ATTI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO

Seduta n. 206 di lunedì 7 aprile 2014

INDICE


ATTI DI INDIRIZZO:

Mozione:
  Iori  1-00427  11895

Risoluzioni in Commissione:
 XII Commissione:
  Argentin  7-00333  11897
 XIII Commissione:
  Taricco  7-00334  11898

ATTI DI CONTROLLO:

Presidenza del Consiglio dei ministri.

Interpellanze:
  Plangger  2-00492  11899
  Marcon  2-00493  11901

Interrogazioni a risposta scritta:
  Caruso  4-04385  11903
  Busto  4-04390  11905
  Zan  4-04392  11906
  Catanoso  4-04396  11908

Affari esteri.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Garavini  5-02577  11909

Ambiente e tutela del territorio e del mare.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Parentela  5-02578  11910

Economia e finanze.

Interrogazione a risposta in Commissione:
  Prodani  5-02576  11911

Interrogazione a risposta scritta:
  Di Salvo  4-04399  11913

Giustizia.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Tidei  4-04388  11914
  Tartaglione  4-04391  11915
  Tofalo  4-04397  11916

Infrastrutture e trasporti.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Farina Daniele  4-04386  11916
  Catanoso  4-04387  11918
  Rizzetto  4-04394  11919

Lavoro e politiche sociali.

Interrogazione a risposta scritta:
  Airaudo  4-04389  11921

Salute.

Interrogazioni a risposta scritta:
  Abrignani  4-04393  11923
  Lorefice  4-04400  11924

Sviluppo economico.

Interrogazione a risposta orale:
  Cesa  3-00744  11926

Interrogazioni a risposta scritta:
  De Rosa  4-04395  11926
  Gallinella  4-04398  11928

Apposizione di firme ad interrogazioni  11929

Cambio presentatore e ritiro di firma ad una interrogazione a risposta scritta  11929

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo  11930

ERRATA CORRIGE  11930

Interrogazioni per le quali è pervenuta risposta scritta alla Presidenza:
  Anzaldi  4-01116  I
  Basilio  4-02546  II
  Battelli  4-02970  IV
  Bragantini Matteo  4-02655  V
  Catanoso  4-03249  VI
  Censore  4-02719  IX
  Cimbro  4-03637  XII
  Costa  4-02454  XIV
  Costantino  4-01179  XVI
  D'Agostino  4-02845  XVII
  Di Maio Luigi  4-01999  XXI
  Grimoldi  4-00840  XXII
  Grimoldi  4-02621  XXIII
  Lacquaniti  4-02089  XXV
  Molea  4-04015  XXVI
  Naccarato  4-01039  XXXI
  Nesci  4-01597  XXXII
  Palazzotto  4-01170  XXXIV
  Palazzotto  4-02832  XXXV
  Polverini  4-00741  XXXVII
  Porta  4-02600  XXXVIII
  Rampi  4-03232  XLI
  Realacci  4-00479  XLIII
  Realacci  4-03570  XLIV
  Rizzo  4-02992  XLVI
  Sereni  4-00753  XLVII
  Zaratti  4-02023  XLIX
  

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:

   La Camera,
   premesso che:
    a 25 anni dalla Convenzione ONU sui Diritti dell'infanzia, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata in Italia con legge n. 176 del 27 maggio 1991, il problema del maltrattamento e dell'abuso sui minori è un dramma che continua ad affligge non solo i paesi del «Sud del mondo» ma anche quelli con un elevato sviluppo socio-economico come l'Italia;
    il monitoraggio del fenomeno a livello nazionale, nonché la conoscenza dello stesso nelle sue multiformi tipologie, è il primo e fondamentale passo per l'adozione di politiche di prevenzione e protezione adeguate;
    di fatto, in assenza di un sistema informativo istituzionalizzato ed omogeneo, i dati sul problema si dimostrano non esaustivi e solo settoriali;
    la necessaria e improcrastinabile adozione di un adeguato sistema di monitoraggio è evidenziata non solo dallo stato dei fatti, ma è manifestata anche dal Comitato ONU per la CRC, Convention on the Right of the Child (CRC/C/ITA/CO/3-4), nel quale si sollecita lo Stato «a garantire che il sistema informativo nazionale sull'assistenza e la tutela dei minori e delle loro famiglie raggiunga la piena operatività e disponga delle necessarie risorse umane, tecniche e finanziarie per essere efficace nella raccolta delle informazioni pertinenti in tutto il paese, rafforzando così la capacità dello Stato parte di promuovere e tutelare i diritti dei minori»;
    le associazioni Terre des Hommes e CISMAI hanno elaborato un progetto pilota di indagine qualitativa e quantitativa rivolta ai servizi sociali dei comuni italiani sul maltrattamento a danno dei bambini, coinvolgendo dal primo semestre del 2012 al primo trimestre 2013 quasi 5 milioni di cittadini ed oltre 750.000 minorenni;
    i dati raccolti dal campione di studio appaiono allarmanti: 1 minore su 100 fra la popolazione residente risulta vittima di maltrattamento, ben il 6,36 per cento dei minori residenti in Italia viene assistito dai servizi sociali dei comuni, fra questi lo 0,98 per cento, ossia 1 su 6, è seguito a causa di violenza ed abusi. L'incidenza appare maggiore nei confronti di bambine e ragazze e si attua nel 52,7 per cento dei casi in trascuratezza materiale e affettiva, nel 16,6 per cento in violenza assistita consumata in ambito familiare, nel 12,8 per cento in maltrattamento psicologico, nel 6,7 per cento in abuso sessuale, nel 6,1 per cento in patologie delle cure, quali incuria, ipercura e discuria, ed infine nel 4,8 per cento in maltrattamento fisico;
    nel marzo 2014 Telefono Azzurro ha reso noti i dati ricavati dalle richieste di aiuto di bambini ed adolescenti pervenute all'Associazione negli ultimi cinque anni. La relazione rileva più di 17.000 appelli per via telefonica e chat dedicata, con una media di quattro episodi di violenza al giorno; il 53,1 per cento delle vittime risulta essere di sesso femminile, dato che aumenta al 68,1 per cento per quanto riguarda la violenza sessuale. L'Associazione rileva altresì un'incidenza crescente di denunce relative alla diffusione (minacciata o attuata) di foto e video «intimi» tramite le tecnologie informatiche ed i social network;
    all'interno della generica definizione di maltrattamento, una considerazione a parte e più specifica pare inevitabile in tema di abuso sessuale del minore, stante la gravità e l'incidenza in aumento del fenomeno, oltre alle conseguenze psicopatologiche spesso insanabili;
    l'associazione Terre del Hommes ha presentato nel settembre 2013 uno studio sull'incidenza della violenza sessuale
nei confronti dei minori grazie ai dati forniti dalle forze di polizia. In un solo anno in Italia sono triplicati i reati sessuali accertati contro i minorenni, passando da 166 (nel 2011) a 505 (nel 2012), con un'incidenza del 78 per cento nei confronti delle femmine. Nello stesso arco temporale i casi di pornografia minorile sono passati da 23 a 108;
    l'incidenza inferiore rispetto ai dati registrati in altri paesi europei (2.815 casi segnalati in Francia nel 2010 e 2011 in Germania nel 2009) fa poi ragionevolmente supporre che in Italia molti abusi non vengano denunciati e rimangano sommersi è dunque immaginabile uno scenario ben più grave di quello fotografato da polizia ed autorità giudiziaria;
   rilevante sul tema appare altresì lo studio effettuato in occasione del Safer Internet day dell'11 febbraio 2014 (giornata per la sensibilizzazione all'utilizzo sicuro della rete ad iniziativa della Commissione europea) da Ipsos per Save the children, volto a documentare, per la prima volta, le percezioni che gli adulti hanno sui rapporti intrattenuti con i minori, nonché sul ruolo di internet come strumento di incontro a sfondo sessuale;
    dalla ricerca emerge che l'81 per cento degli italiani fra i 25 e i 65 anni ritiene l'incontro sessuale tra giovani ed adulti, iniziato in rete, un fenomeno diffuso. Il 28 per cento degli adulti tra i 45 e i 65 anni risulta avere fra i propri contatti telematici giovani che non conosce ed il 38 per cento degli intervistati si dichiara poi favorevole alle relazioni sessuali fra adulti e minori;
    pur nella piena consapevolezza che il reato di atti sessuali con minorenni concerne unicamente il fatto commesso con bambini infra quattordicenni, o infra sedicenni in caso di cura o custodia del minore, i dati raccolti nel citato studio evidenziano la necessità di intervenire in modo incisivo sul problema dell'abuso sessuale, con particolare attenzione al reato di adescamento dei minori tramite la rete Internet;
    oltre ad una adeguata condotta repressiva è fondamentale prevenire il fenomeno e dotare i soggetti che hanno regolari contatti con bambini e ragazzi (nei settori dell'istruzione, della sanità, della protezione sociale, della giustizia, della sicurezza e della cultura) di una adeguata conoscenza dell'abuso sessuale in danno ai minori, nonché dei mezzi per individuarlo e segnalarlo, come previsto all'articolo 5 della convenzione di Lanzarote: appare ugualmente fondamentale provvedere affinché i condannati per reati sessuali in danno a minori, o per adescamento, siano interdetti dallo svolgimento di qualunque tipo di attività tale da comportare contatti diretti e regolari con bambini e ragazzi, come previsto dall'articolo 10 della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI;
    il DSM (Diagnostic and statistical manual of mental disorders) classifica la pedofilia quale disturbo mentale. È dunque importante fornire assistenza e garantire percorsi riabilitativi e terapeutici, facilmente individuabili, per coloro che presentano impulsi sessuali nei confronti di infanti, al fine di prevenire ed evitare abusi o reiterazioni;
    in tal senso è possibile fare riferimento al progetto Dunkelfeld attivo in Germania costituito da campagne mediatiche volte a pubblicizzare servizi di cura per persone che si auto definiscono pedofili e sentono il bisogno di aiuto. Nel Regno Unito il NSPCC (National Society far the Prevention of Cruelty to Children) ha predisposto un servizio di assistenza telefonica ed intervento immediato per coloro che temono di poter compiere un reato sessuale nei confronti di un bambino. In Danimarca è stato realizzato un sito web rivolto ad adulti che riconoscono
di avere un interesse sessuale nei confronti di bambini, invitandoli a cercare aiuto psicologico prima di commettere abusi, anche tramite una linea telefonica dedicata,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative immediate, normative o di altra natura, affinché i principi sanciti nella Convenzione del Consiglio d'Europa, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007 non vengano disattesi, per contrastare il crescente fenomeno della violenza nei confronti dei minori, dell'abuso sessuale e dell'adescamento tramite la rete Internet;
   a dedicare particolare attenzione all'attuazione dell'articolo 5 della suddetta Convenzione in tema di reclutamento, formazione e sensibilizzazione delle persone che lavorano a contatto con i minori;
   ad assumere iniziative per istituire e pubblicizzare servizi di cura e di intervento per persone che riconoscono di avere un interesse sessuale nei confronti di bambini, anche utilizzando gli strumenti economici che l'Unione europea mette a disposizione;
   a predisporre un sistema di raccolta dati e monitoraggio del fenomeno della violenza sui minori, dell'abuso sessuale e dell'adescamento tramite la rete Internet in eventuale connessione con servizi sociali dei comuni ed altre realtà associative che già operano in tale settore;
   ad attivare una campagna informativa per sensibilizzare l'opinione pubblica e incentivare l'emersione di un fenomeno di violenza domestica e di abusi non denunciati che, nel nostro Paese, rimangono ancora in gran parte sommersi.
(1-00427) «
Iori, Zampa, Albanella, Amoddio, Antezza, Beni, Brandolin, Capone, Capozzolo, Casati, Censore, Chaouki, Coccia, D'Incecco, Dal Moro, Dallai, De Menech, Donati, Ermini, Fedi, Gadda, Carlo Galli, Galperti, Gasparini, Giuliani, Gullo, Iacono, Tino Iannuzzi, La Marca, Manzi, Marantelli, Marchi, Marzano, Miotto, Mongiello, Patriarca, Piccoli Nardelli, Ribaudo, Rocchi, Sbrollini, Senaldi, Tartaglione, Tidei, Tullo, Venittelli, Villecco Calipari, Zanin, Zardini».

Risoluzioni in Commissione:

   La XII Commissione,
   premesso che:
    fino ad alcuni decenni fa il discorso relativo alla sessualità nei soggetti portatori di handicap veniva considerato un tabù e la loro dimensione sessuale veniva negata;
    in particolare, le strategie adottate si risolvevano in interventi di tipo fisico (uso di psicofarmaci, legamento delle tube, ovariectomia per le donne ed evirazione per gli uomini), psicologico (punizioni, minacce, rinforzo di condotte sostitutive o compensatorie) o psicosociale (isolamento, impedimento di contatti con persone dell'altro sesso). Queste soluzioni si sono rivelate fallimentari per il fatto di trascurare la promozione del benessere degli individui e di misconoscere il diritto umano fondamentale anche della persona disabile di poter esprimere i propri bisogni psicosessuali;
    ciò è sempre avvenuto perché si riesce ad accettare con difficoltà che una persona in situazione di handicap possa manifestare bisogni sessuali analoghi a quelli di una persona normodotata. Il disagio nell'accogliere la dimensione sessuale e la sua espressione nella persona disabile può essere imputato alla biologizzazione della sessualità, ossia alla tendenza a considerarla come mera realtà naturale/organica scarsamente o per nulla correlata a fattori affettivi, relazionali, sociali e altro;
    l'esistenza e la manifestazione da parte degli individui disabili di bisogni, desideri e condotte psicosessuali, contrariamente a quanto avveniva in passato, non possono più essere negate o ignorate, ma esigono pieno rispetto e impegno per una possibile la realizzazione;
    tali manifestazioni sessuali si esprimono nelle diverse tappe evolutive, in accordo con il grado e il livello di integrazione personale, di sviluppo cognitivo e fisico, di competenza relazionale e di adattamento e autonomia sociale;
    la possibilità di manifestare e vivere i bisogni e i desideri sessuali, in accordo con il proprio grado di coscienza e capacità, è un diritto umano fondamentale, che non deve essere ignorato ma rispettato e reso possibile. Ciò in particolare per le persone che, a causa delle loro difficoltà, necessitano dell'aiuto degli altri per realizzare la propria psicosessualità;
    le affermazioni precedenti introducono il discorso relativo all'importanza e alle responsabilità che gli educatori hanno nel favorire la realizzazione del diritto dei disabili di esprimere e vivere la dimensione psicosessuale, al pari delle altre sfere della personalità e sempre secondo le proprie possibilità e in funzione del proprio benessere e la necessità di una preparazione adeguata per rispondere alle esigenze di educazione sessuale dei soggetti disabili,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per formulare linee guida in ambito psicoassistenziale al fine di riconoscere e coadiuvare le persone con disabilità nella gestione della loro sessualità;
   a valutare l'opportunità di sperimentare, d'intesa con le regioni, sulla base delle esperienze già avviate nei Paesi del nord Europa, forme di assistenza sessuale per i disabili.
(7-00333) «
Argentin, Paola Bragantini, Scuvera, D'Incecco».

   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il Regolamento (CE) 1782/03 del Consiglio stabiliva norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell'ambito della politica agricola comune e istituiva taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori;
    con il suddetto regolamento – che introduceva la riforma cosiddetta «di medio termine» della Politica agricola comunitari (PAC), entrata in vigore nell'anno 2005, tramite il «disaccoppiamento» degli aiuti comunitari rispetto alle specifiche produzioni agricole – erano stati fissati titoli con valori che derivavano dall'ammontare medio degli aiuti percepiti nel triennio 2000-2002 per gli agricoltori dell'Unione, con ovvie differenze del valore dei titoli fra le aziende in ragione delle colture precedenti;
    il meccanismo del disaccoppiamento dei premi comunitari dalle produzioni effettivamente coltivate, e dei differenti valori dei titoli a fronte di analoghe produzioni, ha creato le condizioni per una frequente falsificazione del mercato degli affitti dei fondi agricoli mediante un procedimento di affitto e subaffitto in cui i terreni affittati sono dichiarati, ai fini dei premi o contributi europei, da soggetti diversi dagli effettivi utilizzatori;
    quindi, soprattutto nelle realtà di montagna, le proprietà di estese superfici a pascolo dei comuni, in molti casi si tratta di lotti di centinaia di ettari, sono diventati oggetto di attenzione da parte di imprese agricole con carico di bestiame per il quale non dispongono di una superficie sufficiente in conduzione necessaria ad un corretto utilizzo agronomico di tali superfici; in seguito alla stipula del contratto con gli enti locali proprietari delle superfici a pascolo, si procede al subaffitto delle stesse anche se la disposizione di cui all'articolo 21 della legge n. 203 del 1982 sui contratti agrari che ne fa espresso divieto;
    il meccanismo, in questi anni diffusosi del subaffitto delle superfici pubbliche a pascolo determina una totale alterazione del mercato degli affitti ed un vantaggio speculativo ma anche un improprio utilizzo agronomico di tali superfici a detrimento dell'assetto del territorio e delle economie rurali locali;
    gli impegni relativi alla «condizionalità» che le imprese agricole devono rispettare per l'accesso agli aiuti comunitari diretti della PAC prevedono che le superfici a pascolo permanente debbano essere effettivamente pascolate;
    sulla vicenda sarebbero in corso indagini da parte della magistratura competente con il reale rischio di un interessamento da parte della Corte dei conti europea, che potrebbe contestare e richiedere a molte aziende italiane la restituzione di ingenti somme, indebitamente percepite;
    negli anni, anche numerose regioni hanno segnalato la questione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, chiedendo soluzioni;
    per superare la situazione in commento, l'AGEA l'11 ottobre 2013 con circolare n. ACIU.2013.979 ha dettato «Istruzioni applicative generali per la presentazione della domanda unica di pagamento ai sensi del Reg. (CE) 1782/03 – Pascolamento da parte di terzi» stabilendo che «a partire dalla Domanda unica presentata per la campagna 2014, in riferimento al cap. 7.1.1 – titoli ordinari (pag. 36) della citata circolare, ai fini dell'ammissibilità delle superfici dichiarate a pascolo magro non è possibile considerare il pascolamento da parte di terzi»;
    il Consiglio di Stato in sede di appello, con propria ordinanza del 6 marzo 2014, in accoglimento del ricorso cautelare precedentemente rigettato dal Tar Lazio, ha sospeso l'efficacia della circolare Agea in oggetto e di tutti gli atti conseguenti, comunicando quindi a tutti gli interessati che, in esecuzione di detta ordinanza, solo per la campagna 2014, era sospesa l'efficacia della circolare AGEA prot. ACIU.2013.979 dell'11 ottobre 2013;
    detta situazione rischia di ricondurre la gestione agronomica dei territori, l'equità del mercato degli affitti e la correttezza delle procedure di assegnazione dei contributi comunitari, nella precaria situazione previdente,

impegna il Governo

ad intervenire nella situazione esposta in premessa, per quanto di sua competenza, al fine di ripristinare regole certe che creino le condizioni per un pieno rispetto delle normative nazionali e comunitarie e delle regole della condizionalità che impongono l'utilizzo agronomico delle superfici dichiarate ai fini dei premi PAC, anche prevedendo iniziative legislative o provvedimenti ministeriali.
(7-00334) «
Taricco, Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Carra, Cenni, Cova, Covello, Dal Moro, Ferrari, Fiorio, Marrocu, Mongiello, Palma, Sani, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il Parco nazionale dello Stelvio si estende su parte dei territori della provincia di Trento, della provincia di Bolzano e della regione Lombardia. Al fine di conservarne la configurazione unitaria, l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279 e l'articolo 35 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 hanno disposto che la sua gestione fosse attuata mediante la costituzione di un apposito consorzio fra lo Stato e gli enti territorialmente competenti;
   il consorzio, che è stato costituito con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 novembre 1993, ha manifestato molte criticità e, sotto il profilo dell'ordinamento di riferimento e dell'organizzazione amministrativa, il Parco era configurato quale ente pubblico nazionale;
   l'articolo 79, comma 1, dello statuto speciale del Trentino – Alto Adige/Sudtirol, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, come modificato dalla legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria 2010), a seguito del cosiddetto «Accordo di Milano», che ha adeguato lo statuto ai principi in materia di federalismo fiscale, prevede ora specifiche forme di concorso finanziario della regione e delle due province autonome di Trento e di Bolzano al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilità interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale, prevedendo, tra l'altro, oltre all'assunzione di oneri relativi all'esercizio di funzioni statali delegate, il finanziamento di iniziative e di progetti relativi ai territori confinanti;
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), all'articolo 1, comma 515, ha da ultimo ribadito il passaggio delle funzioni relative al Parco Nazionale dello Stelvio dallo Stato alle province autonome di Trento e di Bolzano, da attuare con apposite norme di attuazione, sulla base di intese che in tal caso ci sono già state con il Memorandum di Bolzano siglato con il Governo Letta, confermato anche dall'attuale Governo;
   il modello di consorzio, individuato nel 1993 non ha funzionato dimostrando, al contrario, tutta la necessità che il Parco sia gestito interamente a livello locale, con la diretta partecipazione delle popolazioni del territorio interessato, che da secoli garantiscono la cura del paesaggio di montagna e della natura incontaminata;
   per le ragioni appena illustrate il Parco da anni è sostanzialmente abbandonato («abbandono istituzionale») a se stesso, oltre che privo di adeguate risorse finanziarie necessarie per la sua gestione (specialmente con riguardo alla parte relativa alla regione Lombardia), ivi compresa la tutela della flora, della fauna e del paesaggio, che le province autonome di Trento e di Bolzano e gli amministratori locali saprebbero invece di sicuro valorizzare al meglio, anche con il coinvolgimento della popolazione interessata, grazie ad un'ottima e attenta conoscenza delle necessità e delle specificità del Parco;
   a tal proposito è pendente presso la Commissione paritetica del Trentino-Alto Adige/Sudtirol uno schema di norma di attuazione recante modifiche e integrazioni all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279, volto a rivedere le funzioni delle province autonome di Trento e di Bolzano relative al Parco nazionale dello Stelvio nel senso sopra richiamato;
   il carattere unitario del Parco dello Stelvio è pienamente garantito dal comitato di coordinamento con ampie funzioni di programmazione ed indirizzo. La presenza del rappresentante del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel comitato garantirà la tutela, in armonia con i principi dell'ordinamento giuridico nazionale in tema di aree protette, ma lascia spazio a forme di autogoverno «responsabile», che può invertire la tendenza negativa degli anni passati, nei
quali il Parco non è stato visto dalla popolazione come una risorsa «pregiata» da valorizzare;
   troppe regole sono state elaborate in luoghi urbani e su scrivanie lontane, che non hanno rispettato il principio di sussidiarietà e l'auto-responsabilità della popolazione che vive all'interno del Parco, dove sono in prima linea gli amministratori locali che sanno come valorizzare al meglio il proprio territorio, con il coinvolgimento della popolazione interessata e grazie anche ad un'ottima e attenta conoscenza delle necessità e delle specificità del Parco e dell'agricoltura di montagna, che deve essere rafforzata e garantita, in quanto misura d'eccellenza contro lo spopolamento delle zone alpine e la perdita di quel «paesaggio culturale» creato in tanti secoli da gente affezionata al proprio territorio;
   il Parco Nazionale Svizzero, sul cui territorio non vivono stabilmente delle persone, è già gestito da decenni dalla popolazione e dai comuni che ne fanno parte e che da decenni hanno riconosciuto positivamente i valori e le opportunità di avere una parte del Parco Nazionale nel proprio comune;
   l'esempio di autogoverno responsabile locale non è pertanto da inventare, ma solo da copiare –:
   se ritenga indispensabile attivarsi al fine di attuare al più presto l'articolo 1, comma 515, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014) attraverso il passaggio delle funzioni relative al Parco Nazionale dello Stelvio dallo Stato alle province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base dello schema di norma di attuazione giacente presso la Commissione paritetica del Trentino-Alto Adige/Sudtirol, in seguito alle intese già raggiunte con il Memorandum di Bolzano, siglato con il Governo Letta e confermato anche dall'attuale Governo.
(2-00492) «
Plangger, Alfreider, Gebhard, Schullian, Ottobre».

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   come noto in data 10 dicembre 2013 è stata presentata dal Ministro per la coesione territoriale Trigilia lo schema di Accordo di partenariato per la nuova programmazione dei Fondi strutturali europei 2014-2020, contenente l'impianto strategico e gli undici obiettivi tematici (OT) individuati, con i relativi risultati attesi;
   l'accordo di partenariato rappresenta uno strumento fondamentale per lo sviluppo, la crescita e l'aumento della competitività del Paese nei prossimi anni;
   lo schema di contratto di partenariato 2014-2020 assumerà la sua forma definitiva solamente in seguito alle osservazioni della Commissione europea, delle amministrazioni centrali e regionali, delle rappresentanze dei comuni e del partenariato e in seguito all'espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, prima della stipula con le autorità dell'Unione europea ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1, comma 156-bis, della legge di stabilità 2014;
   al riguardo si rileva che le osservazioni trasmesse solo il 10 marzo 2014 dalla Commissione europea sull'impianto strategico del citato schema di contratto di paternariato, recentemente trasmesse alle Commissioni Parlamentari competenti ai fini dell'espressione del parere (atto n. 6), oltre ad apparire particolarmente critiche e numerose (si tratta, infatti, di ben 351 osservazioni complessive) in alcuni casi arrivano a smontare le procedure seguite dal precedente Governo Letta ai fini del soddisfacimento delle condizioni richieste ex ante a livello comunitario per la stesura definitiva dell'accordo sia sotto il profilo della coerenza con le indicazioni comunitarie sia sotto il profilo delle norme contenute nei regolamenti settoriali;
   del tutto insoddisfacente sembrerebbe, infatti, l'intera strategia nazionale di spesa dei fondi europei 2014-2020 destinati allo sviluppo, con particolare riguardo agli obiettivi tematici relativi alla banda larga ed alla digitalizzazione, alla ricerca, allo sviluppo tecnologico, all'innovazione, alla competitività dei sistemi produttivi, della mobilità sostenibile delle persone e delle merci ed altri ancora;
   per la Commissione europea, in particolare, l'impianto complessivo dello schema di contratto di paternariato tracimerebbe di lacune e incongruenze rispetto ai parametri comunitari e lo schema degli interventi previsti, oltre ad apparire eccessivamente frammentario, risentirebbe della sostanziale assenza dell'affermazione di una regia nazionale;
   inoltre, si imputa alle autorità italiane un eccessivo margine d'indeterminatezza sulle motivazioni, gli obiettivi e le tempistiche delle azioni da intraprendere per lo sviluppo ed il rilancio economico del Paese;
   ma l'aspetto più grave e preoccupante della questione che emerge dalla lettura delle citate osservazioni risiede nel fatto che proprio l'assenza di una regia nazionale e delle scelte che dovrebbero caratterizzare una chiara politica di carattere pubblico sullo sviluppo, potrebbe pregiudicare in modo irreparabile il pieno utilizzo dei Fondi strutturali e di investimento europei (Fondi SIE), a dispetto del fatto che sulla base di quanto riportato nello schema di contratto di paternariato, l'Italia potrebbe beneficiare di un totale di risorse comunitarie pari a circa 32 miliardi di euro (derivanti dal Fondo europeo di sviluppo regionale e Fondo sociale europeo), a cui dovrebbero aggiungersi risorse, di pari cifra, di cofinanziamento nazionale (per un totale complessivo di 63,6 miliardi di euro), insieme alle quote di cofinanziamento di fonte regionale da destinare ai Programmi operativi regionali-por (pari al 30 per cento del cofinanziamento complessivo del programma);
   come rilevato dalla stampa nazionale e per quanto risulta agli interpellanti, già da settembre 2013 il precedente Governo guidato dall'ex Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta, stava lavorando alla predisposizione nell'ambito di un «schema di decreto-legge» recante «Misure per potenziare la competitività delle imprese italiane sul fronte dell'energia, del credito e dell'innovazione industriale» alcune proposte normative tese alla realizzazione di un programma nazionale di politica industriale avente lo scopo di attivare delle azioni e delle misure in linea con i principi e gli indirizzi formulati dall'Unione europea in materia, giustificando tali misure non solo come una programmazione sugli intenti ma una vera e propria condizionalità ex ante che la Commissione richiede agli Stati membri al fine di poter usufruire dei fondi strutturali per la programmazione 2014-2020;
   in particolare, si sarebbe dovuto trattare di un programma di politica industriale che sarebbe servito da filo conduttore sulle scelte delle priorità da realizzare da parte delle amministrazioni centrali e allo stesso tempo delle regioni per l'attuazione delle proprie politiche territoriali, evitando azioni frammentate, che molto spesso hanno provocato soltanto il proliferare di duplicazioni sui singoli territori con inutili sprechi di risorse;
   nel mese di novembre 2013 sono state diffuse notizie circa la stesura di uno schema di disegno di legge collegato alla legge di stabilità 2014 ove compariva una norma recante disposizioni in materia di «Programma nazionale di politica industriale e grandi progetti di innovazione industriale» ove i grandi progetti avrebbero potuto riguardare talune traiettorie di sviluppo industriale quali l'industria integralmente ecologica, l'agenda digitale italiana, le smart communities, ma anche la creatività e il patrimonio culturale che corrispondono solo ad alcuni tra i tanti obiettivi tematici rispetto ai quali la Commissione europea ha evidenziato gravissime criticità da punto di vista dell'assenza di una visione programmatica nazionale e dei relativi interventi conseguenti;
   peraltro, anche in quest'ultimo caso, l'adozione di un «Programma nazionale di
politica industriale e grandi progetti di innovazione industriale» avrebbe dovuto costituire la necessaria premessa per soddisfare la condizionalità ex ante che la Commissione richiede agli Stati membri al fine di poter usufruire dei fondi strutturali per la programmazione 2014-2020;
   l'attuale Governo guidato dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è recentemente insediato confermando la medesima compagine politica di sostegno e la stessa «task force» adottata dal precedente esecutivo per affrontare il prossimo semestre europeo, non si capiscono le ragioni di carattere politico per le quali una iniziativa fondamentale quale quella di varare un Programma nazionale di politica industriale e di sviluppo, pure evidentemente studiata dal Presidente Letta, si sia di fatto volatilizzata, ovvero cancellata, quindi non adottata, con tutte le criticità che il nostro Paese rischia di affrontare in questo momento storico per utilizzare completamente risorse necessarie per il superamento della crisi economica –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere al fine di chiarire le ragioni politiche per le quali il citato Programma nazionale di politica industriale e di sviluppo predisposto e studiato dal precedente esecutivo sin dal mese di settembre 2013 non sia stato, ad oggi, varato alla luce delle gravissime conseguenze che il nostro Paese potrebbe essere costretto ad affrontare qualora dovesse perdere la possibilità di impiegare pienamente i fondi relativi alla programmazione finanziaria europea entrante nella denegata ipotesi in cui la stesura definitiva dello schema di accordo di paternariato non dovesse soddisfare le 351 osservazioni formulate dalla Commissione europea.
(2-00493) «
Marcon, Pannarale, Di Salvo, Ricciatti, Melilla, Franco Bordo, Nardi, Pellegrino, Nicchi».

Interrogazioni a risposta scritta:

   CARUSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 78 del 2010 è stato adottato, come recita il suo preambolo, in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica»;
   nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento ed alla riduzione della spesa pubblica si colloca l'articolo 9, relativo al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego che, al comma 21, testualmente recita: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012, 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previste dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»;
   in applicazione del citato comma 21 dell'articolo 9, quindi, per l'intero triennio 2011/2013, le retribuzioni del personale interessato, tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sono state pertanto escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'articolo 24 della legge n. 448 del 1998, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi («scatti» e «classi» di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, quanto, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero;
   l'articolo 16, comma 1, del decreto- legge 6 luglio 2011, n. 98, prevede che con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione (ora Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione), e dell'economia e delle finanze sia possibile prorogare di un anno ovvero al 2014, le suddette disposizioni restrittive;
   la manovra posta in essere dal Governo pro tempore finalizzata al contenimento della spesa pubblica, appare tanto più afflittiva nei confronti del personale della pubblica amministrazione in genere e di quello delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco in particolare, tenuto conto della peculiarità dei rispettivi ordinamenti e funzioni, ove si consideri che le ricordate misure di congelamento delle dinamiche salariali in verità non sono le prime ad incidere negativamente sulle retribuzioni di tale personale, in quanto i trattamenti retributivi degli stessi, anche negli anni antecedenti l'intervento d'urgenza del 2010, sono stati oggetto di analoghe politiche restrittive, sempre orientate ad esigenze di contenimento della spesa pubblica;
   in proposito, occorre rammentare che la Corte costituzionale, in occasione di pregresse manovre economiche, recanti deroghe temporanee ai ricordati meccanismi rivalutativi di adeguamento, disposte, in particolare, in occasione dell'altrettanto grave congiuntura economica del 1992, aveva già indicato i limiti entro i quali un tale intervento potesse ritenersi rispettoso dei richiamati princìpi costituzionali, osservando che «norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all'articolo 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza), a condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso»;
   in quel caso il sacrificio era limitato ad un anno, mentre ora, in presenza di una reiterazione a percussione di misure patrimoniali afflittive, la natura eccezionale e transitoria di una disposizione non può più essere predicata, credibilmente e plausibilmente anche per la prevedibilità della sua reiterazione nel tempo futuro;
   in data 8 novembre 2011, risulta approvato in 5a Commissione bilancio del Senato della Repubblica l'ordine del giorno G/2969/2/5, presentato dai senatori Saltamartini e Boscetto, con cui il Governo pro tempore si impegnava, pur nell'ambito della difficile congiuntura economica e della finanza pubblica a valutare l'opportunità di adottare con urgenza le opportune iniziative atte a: «impegnare i relativi fondi iscritti nella tabella 8 per assicurare un'interpretazione dell'articolo 9, comma 21, del decreto legge n. 78 del 2010, nel senso che al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nel triennio 2012/2014, sia assicurata la corresponsione integrale dei trattamenti economici connessi con l'impiego (indennità operative, indennità pensionabile, indennità di trasferimento, assegno funzionale, assegno non pensionabile dirigenziale e indennità di missione), con l'effettiva presenza in servizio e con la maturazione dei requisiti di anzianità e merito»;
   gli ordinamenti del personale in argomento sono connotati da un'estrema gerarchizzazione e bloccare le progressioni economiche comporta effetti iniqui e sperequativi tra il personale stesso ed anche rispetto al restante personale della pubblica amministrazione;

   inoltre, la specificità dello status giuridico e di impiego, sancita all'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, del personale delle Forze armate, di polizia e di quello del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, caratterizzato da una mobilità e flessibilità d'impiego, sul territorio nazionale e all'estero, non riscontrabile in nessun altro settore del pubblico impiego, ha come corollario che l'assunzione di più gravose responsabilità e la sopportazione di maggiori rischi e disagi conseguenti all'avanzamento nel grado, siano compensati da specifici istituti retributivi a ciò indirizzati;
   il Consiglio dei ministri pro tempore in data 21 marzo 2013, ha deciso di avviare l’iter di uno specifico decreto del Presidente della Repubblica per estendere il blocco sopra citato al 2014 precisando come risulta nel comunicato n. 73 che «Questo consentirà al prossimo governo di scegliere tra la proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali portando a termine la procedura del regolamento, come previsto dal decreto legge 98 del 2011; oppure di trovare una diversa copertura e così evitare per il 2014 il blocco delle progressioni e degli automatismi retributivi nel pubblico impiego» –:
   se il Governo non intenda assicurare al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco la corresponsione integrale dei trattamenti economici connessi con l'impiego, con l'effettiva presenza in servizio e con la maturazione dei requisiti di anzianità e di merito per il triennio 2012/2014 o quanto meno per evitare l'estensione al 2014 del blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera e degli automatismi retributivi per il personale del comparto difesa e sicurezza, ciò in aderenza precipua alla specificità del comparto richiamata sia dal Presidente del Consiglio nel suo discorso di insediamento che dal Ministro della difesa in occasione dell'illustrazione delle linee programmatiche rese nella Commissione difesa della Camera dei deputati in data 15 maggio. (4-04385)

   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con il comunicato pubblicato il 24 marzo 2014 sul sito web The White House – Office of the Press Secretary, il Governo americano ha informato che nel vertice Nuclear Security Summit tenuto il 25 marzo 2014, gli Stati Uniti e l'Italia hanno annunciato di aver provveduto alla rimozione dall'Italia di oltre 100 chilogrammi di «highly enriched uranium (HEU) and separated plutonium», ovvero uranio altamente arricchito dell'isotopo fissile 235U e plutonio;
   la rimozione del materiale nucleare rientra nell'ambito del programma internazionale GTRI (Global Threat Reduction Initiative);
   il materiale rimosso era situato in tre impianti Sogin (EUREX – Saluggia, IPU e OPEC – Casaccia, e ITREC – Trisaia);
   con l'ultima spedizione si è appena concluso il trasferimento negli Stati Uniti di circa 75 chilogrammi di ossidi misti di uranio e plutonio precedentemente detenuti nel centro di Saluggia in Piemonte;
   tale trasferimento ha comportato in una prima fase lo spostamento di questo materiale nel centro Sogin della Casaccia (Lazio) dove sono stati trattati e incapsulati in contenitori adatti per il trasporto;
   per questo trattamento la Sogin ha realizzato un impianto ad hoc vicino Roma, un nuovo forno collaudato nel 2013 che subito ha iniziato a trattare i materiali nucleari;
   successivamente i contenitori sono stati portati al porto di La Spezia per essere imbarcati nella nave statunitense Pacific Egret che è salpata per gli USA;
   risulta agli interroganti che nei comunicati emessi a operazione terminata sia dall'amministrazione americana che da quella italiana si cita ampiamente il ruolo avuto dalla Sogin nell'operazione, ma nulla viene detto del ruolo degli enti di controllo;
   a parere degli interroganti poiché è terminata la fase in cui era necessario il riserbo dovuto alla natura strategica del materiale, ritiene utile che il Governo fornisca un'informazione puntuale su come è avvenuta l'operazione e in particolare sulle misure che sono state messe in atto per assicurare la massima sicurezza e protezione sanitaria per la popolazione. Questa informazione è ancora più necessaria oggi poiché si è nella fase delicata di avvio della nuova autorità di sicurezza nucleare (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) e occorre fare tesoro di questa esperienza nel caso che si verifichino nuovamente eventi di questo tipo –:
   se le attività di trasferimento e trattamento del materiale radioattivo siano avvenute nel rispetto delle norme nazionali e delle direttive Euratom al fine di assicurare la tutela della popolazione, dei lavoratori e dell'ambiente dai rischi derivanti dalla esposizione alla radioattività naturale ed alle radiazioni ionizzanti originate da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie e di gestione del parco nucleare;
   quali siano state le modalità di trasporto del materiale nucleare da Saluggia al Centro della Casaccia, quale autorità l'abbia autorizzato, quali siano state le informazioni acquisite e le prescrizioni per la sicurezza del trasporto e quanti ispettori (dell'ISPRA – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale o dei vigili del fuoco) siano stati presenti durante il trasporto;
   quali siano state le modalità di manipolazione dell'uranio e del plutonio nel centro della Casaccia, quando sia stato realizzato il nuovo impianto da parte della Sogin, quale autorità ne abbia rilasciato la licenza di esercizio, quando sia stato collaudato e chi vi abbia provveduto, quanti ispettori dell'ISPRA abbiano sovrinteso all'operazione;
   quale autorità abbia certificato l'idoneità dei contenitori di trasporto e se risulti al Governo che l'ISPRA abbia effettuato delle verifiche al riguardo;
   quali siano state le modalità di trasporto dal Centro della Casaccia al porto di La Spezia, quale autorità l'abbia autorizzato e quali siano state le informazioni acquisite e le prescrizioni per la sicurezza del trasporto nonché quanti ispettori (dell'ISPRA o dei vigili del fuoco) siano stati presenti durante il trasporto e quali misure di sicurezza siano state adottate per la popolazione di La Spezia e per il porto;
   quali siano state le modalità tecniche e anche quelle giuridiche della consegna del materiale agli statunitensi e se gli USA li abbiano presi in carico completamente al momento dell'arrivo sulla nave oppure l'assunzione di responsabilità sia avvenuta prima ancora sul territorio italiano;
   se l'Italia avesse ancora delle responsabilità anche per il trasporto in mare e quindi avesse dovuto rispondere nel caso di eventuali danni ambientali per un eventuale naufragio;
   quali siano state le modalità autorizzative del viaggio in nave del materiale radioattivo e quale autorità abbia certificato la sicurezza e l'idoneità della nave USA considerato che i trasporti transfrontalieri sono regolati da precise normative;
   se risulti che l'ISPRA abbia effettuato verifiche sull'idoneità della nave e sulla sicurezza del trasporto marittimo;
   se siano previsti dei piani di evacuazione per le popolazioni interessate dal tragitto nel caso di fuoriuscita del materiale trasportato. (4-04390)

   ZAN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Arcigay di Napoli ha denunciato il 2 aprile 2014 che una donna transessuale, i cui documenti non sono ancora corrispondenti alla sua identità di genere, sarebbe stata ricoverata per un ictus presso l'Ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, ma, come accade sempre in questi casi, in un reparto maschile;
   è altresì emerso che la donna sarebbe stata denudata, senza l'adozione di paraventi o altre modalità atte a tutelare la sua privacy, e sottoposta a lavaggio in presenza di altri quattro pazienti di sesso maschile in stanza;
   in Italia il cambiamento di sesso è consentito dalla legge 14 aprile 1982, n. 164: «Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso», che di fatto subordina la rettifica dell'atto di nascita e del nome alla sola effettuazione dell'invasivo intervento di «riassegnazione chirurgica del sesso» (RCS), che in alcune occasioni può comportare rischi per la salute;
   la rettifica dell'atto di nascita e il relativo cambio del nome viene peraltro eseguita solo dopo la sentenza del tribunale che accoglie la domanda di attribuzione di sesso presentata dal cittadino, di norma a seguito del compimento del suddetto intervento chirurgico, preceduto da un complesso e delicato iter socio-sanitario; solo a quel punto, l'ufficiale di stato civile del comune dove fu compilato l'atto di nascita riceve l'ordine di effettuare la rettificazione nel relativo registro. I tempi per l'intera procedura appaiono dunque assolutamente inadeguati a tutelare l'identità sessuale del cittadino interessato, che coinvolge aspetti e diritti personalissimi e insindacabili e lo sottopone a continui rischi di discriminazioni e umiliazioni;
   la giurisprudenza nazionale sempre più spesso sembra ritenere «sufficiente» il solo dato di appartenenza psicologica del ricorrente, rispetto a qualsivoglia ulteriore intervento sul proprio corpo, come sembra disporre la norma sulla rettifica del sesso;
   da ultima, una sentenza del tribunale di Rovereto (sentenza n.194 del 3 maggio 2013) conferma la tutela richiesta dal «ricorrente», che instava per la pronuncia di una sentenza di rettifica degli atti anagrafici, sulla base della sola esistenza di una percepita «adeguata identità sessuale» e quindi in assenza di un intervento chirurgico;
   non esiste al momento una chiara normativa nazionale che tuteli, nell'accesso a prestazioni e ricoveri sanitari, il diritto alla riservatezza di cittadini che, pur non avendo subito un intervento chirurgico di riattribuzione del sesso, percepiscano un'identità sessuale diversa da quella loro attribuita anagraficamente alla nascita; ciò con l'inevitabile conseguenza di essere sottoposti con continuità a fatti e atteggiamenti che possono incidere negativamente e permanentemente sulla sfera psicologica individuale;
   quanto avvenuto, appare all'interrogante, discriminatorio e lesivo della dignità umana, nonché del diritto alla salute e alla riservatezza, come denunciato dall'associazione Arcigay di Napoli, e può accadere ad altri cittadini interessati dalla medesima condizione, nei diversi ambiti della propria quotidianità –:
   se il Ministro della salute disponga di elementi del fatto narrato in premessa;
   se intendano i Ministri farsi promotori di una revisione della normativa sulla rettificazione di attribuzione di sesso, anche alla luce delle posizioni della giurisprudenza nazionale, orientate a un'interpretazione estensiva della materia, più rispettosa dei diritti fondamentali dell'individuo;
   quali iniziative urgenti i Ministri intendano adottare, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di garantire la tutela della dignità umana e degli altri diritti fondamentali ai cittadini, in ambito sociale e sanitario, che percepiscano un'identità sessuale diversa da quella loro attribuita anagraficamente alla nascita, e al fine di evitare il verificarsi di ulteriori atti o fatti lesivi della sfera giuridica individuale. (4-04392)

   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   «Ci hanno portato via i bambini. Sono andati a prenderli mentre erano a scuola, il più piccolo all'asilo, l'altro alle elementari. Chissà che trauma, poverini, portati, via così, senza vedere il babbo e la mamma», così hanno dichiarato al quotidiano La Nazione di Firenze i coniugi Stefano Barli e Catiuscia Grossi dopo che hanno subito, con modalità inaccettabili a giudizio dell'interrogante, il prelevamento da scuola dei loro due bambini, di 2 e 6 anni;
   il prelevamento da scuola ed il temporaneo affidamento ad una struttura gestita da suore è stato compiuto su disposizione del tribunale dei minori di Firenze; i minori sono stati affidati, temporaneamente, ad una struttura gestita da suore a Firenze;  
   i genitori, che sono assistiti dall'avvocato Paola Citi del foro di Pistoia, potranno vedere i piccoli periodicamente, secondo una cadenza settimanale;
   il provvedimento del tribunale, adottato su segnalazione del servizio degli assistenti sociali, parla della necessità di «verificare se sussista lo stato di abbandono materiale e morale dei minori»;
   Stefano Barli e Catiuscia Grossi sono due genitori disoccupati, inquilini di una della case della Spes (Società di edilizia sociale) che, invano, ha chiesto aiuto al comune per avere una riduzione sull'affitto dell'appartamento assegnatogli in conseguenza dello stato di indigenza in cui sono caduti, aggravato dal fatto che è venuta a mancare anche l'unica fonte di reddito del loro nucleo familiare, la pensione della madre del Barli;
   «Io sono disoccupato, come mia moglie. Ma mi arrangio a fare lavoretti saltuari e alla mia famiglia da mangiare non è mai mancato. Vivo per i miei figli, li abbiamo voluti e amati fin dal primo giorno e non abbiamo mai fatto mancare loro l'essenziale: un piatto caldo e il nostro amore. Oggi, a me e a mia moglie, hanno tolto il bene più grande: non ha senso la nostra vita senza i nostri bambini e non è giusto che loro vivano lontano da noi. Penso alla paura che i miei figli hanno provato questa mattina (il 2 aprile scorso). Non hanno mai passato un giorno senza di noi. In un colpo hanno perso tutti i punti di riferimento, noi, ma anche la scuola, i loro amici. La notte prima il più grande non riusciva a dormire, come se avvertisse un timore. Ci ha chiesto di stare con noi e mio marito si è addormentato abbracciato a lui»;
   queste parole, riferite dai genitori dei piccoli al giornalista del quotidiano La Nazione, straziano il cuore a qualunque genitore li ascolta e ci si augura che gli assistenti sociali della città abbiano valutato con estrema attenzione e ponderazione le conseguenze della loro relazione;
   «È una situazione molto delicata che stiamo seguendo con estrema attenzione. In ogni caso, è già stato stabilito che i genitori vedano, con frequenza settimanale, i bambini. Le carenze che i servizi sociali, nelle loro relazioni, hanno evidenziato sono legate allo stato di indigenza... Qui, è bene chiarirlo, non siamo davanti a un caso di maltrattamenti», così riferisce l'avvocato Paola Citi che difende i coniugi Barli;
   a giudizio dell'interrogante, sarebbe bastato un po’ di cautela e di senso di responsabilità e si sarebbe evitato questo trauma indimenticabile per i due minori. Sarebbe bastato che il comune di Pistoia avesse disposto una diminuzione dell'affitto per la casa popolare del Barli che, si ribadisce, non è un nullafacente o perditempo ma un padre momentaneamente sfortunato nel lavoro;
   l'auspicio dell'interrogante, come di qualunque altro genitore, è che il tribunale dei minori faccia presto e restituisca la serenità ai bambini ed ai loro genitori –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per avviare, per quanto di competenza e in collaborazione con gli enti locali, una strategia incisiva di sostegno per i nuclei familiari in condizioni di disagio, evitando così situazioni come quella di cui in premessa. (4-04396)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:

   GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato pubblicamente da organizzazioni sindacali, le sole indennità di sede dei dieci direttori di istituti italiani di cultura all'estero nominati per «chiara fama» comportano un aggravio aggiuntivo per l'erario di 600.000 euro all'anno, rispetto all'ipotesi in cui le stesse funzioni venissero ricoperte da direttori di ruolo;
   inoltre, il costo per i compensi dei cosiddetti «esperti» (ex articolo 16 della legge n. 401 del 1990 nonché di quelli ex articolo 168 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967) ammonta a 1.800.000 euro annui;
   la legge che regola l'assunzione di queste tipologie di professionalità richiede espressamente specifiche qualifiche e titoli rispondenti alle finalità della stessa legge, e cioè esperienza riguardante la diffusione all'estero della cultura e della lingua italiana;
   risulta invece che recentemente fosse stata prevista l'assegnazione del ruolo di esperto culturale presso l'Istituto italiano di cultura di Los Angeles ad un ginecologo e urologo; incarico che non può che destare perplessità, soprattutto alla luce del fatto che il compenso annuo che verrebbe corrisposto all'esperto culturale in questione è tale da equivalere di fatto al bilancio annuo di un istituto italiano di cultura di media dimensione;
   attualmente, non esiste, sul sito web del Ministero degli affari esteri, una lista aggiornata degli esperti assunti a contratto negli istituti italiani di cultura, né vengono resi pubblici i curricula di questi esperti culturali;
   il Ministero degli affari esteri ha deciso di chiudere entro l'anno otto fra istituti italiani di cultura all'estero e loro sedi distaccate;
   i sei istituti in chiusura spesso rappresentano per decine di migliaia di italiani residenti nelle relative aree interessate l'unica presenza dello Stato italiano, anche per la soppressione delle sedi consolari limitrofe disposte negli ultimi anni;
   nonostante la ripresa economica del Paese dipenda anche dalla predisposizione di adeguati sistemi di promozione della cultura, se si guarda al rapporto prodotto interno lordo/fondi erogati alla cultura l'Italia si situa nelle ultime posizioni fra i Paesi membri della Unione europea –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno di sospendere in via progressiva e totale l'assunzione di direttori di istituti di cultura nominati per «chiara fama», destinando le risorse così risparmiate alla sopravvivenza e alla promozione dell'attività degli istituti di cultura italiana all'estero, ritornando sulla decisione di chiuderne un certo numero;
   se non ritenga opportuno sospendere anche l'assunzione dei cosiddetti «esperti» ex articolo 16 della legge n. 401 del 1990 nonché di quelli ex articolo 168 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, destinando le risorse attualmente utilizzate per l'assunzione di esperti alla sopravvivenza e all'attività degli istituti di cultura italiana all'estero, ritornando sulla decisione di chiuderne un certo numero;
   se non ritenga in ogni caso di rendere più trasparenti i criteri di selezione e di assunzione degli esperti assunti a contratto negli istituti italiani di cultura, pubblicando sul sito web del Ministero degli affari esteri una lista aggiornata degli esperti attualmente in servizio, nonché i relativi curricula professionali. (5-02577)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:

   PARENTELA e NESCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la discarica di Pianopoli, situata in Calabria tra i comuni di Gallù e Carratello è, al momento, l'unica discarica funzionante della regione; chiusa per diverso tempo nelle scorse settimane ha riaperto in questi giorni la sua attività che, di fatto, sopperisce allo smaltimento dei rifiuti per tutta la regione;
   la discarica, infatti, ha una volumetria complessiva di 500.000 metricubi e dalla sua riapertura, a fine marzo 2014, vengono conferiti circa 600 tonnellate al giorno di rifiuti;
   l'emergenza ambientale in Calabria si aggrava in maniera esponenziale, nonostante i diversi anni di commissariamento (1997-2013): cumuli di rifiuti si trovano ai bordi delle strade e anche nei pressi di abitazioni e scuole creando disagi e comportando potenziali rischi alla salute umana;
   sulla discarica di Pianopoli, sin dalla sua costruzione – avviata nel 2005 – e su più fronti sono stati sollevati numerosi dubbi e sono state avanzate proposte di revoca dell'autorizzazione al fine di avviare una verifica più puntuale sulla scelta del sito ed un coinvolgimento nella decisione delle popolazioni interessate;
   pare, infatti, che in merito al sito scelto per l'ubicazione della suddetta discarica esistano documentazioni diverse e contrapposte sulla natura idrogeologica dell'area e a tale proposito, sembra, non sia stato preso in considerazione lo studio realizzato nel 1987 dal geologo dottor Giulio Riga che accompagna il piano regolatore del comune di Pianopoli; addirittura, agli interroganti risulta che la relazione geologica che accompagna la richiesta di autorizzazione della discarica ometta di segnalare la presenza di un pozzo sul terreno interessato e di numerosi altri pozzi nella zona;
   il progetto, non prevedeva inizialmente il recupero, a fini energetici, di gas prodotti dalla discarica, e non teneva conto che a meno di 700 metri dalla sua collocazione scorre il fiume Amato, a 100 metri il fiume Grotte e a pochi chilometri di distanza ci sono alcuni serbatoi e pozzi da cui si ricava l'acqua potabile che serve l'intero circondario e che potrebbe essere stata seriamente contaminata dalla discarica ad oggi quasi satura;
   la discarica dista poco più di un chilometro dal territorio di Serrastretta e meno di 3 chilometri dagli agglomerati urbani delle frazioni Cancello, Nocelle, Pantanelle e Salice, che interessano complessivamente una popolazione di circa 700 abitanti;
   i possibili rischi e disagi ambientali che si producono sul territorio del comune di Serrastretta possono essere così sintetizzati: esposizione a gravi rischi per la salute per le popolazioni di Pantanelle, Nocelle, Cancello e Salice, connessi alla presenza di rifiuti potenzialmente pericolosi nell'invaso o alla fuoriuscita di biogas; inalazione di gas di scarico, particelle sottili prodotte dalla movimentazione dei rifiuti, particolato (pm10) e altre sostanze la cui continua esposizione potrebbe causare problemi alle vie respiratorie e circolatorie; rischio di inquinamento delle falde acquifere con potenziali danni all'agricoltura e conseguentemente alla salute umana; deturpazione del patrimonio paesaggistico; svalutazione dei terreni agricoli ed edificabili;
   in particolare l'area individuata dalla Eco-inerti per la costruzione della discarica è parte integrante di una zona sismica di 1a categoria e quindi, l'autorizzazione contrasterebbe con le norme dettate dal decreto legislativo n. 36 del 13 gennaio 2003;
   la discarica non aveva una strada d'accesso, di fatto si percorreva il torrente grotte per circa 500 metri per poi accedere al sito. Solo dopo alcune denunce e successivi sequestri viene chiesto alla provincia di Catanzaro l'autorizzazione per la costruzione di una strada d'accesso, richiesta irrituale in quanto la suddetta strada attraverserebbe un corso d'acqua;
   per far fronte all'emergenza rifiuti in regione Calabria relativamente alla gestione dei rifiuti solidi urbani (RSU), il 17 luglio 2009 è stato presentato un progetto di ampliamento dell'impianto di smaltimento, per una capacità pari a 800.000 metricubi; con tale ampliamento la discarica di Pianopoli raggiungeva una capacità totale pari a 1.295.000 metricubi;
   dal 1o gennaio 2012 la società Eco Inerti, titolare dell'Aia per l'ampliamento dell'impianto, si è fusa per incorporazione nella società controllante Daneco, alla quale è stata volturata l'Aia con DDG n. 6620 del 14 maggio 2012;
   attualmente i vertici della Daneco impianti srl sono sottoposti a provvedimento di custodia cautelare nell'ambito dell'indagine «black smoke» relativa all'aggiudicazione della bonifica del sito di interesse nazionale (SIN) di Pioltello e Rodano, pur non avendo i necessari requisiti e la declassificazione dei rifiuti da pericolosi a non pericolosi, agevolando lo smaltimento dei materiali in siti di proprietà; tale provvedimento potrebbero ripercuotersi proprio sulla Calabria poiché si sta verificando che i rifiuti pericolosi dell'ex area Sisas siano finiti anche negli altri impianti della Daneco come quelli calabresi. Nell'ordinanza c’è un unico riferimento, proprio alla discarica di Pianopoli;
   in data 10 maggio 2013, il presidente della regione Giuseppe Scopelliti ha firmato l'ordinanza n. 41 del 10 maggio 2013, che consente di conferire i rifiuti solidi urbani nel territorio della regione Calabria senza il preventivo trattamento previsto; ciò avviene oggi anche nella discarica di Pianopoli –:
   se, in base a quanto esposto in premessa e alle criticità riscontrate nella discarica di Pianopoli sin dalla sua progettazione, non ritenga opportuno verificare agli atti le azioni avvenute nel periodo di commissariamento della regione per l'emergenza rifiuti, anche relativamente alla possibilità di ampliamento del sito;
   se, relativamente all'indagine che vede coinvolti i dirigenti della Daneco nel traffico e smaltimento illecito di rifiuti, ipotizzando tra l'altro lo smaltimento di rifiuti pericolosi nella discarica di Pianopoli, intenda disporre ulteriori accertamenti e controlli sul sito, ai sensi dell'articolo 195, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   se sia stata assunta un'iniziativa diretta a verificare se la citata ordinanza n. 41 del 2013 possa esporre l'Italia a una procedura di infrazione. (5-02578)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:

   PRODANI, DA VILLA, FANTINATI, DELLA VALLE, CRIPPA e MUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 2 aprile 2014 il TAR del Lazio, con un'ordinanza sul ricorso numero di registro generale 735 del 2014, ha stabilito la sospensione dell'efficacia del decreto ministeriale 16 novembre 2013 attuativo dell'articolo 11, comma 22, del decreto-legge n. 76 del 2013 relativo a una serie di disposizioni – entrate in vigore dal primo gennaio 2014 – relative alla regolamentazione della sigaretta elettronica (e-cigs);
   il tribunale amministrativo ha accolto le istanze di alcuni produttori delle e-cig, Fiesel-Confesercenti e di Federcontribuenti Italia, sospendendo anche l'efficacia di altri atti normativi collegati, in attesa della decisione da parte della Consulta sulla questione di legittimità costituzionale degli atti stessi;
   nella motivazione dell'ordinanza, si legge che «l'articolo 62-quater del d.lgs. n. 504/95», così come modificato dal decreto-legge n. 76 del 2013 «sottopone ad una nuova, gravosa imposizione indiretta, nonché al connesso regime autorizzativo, i prodotti succedanei dei prodotti da fumo». Questa normativa «non delinea in maniera sufficientemente determinata la base imponibile, né comunque stabilisce specifici e vincolanti criteri direttivi idonei ad indirizzare la discrezionalità amministrativa nella fase di attuazione della normativa primaria»;
   le novità introdotte, quindi, secondo il Tar del Lazio presentano «profili di irragionevolezza tali da giustificare la sottoposizione della relativa questione alla Corte Costituzionale» e «l'irreparabilità del pregiudizio allegato dalle società ricorrenti, in quanto – per la rilevante ed immediata incidenza degli adempimenti di ordine amministrativo e fiscale oggetto di impugnativa su tutta la filiera delle cosiddette “e-cig” – non si può escludere che, nel tempo necessario alla definizione della questione di costituzionalità, esse possano subire un tracollo economico, con conseguente espulsione dal mercato» –:
   si ricorda che l'articolo 11, comma 22, del decreto-legge n. 76 del 2013, stabilisce l'applicazione dell'imposta di consumo (accisa) pari al 58,5 per cento sul dispositivo e-cig, sulle parti di ricambio dello stesso e sulle ricariche, parificando questo prodotto sul piano della tassazione alle sigarette e al tabacco trinciato;
   in ragione di questa equiparazione, la commercializzazione è riservata solo ai soggetti autorizzati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, sulla base degli stessi requisiti e delle stesse condizioni richieste oggi per i depositari fiscali autorizzati. I titolari a loro volta devono comunicare – ai fini dei controlli fiscali – una serie di informazioni, compresi gli esercizi abilitati alla vendita al pubblico;
   sulla questione l'interrogante è già intervenuto con la propria interrogazione a risposta in commissione 5-01842, in cui chiede all'Esecutivo di adottare misure urgenti per sospendere l'applicazione dell'imposta di consumo sulle e-cig, a tutela delle aziende e dei lavoratori della filiera, sostituendola con una più equa imposta di fabbricazione che graverebbe solo sui produttori, riferita ai liquidi contenenti nicotina o altre sostanze;
   il primo aprile 2014, il quotidiano La Repubblica ha pubblicato online l'articolo «Sigarette elettroniche alla prova del Tar» con il quale si fa presente che il benefico per l'erario di 117 milioni di euro nel 2014, legato a questa imposta, è attualmente «a quota zero» pervia delle difficoltà della sua applicazione;
   secondo uno studio dell'università Luiss Guido Carli di Roma riportato nell'articolo, il blocco delle vendite di e-cig a partire dal mese di gennaio 2014 avrebbe portato minori ricavi pari a 33 milioni di euro e, considerando anche i liquidi, i produttori si troveranno con un debito fiscale di circa 38,5 milioni di euro a fronte di un fatturato complessivo di circa 26,4 milioni di euro –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative urgenti per risolvere definitivamente la questione dell'imposta di consumo sulle e-cig, per evitare il tracollo dell'intera filiera di riferimento e per tutelare le aziende e i lavoratori coinvolti. (5-02576)

Interrogazione a risposta scritta:

   DI SALVO e PIAZZONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in questa fase di crisi economica, l'emergenza abitativa risulta essere uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che coinvolge larghi strati della popolazione: dalle categorie a rischio fino a larghe fasce di ceto medio, oltre 430.000 famiglie sono in difficoltà con il pagamento dei mutui, mentre solo nel 2012 sono state 67.790 le sentenze di sfratto (oltre 250.000 negli ultimi quattro anni), di cui l'87 per cento per morosità. Una situazione di vero allarme che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane e per le regioni dell'Italia settentrionale, ove, proprio per l'incidenza della crisi economica, le percentuali di sfratti per morosità incolpevole superano il 90 per cento;
   tale situazione era stata rappresentata al Governo e al Parlamento anche dalla mozione 1-00149 Piazzoni ed altri, poi respinta, nella quale si chiedeva al Governo, tra gli altri impegni, ad intervenire in modo chiaro presso gli enti previdenziali pubblici, in particolare presso l'Inps, affinché venissero riprese con celerità e con eguali tutele – in particolare quelle previste dal comma 20 dell'articolo 3 della legge n. 410 del 2001, confermate dall'articolo 43-bis del decreto-legge n. 207 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2009 – le procedure di alienazione degli immobili reimmessi in possesso dell'Inps stesso, nonché ad utilizzare il patrimonio abitativo sfitto e disponibile degli enti previdenziali, anche quello conferito ai fondi immobiliari, mettendolo a disposizione dei comuni per affrontare l'emergenza abitativa;
   con decreto del 5 febbraio 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2014 il Ministero dell'economia e delle finanze ha stabilito di avviare la procedura di costituzione di uno o più fondi comuni di investimento immobiliare di cui all'articolo 33, comma 8-ter, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, cui conferire o trasferire anche l'intero patrimonio immobiliare da reddito dell'istituto nazionale della previdenza sociale;
   il decreto risulta emanato anche per dare attuazione all'articolo 8, comma 2, lettera c) del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 il quale ha stabilito che l'istituto nazionale della previdenza sociale «dovrà prevedere il conferimento al fondo di investimento immobiliare ad apporto del proprio patrimonio immobiliare da reddito, con l'obiettivo di perseguire una maggiore efficacia operativa ed una maggiore efficienza economica e pervenire alla completa dismissione del patrimonio nel rispetto dei vincoli di legge ad esso applicabili»;
   tale decreto del Ministro dell'economia e delle finanze poteva essere adottato (come peraltro effettuato in un analogo decreto ministeriale sempre del 5 febbraio 2014 concernente il conferimento di immobili di proprietà dell'INAIL) solo previa adozione della delibera dell'ente, con la quale doveva essere autorizzato l'apporto o il trasferimento dei beni sulla base di specifici progetti di utilizzo o di valorizzazione;
   nel decreto concernente l'INPS, invece si fa riferimento unicamente ad una nota dell'istituto nazionale della previdenza sociale, (prot. 0012283 del 19 luglio 2013), con la quale il medesimo l'istituto avrebbe rappresentato al Ministero dell'economia e delle finanze di «essere pronto ad avviare, d'intesa con i Ministeri vigilanti, il processo di valorizzazione e dismissione dell'intero patrimonio immobiliare da reddito, con ciò intendendosi tutti i beni immobili, indipendentemente dalla destinazione, inclusa quella agricola, con la sola esclusione degli immobili strumentali»;
   tale volontà dell'istituto è stata manifestata dall'allora legale rappresentante dell'INPS in assenza di qualsivoglia determinazione o delibera di autorizzazione al disinvestimento o dismissione dei beni del patrimonio da reddito, da adottare previa predisposizione del piano triennale degli investimenti (da sottoporre all'approvazione del Consiglio di indirizzo e Vigilanza) in applicazione di quanto previsto dal comma 15 dell'articolo 8 del decreto-legge 78/2010 e, in particolare, dall'articolo 2 comma 1 del decreto attuativo emanato in data 10 novembre 2010;
   la normativa citata (comma 15 dell'articolo 8 del decreto-legge 78/2010 ed articolo 2, comma 1 del decreto attuativo emanato in data 10 novembre 2010) non è stata abrogata dal comma 8-ter dell'articolo 33 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazione, dalla legge n. 111 del 2011, che si limita a prevedere che «Ai fondi di cui al presente comma possono conferire beni anche i soggetti di cui al comma 2 con le modalità ivi previste, ovvero con apposita deliberazione adottata secondo le procedure di cui all'articolo 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, (sia pure – NdR) anche in deroga all'obbligo di allegare il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari al bilancio», tanto più che lo stesso comma 8-ter specifica che: «Tale delibera deve indicare espressamente le destinazioni urbanistiche non compatibili con le strategie di trasformazione urbana» –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di dovere ritirare il decreto ministeriale del 5 febbraio 2014 concernente il conferimento dell'intero patrimonio immobiliare da reddito dell'INPS a fondi comuni di investimento immobiliare al fine di acquisire dall'INPS, così com’è stato per l'INAIL, la delibera dell'ente con la quale sia autorizzato l'apporto o il trasferimento dei beni sulla base di specifico elenco, anche con l'indicazione delle eventuali destinazioni urbanistiche non compatibili con le strategie di trasformazione urbana. (4-04399)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:

   TIDEI e FERRANTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli uffici giudiziari della città di Civitavecchia (tribunale e procura della Repubblica) versano in condizioni di gravissima difficoltà a causa di una endemica carenza di organico del tutto inadeguata al carico di lavoro;
   la carenza di organico presso il tribunale di Civitavecchia è pari a poco più del 7 per cento, essendo presenti 56 unità su un organico di 60 unità complessive. Tuttavia, anche se fosse rispettato l'organico previsto, il rapporto tra personale amministrativo e magistrati risulterebbe comunque il più basso di tutto il distretto della corte di appello;
   da alcuni dati emergerebbe che il rapporto tra personale amministrativo e magistrati, con riferimento al distretto della corte di appello di Roma, per quanto riguarda gli uffici giudiziari di Civitavecchia è estremamente basso. Essendo il numero dei magistrati pari a 20 unità e quello relativo al personale amministrativo pari a 60 unità, il risultato del rapporto sarebbe pari a tre, ovvero un magistrato ogni tre unità di personale amministrativo;
   il tribunale di Civitavecchia, come confermano le statistiche in possesso del Ministero della giustizia è, per mole di lavoro e per incisività territoriale, un rilevante presidio di giustizia;
   le stesse criticità si riscontrano presso la procura della Repubblica di Civitavecchia, dove, a fronte di 34 unità previste nella pianta organica se ne contano al momento solo 19. In particolare, va segnalata l'assenza di un direttore amministrativo quando, sempre nella pianta organica, ne sarebbero previsti due. Un ulteriore direttore amministrativo avrebbe dovuto prendere servizio nel mese di gennaio 2014, ma ad oggi risulta ancora assente. Gli stessi problemi di sottorganicità riguardano i funzionari giudiziari, i cancellieri, gli assistenti giudiziari nonché gli operatori giudiziari;
   un potenziamento di organico riferito ad entrambi gli uffici giudiziari di Civitavecchia, migliorerebbe sensibilmente l'efficienza e l'efficacia del servizio pubblico della giustizia in una città portuale dalla non trascurabile importanza, anche considerato il fatto che il porto Civitavecchia rappresenta uno dei più importanti scali crocieristici di Europa –:
   se il Ministro, per quanto di competenza, non ritenga necessario e urgente adottare le iniziative necessarie a colmare la carenza di organico nel tribunale di Civitavecchia, al fine di garantire l'efficacia e la sostenibilità del servizio giustizia sul territorio. (4-04388)

   TARTAGLIONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 138, al fine di realizzare risparmi spesa ed incrementi di efficienza, ha delegato il governo ad emanare uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
   il decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155 nel riorganizzare i tribunali ordinari ha soppresso le sezioni distaccate tra cui quella di Casoria, nella quale ricadono i comuni di Casoria, Casavatore, ed Arzano;
   il decreto legislativo nel ridefinire l'assetto territoriale degli uffici giudiziari doveva tener conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
   i suddetti comuni di Casoria, Casavatore, ed Arzano ora ricadono non più nel circondario del tribunale di Napoli, ma in quello del nuovo tribunale di Napoli nord con sede in Aversa;
   il trasferimento dei suddetti tre comuni, da sempre appartenenti al circondario del tribunale di Napoli, ha determinato notevoli problemi alla cittadinanza, per la lontananza dal tribunale di Napoli nord – Aversa e per l'assenza di idonei mezzi di trasporto pubblici;
   i comuni di Casoria, Casavatore ed Arzano confinano con la città di Napoli rispettivamente per il 40,65 e 45 per cento del proprio territorio;
   il mantenimento della sezione distaccata di Casoria sarebbe giustificata dal fatto che nel relativo circondario si trovano la compagnia dei carabinieri, l'Agenzia delle entrate, un'azienda ospedaliera, collegamenti stradali importanti con collegamenti diretto con la stazione ferroviaria centrale di Napoli e l'aeroporto di Napoli;
   i cittadini costretti a ricorrere alla volontaria giurisdizione, spesso minori e disabili, vedono particolarmente penalizzati i propri diritti;
   il tribunale di Napoli nord – Aversa, ospitato in un'antica struttura adattata all'odierno utilizzo, raggruppa nel suo circondario ben 38 comuni delle province di Napoli e Caserta, con una popolazione complessiva di circa 923.000 abitanti residenti, presenta notevoli carenze di personale amministrativo e di magistrati, per cui non è in grado di assicurare un regolare svolgimento dell'attività giudiziaria;
   la popolazione dei comuni di Caloria, Casavatore ed Arzano è di circa 130.000 abitanti, l'alleggerimento del bacino di utenza del suddetto tribunale di Napoli nord – Aversa rappresenterebbe un beneficio funzionale, rendendo più efficiente il funzionamento della giustizia;
   l'accorpamento con il tribunale di Napoli nord – Aversa comporta notevoli difficoltà in ambito giudiziario penale, basti considerare che le forze di polizia presenti sul territorio, per ogni attività connessa alla loro funzione devono trasmettere tutti gli atti al distante e poco raggiungibile tribunale di Napoli nord – Aversa, con notevole aggravio di costi e di indennità agli enti di competenza;
   ricollocare i comuni di Casoria, Casavatore, Arzano nel circondario del tribunale di Napoli non comporta alcun onere di spesa in quanto occorrerebbero solo pochi locali per la cancelleria e per le udienze, che sono ampiamente disponibili nella ampia struttura del tribunale di Napoli –:
   se il Governo sia intenzionato e con quale tempi e modalità a rispondere alle urgenti necessità degli operatori del diritto e delle popolazioni e dei comuni di Casoria, Casavatore ed Arzano;
   se il Governo sia intenzionato ad assumere iniziative per riportare i comuni di Casoria, Casavatore e Arzano nel circondario del tribunale di Napoli. (4-04391)

   TOFALO, D'UVA, CRISTIAN IANNUZZI, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e TONINELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 25 febbraio 2014, si è svolta presso il tribunale di Salerno l'udienza preliminare in seguito all'inchiesta denominata «Chernobyl», condotta dalla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, relativa alla presunta consumazione di vari reati in danno dell'ambiente, tra i quali il reato di disastro ambientale doloso articolo 434 c.p. (nel periodo compreso tra gennaio 2006 e luglio 2007 i 38 indagati avrebbero concorso tra loro allo smaltimento illecito di 980.000 tonnellate di rifiuti pericolosi e non pericolosi, procurando per sé un profitto illecito di 50 milioni di euro);
   all'esito della stessa, il GUP (giudice udienza preliminare) ha disposto il rinvio a giudizio di tutti i 38 indagati per tutti i capi di imputazione, ad esclusione dei reati di smaltimento illecito e deturpamento delle bellezze naturali;
   la pronuncia del GUP è avvenuta ad oltre 6 anni dalla consumazione dei suddetti reati e, per effetto della scadenza dei termini di prescrizione, i due reati di cui sopra si sono estinti;
   un precedente processo per reati ambientali, instaurato a seguito dell'inchiesta denominata «Cassiopea» e condotta dalla stessa procura di S. Maria Capua Vetere nel 2001, non è giunto a conclusione a seguito del sopraggiungere del termine di prescrizione anche per il reato più grave, ovvero il disastro ambientale –:
   quali iniziative urgenti, anche normative, si intendano adottare per evitare che i procedimenti penali, aventi oggetto reati ambientali, cadano in prescrizione. (4-04397)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:

   DANIELE FARINA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – con decreto 27 dicembre 2001, n. 2522 – ha individuato le risorse finanziarie destinate all'attuazione di un Programma innovativo di riqualificazione urbana denominato «Contratti di Quartiere II» e con decreto 30 dicembre 2002, n. 1025, ha messo a disposizione della regione Lombardia i fondi per l'attuazione di tale Programma nazionale che, nella città di Milano, interessa n. 5 contesti ad alto disagio abitativo caratterizzati dalla prevalente presenza di edilizia residenziale pubblica;
   il 31 marzo 2005 il Ministro interrogato e la regione Lombardia hanno sottoscritto l'Accordo quadro per l'attuazione del programma nazionale «Contratti di Quartiere II», nell'ambito del quale è stato stipulato il Contratto di quartiere per il Gratosoglio a Milano;
   è vigente il «Contratto di Quartiere Gratosoglio» all'interno del quale sono previsti interventi di recupero edilizio del patrimonio residenziale esistente di proprietà di Aler Milano (opere 1.50-1.51-1.52-3.01), di nuova edificazione residenziale (opere 1.02-3.02), di miglioramento della dotazione infrastrutturale (opera 2.04) e di riqualificazione paesaggistica (opera 2.50);
   inizialmente detto contratto riguardava soltanto il comparto di «Gratosoglio Nord» per il quale risultano di fatto risolte, grazie agli interventi effettuati, le problematiche attinenti alla manutenzione straordinaria con adeguamento energetico-prestazionale ed impiantistico di tutti i fabbricati interessati che, altresì, risultano allacciati alla rete di teleriscaldamento di A2A;
   nel comparto Sud, escluso dal predetto contratto di quartiere, sussistono invece gravi problematiche igienico-sanitarie degli alloggi posti all'ultimo piano di n. 10 edifici, connesse alle ripetute infiltrazioni d'acqua derivanti dallo stato di degrado sia delle coperture che dei giunti di dilatazione delle facciate;
   tali criticità, che incidono pesantemente sulla qualità quotidiana dell'abitare dei residenti e che rendono improcrastinabili gli interventi di risanamento di tale patrimonio immobiliare, sono state accertate nel corso dei sopralluoghi congiunti, anche dall'assessorato alla casa di regione Lombardia e dall'assessorato alla casa del comune di Milano;
   nell'ambito del predetto contratto di quartiere per il Milano-Gratosoglio, ai sensi del decreto del viceministro delle infrastrutture e dei trasporti del 28 ottobre 2004, n. 394, registrato presso la Corte dei conti in data 4 gennaio 2005, è stato previsto un cofinanziamento di 35.261.029,00 euro (di cui 18.164.720,00 euro a carico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e 17.096.309,00 a carico della regione Lombardia), dei quali 26.223.654,20 euro già erogati alla data del 31 ottobre 2013;
   in data 25 settembre 2013 è stata presentata – e approvata dal Comitato paritetico Stato-regione per l'attuazione del programma – la proposta di comune di Milano e ALER (Agenzia lombarda di edilizia residenziale di Milano) una rimodulazione del contratto che prevede:
    a) un nuovo ambito territoriale d'intervento con ampliamento del perimetro al fine di intervenire su alcune palazzine ALER destinate a canone sociale nell'area Sud del Gratosoglio, non contemplate in precedenza nell'ambito del programma predetto, al fine di assicurare una più ampia e soddisfacente riqualificazione complessiva del quartiere;
    b) la rinuncia all'attuazione dell'opera 1.02 – «Nuova costruzione di alloggi per giovani coppie» del lotto Nord –, originariamente prevista per n. 33 giovani coppie, rimasta incompiuta a causa del fallimento dell'impresa esecutrice;
   la riallocazione dei cofinanziamenti residui, ammontanti complessivamente a 2.526.236,63 euro derivati dallo stralcio della predetta opera «Nuova costruzione
di alloggi per giovani coppie» (1.503.975,00 euro) e dalle economie di spesa accertate sui lavori già eseguiti per l'opera 1.51 del «Gratosoglio Nord» (1.022.261,63 euro), per nuovi interventi di manutenzione ordinaria di coperture e facciate su edifici con alloggi ERP – edilizia residenziale pubblica opere 1.53, 1.54, 1.55 e 1.56 – lotti 4, 5, 6 e 7 e su edifici con alloggi ERP opere 1.57 e 1.58 – lotti 8 e 9;
   in data 25 settembre 2013 veniva rilasciata l'autorizzazione dal Comitato paritetico Stato-regione per l'attuazione del programma;
   il 5 novembre 2013 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha comunicato ufficialmente alla regione l'approvazione della nuova proposta di contratto di quartiere e da quel momento potevano essere attivate le procedure proprie per l'avvio dei lavori;
   l'ALER, in data 6 novembre 2013, ad un incontro con il comune di Milano e il consiglio di zona 5, comunicava l'avvio delle procedure di gara per l'individuazione della impresa esecutrice, con inizio stimato dei lavori a gennaio 2014;
   ad oggi non risulta attivata alcuna attività di cantiere inerente le opere sopra indicate, nonostante la condizione accertata di disagio sociale protratto da parte dell'inquilinato abitante negli edifici menzionati –:
   se risulti prevista una data di scadenza dei finanziamenti per il contratto di quartiere inerente il Gratosoglio e in tal caso la destinazione prevista per le somme non utilizzate;
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga di assumere iniziative per garantire il rispetto dei tempi e degli impegni assunti a fronte dei finanziamenti ricevuti per i predetti contratti di quartiere;
   se il Ministro interrogato non ritenga altresì di dover intervenire al fine di far fronte ai ritardi che ad oggi si registrano e al fine di assicurare che vengano realizzate le opere necessarie alla riqualificazione del quartiere. (4-04386)

   CATANOSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del nubifragio abbattutosi su Roma la scorsa settimana ed a causa di un furto di rame nella zona nord della Capitale, un black-out elettrico e telematico ha interessato l'intero sedime dell'aeroporto di Roma-Urbe, quale conseguenza dei forti eventi atmosferici abbattutisi nelle prime ore del mattino nella zona a nord della capitale;
   tutte le strutture all'interno del sedime aeroportuale sono rimaste, ed alcune lo sono tuttora come la redazione di AVIONEWS, prive di collegamenti telefonici e di internet. Il problema ha riguardato anche la torre di controllo, gli uffici dell'Ente nazionale aviazione civile e dell'Ente nazionale di assistenza al volo e finanche il posto di polizia all'interno dell'aeroporto;
   il problema si è presentato nella mattinata di lunedì 24 marzo 2014 e, incredibilmente, perdura fino ad ora. Il furto di pochi metri di cavo di rame ed un nubifragio, eventi sia deprecabili che spiacevoli ma, purtroppo, molto frequenti di questi tempi, hanno paralizzato e stanno, tuttora, paralizzando un intero aeroporto e tutte le strutture al suo interno. I tecnici responsabili della rete internet e della telefonia sono al lavoro per risolvere il problema, ed il servizio dovrebbe essere ripristinato a breve. A rendere ancor più complessa la situazione c’è il fatto che l'aeroporto di Roma-Urbe si è trovato «sotto Notam» per la visita a Roma del Presidente degli Stati Uniti d'America;
   dopo ben cinque giorni dal verificarsi del problema, persisteva ancora parzialmente il blocco ai collegamenti telefonici e di internet che ha interessato, dalle 24 marzo 2014, tutti gli uffici (compresi quelli di polizia, torre di controllo, Ente nazionale aviazione civile e della società nazionale di assistenza al volo) dell'aeroporto di Roma-Urbe. Laddove le linee di altri operatori per le telecomunicazioni sono state ripristinate, incredibilmente così non è per quegli uffici, tra cui la stessa redazione di AVIONEWS, le cui linee sono sotto la gestione di Welcome Italia. Un black-out totale che ha e sta provocando prevedibili danni alle attività aeroportuali –:
   quali iniziative di competenza intendono adottare i Ministri interrogati affinché tali evenienze non debbano più verificarsi con un così evidente nocumento alle attività aeroportuali ed alla sicurezza complessiva del volo sulla capitale.
(4-04387)

   RIZZETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il ruolo delle associazioni dei consumatori, soprattutto, a fronte della crisi economica sociale in cui versa l'Italia, assume oggi un peso fondamentale nell'ottica della tutela collettiva del bene comune e quindi del consumatore/utente, che è parte debole rispetto alla posizione della pubblica amministrazione, dei concessionari di servizi pubblici nonché delle grandi aziende;
   a riguardo, il Codacons, quale associazione di consumatori, agisce nel suo ruolo di rilievo parapubblicistico nella tutela collettiva dei beni comuni di rilevanza costituzionale ed in tale contesto, secondo la giurisprudenza (ex multis Adunanza plenaria sentenza 11 gennaio 2007, n. 1; Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2005, n. 280), ad essa è consentito di intervenire, in qualità di denunciante ogni qualvolta si verifichino soprusi o vessazioni nei confronti del consumatore/utente che, da solo, per timore nei confronti di un soggetto in posizione dominante, risulterebbe demotivato dal reagire per richiedere tutela;
   il Codacons autonomamente e come aderente al Comitato contro la speculazione e per il risparmio (Casper), negli ultimi anni, a partire dal 2010 ad oggi, ha segnalato e portato all'attenzione alle diverse autorità, pubbliche amministrazioni, all'Antitrust, alle procure territorialmente competenti, situazioni di rilevante importanza in riferimento tanto alla qualità dei servizi forniti quanto all'operato ed alla condotta delle Ferrovie dello Stato Spa;
   l'associazione ha più volte denunciato un'inappropriata gestione del servizio e l'incapacità di far fronte alle diverse problematiche che nel corso degli anni si sono succedute, il tutto a danno della collettività che si è vista privata o quanto meno limitata nella fruizione di un adeguato servizio pubblico essenziale, non proporzionato al costo dei biglietti;
   sul punto, si evidenzia che l'Italia è stata deferita dalla Commissione dell'Unione europea per i diritti dei viaggiatori alla Corte di giustizia di Strasburgo per il mancato recepimento della normativa comunitaria sui diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario;
   l'accusa da parte della Commissione è la mancata istituzione di una specifica autorità per vigilare sull'applicazione del regolamento e la mancata previsione di sanzioni per chi viola le regole. «Senza queste due azioni necessarie, i passeggeri che viaggiano in treno in Italia o verso altri Paesi dell'Ue non possono far rispettare i loro diritti in caso di problemi», riferisce un comunicato di Bruxelles del 28 marzo 2014 pubblicato sul sito web www.repubblica.it;
   non può negarsi la natura di servizio pubblico all'attività svolta da Trenitalia spa – società controllata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato spa a sua volta posseduta al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze – la quale risulta essere affidataria del servizio di trasporto pubblico, tanto dei passeggeri quanto delle merci, sulla base di un contratto di servizio stipulato con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   difatti, secondo la giurisprudenza «il servizio pubblico si qualifica tale, non perché gestito da una pubblica amministrazione o da un concessionario, ma innanzitutto per le sue finalità di interesse pubblico. Ed invero, l'articolo 33 decreto legislativo n. 80/1998, nel testo introdotto dalla legge n. 205/2000, ha attribuito al Giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in materia di pubblico servizio, e tale deve essere considerato quello svolto da Ferrovie dello Stato» (cfr. TAR Lazio, n. 6130/2006);
   ed ancora, il Consiglio di Stato ha ritenuto rientrante nella nozione di pubblico servizio ogni attività «finalizzata al perseguimento dell'interesse collettivo» (ex plurimis Cons. Stato 1/2000);
   a quanto dichiara il Codacons, la continua denuncia da parte dello stesso rispetto al disservizio ferroviario, anche come aderente al predetto comitato Casper, volto a segnalare situazioni di disagio e inadeguatezza dei servizi forniti alla collettività, ha determinato una sorta di ritorsione nei confronti dell'associazione con impossibilità di confronto con Ferrovie dello Stato spa e alla esclusione dai tavoli tecnici;
   l'associazione segnala, quale caso emblematico, il seguente episodio: con comunicazione del 23 dicembre 2010, Trenitalia spa ha convocato il Casper e le associazioni a questa aderenti, per un incontro fissato al successivo 13 gennaio 2011, finalizzato a valutare le osservazioni formulate dalle principali associazioni dei consumatori in merito alla carta dei servizi per l'anno 2011, della divisione Passeggeri N/I di Trenitalia;
   in particolare, a tale incontro Trenitalia aveva invitato tutte le associazioni all'epoca aderenti al tavolo di confronto del Gruppo FS, tra le quali appunto anche il Casper, in quanto si doveva pervenire ad una definizione condivisa degli standard qualitativi del servizio ferroviario;
   pochi giorni prima della suddetta riunione, in data 11 gennaio 2011, il Casper ha annunciato, con un comunicato stampa, che sarebbe stato promotore di una manifestazione di protesta nei confronti di tutti i vertici delle FS presenti all'incontro del 13 gennaio 2011, per denunciare le segnalazioni degli utenti rispetto alle criticità del trasporto ferroviario italiano. Tale comunicato riferiva, tra l'altro: «...Ad assillare i passeggeri non sono solo guasti, disservizi e continui ritardi dei treni, ma è anche la qualità del servizio una volta saliti a bordo. In particolare, il problema maggiormente segnalato dai viaggiatori è lo stato dei servizi igienici nei convogli, troppo spesso guasti o inagibili». Subito dopo tale annuncio Trenitalia, del tutto arbitrariamente e senza dare alcuna motivazione in merito, ha deciso di cancellare l'incontro fissato per il 13 gennaio 2011, lasciando così intendere di non essere disposta ad alcun effettivo confronto con le associazioni dei consumatori;
   successivamente, sono state escluse, ad avviso dell'interrogante, illegittimamente, tutte le associazioni cosiddetti dissidenti, poiché denuncianti i disservizi di Trenitalia, tra le quali anche il Casper, dagli ulteriori incontri stabiliti per discutere in merito al contenuto della Carta dei Servizi ed in particolare alle condizioni del servizio ferroviario, determinando così un ingiusto danno non solo associazioni escluse, ma soprattutto a tutti gli utenti del servizio;
   altro caso di esclusione, a quanto riferisce l'associazione, si è verificato con l'arbitraria estromissione del Codacons dal tavolo delle trattative con le associazioni dei consumatori per il risarcimento ai passeggeri dei treni (ic 615, fb 9823, fb 9829) che il 1o febbraio 2012 sono rimasti bloccati per oltre 10 ore a causa del forte maltempo;

   quindi, a quanto denuncia l'associazione in questione, quel che starebbe ponendo in essere l'amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, con scelte che ad avviso dell'associazione, nulla hanno a che vedere con l'interesse gestionale e di tutela della collettività, è un atto di discriminazione che si manifesta con l'esclusione dai tavoli tecnici dei servizi del Codacons, nonché di altre associazioni che rappresentano la cittadinanza italiana. Tale comportamento appare all'interrogante illegittimo, poiché i tavoli di consultazione sono tra lo Stato e gli utenti –:
   se quanto rappresentato in premessa corrisponda al vero e, in tal caso, se e quali iniziative i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, intendano porre in essere per contrastare gli atti, posti in essere nei confronti del Codacons autonomamente e come aderente a Casper – Comitato contro la speculazione e per il risparmio, che si traducono in un danno per la collettività, rappresentata per l'appunto dalle associazioni dei consumatori;
   se e quali specifici provvedimenti intenda adottare affinché ai prossimi tavoli tecnici siano presenti le associazioni rappresentanti i consumatori/utenti, tra le quali, il Codacons, autonomamente e come aderente a Casper – Comitato contro la speculazione e per il risparmio;
   se e quali misure ritenga di adottare affinché i vertici di Trenitalia spa non procedano in futuro ad ulteriori atti di esclusione delle associazioni che rappresentano i consumatori/utenti, ai tavoli di consultazione sul servizio ferroviario, anche alla luce della natura dello stesso quale servizio pubblico;
   se e quali iniziative intendano porre in essere per colmare le inadempienze segnalate dalla Commissione europea, quali l'istituzione di una specifica autorità per vigilare sull'applicazione del regolamento e la previsione di sanzioni in caso violazione delle regole. (4-04394)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:

   AIRAUDO, MARCON, PAGLIA, MELILLA, KRONBICHLER e FRANCO BORDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Autogrill spa è una società controllata al 59,3 per cento dalla famiglia Benetton tramite la finanziaria Edizioni Srl. La società gestisce, più di 5.300 punti vendita in oltre 1.200 località del nostro Paese con un fatturato di 5,84 miliardi di euro l'anno. Nel 1995 la società che rientrava nel sistema delle partecipazioni statali è stata privatizzata ed acquisita dal gruppo Benetton;
   l'Autogrill spa ha avviato un inaccettabile processo di razionalizzazione che coinvolge il complesso delle attività facenti capo alla famiglia Benetton, già interessate da un delicato passaggio di ristrutturazione e rifocalizzazione del business brand che ha portato ad annunciare la chiusura, in Italia, di più di 30 punti vendita a marchio United Colors of Benetton e Sisley;
   l'Autogrill spa, in particolare, ha recentemente chiuso cinque punti vendita nella città di Roma, rispettivamente dentro i centri commerciali di Parco Leonardo, La Romanina, Tor Vergata, Euroma 2 e Da Vinci, spesso in maniera improvvisa, senza il necessario preavviso o un'adeguato coinvolgimento dei dipendenti e dei delegati sindacali nella fase decisionale;
   come riportato da articoli di stampa il 31 marzo 2014, l'Autogrill spa ha disposto inoltre la definitiva cessazione dell'attività di un ulteriore punto vendita sito a Roma, in via del Corso n. 181, ove essa opera con i marchi Bar/Snack, Ciao e Spizzico, comunicando l'avvio della procedura di licenziamento collettivo per i 77 lavoratori che operano presso tale punto vendita, a decorrere dall'8 giugno 2014;
   le motivazioni alla base del licenziamento dei personale, addotte dall'Autogrill spa, sono rappresentate dal calo di fatturato e delle conseguenti perdite registrate negli ultimi due anni di esercizio. L'azienda lamenta inoltre un incremento del costo del lavoro ed ha annunciato che la decisione è di tipo «strutturale», escludendo dunque la possibilità di disporre misure idonee a porre rimedio a detta situazione, evitando, in tutto o in parte, la messa in mobilità del personale;
   il bilancio della società, secondo dichiarazioni di un delegato sindacale dei lavoratori, è in attivo e dunque non presenta una situazione di dissesto che potrebbe eventualmente giustificare un intervento così drastico, con pesanti ricadute sulla vita di centinaia di persone. La posizione centrale e strategica dei locali inoltre li rende estranei al calo dei consumi che può invece interessare, più incisivamente, le aree periferiche;
   l'azienda individua nella «procedura di mobilità» l'unica soluzione per il personale in forza senza valutare eventuali trasferimenti in tutto il Lazio, a parità di condizioni di inquadramento contrattuale, orario e retributivo in sostituzione del personale assunto con contratto a tempo determinato o incentivando eventuali trasferimenti volontari sull'intera rete;
   viene applicata la procedura ex articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 per «Autogrill S.p.A.» che permette all'azienda di ricorrere a tale strumento: il lavoratore licenziato con apposita comunicazione aziendale si reca al centro per l'impiego e richiede l'iscrizione alle liste di mobilità; una commissione ne delibera l'iscrizione verificati i requisiti di legge e il lavoratore ha diritto di chiedere all'INPS l'erogazione della prestazione a sostegno del reddito-mobilità. L'INPS verifica la posizione dell'azienda e in sostituzione della mobilità eroga l'indennità di disoccupazione ASPi in quanto «Autogrill non rientra tra le categorie di aziende obbligate al versamento del contributo di mobilità necessario per l'erogazione della prestazione indennizzata ai lavoratori iscritti nelle liste di mobilità»; si ottiene così l'iscrizione in una lista di mobilità non indennizzata in quanto Autogrill nella procedura di Roma Corso si descrive come «società operante nell'ambito dei servizi di ristorazione mediante somministrazione di cibi e bevande al pubblico su quasi tutto il territorio nazionale»;
   Autogrill spa non è solo ristorazione fast food; Autogrill è: vendita di generi di monopolio (tra i quali tabacchi e relativi accessori, gratta e vinci, lotterie nazionali e altro), di CD e DVD, generi alimentari (salumi e formaggi al peso e affettati), market (con ogni tipo di referenza compresi alcolici), materiali per l'igiene personale (dentifricio, shampoo, assorbenti, schiuma e lamette da barba e altro), prodotti elettronici (caricatori per cellulari, apparecchi per la riproduzione audio, TV, lettori DVD);
   il Governo, nonostante la gravità della situazione e l'urgente necessità di un intervento, ad oggi non risulta aver disposto alcun tavolo negoziale con la società o qualsivoglia soluzione utile ad evitare il licenziamento di un numero così considerevole di lavoratori –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano i suoi orientamenti al riguardo;
   se non ritenga necessario intervenire, per quanto di competenza, al fine di rivedere la formula con cui Autogrill spa si descrive nella procedura di Roma Corso, inserendo anche le altre tipologie di vendita effettuate; 
   quali urgenti iniziative intenda adottare il Governo al fine di tutelare i lavoratori a rischio, scongiurando il licenziamento dei 77 dipendenti dell'Autogrill spa, anche attivando un tavolo di confronto che coinvolga pienamente le organizzazioni sindacali di riferimento, la proprietà, la dirigenza aziendale e i rappresentanti degli enti locali interessati dallo smantellamento della rete di vendita
facente capo alla famiglia Benetton, al fine di individuare ogni possibile soluzione volta ad evitare ripercussioni negative sugli attuali livelli occupazionali, facendo sì che l'azienda adotti un piano industriale di rilancio anche incentrato sulla partecipazione, al momento assente, alle gare d'asta per l'assegnazione delle concessioni per la rete autostradale.
(4-04389)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:

   ABRIGNANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è notevole il numero degli italiani che si rivolgono agli osteopati e ai chiropratici per varie sindromi dolorose del sistema osteo-muscolare richiedendo, a fronte di manipolazioni vertebrali complesse, competenze specifiche, che non è possibile accertare in queste figure che, pur muovendosi nell'area sanitaria, sono prive di una professionalità riconosciuta;
   si deve tener conto dell'assoluta diversità dei percorsi formativi seguiti dai chiropratici e dagli osteopati che frequentano corsi brevi (al massimo due anni) e non formalizzati nel sistema professionale, poiché manca una normativa di settore; i corsi, oltretutto possono essere rivolti a personale privo di diplomi che garantiscano conoscenze di natura sanitaria;
   la legge n. 244 del 24 dicembre 2007 (finanziaria 2008), al comma 355 dell'articolo 2, ha istituito la professione sanitaria di chiropratico, affidando al Ministero della salute il compito di emanare un regolamento di attuazione. La citata norma non è stata tuttavia di facile attuazione poiché presentava alcune criticità, anche in relazione alla sua compatibilità con il sistema generale delle professioni sanitarie, dal momento che non ha delineato il profilo professionale del chiropratico e non ha indicato quali attività egli può porre in essere, demandando la questione ad un regolamento di attuazione da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge suddetta;
   la stessa normativa ha previsto l'istituzione presso il Ministero della salute di un registro dei chiropratici, la cui iscrizione è riservata ai possessori del diploma di laurea magistrale in chiropratica o titolo equivalente, previsione che attualmente risulta inapplicabile in quanto allo stato attuale detto corso di laurea non risulta attivo presso nessuna università, né è stato elaborato il relativo ordinamento didattico in cui stabilire quale laurea straniera sia da considerarsi equipollente, perché non si dispone del parametro di riferimento nazionale, costituito appunto dall'ordinamento didattico;
   la legge n. 4 del 14 gennaio 2013 recante «Disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini e collegi» dava invece l'opportunità all'osteopatia di entrare a pieno titolo nelle professioni riconosciute secondo un modello di autoregolamentazione basata sul rispetto della norma UNI, assicurando, di fatto, una forma di garanzia per gli utenti per la scelta di operatori «accreditati» del settore;
   la suddetta legge prevedeva la possibilità di costituire delle associazioni a carattere professionale su base volontaria volte, da un lato, a valorizzare le competenze degli associati, dall'altro a garantire il rispetto delle regole deontologiche e dunque la tutela degli utenti;
   recentemente invece il Ministro della salute ha risposto ad un'interrogazione proposta dall'onorevole Binetti in merito al profilo professionale degli osteopati che «le attività svolte dall'osteopata rientrano nel campo delle attività riservate alle professioni sanitarie»;
   tale interpretazione avrebbe l'effetto di portare ad un arretramento rispetto alla legge in materia di professioni non organizzate del 2013 e comporterebbe due gravi conseguenze: da un punto di vista più strettamente giuridico tutti gli osteopati operanti sul territorio italiano si renderebbero responsabili del delitto di cui all'articolo 348 del codice penale (esercizio abusivo della professione medica), mentre da un punto di vista economico-sociale si determinerebbe l'espulsione di circa 10 mila professionisti dal mercato con conseguente perdita di lavoro di un indotto di circa 45.000 lavoratori –:
   quali siano le motivazioni alla base di tale risposta del Ministro interrogato, anche alla luce del fatto che, oltre ad essere già stata approvata una legge che comprendeva gli osteopati nella categoria delle professioni riconosciute, sia la Commissione che il Parlamento europeo stanno chiedendo a gran voce la limitazione delle attività riservate secondo il principio della libera circolazione e, quindi, quali siano le fonti di riserva giuridica di dette attività;
   quali, tra le attività tipiche svolte dall'osteopata, siano da considerarsi riservate per legge ad una professione sanitaria e a quali, tra queste ultime, siano riservate. (4-04393)

   LOREFICE, GRILLO, SILVIA GIORDANO, BARONI, DI BENEDETTO e CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il settimanale l'Espresso in edicola da venerdì 4 aprile 2014, rende nota l'esistenza di una inchiesta, definita choc, dei carabinieri dei Nas e della procura di Roma, in relazione alla vicenda del virus dell'aviaria e ad un traffico internazionale di virus;
   dall'inchiesta dei Nas sembrerebbe che virus dell'aviaria siano stati spediti dall'estero in Italia in plichi anonimi, senza alcuna autorizzazione e in violazione di tutte le norme sulla sicurezza vigenti;
   il sospetto avanzato dagli investigatori dei Nas è che ci sia stato un business delle epidemie che viene attuato attraverso una cinica strategia commerciale;
   la strategia commerciale si sarebbe basata sulla diffusione di notizie amplificate sul pericolo di diffusione e i rischi per l'uomo derivanti dall'aviaria, che avrebbero spinto le autorità sanitarie ad adottare provvedimenti d'urgenza;
   i provvedimenti di urgenza si sarebbero trasformati in un affare da centinaia di milioni di euro per le industrie farmaceutiche;
   sembrerebbe, a detta degli inquirenti, che si sia verificato anche un caso, di diffusione dell'influenza tra il pollame del Nord Italia direttamente legata alle attività illecite di alcuni manager;
   l'indagine ricostruisce i retroscena sullo sfruttamento dell'allarme per l'aviaria nel nostro Paese, che nel 2005 portò il Governo Berlusconi ad acquistare farmaci per 50 milioni di euro, rimasti inutilizzati, senza alcun approfondimento e con gravissime carenze nei controlli e nell'attendibilità delle informazioni e delle fonti;
   l'inchiesta, in realtà è stata aperta dagli investigatori americani, che hanno ottenuto le confessioni di Paolo Candoli, manager della filiale italiana di Merial, sui ceppi patogeni di aviaria spediti illegalmente a casa sua in Italia e poi venduti ad aziende statunitensi. Nel 2005 la Homeland Security Usa ha trasmesso i documenti ai carabinieri del Nas, che già si erano occupati a Bologna di una organizzazione criminale dedita al traffico di virus ed alla produzione clandestina di vaccini;
   la nuova inchiesta dell'Arma si è allargata, seguendo le intercettazioni disposte dai magistrati di Roma. Paolo Candoli nella capitale sa come muoversi: sponsorizza convegni medici organizzati da professori universitari, regala viaggi e distribuisce consulenze ben pagate e questo gli permette di avere «corsie preferenziali» al Ministero della salute per ottenere autorizzazioni, riesce a far cambiare parere alla commissione consultiva del farmaco veterinario per mettere in commercio prodotti della Merial;
   tra i referenti più stretti di Paolo Candoli da quanto si apprende dall'articolo dell'Espresso risulta Ilaria Capua, virologa di fama internazionale, attualmente deputato di Scelta Civica e vice presidente della Commissione Cultura alla Camera;
   fino all'elezione alla Camera, Ilaria Capua era responsabile del dipartimento di scienze biomediche comparate dell'Istituto zooprofilattico sperimentale (Izs) delle Venezie con sede a Padova. Il risultato degli accertamenti del Nas ha portato il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo,  a ipotizzare reati gravissimi. La Capua e alcuni funzionari dell'Izs sono stati iscritti nel registro degli indagati per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, all'abuso di ufficio e inoltre per il traffico illecito di virus, Stessa contestazione per tre manager della Merial. Anche il marito della Capua, ex manager della Fort Dodge Animal di Aprilia, attiva nella produzione veterinaria, è indagato insieme ad altre 38 persone;
   nell'elenco degli indagati figurano, a detta dell'Espresso, tre scienziati al vertice dell'Izs di Padova; funzionari e direttori generali del Ministero della salute; alcuni componenti della commissione consultiva del farmaco veterinario; sembrerebbe coinvolta anche Rita Pasquarelli, direttore generale dell'Unione nazionale avicoltura. I fatti risalgono a sette anni fa ma molti degli indagati lavorano ancora nello stesso istituto;
   sempre stando a quanto scritto nell'articolo dell'Espresso, sembrerebbe che alcuni dei manager al   telefono si vantavano dei metodi usati per trasferire i virus clandestinamente in tutto il mondo: dalla Francia al Brasile, nascondendoli in pacchi anonimi o tra gli abiti delle valigie. «Abbiamo fatto cose   turche», dicono. Secondo gli investigatori del Nas, anche la Capua e l'Istituto zooprofilattico sono coinvolti nel traffico illegale: la scienziata sarebbe stata pagata per fornire agenti patogeni;
   sembrerebbe che in una conversazione registrata sia la stessa virologa a farne esplicito riferimento, sostenendo di aver ceduto ceppi virali in favore di un veterinario americano. Contattata da «l'Espresso», Ilaria Capua respinge tutte le accuse: conferma di conoscere Candoli ma spiega «di  non aver mai venduto ceppi virali. Sono dipendente di un ente pubblico e non vendo nulla personalmente»;
   ancora una volta emergono gravissime lacune da parte del Ministero della salute e ancora una volta inchieste portano ad inscrivere nel registro degli indagati, in questo caso in seguito ad una indagine dei carabinieri del Nas, funzionari del Ministero della salute, componenti della commissione consultiva del farmaco veterinario, funzionari dell'Izs –:
   se il Ministro della salute sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e della indagine dei carabinieri dei Nas che ha portato la procura di Roma ad iscrivere nel registro degli indagati 38 persone alcune delle quali funzionari del Ministero della salute;
   se risulti agli atti sulla base di quali dati scientifici e quali informazioni nel 2005 il Governo Berlusconi decise di procedere all'acquisto di 50 milioni di farmaci tanto fondamentali che sono rimasti oltretutto inutilizzati;
   quali iniziative intenda intraprendere, per le parti di propria competenza, per accertare quanto accaduto, le responsabilità e in tale contesto avviare le azioni di risarcimento al Servizio sanitario nazionale da parte delle aziende farmaceutiche, dato che nel 2005 furono acquistati 50 milioni di euro di farmaci a tutt'oggi mai utilizzati mediante, stante l'inchiesta dei Nas di Roma, una strategia «business delle epidemie» attuata attraverso una cinica strategia commerciale. (4-04400)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:

   CESA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 145 del 2013 (cosiddetto «Destinazione Italia»), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 2013, ha modificato le norme che regolano la concessione delle agevolazioni di cui al decreto legislativo n. 185 del 2000, Titolo I;
   le agevolazioni, gestite da Invitalia e finalizzate alla creazione di nuove società o all'ampliamento di società già esistenti, sono destinate alle imprese in cui la maggioranza dei soci e dei capitali è rappresentata da giovani tra i 18 e i 35 anni, e alle donne indipendentemente dall'età (e questa è una delle novità introdotte dal decreto «Destinazione Italia») e finanziano la produzione di beni e la fornitura di servizi in diversi settori;
   la norma si estende all'intero territorio nazionale e non prevede più l'erogazione di contributi a fondo perduto, ma solo la concessione di mutui agevolati a tasso zero, per investimenti fino a 1,5 milioni di euro (per singola impresa);
   al fine di scoraggiare eventuali comportamenti scorretti delle imprese beneficiarie, Invitalia valuta i progetti ed eroga i finanziamenti con un processo certificato ISO 9001 e controlla tutto il ciclo dei finanziamenti;
   la misura è stata ulteriormente finanziata ma necessita dell'emanazione del regolamento di attuazione, da parte del Ministero dello sviluppo economico, che indicherà anche le modalità di presentazione della domanda di ammissione alle agevolazioni. Con l'avvenuta emanazione del regolamento, sarà pubblicata, sul portale di Invitalia, la modulistica per la presentazione della domanda –:
   se non ritenga di procedere senza ulteriori ritardi all'emanazione del suddetto regolamento di attuazione al fine di consentire l'avvio dei progetti presentati, eliminando l'attesa di quanti aspettano l'attuazione di una misura che potrebbe contribuire a diminuire la disoccupazione giovanile nel nostro Paese. (3-00744)

Interrogazioni a risposta scritta:

   DE ROSA, ZOLEZZI, MANLIO DI STEFANO, BUSTO, TRIPIEDI, CASO, BASILIO, CARINELLI, SEGONI, TERZONI, MANNINO e DAGA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la regione Lombardia ha approvato, con delibera di giunta regionale del 18 aprile 2012, n. 9/3298, le «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili (FER), mediante recepimento della normativa nazionale in materia» e in tali linee guida al capitolo 7.4 «Processi di biodigestione anaerobica» ha previsto una disciplina specifica volta a favorire gli impianti che utilizzano biomasse agricole/reflui zootecnici, consentendo loro di impiegare per il funzionamento dei biodigestori anche altre biomasse costituite da rifiuti senza contestualmente imporre, ai titolari dei relativi impianti, l'utilizzo di tutti i presidi impiantistici necessari ad evitare impatti negativi sull'ambiente come, viceversa, imposto dalla normativa vigente agli impianti che trattano esclusivamente biomasse costituite da rifiuti;
   in tali linee guida la regione Lombardia, nella fattispecie, ha ammesso lo spandimento come fertilizzante del digestato ottenuto utilizzando anche parzialmente rifiuti quali la FORSU come operazione di recupero (R10 – Trattamento in ambiente terrestre a beneficio dell'agricoltura e dell'ecologia) richiamando impropriamente per lo spandimento le norme imposte dal decreto legislativo n. 99 del 1992, che non sono applicabili in quanto riferite esclusivamente allo spandimento in agricoltura dei fanghi di depurazione, e l'applicazione generica del decreto legislativo n. 152 del 2006 che, a sua volta, non è applicabile in materia di spandimento di digestato da FORSU, in quanto non prevede quali debbano essere le caratteristiche del digestato per la cessazione della sua qualifica di rifiuto e il suo spandimento in agricoltura, comportando quindi, nel caso del suo spandimento, impatti potenzialmente negativi sull'ambiente e sulla salute umana (l'articolo 17, comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400, prevede che un rifiuto deve soddisfare criteri specifici per essere ammesso alle attività di recupero, definendo anche valori limite per le sostanze inquinanti);
   correttamente ai titolari degli impianti di digestione anaerobica che utilizzano esclusivamente rifiuti quali la FORSU è imposto, dalle autorizzazioni rilasciate dagli enti preposti, che il digestato che risulta dal processo di biodigestione anaerobica debba essere adeguatamente trattato al fine di depurarlo dalle sostanze potenzialmente inquinanti;
   con l'emanazione delle suddette linee guida, la regione Lombardia ha stabilito, di fatto, i criteri che definiscono la fine della qualifica di rifiuto (end of waste) per taluni tipi di rifiuto (in particolare il digestato ottenuto da FORSU), competenza che spetterebbe, ad avviso degli interroganti, alle strutture ministeriali;
   i criteri menzionati nelle linee guida in parola a giudizio degli interroganti non sono di fatto legittimi in quanto non soddisfano i requisiti previsti dall'articolo 184-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 (che ha recepito l'articolo 6 previsto dalla direttiva n. 2008/98/CE) per l’end of waste. Tali criteri sono attualmente specificati nel decreto ministeriale 5 febbraio 1988 per i rifiuti non pericolosi e nel decreto ministeriale 12 giugno 2002, n. 61 per i rifiuti pericolosi;
   la sentenza della Corte di Cassazione, sezione III del 31 agosto 2012, n. 33588, in merito alla «definizione di rifiuto» ribadisce l'illegittimità di miscelare rifiuti e fanghi derivanti da impianti di biodigestione anaerobica per poi spandere il prodotto in agricoltura, con il seguente passaggio: «In materia di biodigestione anaerobica di materie prime vegetali, la verifica circa la ricorrenza della nozione di rifiuto va fatta sia con riferimento alla massa liquida che a quella solida che residua dal processo di biodigestione. Se la sostanza liquida in questione è utilizzata nei limiti indicati e non vi sia contaminazione iniziale o successiva per la presenza di rifiuti, si deve escludere che possa essere definita rifiuto se non ricorrono le condizioni per ritenere che il detentore intenda disfarsene». In definitiva, le frazioni liquida e solida derivanti dal processo di biodigestione, se contaminate da rifiuti, come la FORSU, sono da ritenersi complessivamente rifiuti e come tali trattati, non certo spargendoli nei campi agricoli;
   ciò sarebbe in contrasto con l'articolo 184-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, l'articolo 6 della direttiva europea 2008/98/CE ed altre leggi e norme in materia di protezione dell'ambiente e gestione dei rifiuti, nonché il decreto legislativo n. 99 del 1992 (spandimento del digestato prodotto dalla biodigestione di rifiuti organici, codici CER 20 01 08) e il decreto legislativo n. 75 del 2010 (normativa sui fertilizzanti e gli ammendanti in agricoltura);
   le competenze nella individuazione delle operazioni di recupero dei rifiuti sono circoscritte in capo allo Stato che le esercita specificando i requisiti tecnici della sostanza generata da tale processo di recupero e assicurandosi che non vi siano
impatti negativi sulla salute umana e sul l'ambiente. Solo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare spetta il compito di stabilire quali rifiuti siano ammessi alle operazioni di recupero (recupero rifiuti declinato nel decreto ministeriale 5 febbraio 1998);
   infine, come già enunciato, ad avviso degli interroganti, non rientra nella potestà delle regioni estendere la disciplina dell'uso agronomico dei fanghi biologici ad una diversa tipologia di rifiuti (decreto legislativo n. 99 del 1992, articolo 6, e direttiva 86/278/CEE);
   sarebbe opportuno verificare se situazioni critiche come quella esposta in premessa si siano verificate anche in altre realtà territoriali –:
   se sia stato effettuato un monitoraggio circa l'applicazione nelle diverse realtà regionali delle linee guida nazionali per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e quali ne siano gli esiti, con particolare riguardo ad eventuali criticità;
   se e quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di garantire una disciplina uniforme dei processi di biodigestione anaerobica, in armonia con le norme nazionali ed europee. (4-04395)

   GALLINELLA, DAGA, SIBILIA, MASSIMILIANO BERNINI, COLONNESE, SEGONI, GAGNARLI, L'ABBATE, BENEDETTI, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 4o round del negoziato UE-USA, denominato TTIP, si è svolto il 26 marzo 2014, quando Obama ha incontrato i vertici dell'UE;
   sul sito dell'Unione Europea si legge che lo scopo dell'accordo è quello di «aumentare lo scambio delle merci, eliminando dazi e barriere commerciali»; una sorta di deregulation attraverso tre obiettivi: accesso ai mercati, allineamento delle regole e norme in materia di commercio per la globalizzazione. È evidente che un tale cambiamento potrebbe ricadere negativamente sui piccoli imprenditori e agricoltori italiani, a cui già la globalizzazione ha portato più oneri che vantaggi;
   l'accordo succitato riguarderà i prodotti agroalimentari e industriali, il mercato dei servizi, il trasporto e la liberalizzazione degli investimenti privati, che coinvolgeranno anche gli appalti pubblici, la sicurezza ambientale e alimentare, i farmaci, i diritti di proprietà intellettuale;
   il trattato di Lisbona demanda all'Unione Europea le scelte in materia di accordi d'investimento, nel momento in cui si parla testualmente «di garantire un equilibrio tra gli Stati Membri e gli investitori»; agli interroganti appare quantomeno strano far rientrare l'accordo TTIP in questo ambito, ma il Parlamento europeo, il 6 aprile 2011, si è già espresso in tal senso;
   per investitori si intendono ovviamente le multinazionali, che saranno protette da questo negoziato che prevede, tra le altre cose, protezione dalla discriminazione, protezione dall'espropriazione (vendita di cibo trattato con ENM – ad oggi l'EFSA non lo permette in Europa) e sul trasferimento dei capitali (la multinazionale è in Italia, ma i capitali altrove), possibilità di far ricorso da parte di un investitore privato nei confronti dello Stato membro che si oppone al commercio degli OGM;
   sarebbero, inoltre, equiparati i controlli sui farmaci: ad oggi tra l'UE e gli USA ci sono tempi di sperimentazione diversi;
   nonostante nel trattato di Maastricht agli articoli 102 e 103 sia prevista per gli Stati membri una certa autonomia politica in ambito economico, un regolamento del ’97 (trattasi del regolamento 1466/1997, che fu il primo dopo Maastricht a chiedere il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri, ora sostituito dall'ultimo quello 1175/2011 che è uno dei 6 regolamenti del «Six Pack», ovvero il famoso pacchetto che ha introdotto un'applicazione più rigorosa del patto di stabilità e crescita) chiude la partita su questo spiraglio di sovranità;
   il TTIP porterebbe a compimento l’Executive Order di Obama, n. 13534 dell'11 marzo 2010, con cui gli Stati Uniti si sono impegnati a migliorare gli accessi per gli scambi oltreoceano relativi alla manifattura, l'agricoltura e i servizi made in USA. Agli occhi dell'interroganti, questo accordo pare disegnato a misura degli statunitensi;
   in Europa sembra che la strada sia già stata scelta, infatti, il Consiglio dell'Unione Europea ha già approvato gli orientamenti utilizzati dalla Commissione per trattare a nome dell'Unione in ambito TTIP e al termine del negoziato saranno il Parlamento europeo (che ha una funzione consultiva) e il Consiglio, che si è già espresso favorevolmente, a decidere;
   esiste, inoltre, uno studio che ipotizza che tale accordo incrementerà di circa 120 miliardi di euro ogni anno il bilancio dell'Unione Europea. Tale studio, apparentemente commissionato da un ente indipendente, il Center for Economic Policy Research (CEPR) di Londra, è stato finanziato, di fatto, dalla Banca d'Inghilterra, dalla Fondazione Rockfeller, oltre che da altre banche private, quali la Banca del Canada e di Israele, la BCE, Alpha Bank, Barclais, Citigroup, Credit Suisse, Intesa San Paolo, Gruppo Santander, JP Morgan e il MES;
   il CEPR poi è presieduto da Guillermo de la Dehesa, membro del gruppo dei Trenta del comitato esecutivo del Banco Santander e consulente internazionale di Goldman Sachs. Alcuni ricercatori del CEPR lavorano per la Rockfeller Foundation e per la Banca Mondiale. Il capo progetti del dossier del TTIP elaborato dal CEPR è Joseph François, economista di Linz (Austria) con cittadinanza statunitense e, che ha lavorato per l’International Trade Commission degli Stati Uniti, occupandosi degli accordi NAFTA, GATT e WTO;
   la Commissione europea ha dichiarato che tali accordi devono restare riservati, ma agli interroganti appare invece auspicabile che le decisioni che sottendono il trattato siano rese pubbliche, poiché le conseguenze ricadranno sui cittadini europei –:
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze e nelle opportune sedi europee, intenda assumere lo Stato italiano a salvaguardia del mercato e delle produzioni nazionali, considerando che, da quanto esposto in premessa, l'accordo TTIP rischierebbe di causare un pesante sbilanciamento del mercato a favore delle produzioni statunitensi a scapito di quelle europee, sia rispetto alla quantità sia, specie per ciò che concerne l'agroalimentare, rispetto alla qualità dei prodotti. (4-04398)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Patriarca e altri n. 5-02539, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Malpezzi.

  L'interrogazione a risposta scritta Baroni e altri n. 4-04383, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cancelleri.

Cambio presentatore e ritiro di firma ad una interrogazione a risposta scritta.

  L'interrogazione a risposta scritta n. 4-03221, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 21 gennaio 2014, è da intendersi presentata dal deputato Caruso, già cofirmatario della stessa. Contestualmente, si intende ritirata la firma del deputato Rossi.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Rossi n. 3-00064 del 16 maggio 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Garavini n. 5-02214 del 20 febbraio 2014.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Businarolo e altri n. 5-02544 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 204 del 3 aprile 2014. Alla pagina 11805, seconda colonna, dalla riga diciottesima alla riga ventunesima deve leggersi: «BUSINAROLO, ROSTELLATO, TURCO, TOFALO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, GRILLO, LOREFICE e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:» e non «BUSINAROLO, ROSTELLATO, TANCREDI e TOFALO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:», come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

   ANZALDI, FAMIGLIETTI, MAGORNO e RICHETTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 29 e il 30 luglio, secondo quanto riferito sui social network, al signor Emanuele Feltri, titolare di una bio-fattoria nella Valle del Simeto a Paternò (Catania), sono state uccise le pecore e fatta trovare la testa mozzata di una di esse davanti la porta di casa, chiaro atto intimidatorio nel codice mafioso;
   il giovane imprenditore siciliano, deluso e sfiduciato per non aver ricevuto riscontri alle precedenti denunce, in un primo momento avrebbe addirittura rinunciato a rivolgersi alle forze dell'ordine affidando il proprio sfogo a internet che ha subito dato grande eco alla vicenda poi ripresa dai media nazionali;
   secondo una prassi che sarebbe ormai consueta nelle campagne siciliane, chi è vittima degli abusi della malavita preferisce non rivolgersi allo Stato per la sfiducia che ha nelle istituzioni;
   il grave e ignobile atto intimidatorio non fermerà l'attività di Emanuele Feltri, nonostante la sua presenza sia manifestamente sgradita nella valle del Simeto, dove l'imprenditore ha contrastato l'abusivismo e l'inquinamento illegale;
   è molto grave, a parere degli interroganti, che in un momento di crisi economica, in cui non è facile trovare lavoro, i giovani che si rimboccano coraggiosamente le maniche, tornando alla campagna, al difficilissimo lavoro dell'imprenditore agricolo e rischiando in proprio capitali e forza lavoro, vengano lasciati soli a combattere interessi illeciti e criminalità organizzata che sul territorio dimostra sempre più spesso di essere ancora molto forte;
   è opportuno, sempre a parere degli interroganti, che il grave episodio di Paternò non passi in silenzio, considerando le conseguenze anche in termini di comunicazione che tale vicenda può avere, visto che si tratta di un giovane imprenditore che ha deciso di lasciare la città per aprire una attività agricola in campagna ed è stato vittima del sopruso della malavita –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto su esposto e intendano verificare se la sicurezza e l'ordine pubblico siano garantiti anche nella valle del Simeto;
   se e come, per quanto di competenza, il Governo intenda intervenire sul grave episodio di mafia che ha colpito il giovane imprenditore di Paterno, il cui gregge di pecore è stato sterminato per ritorsione, assumendo iniziative affinché sia riconosciuto un ristoro per i danni subiti.
(4-01116)

  Risposta. — Il 1o luglio 2013, Emanuele Feltri, un giovane coltivatore diretto proprietario di un fondo rurale sito nel comune di Paternò, in provincia di Catania, ha presentato una denuncia alla locale stazione Carabinieri per aver subito, nella notte tra il 29 e il 30 giugno 2013, l'uccisione di quattro pecore di sua proprietà mediante esplosione di colpi d'arma da caccia. Nell'occasione, una delle pecore era stata decapitata e la testa posta davanti la porta d'ingresso di un fabbricato agricolo.
  L'uomo, in sede di denuncia, nel riferire di aver bruciato le carcasse degli animali senza documentare quanto accaduto, ha dichiarato un danno economico di circa 400 euro e di non essere coperto da assicurazione.
  L'11 luglio 2013, lo stesso allevatore ha denunciato presso la citata stazione dei carabinieri di aver trovato sul proprio fondo agricolo una pecora morta, con un taglio all'addome e ferite alla testa.
  Tali episodi sarebbero riconducibili al fatto che l'allevatore ha più volte richiamato, anche attraverso gli organi di stampa, l'attenzione dell'opinione pubblica sullo stato di degrado ambientale dell'Oasi Valle del Simeto. Inoltre, con iniziative di carattere personale – quali la chiusura della strada con una barra di ferro – lo stesso ha tentato di impedire l'accesso che conduce a discariche abusive. Questo gli ha procurato liti con il vicinato, in particolare con alcuni nomadi rumeni di etnia «rom».
  Il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica ha esaminato la situazione della sicurezza personale del signor Feltri, assumendo immediatamente idonee misure di tutela.
  I locali comandi dell'Arma dei Carabinieri, nonostante le impervie condizioni della località interessata, hanno da subito intensificato i servizi di vigilanza e controllo di quel territorio, provvedendo comunque ad informare sull'attività investigativa svolta la competente autorità giudiziaria.
  È stato infine sensibilizzato il Corpo forestale dello Stato alla vigilanza della zona protetta del Simeto, per reprimere le gravi e persistenti violazioni ambientali che ivi si verificano e per dissuadere i privati da iniziative di contrasto.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Filippo Bubbico.

   BASILIO, ARTINI, ALBERTI, PAOLO BERNINI, CORDA, FRUSONE e RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 ottobre 2013 la procura militare della Repubblica di Verona ha inviato una circolare a tutti i comandanti dei reparti ricadenti nella propria giurisdizione territoriale intitolata «Procedimenti penali davanti all'Autorità giudiziaria militare – Direttive e linee guida per i comandanti di corpo e per la polizia giudiziaria»;
   il documento, firmato dal procuratore militare Enrico Buttitta e da tutti i sostituti, elenca una serie di fattispecie di casi in riferimento ai quali i comandanti di corpo o gli ufficiali di polizia giudiziaria devono fare una segnalazione di notizia di reato alla procura;
   tra le notizie di reato da segnalare, oltre a quegli episodi che appaiano prima facie come veri e propri reati militari, la procura militare veronese inserisce una serie di altre notitiae criminis che sembrano voler far ricadere sotto la competenza penale determinati episodi o comportamenti a prescindere dalla loro effettiva configurabilità come reati. Secondo il procuratore veronese spetta alla procura decidere cosa sia o non sia reato, eliminando quel pur necessario vaglio da parte dei comandanti o degli agenti di PG nella valutazione della rilevanza penale di un comportamento;
   in tal modo, ad esempio, dovrà essere segnalata ogni «assenza dal servizio, ancorché giustificata da certificazioni mediche, della durata superiore ai trenta giorni», ogni incidente stradale che coinvolga veicoli militari in ipotetica relazione al reato di danneggiamento colposo di cose mobili militari, tutti gli episodi di offesa all'integrità fisica e morale di un altro militare, anche nei casi in cui il codice preveda la procedibilità solo a richiesta del Comandante di Corpo, anche se i fatti sono stati commessi fuori da luoghi militari e anche se non siano connessi al servizio;
   particolarmente preoccupante appare l'indicazione di segnalare alla procura anche le assenze per malattia di durata superiore ai trenta giorni, a prescindere dalla sussistenza di qualsiasi altro elemento che faccia sospettare un illecito, con ciò criminalizzando l'esercizio del diritto alla salute del cittadino-militare;
   su questo punto si è anche espresso il COIR palidoro dei carabinieri che parla in una sua delibera di «umiliazione dei militari che potrebbero venire segnalati in modo generalizzato alla procura e che si sentiranno di fatto indagati fino a prova contraria» e mette in relazione la circolare del procuratore veronese con un ordine del giorno presentato al Senato, e accettato dal Governo, per la soppressione dei tribunali militari di Verona e Napoli e delle procure relative;
   nella circolare infine viene richiamata una fattispecie di reato militare di fatto divenuta desueta da molti anni in quanto si intrecciava con analoghi reati previsti dal codice penale ordinario, il peculato e collusione del militare della Guardia di finanza previsti dall'articolo 3 della legge 1383 del 1941;
   da molti anni l'eventuale concussione o corruzione del militare della Guardia di finanza è sempre stata giudicata dalla magistratura ordinaria, sulla base del fatto che la pena per questo reato ordinario è superiore a quella prevista dalla legge del 1941 citata;
   secondo la procura militare di Verona, in conseguenza della cosiddetta legge Severino del 2012 in alcuni casi le pene per la concussione potrebbero essere inferiori a quelle previste dalla legge 1383 e per questo motivo, ogniqualvolta un finanziere fosse indagato per concussione, corruzione o induzione deve essere segnalati anche alla procura militare ai fini dell'attribuzione della competenza in alternativa alla giustizia ordinaria –:
   di quali elementi disponga il Governo e se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative ispettive in relazione a quanto descritto in premessa. (4-02546)

  Risposta. — La direttiva citata nell'atto, adottata di iniziativa dal procuratore militare della Repubblica di Verona e dai suoi sostituti, contiene una serie di disposizioni e di osservazioni esplicative che risultano, nel loro contenuto essenziale, in linea con la normativa sostanziale e processuale vigente.
  Il controverso passaggio concernente l'obbligo di comunicazione delle assenze superiori ai trenta giorni, ancorché giustificate da certificazioni mediche, oggetto di particolare rilievo da parte dell'interrogante, ha trovato adeguato e corretto temperamento nella nota diramata dallo stesso procuratore militare, in data 11 novembre 2013, nella quale opportunamente si precisa che le comunicazioni di notizia di reato, anche quelle relative ai reati di assenza, vanno inviate all'autorità giudiziaria sempre e soltanto nei casi in cui, secondo l'apprezzamento del comandante di corpo o dell'ufficiale di polizia giudiziaria, sussistano concreti elementi per ritenere che sia stato commesso un reato.
  In ragione di ciò, in nessun caso dovranno essere segnalati i casi di assenza, anche di lunga durata, che risultino adeguatamente giustificati.
  In merito, poi, agli ulteriori rilievi formulati nell'atto, è il caso di osservare quanto segue.
  L'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383 (nelle sue tre distinte articolazioni: Violazioni delle leggi finanziarie costituenti delitto, Collusione in contrabbando, Peculato del militare della Guardia di Finanza), non può essere considerata norma desueta, essendo la stessa pacificamente in vigore e concretamente applicata per punire particolari condotte illecite poste in essere da militari della Guardia di finanza.
  Per quanto riguarda, invece, i rapporti tra la norma predetta ed i reati di corruzione e concussione, la direttiva in parola ha inteso evidenziare che, a seguito della riforma di cui alla legge 6 novembre 2012, n. 190, i rapporti tra le diverse fattispecie sono mutati, con conseguente variazione
anche dei riflessi sulla giurisdizione, secondo la disposizione dell'articolo 13, comma 2, del codice di procedura penale.
  Quanto all'opportunità, infine, che i fatti di concussione, corruzione e induzione siano comunicati anche all'autorità giudiziaria militare, si osserva che la stessa deriva dalla frequente possibilità che in essi coesistano anche gli estremi (non sempre di chiara evidenza) del reato militare di cui all'articolo 3 della legge n. 1383 del 1941.
  Resta, tuttavia, evidente che la richiesta di tale comunicazione non comporta alcuna rivendicazione di giurisdizione da parte degli organi di giustizia militare sui predetti reati comuni i quali, sempre secondo la disposizione del citato articolo 13, comma 2, del codice di procedura penale, appartengono in ogni caso al giudice ordinario, il quale giudicherà sul reato militare, ove esso risulti meno grave rispetto al reato comune ad esso connesso.
  In ragione di tali considerazioni, non esistono i presupposti per porre in essere le iniziative ispettive richiamate nell'atto.

Il Ministro della difesa
Roberta Pinotti.

   BATTELLI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in questi ultimi giorni si è letto su quotidiani a diffusione nazionale e soprattutto a diffusione locale che un artista bresciano, Francesco Vezzoli, avrebbe acquistato la cappella sconsacrata della Madonna del Carmine di Montegiordano in provincia di Cosenza al fine di scomporla e trasferirla negli Stati Uniti, ricomponendola nel museo newyorchese Moma Ps1, nell'ambito del progetto «Trinity» a cui l'artista sta lavorando;
   l'operazione di scomponimento e imballaggio delle parti della chiesa è stata effettuata sulla base di autorizzazioni rilasciate dalle autorità locali;
   attualmente le parti scomposte della cappella gentilizia di Montegiordano si trovano ferme nel porto di Gioia Tauro e sono state poste sotto sequestro da parte dell'autorità giudiziaria;
   il decreto legislativo n. 42 del 2004 impone che per l'alienazione e la circolazione dei beni culturali sottoposti a tutela è necessario richiedere l'autorizzazione alla soprintendenza competente per territorio –:
   come mai sia stato autorizzato lo scomponimento della cappella;
   quale amministrazione abbia autorizzato lo spostamento della cappella di Montegiordano;
   cosa si intenda fare della cappella ormai scomposta. (4-02970)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, con la quale l'interrogante, in relazione allo smontaggio e trasferimento negli Stati Uniti della cappella sconsacrata della Madonna del Carmine di Montegiordano (Cosenza), chiede perché sia stato autorizzato lo scomponimento della cappella e chi abbia autorizzato la predetta scomposizione ed il suo successivo spostamento, si comunica quanto segue.
  A seguito di sopralluogo esperito da personale della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Cosenza, Catanzaro e Crotone, veniva riscontrata la quasi completa ultimazione dei lavori di smontaggio della cappella. La medesima soprintendenza provvedeva, quindi, ad emettere specifica ordinanza di sospensione dei lavori, prontamente comunicata all'impresa ed al comune di Montegiordano (Cosenza), dando altresì notizia del fatto alla procura della Repubblica di Castrovillari.
  Alcune porzioni selezionate della chiesa risultavano essere state smontate e custodite in un sito di stoccaggio, mentre altre risultavano essere state poste sotto sequestro, presso il porto di Gioia Tauro, dal Tribunale di Palmi.
  La soprintendenza, inoltre, provvedeva ad autorizzare la messa in sicurezza delle parti della chiesa non ancora smantellate.
  Ciò premesso, si rappresenta che nessuna autorizzazione allo smontaggio della cappella è stata rilasciata dagli uffici territoriali di questa amministrazione che, peraltro, non hanno mai ricevuto richieste in tal senso. Lo smontaggio è avvenuto arbitrariamente ad opera della proprietà.
  La citata soprintendenza, infine, sta ponendo in essere la procedura di imposizione del vincolo storico sul citato bene, ai sensi dell'articolo 10, comma 3, lettera
a), del codice dei beni culturali e del paesaggio, e ha manifestato l'intenzione di promuovere l'impiego del materiale proveniente dallo smontaggio nel ripristino formale figurativo delle porzioni residuali della Chiesa.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo
Dario Franceschini.

   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il cinghiale è un animale selvatico che risulta essere presente in moltissime regioni in particolare nelle zone montane del Veneto, Lombardia, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia. È una specie che in molti casi risulta particolarmente pericolosa sia per le aree rurali, creando ingenti danni alle colture, che per la popolazione residente. Risultano sempre più frequenti, infatti, gli avvistamenti di questi animali a ridosso dei centri abitati;
   durante gli spostamenti invernali, per la ricerca di cibo e data la loro proliferazione, dimensione e aggressività, i cinghiali stanno diventando pericolosi anche per la sicurezza stradale mettendo a repentaglio l'incolumità degli automobilisti, soprattutto nelle strade di montagna in cui spesso si verificano incidenti a causa dell'attraversamento improvviso di questi animali in mezzo ad una strada trafficata;
   i cinghiali sono anche un pericolo sanitario in quanto tra le malattie di cui i cinghiali selvatici potrebbero essere portatori c’è la classica peste suina. Per l'uomo, inoltre, esiste il pericolo di contrarre la leptospirosi;
   da notizie apparse sugli organi di stampa si apprende che nel comune di Verona sono stati avvistati cinghiali selvatici a ridosso del centro abitato. Questo ha portato il sindaco ad emettere un'ordinanza urgente che permette la cattura e/o abbattimento di questa specie, potenzialmente pericolosa, che sconfinando dai suoi territori arriva fino al territorio comunale;
   sembra, infatti, che alcuni esemplari presenti nella zona pedemontana veronese siano emigrati a sud, arrivando fino in pianura;
   nelle aree protette la vigente normativa impedisce la cattura, l'uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali all'interno dei parchi rimettendo ai loro regolamenti la disciplina di eventuali prelievi faunistici e abbattimenti selettivi. È opportuno, a parere dell'interrogante, superare questo ostacolo prevedendo l'abbattimento dei cinghiali anche in queste aree protette al fine di arginare i danni causati sia alle colture presenti all'interno dei parchi stessi che alle abitazioni dei residenti nelle zone limitrofe;
   attualmente il cinghiale è una specie abbondante in tutta la Lessinia ed è la principale causa dei danni alle colture agricole, ai prati e ai pascoli. Gli imprenditori agricoli veneti sono esasperati e le condizioni in montagna stanno diventando allarmanti. Cacciatori ed autorità sanitarie sono preoccupati per la presenza di questi animali, proliferati negli ultimi anni in Lessinia e sulle colline che circondano Verona. Avere queste specie che circolano libere per le campagne venete è tutt'altro che gradevole perché, se si sentono minacciate, possono arrivare ad attaccare l'uomo e gli altri animali;
   tutto ciò ci deve portare ad una profonda riflessione sulla presenza dei cinghiali e degli ungulati in genere e sulla loro compatibilità con l'equilibrio del territorio veneto, in quanto il problema ha assunto un carattere di urgenza anche per quanto riguarda la sicurezza;
   risultano necessari, a parere dell'interrogante, interventi normativi a livello nazionale per risolvere le problematiche legate al numero sempre più crescente di cinghiali che, a causa dei loro ripetuti spostamenti nelle zone abitate e nelle aree urbane ad alta densità di popolazione, destano preoccupazione tra la cittadinanza;
   i danni causati alle colture agricole da tali specie, che spesso hanno il proprio habitat confinante con le aree rurali, necessitano di misure urgenti che vadano a contrastare il fenomeno fornendo, alle regioni e province, strumenti efficaci e concreti –:
   quali iniziative si intendano adottare al fine di modificare la normativa vigente per consentire a regioni e province una regolamentazione sulla caccia al cinghiale che sia permanente e programmata soprattutto verso quelle aree gravate dalla presenza massiccia di questi animali nonché quali modifiche che consentano l'abbattimento dei cinghiali anche nell'ambito delle aree protette, territori ora preclusi all'esercizio dell'attività venatoria, al fine di tutelare sia le aziende agricole che la popolazione residente su tutto il territorio veneto. (4-02655)

  Risposta. — Con riferimento all’ interrogazione parlamentare in esame, si evidenzia innanzitutto che il problema dei crescenti danni all'agricoltura causati dalla fauna selvatica e in particolar modo dai cinghiali, è stato più volte affrontato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha individuato un gruppo di lavoro con il compito di esaminare le principali criticità della legge n. 157 del 1992.
  Il gruppo di lavoro, costituito da funzionari rappresentanti dei ministeri competenti, ha concordato, con l'ausilio tecnico- scientifico dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), una proposta per emendare la suddetta legge sulla caccia in relazione alla gestione venatoria degli ungulati selvatici e del cinghiale nonché ai periodi e alle modalità di prelievo in selezione.
  La proposta è, attualmente, all'attenzione delle regioni in sede tecnica.
  La proposta, una volta definita, dovrà quindi essere sottoposta alla valutazione politica.
  Per quanto riguarda la possibilità di applicare misure finanziarie compensative dei danni causati agli agricoltori dalla fauna selvatica, si fa presente che attualmente, nell'ambito del regolamento per lo sviluppo rurale, tale tipologia di intervento non è prevista.
  Nell'ambito delle trattative sulla riforma degli orientamenti sugli aiuti di Stato in agricoltura, la Commissione europea ha, recentemente, mostrato un'apertura verso la possibilità che gli Stati membri concedano aiuti volti a compensare i danni subiti da fauna selvatica protetta.
  In proposito, segnalo che la delegazione italiana ha chiesto che questa tipologia di aiuti venga consentita in relazione ai danni causati da tutta la fauna selvatica e non soltanto dalla fauna selvatica protetta.
  Il negoziato è tuttora aperto e dovrebbe chiudersi nei primi sei mesi dell'anno in corso con esito che auspichiamo più che positivo su questa problematica e sulle altre questioni aperte per sostenere il settore agricolo italiano.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali
Maurizio Martina.

   CATANOSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel 2000 la St insieme alle organizzazioni sindacali firma al Ministero dello sviluppo economico un protocollo d'intesa per la costruzione del modulo M6, impianto ad alto livello tecnologico, che deve rappresentare il rilancio, a livello europeo, di St Catania. A fronte di 500 milioni di euro la St si impegna a creare 1.500 nuovi posti di lavoro;
   al gruppo progettazione memorie, fiore all'occhiello della St, e a diversi professionisti inviati in giro per il mondo ad acquisire know-how, viene affidato l'avvio del nuovo gioiello produttivo;
   dopo diversi rallentamenti (dovuti soprattutto ad una cattiva gestione da parte del management, ed all'incombente crisi del comparto dei semiconduttori) nella realizzazione del modulo, le insistenti voci di una cessione del progetto M6, trovano fondamento nella realizzazione di una società, indipendente da St, in cui soltanto il 48 per cento è la quota partecipativa di St, il 45 per cento di Intel (comparto memorie, a sua volta ceduta perché in perdita);
   nel mese di luglio 2007 viene firmata la cessione di ramo d'azienda del gruppo memorie di St presente in Italia;
   552 dipendenti di Catania, 123 di Arzano, 43 di Palermo e 1.024 di Agrate, il modulo M6 (interamente costruito con denaro pubblico) venduto per 450 milioni di euro alla nuova società costituita, passano da St a Numonyx;
   tra le motivazioni a giustificazione dell'operazione di vendita di ramo d'azienda, la completa realizzazione di M6 con l'assunzione prevista da protocollo d'intesa di 650 unità (inizialmente erano 1500);
   a giudizio dell'interrogante e della Ugl-metalmeccanici, non si comprende come una multinazionale forte come St abbia incontrato delle difficoltà a far partire M6, mentre una neonata società formata da due gruppi di aziende diverse, cedute perché in perdita da anni, potesse far decollare la produzione in M6;
   ovviamente e senza alcuna sorpresa, dopo soltanto un mese dalla nascita di Numonyx, i vertici aziendali della società dichiarano al Ministero dello sviluppo economico che lo stabilimento M6 non rientra più nei piani dell'azienda, rifiutando il finanziamento previsto per il completamento del modulo di 463 milioni di euro;
   a distanza di un anno, l'azienda, invitata dalle organizzazioni sindacali al Mise per presentare i piani industriali, dichiara di dover ricorrere alla Cassa integrazione per la totalità dei lavoratori Numonyx;
   nel frattempo il personale di Palermo ed i 71 dipendenti di Catania (addetti alla produzione) rientrano in St attraverso un'altra cessione di ramo ed i dipendenti a Catania diventano 401;
   il 10 febbraio del 2010 la Numonyx viene acquisita da Micron Technology attraverso la cessione dei pacchetti azionari proprietà di St (che di fatto dismette totalmente) e da altri partner;
   negli stessi mesi Stm forma, insieme a Sharp e ad Enel, una fabbrica destinata a produrre pannelli fotovoltaici, la 3 Sun, a cui viene venduto da Numonyx il modulo M6 per 70 milioni di euro (nel 2007 Numonyx acquistava a 450 milioni) ed eredita il contratto di programma previsto;
   Micron nel gennaio 2013 conta in Italia 3.287 dipendenti che, attraverso la cessione del Fab di Avezzano e di parte di dipendenti di Agrate che ritornano in St, diventano a dicembre del 2013, 1.075 (324 a Catania);
   nel 2013 Micron acquista un altra grossa azienda del mercato memorie, Elpida, che la proietta ai vertici delle classifiche mondiali per profitto (semiconduttori) dal decimo al quarto posto, e segna, dopo trimestri di perdite, un guadagno record che viene premiato dal mercato con un aumento della singola azione del 120 per cento;
   a seguito dell'acquisizione di Elpida, la società decide di razionalizzare il personale dando l'annuncio di un taglio del 5 per cento di tutto il personale a livello mondiale, malgrado, a giudizio dell'interrogante e della Ugl-metalmeccanici, non
sussista alcuna motivazione economica;

   dall'annuncio si spostano diverse attività dall'Italia ad altre parti del mondo, e viene fissato, dopo vari incontri istituzionali, un incontro al Mise, per annunciare l'impatto in Italia della razionalizzazione decisa;
   l'esito della riunione è stato che la Micron ha annunciato tagli per il 40 per cento della forza lavoro: 128 a Catania, 223 ad Agrate, 17 ad Avezzano e 53 ad Arzano;
   questo è, a giudizio dell'interrogante e della Ugl-metalmeccanici, l'ennesimo schiaffo al nostro territorio, regionale e nazionale, un'altra eccellenza cancellata ed umiliata;
   a giudizio dell'odierno interrogante e della Ugl-metalmeccanici bisogna intervenire energicamente nei riguardi del management, ed intervenire politicamente, affinché anche nell'ottica dei finanziamenti previsti dall'Unione europea sulla micro e nanoelettronica per portare la produzione in Europa dei semiconduttori dal 10 per cento attuale al 20 per cento entro il 2020, si vincolino tali finanziamenti nella regione Sicilia (regione ancora ad obbiettivo 1) al mantenimento dell'occupazione (e possibilmente, anche alla crescita di essa) nel distretto tecnologico Etna Valley. Micron ha già dichiarato di non essere interessata a tali finanziamenti. STMicroelectronics, invece, sembra fortemente interessata, ed in ogni caso si ritiene che essa debba assumersi la responsabilità dei lavoratori Micron, considerato che essi stessi hanno «venduto» ad un'altra azienda (Micron) che ora sembra volere abbandonare il territorio;
   non si può permettere che tutto ciò accada, e che si perdano più di 1.000 posti di lavoro ad altissimo livello professionale su un settore che si ritiene debba essere considerato strategico e fondamentale per lo sviluppo italiano –:
   quali provvedimenti intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa e tutelare i lavoratori italiani della Micron.
(4-03249)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dello sviluppo economico segue costantemente le problematiche della società Micron e ne osserva attentamente gli sviluppi.
  Sono stati convocati, infatti, specifici tavoli di confronto per affrontare le problematiche relative alla Micron, come pure di altre aziende in crisi all'interno dello stesso comparto industriale/tecnologico della microelettronica (3SUN e ST Microelettronics) ed in particolare gli ultimi incontri si sono svolti il 26 febbraio e il 12 marzo 2014.
  All'incontro del 26 febbraio 2014 erano presenti rappresentanti de Ministero dello sviluppo economico, delle Regioni Sicilia, Campania e Lombardia, del Comune di Catania, di Confindustria Monza, le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali, le rappresentanze sindacali unitarie, alcuni parlamentari e una delegazione di Micron.
  L'incontro ha avuto inizio a seguito di una riunione preliminare ristretta alle organizzazioni sindacali e alle istituzioni, che era stata richiesta dalle organizzazioni sindacali.
  L'azienda ha parlato dei due incontri avuti direttamente con le organizzazioni sindacali a seguito dell'ultima riunione tenutasi al Ministero dello sviluppo economico in data 28 gennaio 2014.
  Nel corso del primo di questi incontri è stato presentato un piano di riorganizzazione in relazione alle prospettive di mercato dei vari siti Micron in Italia.
  Nel corso del secondo è stata presa in considerazione la possibilità di rivedere parzialmente l'impatto sulle risorse occupazionali rispetto alla lettera del 21 gennaio 2014 che annunciava l'inizio delle procedure di mobilità per 419 unità distribuite tra i siti Micron di Agrate Brianza e Vimercate, Arzano, Avezzano e Catania. In particolare, l'azienda ha comunicato che sta cercando di ricollocare alcuni degli esuberi sia in altre aziende Micron all'estero, sia in altre aziende del territorio nazionale dello
stesso sistema merceologico di Micron. A questo riguardo sono già stati presi contatti con una azienda del distretto tecnologico di Monza Brianza disponibile a riassorbire alcuni degli esuberi Micron.
  I sindacati, unitariamente, hanno comunicato di non essere soddisfatti del piano prospettato dall'azienda ritenendo che non possa essere considerato come un piano industriale sul futuro delle aziende Micron in Italia. Hanno, quindi, nuovamente richiesto la presentazione di un piano industriale sulle prospettive produttive e occupazionali del gruppo, poiché ci sono dubbi circa la sua permanenza in Italia.
  Le rappresentanze sindacali unitarie hanno espresso preoccupazione circa la possibile dispersione all'estero del patrimonio tecnologico e del personale altamente specializzato dei siti italiani di Micron.
  I sindacati, inoltre, hanno chiesto al Governo di contattare il
board Micron negli Stati Uniti e di mantenere un unico tavolo a livello nazionale per trattare non soltanto i problemi immediati riguardanti la mobilità dei 419 lavoratori (che sono scaduti il 7 aprile 2014), ma anche – e soprattutto – il piano industriale di permanenza delle aziende Micron in Italia.
  Durante l'ultimo incontro, tenutosi in data 7 marzo 2014, si sono registrati alcuni passi avanti in merito alle problematiche già esposte. I vertici aziendali hanno, infatti, assicurato la volontà della società di restare in Italia, si sono mostrati propensi a ricorrere agli ammortizzatori sociali e agli incentivi all'esodo, a ridiscutere il numero degli esuberi e a lavorare a un piano industriale che possa realmente garantire un futuro produttivo e occupazionale ai siti italiani.
  Un'apertura significativa, manifestata dal vice presidente di Micron, che i rappresentanti sindacali nazionali e territoriali dei metalmeccanici hanno accolto con interesse nel prosieguo dell'incontro.
  Entro fine marzo era stato calendarizzato un nuovo incontro per iniziare a entrare nel merito del piano industriale di Micron.
  L'obiettivo, promosso dal Ministero dello sviluppo economico, è quello di arrivare in tempi brevi a un accordo definitivo che possa salvaguardare al meglio l'importantissima realtà rappresentata da Micron per il Paese.
  Infine, per quanto concerne il settore della microelettronica in generale, si segnala che si sono tenuti in data 7 marzo 2014 due incontri: quello relativo a tutto il comparto della microelettronica e la prima riunione del tavolo sul settore specifico dei componenti elettronici.
  Durante i due appuntamenti, finalizzati a individuare le politiche di sviluppo più urgenti e adeguate per i comparti interessati, sono stati affrontati i temi di coordinamento con le strategie europee di politica industriale e per la ricerca e sviluppo connesse anche ai fondi strutturali e ai fondi tematici.
  I lavori del tavolo sulla microelettronica proseguiranno con l'elaborazione di un documento strategico per quanto concerne il comparto in generale, mentre, in materia di componenti elettronici, si è discusso principalmente degli interventi possibili al fine rafforzare la presenza delle piccole e medie imprese del settore rispetto alla possibilità di accedere alle risorse europee, anche attraverso l'accompagnamento alla realizzazione di reti di collaborazione, e della necessità di maggiori controlli sulla qualità dei prodotti importati.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico
Claudio De Vincenti.

   CENSORE e OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 36 del 2004 «Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato» disciplina la natura giuridica, i compiti istituzionali, le funzioni, l'organizzazione ed i rapporti con le regioni e con gli enti locali del Corpo forestale, forza di polizia ad ordinamento civile, specializzata nella tutela del patrimonio naturale e paesaggistico, nella prevenzione e repressione dei reati in materia ambientale e agroalimentare. La molteplicità dei compiti affidati alla forestale affonda le radici in una lunga storia dedicata alla difesa dei boschi, evolutasi nel tempo fino a riguardare ogni attività di salvaguardia delle risorse agroambientali, del patrimonio faunistico e naturalistico nazionale;
   tra gli organismi del Corpo forestale vi sono gli uffici per la biodiversità, istituiti nel 2005, preposti alla tutela e alla salvaguardia delle riserve naturali statali riconosciute d'importanza nazionale e internazionale; nell'ambito dei propri compiti, gli uffici per la biodiversità si occupano di tutelare e salvaguardare le riserve naturali dello Stato e altre aree di interesse naturalistico, conservare e salvaguardare la biodiversità animale e vegetale, promuovere le attività di ricerca scientifica e i programmi finalizzati allo studio ed alla conservazione della biodiversità, nonché le attività di educazione ambientale e di comunicazione;
   la legge n. 124 del 1985, «Disposizioni per l'assunzione di manodopera da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali» ha consentito l'assunzione, per gli uffici territoriali per la biodiversità del Corpo forestale dello Stato, di operai a tempo determinato e indeterminato a supporto del Corpo forestale dello Stato per la manutenzione delle aree naturali protette e per assolvere ad ulteriori compiti istituzionali;
   l'articolo 1, commi 519 e 521, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), ha attuato la stabilizzazione di circa 1.000 operai, ma ha escluso 340 dipendenti, in tutta Italia, che non avevano maturato i requisiti di anzianità richiesti;
   si tratta di lavoratori ampiamente professionalizzati, dotati di qualificazione e competenze fondamentali, che hanno reso gli uffici dislocati in varie realtà italiane veri e propri laboratori e presidi a tutela della biodiversità, che, se venissero meno le unità oggi assegnate, rischierebbero di scomparire;
   alcuni di questi 340 operai sono stati poi assunti temporaneamente (per 5 mesi) nel corso dell'anno 2009, grazie ai finanziamenti stanziati con la legge numero 69 del 2009;
   con l'articolo 2, comma 250, della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010), e con il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in cui sono ripartite nel dettaglio le risorse assegnate, sono stati finanziati 3 milioni di euro per gli anni 2010, 2011 e 2012 per l'assunzione a tempo determinato di operai del Corpo forestale dello Stato, e in virtù di tali stanziamenti nell'anno 2010 sono stati assunti temporaneamente alcuni operai;
   l'articolo 9, comma 28, del decreto-legge numero 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, ha disposto la riduzione del 50 per cento delle assunzioni di personale a tempo determinato per le amministrazioni dello Stato;
   questa disposizione non dovrebbe essere applicata agli operai che sono assunti con contratti di natura privatistica. Tale categoria di lavoratori subisce infatti l'anomalia di essere dipendente di un ente pubblico ma attraverso un contratto di natura privatistica: verrebbero quindi applicate le restrizioni previste per il pubblico impiego senza però riconoscere le tutele e le garanzie previste per i lavoratori di enti pubblici;
   i tagli introdotti dal decreto-legge n. 98 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 non hanno consentito, per gli anni 2011 e 2012, di procedere alla riassunzione dei 181 operai a tempo determinato impiegati nel 2010, ma solo di 81 unità per un periodo massimo di sei mesi;
   da quanto emerge dal bilancio 2012 del Corpo forestale dello Stato e dalla previsione di spesa per il 2013 e 2014, il totale dei tagli previsti per il 2013 e 2014 sarà di circa 3.660.000 euro, la maggior parte dei quali deriverà dalla riduzione totale dei fondi per la riassunzione degli operai a tempo determinato (circa
1.430.000). Per i prossimi due anni non sarebbe, quindi, attuata nessuna nuova stabilizzazione nonostante siano previsti circa un centinaio di pensionamenti tra gli operai a tempo indeterminato;
   da quanto risulta agli interroganti dal 2009 ad oggi il numero di operai a tempo determinato in servizio presso il Corpo forestale dello Stato si è ridotto di 320 unità passando da 400 a circa 80 unità;
   tale situazione di incertezza oltre a penalizzare fortemente il personale che da anni viene assunto, sia pure a tempo determinato, dal Corpo forestale dello Stato comporta criticità nella cura e nella salvaguardia di risorse naturali nazionali di valenza naturale, storica e culturale;
   si rende ormai improrogabile trovare una soluzione alla questione riguardante la contrattazione di secondo livello del personale assunto ai sensi della legge numero 124 del 1985;
   tale problematica è già stata oggetto, da anni, da interrogazioni parlamentari nella scorsa legislatura, a cui non è pervenuta risposta;
   la legge n. 36 del 2004 prevede il trasferimento di parte del patrimonio statale forestale alle regioni con relative maestranze e nelle regioni dove è stato operato tale trasferimento sono stati ottenuti buoni risultati di valorizzazione del patrimonio naturale assieme alla tutela dei livelli occupazionali preposti a tali mansioni –:
   se il Ministro sia al corrente della situazione descritta;
   se non ritenga di intervenire urgentemente per far fronte al problema della stabilizzazione degli operai a tempo determinato sia per salvaguardare la professionalità e i livelli occupazionali, sia per assicurare le risorse necessarie per una efficace e continua azione di salvaguardia del patrimonio dello Stato di competenza del Corpo forestale, anche considerato il numero esiguo di addetti e la rilevanza della loro mansione;
   se non ritenga urgente assumere un'iniziativa normativa per chiarire la qualificazione giuridica di tali lavoratori, per tutelarne i diritti e per evitare continue e contrastanti interpretazioni che rendono incerto il futuro di questi lavoratori e discontinuo il lavoro degli uffici.
(4-02719)

  Risposta. — Con la legge 6 febbraio 2004, n. 36, concernente l'ordinamento del Corpo forestale dello Stato, è stata affidata al Corpo forestale dello Stato la gestione delle aree naturali protette che non sono state trasferite alle regioni.
  Si tratta di oltre 120.000 ettari di territorio di inestimabile valore naturalistico, culturale e scientifico.
  Tale territorio è gestito con l'ausilio di circa 1.350 operai assunti ai sensi della legge 5 aprile 1985, n. 124.
  Grazie al disposto dall'articolo 1, commi 519 e 521, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), ben 1.007 operai sono stati stabilizzati e per svolgere il servizio sia presso la sede centrale del Corpo forestale dello Stato che presso i 28 uffici territoriali per la biodiversità dislocati sul territorio nazionale e preposti alla gestione e alla salvaguardia delle aree suddette.
  Per quanto concerne i lavori «stagionali», al fine di combattere il fenomeno degli incendi boschivi o per attuare determinate iniziative, alle predette unità vengono affiancate ulteriori professionalità, assunte ai sensi della medesima legge n. 124 del 1985 con contratti di lavoro a tempo determinato (operai a tempo determinato).
  Tra le professionalità O.T.D. sono ricomprese le unità di personale che non sono rientrate nel processo di stabilizzazione autorizzato dalla legge finanziaria 2007 poiché garantiscono la positiva esperienza professionale operativa già maturata.
  Per l'assunzione di tale personale, l'articolo 1, comma 24, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) ha previsto uno stanziamento, nell'ambito del bilancio del Corpo forestale dello Stato, pari a 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 che consentiranno
una gestione programmata del personale stesso in funzione delle attività da effettuare.
  È evidente che i processi di stabilizzazione e qualificazione giuridica del personale è strettamente legata al complesso delle manovre annuali di finanza pubblica, ma è di sicuro interesse per questo Ministero valutare tutte le ipotesi percorribili affinché si possano contemperare positivamente le legittime esigenze del personale con gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali
Maurizio Martina.

   CIMBRO, SENALDI, GADDA, SIMONI, TARANTO, BONAFÈ, DANIELE FARINA, FAVA, KRONBICHLER, LACQUANITI, FRANCO BORDO, LAFORGIA, BIFFONI, GIANNI FARINA, MARANTELLI, STUMPO, AIELLO, NARDI, PLACIDO, VERINI, ANDREA ROMANO, RABINO, ASCANI, BOSCO, GAROFALO, MICCOLI, BENAMATI, GIULIANI, PARIS, VENITTELLI, BASSO, TINO IANNUZZI, IMPEGNO, MARAZZITI, MARIANO, DI GIOIA, GUTGELD, CAUSI, GIUDITTA PINI, BERLINGHIERI, MAURI, SCUVERA e TARTAGLIONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 maggio 2011 l'ENAC ha presentato, ai sensi dell'articolo 23 e seguenti del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale per il Nuovo master plan dell'aeroporto di Milano Malpensa;
   gli interventi previsti sono: ampliamento del sedime aeroportuale; potenziamento del sistema infrastrutturale dell'aeroporto mediante la realizzazione di una terza pista; ampliamento e riconfigurazione delle aree terminali dedicate al trasporto commerciale sia sul lato airside che landside in funzione delle previsioni di crescita; ampliamento dell'area dedicata al trattamento merci e realizzazione di un «parco logistico» di supporto all'intero contesto territoriale; razionalizzazione e potenziamento delle attività complementari al trasporto aereo;
   a progetto già depositato, SEA ha provveduto a integrare lo studio di impatto ambientale in data 20 giugno 2012 con delle «Integrazioni volontarie», e il 30 novembre 2012 con dei «chiarimenti» a seguito del contraddittorio tra le parti, ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, avvenuto il 18 settembre 2012;
   ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni sono state inviate osservazioni contenenti 1054 argomenti di contrarietà al progetto sottoscritte da cittadini, associazioni e comitati;
   numerose delibere di contrarietà sono state espresse dall'assemblea del parco del Ticino e da numerosi enti locali del territorio;
   le previsioni di traffico presentate da SEA come unica motivazione dell'ampliamento dell'aeroporto sono secondo gli interpellanti palesemente sovrastimate. Tali previsioni sono, allo stato, smentite dai dati reali; attualmente l'Aeroporto di Malpensa sta lavorando al 50 per cento delle proprie potenzialità: i dati di traffico su cui si basa il master plan di Malpensa sono obsoleti in quanto lo scenario alla base del master plan stesso è antecedente l'abbandono di Malpensa da parte di Alitalia; in questi anni il traffico a Malpensa è crollato da 24 milioni di passeggeri del 2007 a meno di 18 milioni del 2013; le previsioni di SEA pubblicate nel 2011 si sono dimostrate errate e non realistiche; SEA prevedeva per il 2012 un aumento di +5,6 per cento (movimenti) e +4,6 per cento (passeggeri) e invece si è registrato a -8,4 per cento (movimenti) e -4 per cento (passeggeri); SEA prevedeva per il 2013 un aumento di +5,2 per cento (movimenti) e +4,6 per cento (passeggeri) ed invece si è registrato a -6,1 per cento (movimenti) e -3,5 per cento (passeggeri). (Dati gennaio-novembre 2013, i dati ufficiali di dicembre 2013 non sono ancora stati pubblicati);
   ad oggi, l'unico parere positivo al progetto di espansione denominato «Nuovo Master Plan Aeroportuale dell'aeroporto di Milano Malpensa», è stato deliberato da regione Lombardia con d. giunta regionale n. X/13 del 3 aprile 2013;
   la comunità del parco Ticino formata da 47 comuni e 3 province ha all'unanimità deliberato con propria delibera n. 12 del 21 giugno 2013 di richiedere la revisione della delibera regionale X/13 con la quale regione Lombardia ha espresso il proprio parere nei confronti del master plan di Malpensa;
   l'area interessata dall'ampliamento del sedime aeroportuale è una zona naturalisticamente importante sia per la presenza di habitat di interesse comunitario (4030 Lande secche europee ossia brughiere, 6510 Praterie magre, 9160 Querceti di Farnia, 9190 Querceti acidofili con Quercus Robur), sia per la presenza di numerose specie animali tutelati e protetti da apposite direttive come la direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009 concernente la conservazione degli uccelli selvatici;
   in relazione alla situazione di danno ambientale del SIC Brughiera del Dosso IT2010012, causato dal sorvolo degli aerei in decollo dall'aeroporto di Malpensa, la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l'Italia per violazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche («direttiva habitat»), con l'invio di una lettera di messa in mora all'Italia in data 22 giugno 2012 (Riferimento procedura n. 2012/4096);
   la presenza di habitat di interesse comunitario e di popolazioni significative di specie di interesse comunitario hanno portato in data 25 ottobre 2011 il Parco Ticino a inoltrare richiesta ufficiale a regione Lombardia, e per conoscenza al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e all'Unione europea, per l'istituzione di un nuovo sito di importanza comunitaria e zona di protezione speciale denominato «Brughiere di Malpensa e di Lonate»;
   tale richiesta è stata recentemente supportata dall'aggiornamento, così come richiesto da regione Lombardia, degli studi del parco Ticino datato Novembre 2013, che riconosce oltre ogni dubbio la valenza europea della zona denominata «Brughiere di Malpensa e di Lonate» tale da rendere «dovuto» il riconoscimento SIC/ZPS della stessa;
   il riconoscimento SIC/ZPS dell'area denominata «Brughiere di Malpensa e di Lonate» potrebbe generare un effetto compensazione tale da portare alla chiusura della procedura di infrazione n. 2012/4096 attualmente aperta per il SIC Brughiera del Dosso;
   in data 29 marzo 2013, ENAC, a seguito di vari incontri tenutisi con il gruppo istruttore della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (CTVA), ha chiesto una sospensione di nove mesi del procedimento di valutazione di impatto ambientale, al fine di approfondire e risolvere le problematiche progettuali legate allo sviluppo del quadro infrastrutturale della macro-area di riferimento e che la DVA con nota dell'11 aprile 2013 ha concesso la sospensione del procedimento valutazione di impatto ambientale;
   con nota del 30 dicembre 2013 ENAC ha richiesto un'ulteriore proroga di sei mesi e al momento la DVA sta predisponendo una risposta in merito, in cui chiedere motivazioni più specifiche sulla richiesta di proroga, in quanto non sufficientemente motivata e seguente ad una serie di svariate integrazioni già presentate dal proponente nel corso degli anni –:
   quali siano gli intendimenti del Ministro interpellato riguardo alle continue e
non consuete proroghe della procedura di valutazione di impatto ambientale anche in relazione alle numerose osservazioni di contrarietà espresse dal territorio e certamente in buona parte condivise dalla commissione tecnica VIA/VAS;
   quali siano gli intendimenti del Ministro interpellato riguardo agli aspetti scientifici e biologici relativi alla perdita di una zona naturalisticamente importante tanto da essere considerato ad oggi un possibile sito di interesse comunitario, sapendo inoltre che la conseguenza di questa perdita potrebbe portare ad una nuova procedura di infrazione da parte della Comunità europea. (4-03637)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, presentata dall'interrogante, riguardante la richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale per il nuovo Master plan dell'aeroporto di Milano Malpensa, si rappresenta quanto segue.
  La direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare competente per materia, con nota del 23 gennaio 2014, non ha accolto la richiesta di proroga avanzata dall'ente nazionale per l'aviazione civile il 30 dicembre 2013, in quanto carente di motivazione e, pertanto, ai sensi dell'articolo 10-
bis, della legge n. 241 del 1990, ha informato l'Enac di tale decisione.
  Con nota del 7 febbraio 2014 l'Enac, nel prendere atto della mancata concessione dell'ulteriore proroga, ha trasmesso un documento tecnico di sintesi riguardante la rielaborazione del progetto
Master plan che conterrebbe, ad avviso dell'ENAC, una diminuzione del previsto ampliamento del sedime aeroportuale in funzione di quanto emerso in sede di riunioni tecniche.
  La direzione generale del Ministero, con nota del 10 febbraio 2014, nel trasmettere la documentazione alla Commissione di valutazione impatto ambientale ha disposto il riavvio dell'istruttoria tecnica.
  Riguardo alla proposta di un nuovo sito di interesse comunitario (SIC) e zona di protezione speciale (Zps) indicato come «Brughiere di Malpensa e di Lonate», così come enunciato nel testo dell'interpellanza, si rappresenta che tale istanza è stata inoltrata dal parco lombardo della valle del Ticino alla regione Lombardia e, per conoscenza, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, però, ad oggi, non si è avuta nessuna formalizzazione, necessaria per proseguire l’
iter di inclusione della nuova area nelle liste dei siti di importanza comunitaria, da parte dell'autorità regionale.
  Proprio per la presenza nelle aree interessate di
habitat di interesse comunitario, il Ministro è impegnato a seguire l'evolversi della situazione, sia per quanto concerne la condizione del Sic (IT2010012) «Brughiera del Dosso», incluso nella procedura di infrazione 2012/4096, conseguente all'EU Pilot 1509/10/ENVI, e sia per tutte le aree interessate, quali la Zps (IT2080301) «Boschi del Ticino» che, in diverse porzioni si sovrappone ai Sic: (IT2010013) «Ansa di Castelnovate»; (IT2010010) «Brughiera del Vigano»; (IT2010012) «Brughiera del Dosso»; (IT1150001) «Valle del Ticino»; tali siti sono in parte coincidenti con l'IBA018 «Fiume Ticino», interregionale tra Lombardia e Piemonte, e con il «Parco naturale lombardo della Valle del Ticino» (EUAP0842, parco naturale regionale).
  Il Ministero, così come la competente commissione VIA-VAS, è, quindi, particolarmente attento al costante monitoraggio della situazione seguendo l'esame del progetto. Non si esclude l'eventuale adozione di misure di compensazione, come previste dalla direttiva 92/43/CEE (paragrafo 4, commi 1 e 2), che, in tal caso, prevede l'invio alla Commissione europea dell'apposito formulario, per la dovuta informazione o per richiesta di parere.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare
Gian Luca Galletti.

   COSTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Cuneo, la seconda più estesa d'Italia fra quelle appartenenti alle regioni a statuto ordinario soffre, da anni, della cronica carenza di uomini, mezzi e fondi assegnati alle forze di polizia, in particolar modo alla polizia di Stato. Per contro, viene richiesto a questo esiguo numero di uomini un aumentato impegno, in quantità e qualità degli obiettivi da raggiungere;
   in particolare, a numerosi uomini della polizia di Stato vengono affidate mansioni di viabilità autostradale. Un servizio che, giocoforza, priva della presenza delle pattuglie il territorio sia per quello che concerne la viabilità su strade statali, regionali e provinciali, sia per quanto riguarda l'attività di controllo e tutela dei cittadini;
   all'interrogante è stata segnalata, come particolarmente grave, la situazione del distaccamento della polizia stradale di Ceva (CN) e della sezione di Cuneo, le cui pattuglie vengono utilizzate prevalentemente per garantire la circolazione sull'autostrada Torino-Savona, che pure è mansione specifica del distaccamento di Mondovì (CN);
   negli ultimi anni, le pattuglie in capo al predetto distaccamento, sono quasi totalmente utilizzate per la viabilità autostradale, lasciando sguarnita la viabilità ordinaria su un territorio vastissimo e che comprende non solo un confine regionale, ma anche la presenza di un'importante circolazione di mezzi pesanti;
   numerose, in questo senso, sono state le segnalazioni degli amministratori locali che si vedono privati di un servizio necessario, non solo per quanto riguarda l'attività più prettamente legata alla circolazione stradale, bensì per quella legata al contrasto del crimine;
   risulta all'interrogante, infine, che quando non sono disponibili operatori al distaccamento di Ceva (CN), vengano cooptati operatori provenienti dalla sezione di Cuneo e dal distaccamento di Saluzzo, appositamente accompagnati al luogo di servizio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se intenda assumere iniziative volte ad assegnare a questa provincia un adeguato numero di operatori, in particolare al distaccamento di Mondovì (CN);
   se intenda verificare la possibilità di un diverso coordinamento con la Società autostradale Torino-Savona Spa, al fine di garantire la presenza di operatori di PS sia sull'arteria a pagamento sia su quelle di viabilità ordinaria. (4-02454)

  Risposta. — La vigente normativa sulla riduzione della spesa pubblica applicata alle forze di polizia consente, fino al 2015, di assumere personale soltanto in percentuale rispetto alle cessazioni dal servizio registrate in ogni anno; soltanto a decorrere dal 2016 le assunzioni potranno risultare pari al cento per cento dei pensionamenti.
  Tale situazione, pertanto, determina una carenza di organico in seno alla polizia di Stato su tutto il territorio nazionale, compresa la provincia di Cuneo.
  Nella citata provincia la polizia stradale dispiega la sezione del capoluogo, la sottosezione autostradale di Mondovì, e i distaccamenti di Bra, Ceva e Saluzzo.
  Ciò premesso si precisa che la vigilanza in ambito autostradale è affidata in via esclusiva alla polizia stradale ed è regolata da rapporti convenzionali con gli enti concessionari delle autostrade; sulla viabilità ordinaria operano, invece, anche altri organi di polizia stradale, dall'Arma dei carabinieri ai comandi delle polizie locali.
  La sezione della Polizia stradale di Cuneo, chiamato a garantire la costante presenza di pattuglie sull'autostrada «A6 Torino-Savona», in caso di necessità si avvale anche dell'aiuto dei distaccamenti di Bra, Saluzzo e Ceva.
  Il distaccamento di Ceva contribuisce in misura maggiore, rispetto agli altri reparti, perché situato a ridosso dell'omonimo casello autostradale.
  In generale, il dispositivo delle forze di polizia preposto al controllo del territorio nel Cuneese è composto da 366 operatori della Polizia di Stato, 843 militari dell'Arma dei carabinieri e 355 militari della Guardia di finanza.
  L'organizzazione territoriale prevede per la polizia di Stato, oltre alla questura e ai
menzionati uffici della polizia stradale, anche i posti di polizia ferroviaria di Cuneo e di Bra, la sezione Polizia postale di Cuneo e il settore di Polizia di frontiera di Limone Piemonte.
  Al comando provinciale carabinieri fanno capo otto compagnie e settantacinque stazioni; mentre quello della guardia di finanza dispone di tre compagnie, tre tenenze e una brigata.
  Si assicura, in conclusione, che il Ministero dell'interno continua a riservare la massima attenzione alla situazione dei presidi di polizia in modo da non far mancare, anche nei periodi di maggior difficoltà economica, ogni consentito supporto per i più efficienti servizi di controllo del territorio.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Filippo Bubbico.

   COSTANTINO, ZAN, MARCON, MIGLIORE, PILOZZI, KRONBICHLER, AIELLO, AIRAUDO, BOCCADUTRI, FRANCO BORDO, DI SALVO, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, LACQUANITI, LAVAGNO, MATARRELLI, MELILLA, NARDI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIAZZONI, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RAGOSTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime elezioni amministrative, a Treviso, il candidato consigliere di Sinistra ecologia libertà, Said Chaibi, di 23 anni, cittadino italiano nato da genitori marocchini, è stato oggetto di aspri e violenti attacchi nell'ambito di una campagna promossa dalla Lega che, in particolare, ha visto Chaibi subire offese e pesanti insinuazioni, nonché gravi intimidazioni;
   questi sarebbe stato insultato dalla Lega per le proprie origini marocchine e per aver affrontato il tema della tolleranza religiosa con riferimento alle ipotesi di apertura di luoghi di culto islamici, con offese perpetrate attraverso interventi e volantini su Facebook, alcuni dei quali ottenuti con fotomontaggi che associavano il giovane all'assunzione di stupefacenti;
   il 3 giugno 2013, inoltre, mentre si trovava in zona Sant'Angelo, alla periferia di Treviso, assieme ad alcuni attivisti del PD, per affiggere alcuni manifesti elettorali del candidato Giovanni Manildo, in vista del ballottaggio, che era prossimo, un gruppo di uomini, a bordo di una Audi e di una Bmw, si sarebbero avvicinati, minacciando di strappare i manifesti, inseguendo in seguito il mezzo, una vecchia utilitaria, con cui Said e i suoi due amici stavano cercando di allontanarsi;
   le due auto di grossa cilindrata avrebbero prima inseguito la vettura dei tre ragazzi fino a Canizzano; poi avrebbero cercato, con alcune manovre pericolose, di tagliar loro la strada. Dopo la riprovevole operazione, gli occupanti delle due auto-pirata si sarebbero dileguate, facendo perdere le proprie tracce;
   immediatamente sono scattati numerosi attestati di solidarietà da diverse forze politiche per Said, a fronte di un'operazione, frutto di una campagna basata sull'odio, che ha inquinato una campagna elettorale che, fino a quel momento, non aveva certo registrato episodi di simile gravità –:
   quale sia l'orientamento dei Ministri rispetto ai fatti riferiti in premessa posto che i comportamenti discriminatori avviati nei confronti di Said Chaibi che si sono concretizzati in offese e pesanti insinuazioni, nonché nell'inquietante episodio di intimidazione citato sono estremamente gravi e inaccettabili;
   nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, quali iniziative intendano adottare per condannare episodi di discriminazione del genere e per garantire ai cittadini di origine straniera l'esercizio di diritti riconosciuti e tutelati dalla Costituzione, quale quello di esprimere liberamente il proprio pensiero, nonché di partecipare alla vita politica del Paese. (4-01179)

  Risposta. — Il 5 giugno 2013 il signor Chaibi Said, candidato all'elezione del Consiglio comunale di Treviso per il movimento «Sinistra Ecologia e Libertà» (S.E.L.), presentava denuncia presso gli uffici della questura dichiarando che, alcuni giorni prima, mentre era intento con altri due militanti ad affiggere manifesti elettorali negli appositi spazi predisposti dal comune in via Michelangelo, era stato minacciato di morte.
  Nella circostanza, precisava di essere stato avvicinato da due autovetture, delle quali non riusciva a distinguere il numero di targa, e di essere stato pesantemente minacciato.
  Per evitare possibili aggressioni, il signor Chaibi ed i suoi amici si allontanavano a bordo della loro autovettura.
  Inseguiti dai due veicoli, venivano poi affiancati, lungo la via Sant'Angelo, da una delle autovetture che cercava, con alcune manovre pericolose, di tagliar loro la strada per impedire di raggiungere l'altra postazione predisposta per l'affissione dei manifesti elettorali.
  A corredo della denuncia, il signor Chaibi esibiva anche un documento fotografico distribuito durante la campagna elettorale da militanti della Lega nord, che lo ritraeva insieme al Presidente della Camera dei deputati.
  Nell'immagine erano inseriti slogan che – relativamente ai temi dell'integrazione – operavano un collegamento tra la presenza di stranieri e fenomeni delinquenziali.
  Su quest'ultima vicenda non risulta presentata alcuna querela.
  Le indagini della questura di Treviso – svolte anche attraverso monitoraggi sui siti
web – hanno evidenziato che gli unici documenti presenti nella rete internet in cui vengono indicate ingiurie nei confronti del signor Chaibi si trovano all'interno del sito www.tuttiicriminidegliimmigrati.com, nel quale si commentano le comunicazioni rese agli organi di stampa dal medesimo esponente politico sulla volontà di seguire le vie legali per le offese ricevute.
  Non risultano che si siano verificati ulteriori episodi di offese razziali nei confronti dei consigliere comunale.
  La questura ha avviato mirate indagini che hanno consentito di identificare uno dei due conducenti, prontamente deferito all'autorità giudiziaria.
  L'individuo, residente in una zona adiacente a quella dove erano posizionati i cartelli elettorali, risultava privo di precedenti penali e a suo carico non si sono evidenziate appartenenze ad alcun movimento politico.
  Si assicura, comunque, che le autorità di pubblica sicurezza svolgono un costante monitoraggio sulle attività dei movimenti estremisti, sia di destra che di sinistra, finalizzato alla prevenzione e al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, segnalando all'autorità giudiziaria ogni episodio di illegalità.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Filippo Bubbico.

   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale — considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore — ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria, rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:

   quali iniziative il Ministro intenda adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine;
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere per provvedere alla tutela del vero «made in Italy» agroalimentare, con il fine di ristabilire la fiducia dei consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari locali.
(4-02845)

  Risposta. — Per quanto concerne l'indicazione dell'origine delle carni sulle etichette del prodotto, ritengo importante ricordare innanzitutto che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha sempre svolto un ruolo determinante nelle sedi europee, concertando la posizione negoziale in materia di tracciabilità degli alimenti con il Ministero della salute, al fine di coniugare le esigenze di tutela dei consumatori e di difesa della produzione italiana sui mercati nazionali ed esteri.
  Ciò premesso, segnalo con soddisfazione la recente adozione, anche grazie al sostegno dell'Italia, del regolamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013 della Commissione del 13 dicembre 2013 che stabilisce i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, quindi nel rispetto del termine del 13 dicembre 2013 di cui all'articolo 26, paragrafo 8, del regolamento (CE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di informazioni sugli alimenti ai consumatori.
  Tra le nuove prescrizioni è stata introdotta quella relativa all'indicazione trasparente del Paese di origine, o il luogo di provenienza, nel quale gli animali sono stati allevati e macellati, dando così attuazione concreta al citato articolo 26 del regolamento (CE) n. 1169/2011.
  La modifica del quadro giuridico europeo di riferimento rappresenta, dunque, un risultato notevole a beneficio dei consumatori poiché garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del
made in Italy.
  A tal proposito si può affermare che le modifiche apportate al testo originario proposto dalla Commissione, tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale, sono state sostenute in sede negoziale dalla delegazione italiana proprio con la finalità di evitare di fornire al consumatore informazioni con modalità poco trasparenti o addirittura fuorvianti rispetto alla realtà produttiva, contribuendo quindi a dare maggiore chiarezza circa le procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta che segue anche la carne suina nelle varie fasi di commercializzazione e alla tutela del
made in Italy.
  Il regolamento di esecuzione suindicato prevede la possibilità di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese nonché di indicare il luogo di provenienza delle carni secondo lo schema seguente:
   per tutte le specie – l'indicazione «Origine Italia» può essere utilizzata solo se: l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
   Suini – l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se: l'animale viene macellato sopra i 6 mesi ed ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; l'animale è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e viene macellato ad un peso superiore agli 80 kg; l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 kg ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
   Ovi-Caprini: l'indicazione «Allevato in Italia» può essere utilizzata solo se: l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia; l'animale viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;

   Pollame: l'indicazione «Allevato in Italia» può essere utilizzata solo se: l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia; l'animale viene macellato sotto 1 mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia.

  Nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento (CE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, il citato regolamento di esecuzione n. 1337/2013 consente anche la possibilità di integrare le informazioni sull'origine sopra sintetizzate, con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne, tra cui un livello geografico più dettagliato.
  Il sistema europeo sintetizzato si applicherà a partire dal 1o aprile 2015.
  Nella consapevolezza della valenza concreta di quanto raggiunto a livello europeo, le istituzioni italiane saranno impegnate affinché il predetto regolamento sia applicato in modo concreto e conforme in relazione a tutte le disposizioni in esso contenute.
  Si fa presente, comunque, che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento degli allevatori di suini italiani produce carne nel rispetto dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (Dop) e delle indicazioni geografiche protette (Igp).
  I disciplinari dei prodotti della salumeria Dop e Igp italiani, approvati a livello comunitario, impongono che i suini appartenenti a razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e seguendo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento.
  Gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni Dop e Igp sono controllati da istituti, pubblici o privati, designati da questo Ministero, i quali monitorano la certificazione dei suini destinati alla trasformazione, le movimentazioni degli animali lungo tutto la filiera, attraverso dei sistemi di tracciabilità degli animali nonché dei trasformati.
  L'allevatore degli animali destinati all'allevamento applica all'animale il proprio codice e il mese di nascita tramite un timbro indelebile sulla coscia entro 30 giorni dalla nascita. I suini destinati al macello, tramite la certificazione unificata di conformità (Cuc), vengono certificati attraverso i tatuaggi relativi all'allevamento di nascita, alla partita ed al tipo genetico prevalente. La Cuc è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini nel corso della loro vita in allevamenti diversi da quello di nascita. Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone il proprio codice di identificazione (Pp) su ogni coscia, dopo aver accertato che essa possieda i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Tale codice sarà necessario allo stagionatore per identificare e registrare la carne all'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti Dop di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico prenumerato.
  Pertanto, risulta evidente che per i prodotti di qualità le azioni fraudolente hanno margini ridotti e che i sistemi di controllo e di vigilanza adottati offrono valide garanzie per i consumatori.
  Per ciò che concerne il sistema di tutela del
made in Italy e l'anti-contraffazione, mi preme anche ricordare che l'articolo 4, comma 49, della legge n. 350 del 2003 prevede anche il divieto dell'uso ingannevole «di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana» allorché ciò non risulti conforme a verità, con conseguente applicabilità dell'articolo 517 del codice penale.
  Rimane la possibilità legittima, ai sensi del codice unico doganale europeo (Regolamento (UE) n. 2913/92), di produrre con materia prima importata da Stati esteri, ma garantendo al consumatore la trasparente informazione sulla provenienza della materia utilizzata e quindi sull'origine del prodotto finale.
  I controlli per la tutela e la riconoscibilità del
made in Italy sono, pertanto, svolti in tutte le fasi della filiera produttiva secondo quanto stabilito dalle disposizioni nazionali ed europee.
  L'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf) è l'autorità nazionale specificatamente impegnata a garantire l'efficacia
delle azioni volte a difendere la qualità e l'identità dei nostri prodotti e che, a tal fine, collabora strettamente con l'Agenzia delle dogane e le capitanerie di porto, per migliorare l'attività di monitoraggio dei flussi d'introduzione dei prodotti agroalimentari provenienti da Paesi terzi ed evitare fraudolente commercializzazioni di alimenti falsamente dichiarati «italiani» sul territorio nazionale.
  Data l'ampiezza delle varianti fraudolente nel settore agroalimentare, l'impegno nell'attività e la condivisione di banche dati è sempre più in rete interforze. A livello nazionale, infatti, oltre alle istituzioni già segnalate, opera con costante efficacia a tutela dei consumatori anche il comando carabinieri politiche agricole e alimentari (Nac – nuclei antifrodi carabinieri) con attività di riscontro effettuate sulla rintracciabilità dei lotti di produzione e con analisi di laboratorio e, sin dai primi mesi del 2012, è stato implementato anche il coinvolgimento del Corpo forestale dello Stato in una vera e propria campagna di monitoraggio ed intervento a tutela del
made in Italy.
  Attraverso i comandi territoriali dei vari corpi ispettivi e di polizia vengono verificati i prodotti appartenenti a tutte le filiere alimentari – tra cui i prodotti lattiero- caseari, i diversi tipi di prosciutti crudi e stagionati, pasta, olio, olive, grappe – che appongono la dicitura
made in Italy o richiamano esplicitamente l'origine nazionale, rilevando le fattispecie di falsa o fallace indicazione.
  Inoltre, sul fronte internazionale, sono state attivate le procedure di cooperazione internazionale di polizia sulle reti Interpol ed Europol.
  L'obiettivo complessivo è garantire sui mercati nazionali ed esteri le condizioni di conoscibilità delle filiere e di tracciabilità degli alimenti, basandosi sulla considerazione che i valori alimentari, territoriali, ambientali, culturali del
made in Italy rappresentano un bene collettivo dell'Italia da valorizzare e difendere in modo specifico e diversificato rispetto agli altri settori manifatturieri sia a beneficio dei consumatori che a vantaggio della competitività dei nostri produttori.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali
Maurizio Martina.

   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella mattinata di domenica 15 settembre 2013 il signor Giovanni Borriello — al fine di partecipare alla processione della Madonna dell'Arco — è uscito dalla sua casa di San Giovanni a Teduccio (Na) senza farvi più ritorno;
   i familiari molto preoccupati, soprattutto alla luce delle precarie condizioni di salute del signor Borriello che lo rendono bisognoso di cure, si sono subito dati da fare per le ricerche, denunciando la scomparsa alle forze dell'ordine, tappezzando le vie della zona con manifestini recanti la foto del congiunto e rivolgendosi alla trasmissione televisiva «Chi l'ha visto ?» in onda il mercoledì sera su Rai Tre;
   nella puntata di mercoledì 18 settembre la conduttrice Federica Sciarelli lancia un appello finalizzato al ritrovamento del signor Borriello;
   a tale appello risponde nel corso della trasmissione televisiva una signora, la quale nel frattempo, intorno alle ore 20, aveva intercettato il signor Borriello in un quartiere di Napoli e, essendosi resa conto che si trattava di una persona bisognosa di aiuto, lo aveva rifocillato e consegnato intorno alle ore 21 alle forze dell'ordine affinché lo conducessero presso la sua abitazione;
   intorno alle ore 23 della stessa serata, i vicini di casa del signor Borriello — di ritorno dallo stadio San Paolo ove si era svolta una importante partita di calcio — incontrano lo scomparso a circa 800 metri dal Molo Beverello. Dopo averlo riconosciuto, lo accompagnano a casa, dove nel frattempo i familiari attendevano che le forze dell'ordine arrivassero col signor Borriello;
   nel frattempo, sopraggiungeva presso l'abitazione del signor Borriello una seconda pattuglia inviata dalla redazione di «Chi l'ha visto ?». Tale pattuglia avrebbe così avuto modo di raccogliere una denuncia concernente l'increscioso episodio descritto;
   da quanto esposto, non è comunque chiaro per quale motivo il signor Borriello, affidato alle forze dell'ordine alle ore 21 da una cittadina, vagasse alle ore 23 circa solo e claudicante per le vie del centro di Napoli –:
   quali siano le informazioni in possesso del Ministro interrogato su che cosa sia successo tra le ore 21 e le ore 23 di mercoledì 18 settembre 2013;
   se il Ministro interrogato non intenda fare chiarezza sulla vicenda eventualmente avviando gli opportuni procedimenti disciplinari e sanzionare le eventuali responsabilità. (4-01999)

  Risposta. — Il 18 settembre 2013, alle 21,15 circa, una telefonata pervenuta al servizio 113 ha segnalato la presenza di una persona in stato confusionale e priva di documenti, nel quartiere Posillipo a Napoli. Il personale della questura intervenuto sul posto ha trovato un uomo anziano, apparentemente lucido e in buono stato di salute, sebbene in condizioni igieniche precarie. L'anziano, mostratosi subito collaborativo, ha riferito di chiamarsi Giovanni Borriello, di non avere documenti con sé e di risiedere nella zona di San Giovanni, ovvero in un quartiere diametralmente opposto a quello in cui era stato rintracciato.
  A quel punto, il personale della polizia ha fatto salire il signor Borriello sull'auto di servizio, per accompagnarlo al proprio domicilio. Durante il tragitto, però, l'anziano ha manifestato segni di insofferenza e ha chiesto di scendere dall'auto, affermando di non avere bisogno di aiuto e di voler raggiungere autonomamente la propria abitazione; perciò, l'equipaggio ha accolto la sua richiesta, consentendogli di scendere dall'auto.
  Solo alle 22,20 il personale precedentemente intervenuto ha appreso dalla sala operativa che la segnalazione giunta al 113 proveniva da una signora che aveva riconosciuto l'anziano nel corso della trasmissione televisiva «Chi l'ha visto ?». Pertanto, il personale di polizia ha raggiunto l'abitazione del signor Borriello, dove ha ritrovato l'uomo che era stato identificato qualche ora prima nella zona di Posillipo.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Filippo Bubbico.

   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 5 giugno 2013 quattrocento dipendenti dell'acciaieria Ast di Terni, ex Thyssen, hanno partecipato ad una manifestazione autorizzata indetta da tutti i sindacati di categoria, occupando i binari della stazione in segno di protesta per lo smembramento annunciato dalla multinazionale finlandese che l'ha acquisita;
   dopo l'occupazione pacifica della stazione, alla quale hanno partecipato numerosi esponenti politici, in solidarietà con gli operai, sono esplosi scontri con la polizia in cui è rimasto ferito anche il sindaco di Terni, che è stato successivamente medicato in ospedale con due punti di sutura alla testa;
   in uno Stato democratico deve essere sempre garantita la possibilità di manifestare in modo pacifico –:
   se il Ministro non ritenga opportuno condannare i gravi fatti di violenza accaduti a Terni e come intenda intervenire per appurare, per quanto di competenza le responsabilità di quanto accaduto.
(4-00840)

  Risposta. — La vicenda riguardante gli incidenti verificatisi a Terni in occasione della manifestazione degli operai della ex Thyssen, si inquadra in un contesto di grave crisi economica con incidenza e riflessi gravi sull'occupazione; siamo di fronte a temi di grande impatto sociale che provocano sconcerto nei lavoratori che attuano forme di protesta per difendere il proprio posto di lavoro.
  Tutto ciò, provoca situazioni di grande delicatezza per la gestione dell'ordine e la sicurezza pubblica, come avvenuto nel corso della manifestazione del 5 giugno 2013, alla quale hanno partecipato circa 750 lavoratori dell'azienda ex Thyssen.
  I manifestanti, partendo dalla sede dello stabilimento industriale avrebbero dovuto raggiungere, passando per le vie centrali, il viale della Stazione dove ha sede l'ufficio territoriale del Governo per consegnare al prefetto una lettera.
  In realtà il corteo ha proseguito in direzione dello scalo ferroviario forzando il cordone di interdizione, senza incontrare, per intuibili esigenze prudenziali, resistenze da parte delle forze dell'ordine.
  Nei pressi della stazione, alcuni dimostranti davano vita ad un lancio di oggetti contundenti che procuravano lesioni a cinque appartenenti alla Polizia di Stato e ad un militare dell'Arma dei Carabinieri.
  In questo frangente, nel momento di maggior concitazione, il sindaco di Terni veniva colpito al capo con un oggetto contundente che gli procurava lesioni non gravi.
  Grazie alle riprese audiovisive è stato possibile procedere ad una ricostruzione precisa della dinamica dei fatti, dalla quale si evidenzia come il colpo inferto al primo cittadino sia stato dato con un ombrello da uno dei manifestanti, identificato nel giro di poche ore.
  Nel corso della manifestazione le Forze dell'ordine hanno evitato atti di forza e lanci di lacrimogeni limitandosi esclusivamente ad azioni di contenimento.
  In virtù dell'opera di persuasione condotta dai funzionari della questura di Terni i manifestanti sono stati convinti a rimuovere il blocco di alcuni binari e ripristinare lo stato di normalità.
  In simili situazioni, le Forze di polizia cercano di avere sempre un approccio iniziale di mediazione e di dialogo con i manifestanti, per garantire da un lato il diritto di manifestare il proprio dissenso in maniera civile e nel rispetto delle regole e dall'altro quello di preservare la sicurezza della collettività.
  Anche in merito ai fatti di Terni l'esame della documentazione e la visione dei video acquisiti hanno fatto emergere una gestione dell'ordine pubblico improntata a canoni di estrema prudenza ed equilibrio.
  La ricostruzione dei fatti ha dimostrato, inoltre, che il personale delle Forze dell'ordine ha svolto esclusivamente azioni di contenimento a scopo difensivo limitandosi all'uso di scudi e di sfollagente.
  L'attività investigativa ha permesso di identificare e di denunciare in stato di libertà all'autorità giudiziaria cinque manifestanti resisi responsabili, a vario titolo, del reato di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Filippo Bubbico.

   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli esuberi annunciati dalla multinazionale americana Micron, leader mondiale nel settore della microelettronica, hanno messo in stato di forte agitazione i lavoratori dei siti di Agrate Brianza, Catania e Napoli;
   la multinazionale americana occupa in Italia 1.650 dipendenti;
   da tempo è in corso un processo che vede passaggi di consegne verso le sedi statunitensi e la sostanziale diminuzione degli incarichi presso i siti italiani;
   i vertici aziendali in Italia non hanno ancora reso nota la strategia che la multinazionale intende adottare con riferimento ai siti italiani, denunciando essi stessi l'estromissione dai passaggi decisionali dell'azienda statunitense;
   il settore della microelettronica è strategico per il Paese; pertanto le eventuali strategie di ridimensionamento della Micron in Italia avrebbero un forte impatto sull'economia, con particolare riferimento ai territori locali che verrebbero privati di un importante bacino di ricchezza e di occupazione;
   non possono essere sempre i lavoratori a pagare il prezzo della crisi che ha colpito il sistema imprenditoriale del Paese –:
   se il Ministro non ritenga opportuno adoperarsi per favorire una concertazione con la dirigenza americana della Micron, al fine di apprendere quali siano le strategie di sviluppo che l'azienda intenda perseguire in Italia e quali soluzioni siano maggiormente praticabili per salvaguardare l'importante realtà industriale ed occupazionale dei siti italiani. (4-02621)

  Risposta. — Il Ministero dello sviluppo economico segue costantemente le problematiche della società Micron e ne osserva attentamente gli sviluppi.
  Sono stati convocati, infatti, specifici tavoli di confronto per affrontare le problematiche relative alla Micron, come pure di altre aziende in crisi all'interno dello stesso comparto industriale/tecnologico della microelettronica (3SUN e ST Microelettronics) e in particolare gli ultimi incontri si sono svolti il 26 febbraio e il 12 marzo 2014.
  All'incontro del 26 febbraio erano presenti rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, delle regioni Sicilia, Campania e Lombardia, del comune di Catania, di Confindustria Monza, le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali, le rappresentanze sindacali unitarie, alcuni parlamentari e una delegazione di Micron.
  L'incontro ha avuto inizio a seguito di una riunione preliminare ristretta alle organizzazioni sindacali e alle istituzioni, che era stata richiesta dalle organizzazioni sindacali.
  L'azienda ha parlato dei due incontri avuti direttamente con le organizzazioni sindacali a seguito dell'ultima riunione tenutasi al Ministero dello sviluppo economico in data 28 gennaio 2014.
  Nel corso del primo di questi incontri è stato presentato un piano di riorganizzazione in relazione alle prospettive di mercato dei vari siti Micron in Italia.
  Nel corso del secondo è stata presa in considerazione la possibilità di rivedere parzialmente l'impatto sulle risorse occupazionali rispetto alla lettera del 21 gennaio 2014 che annunciava l'inizio delle procedure di mobilità per 419 unità distribuite tra i siti Micron di Agrate Brianza e Vimercate, Arzano, Avezzano e Catania. In particolare, l'azienda ha comunicato che sta cercando di ricollocare alcuni degli esuberi sia in altre aziende Micron all'estero, sia in altre aziende del territorio nazionale dello stesso sistema merceologico di Micron. A questo riguardo sono già stati presi contatti con una azienda del distretto tecnologico di Monza Brianza disponibile a riassorbire alcuni degli esuberi Micron.
  I sindacati, unitariamente, hanno comunicato di non essere soddisfatti del piano prospettato dall'azienda ritenendo che non possa essere considerato come un piano industriale sul futuro delle aziende Micron in Italia. Hanno, quindi, nuovamente richiesto la presentazione di un piano industriale sulle prospettive produttive e occupazionali del gruppo, poiché ci sono dubbi circa la sua permanenza in Italia.
  Le Rsu hanno espresso preoccupazione circa la possibile dispersione all'estero del patrimonio tecnologico e del personale altamente specializzato dei siti italiani di Micron.
  I sindacati, inoltre, hanno chiesto al Governo di contattare il
board Micron negli Stati Uniti e di mantenere un unico tavolo a livello nazionale per trattare non soltanto i problemi immediati riguardanti la mobilità dei 419 lavoratori (che scadono il 7 aprile 2014), ma anche – e soprattutto – il piano industriale di permanenza delle aziende Micron in Italia.
  Durante l'ultimo incontro, tenutosi in data 7 marzo 2014, si sono registrati alcuni passi avanti in merito alle problematiche già esposte. I vertici aziendali hanno, infatti, assicurato la volontà della società di restare in Italia, si sono mostrati propensi a ricorrere agli ammortizzatori sociali e agli
incentivi all'esodo, a ridiscutere il numero degli esuberi e a lavorare a un piano industriale che possa realmente garantire un futuro produttivo e occupazionale ai siti italiani.
  Un'apertura significativa, manifestata dal vicepresidente di Micron, che i rappresentanti sindacali nazionali e territoriali dei metalmeccanici hanno accolto con interesse nel prosieguo dell'incontro.
  Entro fine marzo è già stato calendarizzato un nuovo incontro per iniziare a entrare nel merito del piano industriale di Micron.
  L'obiettivo, promosso dal Ministero dello sviluppo economico, è quello di arrivare in tempi brevi a un accordo definitivo che possa salvaguardare al meglio l'importantissima realtà rappresentata da Micron per il Paese.
  Infine, per quanto concerne il settore della microelettronica in generale, si segnala che si sono tenuti in data 7 marzo 2014 due incontri: quello relativo a tutto il comparto della microelettronica e la prima riunione del tavolo sul settore specifico dei componenti elettronici.
  Durante i due appuntamenti, finalizzati a individuare le politiche di sviluppo più urgenti e adeguate per i comparti interessati, sono stati affrontati i temi di coordinamento con le strategie europee di politica industriale e per la ricerca e sviluppo connesse anche ai Fondi strutturali e ai fondi tematici.
  I lavori del tavolo sulla microelettronica proseguiranno con l'elaborazione di un documento strategico per quanto concerne il comparto in generale, mentre, in materia di componenti elettronici, si è discusso principalmente degli interventi possibili al fine rafforzare la presenza delle piccole e medie imprese del settore rispetto alla possibilità di accedere alle risorse europee, anche attraverso l'accompagnamento alla realizzazione di reti di collaborazione, e della necessità di maggiori controlli sulla qualità dei prodotti importati.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico
Claudio De Vincenti.

   LACQUANITI, LAVAGNO, KRONBICHLER e MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 settembre 2005, un gruppo di tifosi della squadra di calcio del Brescia, in trasferta a Verona, è stato caricato tre volte dalla Celere nella stazione ferroviaria di Verona;
   in tale occasione, sono stati feriti 32 tifosi, tra i quali Paolo Scaroni che, salvato dagli amici, si è rialzato da terra con la testa fracassata, per poi svenire subito dopo;
   alle 19,45 dello stesso giorno Paolo Scaroni è entrato in coma per risvegliarsi soltanto il 30 ottobre, e con un'invalidità permanente del 100 per cento;
   al risveglio ha riferito di essere stato picchiato selvaggiamente da almeno quattro poliziotti della Celere che, con caschi e manganelli impugnati al contrario, lo apostrofavano con l'appellativo di «bastardo»;
   i referti medici hanno confermato che Paolo Scaroni è stato colpito con violenza ripetutamente alla testa;
   da notizie stampa si è appreso che i verbali della polizia apparivano contraddittori e le riprese effettuate durante gli incidenti incomplete, in quanto risultano tagliate proprio poco prima del pestaggio che sarebbe avvenuto in danno di Paolo Scaroni;
   tali gravi anomalie sarebbero emerse grazie alla tenacia della funzionaria di polizia che per prima ha interrogato il tifoso: i filmati dei suoi colleghi, che in teoria avrebbero dovuto contenere le immagini di tutti gli scontri, si interrompono proprio nei minuti in cui Paolo sarebbe stato massacrato. Non solo. Nella versione consegnata ai magistrati è stato tagliato il commento finale di due agenti. «Adesso il questore ci incarna...». «Ascolta, tu prova a guardare subito le immagini di quando il...». Fine del filmato della polizia;
   nel gennaio 2013 gli otto agenti incriminati sono stati assolti dal tribunale di Verona in primo grado: sette di loro per insufficienza di prove, mentre l'ottavo agente, alla guida della camionetta, per non aver commesso il fatto;
   Paolo Scaroni ha presentato ricorso in appello, ma nel frattempo proprio la procura di Verona ha deciso di riaprire il caso per fare luce su quanto accaduto nei dieci minuti di pestaggio che sarebbero stati tagliati nei filmati della polizia e che, qualora fossero rinvenuti, risulterebbero decisivi per accertare le responsabilità –:
   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda riferiti in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda adottare affinché sia fatta piena luce sul caso che ha visto il tifoso Paolo Scaroni riportare un'invalidità permanente solo per essere andato in trasferta per la partita della squadra a cui teneva;
   se, in particolare, intenda adoperarsi affinché sia recuperato integralmente il filmato girato dalla polizia, necessario ad appurare la dinamica dei fatti. (4-02089)

  Risposta. — I fatti esposti dall'interrogante si riferiscono all'incontro di calcio Hellas-Brescia, giocato il 24 settembre 2005 a Verona.
  Durante la partita, considerata ad alto rischio, non si sono verificati incidenti di particolare rilievo, cosa che invece è accaduta nelle ore successive: i problemi sono infatti iniziati a fine partita, con l'arresto di 14
supporters di entrambe le tifoserie, e sono proseguiti per tutto il pomeriggio, in un crescendo caratterizzato da momenti di forte tensione sfociati in violenti scontri tra le Forze dell'ordine e i tifosi.
  Da una sintetica ricostruzione dei fatti risulta che, una volta arrivati alla stazione, i tifosi bresciani avrebbero inscenato una protesta, rifiutandosi di salire sul treno se prima non fossero stati rilasciati i loro compagni trattenuti in stato di fermo; avrebbero quindi messo in atto una serie di azioni di disturbo, provocando l'intervento della polizia.
  Nel corso degli scontri sono rimasti feriti 23 tifosi bresciani; uno di loro ha riportato un trauma cranico che l'ha lasciato in coma per diversi mesi, procurandogli un'invalidità totale.
  In seguito a tali tragici eventi, il giudice per le indagini preliminari, dopo due richieste di archiviazione respinte, ha rinviato a giudizio 8 poliziotti. Lo scorso 18 gennaio, in sede collegiale, il tribunale di Verona, ha assolto tutti gli imputati, uno di loro per non aver commesso il fatto e gli altri sette per insufficienza di prove. La sentenza non risulta ancora definitiva, avendo presentato appello sia il Pubblico Ministero che la parte civile.
  Con lo stesso dispositivo, inoltre, il collegio ha deciso di rinviare gli atti alla Procura della Repubblica, ritenendo necessario svolgere ulteriori indagini per appurare se i video a disposizione della magistratura fossero stati manomessi per impedire una corretta ricostruzione dei fatti.
  Nella fase di accertamento che l'autorità giudiziaria sta svolgendo nell'ambito del procedimento penale in corso, l'amministrazione dell'Interno sta fornendo tutta la collaborazione possibile affinché venga fatta piena luce sul caso segnalato dall'interrogante. In questa direzione, al magistrato incaricato è stata consegnata la documentazione cartacea ed audiovisiva relativa alla vicenda per le conseguenti verifiche in vista delle determinazioni da assumere al riguardo.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Filippo Bubbico.

   MOLEA e ANDREA ROMANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la vertenza Ferretti spa, leader mondiale nella produzione di imbarcazioni di lusso, si è aperta ufficialmente il 23 gennaio 2014 con la presentazione al coordinamento sindacale nazionale di Gruppo (Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil) di un programma di cessazione dell'attività produttiva nel cantiere di Forlì che attualmente occupa circa 200 dipendenti fra diretti e indiretti di produzione;
   il programma è motivato dalla necessità di effettuare riduzioni di costo di carattere strutturale rispetto ad un andamento fortemente negativo del mercato di riferimento (nautica da diporto di lusso) ed un risultato di bilancio 2013 in pesante perdita;
   nel gennaio 2012 Shandong Heavy Industry Group-Weichai Group, società cinese produttrice di scavatrici e trattori, ha rilevato il 58 per cento di Ferretti Group per 374 milioni di euro. Al momento dell'operazione la Ferretti aveva un debito di 600 milioni di euro e la dirigenza è stata riconfermata dai nuovi azionisti;
   nel giugno 2012 il tribunale di Forlì ha omologato per Ferretti spa l'accordo di ristrutturazione del debito, ai sensi dell'articolo 182-bis della legge fallimentare, in base ad un piano di continuazione dell'attività produttiva e di rilancio aziendale;
   nel dicembre 2012 il Gruppo ha presentato al coordinamento sindacale nazionale un piano industriale quinquennale che prevedeva il mantenimento di tutti i siti produttivi (5 per la produzione di imbarcazioni in vetroresina: Forlì, Cattolica (Rimini), Mondolfo (Pesaro), Sarnico (Bergamo) e La Spezia, 1 per l'acciaio: CRN Spa di Ancona) e il progressivo recupero di riequilibrio economico e di fatturato, nonché importanti investimenti sul piano commerciale e produttivo. In particolare, per Forlì veniva confermato anche il progetto di un nuovo stabilimento, previsto da apposito accordo di programma, in zona Ronco;
   il 23 gennaio 2014 e nei due successivi incontri (28 gennaio e 5 febbraio, quest'ultimo alla presenza dei delegati di tutti gli stabilimenti) la direzione Ferretti spa ha manifestato l'intenzione di chiudere progressivamente, dopo venticinque anni di attività produttiva, il sito di Forlì, trasferendo in altri stabilimenti le lavorazioni ivi presenti e circa 150 dipendenti, attualmente in carico a Forlì;
   in particolare, i vertici aziendali hanno proposto il trasferimento incentivato di circa 80 lavoratori a Cattolica (che ha già accorpato San Giovanni in Marignano) e a Mondolfo nelle Marche (che ha sottratto la direzione aziendale proprio a Forlì dove è rimasta la sede del gruppo) e di circa 70 lavoratori a La Spezia, mentre altri 50 dipendenti sarebbero assorbiti tramite una procedura di mobilità incentivata riguardante lavoratori individuati col requisito della «volontarietà» fra tutti i siti del gruppo;
   alla base della cessazione dell'attività nello stabilimento di Forlì vi sarebbe un forte calo delle vendite che non solo sarebbe dovuto al fatto che il settore della nautica continua a risentire in maniera pesante della crisi mondiale, ma sarebbe anche conseguenza delle criticità logistiche: distanza dal mare e da strutture portuali e obsolescenza infrastrutturale (non a caso era stato pianificato il nuovo stabilimento), nonché delle tipologie di prodotto: le imbarcazioni più grandi vengono realizzate altrove e nel sito di Forlì sono prodotte solo quelle di dimensioni ridotte (fino a 74 piedi) che appaiono attualmente le più penalizzate dal mercato;
   la società ha precisato che «gli altri siti sono più flessibili e in grado di recepire il carico di lavoro oggi assegnato a Forlì, incrementando il livello globale di efficienza. Proprio a Forlì è concentrata l'attività produttiva delle imbarcazioni di piccola taglia, inferiore ai 74 piedi, segmento di mercato che ha maggiormente risentito della crisi mondiale. Lo stabilimento non è adatto alla produzione di imbarcazioni di dimensione maggiore». Per questo motivo l'azienda ha deciso di sacrificare il sito forlivese in un «percorso di contenimento dei costi fissi e di struttura finalizzato a salvaguardare il futuro del gruppo»;
   in un comunicato dello scorso mese i vertici dell'azienda hanno confermato che «sono in programma incontri con le organizzazioni sindacali volti a individuare soluzioni idonee a fronteggiare efficacemente il perdurare dell'attuale scenario
macroeconomico negativo, con particolare riferimento al settore nautico, che determina il permanere di un eccesso di capacità produttiva rispetto alla domanda e un insostenibile squilibrio nei costi industriali della Ferretti group con pesanti ricadute sulla competitività aziendale. Alla luce dell'attuale contesto di mercato, quindi, il futuro stesso di Ferretti group nel nostro Paese dipende dalla capacità di efficientare il proprio assetto produttivo»;
   nei piani della società vi è quindi la volontà di mettere in atto interventi strutturali miranti ad ottimizzare le produzioni e a rivedere i costi, e pertanto la chiusura del sito produttivo forlivese, il cui assetto è ritenuto non efficiente e la capacità doppia rispetto alle quantità effettivamente prodotte (in particolare per la produzione in vetroresina), è funzionale a questo progetto;
   il risparmio valutato dall'azienda sull'operazione è di circa 4,5 milioni di euro a regime, di cui 3 sul personale e 1,5 sui costi fissi di struttura;
   le organizzazioni sindacali ritengono poco convincenti i dati presentati dall'azienda, in quanto i risparmi si otterrebbero solo a regime e tra qualche anno, mentre l'ultimo esercizio si è chiuso con un passivo di 35 milioni. I sindacati sostengono che «c’è un'evidente sproporzione tra gli obiettivi economici in termini di riduzione dei costi e risparmi effettivi (nel 2014 non oltre i 2 milioni di euro) e le conseguenze sociali e occupazionali. Sono ancora numerose le attività effettuate all'esterno o affidate in appalto: avrebbe senso concentrare alcune di queste lavorazioni a Forlì»; inoltre, in una nota Fillea Cgil–Filca Cisl–Fenal Uil del Coordinamento nazionale Gruppo Ferretti sottolineano che «le ragioni portate dall'azienda a supporto del proprio piano di ristrutturazione sono da subito apparse deboli ed inadeguate ad affrontare le conseguenze della crisi del settore – ricordano considerando che si metteva in discussione uno dei poli produttivi e professionali di qualità senza, peraltro, garantire investimenti sugli altri cantieri»;
   a tal fine le organizzazioni sindacali hanno proposto il ricorso agli ammortizzatori sociali e l'utilizzo di strumenti «che consentono di gestire senza soluzioni traumatiche l'attuale difficoltà; la Cigs a disposizione per tutti i lavoratori diretti e indiretti del gruppo, la procedura di mobilità volontaria non ancora esaurita, disponibilità all'esodo volontario, altri ammortizzatori sociali»;
   la volontà manifestata dalla direzione del Gruppo Ferretti di procedere alla chiusura dello stabilimento produttivo forlivese e l'annuncio di un cambio di strategia motivato da difficoltà di mercato e dalla necessità di ridurre i costi a fronte di un calo degli ordinativi e quindi della produzione «è inaccettabile anche per l'amministrazione comunale di Forlì, dal momento che in questo modo si vanificherebbero tutti gli sforzi che la comunità ha messo in campo per dare risposte alle esigenze del gruppo Ferretti, a partire dall'Accordo di programma approvato nella precedente legislatura e alle modifiche introdotte nei percorsi formativi per consentire il reperimento delle professionalità richieste dalla filiera produttiva nautica che reclamava una massima attenzione includendo investitori cinesi»;
   l'accordo di programma, firmato nel maggio 2005 tra il comune di Forlì, la provincia e il gruppo Ferretti, che avrebbe dovuto trasferire l'attività produttiva dello stabilimento forlivese nella nuova area del Ronco, non è mai stato attuato e il comune di Forlì starebbe valutando se ricorrono gli estremi di interesse pubblico per far valere il diritto di revoca dell'Accordo, con il ritorno dell'area alla destinazione d'uso originaria, cioè agricola se per la parte riguardante la realizzazione dello stabilimento e le relative ricadute occupazionali non venisse attuato;
   eppure, come sostiene il comune, «poco più di un anno fa la direzione Ferretti confermava la volontà di mantenere il sito produttivo per l'alto livello sul territorio, anche nell'indotto delle Pmi contoterziste, evidenziando la volontà di
potenziare anche la funzione direzionale e strategica di quella realtà»;
   la proprietà straniera, a fronte di rilievi relativi alla obsolescenza degli impianti e difficoltà di bilancio del settore in crisi, avrebbe deciso di chiudere lo stabilimento forlivese, sebbene solo quattro anni fa Forlì fosse un punto di riferimento mondiale del settore e lo stabilimento forlivese fosse quello con i migliori risultati di efficienza e marginalità del Gruppo;
   dopo varie settimane di scioperi, proteste, mobilitazioni e incontri tra istituzioni, vertici dell'azienda, sindacati e lavoratori, nelle scorse settimane è stato concordato di salvare lo stabilimento forlivese del gruppo Ferretti;
   l'accordo sottoscritto il 18 febbraio 2014 nella sede del Ministero per lo sviluppo economico a Roma fra dirigenti del gruppo Ferretti, rappresentanti dei sindacati e istituzioni, e ratificato il giorno seguente dall'assemblea sindacale dei lavoratori, impegna l'azienda a mantenere tutti i siti produttivi italiani (Forlì, Cattolica, Mondolfo, Sarnico, La Spezia) e a garantire la loro funzionalità e produzione per quattro anni;
   l'intesa, che ha durata fino al 31 dicembre 2017, prevede inoltre l'attivazione degli ammortizzatori sociali alla scadenza della cassa integrazione guadagni straordinari in atto per fronteggiare l'attuale calo di ordinativi; gli esuberi saranno gestiti attivando una procedura di mobilità volontaria («non oppositiva») e incentivata per 50 lavoratori nel gruppo: 20 unità di personale in produzione a Forlì (diretti) e 30 unità di personale di staff in tutto il gruppo (indiretti);
   l'accordo prevede altresì l'introduzione, in via sperimentale, per i soli lavoratori del sito forlivese, di un orario di lavoro multiperiodale secondo la disciplina specifica prevista dal contratto nazionale: si tratta di una programmazione annuale che permette di lavorare più ore settimanali nei periodi di maggiore esigenza, recuperando successivamente, a seconda della necessità della produzione;
   nell'ambito dell'intesa raggiunta, sarà rinnovato entro il 30 aprile 2014, per una durata di quattro anni, il contratto integrativo aziendale e sarà modificato, fermo restando l'importo massimo annuale raggiungibile, il parametro del premio di risultato legato alla redditività che passerà dal 20 per cento al 47 per cento del totale. Azienda e sindacati attiveranno altri confronti tecnici per stabilire le modalità attraverso le quali consentire al gruppo Ferretti di ottenere una riduzione strutturale dei costi di 4,6 milioni. Al Ministero dello sviluppo economico spetta la supervisione dell'intesa per monitorare che tutti i punti sottoscritti vengano rispettati, con una verifica trimestrale delle prospettive industriali ed economiche di Ferretti spa;
   parte integrante dell'accordo è anche la valorizzazione del prodotto, attraverso scuole di formazione e ricerca, e a tal fine Ministero e regione si attiveranno per agevolare processi di innovazione di processo e di prodotto; in particolare, la regione si è impegnata ad emanare a breve bandi su progetti di ricerca industriale strategica;
   il comune di Forlì si è invece impegnato a verificare la possibilità di un allungamento dei termini dell'accordo di programma per la costruzione di un nuovo stabilimento in area Ronco;
   l'accordo sottoscritto nelle scorse settimane è importante non solo per la salvaguardia dei posti di lavoro per i dipendenti direttamente occupati dalla multinazionale, e in particolare dallo stabilimento forlivese, ma anche per quelli dell'indotto nel territorio, pari ad almeno 2.000 unità produttive, che, a vario titolo, collaborano con il colosso della nautica e sono in grado di garantire una produzione eccellente anche a livello internazionale, mostrando sempre competenza e professionalità nei confronti della committenza;
   oltre all'alta qualità dell'intero comparto nautico forlivese, non va altresì
dimenticato il fatto, non usuale, di poter contare sulla presenza a Forlì dell'università e di centri per l'innovazione in grado di garantire il supporto tecnologico per i progetti di sviluppo del settore –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, in stretta connessione con la regione e il comune, per monitorare la puntuale applicazione degli impegni assunti, affinché siano rispettati i termini dell'accordo di programma raggiunto, necessario per salvaguardare l'occupazione e le prospettive industriali non solo dello stabilimento di Forlì, ma anche di tutto il gruppo Ferretti, nonché per tutelare una realtà produttiva così rilevante nel panorama economico italiano e mondiale;
   quali ulteriori azioni abbia intenzione di attuare per garantire il mantenimento di una storia e di una competenza e professionalità in campo nautico che da almeno quarant'anni caratterizzano il gruppo Ferretti anche all'estero e, in particolare, per scongiurare lo smantellamento della produzione nel sito forlivese, dal momento che la deindustrializzazione di un territorio trascina con sé gravi conseguenze sul piano economico, produttivo, sociale e culturale dell'intera provincia;
   se sia possibile prolungare i termini dell'accordo di programma al fine di consentire anche l'attuazione di importanti investimenti sul piano commerciale e produttivo, tenuto conto pure del fatto che la stessa regione si è impegnata ad emanare a breve bandi sulla progettazione, e in particolare per permettere la costruzione del nuovo stabilimento di Forlì in zona Ronco, necessario a fronteggiare le criticità di obsolescenza infrastrutturale dell'attuale sito forlivese;
   quali siano le soluzioni idonee per fronteggiare efficacemente il perdurare della crisi del settore nautico, che determina il permanere di un eccesso di capacità produttiva rispetto alla domanda e, un insostenibile squilibrio nei costi industriali delle imprese del settore, con pesanti ricadute sulla competitività aziendale.
(4-04015)

  Risposta. — Il Ministero dello sviluppo economico segue costantemente le problematiche della società Ferretti e ne osserva attentamente gli sviluppi.
  Presso il Ministero dello sviluppo economico si sono svolti numerosi incontri con tutte le parti interessate per ricercare una soluzione alla annunciata cessazione di attività presso il cantiere di Forlì.
  Al termine di questi incontri è stato possibile stipulare lo scorso 18 febbraio un accordo tra le parti sociali ed istituzionali relativo alle prospettive del gruppo Ferretti per la durata di quattro anni.
  È un'intesa importante poiché sancisce il permanere in attività di tutti i cantieri italiani del gruppo Ferretti. Ciò è stato possibile per un concorso di interventi che consentiranno alla azienda di raggiungere il necessario equilibrio economico di medio-lungo periodo. Fra le azioni previste, sono da richiamare soprattutto il sostegno pubblico a investimenti con elevato contenuto di innovazione organizzativa e tecnologica, oltre al concorso solidale dei lavoratori del gruppo che hanno condiviso interventi migliorativi della efficienza e produttività tali da consentire il recupero delle eccedenze dichiarate dalla azienda.
  Con l'accordo è stato possibile superare la procedura di mobilità che avrebbe comportato l'espulsione di oltre 100 lavoratori dal gruppo Ferretti.
  L'accordo prevede, inoltre, un monitoraggio continuo delle prospettive economico-industriali della società Ferretti da svolgersi presso il Ministero dello sviluppo economico e da compiersi con cadenza trimestrale o su richiesta di una delle parti. In tale ambito, sarà effettuata la verifica delle prospettive industriali ed economiche della società Ferretti con una particolare attenzione alla sua collocazione all'interno della cantieristica da diporto.
  Sul fronte occupazionale, per consentire il riequilibrio strutturale del rapporto tra lavoratori diretti e lavoratori indiretti, sarà attivata una procedura di mobilità non oppositiva per un numero di 30 (trenta) unità lavorative operanti nelle attività di staff (lavoro indiretto). La procedura sarà attivata con intesa tra le parti entro il 30
maggio 2014. Nell'ambito di tale procedura di mobilità saranno, inoltre, previste ulteriori 20 unità di personale diretto.
  Presso il sito di Forlì sarà, anche, attivata in via sperimentale l'introduzione di orario multi periodale, secondo quanto previsto dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro legno industria.
  Nell'ambito dell'utilizzo degli ammortizzatori sociali disponibili, è stato altresì concordato che saranno avviati alla scadenza della cassa integrazione guadagni straordinaria in atto, ulteriori ammortizzatori sociali che consentiranno la gestione delle problematiche organizzative e di ristrutturazione previste. In questo quadro i criteri attuativi saranno oggetto di confronto con le organizzazioni sindacali.
  In tal senso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per quanto di propria competenza, ha informato che proprio decreto dell'11 novembre 2013 è stata autorizzata per Ferretti spa, la corresponsione del trattamento di integrazione salariale straordinaria in favore dei lavoratori dipendenti per il periodo ricompreso dal 3 giugno 2013 al 2 giugno 2014, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 3 della legge n. 223/91. Tale trattamento è stato riconosciuto a seguito dell'omologazione da parte del Tribunale di Forlì dell'accordo di ristrutturazione del debito ai sensi dell'articolo 182-
bis della legge fallimentare.
  Le sospensioni programmate dalla società coinvolgono lavoratori delle diverse sedi della stessa. In particolare il trattamento è riconosciuto per un massimo di 265 lavoratori della sede di Cattolica (Rimini), 115 di La Spezia, 282 di Mondolfo (Pesaro), 8 di Cesenatico, 385 di Forlì e 131 di Sarnico (Bergamo).
  Le Istituzioni, al fine di rafforzare il consolidamento della struttura produttiva qui definita, nonché le prospettive di sviluppo annunciate dalla società Ferretti, hanno assunto impegni specifici.
  Il comune di Forlì nella prospettiva di un accordo quadriennale, volto a conservare l'integrità dei siti produttivi del gruppo, si è impegnato a rivedere entro aprile, l'accordo di programma dell'area Ronco, previo consenso del consiglio di vigilanza, onde procrastinare fino allo scadere del quadriennio, la possibilità di intervento edilizio del gruppo Ferretti. Tale misura s'inquadra nell'auspicata prospettiva di un rilancio produttivo del sito, pur tuttavia il comune si è riservato la facoltà che tale eventualità è strettamente collegata al rispetto di tutti gli altri punti dell'Accordo.
  Nell'ambito della propria programmazione regionale del POR FESR 2014-2020, che verrà approvata dalla Regione Emilia-Romagna entro l'estate, saranno emessi bandi di ricerca industriale strategica, realizzati da Partenariati e Laboratori di ricerca/Imprese. In questo quadro, si sosterranno progetti di ricerca, in cui i laboratori di ricerca della rete alta tecnologia dell'Emilia-Romagna, da soli o in piccoli aggregati, presenteranno progetti finalizzati a risultati di ricerca industriale innovativi con la partecipazione/condivisione di imprese interessate.
  Il Ministero dello sviluppo economico oltre alla responsabilità di monitoraggio, si è impegnato a supportare, nel rispetto della normativa vigente in materia di sostegno agli investimenti industriali, progetti di innovazione di prodotto e di processo che l'azienda intenderà presentare nell'ambito delle procedure in essere.
  Il prossimo incontro è fissato per il giorno 14 del mese di aprile 2014.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico
Claudio De Vincenti.

   NACCARATO, MIOTTO, NARDUOLO e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra domenica 23 e lunedì 24 giugno 2013 attorno alla sede della Sinagoga nell'antico Ghetto di Padova sono comparse scritte antisemite, croci celtiche, svastiche e il simbolo dell'organizzazione di estrema destra Terza Posizione;
   proprio di fronte all'ingresso della Sinagoga in via delle Piazze è stata ritrovata la svastica più grande mentre le altre scritte sono situate in via San Martino e Solferino e via Marsala;
   l'amministrazione comunale, le associazioni padovane, le forze politiche democratiche e la cittadinanza hanno reagito con indignazione di fronte a questo gesto vile che insulta la memoria delle vittime della Shoah, la comunità ebraica padovana e tutti i cittadini di Padova;
   la comunità padovana, dove sono radicati i valori della democrazia e dell'antifascismo, è caratterizzata da continue e sistematiche iniziative per favorire la tolleranza, l'accoglienza e l'integrazione;
   i gruppi che hanno sporcato i muri di Padova con scritte antisemite, croci celtiche e svastiche intendono divulgare e propagandare l'ideologia nazi-fascista ed effettuare un'azione di apologia dei crimini compiuti dai regimi nazista e fascista;
   è necessario reagire con determinazione per prevenire e contrastare le azioni dei gruppi estremisti che svolgono attività illegali di diffusione dell'ideologia nazi-fascisti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   quali iniziative di propria competenza intenda adottare per condannare il gesto e reagire insieme a Padova all'insulto verso la comunità ebraica e la cittadinanza tutta;
   quali provvedimenti intenda adottare per favorire per quanto di competenza l'individuazione dei responsabili delle azioni illegali sopra descritte. (4-01039)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante è attentamente seguita da questa amministrazione che per contrastare ogni forma di discriminazione razziale ha istituito nel 2010, presso il dipartimento della pubblica sicurezza, l'osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD).
  L'osservatorio risponde operativamente alla domanda di sicurezza delle persone a rischio di discriminazione mettendo a «sistema» le attività svolte sia dalla Polizia di Stato che dall'Arma dei Carabinieri.
  La struttura si propone, con la sua attività, di offrire non soltanto uno spaccato conoscitivo sull'eterogeneo mondo delle discriminazioni in genere, ma anche di fungere da collettore generale delle segnalazioni provenienti da tutte le fonti esterne che richiedono interventi mirati da parte degli organi info-investigativi che operano sul territorio nazionale.
  Ciò premesso, nella mattinata del 25 giugno scorso personale della questura di Padova impegnato nei servizi quotidiani di osservazione e vigilanza ha rilevato in alcune vie del centro cittadino scritte e simboli riconducibili ai movimenti di estrema destra.
  Tali strade sono tutte adiacenti alla sede della locale comunità ebraica ove è anche ubicata la sinagoga.
  La Digos ha immediatamente avviato le indagini per individuare gli autori di tali gesti. Tuttavia la visione dei filmati delle telecamere installate nella zona interessata non ha fornito utili riscontri.
  Si precisa, comunque, che a seguito della vicenda è stata intensificata l'attività di monitoraggio dei locali gruppi e sodalizi appartenenti all'estrema destra e intensificati i controlli di vigilanza nei pressi della Sinagoga specie nei giorni delle funzioni e durante le ricorrenze ebraiche.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Filippo Bubbico.

   NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a metà luglio del 2013 il giornalista Alberto Nerazzini ha subito un anomalo furto da parte di ignoti, nella sua casa sulle colline bolognesi;
   l'anomalia del furto è consentito nell'asportazione solo dei personal computer e di materiali per il montaggio video di interviste e servizi, mentre altri beni di valore non sono stati prelevati e analoga attrezzatura video del coinquilino non risulta sottratta dall'abitazione;
   l'anomalia di detto furto sembra apparire piuttosto come una grave forma di intimidazione;
   già nel 2002 Alberto Nerazzini aveva subito un anomalo incendio della propria abitazione a Roma;
   da anni Nerazzini è noto come giornalista coraggioso nella denuncia di misfatti del crimine organizzato;
   di recente Nerazzini è stato in Calabria, a Locri, a seguire un delicato processo di ’ndrangheta, effettuando interviste e riprese anche in aula;
   negli ultimi giorni di giugno, in prima serata la televisione pubblica canadese (trasmissione «Enquete») aveva mandato un'inchiesta sulle ramificazioni della ’ndrangheta in Canada, realizzata da un pool di giornalisti canadesi in collaborazione con Nerazzini;
   il suddetto lavoro giornalistico aveva avuto vasto risalto su giornali nazionali, come il Toronto Star, e sui telegiornali, suscitando largo scalpore a Toronto;
   uno degli obiettivi della suddetta inchiesta era quello di sottolineare il radicamento della ’ndrangheta nella regione di Toronto, sottovalutato dai media e dagli inquirenti, a differenza del Québec dove il Governo ha recentemente creato la Commissione d'inchiesta Charbonneau sull'infiltrazione della mafia italiana negli appalti pubblici;
   sul Toronto News, il 28 giugno 2013 si è data a Nerazzini notorietà per la ricostruzione della carriera di Giuseppe Bruzzese, arrestato nel 2011 per associazione mafiosa, tanto che il sottotitolo del giornale era, testualmente: «Trial of Thunder Bay's Giuseppe Bruzzese for alleged “Mafia association” highlights reach of ’Ndrangheta organized crime clan»;
   l'insediamento della ’ndrangheta in Canada è documentato da anni dagli inquirenti locali e, proprio agli inizi di luglio del 2013, sono tornate in auge le lotte di sangue tra bande malavitose calabresi, con l'omicidio di Salvatore Calautti, di cui hanno parlato a lungo tutti i giornali e le televisioni canadesi –:
   se il Ministro intenda dare luogo ad attività volte a garantire l'incolumità del giornalista Nerazzini e la sua possibilità di continuare a lavorare in una materia così delicata come il giornalismo d'inchiesta sul crimine organizzato anche transnazionale;
   se il Ministro intenda disporre monitoraggi più efficaci del territorio della provincia bolognese, dove di anno in anno la ’ndrangheta sta acquisendo spazi sempre più rilevanti nell'economia e nel controllo del territorio. (4-01597)

  Risposta. — La notte del 14 luglio 2013 a Bologna si è consumato un furto presso l'abitazione di un giornalista della redazione della trasmissione televisiva rai 3 «Report».
  In sede di denuncia il giornalista ha dichiarato alle autorità di pubblica sicurezza che al suo rientro nella propria abitazione riscontrava una forzatura alla finestra dalla quale ignoti si erano introdotti sottraendo materiale elettronico di vario genere. In particolare è stato sottratto un computer che conteneva dati sensibili relativi ad inchieste condotte dallo stesso giornalista sulla criminalità organizzata e altre tematiche su varie inchieste condotte non solo per la serie autunnale della trasmissione «Report» ma anche per la televisione canadese.
  Sull'episodio le Forze di polizia hanno riservato particolare attenzione, infatti le attività investigative si sono sviluppate su vari fronti senza escludere l'ipotesi di un possibile gesto intimidatorio di tipo mafioso.
  A tal fine si è ritenuto opportuno attivare misure di vigilanza nei confronti del giornalista.
  Si rappresenta, comunque, che seppur nella provincia di Bologna non si evidenzi la presenza di strutture criminali in grado di esercitare forme pervasive di controllo del territorio, né un radicamento di organizzazioni criminali di tipo mafioso, negli ultimi tempi la criminalità organizzata ha diretto la sua attenzione per lo più verso i
settori economico-finanziari, in particolare verso l'acquisizione e la gestione di attività commerciali.
  Su questi specifici fenomeni resta costate l'attenzione delle Forze dell'ordine che quotidianamente svolgono in tutto il territorio dell'Emilia Romagna un'azione di monitoraggio delle possibili infiltrazioni mafiose all'interno del tessuto produttivo locale, anche con particolare riguardo all'opera di ricostruzione conseguente agli eventi sismici che hanno colpito la regione Emilia nel maggio 2012.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Filippo Bubbico.

   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   domenica 30 giugno 2013 il giovane agricoltore, Emanuele Feltri, è stato oggetto di un atto intimidatorio con l'abbattimento, ad opera di ignoti, del proprio gregge nelle campagne del comune di Paternò (Catania);
   l'atto intimidatorio in questione potrebbe ritenersi in correlazione con l'attività di Emanuele Feltri a tutela dell'area della «valle del Simeto», sito di interesse comunitario, SIC, lasciato in stato di degrado ed abbandono, a causa degli scarichi illegali nel fiume, della presenza di numerose discariche abusive, contenenti materiali inquinanti altamente pericolosi. Inoltre, appare plausibile, a parere dell'interrogante, la volontà di impedire la rinascita dell'area, che negli anni si è distinta anche per fenomeni di sfruttamento del lavoro irregolare;
   gli operatori economici dell'area lamentano, da tempo, una scarsità di vigilanza e controllo della «valle del Simeto», per quanto riguarda, nel dettaglio, il contrasto a forme di sfruttamento dei lavoratori extracomunitari e alla presenza di discariche abusive;
   da tempo, gli imprenditori agricoli della zona, le aziende agroturistiche e le associazioni ambientaliste, come l'associazione «Vivi Simeto», chiedono interventi urgenti e concreti per la salvaguardia dell'area della «Valle del Simeto» e un programma di bonifica e riqualificazione dell'area;
   l'area in questione, nonostante numerose richieste e solleciti, risulta attualmente ancora non collegata con la rete elettrica, nonché carente, se non addirittura assente, della manutenzione viaria rendendo, di fatto, difficoltosa la logistica dell'attività imprenditoriale rispetto alla produzione dei prodotti agroalimentari e, conseguente, commercializzazione;
   negli ultimi anni, la consapevolezza della necessità di preservare l'area e la ripresa dell'attività agricola e della pastorizia, hanno consentito un aumento dell'attenzione della comunità locale sul tema, attenzione culminata con numerose iniziative di sensibilizzazione e di campagne, su base volontaria, con il contributo delle autorità comunali, per contrastare l'inquinamento e la devastazione dell'area –:
   quali interventi urgenti il Ministro dell'interno intenda intraprendere al fine di garantire l'incolumità del signor Emanuele Feltri, sia personale che dell'attività economica ad esso corrispondente;
   quali iniziative immediate il Ministro dell'interno intenda adottare per attuare misure concrete di vigilanza e controllo dell'area in questione;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano porre in essere, per quanto di competenza, per garantire la tutela dell'area della «valle del Simeto», sito di interesse comunitario, nonché per supportare l'azione di tutela e bonifica intrapresa dalle autorità locali e dalle associazioni ambientaliste. (4-01170)

  Risposta. — Il 1o luglio 2013, Emanuele Feltri, un giovane coltivatore diretto proprietario di un fondo rurale sito nel comune di Paterno, in provincia di Catania, ha presentato una denuncia alla locale stazione carabinieri per aver subito, nella notte tra il 29 e il 30 giugno, l'uccisione di quattro pecore di sua proprietà mediante esplosione di colpi d'arma da caccia. Nell'occasione, una delle pecore era stata decapitata e la testa posta davanti la porta d'ingresso di un fabbricato agricolo.
  L'uomo, in sede di denuncia, nel riferire di aver bruciato le carcasse degli animali senza documentare quanto accaduto, ha dichiarato un danno economico di circa 400 euro e di non essere coperto da assicurazione.
  Il successivo 11 luglio, lo stesso allevatore ha denunciato presso la citata stazione dei carabinieri di aver trovato sul proprio fondo agricolo una pecora morta, con un taglio all'addome e ferite alla testa.
  Tali episodi sarebbero riconducibili al fatto che l'allevatore ha più volte richiamato, anche attraverso gli organi di stampa, l'attenzione dell'opinione pubblica sullo stato di degrado ambientale dell'Oasi Valle del Simeto. Inoltre, con iniziative di carattere personale – quali la chiusura della strada con una barra di ferro – lo stesso ha tentato di impedire l'accesso che conduce a discariche abusive. Questo gli ha procurato liti con il vicinato, in particolare con alcuni nomadi rumeni di etnia «rom».
  Il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica ha esaminato la situazione della sicurezza personale del signor Feltri, assumendo immediatamente idonee misure di tutela.
  I locali comandi dell'Arma dei carabinieri, nonostante le impervie condizioni della località interessata, hanno da subito intensificato i servizi di vigilanza e controllo di quel territorio, provvedendo comunque ad informare sull'attività investigativa svolta la competente autorità giudiziaria.
  È stato infine sensibilizzato il corpo forestale dello Stato alla vigilanza della zona protetta del Simeto, per reprimere le gravi e persistenti violazioni ambientali che interessano quell'area.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Filippo Bubbico.

   PALAZZOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   agli inizi degli anni 2000, nella provincia di Catania, si è realizzato un sistema industriale dalle tecnologie avanzate, avente come attore principale la ST Microelectronics. Secondo il piano iniziale, il polo avrebbe occupato più di 4.000 persone, prevedendo la costruzione di ulteriori moduli;
   oggi si assiste ad un lento, ma costante, depotenziamento dell'insediamento industriale di ST Microelectronics a Catania. Tale situazione è determinata da una politica industriale del gruppo ST Microelectronics, che sceglie strategicamente di ridurre gli investimenti sul polo siciliano;
   un'analoga situazione si è verificata, negli anni scorsi, in Francia, dove, piuttosto che licenziare e/o peggiorare le condizioni dei lavoratori, si è deciso di cogliere l'opportunità, offerta dall'Unione europea, che ha individuato nell'industria dei semiconduttori un settore strategico da rilanciare e sostenere, portando, proprio in Francia, la produzione di microchip al 20 per cento della produzione mondiale;
   il Governo intende mettere in vendita le quote in suo possesso della ST Microelectronics. Tale decisione inciderebbe fortemente sulla produttività del sito catanese, già fortemente pregiudicato, e andrebbe a colpire ulteriormente il tessuto produttivo siciliano, che versa in un grave stato di depressione, oltre all'aver già causato un forte peggioramento dell'andamento in borsa della stessa società –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che la eventuale cessione delle quote in possesso dello Stato italiano possa favorire la produzione francese, creando le condizioni affinché ST Microelectronics possa ritenere non più conveniente la produzione in Italia;
   se non intenda promuovere azioni volte al rilancio dello stabilimento catanese di ST Microelectronics, piuttosto che procedere alla dismissione delle quote statali, creando, invece, le condizioni per ulteriori investimenti che salvaguarderebbero la produttività della società e tutelando i livelli occupazionali esistenti.
(4-02832)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in oggetto, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dello sviluppo economico segue con attenzione gli sviluppi delle problematiche relative nella zona definita «Etna Valley».
  Sono stati convocati, infatti, specifici tavoli di confronto per affrontare le problematiche relative delle tre aziende in crisi situate all'interno dell'area in questione, la 3SUN, la Micron e la ST Microelettronics.
  Si sta seguendo un preciso calendario che prevede diversi incontri bilaterali e la convocazione di un tavolo di confronto sul settore della microelettronica, sia in generale, sia con riferimento alla componentistica.
  Fermo restando quanto detto, si assicura la disponibilità a valutare, anche in collaborazione con la regione e gli enti locali, eventuali richieste d'intervento volte a rilanciare lo sviluppo industriale del territorio in questione e la possibilità di identificare il territorio in oggetto come «area di crisi industriale complessa» al fine di utilizzare ogni strumento a disposizione per sostenere il territorio dell'Etna Valley.
  Per completezza d'informazione, si segnalano alcuni elementi che possono risultare interessanti al fine di affrontare la questione.
  In linea generale, il Governo ha recentemente adottato un'organica politica industriale di rilancio del sistema produttivo italiano, attraverso l'esercizio dei cosiddetti «poteri speciali» riconosciuti dal decreto-legge n. 21/2012 in materia di assetti societari per le attività di rilevanza strategica, quali quelle svolte dalle aziende in questione.
  Il citato decreto-legge pone una disciplina ad hoc finalizzata alla salvaguardia degli interessi nazionali nei settori della sicurezza e della difesa e negli altri settori strategici (TLC, trasporti, energia), che mira a tutelare il know how e le tecnologie proprietarie delle imprese italiane che operano nei suddetti settori, considerati strategici per il sistema Paese (cosiddetto «Golden power»).
  Infatti, il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, recante «Norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni», convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, è intervenuto a riformare la materia dei poteri speciali riconosciuti al Governo per la cura d'interessi generali e fondamentali per la vita del Paese.
  In conseguenza, con il citato decreto-legge si è inteso allineare la normativa italiana ai principi e alle regole del diritto dell'Unione. In particolare, l'articolo 1 del provvedimento ha disciplinato l'esercizio dei poteri speciali nei confronti delle società, anche a capitale interamente privato, operanti nei settori della difesa e sicurezza nazionale in maniera distinta e separata rispetto agli altri settori pur ritenuti strategicamente rilevanti (articolo 2), specie per quanto riguarda l'incisività con la quale i poteri medesimi sono in concreto esercitabili.
  Il contesto normativo sopra delineato contribuisce a conferire certezza circa la tutela degli interessi strategici del sistema Paese con riferimento alle attività di Micron – STMicroelectronics, anche relativamente alle operazioni di vendita o alle decisioni dei vertici aziendali.
  Circa il tema specifico affrontato dal tavolo di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico, si segnala che in data 11 dicembre 2013 si è tenuto un incontro riguardante la situazione della Stm.
  Alla riunione hanno partecipato oltre ai rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, l'AD e il presidente di STM, i rappresentanti della regione Lombardia, il sindaco di Catania, le sigle sindacali nazionali e territoriali e le rappresentanze sindacali unite.
  Le organizzazioni sindacali hanno chiesto chiarimenti e mostrato preoccupazione per le dichiarazioni dell'allora Presidente
del Consiglio, che annunciava privatizzazioni che potessero riguardare anche STM.
  Il rappresentante, del Ministero dello sviluppo economico presente all'incontro ha tranquillizzato le preoccupazioni delle organizzazioni sindacali chiarendo che:
   per il Governo questo è un settore strategico e non ci sarà disimpegno;
   la partecipazione in STM è basata su accordi con lo Stato francese, per modificare la partecipazione italiana occorrerebbe, quindi, un accordo con la Francia, che non è previsto;
   non ci saranno, infatti, modifiche degli accordi in essere, la situazione non muterà e la partecipazione sarà sempre paritetica con la Francia;
   qualsiasi modifica avverrà in accordo con il Governo francese; se dovessero cambiare le quote, esso sarà per entrambi gli Stati.

  Le organizzazioni sindacali hanno chiesto, inoltre, notizie su eventuali trasferimenti di azioni in STM dal tesoro alla cassa depositi e prestiti.
  Il responsabile di STM ha poi ricordato che l'Italia è la sede dell'eccellenza di una parte di tecnologie sia in ricerca sia in manifattura. I due siti principali di manifattura sono Catania e Agrate. A Catania (centro che lavora a 6 pollici) c’è un pian per portare da 6 a 8 pollici lo spessore delle fette di silicio prodotte nel sito di Catania, mentre ad Agrate, già a 8 pollici, si continuerà a lavorare in quest'ambito.
  In ambito R&D si va verso il 12 pollici, con il consorzio con Micron, gli investimenti sono ingenti e sono di 270 milioni di euro ciascuno. Con riferimento ai tempi, in luglio si prevedeva prima la conversione 6-8 pollici a Catania (2014-2016), poi l'intervento su R&D ad Agrate (2017-2018).
  Successivamente l'AD ha chiarito alcuni aspetti, come richiesto dalle organizzazioni sindacali, riguardanti i progetti che STM intenda portare avanti. È quindi emerso il tema dei progetti sull'innovazione, finanziati in ambito Unione europea, si è fatto, inoltre, cenno a Horizon 2020 e ai fondi FESR su innovazioni tecnologiche che negli anni 2014-2020 le regioni dovranno progettare e cui STM potrebbe accedere.
  Le organizzazioni sindacali hanno chiesto quindi che, data l'importanza del settore, una strategia sia indicata anche dalla politica, ribadendo che sono necessari approfondimenti in merito alla partecipazione pubblica e alle modalità con cui si esplica.
  Il Ministero dello sviluppo economico da quanto sopra espresso, ha ben presente le problematiche rappresentate e con la massima attenzione ne seguirà l'evoluzione al fine di preservare un settore di eccellenza della manifattura italiana.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico
Claudio De Vincenti.

   POLVERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 5 giugno 2013 si è svolta a Terni una manifestazione dei lavoratori dell'Ast – ex Thyssen in difesa del futuro delle acciaierie e del proprio posto di lavoro;
   i manifestanti, dopo essersi ritrovati davanti ai cancelli dell'Ast, in viale Brin, hanno dato vita ad un corteo, composto da alcune centinaia di persone, per raggiungere la sede della prefettura, ma all'arrivo nei pressi della stazione ferroviaria si sono inspiegabilmente verificati scontri con le forze dell'ordine, causando il ferimento di alcuni manifestanti, fra cui il sindaco Di Girolamo, intervenuto per cercare di mediare;
   che episodi di violenza come questo rischiano di alimentare ed accrescere un clima pericoloso, dalle conseguenze imprevedibili;
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare per accertare le responsabilità nella gestione dell'ordine pubblico che, evidentemente, è andato al di là dei limiti che la circostanza consigliava. (4-00741)

  Risposta. — La vicenda riguardante gli incidenti verificatisi a Terni in occasione della manifestazione degli operai della ex Thyssen, si inquadra in un contesto di grave crisi economica con incidenza e riflessi gravi sull'occupazione; siamo di fronte a temi di grande impatto sociale che provocano sconcerto nei lavoratori che attuano forme di protesta per difendere il proprio posto di lavoro.
  Tutto ciò, provoca situazioni di grande delicatezza per la gestione dell'ordine e la sicurezza pubblica, come avvenuto nel corso della manifestazione del 5 giugno dell'anno scorso, alla quale hanno partecipato circa 750 lavoratori dell'azienda ex Thyssen.
  I manifestanti, partendo dalla sede dello stabilimento industriale avrebbero dovuto raggiungere, passando per le vie centrali, il viale della stazione dove ha sede l'ufficio territoriale del Governo per consegnare al prefetto una lettera.
  In realtà il corteo ha proseguito in direzione dello scalo ferroviario forzando il cordone di interdizione, senza incontrare, per intuibili esigenze prudenziali, resistenze da parte delle Forze dell'ordine.
  Nei pressi della stazione, alcuni dimostranti davano vita ad un lancio di oggetti contundenti che procuravano lesioni a cinque appartenenti alla Polizia di Stato e ad un militare dell'Arma dei carabinieri.
  In questo frangente, nel momento di maggior concitazione, il sindaco di Terni veniva colpito al capo con un oggetto contundente che gli procurava lesioni non gravi.
  Grazie alle riprese audiovisive è stato possibile procedere ad una ricostruzione precisa della dinamica dei fatti, dalla quale si evidenzia come il colpo infetto al primo cittadino sia stato dato con un ombrello da uno dei manifestanti, identificato nel giro di poche ore.
  Nel corso della manifestazione le Forze dell'ordine hanno evitato atti di forza e lanci di lacrimogeni limitandosi esclusivamente ad azioni di contenimento.
  In virtù dell'opera di persuasione condotta dai funzionari della questura di Terni i manifestanti sono stati convinti a rimuovere il blocco di alcuni binari e ripristinare lo stato di normalità.
  In simili situazioni, le Forze di polizia cercano di avere sempre un approccio iniziale di mediazione e di dialogo con i manifestanti, per garantire da un lato il diritto di manifestare il proprio dissenso in maniera civile e nel rispetto delle regole e dall'altro quello di preservare la sicurezza della collettività.
  Anche in merito ai fatti di Terni l'esame della documentazione e la visione dei video acquisiti hanno fatto emergere una gestione dell'ordine pubblico improntata a canoni di estrema prudenza ed equilibrio.
  La ricostruzione dei fatti ha dimostrato, inoltre, che il personale delle Forze dell'ordine ha svolto esclusivamente azioni di contenimento a scopo difensivo limitandosi all'uso di scudi e di sfollagente.
  L'attività investigativa ha permesso di identificare e di denunciare in stato di libertà all'autorità giudiziaria cinque manifestanti resisi responsabili, a vario titolo, del reato di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Filippo Bubbico.

   PORTA, LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia ha stipulato una serie di convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire l'evasione e l'elusione fiscale;
   le convenzioni per evitare le doppie imposizioni sono trattati internazionali con i quali i Paesi contraenti regolano l'esercizio della propria potestà impositiva al fine di eliminare le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio dei rispettivi residenti;
   nell'area dell'America latina l'Italia ha stipulato convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali solo con l'Argentina, il Brasile, l'Ecuador e il Venezuela ma non lo ha ancora fatto con il Cile, il Perù, l'Uruguay, la Colombia, il Costarica, la Bolivia e la Repubblica Dominicana, Paesi questi ultimi dove risiedono decine di migliaia di italiani e da dove sono giunti in Italia migliaia di immigrati;
   l'assenza di convenzioni bilaterali con i Paesi succitati non solo crea problemi di potestà impositiva e di doppia tassazione per le numerose collettività di emigrati, lavoratori e pensionati, che si spostano dall'America latina in Italia e viceversa, ma può compromettere e limitare anche l'avvio di attività economiche e finanziarie di imprese italiane e latino americane che rischiano un'applicazione incerta o penalizzante di norme che se invece fossero regolate da una convenzione eliminerebbero le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio dei rispettivi residenti e contrasterebbero l'elusione e l'evasione fiscale;
   anche se è vero che il pericolo della doppia imposizione viene mitigato dalla normativa interna di alcuni Paesi — l'Italia, ad esempio, esclude da tassazione gli interessi attivi prodotti dai non residenti sui depositi bancari o postali, e per i redditi prodotti all'estero il Tuir concede un credito a fronte delle imposte pagate all'estero — non è tuttavia scontato che simili disposizioni siano presenti nella normativa interna di altri Paesi o che comunque, in mancanza di accordo bilaterale, la normativa interna sia sufficiente per escludere la doppia tassazione o impedire elusione ed evasione –:
   quali siano i motivi per cui non sono state ancora stipulate convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali con Paesi dell'America latina con i quali l'Italia ha stabilito e avviato rapporti politici, economici, finanziari e migratori come l'Uruguay, il Cile, il Perù, la Colombia, il Costarica, la Bolivia e la Repubblica Dominicana, e come mai nei casi di negoziati già avviati da tempo, come quello con l'Uruguay, non si riesca a stipulare la convenzione;
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati per venire incontro alle pressanti richieste delle collettività italiane residenti nei Paesi dell'America latina ancora non convenzionati e di quelle latino americane residenti in Italia, e delle migliaia di imprese italiane interessate a svolgere un'attività economica in America latina, che beneficerebbero, senza costi per l'erario italiano, dalla stipula delle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali. (4-02600)

  Risposta. — Nell'interrogazione si rileva l'incompletezza della rete di convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali stipulate dall'Italia con i Paesi dell'America latina. In particolare si chiede di conoscere quali siano i motivi per i quali non sono stati ancora stipulati accordi con Paesi come l'Uruguay, il Cile, il Perù, la Colombia, il Costarica, la Bolivia e la Repubblica dominicana.
  Vi è in generale, una costante e forte attenzione da parte dell'Italia verso l'America latina in numerosi settori di intervento, in particolare in quello oggetto dell'interrogazione in questione, con riguardo al quale in diversi casi sono stati intrapresi lavori per la definizione ovvero per la revisione di trattati con Paesi della regione.
  Quale premessa generale in materia di
policy dei trattati fiscali internazionali, si precisa che la posizione tradizionale dell'Italia è stata da sempre ispirata ai principi della trasparenza e dello scambio di informazioni a fini fiscali; lo sforzo di contrastare l'evasione fiscale, anche di natura internazionale, è considerato un obiettivo strategico più che mai prioritario per il nostro Paese.
  È bene precisare che, rispetto al passato, nelle sedi multilaterali sono oggi richiesti più elevati standard internazionali in materia di trasparenza fiscale: il
Global Forum on Transparency and Exchange of Information dell'Ocse ha in corso l'esame di circa un centinaio di giurisdizioni al fine di verificarne il livello di adeguatezza del livello di trasparenza e di scambio di informazioni fiscali; la Commissione europea, con la raccomandazione del 6 dicembre
2012 in materia di good governance ha, tra l'altro, invitato gli Stati membri dell'Unione europea a non effettuare negoziati con Paesi terzi che non applichino i più recenti standard in materia di trasparenza fiscale.
  Si evidenzia inoltre che, in relazione all'eventuale stipula di convenzioni contro la doppia imposizione, non risulta verificato a priori che la conclusione di tali accordi non comporti costi per l'erario italiano. Questi, infatti, regolando la potestà impositiva dei Paesi contraenti e prevedendo la reciproca limitazione della stessa, possono comportare, a seconda dei casi, un'eventuale perdita di gettito per la quale, in tal caso, dovrebbe prevedersi adeguata copertura finanziaria.
  Di seguito si forniscono precisazioni con riguardo ai rapporti intrapresi dall'Italia in materia fiscale con i Paesi sopra indicati dell'area latino-americana.
  Nel caso del Cile, i negoziati relativi ad un accordo bilaterale in materia fiscale sono stati avviati nel 2000. Superate le difficoltà di pervenire ad una intesa quanto allo scambio di informazioni (grazie ad una riforma interna che ha consentito al Cile il superamento della legislazione a tutela del segreto bancario), si prevede di riavviare prossimamente contatti a livello tecnico al fine di proseguire la negoziazione di un trattato fiscale generale e, a tal fine, sono attualmente al vaglio alcune passibili soluzioni tecniche relative alle categorie reddituali considerate dal trattato.
  Per quanto riguarda la Colombia, i primi contatti per la conclusione di una convenzione contro le doppie imposizioni sono stati avviati nel corso del 2010 e proseguiti nel 2011; il negoziato si è bloccato nel 2012 in ragione del fatto che in Colombia era in corso una complessiva riforma del sistema tributario. In presenza di un quadro giuridico assestato, potrebbero adesso essere ripresi i contatti a fini negoziali.
  In relazione al Perù, in passato sono stati avviati negoziati per la definizione di una convenzione contro le doppie imposizioni, poi non proseguiti in quanto il Perù tutela il segreto bancario, che è opponibile anche all'amministrazione fiscale. Si precisa al riguardo che la clausola Ocse sul segreto bancario è da noi considerata requisito indispensabile per la stipula di tali Accordi. La richiesta di adesione peruviana all'Ocse, e quindi la conseguente necessità che il Paese rispetti le complesse procedure e valutazioni sullo stato di preparazione del Paese, potrebbe costituire un eccellente viatico per il progresso dei negoziati.
  Con il Costa Rica è stato negoziato un accordo di informazioni in materia fiscale (cosiddetto Tiea), tecnicamente concluso nel 2011. Tuttavia il Costa Rica è tuttora soggetto allo scrutinio del
Global Forum sulla trasparenza e lo scambio di informazioni in materia fiscale.
  Con l'Uruguay tentativi negoziali sono stati esperiti nel 1988 e, successivamente, nel 2009; una prima bozza di accordo è stata inviata a Montevideo il 5 aprile 2011, sulla quale l'Uruguay non ha mai trasmesso le proprie osservazioni. Attualmente si attende l'esito dell'esame del
Global Forum sulla trasparenza e lo scambio di informazioni in materia fiscale.
  Quanto alla Repubblica Dominicana, l'esame in sede di
Global Forum non è ancora iniziato.
  In merito alla Bolivia, non risultano al momento negoziati in corso.
  Si assicura che da parte del Ministero degli affari esteri vengono costantemente sollecitate le controparti per garantire tempestivi seguiti negoziali.
  È inoltre opportuno precisare che Costa Rica, Repubblica dominicana, Ecuador, Perù ed Uruguay stanno attualmente seguendo un progetto della Commissione affari fiscali dell'ECOSOC (Nazioni Unite), finalizzato a rafforzare le competenze dei Ministeri delle finanze e delle autorità nazionali competenti in materia fiscale dei Paesi in via di sviluppo, al fine di metterli effettivamente in grado di negoziare, interpretare e gestire i grattati sulle doppie imposizioni.
  Per quanto concerne le ricadute sui beneficiari di pensione in Convenzione bilaterale (tra i Paesi dell'America latina citati, l'Uruguay è l'unico con il quale è in vigore un accordo di sicurezza sociale) non vi sono preclusioni rispetto all'eventuale
negoziazione e stipula, che va intrapresa ad iniziativa del competente Ministero dell'economia e delle finanze.
  Si rappresenta, infine, che il sistema fiscale italiano riconosce, anche in assenza di una specifica convenzione, il credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero, ai sensi dell'articolo 165 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir).

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri
Mario Giro.

   RAMPI, RACITI, MANFREDI, DE MICHELI e EPIFANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'annuncio da parte della società Micron nella giornata di ieri, in un incontro presso il Ministero stesso, di 421 esuberi in Italia distribuiti tra i siti di Catania (128), Agrate/Vimercate (223), Arzano (53) e Avezzano (17);
   l'azienda ha assunto un atteggiamento di chiusura totale verso il dialogo con le parti sociali e di assoluta indifferenza nei confronti delle istituzioni e dello stesso Ministero;
   è da luglio che il Ministero chiede di incontrare la dirigenza di Micron ma questa si nega, limitando le delegazioni ai soli rappresentanti italiani e senza alcun mandato e, nonostante le pressioni fatte dal Ministero per posticipare l'apertura della procedura di mobilità, la direzione aziendale ha rifiutato categoricamente la mediazione, ribadendo la propria volontà a far partire suddetta procedura dal 21 gennaio 2014;
   Micron nasce dalla vendita da parte di St del settore delle memorie –:
   quali iniziative questo Ministero ed il Governo intendano assumere per affrontare questa gravissima vicenda occupazionale in un settore innovativo, strategico e in una fase per nulla recessiva, ancora più deplorevole visti gli ottimi risultati finanziari che questa sta realizzando già dal 2013 e considerata la presenza di eccellenze lavorative, da tutelare, che hanno rappresentato il successo della società stessa in Italia e nel mondo;
   quali politiche attive intenda avviare anche attraverso la strategica quota azionaria di ST di cui Micron è un recente outsourcer con attività ancora fortemente connesse;
   quali relazioni, anche internazionali, intenda mettere in campo per poter attuare un confronto sulle diverse possibili alternative alla mobilità fino ad oggi non prese in considerazione dai vertici di Micron, per contrastare l'azione della multinazionale che di fatto ha acquistato una sua competitrice, l'ha spogliata di brevetti e del portafoglio clienti e ora dismette tutto a soli tre anni dall'acquisto, scaricando sulle spalle delle lavoratrici, dei lavoratori e della comunità, il peso sociale di tali scelte scellerate. (4-03232)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dello sviluppo economico segue costantemente le problematiche della società Micron e ne osserva attentamente gli sviluppi.
  Sono stati convocati, infatti, specifici tavoli di confronto per affrontare le problematiche relative alla Micron, come pure di altre aziende in crisi all'interno dello stesso comparto industriale/tecnologico della microelettronica (3SUN e ST Microelettronics) ed in particolare gli ultimi incontri si sono svolti il 26 febbraio e il 12 marzo 2014.
  All'incontro del 26 febbraio 2014 erano presenti rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, delle Regioni Sicilia, Campania e Lombardia, del Comune di Catania, di Confindustria Monza, le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali, le rappresentanze sindacali unitarie, alcuni parlamentari e una delegazione di Micron.
  L'incontro ha avuto inizio a seguito di una riunione preliminare ristretta alle organizzazioni sindacali e alle istituzioni, che era stata richiesta dalle organizzazioni sindacali.
  L'azienda ha parlato dei due incontri avuti direttamente con le organizzazioni sindacali a seguito dell'ultima riunione tenutasi al Ministero dello sviluppo economico in data 28 gennaio 2014.
  Nel corso del primo di questi incontri è stato presentato un piano di riorganizzazione in relazione alle prospettive di mercato dei vari siti Micron in Italia.
  Nel corso del secondo è stata presa in considerazione la possibilità di rivedere parzialmente l'impatto sulle risorse occupazionali rispetto alla lettera del 21 gennaio 2014 che annunciava l'inizio delle procedure di mobilità per 419 unità distribuite tra i siti Micron di Agrate Brianza e Vimercate, Arzano, Avezzano e Catania. In particolare, l'azienda ha comunicato che sta cercando di ricollocare alcuni degli esuberi sia in altre aziende Micron all'estero, sia in altre aziende del territorio nazionale dello stesso sistema merceologico di Micron. A questo riguardo sono già stati presi contatti con una azienda del distretto tecnologico di Monza Brianza disponibile a riassorbire alcuni degli esuberi Micron.
  I sindacati, unitariamente, hanno comunicato di non essere soddisfatti del piano prospettato dall'azienda ritenendo che non possa essere considerato come un piano industriale sul futuro delle aziende Micron in Italia. Hanno, quindi, nuovamente richiesto la presentazione di un piano industriale sulle prospettive produttive e occupazionali del gruppo, dal momento che ci sono dubbi circa la sua permanenza in Italia.
  Le rappresentanze sindacali unitarie hanno espresso preoccupazione circa la possibile dispersione all'estero del patrimonio tecnologico e del personale altamente specializzato dei siti italiani di Micron.
  I sindacati, inoltre, hanno chiesto al Governo di contattare il
board Micron negli Stati Uniti e di mantenere un unico tavolo a livello nazionale per trattare non soltanto i problemi immediati riguardanti la mobilità dei 419 lavoratori (che scadeva il 7 aprile 2014), ma anche – e soprattutto – il piano industriale di permanenza delle aziende Micron in Italia.
  Durante l'ultimo incontro, tenutosi in data 7 marzo 2014, si sono registrati alcuni passi avanti in merito alle problematiche già esposte. I vertici aziendali hanno, infatti, assicurato la volontà della società di restare in Italia, si sono mostrati propensi a ricorrere agli ammortizzatori sociali e agli incentivi all'esodo, a ridiscutere il numero degli esuberi e a lavorare a un piano industriale che possa realmente garantire un futuro produttivo e occupazionale ai siti italiani.
  Un'apertura significativa, manifestata dal vice Presidente di Micron, che i rappresentanti sindacali nazionali e territoriali dei metalmeccanici hanno accolto con interesse nel prosieguo dell'incontro. Tale fatto si inquadra nella positiva azione svolta dal Ministero dello sviluppo economico rispetto al coinvolgimento della dirigenza Micron, altresì richiamato nell'atto.
  Entro fine marzo era stato calendarizzato un nuovo incontro per iniziare a entrare nel merito del piano industriale di Micron.
  L'obiettivo, promosso dal Ministero dello sviluppo economico, è quello di arrivare in tempi brevi a un accordo definitivo che possa salvaguardare al meglio l'importantissima realtà rappresentata da Micron per il Paese.
  Infine, per quanto concerne il settore della microelettronica in generale, si segnala che si sono tenuti in data 7 marzo 2014 due incontri: quello relativo a tutto il comparto della microelettronica e la prima riunione del tavolo sul settore specifico dei componenti elettronici.
  Durante i due appuntamenti, finalizzati a individuare le politiche di sviluppo più urgenti e adeguate per i comparti interessati, sono stati affrontati i temi di coordinamento con le strategie europee di politica industriale e per la ricerca e sviluppo connesse anche ai Fondi strutturali e ai fondi tematici.
  I lavori del tavolo sulla microelettronica proseguiranno con l'elaborazione di un documento strategico per quanto concerne il comparto in generale, mentre, in materia di componenti elettronici, si è discusso principalmente degli interventi possibili al fine
di rafforzare la presenza delle piccole e medie imprese del settore rispetto alla possibilità di accedere alle risorse europee, anche attraverso l'accompagnamento alla realizzazione di reti di collaborazione, e della necessità di maggiori controlli sulla qualità dei prodotti importati.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico
Claudio De Vincenti.

   REALACCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da agenzie di stampa si apprende la notizia di un incendio di probabile origine dolosa che oggi, 15 maggio 2013 ha distrutto, nella piccola isola di Linosa (Agrigento), il centro di recupero tartarughe marine, un vero e proprio ospedale specializzato nella cura di questi animali, gestito dal Cts. Le fiamme hanno distrutto gran parte dell'attrezzatura che con tanta il CTS, grazie all'aiuto di molti donatori e al sostegno di numerosi enti pubblici, aveva acquistato nel corso degli anni, del valore di 50mila euro;
   il centro tartarughe del CTS a Linosa cura con successo la salvaguardia di decine di testuggini marina ogni anno;
   meno recentemente a Lampedusa un incendio di chiara matrice dolosa, nella notte tra il 20 e 21 settembre 2012 distrusse una delle imbarcazioni destinate alla realizzazione del museo dell'immigrazione. Sul luogo, due fogli con minacce al sindaco Giusi Nicolini, ambientalista da sempre impegnata nella valorizzazione della riserva naturale e protagonista di una politica di accoglienza, rispetto e inclusione nei riguardi dei migranti che sbarcano sull'isola;
   gomme a terra e bicicletta tagliata in due, il 20 settembre 2012, per il giovane Michele Rallo, presidente del circolo di Legambiente a Favignana, che si è distinto in questi anni per le battaglie a tutela del territorio e nell'azione di contrasto della pesca di frodo;
   «azioni di questo tipo – come ha più volte dichiarato Legambiente dimostrano che le battaglie di legalità portate avanti in questi luoghi stanno disturbando concretamente la realizzazione di alcuni interessi criminali. Non crediamo che siano realmente gli immigrati l'oggetto delle intimidazioni, ma pensiamo che questo sia solo un espediente per nascondere i veri interessi dei criminali non più liberi di derubare e distruggere il territorio e il patrimonio della comunità per il loro mero vantaggio»;
   l'interrogante nella XVI Legislatura aveva presentato l'atto di sindacato ispettivo n. 4/17782 in cui, eccetto per l'incendio di Linosa del 15 maggio 2013, si presentavano i medesimi fatti senza aver ricevuto, nonostante i ripetuti solleciti, alcuna risposta –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti accaduti oggi al centro di salvaguardia delle tartarughe di Linosa (Agrigento), delle gravi intimidazioni mosse al sindaco Giusi Nicolini e alle associazioni promotrici del rispetto della legalità e dell'ambiente nello scorso anno;
   quali iniziative urgenti siano state messe in campo e quali si intendano assumere per tutelare l'incolumità del sindaco, delle istituzioni locali, dei cittadini e dei migranti e quali azioni si intendano mettere in campo per salvaguardare il prezioso lavoro portato avanti dall'amministrazione comunale e dalle associazioni che sperimentano nuovi modelli di sviluppo incentrati sulla legalità, la sostenibilità ambientale e l'inclusione sociale nelle isole minori italiane. (4-00479)

  Risposta. — Nella notte tra il 14 ed il 15 maggio 2013, il «Centro di Recupero Tartarughe Marine» di Linosa, ha subito un danneggiamento a seguito di incendio sviluppatosi all'interno dei locali ad opera di ignoti.
  La struttura insiste su un'area periferica del centro urbano isolano ed è costituita da un immobile a piano terra suddiviso in quattro vani.
  L'incendio è stato appiccato all'interno del laboratorio radiografico e le fiamme, agevolate dalla presenza di alcuni solventi di natura infiammabile, hanno interessato anche una parte dell'alloggio.
  All'interno della struttura non sono stati rinvenuti nell'immediato contenitori di liquidi infiammabili ma tre giorni dopo l'occorso, i rappresentanti del Centro turistico studentesco di Roma, consegnatari della struttura, recuperavano nelle adiacenze un piccolo contenitore di metallo dalla forma cilindrica, tutto annerito, che non riconoscevano appartenere alla dotazione del laboratorio.
  I danni sono stati stimati in circa 50.000 euro, non coperti da assicurazione.
  Per individuare gli attori, l'autorità giudiziaria ha delegato all'Arma dei carabinieri lo svolgimento delle relative indagini.
  Nella notte tra il 20 ed il 21 settembre 2012, a Lampedusa, ignoti hanno incendiato un'imbarcazione che era stata utilizzata per il trasporto di cittadini extracomunitari e che, a seguito del dissequestro, era stata affidata alla locale associazione culturale Askavusa la quale promuove i valori di solidarietà e di rispetto del multiculturalismo.
  Sul posto sono stati rinvenuti dei volantini a firma del Gruppo Armato Lampedusa Libera recanti generiche minacce contro la presenza di «clandestini liberi per l'isola» che, contrariamente a quanto riportato dalla stampa, non erano direttamente rivolte al sindaco di Lampedusa e Linosa.
  Non sono state, infatti, denunciate intimidazioni e, pertanto, non è stata adottata alcuna misura di protezione.
  I primi accertamenti svolti nell'immediatezza dei fatti hanno consentito di escludere moventi di tipo politico o eversivo.
  In ogni caso, le autorità provinciali di pubblica sicurezza continueranno a monitorare la situazione e ad assicurare i dispositivi di controllo del territorio a tutela dell'incolumità dei cittadini, degli amministratori pubblici e dei rappresentanti delle associazioni e del volontariato.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Filippo Bubbico.

   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   da un servizio del Tg1 e da un articolo di Monica Ricci Sargentini apparso sul Corriere della Sera edizione online nella giornata dell'11 febbraio 2014 si apprende della gravissima situazione in cui versa il connazionale Roberto Berardi;
   Roberto Berardi è un imprenditore italiano di 49 anni che da più di un anno è rinchiuso in una galera della Guinea Equatoriale con l'accusa di frode fiscale e condannato a 2 anni e 4 mesi di carcere o al pagamento di 1,2 milioni di euro;
   la Repubblica di Guinea Equatoriale è guidata da Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, un dittatore che prese il potere nel 1979 in seguito ad un colpo di Stato. Secondo l'ultimo rapporto di Amnesty International in Guinea «le libertà di espressione e di stampa sono limitate, gli attivisti politici e le persone critiche nei confronti del Governo subiscono vessazioni, arresti arbitrari e detenzioni». La Francia ha spiccato un mandato di cattura internazionale nei confronti di Teodoro Nguema Obiang Mangue, detto Teodorìn e figlio del presidente, per appropriazione indebita di fondi pubblici e riciclaggio di denaro e negli Stati Uniti è in corso un processo contro di lui;
   nel 2011 costituisce una società, la Eloba Construction, insieme a Teodorìn per poter costruire edifici civili. Il problema è che a un certo punto l'imprenditore si accorge che i conti non tornano: nelle casse della società mancano molti soldi. Chiede spiegazioni. E per tutta risposta viene arrestato e condannato dopo un processo farsa;
   il Berardi è stato oggetto di una sola visita consolare in data 14 dicembre 2013 da parte del segretario di ambasciata d'Italia in Camerun – competente anche per la Guinea equatoriale. Tale visita sarebbe avvenuta alla presenza di numerose autorità guineane, e pertanto non sarebbe stato possibile un colloquio riservato fra il diplomatico e il detenuto italiano;
   subito dopo tale visita consolare, il medesimo 14 dicembre 2013, Berardi è stato messo in cella di isolamento dove si trova tuttora: da allora non esce mai dalla cella, non parla né con gli agenti né con gli altri detenuti;
   come riferito dallo stesso Berardi nel corso di una telefonata, la cella di isolamento in cui egli è rinchiuso è di circa 2 metri e mezzo per 3, con una temperatura di oltre 40 gradi; la porta viene aperta solo una volta al giorno quando viene consegnato al detenuto un secchio di acqua;
   una sola volta al giorno viene fornito del cibo assolutamente scadente e insufficiente, ma per più volte egli è stato lasciato senza alcun pasto. La conseguenza è che il detenuto è dimagrito circa 15 chili. Berardi non è messo in condizione di curarsi dagli attacchi di malaria, di cui soffre, così come dagli attacchi di dissenteria;
   il 31 gennaio 2014 Berardi è stato percosso e frustato ed è riuscito a inviare le fotografie della sua schiena segnata scattate con quel cellulare clandestino. È riuscito inoltre ad inviare un video girato lunedì 3 febbraio in cui racconta delle violenze subite –:
   quali iniziative urgentissime il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro degli affari esteri intendano assumere, attivando la rappresentanza diplomatica italiana in Camerun e, per il tramite dell'istituto della protezione diplomatica, le altre ambasciate europee presenti nella Guinea Equatoriale affinché a Roberto Berardi possa essere data effettiva assistenza diplomatica, legale e sanitaria.
(4-03570)

  Risposta. — La Farnesina, anche tramite l'Ambasciata in Camerun (in Guinea Equatoriale, infatti, non abbiamo una sede diplomatica), sta compiendo ogni sforzo affinché siano garantite al signor Berardi condizioni detentive conformi agli standard di tutela dei diritti umani. Nel contempo, ogni possibile via diplomatica è al vaglio affinché possa essere trovata una conclusione positiva all'iter giudiziario in cui è coinvolto il connazionale.
  Al fine di salvaguardare l'integrità fisica del connazionale, ricordo che l'Ambasciata a Yaoundé ha svolto sin dall'inizio una costante azione di assistenza a suo favore anche attraverso persone di riferimento sul posto (fra queste il console generale spagnolo a Bata), che hanno mantenuto contatti con il signor Berardi ed effettuato diverse visite nel luogo di detenzione.
  La stessa Ambasciata, dopo ripetute richieste avanzate verso le autorità di Malabo, ha potuto svolgere una visita consolare lo scorso 13 dicembre. In quell'occasione, il funzionario dell'Ambasciata ha espressamente richiesto che al signor Berardi venisse prestata adeguata assistenza medica e che fosse altresì facilitato il contatto con i suoi familiari. A questo passo sono seguite successive richieste formali volte ad assicurare al connazionale un trattamento dignitoso e a tenere costantemente aggiornata la nostra Sede sulle sue condizioni di salute, soprattutto a seguito del suo trasferimento in cella di isolamento per detenzione illegale di cellulari nell'istituto di pena.
  Nel mese di gennaio 2014, il nostro corrispondente consolare in pectore si è recato per due volte presso il penitenziario. Le autorità, pur negando la possibilità di incontrare il signor Berardi poiché in regime di isolamento, hanno acconsentito, su nostra insistenza, a che il corrispondente facesse pervenire al connazionale cibo, medicine e altri generi di prima necessità, con spese a carico dell'Ambasciata.
  Da ultimo, l'8 febbraio 2014, il console generale spagnolo ha potuto accertarsi, alla presenza delle autorità del penitenziario, delle condizioni fisiche del signor Berardi, senza notare infermità o particolari segni di violenza. Lo stesso console si è riservato di
chiedere entro breve una nuova visita consolare, questa volta senza la presenza di testimoni.
  Parallelamente, la Farnesina ha svolto numerosi interventi di sensibilizzazione volti a favorire una soluzione positiva della vicenda.
  Il nostro Ambasciatore in Camerun, competente, per il Paese, ha da ultimo investito del caso, il 23 gennaio 2014, il nuovo ambasciatore della Guinea Equatoriale a Yaoundé, chiedendo nuovamente la massima attenzione al rispetto dei diritti umani. Ha anche auspicato che, una volta scontata una parte rilevante della pena, si possano prevedere una liberazione anticipata, o almeno forme alternative al carcere.
  Questo intervento si aggiunge ai molteplici passi compiuti negli scorsi mesi dalla nostra ambasciata. Ricordo, in particolare, la nota verbale inviata nell'aprile 2013 al Ministero degli esteri di Malabo per sollecitare la scarcerazione e il rientro in Italia del signor Berardi e la richiesta ufficiale di liberazione fatta pervenire al figlio del Presidente, Teodorìn. Della vicenda è stato investito anche il Nunzio apostolico a Yaoundé, accreditato anche in Guinea Equatoriale, il quale è intervenuto presso il Presidente della Repubblica Teodoro Obiang. L'azione ad ampio raggio della nostra Ambasciata non ha mancato di coinvolgere anche la Delegazione dell'Unione europea in Gabon, competente anche per la Guinea Equatoriale, ché ha assicurato un intervento sulle Autorità di Malabo.
  Io stesso – nel corso della mia visita ad Addis Abeba per partecipare al Consiglio esecutivo dell'Unione Africana (27-28 gennaio 2014) – mi sono personalmente occupato del caso, sollevando la questione direttamente con il Ministro degli esteri della Guinea Equatoriale. Questi, che ha affermato di conoscere bene il caso del connazionale e di essere in contatto con il Ministro della giustizia del proprio Paese, ha altresì aggiunto una nota di cautela, ricordando che il connazionale in questione sarebbe anche oggetto di indagini per attività illecite in un altro Paese africano (il Camerun). Nel prendere atto di quanto riferitomi, ho comunque chiesto un suo attivo interessamento sul caso in questione, insistendo in particolare affinché, nell'immediato, le condizioni detentive del signor Berardi risultino adeguate agli standard internazionali.
  Anche la sede centrale della Farnesina, dal canto suo, si è mossa ai fini di tutelare il connazionale e tenendo sempre informati i parenti più stretti del Berardi. Oltre alla quotidiana azione di raccordo delle attività della nostra Ambasciata a Yaoundè, ricordo che, nel maggio 2013, il direttore generale per gli Italiani all'estero, l'ambasciatore Cristina Ravaglia, riceveva l'ambasciatore della Guinea Equatoriale a Roma per sensibilizzarla sul caso del connazionale, cui seguivano successivi da passi effettuati in occasione della Giornata dell'Africa, tenutasi due settimane dopo, e presso il rappresentante permanente della Guinea Equatoriale alla FAO.
  La Farnesina continuerà, anche tramite la nostra Ambasciata competente, a non lasciare nulla d'intentato al fine di tutelare i diritti del signor Berardi.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri
Lapo Pistelli.

  RIZZO, FRUSONE, ARTINI, CORDA e BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   così come previsto dal comma 31 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 227 del 28 dicembre 2012 convertito dalla legge n. 12 del 1° febbraio 2013 «Il Ministero della difesa è autorizzato, per l'anno 2013, a cedere, a titolo gratuito, alla Repubblica islamica del Pakistan n. 500 veicoli M113»;
   si apprende dall'organo di stampa online «La Nuova Sardegna» dell'8 dicembre 2013 che sono stati già trasferiti circa 200 automezzi blindati dell'Esercito italiano provenienti da basi del sud Italia presso il porto di Oristano. I primi mezzi blindati sono arrivati giovedì 5 dicembre 2013 provenienti dalla base di Capo Teulada. Visto il loro peso, 10 tonnellate ciascuno, ogni Tir ne trasporta solo due. Oltre dalla base del Sulcis i Vcc 1 e 2 arriveranno, secondo indiscrezioni trapelate, anche da altre due basi italiane, tutte nel Sud. Il loro trasferimento si dovrebbe concludere entro Natale;
   come riportato su «La Nuova Sardegna» che riferisce le parole del capitano di fregata Rodolfo Raiteri comandante del porto di Oristano «I blindati verranno caricati su una nave e trasferiti in Pakistan entro la fine del 2013»;
   lo stesso giornale online riferisce che, come corrispettivo della dismissione dei mezzi, viene riconosciuto un contributo forfettario di euro 4.000 e che sono state appaltate alla multinazionale Agility Logistics tramite la consociata italiana Agility Logistics Srl di Milano le attività di logistica portuale –:
   se le modalità della cessione siano conformi a quanto previsto dal comma 31 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 227 del 2012 posto che gli automezzi si sarebbero dovuti cedere a titolo gratuito;
   se il trasferimento e i costi di trasporto ad Oristano e da Oristano in Pakistan incidano sul bilancio del Ministero o se facciano capo al Governo pakistano ed eventualmente a quanto ammontino. (4-02992)

  Risposta. — La questione oggetto dell'interrogazione trae origine dal Comitato bilaterale Pakistan-Italia tenutosi ad Islamabad l'8 marzo 2011.
  In quella occasione, infatti, lo Stato maggiore esercito della Repubblica islamica del Pakistan ha avanzato richiesta al Ministero della difesa italiano per la fornitura, a titolo gratuito, di un certo numero di mezzi cingolati tipo M113, necessari al trasporto del personale impegnato nel controllo dei confini del proprio Paese.
  La cessione è stata approvata con decreto-legge del 28 dicembre 2012, n. 227 convertito dalla legge 1o febbraio 2013, n. 12.
  Pertanto, in data 3 ottobre 2013 è stato stipulato un
Technical Agreement, in base al quale n. 500 mezzi tipo M113 dovevano essere ceduti nello stato in cui si trovavano, a titolo gratuito, e trasferiti dalle basi individuate dall'Esercito fino a destinazione finale con vettori predisposti dalla parte ricevente e con oneri a carico del Pakistan.
  In linea con quanto sancito dal citato
Technical Agreement, quindi, la competente Unità per le autorizzazioni di materiali d'armamento del Ministero degli affari esteri ha rilasciato alla Forza armata la licenza di esportazione per i mezzi in questione, dopo aver ottenuto dagli USA in data 18 dicembre 2013 le necessarie autorizzazioni alla riesportazione e i relativi impegni da parte del Pakistan (End User Certificate e obbligo a non riesportare senza «nulla osta» italiano).
  Infine, la ditta
Agility Logistics Srl, nello scorso mese di dicembre, come anzidetto, per conto e con oneri a carico del Pakistan, ha effettuato le operazioni di trasferimento dei veicoli dalle suddette basi presso i porti di Oristano, Salerno e Augusta (rispettivamente 183, 120 e 107 mezzi).
  I citati 4.000 euro non rappresentano un corrispettivo per la cessione, ma la mera indicazione della stima del valore dei mezzi, se venduti a peso, per necessità doganali.

Il Ministro della difesa
Roberta Pinotti.

   SERENI, FIANO, ASCANI, GIULIETTI e VERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 5 giugno 2013 si è svolta nelle strade della città di Terni una manifestazione dei lavoratori AST in occasione dello sciopero di quattro ore organizzato da varie sigle sindacali e dalle rappresentanze sindacali unitarie, in merito alla vertenza in corso sulla difficile situazione in cui versa l'acciaieria ternana AST, attualmente in stallo per l'obbligo di vendita imposto dalla Commissione europea per probabile posizione dominante all'attuale proprietà finlandese Outokumpu, a sua volta subentrante a Thyssenkrupp;
   il corteo, partito dai cancelli di AST in viale Brin, avrebbe dovuto raggiungere la sede della prefettura della città passando per la stazione ferroviaria. La prefettura era stata informata del percorso al fine di assicurare lo svolgimento sereno della manifestazione, garantendo a cittadini e forze dell'ordine la massima sicurezza;
   il corteo giunto alle porte della stazione ferroviaria con l'intento di occuparla simbolicamente per breve tempo, ha incontrato l'opposizione delle forze di polizia che, nonostante il tentativo di mediazione da parte del sindaco del comune di Terni e dell'assessore regionale umbro allo sviluppo economico, all'ingresso dei manifestanti nella stazione, rispondevano con la forza;
   la situazione è quindi degenerata in una serie di scontri e manganellate a danno dei manifestanti;
   nei tafferugli, non placati da chi era lì per assicurare ordine e sicurezza, sono rimasti feriti un lavoratore ed il sindaco del comune di Terni, Leopoldo Di Girolamo, al quale una volta giunto in ospedale è stata attribuita una prognosi di quattro giorni di osservazione;
   alcuni dei manifestanti e delle autorità presenti hanno denunciato il comportamento immotivatamente violento e aggressivo da parte degli agenti di polizia che nulla hanno fatto per mantenere nell'ambito del diritto costituzionale della manifestazione libera del pensiero e del diritto di aggregarsi nella pubblica via quelle centinaia di lavoratori esasperati dalla minaccia di perdere l'occupazione –:
   se ritenga congruo e proporzionato alla situazione il comportamento delle forze dell'ordine;
   quale sia stata la catena di comando;
   come intenda intervenire al fine di accertarne le responsabilità ed evitare spiacevoli repliche di episodi simili in futuro. (4-00753)

  Risposta. — La vicenda riguardante gli incidenti verificatisi a Terni in occasione della manifestazione degli operai della ex Thyssen, si inquadra in un contesto di grave crisi economica con incidenza e riflessi gravi sull'occupazione; siamo di fronte a temi di grande impatto sociale che provocano sconcerto nei lavoratori che attuano forme di protesta per difendere il proprio posto di lavoro.
  Tutto ciò, provoca situazioni di grande delicatezza per la gestione dell'ordine e la sicurezza pubblica, come avvenuto nel corso della manifestazione del 5 giugno 2013, alla quale hanno partecipato circa 750 lavoratori dell'azienda ex Thyssen.
  I manifestanti, partendo dalla sede dello stabilimento industriale avrebbero dovuto raggiungere, passando per le vie centrali, il viale della Stazione dove ha sede l'Ufficio territoriale del Governo per consegnare al Prefetto una lettera.
  In realtà il corteo ha proseguito in direzione dello scalo ferroviario forzando il cordone di interdizione senza incontrare, per intuibili esigenze prudenziali, resistenze da parte delle forze dell'ordine.
  Nei pressi della stazione, alcuni dimostranti davano vita ad un lancio di oggetti contundenti che procuravano lesioni a cinque appartenenti alla Polizia di Stato e ad un militare dell'Arma dei Carabinieri.
  In questo frangente, nel momento di maggior concitazione, il sindaco di Terni veniva colpito al capo con un oggetto contundente che gli procurava lesioni non gravi.
  Grazie alle riprese audiovisive è stato possibile procedere ad una ricostruzione precisa della dinamica dei fatti, dalla quale si evidenzia come il colpo inferto al primo cittadino sia stato dato con un ombrello da uno dei manifestanti, identificato nel giro di poche ore.
  Nel corso della manifestazione le forze dell'ordine hanno evitato atti di forza e lanci di lacrimogeni limitandosi esclusivamente ad azioni di contenimento.
  In virtù dell'opera di persuasione condotta dai funzionari della Questura di Terni i manifestanti sono stati convinti a rimuovere il blocco di alcuni binari e ripristinare lo stato di normalità.

  In simili situazioni, le Forze di polizia cercano di avere sempre un approccio iniziale di mediazione e di dialogo con i manifestanti, per garantire da un lato il diritto di manifestare il proprio dissenso in maniera civile e nel rispetto delle regole e dall'altro quello di preservare la sicurezza della collettività.
  Anche in merito ai fatti di Terni l'esame della documentazione e la visione dei video acquisiti hanno fatto emergere una gestione dell'ordine pubblico improntata a canoni di estrema prudenza ed equilibrio.
  La ricostruzione dei fatti ha dimostrato, inoltre, che il personale delle Forze dell'ordine ha svolto esclusivamente azioni di contenimento a scopo difensivo limitandosi all'uso di scudi e di sfollagente.
  L'attività investigativa ha permesso di identificare e di denunciare in stato di libertà all'Autorità giudiziaria cinque manifestanti resisi responsabili, a vario titolo, del reato di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno
Filippo Bubbico.

   ZARATTI, PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Civitavecchia, nel comprensorio militare di S. Lucia, è ubicato il centro tecnico logistico interforze (Ce.T.L.I) NBC, ente del Ministero della difesa, unico in Italia, con compiti di studio, verifiche ed applicazioni di carattere militare nei settori nucleare, biologico e chimico;
   fra i molteplici compiti di istituto c’è quello di «demilitarizzazione» delle armi e degli aggressivi chimici ritrovati sul territorio nazionale e risalenti alla prima e seconda guerra mondiale;
   tale funzione viene svolta in osservanza del decreto del Presidente della Repubblica n. 289 del 16 luglio 1997, che individua i compiti del Ministero della difesa e per esso quelli dell'ente preposto alle attività di cui trattasi, ente che in quel momento aveva la denominazione di «Stabilimento militare dei materiali di difesa NBC». Tale denominazione è stata modificata nel corso di una complessa ristrutturazione che ha riguardato l'intera area industriale del Ministero;
   l'attuale denominazione di Ce.T.L.I. NBC è stata assunta il 1° settembre 2004, in occasione dell'accorpamento con un altro ente ricadente nel medesimo comprensorio e denominato Centro tecnico fisico, chimico e biologico. Infine, con decreto del 18 novembre 2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 50 del 2 marzo 2010 sono stati fissati definitivamente compiti, struttura e funzioni del Ce.T.L.I. NBC;
   l'attività di distruzione di armi chimiche viene svolta in ottemperanza della legge 18 novembre 1995, n. 496, con la quale lo Stato italiano ha ratificato la convenzione internazionale del 31 gennaio 1993 di Parigi sulla proibizione dello sviluppo, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche;
   la suddetta attività di demilitarizzazione delle armi chimiche viene svolta con l'utilizzo di impianti industriali costruiti allo scopo, situati nel medesimo sito;
   tale attività, svolta sotto il controllo degli ispettori internazionali dell'OPAC (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche), ha permesso di smaltire nel tempo, ingenti quantitativi di sostanze, quali yprite, adamsite, fosgene e proiettili a caricamento chimico;
   attualmente rimangono da smaltire circa 20.000 proiettili a caricamento chimico, che rappresentano circa la metà del quantitativo dei proiettili ritrovato nel corso degli anni;
   presso il Ce.T.L.I. NBC di Civitavecchia è stato effettuato uno studio tecnico finalizzato all'individuazione di tecnologie alternative per la demilitarizzazione delle armi chimiche;
   tale studio, svolto su mandato delle superiori autorità del Ministero della difesa, è in avanzato stato di attuazione, in quanto è stata già scelta la tecnologia adatta fra quelle disponibili e lo studio è attualmente in valutazione presso lo Stato Maggiore della difesa. Sarebbe inoltre già stata individuata la ditta in possesso dei requisiti tecnici per realizzare un eventuale impianto;
   tale tecnologia si basa su un processo di ossidazione termica in luogo dell'ossidazione chimica che caratterizza le attuali lavorazioni;
   la costruzione di un impianto di ossidazione termica si configura come un incenerimento vero e proprio avendo i requisiti di una combustione, in quanto sviluppa energia termica producendo anche fumi e gas che, pur in presenza di filtri, vengono tuttavia immessi in atmosfera;
   in data 16 febbraio 2010 il Ministro della difesa pro tempore La Russa, rispondendo ad una interrogazione a risposta scritta (n. 4-03913) presentata alla Camera dei deputati il 14 settembre 2009 primo firmatario Turco Maurizio del Partito Democratico, ha, tra l'altro affermato che «è in corso una verifica in merito alla possibilità di incrementare la potenzialità dell'impianto a costi immutati, ricorrendo a soluzioni di distruzione alternative che permettano lo smaltimento dei manufatti a ritmi superiori a quelli attuali;
   sembrerebbe sia peraltro previsto un finanziamento oltre 15 milioni di euro per la realizzazione del suddetto impianto di incenerimento;
   il comprensorio di Civitavecchia è già fortemente compromesso dal punto di vista ambientale, per la presenza di impianti termoelettrici, alimentati anche a carbone, del porto e di altri numerosi insediamenti industriali, che contribuiscono a minare la qualità dell'aria e dell'ambiente in genere con incidenza negativa sulla salute dei cittadini;
   il Centro tecnico logistico interforze (Ce.T.L.I) NBC occupa un'area di circa 600 ettari e confina con i territori dei comuni di Allumiere e Tarquinia;
   la valutazione epidemiologica dello stato di salute dei cittadini residenti nei comuni di Civitavecchia, Allumiere, Tarquinia, Tolfa e Santa Marinella curata dal dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale risalente a febbraio 2012 (nel quale si riportano i dati relativi allo stato di salute della popolazione civitavecchiese e di quella del restante comprensorio tra il 1° febbraio 2006 e il 31 dicembre 2010), dimostra quanto i territori interessati registrino un eccesso di rischio di tumori, e per ambo i sessi si osserva un allarmante aumento di mortalità per infezioni acute alle vie respiratorie;
   il consiglio comunale di Civitavecchia e i comuni limitrofi, in ripetute occasioni, si sono espressi contro qualsiasi forma di incenerimento dei rifiuti –:
   se esista una relazione sull'attuale incidenza ambientale e sanitaria degli impianti esistenti, anche al fine di verificare se le attività che si sono svolte nell'impianto fin dai tempi del Ministero della guerra, abbiano alterato lo stato del suolo e delle falde acquifere;
   se siano state prese in considerazione diverse modalità di «smaltimento» finalizzate alla demilitarizzazione delle armi chimiche, in luogo del previsto impianto di ossidazione termica;
   se non si reputi necessario approfondire gli effetti ambientali e sanitari di tale scelta, in un'area peraltro già compromessa dal punto di vista ambientale e sanitario, provvedendo nel frattempo a sospendere l’iter di realizzazione dell'impianto di cui in premessa;
   a prevedere comunque adeguate forme di monitoraggio delle emissioni dell'impianto di ossidazione termica di cui in premessa, e gli opportuni controlli ambientali e sanitari nei territori interessati;
   a prevedere il costante coinvolgimento delle comunità locali e a garantire adeguate modalità di informazione e pubblicità,
anche tramite i siti istituzionali, circa l’iter di realizzazione del suddetto impianto. (4-02023)

  Risposta. — Con la ratifica della convenzione di Parigi sulla proibizione delle armi chimiche (entrata in vigore il 29 aprile 1997) gli Stati parte si sono impegnati a distruggere tutte le armi chimiche esistenti nei loro territori, a non detenere o fabbricare altre armi chimiche e a non farvi ricorso per alcun motivo.
  Per poter rispettare la convenzione, sul territorio nazionale è prevista, da parte dell'Amministrazione difesa, l'acquisizione e l'installazione di un «ossidatore termico» dove verranno bruciate le armi chimiche residuate della 2° guerra mondiale.
  L'impianto non si configura quale inceneritore, in quanto i proietti detonano per effetto del calore generato elettricamente (fino a temperature di circa 500oC) all'interno di apposite camere e gli aggressivi sono decomposti per azione del calore stesso (ossidazione termica) e non di una fiamma libera alimentata da carburante esterno, come avviene, invece, negli inceneritori a temperature di oltre 1.000oC.
  L'utilizzo di un ossidatore termico risulta preferibile ad altri sistemi per la demilitarizzazione di munizionamento a caricamento speciale, poiché consente di:
   ridurre l'impatto ambientale connesso con l'accumulo dei prodotti di reazione derivanti dall'attuale processo di demilitarizzazione di munizionamento contenente iprite e miscele derivate; le emissioni in atmosfera saranno ampiamente contenute entro i limiti imposti dalla vigente normativa e i relativi valori saranno costantemente monitorati in tempo reale;
   avviare lo smaltimento di altri aggressivi chimici non eliminabili con la tecnologia in uso presso l'attuale impianto di demilitarizzazione del Centro tecnico logistico interforze (Ce.t.l.i.) nucleare batteriologico chimico (NBC) di Civitavecchia;
   finalizzare lo smaltimento degli ordigni a caricamento speciale presenti presso il Cetli nbc;
   limitare le operazioni di movimentazione e manipolazione dei proietti al fine d'incrementare la sicurezza dell'infrastruttura e del personale addetto alle lavorazioni.

  Il termo ossidatore, nella configurazione da realizzare, è dunque assimilabile ad un forno industriale di piccola capacità e, pertanto non inserito nella tipologie di impianti che necessitino, ai sensi del decreto legislativo 152 del 2006, della valutazione di impatto ambientale (via) o dell'autorizzazione integrata ambientale (aia).
  L'ossidatore in acquisizione sostituirà completamente tutti gli impianti che vengono oggi utilizzati per la distruzione del munizionamento chimico.
  L'impianto verrà realizzato utilizzando processi a ciclo chiuso, che consentono una ridotta produzione di residui di lavorazione permettendo un miglior controllo sia qualitativo che quantitativo delle emissioni nel rigoroso rispetto dei limiti di emissione stabiliti dalla vigente normativa.
  Sulla base delle caratteristiche del munizionamento chimico ancora stoccato presso l'ente, la tecnologia scelta può senz'altro ritenersi la più idonea e avanzata tra quelle disponibili.
  Gli effluenti gassosi verranno monitorati con rilevatori/analizzatori in continuo che permettono lo
screening in tempo reale delle caratteristiche chimico/fisiche del flusso emissivo. Asservito al sistema principale di monitoraggio ambientale associato al termo ossidatore, verrà installato un apparato ad altissima sensibilità per il monitoraggio continuo degli aggressivi chimici degli ambienti di manipolazione e dei magazzini di stoccaggio del munizionamento. In considerazione dell'elevato livello tecnologico dell'impianto e dei sistemi di controllo ambientale associati, la gestione degli effluenti inquinanti nell'insieme è finalizzata ad assicurare la salubrità dei luoghi di lavoro, tutelando il personale adibito alla gestione dell'impianto prevenendo, nel contempo, ogni possibile contaminazione ambientale.
  Gli effluenti in uscita dalla camera di ossidazione termica saranno convogliati in
un sistema completo per il trattamento dei gas, i cui componenti (filtri anti particolato, torri di abbattimento, filtri per ossidi di azoto, filtri a carbone attivo), assicureranno l'abbattimento di tutte le sostanze inquinanti.
  Inoltre, la composizione qualitativa dei gas in uscita dai camini sarà controllata in tempo reale da appositi analizzatori.
  Riguardo all'opportunità di «sospendere l'iter di realizzazione dell'impianto», è il caso di osservare che una sospensione dell’
iter di acquisizione dell'impianto comporterebbe un protrarsi eccessivo dei tempi necessari per completare l'attività di distruzione, in un contesto che già prevede, tra l'altro, la sospensione di tali attività a far data dal 2015, in attesa della disponibilità del nuovo impianto.
  Per quanto attiene, poi, al «finanziamento» per l'acquisizione dell'ossidatore termico, ai relativi impegni si farà fronte con i fondi già assegnati sui pertinenti capitoli di spesa della Difesa e non graveranno sul
budget di altri dicasteri.
  Peraltro, la realizzazione del nuovo impianto deriva, come già detto, dagli obblighi imposti dalla richiamata convenzione di Parigi in materia di demilitarizzazione delle armi chimiche.
  Il Consiglio esecutivo dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) considera la distruzione di tutte le armi chimiche in possesso dell'Italia obiettivo imprescindibile e monitora regolarmente i progressi conseguiti nel settore attraverso ispezioni e richieste di aggiornamenti.
  Qualora non si procedesse all'acquisizione e, di conseguenza, non si potesse procedere alla distruzione di tutte le armi chimiche ancora stoccate, l'Italia risulterebbe non ottemperante ad una convenzione internazionale alla quale ha deliberatamente aderito.
  L'entità dell'impegno economico per la realizzazione dell'impianto trova giustificazione nella necessità di acquisire un impianto che risulti tecnologicamente avanzato e in linea con gli attuali standard industriali richiesti per garantire la sicurezza dei lavoratori e degli abitanti delle aree circostanti, nonché la tutela dell'ambiente.

Il Ministro della difesa
Roberta Pinotti.


Appendice: ATTI MODIFICATI

   PATRIARCA, RUBINATO, CASELLATO, GADDA, FANUCCI, MALPEZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
entro il 6 aprile 2014 tutte le organizzazioni che impiegano personale (volontario o meno) le cui mansioni comportino contatti diretti e regolari con minori dovranno produrre un certificato penale. Se non lo fanno, la sanzione amministrativa pecuniaria è fissata fra 10 mila e 15 mila euro. La disposizione è contenuta nel decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 39 (Gazzetta Ufficiale 22 marzo 2014 – serie generale n. 68), in attuazione della direttiva 2011/93/UE (in allegato) relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI;
il decreto legislativo pur ispirandosi a una direttiva europea (n. 2011/93), ne cambia il senso «Al par. 40 delle premesse della direttiva si legge che il datore di lavoro ha il diritto di essere informato ... delle condanne esistenti per reati sessuali ecc. Non solo. All'articolo 10, comma 2 della direttiva, il legislatore europeo afferma che “gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i datori di lavoro, al momento dell'assunzione di una persona per attività professionali o attività volontarie organizzate che comportano contatti diretti e regolari con minori, abbiano il diritto di chiedere informazioni, ...”». Di più: «Più oltre (articolo 12) la direttiva parla sì di sanzioni alle persone giuridiche, ma sono quelle collegate alla normativa della 231, (responsabilità amministrativa dell'ente) che il dlgs ha recepito». Quindi un diritto è stato trasformato in un dovere. Al 6 aprile, mancano 4 giorni. Ci aspettiamo che al Ministero qualcuno almeno si renda conto del danno, anche involontario, che un provvedimento del genere rischia di arrecare a chi lavora proprio in difesa dei minori;
si tratta di un obbligo che nessun, sarà in grado di rispettare. Perché un'altra legge che nessuno ha abrogato vieta ciò che la nuova legge rende obbligatorio, da lunedì prossimo chiunque, per lavoro, fede o passione stia a capo di una comunità rischierà di trovarsi fuori legge;
questa confusa situazione ha preso forma il 28 febbraio 2014, quando il Consiglio dei ministri ha varato il decreto-legge numero 39 intitolato «Attuazione della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile». Causa nobile, indubbiamente. Il decreto aumenta le pene per i pedofili, aggiorna la normativa ai tempi, inasprisce le sanzioni per i maniaci via internet. Il decreto stabilisce l'obbligo per chi dirige le strutture di chiedere il certificato penale dei suoi collaboratori. «Il certificato penale deve essere richiesto dal soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, al fine di verificare l'esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies del codice penale», cioè tutti i reati di pornografia, prostituzione, adescamento e violenza ai danni di minori. Data di entrata in vigore, 6 aprile 2014;
la norma riguarda un numero incalcolabile di italiani di entrambi i sessi: dagli allenatori di tutti gli sport, alle maestre, alle catechiste, e via enumerando. Se la legge obbligasse i diretti interessati a farsi consegnare il certificato, la conseguenza sarebbe semplicemente l'intasamento degli uffici del casellario giudiziario presso tutti i tribunali italiani. Ma la legge fa di più, e scarica sui datori di lavoro l'obbligo di chiedere ai tribunali il certificato. L'Unione europea, a dire il vero, era stata più blanda: i Paesi erano vincolati a fare sì che i datori di lavoro «abbiano il diritto di chiedere informazioni» sui propri collaboratori. In Italia, il diritto è diventato un obbligo. E in questo modo è andato in rotta di collisione contro un altra norma: il divieto per i datori di lavoro di acquisire informazioni simili sui dipendenti. Da giorni, gli uffici del casellario presso i tribunali italiani sono bombardati di richieste di aziende e enti di volontariato che chiedono come comportarsi;
sarebbe stata preferibile un'autocertificazione anche perché nel caso dovesse capitare un abuso su di un minore e non fosse stato prodotto il certificato, non è chiaro se il datore di lavoro o il presidente dell'associazione ne risponderebbero penalmente;
il comma 2 dell'articolo 2 del decreto legislativo 39 del 4 marzo 2014 parla di sanzioni amministrative solo nei riguardi del datore di lavoro. Pertanto se un volontario non porta il certificato del casellario giudiziario, la cooperativa sociale o l'associazione di volontariato non dovrebbero essere sanzionate considerato che il rapporto con un volontario non prevede l'instaurazione di un rapporto di lavoro. Non è inoltre chiaro se si applichi a tutti o solo ai nuovi assunti, non è inoltre chiaro se si tratti di un'incombenza una tantum o se, allo scadere del certificato (6 mesi) vada reiterato –:
se intenda intervenire e con quali tempi mediante azioni ad hoc per far fronte a questa ennesima emergenza che si sta abbattendo sulle ONLUS e sul variegato mondo dell'associazionismo cattolico e laico. (5-02539)

   BARONI, SPADONI, DALL'OSSO, CECCONI, DI VITA, LOREFICE, MANTERO, SILVIA GIORDANO, GRILLO, BASILIO, CORDA, PAOLO BERNINI, SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, BRESCIA, BUSTO, ZOLEZZI, DIENI, BENEDETTI, CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
la trasmissione Le Iene ha affrontato nuovamente il tema del gioco d'azzardo, nelle puntate del 19 e 26 marzo 2014 con due servizi dedicati alle videolottery (VLT), di cui l'ultimo non andato in onda (causa par condicio), ma pubblicato sulla pagina Facebook della trasmissione stessa;
nel corso della puntata del 19 marzo 2014 veniva posta in discussione l'affidabilità dei controlli sugli incassi registrati dall'ADM (Agenzia delle dogane e dei monopoli), che ha inglobato l'AAMS, (Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato) relativamente alle videolottery, poiché i videoterminali utilizzati per il gioco non sarebbero collegati alla rete e i Monopoli non sarebbero a conoscenza né del loro numero né del relativo incasso; questo consentirebbe ai concessionari di stabilire il valore della raccolta da dichiarare ad AAMS e quindi di determinare, come conseguenza, l'ammontare delle imposte dovute sulla raccolta stessa;
al riguardo, l'ufficio comunicazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, area monopoli, ha replicato al servizio de Le Iene con proprio comunicato stampa del 20 marzo 2014, in cui afferma, tra l'altro: «l'Agenzia conosce esattamente il numero delle VLT presenti in ogni singola sala e la relativa raccolta di gioco. Ciò in quanto tutte le VLT costituiscono terminali di un complesso sistema informatico verificato dal partner tecnologico SOGEI (società di Information and Communication Technology del Ministero dell'Economia e delle Finanze) e certificato dall'Agenzia in assenza del quale, peraltro, i videoterminali non sarebbero in grado di consentire il gioco. La gestione di tale sistema è attribuita per legge ai concessionari dello Stato i quali sono sottoposti a rigorosi e costanti controlli, previsti dalla normativa, sia da parte dell'Agenzia che della SOGEI. L'Agenzia, anche mediante accesso diretto al sistema di gioco, conosce e verifica per ogni apparecchio, le somme introitate sulle quali si calcolano le imposte dovute»;
nel servizio successivo i parlamentari del Movimento 5 Stelle Giovanni Endrizzi e Maria Edera Spadoni hanno prima ricordato lo scandalo sulle slot machine, la sanzione da 98 miliardi ridotta via via a soli 600 milioni di euro con l'ultima definizione agevolata disposta dal precedente Presidente del Consiglio e dalla sua maggioranza. È stato poi descritto un evidente conflitto d'interessi: i software di gestione delle videolottery sarebbero infatti detenuti dagli stessi concessionari. Il primo firmatario del presente atto ha evidenziato nel corso dell'intervista televisiva come «questo tipo di controlli devono essere totalmente in mano ad enti pubblici super partes con forme partecipative dei cittadini e non ai privati»;
il protocollo di comunicazione, comma 6b, di SOGEI e AAMS del 1o febbraio 2012, prevede a pagina 59 la «Trasmissione giornaliera, mensile, annuale incassi e vincite (codice messaggio 600», così descrivendola: «Il messaggio viene utilizzato dal sistema del concessionario VLT per trasmettere al sistema di controllo VLT (gestito da AAMS) i dati di contabilità relativi ad uno dei seguenti componenti del sistema del concessionario VLT: sistema di gioco VLT, sala, apparecchio videoterminale anche suddivisi per ciascun gioco presente nel componente e relativi ad un giorno, mese, anno»;
a parere degli interroganti non è chiaro quali ostacoli, tecnici o giuridici, impediscano la trasmissione dei dati dei componenti del sistema del concessionario VLT direttamente al sistema di controllo di AAMS, permettendo così una verifica in tempo reale di ogni giocata avvenuta sulla rete, da parte di AAMS, senza la mediazione del sistema del concessionario VLT;
una ulteriore anomalia discenderebbe dal fatto che a controllare e registrare gli incassi delle videolottery sia un software che deve essere certificato da SOGEI. A tale scopo, secondo quanto dichiarato da Confindustria Gioco, SOGEI risultava avere i parametri internazionali UNI GEI 1705 per poter certificare tale software;
Nadia Toffa ed il giornalista Marco Fubini in realtà avrebbero scoperto che SOGEI, non disporrebbe di questi requisiti internazionali necessari a garantire l'efficacia e trasparenza dei software che gestiscono la registrazione ed il trasferimento dati degli incassi delle videolottery, un mercato da 23 miliardi di euro, sempre che il dato, a questo punto sia credibile;
l'ente chiamato in causa da Le Iene è SOGEI, la società informatica controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) che offre servizi tecnologici in regime di monopolio alle agenzie fiscali. Fondata nel 1976, passata da Telecom al Ministero dell'economia e delle finanze nel 2002, SOGEI gestisce l'anagrafe tributaria, monitora la spesa sanitaria, realizza i software per l'Agenzia delle entrate, delle dogane, del demanio e del territorio, sovrintende i codici fiscali alle tessere sanitarie di tutti gli italiani e, soprattutto, amministra il sistema e le informazioni per conto dell'ex AAMS, ora incorporata nell'Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM);
SOGEI è il così detto partner tecnologico di Agenzia delle dogane e dei monopoli. Detto altrimenti, è il controllore dei dati di incasso di tutti i giochi di cui al comma 6, dell'articolo 110 del TULPS (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) relativamente al new slot per le quali sovraintende alle omologhe con i 5 enti certificatori convenzionati internazionali, con sede in Italia e con AAMS. Controlla i dati d'incasso delle videolottery (di cui certifica anche le piattaforme di gioco), controlla e vigila sul gioco on-line ovvero il cash game, casinò game, giochi definiti di abilità (come il Texas Hold'em), scommesse varie e ora anche quelle virtuali e altro, in relazione ai quali sovraintende alle omologhe con i 12 enti certificatori internazionali convenzionati con AAMS. Ogni gioco o sistema di gioco ha le sue peculiarità, SOGEI detta le linee guida e protocolli di comunicazione, di collaudo demandati agli enti terzi, in collaborazione con AAMS; per le VLT si è riservata la certificazione interna dopo che un ente internazionale terzo, scelto in modo discutibile a detta degli esperti del settore, ha fornito le basi tecnico formative;
risulterebbe quindi, a giudizio degli interroganti, un problema di attendibilità complessiva dell'omologazione, laddove SOGEI certificasse le piattaforme di gioco per le VLT senza possedere il requisito ISO IEC 17025;
la norma UNI EN ISO/IEC 17025 è uno standard comprensivo di requisiti gestionali e tecnici, impiegato in tutto il mondo per conseguire l'accreditamento di prove e taratura da parte dei laboratori che se ne occupano ed Accredia è ora l'ente unico nazionale di accreditamento;
tale requisito risulta obbligatorio per gli enti certificatori delle piattaforme on-line ed è posseduto anche dagli enti che omologano e certificano gli apparecchi da gioco di cui al comma 6, lettera A) dell'articolo 110 del TULPS, meglio note come A.W.P. (amusement with prizes) o new slot e pertanto pare logico che ne debba essere in possesso anche tale struttura;
sul sito web dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, area monopoli, sezione «I dati ufficiali di AAMS», sottosezione «Dati sulla raccolta giochi», gli stessi sono aggiornati ad ottobre 2012; l'ultima pubblicazione (riferita ai dati di settembre e ottobre 2012) è avvenuta il 2 gennaio 2013 mentre in precedenza i dati erano caricati con cadenza irregolare ma costante, tanto che sul sito sono disponibili tutti i dati sulla raccolta giochi da gennaio 2009 a ottobre 2012; a partire da giugno 2011 le informazioni mensili sulla raccolta giochi venivano ripartite su tre ambiti: raccolta nazionale mensile, raccolta nazionale cumulata da inizio anno, ripartizione regionale del prospetto mensile; al loro interno le singole schede permettevano una agevole lettura dell'andamento del mercato del gioco, rendendo possibile il confronto con l'anno precedente, distinguendo fra raccolta, vincite e spesa dei giocatori, evidenziando le variazioni percentuali e distribuendo la raccolta fra le varie tipologie di gioco (apparecchi, con una sottovoce dedicata alle macchine VLT, bingo, giochi a base ippica, giochi a base sportiva, lotterie, lotto, giochi numerici a totalizzatore-superenalotto, giochi di abilità a distanza, giochi di carte organizzati in forma diversa dal torneo e giochi di sorte a quota fissa);
a giudizio degli interroganti non si può giustificare in alcun modo la mancata pubblicazione dei dati degli ultimi sedici mesi (novembre 2012-febbraio 2014), perché contraria alle esigenze di trasparenza rivendicate dalla stessa amministrazione dei monopoli, che, in massima evidenza nella prima pagina del proprio sito web, riporta l'affermazione «regole chiare, massima trasparenza, sicurezza per tutti»; anche la recente legge 11 marzo 2014, n. 23 «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita», cosiddetta «delega fiscale», ha improntato la riforma del comparto giochi a principi di massima trasparenza;
l'articolo 14 della medesima legge recita al comma 2: «n) riordino e integrazione delle disposizioni vigenti relative ai controlli e all'accertamento dei tributi gravanti sui giochi, al fine di rafforzare l'efficacia preventiva e repressiva nei confronti dell'evasione e delle altre violazioni in materia, ivi comprese quelle concernenti il rapporto concessorio»; e al comma «p) revisione, secondo criteri di maggiore rigore, specificità e trasparenza, tenuto conto dell'eventuale normativa dell'Unione europea di settore, della disciplina in materia di qualificazione degli organismi di certificazione degli apparecchi da intrattenimento e divertimento, nonché della disciplina riguardante le responsabilità di tali organismi e quelle dei concessionari per i casi di certificazioni non veritiere, ovvero di utilizzo di apparecchi non conformi ai modelli certificati; revisione della disciplina degli obblighi, delle responsabilità e delle garanzie, in particolare patrimoniali, proprie dei produttori o distributori di programmi informatici per la gestione delle attività di gioco e della relativa raccolta» –:
se corrisponda al vero quanto sostenuto nel servizio de Le Iene in riferimento alla SOGEI la quale non sarebbe in possesso dei parametri internazionali necessari per l'esercizio dei controlli sugli apparecchi da gioco;
se non si ritenga necessario applicare misure di controllo e di contabilità davvero efficaci e trasparenti, da parte dell'Amministrazione dei monopoli, fornendo tutti i dati che definiscono le operazioni di raccolta, incassi e vincite pagate, numero di installazioni, numero di operatori e comunicando chiaramente attraverso la stampa e le istituzioni preposte tutti i dettagli tecnici e contabili sulle attività di raccolta, considerato che a parere degli interroganti non basta una semplice dichiarazione, ma serve applicare sempre e per tutti i giochi trasparenza e coerenza di comportamento;
se non ritenga il Ministro interrogato di doversi attivare al fine di superare quello che agli interroganti appare l'attuale conflitto di interessi in virtù del quale i software di gestione delle videolottery risulterebbero detenuti dagli stessi concessionari;
se non ritenga opportuno assumere iniziative dirette ad obbligare l'Amministrazione autonoma dei monopoli di stato alla pubblicazione dei dati sulla raccolta giochi dal novembre 2012 ad oggi, con le stesse modalità analitiche precedentemente in uso, prevedendo altresì un obbligo di pubblicazione, per il futuro, con cadenza mensile;
se non ritenga di adeguare alle esigenze di immediatezza e trasparenza, sempre più rilevanti nel settore dei giochi pubblici, l'attuale sistema di controllo differito della contabilità degli apparecchi VLT. (4-04383)

   CARUSO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 1, comma 476, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) impone un'interpretazione, definita «autentica» nella relativa relazione illustrativa, di disposizioni recate da provvedimenti destinati al personale del comparto sicurezza e difesa (articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 170, d'interesse delle Forze di polizia a ordinamento civile, e articolo 11, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2002, n. 163, d'interesse delle Forze armate, esclusa l'Arma dei carabinieri), omettendo peraltro di riferirsi esplicitamente all'omologa disposizione riservata alle Forze di polizia a ordinamento militare (articolo 28, comma 3, del richiamato decreto del Presidente della Repubblica n. 170 del 2007);
tale interpretazione, mirata a chiarire che la retribuzione a titolo di straordinario, per il personale chiamato, per sopravvenute inderogabili esigenze, a prestare servizio nel giorno destinato al riposo settimanale o nel festivo infrasettimanale, compete solo per le ore eccedenti l'ordinario turno di servizio giornaliero, risulterebbe necessaria, fatti salvi gli effetti delle sentenze passate in giudicato, in relazione all'orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato, che ha fin qui riconosciuto, nella fattispecie indicata, la spettanza di detta retribuzione senza porre il vincolo del superamento dell'ordinario turno di servizio giornaliero;
le procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego del personale non dirigente delle Forze di polizia e delle Forze armate, in regime di diritto pubblico, sono sancite dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, il quale prevede che i relativi provvedimenti siano emanati con decreti del Presidente della Repubblica, a valere sulle risorse appositamente stanziate con legge, a seguito di contrattazione tra la delegazione di parte pubblica e la delegazione sindacale, per le Forze di polizia a ordinamento civile, e di contestuale concertazione tra le delegazioni delle amministrazioni interessate, alla quale partecipano le competenti articolazioni del Consiglio centrale di rappresentanza (COCER), per le Forze armate e le Forze di polizia a ordinamento militare;
il perfezionamento delle menzionate procedure non comporta alcun intervento parlamentare e gli eventuali contrasti interpretativi di rilevanza generale insorti nel merito delle disposizioni discendenti, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, del richiamato decreto legislativo n. 195 del 1995, devono essere definiti con direttive del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, contenenti gli opportuni indirizzi applicativi per tutte le amministrazioni coinvolte, in base all'orientamento espresso dalle delegazioni che partecipano alla contrattazione e alla concertazione –:
quali iniziative intendano promuovere in merito alla problematica esposta in premessa anche al fine di evitare onerosi quanto inutili contenziosi per la pubblica amministrazione, tenuto conto che, sia in via logica che di legittimità, al Parlamento non può essere attribuita la competenza a fornire un'interpretazione «autentica» di disposizioni di natura «pattizia», così sostituendosi ai soggetti preposti, e peraltro al solo fine di superare l'orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato in materia, con ciò potendosi configurare, a giudizio dell'interrogante, anche un manifesto conflitto con il potere giudiziario;
quali minori oneri comporti, per le amministrazioni interessate, l'applicazione della norma in parola, e se non ritengano che le corrispondenti somme, in quanto oggettivamente discendenti dagli stanziamenti preordinati alla disciplina dei contenuti del relativo rapporto d'impiego, debbano essere immancabilmente reimpiegate in favore delle medesime categorie di personale destinatario dei relativi provvedimenti di contrattazione e concertazione, tenendo a tal proposito altresì ben presenti i dolorosi squilibri che la medesima legge di stabilità ha introdotto fra gli operatori della sicurezza, maggiormente considerati quelli della difesa;
se ritengano che la norma in esame, che pretende di essere interpretativa, debba essere applicata con effetto retroattivo, cioè «ex tunc», e che quindi coerentemente, avuto riguardo ai termini prescrizionali, occorra verificare, come pesantissima conseguenza, che mal si concilia con i sacrifici sostenuti dagli appartenenti al comparto, i conteggi individuali riferiti al lavoro straordinario prestato negli ultimi cinque anni da ciascuno degli oltre 500.000 soggetti potenzialmente destinatari, ai fini della ripetizione delle somme indebitamente corrisposte, fatti salvi gli effetti delle sentenze passate in giudicato, con ciò inducendo esplosive disparità di trattamento;
in che misura vada quantificato, per il personale chiamato, per sopravvenute inderogabili esigenze, a prestare servizio nel giorno destinato al riposo settimanale o nel festivo infrasettimanale, l’«ordinario turno di servizio giornaliero» al di sotto del quale nella fattispecie non potrebbe essere corrisposta la retribuzione a titolo di straordinario, considerato che in realtà si tratta di attività lavorativa prestata quando non era ordinariamente previsto alcun turno di servizio. (4-03221)

   BUSINAROLO, ROSTELLATO, TURCO, TOFALO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, GRILLO, LOREFICE e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il  decreto del 27 dicembre 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 marzo 2014, relativo alla rideterminazione proporzionale del riparto per l'anno 2013, del finanziamento, degli oneri per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), effettuati con delibera CIPE, in data 8 marzo 2013, ripartisce, tra le regioni e le province autonome, i 55 milioni di euro destinati al finanziamento delle nuove REMS (residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria) che, dal 1o aprile 2014, avrebbero dovuto sostituire gli ospedali psichiatrici giudiziari;
il decreto-legge n. 211 del 2011 all'articolo 3-ter, stabiliva che entro tale data, inizialmente fissata per il 31 marzo 2013, le regioni e le province autonome, tramite i dipartimenti di salute mentale dei servizi sanitari regionali di riferimento, avrebbero dovuto completare le strutture per la presa in carico di tutti i soggetti, detenuti e internati, con disturbi mentali;
con decreto n. 52 del 31 marzo 2014, il Governo ha prorogato la scadenza per un altro anno fino al 31 marzo 2015 e ha stabilito che a metà anno ci sarà anche «un puntuale monitoraggio del percorso di riconversione prevedendo anche ipotesi di poteri sostitutivi nei confronti degli inadempienti»;
nel 2012 erano già stati stanziati 38 milioni di euro, mentre i 55 milioni, che dal 2013 saranno stanziati annualmente, sono stati destinati, per il 2013, ad avviare i piani di dismissione e realizzare 990 posti letto nelle 43 REMS sparse sul territorio nazionale. I criteri di riparto si basano per il 50 per cento sulla popolazione residente in ciascuna regione e provincia autonoma e per il restante 50 per cento sul numero delle persone internate negli ospedali psichiatrici giudiziari alla data del 31 dicembre 2011;
lo stato di attuazione dei programmi regionali è differenziato, ma il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, nei termini temporali proposti, appare difficilmente realizzabile, come d'altra parte riconosciuto nella relazione al Parlamento dei Ministri della salute e della giustizia del dicembre 2013;
la legge n. 9 del 2012 ha disposto che ogni regione si faccia carico di realizzare una o più residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria per ospitare i propri detenuti psichiatrici. Nella relazione congiunta del Ministro della giustizia pro tempore Cancellieri e del Ministro della salute pro tempore Lorenzin del 13 dicembre 2013, emerge che pervenuti agli uffici competenti, entro il termine stabilito del 15 maggio 2013, i programmi di tutte le regioni tranne quello della regione Veneto. La regione Veneto, essendo rimasta l'unica a non avere presentato ancora progetti, è stata oggetto di commissariamento da parte del Governo. Alla regione Veneto sono stati assegnati comunque 12 milioni di euro, come riportato sul quotidiano L'Arena del 26 febbraio 2014;
i programmi regionali, oltre agli interventi strutturali, debbono prevedere attività volte progressivamente ad incrementare la realizzazione dei percorsi terapeutico riabilitativi nell'ottica del superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, prevedere la dimissione di tutti gli internati negli ospedali psichiatrici giudiziari ritenuti non socialmente pericolosi dall'autorità giudiziaria, prevedere l'obbligo per le ASL di presa in carico degli internati dimessi all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi individuali che assicurino il diritto alle cure e al reinserimento sociale, favorire l'esecuzione di misure di sicurezza alternative al ricovero in ospedali psichiatrici giudiziari o all'assegnazione a casa di cura e custodia;
il comune di Nogara, in provincia di Verona, ha approvato un progetto, con delibera di consiglio del 24 febbraio 2014, che prevede la costruzione ex-novo di una struttura REMS, unica nella regione Veneto, per 40 posti letto con utilizzo di 12 milioni di euro dal Governo, ad avviso degli interroganti sprecando 10.000 metri quadrati di terreno del cosiddetto lascito Stellini. Nel progetto infatti si legge: «È positiva la risposta dell'Amministrazione di Nogara alla proposta avanzata dalla regione e dall'ULSS per la realizzazione di due nuclei di 20+20 posti letto da destinare a pazienti provenienti da ex Ospedali Psichiatrici Giudiziari, da realizzare in un nuovo complesso adiacente alle strutture esistenti, dotato di aree interne ed esterne di servizio, ferma restando la necessità di coordinare questo intervento con le funzioni vecchie e nuove dell'intero Centro Sanitario Polifunzionale “Stellini”»;
Francesco Stellini il 23 febbraio 1891 ha donato, tramite testamento olografo, un ospedale civile e un consistente appezzamento di terreni agricoli per i «poverelli di Nogara» proprio a sostentamento della struttura da lui stesso eretta. Il testamento testualmente disponeva: «Istituisco, chiamo e nomino erede di tutte le mie sostanze il Comune di Nogara, perché con le rendite delle medesime faccia erigere, ove non l'avessi fatto io in vita, nella località Corte Raffa di mia proprietà un Ospitale Civile a vantaggio degli ammalati poveri, e di qualunque malattia, del Comune di Nogara, con obbligo di porre sul frontone di detta Corte Raffa di mia proprietà il suo titolo – Ospitale Civile Francesco Stellini – in caratteri di rame [...] Proibisco assolutamente di procedere alla alienazione anche di parte soltanto delle sostanze mie lasciate a titolo ereditario al Comune di Nogara, mentre, ciò facendo, la mia eredità voglio si devolva alle persone che avessero diritto a succedermi per legge»;
la regione Veneto ha urgente necessità, anche in virtù della procedura di commissariamento, di realizzare una REMS. L'ULSS 21 (ULSS che comprende il territorio dei comuni di Nogara, Legnago, Bovolone e Zevio) assieme al comune di Nogara hanno candidato il territorio nogarese ad ospitare la futura costruzione della REMS: la costruzione della nuova struttura verrebbe realizzata sui 10.000 metri quadrati di terreno del lascito a fronte appunto di 12 milioni di euro;
alcune regioni hanno previsto la ristrutturazione di edifici esistenti, piuttosto che la costruzione di nuove strutture, con conseguente risparmio di denaro pubblico e minore impatto in termini di cementificazione. Ad esempio, il programma della regione Lazio prevede il restauro e il risanamento di 2 strutture situate nella città di Roma e la ristrutturazione di un ospedale dismesso in provincia di Roma. La regione Puglia ha presentato un programma per 58 posti letto da realizzarsi in 3 presidi ospedalieri dismessi e riqualificati, siti in provincia di Brindisi, Taranto e Foggia. Anche la regione siciliana ha presentato un programma che prevede la ristrutturazione e adeguamento funzionale di 3 presidi ospedalieri dismessi per complessivi n. 80 posti letto, distribuiti in 4 strutture situate nelle province di Catania, Caltanissetta e Messina;
anziché costruire una struttura ex novo sui terreni del lascito Stellini nel comune di Nogara in provincia di Verona con massiccia cementificazione della zona ad avviso degli interroganti ed in linea con quanto sostenuto a livello locale si potrebbe utilizzare l'ospedale Stellini già esistente, tuttora vuoto ma sistemato anche con le recenti norme antisismiche, su cui la regione Veneto ha investito già parecchio e che può, con le dovute modifiche strutturali, accogliere i 40 posti letto della futura REMS –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
in base a quali presupposti siano stanziati i 12 milioni di euro per la regione Veneto, non essendo stato presentato un progetto, chi sia competente nell'effettuare dei controlli e come verranno finanziate a regime queste strutture, dal momento che l'assessore alla sanità della regione ha dichiarato che l'importo basterà per cinque anni;
come e da chi verranno effettuati i controlli in itinere fino al 31 marzo 2015, dopo la concessione della proroga della scadenza originaria del 1o aprile 2014, considerato che ad oggi la regione Veneto non ha ancora presentato progetti e tanto meno ultimato l'unica struttura prevista;
se il commissario sia stato informato del progetto di costruire una struttura ex novo anziché ristrutturare l'esistente sui terreni del lascito Stellini, e se abbia espresso un orientamento in merito.
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