TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 488 di Mercoledì 23 settembre 2015

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN SEDE EUROPEA E INTERNAZIONALE PER LA PROTEZIONE DEI PERSEGUITATI PER MOTIVI RELIGIOSI

   La Camera,
   premesso che:
    in ampie aree del mondo, dall'area mediorientale – Iraq, Siria, Libia, Palestina – a quella del Nord e del Centro dell'Africa – Libia, Nigeria, Somalia, Kenya – si sono intensificate le persecuzioni nei confronti dei cristiani. Le continue violazioni della libertà religiosa, ispirate dall'odio ultrafondamentalista causano morte, sofferenze, l'esilio, perdita delle persone care e dei propri beni;
    i cristiani al mondo che in questo momento subiscono persecuzioni sono stimati in non meno di 100 milioni e le uccisioni, secondo le valutazioni più prudenti, sono almeno 7.000 all'anno (ma per qualcuno si dovrebbe aggiungere uno zero);
    le violazioni della libertà religiosa non riguardano solo i cristiani: la follia omicida dell'Isis, per esempio, colpisce con eguale crudeltà gli yazidi, i musulmani sciiti e anche i musulmani sunniti che non accettano le prevaricazioni dei terroristi. Sono rase al suolo non soltanto le chiese, ma anche i templi, le moschee e i minareti. I cristiani, tuttavia, vantano il triste primato di essere circa l'80 per cento del totale dei perseguitati per ragioni religiose;
    il terribile destino riservato ai ventuno coopti decapitati nei giorni scorsi sulle coste libiche, espiando la «colpa» di essere cristiani, a poche centinaia di miglia dalla Sicilia, ha esplicitato nel modo più turpe che si tratta di una tragedia molto prossima a noi;
    il rischio è che la moltiplicazione delle notizie di uccisioni, di massacri, di distruzioni provochi non un incremento della capacità di reagire da parte dell'Occidente, dell'Europa e dell'Italia, ma un incremento dell'assuefazione, come se fossero eventi inevitabili, qualcosa che comunque deve succedere;
    la risposta a un'aggressione ingiusta deve essere intelligente e adeguata al contesto. È, dunque, necessario che un eventuale intervento sia multilaterale, non di sole potenze «occidentali», coinvolgendo possibilmente anche Paesi musulmani;
    ogni azione, compreso l'intervento militare, sarebbe efficace soltanto se coerente con l'atteggiamento culturale. È fondamentale pertanto respingere l'idea che tutto l'Islam è il male assoluto, quasi fosse una guerra finale fra l'Occidente e un miliardo e mezzo di musulmani. L'unico modo di disinnescare l'ultrafondamentalismo islamico e il terrorismo è trovare dei musulmani che aiutino a farlo: fuori e dentro i confini nazionali;
    quel che è certo è che non può proseguire una indifferenza di fatto, che concorre ad aumentare i lutti, le violenze e le distruzioni,

impegna il Governo:

   a rendersi promotore e a sostenere nelle sedi europee e internazionali ogni iniziativa necessaria ad assicurare la concreta protezione dei perseguitati per motivi religiosi, in coerenza con le deliberazioni delle Nazioni Unite sulla libertà di religione o credo e con gli indirizzi già approvati dal Parlamento italiano;
   ad assumere e partecipare a iniziative in sede europea e internazionale, tese a rafforzare la collaborazione con i principali attori regionali e le autorità locali, a tutela della libertà di religione o credo, onde reagire alle violenze più efferate e a tutelare le popolazioni e comunità oggetto di massacri e di persecuzioni per ragioni di fede religiosa;
   ad aggiornare periodicamente la Camera dei deputati sullo stato dei lavori e sui risultati ottenuti.
(1-00760)
(Nuova formulazione) «Dambruoso, Pagano, Capezzone, Catania, Fauttilli, Bernardo, Binetti, Bueno, Centemero, Antimo Cesaro, Chiarelli, D'Agostino, Fabrizio Di Stefano, Ermini, Galati, Galgano, Riccardo Gallo, Gigli, Laffranco, Latronico, Maietta, Marazziti, Marotta, Matarrese, Molea, Palese, Piepoli, Piso, Rabino, Romele, Santerini, Tancredi, Vargiu».
(12 marzo 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la libertà religiosa è la madre di tutte le libertà, in quanto investe la libertà di coscienza, di pensiero e di professione pubblica della fede di ciascuno. Come tale fa parte dei diritti fondamentali ed inalienabili dell'uomo, espressi nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Tale diritto, pertanto, include la libertà di cambiare religione o credo e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico sia in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti;
    la libertà religiosa rappresenta senz'altro lo sfondo dove ricercare un'efficace politica sociale attenta alle differenze, dove incoraggiare scelte segnate da una tolleranza genuina che non camuffi le diversità e da un'azione che sostenga l'integrazione, il dialogo plurale per il bene comune, la tutela dei diritti umani e la partecipazione democratica;
    la storia dimostra che non solo la libertà religiosa è il pilastro portante di tutte le libertà, ma che l'intolleranza religiosa porta inevitabilmente alla violazione di diritti umani fondamentali e, molto spesso, a conflitti cruenti e devastanti;
    purtroppo, come documentano troppi eventi, il diritto alla libertà religiosa è ancora oggi messo in discussione: gli atti di violenza commessi in nome della religione continuano, infatti, a dominare la scena internazionale, generando intolleranza spesso alimentata e strumentalizzata per motivi politici ed economici, che sempre più di frequente producono azioni collettive aberranti a danno delle minoranze;
    in molti Paesi, vi sono ancora discriminazioni di ordine giuridico o costituzionale oppure vere e proprie ostilità religiose, spesso legate a tensioni etniche o tribali. In diversi casi, vi è un gruppo religioso che opprime o, addirittura, cerca di eliminarne un altro, o c’è uno Stato autoritario che tenta di limitare le attività di un particolare gruppo religioso;
    in questo contesto, la grave mancanza di libertà religiosa di cui soffrono i cristiani in molti Paesi provoca ancora vittime innocenti, perpetrando una vera e propria persecuzione, che rappresenta un'offensiva condotta con violenza sistematica e indiscriminata contro la presenza cristiana in vaste aree del mondo. Si tratta di una tragedia umanitaria di proporzioni drammatiche che si consuma ogni giorno: casi di cristiani perseguitati solo a causa della loro fede, trucidati in nome del fanatismo e radicalismo religioso;
    il termine «cristianofobia» è quello che descrive più compiutamente questo fenomeno di portata universale e come tale è stato adottato dall'Onu sin dal 2003 e dal Parlamento europeo nel 2007. Con questa espressione si vuole qualificare la peculiarità di una persecuzione che si manifesta in odio cruento in Paesi dove il cristianesimo è minoranza, ma trova fertile terreno anche in Occidente da parte di chi vuole negare la pertinenza pubblica della fede cristiana;
    il Novecento è stato il secolo dell'eccidio dei cristiani: in cento anni ci sono stati più «martiri» che nei duemila anni precedenti. Sono circa cento milioni i cristiani perseguitati in tutto il mondo: nel 2014 si stimano 4.344 vittime e 1.062 chiese attaccate. In media ogni mese 322 cristiani vengono uccisi nel mondo a causa della loro fede, 214 tra chiese ed edifici di proprietà dei cristiani sono distrutti e danneggiati e 722 sono gli atti di violenza perpetrati nei loro confronti. Le statistiche sono di opendoorsusa.org, un'organizzazione no profit evangelica che assiste cristiani perseguitati di tutte le confessioni in più di sessanta Paesi;
    nel 2014 e nel primo trimestre 2015 i cristiani si confermano, dunque, come il gruppo religioso maggiormente perseguitato: dalla Nigeria all'Africa subsahariana, dalla Siria all'Iraq, al Pakistan, è lunga la scia di sangue che li vede sempre più sotto attacco con arresti, deportazioni, torture, stupri e decapitazioni;
    tra i crimini recenti più efferati, si ricorda la barbara uccisione dei 21 cristiani copti, rapiti a Sirte, in Libia, dai miliziani affiliati allo Stato islamico;
    il 10 aprile 2015, in Pakistan un adolescente di 14 anni di religione cristiana è stato arso vivo da alcuni giovani musulmani ed ora lotta tra la vita e la morte, in ospedale a Lahore, con gravi ustioni su tutto il corpo;
    le limitazioni alla libertà religiosa conoscono un triste primato in Darfur, teatro di violenti stupri di massa, ma ancora più agghiaccianti sono i massacri compiuti in Nigeria dai fondamentalisti islamici di Boko Haram; lo stesso gruppo terroristico si è reso protagonista di uno degli episodi più raccapriccianti: il rapimento, nella notte del 14 aprile 2014, di 275 ragazze cristiane, studentesse della scuola secondaria del villaggio di Chibok. Alcune decine di loro riuscirono a scappare, ma in grandissima misura (più di 200) mancano ancora all'appello, molto probabilmente gettate nelle fosse comuni;
    non sono da meno i tormenti inflitti ai cristiani in Medio Oriente: in Iraq, dall'estate del 2014, sono centinaia di migliaia quelli costretti a fuggire dalle loro case sotto l'incalzare dell'avanzata dei jihadisti dell'Isis;
    vi sono poi Paesi come il Kenya, in cui i cristiani rappresentano la maggioranza della popolazione, ma che, a causa delle tensioni religiose, connesse ad una situazione politica complessa, sono vittime di atti di persecuzione. Risale, infatti, a giovedì santo l'episodio di violenza jihadista degli estremisti somali Al Shabaab contro un campus universitario, che ha provocato la morte di almeno 147 persone;
    nel mese di marzo 2015, davanti agli attentati mossi dinnanzi a due chiese in Pakistan, che hanno provocato 15 morti e 80 feriti, Papa Francesco ha parlato di una «persecuzione contro i cristiani che il mondo cerca di nascondere»;
    e ancora recentemente, in occasione della messa per gli armeni, il Papa ha avuto modo di ricordare che «oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall'indifferenza generale e collettiva», «una terza guerra mondiale a pezzi», in cui «sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica» vengono perseguitati;
    non si può rimanere indifferenti davanti a tutto questo, soprattutto in un momento storico in cui il fronte dell'intolleranza sta toccando così tante nazioni nei diversi continenti e, soprattutto, nelle occasioni più incredibili. Basti pensare che solo qualche giorno fa, su un barcone di immigrati diretto verso il nostro Paese, durante la traversata del Canale di Sicilia, è scoppiata una rissa per motivi religiosi, in cui i musulmani avrebbero sopraffatto i cristiani scaraventandoli fuori bordo e provocando la morte di alcuni di loro;
    in questo clima, ciò che più colpisce è il silenzio delle istituzioni, nonché la mancanza di un'iniziativa forte e decisa a carico della diplomazia internazionale;
    l'integrazione europea, per essere autentica, deve fondarsi sul rispetto delle identità dei popoli dell'Europa, che vedono tra le sorgenti della propria civiltà il Cristianesimo, che è all'origine dell'idea di persona e della sua centralità;
    lo stesso principio di laicità dello Stato, che rappresenta una delle conquiste più importanti delle democrazie liberali e pluraliste, non implica indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato stesso per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale;
    la libertà religiosa assume, quindi, un ruolo fondamentale anche a garanzia del principio supremo di laicità dello Stato, sul quale si struttura il concetto di democrazia;
    di fronte a ciò che sta accadendo, anche a tutela dei principi che fondano le democrazie che la compongono, l'Europa, in particolare, ha il dovere di rivendicare con orgoglio i propri valori e la propria identità, senza rinunciare ad affermare le sue radici giudaico-cristiane, con piena consapevolezza delle origini culturali delle proprie idee e istituzioni democratiche,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni azione, a livello internazionale e nei rapporti bilaterali, volta a riconoscere la persecuzione nei confronti dei cristiani come priorità assoluta, affinché sia condannata e contrastata con ogni mezzo;
   a porre in essere ogni iniziativa affinché i Governi dei Paesi alleati e dei Paesi che sostiene con gli strumenti della cooperazione internazionale forniscano adeguata protezione ai cristiani e garantiscano il loro diritto ad esercitare e a professare la loro fede in sicurezza e libertà;
   ad adottare ogni iniziativa utile a garantire la tutela delle minoranze cristiane anche attraverso azioni dirette, da realizzare in collaborazione con le rappresentanze diplomatiche italiane e consolari;
   a far valere, nelle relazioni diplomatiche ed economiche, bilaterali o multilaterali, la necessità di un effettivo impegno degli Stati per la tolleranza e la libertà religiosa, in particolare dei cristiani e delle altre minoranze perseguitate, laddove risulti minacciata o compressa per legge o per prassi, direttamente dalle autorità di Governo o attraverso un tacito assenso che implichi l'impunità dei violenti;
   ad adoperarsi affinché analogo principio sia fatto valere a livello di Unione europea e di qualsiasi altro organismo internazionale per l'assegnazione di aiuti agli Stati;
   a promuovere nelle competenti sedi internazionali, di concerto con i partner dell'Unione europea, iniziative atte a rafforzare il rispetto del principio di libertà religiosa, la tutela delle minoranze religiose, la lotta contro la cristianofobia e il monitoraggio delle violazioni, dando concreta attuazione agli strumenti internazionali esistenti.
(1-00827)
«Carfagna, Brunetta, Centemero, Prestigiacomo, Palmieri, Gelmini, Garnero Santanchè, Giammanco, Ravetto, Milanato, Sandra Savino, Distaso, Polidori, Vella, Elvira Savino, Altieri, Marotta, Bianconi, Bergamini, Biancofiore, Castiello, Abrignani, Nizzi, Calabria, Occhiuto».
(22 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    «la difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani in un Paese». Così disse Giovanni Paolo II nell'ottobre del 2003 ai partecipanti all'Assemblea parlamentare dell'Osce. Se in un Paese la libertà religiosa non è rispettata, difficilmente lo saranno gli altri diritti umani;
    in quella, come in molte altre occasioni, Wojtyla sottolineò «la dimensione internazionale del diritto alla libertà di religione e la sua importanza per la sicurezza e la stabilità della comunità delle nazioni», incoraggiandone la difesa e la promozione da parte dei singoli Stati e di altri organismi internazionali;
    oggi circa il 74 per cento della popolazione mondiale – quasi 5,3 miliardi di persone – vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Sono 116 i Paesi nel mondo in cui si registrano violazioni della libertà religiosa;
    recenti studi dimostrano che circa i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    anche il numero di cristiani uccisi ogni anno in ragione della propria fede è tristemente elevato. Le stime variano da 100 mila a poche migliaia. Non è, tuttavia, rilevante sapere se vi è un cristiano ucciso in odio alla fede ogni cinque minuti, oppure ogni giorno. È comunque troppo;
    tra i colpevoli di discriminazioni e persecuzioni ai danni di gruppi religiosi vi sono numerosi Governi. «La libertà religiosa è qualcosa che non tutti i Paesi hanno – ha ricordato Papa Francesco rientrando dal suo viaggio in Terra Santa –. Alcuni esercitano un controllo, altri prendono misure che finiscono in una vera persecuzione. Ci sono martiri oggi, martiri cristiani, cattolici e non cattolici. In alcuni posti non puoi portare un crocifisso, avere una Bibbia, o insegnare il catechismo ai bambini. E io credo che in questo tempo ci siano più martiri che nei primi tempi della Chiesa»;
    in Cina il controllo dello Stato sulle attività religiose è andato tristemente aumentando negli ultimi anni, così come il numero degli arresti di cristiani, buddisti e musulmani e la distruzione di edifici religiosi. Recentemente nella provincia di Zhejang oltre sessanta chiese sono state demolite o danneggiate. La Costituzione riconosce sulla carta la libertà di religione, ma autorizza le sole attività religiose «normali», senza tuttavia fornirne alcuna definizione. Chiunque partecipi a riunioni o manifestazioni religiose non «autorizzate» è arrestato e può subire torture e abusi. Stessa sorte è toccata ai numerosi cattolici che, per fedeltà al Papa, hanno rifiutato di aderire all'Associazione patriottica cattolica cinese;
    lo stretto controllo governativo limita in modo rilevante la libertà religiosa anche in altri Paesi asiatici, quali Laos, Vietnam, Malesia, Kazakhistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam;
    uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata è senza dubbio il Pakistan. Qui lo strumento d'elezione per la discriminazione e la persecuzione delle minoranze religiose è la cosiddetta legge antiblasfemia – corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano – che punisce con la pena di morte chi insulta il profeta Maometto e con il carcere a vita chi profana il Corano. In Pakistan sono detenute 36 delle 43 persone arrestate con l'accusa di blasfemia in tutto il mondo. 17 di queste sono state condannate alla pena capitale, mentre le altre stanno scontando una pena detentiva a vita. Senza contare le migliaia di omicidi extra-giudiziali compiuti a causa di tale norma. Ne sono un tragico esempio i due coniugi cristiani gettati vivi in una fornace il 4 novembre del 2014, a seguito di un'accusa di blasfemia;
    anche se tra gli accusati non mancano appartenenti alla maggioranza musulmana, i dati dimostrano come la legge – che non prevede l'onere della prova per chi accusa e si presta dunque facilmente a un uso improprio – è soprattutto utilizzata per colpire le minoranze religiose. Nel 2013 su 32 casi registrati, 12 hanno riguardato imputati cristiani: si tratta del 40 per cento delle denunce, in un Paese in cui la minoranza cristiana rappresenta appena il 2 per cento della popolazione;
    un'altra piaga che colpisce le minoranze religiose del Pakistan è il rapimento e la conversione forzata all'Islam di adolescenti e bambine. Secondo i dati ufficiali, ogni anno circa 750 giovani cristiane e 250 indù sarebbero rapite e obbligate a convertirsi per contrarre matrimonio islamico. Ma, dal momento che la percentuale dei crimini riportati è minima, si ritiene che i casi siano almeno il doppio;
    nei mesi scorsi il caso di Meriam Yahya Ibrahim Ishaq, la donna sudanese condannata a morte per apostasia, ha portato all'attenzione internazionale il dramma in atto nei Paesi in cui è vietato convertirsi dall'Islam ad altra religione. In 21 Paesi il reato di apostasia è regolato dal codice penale e alcuni di questi, tra cui Iran, Sudan, Arabia Saudita, Egitto, Somalia, Afghanistan, Qatar, Yemen, Pakistan e Mauritania, contemplano la pena di morte per questo tipo di reato;
    gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini – come ad esempio in Sudan – sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalla Costituzione che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa – è questo il caso dell'Arabia Saudita – fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose;
    in Medio Oriente, in seguito alla cosiddetta primavera araba, si è assistito ad un aumento della pressione di gruppi fondamentalisti ed una crescente ostilità nei confronti della minoranza cristiana. In Egitto nel solo 2013 sono stati distrutti o danneggiati oltre 200 tra chiese, edifici religiosi e attività gestite da cristiani;
    in alcune aree di diversi Paesi del mondo arabo – tra cui Egitto, Iraq e Siria – gli estremisti pretendono dai cristiani il pagamento della jizya, la tassa imposta ai non musulmani durante l'impero ottomano;
    la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento. Tra i fattori che spingono i cristiani ad abbandonare il proprio Paese vi è la concezione, tradizionalmente diffusa nelle società islamiche, che i non musulmani siano cittadini di seconda classe. Tale concezione non di rado porta a gravi discriminazioni in ambito scolastico e lavorativo e perfino a disparità nell'applicazione della giustizia;
    uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300 mila. La conquista di vaste aree del Paese da parte dello Stato islamico rischia oggi di porre fine alla millenaria presenza cristiana. Più di 120 mila cristiani sono fuggiti nel Kurdistan iracheno ed ora versano in drammatiche condizioni, stipati nelle scuole, negli edifici abbandonati e condividendo in più famiglie uno stesso appartamento;
    anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e in particolar modo per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 ad oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram. Nel Nord a maggioranza islamica i fondamentalisti hanno distrutto o danneggiato centinaia di chiese e ucciso migliaia di persone, oltre 2 mila soltanto negli ultimi 12 mesi. Da una ricerca condotta nell'ottobre del 2012 è risultato che su 1.201 cristiani uccisi in odio alla fede durante l'anno, ben 791 avevano trovato la morte in Nigeria. Dal 2001 all'ottobre 2013 nel Paese sono stati uccisi 32 mila cristiani, di cui 12 mila tra il 2011 e l'ottobre 2013. Il Governo è stato più volte accusato di non aver saputo reagire in maniera adeguata, anche a causa della dilagante corruzione che caratterizza l'apparato statale;
    molti dei Paesi citati sono firmatari della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la quale esige dai Paesi firmatari il rispetto di diritti civili e politici, incluso quello alla libertà religiosa;
    la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18, stabilisce che: ”Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti,

impegna il Governo:

   a promuovere l'istituzione di una giornata europea dei martiri cristiani per ricordare i tanti cristiani del nostro tempo uccisi in odio alla fede;
   a rendere il rispetto della libertà religiosa uno dei requisiti necessari alla concessione di aiuti a Paesi terzi e all'instaurazione con questi di relazioni di carattere economico;
   ad organizzare con regolarità incontri tra rappresentanti del Governo ed esponenti delle minoranze religiose di diversi Paesi per acquisire informazioni dirette e poter realizzare interventi più efficaci;
   ad inserire il tema del rispetto della libertà religiosa nell'agenda di incontri tra il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ed i loro omologhi di altri Paesi, specie se in questi Paesi tale diritto non è pienamente garantito;
   ad assumere iniziative affinché parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione (esempio: borse di studio per appartenenti alle minoranze religiose);
   ad esercitare una chiara e dichiarata forma di pressione diplomatica ed economica verso quei Paesi che non garantiscono o non tutelano il diritto alla libertà religiosa, in particolare dei cristiani e di altre minoranze perseguitate, dove essa risulti minacciata o compressa, per legge o per prassi, sia direttamente dalle autorità di Governo sia attraverso un tacito assenso e che vedano l'impunità degli autori di violenze, arrivando, laddove necessario, all'interruzione delle relazioni diplomatiche e commerciali;
   a stabilire come principio imprescindibile alla negoziazione e conclusione di qualsiasi accordo internazionale la garanzia della controparte che al proprio interno sia assicurata la libertà di professare qualunque religione e la libertà di cambiare religione o credo;
   a farsi promotore, nelle sedi comunitarie ed internazionali, della sospensione di ogni accordo multilaterale verso i Paesi nei quali è applicata, anche parzialmente o su porzioni di territorio, la legge islamica, fino alla reale rimozione da parte di questi Paesi di ogni impedimento alla libera professione religiosa e alla cessazione di episodi di violenza contro comunità o singoli non islamici presenti sul territorio.
(1-00692)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Marguerettaz, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Simonetti».
(22 dicembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    in data 2 luglio 2014 la Camera dei deputati ha approvato a grandissima maggioranza una mozione unitaria che aveva come oggetto la tutela della libertà religiosa: la mozione impegnava il Governo su vari fronti, che hanno ancora piena attualità, anche perché nel tempo sono andati moltiplicandosi gli episodi di intolleranza, con grave pregiudizio non solo per la libertà, ma anche per la vita delle persone;
    la mozione approvata il 2 luglio 2014 sollecitava il Governo a denunciare ogni forma di persecuzione nei confronti delle minoranze religiose, in particolare quelle cristiane che vivono in alcuni contesti in cui sono maggiormente vulnerabili; a promuovere misure di prevenzione dell'intolleranza, in particolare nei confronti delle diverse esperienze religione; a sostenere iniziative che promuovano il dialogo interreligioso; a rafforzare le politiche per la cooperazione internazionale, specialmente nei Paesi in cui le minoranze religiose, in particolare quelle cristiane, sono pesantemente discriminate; ad adottare le opportune iniziative, anche in sede Onu, in, materia di libertà religiosa, per monitorare gli episodi di persecuzione religiosa, impegnando i diversi Stati ad intervenire tempestivamente nella prevenzione dell'intolleranza e del fanatismo religioso; ad assumere iniziative presso il Governo del Pakistan per rafforzare il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e, in particolare, del diritto di libertà religiosa; infine, ad assumere iniziative a sostegno delle minoranze religiose con particolare attenzione all'educazione;
    all'Onu l'11 marzo 2015 Heiner Bielefeldt, relatore speciale sulla libertà di religione o di credo durante la 28.ma sessione del Consiglio dei diritti umani a Ginevra, ha affermato: «Esistono violenze commesse in nome della religione e questo può portare a massicce violazioni dei diritti umani, compresa la libertà di religione o di credo». Il rapporto è in realtà un atto di accusa contro gli Stati che, implicitamente o esplicitamente, appoggiano violenze commesse in nome della religione, le tollerano sul loro territorio o ne hanno istituzionalizzato, anche, il funzionamento. L'analisi delle cause di questo tipo di violenza è l'essenza del rapporto. Si parla, infatti, di gruppi armati terroristici barbari o della strumentalizzazione della religione per fini di potere o politici; altre volte si tratta di politiche di esclusione etnica o religiosa, oppure della mancanza di uno Stato di diritto che garantisca pace e stabilità ed eviti l'emergere di forme di radicalizzazione religiosa. Altre cause, però, risiedono nella mancanza di istruzione, della quale approfitta l'irrazionalità della violenza religiosa, o nei media stessi che si trasformano in vettori di violenza. Infine, le autorità religiose e politiche che non condannano le barbarie commesse in nome della religione, complici nel promuovere e far crescere tali atti violenza;
    le persecuzioni contro i cristiani sono cresciute in modo esponenziale nell'attuale situazione in Iraq e in altri Paesi del Medio Oriente dove il sedicente «califfato» islamico marchia con una «N» come nazareni le case dei cristiani, costretti a fuggire in massa. La lettera «N» da marchio d'infamia è diventata simbolo di una battaglia di libertà religiosa. Un marchio della vergogna non per chi lo subisce ma per gli jihadisti che lo impongono, come è avvenuto sulle case dei cristiani a Mosul: «N» come nazareno, cioè cristiano;
    fino al 1990, anno della prima guerra del Golfo, i cristiani in Iraq erano circa 600.000, il 3,2 per cento della popolazione, stimata in 18 milioni. Con gli anni dell'embargo (1990-2003) inizia il calo: sono circa 554.000 nel 2003, così ripartiti: 370.000 caldei; 100.000 siriaci cattolici e ortodossi; 50.000 assiri; 20.000 armeni; 10.000 protestanti; 4.000 latini. Nel 2003, con l'occupazione dell'Iraq e l'inizio degli attentati contro chiese e clero, si accelerano l'esodo verso nord e l'emigrazione all'estero. Nel 2010 i cristiani sono stimati attorno ai 400.000. Con l'occupazione di Mosul e di parte della piana di Ninive, la presenza cristiana è a rischio estinzione. Oggi i cristiani sono stimati attorno ai 250.000, meno dell'1 per cento della popolazione;
    «La difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani in un Paese». Così disse Giovanni Paolo II nell'ottobre del 2003 ai partecipanti all'Assemblea parlamentare dell'Osce (Organization for security and co-operation in Europe). «Se in un Paese la libertà religiosa non è rispettata, difficilmente lo saranno gli altri diritti umani». In quella, come in molte altre occasioni, Papa Wojtyla sottolineò «la dimensione internazionale del diritto alla libertà di religione e la sua importanza per la sicurezza e la stabilità della comunità delle nazioni», incoraggiandone la difesa e la promozione da parte dei singoli Stati e di altri organismi internazionali;
    oggi circa il 74 per cento della popolazione mondiale – quasi 5,3 miliardi di persone – vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Recenti studi dimostrano che almeno i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    anche il numero di cristiani uccisi ogni anno in ragione della propria fede è tristemente elevato. Le stime variano da 100 mila a poche migliaia. Non è, tuttavia, rilevante sapere se vi è un cristiano ucciso in odio alla fede ogni cinque minuti, oppure ogni giorno. Anche un solo cristiano che sia reso martire per la propria fede è comunque troppo, soprattutto in una civiltà che si definisce pluralista e che fa della tutela dei diritti umani la vera cifra della modernità;
    tra i colpevoli di discriminazioni e persecuzioni ai danni di gruppi religiosi vi sono numerosi Governi. «La libertà religiosa è qualcosa che non tutti i Paesi hanno – ha ricordato Papa Francesco rientrando dal suo viaggio in Terra santa – Oggi ci sono martiri cristiani, cattolici e non cattolici. In alcuni posti non puoi portare un crocifisso, avere una Bibbia, o insegnare il catechismo ai bambini. E io credo che in questo tempo ci siano più martiri che nei primi tempi della Chiesa»; in Corea del Nord la libertà religiosa è completamente negata. Il Governo controlla le attività religiose e chiunque partecipi ad attività religiose non autorizzate è arrestato e soggetto a torture o perfino esecuzioni. Migliaia di nordcoreani sono internati nei campi di lavoro per motivi religiosi – almeno 15 mila su un totale di 150 mila prigionieri – e se rifiutano di rinunciare alla loro fede, subiscono abusi perfino peggiori di quelli cui sono soggetti gli altri detenuti. Molto simile la situazione dell'Eritrea, nota non a caso come la «Corea del Nord d'Africa», dove si contano dai 2 mila ai 3 mila prigionieri arrestati a causa del loro credo religioso. Prigionieri che subiscono atroci torture e sono costretti a vivere in condizioni disumane;
    in Cina il controllo dello Stato sulle attività religiose è andato tristemente aumentando negli ultimi anni, così come il numero degli arresti di cristiani, buddisti e musulmani e la distruzione di edifici religiosi. Recentemente nella provincia di Zhejang oltre sessanta chiese sono state demolite o danneggiate. La Costituzione riconosce sulla carta la libertà di religione, ma autorizza le sole attività religiose «normali», senza tuttavia fornirne alcuna definizione. Chiunque partecipi a riunioni o manifestazioni religiose non «autorizzate» è arrestato e può subire torture e abusi. Stessa sorte è toccata ai numerosi cattolici che, per fedeltà al Papa, hanno rifiutato di aderire all'Associazione patriottica cattolica cinese;
    lo stretto controllo governativo limita in modo rilevante la libertà religiosa anche in altri Paesi asiatici, quali Laos, Vietnam, Malesia, Kazakhistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam;
    uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata è senza dubbio il Pakistan. Qui lo strumento d'elezione per la discriminazione e la persecuzione delle minoranze religiose è la cosiddetta legge anti-blasfemia, corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano che punisce con la pena di morte chi insulta il profeta Maometto e con il carcere a vita chi profana il Corano. In Pakistan sono detenute 36 delle 43 persone arrestate con l'accusa di blasfemia in tutto il mondo. 17 di queste sono state condannate alla pena capitale, mentre le altre stanno scontando una pena detentiva a vita. Senza contare le migliaia di omicidi extra-giudiziali compiuti a causa di tale norma;
    anche se tra gli accusati non mancano appartenenti alla maggioranza musulmana, i dati dimostrano come la legge – che non prevede l'onere della prova per chi accusa e si presta, dunque, facilmente ad un uso improprio – è soprattutto utilizzata per colpire le minoranze religiose. Nel 2013, su 32 casi registrati, 12 hanno riguardato imputati cristiani: si tratta del 40 per cento delle denunce, in un Paese in cui la minoranza cristiana rappresenta appena il 2 per cento della popolazione;
    un'altra piaga che colpisce le minoranze religiose del Pakistan è il rapimento e la conversione forzata all'Islam di adolescenti e bambine. Secondo i dati ufficiali, ogni anno circa 750 giovani cristiane e 250 indù sarebbero rapite e obbligate a convertirsi per contrarre matrimonio islamico. Ma, dal momento che la percentuale dei crimini riportati è minima, si ritiene che i casi siano almeno il doppio;
    in questi giorni il caso di Meriam Yahya Ibrahim Ishaq, la donna sudanese condannata a morte per apostasia, ha portato all'attenzione internazionale il dramma in atto nei Paesi in cui è vietato convertirsi dall'Islam ad altra religione. In 21 Paesi il reato di apostasia è regolato dal codice penale e alcuni di questi, tra cui Iran, Sudan, Arabia Saudita, Egitto, Somalia, Afghanistan, Qatar, Yemen, Pakistan e Mauritania, contemplano la pena di morte per questo tipo di reato;
    gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini – come, ad esempio, in Sudan – sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalla Costituzione che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa – è questo il caso dell'Arabia Saudita – fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose; in Medio Oriente, in seguito alla cosiddetta primavera araba, si è assistito ad un aumento della pressione di gruppi fondamentalisti e ad una crescente ostilità nei confronti della minoranza cristiana. In Egitto nel solo 2013 sono stati distrutti o danneggiati oltre 200 tra chiese, edifici religiosi e attività gestite da cristiani; in alcune aree di diversi Paesi del mondo arabo – tra cui Egitto, Iraq e Siria – gli estremisti pretendono dai cristiani il pagamento della jizya, la tassa imposta ai non musulmani durante l'impero ottomano;
    la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento. Tra i fattori che spingono i cristiani ad abbandonare il proprio Paese vi è la concezione, tradizionalmente diffusa nelle società islamiche, che i non musulmani siano cittadini di seconda classe. Tale concezione non di rado porta a gravi discriminazioni in ambito scolastico e lavorativo e perfino a disparità nell'applicazione della giustizia;
    uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300 mila; anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e in particolar modo per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 ad oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram. Nel Nord a maggioranza islamica i fondamentalisti hanno distrutto o danneggiato centinaia di chiese e ucciso migliaia di persone, oltre 2 mila soltanto negli ultimi 12 mesi. Da una ricerca condotta nell'ottobre del 2012 è risultato che su 1.201 cristiani uccisi in odio alla fede durante l'anno, ben 791 avevano trovato la morte in Nigeria. Il Governo è stato più volte accusato di non aver saputo reagire in maniera adeguata, anche a causa della dilagante corruzione che caratterizza l'apparato statale; nonostante i cristiani subiscano le maggiori persecuzioni in Paesi di religione islamica, non si può dimenticare che nei Paesi islamici ci sono anche molti moderati che desiderano dialogare con la popolazione cristiana per dare vita ad iniziative politiche e sociali condivise; il dialogo con loro è fondamentale per costruire modelli nuovi di convivenza e di pace, a vantaggio di tutti, in Italia e nei diversi Paesi; molti dei Paesi citati sono firmatari della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la quale esige dai Paesi firmatari il rispetto di diritti civili e politici, incluso quello alla libertà religiosa;
    la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18, stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»,

impegna il Governo:

   a promuovere l'istituzione di una giornata europea per ricordare coloro che sono stati uccisi a causa della propria fede religiosa;
   ad adoperarsi affinché i diritti umani e le libertà fondamentali siano al centro delle politiche di aiuto allo sviluppo fermo restando il rispetto dei principi guida dell'aiuto umanitario: imparzialità, neutralità, indipendenza ed umanità;
   ad organizzare e a partecipare a incontri con i rappresentanti delle minoranze religiose presenti in Italia per acquisire informazioni dirette sulle loro condizioni e potere, quindi, realizzare interventi umanitari più efficaci;
   ad inserire il tema del rispetto della libertà religiosa nell'agenda degli incontri internazionali tra i membri del Governo italiano e i Governi di altri Paesi, specie se in questi Paesi tale diritto non è pienamente garantito;
   ad assicurare protezione ai perseguitati per motivi religiosi, in coerenza con le deliberazioni delle Nazioni Unite;
   ad assumere iniziative affinché parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione, fermo restando l'impegno dell'Italia a rispettare i principi guida dell'aiuto umanitario: imparzialità, neutralità, indipendenza e umanità;
   ad assumere e partecipare, in particolare, a iniziative politiche in sede europea e internazionale per rafforzare la collaborazione con i principali attori regionali e le autorità locali a tutela della libertà di religione o credo e atte a reagire alle violenze più efferate e a tutelare popolazioni e comunità oggetto di massacri e di persecuzioni per ragioni di fede religiosa;
   ad aggiornare periodicamente la Camera dei deputati sullo stato dei lavori e sui risultati ottenuti.
(1-00483)
(Ulteriore nuova formulazione) «Binetti, Buttiglione, Gigli, Fauttilli, Calabrò, De Mita, Cera, Preziosi, Pagano, Sberna, Piepoli, Fitzgerald Nissoli, Fucci, Bueno, Adornato, D'Alia».
(4 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18, stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
    dall'intensificazione delle violazioni subite dai fedeli di ogni credo e non solo dai cristiani si evince chiaramente che il rispetto della libertà religiosa nel mondo continua a diminuire, benché sia, per sua stessa natura, un diritto da garantire a chiunque; circa il 74 per cento della popolazione mondiale (quasi 5,3 miliardi di persone) vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose;
    nella XII edizione del rapporto sulla libertà religiosa nel mondo del 2014, redatto dalla fondazione di diritto pontificio, la Acs, è stato fotografato il grado di rispetto della libertà religiosa in 196 Paesi, in 116 dei quali si è registrato «un preoccupante disprezzo per la libertà religiosa, ovvero quasi il 60 per cento (...) in 14 dei 20 Paesi dove si registra un elevato grado di violazione della libertà religiosa, la persecuzione dei credenti è legata all'estremismo islamico: Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Repubblica centrafricana, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Negli altri sei Paesi, l'elevato grado di violazione della libertà religiosa è legato all'azione di regimi autoritari, quali quelli di Azerbaigian, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea e Uzbekistan»;
    è indubbio che i cristiani si confermano il gruppo religioso maggiormente perseguitato; minoranza oppressa in numerosi Paesi, molte delle terre in cui i cristiani abitano da secoli, se non da millenni, sono oggi sconvolte dal terrorismo; ad oggi risultano almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini, come, ad esempio, in Sudan, sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalle Costituzioni che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa, è questo il caso dell'Arabia Saudita, fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose;
    uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300.000; gli attacchi contro i cristiani e le altre minoranze non rappresentano una dinamica degli ultimi mesi in Iraq. Molto prima della crescita in termini di potere del sedicente Stato islamico (Is) in tutto questo tempo le comunità cristiane e sciite (che, tra l'altro, rimane la comunità di maggioranza in Iraq) sono considerate dagli estremisti sunniti come infedeli e ladri e sono disprezzate in ogni modo;
    in Iraq le minoranze perseguitate non sono solo quelle cristiane, ma anche quelle di yazidi, shabak (una minoranza sciita di origine curda), baha'i, armeni, comunità di colore, circassi, kaka'i, curdi faili, palestinesi, rom, turkmeni, mandei e sabei. Si tratta di un mosaico ricco di tessere etniche e religiose, tenute insieme da secoli di convivenza e tolleranza, ridotto in frantumi dai dettami fondamentalisti dei jihadisti sunniti, un'immensa ricchezza umana, culturale e storica che ha sempre fatto dell'Iraq un Paese plurietnico e multireligioso e che oggi rischia di essere cancellato dal fondamentalismo religioso e settario nemico dell'umanità;
    la conquista di vaste aree del Paese da parte dello Stato islamico rischia oggi di porre fine alla millenaria presenza cristiana. Più di 120.000 cristiani sono fuggiti nel Kurdistan iracheno e ora versano in drammatiche condizioni, stipati nelle scuole e negli edifici abbandonati, condividendo in più famiglie uno stesso appartamento;
    anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e, in particolar modo, per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 a oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram, o quello somalo di al-Shabaab,

impegna il Governo:

   ad attivarsi al fine di rendere il rispetto e la tutela della libertà religiosa uno dei requisiti necessari alla concessione di aiuti a Paesi terzi, attraverso gli strumenti della cooperazione internazionale, e all'instaurazione con questi di relazioni di carattere economico, soprattutto in occasione della stipula di trattati o accordi soggetti alla ratifica da parte del Parlamento;
   ad organizzare con regolarità incontri tra rappresentanti del Governo ed esponenti delle minoranze religiose di diversi Paesi per acquisire informazioni dirette e poter realizzare interventi più efficaci per assicurare la concreta protezione dei perseguitati per motivi religiosi;
   ad inserire il tema del rispetto della libertà religiosa tra le tematiche da trattare durante gli incontri tra il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e i loro omologhi di altri Paesi, soprattutto se in questi Paesi tale diritto non è pienamente garantito;
   ad esigere che parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione e la tutela delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione e ai diversi livelli dell'istruzione;
   a prevedere lo sviluppo di ulteriori programmi di integrazione nazionale che riguardino anche l'ambito religioso in funzione di un'educazione alla tolleranza sia per gli italiani che per gli stranieri.
(1-00849)
«Grande, Manlio Di Stefano, Scagliusi, Spadoni, Del Grosso, Sibilia, Di Battista».
(8 maggio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la libertà di religione è una delle libertà caratteristiche dello Stato di diritto e trova la sua affermazione nei più importanti documenti costituzionali sin dalla fine del Settecento: ad iniziare dal I emendamento della Costituzione degli Usa del 1787, dall'articolo 10 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, dall'articolo 5 della Costituzione francese del 1814, l'articolo 5 della Costituzione francese del 1830; gli articoli 14 e seguenti della Costituzione del Belgio del 1831, l'articolo 7 della Costituzione francese del 1848, gli articoli 144 e seguenti della Costituzione di Francoforte del 1849. Nel ventesimo secolo è stata prevista agli articoli 135 e seguenti nella Costituzione della Germania 1919, la cosiddetta Costituzione di Weimar, l'articolo 4 della legge fondamentale della Germania del 1949, l'articolo 16 della Costituzione di Spagna del 1978, l'articolo 15 della Costituzione svizzera del 1999, oltre vedere tale libertà riconosciuta nelle dichiarazioni internazionali e sovranazionali dei diritti come nell'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, l'articolo 9 della Carta europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, l'articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, l'articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
    si ricorda che storicamente la libertà di religione si sviluppò in corrispondenza dell'affermazione del principio di laicità dello Stato poiché l'esistenza di una religione di Stato impedisce un pieno riconoscimento della libertà di religione dei singoli;
    con riguardo alla nostra Costituzione, le disposizioni di riferimento per la tutela della libertà di religione sono contenute agli articoli 19 e 20: in base ad essi, viene garantito a tutti, cittadini e stranieri, il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, sia in forma associata che in forma individuale, di farne propaganda e di esercitarne il culto, sia in pubblico che in privato. A questo proposito, ci si è chiesti se queste disposizioni tutelino anche gli agnostici e gli atei: di fronte di un'opinione maggioritaria favorevole, fatta propria anche dalla giurisprudenza costituzionale, ve ne è un'altra contraria, che sottolinea come l'ateismo trovi piuttosto la sua tutela nella libertà di coscienza e, in particolare, nell'articolo 21 della Costituzione. Diretta conseguenza del principio della libertà di religione è poi l'articolo 20 della Costituzione, che vieta tutte quelle pratiche vessatorie nei confronti degli enti a sostegno delle confessioni organizzate, in quanto finirebbero per costituire degli ostacoli indiretti alla possibilità di professare la fede, celebrare riti e fare proselitismo;
    per quanto riguarda i limiti che incontra la libertà di religione, l'articolo 19 della Costituzione fa riferimento al buon costume (generalmente inteso come legato al comune senso del pudore) e a questo limite, si aggiunge ovviamente il limite generale dell'ordine pubblico;
    un caso particolare di esercizio della libertà di religione è quello che riguarda la cosiddetta obiezione di coscienza, cioè il rifiuto da parte di un individuo di compiere atti prescritti dall'ordinamento giuridico sulla base delle proprie convinzioni (in primis religiose), tanto che nel nostro ordinamento l'obiezione di coscienza è ammessa anche per quanto riguarda gli obblighi militari;
    ciò è quanto prodotto in termini di norme giuridiche domestiche, nonostante la realtà fattuale sia diversa e specificamente analizzata sotto, ma la libertà religiosa deve essere conquistata non solo nel nostro Paese dando effettiva vigenza alle norme giuridiche poste a tutela della libertà religiosa, siano esse nazionali o sovranazionali, cercando di far aderire norma e fatto. L'Italia deve occuparsi di questa fondamentale libertà con ottica nazionale, globale e sovranazionale;
    solo per fare alcuni esempi che saranno meglio analizzati dappresso, dal Tibet all'Iran, dal Turkmenistan al Vietnam del Nord, dal Laos alla Cina, i diritti umani sono negati in più di un quarto dei Paesi del mondo. L'Occidente non può continuare nel suo silenzio, le istituzioni nazionali, europee e tutti i popoli d'Europa, primo tra tutti il popolo italiano, devono agire perché consapevoli che salvaguardando la libertà di tutti si difende anche la nostra libertà;
    non si può restare indifferenti alla privazione dei diritti fondamentali di centinaia di milioni di persone, non si può esprimere solo generiche solidarietà e pacato buonismo, non basta più. Occorre dimostrare il deciso convincimento nel sostenere il diritto alla libertà religiosa, da cui discendono molte altre libertà e diritti delle genti, convinti che le libertà della persona, a partire da quella religiosa, dovranno diventare una priorità internazionale;
    si devono analizzare le violazioni subite dai fedeli di ogni credo a causa del credo professato e, considerata la situazione di moltissimi gruppi religiosi, si deve guardare con nuovi occhi a questo diritto fondamentale, che è condizione imprescindibile di ogni società libera, perché sia consentita a chiunque un'alternativa libera, una libertà positiva, un diritto effettivo;
    grazie ad un rapporto redatto da giornalisti, esperti e studiosi, nel quale è preso in esame il periodo compreso tra l'ottobre 2012 e il giugno 2014, dei 196 Paesi analizzati, si sa che in ben 116 di essi si registra un preoccupante disvalore per la libertà religiosa, pari a quasi il 60 per cento;
    nel periodo in esame sono stati rilevati cambiamenti in 61 Paesi, purtroppo soltanto in sei di questi – Cuba, Emirati Arabi Uniti, Iran, Qatar, Taiwan e Zimbabwe – tali trasformazioni hanno coinciso con un miglioramento della situazione;
    in 14 dei 20 Paesi dove si registra un elevato grado di violazione della libertà religiosa, la persecuzione dei credenti è legata all'estremismo islamico. Negli altri sei Paesi, l'elevato grado di violazione della libertà religiosa è legato all'azione di regimi dittatoriali. Le violenze a sfondo religioso – che contribuiscono in modo determinante al costante aumento dei flussi migratori – sono legate al regresso della tolleranza e del pluralismo religioso;
    l'Asia si conferma il continente dove la libertà religiosa è maggiormente violata. Nei Paesi in cui vi è una religione di maggioranza si riscontra un incremento del fondamentalismo non soltanto islamico, ma anche indù e buddista. Analizzando la situazione del Medio oriente si nota come i Paesi in cui la libertà religiosa è negata offrono un terreno fertile all'estremismo e al terrorismo;
    in Africa, la tendenza più preoccupante degli ultimi due anni è senza dubbio la crescita del fondamentalismo islamico – sotto l'impulso di gruppi come Al Qaeda nel Maghreb islamico, Boko Haram e al Shabaab – e si riscontra un aumento di casi di intolleranza religiosa;
    la situazione mondiale è in continua evoluzione e la tradizione culturale e spirituale del Paese, oltre alla posizione geografica, deve indurre ad essere promotori di un'azione che coinvolga innanzitutto l'Unione europea per estendere il coinvolgimento di tutte le istituzioni internazionali e sovranazionali al fine di operare concretamente perché il flagello della conculcata libertà possa scomparire, come già accaduto per altri atteggiamenti illiberali che nel corso dei secoli hanno afflitto il mondo e dai quali ci si è liberati;
    si riportano i fatti di più grave discriminazione religiosa compiuti in 64 Paesi:
     a) Europa:
      1) l'Albania è uno Stato laico, ma al tempo stesso pone l'accento sul ruolo delle religioni nella storia del Paese, in particolare quelle tradizionali come l'islam sunnita, il bektashi – una confraternita Sufi –, il cattolicesimo e l'ortodossia. Il quadro generalmente positivo è tuttavia segnato da un aumento dell'Islam radicale, che si va affermando per opera di giovani imam formatisi in Paesi quali Arabia Saudita e Turchia. Un radicalismo d'importazione che ha ovviamente ripercussioni sulla società albanese;
      2) in Belgio nel periodo in esame si sono verificati episodi significativi riguardanti la libertà religiosa il più grave dei quali, avvenuto il 24 maggio 2014, ha visto protagonista un uomo armato di kalashnikov che ha aperto il fuoco contro il Museo ebraico di Bruxelles, uccidendo tre persone sul colpo e ferendone una quarta che è deceduta due settimane dopo in ospedale;
      3) formalmente la Bosnia-Erzegovina è uno Stato laico, ma dalla fine della guerra la religione ha cominciato ad assumere un ruolo sempre più importante. La maggiore criticità riguardante la vita religiosa deriva dalla diffusa sovrapposizione dei concetti di etnia e di religione che genera discriminazioni sociali e amministrative ai danni delle minoranze. Molti musulmani conservatori accettano la comunità islamica e l'autorità del Governo bosniaco. Esistono però piccoli gruppi salafiti che non accettano l'autorità della comunità islamica o dello Stato bosniaco e sono invece favorevoli all'introduzione della Sharia;
      4) in Bulgaria la Costituzione definisce «religione tradizionale» la Chiesa ortodossa, che a differenza degli altri gruppi religiosi non è tenuta a registrarsi legalmente e riceve sovvenzioni statali per le sue comunità religiose. Secondo la Costituzione, partiti politici su basi religiose o etniche sono vietati. I Testimoni di Geova e i musulmani lamentano diverse difficoltà nell'ottenimento dei permessi di costruzione per edifici di culto, mentre membri di comunità cristiane non-tradizionali denunciano numerosi casi di arbitrarie limitazioni nella diffusione di documenti e testi religiosi. Negli ultimi anni si è registrata una forte influenza dei predicatori islamici estremisti sulla locale comunità musulmana sunnita di origine turca;
      5) in Croazia la libertà religiosa è tutelata dalla Costituzione e non vi è una religione di Stato. Attualmente nel Paese sono registrate 44 comunità religiose, ma la Chiesa cattolica ha una posizione di rilievo rispetto alle altre confessioni in virtù di quattro concordati firmati dal Governo croato con la Santa Sede che le assicurano un importante sostegno finanziario. La Chiesa ortodossa serba, invece, non è ancora riuscita a ottenere la restituzione di alcuni beni e terreni confiscati;
      6) in Danimarca, la Costituzione riconosce la Chiesa evangelica luterana come la Chiesa nazionale (Folkekirken), alla quale deve appartenere il sovrano, sebbene soltanto il 2 per cento degli aderenti alla Chiesa nazionale si dichiari praticante. Negli ultimi anni sono aumentati gli episodi di intolleranza religiosa, soprattutto in seguito alla pubblicazione da parte degli organi di stampa danesi di alcune vignette che irridevano il profeta Maometto. Sono stati inoltre denunciati alcuni episodi di antisemitismo. Secondo le stime del Centro comunitario ebraico (Mosaisk Trossamfund) sarebbero stati almeno 37 nel solo 2012;
      7) in Francia, nel periodo in esame, fonte di grandi polemiche discriminatorie è stata la legge Taubira, promulgata il 23 maggio 2013 dopo aver ottenuto l'approvazione del Consiglio costituzionale, che legalizza i matrimoni omosessuali e concede alle coppie gay il diritto di adottare bambini. Gli oppositori al disegno di legge hanno attivato numerose proteste discriminatorie, in particolare, da parte dell'associazione La Manif pour tous. All'inizio dell'anno scolastico 2012-2013, su ordine del Ministro dell'istruzione pubblica, è affissa nelle scuole la cosiddetta carta della laicità. La carta si compone di 15 articoli, tra i quali anche il divieto assoluto di indossare simboli religiosi in classe (come il velo per le musulmane o la croce per i cristiani). In tutto il Paese, nel corso del 2012, sono stati compiuti attacchi a luoghi di culto cristiani, come quello che, nella notte tra il 4 e il 5 febbraio 2015, ha distrutto il presbiterio e l'attigua chiesa della città di Épiais. Nel periodo in esame, la violenza antisemita ha fatto registrare un aumento così come il numero di attacchi o insulti verbali ai danni di fedeli e istituzioni islamiche. Grande eco ha poi suscitato l'attacco terroristico fondamentalista alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo in seguito al quale sono stati uccisi 8 giornalisti, 2 agenti, un ospite e il portiere dello stabile mentre cinque sono stati i feriti gravi, tutte vittime di un gruppo di terroristi islamici nati e cresciuti nella Francia stessa;
      8) in Grecia si segnalano sempre più reati contro la libertà religiosa, soprattutto contro le comunità religiose non ortodosse, dovuti principalmente all'identificazione tra nazionalità greca e Chiesa greco-ortodossa. L'articolo 3 della Costituzione definisce il cristianesimo greco-ortodosso come la religione predominante e la Chiesa greco-ortodossa gode di vantaggi istituzionali e finanziari rispetto alle altre religioni. Sebbene l'articolo 13 garantisca la libertà religiosa, in pratica questa è limitata da una serie di altre disposizioni, quali il divieto di «proselitismo» e delle pratiche religiose che «disturbano l'ordine pubblico o offendono i principi morali». L'insegnamento religioso greco-ortodosso è obbligatorio in tutte le scuole pubbliche. La minoranza musulmana è vittima di discriminazione religiosa. I musulmani sono sottorappresentati nel pubblico impiego e negli alti gradi delle forze armate e soltanto il clero islamico di nomina governativa è ufficialmente riconosciuto (e sostenuto) dallo Stato;
      9) la libertà di religione in Irlanda è prevista dall'attuale Costituzione, che risale al 1937, ma è stata modificata nel tempo. La legge consente l'istruzione religiosa nelle scuole pubbliche, provvedimento quasi inutile poiché la maggior parte delle scuole elementari e medie sono confessionali. In base alla Costituzione, il Ministero della pubblica istruzione ha l'obbligo di fornire un finanziamento paritario alle scuole confessionali. Le scuole confessionali hanno il diritto di rifiutare l'ammissione a studenti che non appartengono alla loro confessione;
      10) in Italia nonostante la Costituzione affermi il principio della libertà religiosa, di fatto si elude il principio stesso poiché sono tutt'ora vigenti le norme di epoca fascista sui cosiddetti ’culti ammessi’ i quali non garantiscono a pieno i principi costituzionali in materia. In Italia, nonostante la presunzione di laicità dello Stato, la blasfemia contro la religione e le divinità cattoliche è punita ancora oggi. Basta una bestemmia per essere multati, basta esporre un manifesto che contenga il libero convincimento che Dio non esiste per rischiare l'incriminazione. Ad avviso dei firmatari del presente atto, sono poi numerose le aree nelle quali il Vaticano esprime forti interessi materiali al potere politico come nel caso della scuola, dei beni culturali, della cooperazione internazionale, ove molti appartenenti al potere esecutivo sono fortemente influenzati da persone vicine alla gerarchia ecclesiastica. Ciò è causa della sostanziale cancellazione dell'esistenza stessa nella società italiana di una delle due confessioni diverse dal cattolicesimo, quella protestante. Una componente minoritaria ma che, come quella ebraica, è presente nel Paese fin dal Cinquecento. Al risultato si è giunti anche attraverso un sapiente uso politico-religioso dei mezzi televisivi che secondo i firmatari del presente atto di indirizzo ha annullato il pluralismo e la pluralità delle voci. In materia di opinioni e sensibilità religiosa il dato è evidente perché monitorato. La Chiesa cattolica gode di un'autentica e secondo i firmatari del presente atto di indirizzo ingiustificata posizione dominante perché la Rai sostanzialmente trasmette un solo messaggio, quello dei cattolici, mentre lo spazio riservato ad altre concezioni del mondo è estremamente limitato e quello riservato alle opinione atee e agnostiche è, di fatto, addirittura assente. I dati parlano chiaro: la Chiesa cattolica, fra messe in diretta, presenze nei telegiornali, programmi di approfondimento e presenze di vario tipo, occupa più del 95 per cento dello spazio dedicato dalla Rai all'informazione religiosa, come risulta dal dossier sulla presenza delle confessioni religiose in tv realizzato da una nota fondazione liberale con il contributo della Chiesa valdese;
      11) in Lettonia la Costituzione garantisce la libertà religiosa nonostante un concordato siglato nel 1923 tra lo Stato e la Chiesa cattolica riconosca l'autonomia di quest'ultima riguardo alle proprie attività. La Chiesa ortodossa ha chiesto invece senza alcun successo il riconoscimento del Natale ortodosso come festa nazionale; la proposta è stata presentata in Parlamento dal gruppo di opposizione Centro Armonia, ma è stata respinta per pochi voti;
      12) in Moldova non vi è una religione di Stato, quindi non dovrebbero esservi disparità di trattamento tra i gruppi religiosi. Tuttavia, nella prassi, la Chiesa ortodossa moldava riceve un trattamento preferenziale – anche per quanto riguarda la restituzione delle proprietà confiscate durante il periodo comunista – e il suo ruolo particolare nella storia e nella cultura del Paese viene fortemente sottolineato dalle istituzioni politiche;
      13) a Monaco, la costituzione del Principato stabilisce che la religione cattolica è la religione di Stato;
      14) nel Regno Unito un rapporto ufficiale del Governo scozzese ha evidenziato, nel biennio 2011-2012, un incremento del 26 per cento (le denunce sono state 876) dei crimini aggravati a sfondo religioso, diretti per lo più contro cattolici e protestanti. Secondo la BBC i musulmani sembrerebbero subire discriminazioni nell'ambito delle assunzioni. In generale, si registra un aumento delle violenze e delle discriminazioni ai danni di tutti musulmani e specialmente degli imam. Atti di antisemitismo hanno inoltre colpito tutte le varie figure della comunità ebraica, dagli ortodossi ai riformati e perfino persone di origine ebraica, ma non praticanti. Rispetto al 2012, un rapporto della Community Security Trust ha mostrato un aumento dei casi del 5 per cento nel 2012;
      15) nella Repubblica Ceca durante il periodo preso in esame si sono verificati alcuni incidenti di matrice antisemita e antislamica causati da piccoli ma ben organizzati gruppi di estrema destra;
      16) in Romania, i rapporti tra la Chiesa ortodossa rumena e la Chiesa greco-cattolica sono tesi, principalmente a causa della restituzione delle proprietà della Chiesa greco-cattolica, che sono state confiscate nel 1948 dal regime comunista e consegnate alla Chiesa ortodossa rumena; la Chiesa ortodossa rumena, inoltre, detiene una posizione dominante nel campo dell'istruzione. I membri del Baha'i hanno presentato una denuncia contro un libro scolastico religioso ortodosso, perché descrive i testimoni di Geova, i mormoni e i Baha'i come sette pericolose, mentre la Chiesa greco-cattolica viene definita un prodotto del «proselitismo cattolico» del XVIII secolo;
      17) in Russia la costituzione riconosce la libertà religiosa, ma leggi e politiche pubbliche impongono severe restrizioni a questa libertà. Secondo la legge sulla libertà di coscienza e le associazioni religiose del 2007, lo Stato riconosce solo il cristianesimo ortodosso orientale, l'ebraismo, l'islam e il buddismo come «religioni tradizionali» della Russia. È dunque ignorato il ruolo storico svolto dalla Chiesa cattolica e dalle comunità protestanti in Russia già dal XVI secolo;
      18) in Slovenia durante il periodo in esame si sono verificati atteggiamenti discriminatori nei confronti delle forze politiche che hanno proposto norme per adottare un più adeguato diritto di famiglia, poi varato dal governo nel giugno 2011, che ha equiparato le relazioni fra persone dello stesso sesso al matrimonio tradizionale. In reazione a questa scelta, si è formato un movimento discriminatorio fondato su motivi religiosi chiamato «Iniziativa Civile per la Difesa della Famiglia e dei Diritti dei Minori». Fortunatamente il Presidente Danil Türk ha saputo resistere alle indebite pressioni ricevute da parte di esponenti del clero, ribadendo il principio di laicità dello Stato;
      19) in Spagna i rapporti tra Chiesa cattolica e Stato sono retti da accordi con la Santa Sede, risalenti al 1979 che garantiscono l'esenzione alla sola Chiesa cattolica dal pagamento delle imposte su beni ecclesiastici. Per quanto riguarda invece le altre religioni, la commissione islamica di Spagna ha denunciato il fatto che lo Stato non abbia ancora garantito l'insegnamento dell'islam nelle scuole. Analogamente, secondo l'osservatorio della libertà religiosa e di coscienza, nessun imam musulmano può prestare servizio di assistenza spirituale negli ospedali, come invece previsto dall'accordo di cooperazione del 1992 siglato dallo lo Stato e la Cie. Intanto la comunità islamica continua a richiedere alle autorità, senza successo, un maggior numero di luoghi di culto e di sepoltura;
      20) l'Ucraina sta vivendo dei cambiamenti politici e sociali radicali con la possibilità di importanti implicazioni per la libertà religiosa nel Paese. Nel periodo in esame la situazione relativa alla libertà religiosa risulta nettamente peggiorata e diverse centinaia di migliaia di cittadini ucraini rischiano di essere perseguitati a causa dei vari conflitti locali tra denominazioni maggioritarie e minoritarie. Il Paese ha una composizione confessionale frammentata, trovandosi il Paese al confine tra cristianesimo orientale e quello occidentale;
      21) la nuova Costituzione ungherese, entrata in vigore nel 2012, fa esplicito riferimento all'eredità cristiana della nazione di fatto discriminando tutte le altre. Nel periodo in esame, sono stati segnalati 87 casi di vandalismo contro cimiteri ebraici. È da notare inoltre che il partito Jobbik, che ha riscosso un ampio consenso nel Paese, diffondendo concetti antisemiti;
     b) Africa:
      1) l'attuale Costituzione definisce l'Algeria «terra d'islam», indicando tale religione come «religione di Stato». Nella Carta mancano inoltre disposizioni che garantiscano la libertà di religione o consentano la conversione dall'Islam ad altra religione, inoltre l'insegnamento dell'islam obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado;
      2) in Angola, nonostante il fatto che la Costituzione reciti: «Lo Stato riconosce e rispetta le diverse confessioni religiose, che sono libere di organizzare ed esercitare le loro attività, a condizione d'essere conformi alla Costituzione e alle leggi», nel novembre 2013 il Ministro della cultura Rosa Cruz e Silva ha annunciato la decisione governativa di vietare la religione islamica;
      3) nella Repubblica Centroafricana è in corso una crisi iniziata nel dicembre del 2012, quando la coalizione ribelle Seleka lanciò la sua offensiva nel Nord-Est occupando una città dopo l'altra prima di prendere d'assalto la capitale Bangui nel marzo 2013. Da allora si sono susseguiti numerosi attacchi, violenze, saccheggi e omicidi, che hanno colpito le comunità cristiane. A fine 2013 sono state costituite le milizie cristiane anti-Balaka, che hanno compiuto rappresaglie sia contro la coalizione Seleka che contro persone di etnia Peul, ritenute colpevoli di aver aiutato la Seleka in diversi attacchi contro le case di cristiani e di animisti;
      4) in Egitto si sono inoltre registrate numerose uccisioni, violenze e intimidazioni ai danni dei cristiani coopti;
      5) in Eritrea la Costituzione del 1997 garantisce la libertà di religione nonostante essa non sia entrata in vigore. Lo Stato riconosce soltanto quattro comunità religiose: la Chiesa ortodossa eritrea, la Chiesa evangelica luterana di Eritrea, la Chiesa cattolica e l'Islam. Il Governo controlla i vertici della Chiesa ortodossa e della comunità musulmana vigilando sulle loro attività e risorse finanziarie. Molti dei detenuti nei campi di prigionia sono reclusi per motivi di ordine religioso. Secondo l'Alleanza evangelica eritrea, sarebbero 1.200 gli evangelici attualmente in carcere. Tutti i prigionieri sono detenuti in condizioni spaventose, in celle sotterranee o in capanne di metallo esposte al sole del giorno e al freddo della notte. Numerosi ex detenuti raccontano le brutalità e le torture subite, che avevano il principale intento di costringerli ad abbandonare la loro fede evangelica;
      6) in Etiopia varie minoranze religiose – soprattutto musulmani e protestanti – lamentano di aver subito ingiustizie a livello locale e discriminazioni nella concessione di prestiti per la costruzione di edifici per uso religioso. I musulmani, in particolare, affermano che il procedere delle loro richieste per costruire moschee nel nord del Paese, regione prevalentemente cristiano ortodossa, è stato ostacolato;
      7) in Guinea Equatoriale secondo l'istituto di ricerca Freedom House l'esercizio della libertà religiosa è «a volte limitato dalla repressione politica presente nel Paese». In concreto l'esercizio di tale libertà deve essere visto in un contesto caratterizzato da una politica repressiva e dalla mancanza del rispetto dei diritti umani fondamentali;
      8) in Kenia la Costituzione del 2010 garantisce il diritto alla libertà di religione, tuttavia durante il periodo in esame, la situazione è nettamente peggiorata. La regione è scossa da movimenti secessionisti, alcuni dei quali sono motivati dalla religione come il Consiglio Repubblicano di Mombasa. Questo tipo di movimento è legato a gruppi islamici che vogliono recidere i legami con le autorità centrali ritenute colpevoli di discriminare la popolazione musulmana;
      9) dopo la caduta del regime di Muhammar Gheddafi, la Libia si trova ancora in uno stato di transizione istituzionale. Le autorità provvisorie si trovano ad affrontare enormi difficoltà nel mantenere il rispetto della legge e l'ordine pubblico, anche all'interno della capitale, Tripoli. In tutto il Paese, continuano ad essere attive numerose milizie armate, molte delle quali sono state già coinvolte nella guerra civile iniziata nel 2011. Gli attacchi contro le minoranze religiose sono iniziati nell'ottobre 2011 e sono proseguiti per tutto il 2012 e il 2013. Pur essendo garantita dalla «Dichiarazione costituzionale intermedia» promulgata il 3 agosto 2011 dal Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) la libertà religiosa è di fatto estremamente limitata. Il divieto di proselitismo è regolato da severe sanzioni e la libertà di assistere alle funzioni religiose è gravemente compromessa. Durante il periodo preso in esame vi è stato inoltre un aumento degli attacchi contro i luoghi di culto, soprattutto cristiani. Questo perché i vari gruppi jihadisti, molti dei quali sono costituiti da milizie islamiste radicali, esercitano il controllo de facto su gran parte del Paese;
      10) fino a poco tempo fa il Mali era un Paese di pace e di tolleranza religiosa. Tuttavia in seguito al colpo di Stato del 2012 e la conquista da parte di gruppi islamisti di più di due terzi del territorio, la situazione è profondamente peggiorata;
      11) in Mauritania la legge islamica, la Sharia, è osservata in tutto il Paese ed il reato di apostasia, ovvero l'abbandono dell'Islam per un'altra religione, può essere punito con la pena di morte, sebbene finora tale condanna non sia mai stata applicata. Si segnala inoltre che i salafiti, un gruppo islamico ultraconservatore, stanno guadagnando una sempre maggiore influenza nel Paese in virtù dei loro sforzi per imporre rigide regole morali;
      12) nelle Isole Mauritius non vi è persecuzione in senso stretto. Tuttavia, si riscontrano discriminazioni e tensioni, generalmente ai danni dei non induisti;
      13) in Nigeria la situazione della libertà religiosa è palesemente peggiorata nel periodo in esame. La persecuzione dei cristiani varia da regione a regione. Negli Stati del nord (in particolare Kano, Kaduna, Bauchi, Gombe, Yobe, Katsina), quasi tutti i cristiani – specie del gruppo Boko Haram – sono in costante pericolo d'esser uccisi, cacciati dalle loro case, derubati, o vittime di stupro. Più a sud, questa deriva è meno marcata, ad eccezione dello Stato di Nassarawa. La persecuzione anti-cristiana non fa differenze tra le varie denominazioni che assume;
      14) in Ruanda si registrano particolari restrizioni governative ai danni di gruppi religiosi di minoranza, quali i Testimoni di Geova;
      15) in Somalia la libertà religiosa è negata alla minuscola minoranza cristiana del Paese, che continua ad essere perseguitata. Tuttavia anche i molti musulmani non radicali che vivono nelle regioni controllate dai radicali islamisti di al Shabaab, versano in condizioni identiche;
      16) in Tanzania, la Costituzione, approvata nel 1977, riconosce la libertà religiosa come diritto di ognuno ad avere una fede liberamente scelta. Tuttavia nel 2011, alcune chiese protestanti sono state incendiate sulle isole di Zanzibar e Pemba;
      17) in Uganda preoccupano le severe misure antiterrorismo che hanno portato i musulmani a sentirsi perseguitati, molestati e oppressi dalle forze di sicurezza;
     c) Asia:
      1) in Arabia Saudita il wahhabismo è la sola forma di Islam permessa dalla dinastia regnante e non vi è una Costituzione. La Sunna, la tradizione islamica, occupa un posto privilegiato nella formulazione delle leggi del Paese e la Sharia è fonte di diritto. Nessun altro culto religioso islamico al di fuori del wahhabismo è consentito, nemmeno in privato, e dal momento che tutta l'Arabia Saudita è considerata una grande moschea, i luoghi di culto di altre religioni non possono esservi costruiti;
      2) in Bahrain la rivolta della maggioranza sciita contro il governo sunnita esplosa nel 2011 sulla scia delle primavere arabe non sembra ancora appianata e la comunità sciita continua a essere sottoposta a pesanti controlli e misure di sicurezza da parte della polizia;
      3) in Iran il primato dell'Islam pervade ogni settore della società e la Costituzione prescrive che «la religione ufficiale dell'Iran è l'islam e la setta seguita è quella dello sciismo giafarita»;
      4) in Siria l'odio religioso ha giocato un ruolo importante nella guerra civile iniziata nel 2011. A dimostrazione del fatto che il settarismo religioso è alla base del conflitto, vi sono le frequenti profanazioni di chiese e moschee, le uccisioni e i rapimenti di imam, vescovi e altri esponenti religiosi e gli attacchi mirati contro le comunità religiose. Di conseguenza, nel periodo in esame, la libertà religiosa ha sofferto, così come tutti i diritti umani fondamentali, un drastico peggioramento. I sunniti segnalano gravi persecuzioni da parte del presidente Assad e delle forze lealiste, mentre gli alawiti denunciano attacchi ai propri danni. Le comunità cristiane sono vittime di violenze sistematiche. In molti casi il movente è religioso; in altri, la causa è la presunta affiliazione politica delle vittime.
      5) in Cina, la violenta repressione contro le comunità buddiste tibetane continua, come la soppressione dei musulmani uiguri e delle sette evangeliche. L'impegno a rivedere lo statuto degli ebrei e dei cristiani ortodossi, per includerli tra le religioni riconosciute dallo Stato, non è ancora stato mantenuto;
      6) nella Corea del Nord si afferma che la libertà religiosa non esiste e il 75,7 per cento dichiara che le attività religiose sono punite con l'arresto e il carcere. Le conversioni riguardano per lo più coloro che – dopo essere fuggiti in Cina varcando il confine – entrano in contatto con missionari cristiani impegnati nell'accoglienza dei rifugiati; va peraltro segnalato che la Cina attua una politica di rimpatrio forzato, al quale seguono, da parte delle autorità nordcoreane, stringenti interrogatori volti innanzitutto a verificare se i fuggiaschi siano entrati in possesso di materiale religioso. Nucleo del sistema repressivo sono i brutali campi di prigionia, noti come kwan-li-so e talvolta indicati con la parola gulag. Si stima che in essi siano internati oltre 200 mila prigionieri detenuti in condizioni terribili, vittime di sistematiche e terribili torture, alimentati con razioni minime di cibo e sottoposti a un duro regime di lavori forzati;
      7) in India proseguono gli atti di violenza reciproca tra gruppi estremisti induisti e musulmani;
      8) in Indonesia ci sono state numerosi casi di gravi violenze e persecuzioni, in particolare contro le «comunità Ahmadiyya» e degli sciiti musulmani. Anche i buddisti hanno subito attacchi da parte di islamisti radicali che hanno colpito templi buddisti indonesiani in reazione alla violenza anti-musulmana in Birmania;
      9) da quando i comunisti hanno conquistato il potere nel 1975, con la conseguente espulsione di tutti i missionari stranieri, la minoranza cristiana in Laos è sottoposta a severi controlli statali e vi sono evidenti limiti alla libertà religiosa. I casi più frequenti di persecuzione religiosa si sono verificati nelle comunità protestanti;
      10) in tutta la Birmania, i cristiani e i musulmani continuano a subire discriminazioni, restrizioni e in alcune zone del Paese una violenta campagna persecutoria. Le persecuzioni più violente si concentrano nelle aree abitate da talune etnie, come quella dei Kachin. Tra i gruppi maggiormente colpiti dalle violenze anche i Rohingya, un'etnia prevalentemente di fede islamica;
      11) in Nepal l'opposizione sociale e politica al diritto di propagare la propria religione permane. Gruppi induisti e monarchici accusano i cristiani di offrire denaro e ad altri benefici materiali per convertire gli induisti al cristianesimo;
      12) in Pakistan, gli attacchi contro luoghi e fedeli cristiani sono numerosi, sebbene il timore di ritorsioni riduca il numero delle denunce presentate dalle vittime. Obiettivo della violenza settaria sono anche altre minoranze religiose, come gli indù e quelle islamiche degli sciiti e degli ahmadi. Particolarmente grave appare la situazione delle donne appartenenti alle minoranze religiose, spesso rapite, violentate e costrette a convertirsi;
      13) a Palau, gli uiguri musulmani lamentano difficoltà nel trovare lavoro a causa dell'ostracismo della popolazione, per il 75 per cento cattolica;
      14) nel Tagikistan, per tentare di consolidare il proprio potere, lo Stato esercita uno stretto controllo su ogni forma di attività religiosa. Le autorità di Governo mantengono uno stretto controllo su tutti i gruppi musulmani del Paese e permangono le politiche di soppressione delle scuole islamiche non autorizzate e delle moschee non ufficiali;
      15) nel Turkmenistan, l'attuale Presidente, Gurbanguly Berdymukhamedov, è salito al potere nel 2007 dopo la morte del suo predecessore, Saparmurat Niyazov – ex-dirigente comunista che ha guidato il Paese in modo assolutista dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica coltivando un forte culto della personalità – e, da quel momento, egli esercita il potere in modo incontrastato, rendendo il Turkmenistan uno dei Paesi più repressivi del mondo, anche in materia di libertà religiosa; il Paese è praticamente chiuso a ogni verifica indipendente. I media e la libertà religiosa sono soggetti a restrizioni draconiane, mentre i difensori dei diritti umani e altri attivisti devono confrontarsi con la costante minaccia di rappresaglie da parte del Governo;
    16) in Uzbekistan, la legge restrittiva sulla libertà di coscienza e le organizzazioni religiose, promulgata nel 1998, criminalizza tutte le attività religiose non registrate, bandisce la produzione e distribuzione di pubblicazioni religiose non ufficiali e impedisce ai minori di far parte di organizzazioni religiose;
    17) il 1o gennaio 2013 è stata introdotta in Vietnam una nuova legge sulla libertà di fede e di religione, il cosiddetto decreto 92. Secondo i promotori, il provvedimento serve a tutelare la libertà religiosa. In realtà, secondo esperti e critici, non è altro che la conferma dell'evidente desiderio del governo di Hanoi di controllare tutte le religioni. Il decreto 92, entrato in vigore all'inizio del 2013, è sembrato subito un tentativo di soffocare la libertà religiosa. I primi a denunciare i pericoli del nuovo provvedimento sono stati i membri dell'Ufficio informativo internazionale buddista (Ibib), un'organizzazione che ha sede a Parigi. Il nuovo decreto, hanno segnalato, è stato fonte di «profondo sconcerto» perché limita le attività dei cittadini e consente alle autorità un «maggior margine di manovra» per colpire chiunque non voglia sottomettersi alle direttive dell'unico partito di Stato. Secondo l'Ibib, la nuova decisione «stende una patina di legittimità» a una politica di «repressione religiosa pianificata dalle più alte sfere del Partito Comunista e dello Stato»;
     d) Americhe:
      1) in Argentina all'inizio del 2013, il Presidente Cristina Kirchner ha promesso l'introduzione di una nuova normativa che riconoscerebbe alle comunità protestanti, finora registrate come associazioni, di avere personalità giuridica religiosa. È prevista inoltre una legge atta a modificare l'attuale registro delle associazioni religiose, accordando a tutte un maggior riconoscimento. Finora, la Chiesa cattolica era l'unica a godere di un trattamento preferenziale;
      2) in Brasile la Chiesa cattolica rappresenta il gruppo religioso più numeroso, seguita dalle comunità protestanti (metodisti, episcopaliani, pentecostali, luterani e battisti). Ci sono poi minoranze non cristiane (ebrei, musulmani e buddisti) e gruppi ancor più minoritari di rastafariani e seguaci del Candomblé, dell'Umbanda e dello spiritualismo. Negli ultimi anni si sono registrati diversi casi di attacchi ai membri di movimenti religiosi come l'Umbanda e il Candomblé;
      3) in Costa Rica la Costituzione definisce il cattolicesimo religione di Stato. A differenza delle altre religioni, in virtù del suo speciale status giuridico la Chiesa cattolica non è registrata come associazione;
      4) a Cuba le scuole religiose non sono autorizzate, ad eccezione di due seminari cattolici e di alcuni centri di formazione interreligiosi;
      5) in Ecuador la locale comunità musulmana ha denunciato discriminazioni in ambito lavorativo e scolastico, mentre sono stati registrati episodi di violenza ai danni della comunità cattolica, da imputare probabilmente ad alcuni protestanti evangelici;
      6) nella Guyana il reato di blasfema comporta una possibile pena detentiva di un anno;
      7) ad Haiti esponenti della comunità vudù e della comunità musulmana sostengano di non godere della stessa tutela giuridica dei cristiani. Alcuni gruppi musulmani lamentano inoltre il mancato riconoscimento da parte del Governo dei matrimoni musulmani a differenze delle unioni cristiane,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni azione, a livello internazionale e nei rapporti bilaterali, volta a riconoscere la persecuzione nei confronti dei professanti qualsiasi religione come priorità assoluta, affinché sia condannata e contrastata con ogni mezzo;
   a porre in essere ogni iniziativa affinché i Governi dei Paesi alleati e dei Paesi che sostiene con gli strumenti della cooperazione internazionale forniscano adeguata protezione ai tutti i fedeli di qualsiasi confessione religiosa e garantiscano il loro diritto ad esercitare e a professare la loro fede in sicurezza e libertà;
   ad adottare ogni iniziativa utile a garantire la tutela di tutte le minoranze religiose anche attraverso azioni dirette, da realizzare in collaborazione con le rappresentanze diplomatiche italiane e consolari;
   a far valere, nelle relazioni diplomatiche ed economiche, bilaterali o multilaterali, la necessità di un effettivo impegno degli Stati per la tolleranza e la libertà religiosa, in particolare delle minoranze perseguitate, laddove risulti minacciata o compressa per legge o per prassi, direttamente dalle autorità di Governo o attraverso un tacito assenso che implichi l'impunità dei violenti;
   ad adoperarsi affinché analogo principio sia fatto valere a livello di Unione europea e di qualsiasi altro organismo internazionale per l'assegnazione di aiuti agli Stati;
   a promuovere nelle competenti sedi internazionali, di concerto con i partner dell'Unione europea, iniziative atte a rafforzare il rispetto del principio di libertà religiosa, la tutela delle minoranze religiose, la lotta contro la discriminazione religiosa e il monitoraggio delle violazioni, dando concreta attuazione agli strumenti internazionali esistenti.
(1-00856)
«Bechis, Mucci, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».
(11 maggio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    i drammi che i popoli hanno vissuto per poter affermare il culto delle proprie religioni tornano tristemente vivi. Più e più volte nella storia le minoranze religiose sono state oggetto di persecuzioni molto violente, gli anni che si vivono non sono da meno e l'evoluzione delle società e delle culture non è riuscita a tenere sotto controllo questi atroci fenomeni di intolleranze religiose;
    nel Medio Oriente si sta consumando quella che molti definiscono una vera e propria guerra di religione: il nuovo sedicente califfato Isis sta consumando un vero e proprio genocidio ogni giorno in nome di Allah e i venti di questa guerra stanno soffiando sempre più forti sino in Europa, dove ancora una volta gli ebrei vengono colpiti per la sola colpa di essere minoranza religiosa, mentre in Medio Oriente e in Africa i cristiani sono sotto costante attacco;
    il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato le persecuzioni contro i cristiani nel nord dell'Iraq, sottolineando che i provvedimenti adottati dal califfato contro le minoranze religiose potrebbero essere considerati crimini di guerra. Il Consiglio, con una dichiarazione approvata all'unanimità, ha condannato «la sistematica persecuzione di membri di minoranze e di quanti in Iraq rifiutano l'ideologia estremista dell'Isis e dei gruppi armati associati». I membri del Consiglio di sicurezza ribadiscono che i diffusi e sistematici attacchi diretti contro i civili a causa della loro etnia, del loro credo religioso o della loro fede potrebbero costituire un crimine contro l'umanità;
    in questa guerra particolare rilievo assume la persecuzione che stanno subendo i cristiani: decine di migliaia di cristiani, curdi e yazidi sono in cerca di una via di fuga. Donne, bambini, anziani, e con loro sacerdoti e suore, sono in marcia per cercare di trovare rifugio dopo essere stati costretti a lasciare le loro case. La minaccia del califfato dell'Isis è solo l'ultima nei loro confronti; basti pensare che negli ultimi 11 anni sono fuggiti dall'Iraq oltre 2/3 dei 2 milioni e mezzo di cristiani e ora le persone in fuga sono oltre 200.000;
    in queste ore circa 300 mila cristiani soffrono e guardano al proprio futuro con angoscia e preoccupazione senza alcuna via di fuga, come sta accadendo ai cristiani iracheni che vivono a Mosul, ai quali è impedito anche di celebrare la messa, a causa dell'offensiva dell'Isis;
    secondo il Center for the study of global christianity di South Hamilton, nel Massachusetts, su scala internazionale il numero dei cristiani uccisi, in quanto tali, tra il 2000 e il 2010 è stato di circa un milione, 100.000 all'anno;
    la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento;
    i dati riguardo la libertà religiosa nel mondo sono davvero allarmanti: circa il 74 per cento della popolazione mondiale (quasi 5,3 miliardi di persone) vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Recenti studi dimostrano che circa i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    il divieto di cambiare religione è tuttora in vigore in 39 Paesi, la quasi totalità dei quali appartenenti al consesso dell'Onu;
    accade con troppa facilità ormai che i diritti umani siano violati in nome della fede, invece ogni Stato dovrebbe garantire il rispetto e la possibilità di professare la propria fede, qualunque essa sia. La trappola degli estremisti è voler far credere che la religione sia fonte di divisione, invece è e deve essere parte fondante della pace tra i popoli, unica vera garante di uno sviluppo umano ed economico globale;
    in questo crescente clima di odio e di intolleranza le organizzazioni internazionali, a cominciare dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'Unione europea, gli Stati tutti devono far sentire la loro voce e tenere alta l'attenzione su questa tematica così importante e così foriera di pace o di guerra;
    in data 8 novembre 2014 ad Oslo, presso il Centro dei Nobel per la pace, 30 parlamentari provenienti da ogni parte del mondo hanno sottoscritto la «carta della libertà di religione e credo» come impegno alla promozione della medesima nel proprio ruolo di parlamentari e attraverso la cooperazione globale tra istituzioni rappresentative;
    il Parlamento e il Governo italiani non possono chiamarsi fuori da questa sfida, per la tradizione, la reputazione, l'identità universalmente riconosciute al nostro Paese, come nazione impegnata nella costruzione della pace e del dialogo tra le religioni;
    in Italia sono presenti fedeli di religione ebraica da oltre duemila anni e, seppure nel recente passato si sono avuti episodi di intolleranza, questo rappresenta per tutte le istituzioni un monito a contrastare, senza riserve, gli episodi di antisemitismo riemersi prepotentemente negli ultimi tempi;
    esiste una libertà religiosa cosiddetta «positiva», che consta nella possibilità di professare e manifestare la propria fede;
    esiste una libertà religiosa cosiddetta «negativa», che consta nell'impossibilità di negare, in nome del proprio credo, la libertà religiosa altrui;
    un appello alla comunità internazionale è stato rivolto anche da Papa Francesco per «porre fine al dramma umanitario in atto» e perché la comunità internazionale «si adoperi a proteggere i minacciati di qualunque religione»,

impegna il Governo:

   a rafforzare, in vista dell'entrata in vigore della nuova agenda per lo sviluppo sostenibile, l'applicazione della libertà di religione e della protezione delle minoranze religiose nei Paesi a rischio, nel rispetto della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo;
   a rendere il tema della reciprocità religiosa e del rispetto delle minoranze un tema di discussione nell'ambito delle negoziazioni diplomatiche e culturali bilaterali con i Paesi dove questi diritti non sono tutelati;
   a destinare parte dei fondi per la cooperazione allo sviluppo per il sostegno di progetti di tutela delle minoranze religiose e per la promozione di una cultura di tolleranza religiosa.
(1-00857)
(Nuova formulazione) «Preziosi, Berlinghieri, Ermini, Giuliani, Quartapelle Procopio, Monaco, Piccoli Nardelli, Tidei, Gianni Farina, Ascani, Amoddio, Cova, Prina, Piccione, Locatelli».
(11 maggio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la libertà religiosa è uno dei diritti fondamentali della persona che ogni Stato dovrebbe tutelare, oltre che riconoscere;
    la Costituzione, all'articolo 19, riconosce in modo ampio la libertà di religione, intesa quale diritto di ogni individuo di professare liberamente la propria fede e farne propaganda, nonché di esercitare in privato e in pubblico il culto e, all'articolo 8, riconosce che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge;
    nella dichiarazione dell'Onu del 1948 tutti gli Stati che ne fanno parte si impegnano a garantire non tanto e non solo una mera tolleranza religiosa verso le minoranze, bensì una piena libertà religiosa per tutte e per tutti; in particolare, l'articolo 18 stabilisce che: «ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
    negli ultimi anni la libertà religiosa è in netto declino con una crescente ondata di persecuzioni mirate anche a marginalizzare le comunità religiose. Dati recenti testimoniano che il 70 per cento della popolazione mondiale vive in Paesi caratterizzati da restrizioni o persecuzioni a causa della religione professata;
    nella lista degli Stati in cui si registrano gravi violazioni della libertà religiosa, i Paesi musulmani ne rappresentano la maggioranza con gravissime violazioni dove la persecuzione è legata all'estremismo islamico: Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Siria, Somalia, Sudan e Yemen;
    fortissime limitazioni alla libertà religiosa si riscontrano anche in numerosi Stati autoritari come l'Azerbaigian, il Myanmar, la Cina, la Corea del Nord, l'Eritrea e l'Uzbekistan;
    la libertà religiosa è in declino nei Paesi occidentali a maggioranza cristiana o di tradizione cristiana. In Europa, ad esempio, sono crescenti i fenomeni di antisemitismo e islamofobia, spesso fomentati da chi contrasta l'inevitabile modello pluriconfessionale ed eterogeneo della società;
    occorre per cui contrastare queste tendenze con forti politiche di inclusione sociale e attivarsi in ogni sede, europea ed internazionale, affinché si attuino provvedimenti orientati al massimo rispetto di tutte le fedi e di tutte le opinioni e si prendano misure efficaci a contrastare ogni forma di violenza,

impegna il Governo:

   ad assicurare protezione internazionale ai perseguitati per motivi religiosi;
   a rendersi promotore, nell'ambito dell'Unione europea e presso gli organismi internazionali cui l'Italia partecipa, di iniziative volte a riaffermare i principi di libertà religiosa oltre che di rispetto dei diritti civili e a favorire il dialogo tra i popoli e il dialogo interreligioso, nonché di iniziative da attuare nei confronti dei Governi che impediscono la libertà religiosa per far cessare le persecuzioni religiose;
   ad adoperarsi presso gli Stati europei, nell'ambito dell'Unione europea e nelle sedi internazionali, al fine di ampliare il fronte di solidarietà contro le esortazioni alla violenza di esponenti del radicalismo di qualsiasi natura e delle organizzazioni di quasi natura e tipo che incitano all'odio religioso ed etnico;
   a riferire periodicamente sugli obiettivi raggiunti, a partire dagli impegni presi dal Governo a seguito delle mozioni approvate dalla Camera dei deputati il 2 luglio 2014.
(1-00859)
«Palazzotto, Scotto, Fratoianni, Kronbichler, Costantino, Quaranta».
(12 maggio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani riconosce ad ogni individuo «il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
    la violenza a sfondo religioso è legata al declino della tolleranza religiosa, del pluralismo religioso e del diritto all'autodeterminazione religiosa e, soprattutto, nel mondo in via di sviluppo continua ad affermarsi la tendenza ad allontanarsi dal pluralismo religioso, mentre in varie parti del medio e dell'estremo oriente inizia a comparire il fenomeno degli Stati monoconfessionali;
    in base ai dati raccolti dalla Fondazione pontificia ACS nel rapporto sulla libertà religiosa nel mondo nel periodo compreso tra l'ottobre del 2012 e il giugno 2014, il rispetto della libertà religiosa nel mondo continua a diminuire;
    dal rapporto emerge che in quasi il sessanta per cento dei 196 Paesi analizzati si registra un preoccupante disprezzo per la libertà religiosa e che nel trenta per cento dei Paesi la situazione è peggiorata anche in modo significativo rispetto al biennio precedente;
    in totale, il rapporto ha identificato venti Paesi come luoghi di elevato grado di violazione della libertà religiosa, in quanto in essi la libertà religiosa non esiste, suddividendoli tra quelli in cui le persecuzioni a sfondo religioso sono legate all'estremismo islamico e quelli in cui le stesse sono perpetrate da regimi autoritari;
    nel primo gruppo rientrano Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Siria, Somalia, Sudan e Yemen, mentre del secondo fanno parte Azerbaigian, Myanmar, Cina, Corea del Nord, Eritrea e Uzbekistan;
    ad oggi, i cristiani continuano ad essere il gruppo religioso maggiormente perseguitato, sia a causa della loro presenza in quasi tutti i continenti, dove rappresentano spesso una minoranza all'interno di culture molto diverse dalla loro, sia a causa del fatto che molte delle terre in cui abitano da secoli, se non da millenni, sono oggi sconvolte dall'estremismo e dal terrorismo;
    inoltre, in molti luoghi in cui cristiani e musulmani avevano convissuto insieme per secoli, ora il gruppo religioso dominante cerca, attraverso l'imposizione della Sharia o con atti legislativi ispirati dalla supremazia di una religione sull'altra, di imporre un conformismo universale nelle pratiche religiose;
    secondo i dati contenuti nella World Watch List 2014, pubblicata nel mese di gennaio 2015 dall'associazione Open Doors International, in ben trentaquattro nazioni la persecuzione dei cristiani è aumentata rispetto all'anno precedente, mentre solo in cinque è diminuita;
    anche i musulmani subiscono considerevoli persecuzioni e discriminazioni, da parte di regimi autoritari e, soprattutto, di altri gruppi musulmani, tra le quali si inquadrano in particolar modo quelle che originano dallo storico contrasto tra sunniti e sciiti;
    si registra, inoltre, una drammatica acutizzazione di violenze e persecuzioni per motivi religiosi nei territori in cui si sta affermando lo Stato islamico, che ha cacciato tutti i gruppi religiosi, musulmani non sunniti compresi, concedendo ai cristiani come unica alternativa per rimanere quella della conversione forzata all'islamismo;
    lo Stato islamico ha altresì costretto alla fuga almeno quarantamila yazidi, una minoranza curdofona seguace di una religione pre-islamica, dall'Iraq dopo che nell'agosto del 2014 ha conquistato Sinjar, la città irachena situata a 50 chilometri dalla frontiera con la Siria, e ha dato il via a violenze inaudite nei loro confronti;
    le forme di estremismo e persecuzione contribuiscono in modo significativo al crescente fenomeno delle migrazioni di massa e, a fronte del fatto che le minoranze religiose mediorientali vanno riducendosi già da molti anni, negli ultimi anni la crisi umanitaria è drammaticamente peggiorata, portando, ad esempio, il numero di cristiani in Siria a un calo di oltre il trenta per cento in tre anni, e in Iraq la diminuzione è stata ancora più evidente;
    in Africa, la tendenza più preoccupante degli ultimi due anni è rappresentata dalla crescita del fondamentalismo islamico sotto l'impulso di gruppi come Al Qaeda nel Maghreb islamico, Boko Haram in Nigeria e nei Paesi confinanti, e al Shabaab, che ha la sua roccaforte in Somalia;
    anche in Asia si registrano pesanti limitazioni della libertà religiosa ai danni di comunità cristiane, musulmane, indù e sikh, che culminano in aperte violenze contro gruppi quali gli ahmadi e i sufi,

impegna il Governo:

   ad intraprendere e sostenere ogni iniziativa in ambito europeo ed internazionale volta a sostenere il rispetto della libertà religiosa nel mondo e a contrastare le persecuzioni e le violenze;
   ad esercitare forme di pressione diplomatica ed economica verso quei Paesi che non garantiscono o non tutelano il diritto alla libertà religiosa, se del caso non sottoscrivendo accordi con nazioni che non garantiscano il pieno esercizio di tale libertà;
   a condannare in ogni sede le violenze nei confronti delle minoranze religiose e ad adoperarsi affinché queste siano scongiurate attraverso le opportune iniziative internazionali;
   ad impegnarsi nelle competenti sedi internazionali affinché sia riconosciuta la giusta importanza al tema delle persecuzioni per motivi religiosi e affinché l'argomento sia oggetto di un indirizzo condiviso tra i Paesi che possa formare la base per una collaborazione tra gli stessi anche nelle politiche di aiuto ai rifugiati.
(1-00862)
«Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».
(13 maggio 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA TUTELA DEI DIRITTI DEI CONSUMATORI NEI CONFRONTI DEGLI OPERATORI DEL MERCATO DELL'ENERGIA ELETTRICA E DEL GAS

   La Camera,
   premesso che:
    molti cittadini hanno ricevuto «maxi-bollette» di luce e gas per pagare sostanziosi conguagli che, in molti casi, così come riportato anche da alcuni organi di informazione, sono stati il frutto di anni di addebiti dovuti a conteggi di consumi stimati, ma non effettivi, poiché spesso vengono ignorate le letture dei contatori, ad errori di valutazione o, comunque, a fatturazioni incongrue certamente non imputabili agli utenti;
    molti consumatori, non avendo strumenti idonei per difendersi e far valere i propri diritti o, più semplicemente, per non entrare nel complesso ed oneroso meccanismo per l'accertamento della verità per via amministrativa o giudiziaria, rischiano di trovarsi di fatto costretti a pagare cifre importanti di alcune migliaia di euro, per evitare il distacco dell'energia elettrica;
    a fronte di numerosi reclami e segnalazioni ricevuti anche da parte diverse associazioni dei consumatori, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato in data 13 luglio 2015 ha dato notizia di aver avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti delle società per azioni Eni, Acea energia, Edison energia, Enel energia, Enel servizio elettrico;
    tale indagine è volta ad accertare eventuali violazioni del codice del consumo in merito a varie condotte degli operatori: la fatturazione basata su consumi presunti, la mancata considerazione delle autoletture, la fatturazione a conguaglio di importi significativi, anche a seguito di conguagli pluriennali, la mancata registrazione dei pagamenti effettuati, con conseguente messa in mora dei clienti fino talvolta al distacco, nonché il mancato rimborso dei crediti maturati dai consumatori;
    la crisi economica ha già colpito duramente tante famiglie italiane e queste «maxi-bollette» di conguaglio non fanno altro che peggiorarne la situazione finanziaria,

impegna il Governo:

   ad intervenire a livello legislativo varando al più presto una moratoria su queste «maxi-bollette» in modo da bloccare quanto prima i pagamenti di questi importi, fino a quando le autorità competenti non abbiano completato le verifiche sulla condotta dei suddetti operatori in merito alle eventuali violazioni del codice del consumo;
   ad intervenire a livello legislativo stabilendo che, nel caso in cui le autorità competenti ravvisassero comportamenti scorretti da parte dei gestori dei servizi, i cittadini interessati non siano tenuti a pagare queste bollette di conguagli per gli anni passati e che gli stessi gestori siano obbligati a rimborsare tempestivamente gli utenti, nel caso in cui questi ultimi avessero già versato, interamente o in parte, gli interi o i parziali importi indebitamente richiesti attraverso questo tipo di fatturazioni illegittime;
   ad assumere iniziative per stabilire a livello legislativo il principio per cui nessun utente-consumatore può essere chiamato a sostenere spese per conguagli concernenti consumi presunti anteriori ai due anni precedenti la data di fatturazione.
(1-00967)
«Baldelli, Bernardo, Matarrese, Allasia, Gigli, Rampelli, Rizzetto, Abrignani, Polverini, Alli, Saltamartini».
(31 luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    come ampiamente evidenziato dalla stampa nazionale, sono molto frequenti i casi in cui vengono recapitate bollette di gas e luce di importi esorbitanti per conguagli risalenti a molti anni addietro e spesso il salatissimo conguaglio è dovuto all'inadempimento del fornitore o del distributore, che ha omesso di effettuare le letture periodiche del contatore oppure non ha emesso bollette periodiche. Un disservizio che persiste anche per anni e che comporta pesanti conseguenze per gli utenti, che si ritrovano a dover pagare, in un colpo solo, bollette così elevate da non potervi far fronte;
    al riguardo si evidenzia che, nonostante non possano essere pretese da parte degli utenti somme relative a consumi che il fornitore avrebbe potuto e dovuto pretendere oltre 5 anni prima dell'emissione della fattura in forza di quanto previsto dall'articolo 2948 del codice civile (ove si prevede che si prescrivano in cinque anni gli interessi e in generale tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi), per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo i fornitori spesso sostengono che la prescrizione decorre da quando viene emessa la fattura di conguaglio, con ciò spostando a loro piacimento il termine da cui decorre la prescrizione e consentendo così di richiedere i conguagli anche dopo dieci o quindici anni e potenzialmente per l'eternità;
    quanto precede appare assolutamente inammissibile, perché se il fornitore omette di fatturare consumi per molti anni, perché non tiene conto delle letture del contatore o si è «dimenticato» di emettere bollette periodiche, dovrebbe perdere il diritto ad essere pagato, dato che non vi sono dubbi che tra le somme che devono pagarsi periodicamente, e quindi soggette a prescrizione quinquennale, vi siano anche le bollette relative ai consumi periodici di energia elettrica e gas;
    se così non fosse, l'istituto della prescrizione, che il codice civile prevede come norma imperativa e inderogabile, sarebbe del tutto aggirabile da parte dell'esercente, mentre secondo un ragionamento logico e sulla base dei principi generali dell'ordinamento, la prescrizione decorre da quando può essere fatto valere il diritto, ovvero da quando il fornitore può (e deve) fare la lettura dei contatori (generalmente per il tramite del distributore). È in quell'occasione che, rilevati consumi superiori a quelli addebitati in acconto sulla base di letture stimate, può pretendere il pagamento del conguaglio. Ed è, quindi, da quel momento che decorre la prescrizione quinquennale;
    per capire da quando decorre la prescrizione risulta assolutamente necessario capire quale sia il giorno entro il quale il gestore, per il tramite del distributore, dovrebbe effettuare la lettura del contatore, e di questo dovrebbe essere data massima evidenza nei confronti dell'utente-consumatore che troppo spesso non dispone di strumenti idonei ed efficaci per poter sostenere un contraddittorio;
    in passato sono state irrogate sanzioni per violazione delle norme poste a tutela della trasparenza dei consumi e dei costi relativi alla fornitura del servizio di distribuzione e di vendita dell'energia elettrica ai clienti del mercato regolato;
    nel provvedimento VIS 22/09 dell'Autorità per l'energia ed il gas e il sistema idrico si legge che l'autorità, dopo aver accertato l'inosservanza da parte di Enel dell'obbligo del tentativo di lettura annuale dei contatori presso tutti i clienti allacciati alla propria rete con potenza contrattualmente impegnata fino a 30 kW, ha irrogato alla società Enel una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 2.053.000 euro. Nella delibera VIS 22/09 si legge che «l'illecito in questione è grave sia in ragione dell'interesse tutelato dalla norma violata sia perché ha avuto un'estensione notevole per quanto riguarda i clienti coinvolti e l'ambito territoriale interessato che coincide con l'intero territorio nazionale» e che «la mancata lettura dei contatori per lunghi periodi può danneggiare il cliente finale, dando luogo ad elevati conguagli»;
    l'Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico, anche a seguito di segnalazioni di altri clienti e associazioni di categoria, ha avviato, con deliberazione VIS 36/101, un procedimento per l'adozione di propri provvedimenti per violazione, tra l'altro, della disciplina in materia di periodicità di fatturazione prevista dalla regolamentazione in vigore (nel caso di contratti di fornitura di gas a condizioni regolate) o dai contratti di fornitura a condizioni di mercato libero;
    con il medesimo provvedimento, l'Autorità ha intimato all'esercente di: provvedere a ripristinare la regolare periodicità di fatturazione nel rispetto delle delibere dell'Autorità (per i clienti che hanno un contratto a condizioni regolate) e delle condizioni contrattuali sottoscritte dai clienti (per coloro che hanno un contratto di mercato libero), emettendo le relative fatture; corrispondere l'indennizzo automatico previsto dal codice di condotta commerciale gas emanato dall'Autorità ai clienti che hanno un contratto gas a condizioni di mercato libero e che ne abbiano il diritto; fornire risposta motivata ai reclami scritti inviati dai clienti aventi ad oggetto la mancata emissione delle fatture, indicando la data prevista per la ripresa;
    più recentemente, in data 13 luglio 2015, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, presieduta dal professor Giovanni Pitruzzella, ha avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti delle società per azioni Acea energia, Edison energia, Enel energia, Enel servizio elettrico ed Eni;
    a fronte di numerosi reclami e segnalazioni, ricevute anche da diverse associazioni dei consumatori, tale indagine è volta ad accertare eventuali violazioni del codice del consumo in merito a varie condotte degli operatori, tra cui rientrano: la fatturazione basata sui consumi presunti; la mancata considerazione delle auto-letture; la fatturazione a conguaglio di importi significativi, anche a seguito di conguagli pluriennali; la mancata registrazione dei pagamenti effettuati, con conseguente messa in mora dei clienti fino talvolta al distacco; e, infine, il mancato rimborso dei crediti maturati dai consumatori. Nell'ambito di queste istruttorie, i funzionari dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno svolto ispezioni nelle sedi delle società interessate dal procedimento a Roma, Milano e San Donato Milanese, con l'ausilio del nucleo speciale antitrust della Guardia di finanza,

impegna il Governo:

   ad adottare con urgenza ogni iniziativa, anche normativa, finalizzata a rafforzare le tutele dei diritti degli utenti del mercato dell'energia elettrica e del gas chiaramente vittime di comportamenti scorretti operati ai loro danni da parte di soggetti distributori che oggi, come pure in passato, hanno reclamato conguagli a distanza di anni;
   ad attivare un'indagine ministeriale nei confronti delle società a partecipazione pubblica italiana citate in premessa parallelamente ai procedimenti istruttori recentemente avviati dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato nei confronti di Acea energia, Edison energia, Enel energia, Enel servizio elettrico ed Eni, varando al più presto una moratoria del pagamento bollette di gas e luce di importi esorbitanti in attesa della conclusione degli accertamenti;
   ad attivarsi con le iniziative di competenza affinché il contesto competitivo nel settore della vendita dell'energia elettrica sul mercato libero impedisca il consolidarsi di posizioni di ingiustificata profittabilità per taluni operatori e il conseguente peggioramento delle condizioni economiche di migliaia di persone già colpite dalla crisi.
(1-00984)
«Ricciatti, Ferrara, Scotto, Zaratti, Pellegrino, Quaranta, Airaudo, Placido, Marcon, Duranti, Piras, Fratoianni, Melilla, Franco Bordo, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Zaccagnini, Sannicandro».
(11 settembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo gli ultimi dati forniti dalle associazioni dei consumatori quasi un reclamo su due (il 46 per cento delle segnalazioni raccolte nell'intero settore energetico) è causato da «problemi con le fatturazioni»: bollette «sballate», fatture recapitate in ritardo e conguagli esorbitanti. Quest'ultimo aspetto, nel settore del gas, sarebbe causato dalla mancata o inesatta verifica dei misuratori da parte delle aziende di fornitura. Da un'indagine condotta dalla Federconsumatori sui reclami raccolti nel 2011 emerge che oltre il 10 per cento dei disservizi denunciati provengono da utenti che non sono in grado di ricostruire i propri consumi del gas perché il fornitore non effettua la periodica lettura del contatore;
    la mancata verifica a domicilio spesso poi ostacola il passaggio verso un altro operatore e innesca altre forme di contenzioso: oltre il 30 per cento delle lamentele raccolte infatti riguarda contestazioni sulla lettura del misuratore fornita dall'azienda;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti delle società per azioni Acea Energia, Edison Energia, Enel Energia, Enel Servizio Elettrico ed Eni. Sotto la lente le modalità di fatturazione e i mancati rimborsi;
    si fa presente che da settembre 2015 i consumatori elettrici riceveranno una nuova tipologia di bolletta elettrica, in grado di assicurare una maggiore trasparenza e trasferire informazioni utili ai consumatori ma, allo stesso tempo, ancora non è stata fatta chiarezza sull'omologazione dei contatori elettrici installati nelle case degli italiani;
    la nuova bolletta sintetica indicherà il costo unitario del chilowattora riportando anche «la spesa per gli oneri di sistema», una voce che oggi viene pagata all'interno dei servizi di rete ma non ancora evidenziata nelle bollette. Nel settore elettrico sono, ad esempio, le voci relative agli incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate e alle imprese manifatturiere energivore, i fondi necessari alla messa in sicurezza delle centrali nucleari o per la ricerca, valori che incidono per oltre il 22 per cento sulla spesa finale del cliente tipo servito in regime di maggior tutela;
    gli apparecchi di misurazione dei consumi installati nelle abitazioni, al contrario, non risulterebbero essere adeguati al compito di assicurare la necessaria trasparenza, certezza e imparzialità nel calcolo dei consumi, con il rischio che eventuali dati errati possano far pagare ai consumatori una bolletta più «salata» del previsto;
    nessuno degli enti preposti ha mai verificato la conformità normativa dei contatori elettrici che misurano il consumo di energia e l'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico, fino ad oggi, si è concentrata esclusivamente sul modo di gestire il dato di consumo e di riportarlo in bolletta, tralasciando però la verifica della generazione di quel dato con il misuratore. Sembrerebbe proprio una delle più grandi falle nel sistema elettrico italiano, quasi 40 milioni di misuratori che non sono mai stati certificati da un ente terzo indipendente;
    si ricorda che nel 2004 è entrata in vigore la direttiva europea su «gli usi finali di energia, l'efficienza e i servizi energetici» (Mid - measurement instruments directive) che impone l'omologazione e la certificazione. Nel 2007 la direttiva viene recepita in Italia: ogni strumento che eroga elettricità ai consumatori deve avere una marcatura che ne attesti non tanto il corretto funzionamento, quanto che quel contatore sia identico al modello depositato presso l'ente notificatore europeo prescelto. Nel caso dell'Enel, ma solo dal 2007, per i contatori elettrici sono due, l'olandese Nmi e l'italiana Iqf, entrambi iscritti al Nando, la Gazzetta Ufficiale degli enti notificatori;
    il gruppo Movimento Cinque Stelle ha più volte sottoposto, attraverso atti di sindacato ispettivo, al Ministro dello sviluppo economico la problematica dei controlli metrologici dei contatori elettrici;
    inoltre si rileva che nell'ambito delle procedure d'infrazione avviate nel mese di febbraio 2015 la Commissione europea ha rilevato che «non è stato recepito l'obbligo secondo cui i contatori installati conformemente alle direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE consentono informazioni sulla fatturazione precise e basate sul consumo effettivo»,

impegna il Governo:

   ad adottare immediate iniziative per adempiere agli obblighi prescritti dall'Unione europea sulla conformità normativa dei contatori elettrici come descritto in premessa evitando ulteriori aggravi sulle bollette degli utenti;
   ad attuare immediatamente i commi 6-ter e 6-quater dell'articolo 1 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, che prevedono rispettivamente:
    a) di rendere più facilmente confrontabili le offerte contrattuali rivolte ai clienti finali per l'acquisto di gas o energia elettrica, identificare le componenti di base di costo da esplicitare obbligatoriamente nelle stesse offerte e determinare le sanzioni a carico dei soggetti venditori in caso di inottemperanza;
    b) che i dati di lettura dei contatori stessi siano resi disponibili ai clienti in forma aggregata e puntuale, secondo modalità tali da consentire la facile lettura da parte del cliente dei propri dati di consumo, garantendo nel massimo grado e tempestivamente la corrispondenza tra i consumi fatturati e quelli effettivi con lettura effettiva dei valori di consumo ogni volta che siano installati sistemi di telelettura e determinando un intervallo di tempo massimo per il conguaglio nei casi di lettura stimata;
   ad assumere iniziative per sospendere ogni attività esecutiva di pretesa di pagamento di bolletta elettrica e gas esosa nei confronti degli utenti fino a quando le autorità competenti non abbiano completato le verifiche per accertare che la condotta degli operatori non abbia violato le norme del codice del consumo e non sia illegittima.
(1-00985)
«Ruocco, Crippa, Da Villa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Vallascas, D'Incà».
(14 settembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    sono sempre più numerosi i casi di inefficienze denunciati dai consumatori relativi all'offerta di energia elettrica e del gas;
    addebiti eccessivi, doppia fatturazione, cambio non richiesto del fornitore, sovraccosti legati al cambio del contatore, sono soltanto alcuni dei problemi che quotidianamente affliggono i consumatori, costringendoli a svolgere lunghi adempimenti burocratici per dimostrare l'erroneità dei dati e a sostenere costi aggiuntivi e imprevisti;
    i consumatori, che non possiedono le informazioni necessarie per far valere i propri diritti, preferiscono, in molti casi, pagare le bollette energetiche, anche se con costi spropositati e non rispondenti ai consumi reali di energia, piuttosto che rimanere vittime del complesso sistema di accertamento amministrativo e/o giudiziario. Oltretutto il mancato pagamento delle bollette contestate determina in ogni caso il distacco dell'energia elettrica;
    sono poi frequenti i casi in cui vengono recapitate bollette energetiche di importi esorbitanti per conguagli risalenti ad anni passati. Molto spesso, il conguaglio eccessivo è dovuto a inadempimenti del fornitore o del distributore che, ad esempio, omette di effettuare le letture periodiche del contatore oppure non emette le bollette periodiche;
    una bolletta con costi smisurati, in questo momento di difficile congiura economica, può far saltare il bilancio di una piccola azienda, così come un conguaglio esorbitante può mettere seriamente in difficoltà la maggioranza dei cittadini e delle famiglie italiane;
    per gran parte dei consumatori le bollette energetiche appaiono documenti di non facile lettura e di difficile interpretazione, soprattutto per quanto concerne le voci di costo relative ai consumi e ai conguagli;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha recentemente avviato diversi procedimenti istruttori nei confronti dei principali fornitori di energia al fine di accertare, a fronte di numerosi reclami e segnalazioni, eventuali violazioni del codice del consumo in merito a varie condotte degli operatori, dalla fatturazione basata su consumi presunti alla fatturazione a conguaglio di importi significativi, passando per la mancata considerazione delle autoletture,

impegna il Governo:

   ad adottare specifiche iniziative per la sospensione dei pagamenti delle bollette energetiche con importi spropositati e non rispondenti ai consumi reali di energia elettrica e del gas, fino al completamento delle verifiche avviate dalle autorità competenti sulle condotte adottate dalle società fornitrici in merito alle violazioni del codice del consumo;
   ad assicurare, attraverso idonee iniziative normative, le modalità di rimborso agli utenti degli importi già versati, qualora le fatturazioni, a seguito di accertamenti, risultassero illegittime e non rispondenti ai consumi reali di energia elettrica e del gas;
   ad adottare le iniziative di competenza al fine di un'efficace semplificazione della lettura delle bollette energetiche permettendo ai cittadini di individuare in modo chiaro e trasparente i dettagli dei costi che vengono loro addebitati.
(1-00986)
«Allasia, Fedriga, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(14 settembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    numerose e reiterate sono le segnalazioni ed i reclami da parte dei consumatori relativamente ad abusi e scorrettezze praticati dagli operatori del mercato dell'energia elettrica e del gas;
    tali scorrettezze vengono peraltro segnalate anche in altri settori afferenti alla gestione di risorse essenziali, di straordinaria valenza sociale, come l'acqua;
    in particolare, i cittadini lamentano di ricevere addebiti smisurati in bolletta derivanti da consumi pregressi, stimati ma non effettivi, nonostante le loro comunicazioni in autolettura telefonica o telematica, che verrebbero spesso ignorate, ovvero gestite e registrate in modo errato;
    in altre circostanze, i cittadini sono soggetti all'obbligo di costituire vere e proprie «cauzioni» su consumi futuri, presso le casse dell'ente gestore;
    ogni comunicazione tra il singolo cittadino e l'operatore è riservata alla sempre più difficile interlocuzione con i call center, che spesso offrono informazioni estemporanee, contraddittorie e non dimostrabili e che talvolta, con la propria disinformazione o allarmismo, generano nei consumatori il timore di distacchi della linea elettrica o dell'erogazione del gas, inducendo i medesimi al pagamento di cifre rilevanti – talvolta indebite – senza le necessarie verifiche;
    gli stessi reclami formali inviati con fax ai vari servizi di customer care rimangono quasi sempre inevasi e senza esito;
    il malcontento dei consumatori dilaga anche in internet, dove alcuni siti dedicati riportano le loro testimonianze inquietanti, nelle quali talvolta si arriva a paventare l'ipotesi di vere e proprie truffe;
    a fronte di tali numerosi reclami e segnalazioni, il 13 luglio 2015 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti delle società per azioni Acea energia, Edison energia, Enel energia, Enel servizio elettrico ed Eni;
    l'indagine è volta ad accertare eventuali violazioni per pratiche commerciali scorrette, ai sensi degli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, codice del consumo, in merito alle condotte degli operatori sopra ricordate e, in particolare per: la fatturazione basata su consumi presunti; la mancata considerazione delle autoletture; la fatturazione a conguaglio di importi significativi, anche a seguito di conguagli pluriennali; la mancata registrazione dei pagamenti effettuati, con conseguente messa in mora dei clienti fino talvolta al distacco; nonché il mancato rimborso dei crediti maturati dai consumatori;
    nell'ambito di queste istruttorie, i funzionari dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno svolto ispezioni nelle sedi delle società interessate dal procedimento a Roma, Milano e San Donato Milanese, anche con l'ausilio del nucleo speciale antitrust della Guardia di finanza;
    la peculiarità dei mercati dell'energia elettrica e del gas, ma anche di quello relativo alla gestione della risorsa idrica, sempre più strategici nell'economia complessiva italiana ed europea, rende necessario un monitoraggio attento e costante delle offerte contrattuali, delle relative condizioni generali applicate nel mercato libero e di maggiori sanzioni in caso di violazione del codice del consumo, stante l'asimmetria delle posizioni tra venditore e contraente;
    dall'analisi dell'attuale quadro normativo del mercato libero dell'energia elettrica e del gas, con particolare riferimento al settore domestico e delle piccole e medie imprese, emergono alcune specifiche criticità che richiederebbero interventi mirati dapprima sull'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, volte a rendere più fluido il mercato in concorrenza, e poi sulla vendita, volte a sanzionare i comportamenti lesivi dei diritti dei consumatori, la cui scarsa tutela finisce per generare inevitabili ricadute negative sul livello competitivo del nostro Paese rispetto agli altri Paesi europei;
    il perdurare della crisi economica rende particolarmente gravoso per le famiglie l'onere, spesso perentorio, di far fronte al pagamento di esorbitanti fatture, in alcuni casi assolutamente incoerenti con le più ragionevoli ipotesi di consumo,

impegna il Governo:

   nelle more delle conclusioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e della Guardia di finanza, a varare tempestivamente un'iniziativa normativa o amministrativa di moratoria delle numerose bollette contestate, al fine di congelarne i pagamenti – per lo meno per gli importi superiori a 500 euro – e per periodi anteriori ad un anno alla data di fatturazione;
   a ribadire la necessità che la prova documentale dell'effettivo consumo addebitato in bolletta ed eventualmente inevaso sia sempre a carico del fatturante e non certo del consumatore;
   ad assumere iniziative normative per definire le necessari linee di indirizzo nei confronti dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, al fine di ottenere un maggiore controllo sull'efficienza delle imprese di distribuzione con regole stringenti circa la lettura dei misuratori, sia nel settore gas e dell'energia elettrica, ma anche in quello che gestisce le risorse idriche, al fine di avere una fatturazione dei consumi reali e non stimati (causa dell'80 per cento del contenzioso tra imprese e consumatori);
   ad assumere iniziative normative al fine di potenziare il quadro sanzionatorio nei confronti delle imprese e dei gestori che adottano comportamenti commercialmente scorretti e/o sono responsabili di inadempimenti contrattuali, nonché ad individuare uno schema equo di indennizzi risarcitori del consumatore finale;
   ad intervenire per accertarsi che sia sempre garantito un agevole canale di comunicazione tra gestore e consumatore, che consenta l'immediata verifica delle singole, differenti situazioni, eliminando il clima di pressione psicologica che viene spesso a crearsi nei confronti dell'utente;
   a collaborare con le associazioni dei consumatori per rafforzare la loro capacità di interfacciarsi autorevolmente con le aziende fornitrici per meglio tutelare le esigenze dell'utente e il complessivo corretto funzionamento del mercato.
(1-00995) «Vargiu, Mazziotti Di Celso».
(22 settembre 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A SOSPENDERE O REVOCARE IL BLOCCO DELLA CONTRATTAZIONE NEL PUBBLICO IMPIEGO

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, è stato adottato, come recita il suo preambolo, in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica»;
    nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento ed alla riduzione della spesa pubblica si colloca l'articolo 9, relativo al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego che, al comma 21, testualmente recita: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012, 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previste dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»;
    in applicazione del citato comma 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, quindi, per l'intero triennio 2011-2013, le retribuzioni del personale interessato sono state pertanto escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'articolo 24 della legge n. 448 del 1998, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi («scatti» e «classi» di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, quanto, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero;
    l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha poi previsto che con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze la possibilità di prorogare di un anno, ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive;
    ed infatti con decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, il Governo ha disposto la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle seguenti misure previste dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010: a) il blocco dei trattamenti economici individuali; b) la riduzione delle indennità corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e l'individuazione del limite massimo per i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari di incarichi dirigenziali; c) il limite massimo e la riduzione dell'ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale; d) i blocchi riguardanti i meccanismi di adeguamento retributivo, classi e scatti di stipendio, nonché le progressioni di carriera comunque denominate del personale contrattualizzato e in regime di diritto pubblico;
    infine, per effetto della legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014, commi 254-256) è stato prorogato ulteriormente per tutto il 2015 il blocco economico della contrattazione nazionale e del contratto collettivo nazionale nel pubblico impiego – ormai operante dal 2010 – con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018; è stata estesa fino al 2018 l'efficacia della norma in base alla quale l'indennità di vacanza contrattuale, da attribuirsi all'atto del rinnovo contrattuale, rimane quella in godimento al 31 dicembre 2013 e viene prorogato fino al 31 dicembre 2015 il blocco degli automatismi stipendiali ma relativo al solo personale non contrattualizzato (magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare e delle forze di polizia di Stato, personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, personale della carriera dirigenziale penitenziaria, professori e ricercatori universitari, nonché il personale della Banca d'Italia, della Consob e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato), ferma restando l'esclusione dal blocco dei magistrati;
    in proposito, occorre rammentare che la Corte costituzionale, in occasione di pregresse manovre economiche, recanti deroghe temporanee ai ricordati meccanismi rivalutativi di adeguamento, disposte, in particolare, in occasione dell'altrettanto grave congiuntura economica del 1992, aveva già indicato i limiti entro i quali un tale intervento potesse ritenersi rispettoso dei richiamati principi costituzionali, osservando che «norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all'articolo 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza), a condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso»;
    in quel caso il sacrificio era limitato ad un anno, mentre ora, in presenza di una reiterazione a percussione di misure patrimoniali afflittive, la natura eccezionale e transitoria di una disposizione non può più essere predicata, credibilmente e plausibilmente, anche per la prevedibilità della sua reiterazione nel tempo futuro;
    eppure per le misure adottate con il decreto-legge n. 78 del 2010 e successivi provvedimenti, si tratta invece di ben cinque anni di blocco contrattuale, anni che – in termini più generali – coincidono con la fase apicale della crisi economica e sociale più lunga ed intensa che la storia della Repubblica ricordi e che ha prodotto un impoverimento generalizzato del Paese, del ceto medio e della classe lavoratrice in particolare;
    secondo l'Istat la riduzione delle retribuzioni pro capite in termini reali è stimata nell'ordine di oltre il 10 per cento dal 2010 al 2014; i dati pubblicati dall'Istat circa l'andamento economico del settore statale evidenziano – secondo quanto emerge dalle tabelle 12 e 13 rispettivamente: Unità di lavoro delle amministrazioni pubbliche per sotto settore 1995/2014 e Analisi dei redditi da lavoro dipendente delle amministrazioni pubbliche per sotto settore 1995/2014 – la cristallizzazione delle retribuzioni lorde pro capite medie ammontanti, per il 2014, a 34.286 euro con un decremento di circa 10 euro rispetto al dato 2013 (da: «Il quotidiano della PA», articolo di Stefano Olivieri Pennesi del 20 maggio 2015);
    dall'altra parte, il rapporto annuale Istat del 2015, pur rilevando che nel 2013 e 2014 è rimasto invariato il carico fiscale corrente e in conto capitale delle famiglie (al 15,7 per cento del reddito lordo disponibile delle famiglie), evidenzia l'aumento di tre decimi di punto del carico fiscale complessivo (che include anche le imposte sull'abitazione), salendo al 16,3 per cento, a causa dell'introduzione del tributo per i servizi indivisibili (Tasi), compensando quasi interamente il calo di quattro decimi del 2013, determinato dall'abolizione dell'Imu sulla prima casa;
    è evidente che il combinato disposto tra il perdurante blocco economico della contrattazione da una parte (di dubbia legittimità costituzionale) e un livello pressoché stabile ovvero in aumento della pressione tributaria sulle famiglie dall'altra, hanno comportato l'attuale depressione economica e la caduta del potere di acquisto degli stessi stipendi;
    le misure adottate finora con il decreto-legge n. 78 del 2010 e le successive proroghe di fatto hanno paralizzato anche l'applicazione degli istituti contrattuali retributivi legati al merito previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2009 (cosiddetta «riforma Brunetta») che prevede numerosi strumenti (anche economici) per premiare il merito e la professionalità del dipendente pubblico (articoli 20 e seguenti del decreto legislativo n. 150 del 2009);
    tali misure economiche di carattere restrittivo si ripercuotono non soltanto: a) sulle motivazioni dei dipendenti pubblici sempre più «stanchi», perché penalizzati da uno scarso turnover (ora indebolito ancor di più dall'arrivo dei dipendenti provenienti dalle Province) e da un progressivo allungamento dell'età per accedere alla pensione, ma altresì: b) sull'efficienza e funzionalità dei servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni;
    il tribunale di Roma con ordinanza del 27 novembre 2013 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9, commi 1 e 17, del decreto-legge n. 78 del 2010 nonché dell'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011 per contrasto con gli articoli 2, 3, 35, 36, 39 e 53 della Costituzione e ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale rilevando come «la sospensione della possibilità di negoziare anche solo in ordine ad incrementi retributivi, viene a determinare, indirettamente, un'anomala interruzione dell'efficacia delle disposizioni vigenti in materia (...) e, quindi, del valore dell'autonomia negoziale riservata alle parti nell'ambito della contrattazione collettiva, interruzione determinata a causa della esclusiva e affatto peculiare posizione dello Stato-datore di lavoro. (...); conseguentemente, l'inibizione prolungata della contrattazione in ordine all'adeguamento dei trattamenti retributivi può sollevare il legittimo dubbio di una conseguente violazione del principio di proporzionalità e sufficienza della retribuzione»;
    la questione verrà discussa dai giudici della Corte costituzionale il prossimo 23 giugno 2015 e, in caso di accoglimento, il recupero del pregresso blocco del rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici potrebbe «costare» dai 14 ai 16 miliardi di euro, pari quasi all'ammontare di una legge di stabilità aprendo una «voragine» nei conti dello Stato;
    sono tre milioni e mezzo i pubblici dipendenti che aspettano il rinnovo dei contratti dal 2010 e potenzialmente interessati dalla decisione della Consulta;
    gli interventi così operati ingiustificatamente aumentano gli squilibri, trascurano del tutto di colpire le ricchezze evase al fisco e persino gli introiti derivanti da rendite ben conosciute (quali le rendite catastali e finanziarie), per concentrarsi su una fascia specifica di cittadini (di solito i pensionati e i lavoratori dipendenti), colpevoli unicamente di appartenere ad una categoria e di avere redditi facilmente accertabili ed ancora più facilmente «attaccabili»;
    già in altre occasioni la Corte costituzionale è intervenuta affermando l'esistenza di diritti di rilevanza costituzionale non comprimibili dalle cosiddette «emergenze finanziarie», dal mercato e da pseudo riforme economiche dettate dalla mera esigenza di far quadrare i conti;
    è necessario prendere atto degli effetti negativi dispiegati dalle suddette misure di contenimento della spesa pubblica e di austerity e dalle conseguenti proroghe susseguitesi oltre ogni tempo ragionevole (di dubbia legittimità costituzionale per i motivi esposti) non solo sull'efficienza e l'efficacia della pubblica amministrazione e sul rendimento e le performance dei pubblici dipendenti, ma anche sul sistema economico del Paese,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per sospendere e/o revocare, a partire dal secondo semestre 2015, il blocco economico della contrattazione nazionale e delle tornate contrattuali del contratto collettivo nazionale dei pubblici dipendenti interessati dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, e successive proroghe;
   ad assumere iniziative per assicurare, a far data dal 1o gennaio 2016, per tutti i dipendenti della pubblica amministrazione interessati dal decreto-legge n. 78 del 2010, procedure per il progressivo riallineamento e adeguamento degli stipendi agli standard costituzionali;
   ad assumere urgenti iniziative volte a permettere fin dal 2015 la ripresa della concertazione e della contrattazione del contratto del pubblico impiego interessato dal blocco della contrattazione per effetto del decreto-legge n. 78 del 2010 e successive proroghe al fine di predisporre – anche di concerto con le organizzazioni di rappresentanza del settore pubblico – idonee misure volte al recupero pieno della perdita del potere di acquisto degli stipendi dei pubblici dipendenti dovuto al blocco contrattuale, ovvero reperire idonee risorse volte all'effettivo recupero dei trattamenti economici e degli aumenti retributivi dovuti per le tornate contrattuali e non goduti per effetto del blocco.
(1-00878)
«Ciprini, Chimienti, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi, Tripiedi, Gallinella, Dadone, Cozzolino, Cancelleri, Lorefice».
(4 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il Governo in carica ha ereditato le precedenti e numerose misure di blocco o contenimento della contrattazione collettiva nel pubblico impiego;
    l'emanazione del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» ha determinato, per quanto concerne il pubblico impiego, il congelamento dei trattamenti economici per tre anni, con la finalità del contenimento delle spese, mediante l'articolo 9, comma 21, in base al quale le retribuzioni del personale interessato sono state escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'articolo 24 della legge n. 448 del 1998, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi, i cosiddetti «scatti» e «classi di stipendio», collegati all'anzianità di ruolo, quanto, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero;
    successivamente il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha previsto, all'articolo 16, comma 1, con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze, la possibilità di prorogare di un anno, ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive;
    la formulazione dell'articolo 40 e dell'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 modificano gli spazi delle relazioni sindacali come precedentemente configurati dalla legge e dalla contrattazione collettiva;
    l'articolo 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, modificato dall'articolo 54 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, testualmente recita «tramite appositi accordi tra l'Aran e le Confederazioni rappresentative, secondo le procedure di cui agli articoli 41, comma 5, e 47 (...]) sono definiti fino a un massimo di quattro comparti di contrattazione collettiva nazionale, cui corrispondono non più di quattro separate aree per la dirigenza (...)»;
    occorre, pertanto, giungere preliminarmente ad un accordo attuativo delle citate disposizioni, al fine di ricondurre alle previsioni normative il numero dei comparti, quale premessa per la riapertura del tavolo contrattuale;
    la legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2015) ha prorogato fino al 31 dicembre 2015 il blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto dalla normativa vigente fino al 31 dicembre 2014, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018;
    pur con la conferma del blocco contrattuale, la stessa legge di stabilità 2015 ha comunque opportunamente sbloccato gli automatismi e le progressioni per determinate categorie di pubblici dipendenti (tra tutti, le forze di polizia) e, in particolare, ha ripristinato gli effetti economici legati alle progressioni di carriera e gli assegni connessi con il merito e con l'anzianità di servizio;
    la Corte costituzionale il 23 luglio 2015, in relazione alle questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze r.o. n. 76/2014 e r.o. n. 125/2014, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, così come risulta dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato che rischiano di rendere strutturale tale blocco;
    la Corte costituzionale ha ribadito la piena legittimità – già affermata in sentenze precedenti – dell'intervento del legislatore volto a far fronte a esigenze eccezionali di riequilibrio del bilancio pubblico, riaffermando alcune peculiarità del settore pubblico rispetto a quello privato, che permangono anche dopo la cosiddetta «contrattualizzazione» dell'impiego pubblico, negando altresì che il blocco temporaneo abbia determinato una situazione di insufficienza della retribuzione alla stregua dell'articolo 36 della Costituzione, osservando che prima del blocco i livelli salariali del settore pubblico si erano già attestati su livelli superiori, a parità di contenuto della prestazione lavorativa, rispetto al settore privato;
    nell'affermare l'illegittimità costituzionale sopravvenuta del blocco della contrattazione collettiva nel settore pubblico, la Corte costituzionale ha precisato che la riattivazione della negoziazione collettiva costituisce un dato essenzialmente procedurale, «disgiunto da qualsiasi vincolo di risultato»;
    già antecedentemente alla sentenza della Corte costituzionale, in data 17 giugno 2015, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, rispondendo ad un'interrogazione «in merito alla sospensione o alla revoca, a partire dal secondo semestre 2015, del blocco della contrattazione nazionale del pubblico impiego», in tale sede ha riferito – sostanzialmente d'intesa con la Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione – che il Governo nella sua collegialità ha ritenuto di confermare il blocco della contrattazione collettiva economica per il pubblico impiego prorogato al 2015 ma parzialmente compensato da un periodo di bassa inflazione. È evidente tuttavia che il blocco dei contratti non può essere la normalità e per questo l'auspicio è di riaprire il prima possibile una normale contrattazione;
    successivamente, durante il passaggio al Senato della Repubblica del disegno di legge delega approvato ad agosto 2015, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, la stessa Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ha preannunciato la volontà del Governo di superare il blocco della contrattazione, dopo cinque anni di fermo della parte economica dei contratti collettivi di lavoro nel pubblico impiego;
    il rinnovo del contratto collettivo per tre milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori del pubblico impiego è una scelta utile per l'economia e indispensabile per riconoscere il valore al lavoro pubblico;
    la valorizzazione dei lavoratori del pubblico impiego è condizione necessaria per la piena realizzazione degli obiettivi positivi di semplificazione, qualità e maggiore efficacia della pubblica amministrazione perseguiti della legge 7 agosto 2015, n. 124;
    il processo di semplificazione e di innovazione prefigurato dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, individua all'articolo 17 i principi e criteri direttivi cui debbono uniformarsi i decreti attuativi sul riordino e la semplificazione della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e dei connessi profili di organizzazione amministrativa e, all'articolo 11, introduce un nuovo modello organizzativo della dirigenza pubblica,

impegna il Governo:

   a favorire la chiusura degli accordi di cui all'articolo 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001, ai fini della conclusione rapida e comunque entro il 2015 del processo di ridefinizione dei comparti, così come previsto dal citato decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni, apportate dal decreto legislativo n. 150 del 2009, anche con soluzioni innovative, in coerenza con l'impianto della legge n. 124 del 2015;
   a prevedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e nel quadro delle compatibilità finanziarie individuate in quella sede, adeguate risorse da destinare al rinnovo dei contratti del pubblico impiego.
(1-00988)
«Di Salvo, Miccoli, Gnecchi, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Damiano, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla».
(18 settembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (legge finanziaria 1999), definisce i meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato, prevedendo «l'adeguamento di diritto, annualmente in ragione degli incrementi medi, calcolati dall'Istat, conseguiti nell'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive, ivi compresa l'indennità integrativa speciale, utilizzate dal medesimo istituto per l'elaborazione degli indici delle retribuzioni contrattuali»;
    il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, all'articolo 9, comma 21, stabilisce che: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»;
    in sostanza, il dettato normativo ha avuto il duplice obiettivo di contenere e ridurre la spesa pubblica (cosiddetta spending review) e contestualmente concorrere a riequilibrare i diversi trattamenti contrattuali del pubblico impiego, più alti dei trattamenti corrispondenti nel settore privato. Il citato articolo 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010 ha così previsto, per il triennio 2011-2013, l'esclusione, per le categorie di lavoratori interessati, dai meccanismi di adeguamento previsti dall'articolo 24 della legge finanziaria per l'anno 1999, bloccando tutti gli aumenti retributivi, i premi individuali, gli incentivi e gli scatti di anzianità;
    l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha poi previsto che, con uno o più regolamenti, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze, la possibilità di prorogare di un anno ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive;
    a tal riguardo, il successivo decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, «Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti», ha disposto la proroga fino al 31 dicembre 2014 di una serie di misure previste dall'articolo 9, comma 21, del citato decreto-legge 78 del 2010;
    con la sentenza n. 178 del 24 giugno 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale sopravvenuta, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale della sentenza e nei termini indicati in motivazione, del regime di sospensione della contrattazione collettiva, risultante dall'articolo 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 («Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria»), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come specificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122 («Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111); dall'articolo 1, comma 453, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014”) e articolo 1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015”»);
    la Corte costituzionale ha riconosciuto in tali misure un carattere strutturale, con una conseguente violazione dell'autonomia negoziale. L'estensione fino al 2015 delle misure che inibiscono la contrattazione economica e che, già per il 2013-2014, erano state definite eccezionali, nasconde un assetto durevole di proroghe, in ragione di una vocazione che mira a rendere strutturale il regime del blocco. Le norme impugnate dai giudici rimettenti e le norme sopravvenute della legge di stabilità per il 2015 si susseguono senza soluzione di continuità, proprio perché accomunate da analoga direzione finalistica. Il blocco, così come emerge dalle disposizioni che, nel loro stesso concatenarsi, ne definiscono la durata complessiva, non può che essere colto in una prospettiva unitaria;
    la Corte costituzionale, nella sentenza citata, rivolge, infine, un appello al Governo a modificare al più presto la legislazione: «Rimossi, per il futuro, i limiti che si frappongono allo svolgimento delle procedure negoziali riguardanti la parte economica, sarà compito del legislatore dare nuovo impulso all'ordinaria dialettica contrattuale, scegliendo i modi e le forme che meglio ne rispecchino la natura, disgiunta da ogni vincolo di risultato»;
    dalla sentenza n. 178 del 2015, dunque, discende la necessità di riaprire la contrattazione nel pubblico impiego che, secondo le ultime stime, interesserebbe più di 3 milioni e 300 mila lavoratori. In tal senso, la Corte costituzionale conclude confermando che: «Il carattere essenzialmente dinamico e procedurale della contrattazione collettiva non può che essere ridefinito dal legislatore, nel rispetto dei vincoli di spesa, lasciando impregiudicati, per il periodo già trascorso, gli effetti economici derivanti dalla disciplina esaminata»;
    secondo uno studio de Il Sole 24 ore, il blocco dei contratti del pubblico impiego, sino a tutto il 2014, ha comportato per i dipendenti pubblici una riduzione pari al 10,5 per cento dell'attuale stipendio di riferimento, con un possibile aumento fino al 14,6 per cento, se il blocco della contrattazione rimanesse in vigore fino al 2017;
    la mancata indicizzazione dei contratti del pubblico impiego ha prodotto anche l'effetto di riequilibrare l'esistente discrepanza tra le retribuzioni pubbliche, tradizionalmente più elevate, e quelle private; secondo l'ultimo rapporto dell'Aran, l'Agenzia che si occupa della contrattazione nel pubblico impiego, nel 2010 la retribuzione contrattuale media pro capite per impiegati e quadri pubblici era pari a 27.472 euro lordi contro i 25.531 euro del settore privato. Nel 2013 lo scarto si era già ridotto a meno di 500 euro: 27.252 euro nel pubblico contro 27.004 euro nel privato; nel mese di giugno 2015, la Cgia di Mestre ha diffuso una ricerca che ha confrontato le retribuzioni medie lorde dei dipendenti pubblici con quelle dei privati. Sebbene abbiano gli stipendi bloccati dal 2011, i dipendenti pubblici guadagnano quasi 2.000 euro all'anno in più rispetto ai dipendenti privati. In particolare, per quanto riguarda l'anno 2014, secondo lo studio condotto dalla Cgia di Mestre i dipendenti pubblici hanno ricevuto una retribuzione annua in media di 34.286 euro, contro 32.315 euro dei dipendenti privati;
    da ultimo, si segnala la sentenza del 16 settembre 2014 del tribunale di Roma, che ha condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri e l'Aran a dare avvio «senza ritardo» al procedimento di contrattazione collettiva per i comparti della scuola, dell'università, della ricerca, dell'Afam e delle relative aeree dirigenziali;
    a seguito del ricorso presentato dalla Flc Cgil, con cui si rivendicava il diritto dei lavoratori dei comparti pubblici della conoscenza a vedersi rinnovato il contratto di lavoro dopo sei anni di blocco, il giudice del lavoro, riferendosi in particolar modo alla citata sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 2015, ha evidenziato come la sospensione della contrattazione comporti un «sacrificio del diritto fondamentale tutelato dall'articolo 39 della Costituzione non più tollerabile». Lo stesso giudice del lavoro ha, altresì, evidenziato come, per effetto dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza citata, l'Amministrazione avrebbe dovuto rimuovere immediatamente gli ostacoli all'avvio della contrattazione, anche per i comparti della conoscenza, cosa che invece – a distanza già di diversi mesi dalla sentenza – non risulta sia stata ancora fatta. Proprio per quest'ultimo motivo, stante l'inerzia dell'Amministrazione nonostante la sentenza costituzionale, secondo il giudice è fondata la richiesta di tutela giurisdizionale avanzata dalla Flc Cgil a nome dei lavoratori che rappresenta,

impegna il Governo:

   a porre in essere opportune iniziative finalizzate alla sospensione del blocco economico della contrattazione nazionale per il pubblico impiego, per le categorie interessate dal decreto-legge 78 del 2010 e dalle successive proroghe;
   ad assumere le opportune iniziative volte ad assicurare che a partire dal 1o gennaio 2016, per i dipendenti pubblici coinvolti, si proceda ad un progressivo adeguamento delle retribuzioni secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 178 del 2015.
(1-00992)
«Polverini, Palese, Occhiuto, Brunetta».
(21 settembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    con la sentenza n. 178 del 2015 la Corte costituzionale, chiamata ad esaminare la legittimità delle norme che hanno imposto dal 2010 al 2015 un prolungato regime di blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, ha imposto al Governo l'immediato avvio di una stagione di consultazione con il mondo sindacale i cui esiti interesseranno circa tre milioni e mezzo di pubblici dipendenti, che, per effetto del relativo congelamento della retribuzione, hanno subito una perdita economica individuale pari a 4.800 euro;
    il pronunciamento della Corte costituzionale, come quello sulle pensioni che lo ha preceduto di qualche mese e che ha bocciato il mancato adeguamento dei trattamenti previdenziali al costo della vita imposto dal Governo Monti, rappresentano un baluardo per tutti i futuri Governi che d'ora in poi non potranno più per mere esigenze di finanza pubblica imporre a lavoratori e pensionati sacrifici ad libitum;
   per il giudice costituzionale, infatti, il blocco reiterato e sistematico della contrattazione, deciso con vari provvedimenti unilateralmente dal datore di lavoro pubblico, ha violato la libertà costituzionale dell'azione sindacale di cui all'articolo 39, comma 1, della Costituzione, già sacrificata, peraltro da altre norme come gli articoli 47 e 48 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (testo unico sul pubblico impiego), come modificati dalla cosiddetta legge Brunetta, che ha notevolmente ridotto l'operatività della contrattazione collettiva, e l'articolo 81 della Costituzione sul principio del pareggio del bilancio;
    non v’è chi non legge nel pronunciamento della Corte costituzionale, che di fatto ha inteso fermare quella distorcente tendenza politica a minimizzare e delegittimare il ruolo delle organizzazioni sindacali in materia di tutela dei diritti contrattuali, un chiaro monito all'attuale Governo che da oltre 18 mesi a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo ostacola, minimizza ed irride l'azione di tutte le confederazioni sindacali, evitando un confronto serio e costruttivo sui molteplici temi del lavoro, in primis quello della pubblica amministrazione. Infatti, è proprio la disciplina contenuta nella legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) a rendere strutturali quei blocchi contrattuali e stipendiali introdotti con i precedenti provvedimenti legislativi ed a cristallizzare a tutto il 2018 l'ammontare dell'indennità di vacanza contrattuale ai valori del 31 dicembre 2013, oscurando e disattendendo il criterio di proporzionalità della retribuzione, riferito alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto dal pubblico dipendente;
    secondo la Corte costituzionale le misure di risanamento realizzate attraverso una prolungata sospensione a carico esclusivamente dei pubblici dipendenti delle procedure negoziali e dell'ordinaria dinamica retributiva, oltre, come si è visto, a compromettere irreparabilmente lo svolgersi della dialettica contrattuale ed il diritto degli stessi, sottoposti ad un carico di lavoro sempre più gravoso stante il permanente regime di turn over, a percepire una retribuzione proporzionata al lavoro svolto, violano il principio di eguaglianza tra i cittadini e di dovere di solidarietà politica, sociale ed economica di cui agli articoli 3, primo comma, e 2 della Costituzione. Inoltre quando gli interventi di contenimento della spesa trascendono i limiti della transitorietà e dell'eccezionalità già tracciati dalla precedente giurisprudenza costituzionale, introdurrebbero una forma di compartecipazione alle spese a carico dei pubblici dipendenti, in spregio anche al principio di gradualità dei sacrifici imposti di cui all'articolo 53 della Costituzione;
    a seguito del suddetto pronunciamento, avendo lo stesso rimosso, per il futuro, tutti quei limiti che si frapponevano allo svolgimento delle procedure negoziali riguardanti la parte economica, è compito del Governo dare nuovo impulso, disgiunto da ogni vincolo di risultato, all'ordinaria dialettica contrattuale garantendo quella piena proporzionalità tra il lavoro prestato e la retribuzione dovuta tutelata dall'articolo 36 della Costituzione;
    sul versante finanziario l'esecuzione della sentenza non comporterà per lo Stato un grosso impegno economico essendo stati cancellati nel frattempo dal decreto legislativo n. 150 del 2009 (cosiddetta legge Brunetta) tutti quegli aumenti «a pioggia» precedentemente corrisposti ai dipendenti pubblici in base all'anzianità di servizio maturata. La «riforma Brunetta» ha, infatti, sostituito, a partire dalla prima utile e successiva intesa confederale, il criterio del merito per anzianità con quello per prestazione individuale all'interno dell'unità aziendale di riferimento, lasciando peraltro alla discrezionalità del dirigente tutte le decisioni in materia di organizzazione del lavoro, inquadramenti, promozioni e premi incentivanti, a fronte di una riduzione del potere del lavoratore di partecipare e di controllare le scelte, inaugurando a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo nella pubblica amministrazione una stagione di clientele e di soprusi;
    inoltre, al fine di minimizzare l'impatto che la sentenza avrebbe esercitato sui saldi di finanza pubblica è stata stabilita l'efficacia ex nunc, cioè irretroattiva, della stessa con un effetto strutturale che, stando alla memoria presentata dall'Avvocatura dello Stato, dovrebbe comportare a partire dal 2016 un onere pari a circa 3,6 miliardi di euro all'anno. Il costo netto del rinnovo del contratto del pubblico impiego è, infatti, assai modesto. Secondo una stima, considerando che le retribuzioni lorde nel 2014, secondo i dati riportati nel documento di economia e finanza, ammontavano a 114,3 miliardi di euro, alle quali applicare un'aliquota marginale di tassazione mediamente del 30 per cento, e percentuali di adeguamento pari allo 0,6 per cento per il 2015, all'1,1 per cento per il 2016, all'1,3 per cento per il 2017 ed all'1,5 per cento per il 2018 come definite dalla variazione dell'indice dei prezzi al consumo armonizzati al netto dei prodotti energetici importati, il relativo onere per lo Stato varrà a regime, cioè dal 2018, poco più di 3,6 miliardi di euro, ai quali aggiungere i maggiori contributi sociali da versare all'Istituto nazionale di previdenza sociale;
    a seguito dello stesso pronunciamento si pone anche il problema dell'indennità di vacanza contrattuale, il cui mancato riconoscimento è stato addirittura procrastinato sino al 2018 e che invece per effetto della sentenza, quantomeno con riferimento all'anno 2015, dovrebbe essere corrisposto per il periodo compreso dalla pubblicazione della suddetta sentenza fino al 31 dicembre 2015;
    secondo le anticipazioni riportate nei giorni scorsi da alcuni organi di stampa, il Governo sarebbe intenzionato a fronteggiare la maggiore spesa derivante dall'esecuzione della sentenza ricorrendo ad un ulteriore e nuovo blocco del turn over, che sarebbe, tra l'altro, compatibile con l'attuanda «riforma Madia» che prevede un riordino delle amministrazioni centrali e periferiche realizzato con tagli di unità territoriali, mobilità del personale e passaggio alla definizione dei nuovi fabbisogni delle amministrazioni ed abbandono delle vecchie dotazioni organiche. Attualmente il turn over per le amministrazioni centrali, le agenzie e gli enti pubblici non economici autorizza una quota di assunzioni che non superi il 40 per cento dei contingenti cessati l'anno precedente. Pertanto, stando al ragionamento del Governo, da un nuovo congelamento del decalage, al netto della mobilità in corso del personale delle province, deriverebbe nel triennio una riduzione del personale capace di compensare l'onere dei rinnovi contrattuali, che potrebbero, tra l'altro, essere effettuati proponendo aumenti spalmati nel tempo;
    il reiterato blocco del turn over, diventato oramai uno strumento ordinario di manovra finanziaria, impedisce l'assunzione dei vincitori di concorso rinviandola negli anni, privando le pubbliche amministrazioni del naturale ricambio generazionale, con inevitabili effetti negativi anche sull'efficienza dell'azione amministrativa;
    nonostante la sentenza della Corte costituzionale sia in vigore dal 23 luglio 2015 e stante l'inerzia dell'Amministrazione a darle esecuzione (qualunque ritardo nella stipula dei nuovi contratti comporterà il pagamento di arretrati), il tribunale del lavoro di Roma, dando pienamente ragione ai rilievi avanzati in sede di richiesta di tutela giurisdizionale dalla Flc Cgil, con esemplare condanna ha ordinato il 16 settembre 2015 all'Aran di dare avvio «senza ritardo» al procedimento di rinnovo della contrattazione collettiva per i comparti della scuola, dell'università, della ricerca, dell'Afam;
    altro limite della normativa che si frappone all'immediata esecutività della sentenza è rappresentato dalla necessità di dare attuazione ad accordi tra le parti previsti dalla «legge Brunetta», primo fra tutti quello di ridurre da 11 a 4 i comparti, aspetto su cui, in questi anni, non si è trovata una mediazione;
    con la circolare n. 20 del 2015 della Ragioneria generale dello Stato, dettata con lo scopo di impartire istruzioni in materia di fondi destinati alla contrattazione integrativa, si è inteso attribuire strutturalità ai limiti fino ad oggi imposti ai fondi unici di amministrazione, stabilendo che le risorse destinate annualmente al trattamento economico accessorio vengano decurtate di un importo pari alle riduzioni operate per effetto del precedente periodo. La stessa precisa, inoltre, che l'ammontare della decurtazione permanente da operare a decorrere dall'anno 2015 dovrà essere determinata al lordo delle somme non inserite nel 2014 e previste dalla normativa di riferimento per ciascun comparto e che, corrispondentemente, le predette voci dovranno formare oggetto di alimentazione del fondo 2015, in modo tale da rendere le due grandezze di riferimento, fondo 2015 e decurtazione permanente, del tutto confrontabili ed a sostanziale invarianza di saldo;
    in base alla suddetta circolare, su disposizione del Ministro dell'economia e delle finanze, tutte le amministrazioni statali e la relativa contrattazione integrativa continueranno ad essere private di una parte di quelle risorse economiche che annualmente sono destinate ai fondi unici di amministrazione per il salario di produttività, risorse che si riferiscono alla gestione dell'anno precedente e che solo per ragioni tecniche di bilancio si determinano nel secondo semestre di ogni anno e che sono attribuite alle singole amministrazioni attraverso la legge di assestamento del bilancio. Gli effetti di tale operazione sono stati tangibili per i lavoratori pubblici che hanno pertanto subito, oltre gli effetti del blocco contrattuale, una perdita media annuale di salario accessorio prossima ai mille euro,

impegna il Governo:

   ad ottemperare al pronunciamento della Corte costituzionale n. 178 del 2015 provvedendo, immediatamente e senza ulteriore ritardo, alla riapertura di una fase negoziale con le organizzazioni sindacali per il rinnovo della contrattazione per tutti i comparti della pubblica amministrazione;
   ad individuare le risorse finanziarie da destinare alla liquidazione dell'indennità di vacanza contrattuale relativa al secondo semestre 2015;
   ad individuare, nell'ambito del disegno di legge di stabilità per il 2016, le risorse necessarie all'apertura di una nuova stagione negoziale per il settore del pubblico impiego che risarcisca i pubblici dipendenti della perdita di potere di acquisto delle loro retribuzione a seguito del reiterato regime di blocco contrattuale;
   ad abbandonare qualsiasi logica che, al fine di compensare la maggiore spesa destinata al rinnovo della contrattazione, possa comportare il ricorso ad un nuovo blocco del turn over del personale della pubblica amministrazione;
   ad assumere iniziative, anche amministrative, per superare tutte quelle previsioni che impongono limiti e tagli strutturali alle risorse destinate ai fondi unici di amministrazione ed alla contrattazione integrativa.
(1-00994)
«Airaudo, Placido, Quaranta, Costantino, Scotto, Duranti».
(21 settembre 2015)

MOZIONI RECANTI INIZIATIVE PER LA CONCLUSIONE DEI LAVORI DELL'AUTOSTRADA SALERNO-REGGIO CALABRIA E IL POTENZIAMENTO DEL SISTEMA DEI TRASPORTI DELLA REGIONE CALABRIA

   La Camera,
   premesso che:
    in Calabria la carenza delle reti infrastrutturali dei trasporti riveste, ormai da diverso tempo, caratteri emergenziali e di precarietà provocando notevoli disagi sia ai residenti sia ai turisti, nonché a tutti coloro che si trovano a transitare nella regione;
    si riscontrano dunque notevoli difficoltà di movimento da e per la Calabria, nonché internamente alla stessa, sia per quanto concerne le merci sia per quanto attiene alle persone; lo status quo delle reti infrastrutturali di trasporto calabresi presenta, quindi, gravi carenze a tutti i livelli provocando notevoli disagi sia per i trasporti che avvengono a livello internazionale, sia per quelle di rilievo locale;
    è altresì evidente che senza infrastrutture efficienti e trasporti adeguati ai bisogni dei cittadini e delle imprese non ci può essere l'auspicabile e atteso sviluppo per la regione interessata;
    i servizi di trasporto pubblico sono strumenti essenziali al raggiungimento delle finalità, costituzionalmente demandate all'apparato statale della Repubblica, per la rimozione delle disparità economiche e sociali tra i cittadini, ritenute ostative per la partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese;
    tali servizi rivestono un interesse strategico e di cruciale importanza sia sul piano della garanzia del diritto fondamentale alla mobilità dei cittadini e, quindi, per le esigenze di comunicazione interna della regione, sia per la forte vocazione turistica del territorio in questione che, soprattutto nei periodi estivi, riscontra un consistente afflusso di visitatori;
    nonostante rivesta un ruolo strategico, il comparto infrastrutturale, specie negli ultimi anni, è stato soggetto ad un progressivo depotenziamento per l'evidente assenza di un progetto politico diretto alla revisione dell'intero sistema di viabilità e comunicazione territoriale;
    in alcune parti la rete calabrese è di fondamentale interesse strategico da un punto di vista sia nazionale sia internazionale, poiché costituisce parte dell'asse ferroviario europeo «Ten-T1» essenziale per il trasporto proveniente dal Sud come dal Nord della penisola;
    le tre arterie stradali che collegano la regione al resto d'Italia (A3, la strada statale n. 106 e la strada statale n. 18) sono attualmente e contemporaneamente interessate da lavori di manutenzione e/o di messa in sicurezza, che provocano notevoli disagi per automobilisti e trasportatori;
    i lavori di realizzazione dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria (442,9 chilometri), gestita da Anas spa, furono avviati a partire dal 1966;
    negli anni successivi all'apertura dei cantieri, il tratto di autostrada costruito si rivelò del tutto inadeguato per contenere il traffico in aumento, in quanto dotata di due sole corsie per senso di marcia e diverse curve molto tortuose che provocarono gravi incidenti. Alla luce di ciò, nel 1990 l'Unione europea ha obbligato l'Italia all'adeguamento del tratto realizzato della Salerno-Reggio Calabria alle normative europee. Da quel momento, sono iniziati i lavori di riammodernamento la cui conclusione è stata rimandata di anno in anno;
    dopo ben 49 anni, il cantiere più lungo di tutta Europa, come spesso viene definita la Salerno-Reggio Calabria, è ancora in fase di realizzazione con tratti ancora da cantierizzare o in fase di ammodernamento;
    i lavori che interessano il tratto dell'autostrada A3 ricadente in Calabria (circa 295 chilometri su 443 chilometri totali) coprono, tra opere in esecuzione e cantieri non avviati, circa 90 chilometri. In particolare, è previsto un piano parziale di interventi, non ancora totalmente finanziati, relativo ai seguenti tratti:
     a) 20 chilometri con lavori in corso di esecuzione, relativi al macrolotto 3 parte 2 tra gli svincoli di Laino Borgo (chilometro 153+400) e Campotenese (chilometro 173+900);
     b) 10 chilometri, relativi al tratto finale dell'autostrada tra lo svincolo di Campo Calabro (chilometro 433+750 circa) e lo svincolo di Reggio Calabria/Santa Caterina (chilometro 442+920), da sottoporre a intervento di messa in sicurezza (cosiddetto restyling), con bando di gara pubblicato a luglio 2015;
     c) 6 chilometri, relativi al tratto tra il viadotto Stupino (chilometro 280+350) e lo svincolo di Altilia (chilometro 286+000), per il quale sono in corso le procedure finalizzate all'appalto dei lavori;
     d) 10 chilometri, relativi al tratto tra lo svincolo di Rogliano (chilometro 270+700) e il viadotto Stupino (chilometro 280+350), da appaltare;
     e) nuovo svincolo di Laureana di Borrello, in provincia di Reggio Calabria, situato al chilometro 377+750, da appaltare;
     f) adeguamento e messa in sicurezza dal chilometro 185+000 al chilometro 206+500 (da Morano Castrovillari a Sibari), in progettazione;
     g) nuovo svincolo di Rende (chilometro 250+000), in progettazione;
     h) sistema di svincoli di Cosenza sud (tra il chilometro 262+000 ed il chilometro 266+000), in progettazione;
     i) adeguamento e messa in sicurezza dal chilometro 259+700 al chilometri 270+700 (da Cosenza a Rogliano), in progettazione; adeguamento e messa in sicurezza dal chilometro 337+800 al chilometro 348+600 (da Pizzo Calabro a Sant'Onofrio), in progettazione;
     l) svincolo di Scilla-collegamento urbano con Ieracari (al chilometro 423+300, località Scilla), da finanziare. Inoltre ad oggi, risultano rescissi i seguenti lavori di ammodernamento: dal chilometro 206+500 al chilometro 213+500 (svincolo di Sibari-svincolo di Altomonte);
     m) dal chilometri 320+400 al chilometro 331+400 (svincolo Lamezia Terme-torrente Randace), addirittura in seconda rescissione; dal chilometro 369+800 al chilometro 378+500 (svincolo di Mileto-località Candidoni);
    il Presidente del Consiglio dei ministri, nei mesi scorsi, in diversi dichiarazioni pubbliche ha affermato che entro il 2015 tutti i cantieri avranno un'accelerazione definitiva e che al massimo nel 2016 i lavori saranno terminati. Il Presidente del Consiglio dei ministri, oltre alla superficialità con cui ha indicato i tempi di realizzazione di un cantiere di così difficile concretizzazione, sembra non essere a conoscenza della condizione in cui versa attualmente il tratto di strada che sino ad oggi è stato costruito. Infatti, percorrendo la Salerno-Reggio Calabria ci si imbatte in 32 lavori temporanei, da Cosenza in giù la segnaletica sull'asfalto è pressoché inesistente e nelle gallerie l'illuminazione non è funzionante;
    nonostante sia slittata al 31 ottobre 2015 la data entro la quale devono risultare cantierabili le opere previste dall'articolo articolo 3, comma 2, lettere b) e c), del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, «sblocca Italia», ovvero i lavori di ammodernamento ed adeguamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, dallo svincolo di Rogliano allo svincolo di Atilia e lo svincolo Laureana di Borrello, queste ultime, non rispettando i requisiti della cantierabilità, rischiano concretamente di perdere i finanziamenti previsti dalla legge, determinando un rilevante danno per l'intera regione;
    il Governo si è recentemente impegnato ad accelerare il finanziamento per la sicurezza della viabilità secondaria, oltre che a verificare la fattibilità del trasporto via mare delle merci, del potenziamento del traffico ferroviario e, ove possibile, aereo. Attualmente, l'impegno annunciato dal Governo non si è ancora concretizzato;
    la strada statale n. 106 (lunghezza 491 chilometri di cui 405 ricadenti nella regione Calabria), principale arteria che collega la Calabria, la Basilicata e la Puglia, è inadeguata a gestire gli attuali volumi di traffico per una serie di criticità infrastrutturali storiche dovute ad una sbagliata progettazione, per la presenza di lunghi tratti a due corsie di marcia, di una moltitudine di accessi non autorizzati, fuori norma o non segnalati, di un manto stradale in pessime condizioni, di attraversamenti dei centri abitati, di guard rail «assassini», di una pessima illuminazione, tanto da essere denominata la «strada della morte», con oltre 600 vittime e circa 9.000 feriti solo dal 1996 al 2014;
    ad oggi risultano ancora in una fase di stallo la maggior parte dei tratti della strada statale n. 106, in particolare:
     a) il megalotto 3, Sibari-strada statale n. 534 e Roseto Capo Spulico (Sibari), è stato appaltato ma non cantierizzato;
     b) il megalotto 5, località San Gregorio (Regio Calabria)-Melito di Porto Salvo, ed il megalotto 9, Crotone aeroporto-Mandatoriccio, non sono stati avviati poiché in attesa dei pareri approvativi;
     c) la variante di Palizzi (2o stralcio funzionale), l'adeguamento e messa in sicurezza del tratto Crotone (chilometro 256+000)-Sibari (chilometro 329+000)-tronco 1 dal chilometro 309+200-al chilometro 329+000, il megalotto 8, Rossano (Mandatoriccio-Sibari), l'adeguamento e messa in sicurezza del tratto Crotone (chilometro 256+000)-Sibari (chilometro 329+000)-tronco 2 dal chilometro 290+200-al chilometro 309+200, strada statale n. 106 «Jonica»-adeguamento e messa in sicurezza del tratto Crotone (chilometro 256+000)-Sibari (chilometro 329+000)-tronco 3 dal chilometro 256+000-al chilometro 290+200, la variante di Crotone dal chilometro 241+250 (svincolo Crotone-Papanice) al chilometro 250+500 (svincolo Passovecchio), il nuovo svincolo per l'ospedale della Sibaritide al chilometro 11+350 della strada statale n. 106, sono ancora in fase di progettazione;
    la strada statale n. 18 «Tirrena inferiore» (lunghezza 535 chilometri di cui 236 in territorio calabrese) è chiusa in più parti a causa di lavori di manutenzione con la presenza di una miriade di sensi unici alternati;
    la ex strada statale n. 522 (ora strada provinciale) presenta numerosi deficit circa gli standard di sicurezza. A tale proposito va sottolineato come tale arteria recita un fondamentale ruolo strategico, in quanto collega l'utenza con la maggiore realtà turistica calabrese, quella relativa alla Costa degli dei. Per le note difficoltà dell'ente provincia, la strada non è soggetta ad alcun intervento di appropriata manutenzione;
    la situazione relativa alla circolazione stradale è ancora più allarmante se si considera anche lo stato di involuzione dei circuiti cittadini, spesso generato dalle note difficoltà di bilancio dei vari comuni;
    le difficoltà delle reti infrastrutturali della regione Calabria sono aggravate dalla pessima gestione del sistema ferroviario, tagliato inspiegabilmente fuori dalla rete nazionale ad alta velocità, che nel corso degli ultimi anni sta, altresì, registrando una drastica diminuzione del numero delle corse garantite da Trenitalia;
    la situazione è tanto più grave in quanto non c’è alcun treno Frecciarossa che colleghi la Calabria al resto d'Italia, limitando il trasporto ferroviario semi-veloce ad un solo Frecciargento e due Frecciabianca. A tal proposito, basti ricordare che l'ultimo treno utile per raggiungere dalla Calabria altre destinazioni è l’Intercity 1560 che parte dalla principali stazioni calabresi di Reggio Calabria alle ore 15.05, di Lamezia Terme alle ore 16.31, di Paola alle ore 17.09, per giungere dopo ben 7 ore di viaggio, a Roma;
    in particolare, sul tema dell'alta velocità nel Mezzogiorno, si è pronunciato recentemente il Presidente del Consiglio dei ministri che, in occasione del meeting di Rimini di fine agosto 2015, ha dichiarato che è necessario portare «la principale infrastruttura realizzata in questi anni» (l'alta velocità, appunto) anche al Sud, perché «non può fermarsi a Salerno», mentre il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha precisato che «è giusto ed è serio che anche il Sud abbia la mobilità adeguata per gli spostamenti di business»;
    inoltre, il trasporto ferroviario è da considerarsi quasi inesistente sul tratto ionico, visto che è ancora caratterizzato da un unico binario non elettrificato con corse operate su base regionale, a cui nell'ultimo periodo sono seguite delle soppressioni, in ossequio ad una spending review del tutto illogica;
    la situazione è altresì insostenibile anche in merito al servizio aeroportuale, del tutto inadatto a fronte della crescita della domanda di servizi, testimoniato dalle numerose liste d'attesa per i voli da/per la Calabria, a cui hanno fatto seguito continue cancellazione dei voli, una cattiva gestione degli scali aeroportuali calabresi di Reggio Calabria e Crotone, il continuo aumento del prezzo dei biglietti e l'isolamento degli aeroporti dal sistema ferroviario;
    le difficoltà infrastrutturali della regione Calabria sin qui descritte recano gravi disagi per le attività produttive del territorio e in modo particolare per l'agricoltura ed il turismo;
    lo scoraggiamento dei turisti, nel considerare la Calabria come meta della loro vacanza, sta comportando un esiguo numero di prenotazioni alberghiere, tanto che molte strutture stanno valutando la possibilità di rimanere chiuse, provocando in questo modo un crollo ingente dell'economia della regione, nonché dell'occupazione;
    alla luce della situazione sopra esposta il territorio calabrese risulta quasi completamente isolato dal resto della penisola per l'inadeguatezza e la quasi inesistenza, in taluni casi, del trasporto aeroportuale, di gomma, nonché ferroviario;
    il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con la Commissione europea, ha di recente pubblicato il programma operativo nazionale infrastrutture e reti relativo al periodo 2014-2020, inserendovi il polo logistico di Gioia Tauro per investimenti «finalizzati ad accogliere navi di nuova generazione potenziandone la dotazione infrastrutturale con priorità attribuita all'approfondimento dei fondali, all'ampliamento della lunghezza delle banchine e della dotazione dei piazzali»;
    è doveroso portare all'attenzione di questo Governo le pesanti ricadute sull'economia regionale che determinano la persistenza di una situazione di inadeguatezza del sistema infrastrutturale regionale, rispetto alle esigenze dei cittadini, lavoratori ed imprenditori, con riferimento alle forti limitazioni che tutte le carenze sopra riportate gravano sul comparto turistico, il quale rappresenta la maggiore opportunità di sviluppo e rilancio economico non solo per la regione Calabria, ma anche per il tessuto nazionale,

impegna il Governo:

   ad attuare le opportune iniziative per definire, in tempi brevi e certi, l’iter conclusivo dei lavori dell'intero tratto dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria e a finanziare i tratti dell'autostrada A3 non ancora finanziati;
   a definire ed attuare ogni utile iniziativa al fine di potenziare le maggiori arterie stradali che collegano la regione Calabria al resto d'Italia, attualmente interessate da lavori di manutenzione e/o messa in sicurezza, consentendo ad automobilisti e trasportatori di poter circolare regolarmente;
   ad assumere le opportune iniziative al fine di sostenere lo sviluppo della regione Calabria attraverso il potenziamento del sistema di trasporto aereo, ferroviario e portuale della regione, con politiche orientate all'aumento del numero dei voli, all'incremento quantitativo e qualitativo dei servizi ferroviari, nonché ad un più agevole collegamento tra gli aeroporti e le stazioni ferroviarie, attraverso il rafforzamento dei sistemi di mobilità sostenibile all'interno della regione, pienamente integrato con le grandi reti di trasporto nazionale ed europee;
   ad attivarsi per il potenziamento dei nodi portuali e aeroportuali della regione Calabria, volto allo sviluppo di un moderno sistema logistico per il trasporto delle merci, a partire dal porto di Gioia Tauro, vero e proprio gate di raccordo dell'Europa sul versante sud;
   a rivisitare ogni rapporto di concessione connesso all'utilizzo del porto di Gioia Tauro che dovesse ridurne le potenzialità o, peggio, trasformarne gli obiettivi di sviluppo del territorio a vantaggio di soluzioni monopolistiche;
   a promuovere contemporaneamente il rafforzamento dell'offerta portuale turistica, distribuita lungo le coste della Regione Calabria, per incentivare l'offerta e l’incoming turistico legati alla nautica da diporto, anche attraverso accordi di partenariato pubblico-privato;
   ad adottare ogni iniziativa volta al potenziamento della rete ad alta velocità per la regione Calabria e per l'intera area del Mezzogiorno, anche alla luce delle recenti dichiarazioni in merito del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   ad assicurare a tutti coloro che transitano nella regione Calabria, attraverso politiche di continuità territoriale, di potersi spostare nel territorio nazionale con pari opportunità, accedendo ad un servizio che garantisca condizioni economiche e qualitative uniformi;
   a costituire un tavolo permanente per la predisposizione ed attuazione di un piano di emergenza per i trasporti in Calabria concertato con i rappresentanti degli enti territoriali calabresi, delle società di gestione aeroportuali, dei rappresentanti dei gestori di trasporto ferroviario, marittimo e aereo, dei rappresentanti delle maggiori associazioni di categoria del sistema dei trasporti e del sistema turistico;
   ad attivarsi per potenziare il servizio ferroviario stesso promuovendo l'istituzione di un secondo collegamento con Frecciargento fra Roma e Reggio Calabria, per un miglioramento della qualità del materiale rotabile impiegato e per politiche tariffarie, che, in una logica di garanzia di continuità territoriale, siano orientate a ridare competitività al trasporto ferroviario rispetto alla mobilità automobilistica;
   a definire per la regione Calabria, in coerenza con quanto stabilito nel documento di economia e finanza per il 2015, e più precisamente nel programma delle infrastrutture strategiche del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, deliberato dal Consiglio dei ministri il 10 aprile 2015, politiche e misure facilitanti i tre aspetti assunti come «particolarmente rilevanti del contesto normativo e programmatico nazionale», così come previsti nel documento di economia e finanza per il 2015, riferiti alla sicurezza, alla trasparenza e alla mobilità intelligente;
   a definire per la regione Calabria, atteso l'obiettivo sancito nel documento di economia e finanza per il 2015 di adeguare la programmazione nazionale in materia di infrastrutture strategiche agli indirizzi comunitari, anche in adempimento a quanto richiesto per l'accesso ai fondi comunitari e, in particolare, a quanto previsto dalle «condizionalità ex ante» relative all'obiettivo tematico 7 «Promuovere sistemi di trasporti sostenibili ed eliminare le strozzature nelle principali infrastrutture di rete», interventi di adeguamento e riallineamento del sistema dei trasporti Calabria, eventualmente anche attraverso una rimodulazione dei fondi 2014/2020, agli standard europei sanciti dagli obiettivi strategici della rete transeuropea dei trasporti Ten-T;
   a considerare strategico e irrinunciabile per la Calabria l'avvio dei processi di attuazione dei corridoi di trasporto multimodali Ten-T, previsti dal regolamento dell'Unione europea 1315/2013, incentrati, come noto, sull'integrazione modale e sull'interoperabilità dei sistemi di trasporto;
   a chiarire definitivamente le intenzioni e i programmi, se sussistono, in merito alla realizzazione dell'opera relativa al ponte sullo Stretto di Messina, nonché sull'eventuale stanziamento di ulteriori risorse, anche a copertura degli oneri derivanti da procedure di contenzioso.
(1-00923)
(Nuova formulazione) «Occhiuto, Santelli, Galati».
(25 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la dotazione regionale delle reti infrastrutturali dei trasporti calabresi è complessivamente la metà della media nazionale e la condizione della mobilità soffre di rilevanti criticità che determinano gravissime ricadute negative su cittadini e imprese;
    tra le più evidenti criticità si rammentano la mancanza di una integrazione intermodale e intramodale di cui sono esempi evidenti i collegamenti degli aeroporti calabresi con la rete ferroviaria; l'incertezza nei tempi di realizzazione delle opere autostradali (di cui è un esempio evidente la mancata conclusione dei lavori di realizzazione dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria); la scarsa capacità di governare i processi di pianificazione. Progettazione e realizzazione del sistema (di cui è esempio evidente l'assenza di un progetto per migliorare la linea ferroviaria Battipaglia-Reggio Calabria); la mancanza di coerenza rispetto alle politiche nazionali ed europee (in questo caso l'esempio evidente è connesso al rischio di una sostanziale emarginazione della regione Calabria rispetto alle reti Ten ed i relativi progetti prioritari);
    l'asse portante della viabilità regionale e interregionale è costituito dall'autostrada A3, che si estende per circa 300 chilometri e da essa, attualmente ancora interessata da lavori di ammodernamento come puntualmente evidenziati da numerosi atti parlamentari, si diramano a pettine le principali vie di comunicazione stradale. La strada statale 18, lungo la costa tirrenica, e la strada statale 106, lungo la costa ionica, costituiscono i collettori principali per i flussi provenienti dalle zone collinari e montane, mediante strade provinciali e comunali. Complessivamente le strade statali che percorrono il territorio regionale si sviluppano per circa 3.300 chilometri, quelle provinciali per circa 5.700 chilometri, quelle comunali per circa 6.700 chilometri. Per quanto riguarda quasi tutto il versante tirrenico, la gran parte delle funzioni di arteria di grande comunicazione, che storicamente venivano assolte dalla strada statale 18, sono state assorbite dalla A3, mentre, relativamente al versante ionico, esso registra ancora elevati gradi di congestionamento e di criticità, relativamente agli standard geometrici, qualitativi e di sicurezza, generati dal fatto che la strada statale 106 rappresenta, in sostanza, l'unica arteria stradale per gli spostamenti sulle medie distanze. A completare la rete stradale principale calabrese, troviamo cinque assi trasversali: la SS 280 Lamezia Terme-Catanzaro Lido; la SS 107 che congiunge Paola a Crotone; la variante strada statale 281 Marina di Gioiosa-Rosarno; l'asse stradale che da Guardia Piemontese (strada statale 283) si dirige verso la Sibaritide (strada statale 534); la trasversale delle Serre, in corso di realizzazione;
    la rete di trasporto pubblico collettivo calabrese su gomma, risulta poi decisamente sottodimensionata se confrontata con i dati delle altre regioni. Circa 90, inoltre, sono le aziende esercenti servizi di trasporto pubblico collettivo operanti nella regione, differenti per dimensione produttiva;
    la rete ferroviaria calabrese si estende per circa 855 chilometri, in gran parte lungo la fascia costiera che nel corso degli ultimi anni purtroppo sta registrando una drastica riduzione del numero delle corse garantite da Trenitalia per motivi di spending review. Sulla rete ferroviaria calabra circolano quotidianamente circa 230 treni per un totale di circa 40.000 posti offerti. La rete ferroviaria è costituita da 253 chilometri a doppio binario ed elettrificati e da 602 chilometri a binario semplice, dei quali però solo 149 chilometri sono elettrificati. La rete di trasporto ferroviaria è articolata in due linee primarie (linea tirrenica da Reggio Calabria a Praia per 240 chilometri, linea ionica da Reggio Calabria a Rocca Imperiale per 391 chilometri), da due linee trasversali e due reti complementari di collegamento. Le linee trasversali (Paola – Sibari 92 Km e Lamezia – Catanzaro Lido 48 chilometri), entrambe a binario semplice, sono in grado di offrire modesti livelli di servizio con conseguente compressione del diritto alla mobilità dei cittadini. La rete complementare, ancora più modesta per prestazioni, qualità e sicurezza, comprende la linea costiera Eccellente-Tropea-Rosarno (per 71 chilometri) e la rete delle ferrovie regionali calabre, costituita da due gruppi di linee per circa 243 chilometri;
    il traffico aereo calabrese si sviluppa mediante 3 aeroporti: Lamezia Terme, Reggio Calabria, Crotone, ma la mancata espressione della potenzialità del trasporto aereo calabrese è dovuta principalmente, come già detto, ad una carenza quantitativa e qualitativa delle strutture di supporto. Aerostazioni, parcheggi auto e parcheggi velivoli, raccordi viari e ferroviari alle reti principali, servizi di trasporto pubblico di adduzione e di scambio, sistemi informativi e di assistenza, custodia veicoli ed altro necessitano, infatti, di opere di ammodernamento e potenziamento per supportare e sostenere il trasporto aereo sia nella dimensione interregionale che internazionale. Ciò consentirebbe la possibilità di creare nuove rotte aeree centrate sugli aeroporti calabresi, dai collegamenti euromediterranei ai collegamenti con altre città del Mezzogiorno e con altre regioni del centro-nord Italia;
    il sistema portuale calabrese è, infine, costituito da una serie di porti di diverse dimensioni e funzioni, localizzati su entrambi i versanti della regione. Per quanto riguarda la movimentazione delle merci, si possono distinguere 6 scali principali: Reggio Calabria, Villa San Giovanni, Vibo Valentia, Crotone, Corigliano e soprattutto Gioia Tauro. Per le caratteristiche peculiari della regione, enorme rilevanza è assunta dalla rete di porti turistici che necessiterebbero, tuttavia, di un quadro strategico di riferimento. Tra essi si ricorda il porto di Crotone, fino a pochi anni fa, destinato esclusivamente al traffico industriale, ed oggi in fase di riconversione, quello di Tropea e Roccella Jonica, sino ai porti del sistema costiero dell'intera fascia tirrenica calabrese. Quest'ultimo tratto di costa registra una crescente domanda di portualità (più di 20 nuovi progetti di porti turistici), aprendo ampi e variegati temi di discussione sull'utilità degli interventi, la sostenibilità, la rilevanza economica e l'impatto ambientale;
    il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha recentemente comunicato la pubblicazione dell'aggiornamento dell'Anagrafe delle opere pubbliche incompiute di interesse nazionale. L'elenco doveva essere compilato sull'apposito sistema entro il 30 giugno 2015 dalle regioni e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e si riferisce alle opere incompiute al 31 dicembre 2014. Nel dettaglio la ripartizione regionale vede in testa la Calabria con ben 93 opere incompiute su un numero complessivo di 649 opere pubbliche che non sono state completate in Italia, al netto di quelle afferenti alla regione Sicilia;
    appare quanto mai urgente intervenire con decisione per rilanciare il sistema infrastrutturale e trasportistico della regione Calabria attraverso interventi strategici coerenti con le esigenze di un territorio dalle enormi potenzialità;
    purtroppo la regione Calabria, come pure la regione Sicilia, ormai da molti, troppi anni, si trova al centro di un dibattito che comprende l'area dello Stretto e la potenziale realizzazione di un'opera faraonica: il ponte sullo Stretto di Messina. Si tratta di un dibattito poco utile allo sviluppo di questo territorio in termini complessivi, con il rischio concreto di rendere sterile qualsiasi iniziativa efficace per il futuro della Calabria e affossare l'obiettivo prioritario di potenziare e riqualificare le infrastrutture esistenti;
    sotto tale profilo suscitano particolare perplessità le recenti dichiarazioni rilasciate alla stampa nazionale da parte del Ministro dell'interno, onorevole Angelino Alfano, che ha dichiarato, si presume per motivi eminentemente elettorali quanto segue: «Non vediamo la ragione per la quale non si debba più parlare di ponte sullo Stretto. Abbiamo pronto un disegno di legge per rimettere al centro la questione, anche se sappiamo che una parte della sinistra italiana si oppone» e ancora «non è possibile che l'Alta velocità arrivi fino a Reggio Calabria e poi ci si debba ’tuffare’ nello Stretto, per poi ricominciare a viaggiare a ... bassa velocità. Questo è un progetto che vogliamo rilanciare»;
    peraltro, attualmente, l'alta velocità arriva a Salerno e nel novembre 2014 l'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, onorevole. Maurizio Lupi, aveva chiarito dichiarando pubblicamente che: «Il capitolo sul Ponte sullo Stretto è chiuso perché lo ha chiuso qualcun altro. Le leggi in Italia si rispettano» e ancora: «Qualcuno, nel 2012, ha approvato con legge la decisione di mettere in liquidazione la società »Ponte sullo stretto di Messina». Ci sono contenziosi in corso, e quindi lo Stato dovrà, tenendo conto di quella legge, fare gli atti e prendere le decisioni conseguenti»,

impegna il Governo:

   ad adottare con urgenza ogni iniziativa, anche normativa, finalizzata a pervenire alla definitiva conclusione di tutti i lavori connessi all'autostrada Salerno-Reggio Calabria, definendo al contempo delle soluzioni per rilanciare la rete infrastrutturale dei trasporti calabresi, alla luce delle considerazioni espresse in premessa nel presente atto di indirizzo sulla necessità di realizzare finalmente in forma integrata il sistema dei trasporti calabrese, potenziando e riqualificando il complesso delle infrastrutture esistenti (strade, autostrade, rete ferroviaria, aeroporti e porti) e rafforzando la rete di trasporto pubblico collettivo calabrese su gomma;
   ad adottare un approccio di analisi del territorio calabrese dove le persone e le imprese siano posti al centro del sistema, favorendo modelli partecipativi all’iter decisionale pubblico che consenta di raccogliere le istanze provenienti dal basso e ricondurle a un approccio di sistema;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza volta a favorire da parte della regione Calabria il perseguimento dello sviluppo sostenibile, in linea con gli altri territori europei, in modo tale che il sistema dei trasporti calabrese possa contribuire ad incrementare il livello di occupazione nella regione, il livello di coesione territoriale, la sicurezza dei cittadini, il contrasto allo spopolamento del territorio e, ancora, a ridurre i livelli di emissione di inquinanti nel territorio;
   a confermare che la realizzazione dell'opera relativa al Ponte sullo Stretto di Messina rappresenti realmente un capitolo chiuso per l'attuale Esecutivo, nonché ad astenersi da qualsiasi iniziativa volta a favorire in qualsiasi modo il rilancio e la realizzazione del progetto del Ponte sullo Stretto di Messina.
(1-00987)
«Franco Bordo, Scotto, Pellegrino, Zaratti, Costantino, Palazzotto, Paglia, Airaudo, Placido, Piras, Ricciatti, Ferrara, Marcon, Duranti, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Pannarale, Sannicandro, Zaccagnini».
(18 settembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    le scelte operate negli ultimi anni in materia di portualità, logistica, servizi universali ferroviari, nonché collegamenti aerei e stradali hanno fortemente penalizzato la regione Calabria, costringendola ad una situazione di isolamento e degrado;
    il diritto alla mobilità dei cittadini calabresi è stato fortemente ridimensionato dal degrado delle infrastrutture esistenti e dalla mancanza di una politica strutturale in grado di razionalizzare le risorse esistenti e programmare un piano di investimenti al passo con le sopravvenute esigenze di mobilità;
    i collegamenti all'interno della regione Calabria e quelli da e per la regione sono stati caratterizzati negli ultimi anni dall'interruzione di strategiche arterie stradali, dalla soppressione di numerosi treni nazionali, dall'isolamento della Calabria ionica, dal ridimensionamento di importanti aeroporti quali Reggio Calabria e Crotone, nonché della poca importanza riconosciuta al porto di Gioia Tauro;
    relativamente alla mobilità stradale, la principale arteria è rappresentata dall'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria che ha una estensione complessiva di 443 chilometri, dei quali 118 situati nella regione Campania, 30 in Basilicata e 295 nella regione Calabria;
    il tracciato è tutt'oggi oggetto di continui lavori di manutenzione, ammodernamento e messa in sicurezza, con pesanti ricadute sulla viabilità stradale. Dal sito dell'Anas si apprende come, a fronte di 355 chilometri di rete stradale realizzata, sono ancora in corso i seguenti lavori: 20 chilometri con lavori in corso di esecuzione, relativi al macrolotto 3 parte 2 tra gli svincoli di Laino Borgo (chilometro 153+400) e Campotenese (chilometro 173+900); 10 chilometri, relativi al tratto finale dell'autostrada tra lo svincolo di Campo Calabro (chilometro 433+750 circa) e lo svincolo di Reggio Calabria/Santa Caterina (chilometro 442+920), da sottoporre a intervento di messa in sicurezza (cosiddetto restyling), con bando di gara pubblicato a luglio 2015; per i restanti chilometri di autostrada si prevede un piano di interventi di adeguamento e messa in sicurezza dei relativi tratti autostradali (corpo stradale e opere d'arte presenti), comprensivo anche di alcuni nuovi svincoli richiesti da regioni e enti locali, in parte già finanziato per quanto riguarda i seguenti tratti: 6 chilometri, relativi al tratto tra il viadotto Stupino (chilometro 280+350) e lo svincolo di Altilia (chilometro 286+000), per il quale sono in corso le procedure finalizzate all'appalto dei lavori; 10 chilometri, relativi al tratto tra lo svincolo di Rogliano (chilometro 270+700) e il viadotto Stupino (chilometro 280+350), da appaltare. Sempre da appaltare è l'intervento relativo al nuovo svincolo di Laureana di Borrello, in provincia di Reggio Calabria, situato al chilometro 377+750;
    come si evince dai dati di cui in parola, la tratta più interessata dai lavori di messa in sicurezza ed ammodernamento, e dunque più critica, è quella che interessa la regione Calabria;
    vista l'importanza dell'opera, l'entità delle risorse interessate e le caratteristiche del territorio, l'attività di ammodernamento è stata oggetto di diverse indagini sulle infiltrazioni della ’ndrangheta nei relativi appalti;
    nel 2002 con l'operazione denominata «tamburo» furono eseguite 40 ordinanze di custodia cautelare tra imprenditori, esponenti delle ’ndrine e lavoratori dell'Anas con il sequestro di varie imprese. Nel 2007, con l'operazione «arca», furono arrestate 15 persone appartenenti a imprese aggiudicatarie di subappalti dell'autostrada;
    secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia, Antonio Di Dieco, le ’ndrine si sarebbero ripartite gli appalti per l'ammodernamento dell'autostrada A3 secondo logiche territoriali, e precisamente: alla famiglia di Castrovillari sarebbe stata affidata la tratta dal confine con la Basilicata fino a Mormanno; alle famiglie della Sibaride e di Cirò la tratta Mormanno-Tarsia; alle famiglie di Cosenza la tratta Tarsia-Falerna; alle famiglie di Lamezia la tratta Falerna-Pizzo;
    è del tutto evidente come le infiltrazioni malavitose hanno avuto, ed hanno tuttora, un forte impatto all'interno della situazione in cui si trova attualmente l'autostrada in questione;
    le perenni cantierizzazioni hanno ricadute non solo in termini di viabilità, ma anche sugli operai. Dal 2010 ad oggi hanno perso la vita dodici operai;
    l'ultimo episodio, costato la vita ad un giovane operaio di venticinque anni precipitato da una altezza di 80 metri, ha portato alla chiusura per svariati mesi del viadotto «Italia», costringendo gli automobilisti diretti a Reggio Calabria a proseguire lungo la strada costiera tirrenica e quelli diretti a Salerno a deviare lungo un tortuoso percorso sulle strette strade di montagna del massiccio del Pollino, evidentemente inadeguate ad accogliere un afflusso di traffico così importante e a consentire un passaggio regolare dei mezzi pesanti;
    nei periodi di chiusura del viadotto la Calabria ha di fatto vissuto una situazione di reale isolamento e sono state tante le ricadute in termini di mobilità delle persone e delle merci, tanto da indurre il 3 giugno 2015 la giunta regionale calabrese a chiedere alla Presidenza del Consiglio dei ministri di indire lo stato di emergenza e di istituire una commissione ministeriale ispettiva per verificare «le cause dell'evento e quantificarne gli enormi danni alle attività economiche calabresi»;
    secondo una stima resa nota dall'Anas, per il completamento dei lavori di messa in sicurezza e per la chiusura di tutti i cantieri, occorrerebbe stanziare ulteriori 2,3 miliardi di euro, a fronte degli oltre 8 miliardi di euro già stanziati;
    tale situazione caratterizzata da cantierizzazioni costanti, pettorine arancioni presenti in quasi ogni chilometro di strada, deviazioni e tutta una serie di altri disservizi per l'utenza, secondo le previsioni del Presidente del Consiglio dei ministri dovrebbe risolversi «al massimo il prossimo anno» con la chiusura di tutti i lavori;
    suddetta previsione risulta poco confortante e veritiera, soprattutto se considerate tutte le affermazioni rese precedentemente dai responsabili e dagli addetti ai lavori, tra i quali Pietro Ciucci, Corrado Passera e Silvio Berlusconi che avevano indicato il 2013 come data di fine lavori;
    nemmeno la tratta dell'autostrada A3 che interessa la regione Basilicata è esente da criticità. Sebbene dal sito dell'Anas non risulti aperto nessun cantiere, i 30 chilometri di autostrada che attraversano la regione sono caratterizzati da numerose deviazioni, chiusure al traffico per lavori incompleti e gravi problemi infrastrutturali. Il tratto lucano, all'altezza della galleria «Renazza» Lagonegro-Lauria, può certamente essere definita ad alta pericolosità rispetto a tutto il percorso dell'autostrada A3. Infatti, si sono susseguiti negli anni una serie di incidenti stradali, anche mortali, causati dalla presenza di ghiaccio e nebbia sul tracciato poiché inadeguato alle condizioni climatiche del posto. Gli interventi sull'infrastruttura hanno mitigato i disagi, ma non hanno risolto il problema dell'insicurezza della stessa. Negli ultimi mesi, inoltre, sul percorso appena citato, si sono verificati anche gravi incidenti nei cantieri in conseguenza ad alcune frane che hanno causato gravi danni alla salute degli addetti ai lavori;
    la seconda arteria stradale regionale, per importanza, è la strada statale n. 106 «Jonica», anche ribattezzata «strada della morte», che ha un'estensione complessiva, da Taranto a Reggio Calabria, di 491 chilometri, di cui 39 chilometri nella regione Puglia, 37 chilometri nella regione Basilicata e 415 chilometri nella regione Calabria;
    non mancano criticità nemmeno relativamente a questa strada, che risulta essere, lungo il tratto regionale, del tutto inadeguata ad accogliere i volumi di traffico a causa di un'errata progettazione, di una pessima manutenzione, della presenza di guard rail del tutto non conforme e di una cartellonistica pubblicitaria «selvaggia», oltre che di una scarsa illuminazione;
    nella regione Calabria l'Anas ha previsto sia interventi di adeguamento e messa in sicurezza della strada statale n. 106 esistente nei punti di maggiore pericolosità, sia la realizzazione di nuovi tratti in variante a quattro corsie per la realizzazione di un itinerario di lunga percorrenza;
    tratti della nuova strada statale n. 106 a quattro corsie sono stati già realizzati tra Rocca Imperiale e Roseto Capo Spulico (Cosenza), al confine con la Basilicata per circa 15 chilometri, mentre ulteriori tratti già ammodernati interessano le zone a ridosso dei centri abitati di Gabella Grande (frazione di Crotone), 17 chilometri tra lo svincolo di Squillace (Catanzaro) e lo svincolo di Simeri Crichi (Catanzaro) nell'ambito del megalotto 2 (dove attualmente sono in corso i lavori relativi al prolungamento della strada statale n. 280) ed infine, sul megalotto n. 1, tra Locri e Marina di Gioiosa Jonica, sono stati ultimati circa 12 chilometri ed aperti al transito 10,5 chilometri;
    la nuova strada statale n. 106 «Jonica» dovrebbe essere completamente integrata con l'autostrada Salerno-Reggio Calabria mediante la realizzazione di arterie trasversali di collegamento come la nuova strada statale n. 182 «Trasversale delle Serre», già in parte in esecuzione, la strada statale n. 280 «dei due mari» e la strada statale n. 534 tra lo svincolo di Firmo (autostrada A3) e Sibari (megalotto 4);
    sui tratti inaugurati appena tre anni fa si sono già verificati crolli e interruzioni, con conseguente aumento dei costi sostenuti dall'Anas;
    sui tratti interessati dai crolli la commissione atta a valutare il progetto, nel verbale n. 8 del 9 dicembre 2004 aveva espresso le proprie perplessità, giudicando non valutabili le varianti proposte, e poi realizzate contenute nel progetto Astaldi;
    anche la vicenda relativa alla strada del Medio Savuto, potenziale infrastruttura viaria di fondamentale importanza per la Calabria centrale perché progettata per collegare il raccordo autostradale del Medio Savuto (strada statale n. 616) e la strada dei «dei due mari» (strada statale n. 280), lede fortemente il diritto alla mobilità nella regione Calabria;
    suddetta infrastruttura, progettata per essere una alternativa veloce e più breve rispetto all'autostrada A3 per raggiungere i principali centri urbani calabresi situati nelle province di Catanzaro e Cosenza, i cui lavori sono iniziati negli anni 1980, ancora non ha visto la luce ed è oggetto di continui finanziamenti da parte del Cipe, senza però che vi siano dei reali sviluppi in termini di realizzazione dell'opera, né tanto meno una copertura totale;
    particolarmente importante per la mobilità locale sarebbero una rapida realizzazione dei lavori del secondo lotto, già finanziato dal Cipe, e l'individuazione delle risorse necessarie a completare l'intero tracciato;
    analoga situazione di criticità si registra per quanto attiene ai collegamenti ferroviari;
    secondo quanto emerso dal rapporto «Pendolaria 2014», in Calabria si è assistito in quattro anni a tagli per il 16,3 per cento, un aumento delle tariffe del 20 per cento, assenza di stanziamenti per il servizio e per il materiale rotabile ed una drastica riduzione sulla quantità di treni per chilometro che passano da 7,4 a 5,8;
    nel corso del 2014 la regione Calabria ha tagliato circa 10 milioni di euro al contratto di servizio con Trenitalia, già impoverito di molto negli ultimi anni. In seguito a questa decisione a partire dal mese di giugno 2015 è stata decretata la soppressione di ben 26 treni regionali solo sulla linea jonica tra Reggio e Metaponto e tra Catanzaro Lido e Lamezia. In seguito alle trattative tra regione e Trenitalia i tagli sono poi diventati 16, con 10 corse ripristinate. Ma allarmano le notevoli riduzioni su alcuni linee, come la jonica e la linea Rosarno-Lamezia Terme centrale via Tropea;
    drammatica è proprio la situazione della linea Catanzaro Lido-Lamezia Terme parzialmente rinnovata nel 2008 con la costruzione della variante Catanzaro Lido-Settingiano e della nuova stazione di Catanzaro-Germaneto. Infatti, dopo un taglio di circa 10 milioni di euro da parte della regione sul contratto di servizio avvenuto la scorsa estate la linea Catanzaro Lido-Lamezia Terme centrale è stata classificata come tratta a scarso traffico e vede 10 collegamenti al giorno (per senso di marcia) di cui solo 3 con treni regionali. Il resto è stato sostituito con autobus. In pratica, si è tornati alla sostituzione dei treni con i mezzi su gomma, proprio come nel periodo di interruzione della ferrovia tra il novembre 2011 e l'aprile 2013, a seguito del crollo di un ponte tra Marcellinara e Feroleto Antico. Nonostante sia una linea di 42 chilometri, a binario unico risulta strategica, perché unisce i versanti tirrenico e jonico della Calabria tanto da aver fatto proporre la sue elettrificazione più volte negli ultimi anni. I tagli, quindi, aggiungono disagi per un'area, quella jonica, già martoriata sul fronte del trasporto ferroviario e che già da anni non può raggiungere in modo diretto in treno Lamezia Terme centrale, avendo spezzato i collegamenti regionali provenienti dalla Jonica sud (Reggio Calabria/Roccella Jonica) e da Crotone/Sibari, a Catanzaro Lido;
    anche i treni a più lunga percorrenza hanno subito dei cambiamenti importanti nel corso degli ultimi anni, mentre addirittura finiranno nel dimenticatoio la maggior parte dei treni notturni, che almeno allo stato attuale sono destinati a scomparire. In Calabria tra il 2010 e il 2011 sono stati soppressi 4 intercity notturni e addirittura 12 treni «espressi», che permettevano, con un costo contenuto, di collegare questa regione sia con la Sicilia sia con Roma. Solo nel 2013 sono stati tagliati gli «espressi» diretti a Torino, Milano, Venezia e Bolzano, mentre nel 2012 i tagli più gravi hanno riguardato la linea jonica. In quest'ultimo caso, oltre alla mancanza ormai di passaggio dei treni, con un solo treno al giorno tra Metaponto e Reggio Calabria (ed un cambio a Catanzaro Lido), si assiste anche alla chiusura di biglietterie di stazioni importanti come Sibari e Crotone;
    la presenza di servizi su gomma in sovrapposizione al treno, alle porte del 2015, non è più accettabile: sono costi che ingiustamente vengono sostenuti dai cittadini calabresi, peraltro beffati due volte, visto che il servizio è assolutamente poco appetibile a causa degli alti tempi di percorrenza (compresi tra 45 e 50 minuti per percorrere 42 chilometri),

impegna il Governo:

   ad attuare, per le parti di competenza, le opportune iniziative affinché, in tempi rapidi, siano ammodernati o ricostruiti i 20,5 chilometri che necessitano ancora di intervento ed ultimati i 98,65 chilometri devono ancora essere cantierizzati e, quindi, ad assumere iniziative concrete finalizzate a definire, in tempi brevi e certi, l’iter conclusivo dei lavori dell'intero tracciato dell'autostrada A3 Salerno Reggio-Calabria;
   ad attuare le opportune iniziative, anche in collaborazione con l'Autorità nazionale anticorruzione, affinché venga eliminato il rischio di infiltrazioni malavitose nell'affidamento di appalti e concessioni per la costruzione, ricostruzione e manutenzione della tratta autostradale Salerno-Reggio Calabria;
   ad assicurarsi che all'interno dei cantieri vengano rispettate le norme in materia di sicurezza del lavoro;
   ad assumere ogni utile iniziativa volta a garantire il reale godimento da parte dei cittadini calabresi del diritto alla mobilità anche attraverso lo stanziamento di ulteriori risorse da destinare al ripristino, rivalorizzazione e implementazione delle linee ferroviarie, anche quelle considerate a scarso traffico, attraverso lo studio di nuovi programmi di mobilità, favorendo, ove possibile, il trasporto su ferro rispetto a quello su gomma;
   ad adoperarsi affinché vengano potenziati i collegamenti lungo le principali direttrici nazionali e regionali, assicurando una integrazione modale con porti, aeroporti e stazioni ferroviarie;
   a vigilare affinché venga garantita una rete di collegamenti ferroviari in linea con gli standard nazionali per quanto attiene la velocità e la modernità dei mezzi;
   ad adoperarsi affinché, relativamente alla strada statale n. 106, si provveda nel minor tempo possibile alla messa in sicurezza dei tratti esistenti e alla realizzazione dei nuovi tratti in tempi certi, secondo logiche di correttezza, economicità ed efficienza, rivalutando in alcuni tratti l'analisi costi-benefici e riducendo al minimo l'impatto ambientale dell'opera;
   ad individuare le risorse necessarie al completamento di tutto il tracciato della strada del Medio Savuto e ad intervenire affinché vengano realizzati nel più breve tempo possibile gli interventi già finanziati ricompresi nel secondo lotto.
(1-00990)
«Parentela, Liuzzi, Micillo, Nesci, Dieni, Mannino, Busto, Daga, De Rosa, Terzoni, Zolezzi, Dell'Orco, Nicola Bianchi, Carinelli, De Lorenzis, Paolo Nicolò Romano, Spessotto».
(21 settembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la politica per la coesione territoriale ha lo scopo di incrementare le opportunità di sviluppo (crescita e inclusione sociale) dei cittadini, indipendentemente dal luogo in cui vivono e trae fondamento e legittimazione dalla Costituzione italiana (articolo 119, quinto comma, e articolo 3, secondo comma) e dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (articolo 174), che richiedono «interventi speciali» per «rimuovere gli squilibri economici e sociali» (Costituzione) e per promuovere uno «sviluppo armonico» (Trattato);
    il settore dei trasporti riveste un ruolo fondamentale in termini civili e sociali ed è una realtà rilevante nell'economia nazionale, svolgendo un'attività fondamentale che contribuisce in via prioritaria al soddisfacimento di interessi pubblici di carattere generale;
    il grado di civiltà di un Paese dipende in larga parte dalla qualità della dotazione infrastrutturale inerente, in particolare, al settore dei trasporti e dalla sua diffusione capillare sul territorio, in grado di consentire il raggiungimento di luoghi e persone dislocate nelle varie realtà locali in tempi rapidi e moderni;
    nelle regioni italiane il peso e l'importanza determinante dei trasporti e delle infrastrutture, settori il cui sviluppo è storicamente legato alla crescita dell'intera società nell'ambito delle democrazie più avanzate, hanno condizionato in maniera differente e disomogenea la crescita delle varie realtà territoriali, con particolare riferimento al divario, sempre crescente, tra il Nord e il Sud del Paese;
    i problemi infrastrutturali, le carenze nei servizi, la vetustà del materiale, l'assenza di forme di integrazione e informazione pregiudicano, da parte degli utenti, la scelta di tale modalità di trasporto, che dovrebbe essere prevalente su determinate scale territoriali;
    per quanto concerne la viabilità del Sud del nostro Paese, il tracciato dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, di estensione complessiva di 443 chilometri, attraversa i territori della Campania (chilometri 118), della Basilicata (chilometri 30) e della Calabria (chilometri 295) e rappresenta un'arteria primaria per gli spostamenti Nord-Sud, oltre che un asse strategico della rete autostradale nazionale ed europea;
    il presidente della regione Calabria, Mario Oliverio, nell'incontro del 2 settembre 2015, ha affrontato con il Ministro Delrio i principali temi per lo sviluppo della regione: i collegamenti ferroviari tra la Calabria e Roma in direzione della realizzazione dell'alta velocità tra Battipaglia e Reggio Calabria, senza trascurare l'ammodernamento e il miglioramento dei servizi ferroviari della fascia ionica;
    al miglioramento della logistica saranno destinati gli interventi del «pon trasporti» al fine di rafforzare i servizi tra Gioia Tauro, area centrale del sistema logistico regionale, e la direttrice ionica. Le misure sul sistema infrastrutturale stradale saranno destinate prevalentemente a interventi di completamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, di ammodernamento della strada statale n. 106 Ionica con la messa in sicurezza dei tratti che presentano maggiori criticità, di messa in sicurezza della strada statale n. 18 e di completamento delle trasversali, a partire dalla trasversale delle Serre;
    il presidente Oliverio ha illustrato al Ministro Delrio l'ultimo provvedimento adottato dalla giunta per l'attivazione della ZES a Gioia Tauro, sulla quale il Governo ha garantito il suo impegno, e si è infine vagliata anche la possibilità di istituire un'autorità portuale unica per tutta la portualità calabrese ed il collegamento ferroviario con i porti di Corigliano e Crotone, nonché la realizzazione del gateway a Gioia Tauro;
    per i lavori dell'autostrada A3 è delineabile attualmente il seguente quadro:
     a) 355 Km chilometri (per 53 interventi complessivi), di cui 118 chilometri in Campania, 30 chilometri in Basilicata e 207 chilometri in Calabria;
     b) 20 km chilometri lavori in corso di esecuzione, relativi al macrolotto 3 parte 2 tra gli svincoli di Laino Borgo (chilometro 153+400) e Campotenese (chilometro 173+900), consegnato nel 2014. Inoltre, si sta completando la messa in opera, sulla tratta Salerno-Buonabitacolo, di un sistema di gestione del traffico comprensivo del sistema Vergilius di controllo della velocità;
     c) 10 chilometri, relativi al tratto finale dell'autostrada tra lo svincolo di Campo Calabro (chilometro 433+750 ca.) e lo svincolo di Reggio Calabria/Santa Caterina (chilometro 442+920), da sottoporre a intervento di messa in sicurezza (cosiddetto restyling), con bando di gara pubblicato a luglio 2015;
    per i restanti chilometri di autostrada si prevede un piano di interventi di adeguamento e messa in sicurezza dei relativi tratti autostradali (corpo stradale e opere d'arte presenti), comprensivo anche di alcuni nuovi svincoli richiesti da regioni e enti locali, in parte già finanziato per quanto riguarda i seguenti tratti:
     a) 6 chilometri, relativi al tratto tra il viadotto Stupino (chilometro 280+350) e lo svincolo di Altilia (chilometro 286+000), per il quale sono in corso le procedure finalizzate all'appalto dei lavori;
     b) 10 chilometri, relativi al tratto tra lo svincolo di Rogliano (chilometro 270+700) e il viadotto Stupino (chilometro 280+350), da appaltare. Sempre da appaltare è l'intervento relativo al nuovo svincolo di Laureana di Borrello, in provincia di Reggio Calabria, situato al chilometro 377+750;
    l'importo complessivamente finanziato è pari a 8,233 miliardi di euro, dei quali ad oggi quasi nulla ha contribuito allo sviluppo della regione Calabria, poiché nessuna delle ditte era calabrese e circa il 60 per cento degli operai non erano calabresi, comportando un’«emigrazione» degli stanziamenti;
    il quadro non migliora viaggiando con le linee ferroviarie: considerando la banca dati di indicatori territoriali per le politiche di sviluppo (Istat-Dps), tra il 2000 ed il 2011 l'indice di utilizzo del trasporto ferroviario, inteso come le persone che utilizzano la ferrovia almeno una volta all'anno sul totale degli abitanti con età superiore ai 14 anni, ha evidenziato una diminuzione di 2,1 punti percentuali e, tra il 2000 ed il 2010, anche l'utilizzo della ferrovia per il trasporto delle merci ha registrato una contrazione dell'1,3 per cento;
    a fronte di un mancato miglioramento del servizio per alcune tratte tra la Calabria e Roma, i prezzi dei biglietti sono notevolmente aumentati, come, ad esempio, nel tragitto tra Paola (Cosenza) e Roma: nell'ottobre del 2009 l’Eurostar, treno 9372 (con tariffa base, in seconda classe di 52 euro) partiva alle ore 8.31 ed arrivava alle ore 12.00, mentre oggi, il treno Frecciargento 9372 (con tariffa base, in seconda classe, di 67 euro) parte da Paola alle ore 8.26 e arriva alle ore 11.55. Ciò dimostra che, a distanza di 4 anni, il tempo di percorrenza è rimasto invariato, mentre il prezzo del biglietto è aumentato del 28,85 per cento;
    i tempi di percorrenza presentano condizioni di enorme disagio in alcune aree tra Calabria e Puglia dove si utilizzano treni assolutamente obsoleti ed in condizioni sanitarie oggettivamente impraticabili; basti pensare che per percorrere la tratta Taranto-Reggio Calabria, lunga 473 chilometri, occorrono 7 ore e 5 minuti, mentre per raggiungere Roma da Crotone bisogna prendere 4 treni diversi, con una media di 9 ore di percorrenza,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di prevedere misure urgenti volte a ridurre il gap tra il Meridione e il resto d'Italia nel settore dei trasporti, sia per quanto riguarda la rete autostradale sia per quanto riguarda quella ferroviaria;
   a valutare la possibilità di introdurre immediate politiche per migliorare i livelli dei servizi di Trenitalia e contribuire a portare a compimento, in tempi rapidi, i programmi infrastrutturali di crescita e di sviluppo della rete ferroviaria, avviati e da avviare da parte di Rete ferroviaria italiana, nelle aree meridionali del Paese;
   ad attuare le misure già previste da tempo e ad adottarne di nuove per garantire la piena transitabilità del tratto autostradale dell'autostrada Salerno Reggio-Calabria e a porre un termine per la conclusione dei lavori dell'intero tratto dell'autostrada A3 Salerno Reggio-Calabria;
   a valutare la possibilità di presentare alle Camere uno o più disegni di legge, ovvero, qualora se ne ravvisino i presupposti, di adottare iniziative normative d'urgenza, ovvero di introdurre specifiche disposizioni all'interno di iniziative normative di carattere più generale, per rimuovere questi evidenti ed ingiusti ostacoli che bloccano la mobilità nelle regioni del Sud;
   ad assumere iniziative per prevedere, nel rispetto della normativa vigente, in via prioritaria ed urgente misure a favore di ditte calabresi operanti nel settore dei trasporti e dei lavoratori in esse impiegati, al fine di recare un immediato e forte beneficio per l'economia regionale;
   ad assicurare la massima efficienza per quanto attiene l'intermodalità nelle zone più «sensibili» quali l'aeroporto di Lamezia e di Reggio Calabria e le strutture di Porto Gioia Tauro, di Villa San Giovanni e di Paola;
   a prevedere, anche in successive iniziative normative, un fondo dedicato e un progetto concretamente finalizzato ad una rapida ultimazione e messa in sicurezza della strada statale n. 106, realizzando una linea ferroviaria adeguata ed efficiente per la costa ionica.
(1-00991)
«Barbanti, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».
(21 settembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    lo sviluppo e ammodernamento del settore infrastrutturale della regione Calabria è senz'altro ostacolato da condizioni oggettive non facili, dovute alle specificità orografiche che condizionano sia la scelta dei tracciati che l'esecuzione e la manutenzione delle opere viarie;
    la Calabria è parte del Mezzogiorno, anzi è la regione che, secondo molti indicatori, è quella in maggiori difficoltà nel sistema meridionale, ma è anche quella che occupa una posizione geograficamente centrale in tale area;
    un'analisi approfondita dei livelli qualitativi e di sicurezza delle infrastrutture di trasporto, con attenzione anche ai fenomeni di mobilità, evidenzia le criticità del sistema viario e mostra in tutta la sua gravità il gap infrastrutturale della Calabria rispetto ad altre realtà regionali. Particolarmente critica appare l'esigenza di manutenzione straordinaria di strade, viadotti e gallerie che richiederebbe una programmazione di investimenti costante;
    questa situazione, oltre a limitare la possibilità di crescita delle imprese e a deprimere le condizioni sociali dei calabresi, si riflette sull'intero Mezzogiorno e costituisce un elemento di criticità per il Paese con impatti sulla competitività e sulla produttività del sistema economico italiano;
    il Governo deve farsi carico del fatto che il sistema della viabilità e del trasporto passeggeri e merci della Calabria sconta gravi ritardi – soprattutto in termini di ammodernamento delle reti esistenti su scala regionale – con intere porzioni di territorio, come la provincia di Crotone, nelle quali non sono assicurate condizioni di mobilità alle persone ed ai soggetti economici paragonabili a quelle di tutto il resto del territorio europeo;
    la principale arteria stradale di collegamento della regione con il resto del Paese, l'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, è di fatto l'unica arteria che percorre il versante sud-occidentale della penisola, nodo di traffico di enorme rilievo per i collegamenti e l'approvvigionamento di merci e beni di prima necessità;
    qualunque interruzione di questa arteria ha effetti gravissimi sulle condizioni quotidiane di vita delle persone e sull'intera economia regionale;
    è da considerare che il tratto dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, tra gli svincoli di Laino Borgo e Mormanno, compreso il «viadotto Italia» e la nuova galleria, a lungo interrotto per verifica tecnica a seguito del crollo del suddetto viadotto, è stato riaperto solo a luglio 2015; si ricorda, tra l'altro, che sono in corso di progettazione i lavori di ammodernamento del tratto tra Pizzo Calabro e Sant'Onofrio;
    oltre all'autostrada A3la Calabria dispone, com’è noto, di due assi costieri della viabilità stradale primaria, la strada statale n. 18 sul versante tirrenico (importante arteria di collegamento tra la Campania e la Calabria) e, soprattutto, la strada statale n. 106 jonica che risulta fondamentale (e sostanzialmente unica) per i tutti i collegamenti tra la Calabria, la Puglia e l'autostrada A14, oltre che per il trasporto interno fra l'area della Sibaritide, del Crotonese, dello Ionio catanzarese, della Locride e del versante sud-orientale dell'Aspromonte. Si tratta di un sistema stradale fragile e troppo esposto in quanto la strada statale n. 106 presenta criticità infrastrutturali ben note, sia per le caratteristiche costruttive (sezioni viarie modeste e disomogenee, tracciati plano-altimetrici vetusti e non adeguati ai livelli di traffico), sia per le condizioni di circolazione. Tali direttrici viarie si sono trasformate nel tempo in attraversamenti urbani, in cui i flussi veicolari sono spesso interrotti e rallentati dalla presenza di accessi secondari, di attività commerciali e di semaforizzazioni. Anche gli assi trasversali della viabilità primaria sono interessati in alcuni tratti da fenomeni di congestione per l'attraversamento di centri abitati (strada statale n. 107 Paola – Crotone) e da bassi standard di sicurezza (strada statale n. 682 Rosarno-Marina di Gioiosa Ionica);
    rappresenta, quindi, una positiva novità il fatto che proprio la statale 106 sarà oggetto di investimenti attraverso la riprogrammazione dei fondi pon delle reti e mobilità;
    è da sottolineare che il 6 agosto 2015 il Cipe ha approvato il contratto di programma 2015, l'atto che regola i rapporti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Anas s.p.a. in ordine agli investimenti per la realizzazione di nuove opere e la manutenzione della rete stradale di interesse nazionale. In particolare, il contratto di programma 2015 prevede la realizzazione di 254 interventi sulla rete stradale nazionale per un valore economico di 1 miliardo e 115 milioni circa di euro. In particolare, per la regione Calabria sono previsti 29 interventi per la somma di 105,7 milioni di euro: ciò rappresenta un fatto positivo che consentirà di intervenire sulle arterie calabresi con grandi benefici per gli utenti;
    è, altresì, da sottolineare che, con il decreto-legge cosiddetto «sblocca Italia», sono stati approvati interventi di manutenzione straordinaria sulla strada statale n. 18. Il cosiddetto «decreto del fare» ha previsto, inoltre, lo stanziamento di risorse economiche sempre per la strada statale n. 18;
    ma è soprattutto sui collegamenti ferroviari che si registrano gravi carenze dovute all'inadeguatezza di molte linee locali e al ridimensionamento del servizio: oggi si segnala, in particolare, il grave isolamento ferroviario della zona jonica calabrese che abbassa, al di sotto dei livelli di servizio oggi ritenuti essenziali, la qualità della vita e la possibilità di relazioni economico-commerciali di aree urbane e metropolitane sempre più distanti dall'Europa;
    il miglioramento della rete ferroviaria del Sud è uno degli interventi previsti dal piano di azione coesione definito dal Governo nel dicembre 2011 e successivamente aggiornato nel mese di maggio 2012, anche sulla base degli aggiornamenti derivanti dal contratto di programma Rete ferroviaria italiana 2007-2011 (aggiornamento 2010-2011 approvato dal Cipe con delibera n. 4 del 20 gennaio 2012);
    secondo il piano di azione coesione, in coerenza con il contratto di programma Rete ferroviaria italiana 2007-2011, la Calabria risulta beneficiaria di 3 macrointerventi, oggetto del contratto istituzionale di sviluppo per il completamento della direttrice ferroviaria Salerno-Reggio Calabria, siglato il 18 dicembre 2012 tra il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, le regioni Calabria, Campania e Basilicata, Ferrovie dello Stato italiane s.p.a., Rete ferroviaria italiana s.p.a.:
     a) l'asse ferroviario Salerno-Reggio Calabria (velocizzazione della linea Battipaglia-Reggio Calabria ed all'aumento della capacità potenziale di trasporto sulla rete);
     b) la dorsale ionica e collegamento Lamezia Terme-Catanzaro;
     c) la tratta Taranto - Sibari - Gioia Tauro;
    tuttavia, occorre domandarsi quale è l'effettiva funzionalità in prospettiva della rete: le criticità principali che condizionano negativamente i servizi di trasporto ferroviario calabresi riguardano la presenza di colli di bottiglia dovuti a tratte a binario unico (Castiglione Cosentino-Paola), limitazioni consistenti sul carico assiale (Paola-Sibari e Sibari-Taranto) e limitazioni sulla sagoma limite (soprattutto sulla direttrice tirrenica, a nord di Paola);
    per quanto concerne il traffico merci, la direttrice tirrenica non rappresenta ancora, a causa di alcune limitazioni infrastrutturali e di capacità, una delle vie privilegiate di diffusione del traffico container che interessa il porto di Gioia Tauro;
    per quanto riguarda la situazione del servizio aeroportuale, è da ricordare che il nuovo piano aeroporti ha riservato ai tre scali calabresi di Lamezia Terme, Reggio Calabria e Crotone la qualifica di aeroporti di interesse nazionale, anche in considerazione dei problemi di «continuità territoriale» dovuti alle citate carenze del sistema infrastrutturale complessivo della Calabria, e particolarmente della fascia jonica. Il Governo ha – in tal modo – confermato un'attenzione al sistema infrastrutturale calabrese che ha un segno positivo. Questo segnale è, però, insufficiente se non si accompagnerà nel prossimo futuro a scelte che favoriscano un processo di ulteriore crescita;
    tale crescita deve traguardare, soprattutto, le potenzialità turistiche ancora inespresse e deve puntare all'obiettivo della valorizzazione delle potenzialità turistiche della stessa Calabria;
    recentemente si è tenuto un incontro tra il presidente della regione Calabria ed il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti con l'illustrazione di una proposta che sarà oggetto di incontri con Rete ferroviaria italiana, Anas, Enac, Trenitalia per approfondire i singoli aspetti relativi all'azione da avviare per attuare il potenziamento del sistema dei trasporti. Le problematiche rilevate sono quelle del collegamento tra la Calabria ed il resto del nostro Paese e l'Europa, attraverso politiche che adeguino il sistema di mobilità. In questo contesto è stata posta l'esigenza di avviare subito uno studio di fattibilità per l'alta velocità ferroviaria da Battipaglia a Reggio, che è stata condivisa dai partecipanti e che deve essere supportata da coerenti azioni di governo. Nello stesso incontro è stata rilevata l'urgenza dell'adeguamento della mobilità sulla ferrovia ionica, anche attraverso investimenti strutturali e di ammodernamento del materiale rotabile; è stata, inoltre, posta la necessità di completare l'autostrada A3 e di rafforzare gli investimenti sulla strada statale n. 106, sbloccando quelli già disponibili e programmandone di nuovi dove servono, anche per intervenire sull'elevata incidentalità mortale che si riscontra su quell'arteria;
    queste iniziative del Governo sono certamente positive e vanno nella giusta direzione, tuttavia qualunque iniziativa volta al miglioramento del sistema infrastrutturale calabrese rimarrebbe monca se non si confrontasse con i temi strategici posti dal progetto del ponte sullo Stretto: l'unica opera che può invertire il trend alla marginalizzazione di tutta un'area geografica dotata invece di una felicissima posizione geo-economica. Tanto felice da suscitare le attenzioni interessate e gli ostruzionismi dei grandi competitor che mirano a ridimensionare il peso economico dell'Italia;
    è evidente a chiunque guardi con oggettività all'Italia e ai suoi interessi che il ponte sullo Stretto non solo è elemento indispensabile di una catena logistica in grado di ridare dignità all'intero Mezzogiorno, ma ha le caratteristiche idonee a segnare quel punto di svolta per lo sviluppo dell'Italia e per l'avvio di una nuova fase di crescita e di coraggiosa espansione sui nuovi mercati;
    rappresenterebbe un messaggio di coraggio e di laicità riaprire – lontano da ogni oscurantismo – una fase di esame del progetto del ponte sullo Stretto di Messina e di un suo eventuale miglioramento, aperti ad una valutazione comparata di costi e benefici, secondo il modello non ideologico, non divisivo, ma pragmatico con cui l'opinione pubblica, i Parlamenti e i Governi dei più evoluti Paesi europei affrontano i grandi temi dello sviluppo, dell'ambiente e dell'interesse nazionale;
    inoltre, deve essere sempre ribadito che il target europeo indica – tra gli altri – due obiettivi di sostenibilità: trasferire il 30 per cento al 2020 e il 50 per cento al 2050 del traffico stradale verso altri modi: ferrovia, trasporto marittimo ed idrovie; collegare porti, aeroporti e idrovie del core network Ten-T con linee ferroviarie ad alta velocità; questo obiettivo – se preso sul serio dall'Italia – implica prima di tutto una riconsiderazione delle strategie di sviluppo ferroviario del Mezzogiorno, ivi compresa la continuità territoriale fra Calabria e Sicilia;
    pertanto è opportuno e saggio domandarsi:
     a) se rinunciare a sviluppare un sistema alta velocità/alta capacità e abdicare al sistema Ten-T attraverso l'oggettivo declassamento dell'ex corridoio 1 (derivante dalla archiviazione del ponte) non significhi decidere il declino inesorabile dell'intero Mezzogiorno;
     b) se il prolungamento del corridoio Baltico-Adriatico fino a Taranto-Gioia Tauro-Stretto di Messina, Catania-Palermo non rappresenti oggi l'unica vera prospettiva di sviluppo del Sud, a partire dalle grandi potenzialità della sua portualità e della sua economia del mare;
     c) quanto – in questo quadro – rischia di essere inutile prevedere tratte di secondo livello (Bari-Napoli o Messina-Catania Palermo) se mancano i collegamenti di primo livello alle reti lunghe, a partire dal Ten-T cargo. Infatti, studi economici dimostrano che senza il ponte sullo Stretto, opera anzitutto ferroviaria, le tratte siciliane non reggeranno economicamente e dovranno essere sempre sostenute dal pubblico,

impegna il Governo:

   ad assegnare agli interventi sul sistema infrastrutturale calabrese un livello di urgenza nell'agenda governativa proporzionale alla gravità delle emergenze segnalate e un livello di priorità proporzionale ai rischi di marginalizzazione dai grandi flussi dell'economia del futuro dell'intero Mezzogiorno, e con esso dell'intera Italia, che uscirebbe da tale partita ridimensionata a piccolo e insignificante Stato regionale, con una ristretta area economica – quella padana – ancora viva ma definitivamente subalterna alle strategie di grandi attori posti tutti a Nord delle Alpi;
   ad affrontare il tema dell'ammodernamento delle reti infrastrutturali della Calabria in un'ottica di sistema meridionale e di modernità territoriale, centrata prima di tutto sulla logica europea di sistema intermodale tale da raggiungere gli standard di mobilità e di servizi coerenti con i 10 obiettivi per le reti Ten-T negli orizzonti 2020-2030-2050;
   a favorire, nei limiti delle competenze e dei poteri propri, la creazione di una società unica di gestione dei tre aeroporti calabresi, che potrebbe rappresentare la soluzione per assicurare e rafforzare la credibilità e le competitività del sistema aeroportuale della regione, considerato che ciò consentirebbe di sviluppare politiche commerciali e turistiche più articolate, di incrementare le opportunità di trasporto rispetto ai diversi target di utenza, oltre che rafforzare economicamente le attuali singole società aeroportuali, e che un'unica società garantirebbe anche una maggiore trasparenza nel controllo delle procedure e delle attività amministrative;
   a ribadire – in tutte le sedi – l'impegno dell'Italia alla realizzazione dei corridoi longitudinali e segnatamente del corridoio ferroviario alta velocità/alta capacità lungo l'intero asse tirrenico, includendo sia i collegamenti con il polo portuale di Gioia Tauro, sia ovviamente la continuità con la Sicilia e superando veti che – nel prossimo futuro – saranno sempre più avvertiti come incompatibili con le esigenze degli operatori economici e con la domanda di mobilità dei residenti e dei visitatori;
   a valutare l'opportunità di una riconsiderazione del progetto del ponte sullo Stretto di Messina quale possibile elemento di una strategia di riammagliatura del sistema infrastrutturale del Mezzogiorno.
(1-00993)
«Dorina Bianchi, Garofalo, Piso, Sammarco, Scopelliti».
(21 settembre 2015)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   diversi Paesi balcanici sono interessati da un imponente afflusso di migranti irregolari in uscita dalla Turchia e non sempre di certa origine, posto che ai siriani in fuga dalla guerra civile si mischiano anche afghani, pakistani e gente appartenente ad altre nazionalità ulteriori, ad esempio curdi iraniani, spesso priva di documenti o viaggiante con documenti falsi;
   l'afflusso imponente ed improvviso ha già indotto diversi Stati europei a chiudere le frontiere o comunque assumere misure tese a deflettere almeno in parte la pressione;
   sono di particolare interesse per il nostro Paese le scelte compiute dalla Serbia, dalla Croazia e dall'Ungheria, dal momento che possono canalizzare da un momento all'altro le maggiori correnti migratorie irregolari verso la frontiera del Tarvisio, già da mesi in realtà testimone di un numero significativo di passaggi clandestini;
   con precedenti atti di sindacato ispettivo, si era conseguentemente attirata l'attenzione sull'inopportunità della scelta di sguarnire il presidio frontaliero di Tarvisio, sottolineando come l'apprezzamento dell'emergenza avesse portato a stringere accordi con l'Austria che hanno permesso ad un certo numero di poliziotti di quel Paese di perlustrare i nostri treni nel Friuli Venezia Giulia, ancorché disarmati;
   in considerazione di quanto è accaduto e sta verificandosi in questi giorni, non sarebbe inopportuno prepararsi a fronteggiare l'eventuale emergenza, in particolare reintegrando e possibilmente potenziando il presidio di Tarvisio, in modo tale da poter chiudere il confine, all'occorrenza, per effettuare controlli su chi entra, in particolare sull'autenticità dei relativi documenti, bloccando sul posto coloro che risultino provenire da Paesi sicuri, cioè non interessati da alcun conflitto –:
   se il Governo si stia preparando o meno a fronteggiare un'eventuale, sempre più probabile, emergenza migratoria alla frontiera nord-orientale del nostro Paese, in particolare inviando rinforzi al Tarvisio per chiudere eventualmente la frontiera e bloccare gli accessi a coloro che risultino in possesso di documenti falsi o provenire da Paesi che non versano in stato di guerra. (3-01711)
(22 settembre 2015)

   SANTERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ospitalità per gli immigrati negli alberghi rientra nel Sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati e destinatari di protezione sussidiaria (Sprar);
   come è noto, lo Sprar è stato istituito nel 2002 in seguito a un accordo stipulato dal Ministero dell'interno, dall'AnciI e dall'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), che hanno cercato di mettere ordine nei programmi di accoglienza in precedenza gestiti a livello locale;
   il Ministero dell'interno emana periodicamente un bando per l'assegnazione dei posti, gli enti locali interessati – con le organizzazioni del terzo settore selezionate a livello locale – partecipano al bando e i progetti vengono approvati se «idonei» in base a una serie di parametri piuttosto rigidi. In pratica, enti locali e associazioni mettono a disposizione dei posti letto e lo Stato sceglie di quali usufruire attraverso un bando, che tiene conto dei costi e di altri criteri. Secondo i dati del Ministero dell'interno i posti finanziati per gli anni 2014-2016 sono 20.744: tra questi rientrano anche, tra le varie strutture, alcuni alberghi. Nella grandissima parte dei casi, stando alle informazioni disponibili, si tratta di strutture distanti dagli hotel in cui si passano le vacanze ma che vengono considerate, comunque, tra le migliori e più adeguate sistemazioni che lo Stato oggi possa mettere a disposizione di chi richiede asilo e protezione;
   la questione dell'accoglienza degli immigrati ha suscitato da più parti accese discussioni, con particolare riferimento alle forme di ospitalità da offrire a coloro che fuggono da guerre e miseria;
   al di là delle reazioni emotive dell'opinione pubblica, appare ben più grave l'atteggiamento di chiusura e di ostilità palesato da parte di soggetti istituzionali, che non si addicono a chi è chiamato a collaborare alla soluzione delle problematiche correlate al fenomeno migratorio. Ultimo in ordine di tempo il voto favorevole del consiglio regionale della Lombardia ad un emendamento che dispone l'esclusione da una serie di benefici di quegli albergatori che si dichiarino disponibili ad ospitare nelle loro strutture immigrati come disposto dal citato Sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati e destinatari di protezione sussidiaria (Sprar) –:
   se il Ministro interrogato possa fornire dettagli sullo stato di aggiornamento del sistema Sprar sopra ricordato e che appare utile strumento non solo per un'accoglienza degna nei confronti di chi giunge in Italia in cerca di asilo e protezione, ma anche risposta concreta alle comprensibili preoccupazioni dei cittadini, oltre che alle estemporanee iniziative come quelle sopra ricordate e che a parere dell'interrogante si collocano in aperta difformità con quanto disposto dalle autorità statali competenti in materia d'immigrazione.
(3-01712)
(22 settembre 2015)

   LOCATELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Ca’ Matta è una struttura del Parco dei Colli di Bergamo situata nel comune di Ponteranica in località Maresana; è centro educativo che offre percorsi di educazione e sostenibilità ambientale rivolti a gruppi e a scuole di ogni ordine e grado; è ostello della gioventù, destinato al turismo giovanile, scolastico, sociale e di gruppo, in grado di ospitare alcune decine di persone, anche in autogestione;
   dal mese di giugno 2010 Ca’ Matta è gestita da Sol.Co. città aperta, un consorzio di cooperative sociali che opera a Bergamo e nel suo hinterland, nell'ambito territoriale di Dalmine e di Seriate;
   già nell'estate 2014, su richiesta della prefetta di Bergamo, dottoressa Francesca Ferrandino, e con il consenso dell'assemblea dei sindaci, ente preposto alla gestione del Parco dei Colli, nella struttura era stato ospitato un gruppo di rifugiati/richiedenti asilo;
   anche nel mese di agosto 2015 la stessa struttura era stata individuata e utilizzata come tappa provvisoria di circa un mese per 30/40 profughi;
   a seguito di tale iniziativa alcuni sindaci di comuni facenti parte del Consorzio Parco dei Colli hanno dichiarato di aver bloccato il pagamento delle quote del Parco (sindaco di Torre Boldone) o indicato agli uffici di attendere istruzioni prima di effettuare i bonifici (sindaco di Sorisole);
   come riportato da L'Eco di Bergamo il 5 settembre 2015, l'assessora all'ambiente della regione Lombardia è intervenuta nella questione minacciando il taglio del contributo al Parco dei Colli, motivando questa intenzione con l'uso improprio della struttura: «Di fronte al persistere di utilizzi impropri delle strutture dei parchi regionali lombardi, enti di diritto pubblico istituiti con legge regionale – ha detto l'assessora Claudia Terzi – è pertanto mia intenzione procedere, con gli strumenti adeguati, ad una revisione dei trasferimenti regionali che tenga conto, come fattore penalizzante, dell'utilizzo improprio del patrimonio affidato alla gestione dei parchi stessi»;
   sullo stesso argomento l'assessora all'ambiente ha dichiarato: «L'accoglienza non può e non vuole essere favorita in alcun modo dalla regione (...)» (dall'inserto di Bergamo de Il Corriere della Sera dell'8 agosto 2015);
   il 16 settembre 2015 il consiglio regionale lombardo ha approvato una nuova legge quadro sul turismo, stanziando fondi per 25 milioni di euro; all'articolo 72 la nuova legge prevede che i contributi regionali legati a questo provvedimento non siano destinabili a strutture alberghiere e non alberghiere, il cui fatturato negli ultimi tre anni non sia stato integralmente legato ad attività turistica;
   la tragedia che si sta svolgendo nel Mediterraneo, con i barconi carichi di disperati che sono in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni nei loro Paesi di origine, impone una collaborazione tra le istituzioni che permetta di organizzare per queste persone, con gli strumenti e le strutture a disposizione, un'accoglienza organizzata, come previsto dal diritto internazionale;
   in passato i predecessori del Ministro interrogato, anche di orientamento politico diverso (dai Ministri Scajola e Pisanu all'attuale presidente della giunta lombarda Maroni, che da Ministro dell'interno nel 2011 dichiarò l'emergenza per il Nord Africa), chiesero alle regioni di mettere a disposizione strutture e offrire ospitalità;
   rifugiati e richiedenti asilo hanno diritto all'accoglienza e le comunità bergamasca e lombarda si sono sempre contraddistinte per spirito solidale e per generosità anche attraverso numerose attività di volontariato –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di assicurare politiche compatibili con il diritto internazionale, con gli impegni espressi dal nostro Paese in occasione dei Consigli europei, quale quello del 14 settembre 2015 tra Ministri dell'interno dell'Unione europea, e in altri incontri a livello europeo in tema di accoglienza di profughi e richiedenti asilo.
(3-01713)
(22 settembre 2015)

   POLVERINI, BRUNETTA, VITO, OCCHIUTO e SANTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Carta costituzionale ha previsto, per i cittadini in uniforme, attraverso il combinato disposto degli articoli 49, 52 e 98, il potere/dovere di concorrere democraticamente all'esercizio della sovranità popolare, all'interno di una propria scelta di natura politica;
   proprio per questo, a partire dal 1990, il legislatore non ha più proceduto al rinnovo annuale della disposizione di cui all'articolo 114 della legge n. 121 del 1981 («Nuovo ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza»), che aveva posto il divieto per gli appartenenti alle forze di polizia di iscrizione a partiti politici;
   in mancanza di ulteriori proroghe, l'articolo 114 della legge n. 121 del 1981 è, quindi, oggi inoperante, permettendo ope legis a tutti gli appartenenti alla polizia di Stato di iscriversi liberamente a partiti politici senza limitazioni di sorta e di svolgere attività come quella di ricoprire incarichi in seno a movimenti politici;
   nonostante quanto sopra riportato sia noto, risulta agli interroganti l'avvio di un procedimento disciplinare nei confronti dell'assistente della polizia di Stato, Giovanni Iacoi, in quanto, nella qualità di appartenente al Corpo di polizia, avrebbe esercitato i suddetti diritti ricoprendo l'incarico di coordinatore del Lazio de «L'Esercito di Silvio» e preso parte a manifestazioni del movimento politico Forza Italia, a quanto risulta agli interroganti documentalmente al di fuori dell'orario di lavoro, al di fuori del luogo di lavoro e senza mai indossare l'uniforme in ossequio alle prescrizioni cui all'articolo 81 della legge n. 121 del 1981;
   per quanto risulta inoltre agli interroganti, vi sarebbe stata la ripetuta insistenza del dirigente generale dell'ispettorato di pubblica sicurezza presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel motivare e pretendere provvedimenti in merito al caso citato, anche in relazione ad affermazioni che sembrano infondate, quali quelle che il signor Giovanni Iacoi avrebbe cancellato dal profilo personale di facebook alcune affermazioni che testimoniavano semplicemente, ed in modo consono al proprio incarico, le proprie posizioni politiche rappresentate in qualità di coordinatore Lazio de «L'Esercito di Silvio»;
   per di più, il suddetto procedimento disciplinare sarebbe stato instaurato oltre i termini di 90 giorni stabiliti dalla normativa (articolo 120 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, in relazione all'articolo 103 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 e all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 1981) –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per verificare, per quanto di competenza, la legittimità delle azioni riportate in premessa, più in generale come intenda garantire la libertà di espressione politica degli appartenenti alla polizia di Stato e quali urgenti iniziative intenda adottare nei confronti di chi prova a rimuovere le condizioni tese a tutelare tale libertà. (3-01714)
(22 settembre 2015)

   MOLEA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a fine luglio 2015, il presidente dell'Aics di Bologna, Serafino D'Onofrio e molti suoi colleghi hanno ricevuto decine di telefonate da uomini che chiamano da un numero «sconosciuto», i quali, affermando di appartenere ad un sindacato di polizia, chiedono, anche al fine di evitare «controlli e ispezioni», un contributo per l'abbonamento alla loro rivista di 140 euro e per ricevere adesivi e altro materiale dell'associazione;
   a una delle persone chiamate che cercava di capire di quale sindacato si stesse parlando, è stato fatto il nome del Coisp: una sigla sindacale che effettivamente esiste e che di recente è balzata agli onori della cronaca per aver querelato la mamma di Federico Aldrovandi;
   Stefano Del Monaco, presidente dell'associazione Fuoridea, nell'intento di smascherare la truffa, è andato oltre, lasciando l'indirizzo per ricevere il pacco di riviste; ma, di fronte al pagamento in contrassegno di 168 euro, non l'ha ritirato e neanche aperto, rinviandolo al mittente chiuso;
   il Coisp, però, nel frattempo, su carta intestata e da un indirizzo mail certificato, gli presenta la pubblicazione del sindacato e lo ringrazia per la «fiducia accordata»;
   si legge nella mail che «l'abbonamento annuale al bimestrale Ps sicurezza e polizia dà diritto al ricevimento di sei numeri con periodicità bimestrale oltre l'annuario di presentazione, un piccolo omaggio da parte della casa editrice dove abbiamo deciso di raccontare le origini della polizia con i suoi percorsi storici e culturali fino ai giorni nostri»;
   a preoccupare D'Onofrio (che, per tutelare i propri associati, ha deciso di denunciare l'accaduto alle forze dell'ordine, portando la mail del Coisp alla polizia postale) è anche il fatto che un elenco di numeri e nominativi pubblicati on line «come elemento di trasparenza» possa venire utilizzato per attività di dubbia legittimità, come sta accadendo;
   a Bologna, ad esempio, l'Aics conta 350 associazioni per un totale di 85.000 tesserati: in molti casi si tratta di associazioni che non hanno un ufficio, per cui i responsabili hanno messo i propri numeri di cellulare direttamente on line;
   è sembrato improbabile che quegli imprecisati «venditori» fossero in qualche modo collegati a un sindacato di polizia: lo stesso questore di Bologna, Ignazio Coccia, di fronte alla già richiamata denuncia fatta dal presidente, aveva escluso il coinvolgimento di qualsiasi sigla di rappresentanza degli agenti;
   il fatto strano è che, come si può facilmente vedere dal sito del Coisp, la quota di adesione per l'abbonamento «ordinario» alla rivista bimestrale di informazione, cultura e attualità sindacato (Ps sicurezza e polizia) è proprio di 140 euro (160 per l'abbonamento «sostenitore» e 180 per il «benemerito»);
   in rete, tra l'altro, si trovano notizie relative a una truffa analoga a questa risalente ad alcuni anni fa: evidentemente si tratta di una modalità già utilizzata dai truffatori –:
   se non intenda in tempi rapidi fare chiarezza sulla vicenda, nonché adottare ogni iniziativa di competenza al riguardo.
(3-01715)
(22 settembre 2015)

   COSCIA, BONACCORSI, RAMPI, MANZI, NARDUOLO, GHIZZONI, MALPEZZI, COCCIA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA, BINI e MALISANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   venerdì 18 settembre 2015 il Colosseo, il Foro Romano e Palatino, le Terme di Diocleziano e Ostia Antica sono rimasti chiusi dalle 8,30 alle 11.30 del mattino per un'assemblea sindacale;
   questo ha creato notevoli disagi a migliaia di turisti in fila, che aspettavano il loro turno per accedere ai siti archeologici;
   Europasia e Cescat-centro studi casa, ambiente e territorio di Assoedilizia rivela che il settore del turismo dopo anni di indicatori negativi segna quasi ovunque dati positivi: più italiani in vacanza (incremento dell'8,6 per cento rispetto al 2014) ed è continuata la crescita dell'afflusso dei turisti stranieri, più 2,5 per cento (nel 2015 hanno visitato il nostro Paese 48 milioni di turisti);
   il tentativo in atto di rilanciare il Paese, anche in questo settore, inizia, dunque, a dare i suoi frutti. Perché a questa azione sia conferita la necessaria continuità ed efficacia è fondamentale il buon funzionamento sia della parte gestionale sia degli aspetti comunicativi e, in questo senso, episodi come quello di venerdì 18 settembre 2015 destano seria preoccupazione, anche perché se n’è avuta una serie;
   a luglio 2015 a duemila turisti, in gran parte stranieri, è stato precluso l'accesso agli Scavi di Pompei; qualche mese prima, il 30 gennaio 2015, un'assemblea in Piazza del Campidoglio ha portato alla chiusura di tutti i musei civici, dai Capitolini all'Ara Pacis, dalle 10 alle 14 oppure, solo per citare un altro episodio, il 29 aprile 2015, uno sciopero ha chiuso la Valle dei Templi ad Agrigento;
   con il decreto-legge n. 146 del 2015, il Governo ha assunto l'iniziativa di ricomprendere sul piano normativo i musei e i siti nell'ambito delle prestazioni pubbliche essenziali, così includendo il concetto di fruizione culturale tra i servizi di eminente rilevanza pubblica e collettiva;
   resta, tuttavia, evidente che in tali settori, pur sensibili, i diritti del lavoro, individuali e collettivi non possono subire restrizioni eccessive;
   l'assemblea di venerdì 18 settembre 2015 era stata indetta per il mancato pagamento del salario accessorio del 2014-2015, la mancata apertura della trattativa per il rinnovo del contratto e la necessità di costituire un consorzio per la gestione dell'area archeologica centrale;
   tuttavia, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con un comunicato del 21 settembre 2015, ha affermato che in data 11 settembre 2015 era stata inviata una lettera alle organizzazioni sindacali che aveva riassunto lo stato dei pagamenti; aveva reso noto di aver sbloccato lo «straordinario 2015», di aver avviato la procedura per il pagamento dei «progetti locali 2015» e aveva informato sullo stato di pagamento del fondo unico di amministrazione del 2015, pari a 49,8 milioni di euro;
   inoltre, il 14 settembre era stata inviata una lettera alle organizzazioni sindacali che aveva comunicato l'esito della citata procedura di pagamento dei «Progetti locali 2015» (pari a 12,8 milioni di euro);
   infine, il 17 settembre 2015, ossia il giorno prima dell'assemblea al Colosseo, era stata inviata una lettera alle organizzazioni sindacali per comunicare l'autorizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze al pagamento dei 49,8 milioni di euro del fondo unico di amministrazione del 2015 e che il decreto di ripartizione sarebbe stato emanato il 21 settembre 2015;
   in quella data, coerentemente con quanto annunciato, è stato firmato dal direttore generale bilancio il decreto che chiude la questione degli arretrati 2015 –:
   come intenda, da un lato, tutelare diritti dei cittadini di usufruire del proprio patrimonio culturale e l'interesse nazionale a garantire un servizio di qualità, dall'altro, predisporre efficaci e semplici procedure entro le quali siano garantiti i diritti dei lavoratori del settore e il sollecito pagamento delle loro spettanze.
(3-01716)
(22 settembre 2015)

   CHIMIENTI, COMINARDI, TRIPIEDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, CIPRINI, SIMONE VALENTE, MARZANA, VACCA, LUIGI GALLO, D'UVA, DI BENEDETTO e BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 18 settembre 2015 è stata indetta un'assemblea sindacale interna dei lavoratori dell'anfiteatro Flavio, del Foro Romano e Palatino, delle Terme di Diocleziano e del sito di Ostia Antica che ha ritardato l'apertura dei cancelli del Colosseo alle ore 11,30;
   l'assemblea era stata convocata, come esplicitato dal comunicato diramato il 16 settembre 2015 dalle rappresentanze sindacali unitarie della Ss-Col, per discutere il mancato pagamento dopo quasi un anno delle indennità di turnazione e delle prestazioni per le aperture straordinarie dei luoghi della cultura, per denunciare la mancata apertura di una trattativa di comparto per il rinnovo del contratto dei lavoratori pubblici, bloccato per la parte economica da molti anni nonostante la recente sentenza della Corte costituzionale, per la costituzione del «Consorzio per la gestione dell'area centrale» e per la mancata apertura di un confronto sull'organizzazione del lavoro all'interno della soprintendenza;
   la vicenda ha provocato la reazione del Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, che il 18 settembre 2015 ha annunciato su Twitter «non lasceremo la cultura ostaggio di quei sindacalisti contro l'Italia, oggi decreto-legge» e del Ministro interrogato, secondo cui «la misura è colma: oggi in Consiglio dei ministri proposta musei come servizi pubblici essenziali»;
   in un tweet datato 18 settembre 2015, il Sottosegretario ai beni e alle attività culturali e al turismo Francesca Barracciu ha dichiarato; «l'assemblea sindacale che danneggia centinaia di turisti che dedicano un giorno di ferie al Colosseo e decine di guide turistiche è un reato», prima di aggiungere, in risposta al commento di un utente che le chiedeva di specificare di che tipo di reato si trattasse, «reato in senso lato»;
   simili reazioni provengono anche dal presidente della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Roberto Alesse, che ha dichiarato «in gioco non c’è solo l'interesse dei lavoratori, ma del Paese, a cominciare dalla difesa della sua immagine», e dal sindaco di Roma, Ignazio Marino, che ha affermato «la chiusura di ieri del Colosseo non fa bene al Paese, alla città e all'immagine della capitale di Italia»;
   il 16 settembre 2015 le rappresentanze sindacali unitarie della Ss-Col hanno proceduto alla regolare convocazione della suddetta assemblea sindacale, diffondendola e trasmettendola lo stesso giorno all'amministrazione, come previsto dalla legge;
   nella comunicazione all'amministrazione viene esplicitata anche l'indicazione della comunicazione avvenuta, a termine di legge, già l'11 settembre 2015, e cioè una settimana prima che l'assemblea si svolgesse;
   il soprintendente di Roma, Francesco Prosperetti, come si legge in un articolo apparso su Il Fatto quotidiano il 18 settembre 2015, precisa che: «tutto si è svolto regolarmente, l'assemblea non aveva come oggetto il Colosseo, il problema è nazionale e riguarda il mancato rinnovo del contratto e il mancato pagamento del salario accessorio: non ci sono rivendicazioni nei confronti della soprintendenza, ma del datore di lavoro generale che è Mibact»;
   la suddetta assemblea sindacale, nonostante l'importanza dei temi trattati, non è stata volutamente convocata nel periodo estivo perché, come spiega il coordinatore nazionale della Uil beni culturali Enzo Feliciani al fattoquotidiano.it in data 18 settembre 2015: «Ci era stato chiesto di non fare assemblee nel periodo di luglio e agosto perché a maggior afflusso di turisti e così abbiamo fatto. Una volta terminato questo periodo e non ricevendo risposte ai problemi che abbiamo rappresentato in ogni sede l'abbiamo convocata, rispettando tutti i termini di legge»;
   l'ordinamento italiano riconosce il diritto di sciopero ad ogni individuo e l'articolo 40 della Costituzione repubblicana stabilisce in senso ampio che «Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano»;
   le norme sul diritto di sciopero vengono ulteriormente trattate dalla legge 12 giugno 1990, n. 146, rubricata «Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge»;
   il diritto di assemblea sindacale è disciplinato dallo Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970), il quale, all'articolo 20, prevede il diritto dei lavoratori a riunirsi nell'unità produttiva in cui prestano la loro opera;
   l'assemblea sindacale sancisce il diritto di tutti i lavoratori a riunirsi, nel luogo ove prestano la loro opera, per trattare un ordine del giorno prestabilito e vertente su materie di interesse sindacale e del lavoro. Ogni lavoratore ha diritto a dieci ore annue retribuite per potere partecipare alle assemblee indette nell'unità produttiva alla quale appartiene;
   nella serata del 18 settembre 2015 il Consiglio dei ministri ha varato il cosiddetto «decreto-legge Colosseo», con cui i musei e i luoghi culturali diventerebbero servizi essenziali e come tali vincolati a precise e più rigide regole per quanto concerne la regolamentazione di scioperi e assemblee;
   come sottolineato da Lidia Undiemi sul fattoquotidiano.it in data 21 settembre 2015, «riguardo al caso specifico, l'intenzione è quella di modificare la legge 146 che regolamenta lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, per far rientrare la “fruizione” dei beni culturali fra i servizi pubblici essenziali. In caso di assemblee e mobilitazioni i lavoratori potrebbero anche essere precettati. L'obiettivo pare evidente: ridurre il potere di contrattazione dei lavoratori e dare maggior peso alla voce del “padrone”, equiparando l'ingresso dei turisti in vacanza in un sito archeologico all'assistenza ospedaliera»;
   il presidente della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Roberto Alesse, come si legge in un articolo pubblicato su Il Fatto quotidiano del 19 settembre 2015, dichiara che: «la legge 146 resta una buona legge, che ha dato buoni frutti ma che necessita di essere attualizzata. Penso a tutto il dibattito sulla rappresentatività sindacale, che secondo me è un altro nodo centrale da dover sciogliere e mi chiedo se non sia questa la sede, la conversione del decreto-legge, per ampliare una riflessione» –:
   se e in che tempi intenda costituire un tavolo di confronto per avviare una discussione, di concerto con le rappresentanze sindacali, sul mancato pagamento delle indennità di turnazione e sul mancato rinnovo del contratto dei lavoratori pubblici di cui in premessa. (3-01717)
(22 settembre 2015)

   PANNARALE, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO e ZARATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la rappresentanza sindacale unitaria della soprintendenza archeologica di Roma ha tenuto il 18 settembre 2015 un'assemblea generale dei lavoratori per discutere delle gravi questioni e dei gravi disagi vissuti dai lavoratori in ordine alle problematiche che sono state poste all'ordine del giorno;
   l'assemblea generale era stata richiesta secondo le norme contrattuali e regolarmente comunicata all'amministrazione in data 11 settembre 2015 e giudicata perfettamente legittima dallo stesso soprintendente Prosperetti nelle sue dichiarazioni riportate da importanti fonti giornalistiche. La rappresentanza sindacale unitaria aveva inoltre diffuso in anticipo un comunicato stampa che segnalava possibili disagi per i visitatori;
   l'assemblea è stata calendarizzata ad inizio turno per ridurre al minimo i disagi dei visitatori, comportando la chiusura al pubblico dei siti archeologici e dei musei per due ore e mezza. Alle ore 11.00 i cancelli sono stati regolarmente riaperti;
   iniziative analoghe avvengono in tutti i Paesi d'Europa, come il caso dei lavoratori della National Gallery di Londra, in mobilitazione da diversi mesi contro la privatizzazione dei servizi, o i lavoratori della Tour Eiffel a Parigi, che nel 2014 hanno chiuso per ben tre giorni il monumento più visitato di Francia senza che a nessuno degli esponenti politici o dei media di questi Paesi sia venuto in mente di mettere in discussione i diritti fondamentali dei lavoratori;
   in Italia, l’«espressione» nel rispetto delle leggi vigenti di un diritto sancito dalla Costituzione è stata messa pesantemente in discussione con le dichiarazioni del Ministro interrogato, che con il Governo ha deciso di varare prontamente un decreto-legge «contenente misure urgenti per il patrimonio storico-artistico della nazione»;
   il testo è composto da un unico articolo (a parte l'entrata in vigore) e chiarisce che l'apertura al pubblico di musei e luoghi della cultura rientra tra i servizi pubblici essenziali disciplinati dalla legge n. 146 del 1990. Tale legge sostiene che «sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione». L'accesso a monumenti e siti archeologici evidentemente non rientra in nessuna di queste fattispecie;
   lo stesso presidente della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali a parere degli interroganti ha approfittato della situazione che si è venuta a creare per intervenire del tutto impropriamente sul diritto di sciopero, a dispetto del ruolo di garanzia che dovrebbe esercitare;
   la tutela del patrimonio culturale italiano rientra già nella normativa sui servizi essenziali, stabilendo il limite tra l'esercizio di un diritto fondamentale dei lavoratori e le esigenze dei cittadini. Nel caso di assemblea dei lavoratori, peraltro, la stessa normativa contrattuale prevede la formazione di presidi a tutela dell'integrità dei siti; andare oltre questo limite significa mettere in discussione i diritti costituzionali: –:
   in che modo il Ministro interrogato ritenga che la convocazione dell'assemblea sindacale abbia violato la disciplina legislativa vigente in materia e quali responsabilità si contestino ai lavoratori e alle loro organizzazioni sindacali. (3-01718)
(22 settembre 2015)

   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Colosseo, l'area archeologica Palatino e il Foro Romano sono aree archeologiche tra le più visitate in Italia, che registrano circa cinque milioni di presenze all'anno;
   il 18 settembre 2015 il Colosseo e gli altri siti archeologici più importanti di Roma sono rimasti chiusi a causa di un'assemblea sindacale nell'ambito della quale i lavoratori hanno rivendicato il riconoscimento del salario accessorio e il rinnovo contrattuale;
   i sindacati hanno dichiarato che la loro manifestazione era stata regolarmente convocata e autorizzata e che le polemiche nate a causa del fatto che i turisti hanno dovuto sopportare lunghe attese sarebbero state strumentali e forse finalizzate ad accelerare i tempi per l'emanazione del decreto-legge volto a classificare i servizi turistici tra quelli essenziali;
   il Colosseo ogni anno, per quanto consta agli interroganti, genera incassi superiori a cinquanta milioni di euro, metà dei quali sarebbero incassati dall'associazione temporanea d'impresa Electa Mondadori e Coopculture, che gestisce la bigliettazione e i servizi di visita qualificata nel sito, in regime di concessione;
   la concessione in favore della citata associazione d'impresa opera ininterrottamente da quasi ben diciassette anni sulla base di reiterate proroghe e senza che sia mai più stata svolta alcuna gara per l'affidamento del servizio –:
   in base a quali procedure sia stato selezionato il concessionario e se non ritenga di procedere all'indizione di una gara per il rinnovo della concessione.
(3-01719)
(22 settembre 2015)

   BUTTIGLIONE e ADORNATO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 1o luglio 2014 è stato emanato il decreto ministeriale «Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul fondo unico per lo spettacolo»;
   il decreto, sin dal momento della sua pubblicazione, ha suscitato critiche da osservatori esperti e preoccupazioni fra gli operatori dello spettacolo dal vivo a causa di alcuni meccanismi relativi al sistema di valutazione delle domande e di determinazione e attribuzione dei contributi – forse non sufficientemente valutati nei loro possibili effetti dagli estensori della nuova disciplina – che sembravano elevare eccessivamente il rischio di una valutazione basata su criteri soggettivi e discrezionali;
   infatti, la valutazione della Commissione sul parametro della «qualità artistica» del progetto fa sì che, se la stessa è inferiore alla soglia di 10 punti, la domanda possa essere comunque respinta, rendendo del tutto inutili tutti gli altri parametri fondati su dati oggettivi («qualità indicizzata» e «dimensione quantitativa») e, per di più, consentendo di non tener in alcun conto neanche la storia del soggetto proponente e della sua capacità imprenditoriale (si vedi, in particolare, l'articolo 5 del decreto ministeriale);
   ora si dà il caso, che la valutazione sulla «qualità artistica» sia totalmente discrezionale e che nessuno dei candidati eventualmente esclusi abbia alcuna possibilità concreta di prevenire il rischio di una valutazione inferiore a 10 (e quindi, per ciò stesso, causa di esclusione);
   pertanto, il decreto ministeriale configura apparentemente un complicato meccanismo di combinazione di diversi elementi volto a garantire un bilanciamento dei vari fattori che dovrebbero concorrere ad una valutazione equilibrata, ma dietro tale apparenza – sostanzialmente – vi è un unico criterio di valutazione, dirimente rispetto a tutto il resto, e tale criterio è del tutto discrezionale;
   dato questo evidente esito pratico, vi è da domandarsi a che serva un così complesso meccanismo e se – anche in un'ottica di semplificazione normativa e burocratica – non fosse stato più rispondente alle esigenze di un'amministrazione moderna, efficiente e trasparente scrivere un decreto ministeriale di un unico articolo (in luogo degli attuali 50), che assegnasse alla Commissione il potere di decidere a propria totale discrezione e in assoluta libertà – cioè in base alle inclinazioni di gusto e alla sensibilità culturale dei suoi componenti – a chi assegnare i contributi e a chi no;
   nel mese di luglio 2015 sono stati emanati i decreti del direttore generale spettacolo con cui sono stati approvati i progetti artistici del settore teatro per il triennio 2015-2017;
   dagli esiti finali di tale procedura emergono numerosi casi difficilmente spiegabili, se non come frutto dell'irrazionalità di una procedura inutilmente macchinosa e sostanzialmente arbitraria; solo per fare un esempio: accade che la stessa Commissione nel 2014 abbia valutato positivamente diversi soggetti che nel 2015, invece, sono stati valutati al di sotto della soglia qualitativa minima richiesta, nonostante sia facilmente dimostrabile come tali soggetti abbiano presentato un progetto addirittura migliorativo rispetto al 2014;
   in altri casi il nuovo calcolo dei punteggi e dei contributi ha aumentato in modo spropositato rispetto al 2014 il contributo ad alcuni soggetti e diminuito fortemente quello di altri, tra i quali alcuni di qualità universalmente riconosciuta (da Glauco Mauri a Luca De Filippo, solo per citare alcuni fra i più noti anche al grande pubblico);
   in altri casi ancora accade che vengano improvvisamente escluse, anche dopo trent'anni, imprese che hanno sempre avuto riconosciuto il contributo ministeriale e che sono, quindi, destinate al fallimento, e questo accade senza un preavviso (di almeno un anno) per permettere loro di adeguarsi al nuovo sistema o attrezzarsi per affrontare una riconversione aziendale;
   la comunicazione dell'esclusione, inoltre, arriva a fine luglio, dopo che l'attività oggetto di contributo è stata già svolta per almeno il 70 per cento e sono già state affrontate le spese che dovevano essere sostenute dal contributo, dovendosi concludere tutta le attività nel corso dell'anno solare in corso –:
   se il Ministro interrogato (tenuto conto degli effetti dirompenti e del contenzioso che tale situazione sta producendo) non ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, per evitare il fallimento delle imprese che non godranno del contributo per il prossimo triennio e per aiutarle per lo meno ad affrontare la transizione al nuovo regime senza essere costrette alla chiusura immediata delle attività. (3-01720)
(22 settembre 2015)