del 2010 e 2011. I dati sono acquisiti direttamente dalle autorità italiane presso quelle svizzere».
Ciò posto, il Dipartimento delle finanze riferisce di avere, per quanto di competenza, attivato contatti con il rappresentante del Cantone dei Grigioni, al fine di comprendere le ragioni della riduzione delle compensazioni finanziarie dovute ai comuni indicati dagli onorevoli interroganti.
ALLEGATO 2
5-03185 Ruocco: Implementazione del dovere, per l'amministrazione finanziaria, di pronunciarsi sulle istanze di autotutela.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con il documento in esame gli onorevoli interroganti analizzano i dati contenuti nella Relazione sul monitoraggio dello Stato del contenzioso tributario e sull'attività delle Commissioni tributarie per l'anno 2013, soffermandosi in particolare sulle percentuali di soccombenza dell'Amministrazione finanziaria.
Ciò premesso, a parere degli onorevoli interroganti, è opportuno valorizzare l'istituto dell'autotutela tributaria di cui all'articolo 2-quater del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, quale utile strumento di deflazione del contenzioso che consente all'Amministrazione finanziaria di poter correggere quegli errori e vizi che rendono la pretesa impositiva manifestamente illegittima ed infondata.
Pertanto, gli onorevoli interroganti chiedono al Governo opportune iniziative normative volte a introdurre il dovere di pronunciarsi sempre con atto motivato a fronte di un'istanza di autotutela tributaria, oppure di estendere il principio del silenzio assenso anche con riferimento all'autotutela tributaria al fine di garantire la piena efficacia in ossequio ai principi di buona fede, correttezza ed imparzialità dell'azione amministrativa.
Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si evidenzia quanto segue.
Preliminarmente, giova precisare che i dati indicati nell'interrogazione fanno riferimento al contenzioso di tutti gli Enti impositori e della riscossione (Agenzie Fiscali, Agenti della riscossione, Enti locali, eccetera).
Per quanto concerne il contenzioso proprio dell'Agenzia delle entrate, dalle appendici statistiche del suddetto «Rapporto annuale» emerge che, per gli Uffici dell'Agenzia, settore Entrate, gli esiti totalmente sfavorevoli rappresentano il 28,33 per cento in Commissione Tributaria Provinciale e il 38,23 per cento in Commissione Tributaria Regionale; per gli Uffici del settore Territorio tali percentuali passano rispettivamente al 44,64 per cento in Commissione Tributaria Provinciale e al 37,72 per cento in Commissione Tributaria Regionale. Complessivamente le pronunce sfavorevoli all'Agenzia delle Entrate rappresentano in Commissione Tributaria Provinciale il 29,1 per cento e in Commissione Tributaria Regionale il 38,2 per cento.
Deve inoltre aggiungersi che gli esiti pubblicati dal Dipartimento delle Finanze riguardano tutte le decisioni depositate presso le Commissioni Tributarie senza distinguere se siano passate in giudicato o meno. In base alle pronunce definitive, l'indice di vittoria numerico registrato dall'Agenzia nel 2013 è pari al 64,8 per cento, così distinto per i tre gradi di giudizio: 67,5 per cento in Commissione Tributaria Provinciale, 57,9 per cento in Commissione Tributaria Regionale e 55,8 per cento in Corte di Cassazione.
Si tratta di risultati ancora lontani da un giudizio di piena soddisfazione che tenga conto della natura comunque fisiologica Pag. 104di una residuale percentuale di sconfitte rientrante nella normale alea del giudizio tributario, fermo restando che bisogna però ricordare anche che solo una percentuale minima degli atti complessivamente notificati dall'Agenzia delle entrate viene impugnata.
In relazione a quanto affermato dagli onorevoli interroganti circa la presenza di termini perentori per la contestazione degli atti che «renderebbe difficoltoso adire le vie giurisdizionali ... », deve osservarsi che i termini previsti dalla legge per l'impugnazione degli atti e per l'esperimento dei vari istituti deflativi del contenzioso (come l'accertamento con adesione, il procedimento di mediazione eccetera) rispondono all'esigenza di certezza dei rapporti giuridici connaturata al concetto stesso di diritto ed espressione, tra l'altro, del principio costituzionale di buon andamento ed imparzialità della Pubblica amministrazione.
La stessa Corte di Giustizia, con numerose pronunce (sentenza 9 febbraio 1999, causa C-343/96; cfr. anche sentenza 15 settembre 1998, causa C-231/96; sentenza 15 settembre 1998, cause riunite C-279/96, C-280/96 e C-281/96; sentenza 17 novembre 1998, causa C-228/96) ha stabilito che la fissazione di ragionevoli termini di ricorso a pena di decadenza, che costituisce l'applicazione del principio fondamentale della certezza del diritto, è legittima a condizione di non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti.
Peraltro, l'ordinario termine di 60 giorni per l'impugnazione può essere di fatto differito di 90 giorni con la presentazione di un'istanza di accertamento con adesione laddove ne ricorrano i presupposti.
Va ancora ricordato che l'istituto della mediazione tributaria di cui all'articolo 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, concernente l'impugnazione di atti dell'Agenzia delle entrate di valore fino a 20.000 euro, impone a quest'ultima di rispondere al reclamo del contribuente entro 90 giorni, prima dell'instaurazione del giudizio.
Con riferimento all'obbligo di provvedere in autotutela, deve ribadirsi l'orientamento, riaffermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sentenza 27 marzo 2007, n. 7388, in base all'istituto dell'autotutela è, per sua natura, un rimedio di carattere discrezionale e non coercibile.
In senso conforme si è pronunciato il Consiglio di Stato, da ultimo, con sentenza 7 gennaio 2014, n. 12, secondo cui: «L'istanza di un privato volta ad ottenere l'esercizio dei poteri di autotutela non fa sorgere alcun obbligo di provvedere in capo all'Amministrazione competente, in quanto tale richiesta è da considerarsi una mera denuncia, con funzione sollecitatoria».
Lo stesso legislatore, con l'articolo 21-novies della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel disciplinare l'annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi illegittimi, ha previsto la facoltà, non l'obbligo, di annullamento d'ufficio, collegando tale facoltà alla ricorrenza del presupposti di cui al precedente articolo 21-octies.
Infine è opportuno rappresentare che l'Agenzia delle entrate ha fornito precise indicazioni agli Uffici volte alla diminuzione della conflittualità nei rapporti con i contribuenti mediante il diffuso ricorso agli istituti deflativi del contenzioso e, in particolare, all'autotutela.
In particolare, in relazione all'autotutela con la circolare 20 maggio 2010, n. 26/E vengono fornite precise indicazioni che di seguito si riportano: «Per quanto riguarda la gestione del contenzioso tributario, l'azione delle strutture territoriali deve dunque favorire l'utilizzo – qualora ne ricorrano i presupposti – dell'autotutela e della conciliazione giudiziale... Prima della predisposizione delle controdeduzioni, va pertanto valutato, previo esame dei motivi del ricorso, il grado o rating di sostenibilità della controversia, al fine di verificare l'eventuale esistenza dei presupposti per l'autotutela o la conciliazione giudiziale, totali o parziali». Analoghe indicazioni sono state fornite con Pag. 105le successive circolari 26 maggio 2011, n. 22/E, punto 2, 11 giugno 2012, n. 22/E, punto 1.2 e con diverse altre direttive.
Il Governo valuterà l'opportunità di monitorare i flussi informativi concernenti il numero di istanze di autotutela accolte in rapporto al numero di quelle complessivamente presentate con particolare attenzione a quelle non accolte relativamente a casi sfociati successivamente in un contenzioso con esito favorevole al contribuente.
ALLEGATO 3
5-03186 Di Stefano: Proroga dei termini di emanazione del decreto direttoriale per l'incremento del prelievo fiscale sui prodotti da fumo.
TESTO DELLA RISPOSTA
In relazione al documento di sindacato ispettivo in esame, sentiti gli uffici competenti dell'amministrazione finanziaria, si riferisce quanto segue.
L'esigenza dell'adozione di un provvedimento amministrativo di incremento del prelievo fiscale sui prodotti del tabacco si determina per due circostanze concorrenti:
a) l'esigenza di reperire 23 milioni di euro nel 2014, con decorrenza 1o agosto, e 50 milioni di euro a decorrere dal 2015 onde dare copertura ad oneri finanziari prodotti dal decreto-legge n. 91 del 2013 (convertito dalla legge n. 112 del 2013, e successive modificazioni) e, contestualmente, dare attuazione all'articolo 14, comma 3, del medesimo provvedimento d'urgenza;
b) l'impossibilità, ormai, di riuscire in tempo utile ad utilizzare – per l'obiettivo di cui sub a) – il veicolo, altrimenti ben utilizzabile, costituito dal provvedimento legislativo di attuazione dell'articolo 13, comma 2, della legge n. 23 del 2014, recante la delega fiscale.
Il provvedimento è ormai pronto per la sua adozione, anche perché a tale scopo la norma primaria prevede quale termine ultimo il giorno 15 del corrente mese di luglio.
Circa l'opportunità, rilevata dagli interroganti, di un eventuale provvedimento legislativo di differimento del termine di adozione del provvedimento amministrativo di cui trattasi, onde favorirne eventualmente ed addirittura il suo «assorbimento» nel provvedimento legislativo delegato sopra pure ricordato, devono segnalarsi le seguenti implicazioni che consistono:
1) per un verso, nel dover accettare un sensibile aumento della percentuale di incremento del prelievo fiscale da operare in via amministrativa onde conseguire il maggior gettito di 23 milioni di euro nell'anno 2014;
2) per altro verso, verosimilmente, nel dover reperire fonti di copertura alla norma di differimento qualora, di contro, il maggior gettito da conseguire nell'anno in corso volesse essere di misura inferiore ai predetti 23 milioni di euro.
Premesso quanto sopra, l'approvazione dello schema di decreto delegato di attuazione dell'articolo 13, comma 2, della legge 23 del 2014, recante la delega fiscale, potrà consentire di coprire tutta l'area di intervento in tema di riordino della tassazione dei prodotti da fumo che, invece, si rende ormai urgente, specie a garanzia delle entrate erariali, assicurando quell'equilibrio di misure in materia di fiscalità sui prodotti da fumo che, solo nel loro insieme, possono escludere scompensi nel mercato della concorrenza fra i diversi produttori esistenti.
Pag. 107ALLEGATO 4
5-03187 Paglia: Valutazione sugli effetti dei mini-bond.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione l'onorevole Paglia chiede quali sia lo stato di attuazione delle misure previste dal «Decreto Sviluppo», con particolare riferimento allo strumento dei «minibond».
Al riguardo, si fa presente che al fine di facilitare l'accesso per le PMI ai mercati di capitali, il Governo, con il cosiddetto decreto sviluppo (decreto-legge n. 83, del 22 giugno 2012, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134), ha introdotto un quadro di norme focalizzate sulle esigenze di finanziamento delle PMI favorendo l'emissione di strumenti di debito, che in ragione del modesto taglio, vengono definiti comunemente «Mini-bond». Tale insieme accoglie le cambiali finanziarie, con scadenza da 1 a 36 mesi, e titoli obbligazionari a medio e lungo termine.
I mini-bond sono strumenti di debito emessi da società non quotate (incluse PMI ed escluse le imprese di piccolissime dimensioni, cosiddette microimprese), negoziati su mercati regolamentati o, qualora non abbiano prospetto informativo, su piattaforme di trading multilaterali, (ccdd. MTF, Multilateral trading facilities), riservati ai soli investitori professionali, quali ad esempio il mercato ExtraMOT Pro di Borsa Italiana.
Per i titoli che rispondono ai requisiti previsti dalle citate norme sono previste alcune agevolazioni fiscali e civilistiche, quali, ad esempio, la deducibilità degli interessi e dei costi d'emissione nell'ambito della tassazione dei redditi della società, l'irrilevanza del limite civilistico rispetto al capitale sociale riguardo all'emissione di tali titoli, la previsione di uno «sponsor» che peraltro deve trattenere una quota di tali emissioni nel proprio portafoglio (cosiddetto «skin in the game»).
Ulteriori incentivi sono stati introdotti dal decreto «Destinazione Italia» (decreto-legge n. 145, del 23 dicembre 2013, convertito, dalla legge del 21 febbraio 2014, n. 9), che ha reso i Mini-bond strumenti finanziari eleggibili anche per gli investimenti di compagnie d'assicurazione e fondi pensione. Lo stesso decreto consente anche la possibilità dell'ulteriore cartolarizzazione di detti titoli e una particolare possibilità di collateralizzazione dei titoli (cosiddetto privilegio speciale).
Dalle prime esperienze risulta che le citate obbligazioni sono utilizzate da società non quotate di dimensioni grandi.
Recentemente anche emittenti di media e piccola dimensione si stanno avvicinando a tale mercato. Complessivamente, sulla base di alcune stime di mercato, possono essere ritenute potenzialmente adatte al regime dei Mini-bond circa 35.000 società.
Se la tendenza più recente continuerà, il regime dei Mini-bond potrà costituire un decisivo e positivo passo verso il finanziamento del debito attraverso il mercato dei capitali per le società italiane non quotate, con appetibilità sempre maggiore da parte di investitori professionali esteri per tali strumenti finanziari.
Sulla questione, la Banca d'Italia ha comunicato che nel 2013 le obbligazioni lorde emesse dalle imprese italiane sono state pari a 39 miliardi; ulteriori 10 miliardi sono stati collocati nel primo trimestre del 2014.
A partire dal 2009 i collocamenti sono stati in media pari a 32 miliardi l'anno, circa 9 in più rispetto al periodo 2002-Pag. 1082007. Durante la crisi hanno fatto ricorso al mercato obbligazionario soprattutto imprese di grandi dimensioni che hanno utilizzato i fondi raccolti anche per rimborsare prestiti bancari.
In questo contesto, un contributo alla crescita delle emissioni obbligazionarie è venuto dai cosiddetti minibond. La normativa entrata in vigore nel 2012 (decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134) ha innovato la disciplina dell'emissione di titoli di debito (cambiali finanziarie e obbligazioni) da parte di società non quotate diverse da banche e da microimprese (come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE).
La normativa non ha peraltro previsto un sistema di rilevazione delle emissioni di minibond per cui non esistono fonti ufficiali sui volumi dei titoli collocati e sul numero di emittenti.
La Banca d'Italia, che analizza regolarmente l'evoluzione del mercato obbligazionario tra le fonti di finanziamento delle imprese, ha comunicato di aver ricostruito un elenco di emissioni di minibond sulla base di informazioni di stampa e di quelle rilasciate periodicamente da Borsa Italiana con riferimento ai titoli scambiati sul segmento professionale dell'ExtraMOT, un sistema multilaterale di negoziazione (MTF) per gli strumenti obbligazionari a cui possono accedere i soli investitori professionali. Una lista aggiornata di mini-bond emessi è disponibile sul sito ExtraMOT Pro.
Sulla base delle informazioni così raccolte, emerge che dal novembre del 2012 al giugno 2014 hanno emesso minibond 36 imprese non finanziarie italiane, per un importo di 5,7 miliardi. A queste si aggiungono due società non finanziarie estere che hanno emesso minibond per un valore prossimo a un miliardo. Le società emittenti appartengono a comparti eterogenei dei servizi e della manifattura.
Fino alla fine del 2013 le emissioni sono state generalmente di importo unitario elevato e hanno fatto capo quasi interamente a società di grandi dimensioni: in media i collocamenti sono stati pari a circa 290 milioni per impresa.
Nel primo semestre del 2014 è aumentato il numero di emissioni di importo più contenuto, verosimilmente da imprese di dimensione inferiore: in questi mesi l'importo medio dei collocamenti è sceso a circa 45 milioni.