TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 515 di Mercoledì 4 novembre 2015
PROPOSTE DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA
alla XIII Commissione (Agricoltura):
LUPO ed altri: «Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa». (1373)
ZACCAGNINI: «Disposizioni per la promozione della coltivazione della cannabis sativa per la produzione di alimenti, cosmetici, semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori, opere di bioingegneria e di bonifica dei terreni, attività didattiche e di ricerca». (1797)
OLIVERIO ed altri: «Norme per la promozione della coltivazione della cannabis sativa per la produzione di alimenti, cosmetici, semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori, opere di bioingegneria e di bonifica dei terreni, attività didattiche e di ricerca». (1859)
DORINA BIANCHI: «Disposizioni in materia di coltivazione della cannabis sativa per la produzione di alimenti, cosmetici, semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori, opere di bioingegneria e di bonifica dei terreni, attività didattiche e di ricerca». (2987)
(La Commissione ha elaborato un testo unificato).
INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA
SANTELLI e OCCHIUTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
nei giorni scorsi il nuovo presidente dell'Anas, Gianni Vittorio Armani, ha rilasciato alcune dichiarazioni che destano particolare allarme e preoccupazione, anche perché rifletterebbero obiettivi specifici definiti con il Governo e, in particolare, con il Ministro interrogato;
tra tali obiettivi, c’è infatti anche lo stop agli investimenti sulle grandi opere che riguardano l'ammodernamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria e della strada statale n. 106 Taranto-Reggio Calabria;
da quanto si apprende da fonti di stampa, gli interventi di adeguamento delle importanti arterie saranno sostituiti da lavori di riqualificazione e manutenzione straordinaria, con previsioni di spesa di molto inferiori. Pertanto, i quaranta chilometri dell'A3 ancora da ammodernare, tutti ricadenti nel tratto calabrese, non saranno rifatti ex novo, come avvenuto per tutto il resto dell'autostrada, ma saranno oggetto di semplice manutenzione. Stesso trattamento seguirà per la strada statale n. 106;
è evidente che si sta parlando di interventi di semplice restyling, una sorta di «ritocco» che risulterebbe assolutamente insufficiente e inadeguato alla risoluzione dei problemi e delle gravi criticità che affliggono le fondamentali dorsali della già scarsa rete infrastrutturale calabrese;
a nessuno può sfuggire che gli interventi di ammodernamento che interessano le predette arterie, lungi dall'essere un'opera faraonica inutile e fine a sé stessa (dato che il «mandato» del Governo sembrerebbe essere contrario alle «opere faraoniche»), trovano la loro principale ragion d'essere nell'ineludibile necessità di garantire idonee condizioni di sicurezza e percorribilità, restituendo al territorio infrastrutture viarie degne di questo nome, adeguate a standard di qualità europei e volano per il progresso del tessuto socio-economico regionale;
la tratta autostradale immediatamente a sud di Cosenza, che attraversa l'area del Savuto, in base agli studi prodromici alla realizzazione degli interventi di adeguamento, è risultata quella a più alto tasso di incidentalità dell'intera A3: l'aver procrastinato l'inizio degli interventi sul tracciato è dipeso unicamente dalla necessità di armonizzare, da una parte, la fasistica dei lavori e, dall'altra, l'attività di approfondimento, analisi e studi ingegneristici e geologi mirati all'adozione di adeguate soluzioni tecniche in un territorio estremamente travagliato dal punto di vista idrogeologico: adesso, la stessa tratta rischia di essere l'unica non ricostruita e quella più a rischio in tutta la Salerno-Reggio Calabria;
infatti, così come avverrà anche per la strada statale n. 106 («la strada della morte»), semplici interventi di manutenzione non consentiranno di intervenire sugli elementi più critici del tracciato in termini di sicurezza: raggi di curvatura, pendenze longitudinali e trasversali, stato di degrado delle opere d'arte, con particolare riguardo alle sottostrutture di ponti e viadotti e alle dotazioni strutturali e impiantistiche delle numerose gallerie che non potranno essere adeguate, come la legge impone, alle recenti norme di sicurezza. Non si potrà intervenire, altresì, sulle pendici che incombono sulla sede stradale e sui terreni fondali delle opere, ammassi che hanno già dato tragica prova di avere situazioni di stabilità idrogeologica al limite dell'equilibrio e problematiche ancor più accentuate dagli attuali, variati regimi di pioggia;
le posizioni del Governo, espresse attraverso il presidente Armani, si configurano secondo gli interroganti come l'ennesimo «scippo» operato ai danni della Calabria e dei calabresi, in barba alle procedure tecnico-amministrative in stato avanzato (i progetti degli interventi aspettano solo di essere licenziati dal Cipe per andare in gara) e nel pieno spregio degli impegni finanziari assunti per tali opere nelle precedenti leggi di stabilità e, in ultimo, nel decreto-legge «sblocca Italia» (è lecito chiedersi quale altra destinazione abbiano avuto le risorse all'uopo stanziate) –:
se il Ministro interrogato intenda confermare quanto dichiarato dal presidente dell'Anas e riportato in premessa e quali siano le reali intenzioni in merito alle opere che riguardano l'ammodernamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria e della strada statale n. 106 Taranto-Reggio Calabria, con particolare riferimento alle procedure tecnico-amministrative in stato avanzato e agli impegni finanziari già assunti, al fine di non penalizzare ulteriormente il territorio calabrese e di garantire standard di sicurezza e percorribilità delle infrastrutture. (3-01807)
(3 novembre 2015)
D'UVA, SORIAL, CRIPPA, NUTI, FERRARESI, MANLIO DI STEFANO, FRUSONE, CASO, PESCO, SIMONE VALENTE, MANNINO, DELL'ORCO, DA VILLA, COMINARDI, GRILLO, L'ABBATE e BATTELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
in data 24 ottobre 2015, un evento franoso verificatosi in località Calatabiano (Catania), ha determinato la rottura di una tubazione dell'acquedotto Bufardo Torrerossa, condotta utilizzata per il trasporto idrico dal fiume Fiumefreddo alla città di Messina e ad altri comuni siciliani;
l'acqua scaturente dalle sorgenti Bufardo e Torrerossa, così come riportato dalla società Acque Bufardo e Torrerossa s.r.l. nel proprio sito internet, è fornita, «per l'uso irriguo, al comprensorio ricadente nel territorio dei comuni di Giarre, Mascali, Fiumefreddo di Sicilia, Calatabiano e Piedimonte Etneo»;
nell'anno 1989, a seguito di una protratta siccità verificatasi nel comune di Messina, la società cedette al comune di Messina parte delle proprie gallerie da cui prelevare l'acqua eccedente, quella di cui la Bufardo era concessionaria;
ancora oggi, l'acqua rinvenuta dalla società Acque Bufardo e Torrerossa s.r.l. viene utilizzata anche dal comune di Messina, per il necessario approvvigionamento idrico;
per tali motivi, la rottura della tubatura verificatasi in data 24 ottobre 2015 non soltanto ha causato una massiccia inondazione di fango e detriti nei quartieri della città di Calatabiano (Catania), ma, allo stesso tempo, ha determinato l'interruzione totale dell'approvvigionamento idrico nel comune di Messina;
in data 24 ottobre 2014, il quotidiano consultabile on line La Gazzetta del Sud, riportando la notizia del guasto alla rete idrica, annunciava la possibilità di «disservizi in tutte le zone della città», nonché la possibile «riduzione dell'orario di erogazione del servizio idrico, sia nella giornata odierna che nei prossimi giorni», stimando un ritorno alla normalità entro la giornata del 26 ottobre 2015;
secondo le notizie riportate dal quotidiano veniva confermato che la «grossa frana ha danneggiato, all'altezza di Calatabiano, la condotta del Fiumefreddo la principale fronte di approvvigionamento della città di Messina»;
dallo stesso articolo venivano riportate, inoltre, le dichiarazioni dei tecnici dell’Azienda meridionale acque Messina s.p.a., società affidataria del servizio di gestione delle risorse idriche per la città, i quali, confermando l'apertura della falla, annunciavano la necessità di riparare la condotta in una situazione assai complessa, data la necessità di intervento in una zona certamente impervia;
secondo i tecnici, «non è la prima volta che si verificano guasti dovuti a smottamenti e frane del terreno su cui passa la condotta vecchia oltre 40 anni»;
l'articolo concludeva ricordando come le «polemiche sono spesso divampate sull'alternativa, costituita dalla condotta dell'Alcantara, ma senza mai trovare una soluzione»;
la città di Messina, nonostante le continue interruzioni dovute a fenomeni causati dal dissesto idrogeologico dei terreni in cui sorge l'acquedotto, si serve in via praticamente esclusiva dell'impianto situato in località Fiumefreddo, il quale garantisce sì una tariffa più vantaggiosa rispetto ad altre sorgenti attivabili, ma non assicura una quantità d'acqua sufficiente per una popolazione densa qual è quella messinese, soprattutto in caso di guasti alla rete idrica;
eppure le condizioni di elevata criticità del sistema di rete utilizzato per l'approvvigionamento della città di Messina hanno da tempo sollevato la necessità di un'urgente riorganizzazione dello stesso;
appare evidente come adeguate misure per la tutela dei territori avrebbero certamente aiutato a scongiurare la possibilità di un mancato approvvigionamento idrico così prolungato, in città densamente popolate e ad elevato rischio sismico ed idrogeologico;
a tal proposito si ricordi la risoluzione in commissione n. 7-00798, a prima firma Gianluca Rizzo, depositata in data 7 ottobre 2015, seduta n. 497, la quale, richiedendo l'impiego del 4o reggimento genio guastatori in attività di prevenzione e controllo delle principali infrastrutture siciliane segnalate per il tramite delle prefetture e degli enti locali, comporterebbe una più celere risoluzione di casi analoghi;
nei giorni scorsi un'ondata di maltempo ha letteralmente devastato la costa ionica calabrese, provocando l'esondazione di torrenti, frane, smottamenti, collegamenti bloccati, famiglie evacuate e due vittime: Salvatore Comandè, il quarantatreenne disperso dal pomeriggio di sabato a Taurianova dopo essere stato trascinato dalla piena di un torrente e ritrovato dai vigili del fuoco sull'argine del San Nicola, ad alcune centinaia di metri a valle del punto in cui era stato travolto; Pasquale Princi, di soli 25 anni, colpito da un palo della luce mentre lavorava al ripristino della corrente elettrica;
gli eventi meteorologici hanno colpito, soprattutto, la fascia ionica catanzarese e l'alto reggino; il torrente Ferruzzano, esondato a causa delle forti precipitazioni, ha danneggiato e in certi tratti distrutto la strada statale n. 106 Ionica e la linea ferrata tra Ferruzzano e Brancaleone, provocando la sospensione della circolazione fra le stazioni di Roccella Jonica e Palzizzi, sulla linea jonica, mentre non è stato possibile attivare servizi sostitutivi con autobus per l'impraticabilità della rete stradale;
altri disagi si sono avuti sulla Tirrenica, dove la tratta fra Bagnara e Villa San Giovanni-Cannitello è stata temporaneamente interrotta, con il ricorso a bus sostituivi e forti ritardi su tutta la linea;
le precipitazioni hanno colpito, in particolare, i comuni di Bovalino, Bruzzano, Sant'Ilario e Ardore, mentre violente mareggiate si sono abbattute sulla costa ionica del catanzarese e del reggino, provocando danni ingenti al lungomare di Siderno, con la chiusura del lungomare, e Caulonia, dove è stato disposto, per precauzione, lo sgombero di alcune abitazioni poste nelle vicinanze del mare;
negli stessi giorni, con epicentro nella notte del 14 ottobre 2015, a seguito dei temporali che hanno colpito il beneventano, alcuni quartieri del comune di Benevento sono stati travolti dall'acqua, provocando due morti, con danni di tale entità da indurre il sindaco a chiedere l'intervento dell'esercito per consentire il ripristino dei collegamenti sulla statale Appia, bloccata dallo straripamento dei fiumi Calore e Sabato;
gli eventi si sono ripetuti a distanza di pochi giorni nella notte del 20 ottobre 2015, con una nuova esondazione del fiume Calore e di diversi affluenti del fiume, tra cui il Tammaro, con conseguente allagamento delle campagne e dei paesi limitrofi, danni ingenti alle aziende che hanno i propri stabilimenti nella zona e migliaia di persone sfollate dalle contrade della città più vicine al fiume;
in data 30 ottobre 2015, la deputata Federica Daga, in sede di illustrazione ad un'interpellanza urgente, la n. 2-01131, presentata dalla stessa proprio sul tema degli investimenti relativi alla messa in sicurezza di territori a rischio dissesto idrogeologico affermava come secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui vi erano tracce sulla stampa ma non ancora in Gazzetta Ufficiale, veniva finalmente approvata l'erogazione dei 654 milioni di euro dal 2015 al 2020 e si potrebbe dire dal 2016, visto che si è a novembre 2015, per realizzare soltanto 33 opere, tra l'altro tutte concentrate in 5 regioni del Centro-Nord, confermando i timori di inadeguati interventi governativi per affrontare il problema;
risulta, inoltre, assente un piano nazionale che stabilisca impegni certi sia per l'assegnazione diretta dei fondi necessaria per la messa in sicurezza dei territori, sia per una datazione certa per l'apertura dei lavori relativi, a oggi annunciati ma ancora senza concreta attuazione –:
quali urgenti iniziative intenda assumere – alla luce di quanto avvenuto, solo nei giorni scorsi, nella regione Sicilia, con i gravi problemi di approvvigionamento idrico a Messina, nella regione Calabria, con danni enormi alla viabilità stradale e ferroviaria, nella regione Campania, con la devastazione della città di Benevento causata dallo straripamento del fiume Calore – affinché possa concretamente affrontarsi la grave emergenza del dissesto idrogeologico in tutto il territorio nazionale, la cui estrema fragilità è messa a dura prova dall'assenza di un'efficace politica di prevenzione e di razionale pianificazione territoriale, e, in caso di positivo riscontro, se sia nelle condizioni di indicare la stima degli eventuali stanziamenti che, nel breve periodo, potranno garantire e assicurare un'urgente azione per la messa in sicurezza del territorio, con maggiore effettività rispetto alla risposta data dal Governo alla citata interpellanza urgente Daga ed altri n. 2-00131. (3-01808)
(3 novembre 2015)
SBERNA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
nel Museo centrale del Risorgimento al Vittoriano si può ripercorrere la storia delle trasformazioni politiche, sociali ed economiche che hanno caratterizzato l'Italia nei secoli XVIII, XIX e XX attraverso la testimonianza costituita da documenti cartacei (lettere, diari, manoscritti di opere), quadri, sculture, disegni, incisioni, stampe, armi, che, rievocando fatti e protagonisti di questo importante periodo della storia del nostro Paese, formano un grande archivio della memoria del Risorgimento;
al suo interno, in occasione del 150o anniversario dell'Unità d'Italia, è stata allestita una mostra sulla storia d'Italia dal Risorgimento alla Grande Guerra 1848-1918. C’è la sezione dedicata alle cinque giornate di Milano del 1848 con lettere, disegni satirici e quadri del secolo scorso che ricordano il sacrificio dei milanesi. C’è la bacheca in cui si parla della nascita della Repubblica di Venezia e quella relativa alla prima guerra d'indipendenza con Carlo Alberto. Inoltre, arrivando al 1848, per commemorare le gesta di chi ha sacrificato la propria vita in nome dell'Unità d'Italia, c’è un'ampia sezione riservata alla Repubblica romana con la bandiera di Giuseppe Garibaldi, quadri, lettere ed antichità che celebrano la battaglia nella capitale;
non c’è invece nessun riferimento alla città di Brescia, che proprio durante la dominazione asburgica insorse in una rivolta popolare, guidata da un comitato di pubblica difesa, contro gli austriaci. Trentacinquemila bresciani hanno il merito di aver resistito per dieci giorni, dal 23 marzo al 1o aprile 1849 alle truppe del generale Haynau, con grande fierezza e coraggio tale da far meritare alla città il titolo di «Leonessa d'Italia». Le condizioni della resa imposte furono durissime, tanto da costare la vita a molti bresciani; eppure in una mostra dedicata al Risorgimento italiano e allestita all'interno del complesso Vittoriano di piazza Venezia a Roma – in un monumento nazionale quindi – non ci sono dipinti, né disegni, né targhe, né altro riferimento che possa dare testimonianza anche della tenace resistenza dei bresciani e del sacrificio di molte vite per l'Unità d'Italia –:
se il Ministro interrogato non ritenga doveroso che in una mostra di un museo nazionale si ricordi anche l'episodio delle dieci giornate di Brescia, adottando ogni iniziativa di competenza perché i curatori della mostra dopo quattro anni dalla sua inaugurazione si impegnino ad adeguare il percorso rievocativo alla realtà storica, inserendo anche documenti relativi alle dieci giornate suddette. (3-01809)
(3 novembre 2015)
MAZZIOTTI DI CELSO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
il Colosseo rappresenta un bene culturale di valore inestimabile per la città di Roma e l'Italia intera, simbolo di una storia millenaria e fonte di attrazione turistica paragonabile in Italia per numero di visitatori solo ai Musei vaticani e all'estero a musei d'arte come il Metropolitan museum of art di New York e la National gallery di Londra;
secondo la rilevazione della direzione generale bilancio-servizio III-ufficio di statistica del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nel 2014 i visitatori del circuito archeologico «Colosseo, Foro romano e Palatino» sono stati 6.181.702, con un introito complessivo di euro 41.440.839,00 euro, al lordo dell'aggio spettante al concessionario del servizio di biglietteria;
il costo del biglietto combinato Colosseo, Foro romano e Palatino, valido per un ingresso nei due siti per 2 giorni, è pari a 12 euro se intero e 7,5 euro se ridotto. Questi prezzi non si applicano ad alcune categorie di visitatori, che sono esentati dal pagamento del biglietto, mentre maggiorazioni sono previste in caso di acquisto del biglietto on line o in via telefonica (2 euro quale diritto di prevendita) e in caso di acquisto da parte di gruppi o scuole (costi di prenotazione aggiuntivi che vanno da 28 euro per i gruppi a 15 euro per le scuole);
se si guarda al rapporto tra il totale degli introiti dei biglietti al lordo dell'aggio e il numero dei visitatori, si può riscontrare che l'incasso medio lordo per ciascun biglietto è di 6,7 euro, una cifra inferiore al prezzo del biglietto ridotto di 7,5 euro;
la gestione del servizio biglietteria del circuito archeologico «Colosseo, Foro romano e Palatino» è affidata fin dal 1997 in concessione a un'associazione temporanea di imprese, di cui fa parte CoopCulture, società il cui fatturato risulta in costante crescita;
sempre secondo la rilevazione della direzione generale bilancio-servizio III-ufficio di statistica del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nel campo dei cosiddetti servizi aggiuntivi forniti da vari soggetti (audioguide, bookshop e vendita di gadget, prenotazioni/prevendite e visite guidate) gli incassi per il 2014 sono stati pari a circa euro 11 milioni, per un totale di circa 3,5 milioni di clienti. Di tale somma, è stata riconosciuta alla soprintendenza una quota pari a 1.327.719,53 euro (12 per cento del totale). CoopCulture, nei rapporti di sostenibilità 2013 e 2014, ha dichiarato di aver generato 1,1 euro di ricavi aggiuntivi nei servizi al pubblico per ogni 0,90 euro incassati in biglietteria;
in particolare, sempre nel 2014 a fronte di un incasso di 3 milioni di euro dal servizio prenotazione/prevendita – iscritto tra i servizi aggiuntivi forniti da soggetti esterni – la quota appannaggio della soprintendenza è stata pari a circa 36.273,19 euro (poco più dell'1 per cento);
la soprintendenza archeologica speciale di Roma per il Colosseo, oltre all'Altare della Patria, è tra i quaranta luoghi della cultura statali nel nostro Paese con concessioni di servizi aggiuntivi in regime di proroga, secondo l'elenco depositato in Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati dal Governo il 22 gennaio 2015;
l'articolo 2, comma 5, del decreto ministeriale 11 dicembre 1997, n. 507, recante «Norme per l'istituzione del biglietto d'ingresso ai monumenti, musei, gallerie, scavi di antichità, parchi e giardini monumentali dello Stato», stabilisce che «le convenzioni stabiliscono il versamento da parte del concessionario di una parte degli incassi ricavati dalla vendita dei biglietti non inferiore al 70 per cento degli incassi medesimi. Il compenso spettante al concessionario non può essere superiore al 30 per cento degli incassi»;
nell'esame di controllo preventivo di legittimità del decreto direttoriale n. 6 del 5 settembre 2013, con il quale il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici per il Lazio ha approvato la proposta di un aumento del costo dei biglietti di accesso all'area Colosseo, Foro romano e Palatino, avanzata dalla sopraintendenza, la sezione regionale della Corte dei conti del Lazio, con deliberazione 278/2013/PREV, rilevava l'attribuzione all'Amministrazione e alla società affidataria del servizio di percentuali di entrate da prezzo dei biglietti opposte a quelle di legge (all'affidatario sarebbe spettato il 68,9 per cento, in violazione del tetto massimo del 30 per cento fissato dalla norma);
la Corte dei conti rilevava, tra l'altro, che l'Amministrazione, anziché depositare la convenzione di biglietteria, aveva depositato l'atto di concessione in rinnovo dei servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico a favore della Mondadori Electa s.p.a. (allora Elemond s.p.a.) del 3 agosto 2001. Inoltre, veniva sottolineato che alla data del 2001 la Mondadori Electa, concessionaria dal 1997, godeva già di un rinnovo di quattro anni della concessione «per i servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico». Si era, dunque, arrivati a una durata di almeno 16 anni continuativi «con una serie continua di rinnovi e proroghe, in evidente violazione (...) dei principi comunitari in materia di libera concorrenza nel settore»;
un'analoga situazione di concessione prolungata con proroghe e rinnovi fin dal 1997 si riscontra nel servizio di biglietteria, gestito da CoopCulture. Dai siti web del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e di CoopCulture, inoltre, non è possibile ottenere copia degli atti concessori e degli atti di rinnovo o proroga, né una sintesi del contenuto;
il capitolo 2584, articolo 01, delle entrate, recante «entrate di pertinenza del Ministero dei beni e delle attività culturali – introiti derivanti dalla vendita di biglietti per l'accesso ai monumenti, musei, gallerie e scavi archeologici dello Stato» presenta, nel rendiconto del bilancio dello Stato relativo all'esercizio finanziario 2014, uno stanziamento di cassa di euro 17.790.000;
dalle informazioni disponibili, non è possibile ricostruire quali siano gli incassi netti ottenuti dalla soprintendenza dalla vendita di biglietti del circuito archeologico «Colosseo, Foro romano e Palatino», che come detto ammontano (al lordo dell'aggio) a oltre 41 milioni di euro;
per porre fine al regime delle proroghe delle concessioni dei servizi aggiuntivi nei luoghi della cultura, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha avviato una collaborazione con Consip su tre fronti. Il primo, il cui bando di gara è stato lanciato a fine luglio 2015, attiene ai «servizi gestionali». Il secondo riguarda il «servizio di biglietteria nazionale». Infine, il terzo assicurerà le gare per i «servizi culturali», come, ad esempio, noleggio audioguide, visite guidate, laboratori e didattica, spazi, eventi e mostre;
anche ai fini delle suddette procedure di gara appare opportuno pubblicare sul sito della soprintendenza competente tutti gli atti che regolano dal 1997 in poi i rapporti esistenti con le società concessionarie dei servizi di biglietteria e dei servizi aggiuntivi. È poi essenziale conoscere l'effettivo ammontare degli introiti da biglietti del complesso del Colosseo e la ripartizione tra l'amministrazione e la concessionaria –:
quale sia stato per l'anno 2014, in termini assoluti e percentuali, l'ammontare spettante alla soprintendenza rispetto al totale degli introiti ottenuti dalla vendita di biglietti del circuito archeologico «Colosseo, Foro romano e Palatino», pari a 41.440.839,00 euro. (3-01810)
(3 novembre 2015)
AIRAUDO, PLACIDO, SCOTTO, MARCON e MELILLA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
il Parlamento ha conferito un'ampia delega al Governo per la riforma della pubblica amministrazione;
agente e motore essenziale di tale riforma dovranno essere i lavoratori del pubblico impiego nelle cui mani è affidata la gestione quotidiana di amministrazioni e pubblici servizi;
da ben 6 anni, viceversa, i vari Governi che si sono succeduti hanno bloccato il rinnovo dei contratti di lavoro e ridotto ai minimi termini il turn over;
tale situazione ha creato notevoli disagi e tensioni tra i pubblici dipendenti e le rispettive amministrazioni;
i sindacati hanno indetto uno sciopero nazionale del pubblico impiego;
la Corte costituzionale, con la sentenza n. 178 del 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del regime di sospensione della contrattazione collettiva –:
quali iniziative concrete intenda assumere il Governo al fine di creare tra i pubblici dipendenti un clima collaborativo adatto alla realizzazione della riforma della pubblica amministrazione, superando disagi e tensioni nella categoria. (3-01811)
(3 novembre 2015)
RIZZETTO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, SEGONI e TURCO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
il primo firmatario della presente interrogazione, per far fronte ai reiterati e irregolari sistemi che, da circa quindici anni, regolano la gestione del personale delle agenzie fiscali, con una risoluzione presentata nel mese di settembre 2015, ha richiesto l'istituzione di un'area quadri nella pubblica amministrazione, analoga a quella esistente nel settore privato, con figure professionali altamente specializzate. L'assenza della figura dei quadri nella pubblica amministrazione italiana era stata già censurata dal Parlamento europeo, in seguito ad un'audizione della Dirstat, e ciò aveva condotto l'Italia ad adottare una norma (articolo 17-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165), per l'introduzione della vicedirigenza, figura rientrante nell'area quadri. Tuttavia, tale disposizione è rimasta inattuata sino alla sua abrogazione avvenuta durante il Governo Monti;
la mancanza di tale figura intermedia nella pubblica amministrazione ha contribuito incisivamente a determinare il proliferarsi dell'attribuzione fiduciaria di incarichi ad personam in favore di soggetti non titolati e, conseguentemente, ha determinato un gravissimo danno per le casse dello Stato per la corresponsione illecita di laute indennità. Per porre rimedio a tale imbarazzante situazione di illegalità che vige presso le agenzie fiscali e che gli interroganti denunciano da mesi, nulla è stato fatto da questo Governo. Anche le attuali dichiarazioni a mezzo stampa del Sottosegretario Zanetti sulle criticità funzionali dell'Agenzia delle entrate non appaiono pregevoli, in quanto tardive ed in contraddizione con la ferma difesa dell'operato dell'Agenzia delle entrate assunta proprio dal Sottosegretario, in risposta a recenti atti di sindacato ispettivo sulla questione;
a placare l'arbitrarietà con la quale si attribuiscono incarichi in assenza di regolari procedure non è servita nemmeno la nota sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015, che, nel dichiarare illegittimi 1.200 dirigenti delle agenzie fiscali, di cui ben 800 dell'Agenzia delle entrate, aveva indicato l'applicazione dell'istituto della reggenza regolato dall'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266, quale soluzione per rimediare alla vacanza delle posizioni decadute nelle more dell'espletamento di concorsi pubblici; tuttavia, non si è proceduto all'applicazione di tale norma, pur essendo vigente: difatti, l'autorevole pronuncia dei giudici costituzionali ne ha indicato l'applicazione;
ebbene, ad oggi, l'Agenzia delle entrate continua a procedere arbitrariamente nell'investitura degli incarichi. A riguardo, a titolo di esempio, vi è la recente nomina del capo della direzione del personale dell'Agenzia delle entrate conferita il 22 ottobre 2015 con modalità a giudizio degli interroganti del tutto discrezionali, in quanto non preceduta da regolare interpello volto a far partecipare alla selezione tutti coloro che ne avevano titolo, violando l'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001;
altra irregolare prassi avviene attraverso un'applicazione distorta dell'articolo 19, comma 6, del predetto decreto legislativo n. 165 del 2001, per attribuire incarichi esterni. A riguardo, è assurdo che, come ha anche riportato il quotidiano Italia oggi in un articolo del 28 marzo 2015, nonché una recente pubblicazione della rivista Panorama, risulta sia stato investito un funzionario interno collocato in aspettativa di incarico dirigenziale esterno;
il Governo non solo non è intervenuto tempestivamente per ripristinare la legalità nell'ambito delle procedure che regolano la gestione del personale delle agenzie fiscali, ma ha poi aggravato la situazione con l'introduzione dell'articolo 4-bis nel decreto-legge n. 78 del 2015, norma che istituisce delle «posizioni organizzative speciali» nell'ambito delle agenzie, per far fronte alle vacanze delle posizioni dirigenziali decadute. Tale norma è illegittima poiché in antitesi con quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale e viola il principio per il quale il concorso pubblico deve essere la via ordinaria non solo per le assunzioni pubbliche, ma anche per l'investitura di nuovi incarichi per coloro che fanno già parte dell'organico (si confronti la sentenza del Consiglio di Stato n. 4139 del 2015). Dunque, le procedure concorsuali interne possono essere un'eccezione al generale principio di entrata in servizio per il tramite del concorso pubblico, che deve essere giustificata da straordinarie esigenze adeguatamente motivate, che nella fattispecie in questione non sussistono;
le predette prassi di nomina rappresentano una continuazione delle medesime procedure censurate dalla giustizia amministrativa e dalla Corte costituzionale, che hanno caratterizzato negli anni la gestione del personale degli enti pubblici in questione. A tale grave situazione ha contribuito, come predetto, anche l'assenza nell'ambito della pubblica amministrazione di un'area contrattuale del tutto omologa a quella dei cosiddetti quadri, che, come è noto, costituiscono una figura intermedia tra la classe impiegatizia e quella dirigenziale, la cui presenza consentirebbe, tra l'altro, di evitare l'istituzione di posizione organizzative speciali che a parere degli interroganti sono del tutto irregolari –:
se il Ministro interrogato intenda, per quanto di competenza, adottare iniziative per istituire l'area quadri nell'ambito della pubblica amministrazione anche per ovviare alle predette prassi, applicate alla gestione del personale nell'ambito degli enti fiscali, che appaiono agli interroganti irregolari. (3-01812)
(3 novembre 2015)
GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
il mercato del latte ha perso oltre il 20 per cento nel giro di un anno e mezzo, con prospettive non certo confortanti, il che impone strategie di azione condivise e forti e comunque diverse da quelle applicate fino ad oggi;
il mercato stenta a trovare una giusta remunerazione del prezzo del latte per la complessità di uno scenario condizionato da un operatore principale, straniero, soprattutto francese e tedesco, che determina le oscillazioni del prezzo;
le stalle italiane ormai stanno facendo i conti con una remunerazione ben al di sotto dei costi di produzione che rende impossibile resistere. Il latte oggi viene pagato agli allevatori in media 0,35 centesimi al litro, mentre al consumo il costo medio per il latte di alta qualità è di circa 1,5 euro al litro. Il prezzo riconosciuto agli allevatori non copre neanche i costi per l'alimentazione degli animali. Fino ad oggi sono state chiuse in Italia oltre 172.000 stalle e fattorie ad un ritmo di oltre 60 al giorno, con effetti drammatici sull'economia, sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale, nonché sull'occupazione. Queste chiusure hanno causato un aumento delle importazioni dall'estero di latte;
il settore lattiero-caseario rappresenta la voce più importante dell'agroalimentare italiano, con 36 mila imprese di allevamento che producono 110 milioni di tonnellate di latte bovino di produzione complessiva e generano nella filiera un valore di 28 miliardi di euro, con quasi 180 mila occupati della filiera. Circa la metà del latte consegnato è destinato alla produzione di ben 48 formaggi dop;
non si può aspettare inermi la scomparsa degli allevamenti italiani, dei lavoratori italiani e del vero made in Italy e il conseguente abbandono dei territori. Sono necessarie regole trasparenti sulle produzioni lattiero-casearie, al fine di consentire agli allevatori e ai consumatori di avere un'equa remunerazione, un giusto prezzo e la garanzia di quello che si mangia. È necessario, quindi, poter garantire agli allevamenti di poter continuare a lavorare e al consumatore un prodotto di grande qualità;
a luglio 2015 la regione Lombardia raggiunse un accordo al «tavolo latte» con i produttori e le cooperative ad un prezzo di 37,004 euro per 100 litri. L'accordo prevedeva l'introduzione di un'indicizzazione del prezzo basata sull'andamento del prezzo al consumo di una serie di prodotti lattiero-caseari (ad esempio, formaggi dop) e delle materie prime a carico degli allevatori, con conseguente effetto correttivo rispetto alle oscillazioni, senza dover ricorrere ad una contrattualistica ingessata;
la regione Lombardia è il principale produttore di latte nazionale e se non si riesce a raggiungere un accordo con i produttori diventa impossibile poter ottenere un risultato congruo per gli allevatori e le stalle si trovano ad essere ancor più a rischio chiusura. Oggi gli allevatori vivono una situazione surreale, con un soggetto che invia lettere in cui comunica il prezzo di acquisto del latte in maniera unilaterale;
in merito all'indicazione in etichetta dell'origine del prodotto, la normativa italiana è andata spesso in contrasto con le «regole» europee. La Commissione europea ritiene incompatibile con il mercato unico e la libera concorrenza la presunzione di qualità legata alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo di un prodotto alimentare;
si prenda il caso del regolamento (UE) n. 1169/2011, entrato in vigore il 12 dicembre 2014, che ha fissato nuove disposizioni circa le informazioni contenute nelle etichette dei prodotti alimentari allo scopo di realizzare una base comune per regolamentare le informazioni sugli alimenti e consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli. Tra le informazioni obbligatorie importanti non viene menzionata l'indicazione dello stabilimento di produzione e di confezionamento della merce. La normativa italiana, che invece ne prevedeva l'obbligo, a seguito di questo regolamento, è stata abrogata e quindi ora l'indicazione rimarrà solo facoltativa per il produttore. La non obbligatorietà dell'indicazione dello stabilimento di produzione comporta un grave danno al made in Italy;
alle indicazioni obbligatorie contenute nel regolamento, circa l'origine e gli altri elementi obbligatori da inserire in etichetta, gli Stati membri possono introdurre disposizioni relative ad ulteriori indicazioni obbligatorie, con particolare riferimento al Paese d'origine o al luogo di provenienza di alimenti, solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell'alimento e la sua origine o provenienza e ciò sia ritenuto rilevante per i consumatori. È impensabile che oggi i consumatori non debbano sapere precisamente da dove arriva la metà del latte che si beve e con quale latte siano prodotti i formaggi e suoi derivati;
è fuor di dubbio che la normativa comunitaria sull'etichettatura va rivista e adeguata ai migliori standard qualitativi esistenti nei Paesi virtuosi, come l'Italia, perché è ambigua e contraddittoria, come nel caso dell'obbligo di indicare la provenienza in etichetta della carne bovina, ma non per i prosciutti, per l'ortofrutta fresca, ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele, ma non per il latte. Tutte queste contraddizioni giuridiche non fanno altro che impedire al consumatore di conoscere quello che realmente sta consumando, visto che, ad esempio, per il latte a lunga conservazione tre cartoni su quattro sono stranieri perché privi dell'indicazione di provenienza –:
quali iniziative intenda assumere per rendere obbligatoria – per il latte fresco e quello a media e lunga conservazione, nonché per il latte usato come materia prima su tutti i prodotti lattiero-caseari italiani, formaggi, latte, mozzarella e altri, che poi si avvalgono del marchio made in Italy – l'indicazione in etichetta del luogo di origine, di provenienza, dello stabilimento di produzione e confezionamento, nonché quali siano le intenzioni del Ministro interrogato circa la possibilità di far ripartire sul tavolo della regione Lombardia le trattative con i produttori sul prezzo del latte, tutto ciò al fine di valorizzare la qualità del latte italiano e dei suoi derivati, che si trova a dover competere con il latte estero, che ha un minor costo e soprattutto una qualità inferiore e che è causa dell'abbattimento del prezzo del latte e della conseguente chiusura di molteplici stalle. (3-01813)
(3 novembre 2015)
FIORIO, CARRA, OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CAPOZZOLO, COVA, DAL MORO, FALCONE, LAVAGNO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VENITTELLI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
il comparto lattiero-caseario è il primo settore alimentare italiano e rappresenta circa il 12 per cento del fatturato complessivo del food nazionale. Il valore della produzione supera i 15 miliardi di euro. Nel settore trovano impiego circa 25.000 lavoratori; ogni anno le imprese italiane producono un milione di tonnellate di formaggi, 2,7 milioni di tonnellate di latte alimentare, un miliardo e seicentomila vasetti di yogurt e 160.000 tonnellate di burro;
l'Italia ha una posizione di rilievo nell'ambito del settore lattiero-caseario mondiale, in cui è il maggior Paese produttore di formaggi tipici di origine certificata;
il settore lattiero-caseario apporta anche un importante contributo socio-economico allo sviluppo agricolo e rurale e sottolinea la sua particolare importanza nelle zone svantaggiate, montane e insulari e nelle regioni periferiche, dove l'allevamento è spesso l'unica attività agricola praticabile;
da dieci anni il settore lattiero-caseario sta attraversando una grave crisi, che ha causato la scomparsa di 66.000 stalle italiane. Il crollo della domanda, causato anche dalla forte riduzione delle esportazioni nei Paesi extra Unione europea, ha portato ad un abbassamento generalizzato dei prezzi all'origine del latte bovino ed ha messo in ginocchio numerose imprese, in tutta Europa, che non riescono più a coprire i costi di produzione;
la Commissione europea ha recentemente ammesso che l'attuazione delle misure presenti nel «pacchetto latte», in vigore da ottobre 2012, si è rivelata deludente;
la Commissione europea ha, inoltre, rimarcato come le attuali misure della rete di sicurezza, come l'intervento pubblico e gli aiuti all'ammasso privato, non siano adeguate per far fronte alla persistente volatilità o a una crisi del settore del latte. La Commissione europea ha, infatti, constatato dubbi circa la capacità del quadro normativo comunitario di far fronte agli episodi di estrema volatilità del mercato o a una situazione di crisi dopo la scadenza del regime di quote, specialmente per garantire uno sviluppo equilibrato della produzione di latte ed evitare una concentrazione eccessiva nelle zone maggiormente produttive;
per la Commissione europea è, quindi, necessaria una rete di sicurezza più reattiva e realistica e che il prezzo d'intervento rifletta maggiormente i costi di produzione. Il prezzo attuale, immutato dal 2008, deve essere quindi rivisto per tenere conto dei crescenti costi di produzione e dovrebbe essere sottoposto a regolare revisione. L'agricoltura sostenibile, quale fonte di prodotti alimentari di alta qualità, può essere, infatti, garantita solo se i produttori ricevono adeguati prezzi che coprano tutti i costi di una produzione sostenibile;
il Consiglio straordinario dei Ministri agricoli dell'Unione europea, che si è svolto a Bruxelles il 7 settembre 2015, ha varato un pacchetto di aiuti d'emergenza da 500 milioni per tamponare la crisi del settore lattiero-caseario (destinandoli circa 25 all'Italia), oltre alla possibilità per gli Stati membri di aumentare dal 50 al 70 per cento l'anticipo a ottobre 2015 dei pagamenti diretti della politica agricola comune agli allevatori;
tra le principali azioni messe in campo dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, nell'ambito di un apposito «piano latte», rientrano in particolare:
a) 0,5 centesimi di euro in più al litro per i produttori di latte attraverso aumento della compensazione Iva. Si prevede l'innalzamento dell'aliquota di compensazione Iva dall'8,8 al 10 per cento a favore degli allevatori del settore latte;
b) l'istituzione di un tavolo tecnico nazionale per metodo di indicizzazione dei prezzi del latte. È prevista la costituzione presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali di un gruppo di lavoro per la definizione a livello nazionale di un sistema di indicizzazione del valore del latte alla stalla condiviso dagli attori della filiera;
c) piano straordinario di promozione del consumo di latte fresco;
d) promozione dell’export dei prodotti lattiero-caseario italiani. I formaggi dop italiani saranno protagonisti di specifiche azioni nell'ambito del piano straordinario per il made in Italy, previsto dalla legge di stabilità per il 2015 e messo in campo dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali insieme al Ministero dello sviluppo economico;
e) sostegno agli impianti per il biometano di aziende zootecniche. Per stimolare l'integrazione al reddito degli allevatori il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali intende sostenere gli investimenti in impianti di biometano per la valorizzazione delle biomasse residuali e dei sottoprodotti della lavorazione agricola;
il disegno di legge di stabilità per il 2016, all'esame del Senato della Repubblica, coerentemente con le azioni proposte, prevede l'innalzamento dell'aliquota di compensazione Iva dall'8,8 al 10 per cento per i produttori di latte;
sempre nel disegno di legge di stabilità per il 2016 (articoli 4 e 5) è stata anche soppressa l'Irap e l'Imu sui terreni e sulle imprese agricole: un provvedimento che porterà, quindi, benefici anche al comparto lattiero-caseario;
il Ministro interrogato ha, inoltre, recentemente annunciato che i fondi europei per l'acquisto di alimenti a sostegno degli indigenti (fead) saranno utilizzati, in parte, per l'acquisto di formaggi dop –:
quali ulteriori iniziative saranno intraprese a sostegno del settore lattiero-caseario, che versa nel grave stato di crisi descritto in premessa. (3-01814)
(3 novembre 2015)
TOTARO, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI e TAGLIALATELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
il Parlamento europeo ha approvato nei giorni scorsi una proposta di regolamento volta a semplificare le procedure di commercializzazione di nuovi alimenti, prevedendo che la relativa autorizzazione non sarà più affidata ai singoli Stati ma direttamente alla Commissione europea;
tra i cibi interessati dalla proposta rientrano alimenti esotici, quali alghe e insetti, tra cui cavallette, formiche, scorpioni ed altri, come anche prodotti alimentari frutto di tecnologie innovative o preparati utilizzando ingredienti nuovi, tra cui alcuni coloranti, nonché quelli derivati dalla discendenza di animali clonati, in attesa che la Commissione europea intervenga con una legislazione ad hoc;
negli anni le rigide normative sui cibi imposte dall'Unione europea ai propri Stati membri hanno messo fuori legge, per un periodo di tempo limitato oppure per sempre, diversi alimenti e piatti tipici della tradizione culinaria italiana;
nel luglio 2001, per far fronte alla cosiddetta emergenza mucca pazza, sono stati proibiti la pajata e l'ossobuco alla piemontese e tali restrizioni sanitarie sono ancora mantenute, nonostante l'Organizzazione mondiale per la sanità animale nel giugno 2013 abbia ufficialmente sancito per l'Italia il nuovo stato sanitario di «trascurabile» rispetto all'encefalopatia spongiforme bovina (bse);
nel giugno 2010, invece, sono entrate in vigore le nuove norme sulla pesca dell'Unione europea, che, di fatto, hanno fatto sparire dalle tavole degli italiani specialità della tradizione gastronomica regionale, con il divieto di pesca-raccolta dei molluschi a distanza inferiore di 0,3 miglia marine dalla battigia dove si concentra il 70 per cento delle vongole ed il 100 per cento delle telline e dei cannolicchi;
di contro, l'Unione europea ha permesso negli anni la commercializzazione di vino senza uva, cioccolato senza cacao ed è di pochi mesi fa la notizia della diffida inviata all'Italia dall'Unione europea per l'eliminazione del divieto dell'utilizzo di latte in polvere e simili per la fabbricazione di formaggi, yogurt o latte, mentre in tutta Europa circolano liberamente imitazioni low cost del parmigiano;
le decisioni sui cibi adottate in ambito europeo sono ispirate da una tendenza eccessivamente «livellatrice» che, in ossequio al rigido rispetto di norme sanitarie comuni a tutti, alla riduzione degli sprechi e alla necessità di aprire il mercato alimentare europeo anche a quei Paesi dove, per motivi geografici e climatici, l'agricoltura non ha molto spazio, hanno determinato un appiattimento verso il basso delle normative;
questo atteggiamento danneggia i Paesi come l'Italia che vantano una secolare tradizione agricola ed enogastronomica –:
quali iniziative intenda assumere in ambito europeo al fine di salvaguardare le produzioni agricole e i cibi tipici italiani, anche con riferimento alla tutela del made in Italy. (3-01815)
(3 novembre 2015)
DORINA BIANCHI e BOSCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
la Corte di giustizia europea ha da poco sentenziato che l'etichettatura di un prodotto alimentare non deve indurre il consumatore in errore. Un precedente che potrebbe trasformarsi in un sostegno per le aziende danneggiate dal cosiddetto Italian sounding, ovvero la pratica di far passare per italiani, attraverso il nome o la confezione, alimenti che italiani non sono;
secondo fonti del Ministero dello sviluppo economico, il fenomeno dell’Italian sounding vale un giro d'affari stimato in 50 miliardi di euro l'anno, pari a 147 milioni di euro al giorno: si tratta del doppio del valore delle esportazioni italiane di alimenti, che si ferma a 23 miliardi di euro;
il Ministro interrogato ha recentemente affermato che, nel contesto europeo, vi è la massima attenzione possibile per quanto concerne la lotta al falso cibo italiano;
il problema riguarda gli accordi bilaterali e commerciali con gli Stati Uniti ed il resto del mondo, dove è necessario definire una maggiore tutela delle indicazioni geografiche italiane, al fine che siano riconosciute da questi mercati;
la nuova frontiera dell'agro-pirateria è costituita dal web: il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, insieme all'ispettorato repressione frodi, ha stipulato due accordi con i maggiori player dell’e-commerce mondiali, come eBay ed Alibaba: l'obiettivo è quello di assicurare ai prodotti dop e igp italiani una protezione pari a quella che ricevono i grandi marchi della rete. Solo negli ultimi 12 mesi, sono stati oltre 300 gli interventi, con un blocco di flussi di vendite di prodotti falsi per un valore che supera i 60 milioni di euro –:
quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di assicurare ed estendere la tutela del cibo italiano anche oltre i confini europei. (3-01816)
(3 novembre 2015)