TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 726 di Mercoledì 18 gennaio 2017

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI, ANCHE ALLA LUCE DI RECENTI CIRCOLARI DEL MINISTERO DELL'INTERNO

   La Camera,
   premesso che:
    in data 12 aprile 2016, il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione ha emanato una circolare diretta, tra gli altri, a tutte le prefetture della Repubblica, ai commissari di Governo per le province autonome di Trento e Bolzano, nonché al presidente della regione autonoma della Valle d'Aosta, protocollata con il numero 3148;
    nella predetta circolare 3148 del 2016 si osserva come il fenomeno immigratorio si preannunci per il 2016 «particolarmente intenso anche rispetto agli anni passati, come peraltro già tratteggiato» in una precedente circolare, la n. 2365 del 18 marzo 2016;
    stando al testo della circolare 3148 del 2016, l'incremento degli afflussi registrato dall'inizio di del 2016 fino al 12 aprile 2016 sarebbe infatti pari all'80 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015, anno nel quale sono sbarcati nei porti del nostro Paese circa 154 mila immigrati irregolari;
    tali dati hanno indotto forte preoccupazione per quanto potrà accadere soprattutto nel corso della stagione estiva ormai alle porte;
    secondo il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno sarebbe quindi necessario predisporre una «diffusa organizzazione che riesca a far fronte all'accoglienza»;
    nella circolare 3148 del 2016 si richiama a questo proposito espressamente la nota circolare 5189 del 25 marzo 2016, laddove questa aveva rappresentato l'urgenza di verificare la situazione di coloro che non hanno più diritto ad essere presenti nelle strutture di accoglienza ed altresì la necessità di irrobustire l'infrastruttura complessiva dedicata alla gestione dei migranti irregolari, peraltro con un raccordo «più stretto» ed «instancabile» con i sindaci, attualmente in effetti assai carente se non addirittura inesistente;
    la circolare 3148 del 2016 raccomanda all'attenzione delle prefetture e delle autorità locali gli immobili segnalati dal dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e resi disponibili dal Ministero della difesa;
    secondo la circolare 3148 del 2016, nell'immediato occorreva soddisfare un'esigenza aggiuntiva di accoglienza per 8.893 posti, cifra evidentemente assai inferiore al fabbisogno ipotizzato per il 2016 nel suo complesso, giacché un incremento degli arrivi dell'80 per cento proiettato sui dodici mesi significherebbe immaginare che giungano nel nostro Paese nel 2016 non meno di 300 mila persone;
    sussiste, quindi, il timore che in costanza d'emergenza il Governo possa far ricorso alla requisizione degli immobili privati sfitti o alla realizzazione di vere e proprie tendopoli;
    corroborano le preoccupazioni del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione anche l'emersione di una nuova rotta di afflussi, questa volta con la sorgente in Egitto, e le dichiarazioni di alcune autorità libiche, secondo le quali nella ex colonia italiana vi sarebbe almeno mezzo milione di persone pronte a partire;
    la stessa stima di 300 mila persone in arrivo in Italia è stata accettata dal Ministro dell'interno austriaco, Johanna Mikl-Leitner, che ne teme l'arrivo nel proprio Paese;
    a sua volta, sulla questione è intervenuto anche il Ministro degli esteri austriaco, Sebastian Kurz, che, parlando a Bolzano, ha osservato come, dopo la chiusura della rotta balcanica, «anche l'Italia deve mettere fine al lasciar passare i migranti», perché ciò non fa altro che aumentare i problemi;
    tutto questo determina una situazione assai rischiosa per il nostro Paese, che, in assenza di respingimenti verso i Paesi di origine dei migranti non riconosciuti meritevoli di tutela internazionale, potrebbe veramente accumulare un numero straordinario di disperati, come già accade in Grecia,

impegna il Governo:

1) ad intensificare gli sforzi tesi a prevenire l'arrivo nel nostro Paese di un elevato numero di migranti irregolari richiedenti asilo o altra forma di tutela internazionale;
2) a stipulare in tempi rapidi accordi efficaci di riammissione, di cui avvalersi per espellere i migranti risultati non in possesso dei requisiti necessari per la concessione dello status di rifugiato o altra forma di tutela internazionale;
3) a comunicare ufficialmente anche al Parlamento, con cadenza periodica almeno trimestrale, i dati concernenti gli afflussi e le rotte seguite dai migranti irregolari per giungere alle coste del nostro Paese;
4) a non impiantare tendopoli per aspiranti rifugiati sul suolo del nostro Paese;
5) ad assumere iniziative perché non si ricorra per alcun motivo alla requisizione degli immobili privati sfitti.
(1-01231)
«Fedriga, Simonetti, Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».
(21 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    5.022 persone sono morte in mare nel 2016 provando a raggiungere l'Europa, un triste record che non può non interrogare le coscienze, a cui si aggiungono le sorti di migliaia di persone, principalmente siriani, iracheni, afghani in fuga dai loro Paesi funestati da decenni di guerre e terrorismo, che l'Unione europea ha deciso deliberatamente di tenere lontani dai propri Paesi concludendo l'accordo con la Turchia. Molti altri, come testimoniano le drammatiche immagini che provengono dai Paesi dell'Est Europa in queste settimane, risultano bloccati a migliaia sotto il gelo in quella che un tempo era la «rotta balcanica»;
    sebbene questo accordo abbia pressoché azzerato l'arrivo di persone che approdavano sulle coste greche e dalla Turchia attraverso la rotta balcanica, il 2016 ha fatto registrare il maggior numero di arrivi via mare di sempre con 181.405 persone sbarcate sulle nostre coste, con un incremento del 18 per cento rispetto all'anno precedente. Tuttavia, secondo i dati Unhcr, tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2016 sono sbarcate in Europa 361.578 persone, ovvero il 64 per cento in meno rispetto al 2015, anno record in cui si registrarono in Europa circa un milione di arrivi;
    è evidente che per un continente di 500 milioni di abitanti in cui è concentrata buona parte della ricchezza globale, gestire e assorbire una pressione migratoria di queste dimensioni non può rappresentare un problema, a meno che non si mettano in atto politiche che tendono quanto più a limitare il fenomeno anziché governarlo;
    guardando all'evoluzione del fenomeno migratorio, negli ultimi anni è cambiata considerevolmente la natura stessa del fenomeno: oggi la quasi totalità dei migranti che raggiungono l'Unione europea sono potenziali soggetti con diritto ad una protezione internazionale. Data quindi la natura delle cause che determinano il flusso migratorio tutto lascia presupporre che il fenomeno attuale non sia un dato transitorio, ma si debba considerare come strutturale e che quindi ci interesserà almeno per un altro decennio;
    purtroppo, al fenomeno migratorio e alle sue evoluzioni sono state fornite risposte e quindi messi a disposizione strumenti che sono risultati del tutto inadeguati, spesso obsoleti ed improntati ad una visione difensiva ed emergenziale;
    la principale risposta fornita al fenomeno, avvenuta dopo la spinta emotiva della strage avvenuta al largo di Pozzallo il 18 aprile 2015 che causò più di 800 vittime, si è avuto attraverso il cosiddetto «approccio Hotspot», contenuto all'interno della Agenda europea sulle migrazioni, che tra l'altro non è mai stata trasposta in nessun atto normativo e con i meccanismi di « relocation» e « resettlement»;
    gli hotspot violano i diritti umani, comprimono il diritto a richiedere l'asilo politico e in generale il loro meccanismo è finalizzato a negare la protezione internazionale attraverso la loro principale funzione: separare i «migranti economici» dai potenziali richiedenti asilo, fondando quindi un provvedimento di respingimento esclusivamente sulla base del Paese di provenienza;
    l'approccio hotspot sarebbe quindi, una volta completate le procedure di identificazione e separazione dei migranti, finalizzato alla « relocation». E qui non si può che constatare il fallimento della strategia in tutta la sua interezza. I dati disponibili al 30 dicembre 2016 indicano che complessivamente dall'Italia sono stati ricollocati in altri Paesi europei 2.654 richiedenti asilo (su un totale di 39.600) e 6.212 dalla Grecia al 6 dicembre (su un totale 66.400). L'obiettivo delle 160 mila persone rilocate che dovrebbe essere raggiunto entro settembre 2017 resta una chimera, prefigurandosi un fallimento epocale di tutta la strategia;
    in ultimo, nei mesi scorsi la Commissione europea ha presentato un serie di proposte per riformare il sistema europeo comune di asilo nelle linee indicate nell'Agenda europea per la migrazione e nella comunicazione del 6 aprile 2016. In particolare, la Commissione ha presentato il 4 maggio 2016 un primo pacchetto di proposte - riforma del regolamento 604/2013 (Dublino III), riforma del regolamento 603/2013 (Eurodac) e riforma del regolamento 439/2010, che istituisce l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO), mentre il 13 luglio ha presentato diverse proposte legislative - sostituzione della direttiva sulle procedure di asilo con un regolamento che stabilisca una procedura comune UE per la protezione internazionale, sostituzione della direttiva qualifiche esistente con un nuovo regolamento, infine una riforma della direttiva sulle condizioni di accoglienza;
    attraverso le sopraindicate proposte la Commissione europea tenta di rimediare all'evidente fallimento del «sistema Dublino» mantenendo sostanzialmente invariata la gerarchia dei «criteri di Dublino», introducendo un sistema correttivo per la ripartizione equa delle responsabilità tra Stati, che riproduce esattamente gli elementi fallimentari dei meccanismi temporanei di ricollocazione già in uso e prevedendo a carico dei richiedenti asilo una serie di obblighi (e conseguenti sanzioni in caso di violazione) per limitare gli spostamenti all'interno dell'area degli Stati membri. Praticamente si introducono tutta una serie di nuovi complicati meccanismi burocratici mantenendo in piedi il «sistema Dublino»: inefficace, costoso e che produce irregolarità;
    a parte qualche positiva modifica dei termini procedurali, in generale non si possono ritenere queste proposte idonee a garantire gli obiettivi dichiarati dalla Commissione, ovvero l'individuazione rapida dello Stato membro competente e, pertanto, l'accesso rapido del richiedente alla procedura di asilo, una ripartizione più equa delle responsabilità tra Stati membri, la lotta ad abusi e movimenti secondari, rafforzare le garanzie per i richiedenti asilo e bisognosi di protezione internazionale, godere dello stesso livello di protezione, incentivare l'integrazione, garantire infine standard di accoglienza dignitosi;
    in particolare, l'armonizzazione della lista dei Paesi sicuri sarebbe una negazione del diritto di asilo e rivela in tutta la sua drammaticità l'approccio dell'Europa sul fenomeno delle migrazioni. Introdurre il concetto di «sicurezza» nell'esaminare le richieste di asilo è un grave rischio, poiché nessun Paese può essere considerato «sicuro». Adottando una simile lista, l'Unione europea e i suoi Stati membri istituzionalizzerebbero a livello europeo una pratica attraverso la quale i Paesi membri possono rifiutare di ottemperare pienamente alle proprie responsabilità verso i richiedenti asilo, in violazione ai loro obblighi internazionali;
    finora, 13 dei 28 Stati membri hanno una lista nazionale di «Paesi sicuri», ma le liste sono tutt'altro che omogenee. La proposta della Commissione mira a porre rimedio a queste disparità. I sette Paesi che la proposta considera «sicuri» sono: Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Turchia. La Finlandia, ad esempio, considera «sicuri» Paesi come l'Afghanistan, l'Iraq e la Somalia: in questi Paesi il migrante non rischia discriminazioni, persecuzioni, limitazioni o negazioni dei diritti fondamentali. Ciò è, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, un'assurdità;
    con la Turchia, che si considererebbe «Paese sicuro», si è già stretto un accordo che viola gravemente il diritto europeo e tradisce i fondamenti democratici e ispirati alla tradizionale tutela dei diritti umani nell'Unione europea e in Italia. Quanto sta emergendo dall'applicazione concreta di questo accordo è che in cambio di denaro si esternalizzano le frontiere dell'Unione europea chiudendo gli occhi sul rispetto dei diritti umani, sulla repressione delle libertà fondamentali, nonché sulla forte repressione anti-curda che il Governo turco sta mettendo in piedi negli ultimi mesi, addirittura dimenticando le gravi responsabilità di quest'ultimo nel supporto a Daesh;
    lo stesso approccio è usato dalla Commissione europea per adottare la lista comune di «Paesi terzi sicuri» per consentire che i richiedenti asilo siano rimandati indietro nei paesi per i quali sono transitati prima del loro arrivo nella Unione europea, e dove essi dovrebbero «legalmente» depositare le loro richieste di asilo;
    nei fatti quindi, con le nuove proposte, con la giustificazione di razionalizzare e armonizzare il sistema di asilo europeo, l'Unione europea darebbe legittimità istituzionale a un abuso sul diritto di asilo allo scopo di controllare i flussi migratori;
    il quadro emergente dalle proposte presentate e dagli atti approvati dalle istituzioni europee nell'ultimo anno è desolante. Ricollocazioni, reinsediamenti, liste di Paesi di origine sicuri e Paesi terzi sicuri, rimpatri, hotspot, accordo con la Turchia, respingimenti, rappresentano il palese fallimento del Sistema europeo comune di asilo e manifestano tutta l'incapacità dell'Unione europea a far fronte ad un numero elevato ma certo non insostenibile di arrivi, come si vuole spesso rappresentare in maniera drammatica;
    questo fallimento deriva da molteplici fattori, uno dei quali è certamente rappresentato dall'ostinazione con cui gli Stati membri e le istituzioni dell'Unione europea continuano a voler disciplinare - in maniera sempre più burocratica e complessa, quindi terribilmente macchinosa e costosa - gli spostamenti di persone in un territorio che si vuole al tempo stesso privo di controlli alle frontiere interne;
    occorrerebbe prendere atto del mutamento dei contesti globali e del fatto che molte persone scappano da guerre, carestie, effetti dei cambiamenti climatici, eventi che molto spesso l'occidente e quindi anche l'Unione europea ha spesso creato o quantomeno aggravato anche con la sola inerzia;
    bisognerebbe quindi individuare soluzioni più snelle e realistiche, meno burocratiche, che prevedano, fra le altre cose, che chi ha ottenuto una protezione (europea) in un Paese possa poi liberamente cercare lavoro in un altro, con i giusti «contrappesi» per evitare che ciò si trasformi in un peso insostenibile per quelle aree dell'Unione europea maggiormente prescelte per l'insediamento;
    sul piano nazionale la volontà in ultimo espressa dal Governo di utilizzare gli strumenti di controllo ed allontanamento degli stranieri irregolari per quindi, come si legge nella circolare del Capo della polizia del 30 dicembre 2016, favorire «l'azione di prevenzione e contrasto nell'attuale contesto di crisi a fronte di una crescente pressione migratoria e di uno scenario internazionale connotato da instabilità e minacce», sarebbe una scelta miope e con effetti controproducenti e dannosi se non si giunga ad una modifica nella normativa che già produce irregolarità negli ingressi e nei soggiorni;
    la priorità di oggi è modificare il Testo unico sull'immigrazione del 1998, riformato in peggio dalla cosiddetta legge Bossi-Fini, e quindi porre mano ai meccanismi di regolarizzazione degli stranieri, valorizzando i legami lavorativi, familiari e sociali già esistenti che quelle persone hanno magari costruito in tanti anni, promuovendo politiche di integrazione finalizzate ad una regolarizzazione permanente a fronte della dimostrazione di chiari indici di integrazione;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, quindi, non può non apparire totalmente irrazionale l'annunciato intento del Governo di potenziare la rete dei Cie in Italia, considerata l'inefficacia del sistema di identificazione ed espulsione, a fronte del sacrificio dei diritti umani che si è sempre consumato nelle strutture governative atte proprio a tale funzione, ovvero di identificazione ed espulsione;
    appare quindi sbagliata la strategia che sembra si voglia intraprendere degli accordi bilaterali di riammissione, così come proporre nuove norme che andrebbero a riformare in senso restrittivo le norme sull'asilo, a partire dall'ipotesi di eliminare il doppio grado di giurisdizione o peggio istituire sezioni specializzate nei tribunali, dove in un contesto culturale ove buona parte della magistratura e dell'avvocatura sono ancora poco consapevoli dell'importanza e della complessità anche giuridica della materia, si tradurrebbe in concreto, al di là delle intenzioni, in una sorta di uffici-ghetto, carenti di sufficienti risorse materiali e professionali;
    andrebbe quindi smantellata l'attuale struttura di accoglienza per richiedenti asilo, organizzata sul carattere dell'emergenza permanente a vantaggio di una efficiente struttura dell'accoglienza organizzata in maniera diffusa, decentrata, libera dai meccanismi di accumulazione del profitto che hanno portato a corruzione e malaffare e condizioni di vita insopportabili per un Paese civile, ma soprattutto a favore di una accoglienza funzionante allo scopo ultimo: l'integrazione delle persone;
    in ultimo per comprendere il fallimento delle attuali politiche che hanno comportato un ingente costo di vite umane nonché di fondi spesi in questi anni, basti pensare che con soli 2,5 milioni di euro il progetto Mediterranean Hope ha portato in Italia, in sicurezza, sottraendoli alle mani dei trafficanti, mille profughi dalle zone confinanti con quelle di conflitto, garantendo loro, inoltre, un'accoglienza dignitosa. Come emblema dell'irrazionalità delle politiche in atto, si pensi che con i soli 6 miliardi di euro promessi alla Turchia per l'implementazione del Joint Action Plan del marzo 2016, si sarebbe potuto fare altrettanto con 2,4 milioni di persone,

impegna il Governo:

1) a promuovere l'apertura immediata di corridoi umanitari di accesso in Europa per garantire «canali di accesso legali e controllati», attraverso i Paesi di transito ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti per mettere fine alle stragi in mare e in terra, e quindi debellare il traffico di esseri umani;
2) a proporre un «diritto di asilo europeo», capace di superare realmente il «regolamento di Dublino» e a non sostenere la proposta di riforma della Commissione europea, considerato che un migrante dovrebbe avere il diritto di veder riconosciuto l'asilo in qualsiasi Paese, per poi essere libero di circolare all'interno dell'Europa;
3) ad assumere iniziative per concedere con effetto immediato permessi di soggiorno per motivi umanitari che consentano la libera circolazione negli Stati dell'Unione europea e quindi avviare l'iter per la predisposizione di una normativa dell'Unione con la quale disciplinare il riconoscimento reciproco delle decisioni di riconoscimento della protezione internazionale tra gli Stati membri e a promuovere nelle competenti sedi europee, la regolarizzazione di tutti i migranti ancora senza documenti presenti in Europa;
4) a vigilare sul rispetto del divieto di espulsioni collettive previsto dai protocolli addizionali alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, assumendo iniziative volte all'adozione di opportuni atti regolamentari e all'introduzione di procedure di monitoraggio indipendenti;
5) a promuovere il principio di un'accoglienza dignitosa e dunque la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti sparsi in Europa, a cominciare da quelli presenti sul territorio italiano;
6) ad assumere iniziative per scongiurare qualsiasi ipotesi di consolidamento di quello che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano l'illegittimo sistema dei centri di identificazione ed espulsione, veri e propri luoghi di detenzione amministrativa;
7) ad assumere iniziative per implementare rapidamente il programma di ricollocamento, ad oggi dimostratosi un fallimento, affiancandolo alla creazione di adeguate strutture per l'accoglienza e l'assistenza delle persone in arrivo;
8) a promuovere una politica che dica «basta» ai respingimenti verso i Paesi di origine e di transito e garantisca a tutti i migranti l'accesso a una piena e chiara informazione sulla possibilità di chiedere protezione internazionale;
9) a proporre la revisione dell'accordo tra Unione europea e Turchia sulla gestione dei rifugiati, nonché a proporre l'immediata sospensione degli accordi – come i processi di Rabat e di Khartoum – con i Governi che non rispettano i diritti umani e le libertà.
(1-01465)
«Palazzotto, Duranti, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».
(16 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    nell'ultimo anno l'ondata migratoria non solo non ha conosciuto soste, ma è addirittura esponenzialmente aumentata. Secondo i dati resi noti ad inizio 2017 da Frontex, l'agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nel 2016 il numero di migranti arrivati in Europa attraverso la rotta centro mediterranea, che riguarda l'Italia e in misura minore Malta, è cresciuto di circa il venti per cento rispetto all'anno precedente, facendo registrare un totale di 181 mila sbarchi. Tale considerevole incremento riflette una pressione migratoria proveniente dal versante occidentale del continente africano, in particolare da Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d'Avorio e Gambia. Dal 2010, l'Italia ha visto decuplicare il numero di arrivi dall'Africa occidentale: secondo l'Unhcr, nel 2016 sono arrivate in Italia via mare 181.405 persone, rispetto alle 153.842 del 2015 e alle 170.100 del 2014 (dati del Viminale);
    la gran parte di questi sbarchi avviene in Sicilia (il 70 per cento), ma ci sono arrivi via mare anche in Calabria (il 17 per cento), Puglia (il 7,5 per cento) e Sardegna (il 4 per cento);
    lo stesso report evidenzia come il numero dei migranti individuali sia calato del settantanove per cento nelle isole elleniche dell'Egeo e nella parte continentale della Grecia, in particolare a seguito dell'entrata in vigore, nel marzo 2016, dell'accordo Unione europea-Turchia, che ha portato ad un'intensificazione dei controlli alle frontiere da parte delle autorità turche, all'accelerazione dei rimpatri di migranti dalla Grecia alla Turchia, cui si somma una stretta sui controlli alle frontiere nei Balcani occidentali;
    particolarmente significativo risulta il raddoppio nell'ultimo anno del numero dei minori stranieri non accompagnati sbarcati lungo le coste del nostro Paese, passato da 12.360 nel 2015 a 25.846 nel 2016, cui va aggiunto il numero, anch'esso in costante crescita, dei minori che arrivano attraverso i valichi alpini, in particolare del Friuli Venezia Giulia, come evidenziato dalla struttura di missione per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati istituita presso il dipartimento dell'immigrazione del Viminale;
    contestualmente, come affermato dal direttore di Frontex nel corso di un seminario di clausura del Partito cristiano sociale bavarese (Csu) e riportato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, gli Stati europei espellono solo il 43 per cento dei migranti cui non è stato riconosciuto asilo;
    con il 1o gennaio 2017 è ufficialmente iniziato il semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea da parte di Malta, che non potrà non annoverare fra sue priorità una gestione comune della politica migratoria di fronte a posizioni nettamente divergenti dei partner europei. In questo quadro vanno apprezzate le parole del premier di Malta Joseph Muscat, che ha affermato di condividere la stessa posizione del governo italiano, auspicando che un accordo con la Libia possa essere trasposto a livello europeo;
    va registrato il sostanziale fallimento del piano Junker di ricollocamento dei mila profughi da Grecia e Italia, deciso nel 2015 e boicottato da parte dei Paesi del cosiddetto gruppo Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) e che ha portato a meno di diecimila ricollocati (dati aggiornati ai primi di dicembre 2016);
    forte preoccupazione desta nell'opinione pubblica la presenza di circa 400 detenuti a «rischio radicalizzazione» presenti negli istituti penitenziari italiani, di cui 170 sottoposti a «specifico monitoraggio», ai quali si aggiungono 45 detenuti in Italia per terrorismo internazionale. Va quindi espresso il vivo ringraziamento a tutti gli agenti della Polizia penitenziaria, ai direttori e a tutti gli operatori che svolgono il proprio gravoso lavoro in strutture spesso inadatte e con gravi carenze di organico. Per contrastare l'estremismo islamico serve un incremento del numero di agenti di polizia penitenziaria e maggiori fondi per la formazione e per le dotazioni degli agenti stessi, un incremento e una capillare diffusione di educatori, assistenti sociali, mediatori culturali e di esperti in quell'attività di intelligence nelle carceri, fondamentale per fronteggiare fenomeni di proselitismo jihadista;
    occorre ripensare l'operazione Eunavfor Med, a cui partecipano in vario modo 25 nazioni europee, concepita con lo scopo di individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai contrabbandieri e dai trafficanti di esseri umani. A tali compiti sono stati affiancati gli incarichi di addestramento della Guardia Costiera e della Marina libica e il contributo alle operazioni di embargo alle armi in accordo alla Risoluzione dalle Nazioni Unite nr. 2292 del 14 giugno 2016. Sin dall'inizio, inoltre, le navi impegnate nell'operazione hanno contribuito alla salvaguardia della vita umana in mare. La flotta europea si è – di fatto – limitata a raccogliere in mare immigrati clandestini e a sbarcarli nei porti italiani affidando alla giustizia gli scafisti (o presunti tali) catturati;
    il passaggio alla cosiddetta «fase tre» dell'operazione Eunavfor Med diviene quindi esiziale: la neutralizzazione delle imbarcazioni e delle strutture logistiche usate dai contrabbandieri e trafficanti sia in mare che a terra sulle coste libiche è fondamentale per scoraggiare ulteriori attività criminali. È ben conosciuto il traffico, purtroppo lecito, di gommoni che attraverso la Turchia e Malta giungono in Libia e che non è possibile bloccare prima dell'arrivo nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Ma per colpire i gommoni sulla costa e nelle acque territoriali libiche l'operazione Eunavfor Med deve essere autorizzata dall'Onu o dal governo libico;
    l'addestramento della Marina Libica, richiesta dal Governo riconosciuto dalla comunità internazionale e sviluppata sotto l'egida dell'Unione europea si inquadra nelle attività di Maritime Capacity Building and Training e Maritime Security, ed è un importante tassello nella stabilizzazione dell'intera area, ma rischia di essere del tutto inutile se la comunità internazionale e le fazioni che si contendono il potere in Libia non troveranno un accordo stabile e duraturo;
    il modello fin qui seguito nella gestione dei flussi migratori va ripensato, mettendo in atto un intervento a tutto campo, basato su quelle esperienze che nel mondo hanno dato risultati positivi e centrato su alcuni punti fissi:
     a) missioni di respingimento: «fermare le navi per fermare le morti (come attuato in Australia dal premier conservatore Tony Abbott» Operation Sovereign Borders«), accogliendo solo chi scappa veramente da una guerra»;
     b) chiusura moschee e luoghi di culto irregolari e senza controlli; apertura solo di luoghi di culto autorizzati e controllati;
     c) sistematico controllo del territorio rispetto al fenomeno dei centri di aggregazione clandestini;
     d) scelta anno per anno delle quantità e tipologie di immigrati effettivamente integrabili nel mercato del lavoro italiano (come fanno altri Paesi, a partire da Canada e Australia);
     e) accettare immigrazione selezionata e contingentata, compatibile con la possibilità di inserimento sociale, lavorativo ed abitativo;
     f) nessun automatismo per la cittadinanza: come negli Stati Uniti essa è solo l'ultimo passo di un lungo percorso,

impegna il Governo:

1) a mettere in atto misure di contrasto all'illegalità e alla migrazione irregolare nel medio e lungo termine, con regole certe che vedano l'avvio di un nuovo sistema basato su quei modelli che nel mondo hanno dato prova di efficacia, come quello canadese e quello australiano;
2) ad intensificare la stipula dei necessari accordi internazionali con i Paesi di partenza degli Migrati (Libia, Nigeria, Eritrea e altri) al fine facilitare e velocizzare i rimpatri dei migranti non in possesso dei requisiti necessari per usufruire delle forme di protezione internazionale e a promuovere accordi bilaterali volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi d'origine;
3) a verificare la possibilità di stipulare accordi con Paesi di provenienza dei migranti per allestire in loco centri di accoglienza dove lo straniero che tenti di entrare in Italia via mare, se intercettato, potrà soggiornare fino alla definizione delle pratiche per l'eventuale ingresso legale nel nostro Paese;
4) a intensificare gli sforzi diplomatici con i partner europei, con il Governo libico e con le Nazioni Unite, anche avvalendosi della posizione di membro non permanente nel Consiglio di sicurezza, al fine di portare alla cosiddetta «fase tre» l'operazione Eunavfor Med;
5) a dotare le forze dell'ordine e gli apparati di sicurezza di mezzi e risorse necessarie al fine di meglio condurre quell'attività di intelligence volta a prevenire infiltrazioni terroristiche e a fronteggiare fenomeni di proselitismo jihadista;

6) ad agire in sede comunitaria per la stipula di accordi economici fra l'Unione europea e i Paesi di origine e transito dei migranti, incrementando le politiche di cooperazione.
(1-01466)
«Altieri, Palese, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(16 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la circolare diffusa dal Ministero dell'interno il 30 dicembre 2016, relativa alle attività di rimpatrio degli stranieri irregolari e al programma di riapertura dei centri di identificazione ed espulsione, e la volontà del Governo di stipulare nuovi accordi bilaterali di riammissione e di riformare in senso restrittivo le norme sul diritto di asilo, rappresentano una visione miope, strumentale e rozza, finalizzata soltanto a stemperare gli umori di una parte dell'opinione pubblica scossa dagli ultimi attentati in Europa, ma manca totalmente di una visione costruttiva e di una gestione intelligente, efficace e lungimirante di un fenomeno - quello migratorio - che non può più essere considerato emergenza, diventato ormai strutturale ed elemento imprescindibile della scena culturale, sociale ed economica;
    è fondamentale, invece, intervenire affrontando in modo responsabile quei correttivi urgenti ad un sistema di accoglienza fallimentare (per una gestione spesso corrotta e in mano al malaffare, per gli elevati costi e la limitata efficacia, per le condizioni degradanti delle persone accolte o trattenute, per il numero limitato degli effettivi rimpatri), come evidenziato anche da tutti gli studi indipendenti, oltre che dalla Corte dei Conti e dalle relazioni delle Commissioni parlamentari d'inchiesta che si sono alternate negli ultimi anni, che aveva anche convinto i Governi precedenti a cercare di diminuire il numero dei centri di identificazione ed espulsione potenziando il modello di accoglienza virtuoso dello Sprar (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati);
    su oltre 180 mila cittadini stranieri sbarcati in Italia nel 2016, circa 23 mila sono stati gestiti attraverso la rete Sprar con progetti di formazione e di inserimento lavorativo. Ma sul futuro di quei migranti pende il verdetto delle loro richieste di asilo, che sei volte su dieci è negativo. Le commissioni territoriali e i tribunali chiamati a valutare le domande di protezione seguono infatti altri criteri, senza prendere in considerazione il percorso svolto dal richiedente asilo e la sua situazione lavorativa. Le cooperative e le associazioni dei progetti Sprar di Torino che gestiscono i richiedenti asilo e le aziende che ospitano i tirocinanti hanno creato la rete «SenzaAsilo», chiedendo al Governo l'introduzione di forme di regolarizzazione su base individuale degli stranieri che prendano in considerazione anche la loro situazione lavorativa. Perché trasformare i migranti lavoratori in irregolari non conviene a nessuno e in un'epoca di guerre, tensioni internazionali, crisi economiche, drammatici eventi climatici, crisi umanitarie di diversa origine e intensità è sempre più evidente l'artificialità e l'opinabilità della summa divisio - tutta politica e giuridica - tra richiedenti protezione internazionale e migranti economici;
    di questo è convinta anche Confindustria che, partendo dalla considerazione che una maggiore integrazione produce maggiori benefici, nel suo rapporto presentato a giugno 2016, sottolinea che l'impatto del lavoro degli immigrati sulla finanza pubblica italiana è positivo e riequilibra il sistema del welfare minacciato dall'invecchiamento demografico;
    è fondamentale che i flussi di migranti siano riconosciuti come una componente strutturale, da gestire attraverso la partecipazione attiva ai programmi di reinsediamento, l'apertura di canali umanitari e un'effettiva riapertura di canali di ingresso e soggiorno legale per lavoro (oggi sostanzialmente chiusi), così da prosciugare il fenomeno dell'irregolarità che foraggia il traffico e lo sfruttamento di esseri umani;
    ora più che mai appare improrogabile una riforma, ad un tempo rigorosa e radicale, del Testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998 e successive modificazioni) che è inefficace, iniquo, in più aspetti contrastante con la Costituzione e con le norme internazionali e dell'Unione europea;
    il 23 dicembre 2016 l'Istat ha pubblicato un rapporto, secondo il quale le richieste totali di asilo politico presentate dai migranti nel 2015 nei Paesi dell'Unione europea sono più che raddoppiate rispetto al 2014, superando largamente il milione (1.257.030). Un migrante su 3 ha scelto di restare in Germania, che è infatti il Paese nel quale è stato presentato il maggior numero di domande (441.800, il 35 per cento del totale dell'intera Unione europea), seguita dall'Ungheria (174.435), la Svezia (156.110) e l'Austria (85.505). L'Italia è al quinto posto con 83.245 richieste (il 7 per cento del totale dei Paesi Europei);
    l'Agenda europea sull'immigrazione, entrata in vigore nel settembre del 2015, oltre ad aver cambiato in maniera radicale il sistema di accoglienza dei migranti nei Paesi di arrivo, come l'Italia e la Grecia, che da Paesi di transito si sono trasformati in Paesi di destinazione, ha provocato un cortocircuito sulla loro ricollocazione, perché ha stabilito di fatto che i migranti possano accedere al ricollocamento in base alla loro nazionalità. Hanno diritto ad essere ricollocati i siriani e gli eritrei, quelli cioè a cui è riconosciuta una protezione nel 75 per cento dei Paesi europei, mentre tutti gli altri rientrano nella categoria dei migranti economici, anche coloro che scappano dalle guerre, o fuggono da governi dittatoriali come quello gambiano e quello etiope. Per loro è possibile richiedere l'asilo in Italia, ma senza troppe speranze: nei primi sei mesi del 2016 le domande d'asilo sono aumentate del 60 per cento, con un responso negativo del 60 per cento dei casi, che sono diventati irregolari. Il sistema di accoglienza italiano quindi, invece di integrare, ha di fatto prodotto un numero altissimo di persone irregolari;
    in chiave fortemente critica non si può che denunciare la volontà – manifestata apertis verbis dai Ministri Minniti e Orlando – di eliminare il grado di appello nei procedimenti giurisdizionali di impugnazione dei dinieghi dello status di rifugiato, creando quella che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano un'odiosa e incostituzionale apartheid giuridica riservata ai diritti fondamentali (quello alla protezione e quello alla difesa) dei richiedenti asilo;
    anche gli hotspot, imposti all'Italia sempre dall'Agenda europea, per le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo, hanno creato un sistema arbitrario e lesivo dei diritti fondamentali delle persone sbarcate sulle coste italiane. L'approccio hotspot è privo di una cornice giuridica, dato che nessun atto normativo, né italiano né europeo, disciplina quanto avviene all'interno dei centri, che in molti casi anzi contrasta in modo palese con quanto previsto dalla legge non solo in materia di protezione internazionale, ma anche di violazione della libertà personale;
    i centri hotspot, cronicamente sovraffollati e fonte di episodi di violenza e intimidazione testimoniate, respingimenti viziati nella forma, non sono in grado di offrire condizioni di permanenza dignitosa nemmeno ai minori che viaggiano soli, e non possono più essere considerati un sistema sufficiente e idoneo ad accogliere i migranti che sbarcheranno nel prossimo futuro. Il sistema di prima e seconda accoglienza a livello nazionale si rivela drammaticamente insufficiente. L'Italia e l'Europa devono drasticamente trasformare il loro approccio alla gestione dei flussi migratori, mettendo i diritti delle persone al centro,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per definire una normativa nazionale organica sul diritto d'asilo che dia attuazione all'articolo 10 della Costituzione e che consenta ingressi legali e sicuri a chi fugge da guerre, persecuzioni, eventi climatici avversi, catastrofi naturali, carestie, epidemie;
2) ad assumere iniziative per introdurre un sistema di accoglienza diffuso e sostenibile, che favorisca l'integrazione e la gestione corretta e trasparente di risorse e strutture, facendo del modello Sprar la regola e il ricorso a sistemi emergenziali l'eccezione;
3) intensificare ogni tentativo in sede europea per individuare forme di prima accoglienza alternative agli hotspot, con regole più rispettose dei diritti dei migranti;
4) ad assumere iniziative per la definitiva chiusura dei centri di identificazione ed espulsione e una riforma strutturale della materia dei rimpatri;
5) ad attivarsi in sede europea affinché venga potenziato e riconosciuto l'istituto del ricongiungimento familiare al fine di favorire un'immigrazione regolata e ordinata nel rispetto del diritto all'unità familiare e dei diritti dei minori;
6) ad assumere iniziative normative per l'abolizione del cosiddetto reato di clandestinità previsto dall'articolo 10-bis del testo unico sull'immigrazione, ritenuto dalla stessa magistratura un ostacolo al perseguimento dei reati legati al fenomeno migratorio come la tratta, lo sfruttamento lavorativo e la riduzione in schiavitù;
7) a promuovere in sede di Unione europea l'istituzione del visto umanitario comunitario con validità per tutta l'area Schengen ed emettibile in uno Stato terzo;
8) a proporre in sede di Unione europea e, in collaborazione con l'Alto commissariato dell'ONU per i rifugiati, l'istituzione di «uffici per le migrazioni» in Paesi di transito che presentano sufficienti condizioni di sicurezza, dove possano essere valutati i singoli casi e assegnati visti umanitari e documenti di viaggio temporanei, anche in considerazione delle singole esigenze di ricongiungimento familiare, allo scopo di consentire ai migranti di impiegare mezzi di trasporto legali verso l'Europa, e di suddividere in modo solidale tra i Paesi dell'Unione europea il carico umano ed economico di questa emergenza;
9) a promuovere una politica europea volta a consentire, successivamente all'istituzione degli «uffici per le migrazioni» sopracitati, la possibilità per i migranti richiedenti asilo, valutata favorevolmente la domanda di asilo, di raggiungere il territorio del Paese membro accogliente attraverso servizi di trasporto (aereo, marittimo e terrestre) legali, anche a spese dello stesso migrante, con il fine ultimo di salvare migliaia di vite, di distruggere alla base il business dei trafficanti di esseri umani e di ridurre in maniera organizzata la pressione ai confini dell'Europa, nonché il rischio di infiltrazioni terroristiche;
10) a favorire la realizzazione di percorsi educativi di accoglienza ed integrazione a favore dei migranti che consentano loro di conoscere il contesto sociale che li ospita ed integrarsi, anche attraverso lo svolgimento di attività di volontariato a scopo sociale e/o di pubblico interesse, al fine di permettere ai medesimi di acquisire un ruolo attivo, partecipe e che restituisca loro dignità.
(1-01467)
(Nuova formulazione) «Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».
(16 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati UNHCR sono oltre 5.000 le persone morte in mare cercando di raggiungere l'Europa nel 2016, il numero più alto degli ultimi decenni;
    secondo gli stessi dati in Europa tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2016 sono sbarcate in Europa 361.678 persone, di cui 181.405 in Italia. Nel 2016, gli arrivi nel nostro Paese sono aumentati del 18 per cento circa rispetto al 2015, ma solo del 6 per cento rispetto al 2014;
    a livello europeo si tratta di un dato inferiore rispetto a quello del 2015 (1.015.078), anno record, mentre gli sbarchi in tutta Europa del 2016 ha o raggiunto la somma di tutti quelli verificatisi tra il 2011 e il 2014; l'aumento italiano del 2016 rispetto al 2015 va letto anche in relazione, oltre al diversificarsi delle nazionalità dei migranti, con la diminuzione da 856.723 a 173.447 degli ingressi in Europa dalla frontiera greca;
    per quel che riguarda l'Italia, il 2016 ha confermato le previsioni della circolare 3148 del 12 aprile 2016 con cui il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno preannunciava un significativo aumento del fenomeno migratorio nel 2016, anche se sino a settembre gli sbarchi sono stati in numero analogo rispetto a quelli del 2015;
    la svolta, se così si può dire, è avvenuta nell'autunno in particolare tra ottobre (27.000 arrivi) e novembre, quando si è superato il numero di arrivi del 2015. A dicembre si è, invece, registrato un rallentamento degli stessi sbarchi (8.300 nel 2016, 9.600 nel 2015), mentre si è avuta un'impennata nei primi giorni del 2017;
    si tratta, certo, di dati significativi ma che non possono far parlare seriamente di «invasione», né giustificare il senso di minaccia che molti sostengono sia percepito nel nostro Paese, anche a causa del fenomeno terroristico che colpisce l'Europa in questi anni;
    infatti, l'Italia, che insieme alla Grecia è inevitabilmente la prima meta dei profughi, e l'Europa sono ben lontane da qualunque «invasione», anche se è evidente che si sia di fronte a mutamenti significativi;
    di fatto, gli ingressi legali in Italia per ragioni economiche sono possibili per numeri irrisori: il decreto flussi 2015 permetteva 17.850 ingressi di lavoratori stranieri, di cui 12.350 riservati alla conversione di permessi già esistenti di studio o lavoro; il decreto flussi 2016 ha previsto 30.000 posti, di cui 13.000 riservati a lavoratori stagionali e 12.000 alla conversione di altro tipo di permessi; solo 5.000 i permessi per nuovi ingressi. Oggi la richiesta di protezione internazionale è, di fatto, diventata pressoché l'unico modo per entrare regolarmente in Italia;
    dal punto di vista dell'accoglienza, in Italia la situazione è molto frammentata. Vi è, infatti, una non equa distribuzione nei vari comuni del nostro Paese;
    al momento in Italia il 77,7 per cento dei profughi e richiedenti asilo è ospitato in centri di accoglienza straordinaria (Cas) e solo il 13,5 per cento in posti Sprar – sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (il restante 8,8 per cento negli hotspot e centri di prima accoglienza nelle regioni di sbarco). I Cas sono nati come risposta emergenziale agli arrivi dopo le cosiddette Primavere arabe del 2011, diventando poi un sistema parallelo e preponderante rispetto a quello dell'accoglienza ordinaria dei richiedenti asilo nel Paese che andrebbe, invece, potenziato;
    la qualità dei servizi offerti dai Cas, spesso allestiti in strutture turistiche, è disomogenea, così come lo è la loro collocazione sul territorio nazionale. Rispetto ai Cas, i centri aderenti allo Sprar hanno standard di qualità più alti, con regole ben precise e hanno come scopo l'integrazione a lungo termine del richiedente asilo e non solo la sua accoglienza temporanea. Inoltre, i centri Sprar sono soggetti a una rendicontazione economica più rigorosa, e sono quindi meno esposti ad abusi;
    il decreto governativo del 10 agosto 2016 prevede che gli Sprar non siano più finanziati attraverso bandi periodici, ma continuativamente, in base a un sistema di accreditamento permanente e ai finanziamenti disponibili;
    inoltre, per superare le attuali inaccettabili sperequazioni nel nostro Paese a causa della reticenza di alcuni comuni italiani ad aderire ai progetti Sprar (su 8.000 comuni italiani solo 1.800 hanno accolto i migranti nel 2016), a ottobre 2016 una circolare del Ministero dell'interno ha stabilito che se un comune aderisce allo Sprar otterrà la progressiva diminuzione della presenza dei Cas sul suo territorio e inoltre riceverà 500 euro all'anno per ogni accolto;
    tuttavia, mentre la distribuzione dei profughi per regione nel sistema dei Cas è disposta dal Ministero dell'interno attraverso le prefetture ed è obbligatoria, l'adesione al sistema Sprar rimane volontaria;
    prosegue a rilento e con diverse criticità il meccanismo di relocation: i dati disponibili al 30 dicembre 2016 indicano che complessivamente dall'Italia sono stati ricollocati in altri Paesi europei 2.654 richiedenti asilo (su un totale di 39.600 previsti entro il 2017) e 6.212 dalla Grecia al 6 dicembre (su 66.400);
    per quel che riguarda in particolare i richiedenti asilo, che come si sa sono una particolare categoria di immigrati con uno statuto speciale dovuto all'articolo 1 della Convenzione di Ginevra, si assiste a un cambiamento di immagine, da perseguitati individuali a vittime traumatizzate di conflitti, instabilità politica o calamità, perseguitati anonimamente quasi sempre non per quello che hanno fatto ma per quello che sono;
    tale allargamento del tradizionale concetto di rifugiato, verso cui non si ammette il debito politico da parte europea, crea tensioni contrastanti negli Stati nazionali che tendono a difendere i propri confini ma non hanno elaborato una legislazione adeguata verso questo fenomeno;
    si può temere che, di fronte a tale difficoltà di gestire il fenomeno, si intenda porre una stretta alla concessione dell'asilo politico; in particolare, appare preoccupante l'idea di negare il diritto di appello a coloro che si vedessero respinta la domanda di protezione internazionale;
    si tratterebbe di un atto che potrebbe mettere a rischio la vita di molte persone e che, tra l'altro, potrebbe portare ad eventuale condanna italiana da parte della Corte di giustizia europea, che non potrebbe non essere investita della questione;
    altrettanto problematica appare la possibilità di restringere le modalità di iscrizione anagrafica a fine di residenza, che non comporterebbe tra l'altro consistenti risparmi ai comuni ma al contrario renderebbe più difficilmente reperibili i richiedenti creando anche maggiori problemi di sicurezza;
    un approccio lungimirante deve portare a gestire il fenomeno nelle sue rapide evoluzioni, anche con una revisione complessiva ed organica della normativa sull'immigrazione con l'obiettivo di difendere i diritti fondamentali dei migranti, operare in sede europea per rivedere, come già richiesto, le «convenzioni di Dublino», ottenere la relocation dei profughi, favorire canali e corridoi umanitari previsti dalla legislazione europea;
    l'eventuale riapertura dei Centri di identificazione ed espulsione, per rispondere al fenomeno, non appare auspicabile se non a determinate condizioni. Il bilancio di una storia ormai di diversi anni ha mostrato, a fronte di sofferenze provocate nei detenuti e di un alto costo economico per le casse pubbliche, l'inefficacia di tali centri rispetto allo scopo per cui sono stati ideati;
    si consideri che meno della metà (46,2 per cento) delle 175.142 persone detenute nei centri dal 1998 al 2013 sono state effettivamente rimpatriate; nei primi nove mesi del 2016, nei Cie rimasti in Italia sono stati reclusi circa 2 mila stranieri irregolari, 876 dei quali sono stati rimpatriati. Nello stesso 2016, il solo ufficio della questura di Milano ha realizzato 762 espulsioni: si tratta di quasi la metà di tutte le espulsioni d'Italia, senza il transito da un Cie, dato che in Lombardia non vi sono Cie attivi,

impegna il Governo:

1) ad operare per potenziare e ampliare il sistema Sprar, assicurato finora dai comuni su base volontaria a fronte invece dell'obbligatorietà del sistema dei centri di accoglienza straordinaria (CAS), anche rafforzando il sistema degli incentivi economici ai comuni virtuosi;
2) ad assumere iniziative per mantenere la possibilità di appello in caso di rifiuto della protezione internazionale, operando al contempo per rendere più rapide le risposte al ricorso e per impiegare i richiedenti asilo in lavori socialmente utili;
3) a facilitare la reperibilità dei richiedenti protezione internazionale e i loro percorsi di integrazione anche mantenendo la possibilità di iscrizione anagrafica;
4) a valutare l'opportunità di regolarizzare nel tempo i richiedenti protezione internazionale ai quali è stato notificato il diniego da parte della commissione territoriale, che dimostrino di essere integrati nel tessuto lavorativo e sociale del nostro Paese;
5) ad assumere iniziative per abrogare, trasformandolo in un illecito amministrativo, il reato di immigrazione clandestina previsto dall'articolo 10-bis del Testo unico sull'immigrazione, come richiesto anche dalle autorità giudiziarie;
6) a incentivare e incrementare l'accoglienza diffusa da parte di sponsor, associazioni e singoli cittadini nonché le iniziative di formazione linguistica e professionale dei richiedenti asilo e a favorire le iniziative finalizzate a individuare canali legali di ingresso per i richiedenti asilo come i corridoi umanitari per persone vulnerabili;
(1-01468)
«Santerini, Marazziti, Sberna, Dellai, Baradello, Capelli».
(17 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo le stime dell'UNHCR sarebbero 65 milioni, 24 al minuto, le persone nel mondo che, tra richiedenti asilo, rifugiati e profughi, molti dei quali bambini, lasciano la propria casa, il proprio villaggio, la propria famiglia per sfuggire alla morte, per la guerra o la fame;
    nel corso degli ultimi anni gli sbarchi di cittadini extracomunitari sul territorio italiano, provenienti oltre che dal nord Africa, da Paesi asiatici, da Paesi in guerra o dove la situazione economica è disastrata, si sono significativamente intensificati, assumendo proporzioni tali da richiedere interventi immediati e urgenti;
    i dati parlano da soli: il «cruscotto statistico giornaliero» del Ministero dell'interno rileva al 30 dicembre 2016 ben 181.283 persone sbarcate in Italia con +17,84 per cento rispetto il 2015 e +7,08 per cento rispetto il 2014. A questi numeri vanno aggiunti i migranti riammessi dai valichi di frontiera del nord Italia e quelli rientranti in applicazione del regolamento dell'Unione europea;
    si calcola che oltre un milione di migranti abbia avuto accesso all'Unione europea via mare nel 2015, il numero sale a 1.822.337 se si considerano anche le frontiere della via orientale e della via occidentale balcanica. I soli minori stranieri non accompagnati sbarcati nel nostro Paese nel corso del 2016 sono stati 24.926;
    secondo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) nel 2015 hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il Mediterraneo 3.770 persone, nel 2016 risultano essere oltre 5.000. L'Unhcr calcola che lungo la rotta del Mediterraneo centrale perda la vita un migrante ogni 25, spesso i soggetti più deboli e indifesi come i bambini;
    con la politica dell'Unione europea di deterrenza, attuata in particolare con l'accordo con la Turchia del marzo 2016 (ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, gravemente inefficace sul piano della tutela dei migranti ed in palese violazione di norme comuni di diritto internazionale oltre che di comune morale), sono drasticamente diminuiti gli sbarchi in Grecia, passati da 856.723 nel 2015 a 170.373 a novembre 2016, mentre, sostanzialmente, sono aumentati in Italia arrivando a più di 180 mila;
    recenti fatti di cronaca e indagini della magistratura raccontano come in alcuni casi la gestione dei migranti abbia raggiunto significative derive speculative di veri e propri «mercati» di esseri umani, sia nei territori di provenienza che nei territori di sbarco;
    appare non più rinviabile la revisione del «regolamento di Dublino», prevedendo un meccanismo automatico e permanente di ricollocamento, nonché un sistema centralizzato europeo per l'esame delle domande di protezione internazionale, al fine di garantire un'equa distribuzione dei flussi migratori tra tutti gli Stati membri dell'Unione europea; l'applicazione del regolamento in questione è di difficile gestione e il principio generale in esso stabilito, secondo cui i Paesi responsabili dell'esame di una domanda di protezione internazionale «anche di coloro che hanno varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro» sono quelli di prima accoglienza, presenta notevoli criticità a causa del numero sempre crescente di migranti, tra le quali la gestione nazionale, ossia in carico ai singoli Stati delle richieste d'asilo, che induce in numerosi migranti il rifiuto di farsi identificare e il loro incontrollato movimento tra i Paesi europei;
    è necessario altresì che il nostro Paese provveda anche, a norma di legge e di fondi appositamente stanziati, a garantire il rimpatrio in condizioni di sicurezza e dignità per quanti si trovano a non avere diritto alla protezione internazionale o che non soddisfano le condizioni di ingresso, presenza o soggiorno in uno degli Stati membri, anche attraverso l'utilizzo di sistemi di raccolta dati più efficaci, efficienti e tempestivi;
    grandi concentrazioni di migranti in attesa di definizione dello status, inoccupati, in un'unica struttura per prolungati periodi di tempo, possono portare a situazioni di insofferenza, malessere e tensioni che sfociano sempre più spesso in episodi gravi, sia tra i migranti stessi che nella popolazione ospitante. Tutto ciò allontana sempre più la possibilità di una integrazione o quantomeno di una accettabile convivenza, anche solo per il periodo di definizione della richiesta asilo;
    si ritiene che in tale contesto non sia percorribile la soluzione finora proposta di concentrare queste persone in grandi strutture, inadeguate per l'accoglienza di grandi numeri di persone e per svolgere quelle funzioni di integrazione sociale. Una possibile soluzione, meno impattante per i cittadini e più inclusiva per il migrante, potrebbe essere attuata attraverso l'accoglienza diffusa, oggi ancora poco presente nel nostro territorio;
    attraverso l'accoglienza diffusa gli stranieri vengono gestiti in piccoli gruppi e in piccole residenze all'interno della comunità. Si rileva che nei comuni che hanno optato per questa forma di accoglienza l'esperienza sia stata più che positiva. Se ogni comune si impegnasse nell'accoglienza di una quota di migranti proporzionale al numero di abitanti, il numero di stranieri presenti sarebbe minimo e facilmente gestibile. Ad oggi invece l'accoglienza diffusa pare non decollare;
    il sistema di accoglienza dei migranti in arrivo sul territorio italiano è garantito dalle risorse stanziate dall'Unione europea e dal Governo italiano. La disponibilità di appetibili finanziamenti ha attratto soggetti non sempre all'altezza della situazione e con finalità discutibili. Tenuto conto che i centri di accoglienza rispondono a normative e regolamenti differenti sarebbe opportuno prevedere un efficace sistema di controllo sul corretto utilizzo dei fondi assegnati, ad esempio prevedendo che la quota di contributo giornaliero sia condizionata all'effettiva presenza, all'identificazione dell'immigrato e all'effettiva attuazione del progetto di accoglienza e integrazione previsto. È inoltre necessario che la gestione dei contributi pubblici sia assolutamente trasparente, per evitare rischi di gestioni poco chiare miranti a forme speculative più che a logiche di integrazione, prevedendo anche l'eventuale pubblicazione dei bilanci analitici delle cooperative interessate nell'albo pretorio del comune di presenza della struttura;
    la rete di accoglienza, in particolare la rete SPRAR (sistema protezione richiedenti asilo rifugiati) costituisce un importante approccio fondato sulla programmazione pubblica territoriale, un modello sostenibile in grado di affrontare la situazione, osservando anche le realtà dove l'applicazione di un'accoglienza diffusa ha portato situazioni di effettiva integrazione del migrante con il tessuto sociale ed economico del Paese;
    un sistema di accoglienza diffusa restituirebbe all'ente locale la possibilità di governare e gestire le criticità del proprio territorio e nel contempo, attraverso la gestione dell'accoglienza in rete, consentirebbe la condivisione con altri comuni delle risorse umane e di spazi adeguati. Tutto ciò permetterebbe di poter gestire flussi limitati e controllabili evitando quei fenomeni di intolleranza e disagio sociale che troppo spesso oggi fanno parte delle cronache locali;
    a tal riguardo va considerata la situazione economica attuale di molti cittadini italiani: nel nostro Paese sono presenti più di 4.598.000 persone che vivono in uno stato di povertà assoluta (Istat 2015) e un senso di totale abbandono e disperazione. Ciò acuisce sempre più la tensione tra cittadini italiani e migranti. È necessario quindi che contestualmente agli interventi a favore dei migranti siano promossi interventi per assicurare beni e servizi alle famiglie italiane meno abbienti;
    l'Europa non ha ancora mostrato di voler adottare una politica comune per la gestione dei flussi migratori e certamente non è stata capace di mostrare il volto umano della solidarietà di fronte all'emergenza umanitaria di flussi crescenti di migranti, lasciando sostanzialmente sola l'Italia;
    come Stato di frontiera esterna dell'Unione europea l'Italia è sottoposta a una pressione maggiore, tuttavia ciò non può sottintendere che il Paese accogliente abbia responsabilità maggiori o speciali;
    è di tutta evidenza che il problema vada affrontato coinvolgendo la comunità internazionale, elaborando iniziative non solo nei Paesi d'arrivo, ma anche azioni di sostegno e di sviluppo economico locale, che affrontino, superandole, le problematiche di povertà che spingono milioni di persone a lasciare la propria casa, la propria famiglia in cerca di sopravvivenza;
    a livello nazionale ed europeo sarebbe necessario, pertanto, agire sulle cause dei flussi migratori («stop» alla vendita di armi ai Paesi dove vi sono conflitti, «stop» allo sfruttamento dei Paesi terzi, cooperazione internazionale e sviluppo nei Paesi di origine e transito) e con l'istituzione di vie legali e sicure di accesso all'Unione europea (per esempio, i corridoi umanitari già positivamente sperimentati con la Siria), al fine di favorire una diminuzione delle traversate in mare, la pressione dei flussi sulle frontiere esterne ed un'efficace lotta ai trafficanti di esseri umani;
    il nostro Paese deve ulteriormente impegnarsi a chiedere nelle sedi appropriate una risposta europea più adeguata e ad inserire la questione migratoria in una più efficace ed effettivamente «comunitaria» gestione,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per aprire un dibattito in Europa che proponga il superamento integrale del regolamento di «Dublino III» ed il principio in base alla quale la gestione degli immigrati sia appannaggio del Paese che accoglie per primo, nonché a stringere accordi bilaterali con i Paesi di transito atti alla lotta del traffico di esseri umani;

2) a favorire l'istituzione di un'Agenzia europea per l'asilo e l'immigrazione al di fuori del territorio dell'Unione europea, attraverso la creazione di basi europee direttamente finanziate dall'Unione europea o l'utilizzazione delle sedi diplomatiche già esistenti in alcuni Paesi africani, quali sedi operative nelle zone di maggior transito dei rifugiati, in grado di gestire le domande di protezione internazionale e di contenere il numero dei flussi migratori indistinti;

3) ad elaborare un sistema di monitoraggio delle strutture che gestiscono i centri di accoglienza al fine di verificare il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti regolari, nonché, a introdurre meccanismi di verifica puntuale per una trasparente gestione dell'accoglienza al fine di prevenire e combattere il cosiddetto business dei rifugiati;

4) ad abbandonare la politica dei cosiddetti Centri di identificazione ed espulsione e ad adottare le iniziative più idonee per garantire l'immediato rimpatrio in condizioni di sicurezza e dignità, di coloro che non hanno diritto alla protezione internazionale o che non soddisfino più le condizioni di ingresso, presenza o soggiorno in uno degli Stati membri, anche attraverso l'utilizzo di sistemi di raccolta dei dati più efficienti;

5) a prevedere percorsi di accoglienza diffusa, rivolta soprattutto ai minori e alle donne vittime di abusi, che necessitano di un'accoglienza più attenta e disponibile, prevedendo anche una formazione degli operatori e dei volontari che supporteranno la famiglia o la comunità accogliente;

6) ad operare affinché il diritto all'asilo non sia in alcun modo barattabile vista la valenza del diritto stesso, men che meno attraverso lavori socialmente utili che potrebbero invece avere il fine di condizionare fortemente gli equilibri del mercato del lavoro provocando un progressivo abbassamento del costo della manodopera.
(1-01469)
«Dieni, Manlio Di Stefano, Cozzolino, Dadone, Cecconi, D'Ambrosio, Nuti, Toninelli».
(17 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il 2016 è stato un anno record per il numero di migranti arrivati in Europa attraverso la rotta centro mediterranea, che coinvolge l'Italia e in misura minore Malta, e per il numero di coloro che hanno trovato la morte in mare durante il viaggio della speranza. Il primo dato è fornito dall'agenzia europea Frontex: il totale è di 181 mila, con un incremento di circa il 20 per cento rispetto all'anno precedente. L'altro viene dall'Alto commissariato Onu per i rifugiati ed è aggiornato al 2 dicembre 2016: le vittime sono state 3.470 contro le 2.771 di tutto il 2015 e il rapporto tra morti e sbarchi è triplicato passando da uno ogni 269 a uno ogni 88;
    il dato di Frontex, che sottolinea il record di arrivi nel nostro Paese, riflette una pressione migratoria crescente dall'Africa, in particolare quella occidentale. Dal 2010, l'Italia ha visto una crescita di dieci volte nel numero di arrivi da quella regione. La maggior parte dei migranti passati dalla rotta centro mediterranea sono nigeriani (21 per cento) seguiti da cittadini di Eritrea (12 per cento), Guinea, Costa d'Avorio e Gambia (8 per cento);
    nel 2016, sempre secondo l'agenzia europea, sono stati 503.700 i migranti che hanno attraversato illegalmente le frontiere dell'Unione europea, di cui 364.000 via mare. L'unico aumento di arrivi rispetto al 2015 è quello sulla rotta centro mediterranea. Secondo le stime, infatti, gli arrivi in Grecia sono crollati del 79 per cento a quota 182.500, grazie all'accordo con la Turchia in vigore dalla scorsa primavera. Brusco calo anche nella rotta balcanica, dove si è passati dai 764 mila arrivi del 2015 a 123 mila, in seguito all'inasprimento dei controlli di frontiera. La chiusura della rotta balcanica ha quindi determinato maggiori spostamenti di immigrati verso le coste siciliane, in un tratto di mare molto pericoloso. Sulla rotta del Mediterraneo centrale si registra, infatti, l'85 per cento di tutte le morti in mare;
    l'Italia è particolarmente esposta a causa delle sua caratteristica di frontiera esterna dell'Unione europea e della sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, che mette in comunicazione Europa, Africa e Asia;
    il nostro Paese è quindi diventato la prima meta delle rotte migratorie, con un rischio di collasso del sistema d'accoglienza;
    i dati dell'ultimo Rapporto sulla protezione internazionale in Italia testimoniano una realtà molto composita dove, a inizio ottobre 2016, erano presenti, nelle diverse strutture di accoglienza, oltre 165 mila persone giunte in massima parte via mare. Nella rete di primissima accoglienza (CDA, CARA, CPSA, Hub, Hotspot) erano presenti nello stesso periodo oltre 14.000 richiedenti la protezione internazionale, mentre nelle strutture temporanee di accoglienza quasi 128.000, pari a più del doppio rispetto al 2015. Negli Sprar, strutture di seconda accoglienza per richiedenti e titolari di protezione internazionale, erano poco meno di 23.000. L'uso di alberghi o di altre strutture ricettive, a vocazione turistica e dunque diverse da quelle previste per l'accoglienza di richiedenti la protezione internazionale, sono diventate da straordinarie ad ordinarie, tant’è che le strutture straordinarie costituiscono percentualmente circa l'80 per cento dei posti d'accoglienza oggi disponibili in Italia;
    la stragrande maggioranza delle richieste di asilo provengono da africani, in numero estremamente contenuto i cittadini siriani: 9 su 10 sono maschi, l'88 per cento ha meno di 35 anni, quasi il 60 per cento arriva dall'Africa. La Nigeria guida la classifica dei Paesi di provenienza (11.000 domande), seguita da Pakistan (7.100), Gambia (6.000), Mali (4.700), Senegal (4.300), Bangladesh (4.100) e Afghanistan (2.500). I siriani che nel 2016 hanno cercato protezione in Italia sono meno di 800, nonostante le richieste siano state quasi tutte accettate;
    le richieste di asilo sono in aumento: quasi 78.000 da gennaio al 31 ottobre 2016. Nel 2012 furono 17.000, 26.000 nel 2013. Il 2014 è stato l'anno di picco delle richieste (63.000), cresciute a 83.000 nel 2015;
    si rammenta che, se nel 2012, 3 richiedenti asilo su 4 ottenevano il permesso di rimanere in Italia, negli anni, la percentuale di coloro che hanno diritto a una qualche forma di protezione è diminuita: 61 per cento nel 2013 e nel 2014, 41 per cento nel 2015, 37 per cento nel 2016. In Italia solo il 5 per cento dei richiedenti asilo ottiene successivamente lo status di rifugiato. Il 13 per cento riceve il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, che dura 5 anni e viene rilasciato a chi rischia di subire un danno grave nel caso di rientro nel proprio Paese. Mentre, ad oggi, circa il 24 per cento consegue la protezione per motivi umanitari (24 mesi, prorogabili). Ma negli ultimi anni, a fronte dell'aumento dei flussi, il Ministero dell'interno ha imposto una maggiore attenzione alle domande rendendo i criteri più stringenti. Il risultato è che la quota di domande respinte è aumentata: 22 per cento nel 2012, 39 per cento nel biennio successivo, 59 per cento nel 2015, fino a toccare il 63 per cento nei primi 10 mesi del 2016;
    la portata, l'impatto e il preoccupante incremento del fenomeno migratorio richiedono l'adozione di misure complesse e costanti nel tempo; è necessario mantenere una visione obiettiva dello stesso, impegnandosi, sia nella difesa dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, che per incentivare e rafforzare la collaborazione con gli altri Paesi in tema di prevenzione e contrasto dell'immigrazione clandestina e del traffico degli esseri umani;
    le iniziative e le misure poste per fronteggiare il fenomeno migratorio, un'emergenza che ha assunto negli ultimi anni carattere strutturale, non hanno fino ad ora avuto esiti positivi, registrando di fatto il fallimento della politica italiana su questo tema, nonché il fallimento di una politica europea comune delle migrazioni;
    sul tema dell'immigrazione, l'Italia non ha saputo offrire all'Europa quell'impulso decisivo in grado mettere in campo le misure necessarie per governare un fenomeno altrimenti destinato a creare una frattura indelebile nel patto sociale tra cittadini e Stato europeo, nonché negli equilibri tra gli Stati membri, con conseguenze drammatiche per la stessa tenuta democratica e la convivenza tra Stati;
    si è infatti ancora lontani dal raggiungimento degli obiettivi che lo stesso Consiglio europeo ha fissato, quantomeno sulla carta. Lo dice di fatto lo stesso Consiglio europeo. Lo dice il Governo italiano, che più di una volta ha manifestato insoddisfazione per la scarsa implementazione dell'accordo dello scorso ottobre 2015, e per il mancato rispetto degli impegni da parte dell'Unione europea. Lo dicono i numeri: in particolare quelli relativi ai rimpatri, alle riallocazioni, all'immigrazione irregolare;
    è quantomeno necessario uno sforzo comune per rafforzare la gestione delle frontiere esterne dell'Europa, ed è più che mai urgente ed improcrastinabile l'implementazione di una politica migratoria europea comune e coerente, in grado di offrire un adeguato sostegno agli Stati membri in prima linea, che affronti i temi del controllo delle frontiere e della stabilità e sviluppo dei Paesi di origine e di transito, e che contempli interventi mirati per contrastare gli scafisti in partenza dalla Libia e dalla Tunisia, unitamente a interventi di carattere umanitario per garantire, a chi ne ha diritto, di ricevere assistenza in Africa e accoglienza in Europa;
    sforzi maggiori dovrebbero essere richiesti agli Stati membri anche per quanto riguarda l'attuazione dei programmi di relocation, ad oggi assolutamente fallimentari ed inefficaci. Secondo la Commissione europea al 28 settembre 2016 sono state effettivamente ricollocate dalla Grecia negli altri Stati membri 4.455 persone, a fronte di circa 9.776 mila posti messi a disposizione, e di un impegno assunto in sede di Consiglio dell'Unione europea che vincolerebbe gli Stati membri alla relocation di 63 mila richiedenti asilo. Dall'Italia sono stati effettivamente ricollocate in altri Stati membri 1.196 persone, a fronte di circa 3.809 posti messi a disposizione dagli altri Stati membri, e di un impegno per circa 35 mila richiedenti asilo;
    in ogni caso, anche se l'attuale piano di relocation fosse pienamente attuato, esso inciderebbe in misura minima sulla situazione italiana, caratterizzata dalla massiccia presenza di migranti non rientranti nelle categorie soggette a ricollocazione negli altri Paesi europei;
    è necessario altresì sollecitare con forza un impegno fattivo e responsabile degli Stati dell'Unione europea per stipulare accordi economici a livello europeo con i Paesi di origine e transito dei migranti, anche attraverso lo sviluppo di una politica di cooperazione volta a sostenere lo sviluppo economico e l'occupazione in questi territori;
    più in generale, non è ammissibile che vi sia un accordo Unione europea-Turchia a baluardo della rotta del Mediterraneo orientale e del Mar Egeo, mentre non vi è un accordo specifico sulla rotta che più interessa il nostro Paese;
    agli accordi a livello europeo, è fondamentale altresì affiancare la stipula, sulla scia di quanto fatto dal Governo Berlusconi (ultimo Governo a stipulare accordi specifici di rimpatrio), di accordi bilaterali con i Paesi di origine e di transito dei migranti per interrompere i flussi migratori e per il rimpatrio dei clandestini;
    anche la missione Eunavfor Med riporta risultati comunque limitati dal fatto che non è ancora stata avviata la fase 3 dell'operazione, che prevede la possibilità di arrestare gli scafisti e di sequestrare o affondare le barche direttamente sulle coste di partenza e sullo stesso territorio libico;
    in caso di mancato avvio della fase 3, ovvero qualora questa non fosse praticabile in tempi ragionevolmente brevi, va valutata la possibilità di sospendere l'attuale fase 2. È comunque auspicabile, qualora non fosse possibile sospendere l'attuale fase 2, che il Governo intraprenda finalmente una forte e rapida azione politica diplomatica attraverso il Consiglio dei Ministri degli affari esteri dell'Unione europea e la Commissione, al fine di chiedere ed ottenere una modifica dei compiti da svolgere durante la fase due in corso, ottenendo la possibilità di includere anche compiti di identificazione da effettuare già a bordo della flotta schierata a ridosso delle coste africane interessate, con conseguente e rapido discernimento tra coloro che hanno reali esigenze umanitarie e chi invece deve essere ricondotto sulle coste africane. Una volta identificati in mare, sarebbe infatti molto più agevole rimpatriare i migranti nei Paesi di origine che non hanno diritto di soggiornare nell'Unione europea, mettendo a sistema una politica di rimpatrio efficace e di forte deterrenza per tutti i migranti, che non pagherebbero più un alto prezzo ai trafficanti se rimpatriati dopo la loro identificazione già in alto mare;
    tornando a livello nazionale, è necessario intervenire anche sul piano normativo sul tema della protezione internazionale. Ad oggi, la protezione internazionale è disciplinata nell'ordinamento italiano in tre modi: il diritto d'asilo, la protezione sussidiaria e la cosiddetta «protezione umanitaria». A differenza delle altre due, che trovano riscontro nella gran parte degli ordinamenti, e che hanno come fonte l'ordinamento internazionale e comunitario, la terza rappresenta, nella sostanza, una peculiarità italiana, che presenta diversi profili di problematicità, sia giuridiche sia applicative;
    la protezione umanitaria non nasce né da obblighi internazionali né dalla necessità di dare adempimento a un principio costituzionale. Essa è una scelta autonoma del legislatore ordinario, introdotta dalla legge «Turco-Napolitano», e prevede che la questura possa rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari tutte le volte in cui le commissioni territoriali, pur non ravvisando gli estremi per la protezione internazionale, rilevino «gravi motivi di carattere umanitario» a carico del richiedente asilo. Ha la durata media di un anno, e consente solo l'accesso ai servizi essenziali (salute, formazione professionale e altro);
    ci sono buone ragioni per ritenere necessaria l'abrogazione di tale tipo di protezione in Italia. Essa rappresenta il tipo di protezione che riguarda la maggior parte dei richiedenti protezione presenti sul territorio italiano ed è fonte di un aggravamento della situazione degli immigrati in Italia. Tale disposizione fu emanata in un periodo nel quale – agli inizi degli anni Novanta – i numeri dei migranti diretti verso il territorio italiano non erano nemmeno lontanamente paragonabili a quelli attuali. Oggi c’è l'assoluta necessità di limitare il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale ai casi strettamente previsti dal diritto costituzionale italiano e dalla normativa europea e internazionale, istituendo un sistema che preveda il solo il diritto di asilo e la protezione sussidiaria. Questa razionalizzazione giuridica rappresenta anche un atto dovuto nei confronti dei migranti/richiedenti asilo, ai quali va data certezza sul loro status sul territorio italiano, per quel che riguarda, in particolare, il riconoscimento o meno del diritto alla protezione internazionale. La norma in questione, in pratica, fa sì che migliaia di migranti/richiedenti asilo, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno i requisiti per accedere alla protezione internazionale, permangano a lungo in un limbo, a metà strada tra la protezione e l'espulsione, senza avere una reale certezza circa il loro futuro;
    a conferma della necessità di abrogare un permesso che non si basa sulla verifica delle reali condizioni storico-anagrafiche dell'immigrato, ma su un meccanismo automatico e foriero di gravi incertezze, si ricorda quanto previsto dalla circolare del Ministero dell'interno che regolamenta il meccanismo, di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari (Circolare Ministeriale 2696/2013) operativa dal novembre 2013, che si sostanzia, di fatto, in un mero inoltro telematico della richiesta presentata dallo straniero alla questura e da quest'ultima trasmessa alla competente commissione territoriale, correlata di richiesta di parere da rendere entro tempi contingentati. Decorsi tuttavia tali termini, che variano dai quindici ai trenta giorni a seconda che si abbiano o meno informazioni sulla posizione dello straniero, la questura procede comunque al rinnovo del permesso di soggiorno e l'inerzia della commissione territoriale viene qualificata come «silenzio/assenso». Nell'ipotesi, invece, di richiesta corredata da informazioni, che verosimilmente sono tutte attinenti ai profili di sicurezza, la questura dovrà comunque attendere il parere della commissione territoriale prima di poter procedere al rinnovo del titolo di soggiorno, per un periodo di tempo che purtroppo si ignora e che lascia margini d'incertezza sul trattamento riservato allo straniero dal momento in cui è in scadenza il permesso di cui ha richiesto il rinnovo al momento in cui la commissione pronuncerà nei suoi confronti un giudizio legato ai profili di sicurezza;
    inoltre, è necessario ridurre i tempi di analisi delle richieste di asilo da parte delle commissioni territoriali. Per questo è importante prevedere un aumento del numero dei punti di verifica delle domande di protezione internazionale, attraverso la combinazione dell'istituzione di una commissione presso ogni prefettura-ufficio territoriale del Governo e l'assenza di limiti nella previsione delle sezioni;
    sarà inoltre determinante individuare presso i tribunali ordinari delle sezioni specializzate che si dedichino in maniera esclusiva alle materie relative ai fenomeni migratori e, in particolare, ai ricorsi dei migranti avverso i provvedimenti di diniego sullo status di rifugiato e/o di espulsione, al fine di ridurre drasticamente i tempi di permanenza sul territorio italiano dei migranti stessi;
    in questa direzione, è altresì corretto eliminare il secondo e il terzo grado di giudizio per quegli immigrati che si vedono respinta la richiesta di asilo politico. Ci sono circa 3.500 impugnazioni al mese, impossibile definirle tutte, e in tempi brevi;
    su segnalazione di diversi comuni, va poi rilevato come esista in Italia un problema generale di gestione del migrante/richiedente asilo nel sistema anagrafico, dovuta soprattutto alla mobilità sul territorio dei diretti interessati, che restano ancorati alla residenza italiana, indipendentemente dai loro spostamenti. Questo stato di cose è fonte di notevoli problemi di natura tecnica e amministrativa per i comuni e presenta anche preoccupanti profili di natura securitaria, per cui occorre procedere all'istituzione di una razionalizzazione e centralizzazione delle procedure anagrafiche dei migranti/richiedenti;
    per far fronte alle esigenze di accoglienza connesse al massiccio afflusso di immigrati, la legge di bilancio 2017 prevede la facoltà di destinare le risorse relative ai programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali e di investimento europei per il periodo 2014-2020, nel limite massimo di 280 milioni di euro, alle attività di trattenimento, accoglienza, inclusione e integrazione degli immigrati, oltre quelle già stanziate nella sezione II del bilancio stesso (articolo 1, comma 630). La sezione II della legge di bilancio opera, a sua volta, un rifinanziamento di 320 milioni di euro per il 2017 per le attività di trattenimento ed accoglienza degli immigrati (cap. 2351/2 dello stato di previsione del Ministero dell'interno – tabella 8);
    il fondo per l'Africa, istituito dalla legge di bilancio 2017 (articolo 1, comma 621) presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con una dotazione di 200 milioni di euro per l'anno in corso, si propone inoltre di rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d'importanza prioritaria per le rotte migratorie,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni opportuna iniziativa, anche normativa, volta a limitare il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale ai casi strettamente previsti dal diritto costituzionale italiano e dalla normativa europea e internazionale, istituendo un sistema che preveda il solo il diritto di asilo e la protezione sussidiaria;
2) a promuovere e rilanciare accordi bilaterali con i Paesi di origine per i rimpatri dei migranti irregolari, sulla scia di quanto fatto dai Governi Berlusconi, come premessa per bloccare le partenze di migranti irregolari, stroncare le attività degli scafisti, e facilitare le procedure di espulsione dei clandestini che potrebbero comunque arrivare nel nostro Paese;
3) ad adottare ogni iniziativa volta a promuovere un'azione incisiva a livello europeo per fronteggiare il fenomeno migratorio, sollecitando con forza un impegno fattivo e responsabile degli Stati dell'Unione europea volto a stipulare accordi economici bilaterali da parte dell'Europa con i Paesi di origine e di transito per interrompere i flussi migratori e per il rimpatrio dei clandestini, anche attraverso lo sviluppo di una politica di cooperazione volta a sostenere lo sviluppo economico e l'occupazione in questi territori;
4) ad assumere iniziative a livello europeo per un intervento decisivo volto a rafforzare le frontiere esterne dell'Unione, attraverso l'intensificazione dei controlli di frontiera sia in mare che a terra nel Mediterraneo meridionale, sul Mar Egeo e lungo la «rotta balcanica», fornendo adeguato sostegno agli Stati membri in prima linea, assicurando la ricollocazione e il rimpatrio dei migranti, e la costituzione di punti di crisi (hotspot) nei Paesi di provenienza, e definendo un approccio comune europeo per la gestione del flusso dei rifugiati e dei migranti economici;
5) a promuovere in sede europea opportuni interventi volti a garantire un sistema che regoli la concessione del diritto di asilo secondo standard e procedure comuni in tutti i Paesi, rivedendo altresì le clausole del regolamento di «Dublino III» per coinvolgere tutti gli Stati dell'Unione europea nella gestione dei richiedenti asilo e dei migranti che varcano i confini europei; alla luce della proposta di modifica del regolamento in esame, a promuovere una rinegoziazione dei criteri di determinazione dello Stato competente, sulla base di proposte da avanzare in sede tecnica, che potranno fondarsi non sul primo ingresso (luogo di presentazione della prima domanda, oppure primo ingresso irregolare), bensì su una chiave di distribuzione che rifletta le dimensioni, la ricchezza e la capacità degli Stati membri di assorbimento dei richiedenti, come del resto prospettato nella comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 6 aprile 2016, nell'opzione 2, relativa alla individuazione di un sistema sostenibile ed equo per determinare lo Stato membro competente per l'esame delle domande di asilo;
6) ad intervenire nelle opportune sedi per porre in essere nel più breve tempo possibile l'inizio della fase 3 della missione Eunavfor Med, che permetterà di entrare nelle acque territoriali libiche per impedire le partenze dei barconi e contrastare più efficacemente il traffico di esseri umani, valutando altresì, ove ciò non fosse praticabile in tempi ragionevolmente brevi, la possibilità della sospensione dell'attuale fase 2;
7) ad attivarsi in sede di Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, di cui l'Italia fa parte per l'anno 2017, per l'adozione di risoluzioni volte ad azioni internazionali comuni finalizzate a consentire l'intervento nelle acque territoriali libiche, nonché a legittimare le operazioni di identificazione e rimpatrio degli immigrati che non ottengano il diritto di asilo, indipendentemente dal luogo ove siano avvenute le identificazioni, nonché a facilitare la conclusione di accordi collettivi con i Paesi di provenienza dei migranti stessi;
8) ad attivarsi per assegnare alla Marina militare e alla Guardia costiera nuove direttive perché venga stroncata l'attività dello scafismo;
9) a valersi della Presidenza italiana del G7 per il 2017, al fine di porre al centro dell'agenda la questione delle migrazioni di massa e il loro effetto sui sistemi economici dei Paesi democratici che ne fanno parte;
10) ad assumere iniziative per definire soluzioni ad hoc per le regioni di confine, al fine di evitare tensioni di carattere sociale, che prevedano una diminuzione delle quote dei richiedenti asilo assegnate in fase di ripartizione, tenendo conto che il numero effettivo di immigrati presenti in tali regioni eccede la quota prevista, a causa del numero di irregolari non censiti;
11) ad intraprendere ogni iniziativa volta a far sì che i comuni abbiano risorse e mezzi sufficienti per far fronte alle questioni legate all'accoglienza dei migranti;
12) ad assumere le iniziative di competenza per dare seguito con la massima urgenza a quanto già stabilito con l'approvazione alla Camera della mozione n. 1-989, con riguardo all'esigenza di individuare presso i tribunali ordinari delle sezioni specializzate che si dedichino in maniera esclusiva alle materie relative ai fenomeni migratori e, in particolare, ai ricorsi dei migranti avverso i provvedimenti di diniego sullo status di rifugiato e/o di espulsione, in quanto ciò appare ai firmatari del presente atto decisivo per ridurre drasticamente i tempi di permanenza sul territorio italiano dei migranti stessi;
13) ad adottare ogni iniziativa volta a ridurre i tempi di esame delle richieste di protezione internazionale, prevedendo in particolare un aumento del numero dei punti di verifica delle domande, attraverso la combinazione dell'istituzione di una commissione presso ogni prefettura-ufficio territoriale del Governo e l'assenza di limiti nella previsione delle sezioni, valutando altresì di adottare iniziative normative volte ad eliminare il secondo e il terzo grado di giudizio per quegli immigrati che si vedono respinta la richiesta di asilo;
14) a stimolare, in seno all'Unione europea, una riflessione sulle norme di Schengen, giustamente varate per facilitare la libera circolazione all'interno dell'Europa, ma con la necessità di evitare che tale libera circolazione diventi una facilitazione per i fondamentalisti, i terroristi e quanti, come ha dimostrato il caso di Amri, l'attentatore di Berlino, hanno fruito di queste prerogative per girare impunemente in tutta Europa;
15) a valutare, sulla base dell'esperienza compiuta, ogni possibilità di miglioramento dell'attuale assetto normativo, per contrastare l'immigrazione clandestina e regolare i flussi migratori, legandoli alle effettive necessità economiche e sociali del Paese;
16) ad adottare le opportune iniziative per rafforzare le misure a tutela dei cittadini e degli stessi migranti, innalzando il livello di guardia e potenziando tutte le risorse messe a disposizione delle forze dell'ordine, per finanziare gli interventi e le operazioni di sicurezza urbana e di controllo del territorio nazionale volte alla gestione del fenomeno migratorio e alla prevenzione e il contrasto del terrorismo internazionale, in particolare attraverso:
  a) la concessione di maggiori risorse per forze dell'ordine e forze armate per il rinnovo dei contratti, il riordino delle carriere, il «bonus» degli 80 euro;
  b) il ripianamento degli organici delle forze di polizia, delle forze dell'ordine e soccorso pubblico;
  c) l'istituzione di un'assicurazione obbligatoria per ogni infortunio a forze di polizie, militari e vigili del fuoco.
(1-01470)
«Brunetta, Ravetto, Gregorio Fontana, Vito».
(17 gennaio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    l'anno che si è appena concluso ha segnato nuovi numeri record nell'affluenza di migranti irregolari sulle coste italiane, e non vi è alcun motivo per ritenere che la situazione possa normalizzarsi nel nuovo anno, posto che sono tuttora presenti alcuni focolai di guerra, una grave instabilità politica di molte nazioni africane e, principalmente, non accennano a risolversi condizioni di grave e gravissima povertà che affliggono tante popolazioni del continente africano;
    inoltre, la mancata normalizzazione della Libia e, dall'altro lato, la pressoché totale chiusura della cosiddetta rotta balcanica fanno dell'Italia l'unica Nazione d'approdo possibile all'interno dell'Unione europea per potenziali milioni di disperati;
   in questo quadro alcuni partner europei hanno invitato il Governo italiano a operare affinché sia posto un freno agli arrivi in Europa attraverso il territorio italiano e questo risulta ancor più necessario di fronte all'evidente fallimento delle iniziative di ricollocamento deliberate in ambito europeo;
   sul piano nazionale l'incapacità degli ultimi Governi nella gestione dei flussi migratori si palesa ogni giorno nelle nostre città, e ancora più critica è la gestione della cosiddetta accoglienza, travolta da continui scandali, dispendiosa e inefficiente;
   sinora qualunque proposta migliorativa della gestione dell'immigrazione è stata accolta da un totale silenzio, ma la necessita di correggere l'intero sistema, sia a livello sovranazionale, sia a livello nazionale, appare ogni giorno più evidente,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa necessaria in sede europea al fine di giungere a una gestione condivisa del fenomeno migratorio, in primo luogo attraverso la revisione degli «accordi di Dublino» e del principio del Paese di primo approdo, secondo il principio del burden sharing;

2) a sostenere iniziative, da attuare mediante accordi bilaterali, per raccogliere le richieste di protezione internazionale nei Paesi di provenienza in modo poi da procedere in maniera ordinata e in sicurezza allo smistamento dei profughi nei vari Stati europei;

3) a rendere esecutiva l'applicazione del piano di ricollocamenti e a sostenere le necessità di un sostegno finanziario in favore degli Stati più esposti per ragioni meramente geografiche all'arrivo dei migranti;

4) a stipulare con urgenza assoluta accordi bilaterali con i diversi Stati di provenienza dei migranti propedeutici al rimpatrio di coloro i quali non hanno diritto ad alcuna forma di protezione internazionale;

5) ad assumere le iniziative di competenza per rimuovere gli ostacoli burocratici che impediscono una rapida definizione delle pratiche di richiesta di protezione internazionale;

6) ad attivarsi per la creazione di una vera task force che possa, nell'arco di poche settimane, decongestionare i centri di accoglienza e rimpatriare coloro che non hanno titolo a rimanere sul territorio nazionale;

7) a promuovere le modifiche normative volte all'abolizione della possibilità di ricorrere avverso i provvedimenti di diniego di concessione di protezione internazionale;

8) ad adottare le iniziative, se del caso anche di natura normativa, necessarie a garantire una maggiore efficienza e trasparenza della gestione dell'accoglienza, a tal fine anche prevedendo precisi obblighi di rendicontazione delle spese a carico degli enti gestori ed effettuando maggiori controlli in merito alla reale sussistenza dei requisiti necessari in capo ai soggetti che concorrono nell'aggiudicazione dei bandi.
(1-01471)
«Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».

(17 gennaio 2017)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   CASTELLI, LUIGI DI MAIO, CASO, MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI, CARIELLO e D'INCÀ. – Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. – Per sapere – premesso che:
   gli eventi sismici del 24 agosto 2016 e quelli successivi del 26 e del 30 ottobre del 2016 hanno devastato il Centro Italia, distruggendo i paesi di Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto, provocando ingenti danni in tutta la zona e causando la drammatica realtà di 299 vittime;
   l'economia della zona è stata messa a dura prova dal terremoto: con il crollo di ristoranti e negozi, il microsistema delle aziende zootecniche è ora fortemente compromesso, poiché sia le grandi aziende (con cento capi), che le medie (quaranta/cinquanta capi), fino alle piccole aziende, sono in difficoltà, così come è in difficoltà l'intera filiera che, partendo dalla terra, arrivava sulla tavola e coinvolgeva lo stesso settore turistico;
   il dipartimento della protezione civile ha aperto un conto corrente bancario per raccogliere donazioni in favore delle popolazioni colpite sia dal sisma del 24 agosto 2016 che dai terremoti del 26 e del 30 ottobre 2016;
   come disposto dall'ordinanza n. 391 del 2016, le risorse raccolte dovrebbero essere riversate, al termine della raccolta fondi, al conto infruttifero di tesoreria n. 22330, aperto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri presso la tesoreria centrale dello Stato, e dovrebbero venire gestite secondo le modalità previste dal protocollo d'intesa per l'attivazione e la diffusione di numeri solidali;
   secondo quanto riportato sul sito della protezione civile, la prima raccolta fondi, promossa in seguito al terremoto del 24 agosto 2016 e chiusa il 9 ottobre 2016, avrebbe raccolto oltre 15 milioni di euro e con la seconda attivazione del numero solidale, a seguito alle scosse del 26 e del 30 ottobre 2016, sarebbero stati raccolti, al 30 novembre 2016, 4.415.294,00 euro;
   il 31 dicembre 2016 è stato attivato, per la terza volta, il numero solidale 45500, grazie al quale è possibile donare 2 euro inviando un sms o chiamando da rete fissa;
   sempre secondo il sito della protezione Civile:
    a) «al 10 gennaio 2016, tramite bonifici su conto corrente intestato al dipartimento, sono stati raccolti 7.951.679,24 euro»;
    b) «tramite il numero solidale 45500 riattivato il 31 dicembre 2016, sono stati raccolti 1.029.200,00 euro» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intenda chiarire al più presto e in modo dettagliato in che modo tali fondi, raccolti per il terremoto, siano stati o verranno realmente utilizzati per rispondere alle urgenti necessità delle popolazioni coinvolte. (3-02699)
(17 gennaio 2017)

   BRUNETTA, ALBERTO GIORGETTI e LAFFRANCO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze – Per sapere – premesso che:
   gli interroganti esprimono grande preoccupazione per la notizia diffusa il 16 gennaio 2017, non smentita, secondo la quale la Commissione europea avrebbe chiesto al Governo italiano di aggiustare in tempi brevi i conti pubblici. Attraverso una lettera inviata la scorsa settimana, la Commissione europea avrebbe infatti comunicato all'Esecutivo che servono circa 3,4 miliardi di euro, ovvero una manovra bis che vale lo 0,2 per cento del prodotto interno lordo, per evitare una procedura di infrazione sul deficit;
   questa cattiva notizia, che purtroppo il gruppo Forza Italia aveva denunciato, inascoltato, nell'autunno 2016, arriva in un momento particolarmente difficile per l'economia italiana. Basti pensare alla crisi del sistema bancario, con l'approvazione del decreto-legge del dicembre 2016 per salvare gli istituti a rischio fallimento, e a quanto dichiara in questi giorni il Fondo monetario internazionale: il Fondo monetario internazionale lima le stime di crescita per l'Italia per il 2017 e il 2018; il prodotto interno lordo crescerà nel 2017 dello 0,7 per cento, 0,2 punti percentuali in meno rispetto alle stime di ottobre 2016. Nel 2018 la crescita sarà dello 0,8 per cento, 0,3 punti percentuali in meno rispetto alle precedenti stime;
   il Presidente del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, avrebbe confidato nei contatti informali di queste ore, che «l'Italia non ha alcuna intenzione di aprire guerre con nessuno», ma, al tempo stesso, non ha alcuna intenzione di ipotizzare manovre, manovrine o aggiustamenti;
   ad ogni modo, al di là delle trattative in sede europea che sembrano già essere avviate, il Ministro interrogato ha il dovere di fare luce sulla vicenda, chiarendo innanzitutto i contenuti della lettera, se è vero che l'Italia rischia la procedura di infrazione e, in tal caso, specificando gli intendimenti del Governo a tal proposito –:
   se il Ministro interrogato intenda confermare la notizia dell'arrivo della lettera richiamata in premessa e di una possibile procedura di infrazione nei confronti dell'Italia e chiarire lo stato dei conti pubblici, specificando se si renda necessaria una manovra correttiva e, più in generale, quali iniziative intenda adottare per coprire il deficit strutturale di circa 3,4 miliardi di euro e quali risorse intenda utilizzare per coprire l'eventuale manovra. (3-02700)
(17 gennaio 2017)

   LUPI e TANCREDI. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   sin dal caso dell'acquisizione di Parmalat da parte della francese Lactalis (marzo-luglio 2011) risulta con evidenza che aziende italiane di importanti settori dell'economia sono oggetto di una forte attenzione da parte di gruppi economici stranieri, che operano con obiettivi di acquisizione e controllo;
   non si disconosce la rilevante importanza, per il nostro Paese, dell'apporto dei capitali esteri, sia come significativo contributo alla crescita economica e all'occupazione, sia come segnale della fiducia degli investitori internazionali. Taluni aspetti di queste scalate azionarie mettono comunque in luce una problematica che dovrebbe essere valutata e risolta;
   appare importante agli interroganti rilevare come alcuni asset strategici del nostro Paese vadano tutelati, come peraltro è previsto anche negli ordinamenti di altri Stati dell'Unione europea, quale quello francese;
   pur nella diversità dei vari contesti, le metodologie di scalata di questi asset sembrano seguire un copione prestabilito: rastrellamento di azioni, intese e acquisizioni strategiche, manovre di borsa con l'obiettivo di affossare o gonfiare, a seconda delle esigenze, il valore del titolo; se necessario, lancio dell'offerta pubblica di acquisto e, conclusivamente, acquisizione. La Borsa appare sempre più non come il luogo dove le imprese si finanziano, ma come il luogo dove si può perdere il controllo della propria impresa, senza che sia possibile intervenire, a causa della preponderante potenza finanziaria della controparte;
   oltre Parmalat, l'aggressività del capitalismo francese è venuta di recente allo scoperto con i casi di Telecom e Mediaset, a parere degli interroganti oggetto di scalata per aver chiesto al colosso Vivendi il rispetto di un accordo su Mediaset premium sottoscritto ad aprile 2016 e disdetto unilateralmente a luglio 2016;
   altro asset strategico che appare oggetto di attenzione è Assicurazioni generali, la cui ventilata acquisizione da parte del colosso assicurativo francese Axa appare avere conseguenze imprevedibili: Generali, infatti, detiene nelle sue riserve circa 70 miliardi di euro di titoli di Stato, è socio forte di Monte dei Paschi di Siena assieme ad Axa stessa e la sua eventuale acquisizione potrebbe comportare decine di migliaia di esuberi –:
   se non ritenga opportuno introdurre con urgenza disposizioni volte a rafforzare la tutela degli asset strategici del nostro Paese, sul modello di quanto già previsto in altri Paesi dell'Unione europea, fornendo, peraltro, ulteriori informazioni sulla vicenda Axa-Generali. (3-02701)
(17 gennaio 2017)

   FAVA, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZARATTI. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   Mario Ciancarella, al momento della strage di Ustica capitano pilota dell'Aeronautica militare e leader del Movimento democratico dei militari, fu radiato dal corpo nel 1983, con un decreto recante la falsa firma del Presidente Sandro Pertini, come accertato dal tribunale civile di Firenze;
   il capitano Ciancarella aveva rivelato di aver ricevuto una confidenza dal maresciallo Mario Alberto Dettori, radarista a Poggio Ballone la notte della strage di Ustica, secondo il quale la responsabilità dell'abbattimento del Dc dell'Itavia era italiana;
   Ciancarella è stato un capitano dell'Aeronautica scomodo sia per la cultura democratica che cercava di presidiare e diffondere nelle Forze armate a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, sia per il suo conseguente impegno concreto alla ricerca della verità sulla vicenda di Ustica;
   appare evidente che la radiazione, attraverso il macroscopico e gravissimo falso della firma presidenziale, fu un tentativo per isolare e mettere a tacere il capitano Ciancarella sulla vicenda di Ustica –:
   se il Ministro interrogato non intenda rimuovere ogni ostacolo alla richiesta già avanzata dai legali di Mario Ciancarella affinché gli vengano restituiti immediatamente grado e onore militare. (3-02702)
(17 gennaio 2017)

   GIANLUCA PINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese appoggia il tentativo intrapreso con l'appoggio delle Nazioni Unite dal Premier Fayez al Sarraj di dar vita ad un Governo di accordo nazionale inclusivo e rappresentativo di tutte le componenti della Libia;
   tra le misure adottate dal Governo per contribuire al successo del tentativo di Sarraj vi è anche l'invio di alcune quote di personale militare del nostro Paese, la maggior parte delle quali si trova a Misurata, dove l'Esercito italiano gestisce un presidio sanitario e concorre a rafforzare le milizie locali, fortemente indebolitesi durante il lungo confronto che le ha opposte alle articolazioni libiche del sedicente Stato islamico a Sirte;
   parrebbero peraltro operare in Libia anche quote di forze speciali nazionali, che attualmente garantirebbero anche la protezione degli immobili utilizzati dal Premier del Governo di accordo nazionale libico, con cui è stata recentemente raggiunta anche un'intesa per il controllo dei flussi migratori;
   il Governo di Sarraj è stato tuttavia sfidato nuovamente dal capo del vecchio Esecutivo tripolino «di salvezza nazionale», Khalifa al Ghwell, legato alla Fratellanza musulmana e alla medesima città di Misurata, che ha proferito parole pesanti nei confronti del nostro Paese, minacciando anche i militari italiani rischierati sul terreno;
   a dispetto delle rassicurazioni fornite dall'ambasciatore d'Italia a Tripoli, Giuseppe Perrone, vi è quindi fondato motivo di ritenere a rischio la posizione dell'ospedale italiano da campo a Misurata e della sua scorta militare;
   il tutto accade mentre il generale Khalifa Haftar, appoggiato dall'Egitto e ora anche dalla Federazione russa, consolida la propria posizione in Cirenaica e riceve proposte politiche d'intesa dallo stesso Ghwell;
   in altre parole, a parere degli interroganti, sarebbero venuti meno i presupposti politici che garantivano la sicurezza del contingente militare italiano in Libia –:
   quali misure il Governo intenda assumere nel caso in cui la situazione in Tripolitania dovesse precipitare e se, in particolare, siano allo studio piani di evacuazione o eventuale rischieramento in altre zone della Libia dei soldati italiani attualmente basati a Misurata. (3-02703)
(17 gennaio 2017)

   MURGIA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   l'eccezionale ondata di maltempo che sta attraversando il nostro Paese potrebbe costare al sistema agricolo oltre un miliardo di euro;
   secondo la fotografia scattata dalla Cia-Agricoltori italiani l'agricoltura è in ginocchio, se non azzerata, in molte zone del Sud, con migliaia di capi di bestiame ammalati o deceduti a causa del gelo e numerose difficoltà anche nei trasporti;
   nei territori del Centro Italia, già devastati dal sisma, in un territorio a prevalente economia agricola e con una significativa presenza di allevamenti di bovini e pecore, la situazione è drammatica: migliaia di ettari di verdure pronte per la raccolta bruciate dal gelo, serre danneggiate o distrutte sotto il peso della neve, animali morti, dispersi e senz'acqua perché sono gelate le condutture, ma anche aziende e stalle isolate che non riescono a consegnare il latte quotidiano e le verdure;
   ad oggi, a causa del complesso iter burocratico e dei ritardi accumulati, si stima che siano state realizzate appena il 15 per cento delle strutture di protezione degli animali e gli allevatori non sanno ancora dove ricoverare mucche, maiali e pecore, costretti a stare fuori al freddo, con il rischio di ammalarsi e morire, o nelle strutture pericolanti;
   sono centinaia, infatti, gli animali non ancora adeguatamente ricoverati nelle stalle a causa delle mancate promesse del Governo che, dopo mesi, ancora non ha fatto arrivare i moduli necessari –:
   quali urgenti provvedimenti il Governo intenda adottare per intervenire con rapidità ed efficienza al fine di evitare il collasso del sistema agricolo nazionale, attraverso lo stanziamento di risorse straordinarie, commisurate all'entità dei danni che si stanno registrando. (3-02704)
(17 gennaio 2017)

   FITZGERALD NISSOLI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   la legge 5 febbraio 1992, n. 91, all'articolo 17, regola i termini per il riacquisto della cittadinanza italiana;
   il termine inizialmente fissato di due anni per tale richiesta è stato prorogato per ben due volte, con la legge 22 dicembre 1994, n. 736, e successivamente, con l'articolo 2, comma 195, della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
   dopo l'ultima proroga, scaduta il 31 dicembre 1997, non è più stato possibile riacquistare la cittadinanza, se non stabilendo la residenza sul territorio nazionale per almeno un anno;
   bisogna registrare che vi è stata una scarsa informazione diretta verso le comunità italiane all'estero, per cui molti aventi diritto non hanno usufruito del periodo di proroga;
   il testo di modifica della legge sulla cittadinanza votato dalla Camera dei deputati ma ancora all'esame del Senato della Repubblica, introdurrebbe, se definitivamente approvato, lo ius culturae e lo ius soli temperato, ma non contempla i casi di cittadini italiani, nati in Italia, che recatisi all'estero abbiano perso la cittadinanza, persone di chiara cultura italiana;
   vi è un'esigenza diffusa, dettata da motivazioni identitarie, di poter riacquistare la cittadinanza italiana tramite richiesta al consolato di riferimento, senza dover risiedere un anno in Italia, impossibile per chi lavora ed ha famiglia all'estero;
   in seguito ai cambiamenti avvenuti sul piano giuridico all'interno di Paesi di emigrazione italiana, i nostri già concittadini possono avere la doppia cittadinanza e, quindi, fare richiesta per il riottenimento di quella italiana; si tratta di Paesi con l'Italia cui intrattiene ottimi rapporti di amicizia e cooperazione, come gli Stati Uniti d'America;
   gli italiani all'estero rappresentano una risorsa importante, in termini di rete, per il nostro sistema-Paese –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per venire incontro alle esigenze di questi italiani di fatto che chiedono di riacquistare la cittadinanza italiana facendone espressa richiesta al consolato competente, senza dover soggiornare un anno sul territorio italiano. (3-02705)
(17 gennaio 2017)

   QUARTAPELLE PROCOPIO, CARROZZA, CASSANO, CAUSI, CENSORE, CHAOUKI, CIMBRO, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA, MANCIULLI, MONACO, NICOLETTI, PORTA, RIGONI, ANDREA ROMANO, SERENI, SPERANZA, TACCONI, TIDEI, ZAMPA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   l'anno che si è appena aperto si presenta particolarmente impegnativo per la diplomazia italiana;
   dal 1o gennaio e fino al 31 dicembre 2017 l'Italia siederà come membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, insieme a Paesi quali Svezia, Bolivia, Etiopia, Kazakistan, Egitto, Giappone, Senegal, Ucraina e Uruguay. Il Consiglio di sicurezza si troverà a gestire dossier di particolare delicatezza, come il contrasto al Daesh in Siria e Iraq, nonché il processo di pacificazione e riconciliazione nazionale in Libia, in Siria e in Yemen. Il tutto dentro un contesto internazionale necessariamente mutato dalla nuova amministrazione che sta per insediarsi alla Casa Bianca;
   sempre nel 2017 l'Italia avrà la presidenza del G7 che culminerà con l'incontro dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri a Taormina il 27 e 28 maggio 2017. La scelta del luogo, la Sicilia, l'isola che rappresenta la prima frontiera per l'arrivo dei migranti dall'Africa, carica questo appuntamento di rilevanti aspettative riguardo il governo dei flussi migratori. Sarà inoltre il primo evento internazionale multilaterale per il neoeletto Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump;
   non sono infine da trascurare il ruolo che svolgerà l'Italia all'interno dell'Osce nel 2017, anno in cui presiederà il gruppo di contatto sul Mediterraneo, e gli appuntamenti relativi alla politica estera dell'Unione europea con la presidenza del cosiddetto «processo di Berlino sui Balcani occidentali» e, sempre sul fronte europeo, il Consiglio europeo straordinario del 25 marzo 2017 a Roma per le celebrazioni dei 60 anni della firma dei trattati istitutivi della Comunità europea –:
   quali siano le priorità che il Governo italiano intende inserire tra le conclusioni del G7 di maggio 2017 e su quali obiettivi diplomatici intenda concentrare la propria azione come membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell'Onu, nonché negli altri ambiti della politica internazionale che vedono il nostro Paese chiamato a rilevanti ruoli di direzione. (3-02706)
(17 gennaio 2017)

   LOCATELLI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   un anno fa, il ricercatore Regeni, dottorando a Cambridge, impegnato in uno studio sui sindacati egiziani, dopo essere scomparso al Cairo, nella notte del 25 gennaio 2016, venne ritrovato cadavere in un fosso pochi giorni dopo, il 3 febbraio 2016, lungo la strada che porta ad Alessandria, a venti chilometri dal centro della città;
   in un primo momento, le autorità del Cairo hanno tentato di accreditare una serie di versioni false sulla morte: dall'incidente stradale al rapimento per furto da parte di una banda di criminali comuni, conclusasi con l'omicidio. L'autopsia eseguita a Roma ha, invece, confermato che il giovane è stato seviziato e torturato e che il decesso è avvenuto dopo una lunga e straziante agonia per le torture che gli erano state inflitte;
   ai tentativi di depistaggio, agli omissis e agli ostacoli spesso frapposti dalle stesse autorità egiziane, alla reticenza ingiustificabile degli stessi docenti di Cambridge, in particolare della sua tutor, che non hanno voluto incontrare i magistrati italiani, si è aggiunta recentemente la testimonianza di Mohamed Abdallah, sindacalista degli ambulanti del Cairo oggetto di studio da parte di Regeni, il quale ha dichiarato di essere autore della denuncia del ricercatore italiano ai servizi di sicurezza ritenendolo una spia;
   il Governo egiziano e lo stesso presidente Al Sisi continuano a negare qualsiasi responsabilità, ma lasciano intendere che al massimo si sarebbe trattato di un crimine compiuto da non meglio indicati servizi segreti deviati per colpire la credibilità dell'Egitto sul piano internazionale e i rapporti con l'Italia;
   la collaborazione degli inquirenti italiani con la magistratura egiziana, fin qui proseguita a singhiozzo e non per volontà italiana, non ha prodotto sostanziali passi avanti e manca ancora una spiegazione credibile di quello che a tutti gli effetti può e deve essere classificato come un rapimento e un delitto di Stato contro un giovane senza alcuna colpa –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere nei confronti delle autorità egiziane affinché sia fatta luce sulle circostanze della scomparsa e della morte di Regeni, vengano assicurati alla giustizia i responsabili e venga garantito il rispetto dovuto all'Italia, in particolare se, ad un anno dal richiamo dell'ambasciatore Massari e dalla successiva nomina di Cantini, il Governo intenda riconsiderare l'opportunità del ritorno dell'ambasciatore in sede, allora richiamato come forma di protesta nei confronti delle autorità egiziane, per esercitare da vicino tutte le pressioni possibili per arrivare alla verità.
(3-02707)
(17 gennaio 2017)

   RABINO, FRANCESCO SAVERIO ROMANO, VEZZALI, PARISI e SOTTANELLI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A33, Asti-Cuneo, pensata decenni fa, intrapresa su iniziativa dell'Anas, successivamente affidata ad una società concessionaria compartecipata, con quota di minoranza, dal medesimo ente, è rimasta incompiuta per la mancata realizzazione di due lotti centrali, 2.5 e 2.6, ed è concretamente inutilizzabile;
   con le conferenze dei servizi, svoltesi il 14 marzo e il 19 aprile 2012, venne concordata tra enti locali, concessionario ed Anas una sostanziale modifica al lotto 2.5, che riduceva sensibilmente il costo dell'opera, ma da allora nessun atto concreto è stato compiuto;
   quella che lo stesso Ministro interrogato ha definito «l'ennesima incompiuta», attende – monca – la costruzione dei due lotti mancanti in corrispondenza della città di Alba che la renderebbero totalmente percorribile e fruibile da un numero di veicoli certamente superiore a quello attuale e che oggi risulta ovviamente scarso rispetto alle attese del concessionario, proprio a causa dell'incompiutezza dell'infrastruttura;
   il tracciato mancante dovrà inoltre collegare all'autostrada il costruendo ospedale di Verduno, che servirà i cittadini dell'area;
   la mancata realizzazione dell'opera è stata oggetto di reiterati atti di sindacato ispettivo, l'ultimo risalente al 26 ottobre 2016 quando il Governo, rispondendo proprio ad un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea, garantì che il Ministero stava lavorando a tre ipotesi risolutive, da presentare entro il mese di dicembre 2016 al territorio per una condivisione corale degli obiettivi, dei costi, delle modalità operative;
   entro il 31 dicembre 2016 dovevano essere presentati i cronoprogrammi comparativi relativi ai tre tracciati allo studio: quello con galleria a due canne, quello ad una canna sola e quello senza galleria –:
   se le tre soluzioni con i relativi cronoprogrammi siano state vagliate dai tecnici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e quali siano gli orientamenti del Governo in merito al completamento dell'autostrada. (3-02708)
(17 gennaio 2017)

   GALGANO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   la situazione del trasporto ferroviario umbro è critica. La regione è, infatti, una delle più penalizzate d'Italia. Tra le tante cause, solo a titolo di esempio, ci sono il ritardo cronico dei lavori relativi al raddoppio del tratto Spoleto-Campello del Clitunno, dieci chilometri per diciassette anni di lavori non ancora completati, e il mancato raddoppio della linea Spoleto-Terni che generano ritardi consistenti, costringendo i treni a fermarsi a causa del binario unico;
   le criticità del trasporto ferroviario locale si ripercuotono pesantemente sulla qualità della vita dei cittadini, sull'economia e sul turismo che, in Umbria, rappresenta una delle risorse portanti dell'economia locale e che sta attraversando una crisi importante, con le prenotazioni che sono crollate anche nelle aree che non hanno risentito per nulla dei danni causati dal terremoto. La difficoltà a raggiungere la regione con il treno è, infatti, una delle cause che disincentivano i turisti a venire in Umbria ma anche le aziende ad investire sul territorio;
   è evidente, quindi, come il collegamento all'alta velocità abbia un interesse strategico per l'Umbria. È, infatti, uno strumento indispensabile per rompere l'isolamento della regione verso l'esterno e, soprattutto, verso Milano ed il Nord del Paese e non si possono aspettare i tempi, che si immaginano biblici, visti i precedenti interventi sulle linee umbre, per la costruzione di una stazione in Toscana, a 50 chilometri da Perugia. L'alta velocità è, inoltre, di fondamentale importanza anche per la scelta delle sedi universitarie, in parte dipendenti dai servizi ferroviari offerti;
   tra le soluzioni di immediata attuazione per permettere all'Umbria di disporre dell'alta velocità e di un collegamento diretto con Milano c’è la possibilità di far partire da Perugia o da Foligno, arretrandolo da Arezzo, il Frecciarossa delle ore 6.11 che permetterebbe di raggiungere la stazione di Milano centrale in poco più di tre ore contro le oltre cinque attuali. Stessa misura si dovrebbe prevedere con il Frecciarossa delle 19.30 in partenza da Milano centrale che potrebbe prolungare la corsa fino a Perugia Fontivegge o Foligno, invece che fermarsi ad Arezzo –:
   se il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza, anche presso Trenitalia, per favorire la soluzione appena prospettata, nonché, più in generale, per favorire la possibilità per l'Umbria di avvalersi dell'alta velocità e migliorare la disastrosa situazione del trasporto ferroviario locale. (3-02709)
(17 gennaio 2017)