ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO
Seduta n. 310 di mercoledì 15 ottobre 2014
INDICE
ATTI DI INDIRIZZO:
Mozione:
Currò 1-00626 17499
ATTI DI CONTROLLO:
Presidenza del Consiglio dei ministri.
Interrogazioni a risposta scritta:
Gigli 4-06403 17508
Tripiedi 4-06418 17509
Colonnese 4-06423 17510
Colonnese 4-06425 17512
Dieni 4-06428 17516
Affari esteri e cooperazione internazionale.
Interrogazioni a risposta scritta:
Fedi 4-06399 17518
Fedi 4-06400 17519
Fava 4-06408 17519
Porta 4-06409 17520
Ambiente e tutela del territorio e del mare.
Interrogazioni a risposta scritta:
Businarolo 4-06405 17522
Lavagno 4-06406 17522
Oliaro 4-06415 17523
Beni e attività culturali e turismo.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Businarolo 5-03802 17524
Interrogazioni a risposta scritta:
Melilla 4-06401 17526
Gagnarli 4-06414 17526
Difesa.
Interrogazione a risposta scritta:
Pili 4-06421 17527
Economia e finanze.
Interrogazione a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:
Ruocco 5-03799 17529
Interrogazioni a risposta scritta:
Ruocco 4-06413 17529
Pagano 4-06422 17530
Giustizia.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Pes 5-03796 17531
Interrogazioni a risposta scritta:
Dambruoso 4-06402 17532
Pili 4-06420 17533
Giachetti 4-06427 17534
Infrastrutture e trasporti.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Garofalo 5-03797 17536
Interrogazione a risposta scritta:
Oliverio 4-06398 17537
Interno.
Interrogazioni a risposta scritta:
Quartapelle Procopio 4-06416 17538
Rampelli 4-06419 17538
Istruzione, università e ricerca.
Interrogazioni a risposta in Commissione:
Chimienti 5-03798 17539
Ghizzoni 5-03801 17540
Interrogazioni a risposta scritta:
Scotto 4-06411 17541
Meloni Giorgia 4-06412 17542
Di Vita 4-06417 17542
Lavoro e politiche sociali.
Interrogazione a risposta orale:
Fontanelli 3-01099 17546
Interrogazione a risposta scritta:
Rampelli 4-06404 17547
Politiche agricole alimentari e forestali.
Interrogazione a risposta scritta:
Gagnarli 4-06397 17548
Salute.
Interrogazione a risposta in Commissione:
Nicchi 5-03800 17549
Interrogazioni a risposta scritta:
Oliverio 4-06407 17551
Oliverio 4-06410 17552
Catalano 4-06426 17553
Sviluppo economico.
Interrogazione a risposta orale:
Fontanelli 3-01100 17554
Interrogazione a risposta scritta:
Catalano 4-06424 17555
Apposizione di firme a mozioni 17556
Apposizione di una firma ad una risoluzione 17556
Apposizione di firme ad interrogazioni 17556
Cambio presentatore ad una mozione, apposizione di firme e cambio ordine firme 17556
Pubblicazione di un testo riformulato 17557
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
Brunetta 2-00701 17557
Ritiro di un documento del sindacato ispettivo 17560
ERRATA CORRIGE 17560
ATTI DI INDIRIZZO
Mozione:
La Camera,
premesso che:
la grave crisi economico-finanziaria che affligge gli Stati Membri dell'Unione Europea, con preoccupanti ricadute sull'economia reale, in termini di perdita di competitività e di occupazione, ha assunto proporzioni più preoccupanti per il nostro Paese: « 3,2 milioni di disoccupati entro il secondo trimestre del 2014, il crollo delle vendite al dettaglio ai livelli del 2005 e l'azzeramento graduale della capacità complessiva dell'economia italiana di crescere in modo duraturo»;
le politiche e le misure adottate dall'Unione Europea per porre rimedio alla crisi economica si sostanziano in obiettivi finanziari e di solidità dei bilanci pubblici, senza alcuna considerazione di misure economiche e finanziare di rilancio delle economie nazionali. La stabilità dell'Euro e la regolamentazione del settore bancario e finanziario, erroneamente, sono state per molto tempo totalmente decontestualizzate da ogni genere di politica economica e di sviluppo;
la BCE, ai sensi degli articoli 105 e 106 del Trattato di Maastricht e degli articoli 18 e 19 del relativo Statuto, regola la base monetaria dell'Eurosistema. Al fine di scongiurare ogni possibile politica di austerity, il Governatore della Banca Centrale Europea (BCE), Mario Draghi, con la decisione del 5 giugno 2014, ha ridotto il tasso di riferimento allo 0,15 per cento. Precedentemente lo stesso Governatore lo aveva ridotto allo 0,25 per cento. Altresì, il tasso di interesse sui prestiti marginali viene ridotto dallo 0,75 per cento allo 0,4 per cento, mentre, il tasso sui depositi overnight delle banche presso la BCE viene fissato, per la prima volta, ad un valore negativo pari a – 0,1 per cento. Questi interventi evidenziano la gravità epocale della crisi. L'obiettivo di tale intervento si sostanzia nella predisposizione di meccanismi volti a favorire gli investimenti, da parte delle banche, nell'economia reale;
la gravità della crisi e la mancanza di effetti immediati delle manovre espansive predisposte ha indotto la BCE – in data 5 settembre – a ridurre ulteriormente il tasso di riferimento allo 0,05 per cento, minimo assoluto nella storia dell'Euro. Altresì, il Governatore Mario Draghi ha annunciato un programma di acquisti di titoli Asset backed Securities (Abs) ed obbligazioni garantite (Covered bonds) per sostenere la liquidità delle banche che hanno concesso prestiti a famiglie ed imprese;
in sostituzione dei precedenti Long Term Refinancing Operation (LTRO) prevalentemente utilizzati dalle banche per l'acquisto di titoli di Stato, la BCE ha predisposto un nuovo piano di finanziamenti cosiddetto Targeted Longer Term Refinancing Operations (TLTRO): trattasi di fondi vincolati alla concessione di credito ad imprese e famiglie. Il piano di rifinanziamento è pari a 400 miliardi di euro, di cui 75 miliardi sono destinati alle banche italiane;
il Governatore Mario Draghi ha dichiarato che la BCE acquisterà anche titoli come residential mortgage backed securities (RMBS), ovverosia cartolarizzazioni di mutui per l'acquisto di abitazioni o altro. Non si comprende ancora se la liquidità così creata tornerà al mercato immobiliare – oggi fortemente in crisi – oppure verrà utilizzata per l'acquisto di titoli di Stato o per altre tipologie di investimento;
le decisioni della BCE, nell'immediato, hanno l'obiettivo di arginare una reale deriva deflattiva delle economie nazionali di molti Stati membri, tra cui ed in particolar modo l'Italia. Il Governatore Mario Draghi si è posto il fine di riportare l'inflazione vicino al 2 per cento. La suddetta manovra finanziaria ha la sua ratio nella Teoria quantitativa della moneta (TQM) in base alla quale l'accrescimento della base monetaria determina l'aumento dei prezzi e quindi incide direttamente sul livello di inflazione. Da quanto asserito si lascia intendere che, nel caso di specie, l'aumento dell'inflazione è voluto e «necessario», sebbene si conoscano i rischi conseguenti ad una poco meticolosa (e «distorta») gestione degli strumenti di politica monetaria. Il timore che si possa perdere ogni controllo e raggiungere finalità diverse rispetto a quelle volute è reale, soprattutto se, in concreto, i beneficiari dell'iniziativa non risulteranno essere i ceti sociali maggiormente colpiti dalla crisi. Come l'esperienza degli ultimi anni ha inesorabilmente dimostrato, l'imputato principale è e resta il sistema bancario e finanziario che ha ripetutamente disatteso i buoni propositi delle Istituzioni europee perseverando nella bieca logica del conseguimento dei profitti, ponendo perdite e fallimenti a carico dei bilanci pubblici e della collettività (cosiddetta «socializzazione delle perdite»);
nello specifico è doveroso precisare che i desiderati effetti finanziari legati alla riduzione del tasso di riferimento non si sono concretizzati in quanto il sistema bancario e finanziario ha veicolato le maggiori liquidità verso i mercati finanziari. Potrebbe, quindi, accadere nuovamente che il sistema bancario e finanziario non investa nell'economia reale, privilegiando l'acquisto di titoli di stato e gli investimenti nei mercati finanziari, che per le relative caratteristiche, fino ad oggi, sono stati più remunerativi e competitivi degli investimenti nell'economia reale;
le imprese quotate nei mercati finanziari o che ricorrono al mercato dei capitali per reperire le risorse da impiegare nella propria attività d'impresa sono state agevolate dalla grande mole di investimenti effettuati nell'economia finanziaria, e questo sicuramente grazie al regime fiscale «agevolato» dei redditi di natura finanziaria che ha reso, da un lato, più conveniente per gli investitori-risparmiatori la scelta di investire nei mercati finanziari e, dall'altro, più sostenibile per le imprese interessate la raccolta dei capitali grazie ad interessi passivi molto più bassi rispetto agli interessi pagati dalle PMI – lontane dai mercati finanziari – per prestiti e mutui;
si ricorda che le rendite finanziarie dal 1997 al 2011 sono state tassate con un'imposta sostitutiva ad aliquota fissa pari al 12,5 per cento. Un'impostazione finanziaria e fiscale di questo genere reggerebbe in un contesto economico caratterizzato da grandi imprese, per lo più quotate in borsa. L'Italia, a differenza dei principali Stati membri come Francia, Germania e Regno Unito, ha un tessuto produttivo caratterizzato da piccole e medie imprese (PMI) con una forte vocazione artigianale. Quest'ultime, per le loro caratteristiche intrinseche, difficilmente riescono a reperire capitali per il tramite dei mercati finanziari. Il ricorso ai prestiti obbligazionari è limitato, infatti la relativa consistenza non raggiunge l'8 per cento dei debiti finanziari delle imprese. Solo poche aziende italiane emettono obbligazioni sul mercato dei capitali, circa 10 all'anno, nell'ultimo decennio. Il confronto internazionale rileva un eccessivo ritardo del nostro Paese, in considerevole aumento negli ultimi anni. Al fine di superare il gap con il decreto-legge n. 83 del 2012 sono stati istituiti i cosiddetti «mini bond», ovverosia obbligazioni emesse da piccole e medie imprese attraverso una procedura semplificata. La stima delle possibili emissioni è stata quantificata in un valore compreso tra i 50 ed i 100 miliardi di euro. I «mini bond» avrebbero dovuto far confluire questa liquidità dai mercati finanziari verso l'economia reale, ma l'alto rischio, la bassa negoziabilità e l'alta volatilità degli stessi titoli, nonché – così come affermato dal governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco – il basso importo unitario delle emissioni e la difficile valutazione del merito creditizio ne hanno bloccato la concreta realizzazione;
in particolar modo si rileva che, la presenza in borsa è circoscritta a poche grandi imprese. Escludendo le società finanziarie, nel 2012 in Italia le imprese quotate risultano essere 230, a differenza delle circa 700 di Francia e Germania e della «Borsa di Londra» che risulta essere una delle principali «piazze finanziare» del mondo. In Italia il valore di mercato complessivo delle società non finanziarie quotate è inferiore al 20 per cento del prodotto interno, a fronte del 75 per cento della Francia e del 45 per cento della Germania. Questo significa che la quota prevalente di investimenti nei mercati finanziari, da parte del sistema bancario e finanziario italiano, favorisce il sistema produttivo degli altri Stati membri e delle principali economie internazionali e che l'aumento del PIL italiano non può essere decontestualizzato da maggiori investimenti a favore delle piccole e medie imprese «lontane» dai mercati finanziari;
diversamente, gli investimenti nell'economia reale, sotto forma di crediti a favore di famiglie ed imprese da parte di banche ed intermediari finanziari, sono stati subordinati prima all'imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) istituita dal decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 598, con aliquote che dal 1987 al 2003 sono oscillate da un minimo del 34 per cento ad un massimo del 37 per cento, e successivamente, con il decreto legislativo n. 344 del 12 dicembre 2003, all'imposta sul reddito delle società (IRES) con aliquota pari al 33 per cento dal 2004 al 2007 ed al 27,5 per cento a decorrere dal 2008. Altresì, gli investimenti nell'economia reale sono difficilmente liquidabili, maggiormente rischiosi e meno remunerativi rispetto ai lauti profitti derivanti dalle attività altamente speculative dell'economia finanziaria. Queste caratteristiche ed il maggior carico fiscale di tali fattispecie di investimenti si riflette inevitabilmente sulla percentuale di interessi passivi a carico di imprese e famiglie, e questo rende sicuramente meno sostenibile per le imprese «lontane dai mercati finanziari» reperire i capitali necessari allo svolgimento della propria attività;
le rendite di natura finanziaria dal 2011 al 2014 sono state tassate con un'aliquota pari al 20 per cento istituita dall'articolo 2, del decreto legge n. 138 del 2011, ed a decorrere dal 2014, sono tassate con un'aliquota pari al 26 per cento istituita dall'articolo 3 del decreto legge n. 66 del 2014 L'aumento al 26 per cento della tassazione delle rendite finanziarie riguarda tutte le fattispecie di reddito di capitale relative a interessi e proventi assimilati, fatto salvo alcune eccezioni, tra cui, in particolar modo, i titoli pubblici italiani ed equiparati ed i titoli pubblici di Stati Unione europea o See white list, tassati al 12,50 per cento. Il suddetto aumento e la concorrenza dei titoli pubblici avrà un importante impatto sul costo della raccolta dei capitali, nei mercati finanziari, da parte delle imprese italiane. L'aumento riguarda anche i redditi da partecipazione in fondi comuni d'investimento e Società di investimento a capitale variabile (Sicav), sia italiani che esteri, e gli interessi ed i proventi:
a) delle obbligazioni e delle cambiali finanziarie emesse da grandi emittenti, ovverosia banche e società con azioni negoziate nei mercati regolamentati;
b) delle obbligazioni, dei titoli similari e delle cambiali finanziarie negoziate nei medesimi mercati regolamentati ovvero nei sistemi multilaterali di negoziazione emessi da società diverse dai grandi emittenti;
da quanto asserito si desume che l'aumento della tassazione delle rendite di natura finanziarie renderà più difficile reperire i capitali per le circa 230 imprese italiane (non finanziarie) quotate nei mercati finanziari e per le 10 imprese in media all'anno che emettono obbligazioni sul mercato dei capitali;
per le piccole e medie imprese la situazione è sicuramente peggiore in quanto:
a) sarà sempre più difficile reperire capitali necessari all'esercizio dell'attività d'impresa a causa della loro scarsa attitudine all'utilizzo di strumenti finanziari di raccolta del capitale e della loro «lontananza» dai mercati finanziari, lontananza che crescerà in seguito all'aumento della tassazione delle rendite finanziarie al 26 per cento;
b) la sostenibilità dei crediti concessi da banche ed intermediari finanziari è minore rispetto agli strumenti finanziari utilizzati dalle imprese «presenti» nei mercati finanziari, a causa di interessi passivi a loro carico di valore maggiore;
c) la crisi economica ed il credit crunch hanno ridotto al minimo la reperibilità dell’«unica ed onerosa» fonte di finanziamento ovverosia il credito bancario;
i confidi rappresentano un tassello importante nel contesto finanziario italiano, svolgendo un apprezzabile ruolo di connessione fra banche e micro-piccole imprese. Nonostante le debolezze strutturali, la garanzia mutualistica ha concesso alle piccole e medie imprese di attenuare gli effetti del credit crunch, l'intensificarsi della crisi economica ha generato un forte aumento della domanda di garanzie e un notevole incremento nel numero di imprese associate. Questo intervento «provvidenziale» ha avuto un costo, infatti i confidi sono stati beneficiari di un immane flusso di fondi pubblici, mirati a lenire i prevedibili effetti di razionamento del credito a carico delle piccole e medie imprese. D'altronde i confidi non possono qualificarsi come un vero e proprio strumento di politica economica, in quanto la loro operatività è settoriale e particolaristica, e per tal motivo i loro effetti non si diffondono omogeneamente nel tessuto economico e produttivo, e quindi – i medesimi effetti – sono destinati a soccombere di fronte agli effetti negativi della crisi economica, unitariamente intesa. Infatti, dal 2008 ad oggi si assiste, in particolar modo per il compatto non vigilato dei confidi, ad un progressivo aumento della mole di sofferenze e perdite, ed altresì, le continue perdite, a fronte dei livelli di patrimonializzazione già di partenza esigui, non possono essere affrontate ed assorbite per lungo tempo;
l'articolo 1, comma 48, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ai fini del riordino del sistema delle garanzie per l'accesso al credito delle famiglie e delle imprese, del più efficiente utilizzo delle risorse pubbliche e della garanzia dello Stato, ha istituito il Sistema nazionale di garanzia, che ricomprende i seguenti fondi e strumenti di garanzia: il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese e il Fondo di garanzia per la prima casa. In particolar modo il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese è gestito per conto del Ministero dello sviluppo economico dal raggruppamento temporaneo di imprese costituito dalla mandataria Mediocredito Centrale spa e dalle mandanti Artigiancassa spa, MPS Capital Services Banca per le Imprese spa, Mediocredito italiano spa ed ICBPI – Istituto centrale delle banche Popolari italiane spa. L'articolo 1, comma 48, della suddetta legge ha rifinanziato il medesimo Fondo con 468 milioni di euro per il 2014, 550 milioni di euro per il 2015 e 550 milioni di euro per il 2016. Da quanto si desume i propositi e gli effetti benefici sono i medesimi dei richiamati confidi, ma anche al riguardo si evidenziano delle perplessità. Le risorse per quanto ingenti sono decisamente limitate rispetto alla portata globale della crisi economica, quindi i destinatari dell'iniziativa sono fortemente limitati ed altresì il Fondo è gestito da pochi istituti di credito senza una precisa articolazione territoriale che possa garantire una omogenea distribuzione delle risorse su tutto il territorio nazionale e soprattutto senza una equa distribuzione delle competenze tra tutti gli istituti di credito presenti nel territorio nazionale. I benefici realizzati sono del tutto marginali a fronte degli oneri erariali assunti e della settorialità e specificità delle iniziative;
nell'ultimo decennio, in Italia, si è assistito ad un poderoso processo di concentrazione bancaria, non sempre giustificato da corrette esigenze di rafforzamento patrimoniale ed economie di scala, ma principalmente ispirato da motivazioni legate al consolidamento di posizioni di potere di gruppi capitalistici e familiari «noti». Gli effetti sull'economia reale sono a tutti evidenti e quotidianamente denunciati da chi è chiamato a spiegare le ragioni profonde del declino del nostro Paese. Le piccole banche locali sono state, così, progressivamente assorbite da grandi gruppi bancari, e le diverse modalità di allocazione del credito operate da quest'ultime hanno avuto effetti sulla valutazione del merito creditizio delle imprese. Il processo di integrazione finanziaria determinando l'aumento della competizione nel sistema bancario ha determinato, altresì, una crescita del potere di mercato delle banche di grandi dimensioni. Ciò, a sua volta, ha favorito lo sviluppo di una segmentazione del mercato, in cui le banche di grandi dimensioni operano una differenziazione regionale del mercato mediante l'adozione, in ciascuna regione, di differenti politiche per quanto concerne la determinazione dei tassi di interesse e l'atteggiamento da tenere nei confronti della domanda di credito. Come sostenuto dalla «letteratura» ed evidenziato da numerose ricerche empiriche, solo alcune classi di debitori – le imprese di grandi dimensioni – e di regioni – quelle maggiormente sviluppate – usufruiscono concretamente della disponibilità di credito, mentre le piccole imprese e le regioni economicamente meno sviluppate e più periferiche, continuano ad operare con conseguenze negative per il sistema economico e produttivo. Quanto asserito è ampiamente dimostrato dai dati pubblicati dalla Banca d'Italia sul Bollettino Statistico del I trimestre 2014, dai quali si evince che la percentuale di impieghi effettuati dalle banche in relazione ai depositi è maggiore per le regioni del centro-nord Italia. Nello specifico per l'Italia Nord-Occidentale il rapporto Impieghi/Depositi e risparmio postale è pari al 145 per cento, per l'Italia Nord-Orientale il rapporto Impieghi/Depositi e risparmio postale è pari al 140 per cento, per l'Italia Centrale il rapporto Impieghi/Depositi e risparmio postale è pari al 184 per cento, per l'Italia Meridionale il rapporto Impieghi/Depositi e risparmio postale è pari al 89 per cento ed infine per l'Italia Insulare il rapporto Impieghi/Depositi e risparmio postale è pari al 110 per cento;
sempre dall'analisi del richiamato Bollettino statistico della Banca d'Italia si evince che la distribuzione dei finanziamenti deteriorati, sul piano regionale, è del tutta omogenea. Nello specifico i finanziamenti deteriorati in relazione agli impieghi sono pari al 4,8 per cento per l'Italia Nord-Occidentale, al 5,3 per cento per l'Italia Nord-Orientale, al 3,9 per cento per l'Italia Centrale, al 6,8 per cento per l'Italia Meridionale ed infine al 7,2 per cento per l'Italia Insulare. Sulla base di questa analisi si desume che gli investimenti nelle regioni del centro-sud Italia non siano eccessivamente più rischiosi rispetto agli investimenti effettuati nelle regioni settentrionali, e che gli investimenti in quest'ultime non sono i più sicuri;
sulla base di un'attenta analisi di quanto fin ora asserito si evincono una serie di connotazioni del nostro sistema economico, produttivo e finanziario che devono essere assunti come «postulati» nel tentativo di individuare soluzioni normative e fiscali preposte ad arginare la crisi economica:
a) in Italia esiste un sistema produttivo caratterizzato da piccole e medie imprese, al quale si sta contrapponendo un sistema bancario e finanziario di grandi dimensioni che predilige gli investimenti altamente speculativi dell'economia finanziaria;
b) a differenza di Francia, Germania e Regno Unito, il valore di mercato complessivo delle società non finanziarie quotate è inferiore al 20 per cento del prodotto interno ed il numero di imprese italiane che emettono obbligazioni sul mercato dei capitali è pari a circa 10 all'anno, negli ultimi dieci anni;
c) l'esigua percentuale di investimenti realizzati nell'economia reale, da parte di banche ed intermediari finanziari, è destinata esclusivamente alle imprese di maggiori dimensioni inserite in contesti economici più sviluppati e geograficamente più vicini e maggiormente collegati ai mercati europei;
al fine di aumentare la base monetaria di riferimento dell'economia reale bisognerebbe quindi adeguare, normativamente e fiscalmente, il sistema bancario e finanziario alle esigenze del sistema economico e produttivo italiano, agevolando, altresì, gli investimenti nell'economia reale a favore di famiglie ed imprese, e soprattutto evitare che le banche operino, sul piano regionale, diverse modalità di allocazione del credito. La ripresa del PIL italiano, il rispetto dei parametri europei e quindi la riduzione del rapporto deficit/PIL e debito pubblico/PIL – mediante l'aumento del denominatore – non può prescindere da queste considerazioni;
una soluzione in Italia sembrerebbe già esistere – seppur non sia stata mai valorizzata – le banche a carattere regionale previste dall'articolo 117, terzo comma, della Costituzione e dagli Statuti delle Regioni a statuto speciale;
i principi fondamentali in materia di banche a carattere regionale sono stati individuati dal decreto legislativo n. 171 del 2006 e dai suddetti Statuti. In particolar modo, caratteristiche principali delle «banche regionali» si sostanziano nell'ubicazione della sede e delle filiali nel territorio di una sola Regione e nella localizzazione regionale della loro operatività, determinata dalla Banca d'Italia, in conformità ai criteri deliberati dal Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR);
il CICR non ha ancora provveduto a determinare i criteri di localizzazione regionale dell'operatività bancaria, per tal motivo questa potrebbe essere una grande occasione per riformare il sistema bancario e finanziario italiano, rendendolo maggiormente compatibile con le esigenze del nostro sistema economico e produttivo caratterizzato prevalentemente da piccole e medie imprese «lontane» dai mercati finanziari. Infatti, piuttosto che procedere alla netta separazione dell'attività creditizia tradizionale da quella finanziaria (cosiddetto separazione bancaria), si potrebbe stabilire che le – sole – banche a carattere regionale debbano svolgere, nell'ambito della propria attività di rischio, prevalentemente attività di credito verso i clienti presenti nel territorio della regione, ma, altresì, si potrebbe riconoscere alle medesime banche la facoltà di svolgere, nei limiti di una percentuale prestabilita, attività di investimento a basso rischio, in particolar modo privilegiando gli investimenti nei settori strategici nazionali ed in titoli di Stato nazionali, riducendo, così, i pregiudizi per la stabilità economica e finanziaria del nostro Paese;
la regione siciliana è stata la prima in Italia ad aver disciplinato compiutamente la materia delle banche a carattere regionale, grazie anche alle prerogative riconosciute dallo statuto speciale. Delle 67 banche presenti in Sicilia, 34 banche – di cui 28 banche di credito cooperativo, 3 banche popolari e 3 banche spa – sono state annoverate nel relativo albo regionale. Il numero totale degli sportelli in Sicilia è pari a 1739 unità, di cui solo 510 riconducibili alle banche a carattere regionale. Dai dati pubblicati dal Dipartimento delle finanze e del credito della regione siciliana nel 2011, si evince che il volume complessivo dei depositi in Sicilia è pari a 53 miliardi di euro, di cui solo il 18,99 per cento, pari a circa 10 miliardi di euro, è detenuto dalle 34 banche a carattere regionale. La maggiore quota dei 10 miliardi di euro, pari al 70,12 per cento, è detenuta dalle 6 banche spa e banche popolari, mentre le 28 banche di credito cooperativo detengono una quota pari al 29,84 per cento. La percentuale di impieghi effettuata dalle due diverse categorie di banche riflette pienamente la percentuale di raccolta;
il dato che merita particolare attenzione è quello relativo alla percentuale di impieghi a favore delle imprese, infatti le banche a carattere regionale siciliane destinano il 60,37 per cento del volume complessivo di impieghi a favore delle imprese, mentre, le banche con sede fuori dalla Sicilia (e con filiali in Sicilia), destinano solo il 41,34 per cento del volume complessivo di impieghi a favore delle imprese. Da una più attenta disamina si evince quindi che le banche con sede fuori dalla Sicilia hanno 1229 sportelli nel territorio siciliano, gestiscono 43 miliardi di euro (pari al 70,12 per cento del volume complessivo dei depositi) e concedono solo il 41,34 per cento di prestiti alle imprese nell'ambito del volume complessivo dei propri impieghi, mentre le banche a carattere regionale presenti in Sicilia hanno solo 510 sportelli, gestiscono solo 10 miliardi di euro (pari al 29,84 per cento del volume complessivo dei depositi) ma concedono il 60,37 per cento dei prestiti alle imprese nell'ambito del volume complessivo dei propri impieghi;
i dati empirici della regione siciliana fanno desumere che le banche a carattere regionale abbiano una maggiore attenzione al sistema produttivo «locale» e per tal motivo sembrerebbero essere l'unica risorsa, pienamente operativa, atta a fronteggiare l'attuale crisi economica. Altresì, una mera disciplina normativa non è in grado di affrontare – in maniera risolutiva – una crisi economica di queste dimensioni, motivo per il quale, sulla base delle considerazioni fatte, sarebbe ulteriormente necessario ridurre il regime fiscale applicabile agli investimenti nell'economia reale, anche al fine di recuperare decenni di irragionevole divario di tassazione tra investimenti finanziari ed investimenti nell'economia reale;
il dottor Luigi Scipione, docente di diritto dell'economia presso l'università degli studi di Napoli «Federico II», ha valutato gli effetti finanziari della riduzione del regime fiscale sugli investimenti nell'economia reale realizzabili dalle banche a carattere regionale. Lo studio prende in considerazione le seguenti variabili: a) grado di sviluppo del sistema produttivo-economico del territorio; b) capacità di raccolta e di finanziamento degli istituti di credito presenti nel territorio; c) fattori di rischio connessi all'esistenza di barriere (in particolare, avversione delle grandi realtà bancarie preesistenti) all'entrata nel settore dei nuovi soggetti a carattere «territoriale» e d) capacità di ricorso da parte del settore bancario all'effetto leverage. Dai dati elaborati dal docente universitario si evince una stima di maggiori investimenti nell'economia reale (finanziamenti ad imprese e famiglie) così distribuita: da 60 a 65 miliardi di euro per il Nord Italia, dai 31 ai 36 miliardi di euro per il Centro Italia e dai 22 ai 25 miliardi di euro per il Sud Italia ed isole, con un valore complessivo dell'intervento che oscilla dai 113 ai 126 miliardi di euro;
una esenzione dalla base imponibile del 30 per cento degli utili derivanti da investimenti nell'economia reale, per le banche potenzialmente annoverabili tra le banche a carattere regionale, comporterebbe un maggior onere erariale pari a circa 90 milioni di euro. Trattasi di un aggravio irrilevante in considerazione della portata finanziaria dell'iniziativa in oggetto (se solo si pensa che il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese è stato rifinanziato con circa 1 miliardo e 500 milioni di euro);
l'istituzione di una sezione ad hoc nei sistemi di garanzia dei depositanti, riservata alle banche a carattere regionale e finanziata con contributi a carico delle stesse, potrebbe essere utile ad aumentare il limite di rimborso per ciascun depositante a 300.000 euro, rendendo così più sicura la gestione del risparmio in un settore, quello dell'economia reale, che soprattutto in questo periodo di crisi, potrebbe essere più «rischiosa»;
è doveroso precisare che, sul piano finanziario e monetario, si assisterebbe ad una progressiva riduzione di investimenti nei mercati finanziari, e la corrispondente quota della base monetaria esistente confluirebbe nell'economia reale sotto forma di credito a famiglie ed imprese. In tal modo, sulla base della richiamata Teoria quantitativa della moneta (TQM), si realizzerebbe lo stesso effetto «ambito» dalle iniziative «espansive» poste in essere dalla BCE, ovverosia la necessità di aumentare la base monetaria nell'economia reale per evitare la deflazione e per dare una spinta alla crescita del PIL. Ma, a differenza delle richiamate iniziative predisposte dalla BCE, la struttura dell'intervento delle banche a carattere regionale a favore dell'economia reale non potrebbe porre in essere nessun diverso effetto se non quello prefissato, poiché, la misura agevolativa entra in vigore solo all'atto dell'impiego nell'economia reale sotto forma di crediti ad imprese e famiglie. In assenza dell'impiego nell'economia reale resta pienamente in vigore il regime fiscale prestabilito. Invece, nel caso dell'iniziativa europea è doveroso sottolineare che, se il sistema bancario e finanziario non dovesse «spontaneamente» far confluire le maggiori disponibilità finanziarie predisposte dalla BCE a favore dell'economia reale, le medesime disponibilità confluirebbero inevitabilmente nei mercati finanziari, contribuendo al decadimento del sistema produttivo dell'economia reale ed all'accrescere delle «bolle finanziarie e speculative» con ulteriori pregiudizi per la stabilità sistemica non solo dell'economia nazionale ma, altresì, di tutti gli Stati membri. Anche gli strumenti T-Ltro non sono sicuri investimenti destinati all'economia reale, infatti la BCE predisporrà – con molta probabilità – delle misure dissuasive o sanzionatorie al fine di evitare che gli stessi confluiscano nei mercati finanziari;
secondo uno studio effettuato dalla Barclays le richieste che potranno pervenire nelle prime due operazioni di T-Ltro sono stimate in 270 miliardi di euro in tutta la zona Euro, mentre per l'Italia le operazioni di T-Ltro sono stimate in soli 75 miliardi di euro. La cifra è stata confermata anche dalle principali banche d'affari europee. Le maggiori criticità – ampiamente condivise dagli economisti – riguarderebbero invece l'effettiva realizzazione dei buoni propositi delle operazioni di T-Ltro in considerazione della scarsità dei risultati raggiunti dalle precedenti misure Ltro e dal «founding for lending» della Banca d'Inghilterra che ha connotazioni molto simili agli T-Ltro. Secondo Morgan Stanley – e lo stesso scetticismo aleggia anche fra le altre banche – il denaro derivante dalle operazioni T-Ltro potrebbe essere destinato solo alle aziende più grandi, con un merito creditizio più elevato, ignorando così le piccole e medie imprese che paradossalmente sono proprio il principale obiettivo del piano predisposto dalla BCE;
una più compiuta disciplina delle banche a carattere regionale non preclude ogni possibile riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, in quanto la relativa normativa di riferimento potrebbe essere implementata nel testo unico bancario senza alcuna difficoltà;
un'investimento nell'economia reale pari a circa 120 miliardi di euro – così come affermato dal Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco all'Assemblea ordinaria dell'Associazione bancaria italiana tenutasi lo scorso 10 luglio – determinerebbe un aumento del PIL stimabile in circa mezzo punto percentuale, con un conseguente aumento dei prezzi al consumo di entità analoga;
lo stesso Governatore della Banca d'Italia ha affermato che: «Per le banche di dimensioni più contenute sono da ricercare soluzioni volte ad accrescere il coordinamento tra intermediari e a generare una massa critica di attività. Interventi pubblici, purché compatibili con i vincoli di finanza pubblica e con le regole europee sugli aiuti di Stato, potrebbero contribuire a superare le difficoltà che gli intermediari incontrano nel liberare i bilanci dal peso dei crediti anomali e rilanciare l'offerta di credito a famiglie e imprese»;
così come asserito dal Governatore Mario Draghi, la predisposizione di misure espansive ed in particolar modo la riduzione del tasso di riferimento restano senza molti effetti in assenza di misure fiscali individuate dai Governi nazionali che indirizzino la liquidità così prodotta effettivamente verso l'economia reale. Per tal motivo l'esenzione – progressiva – dal reddito d'impresa degli utili derivanti dagli investimenti effettuati nell'economia reale da parte delle banche a carattere regionale, da un lato potrebbe essere un valido strumento che indirizza nell'economia reale la liquidità prodotta dalle recenti decisioni della BCE e dall'altro implicherebbe una maggiorazione degli investimenti – sempre a favore dell'economia reale – pari a circa 126 miliardi di euro. Il Governatore Mario Draghi ha affermato che se le politiche fiscali e le riforme strutturali tarderanno a realizzarsi, la politica monetaria predisposta dalla BCE resterà incompleta,
impegna il Governo:
ad assumere ogni iniziativa di competenza, affinché il Comitato interministeriale del credito e del risparmio definisca i criteri relativi alla localizzazione regionale dell'operatività delle banche a carattere regionale;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative di carattere normativo, al fine di inserire tra i requisiti della localizzazione regionale dell'operatività delle banche a carattere regionale, sia per le regioni a statuto ordinario che a statuto speciale:
a) una percentuale minima, in relazione al valore complessivo dell'attività di rischio e nei limiti della sana e prudente gestione della banca, di crediti concessi a famiglie e piccole e medie imprese che abbiano la residenza o la sede, ovvero una stabile organizzazione nelle regioni nelle quali le banche a carattere regionale abbiano la propria sede o le proprie filiali;
b) una percentuale massima, in relazione al valore complessivo dell'attività di rischio, di crediti concessi a clienti che abbiano la residenza o la sede, ovvero una stabile organizzazione fuori dalle regioni nelle quali le banche a carattere regionale abbiano la propria sede o le proprie filiali;
a valutare l'opportunità di avviare presso le Conferenze Stato regioni e la Conferenza unificata ogni genere di iniziativa al fine di assicurare una legislazione regionale di dettaglio, in materia di banche a carattere regionale, il più possibile omogenea;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative dirette a modificare le caratteristiche delle banche a carattere regionale, prevedendo come unici criteri distintivi l'ubicazione della sede e delle filiali nel territorio della Repubblica e la localizzazione regionale della loro operatività in modo da consentire a qualsiasi istituto creditizio, sia nazionale che di altri Stati membri dell'Unione europea, di costituire una banca a carattere regionale;
al fine di predisporre misure fiscali volte ad agevolare la patrimonializzazione delle piccole e medie imprese ed in coerenza con la disciplina degli aiuti di Stato alle imprese, ad assumere iniziativa anche di carattere normativo, al fine di prevedere una esenzione dal reddito d'impresa per gli utili derivanti da crediti concessi dalle banche a carattere regionale, con un tasso d'interesse non superiore al 2 per cento, a piccole e medie imprese che abbiano un rapporto tra debiti e capitale sociale inferiore o pari a 2;
ad assumere iniziative di competenza anche di carattere normativo, al fine di prevedere, per gli utili derivanti dagli investimenti effettuati dalle banche a carattere regionale nell'economia reale sotto forma di crediti a famiglie e piccole e medie imprese ed a favore dei settori strategici nazionali, in coerenza con la disciplina degli aiuti di Stato alle imprese, una progressiva esenzione dal reddito d'impresa in relazione all'aumentare del volume compressivo di crediti concessi a famiglie e piccole e medie imprese ed a favore dei settori strategici nazionali;
ad assumere iniziative di carattere normativo, al fine di istituire, per le banche a carattere regionale, una sezione ad hoc nei sistemi di garanzia dei depositanti previsti dal testo unico bancario, finanziata con contributi obbligatori a carico delle medesime banche al fine di aumentare il limite di rimborso per ciascun depositante a 300.000 euro;
ad assumere ogni iniziativa di competenza al fine di proporre alla Banca centrale europea ed alle competenti istituzioni europee di aumentare, per le banche a carattere regionale, il volume complessivo di Targeted Long Term Refinancing Operation (T-LTRO) da destinare a famiglie e piccole e medie imprese.
(1-00626) «Currò, Barbanti, Pisano, Pesco, Cancelleri, Ruocco, Alberti, Rizzetto, Prodani, Pinna, Castelli, Rostellato, Bechis, Turco, Mucci».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazioni a risposta scritta:
GIGLI e SBERNA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
da anni si aspettano i protocolli operativi regionali e la banca dati nazionale per le adozioni internazionali, mentre in soli 25 giorni le regioni, avvalendosi di proprie linee guida regionali, hanno già trovato l'accordo sulla fecondazione eterologa, in contrasto peraltro con quanto dispone l'articolo 7 della stessa legge n. 40 del 2004, che prevede espressamente al comma 1 che solo e soltanto «Il Ministro della salute, avvalendosi dell'Istituto superiore di sanità, e previo parere del Consiglio superiore di sanità, definisce, con proprio decreto, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, linee guida contenenti l'indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita»;
le associazioni e gli enti accreditati all'adozione in Italia hanno più volte rivolto appelli accorati affinché Governo e regioni dedichino le stesse energie, già investite per dare applicazione alla legge in materia di fecondazione assistita, anche nella direzione di districare le questioni aperte nell'adozione, così come per reperire i fondi per quella internazionale — fermi da tre anni — e per far funzionare adeguatamente la Commissione adozioni internazionali;
le famiglie possono arrivare a spendere, nelle adozioni internazionali, anche 10 mila euro;
a fronte di tali ingenti spese, i fondi per i rimborsi alle famiglie, nonché i fondi per i servizi post-adozione, sono oggi praticamente inesistenti e si possono portare in detrazione fiscale soltanto il 50 per cento delle risorse adoperate;
l'impegno finanziario del Governo sarebbe invece necessario, al fine di garantire la gratuità delle adozioni a quelle coppie che versano in difficoltà economiche;
l’iter per l'adozione internazionale richiede oggi una media di 3-4 anni dall'inizio della procedura, anche a causa di lungaggini burocratiche, nonché a volte in ragione di aperti contrasti tra Governi (da ultimo si segnala il caso del Congo), conflitti nei quali a perdere sono prima di tutto i bambini incolpevoli e le famiglie destinatarie;
il calo del numero di coppie che in Italia fanno richiesta d'adozione è drammatico: da circa 6 mila nel 2006 si è passati a non oltre le tremila coppie nell'anno 2013;
i dati sul primo semestre 2014 — stando a quanto riportato dalle associazioni operanti nel settore — mostrano un ulteriore crollo del 30 per cento;
i bimbi che devono essere adottati portano spesso sulle spalle segni di maltrattamenti e abusi ed hanno pertanto bisogno di percorsi di sostegno dopo l'adozione, soprattutto durante alcuni momenti particolari della loro crescita, come l'adolescenza;
i fondi per le famiglie che sostengono pesanti costi per l'adozione, ed in particolare per quelle che hanno adottato ragazzi difficili e che quindi devono intraprendere con loro un cammino di crescita speciale, non ci sono;
secondo alcune associazioni del settore, da parte istituzionale difatti si porrebbe in essere una «grave irresponsabile distrazione verso una forma alta di accoglienza come l'adozione» e «verso un mondo elettoralmente poco rilevante come i bambini»;
servirebbero circa 30 milioni per dare risorse economiche e umane per evitare che tra qualche tempo tutto il sistema degli enti autorizzati salti, visto che molte sedi territoriali saranno costrette a chiudere;
serve quindi un cambiamento culturale atto a superare la tendenza prevalente, volta a guardare soltanto ai bisogni degli adulti, ma non a garantire quel gesto d'amore che rende giustizia a un bambino che la società non è stata in grado d'aiutare, quell'atto di grande solidarietà e sacrificio che si compie attraverso l'adozione, che non è arduo definire speculare a quello che agli interroganti appare il solipsismo narcisista che fa da sostrato alla fecondazione eterologa –:
quali urgenti iniziative intenda il Governo porre in essere al fine di sostenere ed incentivare quegli atti di grande solidarietà umana, quali le adozioni, in particolare quelle internazionali;
se intenda il Governo adoperarsi al fine di reperire quei fondi necessari al sostegno del sistema di enti autorizzati, che rappresenta un tramite fondamentale ed insostituibile per il settore delle adozioni;
se non reputi il Governo utile adoperarsi in azioni diplomatiche volte ad agevolare le adozioni internazionali. (4-06403)
TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, ROSTELLATO, CASO, BECHIS, PESCO, MANLIO DI STEFANO, DE ROSA e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
in data 7 febbraio 2014, sul sito MB News veniva riportata la notizia dell'esistenza di un progetto ACI (Automobile Club Italia) per la riqualificazione dell'Autodromo nazionale di Monza, stimato in circa 80 milioni di euro già depositato in regione Lombardia all'inizio dell'anno 2014, che si contrappone alla notizia che ACI Milano e SIAS, società che gestisce l'autodromo di Monza controllata da ACI Milano, starebbero lavorando ad un progetto complessivo per riqualificare l'autodromo e il Parco;
in data 18 marzo 2014, in regione Lombardia è stata approvata la mozione n. 209 con DCR X/334, che invita la giunta dello stesso ente ad assumere le opportune decisioni per salvaguardare la funzionalità dell'Autodromo di Monza e la continuità del circuito come sede di un evento del Mondiale di Formula Uno anche oltre il 2016;
in data 1o luglio 2014, il sito «RaiNews» riportava che il patron della Formula Uno, Bernie Ecclestone, non aveva intenzione di rinnovare il contratto in scadenza nel 2016 con l'Autodromo nazionale di Monza. Motivazione principe sarebbe quella che non vi è allineamento del pagamento del canone annuo con quello degli altri circuiti europei attualmente di circa 20 milioni di dollari rispetto ai 10 corrisposti dall'autodromo di Monza;
in data 3 luglio 2014, il Corriere della Sera Milano pubblicava la notizia che il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni annunciava, alla luce delle intenzioni di Ecclestone, di voler coinvolgere regione Lombardia nel «salvataggio» del Gran Premio di Monza, con una cabina di regia comprendente anche il Governo per consentire alla società SIAS di aprire la trattativa economica con il capo della Formula Uno;
in data 5 luglio 2014, Il Cittadino di Monza e Brianza riportava la dichiarazione del governatore Maroni riguardante l'intenzione di regione Lombardia di entrare nella proprietà del Parco di Monza, allo stato attuale comprendente anche l'autodromo, di proprietà dei comuni di Monza e Milano, al fine di avere più possibilità di intervenire finanziariamente per la riqualificazione di Parco e Autodromo stessi. Tale notizia, richiedente un oneroso impegno di denaro pubblico da parte di regione Lombardia, non risulta essere supportata da studi ed analisi certi ricavati dall'elaborazione di dati a consuntivo verificati negli anni, ma soltanto su previsioni e stime;
in data 2 settembre 2014, il quotidiano online Il Cittadino MB riportava la notizia della camera di commercio di Monza e Brianza che rendeva noto il bilancio di previsione per il Gran Premio di Formula Uno di Monza che si sarebbe svolto il 7 settembre 2014, dichiarando che avrebbe generato un indotto turistico «diretto» di 28,5 milioni di euro e stimando il brand «Gran Premio d'Italia» in 3,8 miliardi euro. Tali dati sono stati ricavati tramite un'analisi improntata in un'ottica di previsione e di stima senza alcuna elaborazione dei dati a consuntivo e senza riferimenti rispetto agli anni precedenti;
in data 3 settembre 2014, il sito MB News riportava la notizia che, in occasione della presentazione dell'85o edizione del Gran Premio di Monza, il sottosegretario con delega Expo, Fabrizio Sala, confermava la volontà di regione Lombardia di investire nel Parco e nell'Autodromo per rilanciare lo sport automobilistico in previsione di un ritorno economico a livello turistico sportivo e di attrattività anche in occasione di Expo 2015;
in data 7 settembre 2014, in occasione del Gran Premio di Monza, il sito Lombardia Notizie riportava la dichiarazione del Presidente Maroni che affermava di essere «tutti impegnati, la Regione, la Società che gestisce l'autodromo, l'ACI, per fare in modo che il Gran premio resti a Monza anche dopo il 2016, data in cui scade il contratto» –:
se il Governo sia in possesso di analisi e studi certi ed approfonditi relativi all'indotto generato dall'Autodromo a beneficio del territorio monzese, brianzolo e lombardo, in base ai quali motivare l'investimento di risorse pubbliche su progetti di rilancio dell'Autodromo di Monza;
se il Governo sia a conoscenza del fatto che SIAS e ACI Milano abbiano già presentato nei mesi scorsi in regione Lombardia un progetto di riqualificazione dell'autodromo di Monza o se abbiano intenzione di presentarne uno di riqualificazione complessiva di parco e autodromo;
se il Governo intenda finanziare tali progetti e con quante risorse e quali modalità;
se il Governo intenda favorire il rinnovo del contratto dell'Autodromo di Monza per il Gran Premio di Formula Uno e se sì, con quali modalità e quali fondi.
(4-06418)
COLONNESE, TOFALO e FICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
il grande progetto «Centro storico di Napoli, valorizzazione del sito UNESCO» contribuisce alla realizzazione degli obiettivi del POR 2007-2013. Esso, in particolare, concorre alla realizzazione dell'obiettivo specifico 6.1 «Rigenerazione urbana e qualità della vita» in attuazione dell'Obiettivo Operativo 6.2 – «Napoli e area metropolitana», che prevede di realizzare piani integrati di sviluppo urbano sostenibile nell'area metropolitana di Napoli, al fine di ridurre il degrado sociale ed ambientale e favorire la sua funzione di stimolo all'innalzamento della competitività del sistema policentrico delle città»;
gli interventi previsti dal grande progetto rientrano nel piano integrato di sviluppo urbano del comune di Napoli e nell'ambito del sito UNESCO. In quest'ambito la realizzazione del grande progetto, in complementarietà con gli interventi che insisteranno sull'area metropolitana della città di Napoli (grandi progetti parco urbano di Bagnoli e polo fieristico), si pone in stretta coerenza con la strategia di sviluppo delineata dall'Asse VI del POR Campania FESR 2007-2013, che pone un'attenzione specifica sul risanamento della città partenopea e della sua area metropolitana, come nodo rilevante della rete dei centri urbani della regione;
l'analisi dei dati disponibili dal Ministero dell'economia e delle finanze (sito internet «opencoesione» del dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica) evidenzia una notevole tendenza delle regioni inserite nell'obbiettivo «Convergenza» come la regione Campania a destinare ingenti fondi per investimenti di natura infrastrutturale;
i valori riscontrati, individuano per la regione Campania la maggiore incidenza in termini assoluti per l'impegno economico per il quale la sezione «infrastrutture» ha un importo pari all'81 per cento circa rispetto al totale della dotazione disponibile;
inoltre, i dati indicano che la regione Campania, dopo la regione Sicilia, è prima per incidenza di spesa media per la sezione «infrastrutture» riferita al singolo abitante;
a partire dal settembre 2012 il programma ha subito 2 rimodulazioni: la prima di 600 milioni di euro e la seconda di 1.688 milioni di euro, per mancata programmazione gli importi sono stati ridotti per 2.288 milioni;
secondo gli interroganti i termini utilizzati nella programmazione fanno presupporre la presenza di: un piano strategico per la gestione del «grande progetto UNESCO»; la complementarità del progetto realizzato in sinergia con altri programmi che insistono sull'area metropolitana; la presenza di un piano di sviluppo per la riduzione del degrado; un'attenzione significativa al «Centro storico di Napoli»;
dal 17 gennaio 2014 ad oggi, a quanto risulta agli interroganti, sono state bandite 9 gare di appalto di lavori per un totale di 44 milioni di euro; 5 gare di progettazione a partire dalla data del 4 agosto 2014 per un totale di circa 10 milioni di euro; aggiudicata una sola gara per un totale di 700.000 euro. Ad oggi non risultano cantieri aperti;
dall'esame di alcune delibere comunali di autorizzazione ed approvazione dei progetti, ad avviso degli interroganti, sembrerebbe implicitamente desumibile che gli appalti sono senza copertura finanziaria, anche alla luce delle osservazioni del segretario comunale in merito;
malgrado l'ormai prossima scadenza del fondo, dicembre 2015, i ritardi accumulati nelle procedure attivate fino ad oggi e le indicazioni dei singoli capitolati, riportano tempi di completamento che vanno ben oltre la data prevista di fine programma;
non risulta la presenza di un piano operativo di gestione che possa determinare l'incremento del beneficio apportato al territorio di cui alla delibera n. 406 del 2012 comune di Napoli;
la regione Campania ha anticipato 2 milioni di euro ma non sono state definite modalità di rientro;
con delibera di giunta comunale n. 406 del 25 maggio 2012 è stato firmato il protocollo di intesa tra regione Campania, comune di Napoli, l'arcidiocesi di Napoli, Ministero per i beni e le attività culturali, direzione regionale dei beni culturali e paesaggistici della Campania costituendo «La cabina di regia» la cui coordinazione è affidata al presidente della giunta regionale. Scopo della «cabina di regia» è quello di fornire impulso e coordinamento strategico finalizzati all'attuazione del protocollo di intesa. La presenza di enti non pubblici potrebbe dar luogo, secondo gli interroganti, a un rischio di «conflitti di interesse» per la gestione della «cosa pubblica»;
manca ogni tipo di sviluppo delle risorse del territorio –:
nell'eventualità che la realizzazione dell'opera non avesse inizio oppure risultasse incompiuta e/o non collaudata, in che maniera sarà gestita la scadenza del fondo;
se al Governo risulti quali siano i motivi per cui si siano svolte gare di appalto senza copertura finanziaria, contro l'esplicito richiamo dell'Autorità per la vigilanza dei lavori pubblici e se sia noto con quali risorse si fronteggerebbe l'eventuale mancato finanziamento che ne potrebbe derivare;
quale sia il criterio di scelta dei siti oggetto di intervento e quali siano i criteri e gli indici di misurazione dell'efficacia dell'intervento;
se esistano accordi di programma in relazione alle strutture esistenti sul territorio che potrebbero trarre benefici dal piano, con chi siano state stipulate e dove sia possibile prenderne visione;
con quale principio sia stata stabilita la priorità degli interventi;
se intenda esporre le motivazioni in ordine alla scelta di non ricorrere a risorse e strutture presenti sul territorio non favorendone quindi lo sviluppo. (4-06423)
COLONNESE, TOFALO, SIBILIA, DE LORENZIS e SILVIA GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il «Grande Progetto logistica e porti – Sistema integrato portuale di Napoli» dell'autorità portuale di Napoli rientra nei «Grandi Progetti» finanziati attraverso l'uso di fondi strutturali relativi alla programmazione 2007-2013;
il progetto è finalizzato allo sviluppo produttivo dell'area portuale di Napoli in termini di potenziamento della capacità logistica ed intermodale e delle relative aree di pertinenza. Il Grande Progetto prevede sia il rafforzamento dei collegamenti marittimi della città di Napoli con il resto del Mediterraneo che la razionalizzazione e il miglioramento delle relazioni con il sistema ferroviario per il trasporto delle merci. Pertanto si prevede un insieme integrato di interventi di: ampliamento della capacità produttiva del porto; razionalizzazione e potenziamento dei collegamenti intermodali del porto;
l'insieme degli interventi previsti mira a rilanciare il porto di Napoli quale piattaforma commerciale nel Mediterraneo ove allocare attività economiche compatibili e finalizzate al potenziamento delle funzioni del porto di Napoli;
il Grande Progetto contribuisce all'attuazione dell'Asse IV del Programma Operativo Accessibilità e trasporti, in particolare attua l'obiettivo specifico 4.b del POR FESR Campania 2007/2013 che mira a valorizzare il territorio regionale nel contesto nazionale e comunitario mediante lo sviluppo del Sistema regionale della logistica. In particolare l'Obiettivo Specifico 4.e è finalizzato allo sviluppo della competitività regionale attraverso il miglioramento e la qualificazione del sistema integrato della portualità regionale;
il Grande Progetto mira al potenziamento della capacità logistica ed intermodale del porto di Napoli e delle aree retro-portuali di pertinenza. L'insieme degli interventi previsti contribuisce a rilanciare il porto di Napoli quale piattaforma commerciale nel Mediterraneo;
l'intervento presenta sinergie/complementarietà con il Grande Progetto «Logistica e porti. Sistema integrato portuale di Salerno» e con il Grande Progetto riqualificazione urbana area portuale Napoli Est;
gli studi di fattibilità sono terminati sia a riguardo dei lavori da eseguire nell'area portuale sia a riguardo dell'area destinata all'accessibilità portuale. Diverse opere sono già in avanzata fase di definizione (progetti definitivi e/o stralci funzionali). Si prevede che i lavori termineranno entro il 2015 stante anche la possibilità di affrontare le lavorazioni in contemporanea su più fronti di lavoro (accessibilità, impianti, porto, mare);
la progettazione definitiva è in corso, si prevedono per la realizzazione del progetto 52 mesi e la scadenza del fondo è a dicembre del 2015;
la finalità strategica del Grande Progetto «Logistica e Porti» è volta allo sviluppo produttivo in ambito urbano dell'area orientale di Napoli, al potenziamento della capacità logistica ed intermodale del porto di Napoli e delle aree retroportuali di pertinenza ed alla valorizzazione urbana dell'area orientale di Napoli;
il Commissario per la politica regionale e urbana, Johannes Hahn, che ha firmato l'autorizzazione del Grande progetto del porto di Napoli, ha dichiarato: «Questo progetto è un buon esempio di come i fondi regionali dell'Unione europea possono aiutare lo sviluppo dell'economia del Sud d'Italia creando migliori condizioni per il trasporto merci nel porto di Napoli, che è uno dei porti più strategici del Mediterraneo. È un importante passo verso una migliore qualità delle infrastrutture e la sostenibilità del porto e rende la regione Campania ancora più attraente per gli spedizionieri e gli operatori di trasporto»;
nel cosiddetto «Libro Bianco» dei trasporti, approvato dalla Commissione europea con decisione COM (2011) 144 del 28 marzo 2011, si mettono a punto le strategie finalizzate ad ottimizzare, entro il 2050, l'efficacia delle catene logistiche multimodali attraverso: a) il collegamento tra tutti i principali porti marittimi attraverso la creazione di una «cintura blu» nei mari che bagnano l'Europa; b) il completamento della rete TEN-T, che richiederà circa 550 miliardi di euro fino al 2020, di cui circa 215 saranno destinati all'eliminazione delle strozzature; e) il miglioramento della trasparenza in materia di finanziamento dei porti, chiarendo la destinazione dei fondi pubblici alle differenti attività portuali con l'obiettivo di evitare distorsioni della concorrenza;
con la delibera 30 del 28 luglio 2011 dell'Autorità portuale di Napoli venivano delineate le linee strategiche del porto di Napoli in relazione: allo stato e volumi delle concessioni; alle potenzialità di sviluppo in relazione agli adeguamenti strutturali;
con deliberazione n. 756 del 21 dicembre 2012 la giunta regionale della Campania ha preso atto, tra l'altro, dell'adesione della regione stessa al PAC – Misure anticicliche e salvaguardia di progetti avviati, che prevede la riprogrammazione dei Programmi operativi regionali, cofinanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR);
con deliberazione n. 148 del 27 maggio 2013 la giunta regionale ha operato una scelta strategica volta all'accelerazione della spesa dei Fondi strutturali attraverso interventi finanziati dal POR FESR 2007-2013;
il Parlamento europeo ha approvato, in data 19 novembre 2013, un Accordo con gli Stati membri sul nuovo meccanismo per collegare l'Europa (CEF – Connecting Europe facility), volto ad accelerare il finanziamento per completare le infrastrutture nel settore dei trasporti, anche marittimi, risolvendo la questione dei collegamenti mancanti e delle strozzature delle reti;
il citato CEF a gestione diretta dell'Unione europea che finanzia i progetti transnazionali, è complementare al Fondo europeo di sviluppo regionale che deve essere utilizzato per affrontare, e risolvere, le strozzature locali;
il Regolamento (UE-EURATOM) n. 1311 del Consiglio europeo del 2 dicembre 2013 stabilisce il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020;
la Commissione europea, con decisione C (2014) 3873 del 13 giugno 2014, «... ha valutato il Grande Progetto alla luce dei fattori di cui all'articolo 40 del Regolamento (CE) n. 1083/2006 e ritiene che sia coerente con le priorità del programma operativo, che contribuisca al raggiungimento dei loro obiettivi e che sia coerente con le altre politiche dell'Unione ...»;
con deliberazione n. 282 del 18 luglio 2014 la Giunta regionale della Campania, in linea con le previsioni comunitarie, ha approvato ed adottato il documento di sintesi del POR Campania FESR 2014-2020, con la previsione di misure di salvaguardia delle operazioni programmate in overbooking rispetto alla dotazione del POR FESR 2007-2013;
le progettazioni acquisiste dall'autorità portuale di Napoli, fin dall'anno 2011, dovranno essere verificate e validate, anche con prescrizioni, al fine di realizzare il preminente interesse pubblico, consentire il rapido avvio delle procedure di gara, con la previsione di idonee clausole di salvaguardia, nel rispetto della normativa comunitaria di riferimento e, per l'effetto, non pregiudicare il piano di sviluppo del porto di Napoli che, in mancanza, si vedrebbe privato dei fondi necessari per il suo miglioramento infrastrutturale;
l'autorità portuale di Napoli, ricevuta la copertura finanziaria da parte della Commissione europea e della regione Campania, deve assicurare il preminente interesse pubblico, scongiurando la possibilità di non poter utilizzare i fondi europei previsti nella misura attuale POR 2007-2013 e, in presenza di overbooking, quella futura POR 2014-2020 configurandosi, in tal caso, una autonoma voce di danno patrimoniale che va commisurato, come da unanime e consolidata giurisprudenza, non alla mera perdita del risultato stesso ma alla perdita di possibilità di conseguire un risultato positivo;
in data 18 giugno 2014 la regione Campania con decreto dirigenziale 6 ha ammesso a finanziamento il Grande Progetto «Logistica e Porti-Sistema integrato portuale di Napoli che racchiude appalti per un importo totale pari ad euro 154.200.000,00;
in data 11 luglio 2014, con delibera n. 179 dell'autorità portuale, in relazione all'approvazione cui al decreto dirigenziale n. 6 del 18 giugno 2014 viene redatta la convenzione tra Autorità portuale e Ministero del lavoro e delle politiche sociali, provveditorato alle opere pubbliche di Napoli per la gestione delle gare di appalto relative agli appalti del «Grande Progetto» anche in relazione alla carenza di personale che alla data è dichiarata per solo il 40 per cento della effettiva forza disponibile;
in data 28 Luglio 2014, con delibera n. 206 dell'autorità portuale viene approvato lo schema della Convenzione tra l'autorità portuale di Napoli e la regione Campania – U.O.G.P., per l'attuazione del Grande progetto «Logistica e porti – Sistema Integrato portuale di Napoli» che, riporta gli impegni tra le parti, in coerenza con la decisione comunitaria di approvazione del Grande Progetto oltre che con gli orientamenti di chiusura dei Programmi Operativi 2007-2013 di cui alla decisione C (2013) 1573 del 20 marzo 2013;
il responsabile del procedimento dei due interventi in oggetto, ingegner Alberto Bracci Laudiero, in qualità di funzionario quadro dell'Autorità portuale, nominato giuste le delibere A.P. di conferimento incarico n. 147 del 9 marzo 2010 e n. 263 del 25 maggio 2012, con nota n. 246 del 14 aprile 2014, afferente il «completamento fognatura del Porto di Napoli», trasmetteva il verbale di validazione «con esiti negativi» del progetto (ancora non aggiornato ai prezzi della Tariffa Campania del 2013) per: 1) mancanza del recapito finale; 2) mancanza disponibilità finanziaria; 3) impossibilità di inserimento nell'elenco annuale dei lavori 2014; 4) impossibilità di spesa dei fondi europei entro il 31 dicembre 2015; b) con nota n. 247 del 14 aprile 2014, afferente i «collegamenti stradali e ferroviari», trasmetteva il verbale di validazione «con esiti negativi» del progetto (aggiornato ai prezzi della Tariffa Campania del 2013) per: 1) mancanza disponibilità finanziaria; 2) impossibilità di inserimento nell'elenco annuale dei lavori 2014; 3) impossibilità di spesa dei fondi europei entro il 31 dicembre 2015; 4) presenza di edifici interferenti con il tracciato delle opere, non ancora demoliti dal concessionario Tirreno Power, come previsto dal protocollo di intesa siglato il 19 dicembre 2003, protocollo n. 9308, che non consente di rilasciare l'attestazione prevista dall'articolo 106, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010;
l'autorità portuale precisa che lo stallo dei procedimenti, ricevuta la copertura finanziaria da parte dell'Unione europea e della regione Campania, può irrimediabilmente pregiudicare l'utilizzo dei fondi europei previsti nelle misure POR FESR 2007-2013 e 2014-2020 e può concretizzare danni patrimoniali discendenti, come già evidenziato nella delibera A.P. n. 206 del 28 luglio 2014, «... non alla mera perdita del risultato stesso ma alla perdita di possibilità di conseguire un risultato positivo ...»;
con delibera dell'Autorità Portuale n. 213 in data 17 settembre 2014 viene affidata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti-provveditorato interregionale alle opere Pubbliche Campania e Molise l'espletamento delle seguenti attività: validazione del progetto definitivo; responsabile del procedimento; procedure di appalto, fino alla dichiarazione di aggiudicazione definitiva; direzione dei lavori, controllo tecnico contabile e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione; attività di supporto tecnico amministrativo al responsabile del procedimento; collaudo statico, impiantistico e tecnico-amministrativo;
i progetti previsti, alla data del 25 settembre 2014 risultano all'interrogante in stato non esecutivo e con tempi non compatibili rispetto ai tempi di completamento previsti dei finanziamenti FESR;
l'intervento risulterebbe parziale rispetto il Piano di indirizzo del 28 luglio 2011;
la Stazione unica appaltante non opererebbe a quanto consta agli interroganti nelle vesti di «Centrale Unica di Committenza» e gli elaborati progettuali sarebbero a pagamento per chi vuole partecipare;
gli interventi sono di fondamentale importanza per lo sviluppo economico della regione Campania e per la città di Napoli e anche per le particolari condizioni ambientali in cui si trovano le strutture portuali che ancor oggi non sono servite da un idoneo impianto fognario e da impianto di depurazione delle acque;
la possibile perdita di stanziamenti pubblici, messi a disposizione dalla Comunità europea e regione Campania, rappresenterebbe un grave nocumento per il traffico commerciale con ripercussioni sul tessuto economico dell'intera provincia di Napoli oltre a causare numerosi licenziamenti –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto;
nell'eventualità che la realizzazione dell'opera non avesse inizio oppure risultasse incompiuta e/o non collaudata, in che maniera sarà gestita la scadenza del fondo;
come mai siano stati stipulati accordi e posti in essere atti con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti-provveditorato interregionale alle opere pubbliche Campania e Molise pur consapevoli della impossibilità di esecutività degli appalti finanziati;
se intenda esporre le ragioni in ordine alle quali non si è proceduto per tempo utile alla redazione della valutazione di impatto ambientale, prevista per i lavori connessi all'approvazione del piano regolatore portuale al punto da dover modificare il piano di richiesta del finanziamento da 12 progetti a soli 9 progetti per un importo iniziale pari a 24.000.000 ridotto ad euro 154.200.000;
quale sia il criterio di scelta dei siti oggetto di intervento e quali siano i criteri e gli indici di misurazione dell'efficacia dell'intervento visto che non esiste un piano operativo di gestione che possa determinare l'incremento del beneficio apportato al territorio;
se esistano accordi di programma in relazione alle strutture esistenti sul territorio del comune di Napoli, lungo la fascia del retro porto, che potrebbero trarre benefici dal piano; con chi sano state stipulate e dove sia possibile prenderne visione;
con quale principio sia stata stabilita la priorità degli interventi;
se intenda esporre le motivazioni in ordine alla scelta di non ricorrere per i progetti definitivi a risorse già impiegate nell'autorità portuale, quindi agli stessi tecnici che, con competenza e perfetta conoscenza delle problematiche oltre che dei luoghi, hanno elaborato le proposte progettuali preliminari;
se i Ministri interrogati intendano, ciascuno per le proprie competenze, assumere iniziative e quali a tutela dell'occupazione e degli effetti sociali degli eventuali licenziamenti. (4-06425)
DIENI, DADONE, DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, NESCI, TONINELLI, COZZOLINO, DALL'OSSO, DI VITA, SIBILIA, PETRAROLI, COLLETTI, D'AMBROSIO, CASTELLI e LUIGI GALLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165, norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche prevede, all'articolo 45, che i contratti collettivi del pubblico impiego definiscono, secondo criteri obiettivi di misurazione, trattamenti economici accessori collegati alla produttività individuale, alla produttività collettiva tenendo conto dell'apporto di ciascun dipendente e all'effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate obiettivamente ovvero pericolose o dannose per la salute;
l'intenzione di introdurre un sistema legato alla premialità è stata in seguito ribadita e meglio precisata nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, specificamente nel Titolo III che è per l'appunto dedicato a «Meriti e premi»;
l'articolo 19 prevede che «in ogni amministrazione, l'Organismo indipendente, sulla base dei livelli di performance attribuiti ai valutati secondo il sistema di valutazione di cui al Titolo II del presente decreto, compila una graduatoria delle valutazioni individuali del personale dirigenziale» e che «per i dirigenti si applicano i criteri di compilazione della graduatoria e di attribuzione del trattamento accessorio, con riferimento alla retribuzione di risultato»;
il 9 ottobre 2014 nella città di Genova, le acque del Bisagno, il torrente che attraversa il capoluogo ligure a pochi passi dalla stazione Brignole, dallo stadio e dal carcere di Marassi, sono straripate pochi minuti dopo le 23;
poche ore dopo lo stesso evento si è ripetuto sui torrenti Fereggiano e Sturla;
gli allagamenti, iniziati nella notte tra giovedì 9 e venerdì 10 hanno portato a strascichi che si sono protratti sino alla giornata di lunedì 13 ottobre e avranno ricadute pesantissime su, un periodo di tempo che non è ancora possibile preventivare;
le esondazioni e gli allagamenti hanno provocato 1 morto e danni che sono stati conteggiati dal presidente della regione Liguria di almeno 200 milioni di euro;
va ricordato che un'analoga alluvione era avvenuta il 4 novembre 2011, in cui era straripato il Rio Fereggiano, provocando 6 vittime;
a seguito degli eventi del 2011 era fortemente auspicabile che il comune e la regione, ma più in generale le istituzioni, realizzassero delle opere atte a proteggere la popolazione genovese da nuova calamità, ma, come dimostrano i fatti, così non è stato;
a quanto si apprende dalla stampa (cfr. alluvione Genova, lavori al Bisagno bloccati da 3 anni per i ricorsi al Tar, Il Fatto Quotidiano del 10 ottobre 2014), secondo il sindaco Marco Doria ed il (presidente della regione Claudio Burlando, la giustizia amministrativa avrebbe bloccato per quasi tre anni i lavori che avrebbero consentito di aumentare la portata del torrente Bisagno nella sua parte terminale, dalla stazione Brignole alla foce, a ridosso della Fiera del mare;
si tratta di un chilometro all'incirca, coperto tra il 1928 e il 1933 sui quali i primi lavori di messa in sicurezza erano iniziati nel 2006;
dopo cinque anni di cantieri con i relativi disagi, il Tar della Liguria avrebbe accolto il ricorso di due consorzi d'imprese, la Pamoter e la Fincosit, escluse dall'assegnazione del secondo lotto dei lavori del valore di 30 milioni di euro, dalla Questura fino a via Santa Zita, a ridosso della stazione ferroviaria di Brignole
il controricorso al Consiglio di Stato ha stabilito che il Tar della Liguria non era competente a giudicare la controversia, assegnata quindi al Tar del Lazio che si espresso nel luglio di quest'anno: ribaltando il verdetto del Tar ligure, avrebbe riconosciuto le ragioni delle aziende Vipp, Sirce e Tre Colli disponendo la ripresa dei lavori;
i cantieri, tuttavia non sarebbero stati ancora riaperti;
secondo alcune fonti giornalistiche, tra cui «alluvione Genova, Tar non c'entra: opere pronte nel 2015 comunque», comparso sul quotidiano Libero il 13 ottobre 2014, «tutte le decisioni amministrative successive hanno dato ragione ai vincitori della gara, e quindi c'entrano nulla con il ritardo degli stessi»;
secondo la stessa fonte la gara avrebbe previsto che il cantiere sarebbe stato aperto «un minimo di 36 mesi, e quindi anche senza Tar oggi i lavori del secondo lotto Bisagno non si sarebbero comunque conclusi (senza intoppi comunque sarebbero finiti nel luglio 2015). Peraltro l'oggetto stesso dell'appalto non avrebbe da solo messo in sicurezza i cittadini di Genova da una nuova alluvione. Secondo gli amministratori locali già il primo lotto Bisagno, che si è concluso nel 2009, avrebbe dovuto farlo»;
al di là di valutazione circa le responsabilità, ipotesi che sarà valutata dalla magistratura, si può affermare con certezza che la città di Genova non abbia avuto alcuna mitigazione del rischio idrogeologico;
il sindaco Marco Doria e la sua giunta sono stati probabilmente di diverso avviso se hanno provveduto a remunerare alcuni dirigenti per risultati che appaiono in stridente contrasto con la realtà dei fatti;
secondo quanto emerge dalle fonti giornalistiche, tra cui La Repubblica di Genova del 12 ottobre 2014, il comune di Genova avrebbe provveduto a remunerare in questo modo le indennità di risultato: «per il dirigente 1 gli obiettivi erano la mitigazione del rischio per gli edifici ubicati nelle aree di maggior rischio idrogeologico, sviluppo e promozione della conoscenza delle attività di protezione civile. La retribuzione di risultato è stata di 7.171,74 (lordo annuo 93.886,75). Il dirigente 2 aveva come obiettivi il monitoraggio del territorio e gli appalti idrodrenaggio urbano. La retribuzione di risultato è stata 6.131,27 (lordo annuo 79.811,17. Il dirigente 3 aveva per obiettivi lo scolmatore dei torrenti Bisagno e Chiaravagna, e gli interventi di adeguamenti idraulici per una retribuzione di risultato 9.405,44 (lordo annuo 109.558,76) mentre il dirigente 4 aveva come obiettivo, tra gli altri, la messa in sicurezza del territorio e la retribuzione di risultato è stata di 17.614,53 euro per un lordo annuo di 123.653,19»;
a fronte dei danni e dai disagi patiti dai cittadini genovesi, oltreché del cittadino che ha perso la vita nel corso degli eventi legati all'ultima alluvione, tali premi sono stati reputati ingiusti se non addirittura offensivi –:
se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se ritengano di intervenire in maniera decisa per la riduzione del rischio idrogeologico in modo da evitare che si verifichino ancora fatti come quelli di Genova;
se non intendano chiedere una dettagliata relazione al commissario straordinario per il dissesto idrogeologico per la regione Liguria, onde avere piena contezza dei fatti e delle eventuali responsabilità.
(4-06428)
AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
Interrogazioni a risposta scritta:
FEDI, LA MARCA, PORTA, GIANNI FARINA e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
il personale a contratto della rete diplomatico-consolare e degli istituti italiani di cultura in India vive una sostanziale condizione di blocco dei trattamenti economici;
il Fondo di previdenza, introdotto nella normativa locale fin dal 1997, prevede un contributo nella misura del 12 per cento da corrispondersi sia da parte dei lavoratori sia da parte del datore di lavoro;
l'Ambasciata, nel periodo compreso dal 1997 al 2010, versava tuttavia contributi solo nella misura del 10 per cento, per poi iniziare a corrispondere la percentuale prevista per legge unicamente a decorrere dal 2011;
il calcolo dell'indennità di liquidazione, come da specifica comunicazione del Ministero degli esteri indiano in data 20 maggio 2011 e accordato al personale a legge locale anche dalle altre rappresentanze diplomatiche ed organizzazioni internazionali, avviene tuttora sul salario di 15 giornate lavorative anziché sull'intero salario mensile, nonostante la richiesta del Governo indiano;
si registra inoltre una evidente anomalia nel calcolo della tredicesima mensilità che, secondo il contratto del personale a legge locale deve essere costituita da una specifica mensilità aggiuntiva e non può invece essere spalmata sulle dodici mensilità –:
quali misure urgenti il Ministro interrogato, di concerto con gli altri Ministri competenti, intenda adottare affinché si allineino i trattamenti retributivi a quelli medi corrisposti localmente da altre rappresentante diplomatiche e consolari;
quali misure urgenti si intenda adottare affinché si rettifichino, nel pieno rispetto delle norme locali, i sistemi di calcolo della indennità di liquidazione;
quali misure urgenti si intenda adottare per arrivare ad un conguaglio relativamente al 2 per cento non versato, per 13 anni, al fondo integrativo obbligatorio;
quali misure urgenti il Ministro interrogato, di concerto con gli altri Ministri competenti per materia, intenda adottare affinché si proceda alla piena adozione del sistema di calcolo e di pagamento della tredicesima mensilità, così come previsto dalla norme locali e così come adottato dalla altre rappresentanze consolari e diplomatiche locali. (4-06399)
FEDI, GIANNI FARINA, PORTA, LA MARCA e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
numerose università australiane presso le quali il nostro Paese ha, nel corso degli anni, stabilito proficui rapporti, anche con la presenza di «lettori», esprimono forte preoccupazione in merito ad una serie di prospettate chiusure;
l'università Monash di Melbourne segnala di aver già ricevuto una comunicazione in tal senso dal Consolato generale di Melbourne;
la Monash University ha inoltre investito notevolmente in Italia con un Campus nella città di Prato che si è distinto localmente, su tutto il territorio nazionale e in Europa per capacità di innovazione, ricerca universitaria e scambi a livello universitario;
in alcune realtà geografiche — come l'Australia — il numero complessivo di alunni che frequentano corsi di lingua italiana è andato gradualmente aumentando e, nel corso degli anni, la presenza di lettori a livello universitario ha consentito un collegamento immediato e proficuo con il settore terziario, anche in termini di ricerca e di rapporti tra università;
il consistente taglio alle risorse finanziarie deciso dal Governo, non può consentire di ripartire in maniera lineare le riduzioni di bilancio e vanno invece salvaguardate le logiche di investimento e di produttività, anche in termini linguistici e culturali;
eventuali progressive e drastiche riduzioni dell'impegno dello Stato italiano in Australia, a livello universitario e di lettorati, costituirebbe un segnale gravissimo di disattenzione nei confronti di una realtà politico-economica strategicamente collocata nell'Asia-Pacifico –:
se siano fondate le preoccupazioni sollevate dalle università australiane presso le quali il nostro Paese ha lettorati, in relazione a consistenti riduzioni dell'impegno del nostro Paese;
se siano fondate le preoccupazioni relative al mancato rinnovo del lettorato presso l'università Monash di Melbourne;
se non si ritenga necessario intervenire affinché la lingua e la cultura italiane vedano una continuità di impegno anche a livello terziario;
quali misure urgenti il Governo intenda adottare, immediatamente, per garantire continuità nella presenza italiana a livello universitario in Australia, ed in particolare presso l'università Monash di Melbourne, una delle poche università nel mondo che ha una presenza in Italia;
se non si ritenga indispensabile operare affinché, nel mondo, possa essere mantenuta alta l'immagine di lingua e cultura italiane, anche a livello terziario.
(4-06400)
FAVA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
la procura della Repubblica di Reggio Calabria ha iscritto nel registro degli indagati, con l'accusa di favoreggiamento aggravato, l'ambasciatore italiano negli Emirati Arabi Uniti Giorgio Starace;
l'accusa sarebbe relativa alla latitanza dell'ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, condannato in via definitiva a scontare tre anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa per i suoi rapporti con la ‘ndrangheta;
si apprende dalla stampa che i magistrati avrebbero formulato l'accusa dopo aver interrogato, il 6 giugno 2014, il colonnello della Guardia di finanza Paolo Costantini, fino al marzo scorso in servizio presso l'Aise per conto del quale ha diretto il centro operativo di Dubai;
il colonnello Costantini avrebbe accusato l'ambasciatore Starace di aver fatto pressioni nei confronti delle autorità di Abu Dhabi e, nello stesso tempo, di aver aiutato Matacena non comunicando a Roma alcune informazioni utili all'autorità giudiziaria italiana per istruire la richiesta di estradizione, ciò determinando di fatto il respingimento della richiesta;
secondo la procura di Reggio Calabria, riferisce sempre la stampa, «l'ambasciatore Starace ha esercitato pressioni insistenti per i modi e per i tempi che servivano a garantire a Matacena le migliori condizioni possibili di permanenza nel Paese»;
il nome dell'ambasciatore compare anche in altre inchieste in Liguria sui rapporti della ‘ndrangheta con il sistema bancario ligure. In quelle indagini vengono, fra l'altro, segnalati i rapporti tra lo stesso Starace con il faccendiere Andrea Nucera, coinvolto nelle inchieste genovesi –:
se il Ministro sia al corrente di queste indagini;
se il Ministro non ritenga urgente assumere iniziative per sospendere in via cautelativa l'ambasciatore Starace richiamandolo immediatamente a Roma. (4-06408)
PORTA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI e LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
da molti anni oramai, ogni anno decine di migliaia di giovani italiani decidono di «emigrare» in cerca di un lavoro e di un futuro più stabile e sereno; migliore, presumono, di quello che riserverebbe loro l'Italia; il rapporto «Italiani nel mondo» appena pubblicato dalla Fondazione Migrantes documenta che nel corso del 2013 si sono trasferiti all'estero 94.126 italiani; nel 2012 erano stati 78.941, una variazione in un anno del 16,1 per cento;
la recessione economica e la disoccupazione sono le principali cause che spingono gli italiani a partire di nuovo; dal 2012 al 2013 si registra quindi una crescita generale delle mobilità dall'Italia all'estero, una tendenza questa che sembra destinata ad aumentare ed è sottodimensionata nelle cifre rispetto alla reale dinamica ed entità delle partenze dall'Italia;
la nuova emigrazione si muove in buona parte in Europa ma anche Argentina, Brasile, Stati Uniti, Australia, Canada, Venezuela, Cina, sono mete ambite; ad espatriare sono soprattutto i più giovani e moderne figure di migranti: ricercatori, insegnanti, laureati e diplomati, imprenditori, artigiani qualificati, studenti; cercano tutti un lavoro, un'attività stabile e gratificante, il riconoscimento delle loro competenze e potenzialità;
pochi sono quelli informati, o che vengono informati, adeguatamente sul sistema di tutela previdenziale, fiscale, sanitaria, assistenziale che l'Italia ha creato (o non ha creato) con la rete dei Paesi nei quali si recano;
nella strategia di internazionalizzazione del Paese, a causa del drastico ridimensionamento delle cosiddette politiche migratorie che da alcuni anni si sta determinando, rischiano di offuscarsi le potenzialità legate alla presenza degli italiani nel mondo e tende a restringersi la rete di relazioni che essa ha assicurato nel tempo, con grave danno del Paese soprattutto in questo passaggio di gravi difficoltà economiche e sociali;
la sensibile riduzione dell'intervento pubblico e il totale abbandono della gestione delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale (nella sua accezione più vasta e quindi previdenza, sanità, assistenza e fisco) non consente di esercitare una doverosa tutela dei diritti e un rigoroso controllo dei doveri socio-previdenziali delle nuove migrazioni di cittadini i quali si recano a lavorare all'estero, anche per lunghi periodi, dove versano contributi e pagano le tasse, e i quali rischiano poi, a causa delle convenzioni oramai obsolete o inesistenti, di non essere adeguatamente tutelati negli ambiti previdenziale, fiscale e sanitario;
le convenzioni di sicurezza sociale — che attengono ai diritti socio-previdenziali dei lavoratori — sono state stipulate, tranne alcune eccezioni, negli anni settanta e ottanta, come ad esempio quella con l'Argentina che risale al 1984, quella con il Brasile al 1977, con l'Uruguay al 1985, con il Venezuela al 1991, con gli USA al 1978, con il Canada al 1979, con la ex Jugoslavia addirittura al 1961 e sono evidentemente convenzioni obsolete nello spirito, nei contenuti e nella forma che non possono più tutelare adeguatamente diritti e interessi o doveri delle nuove migrazioni perché non sono state adeguate alle evoluzioni e agli aggiornamenti, talvolta radicali, delle legislazioni e dei sistemi previdenziali dei Paesi contraenti;
gli accordi bilaterali relativi all'assistenza sanitaria sono pochi e spesso parziali e se ci si reca in un paese extracomunitario non è prevista — con alcune sporadiche eccezioni come l'Australia — alcuna forma di tutela ed è esclusa anche la copertura delle prestazioni di pronto soccorso (il Ministero della salute consiglia chi emigra di provvedere — prima della partenza — alla stipula di una assicurazione sanitaria privata);
numerose convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali danno adito a interpretazioni ambigue e spesso opposte tra le parti contraenti (è il caso ad esempio delle convenzioni con il Brasile, il Canada, la Francia, il Lussemburgo) alle quali le autorità competenti non hanno mai cercato di trovare soluzioni accordanti;
è primario interesse nazionale fare in modo che non si indeboliscano i rapporti con la diffusa e articolata presenza degli italiani nel mondo e che vengano a mancare in un momento di seria difficoltà gli apporti derivanti dalla nostra diffusa diaspora; quindi se da una parte è ineludibile dovere etico riconoscere alla nostra vecchia emigrazione il contributo storico dato in momenti difficili al Paese, dall'altra non si possono ignorare i compiti di tutela e di solidarietà verso coloro che sono costretti nuovamente a lasciare il Paese perché in seria difficoltà, a partire proprio dalla tutela previdenziale e sanitaria –:
alla luce dell'emergere dei nuovi fenomeni migratori dall'Italia, delle nuove forme di mobilità e dei nuovi protagonisti i quali si aspettano dall'Italia una rete di protezione sociale e assistenziale più ampia ed efficiente nelle sue tutele, quali siano le politiche strategiche attuate o programmate dal Governo per tutelare i diritti dei nostri connazionali che emigrano di nuovo (in particolare nei Paesi extracomunitari dove mancano quelle regole e quel coordinamento dei diritti di sicurezza sociale che invece sono una caratteristica consolidata della Unione europea) ed in particolare quali siano gli strumenti che si intendono adottare (accordi, convenzioni, intese e trattati internazionali) per salvaguardare diritti e stabilire doveri in ambito sociale, previdenziale, sanitario e fiscale;
se i Ministri interrogati intendano riprendere i negoziati, sospesi da troppi anni, per la stipula e il rinnovo degli accordi bilaterali di sicurezza sociale e di assistenza sanitaria con i Paesi di emigrazione italiana in America latina, in America centrosettentrionale e nel resto del mondo, al fine di completare il quadro del sistema di tutela internazionale dei diritti previdenziali dei lavoratori migranti e soprattutto di garantire la revisione degli accordi già stipulati ma divenuti oramai inadeguati e superati dai recenti aggiornamenti e dall'evoluzione normativa delle legislazioni dei Paesi contraenti. (4-06409)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazioni a risposta scritta:
BUSINAROLO, SPESSOTTO, TOFALO e COZZOLINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
da circa un anno alcuni Comuni, in totale 13, della Bassa Veronese sono interessati da un caso inquietante di inquinamento da sostanze chimiche riscontrate nell'acqua destinata al consumo umano e che finora è stato tenuto sotto controllo ma non risolto del tutto;
come riportato anche da notizie di cronaca (articoli del 24 giugno 2014, del 10 luglio 2014, del 26 luglio 2014 e del 3 agosto 2014 pubblicati sul quotidiano «L'Arena»), l'allarme, scattato circa un anno fa, è legato all'inquinamento idrico da "PFAS", ovvero le sostanze perfloro-alchiliche utilizzate principalmente per rendere impermeabili carta, stoffe e stoviglie, la cui presenza è stata riscontrata, a seguito di monitoraggio compiuto su indicazione dell'Unione europea, nelle acque distribuite dalle reti idriche pubbliche e nelle falde, nei fiumi e nei canali;
la presenza di tali sostanze chimiche costituisce un pericolo per la salute dei cittadini, ignaramente esposti alla contaminazione e reca anche un grave danno alle casse degli enti pubblici che, per cercare di fronteggiare il problema, devono ricorrere all'intervento di Acque Veronesi, società che gestisce gli acquedotti, per l'abbattimento delle sostanze attraverso l'utilizzo di filtri a carboni attivi, con costi molto elevati;
le PFAS sono riconosciute come «interferenti endocrini» e possono essere all'origine di patologie riguardanti pelle, polmoni e reni;
attualmente non esiste, in Italia e a livello comunitario, una normativa che indichi i limiti specifici relativamente alla presenza di tali composti nell'acqua potabile –:
se i Ministri interessati ritengano opportuno assumere iniziative di carattere normativo al fine di determinare i limiti specifici riguardanti la presenza di PFAS nelle acque destinate al consumo umano, contestualmente individuando una adeguata tipologia di smaltimento delle stesse;
se nelle more di ogni eventuale intervento di cui sopra, i Ministri interrogati, anche attraverso l'istituto superiore di sanità, intendano promuovere studi ed indagini epidemiologici finalizzati ad escludere rischi per la popolazione interessata, scongiurando aggravi ulteriori per le casse delle amministrazioni pubbliche e per i privati interessate da tale forma di contaminazione delle acque potabili, peraltro obbligati a provvedere ad un controllo continuo sullo stato di inquinamento dell'acqua potabile. (4-06405)
LAVAGNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
in Italia, i rifiuti radioattivi sono classificati in tre categorie, secondo il grado di pericolosità radiologica:
a) I categoria: rifiuti radioattivi la cui radioattività decade fino al livello del fondo naturale in tempi dell'ordine di mesi o al massimo di qualche a o. A questa categoria appartengono una parte dei rifiuti da impieghi medici o di ricerca scientifica;
b) II categoria: rifiuti radioattivi a bassa/media attività o a vita breve, che perdono quasi completamente la loro radioattività in un tempo dell'ordine di qualche secolo;
c) III categoria: rifiuti radioattivi ad alta attività o a vita lunga, per il decadimento dei quali sono necessari periodi molto più lunghi, da migliaia a centinaia di migliaia di anni;
come è noto, non esiste in Italia un deposito centralizzato per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi di seconda categoria e per lo stoccaggio a lungo termine di quelli di terza. I rifiuti radioattivi già prodotti e quelli che continuano ad essere prodotti nelle attività di mantenimento in sicurezza degli impianti, o propedeutiche allo smantellamento, dovranno pertanto continuare ad essere stoccati presso gli stessi siti;
inoltre l'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha pubblicato, con notevole ritardo, la guida tecnica n. 29 relativa ai criteri per l'individuazione del sito per la realizzazione del deposito unico nazionale per le scorie nucleari;
da quanto si apprende da fonti giornalistiche la Sogin, la società statale che si occupa dello smantellamento degli impianti, controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze e opera secondo gli indirizzi strategici formulati dal Ministero dello sviluppo economico, alla quale è stata affidato il compito di dismettere le centrali nucleari chiuse dopo il referendum del 1987, ha deciso di intervenire sui due depositi temporanei di materiale radioattivo costruiti all'interno del comprensorio della centrale nucleare «Enrico Fermi» di Trino Vercellese;
l'azienda sostiene che c’è la necessità di adeguarli a nuovi standard di sicurezza, avanzando l'ipotesi di abbattere i depositi esistenti e di ricostruirne ex novo altri due. Le strutture saranno entrambe identiche a quelle attuali in termini di volumetria –:
se il Governo sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali azioni intenda intraprendere per capire quali opzioni siano attualmente in esame da parte di Sogin e quali siano i criteri adottati per la localizzazione dei siti temporanei di stoccaggio;
come mai si continuino a costruire depositi temporanei, investendo ingenti risorse che invece dovrebbero essere destinate alla realizzazione del sito unico nazionale;
quali azioni intendano intraprendere per individuare il sito unico di stoccaggio nazionale delle scorie nucleari. (4-06406)
OLIARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
tra il 9 e il 10 ottobre 2014 Genova è stata colpita da una alluvione causata da fortissime precipitazioni anche in diverse zone della provincia;
la conseguenza di tale fenomeno è stata l'esondazione dei torrenti Bisagno, Fereggiamo, Sturla, Scrivia, Entella Torbella e Rio Noce;
sulla città sono caduti oltre 300 millimetri di pioggia. Un quantitativo pari a circa 25 per cento delle piogge che mediamente cadono in un anno: in 24 ore la pioggia che cade normalmente in tre mesi. Martedì 7 ottobre, poi, ne sono caduti altri 100 millimetri circa. Ciò significa che, in pochi giorni, questo territorio ha ricevuto più o meno un terzo delle precipitazioni che riceve in un anno;
l'ennesima alluvione su Genova, dopo quella del 2011, è stata causata da una stretta linea di convergenza delle correnti umide sciroccali che, come in un imbuto, hanno finito per addensare il carico di umidità e precipitazioni proprio su questa zona della Liguria;
l'altra causa di questi eventi estremi va purtroppo ricercata nell'azione dell'uomo. Per decenni la cementificazione selvaggia, l'abusivismo e il disboscamento hanno messo a dura prova il territorio del nostro Paese, da sempre fragilissimo a livello idrogeologico. La cementificazione impermeabilizza il suolo e riduce, o impedisce addirittura del tutto, l'assorbimento della pioggia. L'infiltrazione di acqua piovana nei terreni liberi dal cemento, invece, fa sì che essa impieghi più tempo per raggiungere i fiumi, riducendo la portata e quindi il rischio di inondazioni;
come nel 2011 a Genova e in tutta la Liguria tornano ad esplodere la polemica e la rabbia per la mancata allerta e soprattutto sui fondi non spesi per le opere di manutenzione e messa in sicurezza del territorio;
nella regione si contano oltre 200 milioni di euro di danni e ci si interroga sulla mancata realizzazione di tre opere per mitigare la forza delle acque, sulla scandalosa inefficienza del «sistema Paese» e si punta il dito contro i ritardi provocati dai ricorsi al Tar e dagli esami della Corte dei conti;
infatti, si sono persi anni per lo scolmatore del Fereggiano, lo scolmatore del Bisagno e il rifacimento dell'ultimo tratto del Bisagno;
inoltre, si è saputo che almeno quattro dirigenti del comune hanno regolarmente percepito, anche quest'anno, delle retribuzioni di risultato per gli obiettivi raggiunti. Obiettivi come la mitigazione del rischio degli edifici ubicati nelle aree di maggior rischio idrogeologico, monitoraggio del territorio, appalti, drenaggio urbano, schermatura del torrente Bisagno, interventi di adeguamento idraulici –:
quali iniziative anche di tipo normativo ritenga opportuno prendere per allentare quella burocrazia che fino ad oggi ha impedito di usare i fondi, già peraltro stanziati, per la messa in sicurezza del territorio, per la sospensione di tutte le imposte nazionali, di tutte le scadenze e gli adempimenti amministrativi nonché per una moratoria delle rate di mutuo a carico delle attività commerciali e artigianali colpite da questi eventi. (4-06415)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazione a risposta in Commissione:
BUSINAROLO, TOFALO e COZZOLINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
nel comune di Valeggio sul Mincio (Verona), ai piedi del castello scaligero, sorge Villa Zamboni, una splendida villa signorile, di epoca settecentesca, circondata da un immenso parco-giardino di tremila metri quadrati, donata nel 1932 al comune dal proprietario, Giuseppe Zamboni;
nel testamento olografo Giuseppe Zamboni disponeva il passaggio della proprietà di Villa Zamboni al comune di Valeggio per essere destinata: «... a sede dell'asilo infantile e del Patronato comunale dell'O.N. Maternità ed Infanzia, quale nido materno, cucine materne eventualmente ospitaletto infantile». La villa è stata poi effettivamente destinata a sede dell'asilo infantile dal 1974 agli anni 2001-2002 finché, per ragioni riguardanti l'inagibilità della stessa a tal uso, la scuola materna è stata trasferita in altra struttura;
attualmente Villa Zamboni versa in uno stato di degrado ed abbandono ed i costi per il restauro conservativo, stante anche il vincolo monumentale ivi esistente, risultano essere alquanto elevati. Per tali motivi di recente il comune di Valeggio ha presentato il progetto preliminare di recupero per la Villa che l'amministrazione, aderendo al programma «Valore Paese-Dimore», vorrebbe dare in concessione cinquantennale gratuita ad un privato per la sua valorizzazione in ambito turistico-ricettivo, destinando la parte ad uso pubblico alla fascia giovanile per iniziative di carattere culturale, nel rispetto della volontà del benefattore;
secondo le intenzioni dell'amministrazione comunale l'intero complesso potrebbe essere trasformato in una struttura per la valorizzazione del territorio e del turismo, in particolare enogastronomico. Il progetto, per un impegno di spesa di 7 milioni di euro, prevede la suddivisione dell'immobile in tre piani appositamente destinati (piano terra adibito a reception e a spazi riguardanti il settore culinario, come lo slow food, il primo piano dedicato all'accoglienza dei turisti con circa trenta posti letto ed il secondo piano destinato agli spazi espositivi, aree congressuali e bookshop);
è doveroso precisare che una diversa destinazione di Villa Zamboni, rispetto a quanto previsto nel lascito testamentario, costituirebbe inadempimento del modus imposto dal testatore. Il modus è infatti una obbligazione che impone all'onerato di disporre del bene conformemente alla volontà del «de cuius» o testatore entro il limite del valore del bene. Il vincolo di destinazione non impedisce l'alienazione del bene, ma ne impone che nell'atto di cessione l'acquirente dovrà comunque conformarsi all'onere imposto dal decuius. In mancanza di tale clausola l'esecuzione dell'onere potrà comunque essere imposto all'acquirente «da qualsiasi interessato» ex articolo 648 del codice civile poiché il lascito è avvenuto a favore del comune di Valeggio sul Mincio, ciascun residente del comune, così come ciascun organo comunale, avrà l'interesse ad agire ex articolo 648 del codice civile ed ex articolo 100 del codice procedura civile;
risulta inoltre che, nel bilancio preventivo 2014, Villa Zamboni non sia stata collocata tra i beni da valorizzare, nonostante l'intenzione del comune di Valeggio di inserire la Villa in un progetto, come quello «Valore Paesi-Dimore», orientato al rafforzamento dell'offerta culturale e della competitività del Paese attraverso la leva del turismo sostenibile, mediante appunto il recupero e/o la valorizzazione del patrimonio pubblico dismesso che abbia valenza storico-artistica e paesaggistica;
bisogna inoltre evidenziare che, nel 2008, fu assegnato un contributo di 250mila euro dalla giunta regionale, in osservanza al punto 1, dell'articolo 36, della legge regionale n. 1 del 2008, in cui si stabiliva che: «Sono a carico della giunta regionale gli oneri di progettazione relativi a lavori pubblici di interesse regionale, particolarmente rilevanti sotto il profilo della riqualificazione o compatibilità con il paesaggio, di competenza dei soggetti indicati all'articolo 2, comma 2, lettera b), della legge regionale 7 novembre 2003, n. 27 “Disposizioni generali in materia di lavori pubblici di interesse regionale e per le costruzioni in zone classificate sismiche” e successive modificazioni.». In particolare nella deliberazione della giunta regionale n. 2203 dell'8 agosto 2008 si specificava che il contributo era assegnato in considerazione dell'importanza monumentale dell'edificio e dell'attività socio educativa per minori che esso è, funzionalmente, destinato ad ospitare. Si puntualizzava inoltre la necessità di procedere alla redazione di un progetto di ristrutturazione e recupero basato su accurate analisi e indagini finalizzate alla riqualificazione del contesto paesaggistico ed ambientale in cui lo stesso si inserisce;
al cambio di amministrazione non fu però accettato il contributo della regione destinato alla progettazione della Villa perché l'intervento fu ritenuto non prioritario rispetto ai nuovi programmi di governo;
tra il 2009 e il 2012, a seguito di molteplici interrogazioni e richieste da parte delle minoranze, il sindaco e l'allora assessore ai lavori pubblici ribadivano la loro contrarietà all'opera di progettazione finalizzata alla ristrutturazione ed al recupero della Villa e sostenevano il recupero per il comune dei 250.000 euro rifiutati potendoli destinare ad altri fini. Nell'autunno del 2012, dopo ulteriori segnalazioni, l'amministrazione si impegnava ad un intervento di recupero del tetto della Villa ormai in condizioni di estremo degrado;
nonostante ciò, attualmente il parco della villa, solitamente utilizzato per varie iniziative, è chiuso a causa del crollo di un muro sul lato sud, mentre l'affresco del soffitto della loggia deve essere messo definitivamente in sicurezza a breve –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa;
quali iniziative siano state assunte in relazione a Villa Zamboni in considerazione del fatto che tale bene culturale rientra nel progetto, «Valore Paese-dimore» diretto proprio alla valorizzazione dei beni pubblici dismessi e quale sia lo stato attuale dei lavori necessari al ripristino del muro crollato dell'affresco del soffitto della loggia;
se il progetto citato in premessa di ripristino e di restauro sia stato sottoposto al controllo da parte della competente soprintendenza. (5-03802)
Interrogazioni a risposta scritta:
MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
in Abruzzo il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha gravi carenze organizzative;
l'incarico di Soprintendente ai beni archeologici è vacante ormai da 2 anni con conseguenti disfunzioni e danni al servizio;
la direzione regionale del Ministero, come ha denunciato l'assemblea degli Archeoclub d'Abruzzo riunita al museo di Corfinio (L'Aquila) il 5 ottobre 2014, versa in uno stato di incertezza e di confusione peraltro in una fase molto delicata per la ricostruzione dell'Aquila e del suo imponente patrimonio culturale danneggiato dal terremoto;
ad avviso dell'interrogante da troppi anni il Ministero considera l'Abruzzo una «terra di confine» con assegnazioni di incarichi direttivi a scavalco e provvisori che impediscono una appropriata programmazione e una scelta professionale funzionale anche agli interessi del territorio abruzzese;
sono molto negativi i riflessi sulla tutela dei beni culturali abruzzesi e sulla loro valorizzazione a fini turistici –:
se non intenda assumere in tempi rapidi la decisione della nomina del Soprintendente ai beni archeologici per la regione Abruzzo e superare le gravi carenze organizzative della direzione abruzzese del Ministero dei beni ed attività culturali. (4-06401)
GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
la problematica della tutela del patrimonio culturale ed archeologico in particolare in Italia assume, oggi più che mai, una grande rilevanza nell'ottica di una ripresa economica dell'intera Nazione, che fa delle bellezze culturali una delle sue migliori caratteristiche;
a breve comincerà la discussione generale alla Camera del disegni di legge di ratifica della Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico, firmata nel 1992 dagli Stati membri del Consiglio d'Europa. Molti Paesi europei hanno già approvato tale provvedimento che ha portato a importanti progressi nella tutela del patrimonio archeologico, mentre l'Italia, che potrebbe fare del proprio patrimonio una tra le più importanti risorse economiche e turistiche, non ha ancora provveduto alla ratifica, a oltre vent'anni di distanza, ponendosi così in notevole ritardo rispetto agli altri Paesi;
fonti stampa (la Repubblica 24 settembre 2014 pagina 29) e colloqui informali con la Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, si apprende che a poca distanza da San Gimignano, frazione di Aiano-Torraccia di Chiusi è stato riportato alla luce un sito archeologico di enorme valore, una villa romana del terzo secolo dopo Cristo, dimora di un nobile romano. La scoperta monumentale consiste in 2.500 metri quadri di scavo su un totale di 10.000 metri quadri;
il ritrovamento, tuttavia, insiste su un terreno di proprietà privata, appartenente ad un cittadino italiano, interessato da un procedimento giudiziario da parte del tribunale di Siena, che potrebbe comportare la messa all'asta di tutti i beni, compreso il ritrovamento archeologico. Da quasi 3 anni, anche per tale causa, gli scavi sono sospesi ed il sito versa in uno stato di abbandono, tra teloni di plastica ed erbacce che coprono i mosaici, e la minaccia di un eventuale sotterramento del ritrovamento archeologico;
per i lavori di scavo, protrattisi per 7 anni dal 2005 al 2012, il soggetto promotore, formato dall'università cattolica di Lovanio in Belgio, la Fondazione Monte Paschi Siena, l'università di Firenze ed il comune di San Gimignano, ha già speso 220.000 euro. Queste risorse finora investite potrebbero andare perse se la Soprintendenza ai beni archeologici della Toscana, con l'intento di proteggere il sito dai fattori logoranti, dovesse ordinarne il rinterro, come ha dichiarato il professor Marco Cavalieri, direttore scientifico della missione e docente di archeologia romana a Lovanio. Il rinterro, per giunta, comporterebbe un ulteriore aggravio di costi stimato in 20.000 euro;
il comune di San Gimignano ha stanziato 40.000 euro per attivare la procedura di esproprio per pubblica utilità, ma questa ipotesi è finora apparsa impraticabile. Si è paventata, altresì, l'ipotesi di una acquisizione del terreno per la progettazione di un parco archeologico, ma anche in questo caso è necessario un progetto esecutivo e finanziato per sbloccare l’impasse –:
quali elementi possa fornire il Ministro interrogato in merito alla vicenda esposta in premessa e cosa intenda fare, per quanto di competenza per assicurare, anche nel breve termine la salvaguardia del ritrovamento archeologico nei pressi di San Gimignano dagli effetti logoranti del tempo e per evitare che i fondi già investiti nei lavori finora effettuati vadano tristemente sprecati. (4-06414)
DIFESA
Interrogazione a risposta scritta:
PILI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
a bombardare il territorio di Teulada non saranno più solo i carri armati, le navi e gli elicotteri;
tra non molto nel poligono decolleranno i droni militari;
aerei sperimentali sofisticatissimi, senza pilota, capaci di guerre aeree efferate senza l'ausilio di piloti ma tutto attraverso lo schermo di un video game;
il Ministero della difesa mostra di non avere più nessun argine e non solo non chiude le basi militari ma incrementa senza pudore le loro funzioni;
dentro il poligono di Teulada è iniziata la costruzione di un vero e proprio aeroporto per il decollo dei droni militari di ultima generazione;
a quanto risulta all'interrogante decine di camion da giorni scaricano dentro la base migliaia di metri cubi di sterile, accumulati in prossimità dell'area individuata per realizzare una rampa per il decollo e l'atterraggio dei velivoli senza pilota, i droni;
vere e proprie montagne di sterili di cui non si conosce la provenienza, sono ormai dentro la base sempre a quanto risulta all'interrogante è iniziata la movimentazione del materiale che dovrà servire per realizzare la struttura portante della rampa;
la quantità così rilevante di materiale lascia comprendere che i vertici militari abbiano optato per l'utilizzo dell'area di atterraggio degli elicotteri per realizzare una grande rampa di lancio, cioè un sistema cosiddetto «a catapulta» per questi velivoli ormai sempre più sperimentati per le attività militari;
una pista con oltre un ettaro di nuova superficie destinata a base operativa per i droni;
non è noto se tale progetto disponga dell'autorizzazione edilizia, urbanistica, paesaggistica, di sicurezza, tale progetto appare in totale dispregio di quanto sta avvenendo in Sardegna sulle basi militari;
sia il Ministro della Difesa che i vertici militari hanno detto più volte che avrebbero voluto trattare una nuova intesa;
tutto ciò appare smentito dai fatti;
è di una gravità inaudita che nonostante la mancata firma dell'accordo la difesa decisa di realizzare a Teulada una struttura invasiva non solo l'impatto sull'area ma anche e soprattutto per il tipo di velivolo che si intende sperimentare proprio in Sardegna;
resta da comprendere per quale motivo non lo si sperimenta per esempio nelle colline toscane;
è evidente che si vuole ancora una volta pensare alla Sardegna in termini di una terra dove poter fare di tutto e di più senza alcun tipo di controllo;
questo ennesimo progetto deve essere bloccato;
accettare ulteriori pesantissimi aggravi nel territorio di Teulada significa mortificare ulteriormente quel territorio ignorando la grande mobilitazione dei sardi e il parere del CoMiPa che aveva più volte negato l'autorizzazione a nuovi insediamenti militari;
si tratta di un uso sempre più indiscriminato del territorio a questo punto alla mercé anche di mezzi senza ausilio di uomini;
non è dato sapersi quali saranno le nazioni che utilizzeranno quella rampa ma sono diverse quelle che hanno messo a punto i micidiali droni a partire dal prototipo top-secret del drone inglese da guerra senza pilota «Taranis», che ha recentemente completato la seconda serie di prove di volo in una località segreta;
si affaccia nello scenario anche un progetto anglo-francese noto come Future Combat Air System (FCAS) che potrebbe essere destinato a sperimentazioni in ambito Nato con l'obiettivo di sviluppare un nuovo drone da combattimento;
il drone ha dimostrato la sua capacità di rullare autonomamente verso la pista per il decollo, decollare e volare sino alla zona di destinazione, individuare un bersaglio e ritornare alla base;
tutto questo «sulla testa» dei sardi e della Sardegna senza che nessuno dica niente e con una regione che lascia fare il Ministero della difesa –:
se intenda confermare l'esecuzione di lavori per la realizzazione di una pista da destinare ai droni;
se disponga di autorizzazioni per la realizzazione del progetto e di quali;
se le autorità locali si siano espresse formalmente sul progetto;
se non ritenga di dover definire con le autorità locali il piano di dismissione delle aree destinante ad esercitazioni militari a fuoco. (4-06421)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazione a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:
RUOCCO, PESCO, ALBERTI, BARBANTI, CANCELLERI, PISANO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
con il provvedimento direttoriale Prot. n. 2014/554 del 3 gennaio 2014, l'Agenzia delle entrate ha annunciato che, a partire dal 1o febbraio 2014, le imposte di registro, le imposte di bollo, i tributi speciali e compensi, sanzioni e interessi relativi alle locazioni, potranno essere versati tramite il Modello «F24 Elide» («F24 Versamenti con elementi identificativi»), di cui al provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate 7 agosto 2009, come modificato dal successivo provvedimento del 29 marzo 2010;
nell'ottica della semplificazione fiscale ed in attuazione del decreto ministeriale — Ministero dell'economia e delle finanze dell'8 novembre 2011, l'uso del modello «F24» sarà dunque esteso anche a quei versamenti che al momento sono veicolati dal modello «F23». Quest'ultimo modello potrà essere utilizzato come strumento di pagamento fino al 31 dicembre 2014. A partire dal mese di febbraio 2014 e fino al 31 dicembre dell'anno in corso, il vecchio e il nuovo modello coesisteranno e saranno i contribuenti a scegliere quale dei due utilizzare per il versamento delle imposte;
come si legge nel provvedimento direttoriale, il nuovo modello F24 dovrebbe garantire «una maggiore efficienza nella gestione del sistema e rappresenta un ulteriore progresso verso la semplificazione degli adempimenti fiscali dei contribuenti che già utilizzano il modello “F24” per il pagamento di numerosi tributi»;
non può non rilevarsi, però, che il pagamento con il detto modello F24 impone spesse volte di compilare più di un modello, in quanto le righe di ogni singola sezione non sono sufficienti a comprendere più di sei voci –:
se non ritenga opportuno revisionare la struttura del modello F24, consentendo di inserire un numero di voci superiore a quelle attualmente previste, di accelerare in ogni caso tale semplificazione, nonché di estendere, con le opportune modificazioni, l'utilizzo del modello F24 anche per l'esecuzione di pagamenti che oggi prevedono l'utilizzo di altri modelli di versamento meno efficienti. (5-03799)
Interrogazioni a risposta scritta:
RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, ha relazionato in un'audizione alla Commissione affari sociali alla Camera sull'introduzione dell'importante parametro di valutazione del reddito degli italiani. L'Isee, secondo quanto detto dal Ministro, sarà completamente riformato. L'obiettivo è riprendere il sistema di calcolo ridisegnato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 potenziandone però gli strumenti al fine di raggiungere maggiore equità e maggiore contrasto agli abusi;
secondo il suo intervento la partenza del nuovo Isee è prevista per il primo gennaio 2015. Infatti, tra le la novità del nuovo Isee si fotografa la situazione economica considerando per ciascuna famiglia non solo i redditi soggetti a Irpef ma anche una serie di redditi che il vecchio indicatore non conteggiava;
l'obiettivo dichiarato della riforma dell'Isee, infatti, è quello di garantire l'accesso alle prestazioni sociali da parte di chi ne ha realmente bisogno, contrastando il fenomeno dei «finti poveri». Per questo nella dichiarazione che servirà per elaborare l'indicatore della situazione economica delle famiglie, entreranno anche i redditi esenti dall'Irpef che contribuiscono alla disponibilità economica effettiva del nucleo familiare;
secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore del 13 ottobre 2014: «Nel nuovo Isee già si intravede il rischio di una stretta sul welfare dei comuni. Solo una parte dei dati sarà auto dichiarata dal cittadino. Una fetta rilevante di informazioni sarà ricavata direttamente dall'Inps che interrogherà l'anagrafe tributaria, cioè accederà ai dati dell'Agenzia delle Entrate. A regime (quando saranno risolti i nodi ancora aperti sulla tutela della privacy) l'amministrazione potrà accedere alla giacenza media dei conti correnti di ciascun richiedente»;
i comuni devono attivarsi per ridefinire le soglie Isee sotto le quali scatta il diritto agli sconti. Si legge, inoltre, nel Sole 24 Ore: «Un compito difficilissimo se non impossibile perché si tratta di fare simulazioni con dati che in parte le amministrazioni locali non possiedono neppure. Con il rischio di aprire un buco in bilancio (se le soglie saranno troppo generose) o di ridurre drasticamente la platea dei beneficiari (se saranno troppo severe)»;
se i Comuni non riuscissero ad approvare in tempi brevi i nuovi regolamenti, il nuovo Isee scatterebbe con le vecchie soglie rischiando di ridurre realmente i beneficiari –:
quali iniziative il Governo intenda adottare affinché la definizione dell'Isee avvenga nei tempi previsti al fine di evitare ritardi e confusione da parte delle singole amministrazioni locali. (4-06413)
PAGANO, GAROFALO, BOSCHI, MINARDO e MISURACA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
il comune di Gela, secondo quanto riportato dalla stampa, versa in condizioni economiche precarie determinate da alcune iniziative, che eludono il patto di stabilità interno negli esercizi finanziari 2010, 2011 e 2012, poste in essere dal sindaco, dai consiglieri comunali, dagli assessori e dai dirigenti di settore ai quali la Corte dei conti ha notificato 35 inviti a dedurre;
emerge, infatti, in relazione alla gestione delle spese del comune di Gela, un circuito organizzativo comunale connotato da inefficacia, inefficienza ed inadeguata attenzione per gli interessi finanziari dell'ente;
il comune di Gela ha operato una costante elusione del patto di stabilità interno: in sostanza l'amministrazione comunale ha infranto il divieto posto dal comma 31 dell'articolo 31 della legge n. 183 del 2011 secondo cui è proibito alle amministrazioni conseguire il patto di stabilità mediante una non corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio;
emergono, pertanto, debiti fuori bilancio di importo considerevole che rendono allo stato attuale difficile una definitiva individuazione della reale massa passiva dell'ente, con evidenti incognite circa la futura tenuta degli equilibri di bilancio. Infatti la consistenza e la continuità dei debiti fuori bilancio del comune denota una prassi, risalente nel tempo, assolutamente contraria ai princìpi degli equilibri di bilancio che, in violazione delle regole contabili, hanno prodotto la trasformazione del debito fuori bilancio da evento straordinario ad ordinaria prassi per affrontare le esigenze di gestione;
è da considerare, inoltre, che, in ordine alle spese, l'amministrazione comunale di Gela ha fatto un uso improprio del ricorso alle procedure d'affidamento diretto e dell'istituto della proroga contrattuale, istituto quest'ultimo di carattere eccezionale, in contrasto con il divieto di rinnovazione dei contratti pubblici e indicativo di una significativa inadeguatezza dell'attività di programmazione delle attività negoziali;
si tratta, pertanto, di una situazione economica critica che evidenzia una gestione delle finanze pubbliche non congrua sulla quale occorre fare piena chiarezza adottando misure idonee a ripristinare la legalità –:
se siano a conoscenza della vicenda e quali iniziative di rispettiva competenza intendano intraprendere al fine di migliorare il controllo sulla spesa pubblica affinché non si ripetano episodi come quelli avvenuti al comune di Gela. (4-06422)
GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta in Commissione:
PES. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
con una nota del 3 ottobre 2014 il Ministero della giustizia ha annunciato al Provveditorato dell'Amministrazione penitenziaria che il carcere di Oristano dal 3 novembre 2014 sarà riservato solo a detenuti in regime di 41-bis, quindi, le celle ospiteranno solo esponenti della criminalità organizzata, mentre gli altri detenuti comuni saranno trasferiti altrove;
a seguito della decisione di trasformare il carcere di Massama in un penitenziario di massima sicurezza, i primi segnali di difficoltà saranno avvertiti proprio dai familiari dei detenuti che potrebbero essere trasferiti. I familiari per recarsi in visita ai loro congiunti potrebbero vedersi costretti ad affrontare 3 o 4 ore di viaggio, in un territorio già in forte sofferenza per i trasporti e i collegamenti;
l'interrogante, già in diverse occasioni e nell'interrogazione depositata in data 25 settembre 2013 e sollecitata il 31 ottobre 2013 e il 28 luglio 2014, ha chiesto al Ministro di valutare le più opportune iniziative per evitare la dislocazione massiccia in Sardegna dei detenuti ad alta sorveglianza e eventualmente soggetti all'articolo 41-bis, considerando che nel passato la scelta dei penitenziari della Sardegna per i detenuti sottoposti a regimi di carcere duro, ha già comportato effetti negativi per l'isola;
altresì, ha esternato anche la preoccupazione della carenza di agenti di polizia penitenziaria che allo stato attuale già incontrano enormi difficoltà e spesso sono costretti a ricoprire tre o quattro posti di servizio a turno per garantire la sicurezza e il corretto funzionamento del carcere, strutturato per 266 posti per detenuti, ma che ne ospita attualmente 302;
l'aumento ulteriore della popolazione carceraria comporterebbe inoltre la dislocazione, in più casi, di tre detenuti nella stessa cella, situazione per cui la casa circondariale di Massama non è attrezzata;
effetti negativi avranno anche alcuni detenuti comuni che sono stati già inseriti in progetti regionali per l'alternanza pena-lavoro, alcuni presso l'area archeologica di Mont'e Prama, altri in attività agricole e, quindi, se verranno trasferiti altrove, non potranno più partecipare alle suddette attività –:
se il Ministro non ritenga necessario e urgente di valutare altre più opportune disposizioni riguardanti i detenuti in regime di articolo 41-bis e se con effetto immediato possa ritirare il provvedimento che dispone, invece, il trasferimento dei suddetti detenuti presso il carcere di Massama-Oristano;
se il Ministro non ritenga opportuno mantenere quantomeno una sezione promiscua per i detenuti oristanesi (imputati e lavoranti) al fine di evitare spostamenti gravosi per le loro famiglie e di evitare che detenuti in alta sicurezza siano assegnati a settori a rischio quali per esempio Mof e cucine;
se il Ministro non ritenga opportuno aumentare l'organico del personale effettivamente a disposizione al fine di portarlo ai livelli della media nazionale per istituti di questo tipo;
se il Ministro, non ritenga opportuno rinviare qualsiasi decisione riguardante il sistema detentivo, anche in considerazione della sua volontà espressa di convocare gli stati generali, occasione per affrontare il problema delle case circondariali e per ottimizzare la gestione di esse, non solo con gli operatori del mondo carcerario, ma, appunto, in una visione più ampia anche con gli amministratori locali.
(5-03796)
Interrogazioni a risposta scritta:
DAMBRUOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il personale dell'amministrazione della giustizia, unitamente alla magistratura e alla polizia giudiziaria, riveste un ruolo fondamentale per il buon funzionamento del sistema giustizia nel nostro Paese: cancellieri, ufficiali giudiziari, informatici, archivisti, operatori giudiziari, autisti, lavorano da decenni con carichi di lavoro in costante aumento a fronte non solo di una carenza di organico sempre maggiore, mai sopperita dal Ministero della giustizia (benché prevista nell'ambito del parziale turn over), ma soprattutto di una mancata riqualificazione giuridica del personale e di una progressiva, perdita del potere di acquisto del proprio stipendio. In particolare, come segnalato dalle Organizzazioni sindacali, a partire dal 2001 il personale del Ministero della giustizia appartenente ai ruoli del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, è stato ingiustamente penalizzato non realizzando la legittima progressione di carriera riconosciuta invece a tutte le altre amministrazioni ministeriali. Parallelamente, a detta delle rappresentanze sindacali, la parte economica stipendiale del personale dell'Organizzazione giudiziaria non ha avuto alcuna progressione dal 2005 – a causa dei concordati meccanismi di perequazione contrattuale che hanno bloccato l'indennità di amministrazione – a differenza di quanto accaduto in altre amministrazioni pubbliche dove tale indennità è aumentata in maniera corrispondente al tasso di inflazione programmato, come prescritto dalla normativa di settore;
in questo contesto di difficoltà i sindacati di categoria lamentano altresì la diminuzione delle risorse allocate al Ministero della giustizia per il premio di produttività e la non corresponsione delle quote del fondo unico di amministrazione (FUA, impiegato per retribuire i trattamenti salariali accessori) spettanti dal 2012, a causa della mancata convocazione del tavolo concertativo sull'istituzione del fondo che finanzia la parte accessoria – di natura premiale – della retribuzione del personale per gli anni 2013 e 2014;
tali criticità del personale appartenente ai ruoli del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria si inseriscono nella più ampia cornice del blocco del rinnovo contrattuale che ha colpito tutto il pubblico impiego a far data dal 2010 e che, in assenza di appositi provvedimenti normativi, dovrebbe proseguire fino a tutto il 2017, rendendo ancora più pesante e discriminatoria la situazione retributiva del personale giudiziario;
per reperire adeguate coperture finanziarie per lo sblocco dei contratti degli appartenenti ai comparti sicurezza e giustizia si potrebbe fare ricorso al fondo unico giustizia istituito ex articolo 61, commi 23 e 24, del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e con l'articolo 2 del decreto legge 16 settembre 2008 n. 143;
in tale contesto l'unico segnale favorevole è stato dato dal Ministro della giustizia che, illustrando le linee guida sulla riforma del sistema giudiziario, ha posto al dodicesimo punto l'obiettivo di riqualificare e valorizzare il personale dell'amministrazione della giustizia (come si apprende dall'informativa pubblicata sul sito istituzionale del Ministero della giustizia in data 18 agosto 2014) –:
quali siano le modalità con cui l'amministrazione della giustizia intende svolgere, articolare e sviluppare le annunciate procedure di riqualificazione del personale giudiziario;
se intenda utilizzare a tal fine le risorse del fondo unico giustizia sul presupposto che – ai sensi del comma 7 dell'articolo 2 decreto legge n. 143 del 2008 modificato dal decreto legge n. 185 del 2008 – al Ministero della giustizia, in sede di riassegnazione, vengono destinate le somme già confiscate, nella misura non inferiore ad un terzo, per assicurare il funzionamento e il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali;
quali siano le risorse del fondo unico giustizia riassegnate al Ministero della giustizia dal 2008 ad oggi e che utilizzo ne sia stato fatto, anche in relazione a quelle somme previste dall'articolo 1, comma 373, della legge n. 244 del 2007, destinate al fonde unico di amministrazione del personale giudiziario;
quali iniziative il Ministero della giustizia intenda adottare per un effettivo controllo sulla rendicontazione delle somme recuperate, ai sensi dell'articolo 22 della convenzione stipulata in data 23 settembre 2010, da Equitalia Giustizia s.p.a., responsabile sia dei sequestri penali ed amministrativi che dell'attività di gestione del recupero crediti di giustizia;
quali siano le ragioni ostative che impediscono al Ministero della giustizia di pubblicare sul proprio sito web in maniera chiara e trasparente i dati e le informazioni sul recupero dei crediti di giustizia effettuati da Equitalia Giustizia s.p.a. e sulle risorse confluite nel fondo unico giustizia. (4-06402)
PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
con una comunicazione del Ministero della giustizia inviata al prefetto di Cagliari e che doveva evidentemente restare segreta è stato comunicato l'obiettivo del Ministero di:
a) chiusura della scuola penitenziaria di Monastir per trasformarla in centro per immigrati;
b) trasferire nel carcere di Buon Cammino le funzioni del carcere minorile di Quartucciu;
c) trasformare il carcere di Quartucciu in struttura di accoglienza per immigrati;
il Ministero della giustizia con queste determinazioni mette in atto un piano per la Sardegna che l'interrogante giudica inaccettabile;
il Ministero della giustizia assesta colpi durissimi alla Sardegna;
chiude la Scuola penitenziaria di Monastir per fare un centro per immigrati;
non si chiude il carcere di Buon Cammino, che andava trasferito alla regione Sardegna in base all'articolo 14 dello Statuto;
nella struttura in modo secondo l'interrogante pretestuoso e illogico si progetta di realizzare uffici e trasferire il carcere minorile di Quartucciu;
si chiude il carcere minorile di Quartucciu;
si sta compiendo un atto senza precedenti che incrementerà costi e oneri gestionali;
i dipendenti penitenziari non potranno più aggiornarsi in Sardegna con costi proibitivi;
si vuole trasformare quella struttura in un centro per immigrati alla periferia di Cagliari che rischia di trasformarsi in un vero e proprio centro esplosivo sul piano sociale e della sicurezza;
la comunicazione segue la denuncia che il sottoscritto interrogante fece sei mesi fa insieme al sindacato dell'Ugl penitenziari;
con un'interrogazione sulla questione era stata manifestata la preoccupazione per quel pericolo;
oggi il piano viene messo in campo con un'azione che denota la spregiudicatezza di coloro che secondo l'interrogante stanno continuando a considerare la Sardegna una vera e propria colonia;
una decisione che va contrastata in tutti i modi auspicando che le amministrazioni locali si attivino;
si tratta di una decisione irragionevole, irrazionale e irresponsabile;
lascia allibiti e interdetti la decisione di non cedere alla regione e poi al comune di Cagliari il carcere di Buon Cammino e di destinarlo a struttura minorile solo per continuare a mantenere la proprietà dell'immobile che invece dovrebbe passare automaticamente nella disponibilità della regione Sarda;
si è di fronte ad un atto politico del governo Renzi contro la Sardegna senza precedenti –:
se non ritenga di bloccare questo scellerato piano di dismissioni che non tiene conto della realtà sarda;
se non ritenga di dover avviare le procedure immediate per la cessione degli immobili non più utilizzati dalla Stato nella funzione statale originaria;
se non ritenga di dover per ragioni inerenti ai costi gestionali, di dover escludere la Sardegna da qualsiasi piano di riparto delle quote immigrati;
se non ritenga di dover coinvolgere le amministrazioni locali e le organizzazioni sindacali in qualsiasi ipotesi di piano riorganizzativo dell'amministrazione penitenziaria in Sardegna. (4-06420)
GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
risulta all'interrogante una vicenda che vede coinvolti alcuni organi e uffici giudiziari, «innescata» da un'iniziativa quantomeno discutibile dell'Avvocato generale della procura generale di Lecce – sezione distaccata di Taranto, dottor Ciro Saltalamacchia;
risulta infatti che, in data 23 settembre 2014, quest'ultimo abbia inviato una nota al presidente del tribunale di sorveglianza di Taranto, dottor Massimo Brandimarte, segnalando e allegando una sentenza della Corte di Cassazione di annullamento di un provvedimento emesso appunto dal tribunale di sorveglianza di Taranto;
l'intenzione dell'Avvocato generale Saltalamacchia, come emerge dalla suddetta missiva, sarebbe stata quella di segnalare l'esigenza di uniformarsi alle statuizioni della Suprema Corte, «al fine di una corretta applicazione del principio nomofilattico», ma anche per motivi pratici, per evitare inutili appesantimenti dei relativi percorsi lavorativi. Peraltro la segnalazione richiama il fatto che tale decisione della Suprema Corte — che contiene principi basilari e non eludibili nella materia — rientrerebbe nel solco di una serie di decisioni di annullamento, relative sempre ad ordinanze del tribunale di sorveglianza di Taranto;
il presidente della corte d'appello di Lecce, Marcello Dell'Anna, messo a conoscenza dell'iniziativa dallo stesso Avvocato generale, dal canto suo, in data l'ottobre 2014, avrebbe inviato una nota al presidente del tribunale di sorveglianza di Taranto, invitandolo a far conoscere le proprie valutazioni in merito a quanto rappresentato dall'Avvocato Generale di Taranto, nonché a fornire notizie in ordine all'asserita ricorrenza di analoghe decisioni di annullamento adottate dalla Corte di Cassazione;
risulta che, a fronte di tali iniziative, il presidente del tribunale di sorveglianza di Taranto, dottor Brandimarte, in data 3 ottobre 2014 abbia inviato una lunga risposta al presidente della corte d'appello di Lecce, nella quale, in maniera particolarmente puntuale e analitica, si contestano i contenuti ma anche gli stessi presupposti giuridici dell'iniziativa assunta dall'Avvocato generale, che, secondo l'opinione del predetto presidente, tra l'altro sembrerebbe aver trascurato il fatto che in materia di impugnazioni in cassazione, l'enunciazione del principio di diritto a carattere vincolante riguarda soltanto le sentenze e non anche le ordinanze, come risulta in modo lapalissiano dal combinato disposto di cui agli articoli 384 e 360 del codice di procedura penale ed in particolare dal secondo comma dell'articolo 384. Nella fattispecie, quindi, si sostiene che l'invocato principio nomofilattico sarebbe del tutto fuori tema, e si evidenzia la sostanziale irrilevanza degli asseriti motivi pratici e degli appesantimenti dei percorsi lavorativi. Infine, quanto ai chiarimenti richiesti rispetto ad analoghe decisioni di annullamento di ordinanze emesse dal medesimo tribunale di sorveglianza, la risposta del dottor Brandimarte risulta aver evidenziato come, per un complesso di motivi, non si possa in alcun modo parlare di annullamenti della Corte di Cassazione che vadano oltre la fisiologia;
la vicenda appare all'interrogante non solo sorprendente ma anche assai disdicevole, posto che dovrebbero scrupolosamente essere evitate situazioni di contrasto tra organi giudiziari, specie se fondate su presupposti particolarmente deboli o verosimilmente erronei, e sviluppate con modalità e toni del tutto anomali;
da un punto di vista sostanziale, rispetto al caso di specie va oltretutto sottolineato che, a quel che risulta all'interrogante, il tribunale di sorveglianza di Taranto è sempre stato così attento e rigoroso nell'applicare le misure alternative alla detenzione che, anche nei momenti di massimo sovraffollamento vissuti nella casa circondariale «Carmelo Magli». il clima all'interno dell'istituto non ha mai registrato la tensione di altri grandi strutture carcerarie diffuse sul territorio nazionale; ciò emerge anche da una interrogazione parlamentare della precedente legislatura (la n. 4-17442, presentata a seguito della visita ispettiva di una delegazione di deputati radicali del 20 agosto del 2012), nella quale si chiedeva al Ministro della giustizia dell'epoca se non intendesse promuovere iniziative per estendere a livello nazionale le buone pratiche della magistratura di sorveglianza di Taranto;
il dottor Brandimarte, nella sua lettera al presidente della corte d'appello di Lecce, si sofferma anche sulla situazione generale delle carceri, sottolineando come siano state intraprese molteplici e proficue iniziative, sotto forma anche di incontri e sottoscrizione di protocolli Stato-Regioni-Tribunali di Sorveglianza in Roma e dinanzi allo stesso Ministro, per concordare linee tese alla massima applicazione possibile, ovviamente legittima, delle misure alternative alla detenzione, per fronteggiare l'emergenza del sovraffollamento delle carceri. Proprio a Taranto tali iniziative hanno raggiunto ottimi risultati, a detta di tutti gli operatori preposti e sensibili al problema, dal carcere all'UEPE, dalle CC.TT. ai Sert in modo particolare –:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
in base a quali norme e/o prassi una parte processuale, quale è il predetto Avvocato generale, possa assumere nei confronti di un tribunale della Repubblica iniziative come quella citata in premessa, con il dichiarato scopo di ottenere l'applicazione di uno specifico e determinato orientamento giurisprudenziale;
se non ritenga che l'iniziativa dell'Avvocato generale possa condizionare – soprattutto per i toni anomali con la quale è formulata – la serenità del giudizio nel momento in cui il tribunale di sorveglianza di Taranto dovrà di nuovo esprimersi sul caso di specie;
se sia in grado di fornire i dati della produttività dei tribunali di sorveglianza in Italia relativamente al numero di istanze esaminate e provvedimenti emessi in rapporto alla popolazione interessata dall'esecuzione della pena. (4-06427)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazione a risposta in Commissione:
GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
lo scorso 22 settembre il treno regionale veloce Trenitalia n. 3832 delle ore 6.08, in servizio sulla linea Palermo-Messina, ha subito un improvviso arresto all'interno della galleria ferroviaria Peloritana, lunga circa 12 chilometri;
l'imprevista sosta a 2.600 metri dall'uscita del tunnel, durata oltre un'ora e mezza, ha provocato panico fra i passeggeri e il personale in servizio a causa dell'alta probabilità che potesse sopraggiungere un altro convoglio a velocità sostenuta a tamponare il treno;
la situazione di pericolo per i passeggeri e il personale di bordo durante la sosta in galleria è stata reale e accresciuta notevolmente dall'impossibilità di segnalare tempestivamente il guasto dal momento che il macchinista era sprovvisto di telefono satellitare, che l'unico telefono a rete fissa disponibile per segnalare richieste di soccorso era posizionato sul lato opposto al senso di marcia del treno e che risultava impossibile altresì comunicare anche con i cellulari a causa della indisponibilità di rete dentro la galleria;
la suesposta vicenda rende palese, ancora una volta, non solo l'inefficienza qualitativa dei servizi offerti dalla società ferroviaria Trenitalia e dal gestore dell'infrastruttura RFI ai viaggiatori siciliani i quali, per la maggior parte pendolari, subiscono con intollerabile frequenza una serie di disservizi quali ritardi, soppressioni, guasti dei locomotori, precarie condizioni igieniche all'interno di convogli vetusti ma, anche e soprattutto, il mancato rispetto di qualsivoglia standard minimo di sicurezza che garantisca l'incolumità dei viaggiatori;
la galleria ferroviaria Peloritana, inaugurata nell'anno 2001, è stata oggetto nelle legislature precedenti di una serie di atti di sindacato ispettivo con i quali si segnalavano una serie di anomalie e di carenze sui dispositivi di sicurezza all'interno del tunnel di collegamento e delle discenderie attrezzate come «vie di fuga» (in particolare la tratta centrale compresa tra le discenderie di Monte Santo, lato Messina, e Torrente Gallo, lato Palermo, rispettivamente lunghe 8.100 e 1.800 metri), nonché nei piazzali attrezzati per l'emergenza;
a giudizio dell'interrogante, le problematiche attinenti i servizi ferroviari regionali della Sicilia (regolati dal contratto di servizio tra i Ministeri interrogati che disciplina i servizi delle regioni a Statuto speciale), sono da attribuire anche alle lungaggini con le quali è stato completato il processo di attribuzione delle competenze in materia di trasporto locale;
l'accordo siglato lo scorso 1o ottobre tra Stato e regione che trasferisce le funzioni e le competenze alla regione siciliana — con notevole ritardo rispetto alle necessità e alle esigenze fortemente avvertite dai viaggiatori siciliani — dovrebbe consentire di migliorare la qualità e la quantità dei servizi erogati e di offrire, finalmente, ai siciliani un trasporto più efficiente ed efficace;
il continuo rinvio dell'emanazione di atti come l'accordo di programma in precedenza indicato (che anticipa la prossima stesura del contratto di servizio per il trasporto ferroviario siciliano), ha rappresentato, nel corso degli anni, l'anello di una catena tecnico-burocratica i cui ritardi hanno concorso a determinare una serie di effetti negativi a cascata in termini organizzativi, procedurali e per i servizi di collegamento ferroviario offerti agli utenti siciliani;
il guasto al treno regionale veloce Trenitalia n. 3832 delle ore 6.08, in servizio sulla linea Palermo—Messina e gli inadeguati sistemi di attivazione dei dispositivi di sicurezza rilevati in quella occasione, impongono interventi in tempi rapidi, finalizzati a garantire un complessivo miglioramento del servizio sulle linee di circolazione all'interno dell'isola –:
quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle competenze proprie, con riferimento a quanto esposto in premessa;
quali iniziative necessarie e urgenti intendano assumere nei riguardi del gestore delle ferrovie RFI al fine di potenziare il sistema di sicurezza nei collegamenti ferroviari in Sicilia ed in particolare all'interno della galleria Peloritana;
se sia noto quali siano i tempi previsti per la stesura del contratto di servizio per il trasporto ferroviario regionale siciliano, che segue la definizione dell'accordo di programma quadro avvenuto lo scorso 1o ottobre, la cui firma dei soggetti istituzionalmente preposti, conclude una vicenda che confina la Sicilia all'ultimo posto tra le regioni nel trasferimento delle competenze;
se infine non ritengano opportuno prevedere, in occasione dell'imminente esame del disegno di legge di stabilità per il 2015, misure ad hoc in favore del trasporto ferroviario siciliano e dei servizi di collegamento, le cui condizioni di arretratezza esigono una rapida inversione di tendenza, nonostante gli apprezzabili interventi deliberati dal CIPE all'interno del piano di azione e coesione. (5-03797)
Interrogazione a risposta scritta:
OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
Trenitalia ha manifestato l'intenzione di sopprimere in Calabria alcune stazioni ferroviarie della linea Jonica;
le stazioni che saranno ridimensionate a semplici fermate, prive di personale, sono: Ardore – Bova Marina – Campo Spartivento – Caulonia – Ferruzzano – San Lorenzo – Gioiosa Jonica Riace Squillace – Isola Capo Rizzuto Roseto Capo Spulico;
«è inaccettabile, afferma il Consigliere regionale del Partito Democratico, Demetrio Naccari Carlizzi, l'intenzione manifestata da Trenitalia di sopprimere 12 stazioni lungo la linea Ferrata jonica calabrese perché questa non è altro che il preludio della sostanziale chiusura della tratta»;
la popolazione locale protesta da molti giorni contro tale decisione, che di fatto nega il diritto alla mobilità dei calabresi, già costretti da decenni a utilizzare un servizio da terzo mondo, con un solo binario e con tempi di percorrenza biblici;
questi tempi di percorrenza sono destinati ad allungarsi ulteriormente poiché la chiusura delle stazioni ridurrà ulteriormente la capacità della linea, attrezzata con un binario unico. Riducendo il numero delle stazioni, dove si può usufruire del doppio binario, si allungheranno chiaramente i tempi di percorrenza dei convogli. Vengono in sostanza a mancare gli snodi a doppio binario fondamentali per l'alternanza dei passaggio dei treni;
mentre i calabresi da anni chiedono un potenziamento della linea, segno dell'intenzione di voler ulteriormente ridurre le già poche e insufficienti corse dei treni;
tutto questo comporterà il completo isolamento infrastrutturale dell'intera fascia jonica calabrese nella totale indifferenza della regione Calabria e del Ministero interrogato –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave decisione assunta da Trenitalia e quali iniziative intenda assumere per garantire il diritto alla mobilità, sancito dalla Costituzione, e per creare le condizioni per far uscire dall'isolamento infrastrutturale una significativa parte, quella jonica, della regione Calabria.
(4-06398)
INTERNO
Interrogazioni a risposta scritta:
QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
si apprende a mezzo stampa che cinquemila donne lavorano nel settore agricolo nella campagna della provincia siciliana di Ragusa, in un contesto che presenta aberranti condizioni igieniche e in alloggi, spesso dati abusivamente in locazione dai datori di lavoro, che non sono dotati dei più essenziali servizi, quali l'energia elettrica e l'acqua corrente;
le inchieste de L'Espresso del 15 settembre e dell'8 ottobre 2014, alle quali hanno fatto seguito numerosi articoli di stampa sulle testate locali, denunciano un contesto di totale isolamento dove le lavoratrici subirebbero atti di violenza sessuale e di prevaricazione da parte dei datori di lavoro, i quali condizionerebbero il versamento dei salari all'esercizio di prestazioni sessuali;
parallelamente alle violenze sessuali di cui sarebbero vittime le donne, anche numerosi lavoratori uomini sarebbero costretti in una situazione di sfruttamento e di violenza diffusa; ad agosto del corrente anno, un lavoratore del Bangladesh sarebbe stato ucciso in piena campagna con un movente probabilmente legato al racket delle giornate agricole;
alcune delle vittime degli abusi avrebbero sporto regolare denuncia alle forze dell'ordine del comune di Vittoria; tuttavia, tali denunzie non avrebbero avuto alcun seguito e le vittime si sarebbero trovate prive di ogni forma di protezione;
le organizzazioni impegnate nei programmi di emersione e di protezione anti-tratta lamentano una mancanza delle risorse necessarie a fronteggiare un problema che risulterebbe in costante espansione;
il mercato agricolo costituisce l'essenza dell'economia della provincia di Ragusa; lo sfruttamento dei lavoratori irregolari da parte di alcuni imprenditori altera la concorrenza e compromette le attività degli imprenditori che operano nella legalità; ciò costituisce una grave forma di oppressione dell'economia locale –:
quali verifiche, per quanto di competenza, siano state compiute in merito alla condizione di degrado e di sfruttamento in cui versano migliaia di lavoratrici e di lavoratori nella provincia di Ragusa;
quali urgenti iniziative di competenza intendano assumere per potenziare i programmi di ispezione e di vigilanza nella provincia di Ragusa e per assicurare alle vittime di sfruttamento e di abusi un effettivo coinvolgimento nei programmi di protezione anti-tratta. (4-06416)
RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 3 ottobre 2014 il Presidente del Consiglio dei ministri si è recato a Ferrara per partecipare ad un dibattito nell'ambito del Festival di Internazionale e visitare il cantiere di una scuola dell'infanzia danneggiata dal terremoto del maggio 2012;
in occasione della visita, alcuni simpatizzanti e militanti del partito Fratelli d'Italia – Alleanza nazionale hanno chiesto e ottenuto l'autorizzazione a fare un sit-in nella piazza vicina a quella nella quale si stava svolgendo il dibattito con il premier;
lo stesso venerdì, tuttavia, i giovani che si sono recati al sit-in hanno dovuto prendere atto del fatto che le forze dell'ordine avevano riservato loro uno spazio recintato su tutti i lati da transenne di circa 16 metri quadrati, all'esterno del quel era loro proibito stare;
a fronte di tale trattamento di un gruppo di giovani che volevano semplicemente manifestare il proprio pensiero nel rispetto delle norme di legge, e avevano perciò chiesto una regolare autorizzazione, salta agli occhi che, invece, nella stessa piazza dove si trovava il Presidente del Consiglio stazionava un nutrito gruppo di contestatori che lo hanno insultato e hanno anche lanciato delle uova marce, nonostante la presenza delle forze dell'ordine –:
quali straordinarie esigenze di sicurezza possano essere state a fondamento della decisione di costringere addirittura all'interno di un recinto un gruppo di manifestanti che volevano soltanto esprimere liberamente e pacificamente il proprio pensiero. (4-06419)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazioni a risposta in Commissione:
CHIMIENTI, VACCA, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, MARZANA, LUIGI GALLO, D'UVA e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il piano dell'offerta formativa (P.O.F) è un documento redatto da ogni istituzione scolastica, alla base di ogni tipo di attività e di programmazione che esplicita la progettazione curricolare, educativa ed extra-curriculare che le singole scuole adottano nell'ambito della loro autonomia coerentemente con le direttive ministeriali, motivo per il quale viene considerata come la carta d'identità di ogni scuola;
il 18 dicembre 1997 è stata emanata la legge n. 440 che ha istituito un fondo denominato «Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli interventi perequativi» destinato alla piena realizzazione dell'autonomia scolastica, all'introduzione dell'insegnamento di una seconda lingua comunitaria nelle scuole medie, all'innalzamento del livello di scolarità e del tasso di successo scolastico, alla formazione del personale della scuola, alla realizzazione di iniziative di formazione post-secondaria non universitaria, allo sviluppo della formazione continua e ricorrente, agli interventi per l'adeguamento dei programmi di studio dei diversi ordini e gradi, ad interventi per la valutazione dell'efficienza e dell'efficacia del sistema scolastico, alla realizzazione di interventi perequativi in favore delle istituzioni scolastiche tali da consentire, anche mediante integrazione degli organici provinciali, l'incremento dell'offerta formativa, alla realizzazione di interventi integrati, alla copertura della quota nazionale di iniziative cofinanziate con i fondi strutturali dell'Unione europea;
il Fondo suddetto, come riportato nel testo della legge n. 440, ha iniziato a stanziare, per l'anno 1997, 100 milioni delle vecchie lire continuando con 400 milioni per l'anno seguente e, stabilendo la cifra di 345 milioni di lire per tutti gli anni a venire;
dal 2001 ad oggi il Fondo ha subito un crollo verticale, prosciugandosi anno dopo anni fino ad arrivare agli odierni 19 milioni di euro, problematica che è stata riscontrata anche da diverse testate giornalistiche nazionali, una tra tutte Il Sole 24 Ore, che ha pubblicato in data 29 settembre 2014 un articolo proprio su questo argomento;
la sensibile riduzione di questo fondo va a incidere in maniera fortemente negativa sulle attività di stage, su quelle di alternanza scuola-lavoro, sulla formazione dei docenti, sulle esigenze formative degli alunni disabili e sugli interventi contro l'abbandono e la dispersione scolastica;
nel dossier «La Buona Scuola» recentemente pubblicato dal Governo si preannuncia un potenziamento di tutte le attività sopra citate –:
se il Ministro interrogato non ritenga necessario attivarsi, con la massima sollecitudine, per dotare il Fondo di cui in premessa delle risorse finanziarie necessarie a fronteggiare i gravi problemi economici in cui versano gli istituti scolastici, affinché possano garantire un'offerta formativa di qualità, nonché le condizioni per un proficuo lavoro di tutti gli operatori della scuola;
se non si ritenga doveroso sanare la situazione dei residui dovuti, al Fondo di cui in premessa, negli esercizi passati così come stabilito dalla legge n. 440 del 1997.
(5-03798)
GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
con decreto direttoriale n. 197 del 23 gennaio 2014 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha bandito il programma SIR 2014 (Scientific Independence of young Researchers) destinato a sostenere i giovani ricercatori nella fase di avvio della propria attività di ricerca indipendente, prendendo come modello l'analogo programma «Starting Grants» bandito dall’European Research Council (ERC) e assorbendo il precedente programma FIR (futuro in ricerca) bandito con fondi FIRB (fondo investimenti nella ricerca di base);
il programma SIR 2014 rendeva disponibili 47,2 milioni di euro a valere sul fondo investimenti ricerca scientifica e tecnologica (FIRST), istituito dall'articolo 1, comma 870, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, di cui fanno parte, tra gli altri, anche i fondi FIRB e PRIN (progetti di ricerca di interesse nazionale);
il decreto direttoriale n. 197 affidava la procedura di valutazione dei progetti presentati per il SIR 2014 a tre comitati di selezione (CdS), uno per ognuno dei tre macrosettori ERC, (scienze della vita, scienze fisiche e ingegneria, scienze sociali e umanistiche), formati ciascuno da 3 componenti designati dal Consiglio nazionale dei garanti per la ricerca (CNGR) all'interno di rose di 9 nominativi proposte dal consiglio scientifico dell'ERC;
solo un mese dopo l'emanazione del bando, per l'esattezza con la nota n. 233 del 25 febbraio 2014, il Ministero interpellò l’European Research Council per avere le rose di nominativi previste dal bando, ma la risposta formale negativa dell’European Research Council sembra sia pervenuta solo il 16 luglio 2014;
con decreto direttoriale n. 2687 del 15 settembre 2014 è stato allora modificato il bando SIR affidando la designazione dei componenti dei tre Comitati di selezione al Comitato nazionale dei garanti per la ricerca (CNGR) e ampliandone il numero da 3 per ogni macrosettore ERC a ben 18 per le scienze della vita, 20 per le scienze fisiche e l'ingegneria, 12 per le scienze sociali e umanistiche;
la designazione dei componenti dei comitati di selezione sarà effettuata dal Consiglio nazionale dei garanti per la ricerca, scegliendo due nominativi per ogni settore ERC ricompreso nel macrosettore in rose di sette nominativi prodotte mediante sorteggio sulle liste di esperti già disponibili presso il Ministero;
il medesimo decreto n. 2687 prescrive che i nominativi dei componenti dei comitati di selezioni così designati non saranno resi pubblici sino a valutazione conclusa e che la valutazione dei singoli progetti presentati avvenga mediante pareri richiesti a tre revisori esterni anonimi per ogni progetto scelti dai comitati di selezione;
il Cngr, istituito dall'articolo 21 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, è composto da sette membri ed è stato costituito per la prima volta con il decreto ministeriale del 27 aprile 2012 nelle persone dei professori Vincenzo Barone, Angelos Chaniotis, Anna Maria Colao, Daniela Cocchi, Claudio Franchini, Alberto Sangiovanni Vincentelli e Francesco Sette;
la legge istitutiva stabilisce (articolo 21, comma 4 e comma 5) che il mandato dei componenti del Consiglio nazionale dei garanti per la ricerca è triennale e non può essere immediatamente ripetuto una seconda volta; stabilisce inoltre che, in sede di prima applicazione, due dei componenti, individuati per sorteggio, abbiano un mandato ridotto a un biennio;
quindi essendo decorso già un biennio dalla nomina, due dei componenti del Cngr dovrebbero essere già decaduti dal Comitato;
dal sito del Cnger è praticamente impossibile ricavare informazioni significative sulla situazione e sull'attività del Comitato;
alla data di scadenza della presentazione dei progetti, fissata per il 13 marzo 2014, erano stati presentati oltre cinquemila progetti di ricerca di giovani ricercatori;
la somma stanziata per il bando SIR è l'unica disponibile nel 2014 per finanziare la ricerca pubblica e liberamente proposta dai ricercatori di ogni disciplina, essendo purtroppo azzerate le disponibilità per i PRIN e per i FIRB;
l'attesa per i risultati del bando SIR è di conseguenza molto forte tra i giovani ricercatori e nelle università ed enti pubblici di ricerca, come mostrano anche gli interventi apparsi sui blog specializzati, come ad esempio quelli di Luisa M. Paternicò apparsi sul sito www.roars.it l'1o agosto 2014, e il 6 ottobre 2014 –:
quali siano le ragioni di un simile ritardo nell'assegnazione di finanziamenti di ricerca, per giunta gli unici disponibili per la ricerca pubblica e libera nel 2014;
entro quali tempi si preveda che possano essere assegnati e resi disponibili i finanziamenti SIR 2014;
se il Ministro non ritenga che la nuova procedura di valutazione varata col decreto n. 2687 del 15 settembre 2014 sia eccessivamente farraginosa e possa contribuire a ritardare ancora l'assegnazione dei finanziamenti SIR 2014, in particolare, se non ritenga di rivedere la decisione di tenere riservati i nominativi dei componenti dei comitati di selezione sino a conclusione della procedura di valutazione;
quale sia l'esatta situazione attuale del Consiglio nazionale dei garanti per la ricerca e, in particolare, se vi siano componenti decaduti dalla carica e chi siano, in caso affermativo se si sia dato corso alla procedura per la loro sostituzione e con quali modalità, di conseguenza, se l'attuale Consiglio nazionale dei garanti per la ricerca possa legittimamente svolgere il compito assegnatogli riguardo alla valutazione dei progetti SIR 2014;
quali siano le prospettive per i finanziamenti 2015 per la ricerca pubblica e liberamente proposta dai ricercatori in ogni disciplina, tenendo conto che l'avanzamento culturale, scientifico e tecnologico dipende in modo essenziale da questo tipo di ricerca. (5-03801)
Interrogazioni a risposta scritta:
SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
il decreto-legge 104 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 128 del 2013, prevedeva il consolidamento di 200 posizioni presso l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia;
ad un anno di distanza non un solo contratto di assunzione è stato ancora firmato;
entro il mese di dicembre 2014 l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia dovrà procedere all'assunzione dei primi 40 lavoratori previsti;
a quanto consta agli interroganti sono state avviate dal collegio dei revisori dei conti alcune azioni in materia di inconferibilità/incompatibilità degli incarichi dei componenti il Consiglio d'amministrazione;
in conseguenza di tali iniziative, è concreto il rischio che saltino anche queste 40 assunzioni –:
se non ritengano doveroso ed urgente formulare immediatamente un piano di assunzioni quinquennale, per dare subito prospettiva e certezze a tutti i lavoratori;
se non ritengano di dover operare nell'ottica di uno scorrimento integrale delle graduatorie di idonei a concorsi pubblici già svolti, per valorizzare il merito e diminuire il rischio di contenzioso;
se non ritengano opportuno, agire in ottica di una valorizzazione massima dell'anzianità, in base al requisito della stabilizzazione, su concorsi ordinari e riservati, per tutelare le professionalità maturate in decenni di eccellenza scientifica;
se non sia doveroso operare un riequilibrio delle risorse riservate sui diversi profili tecnico/amministrativo/scientifici dell'ente, offrendo opportunità equilibrate di accesso a tutto il personale. (4-06411)
GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
in base alla normativa vigente nel corso degli ultimi tre anni di frequenza delle scuole medie superiori, è prevista la possibilità di incrementare il voto finale con cosiddetti crediti formativi, che possono essere conseguiti in diversi modi, uno dei quali è costituito dallo svolgimento di attività di volontariato extrascolastico;
il quotidiano «il Resto del Carlino» del 10 ottobre 2014 ha riportato la notizia che in occasione della festa provinciale del Partito Democratico di Ravenna, nelle scuole sono stati «arruolati» degli studenti per andare a svolgere attività di vario tipo legate all'allestimento e all'organizzazione della stessa festa in cambio della promessa del riconoscimento di crediti formativi per attività di volontariato, crediti poi effettivamente assegnati ai giovani che hanno partecipato;
appare all'interrogante alquanto singolare che andare a svolgere qualunque tipo di servizio in occasione di una festa di partito possa essere ricondotto alla stregua di attività di volontariato, e ancora più singolare appare la procedura secondo la quale gli organizzatori della festa del PD possano aver condotto una sorta di campagna di reclutamento tra gli alunni –:
se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (4-06412)
DI VITA, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, MANTERO, SIMONE VALENTE, DALL'OSSO e CECCONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la figura dell'insegnante di sostegno è stata introdotta nella scuola dell'obbligo italiana con la legge 4 agosto 1977, n. 517. Tali docenti, specializzati nella didattica speciale per l'integrazione di alunni diversamente abili (comunque certificati «in situazione di handicap» nei modi e nei termini previsti dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104), sono di norma presenti nelle scuole dell'ordinamento scolastico italiano, nelle classi ove sia presente uno o più alunni «certificati»;
la scuola è ormai iniziata in tutta Italia. Non tutti i bambini sono tuttavia riusciti a presentarsi nelle proprie classi. E nemmeno tutti gli insegnanti. Anche al suono della prima campanella dell'anno scolastico 2014/2015 il quadro non è cambiato: come negli anni passati le prime settimane risentono infatti dell'assenza del personale docente di sostegno;
sono molte, troppe, le famiglie italiane che stanno vivendo proprio in questi giorni il disagio di un «sostegno che non c’è». Basta affacciarsi nei numerosi gruppi di «famiglie con disabilità» sparsi per la rete per rendersi conto che in questo periodo dell'anno quello del sostegno scolastico è sempre il tema più dibattuto, il problema più sentito, l'argomento più condiviso: tanti sono i genitori che parlano di ore che non bastano, insegnanti che non ci sono, o che non si conoscono, assistenti educativi che ancora non arrivano;
moltissime famiglie, ad esempio, si sono trovate, come ogni anno, un insegnante di sostegno nuovo al fianco del proprio figlio. Tanti però non sanno ancora chi sarà a prendersi cura di lui, perché il docente non è stato assegnato. Altri, ancora, l'insegnante non lo vedranno mai, perché non verrà proprio assegnato: in alcune province, a quanto pare, sono «finiti» gli insegnanti di sostegno, quindi, per rimediare a tale vacatio, alcuni studenti con disabilità, anche gravi, saranno affidati ad insegnanti curriculari, che poco o nulla potrebbero sapere della disabilità;
i docenti di sostegno in proporzione agli studenti disabili diminuiscono di anno in anno. A fine agosto il contingente era ancora provvisorio e contava su 92.947 docenti. L'anno scorso gli alunni disabili erano 209.814, gli insegnanti erano 110.216, quasi la metà: ciò significa che ogni allievo è seguito da un insegnante di sostegno per la metà del tempo scolastico; un alunno con disabilità trascorre in classe un tempo molto inferiore all'orario scolastico dei suoi compagni, mediamente 14 ore su 30;
la conferma arriva dalla fotografia dei dati anticipati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca: il numero degli alunni con disabilità è in lieve aumento. Nell'anno scolastico 2013/2014 erano 209.814 mentre quest'anno torneranno tra i banchi 210.909 ragazzi diversamente abili. A fronte di questo incremento, esaminando il grafico della serie storica dei posti dei docenti di sostegno, non vi sarà un grande cambiamento: il contingente finale è previsto in 110 mila professori e maestri, 216 unità in meno rispetto allo scorso anno (110.216);
quelle appena illustrate sono cifre che non cambiano la sostanza: in Italia il rapporto medio di docenti/alunni continua ad essere quello di 1:2, con alcune punte di 1:3 alle scuole superiori di secondo grado di alcune regioni. Osservando i numeri nei diversi territori è interessante rilevare che al Nord gli alunni disabili aumentano, seppur lievemente in alcune regioni, mentre in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna diminuiscono. Variazioni che non vanno di pari passo con i posti di sostegno in diminuzione ovunque a parte la Lombardia, l'Umbria, il Lazio e la Basilicata;
nel rapporto annuale Istat 2014 si legge che l'Italia è al settimo posto tra i Paesi Unione europea per la spesa in protezione sociale (sanità, previdenza e assistenza) destinando il 29,7 per cento del Pil (la media europea è 29 per cento). Ma esiste una forte disomogeneità nelle voci di spesa: le pensioni di anzianità e vecchiaia assorbono oltre il 52 per cento della spesa totale (media europea 39 per cento), mentre alla disabilità viene riservato il 5,8 per cento contro il 7,7 per cento della media europea e a famiglia, infanzia e maternità destiniamo solo il 4,8 per cento contro l'8 per cento della media europea;
nonostante la recente immissione in ruolo di insegnanti di sostegno varata dal Governo Letta-Carrozza (legge n. 128 del 2013) e autorizzata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (13.342, larga parte dei circa 28 mila insegnanti assunti a tempo indeterminato a settembre in tre anni successivi, con tranche di 4.447 lo scorso anno, 13.342 questo e 8.895 il prossimo) sono ancora decine gli studenti disabili che non sono stati accolti ed inseriti come avrebbero dovuto;
una situazione assurda che ha portato negli ultimi tre anni oltre 15 mila famiglie italiane, nonostante la sentenza n. 80 della Corte costituzionale del 22 febbraio 2010 abbia messo a disposizione oltre 15.000 insegnanti di sostegno, a fare ricorso al TAR contro il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per ottenere il diritto allo studio per i loro figli, per un consequenziale ingente danno erariale derivante dalla non rara soccombenza dello Stato nel contenzioso;
la politica non si è adoperata opportunamente per risolvere l'annosa questione, proseguendo ugualmente la tendenza al ribasso nella gestione del sostegno scolastico, generando nuove proteste e ricorsi al Tar delle famiglie dei disabili gravi. Nemmeno questo, però ha provocato un ravvedimento dell'amministrazione. Infatti, ogni volta che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e le direzioni scolastiche locali perdono una causa loro intentata dalla famiglia di un allievo disabile, i costi sono a carico dello Stato, il che non dissuade l'amministrazione dal proseguire nella sua politica di tagli al sostegno, anzi, per lo stesso motivo spesso sono proprio le famiglie ad essere dissuase dall'insistere per ottenere il riconoscimento del diritto, dato il ciclico ripetersi, la cronicità, di tali condizioni;
dal Nord al Sud Italia, le famiglie con ragazzi e bambini con difficoltà psichiche o motorie sono alle prese con carenze, disagi e inadempienze, ai quali occorrerebbe porre urgente rimedio;
proprio in corrispondenza dell'avvio dell'anno scolastico l'interrogante ha ricevuto numerosi messaggi di posta elettronica contenenti testimonianze e lamentele da parte delle famiglie di ragazzi con disabilità;
esemplare, a tal proposito, la vicenda della famiglia del signor D. B., padre di Matteo, il quale racconta come da ormai un anno si trovi letteralmente costretto a «combattere» contro una burocrazia fin troppo farraginosa per dare adeguata assistenza sia scolastica che sanitaria al proprio figlio, risultato affetto da un ritardo psicomotorio che ne limita fortemente il linguaggio. Avuti i primi avvisi del problema la famiglia B. ha infatti iniziato immediatamente l’iter per far seguire il bimbo da una struttura sanitaria pubblica. Oggi, a distanza di un anno, il bimbo è stato preso in carico dall'ASL di Rieti ma senza poter iniziare alcuna terapia a causa dell'indisponibilità del fisioterapista e del logopedista; cure che la famiglia B. ha però immediatamente provveduto a fare privatamente, con ottimi risultati, ma non senza notevole sforzo economico. I medici che hanno in cura il bimbo hanno allora consigliato ai genitori di Matteo di abbandonare il nido, nonostante il bimbo abbia poco più di 2 anni e mezzo, in favore della scuola materna poiché, a detta degli stessi, con il sostegno di una insegnante unito agli stimoli derivati da bimbi più grandi ed evolutivamente più avanti di lui, Matteo ne avrebbe tratto sicuro giovamento. In periodo di iscrizioni i genitori di Matteo si sono allora recati alla scuola materna ed in primavera hanno fatto richiesta del sostegno, forti del fatto che sia la ASL che la direzione didattica avevano garantito loro che per il tipo di problematica del bimbo lo avrebbero ottenuto senza alcun problema, con rapporto 1:1 e addirittura la possibilità di scelta dell'insegnante. All'avvio dell'anno scolastico, invece, la doccia gelata: il provveditorato ha infatti tagliato il personale di sostegno per cui Matteo (che dice poche parole e rischia di essere emarginato per selezione naturale dagli altri bambini che giustamente sono poco attratti da un bimbo che non parla ancora) può usufruire di sole 6 ore di sostegno a settimana e per di più seguito non più da una insegnante fissa, essendo stato garantito il rapporto 1:1 esclusivamente a chi aveva presentato al momento dell'iscrizione la certificazione ex articolo 3, comma 3, legge 104, che riguarda casi particolarmente gravi. Per Matteo, dunque, come per altri bimbi che non hanno prodotto in tempo utile tale documentazione (non per propria colpa), l'anno scolastico inizia dunque senza un sostegno adeguato. La famiglia B. è riuscita a quel punto ad ottenere l'assegnazione della visita presso la commissione legale al fine di ottenere la certificazione ex legge 104, solo dopo grosse insistenze, per il giorno 22 ottobre e nelle more la dirigente scolastica consigliava loro di fare richiesta al comune di Rieti per l'assegnazione di un'assistente all'insegnante, figura certamente molto distante da un sostegno specializzato. Da ultimo, la clinica S. Alessandro di Roma, ove la famiglia B. si era recata in settembre per prenotare una visita di controllo per verificare quali miglioramenti fossero eventualmente riscontrabili sul profilo evolutivo del figlio Matteo, comunicava ai signori B. che il figlio avrebbe potuto effettuare tale visita non prima di febbraio 2015 a causa di tagli fatti al personale di neuropsichiatria infantile. Anche in questa circostanza, dopo notevoli insistenze, i genitori di Matteo sono riusciti a prendere appuntamento tra metà novembre ed inizio dicembre 2014, spinti dalla consapevolezza che la tempestività di un qualsiasi intervento in favore del figlio di soli due anni e mezzo possa fare una enorme differenza;
la scuola non è cominciata anche per molti alunni disabili della provincia di Napoli. Con delibera dello scorso 7 agosto la provincia ha infatti interrotto l'erogazione dei fondi per le attività e l'inserimento di circa seicento studenti partenopei delle scuole superiori. Mancando l'assistenza materiale i ragazzi disabili non possono andare a scuola;
numerosi articoli di quotidiani online e cartacei hanno riportato diversi episodi analoghi di carenza nel sostegno scolastico agli alunni disabili verificatisi in tutto il territorio nazionale: a Bergamo Patrizia, mamma di Matteo, è rimasta personalmente in classe accanto al figlio per i primi giorni di scuola dal momento che gli insegnanti di sostegno erano «finiti»; I genitori di Lorenzo, un ragazzo con sindrome d Down di Marotta di Mondolfo (PU) sono molto preoccupati perché al figlio sono state assegnate solo 9 ore di sostegno, contro le 13 dello scorso anno, a fronte di un aumento del tempo scuola e di un passaggio di ordine di scuola da affrontare; a Palermo notevole è stata la preoccupazione dei genitori di un ragazzo autistico di 14 anni, lasciato solo all'uscita dal suo primo giorno di scuola, che ha vagato per quasi un'ora, seguendo il flusso degli altri studenti, allontanandosi per oltre 600 metri;
relativamente alle politiche inclusive e antidiscriminatorie per le persone con disabilità, si registra ancora la mancata realizzazione del Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, messo a punto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, adottato con decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre 2014;
in particolare, nel contesto della presente interrogazione, si evidenzia che la Linea di intervento 5 del Piano, relativa ai processi formativi e all'inclusione scolastica, il Legislatore si è impegnato a garantire l'attivazione di reti di supporto, consulenza e formazione, nonché la qualità del sostegno agli studenti disabili, attribuendo fondamentale importanza in tal senso al ruolo ricoperto dall'insegnante di sostegno nelle scuole, nei CTP (Centri territoriali permanenti, dove si insegna agli anziani) e nei corsi serali;
il 14 settembre 2014 è andato in onda su Rai1 uno speciale Tg1 intitolato «La rete strappata», di Alessandro Gaeta, che attraverso il racconto in presa diretta delle storie di persone con disabilità, giovani e anziani che lottano giorno per giorno per ottenere pari dignità con gli altri cittadini, pone in chiave critica particolare attenzione relativamente al taglio di 750 milioni di euro subito, in dieci anni, dal fondo per le politiche sociali, passato da un miliardo a poco più di 250 milioni di euro;
anche tale documento fa emergere un quadro, purtroppo ormai noto, davvero sconfortante delle attuali politiche sociali in un Paese, l'Italia, in cui tra patto di stabilità e piani di rientro, i finanziamenti a chi lavora nel sociale arrivano sempre più spesso con il contagocce e tra coloro che pagano il prezzo di uno stato sociale sempre più debole ci sono proprio i disabili fisici e i disabili sociali;
la richiesta di un adeguato sostegno agli alunni con disabilità unita alla tutela loro costituzionalmente garantita del diritto allo studio, dovrebbero essere considerati invece come un minimo comune denominatore di civiltà, una scelta dei diritti sentita da tutti i cittadini, da tutta la politica, e non una battaglia di categoria;
le famiglie, nel frattempo, continuano a battersi col coraggio di prendere di petto il problema, nonostante le enormi difficoltà cui dover far fronte quotidianamente, per far valere i propri diritti e quelli dei figli, a cui non accennano a voler rinunciare –:
se sia a conoscenza dei dati, nonché dei fatti incresciosi citati in premessa;
come intenda far fronte a tali disservizi denunciati al fine di garantire l'inclusione e l'effettività del diritto allo studio di tutti gli alunni con disabilità, rimediando così al considerevole danno d'immagine che lo Stato continua a subire a causa dei tagli al sostegno lesivi dei diritti dei disabili;
riscontrata l'attuale inadeguatezza del sostegno scolastico agli alunni disabili, ampiamente documentata in premessa, se non ritenga opportuno illustrare con esattezza attraverso quali attività, e con quali scadenze, intenda attuare la linea di intervento 5 del programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, e quali somme verranno accantonate, o fondi stanziati, per la sua realizzazione.
(4-06417)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazione a risposta orale:
FONTANELLI, CARROZZA e GELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
per quanto risulta agli interroganti:
dall'aprile 2011 i dipendenti dei Cantieri navali di Pisa del gruppo Baglietto, che opera anche in Liguria, sono in «assemblea permanente» a seguito della grave crisi del gruppo iniziata nel 2009;
i dipendenti della Baglietto, di cui circa 38 impiegati presso la sede di Pisa, sono stati in cassa integrazione guadagni straordinaria dall'8 luglio 2010 fino all'inizio del mese di gennaio 2012, grazie a una proroga accordata nel mese di giugno 2011;
a fine 2012 tali dipendenti hanno preso la decisione di costituirsi in cooperativa, con il pieno sostegno Ila Cgil e della Legacoop e delle stesse istituzioni locali. Successivamente, il 29 aprile 2014, il consiglio regionale della Toscana ha approvato una mozione unitaria con la quale ha impegnato il presidente e la giunta a sostenere il progetto della cooperativa, costituitasi con l'obiettivo di ricercare un partner industriale interessato ad una reale ripresa dell'attività e non ad una pura operazione di speculazione finanziaria;
il liquidatore del gruppo Baglietto, ragionier Federico Galantini, ha più volte manifestato l'intenzione di cedere il proprio ramo d'azienda «cantieri di Pisa»;
il 21 gennaio 2014 il liquidatore del gruppo ha sottoscritto a Roma, presso la direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro del Ministero, un accordo con cui ha impegnato l'azienda a presentare domanda di cassa integrazione straordinaria in favore di un numero massimo di 61 dipendenti allo scopo di una riorganizzazione aziendale di 12 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2014 e con un piano di investimenti pari a circa 3 milioni di euro;
tuttavia, le procedure inerenti alla concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria si sono interrotte a fine 2013 e da gennaio 2014 i lavoratori non percepiscono salario a causa della mancata consegna della documentazione necessaria ai fini dell'emanazione del decreto ministeriale da parte del liquidatore del gruppo Baglietto;
il 4 agosto 2014, a seguito del protrarsi della mancata consegna da parte del liquidatore della documentazione necessaria, si è tenuto presso la prefettura di Pisa un incontro, presieduto dal viceprefetto vicario dottor Valerio Massimo Romeo e alla presenza dei rappresentanti delle istituzionali locali, dei lavoratori e del ragionier Galantini. In tale occasione venivano discussi l'eventuale invio del piano industriale presso il Ministero competente, nonché le procedure necessarie all'emanazione del decreto di concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria per riorganizzazione aziendale;
successivamente, il liquidatore ha ritenuto di cedere il ramo d'azienda «Cantieri di Pisa Srl» alla Union strong marine holding, con sede a Viareggio (Lucca) e con la quale avrebbe sottoscritto più preliminari di acquisto;
il liquidatore si è impegnato a garantire che tale cessione sarebbe avvenuta nel rispetto dell'esigenza di continuità del rapporto di lavoro e di conservazione del livello occupazionale nel medesimo sito –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e quale sia il suo orientamento in merito;
se risulti l'invio, da parte del liquidatore, della documentazione relativa all'attivazione della cassa integrazione guadagni straordinaria per l'anno 2014 e, in caso affermativo, a che punto sia il relativo iter;
se non ritenga altresì di dover acquisire elementi sulla situazione finanziaria della Union strong marine holding al fine di garantire ai lavoratori, nel rispetto dell'accordo, la continuità del rapporto di lavoro e la conservazione del livello occupazionale nel medesimo sito. (3-01099)
Interrogazione a risposta scritta:
RAMPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
da circa quindici anni esistono delle convenzioni stipulate tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le singole regioni per l'impiego dei cosiddetti lavoratori socialmente utili (LSU) che vengono sottoscritte ogni anno (ed è stata sottoscritta anche quella relativa all'anno solare 2014) ma vigenti con un regime di proroga trimestrale, con una prassi che ha garantito, per tutti questi anni, una continuità del servizio;
la copertura finanziaria annuale era garantita attraverso la semplice sottoscrizione della convenzione;
sinora, ad ogni fine trimestre la proroga veniva garantita attraverso un decreto attuativo firmato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, una successiva delibera della giunta regionale e, infine, una delibera della giunta comunale con cui si prendeva atto dell'avvenuta proroga, e nonostante eventuali ritardi nella firma della proroga, il rapporto di lavoro sottostante le convenzioni non è mai stato interrotto;
il meccanismo descritto ha, tuttavia, subito uno stallo in seguito ad una eccezione sollevata dalla Corte dei Conti in merito ad una norma contenuta nell'ultima legge di stabilità, contenente il divieto di «stipulare nuove convenzioni», di fatto bloccando anche il rinnovo di quelle già vigenti;
di conseguenza, al 30 settembre 2014, scadenza trimestrale della proroga della convenzione, le regioni Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, sulla scia di questa interpretazione, hanno visto la sospensione immediata delle attività degli LSU, con il conseguente fermo del pagamento delle relative indennità, pari a circa 500 euro mensili, senza il versamento di alcun contributo previdenziale;
la situazione, per quanto già critica, rischia di diventare insostenibile se si pensa che la maggior parte dei servizi resi alla comunità viene svolta proprio dagli LSU;
esempio lampante ne è il comune di Crispiano, dove su 50 dipendenti comunali 18 sono LSU che lavorano a completo servizio dei cittadini e nei settori a maggior contatto con gli stessi, come la cultura o il sociale, e si tratta di lavoratori che hanno dedicato più di dieci anni al servizio della loro comunità, di lavoratori preparati e indispensabili per l'amministrazione comunale;
a sostegno della tesi che l'eccezione della Corte dei Conti non dovrebbe colpire i contratti già in essere che necessitano di una mera proroga, va considerato anche il fatto che un comma della richiamata legge di stabilità prevede la possibilità di intraprendere un percorso di stabilizzazione dei lavoratori, superando i vincoli nelle assunzioni previsti per le amministrazioni comunali in regime di convenzione;
è assolutamente necessario che siano salvaguardati e tutelati gli interessi convergenti degli LSU, dell'intera comunità e delle amministrazioni comunali, al fine di scongiurare uno stato di crisi sociale, etica, lavorativa, morale, posto che la protesta degli LSU che prenderebbe corpo attraverso un «blocco totale dei servizi» resi dagli stessi, comporterebbe un totale annichilimento dell'attività di servizio nei confronti della cittadinanza, inconsapevole vittima di una giusta ma destrutturante protesta –:
quali opportuni e urgenti iniziative di competenza, anche normative, intenda assumere con riferimento ai fatti descritti in premessa. (4-06404)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta scritta:
GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
secondo elaborazioni del Centro studi federalimentare su dati ISTAT, l'industria agroalimentare italiana, che compra e trasforma il 72 per cento delle materie prime agricole nazionali, è la seconda del Paese dopo la metalmeccanica. Con un fatturato che nel 2012 si è attestato su 130 miliardi di euro ed un trend di crescita del 2-3 per cento tra il 2010 ed il 2012, è senz'altro un comparto trainante dell'economia italiana, in grado di offrire al consumatore prodotti competitivi e garantiti in termini di sicurezza, gusto e qualità;
da notizie stampa si apprende, inoltre, che, per quanto riguarda il comparto in regione Toscana, è il mercato cinese la nuova grande piazza dell’export toscano agroalimentare: il boom vale +37 per cento rispetto all'anno scorso, con grandi potenzialità di crescita, posto che la quota di esportazioni dirette verso il Paese del Dragone è ancora molto limitata (5 per cento) rispetto ad altre nazioni e aree geografiche;
si apprende tuttavia, sempre da notizie stampa, che il Gruppo cinese Yimin, una sussidiaria del gruppo Bright Food, ha siglato un accordo per acquisire dalla famiglia Fontana un pacchetto di maggioranza del gruppo oleario toscano Salov, proprietario dei marchi Sagra e Filippo Berio. La transazione prevede che il colosso del comparto alimentare di Shanghai, con un giro d'affari di 17,3 miliardi di dollari, subentri nel controllo della Salov agli storici azionisti della famiglia Fontana, che tuttavia mantiene quote di minoranza;
Bright Food è il secondo gruppo alimentare cinese per dimensioni. Il Gruppo Salov è specializzato nella produzione e vendita di olio di oliva, olio di semi e prodotti correlati in oltre 60 Paesi, è leader di mercato negli Stati Uniti e Regno Unito e genera un giro d'affari di 330 milioni di euro;
con questa operazione del Gruppo cinese Yimin e dopo l'acquisizione di Bertolli, Carapelli e Sasso da parte del fondo statunitense «Cvc Capital Partners», l'olio di oliva made in Italy diventa sempre più straniero. Coldiretti stima che il valore dei marchi storici dell'agroalimentare italiano passati in mani straniere dall'inizio della crisi supera i dieci miliardi di euro;
Unaprol ha dichiarato, a margine della vendita della maggioranza del gruppo toscano Salov, che nel mercato dell'olio di oliva e in quello dell'extravergine in particolare, spaventa l'assenza di regole certe in un quadro normativo obsoleto e non coerente con le richieste di maggiore trasparenza da parte dei consumatori e delle imprese del settore. Il fatto che gruppi stranieri siano interessati all'acquisto di marchi storici del made in Italy agroalimentare è la conferma che l'italianità dei marchi italiani paga e dà frutti, ma solo per chi ha un progetto strategico che l'Italia fa fatica ad elaborare;
appare evidente agli interroganti che in un mercato libero non si possono alzare barriere doganali ad oltranza, tuttavia il legislatore potrebbe stabilire regole comuni e condivise. Oggi il quadro delle norme che regolano la commercializzazione di questo prodotto è leggermente più chiaro, ma solo per il mercato europeo. Fuori dal vecchio continente le norme sono molto diverse e non risulta ci sia un'operazione di coordinamento tra normative –:
se il ministro interrogato, nell'ambito delle proprie prerogative ed all'interno del semestre europeo a guida italiana, non ritenga opportuno farsi promotore di una proposta che impegni le Istituzioni europee ad assumere iniziative per pervenire a un coordinamento delle normative internazionali in materia di commercializzazione dell'olio di oliva e di quello dell'extravergine in particolare, al fine di una maggiore tutela del made in Italy agroalimentare. (4-06397)
SALUTE
Interrogazione a risposta in Commissione:
NICCHI e RICCIATTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto 26 febbraio 2003 ha perimetrato il sito di interesse nazionale (SIN) di Falconara Marittima nel quale la raffineria di petrolio occupa una parte rilevante;
l'impianto di raffineria di Falconara Marittima è entrato in attività nel 1950, sviluppata su una superficie di 700.000 metri quadri di superficie, è incastonata nel lato nord del centro abitato del comune di Falconara Marittima in provincia di Ancona;
tale impianto ha sempre destato preoccupazione circa le sue emissioni nocive e i relativi effetti per la salute della popolazione residente;
a partire dagli anni Settanta sono state svolte indagini sanitarie che hanno interessato i lavoratori e i cittadini falconaresi, tra le quali si citano quelle più rilevanti:
a) lo studio sugli addetti all'impianto petrolchimico a cura dell'istituto d'igiene dell'università degli studi di Ancona in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità – avviato nel 1991 e aggiornato nel 1996 – deve essere tuttora concluso e ha interessato 659 (650 uomini e 9 donne) lavoratori della raffineria in servizio fra il 1974 ed il 1989 con un follow-up aggiornato al 1996. Sono state indagate 33 gruppi e cause di morte. Lo studio occupazionale ha rilevato eccessi di mortalità tumorale complessiva e di tumori cerebrali in particolare, dato questo in linea con le risultanze di studi simili condotti in altri Paesi e pubblicati sulla letteratura internazionale;
b) l'analisi commissionata dalla procura della Repubblica di Ancona (motivi a tutt'oggi non noti ai cittadini), analisi epidemiologica geografica di mortalità e ricovero ospedaliero per causa. Centroide di Falconara Marittima e comuni entro 30 chilometri nel settembre del 2002 secondo cui: «I tumori del sistema emolinfopoietico (leucemie, linfomi, mielomi) presentano nel loro complesso la maggiore problematica del comune di Falconara. Nel corso degli anni sono stati segnalati ripetuti eccessi in questa categoria diagnostica, ora in un sesso, ora nell'altro a seconda dei sottogruppi considerati, con distribuzione però differente per tipologia e periodo: negli anni 1981-94 ad una mancanza di rischio complessivo di leucemie tra gli uomini fa da contrasto un rischio aumentato di linfomi non Hodgkin negli uomini, nelle donne non significativo statisticamente ma con un eccesso nello stesso sesso di mielomi multipli, non significativo. Nel periodo più recente l'eccesso per linfomi non Hodgkin si sposta nel sesso femminile mentre negli uomini è inferiore all'atteso. I tumori emolinfopoietici nel loro complesso sono ora in eccesso nel sesso femminile mentre sono diminuiti negli uomini. Le leucemie nel periodo più recente sono in eccesso nelle donne, mentre negli uomini non sono rilevabili eccessi come nel periodo precedente. (...) Le leucemie sono invece state correlate con numerosi fattori di rischio, soprattutto con il benzene e altri derivati simili dell'industria petrolifera. La correlazione tra patologie del sistema emolinfopoietico ed esposizioni professionali tra gli addetti ad impianti petrolchimici esiste un corpus di letteratura molto corposo, perdurante dai primi studi eseguiti, spesso con evidenze anche tra la popolazione residente nei pressi degli impianti stessi. Nella monografia IARC (International Agency for Research on Cancer) più volte citata la documentazione più rilevante riguarda per l'appunto tale associazione. Va rimarcato che successivamente al 1989, anno di pubblicazione della monografia IARC sulla pericolosità degli impianti di raffinazione del petrolio, sono stati numerosissimi gli studi pubblicati sull'argomento della maggiore incidenza di tumori emolinfopoietici in lavoratori addetti a industrie petrolchimiche o residenti nelle vicinanze». E ancora nelle conclusioni svolte per la procura: «sono stati rilevati, a Falconara, alcuni eccessi, alcuni significativi, in vari periodi e in entrambi i sessi, pur con differenze nelle singole tipologie, che meritano la massima considerazione e richiederebbero la ricostruzione dell'esposizione dei vari soggetti, tramite intervista ai familiari dei deceduti, con uno studio analitico del tipo caso-controllo per verificare le ipotesi eziologiche più preoccupanti»;
il 29 settembre 2011 l'Istituto nazionale tumori di Milano ha consegnato alla regione Marche, alla provincia di Ancona e ai comuni di Falconara Marittima, Chiaravalle e Montemarciano i risultati finali dell'indagine epidemiologica presso la popolazione residente a Falconara Marittima e comuni limitrofi riguardante il periodo dal 1994 al 2003. L'indagine, con uno studio analitico del tipo caso-controllo è la prima e unica indagine che ha ricostruito l'esposizione dei vari soggetti tramite l'intervista ai familiari dei deceduti;
il 29 marzo del 2012, su invito e organizzazione delle associazioni dei cittadini falconaresi, i risultati finali dell'indagine venivano divulgati dall'Istituto nazionale tumori di Milano in un'assemblea pubblica;
i risultati dell'indagine sono il frutto:
a) di una convenzione, stipulata a luglio 2003 tra l'Istituto nazionale dei tumori di Milano e l'Agenzia regionale sanitaria della regione Marche, per l'elaborazione di uno «studio di fattibilità relativo all'indagine epidemiologica» presso la raffineria API di Falconara;
b) della deliberazione n. 679 del 15 giugno 2004 della giunta regionale delle Marche che approvò lo studio di fattibilità, il programma operativo e la stima dei costi necessari;
c) della deliberazione integrativa n. 977 dell'11 settembre 2006 della giunta regionale delle Marche che definì il contributo complessivo regionale destinato al completo svolgimento dell'indagine, approvò il protocollo operativo di dettaglio e istituì il tavolo tecnico costituito ai rappresentanti dei servizi regionali ambiente e difesa suolo e salute, dei comuni interessati e della provincia di Ancona con il compito di valutazione e verifica delle attività inerenti l'Indagine in termini di contenuti, di congruità dei costi e dei risultati attesi;
secondo i dati raccolti dall'indagine, si evidenzia che «nell'area è esistito un problema di esposizione alla raffineria associato ad eccesso di rischio di morte per leucemia e linfoma non Hodgkin (e forse anche di mieloma, stando agli esiti della linea B), patologie relativamente rare»;
dalla relazione finale dell'indagine si rileva che «il rischio sia stato particolarmente evidente per i soggetti che avevano domiciliato per più tempo entro i 4 chilometri dalla sorgente inquinante». Si specifica che gli eventi «sono occorsi in un non elevato numero di persone di età avanzata che hanno vissuto per oltre 10 anni in prossimità della Raffineria»; ma «tali eventi possono essere anche interpretati come il segno di fatti sanitari importanti che hanno interessato fasce ben più ampie di popolazione». Quindi si sottolinea la necessità di «rafforzare gli interventi di sanità pubblica per controllare gli effetti ed eliminare i rischi»;
nell'aprile 2014 le associazioni dei cittadini hanno presentato un esposto alla procura della Repubblica di Ancona, consegnando i risultati dell'indagine epidemiologica sopra citata, chiedendo la riapertura dell'indagine avviata nel 2001 dalla stessa procura per accertare eventuali responsabilità penali di fronte alle esposizioni nocive alle quali la popolazione è stata esposta nel corso degli anni;
la regione Marche ha formalizzato uno studio, con decreto del dirigente della PF sanità pubblica n. 2/SAP–04 dell'8 febbraio 2006, di mortalità sulla corte degli occupati nella raffineria API, che fa parte di un progetto nazionale CCM del Ministero della salute affidato all'Istituto superiore di sanità;
quello studio risulta attualmente bloccato per l'indisponibilità da parte di API di fornire anche solo l'elenco dei propri dipendenti ed ex dipendenti, adducendo insuperabili problematiche legate alla privacy;
il 10 aprile 2012 il consiglio regionale delle Marche approvava la legge n. 6, che prevedeva l'istituzione del «registro regionale delle cause di morte e di registri di patologia», il quale non è potuto diventare esecutivo, poiché in attesa del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto regolamentarli come previsto dall'articolo 12 del decreto-legge 179 del 2012, ai commi 10 e 11 –:
se la regione Marche, la provincia di Ancona o gli altri comuni oggetto della ricerca abbiano consegnato l'indagine epidemiologica al Ministero della salute o all'Istituto superiore di sanità o se il abbiano informati in altro modo delle conclusioni emerse dall'indagine medesima e, in caso negativo, se il Ministro interrogato abbia intenzione di acquisire tale indagine direttamente dall'Istituto nazionale dei tumori di Milano;
se non intenda promuovere una relazione di aggiornamento da parte dell'Istituto superiore di sanità sullo studio di mortalità sulla corte degli occupati nella raffineria API di cui in premessa;
quali siano i tempi di emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 12 del decreto-legge 179 del 2012 per dare attuazione ai registri di mortalità, tumore e altre patologie. (5-03800)
Interrogazioni a risposta scritta:
OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la «fondazione Tommaso Campanella» è un Istituto Scientifico privato, appartenente alla regione Calabria e alla Facoltà di medicina dell'università Magna Grecia di Catanzaro;
la struttura è stata fondata nel 2006 dal precedente rettore Salvatore Venuta. L'attività clinica si svolge attraverso dipartimenti e servizi. È dotata di 80 posti letto per le principali attività mediche e chirurgiche, che vanno dalla oncologia medica alla chirurgia oncologica;
una sala di emergenza, completamente attrezzata insieme ad una unità di terapia intensiva, è operante e pronta a trattare ogni tipo di emergenza. Le principali aree specialistiche della fondazione Campanella sono: chirurgia oncologica generale e specialistica, distretto capo-collo; oncologia ginecologica specialistica e di medicina interna e radiologia;
la maggior parte delle attività cliniche offerte, sia a pazienti esterni che interni, sono disponibili come servizi del Servizio sanitario nazionale. Nel campo della ricerca, i principali focus della fondazione sono la «biologia cellulare e molecolare» e la «biotecnologia», viste come base della ricerca traslazionale. La fondazione «Tommaso Campanella» promuove con questa metodologia l'immediato benessere del paziente;
il Quotidiano della Calabria del 7 ottobre 2011 riporta la notizia che 180 dipendenti in mobilità della fondazione Campanella protestano fuori dalle mura di «Palazzo Alemanni», sede della giunta regionale;
l'azienda ospedaliera mater domini, legata all'università della città, vuole avvalersi dei dipendenti della fondazione tramite Calabria etica;
ancora oggi il braccio di ferro tra la fondazione e l'Esecutivo regionale continua e di mezzo ci sono i lavoratori e i servizi agli utenti;
la giunta regionale ha deciso di mandare in mobilità i 180 dipendenti in un progetto di Calabria Etica e dopo poche ore il commissario per il piano di rientro ha bocciato questa decisione;
viene previsto che i dipendenti del Campanella verranno utilizzati attraverso Calabria Etica nell'erogazione di servizi socio-sanitari nelle aziende del Servizio sanitario regionale, ovvero all'interno dell'azienda ospedaliera Mater Domini di Catanzaro per la durata del progetto;
viene diffidato il direttore generale della fondazione a non dare esecutività ai licenziamenti, pena la richiesta di dimissioni dello stesso;
a tale diffida il direttore generale risponde di non essere competente a decidere di licenziare, anche se la decisione dei licenziamenti era da lui condivisa per tutelare un bene pubblico. Ogni mese di rinvio dei licenziamenti ha un costo di circa 700.000 euro che qualcuno dovrà pagare;
in un'azienda privata costituita da enti pubblici, una cattiva gestione amministrativa comporta responsabilità per danni erariali –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative specifiche, per quanto di competenza, abbia promosso o intenda promuovere il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari per una positiva soluzione di questa situazione, anche alla luce della necessità di garantire ai lavoratori della fondazione di non perdere il proprio posto di lavoro. (4-06407)
OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
in Calabria il nuovo sistema di prenotazione manda in tilt gli sportelli del Cup (centro unico prenotazioni): attese di oltre tre ore e lunghe code sono state registrate allo sportello dell'ospedale di Soveria Mannelli per la prenotazione degli esami e il pagamento dei ticket Esami e visite specialistiche che non vengono eseguiti nell'immediato, ma che possono slittare anche di parecchi mesi;
sulla Gazzetta del Sud del 13 ottobre 2014 è stata pubblicata una notizia sul disservizio che subiscono i pazienti nei ricevere visite mediche all'ospedale di Soveria Malmeni;
dopo diversi tentativi, il paziente riesce a prendere un appuntamento per una visita specialistica con il CUP, poi aspetta mesi e quando arriva la data fatidica della visita medica, o non funziona un macchinario o il medico non è presente nella struttura;
saltano gastroscopie, radiografie, mammografie prenotate da mesi perché il medico non c’è, causando un tilt e un sovraffollamento di prenotazioni che si accavalla con quelle successive –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e se ritenga opportuno, ai fini del rispetto dell'articolo 32 della Costituzione e della tutela dei livelli essenziali di assistenza, intervenire, per quanto di competenza e, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per risolvere questo problema che crea gravi disagi ai cittadini di quel territorio che non riescono ad avere consulti medici specialistici. (4-06410)
CATALANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
con sentenza del tribunale di Genova del 4 luglio 2008. Il dottor Giacomo Vincenzo Toccafondi, medico chirurgo iscritto all'Ordine dei medici della provincia di Genova, è stato condannato in via definitiva ad un anno e due mesi di reclusione, oltre al risarcimento delle parti civili, per i reati di omissione di referto, ingiuria e minaccia, commessi in qualità di responsabile organizzativo del servizio sanitario del centro di detenzione temporaneo della Caserma di Bolzaneto (Genova) durante il vertice del G8 del luglio 2001, laddove si verificarono gravissimi abusi e sopraffazioni nei confronti di soggetti inermi;
con sentenza della Corte di Cassazione, 13 giugno 2013-10 settembre 2013, n. 37088, era confermata l'intervenuta prescrizione dei reati ascritti già pronunciata in appello, ma, in assenza degli estremi per la dichiarazione dal proscioglimento dai reati ascritti, erano confermate le statuizioni civili risarcitorie a carico del predetto sanitario;
circa la gravissima condotta tenuta dal predetto sanitario presso la Caserma di Bolzaneto, nella sentenza della Corte d'Appello di Genova si legge che la condotta del dottor Toccafondi è particolarmente grave a causa della sua funzione di sanitario che «anziché lenire la sofferenza delle vittime di altri reati, l'aggravò, agendo con particolare crudeltà su chi inerme e ferito, non era in grado di opporre alcuna difesa, subendo in profondità sia il danno fisico, che determina il dolore, sia quello psicologico dell'umiliazione causata dal riso dei suoi aguzzini» (pagina 535, Cassazione 37088/2013);
con sentenza della Corte di Cassazione del 2 dicembre 2008-19 gennaio 2009, n. 1866/2009, nei confronti del medesimo sanitario era confermata la sentenza di merito del tribunale di Genova e della locale corte di appello che lo condannavano a un anno di reclusione per omicidio colposo, in relazione all'omissione di cure nei confronti di detenuta ristretta nel locale penitenziario femminile deceduta per tubercolosi in assenza di un'adeguata diagnosi, riconoscendo in capo a tale sanitario la: «clamorosa omissione di accertamenti diagnostici in relazione ai quali viene in primo luogo chiamato a rispondere il Toccafondi nella veste di responsabile del servizio sanitario» (pagina 7, Cassazione 1866/2009);
in data 12 marzo 2014 l'ASL 3 «Genovese» di appartenenza del predetto sanitario ha provveduto alla risoluzione del rapporto con il medesimo, adottando provvedimento di licenziamento senza preavviso;
l'Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri è un ente di diritto pubblico, ausiliario dello Stato, dotato di una propria autonomia gestionale e decisionale, posto sotto la vigilanza del Ministero della salute e coordinato nelle sue attività istituzionali dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri;
non risulta se l'ordine dei medici abbia assunto iniziative nei confronti del suddetto dottor Toccafondi –:
di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa con particolare riguardo all'assunzione di eventuali iniziative disciplinari da parte dell'ordine dei medici della provincia di Genova nei confronti di un medico ritenuto responsabile di gravi fatti commessi nei confronti di soggetti sottoposti a restrizione della libertà personale. (4-06426)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazione a risposta orale:
FONTANELLI, CARROZZA e GELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
dall'aprile 2011 i dipendenti dei Cantieri navali di Pisa del Gruppo Baglietto, che opera anche in Liguria, sono in «assemblea permanente» a seguito della grave crisi del Gruppo iniziata nel 2009;
i dipendenti della Baglietto, di cui circa 38 impiegati presso la sede di Pisa, sono stati in cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS) dall'8 luglio 2010 fino a inizio gennaio 2012, grazie a una proroga accordata nel mese di giugno 2011;
a fine 2012 tali dipendenti hanno preso la decisione di costituirsi in cooperativa, con il pieno sostegno della Cgil e della Legacoop e delle stesse istituzioni locali. Successivamente, il 29 aprile 2014, il consiglio regionale della Toscana ha approvato una mozione unitaria con la quale ha impegnato il presidente e la giunta a sostenere il progetto della cooperativa, costituitasi con l'obiettivo d ricercare un partner industriale interessato ad una reale ripresa dell'attività e non ad una pura operazione di speculazione finanziaria;
l'atteggiamento del liquidatore è peraltro sempre apparso di disinteresse verso il sito pisano, tanto che i «Cantieri di Pisa» hanno dapprima subìto il pignoramento del marchio e in ultimo il pericolo, nonostante la forte opposizione dei lavoratori, dell'uscita dal cantiere dello strumento del «travel lift», fondamentale per lo svolgimento di qualsiasi attività nella cantieristica navale;
il 5 maggio 2014, a seguito di tali comportamenti, il giudice delegato del tribunale di La Spezia ha adottato, su istanza del gruppo MVYachting, un provvedimento di annullamento del preliminare per la cessione dei «Cantieri di Pisa» sottoscritto dal liquidatore, ragionier Federico Galantini, con il gruppo Union Strong Marine Holding Srl;
tale provvedimento ha obbligato il liquidatore ed i commissari a bandire una gara ad evidenza pubblica per l'acquisizione del ramo d'azienda «Cantieri di Pisa»;
sempre il 5 maggio 2014 si è svolto l'ultimo incontro al citato tavolo regionale presieduto dall'assessore alle attività produttive, credito e lavoro Gianfranco Simoncini; durante l'incontro il liquidatore a quanto consta all'interrogante ha nuovamente ribadito la sua indisponibilità ad un confronto nel merito delle nuove proposte da presentare entro il 30 maggio. Inoltre, le istituzioni locali, le rappresentanze sindacali e i lavoratori hanno appreso, a mezzo stampa, che la scelta era caduta per la terza volta sulla Union Strong Marine Holding Srl, scelta che peraltro era stata già annullata dal giudice delegato di La Spezia;
il 4 giugno 2014 il liquidatore ha, pertanto, avviato una procedura di cessione di ramo d'azienda ex articolo 47, primo comma, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, impegnandosi a concluderla entro il 30 giugno 2014, cosa poi non avvenuta e che lascia a tutt'oggi i lavoratori in una situazione di tensione e indeterminatezza;
a seguito del protrarsi della mancata consegna da parte del liquidatore della documentazione necessaria, il 4 agosto 2014 si è tenuto presso la prefettura di Pisa un incontro, presieduto dal viceprefetto vicario dottor Valerio Massimo Romeo, alla presenza dei rappresentanti delle istituzionali locali, dei lavoratori e del ragionier Galantini;
nella suddetta sede il liquidatore si è impegnato ad i sviare, entro il giorno successivo, il piano industriale al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché di ogni eventuale documentazione utile ai fini dell'emanazione del decreto di concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria per riorganizzazione aziendale –:
se il Ministro interrogato non ritenga che i fatti esposti conducano ad un affossamento del polo cantieristico navale di Pisa, anche in considerazione del fatto che lo spostamento a Varazze (Savona) del «travel lift» renderebbe il cantiere privo del fondamentale strumento di lavoro e nei fatti residuale per il core business di un cantiere navale e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per favorire il buon esito del processo di cessione già citato. (3-01100)
Interrogazione a risposta scritta:
CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
negli ultimi anni, a seguito della piena apertura alla concorrenza, diverse società private sono entrate sul mercato dei servizi postali, ancora dominato dall’incumbment, a controllo pubblico, Poste Italiane spa;
la Globe Postal Service (nel prosieguo, GPS) è una società che svolge il servizio di vendita e postalizzazione di corrispondenza (in particolare, cartoline turistiche) mediante l'impiego di vignette pre-pagate utilizzando una propria rete di raccolta sulla base di un'autorizzazione individuale;
a causa della posizione di fatto dominante e di lunga durata sul mercato di Poste Italiane spa, la cui rete è capillarmente diffusa, nonché in ragione della relativa novità rappresentata dall'esistenza di concorrenti su tale mercato, una percentuale elevata di utenti GPS imbuca la propria corrispondenza nelle cassette di raccolta Poste Italiane spa;
GPS risulta aver preso tutte le misure di informazione possibili, presso i propri rivenditori ed utenti, per ridurre al minimo possibile tali errori, che però si producono ancora, per le ragioni di cui sopra;
si è verificata, d'altra parte, anche la situazione simmetrica con utenti di Poste Italiane che imbucano nelle cassette GPS: per ora, tale corrispondenza viene restituita gratuitamente a Poste Italiane spa, senza alcuna reciprocità;
mentre le Poste Vaticane e le Poste di San Marino hanno accettato di stipulare accordi con GPS per il recupero della corrispondenza in esame a prezzo forfettario (rispettivamente 10 e 8 euro/Kg ossia circa euro 0,06 a pezzo), risulta all'interrogante che Poste Italiane spa non avrebbe mai restituito a GPS la corrispondenza ad essa relativa rinvenuta nelle proprie cassette postali, poiché richiede a GPS la previa conclusione di un accordo per la restituzione con un corrispettivo di euro 116,00 al chilogrammo (ossia euro 0,70 al pezzo), pari al prezzo per l'intero servizio di recapito richiesto al pubblico per ogni singola cartolina o lettera spedita e consegnata a domicilio (che riguarda un singolo pezzo e, diversamente dalla restituzione, include la componente ad alto costo del recapito al destinatario finale), e ovviamente non sostenibile per l'operatore privato;
sul punto risulta in corso di avvio una controversia di fronte all'AgCom;
la situazione di cui sopra pregiudica l'integrità del servizio postale e genera un grave disservizio per gli utenti;
la situazione di cui sopra pare all'interrogante presentare i caratteri di una distorsione del mercato, collegata alla posizione oggettiva e al comportamento dell'ex monopolista Poste Italiane, tale da ostacolare l'ingresso e la permanenza sul mercato in questione di nuovi soggetti;
in tali casi paiono auspicabili misure asimmetriche (e temporanee, sino alla regolamentazione di tali aspetti) tali da garantire l'effettiva neutralità del campo da gioco tra i concorrenti, dal momento che, la parziale privatizzazione in corso di Poste Italiane non si sta accompagnando, per ora, a un intervento di liberalizzazione e di regolamentazione, in particolare dei diversi aspetti dei rapporti tra concorrenti del mercato dei servizi postali;
parrebbe opportuna una classificazione più aderente al mercato esistente degli operatori postali – in base a servizio offerto ed alla tipologia di consumatore finale – che obblighi Poste Italiane a stipulare accordi differenti e non standardizzati in relazione al tipo di operatore concorrente interessato;
quanto precede ha già trovato specifica disciplina in Spagna (legge del 30 dicembre n. 43 del 2010 anche legge n. 318 del BOE) che, nel recepire la normativa europea sulla liberalizzazione del comparto postale, ha previsto una forte tutela della concorrenza in ambito postale, tra l'altro obbligando l'ex incumbment ad accettare accordi differenti con i nuovi operatori postali e a mettere a disposizione la propria rete postale presente sul territorio nonché istituendo una Commissione di sorveglianza e risoluzione di conflitti entro tempi certi –:
di quali notizie sia a conoscenza il Governo;
quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare e con quale tempistica, al fine di garantire, rispetto al mercato in esame, la integrità del servizio postale ed una concorrenza sostenibile, compatibilmente con l'esistenza del servizio pubblico postale universale. (4-06424)
Apposizione di firme a mozioni.
La mozione Speranza e altri n. 1-00615, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Simoni, Bargero, Carra.
La mozione Dorina Bianchi e Misuraca n. 1-00617, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bosco, Garofalo, Minardo.
Apposizione di una firma ad una risoluzione.
La risoluzione in Commissione Braga e altri n. 7-00486, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dallai.
Apposizione di firme ad interrogazioni.
L'interrogazione a risposta orale Nicchi e altri n. 3-01067, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zaccagnini.
L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Rampelli n. 3-01091, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Taglialatela.
Cambio presentatore ad una mozione, apposizione di firme e cambio ordine firme.
Mozione Dorina Bianchi n. 1-00624, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 ottobre 2014, e a intendersi presentata dalla deputata De Girolamo e sottoscritta anche dai deputati Alli, Bernardo, Bosco, Garofalo, Minardo, Misuraca, Pagano, Piccone, Piso, Saltamartini, Sammarco, Scopelliti, Tancredi, Vignali e Cicchitto. Contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari deve intendersi così modificato: De Girolamo, Dorina Bianchi, Calabrò, Alli, Bernardo, Bosco, Garofalo, Minardo, Misuraca, Pagano, Piccone, Piso, Saltamartini, Sammarco, Scopelliti, Tancredi, Vignali, Cicchitto.
Pubblicazione di un testo riformulato.
Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Brunetta n. 2-00701, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 300 del 1o ottobre 2014.
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
la legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008), all'articolo 3, comma 44 stabilisce un limite massimo alle retribuzioni e ai compensi percepibili a carico delle finanze pubbliche, prevedendo espressamente che la disposizione si applica non solo alle pubbliche amministrazioni, ma anche alle «società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica», tra le quali certamente figura la Rai; la norma impone altresì alle pubbliche amministrazioni e alle società, non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica di pubblicare sul proprio sito istituzionale il nome dei destinatari degli incarichi e l'importo dei compensi;
in esecuzione della predetta disposizione è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 195, che precisa i contenuti del predetto obbligo di pubblicità, ricomprendendo esplicitamente ogni rapporto di lavoro subordinato o autonomo che implichi la corresponsione di retribuzioni o emolumenti direttamente o indirettamente a carico delle pubbliche finanze, includendo anche i compensi percepiti da società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica, secondo quanto previsto dall'articolo 2 del citato decreto del Presidente della Repubblica;
le disposizioni appena richiamate non sono state abrogate da alcuna normativa successiva, risultando, pertanto, tuttora in vigore; in particolare, non risulta alcuna incompatibilità (che comporterebbe l'effetto di un'abrogazione implicita) con l'articolo 15 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 recante «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», che chiarisce soltanto i contenuti degli obblighi di pubblicazione degli incarichi dirigenziali conferiti dalle pubbliche amministrazioni;
parimenti, non può ritenersi ostativo all'obbligo di pubblicità sancito dal citato articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 nemmeno il disposto di cui all'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come modificato dalla legge di conversione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (legge n. 125 del 2013), là dove disciplina gli obblighi di comunicazione del Ministero dell'economia e delle finanze e al dipartimento della funzione pubblica del costo annuo del personale;
a tal proposito va precisato che l'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» ha infatti integralmente sostituito, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, nella precedente formulazione, prevedeva che gli enti pubblici economici e le aziende che producono servizi di pubblica utilità, nonché gli enti e le aziende di cui all'articolo 70, comma 4 sono tenuti a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri «Dipartimento della funzione pubblica», e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure definite dal Ministero dell'economia e delle finanze;
il decreto-legge n. 101 del 2013 estende, in primo luogo, l'ambito soggettivo di riferimento del citato articolo 60, ampliando la platea dei soggetti tenuti al rispetto dell'obbligo di comunicazione anche alle società non quotate, partecipate direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, diverse da quelle emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e dalle società dalle stesse controllate, e dalla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo;
detto intervento opera, inoltre, sul contenuto informativo dell'obbligo stesso, in particolare per la Rai, società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, specificando che il costo annuo del personale comunque utilizzato ed oggetto della comunicazione deve ritenersi riferito ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo; in virtù di tale disposizione, pertanto, anche la Rai è tenuta a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri «Dipartimento della funzione pubblica», e al Ministero dell'economia e delle finanze il costo annuo del personale comunque utilizzato, con riferimento ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, in conformità a specifiche procedure definite d'intesa con i predetti dicasteri;
né la disposizione sopra richiamata, che sancisce l'obbligo di pubblicità in questione, può ritenersi tacitamente abrogata dall'articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014, che si limita, infatti, a modificare il limite massimo delle retribuzioni percepibili a carico delle finanze pubbliche, aggiungendo, al comma 5-bis, un obbligo di trasparenza ulteriore, non incompatibile con quello già introdotto nell'ordinamento con l'articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 (e confermando implicitamente, in tal modo, la vigenza di tale norma);
il sottoscritto, interpellante ha già depositato, in relazione all'attuazione delle disposizioni sopra richiamate, cinque interpellanze urgenti, ricevendo risposte, da parte del Governo, assolutamente insoddisfacenti: si tratta dell'interpellanza urgente 2-00353 discussa il 10 gennaio 2014, dell'interpellanza urgente 2-00400 discussa il 7 febbraio 2014, dell'interpellanza urgente 2-00434 discussa il 7 marzo 2014, dell'interpellanza urgente 2-00486 del 4 aprile 2014 e, infine, dell'interpellanza urgente 2-00663 discussa lo scorso 8 settembre 2014;
nel corso della seduta della Camera dei deputati dell'8 settembre, il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Giovanni Legnini, in risposta all'ultima interpellanza presentata, riferendosi agli obblighi introdotti con la norma di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, ha dichiarato che «la Rai, in adempimento dei citati obblighi di legge, ha provveduto a trasmettere nel termine previsto e secondo i criteri delineati dal dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, tutti i dati richiesti dal Ministero dell'economia e delle finanze d'intesa con il Dipartimento della funzione pubblica»;
il sottosegretario Legnini ha inoltre affermato quanto segue: «l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con una nota del 13 maggio scorso, ha osservato che l'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, è evidentemente finalizzato al solo rilevamento dei costi del lavoro pubblico e non prevede di per sé alcuna forma di pubblicità dei dati raccolti. La norma in questione non contempla, infatti, né la pubblicazione delle informazioni in sé, né giocoforza le eventuali modalità di tale applicazione e soprattutto non riguarda specificamente i compensi dei conduttori, degli ospiti e degli opinionisti, né tantomeno i costi di produzione dei programmi RAI»;
a parere dell'interpellante, le dichiarazioni del sottosegretario Legnini restano insoddisfacenti e comunque incomplete, dato che affrontano la questione della pubblicità e della trasparenza dei dati RAI, ovvero una società a partecipazione pubblica, limitandosi a riportare un parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato riguardante la sola norma di cui all'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, senza considerare le altre norme vigenti sullo stesso tema;
il nuovo articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non incide in alcun modo sull'obbligo di pubblicità previsto, anche in capo alla Rai, dalla citata legge n. 244 del 2007, che rimane vigente e che il Governo non cita nella propria risposta; inoltre, se è vero che lo stesso articolo 60 non prevede in maniera esplicita un obbligo di trasparenza, è altrettanto corretto affermare che la medesima norma non solo non esclude l'obbligo di pubblicità già presente nell'ordinamento, ma ne conferma la vigenza non regolando diversamente i relativi obblighi di trasparenza;
inoltre, la pubblicazione dei compensi RAI non è impedita dalla disciplina contenuta nel Codice della privacy (decreto legislativo n. 196 del 2003), come chiarito dal Garante per la protezione dei dati personali, a fronte delle sopra richiamate disposizioni legislative e regolamentari che la contemplano espressamente (peraltro come obbligatoria);
nell'ambito di una disamina degli obblighi RAI, bisogna poi ricordare quanto prevede il Contratto di servizio 2010-2013 siglato dalla Rai e il Ministero dello sviluppo economico, ancora in vigore, seppur in regime di prorogatio: in tema di trasparenza, il testo dispone, all'articolo 27 comma 7, che «la Rai pubblica sul proprio sito web gli stipendi lordi percepiti dai dipendenti e collaboratori nonché informazioni, anche tramite il mezzo televisivo, eventualmente con un rinvio allo stesso sito web nei titoli di coda, e radiofonico, sui costi della programmazione di servizio pubblico»;
non è di poco rilievo infine ricordare che il 7 maggio scorso la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei sistemi radiotelevisivi ha approvato il parere di propria competenza previsto in relazione allo schema di Contratto di servizio 2013-2015 tra la Rai e il Ministero dello sviluppo economico, ad oggi, ancora in via di definizione. Tra le disposizioni contenute, all'articolo 18 comma 7 del Contratto di servizio si prevede che «la Rai pubblica nel rispetto della legge 125 del 2013, per la razionalizzazione della PA, le informazioni sui curricula e i compensi lordi percepiti dai dirigenti, dai collaboratori e dai consulenti, così come definite dal Ministero dell'Economia e delle Finanze d'intesa con il Dipartimento della Funzione Pubblica, nonché informazioni, anche tramite il mezzo televisivo e radiofonico, sui costi della programmazione di servizio pubblico»;
il parere approvato dalla Commissione di vigilanza Rai in tema di total disclosure è molto puntuale e prevede non solo un riferimento al cosiddetto decreto razionalizzazione pubblica amministrazione sopra richiamato, ma anche l'obbligo per la Rai di pubblicare i curriculum vitae dei dipendenti e i loro stipendi lordi –:
quali misure intenda adottare il Ministro interpellato, secondo le proprie competenze, per garantire in tempi rapidi l'attuazione della normativa richiamata in premessa, e rendere così pubblici i dati relativi al costo del personale trasmessi al Governo dalla Rai a norma delle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), in considerazione di quanto previsto dal Contratto di servizio vigente, e, soprattutto, alla luce dell'obbligo di pubblicità previsto per la RAI dall'articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008), che non risulta messo in discussione dall'articolo 60, comma 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), così come modificato dal decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013, che non solo non esclude l'obbligo di pubblicità già presente nell'ordinamento, ma ne conferma la vigenza, non regolando diversamente i relativi obblighi di trasparenza.
(2-00701) «Brunetta».
Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.
Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Pesco n. 5-03790 del 14 ottobre 2014.
ERRATA CORRIGE
Interrogazione a risposta scritta Businarolo e altri n. 4-06391 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 309 del 14 ottobre 2014. Alla pagina 17486, prima colonna, dalla riga ventunesima alla riga ventinovesima, deve leggersi: «incidente avvenuto nel territorio di Sossano (Vicenza) e che ha avuto come protagonisti appunto un cacciatore impegnato nella caccia ad una lepre ed una ciclista quarantenne di Caprino (Verona), C.K., che si stava riscaldando in vista di una gara ciclistica a cronometro che si sarebbe svolta nella stessa mattinata e che, sotto gli» e non «incidente avvenuto nel territorio di Bastia di Rovolon (Padova) e che ha avuto come protagonisti appunto un cacciatore impegnato nella caccia ad una lepre ed una ciclista quarantenne di Caprino (Verona), C.K., che si stava riscaldando in vista di una gara ciclistica a cronometro che si sarebbe svolta nella stessa mattinata a Colloredo (nel Vicentino) e che, sotto gli», come stampato.
La Camera,
premesso che:
il consolidamento e l'affermazione della cultura di parità, delle pari opportunità e dei diritti delle donne sono entrati, negli ultimi anni, di diritto tra le priorità e tra gli obiettivi strategici per l'azione del Governo italiano e delle istituzioni internazionali ed europee, affermandosi come importante principio trasversale delle politiche pubbliche;
nel marzo 2011 il Consiglio diritti umani ha approvato all'unanimità la Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla educazione ai diritti umani: un risultato di grande rilievo, per il quale l'Italia ha svolto un ruolo propulsore di primo piano. La dichiarazione costituisce un riferimento importante, poiché fissa in modo chiaro le definizioni, i principi, gli strumenti e gli obiettivi dell'educazione ai diritti umani: il precipitare degli eventi nel quadro internazionale al quale si sta assistendo richiama però, con forza, a rimettere al centro della discussione pubblica, anche in occasione del semestre europeo, la necessità che il nostro Paese si faccia promotore dello sviluppo, da parte dell'Unione europea, di una strategia complessiva sui diritti umani, strategia che può essere meglio applicata attraverso l'azione sinergica di tutti gli attori dell'Unione europea;
il Consiglio dell'Unione europea, in attuazione della strategia comunitaria «Europa 2020», ha approvato, il 21 ottobre 2010, il cosiddetto «pacchetto occupazione» (decisione sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, 2010/707/UE), con il quale l'Unione europea invita gli Stati membri ad adottare misure in grado di «aumentare la partecipazione al mercato del lavoro e combattere la segmentazione, l'inattività e la disuguaglianza di genere, riducendo nel contempo la disoccupazione strutturale»;
il Parlamento europeo, il 19 febbraio 2013, ha inoltre approvato una risoluzione sull'impatto della crisi economica sull'uguaglianza di genere e i diritti della donna (2012/2301(INI)), con la quale si invitano gli Stati membri ad «esaminare con grande serietà la dimensione della parità di genere» nel «gestire la crisi e nell'elaborare soluzioni», nonché «a rivedere e a focalizzarsi sull'impatto immediato e a lungo termine della crisi economica sulle donne, esaminando in particolare se, e in che modo, essa accentua le disuguaglianze di genere esistenti e le relative conseguenze»;
la risoluzione del Parlamento europeo mette, inoltre, in evidenza il doppio impatto negativo che la crisi sta producendo sulle donne europee: un effetto «diretto», «con la perdita del posto di lavoro, i tagli salariali o la precarizzazione del lavoro» ed un effetto «indiretto», quale conseguenza «dei tagli di bilancio ai servizi pubblici e agli aiuti sociali»;
il 5 marzo 2010 la Commissione europea ha presentato la «Carta delle donne», un documento con il quale rafforza il suo impegno a favore della parità fra uomini e donne entro i successivi cinque anni;
è necessario registrare e apprezzare un cambiamento che, nel nostro Paese, ha visto le donne protagoniste di significativi passi in avanti in termini di una sempre maggiore presenza nelle istituzioni, nella vita economica e in quella sociale e politica: tale partecipazione, pur offrendo uno straordinario contributo alla crescita del Paese, è ancora, però, distante dagli obiettivi europei;
è per questo che appare fondamentale e strategico «approfittare» di questo movimento positivo per contrassegnare il semestre europeo a Presidenza italiana come centrale per il tema della parità e dell'occupazione femminile;
il programma della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea prevede, infatti, in materia di pari opportunità, in vista del XX anniversario dell'adozione della Dichiarazione di Pechino e della relativa piattaforma d'azione, una valutazione approfondita dell'attuazione dal 2010 del lavoro volto a conseguire gli obiettivi nelle dodici «aree critiche» della piattaforma d'azione, nel contesto delle priorità e degli obiettivi politici dell'Unione europea, al fine di presentare una situazione aggiornata e indicare i risultati, le lacune e le sfide future per ciascun settore a livello sia europeo che nazionale: da tale valutazione dovrebbero derivare raccomandazioni per ulteriori azioni volte a promuovere la parità di genere nell'Unione europea, che serviranno come base utile per la definizione degli obiettivi per lo sviluppo post-2015;
per affrontare l'impegnativa sfida ad incrementare l'occupazione femminile è necessaria una valutazione attenta dell'impatto che la crisi economica e sociale in atto sta producendo sulla situazione occupazionale e sulla qualità della vita delle donne italiane: è da tempo noto, infatti, che il sistema economico italiano è caratterizzato da un basso grado di coinvolgimento della popolazione femminile in età attiva nel mercato del lavoro, un dato molto distante da quello dei Paesi dell'Unione europea comparabili all'Italia per livello di sviluppo economico, e gli effetti prodotti dall'andamento marcatamente negativo del ciclo economico, guidato dalla caduta della domanda, si sono riflessi in un peggioramento diffuso delle grandezze più rilevanti del mercato del lavoro: il tasso di disoccupazione ha toccato il 12,6, con un incremento dello 0,5 per cento nei 12 mesi, e si sono anche fortemente ridotte le possibilità quantitative e qualitative di accesso al mercato del lavoro per gli inattivi, in larga parte giovani e donne;
secondo il Global gender gap report 2013 stilato dal World economic forum, l'Italia si attesterebbe al 71esimo posto per quanto riguarda la partirà di genere: tale graduatoria, stilata ogni anno, valuta la disparità di genere di ogni Paese in base a quattro criteri principali: partecipazione economica, livello di istruzione, politiche di empowerment e rappresentanza nelle strutture decisionali, salute e sopravvivenza. L'Italia, sebbene abbia ottenuto un miglioramento rispetto al 2012, si attesta ad un livello inferiore rispetto ai principali Paesi europei, come Germania, Francia, Inghilterra ed altri;
il rapporto 2014 dell'Istat, pubblicato a marzo 2014, inoltre, ha restituito una fotografia a dir poco inquietante dello stato dell'occupazione femminile in Italia: i dati riportati sono, infatti, decisamente allarmanti. Nel 2013 il tasso di occupazione femminile si attesta al 46,5 per cento, segnando un ulteriore calo rispetto al dato 2012 (47,1 per cento), contro il 58,7 per cento della media Ue28 (59,8 Ue15). Il 2013, a differenza della ripresa dell'occupazione femminile registrata nel 2012 rispetto al 2011, evidenzia un calo dell'1,4 per cento rispetto al 2012;
il tasso di occupazione delle madri è pari al 54,3 per cento, mentre sale al 68,8 per cento per le donne in coppia senza figli. Particolarmente accentuati sono i divari territoriali: nel Mezzogiorno le madri occupate sono il 35,3 per cento contro il 66,4 per cento del Nord e il 61,5 del Centro;
seppure sia stata rilevata una lieve crescita del tasso complessivo di occupazione femminile, il dato suggerisce preoccupanti dinamiche negative, quali fenomeni di isolamento professionale, incremento di posizioni a bassa qualifica, una ricomposizione a favore di età più anziane quale conseguenza delle riforme pensionistiche: la quota di donne occupate in Italia rimane ancora di gran lunga inferiore a quella dell'Unione europea, si concentra in poche professioni e si associa a fenomeni di sovraistruzione crescenti e più accentuati rispetto agli uomini, anche l'aumento dell'offerta di lavoro femminile che si sta producendo nel periodo più recente è, più che un cambiamento profondo dei modelli di partecipazione, il risultato di nuove e diffuse strategie familiari volte ad affrontare le difficoltà economiche indotte dalla crisi;
sia dal rapporto Istat 2014 che dal rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile) 2014 presentato il 26 giugno 2014, emergono le gravi difficoltà di conciliazione che incontrano le donne, in particolare quelle che continuano a lavorare dopo il parto, così come le laureate, le donne in età più avanzata, le dirigenti, le imprenditrici e le libere professioniste: la quantità di ore di lavoro, la presenza di turni o di orari disagiati (pomeridiano o serale o nel fine settimana) e la rigidità dell'orario sono indicati da più di un terzo delle occupate come gli ostacoli prevalenti alla conciliazione. Per le donne meno istruite risulta un impedimento anche l'eccessiva fatica fisica, mentre sulle più istruite gravano anche l'eccessiva distanza da casa, l'elevato coinvolgimento e le frequenti riunioni o trasferte. La disponibilità di persone o servizi cui affidare i bambini è un requisito imprescindibile per entrare o restare occupate. Le lavoratrici con figli di circa 2 anni si avvalgono principalmente dell'aiuto dei nonni (poco più della metà nel 2005 e nel 2012) o ricorrono al nido, pubblico o privato, con un deciso incremento rispetto al 2005 (35,2 per cento, contro il 27,4 per cento);
inoltre, nel 2013, le famiglie sostenute da una sola fonte di reddito da lavoro (famiglie monoreddito) sono in tutto 7 milioni 311 mila (+11,7 per cento rispetto al 2008; di cui 50 mila in più nell'ultimo anno). Nel 2013, quelle sostenute dal solo reddito femminile sono il 12,2 per cento, contro il 9,4 per cento del 2008. Sebbene in due casi su tre l'unico reddito da lavoro provenga ancora da un uomo, nell'ultimo quinquennio la crescita delle famiglie con un solo occupato è imputabile quasi esclusivamente all'aumento delle famiglie in cui l'unica persona occupata è una donna;
dall'inizio della crisi economica e finanziaria, il ritmo di crescita dell'occupazione femminile nelle professioni non qualificate è più che doppio rispetto a quello degli uomini e più che triplo nell'ambito delle professioni che riguardano le attività commerciali e i servizi: le professioni a cui hanno accesso sono, soprattutto, quelle di commesse alla vendita al minuto, colf e segretarie (1 milione 737 mila unità, 18 per cento del totale dell'occupazione femminile);
il nostro Paese risulta tra quelli maggiormente segnati da tale «doppio impatto negativo», soprattutto con riferimento alle ripercussioni della riduzione della spesa per i servizi alla persona: solo il 12,7 per cento circa dei bambini italiani frequenta gli asili nido (a fronte di una media superiore al 40 per cento di Belgio, Norvegia, Danimarca, Svezia, Francia, Paesi Bassi); la percentuale di donne che dichiara di lavorare part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari risulta del 33 per cento contro una media Ocse del 24 per cento (dati Ocde); il 40,8 per cento delle lavoratrici donne dichiara di aver abbandonato il lavoro dopo la nascita del primogenito, mentre il 5,6 per cento ammette di aver rinunciato alla propria vita professionale per dedicarsi alla famiglia o alla cura di parenti non autosufficienti (dati Isfol);
va considerata, inoltre, un'elevata sperequazione salariale legata alla differenza di genere: in media, la retribuzione netta mensile delle dipendenti resta inferiore di circa il 20 per cento di quella degli uomini (nel 2012, 1.103 contro 1.396 euro). In una carriera spesso contraddistinta, oltre che dalla maggiore presenza dei fenomeni di sovraistruzione, anche da episodi di discontinuità dovuti alla nascita dei figli, il differenziale salariale a sfavore delle donne aumenta con l'età, soprattutto per le laureate, svantaggio che si riduce solo nei casi di istruzione post laurea fino a rendere la differenza retributiva tra donne e uomini non più significativa;
il riconoscimento della parità di genere non è solo una questione diritti, ma soprattutto un investimento per il sistema Paese: l'occupazione femminile rappresenta un fattore produttivo che può fortemente contribuire alla crescita e allo sviluppo economico del Paese. Infatti, le ultime proiezioni della Banca d'Italia confermano che se fosse possibile aumentare il tasso di occupazione femminile al 60 per cento ciò comporterebbe un aumento del 9,2 per cento del prodotto interno lordo, a produttività invariata, e del 6,5 per cento se si considera l'effetto depressivo sulla produttività (minore qualificazione forza lavoro, rendimenti decrescenti): sulla stessa linea sono i dati pubblicati da Goldman Sachs, che evidenziano come il raggiungimento della parità di genere porterebbe a un aumento del prodotto interno lordo del 13 per cento nell'Eurozona e del 22 per cento in Italia; nella relazione della Commissione europea, pubblicata ad aprile 2012, sulla parità di genere, si asserisce che un maturo progresso verso la parità tra uomini e donne stimola la crescita economica: «per raggiungere l'obiettivo Europa 2020, di un tasso occupazionale del 75 per cento della popolazione adulta entro il 2020, i Paesi membri devono promuovere maggiormente la presenza delle donne nel mercato del lavoro. Un modo per accrescere la competitività dell'Europa consiste nel conseguire un migliore equilibrio tra uomini e donne nei posti di responsabilità in ambito economico. Vari studi hanno dimostrato che la diversità di genere apporta notevoli benefici e le aziende con una percentuale più alta di donne nei consigli di amministrazione sono più performanti rispetto a quelle guidate da soli uomini»;
è necessario che il nostro Paese si doti al più presto delle misure necessarie in materia di conciliazione familiare: asili nido, servizi per gli anziani, incentivi per lo sviluppo del settore privato dei servizi alla famiglia, promuovendo un'offerta di qualità a prezzi contenuti (il modello dei voucher sperimentato in Francia, Belgio e Regno Unito), incentivi al lavoro femminile, superamento delle discriminazioni e degli ostacoli, sia per quanto concerne l'accesso al mondo del lavoro delle donne, sia per quanto riguarda la loro crescita professionale e l'avanzamento in carriera;
con il decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, «Codice delle pari opportunità tra uomo e donna», venivano istituite le consigliere di parità, con qualificazione di pubblici ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni e con il ruolo esclusivo di contrasto e rimozione delle discriminazioni di genere nell'ambito lavorativo, attraverso la ricerca di una conciliazione tra le parti in via stragiudiziale o anche attraverso l'azione in giudizio, ai sensi degli articoli 36 e 37 del medesimo codice: nel corso degli ultimi anni si è registrata una forte riduzione degli stanziamenti per il fondo nazionale destinato all'attività delle consigliere di parità;
i 27 Paesi dell'Unione europea hanno approvato, a Bruxelles il 28 giugno 2013, un pacchetto di sostegno all'economia a favore dell'occupazione giovanile, che prevede otto miliardi di euro nei prossimi sette anni, di cui sei nel solo biennio 2014-2015, in modo da offrire alle persone con meno di 25 anni un lavoro, uno stage o un periodo di apprendistato entro quattro mesi dalla fine degli studi o dalla perdita del lavoro. La strategia è una risposta all'elevata disoccupazione di alcune regioni europee e all'emergere di partiti estremisti in numerosi Paesi membri;
l'Italia è stato il primo Paese europeo a dotarsi di una legislazione intervenuta per conciliare i tempi di vita con i tempi del lavoro, contribuendo così in modo sostanziale ad alimentare il dibattito europeo intorno alle politiche temporali, sia in ambito accademico sia in ambito politico ed amministrativo, avvenuto nel nostro Paese con un notevole anticipo rispetto alle altre realtà europee,
impegna il Governo:
a promuovere l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di una task force con l'obiettivo di rendere coerenti e coordinati tutti gli strumenti vigenti, anche supportando il lavoro di attuazione delle legge delega (jobs act), oltre che di programmare interventi per l'occupazione femminile e misure in favore della conciliazione vita-lavoro per uomini e donne;
a promuovere, nell'ambito del programma del Governo, la realizzazione di una conferenza nazionale finalizzata ad individuare gli obiettivi e le azioni che il Governo, le amministrazioni pubbliche, gli attori economici e sociali devono condividere e realizzare per la crescita dell'occupazione femminile, tenendo conto dei seguenti concetti chiave:
a) analisi della realtà anche attraverso la messa a punto di indagini che supportino la valutazione dell'impatto delle politiche sulle reali condizioni di vita di donne e di uomini, sapendo che tra loro sono diverse e disuguali;
b) empowerment, inteso nel senso della promozione delle donne nei centri decisionali della società, della politica e dell'economia, posto che la consapevolezza dell'aver maggior potere è uno stimolo per le donne per aumentare la propria autostima, autovalorizzarsi e far crescere le competenze e le abilità;
c) prospettiva di genere intesa come promozione della persona per tutto il ciclo della vita, tenendo conto delle differenze di ogni fase dell'esistenza e della naturale diversità tra i sessi e del fatto che praticare la prospettiva di genere richiede a tutti un grande cambiamento culturale che metta al centro dell'agenda politica i temi della valorizzazione delle risorse umane, del contrasto alle disuguaglianze, delle grandi riforme sociali;
a realizzare azioni di cooperazione internazionale per promuovere la tutela dei diritti delle donne nei Paesi del sud del mondo ed in via di sviluppo, con il fine di contribuire ad una crescita equa e sostenibile;
a promuovere un approfondimento sulla strategia a sostegno dell'occupazione femminile nell'ambito dell'azione di lungo periodo dell'Unione europea in materia di pari opportunità, che vada nella direzione di rafforzare la convinzione che il necessario rinnovo del modello socio-economico europeo in un'ottica di genere è fondamentale per il futuro dell'Unione europea;
ad assumere iniziative per prevedere incentivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato manodopera femminile, per mezzo, anche, di una detassazione del lavoro femminile, misura di immediato impatto sul mercato del lavoro, poiché domanda e offerta di lavoro femminile risultano molto più elastiche, mediamente, di domanda e offerta di lavoro maschile, nonché incentivi fiscali per facilitare l'instaurazione di nuovi rapporti di lavoro per l'assunzione delle lavoratrici divenute madri che rientrano, almeno nei tre anni successivi al parto, al fine di controbilanciare la minore spendibilità nel mercato del lavoro delle neo mamme, aumentandone le possibilità di occupabilità, nonché l'implementazione degli incentivi fiscali, oltre alla riduzione del 50 per cento sui contributi previdenziali già in vigore, per le imprese che fanno assunzioni in sostituzione di personale in astensione dal lavoro per maternità obbligatoria e facoltativa nonché per malattia del bambino;
ad incoraggiare le iniziative, pubbliche e private, volte all'innovazione di modelli sociali, economici, culturali e organizzativi per rendere compatibili sfera privata e sfera lavorativa, così da migliorare la qualità della vita, consentire alle lavoratrici ed ai lavoratori di conciliare le proprie responsabilità professionali con quelle familiari, di educazione e cura dei figli e consolidare la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione famiglia-lavoro, come stabilito dall'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53, in modo tale da intercettare i nuovi bisogni di conciliazione emersi, ampliando la platea dei potenziali beneficiari ed aggiornando il novero degli interventi meritevoli di accesso ai finanziamenti, ottimizzandone l'investimento in termini di progettualità, evitando un eccessivo gap tra progetti candidati ed ammessi, e rendendone le regole semplici e chiare anche attraverso un raccordo con altri strumenti di supporto alle imprese, quali gli incentivi ai contratti di rete, e ad incentivare fiscalmente le imprese ad attivare e/o implementare nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori, iniziative innovative di organizzazione del lavoro family friendly e di welfare aziendale ed interaziendale e la conciliazione famiglia-lavoro, anche prevedendo incentivi fiscali per rafforzare il ricorso al congedo di maternità-paternità nella gestione aziendale delle imprese;
a prevedere, in sede di semplificazione della normativa sul lavoro, la possibilità di adottare modalità di flessibilità organizzativa che consentano una più elastica articolazione spazio-temporale della prestazione lavorativa, prevedendone la contrattazione e la regolazione a livello di contrattazione sia nazionale che territoriale o aziendale e che includano una semplificazione del ricorso all'utilizzo del telelavoro, coerentemente con quanto previsto dal disegno di legge sul cosiddetto smart working;
a promuovere il fondo nazionale per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile istituito dall'articolo 3 della legge n. 215 del 1992, adesso disciplinato dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 198 del 2006;
a monitorare la piena attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251, sulla parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo nelle società pubbliche, affinché sia garantita la presenza delle donne nella pubblica amministrazione e nelle società pubbliche.
(1-00615) «Speranza, De Micheli, Pollastrini, Martella, Roberta Agostini, Fregolent, Garavini, Martelli, Gnecchi, Valeria Valente, Gregori, Villecco Calipari, Iacono, Pes, Cimbro, Iori, Campana, Albanella, Narduolo, Marzano, Cenni, Cominelli, Coscia, D'Incecco, Murer, Carocci, Scuvera, Carnevali, Morani, Sgambato, Giacobbe, Amoddio, Malpezzi, Coccia, Giuliani, Cinzia Maria Fontana, Manzi, Malisani, Maestri, Ascani, Paola Bragantini, Schirò, Sbrollini, Zampa, Miotto, Capone, Gullo, Palma, Sereni, Piccione, Carrozza, Casellato, Rossomando, Blazina, Simoni, Bargero, Carra».
La Camera,
premesso che:
il tema dell'immigrazione, di per sé particolarmente complesso e delicato, assume un particolare rilievo in questo momento storico a causa della grave instabilità politica dei Paesi africani del Mediterraneo e di quelli dell'Africa subsahariana. Si sta assistendo, infatti, ad una mutazione delle cause storiche del fenomeno migratorio. Se prima povertà e scarsezza dei mezzi economici rappresentavano il motivo principale della spinta alla migrazione, oggi la causa prioritaria e più significativa è costituita dalle guerre e dalle persecuzioni;
infatti, la ciclicità delle crisi che attraversano quei Paesi, segnati da fragili equilibri politici interni e debolezza degli apparati statuali, determina spesso tumulti, sommosse e vere e proprie rivoluzioni che rendono impossibile ogni forma di civile convivenza;
ciò cambia il profilo dei flussi migratori che, inizialmente originati dal desiderio di fuggire dalla povertà e da condizioni sociali allarmanti, oggi, per i motivi esposti, sono soprattutto determinati dal desiderio di sfuggire da guerre e devastazioni e spingono i migranti a richiedere all'Europa asilo politico;
i cosiddetti «viaggi della speranza» partono da Eritrea, Mali, Siria, Libia, Gambia, Somalia, Senegal, Pakistan, Nigeria, Egitto ed altri;
secondo il rapporto Eurostat sul primo quadrimestre del 2014, le persone che, tra gennaio e marzo 2014, hanno richiesto asilo sul territorio dei 28 Paesi dell'Unione europea sono state circa 108.300, quasi 25.000 in più rispetto allo stesso periodo del 2013, con un aumento del 30 per cento. In particolare, l'Italia ha ricevuto 10.700 domande, risalendo così al quarto posto tra i Paesi dell'Unione europea come meta dei richiedenti asilo;
per quanto attiene alla politica europea di asilo, si ricorda che il tema è già stato oggetto, da parte delle istituzioni comunitarie, di dibattito e di specifiche valutazioni in relazione anche ai complessi e difficili percorsi di integrazione nei Paesi dell'Unione europea;
con il Trattato di Amsterdam, la politica migratoria compie un passo decisivo verso la «comunitarizzazione», diventando oggetto di competenza concorrente tra Unione europea e Stati membri;
nel 2009 il Trattato di Lisbona, confermando l'impegno dell'Europa verso una comune politica migratoria, ha reso vincolante la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: pertanto, con il Trattato di Lisbona, le materie concernenti l'asilo, la protezione sussidiaria e la protezione temporanea hanno acquisito la qualifica di politica comune dell'Unione europea (articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea);
con il regolamento «Dublino III» (regolamento (UE) n. 604/2013) si stabiliscono i criteri ed i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente ad esaminare le domande di protezione internazionale presentate da cittadini di un Paese terzo o da un apolide;
il nuovo regolamento, che abroga il regolamento (CE) n. 343/2003, detto «Dublino II», modifica alcune disposizioni previste per la determinazione dello Stato membro dell'Unione europea competente per l'esame della domanda di protezione internazionale e le modalità e le tempistiche ad esso correlate. Il nucleo fondamentale di tale regolamento è costituito dai criteri che determinano quale sia lo Stato membro dell'Unione europea competente;
altro obiettivo del regolamento «Dublino III» è quello di realizzare un sistema di asilo europeo basato su criteri omogenei di riconoscimento del diritto di asilo dei richiedenti: nel pieno rispetto dei diritti umani da parte dei Paesi di accoglienza, della solidarietà degli Stati membri e con l'impegno di pervenire ad una rapida e sicura identificazione;
il regolamento «Dublino III» (in base al quale lo Stato membro responsabile dell'esame dell'istanza è quello in cui è avvenuto il primo ingresso del richiedente protezione internazionale) risulta ormai superato, essendo già mutato il quadro di riferimento e le stesse condizioni nelle quali esso è stato definito;
il nostro Paese, ad esempio, risulta essere di gran lunga il primo punto di approdo dei migranti: ma la maggior parte di questi desiderano raggiungere familiari inseriti in comunità già insediate in altre nazioni e rifiutano, pertanto, il riconoscimento considerando l'Italia come un mero Paese di transito;
il superamento del regolamento «Dublino III» consentirebbe, quindi, il trasferimento legale di questi migranti, ma fino a quando non verrà permesso al richiedente asilo o al rifugiato di muoversi legalmente all'interno dell'Europa, si continuerà ad assistere all'aumento dei flussi migratori considerati illegali verso altri Stati membri, a cui seguono, normalmente, nuovi e costosi trasferimenti nel nostro Paese, punto di prima accoglienza;
il regolamento «Dublino III» ha, quindi, un grande limite, perché non risponde più alle esigenze attuali e scarica sul nostro Paese, normalmente meta di primo ingresso, l'intero peso dei flussi migratori, con le drammatiche conseguenze economico sociali che tutti possono valutare;
occorre, pertanto, porre in essere una strategia di ampio respiro che deve potere agire sulle cause e sulla gestione di un tale fenomeno epocale, essendo evidente che non può incombere solo sull'Italia l'immenso peso di questo immane flusso migratorio verso l'Occidente europeo;
il Consiglio europeo ha presentato il 26 e 27 giugno 2014 il proprio documento programmatico. Nell'agenda strategica trovano spazio le priorità chiave per i prossimi cinque anni, tra cui quelle inerenti alla gestione dei flussi migratori, alla tutela del diritto di asilo e alla libertà di circolazione. Il Consiglio ha, quindi, invitato le istituzioni dell'Unione europea e gli Stati membri ad attuare pienamente tali indicazioni prioritarie;
l'Unione europea, ad avviso del Consiglio europeo, deve, infatti, dotarsi di una politica efficace e ben gestita in materia di migrazione, asilo e frontiere, guidata dai principi di solidarietà ed equa condivisione delle responsabilità in conformità all'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e garantendone l'effettiva attuazione;
il pieno recepimento e l'attuazione del sistema europeo costituiscono una priorità assoluta. In particolare, occorre che ci si avvii verso «norme comuni di livello elevato ed in una maggiore cooperazione, creando condizioni di parità che assicurino ai richiedenti asilo le stesse garanzie di carattere procedurale e la stessa protezione in tutta l'Unione europea»;
il Governo è già intervenuto incrementando, anche con l'intervento degli enti locali, il sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e le commissioni territoriali;
la questione va considerata nel semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea ed in vista del prossimo Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014,
impegna il Governo:
a proporre, nelle sedi europee competenti, la necessità di una revisione del regolamento «Dublino III» che riguardi:
a) compatibilmente con le possibilità dei Paesi ospitanti, l'impegno a provvedere in modo efficace ad una loro identificazione per evitare che possano finire vittime del traffico clandestino;
b) un sistema europeo di accoglienza che si basi sulla solidarietà tra i Paesi membri e che distribuisca la presenza dei rifugiati per quote sulla base degli indici demografici ed economici;
c) un sistema di mutuo riconoscimento tra gli Stati membri per la concessione del diritto di asilo in modo tale da garantire che il riconoscimento della protezione internazionale ad un richiedente asilo sia valido per l'intero territorio dell'Unione europea;
a valutare, insieme ai partner europei, i possibili vantaggi dell'istituzione di un'agenzia europea per l'asilo e l'immigrazione che utilizzi le sedi diplomatiche presenti nei Paesi di origine dei flussi migratori, al fine di analizzare e valutare le richieste di protezione internazionale, anche per arginare la consistenza dei flussi migratori.
(1-00617) «Dorina Bianchi, Misuraca, Bosco, Garofalo, Minardo».
Le Commissioni VIII e X,
premesso che:
il decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, concernente «Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche», si pone l'obiettivo di favorire l'utilizzo della risorsa «rinnovabile» geotermica, in particolare la semplificazione delle procedure in coerenza con gli indirizzi comunitari ed internazionali per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e l'apertura a un regime concorrenziale che assicuri una trasparente e non discriminatoria assegnazione in concessione delle risorse geotermiche; viene inoltre definito che le risorse geotermiche di interesse nazionale sono patrimonio indisponibile dello Stato, mentre quelle di interesse locale sono patrimonio indisponibile regionale e che l'autorità competente per le funzioni amministrative, ai fini del rilascio del permesso di ricerca e delle concessioni di coltivazione, riguardanti le risorse geotermiche d'interesse nazionale, è il Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mentre per quelle locali le autorità competenti sono le regioni o gli enti da esse delegati, nel cui territorio sono rinvenute;
il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE», ha previsto che, al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche a ridotto impatto ambientale, sono considerati di interesse nazionale i fluidi geotermici a media ed alta entalpia finalizzati alla sperimentazione – su tutto il territorio nazionale – di impianti pilota con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza e comunque con emissioni nulle e con potenza nominale installata non superiore a 5 MWe per ciascuna centrale. L'autorità competente per il conferimento dei relativi titoli minerari è il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che acquisiscono l'intesa con la regione interessata;
ai sensi del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, le autorità competenti per le funzioni amministrative, inclusa la valutazione di impatto ambientale, ai fini del rilascio del permesso di ricerca e delle concessioni di coltivazione, comprese le funzioni di vigilanza sull'applicazione delle norme di polizia mineraria, riguardanti le risorse geotermiche d'interesse nazionale e locale sono le regioni o gli enti da esse delegati;
il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, (recante misure urgenti per la crescita del Paese) ha disposto l'inserimento dell'energia geotermica tra le fonti energetiche strategiche;
il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», ha disposto che gli impianti geotermici pilota sono di competenza statale (integrando l'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 e il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152);
ai sensi di tale normativa i progetti geotermici pilota sono quindi sottoposti alla Valutazione di impatto ambientale di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
la citata legge ha inoltre disposto per gli stessi impianti l'esclusione dalle previsioni della «direttiva Seveso» (direttiva 96/82/CE) generando ulteriori preoccupazioni rispetto alla loro sicurezza nelle operazioni di esercizio, con particolare riferimento alla prevenzione di incidenti connessi alla presenza di sostanze pericolose utilizzate come vettori del calore specialmente nei cosiddetti cicli binari;
il decreto ministeriale 6 luglio 2012, «Attuazione dell'articolo 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi da quella solare fotovoltaica», introduce una incentivazione «base» per gli impianti geotermici ad autorizzazione regionale assoggettati alla doppia fase di ricerca e poi concessione, mentre una incentivazione maggiore viene introdotta per gli impianti pilota sperimentali di potenza fino a 5 megawatt (per una potenza complessiva fino a 50 megawatt) con la conseguenza che tali impianti hanno un iter autorizzativo semplificato ed un incentivo maggiorato;
quanto sopra citato ha comportato numerose richieste di permessi di ricerca in tutta Italia – in particolare nelle regioni Umbria, Lazio, Toscana, Campania, Sicilia e Sardegna – oltre che alla immediata saturazione del plafond di 10 permessi per impianti pilota sperimentali, in particolare nel settore della media entalpia, con temperature della risorsa geotermica compresa tra 90o C e 150o C;
nella sola regione Lazio, sono state inoltrate 38 domande di autorizzazione alla ricerca per lo sfruttamento della risorsa geotermica. Di queste, 20 riguardano siti ricadenti nella provincia di Viterbo molti dei quali prospicienti il lago di Bolsena;
si aggiunge che il Lazio settentrionale, come ben noto, è affetto da problematica da arsenico nelle falde idropotabili, proveniente dai fluidi geotermici del sottosuolo; un elevato numero di trivellazioni intorno al lago di Bolsena potrebbe incrementare la risalita di fluidi ad elevato contenuto di arsenico, mettendo a rischio non solo i pozzi che attingono dalla falda acquifera, ma anche la possibilità di utilizzare l'acqua dello stesso lago – che contiene bassissime percentuali di arsenico – per una eventuale miscelazione con la rete potabile della provincia di Viterbo ad oggi contenente percentuali di arsenico superiori a quelle consentite dalla normativa nazionale ed europea vigente;
le stesse trivellazioni potrebbero incidere anche sui sistemi termali con conseguente riduzione dei volumi delle acque che attualmente sono alimentate dalle sorgenti, con gravissime conseguenze per le economie dei territori interessati, contravvenendo alle disposizioni della legge n. 323 del 2000 che promuove la crescita qualitativa dell'offerta termale nazionale sulla qualificazione dei contesti ambientali e, quindi, sulla stabilità dei parametri chimico-fisici della acque. Tutto ciò arrecherebbe gravi danni al turismo, attività economica molto importante, ad esempio, per la provincia di Viterbo e anche per il comprensorio del lago di Bolsena;
nella regione Lazio un impianto pilota sperimentale è previsto nel comune di Acquapendente e nella regione Umbria ne è previsto un altro nel comune di Castel Giorgio, contermine al precedente, entrambi inseriti nel bacino idrogeologico SIC (sito di interesse comunitario) del lago di Bolsena;
con riferimento agli impianti pilota precedentemente citati situati nei comuni di Castelgiorgio (Terni) e Acquapendente (Viterbo), si sottolinea la elevata fragilità sismotettonica del territorio, dimostrata da importanti terremoti storici (a memoria si ricordano i terremoti a Tuscania nel 1971 e a Castelgiorgio nel 1957) a cui si associa un contesto edilizio fortemente vulnerabile dal punto di vista della resilienza sismica (centri abitati della civiltà del tufo);
i comuni situati in prossimità del lago di Bolsena, ricadenti sia in provincia di Viterbo sia in provincia di Terni hanno, negli ultimi mesi, già dichiarato la loro opposizione alle trivellazioni ed alla utilizzazione di pozzi profondi nel loro territorio finalizzati allo studio ed alla produzione di energia da fonte geotermica, vista anche la esperienza negativa vissuta dal territorio con la centrale geotermoelettrica di Latera pur portata avanti da una società con esperienza nel settore come ENEL S.p.A.;
il Ministero dello sviluppo economico – direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche ha ritenuto, inoltre, necessario valutare in via preventiva le autorizzazioni di operazioni tecnologiche che prevedano perforazioni nel sottosuolo con particolare riferimento alla sismicità indotta e provocata per cui saranno individuate e definite attraverso «linee guida» la cui stesura è stata affidata al gruppo di lavoro costituito in data 2014;
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ritenuto necessario costituire, in ambito ISPRA, un gruppo di lavoro per definire puntualmente lo stato della sismicità indotta e provocata dall'attività antropica nel nostro Paese;
le stesse regioni Lombardia e Emilia-Romagna con atti rispettivamente del 20 marzo 2014 e 23 aprile 2014 hanno deliberato in via cautelativa, una moratoria per tutte le attività concernenti la perforazione del sottosuolo, in attesa della definizione delle suddette «linee guida» del Governo;
l'attività dei suddetti gruppi di lavoro è tuttora in corso pertanto, ad oggi, non esistono ancora le nuove linee guida, né è stata effettuata la revisione del quadro normativo resosi necessario per la geotermia elettrica; quindi non possono essere fornite valutazioni scientifiche certe alle istanze di perforazione del sottosuolo in corso di approvazione;
non esiste inoltre ad oggi una zonazione del territorio nazionale che evidenzi le aree di compatibilità in cui non possano esserci rischi di sismicità indotta o provocata, ma anche di potenziale inquinamento delle falde idropotabili e di inquinamento atmosferico ed acustico a tutela delle aree urbane di pregio o di interesse naturatistico,
impegnano il Governo:
ad avviare le procedure di zonazione del territorio italiano, per le varie tipologie di impianti geotermici, identificando le aree potenzialmente sfruttabili in coerenza anche con le previsioni degli orientamenti europei relativamente all'utilizzo della risorsa geotermica, e in linea con la strategia energetica nazionale;
ad emanare «linee guida» a cura dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individuino anche i criteri attraverso i quali definire, a livello nazionale, quali dei siti potenzialmente sfruttabili risultino effettivamente suscettibili di sfruttamento, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al possibile inquinamento delle falde, qualità dell'aria, induzione di sismicità ed altro ancora;
a far sì che, nella valutazione di impatto ambientale (via) per gli impianti pilota geotermici di Castel Giorgio (Umbria) e Montenero (Toscana), si tenga conto in particolare delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al possibile inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di sismicità;
a rilasciare le autorizzazioni per i progetti di impianti geotermici solo nel rispetto delle prescrizioni previste dalle linee guida in corso di definizione;
a valutare la possibilità di riconsiderare la classificazione delle fonti energetiche rinnovabili, con particolare riferimento alla possibilità di non annoverare più tra le stesse, lo sfruttamento delle acque sotterranee riscaldate da gradienti di temperatura ma solo quello del calore ivi presente che è effettivamente rinnovabile.
(7-00486) «Braga, Benamati, Terrosi, Tentori, Marchi, Mariani, Albini, Luciano Agostini, Gnecchi, Manzi, Giuliani, Moretto, Mazzoli, Cenni, Dallai».
NICCHI, COSTANTINO, DURANTI, FRANCO BORDO, PALAZZOTTO, RICCIATTI, PANNARALE, ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
si apprende da fonti giornalistiche che decine di donne, principalmente di nazionalità rumena, lavoratrici agricole (spesso «a nero») nelle serre, in località Vittoria, nella provincia di Ragusa sono costrette dai loro proprietari/padroni agricoltori, spesso affittuari anche dei locali fatiscenti in cui sono costrette a vivere con la propria famiglia, a subire abituali violenze sessuali dietro ricatto di licenziamento anche per i propri congiunti, e per paura di violenze maggiori nei confronti della propria persona e dei propri figli;
Vittoria fa parte dei distretti ortofrutticoli più importanti d'Italia. Il centro di un sistema produttivo che esporta in tutta Europa annullando il tempo e le stagioni. Gli ortaggi che altrove maturano a giugno qui sono pronti a gennaio. Un miracolo chimico che ha ancora bisogno di braccia;
miracolo economico dell’«oro verde», frutto inizialmente del lavoro dei braccianti tunisini, dal 2007 dei nuovi migranti che lavorano per metà salario i rumeni, e soprattutto le rumene che nell'isolamento della campagna sono una presenza gradita;
le donne rumene sono definite bread winner perché sono le prime a partire dal loro Paese. I mariti, se arrivano, arrivano dopo. Intanto gli italiani diventano padroni della loro vita e della loro morte. Sono padroni in tutti i sensi;
così è nato il distretto del doppio sfruttamento: agricolo e sessuale;
spesso le donne sono consapevoli di quello che le aspetta in Italia, ma lo fanno per tenere unita la famiglia. Nelle serre possono vivere coi bambini. A casa di un anziano no. Meglio quindi fare la contadina che la badante. Per questo ci sono nelle serre tante mamme rumene coi bambini;
sempre da fonti giornalistiche si apprende che i «festini agricoli» diffusi soprattutto nelle piccole aziende a conduzione familiare sono ben conosciuti dalla comunità, dalle istituzioni locali e dalle associazioni socio-assistenziali, ed è stato avviato anche il progetto «Solidal Transfert», un pulmino che permette di spostarsi senza dipendere dai padroni;
le condizioni abitative in cui le lavoratrici agricole vivono con le proprie famiglie, spesso pagando affitti esosi, sono estremamente disagevoli: buchi nel soffitto che fanno passare l'acqua piovana, mura erose dall'umidità, proliferazione di miceti, con conseguenti patologie come l'asma in soggetti, soprattutto in tenera età, prima perfettamente sani. Il tutto nel totale disinteresse del locatario. Nella zona sono intervenuti sia Emergency che Medici Senza Frontiere;
Vittoria è il primo comune in Italia per estensione delle coltivazioni plastificate e per numero di aborti in proporzione al numero di abitanti da anni;
inoltre, «l'Associazione diritti umani» denuncia che nel caso specifico di Vittoria le donne si trovano impossibilitate ad interrompere la gravidanza, poiché tutti i medici sono obiettori di coscienza e che solo all'ospedale di Modica sono presenti medici non obiettori, ma la crescita esponenziale di richieste di aborto porta un allungamento dei tempi di attesa, rendendo impossibile l'aborto entro i tre mesi previsti dalla legge. Alcune donne sono costrette a ritornare nei loro Paesi d'origine per abortire. Altre, invece, si affidano a strutture abusive e a persone che, sotto cospicuo pagamento, praticano l'aborto senza averne competenze –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza della inaccettabile condizione in cui sono costrette a vivere le immigrate rumene nel distretto siciliano sopracitato;
se non ritengano, per quanto di competenza, di intervenire immediatamente affinché non si protragga più la odiosa condizione di donne che per vivere devono divenire schiave;
se non ritengano necessario assumere ogni iniziativa di competenza, anche per quanto riguarda la presenza degli obiettori di coscienza affinché ogni presidio ospedaliero sia in grado di garantire la possibilità di abortire. (3-01067)
RAMPELLI, TAGLIALATELA. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
nella serata del 9 ottobre 2014 e nelle prime ore del 10 ottobre 2014 una pioggia fortissima, con punte superiori ai 400 millimetri in poche ore, ha colpito diverse zone di Genova e provincia, causando l'esondazione dei torrenti Bisagno, Fereggiano, Sturla, Scrivia e Entella, che hanno sommerso i quartieri della Foce, Molassana, San Fruttuoso, Marassi, Brignole, Quarto e Nervi e i comuni di Bogliasco e Montoggio;
un uomo è morto in un tunnel allagato, il calcolo dei danni è già arrivato a 300 milioni di euro, 200 dei quali a strutture pubbliche, e in seguito all'alluvione è stata disposta la chiusura delle scuole, centinaia di persone sono state sfollate dalle proprie abitazioni e si sono verificati pesanti danni alle infrastrutture, soprattutto strade e linee ferroviarie;
l'ultima drammatica alluvione che aveva colpito il capoluogo ligure risale ad appena tre anni fa, nel novembre del 2011, con le stesse identiche modalità;
la protezione civile di Genova non aveva previsto la violenza del nubifragio e non è stata, neanche successivamente, in condizione di affrontare l'emergenza, gestita, invece, dai cittadini in perfetta solitudine;
i fondi per mettere in sicurezza il fiume Bisagno, 36 milioni di euro per un tratto di nove chilometri in una zona dove vivono circa centomila persone, sono stati stanziati già nel 2010, ma i lavori non sono ancora neanche cominciati a causa delle lungaggini burocratiche e di una guerra di ricorsi in sede amministrativa sorta in sede all'aggiudicazione dell'opera;
negli ultimi decenni la Liguria risulta essere una delle regioni maggiormente colpite da frane e inondazioni, ma tutte le regioni d'Italia si trovano con sempre maggiore frequenza a dover gestire le emergenze conseguenti a condizioni di dissesto idrogeologico nei propri territori –:
quali iniziative urgenti intenda assumere con riferimento allo specifico caso di Genova e in che modo intenda agire il Governo al fine di mettere tutte le regioni in condizione di gestire e affrontare il dissesto idrogeologico nei territori, sia con riferimento ad un'adeguata dotazione di risorse, sia con riferimento alla speditezza delle procedure per la realizzazione delle opere di messa in sicurezza. (3-01091)
La Camera,
premesso che:
la Svimez, Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, nell'anticipazione del rapporto 2014 sull'economia del Mezzogiorno, presentato a fine luglio 2014, ha sostenuto che il sud Italia sta scivolando verso il deserto industriale sociale;
la dimensione di quello che pare un inarrestabile declino è evidenziata dalle seguenti cifre:
a) per il settimo anno consecutivo il prodotto interno lordo del Mezzogiorno registra segno negativo: nel 2013 il prodotto interno lordo è sceso nel Mezzogiorno del 3,5 per cento, in misura maggiore rispetto all'anno precedente (-3,2 per cento); il prodotto interno lordo pro capite è tornato ai livelli di dieci anni fa: 16.888 euro nel 2013 contro i 16.511 euro del 2005;
b) sono paralizzate le opere pubbliche: nel 2012 fatta pari a 100 la spesa in titolo al Centro-Nord, la spesa nelle regioni meridionali è pari a 67; si spende un quinto di quando si spendeva negli anni Settanta;
c) negli anni 2008-2013 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 27 per cento del proprio prodotto e gli investimenti nell'industria sono diminuiti del 53 per cento. Il settore delle costruzioni si è contratto del 35,3 per cento, contro il 23,8 per cento del Centro-Nord. Nel solo 2013 l'industria si è contratta del 7,6 per cento (- 3,2 per cento al Centro-Nord). L'agricoltura dello 0,2 per cento al Sud (+ 0,6 per cento al Centro-Nord);
d) gli occupati sono scesi sotto i 6 milioni (5,8 milioni) per la prima volta dal 1977;
e) negli anni 2008-2013 i consumi delle famiglie si sono ridotti del 13 per cento; nel solo 2013, del 2,4 per cento, risultando, tale percentuale, di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,7 per cento nel periodo considerato);
f) nel 2013 la povertà assoluta è aumentata del 2,8 per cento contro lo 0,5 per cento del Centro-Nord; in cinque anni le famiglie meridionali in stato di assoluta indigenza sono cresciute da 443 mila a 1 milione e 14 mila nuclei;
in questo ambito, particolarmente grave risulta la situazione della Campania dove, nel periodo di crisi:
a) gli investimenti pubblici sono crollati del 44,7 per cento;
b) i consumi delle famiglie sono diminuiti del 14,2 per cento;
c) il saldo occupazionale (dati Unioncamere) nel 2014-2014 registrerà un valore negativo di 33.500 unità, con un crollo dell'occupazione nelle piccole e medie imprese;
d) il tasso di occupazione è stimato al 40 per cento, inferiore di 17 punti della media nazionale; il tasso di disoccupazione è aumentato dal 22,2 del primo trimestre 2013 al 23,5 del primo trimestre 2014;
le famiglie campane pagano imposte locali più alte del 20 per cento rispetto alla media nazionale;
i servizi di welfare sono ridotti al minimo, in quanto i dai dati diffusi a maggio 2014 dal Ministero della salute, la Campania è al di sotto del punteggio minimo di 130, totalizzando invece 117, ultima tra le regioni; peraltro, la vita media dei campani è di 18 mesi più bassa di quella del resto degli italiani;
le politiche di sviluppo basate sull'utilizzo dei fondi comunitari, molto spesso sostitutivi delle risorse statali per gli investimenti, registrano dati fortemente negativi per tutte le regioni meridionali; anche in questo caso i dati diffusi dall'Eurispes ad agosto 2014 parlano di un Paese a 2 velocità; da una parte il Nord dove sono stati spesi circa il 75 per cento dei finanziamenti; dall'altra il Sud nel quale si registrano stati di attuazione dei programmi operativi particolarmente modesti;
per quanto riguarda il fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fers, per il quale il tasso di utilizzo dell'Unione europea è del 61 per cento), la Campania si ferma al 33,3 per cento, la Calabria al 36,5 per cento, la Sicilia al 40,5 per cento. Quanto al fondo sociale europeo (Fse, per il quale il tasso di utilizzo dell'Unione europea è del 58,6 per cento), l'utilizzo è bloccato al 56,4 per cento in Sicilia, al 59,1 per cento in Campania, al 62 per cento in Puglia; complessivamente tra fondi europei per lo sviluppo regionale e fondo sociale europeo gli stanziamenti non spesi sono: 2,52 su 3,99 miliardi di euro in Campania, 2,4 su 4,3 miliardi di euro in Sicilia; 1,3 su 3,25 miliardi di euro in Puglia; 1,12 su 1,92 miliardi di euro in Calabria, 146 milioni di euro su 429 in Basilicata;
le risorse originariamente programmate nel quadro strategico nazionale 2007-2013 ammontavano originariamente a oltre 60 miliardi di euro, di cui circa 28,8 miliardi di euro di fondi strutturali provenienti dall'Unione europea e circa 31,6 miliardi di euro di risorse di cofinanziamento nazionale (iscritti sul fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie previsto dalla legge n. 183 del 1987), destinati a finanziare tre obiettivi prioritari di sviluppo;
la gran parte di tali risorse, 43,6 miliardi di euro, all'incirca il 75 per cento del totale, risultava destinate all'obiettivo «convergenza», che interessa le regioni Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, cui si aggiunge la Basilicata (considerata in regime di phasing-out dall'obiettivo «convergenza»). All'obiettivo «competitività», che interessa tutto il Centro-Nord, l'Abruzzo e il Molise, nonché la Sardegna (in regime di phasing-in) erano assegnati 15,8 miliardi di euro (circa il 22 per cento delle risorse complessivamente destinate all'Italia). La quota residua, 0,8 milioni di euro, interessa i programmi dell'obiettivo «cooperazione territoriale»;
a seguito del piano di azione per la coesione, l'ammontare complessivo delle risorse destinate ai programmi operativi (quota comunitaria più cofinanziamento nazionale) si è ridotto da 60,1 miliardi di euro (28,5 miliardi di euro di fondi comunitari e 31,6 miliardi di euro di cofinanziamento) a circa 48,5 miliardi di euro. Sulla base delle informazioni disponibili (fornite dalla Ragioneria generale dello Stato), alla data del 30 giugno 2014 le risorse ancora da spendere entro il 31 dicembre 2015 (termine ultimo per effettuare pagamenti) ammontano a circa 20 miliardi di euro, la maggior parte dei quali (15 miliardi di euro) nell'area dell'obiettivo «convergenza»;
nelle sedi parlamentari il Sottosegretario di Stato Delrio ha denunciato come «nonostante gli sforzi enormi fatti dai miei predecessori nel cercare di recuperare il tempo perduto, la programmazione 2007-2013 è la peggiore in termini di risultato nella spesa». Ad aprile 2014 il Governo ha effettuato una nuova riprogrammazione dei fondi dell'Unione europea 2007-2013 per evitare di perdere 5 miliardi di euro;
il Sottosegretario di Stato Delrio ha infine annunciato che, salvo modifica delle quote di cofinanziamento, la programmazione 2014-2020 potrà contare su 32 miliardi di euro di fondi strutturali europei cui ne vanno aggiunti altrettanti di cofinanziamenti nazionali (24 miliardi di euro a carico dello Stato, il resto a carico delle regioni). Il Sottosegretario di Stato Delrio ha anche indicato tre priorità per questo nuovo programma: competitività delle imprese, occupazione e istruzione/formazione;
nel corso degli ultimi quattro anni numerosi sono stati i tentativi di approvare norme di accelerazione di spesa dei fondi comunitari:
a) la delibera del Cipe n. 1 del 2011 redatta dal Governo Berlusconi ha definito le linee operative del «piano per il Sud», individuando un percorso per l'accelerazione e la riprogrammazione delle risorse destinate alle aree sottoutilizzate, sia quelle di carattere aggiuntivo, previste dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (ex Fondo per le aree sottoutilizzate), sia quelle definite dai fondi strutturali dell'Unione europea, mediante la fissazione di target di impegno e di spesa certificata alla Commissione europea, che tuttavia non ottenne risultati significativi;
b) la legge finanziaria per il 2012 (l'ultima legge approvata dal Governo Berlusconi) esclude dal patto di stabilità «le spese correnti e in conto capitale per interventi cofinanziati correlati ai finanziamenti dell'Unione europea», tuttavia il mancato conteggio opera «con esclusione delle quote di finanziamento statale e regionale»;
c) nel novembre 2011, preso atto degli insoddisfacenti esiti del «piano per il Sud», è stato adottato il «piano di azione per la coesione», con lo scopo di superare i ritardi che si sono registrati, a cinque anni dall'avvio dell'operatività dei fondi strutturali 2007-2013. Il piano definiva un'azione strategica di concentrazione degli investimenti in quattro ambiti prioritari di interesse strategico nazionale (istruzione, Agenda digitale, occupazione e infrastrutture ferroviarie), attingendo ai fondi che si rendono disponibili, anche attraverso una riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale degli interventi dei fondi strutturali;
il decreto-legge n. 201 del 2011 (il cosiddetto «salva Italia» del Governo Monti), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, prevede (articolo 3, comma 1) di escludere 1.000 milioni di euro per l'anno 2012, 1.800 milioni di euro per l'anno 2013 e 1.000 milioni di euro per l'anno 2014 «delle spese effettuate a valere sulle risorse dei cofinanziamenti nazionali dei fondi strutturali comunitari»;
l'articolo 4 del decreto-legge n. 76 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 99 del 2013, al fine di rendere disponibili le risorse derivanti dalla riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013, disponeva per le amministrazioni titolari dei programmi operativi interessati di avviare entro il 28 luglio 2013 le necessarie procedure atte a modificare i pertinenti programmi, sulla base della vigente normativa europea;
l'articolo 9 del decreto-legge n. 69 del 2013 (cosiddetto «destinazione Italia»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013, riguarda l'accelerazione nell'utilizzazione dei fondi strutturali europei e ha disposto che le amministrazioni pubbliche debbono dare la precedenza, nella trattazione degli affari di competenza «(...) alle attività in qualsiasi modo connesse all'utilizzazione dei fondi strutturali europei (...)»; inoltre «(...) per non incorrere nelle sanzioni previste dall'ordinamento dell'Unione europea per i casi di mancata attuazione dei programmi e dei progetti cofinanziati con fondi strutturali europei e di sottoutilizzazione dei relativi finanziamenti, relativamente alla programmazione 2007-2013, in caso di inerzia o inadempimento delle amministrazioni pubbliche responsabili degli interventi, lo Stato esercita il potere sostitutivo di cui all'articolo 120 della Costituzione» (violazione di norme o di trattati internazionali);
l'articolo 9-bis dello stesso decreto-legge n. 69 del 2013 prevede la stipula di un contratto istituzionale di sviluppo, promosso dal Ministro per la coesione territoriale o dalle amministrazioni titolari dei nuovi progetti strategici, finanziati con risorse nazionali, dell'Unione europea e del fondo per lo sviluppo e la coesione;
l'articolo 12 del decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «sblocca Italia», interviene di nuovo sulla materia della spesa dei fondi comunitari. Si affidano nuove funzioni al Presidente del Consiglio dei ministri al fine di accelerare l'impiego delle relative risorse ed evitare il rischio di incorrere nell'attivazione delle sanzioni comunitarie; sentita la Conferenza unificata, avrà la facoltà di proporre al Cipe il definanziamento e la riprogrammazione delle risorse non impegnate. Sono poi richiamati i poteri già previsti dall'articolo 9 del decreto-legge n. 135 del 2013 (cosiddetto «destinazione Italia»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2014;
gli uffici della Commissione europea hanno studiato questa «difficoltà strutturale». La diagnosi è stata impietosa: inadeguatezza a realizzare politiche pubbliche per incapacità amministrativa. Agli enti che gestiscono i fondi europei è stato dunque imposto uno strumento, il piano di rafforzamento amministrativo, che potrebbe creare l'indispensabile discontinuità;
tuttavia, una ragione rilevante dell'incapacità di spesa consiste nel patto di stabilità comunitario. La quota dell'Unione europea non si riesce a spendere perché le regioni, in particolare quelle del Sud, non possono mettere a bilancio le risorse di cofinanziamento, altrimenti sforerebbero il patto di stabilità. Le regioni del Nord che hanno bilanci più corposi riescono meglio nella spesa;
nel vertice sul lavoro del 9-10 ottobre 2014 l'Italia, sostenuta dalla Francia, ha avanzato la proposta, da formalizzare per il previsto vertice del 23 ottobre 2014, di escludere dal calcolo del deficit il cofinanziamento nazionale dei fondi europei. Per cofinanziare i progetti da attivare fino al 2020, l'Italia intende proporre un proprio apporto per 24 miliardi di euro. Una somma che, divisa per i sette anni del programma (2014-2020), assegna 3,5 miliardi di euro in più l'anno da spendere senza sfondare il tetto del rapporto deficit/prodotto interno lordo del 3 per cento. In cambio, l'Italia si impegnerebbe a concentrare la spesa sugli obiettivi indicati da Bruxelles e potenziare i controlli preventivi;
la risposta della Germania, nonostante il fatto che la crisi cominci a mordere anche l'economia tedesca, che abbisogna quindi di manovre più espansive, si è limitata a valutare la possibilità di escludere dal patto di stabilità 1,5 miliardi di euro di spese cofinanziate dagli Stati per il programma «Garanzia giovani»,
impegna il Governo:
a rafforzare le attività in sede europea affinché vengano assicurati adeguati spazi finanziari di agibilità della spesa a titolo di concorso al cofinanziamento del fondo europeo per lo sviluppo regionale e del fondo sociale europeo, anche in concorso con altri Stati, con i quali individuare piattaforme comuni;
ad assumere iniziative volte a rafforzare i poteri di accelerazione dell'impiego delle risorse, di controllo e sostitutivi previsti dall'articolo 9 del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013, e dall'articolo 12 del decreto-legge n. 133 del 2014 e, in tale ambito, a rendere pienamente operativa l'Agenzia per la coesione territoriale eventualmente rafforzandone i poteri sostitutivi;
a garantire che la programmazione infrastrutturale per le regioni meridionali rappresenti l'elemento centrale dei programmi dei fondi strutturali europei 2007-2013 e 2014-2020 e, in tale ambito, nel disegno di legge di stabilità per il 2015, a promuovere una politica di investimento degli enti locali, accompagnata da una revisione delle regole del patto di stabilità per gli enti territoriali;
a prevedere, nell'ambito della disegno di legge di stabilità per il 2015, l'adozione di iniziative specifiche per la regione Campania, in particolare per quel che riguarda il lavoro giovanile, il riassetto idrogeologico e la dotazione infrastrutturale.
(1-00624) «De Girolamo, Dorina Bianchi, Calabrò, Alli, Bernardo, Bosco, Garofalo, Minardo, Misuraca, Pagano, Piccone, Piso, Saltamartini, Sammarco, Scopelliti, Tancredi, Vignali, Cicchitto».
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
la legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008), all'articolo 3, comma 44 stabilisce un limite massimo alle retribuzioni e ai compensi percepibili a carico delle finanze pubbliche, prevedendo espressamente che la disposizione si applica non solo alle pubbliche amministrazioni, ma anche alle «società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica», tra le quali certamente figura la Rai; la norma impone altresì alle pubbliche amministrazioni e alle società, non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica di pubblicare sul proprio sito istituzionale il nome dei destinatari degli incarichi e l'importo dei compensi;
in esecuzione della predetta disposizione è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 195, che precisa i contenuti del predetto obbligo di pubblicità, ricomprendendo esplicitamente ogni rapporto di lavoro subordinato o autonomo che implichi la corresponsione di retribuzioni o emolumenti direttamente o indirettamente a carico delle pubbliche finanze, includendo anche i compensi percepiti da società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica, secondo quanto previsto dall'articolo 2 del citato decreto del Presidente della Repubblica;
le disposizioni appena richiamate non sono state abrogate da alcuna normativa successiva, risultando, pertanto, tuttora in vigore; in particolare, non risulta alcuna incompatibilità (che comporterebbe l'effetto di un'abrogazione implicita) con l'articolo 15 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 recante «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», che chiarisce soltanto i contenuti degli obblighi di pubblicazione degli incarichi dirigenziali conferiti dalle pubbliche amministrazioni;
parimenti, non può ritenersi ostativo all'obbligo di pubblicità sancito dal citato articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 nemmeno il disposto di cui all'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come modificato dalla legge di conversione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (legge n. 125 del 2013), là dove disciplina gli obblighi di comunicazione del Ministero dell'economia e delle finanze e al dipartimento della funzione pubblica del costo annuo del personale;
a tal proposito va precisato che l'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» ha infatti integralmente sostituito, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, nella precedente formulazione, prevedeva che gli enti pubblici economici e le aziende che producono servizi di pubblica utilità, nonché gli enti e le aziende di cui all'articolo 70, comma 4 sono tenuti a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri «Dipartimento della funzione pubblica», e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure definite dal Ministero dell'economia e delle finanze;
il decreto-legge n. 101 del 2013 estende, in primo luogo, l'ambito soggettivo di riferimento del citato articolo 60, ampliando la platea dei soggetti tenuti al rispetto dell'obbligo di comunicazione anche alle società non quotate, partecipate direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, diverse da quelle emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e dalle società dalle stesse controllate, e dalla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo;
detto intervento opera, inoltre, sul contenuto informativo dell'obbligo stesso, in particolare per la Rai, società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, specificando che il costo annuo del personale comunque utilizzato ed oggetto della comunicazione deve ritenersi riferito ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo; in virtù di tale disposizione, pertanto, anche la Rai è tenuta a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri «Dipartimento della funzione pubblica», e al Ministero dell'economia e delle finanze il costo annuo del personale comunque utilizzato, con riferimento ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, in conformità a specifiche procedure definite d'intesa con i predetti dicasteri;
né la disposizione sopra richiamata, che sancisce l'obbligo di pubblicità in questione, può ritenersi tacitamente abrogata dall'articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014, che si limita, infatti, a modificare il limite massimo delle retribuzioni percepibili a carico delle finanze pubbliche, aggiungendo, al comma 5-bis, un obbligo di trasparenza ulteriore, non incompatibile con quello già introdotto nell'ordinamento con l'articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 (e confermando implicitamente, in tal modo, la vigenza di tale norma);
il sottoscritto, interpellante ha già depositato, in relazione all'attuazione delle disposizioni sopra richiamate, cinque interpellanze urgenti, ricevendo risposte, da parte del Governo, assolutamente insoddisfacenti: si tratta dell'interpellanza urgente 2-00353 discussa il 10 gennaio 2014, dell'interpellanza urgente 2-00400 discussa il 7 febbraio 2014, dell'interpellanza urgente 2-00434 discussa il 7 marzo 2014, dell'interpellanza urgente 2-00486 del 4 aprile 2014 e, infine, dell'interpellanza urgente 2-00663 discussa lo scorso 8 settembre 2014;
nel corso della seduta della Camera dei deputati dell'8 settembre, il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Giovanni Legnini, in risposta all'ultima interpellanza presentata, riferendosi agli obblighi introdotti con la norma di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, ha dichiarato che «la Rai, in adempimento dei citati obblighi di legge, ha provveduto a trasmettere nel termine previsto e secondo i criteri delineati dal dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, tutti i dati richiesti dal Ministero dell'economia e delle finanze d'intesa con il Dipartimento della funzione pubblica»;
il sottosegretario Legnini ha inoltre affermato quanto segue: «l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con una nota del 13 maggio scorso, ha osservato che l'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, è evidentemente finalizzato al solo rilevamento dei costi del lavoro pubblico e non prevede di per sé alcuna forma di pubblicità dei dati raccolti. La norma in questione non contempla, infatti, né la pubblicazione delle informazioni in sé, né giocoforza le eventuali modalità di tale applicazione e soprattutto non riguarda specificamente i compensi dei conduttori, degli ospiti e degli opinionisti, né tantomeno i costi di produzione dei programmi RAI»;
a parere dell'interpellante, le dichiarazioni del sottosegretario Legnini restano insoddisfacenti e comunque incomplete, dato che affrontano la questione della pubblicità e della trasparenza dei dati RAI, ovvero una società a partecipazione pubblica, limitandosi a riportare un parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato riguardante la sola norma di cui all'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, senza considerare le altre norme vigenti sullo stesso tema;
il nuovo articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non incide in alcun modo sull'obbligo di pubblicità previsto, anche in capo alla Rai, dalla citata legge n. 244 del 2007, che rimane vigente e che il Governo non cita nella propria risposta; inoltre, se è vero che lo stesso articolo 60 non prevede in maniera esplicita un obbligo di trasparenza, è altrettanto corretto affermare che la medesima norma non solo non esclude l'obbligo di pubblicità già presente nell'ordinamento, ma ne conferma la vigenza non regolando diversamente i relativi obblighi di trasparenza;
inoltre, la pubblicazione dei compensi RAI non è impedita dalla disciplina contenuta nel Codice della privacy (decreto legislativo n. 196 del 2003), come chiarito dal Garante per la protezione dei dati personali, a fronte delle sopra richiamate disposizioni legislative e regolamentari che la contemplano espressamente (peraltro come obbligatoria);
nell'ambito di una disamina degli obblighi RAI, bisogna poi ricordare quanto prevede il Contratto di servizio 2010-2013 siglato dalla Rai e il Ministero dello sviluppo economico, ancora in vigore, seppur in regime di prorogatio: in tema di trasparenza, il testo dispone, all'articolo 27 comma 7, che «la Rai pubblica sul proprio sito web gli stipendi lordi percepiti dai dipendenti e collaboratori nonché informazioni, anche tramite il mezzo televisivo, eventualmente con un rinvio allo stesso sito web nei titoli di coda, e radiofonico, sui costi della programmazione di servizio pubblico»;
non è di poco rilievo infine ricordare che il 7 maggio scorso la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei sistemi radiotelevisivi ha approvato il parere di propria competenza previsto in relazione allo schema di Contratto di servizio 2013-2015 tra la Rai e il Ministero dello sviluppo economico, ad oggi, ancora in via di definizione. Tra le disposizioni contenute, all'articolo 18 comma 7 del Contratto di servizio si prevede che «la Rai pubblica nel rispetto della legge 125 del 2013, per la razionalizzazione della PA, le informazioni sui curricula e i compensi lordi percepiti dai dirigenti, dai collaboratori e dai consulenti, così come definite dal Ministero dell'Economia e delle Finanze d'intesa con il Dipartimento della Funzione Pubblica, nonché informazioni, anche tramite il mezzo televisivo e radiofonico, sui costi della programmazione di servizio pubblico»;
il parere approvato dalla Commissione di vigilanza Rai in tema di total disclosure è molto puntuale e prevede non solo un riferimento al cosiddetto decreto razionalizzazione pubblica amministrazione sopra richiamato, ma anche l'obbligo per la Rai di pubblicare i curriculum vitae dei dipendenti e i loro stipendi lordi –:
quali misure intenda adottare il Ministro interpellato, secondo le proprie competenze, per garantire in tempi rapidi l'attuazione della normativa richiamata in premessa, e rendere così pubblici i dati relativi al costo del personale trasmessi al Governo dalla Rai a norma delle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), in considerazione di quanto previsto dal Contratto di servizio vigente, e, soprattutto, alla luce dell'obbligo di pubblicità previsto per la RAI dall'articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008), che non risulta messo in discussione dall'articolo 60, comma 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), così come modificato dal decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013, che non solo non esclude l'obbligo di pubblicità già presente nell'ordinamento, ma ne conferma la vigenza, non regolando diversamente i relativi obblighi di trasparenza.
(2-00701) «Brunetta».
BUSINAROLO, GAGNARLI, COLLETTI, AGOSTINELLI, BONAFEDE, FERRARESI, LUPO, PARENTELA e MICILLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
ogni anno, durante la stagione venatoria, muoiono mediamente 60 persone, ovvero una ogni tre giornate di caccia e ne vengono ferite gravemente altre 90 (quasi una ogni due giorni). Nella stagione venatoria 2012-2013, ad esempio, come riportato dalle statistiche effettuate dall'Associazione nazionale vittime della caccia, in 52 giorni effettivi di attività venatoria sono state registrate 151 vittime, 32 morti (tra cui 5 minorenni) e 199 feriti, di cui 108 tra i cacciatori (di cui 21 morti) e 43 tra la gente comune (di cui 11 morti);
le vittime sono gli stessi cacciatori, ma molto spesso anche cittadini comuni, escursionisti o persone che vivono o lavorano in campagna e, a volte, anche animali domestici;
notizie di cronaca recente (articolo pubblicato sul quotidiano L'arena in data 13 ottobre 2014) hanno riportato l'ultimo incidente legato alla caccia e che, fortunatamente, almeno questa volta non ha avuto conseguenze mortali. Si tratta di un incidente avvenuto nel territorio di Sossano (Vicenza) e che ha avuto come protagonisti appunto un cacciatore impegnato nella caccia ad una lepre ed una ciclista quarantenne di Caprino (Verona), C.K., che si stava riscaldando in vista di una gara ciclistica a cronometro che si sarebbe svolta nella stessa mattinata e che, sotto gli occhi dei compagni di allenamento, all'improvviso si è accasciata al suolo, ferita alla gamba, al braccio e ad un fianco della parte sinistra, da diversi pallini sparati dal cacciatore;
da quanto riportato sembrerebbe che il cacciatore abbia sparato da non più di una cinquantina di metri, dunque ben al di sotto del limite dei 150 metri previsto dal regolamento sulla caccia;
il caso sopra descritto, che si è concluso positivamente per la ciclista che non ha riportato lesioni gravi, non rappresenta un episodio isolato o una semplice fatalità, ma l'ennesimo incidente di caccia dovuto alla imprudenza ed al mancato rispetto della normativa da parte di alcuni cacciatori;
la caccia consiste nel libero uso di armi da fuoco da parte di dilettanti e, dunque, può rappresentare un gravissimo problema di pubblica sicurezza e di evidente allarme sociale –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti citati in premessa e se non ritengano opportuno adottare tutte le iniziative dirette a prevenire i gravi rischi legati all'attività venatoria e all'utilizzo delle armi da caccia al fine di tutelare l'incolumità e la sicurezza dei cittadini. (4-06391)