ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO

Seduta n. 584 di lunedì 7 marzo 2016

INDICE


ATTI DI INDIRIZZO:

Mozioni:
  Saltamartini  1-01185  35115
  Spadoni  1-01186  35116
  Carfagna  1-01187  35122
  Baradello  1-01188  35124
  Rizzetto  1-01189  35126

Risoluzioni in Commissione:
 VIII e IX Commissione:
  De Lorenzis  7-00945  35127
 XI Commissione:
  Placido  7-00946  35130

ATTI DI CONTROLLO:

Presidenza del Consiglio dei ministri.

Interpellanza:
  Maestri Andrea  2-01304  35131

Interrogazione a risposta orale:
  Martella  3-02083  35135

Affari esteri e cooperazione internazionale.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  De Maria  5-08030  35135

Ambiente e tutela del territorio e del mare.

Interrogazione a risposta orale:
  Segoni  3-02084  35136

Interrogazione a risposta scritta:
  Zolezzi  4-12384  35138

Beni e attività culturali e turismo.

Interrogazione a risposta scritta:
  Polverini  4-12387  35139

Economia e finanze.

Interrogazioni a risposta in Commissione:
  Rizzetto  5-08024  35140
  Vezzali  5-08025  35142
  Vezzali  5-08029  35142

Interrogazioni a risposta scritta:
  Dadone  4-12385  35143
  Nastri  4-12388  35143

Infrastrutture e trasporti.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Ricciatti  5-08028  35145

Interrogazione a risposta scritta:
  Maestri Andrea  4-12391  35146

Interno.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Fabbri  5-08026  35148

Istruzione, università e ricerca.

Interrogazione a risposta scritta:
  Attaguile  4-12386  35152

Lavoro e politiche sociali.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Labriola  5-08027  35152

Interrogazione a risposta scritta:
  Nastri  4-12390  35153

Semplificazione e pubblica amministrazione.

Interrogazione a risposta scritta:
  Zardini  4-12383  35154

Sviluppo economico.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Ricciatti  5-08031  35155

Interrogazioni a risposta scritta:
  Maestri Andrea  4-12389  35156
  Fiorio  4-12392  35157
  Attaguile  4-12393  35158

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari  35159

Apposizione di una firma ad una mozione  35159

Apposizione di una firma ad una risoluzione  35159

Apposizione di firme ad interrogazioni  35159

Pubblicazione di testi riformulati  35159

Interrogazioni a risposta scritta:
  Nastri  4-12344  35160
  Scotto  4-12346  35161

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo  35162

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo  35162

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

   La Camera,
   premesso che:
    il percorso che portò in Italia all'estensione del voto alle donne cominciò all'indomani dell'unificazione, avvenuta nel 1861. I primi movimenti di emancipazione si collocano nei primi anni del 1900, ma è solo all'indomani del secondo conflitto mondiale che, con il decreto legislativo del 10 marzo 1946, il Consiglio dei ministri estese il voto anche alle donne che avessero compiuto la maggiore età;
    in Italia le donne votarono per la prima volta nel corso delle elezioni amministrative del marzo e aprile 1946 e, successivamente, per il celebre referendum monarchia/repubblica;
    in seguito, con l'approvazione della legge costituzionale n. 1 del 2003, che ha modificato l'articolo 51 della Costituzione, viene fissato il principio costituzionale, a mente del quale tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Si è in tal modo segnato un passaggio dalla dimensione statica della parità di trattamento uomo-donna alla prospettiva dinamica delle pari opportunità, nell'ottica del raggiungimento di un'uguaglianza sostanziale, come già riconosciuta dall'articolo 3 della Costituzione;
    ad oggi, però, la presenza delle donne nelle istituzioni è ancora sottorappresentata e tutto ciò perché al di là delle modifiche normative intervenute negli ultimi anni, finalizzate a garantire la pari opportunità delle stesse nelle assemblee elettive e nei ruoli di governo, non si è ancora compiuta quella rivoluzione culturale declinabile in un cambiamento radicale della società, dove ciò che conta deve essere soltanto ed esclusivamente il merito;
    il 2016 non verrà certamente ricordato per l'importante ricorrenza dei 70 anni del voto alle donne, simbolo di democrazia e di civiltà, ma per essere stato l'anno nel quale, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, il processo democratico ha subito una forte battuta di arresto. Nel 2016, infatti, il Presidente del Consiglio non è espressione di una scelta degli elettori, i disegni di legge ordinari, come la riforma delle province fino a quelli di modifica della II parte della Costituzione prevedono entrambi una forte limitazione al diritto di partecipazione dei cittadini, uomini e donne, nel poter liberamente scegliere a suffragio universale i propri rappresentati politici. Il 2016 è forse l'anno nel quale stiamo constatando con maggiore consapevolezza come la politica interna sia stata privata di qualsiasi sovranità nazionale e sacrificata in nome di scelte e decisioni che vengono prese all'estero;
    la crisi politica, valoriale ed economica che segna in modo indelebile la fase storica che stiamo vivendo, accompagnata da un'evidente intensificazione del mal costume, ha alimentato nell'opinione pubblica una disaffezione cronica nei confronti della politica;
    si è generato in molti cittadini un sentimento diffuso di sfiducia nei confronti delle istituzioni, dei legislatori e degli amministratori che, come primo effetto, ha prodotto una drastica diminuzione della partecipazione al voto, da parte di tutti i cittadini: uomini e donne;
    la partecipazione al voto è il principio su cui si fonda il concetto stesso di democrazia. Per questa ragione la crescita progressiva del numero di cittadini che rinunciano ad esercitare il diritto di voto è un segnale preoccupante che non può essere sottovalutato, soprattutto in occasione di ricorrenze come questa;
    la nostra Costituzione, proprio nel primo articolo, stabilisce infatti che la
sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione;
    è innegabile come il processo di unità europea abbia contribuito a far allontanare i cittadini dalla cosa pubblica. L'Europa, oggi, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, è una costruzione senza identità, scarsamente democratica, macchinosa e spesso incomprensibile per i cittadini, un modello che esaspera gli aspetti negativi dello Stato centralizzato, senza dare risposte tangibili alle richieste che vengono dalla periferia e che spinge l'elettore, donna e uomo, a reputare insignificante l'esercizio del proprio diritto al voto;
    in questa occasione bisogna, con coerenza, ricordare come le grandi conquiste del diritto di voto fino ad una rinnovata sensibilità politica volta a creare i presupposti per una sempre più ampia partecipazione attiva delle donne nella politica, non sono nulla se si contrappongono nei fatti ad un totale disinteresse delle istituzioni dinnanzi a casi di recrudescenza di una violenza sistematica nei confronti delle donne, umiliate anche attraverso pratiche orribili come il ricorso alla maternità surrogata;
    pari opportunità significa anche attuare un welfare a misura di donna, politiche a sostegno della famiglia, politiche dirette a sviluppare progetti di conciliazione vita-lavoro per le donne, potenziando i servizi pubblici come i nidi, l'assistenza domiciliare e sviluppando un regime fiscale commisurato alla dimensione della famiglia. Pari opportunità è anche far sì che le donne non siano mai costrette a dover rinunciare alla nascita di una nuova vita per problemi economici. Pari opportunità significa garantire la sicurezza minima nelle città per far sì che tutti possano riconquistare la loro serenità di vita riappropriandosi della tranquillità di poter vivere i propri spazi pubblici,

impegna il Governo:

   a promuovere, in occasione del settantesimo anniversario dell'estensione del diritto di voto alle donne, nelle scuole di ogni ordine e grado, giornate di riflessione sull'importanza e il valore della partecipazione delle donne alla vita pubblica;
   a riconsiderare tutti gli atti normativi di iniziativa governativa che, a parere dei firmatari del presente atto, di fatto, limitano il diritto al voto quale espressione della volontà di tutti i cittadini, donne e uomini;
   a promuovere iniziative volte a garantire pari condizioni di partenza, dal punto di vista educativo, economico e sociale, tali da assicurare l'accesso delle donne alla vita pubblica, eliminando al contempo gli ostacoli che ne impediscono la giusta conciliazione con la vita familiare.
(1-01185) «
Saltamartini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».

   La Camera,
   premesso che:
    il 2 giugno 1946 i cittadini italiani, maggiori di 21 anni, vennero chiamati alle urne per eleggere i componenti dell'Assemblea costituente e per votare il referendum istituzionale che avrebbe stabilito se l'Italia sarebbe stata una nazione monarchica o repubblicana;
    scegliere democraticamente i propri rappresentanti fu un evento di straordinaria importanza, soprattutto perché si diede questo diritto anche a una parte della popolazione che fino ad allora era stata esclusa: le donne;
    furono elette 21 donne (denominate «Madri Costituenti») su 226 all'Assemblea costituente, godendo, queste, per la prima volta in Italia dell'elettorato attivo e passivo a partire dal 1946;
    il 15 luglio 1946 l'Assemblea decise l'istituzione di una commissione speciale incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione da discutere in Aula;
    nella suddetta commissione - nota col nome di «Commissione dei 75» – vennero elette 5 donne: Maria Federici, Teresa Noce, Angelina Merlin, Nilde Iotti e Ottavia Penna Buscemi;
    il percorso di emancipazione è ancora complesso e lungo, nonostante gli importanti e numerosi progressi nell'ambito delle pari opportunità a livello nazionale;
    ogni anno dal 2006 il World Economic Forum (WEF) pubblica una ricerca che quantifica le disparità di genere in vari Paesi del mondo: il «Global Gender Gap Report». Il rapporto permette di fare una comparazione tra paesi ed individuare i miglioramenti e i peggioramenti in base a quattro criteri: economia, istruzione, salute e politica;
    il rapporto suddetto non misura la qualità della vita in generale delle donne o il loro livello di libertà, ma misura semplicemente il divario quantitativo tra uomini e donne in quattro settori della società;
    nella classifica 2015 l'Italia si trova al 41esimo posto su 145 Paesi;
    secondo l'articolo 37 della Costituzione italiana, «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione»;
    siamo giunti all'entrata in vigore (1o agosto 2014) della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, o Convenzione di Istanbul;
    la Convenzione, adottata a Istanbul nel 2011, costituisce il primo strumento internazionale vincolante sul piano giuridico per prevenire e contrastare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
    il testo della Convenzione si fonda su tre pilastri: prevenzione, protezione e punizione;
    la Convenzione ha l'obiettivo di: proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne; predisporre, in un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica; promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; sostenere e assistere le organizzazioni e le autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica;
    la violenza di genere costituisce una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne e comprende tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;
    la conquista dei diritti civili da parte delle donne non è sufficiente a garantire la piena tutela e parità delle stesse: soprusi e violenze, seguiti spesso da tragici epiloghi, sono all'ordine del giorno. La Presidente della Camera, Laura Boldrini, ha annunciato in questi giorni che abbasserà a mezz'asta la bandiera italiana, che sventola sul campanile di
Montecitorio, per le vittime del femminicidio e che proporrà la medesima cosa a tutte le amministrazioni. La denuncia di questi atti non dovrebbe però limitarsi ai casi estremi, ma anche a tutti i casi di prevaricazione di cui sono vittime le donne, a cominciare proprio da quegli episodi che si consumano nell'ambito lavorativo degli uffici pubblici;
    gli Stati che hanno firmato e ratificato la Convenzione dovranno adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per promuovere e tutelare il diritto di tutti gli individui, e specialmente delle donne, di vivere liberi dalla violenza, sia nella vita pubblica che privata;
    ai sensi dell'articolo 4, comma 2, della convenzione «le Parti condannano ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e adottano, senza indugio, le misure legislative e di altro tipo necessarie per prevenirla, in particolare: inserendo nelle loro costituzioni nazionali o in qualsiasi altra disposizione legislativa appropriata il principio della parità tra i sessi e garantendo l'effettiva applicazione di tale principio; vietando la discriminazione nei confronti delle donne, ivi compreso procedendo, se del caso, all'applicazione di sanzioni; abrogando le leggi e le pratiche che discriminano le donne»;
    ai sensi dell'articolo 6, «le Parti si impegnano a inserire una prospettiva di genere nell'applicazione e nella valutazione dell'impatto delle disposizioni della presente Convenzione e a promuovere ed attuare politiche efficaci volte a favorire la parità tra le donne e gli uomini e l'emancipazione e l'autodeterminazione delle donne»;
    il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante «Disposizione urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 15 ottobre 2013, n. 119, che all'articolo 5, prevede in capo al Ministro delegato per le pari opportunità l'elaborazione e l'adozione di un piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere;
    il suddetto piano d'azione straordinario è stato adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 e registrato dalla Corte dei conti il 25 agosto 2015;
    gli obiettivi del piano d'azione sono: prevenire il fenomeno della violenza contro le donne; promuovere l'educazione alle relazioni non discriminatorie nei confronti delle donne; potenziare le forme di sostegno e assistenza alle donne e a loro figli; garantire adeguata formazione per tutte le professionalità che entrano in contatto con la violenza di genere e lo stalking; prevedere una adeguata raccolta dati e un sistema strutturato di governance tra tutti i livelli di Governo;
    l'articolo 5-bis della legge n. 119 del 2013 dispone che, al fine di dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 5, comma 2, lettera d), della citata legge, il fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità è incrementato di 10 milioni di euro per l'anno 2013, di 7 milioni di euro per l'anno 2014 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;
    tali fondi sono stati destinati, e solo in parte erogati, a favore di centri antiviolenza e case rifugio;
    nella legge di stabilità 2016 è stato predisposto, per il fondo per le pari opportunità, un ammontare annuale pari a 9.599.591 euro per gli anni 2016, 2017, 2018;
    da una mappa realizzata dall'organizzazione non governativa Action Aid si è appreso che, solo per dieci amministrazioni, è possibile consultare la lista delle strutture beneficiarie dei fondi e tra queste per cinque regioni (Veneto, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Puglia) sono reperibili on-line i nomi di ciascuna struttura e i fondi ricevuti;
    l'analisi dei dati raccolti mostra la diversità delle scelte adottate dalle varie amministrazioni;

    il finanziamento medio per centro antiviolenza e casa rifugio, erogato direttamente alle strutture o tramite bando, varia molto da regione a regione: sono erogati circa 60 mila euro in Piemonte, 30 mila in Veneto e Sardegna, 12 mila in Puglia, 8 mila in Sicilia, 12 mila nelle ex province di Firenze e Pistoia, 6 mila in Abruzzo e Valle d'Aosta;
    le regioni hanno ricevuto i fondi solo nell'autunno 2014, per cui la scadenza è stata molto stretta;
    i fondi previsti per il 2015 ancora non risultano essere stati erogati;
    non esiste allo stato attuale una mappatura accurata dei centri antiviolenza e dei fondi adeguati per il loro funzionamento, alla luce dei dati contraddittori rispetto alle strutture presenti nelle varie regioni e della disomogeneità delle risorse assegnate nei vari territori, né tantomeno si conosce il nome della struttura che ha ricevuto i fondi;
    in Italia, la legge n. 194 del 1978 assicura consulenza ed esami medici alle donne che decidono di adottare l'interruzione volontaria di gravidanza, pratica sicuramente provante dal punto di vista emotivo e psicologico. Questo diritto viene però spesso disatteso: quello che aspetta loro nell'Italia del 2015, è un percorso ad ostacoli, fatto di burocrazia, vessazioni, medici obiettori e strutture blindate, con la formazione di code lunghissime mentre il tempo passa. La legge è nata proprio per superare la clandestinità, ma è una legge fantasma: gli aborti calano, ma abortire diventa uno slalom crudele, soprattutto per le donne che hanno meno informazioni, sostegno, reddito;
    la diminuzione delle nascite e l'età sempre più avanzata delle gravidanze hanno determinato negli anni un impoverimento dei saperi femminili, della consapevolezza e della competenza in tema di maternità da parte delle donne. La gravidanza non è una condizione patologica e l'eccessiva medicalizzazione della gravidanza fisiologica e dell'evento del parto hanno dato alle mamme poco o nessun potere decisionale. Una donna che partorisce in maniera fisiologica deve rivolgersi a una struttura sanitaria, pubblica o privata, adatta ad affrontare situazioni di emergenza per eventuali tagli cesarei, concepiti quindi come un'alternativa e una sorta di «sala vita» per la madre e per il figlio, fornita di un centro trasfusionale, terapia intensiva neonatale e posti letto per cure pediatriche e patologie neonatali minime e intermedie. Questo non deve comportare la chiusura di punti nascita già esistenti: mantenere attivi i presidi medici sul territorio non può essere considerato uno spreco di denaro pubblico; il benessere e la salute dei cittadini sono di primaria importanza e lo Stato non dovrebbe mai operare tagli ai servizi sanitari nazionali ma incrementarli;
    il modello italiano di welfare, soprattutto per le persone con disabilità e per chi soffre di malattie degenerative, si fonda sul ruolo della famiglia, in particolare delle donne. La delega si accentua, poi, a causa di un supporto sempre più limitato di servizi pubblici che potrebbero garantire un'assistenza migliore e maggiore autonomia alle persone con disabilità;
    sono principalmente donne le caregivers che si dedicano all'assistenza di familiari «fragili»; spesso si fanno carico di compiti che in altri Paesi sono svolti dal settore pubblico. E scontano conseguenze, ancora sottovalutate, nel mondo del lavoro, ma anche sulla propria salute;
    uno studio di Elizabeth Blackburn, premio Nobel per la Medicina nel 2009, ha dimostrato che i caregivers sottoposti allo stress di curare familiari gravi hanno un'aspettativa di vita ridotta dai 9 ai 17 anni. Le persone bisognose di aiuto nei prossimi decenni tenderanno ad aumentare di pari passo con l'aumento di malattie cronico-degenerative e della non autosufficienza. Occorre quindi organizzare al meglio le reti di supporto;
    i caregiver familiari hanno dunque un ruolo sociale importante che deve essere
riconosciuto. Sono persone che, infatti, spesso subiscono un isolamento sociale e familiare, un impoverimento economico e una difficoltà a entrare o rientrare nel mercato del lavoro;
    assistere una persona non autosufficiente può essere infatti faticoso e totalizzante, con profonde ripercussioni sulla vita privata;
    gli atti e i dati spesso non sono facilmente reperibili sui siti istituzionali delle singole regioni;
    nonostante l'importanza delle pari opportunità, in Italia non esiste un Ministero ad esse preposto specificatamente ma un dipartimento dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri;
    nel mese di novembre 2015 l'onorevole Giovanna Martelli ha rassegnato le proprie dimissioni dall'incarico di consigliere del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di pari opportunità,

impegna il Governo:

   a nominare urgentemente una consigliera in materia di pari opportunità;
   ad assumere iniziative per promuovere e rafforzare la formazione delle figure professionali che si occupano delle vittime o degli autori di tutti gli atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione di Istanbul in materia di prevenzione e individuazione di tale violenza, uguaglianza tra le donne e gli uomini, bisogni e diritti delle vittime;
   ad assumere iniziative per attuare l'articolo 11, comma 1, lettera b), della Convenzione in questione, ossia il sostegno alla ricerca su tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione, al fine di studiarne le cause profonde e gli effetti, la frequenza e le percentuali delle condanne, come pure l'efficacia delle misure adottate ai fini dell'applicazione del presente trattato;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza volta e prevenire e perseguire in maniera decisa ogni manifestazione di violenza, verbale e fisica, all'interno dei pubblici uffici, promuovendo, al tempo stesso, l'adozione di analoghe iniziative presso tutti i soggetti pubblici, come esempio da trasmettere soprattutto alle giovani generazioni per quel cambio culturale spesso invocato dalle più alte cariche dello Stato;
   a realizzare un monitoraggio sulla popolazione, a intervalli regolari, allo scopo di determinare la prevalenza e le tendenze di ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della citata Convenzione;
   ad assumere iniziative per attuare l'articolo 12 della Convenzione sopracitata, ovvero incoraggiare tutti i membri della società, e in particolar modo gli uomini e i ragazzi, a contribuire attivamente alla prevenzione di ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della citata Convenzione;
   a promuovere programmi ed attività destinati ad aumentare il livello di autonomia e di emancipazione delle donne;
   ad assumere iniziative per garantire che siano debitamente presi in considerazione, nell'ambito dei servizi di protezione e di supporto alle vittime, i diritti e i bisogni dei bambini testimoni di ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione;
   ad assumere iniziative per rafforzare e diffondere i programmi esistenti rivolti agli autori di atti di violenza domestica, al fine di prevenire nuove violenze e modificare i modelli comportamentali violenti e per prevenire la recidiva, in particolare per i reati di natura sessuale;
   ad assumere iniziative per garantire l'applicazione dell'articolo 33 della Convenzione di cui in premessa, relativo alla violenza psicologica, per penalizzare i comportamenti intenzionali miranti a compromettere seriamente l'integrità psicologica di una persona con la coercizione o le minacce;

   ad incoraggiare il settore privato, il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e i mass-media, nel rispetto della loro indipendenza e libertà di espressione, a partecipare all'elaborazione e all'attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolamentazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità;
   ad assumere iniziative per promuovere, in collaborazione con i soggetti del settore privato, la capacità dei bambini, dei genitori e degli insegnanti di affrontare un contesto dell'informazione e della comunicazione che permette l'accesso a contenuti degradanti potenzialmente nocivi a carattere sessuale o violento;
   a promuovere maggiori campagne di sensibilizzazione del Dipartimento delle pari opportunità sul tema, tramite canali mediatici pubblici;
   a predisporre una sezione, all'interno del sito del Dipartimento per le pari opportunità, volta a rendere accessibile, in tempi rapidi, la rendicontazione completa delle attività finanziate con i fondi di cui alla legge n. 119 del 2013, nella quale le amministrazioni regionali/locali possano caricare direttamente e in autonomia la documentazione rilevante (delibere, risultati, bandi, reportistica delle attività svolte da parte dei beneficiari dei fondi e altro), facendo sì che tali informazioni siano disponibili in formato aperto (open data);
   ad assicurare che i finanziamenti stanziati annualmente tramite la legge n. 119 del 2013 siano erogati senza ritardi;
   ad aggiornare la mappatura dei centri antiviolenza del dipartimento per le pari opportunità, secondo la reportistica ricevuta da regioni e province autonome;
   a prevedere indicatori per la valutazione, da effettuarsi con cadenza annuale, o comunque per ogni ciclo di finanziamento, dell'impatto degli stanziamenti, per informare circa le future strategie di intervento, tramite la consultazione delle organizzazioni della società civile e dei centri antiviolenza, anche sulla base di quanto è stato fatto con i fondi 2013/2014;
   a stimare il fabbisogno reale dei centri antiviolenza per la loro sopravvivenza e il loro adeguato funzionamento, informando, di conseguenza, circa lo stanziamento necessario per assicurare servizi adeguati su tutto il territorio;
   ad assumere iniziative per garantire dignità alle donne che ricorrono alla pratica di interruzione volontaria di gravidanza, già di per se psicologicamente dolorosa, anche promuovendo, per quanto di competenza misure volte a superare i disservizi sanitari che ostacolano la corretta applicazione della legge n. 194 del 1978;
   a promuovere il benessere psico-fisico della donna e del bambino durante la gestazione e il parto, stabilendo la sua priorità rispetto a ogni altra esigenza, prevedendo che le strutture, pubbliche e private, garantiscano la sicurezza di tutto il percorso della nascita, attraverso modalità di assistenza che riconoscano la naturalità dell'evento e ne rispettino il carattere fisiologico;
   ad avviare tutte le iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate all'istituzione e al riconoscimento della figura dei caregiver familiari e allo sviluppo di politiche loro dedicate, in particolare di sostegno al reddito e di tutela del diritto al lavoro e alla salute;
   ad adottare iniziative, anche normative, affinché siano aggiornate le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, ai fini dell'inserimento dell'endometriosi tra le malattie invalidanti, riconoscendo alle donne affette dalla patologia il diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate.
(1-01186) «
Spadoni, Colonnese, Lorefice, Grillo, Di Vita, Silvia Giordano, Baroni, Mantero, Agostinelli, Alberti, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lupo, Mannino, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».

   La Camera,
   premesso che:
   con il termine maternità surrogata, o utero in affitto, oppure gestazione per altri (Gpa), si intende quella pratica basata sulla disponibilità del corpo di una donna, per realizzare un progetto di genitorialità altrui, per cui si intraprende una gravidanza con l'intento di affidare il nascituro a terzi all'atto della nascita;
   molti sono i Paesi nel mondo in cui non vige un divieto generalizzato di tale pratica. A voler riportare la situazione a livello comunitario, da alcuni dati del Parlamento europeo (resi pubblici a maggio 2013) si rivela che in quasi più della metà degli Stati membri dell'Unione non vi è un espresso divieto (è il caso del Belgio, della Danimarca, della Grecia, del Regno Unito, dei Paesi Bassi, solo per citarne alcuni), così come in quasi nessuno degli stati esiste una legge specifica che disciplini il fenomeno;
   se la situazione europea ancora oggi presenta numerose disomogeneità, altrettanto variegata e complessa sembra essere la situazione nel resto del mondo, dove la maternità surrogata è ammessa e praticata in Paesi estremamente diversi per cultura e ricchezza — si pensi alla Thailandia, il Messico, l'India, il Nepal rispetto agli USA e al Canada — e dove altrettanto diversi sono gli orientamenti giuridici e le leggi in materia;
   in Canada e negli Stati Uniti, per esempio, la materia è regolamentata in modo dettagliato, affrontando la questione soprattutto da un punto di vista commerciale e creando dei distinguo tra «gestazione altruistica» e «gestazione lucrativa»; così, se nel caso canadese è permesso solo il primo tipo, in alcuni degli otto stati degli Usa in cui tale pratica è ammessa, si può ricorrere ad entrambe le formule (ad esempio California e Florida);
   la pratica della maternità surrogata non è solo una tecnica riproduttiva, ma tocca molti diritti umani e temi etici;
   secondo il principio dell'indisponibilità del corpo umano, l'acquisto, la vendita o l'affitto dello stesso sono fondamentalmente contrari al rispetto della sua dignità. La mercificazione del bambino e la strumentalizzazione del corpo della donna sono anch'essi contrari alla dignità umana. Tuttavia, alcune donne acconsentono ad impegnarsi in un contratto che aliena la loro salute e la loro dignità, a vantaggio dell'industria e dei mercati della riproduzione, sotto la spinta di molteplici pressioni, spesso di natura esclusivamente economica. E, in particolare in quei Paesi dove vige una regolamentazione molto dettagliata, si è sviluppato un fiorente «mercato della riproduzione» che vanta un fatturato annuo di svariati miliardi di dollari;
   la pratica della maternità surrogata viene realizzata da imprese che si occupano
di riproduzione umana, in un sistema fortemente organizzato che comprende cliniche, medici, avvocati, e agenzie di intermediazione. Questo sistema ha bisogno di donne come mezzi di produzione in modo che la gravidanza e il parto diventino delle procedure funzionali, dotate di un valore d'uso e di un valore di scambio, e si iscrivano nella cornice della globalizzazione dei mercati che hanno per oggetto il corpo umano;
   la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 ha affermato il principio della difesa della dignità umana come obiettivo primario da perseguire, oltre che nel perimetro di sovranità dei singoli Stati, anche nello spazio delle relazioni internazionali, con ciò escludendo la legittimità di ogni pratica mercantile di scambio che abbia ad oggetto gli esseri umani;
   la Convenzione sui diritti dell'infanzia approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 (ratificata dall'Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176) impegna gli Stati ad adottare tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi necessari per attuare i diritti riconosciuti dalla stessa Convenzione e, in particolare, il diritto dei bambini a non essere privati degli elementi costitutivi della loro identità (articolo 8) e il diritto ad essere protetti contro ogni forma di sfruttamento economico (articolo 32);
   la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce, all'articolo 3, il «divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro»;
   la Convenzione di Oviedo, sottoscritta il 4 aprile 1997 sui diritti dell'uomo e la biomedicina all'articolo 21 stabilisce che «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto»;
   la risoluzione del Parlamento europeo sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'Unione europea in materia di lotta alla violenza contro le donne del 5 aprile 2011 (2010/2209(INI)), impegna gli Stati membri a «riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili»;
   il 17 dicembre 2015, il Parlamento europeo ha discusso e approvato la risoluzione per la Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia; al paragrafo 115 della risoluzione approvata, il Parlamento europeo «condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; ritiene che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani»;
   nella Commissione affari sociali, sanità e sviluppo sostenibile del Consiglio d'Europa si sta discutendo il rapporto « Human Rights and Etical Iusses related to surrogancy», da cui emerge che l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa dovrebbe scoraggiare ogni forma di maternità surrogata per profitto;
   nel diritto internazionale ed europeo, non è comunque prevista alcuna disposizione giuridica che vieti in maniera universale la maternità surrogata;
   in Italia, la legge n. 40 del 2004 prevede espressamente il divieto di pratiche riconducibili al cosiddetto utero in affitto. Recita infatti l'articolo 12, comma 6, della citata legge: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
   le conseguenze sociali, economiche e giuridiche che derivano dal ricorso di
sempre più coppie alla surrogata sono molteplici e di difficile gestione, anche in Italia, dove la pratica è formalmente vietata;
   è necessario attivarsi in tutte le sedi opportune per riconoscere e tutelare in maniera omogenea negli ordinamenti nazionali e internazionali i diritti delle donne e dei bambini oggetto di sfruttamento e di mercificazione, e porre fine a questa moderna forma di schiavitù,

impegna il Governo:

   a richiedere, nelle opportune forme e sedi internazionali, il rispetto, da parte dei Paesi firmatari, delle convenzioni internazionali per la protezione dei diritti umani e del bambino;
   a promuovere la messa al bando universale di tutte le forme di legalizzazione della maternità surrogata, attraverso l'adozione di un'apposita convenzione internazionale, per sancire definitivamente i principi di indisponibilità del corpo umano e della protezione della vita e dell'infanzia.
(1-01187) «
Carfagna, Centemero, Prestigiacomo, Occhiuto, Calabria, Garnero Santanchè, Gelmini, Giacomoni, Elvira Savino».

   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno dell'espulsione dei lavoratori, cosiddetto «maturi» dal ciclo produttivo ha inizio nel nostro Paese attorno alla metà degli anni ’90 del secolo scorso;
    già negli anni precedenti in vari Paesi industrializzati europei si era diffusa la teoria « young in, old out», che prevedeva una costante discesa dell'età dei lavoratori;
    in Italia, le multinazionali furono le prime ad applicare la teoria sopra ricordata, il cui retroterra va ricercato nel processo di globalizzazione che si andava imponendo e che riteneva necessario un rapido «svecchiamento» degli organici, per far posto a giovani sicuramente più capaci dei «vecchi» di cogliere le implicazioni dei nuovi processi produttivi e tecnologici ma anche più disposti ad accettare, almeno in linea teoria, le nuove regole del mercato globalizzato;
    sempre in quell'epoca prevaleva l'idea che liberandosi dei lavoratori «maturi», costosi, professionalizzati e spesso critici verso le scelte aziendali, si sarebbero agevolati l'introduzione e lo sviluppo di nuove strategie aziendali, con l'evidente messa in secondo piano dei valori dovuti all'esperienza ed alla competenza acquisita con il tempo;
    non si può dire, però, che in Italia questa scelta abbia davvero favorito i giovani, che sono a loro volta diventati vittime di un precariato costante e che tocca tutti gli aspetti della loro vita;
    non si intende, quindi, sostenere una qualche forma di guerra generazionale quando si osserva che il lavoratore «maturo» è stato fortemente penalizzato dalle scelte politiche e aziendali degli ultimi anni;
    è però evidente che se, giustamente, l'attenzione della politica e dei media si concentra sui preoccupanti dati relativi alla disoccupazione giovanile, non lo stesso avviene per quelli che riguardano i lavoratori over 40 e, soprattutto over 50;
    le cifre non sono concordi ma si parla di circa 2 milioni di lavoratori «maturi» (over 40/50/60 anni), che non riescono, o non cercano più, un lavoro dopo aver perduto loro;
    si tratta di un numero non trascurabile e che assume particolare gravità a fronte dell'allungamento della vita in un contesto in cui, spesso, molti di questi lavoratori «maturi» non solo contribuiscono a mantenere la propria famiglia, ma collaborano al sostegno dei genitori anziani;
    la perdita di lavoro, e l'impossibilità di trovarne un altro, quindi, non solo rischiano di gettare oltre la soglia di povertà le famiglie dei lavoratori «maturi», ma anche di colpire persone anziane che non sono più in grado di provvedere a loro stesse, con un effetto a cascata tragico;
    inoltre, e non si tratta di un dato trascurabile, il lavoro non è solo essenziale fonte di reddito ma anche di senso, di appartenenza alla comunità e di riconoscimento del proprio ruolo sociale;
    lavorare è produrre, è essere attivi, è avere un ruolo nella società. Non riuscire, dopo una vita, a continuare la propria attività, per motivi non dipendenti dalla propria volontà, crea inevitabilmente un senso di vuoto che può anche sfociare in atti tragici;
    inoltre, i lavoratori «maturi» si sentono spesso «vuoti a perdere», abbandonati ad un silenzioso oblio che fa apparire trascurabile, residuale, il loro problema relativo all'occupazione rispetto a quello dei più giovani;
    sono certamente importanti le iniziative come quelle relative alla «Garanzia giovani» o le agevolazioni previste per l'assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori «precari», di solito giovani, previste dalle nuove leggi;
    manca, invece, una «Garanzia maturi», ma non è possibile trascurare i lavoratori più anziani, che non godono di queste iniziative. Si tratta non solo di un dovere verso persone che lavorano da molti anni, ma anche di una convenienza per tutto il sistema Paese;
    i lavoratori «maturi», infatti, sono una risorsa inestimabile per qualità e professionalità e certamente non può essere «sprecato» un capitale tanto prezioso e irripetibile;
    naturalmente, il lavoratore «maturo» deve essere disponibile ad aggiornarsi continuamente, non pensando di essere arrivato ad un punto dove la formazione non serva più;
    al contrario, il cosiddetto « Life-Long Learning», ossia l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita è essenziale, perché solo aggiornandosi costantemente è possibile assicurare a tutti i lavoratori, ed in particolare a quelli «maturi», la possibilità di adattarsi ai cambiamenti di prodotto o dei processi innovatovi, rendendolo, quindi, spendibile su un mercato del lavoro in costante mutamento;
    ogni anno, vengono stanziati fondi pubblici — decine di milioni di euro finanziati dal Governo e dalle regioni — per «programmi di sostegno alla ricollocazione», che mettono a disposizioni agenzie di ricollocamento che si prendono in carico i disoccupati;
    queste agenzie dovrebbero curare la ricollocazione del lavoratore, in particolare di quello «maturo», che abbia perso il lavoro, attraverso la formazione, il rifacimento del curriculum, la motivazione e altro;
    purtroppo, però, manca l'anello finale della catena, non essendovi alcun legame con aziende interessate ai lavoratori coinvolti in questi processi;
    manca, di fatto, un « marketing» territoriale da parte degli uffici per l'impiego nei confronti delle imprese, un collegamento tra pubblico ed imprese, volto a comprendere le esigenze delle imprese stesse e la disponibilità dei lavoratori;
    questi ultimi, con uno slogan sin troppo noto ormai, sono considerati in genere «troppo vecchi per lavorare e troppo giovani per andare in pensione». Si tratta di una frase fatta ma che sottolinea assai bene la gravità della situazione per i lavoratori «maturi»;
    esperienze recenti evidenziano come sia possibile contrastare il fenomeno della disoccupazione dei lavoratori «maturi», anche attraverso iniziative del mondo della cooperazione, finalizzate alla
formazione degli stessi lavoratori, ai quali viene anche insegnato a costituirsi a loro volta in cooperative analoghe,

impegna il Governo:

   a diffondere, per quanto di competenza, una cultura del prolungamento della vita lavorativa, non inteso solo come necessità, viste le modifiche alle norme pensionistiche, ma come strumento di valorizzazione di risorse esperte e come riconoscimento sociale della loro utilità personale e professionale;
   ad assumere iniziative per rendere più agevole, per questo scopo, l'uso di strumenti di flessibilità quali il part-time, il « job sharing» (contratto di lavoro ripartito), l’«home working» per i lavoratori «maturi»;
   ad assumere iniziative per contribuire all'attribuzione ai lavoratori over 50 del ruolo di «tutor per l'ingresso di nuova forza lavoro» e per un graduale «passaggio di consegne» tra lavoratori «maturi» e giovani;
   a monitorare l'uso dei fondi pubblici stanziati per i cosiddetti «programmi di sostegno alla ricollocazione», in modo da favorire un concreto reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori «maturi»;
   a favorire, seguendo esempi già concretamente realizzati, per quanto di competenza, organizzazioni, anche di natura cooperativa, volte a dare nuove forme di professionalità ai lavoratori «maturi» che abbiano perso il lavoro;
   a valutare in via transitoria, di assumere iniziative per la definizione di una norma analoga a quella già introdotta da questo Governo relativamente agli sgravi fiscali per le assunzioni, individuando una forma specifica di agevolazione contributiva per i datori di lavoro che assumano lavoratori «maturi».
(1-01188) «
Baradello, Sberna, Fauttilli, Gigli, Santerini, Dellai».

   La Camera,
   premesso che:
    il 7 marzo 2016 ricorre il 70o anniversario del diritto di voto alle donne. Il riconoscimento di tale diritto è stato preceduto da un percorso lungo e difficoltoso, a partire dal lontano 1877, quando venne presentata al Parlamento la prima petizione a favore del voto femminile; da allora ci sono voluti decine di anni prima che le donne italiane potessero finalmente esprimere il proprio pensiero politico attraverso il voto, con le elezioni amministrative e poi col referendum monarchia/repubblica del 1946;
    nel tempo, si sono succedute una moltitudine di provvedimenti volti a riconoscere alle donne pari opportunità, per dare concretamente alle stesse la possibilità di far valere delle scelte, sia relative alla vita privata che a quella lavorativa, senza essere oggetto di discriminazione; parliamo, dunque, di politiche di pari opportunità per promuovere le necessarie iniziative, anche normative, che garantiscano il superamento di condizioni sfavorevoli alla realizzazione di un'effettiva parità uomo-donna;
    tuttavia, nonostante il percorso portato avanti in tal senso, si è nel 2016, ed è un dato di fatto che le donne sono ancora oggetto di forti discriminazioni in molti ambiti, rispetto i loro livelli di partecipazione, accesso, diritti, retribuzione o prestazioni d'altro genere, che siano lavoratrici, madri o pensionate;
    tali diseguaglianze si concretizzano, in particolare, nel mondo del lavoro attraverso un'assurda disparità di retribuzione che vede gli uomini con stipendi maggiori delle colleghe, sebbene queste ultime abbiano i medesimi titoli di studio e inquadramenti;
    anche a livello europeo la parità retributiva è un principio sancito dai trattati sin dal 1957 e trova attuazione nella direttiva 2006/54/CE sull'uguaglianza di trattamento fra uomini e donne, in materia di occupazione e impiego. Ciò nonostante, sussiste un netto divario salariale tra donne e uomini, che riflette le discriminazioni e le disuguaglianze sul mercato del lavoro che, nella pratica, colpiscono ancora e soprattutto le donne che guadagnano in media il 16 per cento in meno all'ora rispetto agli uomini; mentre su base annuale il divario raggiunge addirittura il 31 per cento, considerando che il lavoro a tempo parziale è molto più diffuso tra le donne;
    è inaccettabile, dunque, che, a parità di qualifiche o anche rispetto a posizioni lavorative migliori rispetto a quelle degli uomini, le competenze delle donne non ricevono lo stesso riconoscimento e la loro carriera professionale è indubbiamente più lenta. Tra l'altro, poiché le donne percepiscono una retribuzione oraria inferiore e accumulano un minor numero di ore di lavoro nel corso della loro vita rispetto agli uomini, anche l'importo delle loro pensioni è ridotto. Di conseguenza, tra gli anziani vi sono più donne che uomini in stato di povertà;
    alla luce delle predette riflessioni, è chiaro che il 70o anniversario del diritto di voto alle donne ricorre in un tempo dove ancora non si può parlare di parità uomo-donna, soprattutto nel mondo del lavoro, è quindi necessario adottare iniziative per contrastare ogni discriminazione e facilitare l'effettiva applicazione del principio della parità retributiva,

impegna il Governo

a promuovere iniziative affinché sia garantita parità di condizioni e di retribuzione alle donne nell'accesso al mondo del lavoro, nonché rispetto agli avanzamenti di carriera, garantendo altresì il bilanciamento dei tempi di vita familiare e lavoro.
(1-01189) «
Rizzetto, Pisicchio».

Risoluzioni in Commissione:

   La Commissione VIII e la IX,
   premesso che:
    in data 18 novembre 2009 è stato sottoscritto lo schema di convenzione unica tra Anas e a società Strada dei Parchi spa;
    in seguito, in data 29 novembre 2010, è stato sottoscritto l'atto di recepimento della delibera del Cipe n. 20 del 13 maggio 2010 di approvazione della medesima convenzione che fissa la scadenza della concessione il 31 dicembre 2030;
    i tratti autostradali in concessione sono la Roma L'Aquila-Teramo pari a chilometri 159,3 la A24 diramazione grande raccordo anulare-tangenziale est di Roma pari a 7,2 chilometri e la Torano-Avezzano-Pescara di chilometri 114,9;
    la formula tariffaria applicata al pedaggio autostradale è stabilita dalla delibera del Cipe 39/2007 e dalla delibera del Cipe 319/1996. Al fine di determinare la variazione percentuale della tariffa si tiene conto del valore del tasso d'inflazione programmato e di una quota che consente il recupero degli investimenti realizzati dalla società autostradale concessionaria l'anno precedente a quello di applicazione dell'incremento;
    i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle autostrade e gli oneri degli investimenti di nuove infrastrutture vengono recuperati dalla società Strada dei Parchi spa attraverso il pedaggio e i conseguenti incrementi. È evidente, quindi, che ogni investimento per nuove infrastrutture debba apportare un beneficio alla collettività che, di fatto, sostiene gran parte del costo;
    ogni anno Strada dei Parchi chiede ed ottiene un adeguamento tariffario che si somma a quello dell'anno precedente;
    già nel 2014 la società Strada dei Parchi spa aveva chiesto un aumento del pedaggio pari al 10,39 per cento, ricevendo l'autorizzazione per una quota pari all'8,28 per cento. Nel periodo 2009-2015 l'aumento complessivo della tariffa del pedaggio ha raggiunto quasi il 40 per cento provocando numerose e continue proteste;
    i ricavi da pedaggio nel 2013 erano pari a 137,6 milioni di euro, mentre nel 2014 pari a 148,9 milioni, a fronte di un numero di transiti per chilometri sia dei veicoli leggeri che pesanti in decrescita;
    secondo quanto appreso dai media locali, Strada dei Parchi spa ha presentato un progetto ai Ministeri competenti per la realizzazione di 40 chilometri di nuove gallerie a doppia canna che consentirebbero di accorciare l'autostrada che collega l'Abruzzo a Roma;
    secondo le fonti di stampa, il costo di questo progetto è di circa 5,5 miliardi di euro e, secondo la società concessionaria, rappresenterebbe un investimento privato, per ridurre il tragitto stradale di una trentina di chilometri, in cambio di un prolungamento dei tempi di concessione sulla gestione del tratto autostradale di 45 anni per consentire di poter incamerare per altrettanti anni i pedaggi;
    a fine gennaio 2016 in occasione di una visita a Sulmona del Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Riccardo Nencini, la stampa riporta la seguente dichiarazione attribuita allo stesso: «So che è stata depositata una proposta, non l'ho ancora vista, so che l'impresa che l'ha depositata è pronta a fare un investimento notevole in Abruzzo è un progetto che va esaminato con l'attenzione richiesta tenendo conto di un'opportunità che deriva anche da un grande investimento – ha dichiarato il Viceministro –. Naturalmente, come tutte le opere che arrivano sul territorio con una certa forza, anche questa ha bisogno della convergenza del ministero con le amministrazioni locali e ha bisogno di una verifica del piano economico, giudico però il fatto positivo, che ci sia una grande impresa pronta ad investire sul proprio territorio», confermando quanto riportato dalla stampa nei giorni precedenti riguardo all'esistenza di un progetto presentato dal gestore della Società Strada dei Parchi spa;
    il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a firma del dirigente ingegner, Placido Migliorino, ha risposto ad una richiesta di chiarimenti del Forum Abruzzesi dei Movimenti in ordine alla proposta del gruppo Toto di variante del tracciato della A 25 Cerchio-Bussi nel seguente modo:
  «Ci riferiamo alla sua mail del 2 febbraio 2016, con la quale ha richiesto notizie in merito alle ipotesi di varianti al tracciato autostradale esistente, avanzate dalla società concessionaria Strada dei Parchi, e di cui i contenuti sarebbero stati resi noti dal quotidiano Il centro.
  A riguardo le comunico che la convenzione vigente con la società concessionaria prevede che, alla scadenza del quinquennio regolatorio, sia adeguato il piano finanziario sulla base delle reali e sopravvenute necessità dell'infrastruttura.
  Nel caso di specie, la legge n. 228 del 2012, dispone che le infrastrutture di che trattasi debbano essere adeguate e messe in sicurezza in quanto opere strategiche ai fini del rischio sismico e di protezione civile.
  Conseguentemente la società concessionaria, in data 7 agosto 2015 successivamente aggiornate in data 10 febbraio 2016, ha presentato diverse proposte di adeguamenti infrastrutturali che, a suo giudizio, consentono di raggiungere l'obiettivo fissato dalla citata legge.
  In particolare sono state ipotizzate dalla società concessionaria alcune varianti al tracciato autostradale che, tuttavia, non sono ricomprese nelle attività di progettazione affidatele ai sensi della convenzione vigente.
  Tale convenzione, infatti, regolarmente esclusivamente la gestione dell'infrastruttura esistente e i relativi investimenti finalizzati alla conservazione del patrimonio autostradale assentito in concessione, adeguandolo alle sopravvenute necessità.
  Ne risulta che allo stato attuale la società Strada dei Parchi non ha titolo
istituzionale per analizzare tali problematiche di varianti e, conseguentemente, le attività intraprese devono considerarsi iniziative unilaterali non correlate ad alcun mandato da parte di questo Ministero concedente.
  Pertanto, per poter analizzare in maniera ufficiale le proposte di variante ipotizzate dalla società concessionaria, sarà necessario che preliminarmente le venga conferito l'incarico di progettazione preliminare.
  Successivamente a tale mandato la società potrà redigere i progetti preliminari di che trattasi che saranno valutati da questo ministero, in ottemperanza alle disposizioni legislative vigenti, a seguito del coinvolgimento degli enti territoriali interessati.
  In particolare il confronto con il territorio potrà avvenire, se necessario, anche mediante dibattito pubblico a cui l'associazione che lei rappresenta potrà partecipare.
  La invito a contattarmi qualora fosse necessario un ulteriore approfondimento sull'argomento»;
    la risposta del dirigente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, divenuta pubblica attraverso un comunicato stampa del Forum H2O Abruzzo, il 25 febbraio 2016, ha provocato l'immediata risposta dell'amministratore della Strada Parchi ingegner Cesare Ramadori; secondo quanto riportato dal quotidiano locale «Il Centro», Ramadori ricorda come il Mit ritenesse di dover effettuare gli adeguamenti sull'attuale tracciato, mentre Strada dei Parchi ribadiva la necessarietà di metterlo in sicurezza poiché, essendo stato progettato negli anni 60, è oggi fuori norma dal punto di vista delle caratteristiche geometriche. E ai fini di una migliore percorribilità, è necessario abbassare la quota di valico e, soprattutto, ai fini della sicurezza in caso di eventi sismici, realizzare la parte dei nuovi tracciati in galleria». Infine, per dimostrare come la società si sia mossa con «assoluta trasparenza», Ramadori ricorda che il progetto con le varianti è stato rappresentato «nella riunione dell'8 ottobre 2015, alla presenza della Regione Lazio e Abruzzo»;
    la Società Strada dei Parchi spa con nota prot. PR006284/2015 del 9 aprile 2015, ha avanzato alla regione Abruzzo un progetto di messa in sicurezza di alcuni tratti autostradali mediante le varianti al tracciato ai fini del rilascio del parere tecnico preliminare;
    nel territorio abruzzese il progetto in questione prevede la realizzazione delle seguenti varianti:
   1. variante V05 – A24 Carsoli – Torano da chilometro 46+100,00 al chilometro 73+300,00;
   2. variante V06 – A25 Collarmele – Tocco dal chilometro 107+730,60 al chilometro 153+500,00;
   3. variante V07 – Raccordo Autostradale A25 – Pescara Centro;
   4. variante V08 – Adeguamento Superstrada Strada statale n. 80 (Teramo – mare);
    la regione Abruzzo ha già costituito un apposito gruppo di lavoro interdipartimentale con il compito di procedere alla valutazione tecnica delle varianti proposte con delibera della giunta regionale del 5 maggio 2015, n. 325;
    secondo le dichiarazioni di Cesare Ramadori anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti conoscono il progetto tant’è che dalle notizie di stampa si apprende che è stata svolta una riunione l'8 ottobre 2015 tra la società Strada dei Parchi regione Abruzzo, regione Lazio e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
    il bacino imbrifero del Gran Sasso, il più grande d'Europa, dal quale scaturiscono le risorgive dei fiumi Pescara, San Callisto e Tirino con una portata complessiva di 15mc/secondo insistono nella zona in cui si vorrebbe realizzare le nuove gallerie;

    la proposta di variante V06 prevede un tunnel di svariati chilometri e la conseguente dismissione del tratto autostradale compreso tra i caselli di Pescina e quello di Pratola Peligna-Sulmona;
    l'Abruzzo non ha bisogno di sventrare montagne e spendere fondi dei cittadini presi indirettamente attraverso un aumento vertiginoso dei pedaggi per velocizzare di qualche minuto un tratto autostradale come quello gestito dal gruppo Toto. Infatti, i costi, benché sia previsto un investimento privato, sicuramente ricadrebbero sui cittadini anche attraverso un ulteriore aumento del pedaggio, su un'autostrada tra le più care d'Italia e con gli aumenti maggiori registrati negli ultimi anni;
    il progetto, oltre a rappresentare un costo reale a carico della collettività, seppur indirettamente, taglierebbe fuori dalle principali arterie di collegamento l'intera valle Peligna, già in sofferenza, e una zona intera zona del Parco della Majella;
    la documentata riduzione del traffico denota, tra l'altro, la non necessità di ampliamento e ulteriore investimento sulla Strada dei Parchi;
    il collegamento dei trasporti dalla costa abruzzese verso la capitale necessiterebbe, invece, di un investimento sulla linea ferroviaria che attualmente percorre il tragitto in non meno di 3 ore e mezza rendendo del tutto difficoltoso l'utilizzo di tale mezzo soprattutto per i pendolari,

impegnano il Governo:

   ad intraprendere le opportune iniziative di competenza volte a bloccare ogni altro aumento di pedaggio del tratto autostradale gestito da Strada dei Parchi Spa;
   a non prendere in considerazione i progetti di varianti al tracciato delle autostrade A24 e A25 presentati ad enti e organi differenti dai Ministeri e dalle autorità competenti;
   a non prendere in considerazione progetti o varianti al tracciato delle autostrade in concessione presentati da Autostrada dei Parchi in assenza di mandato istituzionale specifico da parte del Ministero concedente;
   a non prendere in considerazione ogni atto prodotto dalla regione Abruzzo, ed in particolare la valutazione tecnica sulle proposte di varianti ipotizzate dalla società concessionaria delle autostrade A24 e A 25, qualora si accerti l'assenza di mandato ufficiale conferito da parte dei ministeri competenti alla società Strada dei Parchi;
   ad intraprendere le opportune iniziative di competenza, anche di carattere normativo volte a potenziare i collegamenti dalla costa abruzzese verso la capitale e Civitavecchia investendo sulla linea ferroviaria con l'obiettivo di ridurre i tempi di percorrenza per il trasporto sia delle persone che delle merci.
(7-00945) «
De Lorenzis, Mannino, Vacca, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Carinelli, Micillo, Terzoni, Daga, Zolezzi, De Rosa, Busto, Colletti, Del Grosso».

   La XI Commissione,
   premesso che:
    risulta ancora in alto mare la vertenza che vede coinvolti 429 addetti di 8 alberghi Atahotels-gruppo Unipol a Milano, Roma, Aosta e Cagliari che da 15 giorni hanno interrotto le attività;
    la motivazione della chiusura delle strutture alberghiere Atahotels è nel mancato raggiungimento di un accordo tra la società assicurativa gruppo Unipol proprietaria di Atahotels e la proprietà degli immobili, il fondo di previdenza integrativa dei medici e dentisti, il fondo Enpam;
    gli incontri sindacali che si sono succeduti con Atahotels-Gruppo Unipol e con il Fondo di investimenti Antirion Global, a cui l'Enpam ha conferito nel frattempo la gestione di 7 immobili su 8 dal 23 dicembre 2015, non hanno sortito effetti, ma soprattutto non hanno fornito nessuna certezza ai lavoratori;
    il fondo Antirion Global nonostante le assicurazioni fornite ai sindacati sul fatto che gli immobili continueranno ad essere destinati ad uso alberghiero, anche laddove l'attività non si è interrotta per neanche un giorno, come nel caso del Residence Ripamonti di Milano la cui gestione è stata nelle scorse settimane conferita al Jsh, i lavoratori sono stati sospesi, senza alcun rispetto della normativa vigente relativa ai trasferimenti d'azienda;
    la proprietà degli immobili, il fondo Enpam, non ha ancora risposto alla richiesta di incontro delle organizzazioni sindacali, inoltrata un mese fa. Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno richiesto con forza che tutte le parti in causa siano responsabilizzate e che si affermi un principio fondamentale, ovvero che l'attività degli alberghi deve riprendere al più presto, e i lavoratori devono essere presi in carico dai futuri gestori, a prescindere dai rapporti tra i contendenti;
    appare necessario e improrogabile l'apertura di un tavolo, come d'altronde, richiesto dalle organizzazioni sindacali, allo scopo di raggiungere una intesa tra tutti i soggetti coinvolti che abbia come obiettivo prioritario la salvaguardia dell'occupazione e del reddito dei lavoratori coinvolti;
    il 1o marzo 2016 i lavoratori hanno manifestato a Roma davanti la sede dell'Enpam a Roma in piazza Vittorio Emanuele, per chiedere che il Fondo apra un canale di dialogo con le rappresentanze dei lavoratori e i sindacati; il 2 marzo 2016 i lavoratori hanno manifestato a Milano davanti la sede del Fondo Antirion Global in Via San Prospero ed il 3 marzo 2016 una delegazione ha manifestato in piazza Montecitorio,

impegna il Governo

ad intraprendere urgentemente ogni iniziativa finalizzata alla salvaguardia dei livelli occupazionali dei lavoratori coinvolti nella vicenda descritta in premessa, tenuto conto che riguarda un settore strategico per l'Italia come quello turistico-alberghiero, colpito anche esso dagli effetti della crisi economica.
(7-00946) «
Placido, Airaudo, Martelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   il 1o marzo il segretario alla Difesa americano, Ash Carter, nel corso di una conferenza stampa al Pentagono, ha anticipato il ruolo guida dell'Italia per pianificare e controllare missioni delle forze speciali italiane in territorio libico: «L'Italia, essendo così vicina, ha offerto di prendere la guida in Libia. E noi abbiamo già promesso che li appoggeremo con forza»;
   sull'argomento è intervenuto subito il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Gentiloni che ha smentito l'ipotesi di una soluzione militare e ha affermato la volontà di continuare a lavorare a sostegno di un Governo di accordo nazionale libico;
   la richiesta di coinvolgimento esplicito all'Italia, risalirebbe però dal 1o dicembre 2015, secondo quanto pubblicato a fine gennaio dal New York Times, che cita come fonte il sito Wikilao, secondo il quale il Pentagono avrebbe inviato una lettera ai Ministri della difesa di oltre 40 Paesi in tutto il mondo per chiedere loro di rafforzare l'impegno nella lotta all'ISIS. In particolare, la lettera di Carter al Ministro Pinotti chiama in causa direttamente l'Italia con «Apprezziamo profondamente l'impegno dell'Italia nella lotta allo Stato islamico, tuttavia c’è ancora molto lavoro da fare», farebbe anche riferimento alle conversazioni avvenute durante la visita a Roma del Segretario americano, «spero che in futuro l'Italia considererà di contribuire con raid alla lotta contro l'Isis»;
   il 22 febbraio 2016 il Wall Street Journal ha rivelato che l'Italia, dopo un anno di negoziati, ha dato il via libera alla partenza di droni armati statunitensi dalla base di Sigonella, in Sicilia. Destinazione la Libia e il Nord Africa, nell'ambito delle operazioni anti-Isis. Ma l'autorizzazione, giunta a gennaio, è stata concessa da Roma a una condizione: i velivoli potranno essere utilizzati solo a scopo difensivo, per proteggere l'azione delle forze speciali Usa. Il Ministero della difesa, Pinotti, confermando la notizia dell'accordo tra Washington e Roma, ha sottolineato come l'attività non sia ancora iniziata e dovrà essere sottoposta, di volta in volta, all'autorizzazione del Governo, che ha chiesto precisi limiti. L'intesa è considerata un importante passo in avanti per la Casa Bianca e il i Pentagono, che da tempo stanno lavorando per aumentare la pressione militare sull'Isis anche al di fuori di Siria e Iraq. Nello specifico in Libia, dove gli uomini dello Stato islamico, approfittando del caos ancora in atto, stanno prendendo sempre più piede, con molti dei leader del gruppo che dalla città siriana di Raqqa si sono rifugiati nell'area di Sirte per sfuggire alla pesante campagna aerea in atto da mesi sulla Siria. Riguardo all'accordo, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha precisato che non si tratta di «un preludio a un intervento» e che «l'utilizzo delle basi non richiede una specifica comunicazione al Parlamento»;
   già due giorni prima della notizia pubblicata dal WSJ, esattamente il 20 febbraio, il quotidiano Libero informava che aerei da combattimento statunitensi, decollati dalla Gran Bretagna ma supportati da droni partiti da Sigonella, avevano bombardato all'alba del 19 febbraio, il campo d'addestramento dell'IS presso Sabratha, in Tripolitania. Il Pentagono ha confermato che il raid ha colpito la base dell'Isis situata 70 chilometri a ovest di Tripoli, colpendo un «obiettivo di grande valore», il tunisino Noureddine Chouchane, considerato l'uomo del Califfato responsabile degli attentati effettuati l'anno scorso al Museo del Bardo di Tunisi (dove il 18 marzo morirono 24 persone inclusi 4 turisti italiani più altri 11 feriti) e sulla spiaggia di Sousse (dove il 26 giugno morirono 38 persone per lo più turisti britannici). Secondo il Wall Street Journal, nel raid di Sabratha avrebbero probabilmente perso la vita anche due ostaggi serbi;
   il 25 febbraio, al Palazzo del Quirinale, si è tenuta una riunione del Consiglio supremo di difesa, alla quale hanno partecipato il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico e il Capo di Stato Maggiore della difesa, Generale Claudio Graziano. Durante la riunione e stata valutata la situazione in Libia, con riferimento sia al travagliato percorso di formazione del Governo di accordo nazionale sia alle predisposizioni per una eventuale missione militare di supporto su richiesta delle autorità libiche. In tale quadro, è stato considerato l'impatto sugli scenari di crisi e sulla sicurezza energetica italiana ed europea dell'andamento dei mercati degli idrocarburi. In merito al processo di riforma delle Forze armate in attuazione del libro bianco della difesa, il Consiglio ha messo in evidenza l'importanza del progetto e della sua rapida realizzazione per la sicurezza del Paese, anche in rapporto alla possibile evoluzione dei conflitti in Medio Oriente e Nord Africa, ha espresso piena condivisione delle proposte presentate dal Ministro della difesa ed ha manifestato il suo apprezzamento per la qualità dell'attività fin qui svolta;

   il 3 marzo 2016 si apprende della morte violenta, in circostanze tutt'altro che chiare, di due dei quattro ostaggi italiani, Fausto Piano e Salvatore Failla, dipendenti dell'impresa Bonatti, rapiti nel luglio 2015, rimasti uccisi durante uno scontro a fuoco a Sabratha. La tragica vicenda dei due lavoratori italiani, secondo notizie di stampa, non cambia la linea del Presidente Renzi che ribadisce che un intervento militare ci potrà essere solo su richiesta di un Governo unitario libico, nell'ambito di una coalizione internazionale in cui l'Italia è pronta ad assumere un ruolo di guida;
   lo stesso giorno, sempre da fonti di stampa, si apprende però che il 10 febbraio 2016 sarebbe stato emanato un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (immediatamente secretato) con cui il premier Matteo Renzi ha avocato al Dis (il Dipartimento per le informazioni per la sicurezza che coordina i due servizi di intelligence AISE e AISI) e a Palazzo Chigi, la responsabilità finale della «catena di comando» per operazioni di «gravi crisi all'estero» a cominciare dalla Libia. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che definisce le modalità operative e la linea di comando si compone di cinque articoli che definiscono nel dettaglio le aree di competenza degli agenti Aise con i quali potranno d'ora in avanti collaborare militari dei corpi speciali.

Sempre secondo fonti di stampa, l'articolo 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 febbraio precisa: «Nelle situazioni di crisi e di emergenza che richiedono l'attuazione di provvedimenti eccezionali e urgenti il presidente del Consiglio, previa attivazione di ogni misura preliminare ritenuta opportuna, può autorizzare, avvalendosi del Dis, l'Aise, ad adottare misure di intelligence e di contrasto anche con la cooperazione tecnica operativa fornita dalle forze speciali della Difesa con i conseguenti assetti di supporto della Difesa stessa». Il Dis, il dipartimento per le informazioni della sicurezza, diretto da Giampiero Massolo, risponde al sottosegretario con delega sui servizi, Marco Minniti e al premier. In sostanza sarà direttamente Palazzo Chigi a decidere, pianificare e controllare missioni delle forze speciali in territorio libico. L'Aise risponde al presidente del Consiglio dei ministri e informa, tempestivamente e con continuità, il ministro della difesa, il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e il ministro dell'interno per le materie di competenza. I militari italiani troveranno informazioni e ausilio da parte di tre team, da 12 persone ciascuno, dei servizi, che già da tempo operano a Tripoli e in altre zone del territorio libico;
   non è ancora chiaro, con riferimento agli effetti concreti del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri se nell'ultima riunione del Consiglio supremo di difesa il tema sia stato affrontato e discusso. Consta con sicurezza che il Consiglio nelle precedenti riunioni abbia esaminato i diversi piani operativi messi a punto dallo Stato maggiore della difesa che prevedevano un contributo alla nuova missione di stabilizzazione in Libia per un totale di 3000 militari italiani (comprese le unità di eccellenza del reggimento San Marco e dei carabinieri paracadutisti del Tuscania);
   anche l'Italia, quindi, come Stati Uniti, Regno Unito e Francia, da alcune settimane può contare in Libia su circa 40 agenti operativi dell'Aise concentrati nella zona di Tripoli e nelle immediate vicinanze dei terminal petroliferi Eni di Mellita e dei pozzi situati nel Fezzan. Nelle prossime ore partiranno alla volta della Libia altre 50 unità appartenenti al 9o reggimento d'assalto paracadutisti Col Moschin portando quindi il numero degli effettivi italiani su territorio libico a circa 90 unità, ossia in linea con i dispositivi già adottati dai nostri alleati;
   sempre da fonti di stampa sembra confermata, al momento, l'entità della partecipazione ad un'eventuale missione di peace enforcement con gli alleati, quando si formerà un Governo libico e questo chiederà
formalmente un intervento: dovrebbero quindi essere 3000 militari e in prima linea ci saranno i reggimenti San Marco e Tuscania. In questo caso però, a differenza che per l'invio di unità speciali in base al decreto varato il 10 febbraio, sarà necessaria un'autorizzazione del Parlamento, secondo l'opinione del Governo;
   delle missioni di unità speciali, eventualmente disposte dal premier, il Parlamento verrà informato con atti scritti e secretati, tramite il Copasir, il Comitato per il controllo parlamentare sui servizi segreti;
   secondo fonti collegate al partito di maggioranza, l'intervento dovrebbe essere approvato dal Parlamento: «Il nostro presidente del Consiglio e l'Onu hanno detto che un intervento militare in Libia ci può essere solo dopo la richiesta di un governo unitario. Attualmente siamo lontanissimi da un simile scenario»;
   all'agenzia di stampa Agi il senatore del Pd, Nicola Latorre, presidente della Commissione difesa del Senato ha dichiarato: «Al momento non risulta siano previste iniziative di carattere militare sul terreno libico e dunque non vi sono provvedimenti formali da adottare in Parlamento»; «...altra cosa è l'esigenza di valutare l'opportunità di tenere informato il Parlamento sugli sviluppi della vicenda libica con comunicazioni informali che si potrebbero svolgere anche nelle commissioni parlamentari»;
   ad avviso degli interpellanti queste dichiarazioni dimostrano la volontà del Governo di far passare l'idea che l'uso della forza armata sia una scelta politica ordinaria, un atto di Governo come un altro, ma con la scelta di usare le armi in Libia, l'Italia si assume il rischio di esporre il Paese alla perdita di vite umane sul campo e alle prevedibili ritorsioni terroristiche dell'Isis;
   inoltre, ammettendo in via meramente ipotetica che sia corretto quanto asserito dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e cioè che l'utilizzo delle basi non richieda una specifica comunicazione al Parlamento, il cambio di autorizzazione per la base di Sigonella, e la presenza di droni armati, quando dal 2011 fino ad oggi erano previsti soltanto droni non armati, autorizzati esclusivamente per voli di sorveglianza, deve necessariamente passare al vaglio delle Camere, soprattutto se si considera l'imminente invio sul campo di un contingente di 3000 uomini;
   si ricorda inoltre che, le missioni internazionali italiane sono state prorogate fino al 31 dicembre 2015, ma da allora nessuna iniziativa è stato adottato dall'Esecutivo;
   l'articolo 78 della Costituzione afferma che la dichiarazione dello stato di guerra compete al Parlamento che attribuisce al Governo i poteri necessari;
   l'articolo 11 della stessa Costituzione afferma perentoriamente il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;
   i fatti che riguardano un lungo arco temporale durante il quale il Parlamento è stato tenuto all'oscuro di tutto, rappresentano, secondo gli interroganti un fatto politico di eccezionale gravità, poiché lesivo delle prerogative parlamentari sul tema;
   a parere degli interroganti, finché i cittadini italiani con il referendum non confermeranno l'impianto della riforma costituzionale promossa dal Ministro Boschi, che sulla deliberazione dello stato di guerra prevede la maggioranza assoluta dei votanti (e non dei componenti) della sola Camera, devono essere rispettate le regole della democrazia costituzionale e parlamentare vigente, dove è necessario che il Governo si attenga a quanto deliberato dal Parlamento –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;

   data la gravità dello scenario internazionale che si profila con l'ingresso di fatto dell'Italia in guerra, se il Governo intenda fornire urgentemente ogni utile elemento sui fatti sopra esposti e sui suoi intendimenti riguardo al rispetto del dettato costituzionale.
(2-01304) «
Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino».

Interrogazione a risposta orale:

   MARTELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il vortice depressionario di tipo ciclonico denominato dagli esperti «Venezia Low», formatosi davanti alla laguna di Venezia, ha colpito, anche se per fortuna la sua forza si è scatenata prevalentemente in mare, il comprensorio orientale del Veneto;
   un'intensa ondata di maltempo si è abbattuta nella notte, con gravi ripercussioni, su tutto il Portogruarese, in particolare nell'area compresa tra i fiumi Loncon e Tagliamento dove sono caduti, dalle 3 alle 8 del mattino, circa 80 millimetri di pioggia;
   le maggiori criticità si segnalano tra i comuni di Portogruaro, Gruaro, Cinto Caomaggiore, Teglio Veneto e in parte anche San Michele al Tagliamento;
   molti canali della rete idrica minore sono esondati;
   grossi disagi si sono registrati nella circolazione ferroviaria tra Veneto Orientale e Friuli, con l'interruzione della linea ferroviaria che collega Portogruaro a Casarsa, così come problemi si sono registrati anche sulla linea Venezia-Udine, con ritardi fino a 130 minuti, e sulla Venezia-Portogruaro-Trieste, con ritardi fino a 40 minuti;
   richieste d'intervento ai pompieri sono arrivate da tutte le zone della provincia per alberi caduti, in particolare a San Donà, Portogruaro, Mirano Chioggia. È stato richiesto di prestare la massima attenzione al vento e alla possibile caduta di alberi, grossi rami e impalcature;
   le amministrazioni sono impegnate nel censimento dei danni;
   il comprensorio in questione vede purtroppo ripetersi con frequenza fenomeni meteorologici estremi e questo accresce le preoccupazioni di popolazioni e amministratori –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda promuovere per supportare l'azione delle amministrazioni locali per la manutenzione e la messa in sicurezza del territorio di cui in premessa e se non intenda promuovere, proprio in considerazione della peculiarità climatica che sta assumendo il comprensorio in questione, uno specifico progetto di cura del territorio, avvalendosi anche delle risorse rivenienti dalla programmazione europea 2014-2020. (3-02083)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:

   DE MARIA, BENAMATI, FABBRI, ZAMPA e FIANO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 1o marzo 2016 dalle pagine online del quotidiano tedesco Pforzheimer Zeitung è stato reso noto il conferimento da parte del comune di Engelsbrand, nel Land Baden-Wuerttemberg, della medaglia d'onore a Wilhelm Kusterer, ex SS già condannato per l'eccidio di Marzabotto e per altri crimini di guerra;
   la strage di Marzabotto è una delle pagine più nere della storia dell'umanità ed emblema dell'orrore nazifascista;
   l'onorificenza concessa in patria a colui che si macchiò di atroci delitti durante la seconda guerra mondiale costituisce un oltraggio intollerabile alle 1150 persone barbaramente uccise a Marzabotto dall'ex SS, ai loro familiari e a tutte le vittime della barbarie nazifascista; casi come questo, purtroppo non infrequenti, offendono la memoria collettiva e minacciano gravemente il lavoro quotidiano e instancabile di associazioni e istituzioni unite da sempre nello sforzo di tramandare il ricordo dell'orrore nazifascista e far crescere nelle nuove generazioni la consapevolezza e l'impegno per un futuro di democrazia e di pace;
   Walter Cardi, presidente del Comitato onoranze ai caduti di Marzabotto ha scritto una formale lettera alla cancelliera tedesca Angela Merkel e all'ambasciatore tedesco a Roma, la signora Susanne Marianne Wasum-Rainer per chiedere la revoca immediata dell'onorificenza;
   la regione Emilia Romagna ha reso nota la propria volontà di agire nei confronti del Land Baden-Wuerttemberg e del comune di Engelsbrand per chiedere l'immediato ritiro del riconoscimento assegnato a un criminale di guerra;
   il procuratore della Repubblica presso il tribunale militare di Roma, Marco De Paolis, che ha fatto condannare in contumacia 57 criminali di guerra nazisti, ha più volte sottolineato come nessuna di tali condanne sia stata mai eseguita dalla Germania e dall'Austria –:
   se il Governo, non intenda muovere ogni passo in sede politica e diplomatica nei confronti del Governo tedesco affinché quest'ultimo si attivi direttamente per la immediata revoca dell'assurda onorificenza. (5-08030)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:

   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 dicembre 2015 la società Edison spa ha presentato una nuova istanza di verifica di assoggettabilità e valutazione di impatto ambientale, per la realizzazione di un terminale di rigassificazione a Rosignano Solvay (Livorno), come «revisione alla variante progetto Rosignano», chiedendo la revisione di un vecchio progetto similare («variante progetto Rosignano», caratterizzato da un terminale GNL Onshore con capacità di 8 miliardi mc/anno, 2 serbatoi ciascuno con capacità 160.000 mc/anno – capacità massima metaniere 140.000 mc) che nel 2010 aveva ottenuto parere positivo di VIA – DEC VIA 844/2010 (a seguito del quale, sono stati presentati due ricorsi: un ricorso al Tar del Lazio, presentato dall'Associazione italiana per il Wwf for Nature onlus; un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica dall'Associazione «Forum Ambientalista»). L'attuale progetto è stato sostanzialmente modificato e risulta essere addirittura peggiorativo rispetto precedente con Via favorevole;
   da fonti stampa, si apprende che la stessa giunta comunale di Rosignano con delibera n. 22, riferendosi al progetto della Edison spa esprime preoccupazione sugli «Impatti significativi sull'ambiente», ritenendo le modifiche (rispetto al progetto che aveva riscosso la Via nel 2010), «sostanziali» e tali da poter costituire «aggravio del preesistente livello di rischio di incidente rilevante» (in base alle leggi Seveso I-II-III tale impianto non sarebbe ammissibile in un luogo già ad alto rischio in cui sono presenti altri impianti come quello della sodiera Solvay SA). Secondo uno studio approfondito, effettuato da una équipe di tecnici (incaricati dal comune per esaminare il nuovo progetto) si palesa che «L'introduzione di nuove tipologie o modalità di accadimento di incidenti ipotizzabili dovute alle modifiche o estensioni previste nel progetto presentato determinano nuovi potenziali scenari incidentali e/o distanze di danno associate con conseguente ripercussione sulle persone e sull'ambiente che devono essere valutate e verificate». Nello specifico, rispetto al precedente progetto, le modifiche principali individuate dai tecnici risultano essere: diversa ubicazione dei serbatoi di stoccaggio gnl, modifica sostanziale al tracciato delle pipeline criogeniche per il trasporto gnl dal pontile all'impianto, modifica della piattaforma di attracco/ormeggio presso il pontile denominato Solvada ai fini dell'installazione di un sistema di caricamento gnl su bettoline  installazione di una nuova stazione di caricamento gnl su autocisterne nell'area dell'impianto, individuazione di una nuova area esterna rispetto all'area del terminale e delimitata da relativa fence che potrà, in una seconda fase, essere adibita al caricamento ferroviario, modifica del tracciato ferroviario interno, modifica del tracciato stradale interno;
   l'area di realizzazione del terminale dovrebbe essere localizzata in parte su un'area industriale, già ad alto rischio di incidente rilevante, interessata da procedimento di bonifica non concluso sia dei suoli e sottosuoli sia delle acque sotterranee (l'interferenza non solo potrebbe comportare un costo ambientale rilevante ma anche un significativo aggravio per la sicurezza e la salute della comunità);
   il sito di Vada-Rosignano non essendo area portuale, non risulta agli interroganti rispettare i criteri del «Documento di consultazione per una Strategia Nazionale sul Gnl» (approvata con decreto ministeriale 8 marzo 2013);
   in base al «piano di indirizzo territoriale Pit» della regione Toscana, il progetto del rigassificatore, non potrebbe essere consentito in quanto inciderebbe negativamente sull'ecosistema costiero, altererebbe il paesaggio costiero e le falde acquifere, provocherebbe fenomeni di erosione costiera (e fenomeni artesiani), e non risulterebbe essere in linea con gli interventi di ricostituzione della continuità dunale dei tratti degradati;
   il progetto della Edison spa, se venisse realizzato provocherebbe l'incrementato del traffico marino causando gravosi danni alla fascia costiera identificata come «riserva naturale Tomboli Cecina» (istituita con decreto ministeriale 13 luglio 1977 di proprietà del demanio dello Stato, peraltro ricomprendente aree Zps di cui alla direttiva 79/409/CEE), danni all'area marina protetta «Santuario dei Cetacei» e al parco nazionale arcipelago Toscano; inoltre, la continua movimentazione di sabbie del fondo marino, molto inquinato da mercurio arsenico, cromo, cadmio, zinco, nickel (scaricati dall'impianto della Solvay), provocata dalle grosse eliche delle metaniere e dei rimorchiatori, rimetterebbe in circolo i metalli tossici, ed esporrebbe a ulteriore nocività bagnanti e popolazione residente;
   i dati dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico rilevano che il consumo di gas metano in Italia è crollato da 85 miliardi di metri cubi nel 2005 a 60 miliardi nel 2014, ampiamente coperti dai gasdotti esistenti; infatti, in termini di quadro programmatico, sembra non siano state effettuate valutazioni inerenti agli effetti sul versante dell'offerta e dei consumi di gas e quindi sulla contemporanea presenza di altri impianti e sul rischio di sottoutilizzo di detti impianti; il piano energetico regionale non prevede il terminale onshore di Rosignano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, non ritenga doveroso avviare una nuova valutazione di impatto ambientale, sia perché il nuovo progetto risulta essere estremamente difforme dal precedente sia perché ad oggi sono scaduti i termini di validità dei precedenti pareri di valutazione di impatto ambientale;

   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, non reputi necessario avviare iniziative che possano concretamente tutelare l'ambiente e salvaguardare un'area come quella di Rosignano, già gravemente, inquinata, alterata e snaturata a causa degli insediamenti produttivi che ospita. (3-02084)

Interrogazione a risposta scritta:

   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Trieste è uno dei 40 siti nazionali da bonificare, tra le aree più inquinate della penisola;
   via Errera spicca, anche rispetto a tanti altri siti più noti, per la varietà dei contaminanti presenti, con concentrazioni nei suoli e nelle acque sotterranee con valori ben oltre i limiti di legge, come risulta della caratterizzazione riassunta nel recente verbale del 25 novembre 2015 della conferenza di servizi istruttoria tenutasi presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   la contaminazione, oltre i limiti di legge, comprende diossine, policlorobifenili, Ddt, gran parte dei metalli pesanti (dal cobalto al cromo esavalente passando per il mercurio e il piombo) e numerose altre sostanze estremamente pericolose, tra cui cancerogeni accertati, mutageni e tossici. La «pesante contaminazione» (per usare un'espressione dell'ARPA) riguarda sia i suoli (in realtà gran parte sono rifiuti) sia la falda. Quest'ultima, come segnala l'ARPA Friuli Venezia Giulia ha addirittura un Ph di 1,2, praticamente è una sostanza acida;
   questi dati, si riferiscono al piano di caratterizzazione, approvato nel 2004 e realizzato e consegnato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2012 (otto anni fa). Nella Relazione tecnica «Esecuzione di rilievi a mare a finalità archeologiche mediante ecoscandaglio multibeam e sub-bottom profiler nell'area antistante l'ex discarica a mare di via Errera (Trieste)» tra l'altro, si può leggere «...il rilevamento “ha evidenziato una morfologia della spiaggia sommersa essenzialmente uniforme”; si registra una rottura di pendenza variabile tra 7 e –10 metri, lungo tutta la fascia indagata, esito dell’“onda di fango” dell'attività di discarica condotta in passato nell'area»;
   il sito è posto direttamente a contatto con il mare, con una situazione estremamente compromessa e nota da anni, visto che i primi campionamenti sul campo risalgono proprio al 2004 (con ulteriori integrazioni nel 2009 e nel 2010);
   ad oggi non sono chiare le misure cautelative poste in loco visto la mancanza di eventuali bonifiche atte a mitigare il danno prodotto, diviene, pertanto, necessario ogni possibile presidio posto a tutela dell'ambiente e della salute (un capping per intercettare le acque di pioggia; una barriera idraulica e altro);
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ente responsabile del SIN, il 27 dicembre 2012, secondo quanto riportato nel verbale citato, chiese «l'adozione di immediatee idonee misure di messa in sicurezza/prevenzione delle acque di falda»;
   l'autorità portuale comunicò di essere intenzionata a mettere in emungimento i piezometri più contaminati (in realtà solo il Pz9). Il 23 ottobre scorso il Ministero, a quasi tre anni dalla lettera del 27 dicembre 2012 e a dodici anni dalle prime caratterizzazioni, ha richiesto di conoscere le misure adottate, chiedendo a Provincia ed ARPA le valutazioni circa «l'efficacia e l'efficienza» delle stesse. Nel verbale della Conferenza dei servizi del 25 novembre 2015 ARPA risponde direttamente a tale richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sostenendo di «non avere elementi tecnici oggettivi per poter provvedere ad una valutazione in tal senso». La conferenza di servizi si chiude con due richieste all'autorità portuale:
    a) entro 60 giorni dalla notifica del verbale di presentare un progetto di messa in sicurezza permanente;
    b) è necessaria l'immediata implementazione (così nel testo) di idonee misure di prevenzione atte ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori delle aree, già richieste dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nella nota del 27 dicembre 2012;
   il sito è a pochi chilometri dal centro cittadino della città di Trieste, tale da dare adito a nuovi e importanti elementi tecnici oggettivi per poter provvedere ad una valutazione;
   si evidenzia il grave stato dei luoghi che rendono complessa la valutazione di questo sito contaminato da diossina nel top-soil, nonché nel suolo profondo, con, ad esempio, il ciclo di allagamento/asciugamento e il continuo passaggio di mezzi pesanti su una strada sterrata usata quotidianamente per un impianto di inerti che è a pochi chilometri di distanza;
   non risulta chiaro all'interrogante nei verbali e nelle lettera cosa intenda il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per il termine «immediato» –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti su esposti;
   se il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, non intenda garantire, in accordo con gli enti territoriali preposti, l'attuazione del progetto di messa in sicurezza permanente del sito in esame;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza e in accordo con gli enti territoriali preposti, non intenda assumere direttamente l'onere della immediata implementazione di idonee misure di prevenzione atte ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori delle aree;
   se il Governo, per quanto di competenza e in accordo con gli enti territoriali preposti, non intenda assumere le iniziative necessarie affinché venga limitato o vietato il passaggio del traffico veicolare o pedonale, ivi presente, fintanto che non siano garantite le norme sulla sicurezza e salvaguardia ambientale. (4-12384)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:

   POLVERINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere premesso che:
   la Selva di Paliano rappresenta un patrimonio unico da salvaguardare, di grande interesse ambientale e naturalistico e con rilevanti potenzialità sotto il profilo di una economia sostenibile;
   la regione Lazio, con il decreto del Presidente del 3 novembre 2011, n. 361, aveva istituito il monumento naturale «Selva di Paliano e Mola di Piscioli» al fine di sottrarre quella vasta area di territorio alla speculazione edilizia incombente;
   la regione Lazio impegnava e spendeva circa sei milioni di euro – nel gennaio del 2011 – per aggiudicarsi, tramite esecuzione immobiliare del tribunale di Frosinone, circa 60 ettari di terreno all'interno dell'area in questione comprese le rispettive competenze immobiliari;
   nel mese di settembre del 2011 la regione Lazio acquistava altri 42 ettari, quasi esclusivamente seminativi, per un valore di 919.339,75 euro;
   complessivamente gli acquisti avvenivano a prezzi pari a circa il 60 per cento dei valori di stima, peraltro risalenti al 2008;
   la frammentarietà della proprietà e i vari giudizi e procedure esecutive pendenti sull'area in questione avrebbero dovuto indurre la regione a proseguire e implementare l'acquisizione dei terreni rimasti per scongiurare definitivamente un uso urbanistico incongruo;
   l'inerzia della regione Lazio rispetto alle problematiche sopra esposte sta, invece, mettendo nuovamente a rischio di speculazione un'area di incomparabile bellezza;
   il tribunale di Frosinone ha nel frattempo messo i sigilli a quello che resta del «Parco degli Uccelli» in quanto la regione Lazio non ha corrisposto alla proprietà ben due anni di fitto arretrati per un valore di soli 12.009 euro;
   a causa di questo comportamento della regione e nella sostanziale indifferenza delle istituzioni locali, a cominciare dall'8 marzo 2016 inizierà la procedura per la vendita all'asta della Cascina Paola e del parco uccelli, di ben 44 ettari;
   nel piano territoriale paesistico regionale, adottato con deliberazione della giunta regionale 25 luglio 2007, n. 556, deliberazione della giunta regionale 31 luglio 2007, n. 41 e deliberazione della giunta regionale 21 dicembre 2007, n. 1025 ai sensi degli articoli 21, 22 e 23 della legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 e successive modificazioni e integrazioni l'area è individuata in gran parte come area tutelata ai sensi dell'articolo 134, comma 1, lettera b) e dell'articolo 142 comma 1, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni e integrazioni;
   nel territorio della Selva di Paliano si rileva la presenza anche di Juncus spp., inserita nell'Allegato II della direttiva 92/43/CEE quale specie vegetazionale di interesse comunitario;
   nell'area è stata rilevata la presenza di specie omitiche, quali Alcedo atthis (Martin pescatore), Ixobrychus minutus (Tarabusino), Ardea purpurea (Airone rosso), Ciconia nigra (Cicogna nera) e Anser anser (Oca selvatica), inserite negli allegati I e II della direttiva 79/409/CEE, così come modificata dalla direttiva 2009/147/CEE;
   nell'area della «Mola di Piscoli», localizzata in un'ansa del fiume Sacco, si rileva la presenza di un complesso a valenza storico-architettonica e paesaggistica, costituito da un mulino e da un casale fortificato con torre di avvistamento a pianta quadrata, risalente al Medioevo, nella quale si rileva, nell'impianto costruttivo, la riutillizzazione di materiale di epoca precedente;
   nel territorio del Monumento naturale è stata individuata, un'area di interesse archeologico con bene puntuale e fascia di rispetto, sottoposta a vincolo ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera m) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni e integrazioni –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per tutelare un patrimonio unico e irripetibile di rilevante interesse paesaggistico, storico e archeologico, nonché per salvaguardare le specie di flora e fauna protette dalla normativa europea sopra citata, evitando gli effetti pregiudizievoli che deriverebbero, ove l'area finisse in mano ai privati in un territorio già provato da pesanti inquinamenti ambientali e urbanistici. (4-12387)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:

   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate con le posizioni organizzative speciali e con le posizioni, organizzative a tempo (rispettivamente Pos e Pot) nelle nomine dirigenziali continua a procedere con la medesima prassi attuata per gli incarichi che sono stati ritenuti illegittimi sia dalla giustizia amministrativa che dalla Corte costituzionale, come denuncia ormai da tempo l'interrogante e il vicesegretario generale della Dirstat – il sindacato dei dirigenti e dei funzionari direttivi della Pubblica amministrazione – Pietro Paolo Boiano;
   quest'ultimo, proprio recentemente, come emerge da un articolo del giornale la Discussione del 27 febbraio 2016, ha inviato una lettera di denuncia al direttore dell'Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, per eccepire l'ennesimo caso di dubbia legittimità per l'assegnazione di una Pot;
   al riguardo, appare fortemente pregiudicata la posizione dell'ingegnere Andrea Vaccaro, funzionario della carriera direttiva in servizio presso la direzione provinciale dell'Agenzia delle entrate di Siracusa, unico selezionato a seguito di interpello (anche per via di un curriculum al di sopra della media) per l'assegnazione della Pot in questione; lo stesso, idoneo nell'ultimo concorso per dirigenti effettuato dal Ministero dell'economia e delle finanze, si premette che è stato per circa venti anni, funzionario vicario e reggente dell'ufficio con delega piena e senza alcun corrispettivo aggiuntivo, in caso di assenza o legittimo impedimento dei dirigenti che si sono succeduti nel corso degli anni; nonostante ciò, l'ingegnere si è visto negare l'assegnazione della Pot, retribuita, per ben due volte e la nomina è andata addirittura ad un funzionario decaduto dall'incarico dirigenziale, a seguito della ormai nota sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittimi gli incarichi assegnati senza concorso;
   questa vicenda, a quanto si apprende, verrà risolta in sede giudiziaria comportando l'ennesima contenzioso contro l'Agenzia delle entrate e conseguenti spese a carico della collettività;
   la controversia in questione, ad avviso dell'interrogante poteva essere esclusa da un intervento del direttore Orlandi considerando che l'anomalia del caso è stata denunciata alla stessa direttamente dalla Dirstat;
   è d'obbligo per l'interrogante evidenziare che il mancato intervento del Governo nella gestione delle nomine nell'Agenzia delle entrate, sotto la direzione della Orlandi, rappresenta un fatto gravissimo che pregiudica il funzionamento dell'ente che svolge funzioni fondamentali quali: la gestione dei tributi, i controlli fiscali, servizi catastali e relativi alla costituzione dell'anagrafe dei beni immobiliari. Si tratta, dunque, di funzioni di considerevole responsabilità che richiedono l'esercizio delle attività dirigenziali da persone competenti e che accedano a tali ruoli nel rispetto delle procedure previste dalla legge e non in base ad incarichi discrezionali e fiduciari, che oltre ad essere illeciti, rischiano di rendere tali persone «manovrabili» nelle loro funzioni, essendo soggetti «scelti»;
   si ricorda che il Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, svolge nel settore funzioni di vigilanza ai sensi del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, pertanto, è d'obbligo per lo stesso intervenire per riportare la legalità negli enti fiscali, a fronte dei frequenti casi denunciati di incarichi illegittimi –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative di competenza intendano adottare, per fare chiarezza sul caso esposto in premessa, promuovendo le conseguenti azioni opportune, e, in generale, rispetto alla condotta dell'Agenzia delle entrate che a giudizio dell'interrogante persevera nelle nomine illegittime, al
fine di ripristinare il rispetto della normativa in materia e quindi del criterio del merito nell'accesso alle agenzie fiscali, quali enti pubblici. (5-08024)

   VEZZALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai comuni che ospitano scali aeroportuali, spettano dei fondi a titolo di risarcimento per i disagi che subiscono (ambientali e logistici), fondi che lo Stato recupera applicando dazi sui biglietti aerei e quindi che pagano i viaggiatori;
   la pressione fiscale sui biglietti aerei e quindi sui passeggeri è cresciuta negli ultimi 10 anni del 141 per cento;
   questi importi arretrati (per un totale di 90 milioni di euro in dieci anni) sono stati incamerati dal Ministero dell'economia e delle finanze e trattenuti impropriamente visto che avrebbero dovuto essere trasferiti a questi comuni;
   le amministrazioni che ospitano scali aeroportuali avevano costruito i loro budget confidando su questi trasferimenti;
   dei 19,4 milioni di euro che avrebbero dovuto incassare nel 2015, ne hanno ricevuti solo due milioni, con evidenti difficoltà per le loro casse;
   in assenza di riscontri alle loro sollecitazioni, queste amministrazioni minacciano di approdare in tribunale per avere ragione delle inadempienze del Ministero dell'economia e delle finanze –:
   se non ritenga opportuno provvedere al più presto al trasferimento di questi importi ai comuni al fine di consentire a tali amministrazioni di onorare gli impegni assunti nei loro bilanci, evitando di aggiungere a questi trasferimenti spese legali e interessi che finirebbero per ricadere sui contribuenti. (5-08025)

   VEZZALI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   le nuove norme circa la riscossione del canone RAI prevedono che essa sia affidata ai gestori dell'energia elettrica attraverso la rateizzazione dei 100 euro dovuti, in rate mensili delle quali la prima i consumatori dovranno pagarla con la bolletta di luglio 2016;
   i gestori avevano già espresso perplessità circa la correttezza della procedura che mette insieme addebiti per forniture e importi relativi a tributi;
   in caso di insolvenza e di richiesta di rateizzazione degli importi relativi alle forniture, i cittadini sarebbero costretti, per non incorrere in sanzioni fiscali e vedersi recapitare cartelle di Equitalia, a inviare una comunicazione scritta a mezzo raccomandata al gestore per specificare cosa intende pagare con l'importo parziale versato;
   in assenza di una tale comunicazione il gestore di energia sarebbe autorizzato a incassare in conto spesa energia gli acconti e il cittadino così risulterebbe evasore fiscale;
   se l'intestatario della bolletta volesse, invece, saldare il debito erariale e pagare prioritariamente le quote del canone RAI in bolletta, dovrebbe specificarlo, sempre con comunicazione scritta a mezzo raccomandata, ma a quel punto potrebbe rischiare il distacco dell'utenza;
   la semplificazione introdotta si starebbe rivelando una trappola per le migliaia di cittadini, soprattutto anziani, che non sono a conoscenza che, in assenza di comunicazione scritta a mezzo raccomandata al fornitore di energia, un acconto versato possa trasformarsi in un debito erariale o, peggio, in interruzione di fornitura –:
   se non ritenga urgente assumere iniziative per precisare, anche attraverso spot televisivi, se questa procedura esplicitata da organi di stampa sia corretta e se, effettivamente, sia necessario inviare le comunicazioni sopra esposte per evitare cartelle esattoriali da parte di Equitalia e distacchi di utenze; posto che questa procedura ad avviso dell'interrogante è stata attivata in un periodo di grande difficoltà per le famiglie e che i maggiori introiti auspicati si possono trasformare in migliaia di cartelle esattoriali e in un enorme caos negli uffici di Equitalia per il recupero dei parziali o mancati pagamenti. (5-08029)

Interrogazioni a risposta scritta:

   DADONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni si stanno sviluppando tecnologie sempre più evolute inerenti alle auto elettriche;
   negli Stati Uniti, ad esempio, la casa automobilistica Tesla, dopo aver prodotto due autoveicoli di «alta fascia» (Tesla model S e il Suv Tesla Model X) dai prezzi superiori ai 80.000 euro, sta progettando una nuova autovettura di «fascia bassa» denominata Tesla Model 3, la cui uscita è prevista nel 2017;
   il prezzo di vendita negli Stati Uniti di tale autoveicolo sarà di 35.000 dollari;
   diversi Stati stanno proponendo incentivi molto vantaggiosi per chi decide di acquistare un auto elettrica;
   per quanto riguarda gli Stati Uniti, ad esempio, esistono due livelli di incentivi: statali e federali. Quelli statali ammontano a 7.500 dollari. Gli stati dell'unione che garantiscono un contributo a chi vuole acquistare un veicolo ecologico invece sono 12, con importi differenti. Ad esempio, in California, Massachusetts e Tennessee vengono offerti 2.500 dollari. All'incirca, si sta parlando di una riduzione del costo mediamente di 10.000 dollari, che porterebbe quindi il prezzo finale di acquisto di una Tesla Model 3 intorno ai 25.000 dollari;
   in Norvegia, invece, le auto elettriche sono esenti dall'imposta sul valore aggiunto (IVA) così come dalle tasse di acquisto, che in media in Norvegia fanno lievitare il costo del veicolo del 50 per cento. Inoltre, non pagano il pedaggio stradale, le spese di utilizzo dei tunnel e le spese di trasporto in traghetto. Non basta: possono parcheggiare gratuitamente, effettuare liberamente la ricarica nei punti disseminati per le città e utilizzare le corsie degli autobus;
   in Italia, invece, questi incentivi sono tra i più bassi in Europa e non sono sicuramente vantaggiosi come quelli di altri Stati;
   lo sviluppo delle auto elettriche sarà fondamentale e decisivo, sia per diminuire l'inquinamento delle città, le cui polveri sottili sono causa di pericoli per la sopravvivenza umana, sia per emanciparsi, almeno in parte, dalla dipendenza del petrolio –:
   se intendano assumere iniziative per prevedere incentivi simili a quelli esposti in premessa e riferiti agli Stati Uniti e alla Norvegia, al fine di favorire l'acquisto di auto elettriche nel territorio italiano.
(4-12385)

   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato il 6 marzo 2016, dal quotidiano: la Repubblica, a distanza di un anno dall'introduzione dello strumento finanziario del quantitative easing, da parte della Banca centrale europea, consistente nell'acquisto di titoli di stato e di altro tipo dalle banche per immettere nuovo denaro nell'economia europea, incentivare i prestiti bancari verso le imprese e far crescere l'inflazione al 2 per cento, i risultati in termini di liquidità finanziaria, nei riguardi delle imprese non sembrano essere soddisfacenti;
   il medesimo articolo di stampa, a tal fine, evidenzia un rapporto dell'associazione degli artigiani di Mestre, che rileva come l'inflazione sia attualmente pari allo zero per cento e i prestiti alle imprese sono diminuiti di 15 miliardi di euro, nonostante la stessa Banca centrale europea avesse acquistato 87 miliardi di euro di titoli italiani;
   le aziende maggiormente colpite, secondo l'Associazione nazionale piccole imprese, Cgia di Mestre, risultano essere quelle del Lazio e del Veneto; si rileva fra l'altro come il suesposto strumento non convenzionale di politica monetaria, avviato dalla Banca centrale europea il 9 marzo 2017, attraverso il quale una Banca centrale acquista asset sul mercato secondario (principalmente titoli di Stato, Abs e covered bond) per immettere liquidità nel sistema, (inizialmente pari a 1000 miliardi di euro), al fine di consentire la ripresa dell'economia reale, non ha determinato gli auspicati effetti favorevoli;
   l'acquisto, di titoli del debito pubblico dei Paesi dell'area euro, è evidenziato ancora dall'associazione nazionale degli artigiani veneta, ha contribuito a garantire una certa stabilità finanziaria; tuttavia, è evidente come l'imponente operazione d'iniezione di liquidità monetaria, non stia raggiungendo i risultati sperati, come conferma l'andamento dell'inflazione ancora fermo a livello zero, i prestiti alle imprese che non ripartono e la crescita economica che non trova lo slancio che servirebbe, creando preoccupazione negli operatori e riducendo la fiducia delle imprese;
   il credito alle imprese, pertanto, stenta a ripartire nonostante la domanda di finanziamenti da parte delle aziende, registrata nel 2015, risulti in aumento (+4,5 per cento rispetto al 2014); inoltre, i dati relativi agli impieghi totali alle imprese (società non finanziarie e famiglie produttrici) indicano come, dalla fine del 2014 alla fine del 2015, le consistenze siano scese ancora di quasi 15 miliardi di euro (1,6 per cento) con saggi più negativi in Lazio (-4,6 per cento), in Veneto (-3,4 per cento in Calabria (-3,3 per cento) e in Basilicata (-3,0 per cento);
   in definitiva, secondo la Cgia di Mestre, le imprese italiane sono ancora nella morsa del credit crunch, anche se cominciano ad intravedersi alcuni cambi di tendenza: in Campania (+0,2 per cento), Abruzzo (0,5 per cento), Trentino Alto Adige (+2,1 per cento), Sardegna (+2,9 per cento) e Friuli Venezia Giulia (+3,5 per cento) gli impieghi alle imprese sono cresciuti tra il 2014 e il 2015;
   l'analisi che emerge dal rapporto della Cgia di Mestre, a parere dell'interrogante, risulta condivisibile soprattutto considerando anche gli effetti tangibili legati all'economia reale i cui principali fattori, a giudizio dell'interrogante, sono le circostanze per cui: la crescita della domanda interna e l'aumento del numero di nuove imprese continuano a dimostrarsi estremamente deboli in termini di crescita;
   al riguardo, l'interrogante evidenzia, come il fenomeno legato al credit crunch nel nostro Paese, sia un problema economico e produttivo che persiste da oltre quindici anni e continua a pesare enormemente sul sistema imprenditoriale nazionale, i cui effetti negativi sul tessuto sociale, produttivo ed occupazionale, a livelli generali, contribuiscono ad aggravare l'economia, rallentando ogni timido tentativo di ripresa e fuoriuscita dal tunnel della crisi economica e finanziaria, (probabilmente la più grave del dopo guerra) tutt'altro che terminata;
   l'interrogante evidenzia altresì come sul sistema bancario italiano, vi siano palesi e gravi responsabilità in ordine all'erogazione del necessario credito alle imprese, in particolare quelle di piccola e media dimensione, i cui parametri valutativi di affidabilità previsti, nella fase istruttoria nell'erogazione del prestito, nei riguardi dei clienti, sono troppo spesso a parere dell'interrogante, opinabili, non congrui all'effettive potenzialità di crescita
dell'impresa richiedente e a volte addirittura, sommari, in particolare nei confronti delle start up, che invece andrebbero sostenute;
   i sistemi di misurazione del rischio del credito per l'interrogante, necessitano di un più urgente ed indispensabile equilibrio, in favore del sistema delle imprese, soprattutto quelle di piccola, piccolissima e media dimensione, che nonostante il numero di elementi sfavorevoli presenti nell'economia italiana, (elevata pressione fiscale, difficoltà burocratiche, scarsi sistemi infrastrutturali) continua a rimanere all'interno del mercato, nonostante i rischi di espulsione siano sempre evidenti;
   in ambito generale ed europeo, a parere dell'interrogante, occorre altresì vigilare con maggiore attenzione affinché, l'enorme massa monetaria messa a disposizione dal sistema del quantitative easing, nei riguardi dell'economia reale e del sistema delle imprese, possa effettivamente essere canalizzata in favore del sistema produttivo, consentendo, pertanto, un sostegno necessario e indispensabile per la ripresi economica e produttiva delle imprese e miglioramenti diffusi in tutti i settori economici del Paese –:
   quali orientamenti intenda esprimere il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze con riferimento alle osservazioni esposte in premessa;
   se condivida l'analisi della Cgia dei Mestre, secondo la quale gli effetti del quantitative easing nei riguardi del nostro Paese ed in particolare nel sistema economico e finanziario, siano stati nel complesso insoddisfacenti;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato, intenda intraprendere, al fine di garantire che gli effetti previsti dal quantitative easing possano effettivamente produrre conseguenze favorevoli in termini di crescita e sviluppo delle imprese italiane, con riferimento ai prestiti bancari nei loro confronti, che servono per sostenere la ripresa degli investimenti e, di conseguenza, dare sostegno a produzione e occupazione;
   se non ritenga urgente ed opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, innalzare i livelli di attenzione e monitoraggio, affinché l'impatto del quantitative easing sia effettivamente riscontrabile in relazione alla concessione dei prestiti da parte del sistema bancario a quello delle imprese, in quanto a giudizio della Cgia di Mestre esse risulta essere estremamente modesti. (4-12388)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:

   RICCIATTI, FRANCO BORDO, FOLINO, FERRARA, ZARATTI, PELLEGRINO, AIRAUDO, PLACIDO, GREGORI, MELILLA, PIRAS, SANNICANDRO e DURANTI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   in data 4 marzo 2016 il Corpo forestale dello Stato ha eseguito il sequestro di una vasca di accumulo di acque, situata in località Cancelli di Fabriano (Ancona), funzionale alle attività di scavo relative all'opera infrastrutturale Quadrilatero, riguardante la viabilità tra Marche e Umbria (Ansa, 4 marzo 2016);
   la misura è stata attivata in seguito al rilevamento di uno sversamento delle acque di lavorazione del cantiere suddetto nel torrente Giano, area fluviale sottoposta a vincolo paesaggistico;
   secondo quanto rilevato dagli uomini del Corpo forestale dello Stato le acque di lavorazione del cantiere della Quadrilatero confluivano in un bacino di decantazione artificiale dal quale traboccava nel torrente invece di essere convogliate nell'impianto di deputazione;
   lo sversamento, che verrà analizzato nei prossimi giorni dalla agenzia regionale per la protezione ambientale delle Marche, ha colorato completamente di bianco il torrente, mettendo a repentaglio la fauna rara del quale il torrente Giano è ricco, come gamberi di fiume e salmonidi;
   risultano essere state denunciate cinque persone alla procura della Repubblica di Ancona per i seguenti reati: danneggiamento aggravato di acque pubbliche, deturpamento di bellezze naturali, immissione di rifiuti liquidi in acque pubbliche, getto pericoloso di cose e alterazione dello stato dei luoghi in zone tutelate;
   il Corpo forestale dello Stato ha consentito alla ditta di continuare, tuttavia, ad utilizzare l'impianto attenendosi alle prescrizioni tecniche del progetto –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di riferire sulla dinamica dei fatti riportati in premessa e sulle misure di controllo attivate nel cantiere, al fine di garantire il rispetto delle prescrizioni tecniche del progetto a tutela dell'ambiente;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per rafforzare tali presìdi di tutela;
   se non intenda promuovere, parallelamente alle indagini della magistratura, iniziative per verificare, per quanto di competenza, eventuali responsabilità di carattere amministrativo. (5-08028)

Interrogazione a risposta scritta:

   ANDREA MAESTRI e CIVATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 marzo 2016 il sindaco e il vicesindaco di Ravenna hanno diramato un comunicato stampa corredato di foto celebrativa, con il quale annunciavano la nomina di un commissario per l'autorità portuale di Ravenna, nella persona del Contrammiraglio Giuseppe Meli, già comandante della locale capitaneria di porto;
   il 2 marzo 2016 sarebbe stata la data di scadenza naturale del primo mandato dell'ingegner Galliano Di Marco alla presidenza dell'ente portuale ravennate;
   nella medesima data, il primo firmatario del presente atto scriveva una e-mail al Ministro Delrio al fine di chiedere che la nuova nomina avvenisse con un percorso lineare, trasparente e tempestivo, sottolineando l'interesse della comunità ravennate e del tessuto economico portuale alla continuità del lavoro svolto dal presidente Di Marco in questi anni;
   la segreteria del Ministro, interpellata telefonicamente, sempre in data 2 marzo 2016, dopo l'invio della e-mail, confermava l'avvenuta ricezione e protocollazione ed invitava il primo firmatario del presente atto a richiamare il giorno successivo;
   il presidente dell'autorità portuale ingegner Galliano Di Marco risulta aver ricevuto comunicazione del decreto di nomina in data 3 marzo 2016, il giorno successivo a quello della scadenza del suo mandato;
   non è chiaro da chi e con quale atto formale il sindaco e il vicesindaco del comune di Ravenna abbiano avuto notizia della nomina del commissario e chi abbia autorizzato i medesimi a diffondere pubblicamente la notizia della sostituzione del presidente ancora in carica, con un commissario governativo;
   il comunicato stampa dei due rappresentanti istituzionali a giudizio degli interroganti travalica i limiti della continenza spingendosi a proclamare accordi già presi col commissario appena nominato, in ordine all'escavo dei fondali e ai progetti delle casse di colmata a mare per il ricovero dei fanghi dragati, nonostante proprio il sindaco precedentemente avesse già approvato, in comitato portuale, la realizzazione delle casse di colmata a mare;
   il comune di Ravenna, dopo aver chiesto un tavolo tecnico al Ministro Delrio, si è riunito una sola volta nel novembre 2015, sotto il coordinamento del dottor Ivano Russo. In quella occasione il presidente dell'autorità portuale ha presentato 3 soluzioni di rimodulazione del progetto HUB portuale di Ravenna, opera fondamentale per il futuro dello scalo, due con casse a mare e una senza, proprio per venire incontro ai continui ripensamenti del sindaco. Nonostante le diverse opzioni, il comune non ha mai dato riscontro alle richieste del tavolo tecnico, facendo perdere altro tempo prezioso e mettendo a rischio i corposi finanziamenti (circa 240 milioni di euro), buona parte dei quali procurati proprio dal presidente Di Marco nei suoi 4 anni di gestione dell'ente;
   i risultati gestionali del presidente dell'autorità portuale ingegner Galliano Di Marco sono stati tutti molto positivi, come dimostrano anche gli attestati di stima e di riconoscenza da parte di quasi tutti gli operatori del porto, per la qualità, la competenza, la professionalità e la passione del lavoro profuso in questi anni: da Legacoop Romagna, CNA, Comitato unitario dell'autotrasporto, Lega Navale, le Associazioni degli Agenti Marittimi e degli Spedizionieri del porto, oltre che dai Servizi tecnico nautici, solo per citare alcuni dei principali soggetti economici e non, che ne hanno dato conto formale anche al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   unanime in città è il plauso sul lavoro svolto finora dal presidente uscente, come pure tra tutti i suoi dipendenti che fortemente hanno preso le sue difese nel mese di ottobre 2015 attraverso un comunicato stampa;
   non sono note le reali motivazioni di una nomina commissariale che, secondo quanto è dato sapere, è stata disposta al solo fine e per il tempo strettamente necessario, ad assicurare il perfezionamento del procedimento di rinnovo della presidenza dell'autorità portuale, senza che si sia dato conto delle ragioni che hanno impedito che tale procedimento si svolgesse secondo le tempistiche prescritte dalla legge n. 84 del 1994. Neanche si conosce se la regione abbia condiviso tale scelta ai fini del perfezionamento dell'intesa richiesta da consolidata giurisprudenza costituzionale. Infine, visti gli scarsi, per non dire inesistenti presupposti posti a fondamento del commissariamento, non si comprendono quali siano le motivazioni per cui il Ministro non abbia invece ritenuto più corretto, al fine dell'espletamento delle procedure di rinnovo, l'applicazione del più logico, congruo ed idoneo regime della prorogatio del presidente in carica, come disciplinato dall'articolo 3 della legge n. 444 del 1994;
   carenze motivazionali, quelle evidenziate, che sembrano rendere più plausibili le illazioni che hanno preso piede nel dibattito pubblico, secondo cui la scelta di commissariamento sarebbe connessa all'opportunità di attendere l'esito del voto amministrativo di giugno 2016 prima di procedere al rinnovo della carica;
   inoltre, notizie di stampa riferiscono della spiccata autonomia ed indipendenza, sempre finalizzata allo sviluppo del porto e al suo rilancio, con cui il presidente Galliano Di Marco ha operato in questi anni. Dagli articoli emerge l'ostilità dei citati rappresentanti istituzionali e di pochi altri soggetti, pubblici e privati, che vantano però notevoli interessi sullo scalo ravennate, peraltro anche in situazioni che appaiono di palese conflitto di interessi;
   ad avviso degli interroganti, dalle conclusioni poco lineari e trasparenti della vicenda, appare anche evidente una «compartecipazione» della regione Emilia Romagna sulla nomina del commissario e, sulla costituzione di un tavolo tecnico, rivelatosi inutile e boicottato dagli stessi che lo avevano chiesto e che risulta evidente, secondo gli interroganti, essere stato utilizzato soltanto come strumento per temporeggiare in vista delle prossime elezioni amministrative, con conseguente grave danno alla collettività, non solo ravennate;
   presumibilmente, inoltre, la nomina a commissario del Contrammiraglio Meli sarà a titolo oneroso e si sommerà quindi al suo compenso di comandante della
capitaneria di porto, contravvenendo così ad ogni obiettivo di riduzione della spesa pubblica, che si sarebbe potuta ottenere attraverso la proroga ex lege del presidente uscente –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, nell'eventualità positiva, se intenda rendere pubbliche le procedure e le motivazioni in fatto e in diritto sottese alla nomina di un commissario per l'autorità portuale di Ravenna, in ossequio ai canoni di buon andamento ed imparzialità di cui all'articolo 97 della Costituzione;
   se il Ministro intenda rendere pubblico e conoscibile, nel caso di attività a titolo oneroso, a quanto corrisponda il compenso come commissario del Contrammiraglio Meli. (4-12391)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:

   FABBRI, MARCHI, LENZI, BORGHI, FRAGOMELI, GUERRA, FANUCCI, FAMIGLIETTI, GASPARINI, MONTRONI, BARUFFI, GIOVANNA SANNA, PATRIZIA MAESTRI, PAOLA BOLDRINI, CARNEVALI e RUBINATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 dicembre 2015, 17 comuni del Bolognese hanno ricevuto da parte della procura regionale della Corte dei conti dell'Emilia Romagna (prot. n. 0009843–11/12/2015-PR–ER-T48-P) la comunicazione avente per oggetto «Pagamento oneri assistenziali, previdenziali e assicurativi a favore di amministratori locali lavoratori autonomi. Operazione CARPE DIEM. Richiesta informazioni (articolo 74 TUCDC)», con la quale si richiedono informazioni tese a conoscere le iniziative assunte dalle amministrazioni interessate alla ripetizione delle some indebitamente versate a beneficio di amministratori (lavoratori autonomi o liberi professionisti) ex articolo 86, comma 2, del Testo unico leggi sull'ordinamento degli enti locali (Tuel) a decorrere dal 2012, ed in alcuni comuni anche a decorrere dal 2008;
   l'articolo 51, comma 3, della Costituzione reca: «Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro»; detta norma è attuata dall'articolo 77, comma 1, del Testo unico leggi sull'ordinamento degli enti locali (Tuel), a mente del quale è sancito il diritto di ogni cittadino chiamato a ricoprire cariche pubbliche negli enti locali di disporre del tempo, dei servizi e delle risorse necessarie per l'espletamento del mandato e di usufruire dell'indennità e dei rimborsi spese;
   l'articolo 86, del decreto legislativo n. 267 del 2000, prescrive, al comma 1, che «l'amministrazione locale prevede a proprio carico (...), il versamento degli oneri assistenziali, presidenziali e assicurativi ai rispettivi istituti per (...) [gli amministratori locali che rivestono le cariche specificatamente indicate] che siano collocati in aspettativa non retribuita [articolo 81 del Testo unico leggi sull'ordinamento degli enti locali (Tuel)] (...)», al comma 2 che «agli Amministratori locali [che rivestono le cariche specificatamente indicate al comma 1 e] che non siano lavoratori dipendenti, l'Amministrazione locale provvede, allo stesso titolo previsto dal comma 1, al pagamento di una cifra forfettaria annuale, versata per quote mensili. Con decreto dei Ministri dell'interno, del lavoro e della previdenza sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabiliti i criteri per la determinazione delle quote forfettarie in coerenza con quanto previsto per i lavoratori dipendenti, da conferire alla forma pensionistica presso la quale il soggetto era iscritto o continua ad essere iscritto alla data dell'incarico», e al comma 3 che «l'Amministrazione locale provvede, altresì, a rimborsare al datore di lavoro la quota annuale di accantonamento per l'indennità di fine rapporto entro i limiti di un dodicesimo dell'indennità di carica annua da parte dell'Ente e per l'eventuale residuo da parte dell'Amministratore»;
   il decreto ministeriale dell'interno 25 maggio 2001 ha stabilito i criteri per la determinazione delle quote forfettarie da conferire a favore delle forme pensionistiche presso le quali l'amministratore locale era iscritto o continua ad essere iscritto alla data dell'assunzione del mandato di amministratore locale. Risulta quindi esplicitamente ammesso dall'articolo 1 del decreto citato, e può quindi legittimamente verificarsi, che un amministratore locale possa continuare ad essere iscritto alla forma pensionistica di riferimento per la professione svolta, anche durante l'assolvimento del mandato;
   l'ente locale, come a suo tempo precisato anche dal Dicastero dell'interno con nota 23 settembre 2002, e parere 17 febbraio 2004, ha l'obbligo di versare gli oneri previdenziali per un amministratore locale-libero professionista che continua a svolgere durante il mandato la propria attività professionale. Secondo il Ministero, detto beneficio accordato ai liberi professionisti «si basa sul presupposto che l'assunzione di cariche pubbliche particolarmente impegnative interferiscono sull'attività del professionista, con ripercussioni prevedibili sul reddito e quindi sulla sua capacità contributiva», tenuto conto anche che, a differenza dei lavoratori dipendenti, «i lavoratori autonomi non hanno la possibilità di porsi in aspettativa e difficilmente possono sospendere l'attività professionale»; tale versamento da parte degli enti locali costituisce un beneficio che, secondo il Viminale, «va accordato a prescindere dall'incidenza dell'espletamento della carica elettiva sull'effettivo esercizio dell'attività professionale»;
   non sono rintracciabili, fino a tutto il 2013, posizioni giurisprudenziali, di prassi e di dottrina contrarie; ed anche l'Inps (circolari n. 8/02 e n. 205/01) e casse professionali, con riferimento alla fattispecie, non hanno mai avanzato alcun riferimento alla necessità che i lavoratori autonomi dovessero rinunciare all'attività lavorativa. Ad oggi, infatti, sia gli istituti di previdenza, che le varie casse professionali non hanno mai posto ostacoli alla corresponsione dei contributi da parte degli enti locali per conto del proprio amministratore, confermando la regolarità della posizione debitoria delle amministrazioni tenuta al versamento delle somme assistenziali e previdenziali;
   quanto sopra risulta coerente con l'impossibilità di applicare l'istituto dell'aspettativa previsto dall'articolo 81 del Tuel ai lavoratori autonomi, in quanto previsto per i soli lavoratori dipendenti, e alla difficoltà o impossibilità di addivenire alla sospensione e/o alla chiusura dell'attività libro professionale;
   fino al 31 dicembre 2013, in merito all'articolo 86 del Tuel, le sezioni regionali della Corte dei conti (sezione Piemonte e sezione Puglia, rispettivamente con le deliberazione n. 43/13 e n. 57/13) si erano espresse precisando che il contributo forfettario per oneri previdenziali e assistenziali a carico degli enti locali era dovuto per i liberi professionisti che prima del mandato elettorale erano già iscritti e che continuavano ad essere iscritti durante il mandato alla gestione previdenziale di appartenenza. La ratio della norma suddetta è infatti quella di garantire che lo svolgimento del mandato elettorale non incida negativamente sulla posizione contributiva e previdenziale dei lavoratori non dipendenti chiamati a rivestire la carica di amministratore, analogamente a quanto previsto dal comma 1 dello stesso articolo per i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato collocati in aspettativa. Tale disposizione origina dal presupposto che l'assunzione di cariche pubbliche particolarmente impegnative incide inevitabilmente nello svolgimento di una professione autonoma con ripercussioni prevedibili sul reddito e sulla relativa capacità contributiva per il periodo di espletamento del mandato. Per tali motivi, l'ordinamento ha previsto il versamento di una quota forfetaria minima di oneri previdenziali
da parte dell'amministrazione locale per i lavoratori autonomi/amministratori. Gli amministratori lavoratori autonomi, a differenza dei lavoratori dipendenti, non hanno la possibilità di porsi in aspettativa e difficilmente possono sospendere completamente l'attività professionale senza evidenti ripercussioni;
   a partire dal 2014, sulla base di un cambio di interpretazione, si verifica la prima deliberazione non in linea con il trend interpretativo della sezione Piemonte e sezione Puglia della Corte dei conti;
   la sezione regionale per il controllo della Corte dei conti della Basilicata, con la deliberazione del 15 gennaio 2014, n. 3, si è espressa in merito alla richiesta di un sindaco di conoscere in quali casi risulta obbligo del comune a versare la contribuzione previdenziale per gli amministratori locali indicati un articolo 86 del Tuel non lavoratori dipendenti, e specificatamente se occorre una precedente iscrizione del lavoratore autonomo-amministratore locale alla Cassa di previdenza di riferimento e se, contestualmente, occorre anche la sua rinuncia ad espletare, durante il mandato, l'attività professionale (sospensione dell'attività libero professionale);
   la citata pronuncia n. 3/14 afferma che gli amministratori locali, per ottenere da parte dell'ente locale il pagamento della quota forfettaria dei contributi previdenziali, devono necessariamente formalizzare anche un'espressa rinuncia all'attività lavorativa professionale, ciò al fine di parificare la loro posizione con quella dei lavoratori dipendenti per i quali è previsto che devono collocarsi in aspettativa per ottenere il beneficio del pagamento dei contributi per conto del datore di lavoro. In caso contrario, secondo la Corte lucana, non vi sarebbe parificazione fra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti, in quanto un lavoratore autonomo che continua la propria attività avrebbe un ingiusto beneficio economico e concorrenziale rispettivamente nei confronti di un lavoratore dipendente e di un lavoratore autonomo non amministratore di enti locali;
   questa nuova interpretazione, non dovuta ad un cambiamento di norme, sta determinando crescenti difficoltà per gli amministratori non lavoratori dipendenti che svolgano attività professionale con la conseguente impossibilità per le casse di ricevere le contribuzioni da parte degli enti locali, ponendo nel nulla la ratio della previsione normativa di cui all'articolo 86, comma 2, del Tuel e, al contempo, sta creando atteggiamenti difformi su tutto il territorio nazionale, in base ai pronunciamenti delle varie corti;
   sopo tale deliberazione ne sono seguite numerose altre in senso conforme di diverse sezioni regionali della Corte dei conti (Piemonte n. 72/14 e n. 180/14, Abruzzo n. 145/14, Marche n. 27/14, Lombardia n. 105/14, e altro), e anche il Ministero degli, interni, con il parere 4 agosto 2014, n. 15900/TU/086, ha condiviso la stessa interpretazione dell'articolo 86 del Tuel;
   il citato parere della Corte dei conti della Basilicata richiama e prende le mosse dal combinato disposto degli articoli 77, comma 1, del Tuel e dell'articolo 51, comma 3, della Costituzione già citati in precedenza per poi nel dispositivo negare la correttezza dell'accollo al bilancio pubblico della spesa per oneri previdenziali, assistenziali e assicurativi in favore dell'amministratore lavoratore non dipendente che non abbia rinunciato all'espletamento dell'attività lavorativa svolta (professionale, artigianale, commerciale, agricola, di collaborazione) e alla retribuzione corrispettiva;
   il Ministero dell'interno con parere 4 agosto 2014 (class. n. 15900/TU/00/86) ha confermato la tesi della Corte conti sul versamento degli oneri previdenziali;
   tale cambiamento interpretativo assimila l'aspettativa senza assegni per i lavoratori dipendenti solo all'ipotesi della rinuncia allo svolgimento dell'attività libero professionale per i lavoratori autonomi contrariamente a quanto descritto dal decreto ministeriale dell'interno 25
maggio 2001 e dalla circolare Inps n. 205/01 che invece assumono le due fattispecie non sovrapponibili;
   i lavoratori autonomi non possano essere parificati ai lavoratori dipendenti e l'articolo 86, comma 2, con la locuzione «(...) l'Amministrazione locale provvede, allo stesso Titolo dai comma 1, al pagamento (...)», deve essere inteso per gli interroganti come riferibile limitatamente alla natura del pagamento, ossia per oneri assistenziali, previdenziali e assicurativi, e non anche con riferimento all'onere per i lavoratori autonomi di collocarsi in aspettativa non retribuita, ossia nel loro caso di non svolgere alcuna attività libero professionale durante l'espletamento del mandato elettivo per beneficiare del versamento da parte dell'ente locale dei contributi assistenziali e previdenziali;
   risulta evidente che tale lavoratore, per adempiere compiutamente al proprio mandato elettivo, con riferimento ai soli soggetti indicati all'articolo 86, comma 1, Tuel deve impiegare a tale fine la propria risorsa «tempo» in maniera consistente, sottraendola così all'attività libero professionale; conseguentemente, il professionista sarà impossibilitato ad ottenere dalla stessa i correlati corrispettivi che determineranno una consistenza sottrazione di reddito personale. Tale impiego della risorsa «tempo» risulta dall'applicazione della norma, sino a tutto il 2013, pacificamente da compensare, sia con il riconoscimento di un'indennità di carica, che anche con i versamenti contributivi, in questo caso stabiliti forfettariamente in quelli minimi; ciò risulta giustificato anche dal fatto che il lavoratore autonomo deve provvedere a versare i propri contributi previdenziali direttamente con le entrate rivenienti dai corrispettivi professionali percepiti;
   il riferimento delle sezioni della Corte dei conti all'alterazione della concorrenza, in conseguenza del versamento da parte dell'ente locale dei contributi per conto dell'amministratore locale-libero professionista, non è condivisibile a parere degli interroganti dell'interrogante, in quanto il professionista non si avvantaggia da tale situazione essendo il versamento degli oneri previdenziali minimi la compensazione della mancata percezione di corrispettivi che permettono anche i versamenti dei contributi forfetizzati nella quota minima. Anzi, in caso di sospensione dell'attività, il versamento della contribuzione previdenziale minima di riferimento per qualsiasi lavoratore autonomo risulterebbe nettamente inferiore a quella che ordinariamente viene corrisposta per un lavoratore dipendente in aspettativa, oltre al rischio di non trovarsi più un lavoro alla fine dell'esperienza amministrativa;
   le amministrazioni locali, nello specifico quelle interessate, assicurano di aver operato correttamente provvedendo a versare i contributi forfettari per conto degli amministratori locali-lavoratori autonomi, a prescindere dal fatto che continuino a svolgere la propria attività autonoma. Pertanto, non avrebbe titolo la pretesa di recuperare somme in danno di un amministratore che peraltro, ha cessato il mandato politico nel giugno del 2014, con pericolo di esposizione del comune a dispendiosi contenziosi;
   la tematica è stata inoltre affrontata il 3 dicembre 2014 in sede tecnica di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, stante la rilevanza delle problematiche –:
   se sia a conoscenza della situazione suesposta, anche estesa ad altre regioni, e quali iniziative di competenza intenda assumere per chiarire la questione dal punto di vista normativo e della decorrenza temporale, al fine di garantire la partecipazione alla vita pubblica anche ai lavoratori non dipendenti e per rispondere a principi di chiarezza ed uguaglianza, nonché di omogeneità di comportamenti sull'intero territorio nazionale. (5-08026)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:

   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella cosiddetta legge la «buona scuola» si prevede che i docenti pur essendo abilitati, avendo partecipato ai PAS (percorsi abilitanti speciali) o ai corsi abilitanti normali, con grande dispendio di energie e di risorse economiche, dovranno partecipare a nuovi concorsi vedendo così azzerate, in un colpo, le dichiarazioni di idoneità all'esercizio della professione docente;
   con lo svolgimento dei suddetti corsi, si è accertato non solo il possesso delle competenze professionali dei partecipanti, ma soprattutto l'idoneità a sapersi relazionare con gli allievi, finalizzata al trasferimento delle competenze;
   per essere buoni docenti non basta, infatti, essere in possesso di ottime basi culturali, ma è necessario ricercare le strategie divulgative adeguate al tipo di studente che si ha davanti. Non esiste un modello standard universalmente valido da seguire, ma bisogna, di volta in volta, applicare la metodologia più efficace per i fruitori;
   risulta all'interrogante che i percorsi abilitanti speciali continuano ancora ad essere banditi e frequentati dai giovani laureati;
   da alcune anteprime dei programmi concorsuali si rileverebbe che gli stessi sarebbero incentrati su argomenti che non saranno mai trattati all'interno di una classe, mentre invece il POF (piano dell'offerta formativa), che ogni scuola deve redigere e rendere pubblico all'inizio di ogni anno scolastico, deve tenere in considerazione i risultati finali, le valutazioni degli alunni e delle famiglie, le difficoltà riscontrate da tutta l'utenza se si vuole contrastare l'insuccesso scolastico e gli abbandoni;
   anche sul versante della sicurezza scolastica il Governo ha insistito molto sull'accantonamento di risorse nazionali per la messa in sicurezza delle scuole, ma sembrerebbe che si siano dovute restituite alla Unione europea le risorse destinate a tale scopo per mancanza di progetti –:
   in che modo il Ministro interrogato intenda «smaltire» le attuali graduatorie degli abilitati;
   se intenda evitare, per il momento, di promuovere altri corsi abilitanti, visto che i nuovi meccanismi di assunzione prevedono la partecipazione ad appositi concorsi pubblici;
   se intenda e, in caso affermativo, in che modo, responsabilizzare i dirigenti scolastici riguardo alla messa in sicurezza delle scuole. (4-12386)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

   LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le lavoratrici e i lavoratori della società di call center di Roma Up Time spa, nata dalla cessione di ramo d'azienda della SDA Express Courier (società di corriere espresso 100 per cento proprietà di Poste Italiane), hanno pubblicato sul sito web www.change.org una petizione per sostenere la loro causa;
   infatti, l'appello è stato lanciato da 100 lavoratori coinvolti, impiegati da 15 anni presso la società, preoccupati per le proprie sorti lavorative e per il loro futuro;
   state a quanto pubblicato sul sito, UpTime sarebbe attualmente al trenta percento di proprietà di Sda/Poste, mentre per la restante parte di proprietà del gruppo Gepin;
   il presidente del consiglio di amministrazione di tale Gruppo, dottor Enzo Zavaroni, è stato, agli inizi del 2015, arrestato a seguito di un'indagine per bancarotta fraudolenta che ha visto coinvolta la società Getek da lui precedentemente amministrata;
   successivamente a tale scandalo Poste, società pubblica in procinto di quotarsi in borsa, e la sua controllata Sda sembrerebbe abbiano deciso di svincolarsi da UpTime e dai suoi dipendenti, cedendo la propria quota ad altre società e abbandonando così al proprio destino i lavoratori, di cui la maggior parte sono donne e madri, che hanno fondato il servizio assistenza clienti pacchi postali del numero verde di Poste ed hanno lavorato a stretto contatto con la stessa dirigenza di Poste Italiane con grande professionalità e dedizione;
   ad oggi, sembra abbiano aderito all'appello lanciato sul Web dai lavoratori oltre 20.633 sostenitori –:
   se siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali ulteriori dati abbiano in loro possesso;
   come intendano tutelare i lavoratori coinvolti e quale sia la tempistica;
   quali iniziative urgenti, anche di concerto con gli altri attori istituzionali e le parti coinvolte, intendano adottare, nel breve periodo, per scongiurare la perdita di lavoro per tutti i dipendenti della società ed in che modo. (5-08027)

Interrogazione a risposta scritta:

   NASTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della sentenza del Consiglio di Stato del 29 febbraio 2016, che ha cancellato una parte della riforma dell'indicatore della ricchezza familiare fatta nel dicembre 2013, accogliendo i ricorsi di alcune associazioni dei disabili, il calcolo dell'isee relativo agli assegni assistenziali, previdenziali e indennitari connessi alla disabilità, come per esempio le indennità di accompagnamento, rischia di essere eliminato;
   il dispositivo, come riportato in un articolo pubblicato dal quotidiano « Il Corriere della sera» il 5 marzo 2016, evidenzia, come gli assegni, ricevuti a vario titolo, non possano essere considerati un reddito ma una prestazione risarcitoria, con la conseguenza che l'isee delle famiglie con soggetti disabili si abbassa, rendendo possibile l'accesso a una serie di prestazioni ed esenzioni erogate dallo Stato e dagli enti locali (maternità, bonus famiglia, carta acquisti per i poveri, borse di studio, mense scolastiche, asili nido, contributi per l'affitto, bonus bollette, tariffe agevolate su rifiuti e trasporti locali, ticket);
   al riguardo, le conseguenze potrebbero essere «molto pesanti per la finanza pubblica», secondo quanto sostenuto qualche giorno fa dal presidente dell'Inps, senza peraltro quantificarle; l'interrogante segnala inoltre che anche l'Anci, l'associazione dei comuni italiani, a tal fine è intervenuta, attivando in tempi rapidi un'interlocuzione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, affinché comunichi «tempestivamente le indicazioni sui comportamenti da tenersi nella fase intermedia», ovvero fino a quando il Governo non emanerà l'annunciato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per adeguare l'isee agli effetti della sentenza in precedenza richiamata;
   secondo le prime valutazioni dell'Inps, il 25 per cento degli isee attualmente considera le indennità ai disabili e, nel caso non siano contemplate, il medesimo indicatore si abbatte drasticamente, come dimostrato dallo stesso presidente dell'Inps; ad esempio, nel caso di una famiglia composta di genitori e tre figli minorenni, di cui uno disabile grave, si registra una forte diminuzione del reddito complessivo da 29.693 euro prima della pronuncia del Consiglio di Stato a 14.278 euro successivamente, eliminando i trattamenti legati alla disabilità, e il relativo Isee (applicate franchigie e detrazioni) passa da 15.155 a 10.101 euro, ovvero il 33 per cento in meno; analogamente una famiglia con genitore e figlio maggiorenne non autosufficiente subisce una forte riduzione del proprio reddito da 17.723 a 6.432 euro e il relativo Isee passa da 9.350 a 2.159 euro, con un calo del 77 per cento;
   l'articolo in precedenza richiamato, a tal fine, evidenzia come sia l'Inps che i comuni siano in attesa di indicazioni dal Governo, ipotizzando al riguardo che le conseguenze della suesposta sentenza, dovranno essere regolate con lo strumento del decreto-legge, in grado di limitare l'aumento della spesa ed evitare contenziosi, aggiungendo che il Ministro interrogato, in merito alla sentenza del Consiglio di Stato, si è espresso dichiarando che tutto ciò non è da considerarsi con effetti retroattivi;
   a tal fine, le associazioni dei disabili sono pronte a rendere nota le loro contrarietà, riporta ancora il « Corriere della sera», in quanto già il Tar, in primo grado, aveva bocciato il nuovo isee con una sentenza dell'11 febbraio 2015, contro la quale il Governo aveva presentato ricorso al Consiglio di Stato che lo ha respinto, in quanto gli assegni ai disabili non sono da considerarsi come reddito, con le conseguenze che il dispositivo della sentenza rischia di condizionare anche i progetti dello stesso Governo di riformare l'assistenza;
   a giudizio dell'interrogante, le osservazioni in precedenza richiamate destano perplessità ed alimentano i dubbi, in ordine sia agli aspetti strettamente legati al calcolo dei redditi relativi all'isee per gli assegni assistenziali, previdenziali e indennitari, connessi alla disabilità, che rischiano di alimentare confusione sul sistema di calcolo e procedurale, sia con riferimento alle conseguenze connesse alla finanza pubblica, che rischiano di aprire un buco nel bilancio dello Stato, i cui livelli di gravità dell'indebitamento e delle passività, sono noti da tempo;
   interventi urgenti esplicativi, da parte dei Ministri interrogati, risultano necessari ed indispensabili, a parere dell'interrogante, sia nei confronti delle associazioni nazionali dei disabili, al fine di fare chiarezza sulle intenzioni del Governo in merito alla vicenda suesposta, nonché con riferimento agli aspetti legati alle ripercussioni sui conti pubblici, che a seguito della sentenza del Consiglio di Stato, possono derivare –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere, nell'ambito delle proprie competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se trovi conferma quanto riportato dall'articolo del quotidiano richiamato in premessa, in particolare in merito agli effetti sui conti pubblici, derivanti dalla sentenza del Consiglio di Stato del 29 febbraio 2016, che di fatto cancella, a giudizio dell'interrogante, una parte delle riforma dell'isee del 2013;
   se trovino conferma le indiscrezioni dell'Inps, secondo le quali il Governo intende regolare le conseguenze sul piano amministrativo, attraverso il ricorso alla normazione d'urgenza. (4-12390)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:

   ZARDINI e BARUFFI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nonostante una netta inversione di tendenza che si è registrata nel corso dell'anno, l'alto tasso di disoccupazione dell'Italia ancora influisce negativamente sui soggetti disabili, tutelati dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, la quale si pone l'obiettivo, in particolare, di promuovere l'inserimento e l'integrazione delle persone disabili nel mondo del lavoro e disciplina conseguentemente le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva a favore dei soggetti disabili;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, ha eliminato gli ostacoli normativi che si frapponevano all'assunzione delle categorie protette nel caso in cui le pubbliche amministrazioni presentavano una situazione di soprannumerarietà di personale. Inoltre, tale decreto ha previsto l'assegnazione al dipartimento della funzione pubblica di una funzione di monitoraggio sugli adempimenti previsti dal comma 6, articolo 7, del medesimo decreto, relativi alla rideterminazione della dotazione organica e all'obbligo dell'assunzione, a tempo indeterminato, di un numero di lavoratori pari alla differenza fra il numero come rideterminato e quello allo stato esistente;
   l'articolo 7, commi 6 e 7, tuttavia, non ha previsto anche l'obbligo delle pubbliche amministrazioni di pubblicare sul proprio sito istituzionale le quote d'obbligo scoperte a favore delle categorie protette e la trasparenza del monitoraggio assegnato al dipartimento della funzione pubblica –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sulla necessità di introdurre, a livello normativo, un vero e proprio obbligo di pubblicazione da parte della funzione pubblica dei risultati del monitoraggio di cui all'articolo 7, comma 6, del decreto-legge n. 101 del 2013 e delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche e degli enti territoriali dei dati e delle informazioni relative alle quote d'obbligo scoperte, al fine di mettere, da un lato, tutti i cittadini nelle condizioni di conoscere i comportamenti dei datori di lavoro pubblici, in un quadro di trasparenza delle pubbliche amministrazioni; dall'altro lato, per permettere alle pubbliche amministrazioni medesime di velocizzare gli adempimenti previsti dall'articolo 7, commi 6 e 7, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125;
   se, nelle more dell'auspicata modifica normativa, il Ministro interrogato non valuti opportuno pubblicare comunque sul sito della funzione pubblica i risultati del monitoraggio previsto dal comma 6, articolo 7, del decreto-legge n. 101 del 2013, nonché se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per la pubblicazione sul sito delle pubbliche amministrazioni, delle quote d'obbligo riservate a favore di queste categorie protette al fine di rendere conoscibile e trasparente ai cittadini la disponibilità di tali posti, e di facilitare così lo svolgimento degli adempimenti previsti perché essi vengano prontamente ricoperti;
   se non reputi importante assumere iniziative normative volte a prevedere l'obbligo, da parte della funzione pubblica e delle pubbliche amministrazioni della pubblicazione, rispettivamente, del monitoraggio e dei dati e delle informazioni relative alle quote d'obbligo individuate.
(4-12383)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:

   RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Isa Yachts è una società attiva dal 2001, con sede ad Ancona, specializzata nella produzione di yacht di lusso fra i 30 e 100 metri, che impiega 102 dipendenti, attualmente in cassa integrazione;
   l'azienda, anche a causa della congiuntura economica negativa che ha interessato il comparto della nautica, ha avuto una drastica riduzione delle commesse nel corso degli ultimi anni, mettendo in discussione la stessa continuità aziendale;
   Isa Yachts è attualmente in stato di concordato preventivo. Dall'avvio della procedura concorsuale sono arrivate 19 richieste di interesse, tuttavia, allo stato attuale, nessuna di queste si è concretizzata e non ci sono garanzie sulla volontà di rilanciare la produzione aziendale nel suo complesso; piuttosto – come hanno osservato sia il sindaco di Ancona Mancinelli, che la Fiom – la sensazione è che i soggetti interessati attendano il fallimento della società per poter rilevare alcuni pezzi della Isa Yachts, senza farsi carico dei lavoratori (Il Resto del Carlino, 9 febbraio 2016);
   al fine di scoraggiare tale prospettiva, il sindaco di Ancona ha annunciato, in un incontro tenutosi in data 8 febbraio 2016 presso la sede del comune con lavoratori e delegati sindacali della Cgil, che in caso di vendita-spezzatino conseguente all'eventuale fallimento, il comune di Ancona, in qualità di componente del comitato portuale, non garantirà le concessioni demaniali delle banchine (Il Corriere Adriatico, 9 febbraio 2016);
   l'eventuale fallimento di Isa Yachts comporterà la perdita di 102 posti di lavoro, in un territorio come quello di Ancona già segnato in modo evidente dalla crisi economica del settore nautico, oltre alla perdita di una pregiata realtà produttiva;
   la vertenza Isa Yachts oltre ad avere grande rilievo per la città di Ancona, ha rilevanza anche in ordine alla più generale politica industriale per il rilancio di un settore fondamentale per l'Italia, come la nautica –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e la continuità produttiva di Isa Yachts. (5-08031)

Interrogazioni a risposta scritta:

   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 31 dicembre 2015 Enel s.p.a., con una raccomandata ai diretti interessati, ha ufficializzato il cessato riconoscimento delle agevolazioni tariffarie sull'energia elettrica riservate agli ex-dipendenti ed ai superstiti;
   la decisione unilaterale è stata presa nonostante le agevolazioni fossero contemplate nell'articolo 33 del contratto collettivo di lavoro Enel del 21 febbraio 1989, negli accordi sindacali del 1o dicembre 2000, del 31 dicembre 2003 e del 14 febbraio 2008, quale «quota parte del salario versato in modo differito»;
   Enel sostiene che «in considerazione del mutato scenario di riferimento, tale agevolazione di fonte collettiva non risulta più in linea con l'evoluzione del mercato (...) e tenuto conto che tali benefici non sono più riconosciuti da tempo ai dipendenti in servizio»;
   a ottobre 2015, Enel ha comunicato alle principali associazioni sindacali del settore la disdetta della regolamentazione collettiva sulle agevolazioni tariffarie per gli ex dipendenti in quiescenza, determinando, come era prevedibile, immediate manifestazioni di insoddisfazione che hanno indotto la società a concordare con i sindacati, il 27 novembre 2015, la liquidazione compensativa di una somma forfettaria da versare a ciascun pensionato, una sorta di indennizzo per l'agevolazione di cui essi si vedevano privati dal 2016. L'importo di tale somma è variabile a seconda della fascia di età di appartenenza (dai 6.000 euro per i sessantenni, a circa duemila euro per gli ultraottantenni);
   ad avviso degli ex-dipendenti Enel, lo sconto in bolletta non rappresenta un'agevolazione, come l'hanno definita i vertici della società, bensì una quota parte del salario differito, quindi parte della retribuzione che l'Enel, quando era ancora ente pubblico; successivamente quando è avvenuta la privatizzazione, l'Enel si è impegnato a corrisponderlo sotto forma di agevolazione tariffaria. Per molti ex-dipendenti, inoltre, la riduzione di tariffa ha rappresentato uno dei benefit perché accettassero la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro rispetto al raggiungimento del limite di età;
   partendo da questo presupposto, che poggia le sue basi negli accordi firmati in passato in sede di contrattazione collettiva, i pensionati dell'Enel manifestano l'intangibilità di tale trattamento (lo sconto in bolletta), poiché esso rappresenterebbe un vero e proprio diritto, di fronte al quale l'azienda non ha il potere di porre in essere atti autoritativi unilaterali che portino alla sua cancellazione;
   la Corte di cassazione, in risposta ad una questione analoga e menzionando anche Enel, con sentenza n. 24533 del 30 ottobre 2013, in merito alla soppressione dei benefici tramite revoca o disdetta dei relativi accordi, ha affermato che: «in ogni caso, non possono venire lesi i diritti intangibili dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, entrati in via definitiva nel patrimonio dei lavoratori medesimi», ribadendo la natura di «beneficio di natura retributiva nella forma di retribuzione differita», ovvero come parte del «patrimonio individuale del lavoratore alla stregua di un vero e proprio diritto quesito, insuscettibile di essere revocato unilateralmente dalla controparte»;
   è facile ipotizzare, pertanto, che la questione si protrarrà ancora per qualche tempo, anche perché l'accordo sottoscritto da Enel con le organizzazioni sindacali, oltre a presentare problemi generali di natura giuridica, attiene a specifici riflessi di natura fiscale e contributiva ai fini previdenziali. Infatti, dal punto di vista fiscale, l'importo previsto dall'accordo in sostituzione della riduzione tariffaria entra a far parte del reddito imponibile del pensionato nel caso decidesse di accettarlo, nell'anno in cui è corrisposto, sommandosi alla pensione e agli eventuali altri redditi del soggetto, e quindi tassato ai fini Irpef;
   ad avviso degli interroganti, si pongono per l'ennesima volta in discussione i diritti di chi ha lavorato tutta la vita e si assiste alla supremazia del volere più forte sul più debole, poiché saranno molte le persone anziane che accetteranno poche migliaia di euro subito, piuttosto che avventurarsi in una battaglia legale dalle tempistiche incerte;
   lo Stato italiano, tramite il Ministero dell'economia e delle finanze, è il principale azionista di Enel s.p.a., con il 25,50 per cento del capitale sociale –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se e come il Governo intenda rispondere, anche in virtù della sua partecipazione in Enel, alle legittime richieste degli ex-dipendenti e dei superstiti di Enel s.p.a. e se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, assumere tutte le possibili iniziative utili alla revoca della decisione unilaterale assunta dalla società elettrica. (4-12389)

   FIORIO, SANI, OLIVERIO, CENNI, LUCIANO AGOSTINI, TERROSI, TENTORI, TARICCO, CARRA, ANTEZZA, MONGIELLO, ROMANINI e PRINA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane è un ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposto ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero dello sviluppo economico;
   le funzioni e le risorse umane di Buonitalia spa in liquidazione sono state trasferite, (in coerenza con le disposizioni previste dall'articolo 12, comma 18-bis, della legge numero 135 del 2012) all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane con il decreto 28 febbraio 2013 del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro delle sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle Finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione;
   la legge numero 147 del 2013 ha rafforzato tale disposizioni, novellando la legge numero 135 del 2012, e specificando che i «dipendenti a tempo indeterminato in servizio presso la predetta società al 31 dicembre 2011, previo espletamento di apposita procedura selettiva di verifica dell'idoneità, da espletare anche in deroga ai limiti alle facoltà assunzionali, sono inquadrati, anche in posizione di sovrannumero rispetto alla dotazione organica dell'ente, riassorbibile con le successive vacanze, nei ruoli dell'ente di destinazione sulla base di un'apposita tabella di corrispondenza approvata con il predetto decreto. I dipendenti trasferiti mantengono il trattamento economico fondamentale, percepito al momento dell'inquadramento»;
   nonostante tali disposizioni di legge ad oggi 19 ex dipendenti di Buonitalia non sono stati ancora assunti dall'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane;
   con risposta all'interrogazione 4-02452, il vice ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda ha evidenziato come l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, abbia completato tutte le attività propedeutiche allo svolgimento della procedura selettiva, ma contrariamente a quanto previsto dalla normativa, l'Agenzia ha avviato un vero e proprio concorso sul modello di quelli adottati in precedenza per la selezione di personale esterno –:
   per quale motivo l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane non ha rispettato le norme previste dalla legge n. 135 del 2012 e dalla legge n. 147 del 2013 e quali provvedimenti urgenti intenda intraprendere affinché gli ex dipendenti di Buonitalia, citati in premessa, vengano effettivamente assunti dopo una selezione propedeutica all'inquadramento professionale. (4-12392)

   ATTAGUILE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la sezione misure di prevenzione del tribunale di Catania, al termine delle indagini condotte dal Ros, ha disposto il sequestro giudiziario del gruppo Tecnis (a cui fanno capo, oltre a Tecnis SPA, anche le società Artemis SpA e Cogip Holding Srl), in relazione a presunte infiltrazioni mafiose, nominando il Professor Saverio Ruperto a commissario giudiziario;
   il prefetto di Catania ha disposto, nel mese di novembre 2015, una misura interdettiva antimafia;
   la Tecnis spa è la principale impresa di costruzioni del sud d'Italia ed ha commesse e cantieri sia in Italia che all'estero;
   secondo il piano presentato dall'amministratore giudiziario al Ministero dello sviluppo economico, sembrerebbe che vi sia la volontà di provare a risanare l'azienda ed inserirla nuovamente nel mercato, proteggendola dalle infiltrazioni della criminalità organizzata;
   il salvataggio del colosso catanese, che conta un organico medio di 305 dipendenti, sarebbe per l'interrogante auspicabile, non solo a garanzia del mantenimento degli attuali livelli occupazionali, ma anche del compimento delle opere di interesse pubblico, strategiche per il Paese;
   il piano di salvataggio prevede il disimpegno della società in alcuni cantieri, ma non nell'anello ferroviario di Palermo e nella metropolitana di Catania, opere che il commissionario si è impegnato a portare a compimento, nonostante sull'anello ferroviario di Palermo, la società Rfi stia valutando se esistano gli estremi per recedere dal contratto di appalto;
   lo stato di sequestro aziendale è una misura preventiva di carattere provvisorio e presumibilmente terminerà alla fine delle indagini e del conseguente giudizio; è evidente lo stato di agitazione in cui si trovano i dipendenti del gruppo, per i quali il futuro è estremamente incerto, dipendendo dalle sorti dell'azienda;
   le intenzioni sembrerebbero quelle di evitare il fallimento e di procedere alla vendita in blocco della società, anche se, al momento, la priorità risulta quella di riuscire a reperire le risorse per pagare gli stipendi ai dipendenti, per i quali non è stata ancora prevista la cassa integrazione straordinaria;
   le vicende giudiziarie della Tecnis rischiano di avere come effetto quello di bloccare lo sviluppo infrastrutturale del Paese, specie del Sud e della Sicilia, che già scontano ritardi nella realizzazione di opere per il territorio, con un impatto assolutamente negativo sull'economia e sull'occupazione –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito alla strategia che si intende perseguire per evitare il fallimento del gruppo Tecnis e quali scenari possano aprirsi nella fase successiva all'amministrazione giudiziaria e se questi abbiano come obiettivo quello del mantenimento in attività dell'azienda e degli attuali livelli occupazionali;
   quali immediate iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano adottare a tutela dell'occupazione;
   quali iniziative di competenza intendano adottare per prevenire il verificarsi di episodi come quello descritto in premessa e garantire la massima trasparenza e la regolarità nelle procedure di assegnazione degli appalti pubblici. (4-12393)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Zampa, Locatelli, Martelli, Binetti, Santerini, Vezzali ed altri n. 1-01182, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Giorgia Meloni che, contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne diventa la settima firmataria.

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Centemero ed altri n. 1-01184, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giacomoni.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Silvia Giordano e altri n. 7-00705, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Colonnese.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Tripiedi e altri n. 5-07918, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Crippa.

  L'interrogazione a risposta scritta Realacci n. 4-12306, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Borghi.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Nastri  n. 4-12344, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 582 del 3 marzo 2016.

   NASTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   fino al 31 dicembre 2013, i lavoratori poligrafici posti in cassa integrazione straordinaria, dipendenti delle aziende in crisi, potevano usufruire della legge 5 agosto 1981, n. 416, recante «disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria» che consentiva di accedere al prepensionamento anticipato con 32 anni di contributi versati;
   la legge di riforma in materia di lavoro, del 28 giugno 2012, n. 921, cosiddetta «legge Fornero», successivamente ha modificato alcune disposizioni della suddetta legge, in particolare:
    a) l'articolo 3 del regolamento, alla lettera a), che modifica l'articolo 37, comma 1, lettera a), della legge 5 agosto 1981, n. 416, e successive modificazioni, stabilendo che le parole: «almeno 384 contributi mensili ovvero 1.664 contributi settimanali di cui, rispettivamente, alle tabelle A e B allegate al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488», sono sostituite dalle seguenti: «almeno 35 anni di anzianità contributiva a decorrere dal 1o gennaio 2014, 36 anni di anzianità contributiva a decorrere dal 1o gennaio 2016 e 37 anni di anzianità contributiva a decorrere dal 1° gennaio 2018»;
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), con i commi da 295 a 297 dell'articolo 1, che recano norme in materia di trattamento pensionistici per i lavoratori poligrafici, ha previsto, al riguardo, che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze dei trattamenti pensionistici vigenti al 31 dicembre 2013, continuano ad applicarsi, ancorché maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento successivamente alla predetta data, nei riguardi dei lavoratori poligrafici collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria essendo finalizzata al prepensionamento, in forza di accordi di procedura sottoscritti tra il 1o settembre ed il 31 dicembre 2013;
   suesposti commi, inoltre, evidenziano che i trattamenti pensionistici anticipati sono erogati, fino al limite di spesa annua di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, secondo l'ordine di sottoscrizione del relativo accordo presso l'ente competente;
   destinatari del beneficio, pertanto, hanno diritto al prepensionamento, indipendentemente dal requisito anagrafico e in presenza delle altre condizioni di legge, sulla base dell'anzianità contributiva minima di 32 anni da far valere nell'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, aumentata di un periodo pari a 3 anni fino a un massimo di 35 anni;
   le disposizioni citate, che interessano direttamente la direzione centrale pensioni dell'Inps, sono contenute all'interno della circolare n. 8 del 20 gennaio 2016, che ha provveduto ad inviare ai diretti interessati, le prime indicazioni;
   l'interrogante evidenzia che, alla luce delle disposizioni previste all'interno della legge di stabilità 2016 ed in precedenza delle norme in materia di prepensionamento, indicate dalla cosiddetta «legge Fornero», esistono realtà aziendali del settore poligrafico, i cui dipendenti con età di circa 50 anni, sono in una posizione ambigua e difficile dal punto di vista previdenziale e occupazionale, i cui riflessi negativi possono ripercuotersi gravemente sul tessuto socio-economico dell'area novarese;
   al riguardo, l'interrogante rileva come la medesima azienda (i cui lavoratori peraltro sono in forza di accordi sottoscritti in un periodo pre-Fornero marzo 2013) abbia cessato l'attività produttiva e conseguentemente, a giudizio dell'interrogante, risulta necessario porre in essere ogni iniziativa finalizzata a salvaguardare i lavoratori dal punto di vista previdenziale, affinché possano ricorrere al prepensionamento come previsto dalle disposizioni contenute all'interno della legge di stabilità 2016, in materia di trattamenti
pensionistici per i lavoratori poligrafici –:
   se, in considerazione di quanto esposto in premessa, il Ministro interrogato non ritenga urgente ed opportuno assumere iniziative in relazione ai lavoratori poligrafici, affinché siano mantenuti i requisiti vigenti al 31 dicembre 2013 per l'accesso al prepensionamento (32 anni di anzianità contributiva) fino al termine degli ammortizzatori sociali. (4-12344)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Scotto  n. 4-12346, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 582 del 3 marzo 2016.

   SCOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Civitavecchia, e più precisamente nel comprensorio militare di S. Lucia, è ubicato il Centro tecnico logistico interforze (Ce.T.L.I) NBC, ente del Ministero della difesa, unico in Italia, con compiti di studio, verifiche ed applicazioni di carattere militare nei settori nucleare, biologico e chimico;
   fra i molteplici compiti di istituto dell'ente c’è quello di demilitarizzazione delle armi e degli aggressivi chimici ritrovati sul territorio nazionale e risalenti alla prima e seconda guerra mondiale;
   l'attività di distruzione di armi chimiche viene svolta in ottemperanza della legge n. 496 del 1995, con la quale lo Stato italiano ha ratificato la Convenzione internazionale del 31 gennaio 1993 di Parigi sulla proibizione dello sviluppo, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche;
   l'attività di demilitarizzazione delle armi chimiche viene svolta con l'utilizzo di impianti industriali costruiti allo scopo, ognuno per il tipo di aggressivo da distruggere, situati nel medesimo sito;
   tale attività, svolta sotto il controllo degli ispettori internazionali dell'OPAC (Organizzazione per la proibizione armi chimiche), ha permesso di smaltire nel tempo ingenti quantitativi di sostanze, quali ad esempio yprite, adamsite, cloridina solforica, fosgene e proiettili a caricamento chimico;
   attualmente, restano da smaltire circa 15.000-20.000 proiettili a caricamento chimico, che rappresentano circa la metà del quantitativo dei proiettili ritrovato nel corso degli anni;
   i residui di tutta la lavorazione effettuata fino ad oggi, stoccati in monoliti di cemento ed attualmente accatastati a «cielo aperto» presso l'ente in un'area dedicata, rappresentano anch'essi un problema di primaria importanza;
   dopo la demilitarizzazione, infatti, restano dei residui chimici, fra i quali il più importante è l'arsenico;
   a seguito del contatto con gli agenti meteorici i contenitori rilasciano tale sostanza, che potrebbe inquinare il territorio circostante posto a monte dei centri abitati;
   in risposta ad un'interrogazione avente per oggetto la realizzazione di un impianto ossidatore termico presso il Ce.T.L.I. NBC, il Governo, il 20 marzo 2014, nel confermare la realizzazione dell'impianto, ha dichiarato che esso è necessario per superare il ritardo nello smaltimento degli aggressivi chimici, attualmente svolto tramite tecnologie meccaniche progettate negli anni ’80 – ’90 che impediscono di ottemperare pienamente agli impegni assunti con la Convenzione di Parigi;
   il territorio di Civitavecchia è già fortemente compromesso dal punto di vista ambientale per la presenza di impianti Enel, alimentati anche a carbone, del porto e di altri numerosi insediamenti industriali;
   al proposito si sono espressi più volte contro qualsiasi forma di combustione gli enti istituzionali di tutti i livelli, prendendo atto di una gravissima situazione epidemiologica;

   specificatamente per quanto attiene alla realizzazione dell'ossidatore termico, gli stessi enti istituzionali hanno manifestato la propria contrarietà;
   ci si riferisce, in particolare, al comune di Civitavecchia, alla provincia di Roma e alla regione Lazio;
   in tutti e tre i casi il voto fu unanime, a dimostrazione di come il tema sia trasversalmente sentito;
   il gruppo consiliare regionale del Lazio di Sinistra Italiana ha già presentato alla commissione regionale competente richiesta di audire le autorità militari;
   gli enti territoriali e locali hanno più volte manifestato la loro contrarietà al nuovo progetto e ad altri impianti inquinanti, prendendo atto della gravissima situazione epidemiologica nella città;
   nello specifico, per quanto attiene alla realizzazione dell'ossidatore termico, una netta posizione di rifiuto è stata manifestata dal comune di Civitavecchia all'unanimità, dalla provincia di Roma e dal Consiglio regionale del Lazio, che ha approvato in tal senso una mozione, all'unanimità –:
   se non ritenga opportuno interrompere immediatamente la costruzione dell'impianto in questione, considerata la totale e unanime contrarietà di tutte le istituzioni territoriali e della popolazione residente;
   se non ritenga necessaria un'immediata convocazione delle istituzioni del territorio di Civitavecchia e di Allumiere, della città metropolitana di Roma Capitale e della regione Lazio, considerato anche l'ingente stanziamento economico previsto e la mancata conoscenza di elementi tecnici dell'impatto che tale opera può avere su ambiente, sicurezza e salute delle popolazioni;
   se non ritenga improcrastinabile ed urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per la bonifica dell'area ove sono stoccati già da diversi anni i monoliti contenenti i residui delle lavorazioni, che rappresentano un pericolo gravissimo;
   se non ritenga opportuno valorizzare e rilanciare le altre molteplici attività del Ce.T.L.I. NBC, unico ente in Italia con competenze nucleari, batteriologiche e chimiche di rilevante importanza, dotato di laboratori e know how, e contemporaneamente prevedere la dismissione delle attività di demilitarizzazione;
   se il Governo non intenda procedere, per quanto di competenza e in conformità alle convenzioni internazionali e alle leggi nazionali sull'accesso alle informazioni ambientali, ad una vasta campagna che informi i cittadini circa l'impatto che tale opera può avere su ambiente, sicurezza e salute delle popolazioni. (4-12346)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-07983 del 2 marzo 2016 Ricciatti.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Fiorio e altri n. 5-04932 del 6 marzo 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12392.
   interrogazione a risposta in Commissione Zardini e Baruffi n. 5-07262 del 19 dicembre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12383.
   interrogazione a risposta scritta Segoni e altri n. 4-12174 del 19 febbraio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02084.


Appendice: ATTI MODIFICATI

   La Camera,
   premesso che:
    il 2 giugno 2016 ricorrerà il settantesimo anniversario della Repubblica Italiana e, contestualmente, il settantesimo anniversario del voto alle donne in Italia;
    fino al 1946 le italiane non potevano partecipare né attivamente, né passivamente alle elezioni politiche;
    al termine del primo conflitto mondiale nel 1918 il suffragio fu esteso a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto il ventunesimo anno di età e a coloro che avessero prestato servizio nell'esercito mobilitato;
    le donne italiane dovettero aspettare ancora e più precisamente il 31 gennaio 1945 quando, con il Paese ancora diviso, il Consiglio dei ministri emanò un decreto legislativo luogotenenziale, pubblicato il 1o febbraio, che sancì il suffragio universale e che riconosceva il diritto di voto alle donne, con grave ritardo rispetto ad altri paesi: in Nuova Zelanda le donne votavano sin dal 1893, in Finlandia dal 1907, in Norvegia dal 1913, nel Regno Unito dal 1917; prima dell'Italia avevano riconosciuto questo diritto, fra gli altri paesi, anche Turchia, Mongolia, Filippine, Pakistan, Cuba e Thailandia;
    nel decreto non era tuttavia prevista l'eleggibilità delle donne, che sarà sancita solo dal decreto n. 74 del 10 marzo 1946: «Norme per l'elezione dei deputati all'Assemblea costituente»;
    in attesa del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, nell'aprile 1945, si era costituita la Consulta, che ebbe come principale compito quello di elaborare una legge elettorale per l'Assemblea costituente. La Consulta fu il primo organismo politico nazionale in cui entrarono 13 donne, invitate direttamente dai partiti;
    la prima volta che le donne poterono esercitare il loro diritto elettorale, attivo e passivo fu in occasione delle elezioni amministrative: dal 10 marzo al mese di aprile del 1946 le donne votarono in 5 turni: la partecipazione alle urne fu altissima, ne furono elette duemila nei consigli comunali;
    il 2 giugno 1946 finalmente tutte le donne italiane poterono recarsi alle urne ed essere elette in elezioni politiche: ventuno furono le elette nella Costituente duemila nei consigli comunali; sui banchi dell'Assemblea costituente sedettero le ventuno «prime parlamentari», a ragione denominate «Madri Costituenti»: nove della DC, nove del PCI, due del PSIUP ed una del partito dell'Uomo qualunque. Cinque di loro entreranno nella «commissione dei 75», incaricata di scrivere la Carta costituzionale: Maria Federici, Angela Gotelli, Tina Merlin, Teresa Noce e Nilde Jotti; solo più di trent'anni dopo, proprio Nilde Jotti fu la prima donna a ricoprire la carica di Presidente della Camera dei deputati, una delle cinque più alte cariche dello Stato mai ricoperte da una donna prima, occupando lo scranno più alto di Montecitorio per tre legislature, dal 1979 al 1992;
    è importante ricordare qui che la prima donna della Consulta a parlare in un'assemblea democratica fu Angela Guidi Cingolani, che condivideva con altre elette trascorsi di prigione e di confino. Tutte le Madri lottarono e furono attente alle speranze delle italiane, per non deludere le migliaia di donne partigiane, staffette, donne antifasciste che in mille modi avevano contribuito alla Liberazione: così ricorda la storica giornata del 2 giugno Tina Anselmi «E le italiane, fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando via le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che per noi gli esami non sono ancora finiti. Come se essere maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica !»;
    la scrittrice e saggista Maria Bellonci (ideatrice del premio Strega), così descrive quel giorno: «Anche per me, come per tutti gli scrittori, e come per tutti quelli che sono avvezzi a mettere continuamente se stessi al paragone delle cose, gli avvenimenti più importanti di quest'anno 1946 sono fatti interiori; ma è un fatto interiore – e come – quello del 2 giugno quando di sera, in una cabina di legno povero e con in mano un lapis e due schede, mi trovai all'improvviso di fronte a me, cittadino. Confesso che mi mancò il cuore e mi venne l'impulso di fuggire. Non che non avessi un'idea sicura, anzi; ma mi parvero da rivedere tutte le ragioni che mi avevano portato a quest'idea, alla quale mi pareva quasi di non aver diritto perché non abbastanza ragionata, coscienziosa, pura. Mi parve di essere solo in quel momento immessa in una corrente limpida di verità; e il gesto che stavo per fare, e che avrebbe avuto una conseguenza diretta mi sgomentava. Fu un momento di smarrimento: lo risolsi accettandolo, riconoscendolo; e la mia idea ritornò mia, come rassicurandomi.», e ancora, la giornalista Anna Garofalo «Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano a compiere il nostro dovere hanno un'autorità silenziosa e perentoria. Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane Stringiamo le schede come biglietti d'amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di, donne timorose di stancarsi nelle lunghe file davanti ai seggi. E molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra uomo e donna hanno un tono diverso, alla pari»;
    il primo successo delle Madri della Consulta fu quello di ottenere che il premio della Repubblica, di tremila lire, fosse esteso anche alle vedove di guerra e alle mogli dei prigionieri: tra le Madri Costituenti, che è bene ricordare, nove erano comuniste, tra cui cinque dell'UDI (Adele Bej, Nadia Gallico Spano, Nilde Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi), nove democratiche cristiane (Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio), Due socialiste (Angelina Merlin e Bianca Bianchi) e una della lista «Uomo Qualunque» (Ottavia Penna Buscemi); tutte le Madri, con il loro impegno e le loro capacità, segnarono l'ingresso delle donne nel più alto livello delle istituzioni rappresentative; quattordici di loro erano laureate e molte insegnanti, c'era qualche giornalista-pubblicista, una sindacalista e una casalinga; quattordici erano sposate e con figli. Molte avevano preso parte alla Resistenza, pagando spesso personalmente e a caro prezzo le loro scelte, come Adele Bei (condannata nel 1934 dal Tribunale speciale a diciotto anni di carcere per attività antifascista), Teresa Noce (detta Estella, che dopo aver scontato un anno e mezzo di carcere, perché antifascista, fu deportata in un campo di concentramento nazista in Germania dove rimase fino alla fine della guerra) e Rita Montagnana (che aveva passato la maggior parte della sua vita in esilio);
    i settanta anni di storia intercorsi da quella data sono stati densi di trasformazioni: non a caso in riferimento ai profondi cambiamenti culturali e di stile di vita che hanno attraversato la società e la famiglia nella seconda metà del secolo scorso si è parlato di rivoluzione femminile, una rivoluzione che ha interessato tutto il mondo occidentale;
    da allora iniziava un percorso di autonomia delle donne che negli anni ha prodotto anche significative modifiche della legislazione: tale cammino di emancipazione ha potuto compiersi nel solco dei principi della Costituzione italiana, basti pensare all'importanza dell'articolo 3, che stabilisce l'uguaglianza morale e giuridica tra uomo e donna, dell'articolo 37, con il quale viene sancita la parità nel lavoro e l'accesso agli uffici pubblici e alla cariche elettive (si veda anche l'articolo 51), anche se, per poter entrare nella magistratura e nella carriera diplomatica, le donne dovranno attendere il 1963; nel 1950, fu approvata la legge sulla «tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri», e l'anno successivo venne nominata la prima donna al governo, Angela Cingolani, divenuta sottosegretaria all'industria e al commercio, mentre la prima donna ministro fu Tina Anselmi nel 1976;
    furono anni in cui vennero approvate leggi fondamentali e innovative in vari ambiti, tra le quali quelle sul diritto di famiglia e quella sulla dignità femminile, come l'abolizione della case di prostituzione nel 1956, firmata da Lina Merlin, primo esempio di mobilitazione parlamentare trasversale;
    con un accordo interconfederale nel 1960 furono eliminate le tabelle remunerative differenti per uomini e donne, sancendo la parità formale e sostanziale delle donne e degli uomini nel mondo del lavoro; è del 1970 la legge sul divorzio, confermata dal referendum del 1974;
    nel 1975 viene riformato il diritto di famiglia, garantendo parità tra i coniugi e la comunione dei beni, nel 1977 viene approvata la legge di parità, integrata poi nel 1991 dalla legge 125 sulle pari opportunità;
    nel frattempo, vengono abrogati il delitto d'onore e le norme penali sull'adulterio femminile, nel 1978 viene approvata la legge n. 194 sull'interruzione di gravidanza che resisterà al referendum abrogativo del 1981;
    dagli anni Novanta, con alterne fortune, si è discusso della necessità di prevedere quote obbligate di candidature maschili e femminili: la legge costituzionale n. 1 del 2003 ha stabilito che le leggi regionali promuovono la parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive e l'articolo 51 della Costituzione è stato riformato introducendo le pari opportunità in modo da dare copertura costituzionale ai provvedimenti che vogliono attuare tale principio in una legge elettorale;
    l'articolo 117, settimo comma, della Costituzione, come modificato in seguito alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione» stabilisce che: «Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive» e, insieme al combinato disposto degli articoli 3 e 51, definisce criteri per favorire la piena inclusione delle donne nella vita politica, sociale ed economica del Paese. A questo si aggiungano le più recenti pronunce della Corte costituzionale, e, tra queste, le sentenze n. 49 del 2003 e n. 4 del 2010, che hanno chiarito come le norme rivolte alle regioni «stabiliscano come doverosa l'azione promozionale per la parità di accesso alle consultazioni». Finora, il principio delle pari opportunità tra uomo e donna nelle competizioni elettorali è stato considerato in numerosi statuti regionali;
    la legge n. 120 del 12 luglio 2011 ha introdotto misure per il riequilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società pubbliche e private e da allora il tema è recentemente diventato attuale anche all'interno delle istituzioni, in modo particolare nelle assemblee elettive;
    la legge 23 novembre 2012, n. 215, ha introdotto, nelle elezioni dei consigli comunali dei comuni con più di cinquemila abitanti, sia la doppia preferenza di genere sia una «quota di lista», per la quale nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi: questo particolare strumento permette di porre l'accento sull'elemento principale, il riconoscimento del merito, spesso ostacolato da stereotipi di genere;
    la legge n. 65 del 22 aprile 2014 ha modificato l'articolo 14, primo comma, della legge 24 gennaio 1979, n. 18, in relazione alla promozione dell'equilibrio di genere nella rappresentanza politica alle elezioni per il Parlamento europeo introducendo la cosiddetta «tripla preferenza di genere»: nel caso in cui l'elettore decida di esprimere più di una preferenza, la scelta deve comprendere candidati di entrambi i generi, pena l'annullamento della seconda e terza preferenza;
    il Global gender gap index, registra l'indice sul divario di genere stilato annualmente dal World Economic Forum di Ginevra, e nel 2015 ha rilevato un passo in avanti da parte dell'Italia in relazione alle donne elette alla Camera e al Senato. Nel 2013 sono passate al 31 per cento (dal 22 per cento della precedente legislatura) e l'Italia ha guadagnato 9 posizioni nella classifica, eppure le pari opportunità nel nostro Paese rimangono un miraggio: si è ancora ancora al 71esimo posto su 136 Paesi, al primo c’è per il quinto anno l'Islanda, seguita da Finlandia, Norvegia, Svezia e Filippine;
    in altri termini, nel nostro Paese fa ancora molta meno differenza essere uomo o donna, in termini di possibilità economiche e di carriera politica o dirigenziale;
    in generale, l'Italia si colloca più in basso dei Paesi Scandinavi per tutti i quattro sotto-indici che compongo il Global Gender Gap Report: su 136 Paesi, è al 65 posto per quanto riguarda la scolarizzazione, 72esima per la salute, 44esima per l'accesso al potere politico e al 97esimo per la partecipazione alla vita economica. Il problema viene soprattutto dal mondo del lavoro: il posizionamento generale dell'Italia può essere spiegato principalmente con il basso risultato nella classifica della partecipazione e opportunità economiche. Solo il 51 per cento delle donne lavora, contro al 74 per cento degli uomini. Ma l'elemento chiave è la disparità salariale: una italiana in media guadagna 0,47 centesimi per ogni euro guadagnato da un uomo;
    la posizione dell'Italia nella classifica che misura l'eguaglianza salariale percepita è molto bassa: 124esima su 136 Paesi, al di sotto della media mondiale, la percezione misurata dall'indice, per altro, è quella dei dirigenti d'azienda;
    il fattore determinante più importante per la competitività di un Paese è il talento umano: le donne costituiscono la metà del talento potenziale; se i Governi ricoprono un ruolo importante nel sostenere le politiche giuste (congedo di paternità, asili, e altro), sta anche alle aziende creare posti di lavoro, con processi di reclutamento innovativi, nuovi percorsi per le carriere e politiche salariali trasparenti, che permettano ai migliori talenti di svilupparsi;
    aumentare la presenza delle donne nei luoghi di lavoro è importante, ma non basta se non porta anche a nuove politiche di conciliazione e a un modo nuovo di lavorare da cui possano trarre beneficio tutti, anche gli uomini;
    i numeri di per sé non garantiscono la parità e ciò si evince anche dall'analisi nel dettaglio della situazione politica: in Parlamento siedono più senatrici e deputate (l'Italia si colloca al 28esimo posto della classifica), ma non sono aumentate significativamente le donne in «posizione ministeriali» (qui il nostro Paese si colloca solo 60 esimo, e migliora soltanto di una posizione rispetto al 2013), nei luoghi cioè in cui si decidono le priorità del Paese;
    la data del 2 giugno 2016 costituisce, dunque, non solo un anniversario per il Paese e per il diritto al voto acquisito dalle donne, in termini di elettorato attivo e passivo, ma anche l'occasione per dare forte e rinvigorito impulso alla parità di genere sostanziale e non solo normativa tra uomini e donne, attraverso la messa in campo di azioni realmente volte a eliminare qualunque diseguaglianza a qualunque livello: sociale, lavorativo, politico, culturale;
    la forza della partecipazione politica delle donne alla nuova democrazia e alla elaborazione della Costituzione italiana non nasceva dal nulla: interpretava le lunghe lotte dei decenni precedenti culminate nella partecipazione attiva alla lotta di Liberazione, vero spartiacque del cambiamento della storia italiana, europea, mondiale;
    attraverso questi eventi di portata storica le donne portarono nella cultura politica, sociale e civile del paese un contributo inedito, destinato a rimanere per sempre. Una cultura permanente ma in divenire: i limiti rilevati sulla partecipazione al percorso decisionale e istituzionale dimostrano che si tratta di una conquista lungi dall'essere conclusa;
    la storia delle donne nel novecento è stata portata all'attenzione del mondo dalle conferenze mondiali dell'ONU che hanno indicato le donne come il primo soggetto per i cambiamenti del mondo nel segno dello sviluppo, dell'uguaglianza, della pace;
    la Repubblica italiana è responsabile della continuità ideale politica e programmatica del ruolo svolto dalle donne nella vita dell'Italia e dei passaggi cruciali che hanno determinato, e determineranno questi cambiamenti,

impegna il Governo

   a promuovere nel corso del 2016, iniziative di ampio respiro, di carattere nazionale e locale, per ricordare le figure delle ventuno Madri Costituenti, anche attraverso la realizzazione di programmi televisivi e radiofonici;
   a promuovere in tutte le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado momenti dedicati alla commemorazione delle ventuno donne costituenti, ricordandone l'impegno e il ruolo svolto nella stesura della Carta Costituzionale italiana, e ad assumere iniziative per istituire, in ogni scuola di ordine e grado, programmi educativi destinati al riconoscimento e alla valorizzazione delle donne nella storia, nella filosofia, nella scienza e nelle altre discipline umanistiche e scientifiche;
   a promuovere e a rafforzare la tutela dei diritti delle donne e il loro empowerment in tutti i settori, affrontando le cause strutturali della discriminazione basata sul genere, a promuovere le condizioni che favoriscono la trasformazione nelle relazioni di genere per renderle egualitarie, ad assumere iniziative per garantire alle donne l'effettiva partecipazione e la possibilità di assumere la leadership a tutti i livelli decisionali, politici, economici e sociali, comprese la gestione della riduzione del rischio di catastrofi, la prevenzione e la mediazione dei conflitti e la costruzione dei processi di pace, e a favorire il contributo specifico e unico delle donne nei tavoli di mediazione internazionale che affrontano le gravi crisi politiche e umanitarie in varie aree del globo.
(1-01182) «
Zampa, Locatelli, Martelli, Binetti, Santerini, Vezzali, Giorgia Meloni, Gribaudo, Pollastrini, Sereni, Cenni, Pes, Blazina, Carloni, Carocci, Gnecchi, La Marca, Patrizia Maestri, Malisani, Murer, Piazzoni, Iacono, Fabbri, Valiante, Fedi, Bargero, Patriarca, Tentori, Carella, Arlotti, Carnevali, Fragomeli, Dell'Aringa, Paola Boldrini, Venittelli, Grassi, Casati, Marzano, Giovanna Sanna, Cani, Albanella, Giuditta Pini, Realacci, Zoggia, Argentin, Malpezzi, Roberta Agostini, Romanini, Marantelli, Campana, Tidei, D'Incecco, Sbrollini, Albini, Paolo Rossi, Cinzia Maria Fontana, Basso, Marchi, Lattuca, Braga, Paris, Rubinato, Rossomando, Ventricelli, Rigoni, Carra, Gasparini, Rocchi, Mongiello, Tullo, Capone, Narduolo, Manzi, Piccione, Ghizzoni, Rotta, Di Salvo, Miotto, Cova, Giacobbe, Casellato, Cimbro, Preziosi, Carrozza, Schirò, Lenzi, Bolognesi, Taricco, Ferranti, Speranza, Lacquaniti, Morani, Ribaudo, Fontanelli, Antezza, Nicchi, Costantino, Duranti, Ricciatti, Pannarale, Pellegrino, Gregori, Galgano, Iori, Carlo Galli, Bruno Bossio».

   La Camera,
   premesso che:
    il 2 giugno 2016 ricorre il settantesimo anniversario dal referendum istituzionale indetto, per la prima volta a suffragio universale, il 2 e il 3 giugno 1946 con il quale gli italiani furono chiamati alle urne per esprimersi su quale forma di Governo, Monarchia o Repubblica, dare al Paese. Il 2 giugno si celebra la nascita della Repubblica italiana ed è anche la prima volta in cui tutte le donne italiane si recarono alle urne;
    il voto alle donne, o suffragio femminile, è una conquista piuttosto recente del XIX secolo ed è il risultato di un profondo movimento di riforma, politico, economico e sociale, che ha le sue radici nel XVIII secolo e nelle suffragette. In Inghilterra, le battaglie delle suffragette portarono ad un esito positivo con la legge del 2 luglio 1928, con cui fu esteso il suffragio a tutte le donne inglesi;
    per quanto riguarda l'Italia il percorso che portò all'estensione del diritto di voto anche alle donne cominciò all'indomani dell'unificazione, nel 1861. Furono molti i tentativi e i disegni di legge che dall'Unità d'Italia al secondo dopoguerra proposero il diritto di voto alle donne. Molti furono insabbiati finché nel 1919, dopo la prima guerra mondiale, una proposta di legge sull'estensione del voto amministrativo alle donne, il disegno di legge Martini-Gasparotto, fu approvata alla Camera, ma a causa della fine della legislatura il provvedimento rimase «bloccato» al Senato. Ma il voto alle donne fu raggiunto solo il 31 gennaio 1945 quando un decreto legislativo luogotenenziale, pubblicato il 1o febbraio, sancì il suffragio universale. Nel decreto non era però prevista l'eleggibilità delle donne, che venne introdotta solo dal decreto n. 74 del 10 marzo 1946, recante «Norme per l'elezione dei deputati all'Assemblea costituente», il cui articolo 7 recita: «Sono eleggibili all'Assemblea Costituente i cittadini e le cittadine italiane che, al giorno delle elezioni, abbiano compiuto il venticinquesimo anno di età». In Italia le donne votarono per la prima volta nel corso delle elezioni amministrative del marzo del 1946 (436 comuni) e, successivamente, a livello nazionale per il referendum del 2 giugno 1946;
    nel frattempo, le donne entrarono nei pubblici uffici, vi furono le prime nomine pubbliche nei comuni, a livello provinciale, nelle consulte nazionali e regie. Le donne esercitavano un potere pubblico e, dunque, non era più giustificabile l'esclusione dal voto. Già prima della guerra mondiale si chiese il voto per le donne in quanto lavoratrici, contribuenti e consumatrici (tasse dirette ed indirette). Durante la guerra le lavoratrici assunsero ruoli e lavori maschili. Tutto ciò portò nel secondo dopoguerra a concedere alle donne italiane il diritto di voto;
    le guerre hanno rappresentato nella storia un momento cruciale per il raggiungimento di diritti, compreso quello di piena cittadinanza per le donne. È infatti sulla base dell'apporto alla Patria che i gruppi sociali possono ridiscutere i loro diritti. In tutto il mondo, in epoca moderna, dopo la guerra si concedono Costituzioni, si allarga il diritto di voto, si fanno leggi per favorire quelli che si sono prodigati per la Patria. L'Italia non è stata da meno in questo cammino;
    nel 1923 Mussolini promise il diritto di voto e alla fine del 1925 fu approvata una legge in tal senso, pur molto ristretta: sarebbero potute divenire elettrici, facendone richiesta e limitatamente alle elezioni amministrative, le donne con più di 25 anni, provviste di licenza elementare, che esercitavano la patria potestà e pagavano tasse non inferiori alle cento lire annue, e ancora le decorate al valore militare o civile o madri e vedove di caduti. La legge, approvata nel 1925, però non venne applicata perché vennero annullate le elezioni amministrative, introducendo la figura del podestà;
    in attesa del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, nell'aprile 1945, si era costituita la Consulta, con il compito di elaborare una legge elettorale per l'Assemblea costituente. La Consulta fu il primo organismo politico nazionale in cui entrarono 13 donne, invitate direttamente dai partiti;
    il 2 giugno 1946 in concomitanza con il referendum istituzionale si svolsero in Italia le elezioni dell'Assemblea costituente. Furono eletti 556 costituenti, tra cui 21 donne, il 3,8 per cento. Il 2 giugno la partecipazione alle elezioni fu massiccia: l'89 per cento di donne e l'89,2 per cento uomini. Le prime donne elette all'Assemblea costituente, le cosiddette «Madri Costituenti» erano nove della DC, nove del PCI, due del PSIUP ed una del Partito dell'Uomo qualunque. Cinque di loro entreranno nella «commissione dei 75», incaricata di scrivere la Carta costituzionale: Maria Federici, Angela Gotelli, Lina Merlin, Teresa Noce e Nilde Jotti. Tra le Madri Costituenti, che è bene ricordare, nove democratiche cristiane (Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio), nove erano comuniste, tra cui cinque dell'UDI (Adele Bej, Nadia Gallico Spano, Nilde Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi), due socialiste (Angelina Merlin e Bianca Bianchi) e una della lista «Uomo Qualunque» (Ottavia Penna Buscemi); tutte le Madri, con il loro impegno e le loro capacità, segnarono l'ingresso delle donne nel più alto livello delle istituzioni rappresentative, quattordici di loro erano laureate e molte erano insegnanti, qualcuna giornalista-pubblicista, una sindacalista e una casalinga; quattordici sposate e con figli;
    la Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata nel 1948, stabilisce «The equal rights of men and women», principio, questo, che venne ampliato nel 1979 con la Convenzione Cedaw (Convention on the elimination of all forms of discrimination against women), adottata da 189 Stati membri dell'Onu. Tutte le Costituzioni o le Basic laws degli Stati Ocse garantiscono la piena cittadinanza ed uguaglianza per le donne, insieme ai pieni diritti elettorali. Va però sottolineato che molte delle riforme per la cosiddetta uguaglianza formale sono recenti: il diritto di voto per le donne in Svizzera è stato raggiunto solo nel 1971, nel 1976 in Portogallo e nel 1994 in Kazakhstan e in Repubblica Moldova;
    la Costituzione italiana sancisce in molti articoli l'uguaglianza tra donne e uomini. L'articolo 3 sancisce l'uguaglianza dei diritti tra i sessi: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». L'articolo 29 stabilisce l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi; l'articolo 37 decreta la parità e la tutela della donna lavoratrice. L'articolo 51 fissa la parità di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive; l'articolo 117, comma 7, stabilisce l'obbligo per le regioni di promuovere la parità di accesso alle cariche elettive;
    il 30 maggio 2003 la legge costituzionale n. 1 modificò l'articolo 51, primo comma, della Costituzione; è infatti aggiunto: «A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Si è trattato di un passo importante in quanto, come rilevato dal rapporto «Assessing the impact of measures to improve women's political rappresentation» approvato dalla Commissione equality and non discrimination del Consiglio d'Europa, «progressi nella partecipazione delle donne alla vita politica sono stati raggiunti quando i legislatori hanno introdotto misure che hanno aiutato ad affrontare il tema della bassa presenza delle donne nei corpi elettivi, in particolare attraverso riforme che hanno introdotto uguali diritti costituzionali come il diritto di voto e di essere elette, diritto di accesso ai pubblici uffici ed ulteriori fondamentali diritti e libertà, come il diritto di proprietà, di successione ed eredità, la libertà di matrimonio, la cittadinanza e altro. Tali diritti costituzionali sono finalizzati a rimuovere le discriminazioni basate sul sesso ed ogni altra discriminazione che di fatto limita l'uguale cittadinanza. La previsione nelle diverse Costituzioni di diritti politici e civili per le donne apre la strada all'eguaglianza di genere, ad una eguale cittadinanza ed è il fondamento per più specifiche azioni positive per la parità»;
    dopo l'approvazione della legge costituzionale n. 1 del 2003 e della legge costituzionale n. 2 del 2001, che portarono alla riforma dell'articolo 51 della Costituzione e all'introduzione dell'articolo 117, settimo comma 7 della Costituzione, fu la sentenza n. 4 del 2010 della Corte costituzionale, che, non riscontrando alcun profilo di illegittimità costituzionale nel meccanismo della doppia preferenza di genere, introdotta dalla legge elettorale regionale della Campania, sancì e a diede piena attuazione al quadro costituzionale disegnato nel 2001 e nel 2003. Tale meccanismo infatti è ispirato «al principio fondamentale dell'effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale, nello spirito dell'articolo 3, secondo comma, Costituzione, che impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto impediscono una piena partecipazione di tutti i cittadini all'organizzazione politica del Paese» (Corte costituzionale, sentenza n. 4 del 2010);
    nell'ambito sociale vanno inoltre sottolineati molti cambiamenti che hanno riguardato le donne e la loro partecipazione al mercato del lavoro, alla vita familiare, ai gradi di istruzione. È stata una sentenza della Corte costituzionale del 1960 a dichiarare illegittima la norma che escludeva le donne da una vasta categoria di uffici pubblici, tra cui l'ufficio di prefetto. Nel 1970 venne approvata la legge sul divorzio e nel 1975 venne riformato il diritto di famiglia, garantendo parità tra i coniugi e la comunione dei beni, nel 1977 viene approvata la legge di parità, integrata poi nel 1991 dalla legge n. 125 sulle pari opportunità e, nel frattempo, vennero abrogati il reato di adulterio (1968), il delitto d'onore ed il matrimonio riparatore (1981);
    negli anni ’90 furono approvati una serie di provvedimenti per incrementare la presenza delle donne nelle assemblee rappresentative. La legge n. 81 del 1993, che per le elezioni comunali prevedeva che «nelle liste nessuno dei due sessi può essere di norma rappresentato in misura superiore ai due terzi». La legge n. 43 del 1995 che stabilì che nelle elezioni regionali «nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati». La legge n. 277 del 1993 per le elezioni della Camera dei deputati che stabilì che «le liste recanti più di un nome sono formate da candidati e da candidate, in ordine alternato»;
    nel 2012 la legge n. 215 promosse il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali;
    la legge 12 luglio 2011, n. 120, ha introdotto misure per il riequilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società pubbliche e private e, da allora, il tema è recentemente diventato attuale anche all'interno delle istituzioni, in modo particolare nelle assemblee elettive. Per l'elezione dei consigli comunali, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, sono state previste una quota di lista (nessun sesso può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi) e la doppia preferenza di genere. Per gli esecutivi la legge prevede che il sindaco nomini la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi;
    nella riforma delle province e delle città metropolitane, legge n. 56 del 2014, è stato previsto che nelle liste per le elezioni nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura inferiore al 60 per cento;
    nel 2006, il codice delle pari opportunità ha disposto, come misura transitoria (2004 e 2009), disposizioni per favorire la rappresentanza di genere nelle elezioni del Parlamento europeo, prevedendo che, nell'insieme delle liste di candidati presentate da ciascun partito, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi. La legge n. 13 del 2014, sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, ha previsto una sanzione pecuniaria per i partiti nelle cui liste alle elezioni politiche ed europee uno dei due sessi sia rappresentato in misura inferiore al 40 per cento;
    la legge del 22 aprile 2014 ha modificato l'articolo 14, primo comma, della legge 24 gennaio 1979, n. 18, in relazione alla promozione dell'equilibrio di genere nella rappresentanza politica alle elezioni per il Parlamento europeo, introducendo la cosiddetta «tripla preferenza di genere»: nel caso in cui l'elettore decida di esprimere più di una preferenza, la scelta deve comprendere candidati di entrambi i generi, pena l'annullamento della seconda e terza preferenza;
    dopo la modifica degli articoli 122 e 123 della Costituzione che hanno dato avvio al processo di elaborazione di nuovi statuti regionali e di leggi per l'elezione dei consigli nelle regioni a statuto ordinario, tutte le regioni, che hanno adottato norme in materia elettorale, hanno introdotto disposizioni specifiche per favorire la parità di accesso alle cariche elettive, in attuazione dell'articolo 117, settimo comma, della Costituzione. Le misure adottare però sono diverse da regione a regione, variando dall'obbligo di inserire nelle liste una quota minima di candidati, all'alternanza nelle liste alla doppia preferenza di genere e i risultati raggiunti in termini di rappresentanza sono inadeguati;
    l'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige), agenzia autonoma dell'Unione europea, il 13 giugno 2013 ha pubblicato il primo indice Eige sull'uguaglianza di genere «rapporto sull'indice dell'uguaglianza di genere», frutto di tre anni di lavoro. Per la prima volta è stato elaborato un indicatore sintetico ma esaustivo delle disparità di genere nell'Unione europea e nei singoli Stati membri. L'indice, che prende in considerazione 6 diversi settori (lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute), ha un valore tra 1 e 100, dove 1 indica un'assoluta disparità di genere e 100 segna il raggiungimento della piena uguaglianza di genere;
    nonostante più di 50 anni di politiche per l'uguaglianza di genere a livello europeo, il rapporto ha mostrato come le disparità di genere risultino ancora prevalenti nell'Unione europea. Con un indice medio di 54,0, l'Unione europea è ancora a metà nel cammino per raggiungere l'uguaglianza;
    la posizione dell'Italia, con un indice di 40,9, è al di sotto della media europea e si attesta al 23o posto su 27 Stati membri, a parità con la Slovacchia e sopra solo alla Grecia, Bulgaria e Romania. In cima alla graduatoria spiccano i Paesi scandinavi, con valori superiori a 70, mentre il Regno Unito ha un indice di 60,4, la Francia di 57,1, la Spagna di 54,0 e la Germania di 51,6;
    a livello mondiale, secondo l'analisi annuale del World economic forum sul Global gender gap, nella graduatoria diffusa nel 2014, l'Italia si colloca al 69o posto su 142 Paesi (era al 71o nel 2013, all'80o nel 2012, al 74o nel 2011 e nel 2010, al 72o nel 2009, al 67o posto nel 2008, all'84o nel 2007 e al 77o nel 2006). L'aumento registrato dall'Italia nella graduatoria globale è determinato principalmente dal significativo aumento del numero delle donne in Parlamento (dal 22 per cento nel 2012 al 31 per cento nel 2013). Nella graduatoria generale svettano i Paesi del Nord Europa; per quanto attiene agli altri Paesi europei, il Belgio si colloca al 10o posto, la Germania al 12o, la Francia al 16o ed il Regno Unito al 26o posto. L'indice tiene conto delle disparità di genere esistenti nel campo della politica, dell'economia, dell'istruzione e della salute;
    per ciò che attiene in particolare al settore della politica, il nostro Paese si colloca al 37o posto della graduatoria, risalendo dopo il brusco calo degli anni precedenti, che poteva probabilmente essere ascritto alla sostanziale staticità dell'Italia in questo campo, a fronte dei progressi registrati in altri Paesi (l'Italia era al 44o posto, al 71o nel 2012, al 55o nel 2011, al 54o nel 2012 e al 45o nel 2009);
    il World economic forum redige periodicamente anche un rapporto sulla competitività dei Paesi a livello globale ed è interessante notare come emerga una correlazione tra il gender gap di un Paese e la sua competitività nazionale. Dal momento che le donne rappresentano la metà del talento potenziale di un Paese, la competitività nel lungo periodo dipende significativamente dalla maniera in cui ciascun Paese educa ed utilizza le sue donne;
    i dati relativi alla presenza femminile negli organi costituzionali italiani hanno sempre mostrato una presenza contenuta nei numeri e molto limitata quanto alle posizioni di vertice;
    nel rapporto della Commissione equality and non discrimination del Consiglio d'Europa, «Assessing the impact of measures to improve women's representation», in cui si analizza la presenza delle donne nelle Assemblee parlamentari nazionali tra il 2005 e il 2015 e le misure messe in atto dai 47 Paesi del Consiglio d'Europa per accrescere la presenza femminile nelle cariche elettive, si evidenzia che l'Italia si colloca al 15o posto essendo passata da una rappresentanza femminile alla Camera dei deputati dell'11,5 per cento nel 2005 al 31 per cento delle elezioni del 2013. I risultati delle elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013 presentano, infatti, un segnale di inversione di tendenza: infatti, la media complessiva della presenza femminile nel Parlamento italiano, storicamente molto al di sotto della soglia del 30 per cento, considerato valore minimo affinché la rappresentanza di genere sia efficace, è salita dal 19,5 della XVI legislatura al 30,1 per cento dei parlamentari eletti a Camera e Senato nella XVII legislatura (la media dell'Unione europea è il 27 per cento);
    nei consigli regionali i dati sono negativi e molto diversificati in quanto la rappresentanza delle donne è affidata all'applicazione da parte delle regioni. I dati rilevano, infatti, una presenza di donne nei consigli regionali che va dal 34,7 per cento dell'Emilia-Romagna e al 27,5 per cento della Toscana al 19 per cento della Lombardia, al 3,3 per cento di Calabria e all'assenza di donne elette nel consiglio regionale della Basilicata;
    nella risoluzione del Consiglio d'Europa «Accessing the impact of measures to improve women's political representation» si evidenzia che i dati mettono in luce che «la parità di genere e la partecipazione delle donne alla vita politica dipenda da vari fattori e dalla varietà dei contesti politici, economici, sociali e culturali di ogni paese». Tra i fattori politici vengono rilevati il sistema elettorale, la presenza di quote obbligatorie o volontarie, i partiti politici e il loro funzionamento. Tra i fattori economici viene rilevato in particolare «il gender pay gap e l'accesso alle carriere e alle professioni». Nella risoluzione si invitano gli Stati membri a considerare anche «i fattori culturali che determinano la possibilità per le donne di partecipare alla vita politica, economica e allo sviluppo economico del paese. L'educazione e la formazione sono cruciali, poiché sono una precondizione per acquisire le competenze necessarie e per eliminare gli stereotipi che impediscono ancora il raggiungimento della piena e reale parità. Per le donne che sono attive in politica, l'accesso ai media, la rappresentazione e lo spazio nei media durante le campagne politiche sono elementi cruciali, così come il finanziamento per la campagna stessa»;
    nella risoluzione del Consiglio d'Europa agli Stati membri viene suggerito inoltre che: «Per raggiungere la parità e l'equilibrio di genere nella vita politica, è necessario seguire un approccio olistico e una prospettiva di parità in tutte le aree della società. È inoltre necessario identificare l'ampia varietà di fattori socio-economico, culturale e politico che possono ostacolare o facilitare l'accesso delle donne alle cariche elettive a tutti i livelli»;
    nella pubblicazione «Women and men in Sweden facts and figures 2014» del Governo svedese si afferma che: «Gender equality significa semplicemente che le donne e gli uomini hanno la stessa possibilità di costruire e cambiare la società e le loro vite, il che implica le stesse opportunità, gli stessi doveri e gli stessi diritti in tutte le sfere della vita». La parità di genere è una delle pietre angolari dell'uguaglianza ed ha aspetti quantitativi e aspetti qualitativi. L'aspetto quantitativo implica una uguale presenza delle donne e degli uomini in tutti i campi e le aree della società, come l'istruzione, il lavoro, il tempo libero e le posizioni di potere. Se un gruppo comprende più del 60 per cento di donne, è dominato delle donne, come ad esempio avviene nell'istruzione primaria e secondaria. Se gli uomini sono rappresentati più del 60 per cento allora quel gruppo sarà dominato dagli uomini, come avviene per esempio tra i magistrati o i manager delle società pubbliche o private. L'aspetto qualitativo implica invece che alle conoscenze, alle esperienze e ai valori di donne e di uomini è dato lo stesso peso e lo stesso valore e che donne e uomini sono impiegati per arricchire e dirigere tutte le sfere e tutti i campi della società, e che dunque non sono utilizzati sono in alcuni ambiti piuttosto che in altri;
    sebbene in Europa metà della popolazione sia costituita da donne e nonostante le raccomandazioni del Consiglio d'Europa la presenza delle donne nelle istituzioni è ancora sottorappresentata. La Commissione di Venezia, Commissione sulla democrazia attraverso la legge, nelle linee guida sulle regolamentazione dei partiti politici afferma che «lo scarso numero di donne in politica rimane un aspetto critico che determina il non pieno funzionamento del processo democratico»;
    la ricorrenza del 2 giugno 2016 costituisce un importante anniversario per ricordare il diritto al voto acquisito dalle donne, ma costituisce anche l'occasione per monitorare ed implementare il raggiungimento della parità, sostanziale e non solo formale, tra donne e uomini, attraverso azioni che rispondano alla visione olistica indicata dal Consiglio d'Europa,

impegna il Governo:

   a prevedere iniziative di carattere nazionale e locale, nel corso del 2016, per ricordare il settantesimo anniversario del raggiungimento del diritto di voto alle donne ed il percorso, dall'Assemblea costituente ad oggi, che ha portato ad aumentare la partecipazione e la rappresentanza delle donne nella vita politica a tutti i livelli, sottolineando altresì il ruolo delle donne dell'Assemblea costituente e delle successive Assemblee parlamentari e prestando particolare attenzione alle istituzioni scolastiche;
   ad assumere iniziative per recepire le indicazioni dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e a mettere in atto un approccio globale e qualitativo che, interessando tutti i settori e valorizzando i talenti, favorisca l’empowerment delle donne e implementi la parità sostanziale, dando uguale possibilità di incidere nella società e le stesse opportunità, gli stessi doveri e gli stessi diritti in tutte i settori, politico, sociale, economico, finanziario, lavorativo, educativo e nei media alle donne.
(1-01184) «Centemero, Carfagna, Prestigiacomo, Bergamini, Calabria, Capozzolo, Castiello, Censore, Luigi Cesaro, Gelmini, Gullo, Milanato, Nizzi, Occhiuto, Palmizio, Polidori, Elvira Savino, Giacomoni».

   La XII Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 3 della Costituzione prevede che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale»;
    l'articolo 32 della Costituzione cita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»;
    la direttiva 89/105/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, riguardante la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialità medicinali per uso umano e la loro inclusione nei regimi nazionali di assicurazione malattia, ha considerato che gli Stati membri adottino misure di carattere economico per quanto riguarda la commercializzazione delle specialità medicinali, al fine di controllare le spese a carico dei servizi sanitari per tali specialità medicinali. Tali misure includono controlli diretti e indiretti dei prezzi delle specialità medicinali come una conseguenza dell'inadeguatezza o dell'assenza di concorrenza nel suddetto mercato restrizioni della gamma delle specialità coperte dai regimi nazionali di assicurazione malattia;
    lo scopo principale della direttiva 89/105/CEE è la promozione della salute pubblica attraverso un'adeguata disponibilità di specialità medicinali a prezzi ragionevoli, considerando che disparità tra gli Stati membri possono ostacolare o falsare il commercio intracomunitario delle specialità medicinali e quindi pregiudicare direttamente il funzionamento del mercato comune delle specialità medicinali;
    tra gli obiettivi della direttiva 89/105/CEE vi è anche quello di ottenere una visione d'insieme delle intese nazionali in materia di prezzi, nonché di renderle note tutte le informazioni inerenti alle intese siglate dalle singole amministrazioni nazionali competenti e le cause farmaceutiche;
    l'articolo 2 (punto 1.) della suddetta direttiva prevede che «gli Stati membri assicurano che sia adottata una decisione sul prezzo che può essere imposto per la specialità medicinale in questione e che detta decisione sia comunicata al richiedente entro un termine di novanta giorni dal ricevimento di una richiesta presentata»;
    l'articolo 5 della suddetta direttiva stabilisce che se uno Stato membro adotta un sistema di controlli diretti o indiretti sui margini di utile dei responsabili dell'immissione sul mercato di specialità medicinali, esso pubblica le informazioni seguenti in una pubblicazione appropriata e le comunica alla Commissione:
     a) il metodo o i metodi usati nello Stato membro interessato per definire il margine di utile: redditività delle vendite e/o rendimento in conto capitale;
     b) la percentuale di utile al momento consentita ai responsabili dell'immissione sul mercato di specialità medicinali nello Stato membro interessato;
     c) i criteri secondo cui si calcolano le percentuali di utile per ogni singolo responsabile dell'immissione sul mercato di specialità medicinali, assieme ai criteri di base a cui i medesimi sono autorizzati a trattenere utili superiori a quelli stabiliti nello Stato membro interessato;
     d) la percentuale massima di utile che ogni responsabile dell'immissione sul mercato di specialità medicinali è autorizzato a trattenere, al di là del margine stabilito nello Stato membro interessato;
    queste informazioni sono aggiornate una volta all'anno, oppure quando si verificano cambiamenti significativi;
    dalla direttiva 89/105/CEE sono state approfondite in sede comunitaria le regole fondamentali cui assoggettare la disciplina dei prezzi dei farmaci, e si è individuato nella trasparenza il principio ispiratore a cui le autorità nazionali – ciascuna titolare esclusiva delle disponibilità finanziarie assegnate dallo Stato alla spesa farmaceutica – devono attenersi;
    l'articolo 48, comma 33, della legge n. 326 del 2003 ha stabilito che tutti i prezzi dei farmaci debbano essere contrattati tra l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e le case produttrici, secondo le modalità già indicate nella delibera CIPE n. 3 del 1o febbraio 2001. La delibera CIPE stabilisce tra gli obblighi dell'amministrazione che il farmaco dimostri una superiore efficacia rispetto a prodotti che si collocano nella medesima area terapeutica, e che l'amministrazione in fase di contrattazione del prezzo, dovrà tenere conto, sulla base dei presumibili dati di consumo, anche della spesa per l'assistenza farmaceutica riconosciuta in fase di riparto dei fondi destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale;
    la procedura negoziale si conclude, in caso di accordo tra l'amministrazione e l'impresa farmaceutica, con la fissazione di un prezzo sulla base dei volumi di vendita, della disponibilità del prodotto per il Servizio sanitario nazionale, degli sconti per le forniture agli ospedali e alle strutture sanitarie pubbliche, ai volumi e ai prezzi di altri medicinali della stessa impresa;
    la farmaceutica è uno dei settori economici più complessi in quanto sul mercato operano attori quali le aziende, i consumatori, i medici, e non di minore importanza nell'ambito degli acquisiti tramite appalti, il Ministero della salute, le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere e l'Aifa;
    secondo il rapporto nazionale sull'uso dei farmaci anno 2013 dell'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali, la spesa farmaceutica totale, pubblica e privata, è stata pari a 26,1 miliardi di euro con una crescita del 2,3 per cento rispetto al 2012. In media per ogni cittadino la spesa per farmaci è stata di circa 436 euro;
    la spesa farmaceutica pubblica nel 2014 è stata pari a 17.090.968.471 pari al 15,6 per cento del fondo sanitario nazionale sforando il tetto complessivo (territoriale più ospedaliera) fissato al 14,85 per cento;
    negli anni scorsi numerosi inchieste giornalistiche hanno evidenziato come l'acquisto da parte del Ministero della salute di farmaci antivirali si sia rivelato un vero affare per le aziende farmaceutiche;
    in particolare, nel 2005-2006 in relazione alla pandemia di aviaria il Ministero della salute acquistò trenta milioni di dosi di Oseltamivir, ovvero il Tamiflu della Roche con una spesa, sembrerebbe, di cinquanta milioni di euro senza che questi siano stati utilizzati; tra il 2009 e il 2010 lo stesso Ministero della salute si diede l'obiettivo di vaccinare il 40 per cento della popolazione con il vaccino pandemico derivante dalla cosiddetta influenza suina così furono acquistate 24 milioni di dosi, con un contratto, sembrerebbe del valore di 184 milioni di euro, questo nonostante già a dicembre del 2009 fosse noto che si trattava certamente di una tipologia di influenza contagiosa ma meno pericolosa di una qualsiasi altra influenza;
    nell'ambito delle presunte pandemie che avrebbero dovuto colpire l'Italia l'emergenzialità dell'approccio non ha garantito una verifica severa ed effettiva dell'efficacia degli stessi e su tale versante sono state presentate in Parlamento numerose interrogazioni ed interpellanze;
    a marzo 2014 l’Antitrust ha inflitto una multa di 180 milioni di euro per due case farmaceutiche Roche-Novartis accusate di aver costituito un cartello per condizionare le vendite dei due principali farmaci anticecità. Secondo l'Autorità della concorrenza l'accordo tra i due colossi mondiali aveva l'obiettivo «di ostacolare la diffusione dell'uso di un farmaco molto economico a vantaggio di uno molto più costoso, differenziando artificiosamente i due prodotti». L’Antitrust stima che il presunto cartello abbia causato al servizio sanitario «un esborso aggiuntivo di oltre 45 milioni di euro nel 2012 con prevedibili costi futuri fino a oltre 600 milioni di euro l'anno». L'Aifa solo dopo la condanna dell’Antitrust ha di fatto bloccato l'impiego del farmaco Lucentis, di Novartis, che prima era utilizzato 9 volte su 10, dichiarando che il farmaco Avastin (prezzo di vendita 50 euro) «Non è pericoloso. Equivale a Lucentis (prezzo di vendita 900 euro) per sicurezza ed efficacia»;
    con l'approvazione della recente legge di stabilità, legge n. 190 del 2014, è stato istituito il Fondo per finanziare l'acquisto di farmaci innovativi con particolare riferimento a quelli per l'epatite C; il fondo è stato dotato di 1 miliardo di euro per gli anni 2015 e 2016; le risorse sono state messe a disposizione sostanzialmente delle regioni fatti salvi 100 milioni di euro a carico dell'Esecutivo. Ad oggi il fondo, per quanto a conoscenza degli interroganti, non sarebbe ancora effettivo e le regioni sono in difficoltà nell'erogazione delle prestazioni;
    a partire da dicembre del 2014 hanno ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio alcuni farmaci innovativi, tra i quali quelli per l'eradicazione dell'Epatite C, dai costi di trattamento non pubblicati quali: Sovaldi (Gilead), Olysio (Janssen), Daklinza (Bristol-Myers Squibb), Harvoni (Gilead), Viekirax-Exviera (AbbVie), Kalydeco (Vertex);
    gli accordi intrapresi tra le case produttrici e l'AIFA prevedono una clausola di riservatezza che non consente la pubblicazione degli stessi;
    la regione Toscana, con delibera di giunta n. 647 del 18 maggio del 2015 avente ad oggetto, programma per l'eradicazione del virus dell'epatite cronica «C» nella popolazione toscana, impegna 60 milioni di euro con l'intento di permettere il trattamento a 18.353 nel periodo 2015-2018;
    la società ESTAR Toscana con deliberazione n. 195 del 29 maggio 2015 ha bandito una gara per l'acquisto dei trattamenti fissando quale prezzo massimo per singolo trattamento 3.300 euro. Quest'ultima non ha visto la partecipazione di nessuna delle società farmaceutiche produttrici dei farmaci per l'eradicazione dell'Epatite C;
    il Tar del Lazio, nella sentenza n. 04538 del 2015, accogliendo il ricorso della Glaxo Smith Kline, ha di fatto «bocciato» il metodo sin qui usato dall'Aifa per il calcolo delle quote di ripiano degli sfondamenti della spesa farmaceutica ospedaliera (payback). Ciò potrebbe comportare un contraccolpo drastico sulla governance della spesa farmaceutica, soprattutto nell'immediato, in relazione sia ai ripiani già messi in atto che a quelli per l'anno corrente e per i successivi;
    quest'ultime e altre vicende hanno determinato perplessità nell'opinione pubblica sull'operato dell'Aifa, e sulla sua capacità di negoziazione e monitoraggio verso le aziende farmaceutiche. Tenuto conto dei dati relativi all'ammontare della spesa farmaceutica in Italia e della necessità di una trasparenza reale in materia contratti di specialità medicinali sia nell'ambito della normale amministrazione che nelle emergenze, è necessario procedere alla piena conoscibilità dei contenuti dei contratti di acquisto che vengono stipulati sia a livello di amministrazioni centrali che a livello locale;
    il 16 ottobre 2014 il Ministro Lorenzin ha firmato a Bruxelles l'accordo di aggiudicazione congiunta per l'acquisto di vaccini e farmaci antivirali volto a contrastare gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero. L'accordo attua le previsioni dell'articolo 5 della decisione n. 1082/2013/VE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013;
    l'accordo di aggiudicazione congiunta, tuttavia, non comporta alcun obbligo per i contraenti di prender parte alle procedure di aggiudicazione avviate per acquistare la specifica contromisura medica, ma determina solo la possibilità per i sottoscrittori di acquistare i medicinali tramite l'aggiudicazione degli appalti in base alla suddetta procedura,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative affinché l'AIFA non sigli accordi con le cause farmaceutiche inerenti alla presenza di clausole di riservatezza o qualunque altro elemento che mini la piena trasparenza dello stesso;
   ad assumere iniziative affinché vengano pubblicati tutti i dati in possesso dell'AIFA inerenti alle decisioni prese per l'autorizzazione in commercio dei farmaci da parte del Comitato prezzi e rimborsi e del Comitato tecnico scientifico dell'AIFA medesima;
   ad assumere iniziative affinché venga rispettata in tutte le sue disposizioni la Direttiva 89/105/CEE;
   ad assumere iniziative affinché l'Agenzia europea dei medicinali (EMA) pubblichi tutti i dati in suo possesso inerenti alle decisioni prese per l'approvazione dei farmaci indicando se il nuovo farmaco sia sovrapponibile o migliore, e di quanto, rispetto ad altri già presenti sul mercato;
   in riferimento all'accordo di aggiudicazione congiunta firmato a Bruxelles il 16 ottobre 2014, ad adottare iniziative per acquistare i vaccini e farmaci antivirali tramite l'aggiudicazione degli appalti in base alla procedura ivi fissata e al contempo a rendere noti sul sito del Ministero della salute le procedure e gli atti integrali di acquisto comprensivi delle prescrizioni ivi riportate.
(7-00705) «Silvia Giordano, Grillo, Lorefice, Mantero, Baroni, Di Vita, Colonnese».

   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, DAGA, CRIPPA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il fiume Ticino attraversa la Valle del Ticino che comprende il Parco del Ticino e del lago Maggiore, primo parco regionale d'Italia fondato nel 1974 a difesa del fiume, dei numerosi ambienti naturali della Valle, dall'industrializzazione e l'urbanizzazione sempre più invasiva. Al centro della Pianura Padana, ultimo grande scrigno di biodiversità tra campagne e grandi città, è tutelato dall'UNESCO;
   l'acqua del fiume Ticino, necessaria per mantenere in vita lo stesso fiume e gli adiacenti boschi, alimenta anche il sistema dei Navigli Lombardi, la Darsena di Milano, il Canale Villoresi, le risaie Lomelline e buona parte del sistema agricolo e produttivo della provincia di Pavia, Milano, Varese e Monza Brianza;
   nel mese di gennaio 2016, è stata lanciata una petizione sul sito – change.org – riguardante la questione della sospensione del provvedimento sperimentale di regolazione del lago maggiore a +1,50 metri sopra lo zero idrometrico;
   la petizione riportava la lettera indirizzata a regione Lombardia e all'assessore all'ambiente, Energia e Sviluppo Sostenibile, Claudia Maria Terzi, al Gabinetto della Giunta Regionale Regione Piemonte, alla Federazione Svizzera Ufficio Federale dell'Ambiente (UFAM), al Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Gianluca Galletti, al Presidente Commissione Ambiente della Camera dei deputati, Ermete Realacci e al Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Maurizio Martina;
   nella lettera, veniva richiesto al Ministero dell'ambiente il mantenimento del livello di Deflusso Minimo Vitale (DMV) ad almeno 24 metri cubi al secondo e il ripristino della regolazione del lago Maggiore ad almeno +1,50 metri sopra lo zero idrometrico. Il DMV, nato in via sperimentale nel 2010, si basava sulla garanzia di una quantità minima di acqua da far fluire lungo il fiume Ticino, che del lago Maggiore è emissario, per assicurare la sopravvivenza naturale e produttiva delle realtà che insistono sul corso dell'acqua. Nell'anno 2012, il DMV e la riserva idrica costituita con la regolazione del lago Maggiore a +1,50 metri, hanno salvato la regione dalla siccità e, a parere di chi ha redatto la lettera e del Parco Lombardo della Valle del Ticino, garantirebbe tuttora una riserva idrica adeguata;
   con la sospensione del provvedimento in oggetto, anche il Ticino, che dal lago Maggiore recepisce l'acqua necessaria per la sua sopravvivenza, è entrato in sofferenza. Fauna, flora, attività produttive e campi coltivati sono infatti ad enorme rischio di sopravvivenza;
   il Ministero dell'ambiente ha inviato un'ordinanza al Consorzio del Ticino, l'ente regolatore delle acque, nella quale si impone di «operare la regolazione dei livelli del lago Maggiore mantenendo la regolazione estiva entro il limite di +1,0 metri rispetto allo zero idrometrico di Sesto Calende». Dopo numerose proteste, tale ordinanza è stata modificata innalzando provvisoriamente il livello idrometrico sino a +1.25 metri sino a settembre 2015, e riportato poi a +1.00 metro fino al 15 ottobre 2015, sperperando inutilmente acqua nel periodo più piovoso;
   in un link indicato all'interno della petizione, veniva riportata una lettera datata 16 giugno 2014 del consorzio del Parco del Ticino e del lago Maggiore, e del Parco Lombardo della Valle del Ticino, inviata al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, e per conoscenza al Consorzio del Ticino, all'Autorità di Bacino del Fiume Po, alle Regioni Lombardia e Piemonte. In detta lettera, i consorzi esprimevano la ferma opposizione verso la richiesta formulata dal Ministero dell'ambiente in data 14 giugno 2014, di sospendere il programma di sperimentazione in corso dal 2010, che aveva portato notevoli benefici agli utenti sia di valle che di monte dell'area del Bacino idrografico del Ticino. Tale programma era stato approvato dalle Regioni Lombardia e Piemonte;
   i consorzi in oggetto, esprimevano la propria incomprensione nei confronti dell'interruzione dell'applicazione di un modello di gestione che aveva permesso di avere la quantità necessaria per garantire le utenze irrigue ed industriali nel rispetto dell'ambiente fluviale. Veniva poi ricordato come nel 2012, mentre il resto d'Italia aveva vissuto momenti di scarsità di risorse idriche con la conseguente crisi delle attività produttive, per tutta l'area del Ticino il nuovo modello di gestione avesse garantito abbondanza nelle reti di canali e nel Ticino, nessuna perdita di produzione né agricola né industriale (come quella dell'energia elettrica), nessun danno all'ambiente e alla biodiversità in un'area tutelata come Riserva della Biosfera MAB-UNESCO, portate dell'acqua in alveo che hanno permesso l'uso sociale del fiume (come la balneazione, la pesca sportiva e navigazione per tutto l'anno);
   veniva inoltre ricordato che la disposizione in oggetto risultava essere del tutto immotivata perché non sostenuta da alcun riscontro tecnico ma nata, a dire del consorzio, da una nota burocratica della Confederazione Svizzera che non esprimeva contrarietà al programma sperimentale ma chiedeva semplicemente che venisse assicurato al riguardo un costante e tempestivo scambio di informazioni all'interno di un meccanismo di consultazione reciproca, da inserire nel quadro del dialogo ambientale Italia-Svizzera;
   in data 14 febbraio 2016, sempre sul sito change.org, in un aggiornamento alla petizione veniva specificato che il 10 febbraio c.a., si era tenuto un incontro dell'Autorità di Bacino del Fiume Po in Regione Lombardia, a seguito del quale nessuna decisione era stata presa dal Ministero dell'ambiente. Il Consorzio del Ticino aveva mostrato delle simulazioni che, di fatto, avevano dato ragione all'Ente Parco. Nelle immagini proiettate era stato dimostrato che, a parità di precipitazioni, se il lago Maggiore fosse stato mantenuto a +1,50 metri sopra lo zero idrometrico, la crisi idrica dell'agosto 2015 sarebbe arrivata con 10 giorni di ritardo e quella di dicembre 2015, almeno 25 giorni dopo;
   nella nota, veniva fatto notare che se all'apparenza potevano sembrare pochi i giorni di differenza, non risultava essere affatto così. Infatti, in agosto il fabbisogno idrico risulta essere enorme e 10 giorni in più possono garantire o condannare la stagione agricola e la sopravvivenza del fiume Ticino. Per il periodo invernale, una regolazione corretta del lago Maggiore avrebbe, ad esempio, evitato l'asciutta anticipata dei canali e dei navigli e una riserva idrica sufficiente a rifornire il Ticino per molti giorni, nonostante l'assenza di precipitazioni;
   nonostante quanto ulteriormente emerso al tavolo sulla crisi idrica di regione Lombardia del 24 febbraio 2016, ossia una condivisione generale per portare il livello del lago Maggiore a +1,50 metri appena il meteo lo renderà possibile, condivisione trasmessa tramite lettera inviata all'Autorità di bacino e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a firma degli assessori Beccalossi e Terzi, ad oggi non risulta essere stata presa nessuna decisione in tal senso;
   a detta dei compilanti la nota in oggetto, dell'Ente Parco e dello stesso Consorzio del Ticino, per poter sperare di riempire adeguatamente il lago Maggiore con sufficiente acqua per fronteggiare l'estate, risulta indispensabile prendere una decisione entro marzo c.a., per non perdere le precipitazioni e i disgeli primaverili;
   a giudizio degli interroganti e a completamento di quanto esposto in premessa, oltre al mancato ripristino della regolazione del lago Maggiore a +1,50 metri sopra lo zero idrometrico, il Ministro dell'ambiente non ha tenuto in considerazione la situazione di siccità che attanaglia con sempre più frequenza il nostro Paese, Valle del Ticino compresa, mettendo a repentaglio in primis tutta la biosfera autoctona e la fauna ittica. Non ha altresì tenuto in considerazione i danni ambientali ed economici a cui inevitabilmente porterà la sua decisione di non ripristinare la riserva idrica, danni economici che dovrà sopportare la collettività e coloro i quali hanno attività economiche legate in forma diretta alle acque del Ticino e dei suoi corsi d'acqua collegati –:
   quali siano le motivazioni che hanno spinto il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a sospendere il sopraindicato provvedimento di regolazione idrica del lago Maggiore;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga di ripristinare, nell'immediato, il provvedimento in esame, al fine di ristabilire il corretto e necessario livello idrometrico del lago Maggiore, atto a garantire la sopravvivenza del fiume Ticino e di tutti i fiumi e corsi d'acqua ad esso collegati, oltre che a garantire una sufficiente riserva idrica con finalità irrigue ed industriali. (5-07918)

   REALACCI, BORGHI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la regione Marche con delibera della giunta regionale n. 1425 del 22 dicembre 2014, «Istituzione regime di aiuto in de minimis agricolo», ha definito criteri e modalità per la concessione di aiuti alle aziende agricole nel territorio regionale, stabilendo che sul regime « de minimis», il quale non può superare l'ammontare di quindicimila euro in tre anni per azienda, siano calcolati anche gli indennizzi per danni fauna selvatica;
   alcune regioni d'Italia, come ad esempio il Piemonte, hanno adottato, ed altre potrebbero farlo, misure simili alla sopraddetta delibera, con gravi conseguenze per le imprese agro-zootecniche che, pur subendo danneggiamenti da specie selvatiche, rischierebbero di non aver accesso o di veder sensibilmente ridotti i relativi indennizzi, con il rischio di riaprire superate conflittualità tra le attività agro-silvo-pastorali e la tutela di specie protette, come sta accadendo per il lupo;
   insieme alla citata deliberazione la regione Marche ha garantito una sanatoria fino al 31 dicembre 2014 per quanto riguarda gli indennizzi da fauna selvatica riconosciuti fino a quella data;
   dal 1o gennaio 2015 l'amministrazione regionale marchigiana non sta più erogando alcun risarcimento, così come il parco nazionale dei Monti Sibillini e quello del Gran Sasso Monti della Laga, per la mancata presentazione della domanda di indennizzo da parte delle aziende agro-zootecniche, perché le modalità per il calcolo del rispetto del regime de minimis sono difficilmente applicabili, anche a causa della mancata funzionalità del registro nazionale degli aiuti di Stato presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   è evidente che considerare i danni da fauna selvatica come aiuti di Stato è incomprensibile, dannoso e autolesionistico per l'economia delle aziende agro-zootecniche e per la stessa buona gestione e controllo delle specie faunistiche selvatiche e della tutela di quelle protette;
   va tenuto conto di quanto segnalato in una nota ufficiale da Coldiretti sulla disciplina generale dei risarcimenti per danni da fauna selvatica: «la previsione del regolamento (CE) della Commissione del 18 dicembre 2013, n. 1408 relativo all'applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea che regolamenta gli aiuti de minimis nel settore agricolo non sembra suscettibile di applicazione al caso dei danni da fauna selvatica perché fattispecie diversa da quelle identificate come aiuti di stato. Si tratta di erogazioni che non supportano alcuna attività economica in modo che possa verificarsi un'alterazione della libera concorrenza, costituendo un mero reintegro del reddito agricolo a causa di un danno subito» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda assumere per chiarire la materia, stante il fatto che, secondo quanto sopraddetto, il regime « de minimis» non va applicato agli indennizzi per danni da fauna selvatica. (4-12306)

   NASTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   fino al 31 dicembre 2013, i lavoratori poligrafici posti in cassa integrazione straordinaria, dipendenti delle aziende in crisi, potevano usufruire della legge 5 agosto 1981, n. 416, recante «disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria» che consentiva di accedere al prepensionamento anticipato con 32 anni di contributi versati;
   la legge di riforma in materia di lavoro, del 28 giugno 2012, n. 921, cosiddetta «legge Fornero», successivamente ha modificato alcune disposizioni della suddetta legge, in particolare:
    a) l'articolo 3 del regolamento, alla lettera a), che modifica l'articolo 37, comma 1, lettera a), della legge 5 agosto 1981, n. 416, e successive modificazioni, stabilendo che le parole: «almeno 384 contributi mensili ovvero 1.664 contributi settimanali di cui, rispettivamente, alle tabelle A e B allegate al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488», sono sostituite dalle seguenti: «almeno 35 anni di anzianità contributiva a decorrere dal 1o gennaio 2014, 36 anni di anzianità contributiva a decorrere dal 1o gennaio 2016 e 37 anni di anzianità contributiva a decorrere dal 1° gennaio 2018»;
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), con i commi da 295 a 297 dell'articolo 1, che recano norme in materia di trattamento pensionistici per i lavoratori poligrafici, ha previsto, al riguardo, che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze dei trattamenti pensionistici vigenti al 31 dicembre 2013, continuano ad applicarsi, ancorché maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento successivamente alla predetta data, nei riguardi dei lavoratori poligrafici collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria essendo finalizzata al prepensionamento, in forza di accordi di procedura sottoscritti tra il 1o settembre ed il 31 dicembre 2013;
   suesposti commi, inoltre, evidenziano che i trattamenti pensionistici anticipati sono erogati, fino al limite di spesa annua di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, secondo l'ordine di sottoscrizione del relativo accordo presso l'ente competente;
   destinatari del beneficio, pertanto, hanno diritto al prepensionamento, indipendentemente dal requisito anagrafico e in presenza delle altre condizioni di legge, sulla base dell'anzianità contributiva minima di 32 anni da far valere nell'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, aumentata di un periodo pari a 3 anni fino a un massimo di 35 anni;
   le disposizioni citate, che interessano direttamente la direzione centrale pensioni dell'Inps, sono contenute all'interno della circolare n. 8 del 20 gennaio 2016, che ha provveduto ad inviare ai diretti interessati, le prime indicazioni;
   l'interrogante evidenzia che, alla luce delle disposizioni previste all'interno della legge di stabilità 2016 ed in precedenza delle norme in materia di prepensionamento, indicate dalla cosiddetta «legge Fornero», esistono realtà aziendali del settore poligrafico, i cui dipendenti con età di circa 50 anni, sono in una posizione ambigua e difficile dal punto di vista previdenziale e occupazionale, i cui riflessi negativi possono ripercuotersi gravemente sul tessuto socio-economico dell'area novarese;
   al riguardo, l'interrogante rileva come la medesima azienda (i cui lavoratori peraltro sono in forza di accordi sottoscritti in un periodo pre-Fornero marzo 2013) abbia cessato l'attività produttiva e conseguentemente, a giudizio dell'interrogante, risulta necessario porre in essere ogni iniziativa finalizzata a salvaguardare i lavoratori dal punto di vista previdenziale, affinché possano ricorrere al prepensionamento come previsto dalle disposizioni contenute all'interno della legge di stabilità 2016, in materia di trattamenti pensionistici per i lavoratori poligrafici –:
   se, in considerazione di quanto esposto in premessa, il Ministro interrogato non ritenga urgente ed opportuno assumere iniziative in relazione ai lavoratori poligrafici, affinché siano mantenuti i requisiti vigenti al 31 dicembre 2013 per l'accesso al prepensionamento (32 anni di anzianità contributiva) fino al termine degli ammortizzatori sociali. (4-12344)

   SCOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Civitavecchia, e più precisamente nel comprensorio militare di S. Lucia, è ubicato il Centro tecnico logistico interforze (Ce.T.L.I) NBC, ente del Ministero della difesa, unico in Italia, con compiti di studio, verifiche ed applicazioni di carattere militare nei settori nucleare, biologico e chimico;
   fra i molteplici compiti di istituto dell'ente c’è quello di demilitarizzazione delle armi e degli aggressivi chimici ritrovati sul territorio nazionale e risalenti alla prima e seconda guerra mondiale;
   l'attività di distruzione di armi chimiche viene svolta in ottemperanza della legge n. 496 del 1995, con la quale lo Stato italiano ha ratificato la Convenzione internazionale del 31 gennaio 1993 di Parigi sulla proibizione dello sviluppo, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche;
   l'attività di demilitarizzazione delle armi chimiche viene svolta con l'utilizzo di impianti industriali costruiti allo scopo, ognuno per il tipo di aggressivo da distruggere, situati nel medesimo sito;
   tale attività, svolta sotto il controllo degli ispettori internazionali dell'OPAC (Organizzazione per la proibizione armi chimiche), ha permesso di smaltire nel tempo ingenti quantitativi di sostanze, quali ad esempio yprite, adamsite, cloridina solforica, fosgene e proiettili a caricamento chimico;
   attualmente, restano da smaltire circa 15.000-20.000 proiettili a caricamento chimico, che rappresentano circa la metà del quantitativo dei proiettili ritrovato nel corso degli anni;
   i residui di tutta la lavorazione effettuata fino ad oggi, stoccati in monoliti di cemento ed attualmente accatastati a «cielo aperto» presso l'ente in un'area dedicata, rappresentano anch'essi un problema di primaria importanza;
   dopo la demilitarizzazione, infatti, restano dei residui chimici, fra i quali il più importante è l'arsenico;
   a seguito del contatto con gli agenti meteorici i contenitori rilasciano tale sostanza, che potrebbe inquinare il territorio circostante posto a monte dei centri abitati;
   in risposta ad un'interrogazione avente per oggetto la realizzazione di un impianto ossidatore termico presso il Ce.T.L.I. NBC, il Governo, il 20 marzo 2014, nel confermare la realizzazione dell'impianto, ha dichiarato che esso è necessario per superare il ritardo nello smaltimento degli aggressivi chimici, attualmente svolto tramite tecnologie meccaniche progettate negli anni ’80 – ’90 che impediscono di ottemperare pienamente agli impegni assunti con la Convenzione di Parigi;
   il territorio di Civitavecchia è già fortemente compromesso dal punto di vista ambientale per la presenza di impianti Enel, alimentati anche a carbone, del porto e di altri numerosi insediamenti industriali;
   al proposito si sono espressi più volte contro qualsiasi forma di combustione gli enti istituzionali di tutti i livelli, prendendo atto di una gravissima situazione epidemiologica;
   specificatamente per quanto attiene alla realizzazione dell'ossidatore termico, gli stessi enti istituzionali hanno manifestato la propria contrarietà;
   ci si riferisce, in particolare, al comune di Civitavecchia, alla provincia di Roma e alla regione Lazio;
   in tutti e tre i casi il voto fu unanime, a dimostrazione di come il tema sia trasversalmente sentito;
   il gruppo consiliare regionale del Lazio di Sinistra Italiana ha già presentato alla commissione regionale competente richiesta di audire le autorità militari;
   gli enti territoriali e locali hanno più volte manifestato la loro contrarietà al nuovo progetto e ad altri impianti inquinanti, prendendo atto della gravissima situazione epidemiologica nella città;
   nello specifico, per quanto attiene alla realizzazione dell'ossidatore termico, una netta posizione di rifiuto è stata manifestata dal comune di Civitavecchia all'unanimità, dalla provincia di Roma e dal Consiglio regionale del Lazio, che ha approvato in tal senso una mozione, all'unanimità –:
   se non ritenga opportuno interrompere immediatamente la costruzione dell'impianto in questione, considerata la totale e unanime contrarietà di tutte le istituzioni territoriali e della popolazione residente;
   se non ritenga necessaria un'immediata convocazione delle istituzioni del territorio di Civitavecchia e di Allumiere, della città metropolitana di Roma Capitale e della regione Lazio, considerato anche l'ingente stanziamento economico previsto e la mancata conoscenza di elementi tecnici dell'impatto che tale opera può avere su ambiente, sicurezza e salute delle popolazioni;
   se non ritenga improcrastinabile ed urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per la bonifica dell'area ove sono stoccati già da diversi anni i monoliti contenenti i residui delle lavorazioni, che rappresentano un pericolo gravissimo;
   se non ritenga opportuno valorizzare e rilanciare le altre molteplici attività del Ce.T.L.I. NBC, unico ente in Italia con competenze nucleari, batteriologiche e chimiche di rilevante importanza, dotato di laboratori e know how, e contemporaneamente prevedere la dismissione delle attività di demilitarizzazione;
   se il Governo non intenda procedere, per quanto di competenza e in conformità alle convenzioni internazionali e alle leggi nazionali sull'accesso alle informazioni ambientali, ad una vasta campagna che informi i cittadini circa l'impatto che tale opera può avere su ambiente, sicurezza e salute delle popolazioni. (4-12346)