TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 466 di Martedì 21 luglio 2015

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interrogazione

   ARLOTTI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. – Per sapere – premesso che:
   le persone con disabilità motorie, che a causa di patologie gravemente invalidanti non possono contare, in particolare, sull'uso delle mani, sono impossibilitate nella vita quotidiana ad accedere autonomamente a pratiche pubblico-amministrative che necessitano della firma di proprio pugno, come le compravendite di immobili, i contratti d'affitto o di locazione, le scritture private;
   al momento le soluzioni alternative alla normale firma, come la firma digitale, non sono in grado di superare la barriera burocratica che rende i cittadini con tali disabilità motorie completamente dipendenti da terzi che possano esercitare il ruolo di tutore, come previsto in questi casi dalla legge;
   anche il Cnipa (Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione) ha riconosciuto pienamente questo problema burocratico e legislativo;
   la stessa risoluzione Onu sulla disabilità, approvata da 187 Paesi su 187 il 31 dicembre del 2006, ha sancito l'handicap non più solo come condizione sanitaria, ma anche come fenomeno di esclusione sociale, indicando sistemi e metodiche per fronteggiarla;
   come è evidente tale handicap di tipo pubblico-amministrativo pone, di fatto, le persone disabili in una condizione di esclusione sociale che va ad aumentare le situazioni di disagio psicologico che non di rado questi cittadini sono costretti a subire;
   il problema potrebbe essere invece superato agevolmente con il riconoscimento legale dell'impronta digitale quale firma che, non potendo essere falsificata, avrebbe la garanzia di assoluta sicurezza e autenticità –:
   quali iniziative intenda avviare il Governo, anche attraverso il dipartimento per le pari opportunità, per affrontare questa problematica e riconoscere legalmente l'impronta digitale quale firma.
(3-01626)
(17 luglio 2015)

B) Interrogazioni

   BUSINAROLO, COZZOLINO, BENEDETTI, DA VILLA, NICOLA BIANCHI, TOFALO e SPESSOTTO. – Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   alcune notizie di stampa hanno portato all'attenzione dell'opinione pubblica i risultati di quanto emerso dall'indagine avviata dalla Corte dei conti per un presunto danno erariale di 861.709 euro avvenuto nel corso di una passata gestione dell'Ipab (Istituto pubblico di assistenza e beneficenza) di Chioggia;
   nello specifico, all'epoca dei fatti, nel 2010, l'allora direttore dell'istituto per anziani di Chioggia, Piergiorgio Penzo, dopo aver notato alcune irregolarità all'interno dell'istituto, propose la «gestione delle risorse umane tramite agenzia interinale»;
   in seguito a tale denuncia lo stesso fu declassato al secondo posto nell'ambito della gerarchia interna e successivamente, in data 11 gennaio 2011, ricevette una nota per cui i rapporti che le agenzie di collocamento private sarebbero dovuti rientrare nelle competenze esclusive della direzione del personale dell'Ipab;
   il caso in esame evidenzia la necessità di tutelare coloro che, come il direttore Penzo, decidono di denunciare irregolarità e comportamenti anomali nei luoghi di lavoro in cui operano, sia nel settore pubblico che in quello privato, e che, invece, molto spesso diventano bersagli di minacce, vessazioni ed atteggiamenti persecutori da parte dei denunciati;
   il tema del whistleblowing (letteralmente «soffiare nel fischietto») è divenuto quanto mai attuale ma ancora poco diffuso nel nostro Paese: i whistleblower, ovvero i lavoratori che nell'interesse pubblico segnalano eventuali atti di corruzione o irregolarità, devono essere infatti adeguatamente tutelati;
   il whistleblowing è uno strumento legale già collaudato da qualche anno, anche se con modalità differenti, in alcuni Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ma che in Italia ancora necessita di una maggiore diffusione nei vari settori lavorativi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritengano opportuno intervenire al fine di garantire un'adeguata tutela nei confronti dei lavoratori che si trasformano in oggetto di minacce e ritorsioni da parte dei soggetti denunciati a seguito di riscontri di possibili irregolarità o atti di corruzione nell'ambito lavorativo, sia pubblico che privato;
   se non ritengano, altresì, necessario assumere ogni iniziativa di competenza anche al fine di impedire che tali comportamenti irregolari (come, ad esempio, nei casi di assenteismo) arrechino ingenti danni alle casse dello Stato. (3-01627)
(17 luglio 2015)

   BUSINAROLO, DE LORENZIS e RIZZO. – Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   notizie di cronaca recenti hanno riportato all'attenzione dell'opinione pubblica un caso risalente al 2012, quando il signor G.L., tecnico professionale (geologo) in Anas spa, compartimento di Perugia, nelle vesti di direttore operativo per i lavori riguardanti la direttrice Civitavecchia-Orte-Rieti, tratta Terni (San Carlo), confine regionale, accortosi di presunte irregolarità verificatesi nel maggio 2012, si rivolgeva al nucleo di polizia tributaria (Guardia di finanza) di Perugia, esponendo che all'ex direttore dei lavori, nonché responsabile unico dei lavori, ingegner M.L., era stata liquidata nella misura del 50 per cento (pari ad un ammontare di 230.000 euro) dall'Anas spa l'incentivo riguardante l'articolo 18 della legge n. 109 del 1994;
   in particolare, veniva segnalata l'anomalia derivante dal fatto che il regolamento Anas, che stabilisce le modalità di erogazione di detto incentivo, prevede che lo stesso deve avvenire all'emissione del certificato di ultimazione dei lavori, della relazione sul conto finale, della nomina del collaudatore ed alla presentazione delle parcelle di tutti gli aventi diritto. Tutte circostanze che, però, in questa precisa situazione non si sono verificate, in quanto i lavori si trovavano a quel periodo al 70 per cento;
   nell'esposto venivano, inoltre, segnalati l'impiego delle autovetture aziendali ad uso personale e la corresponsione di un'elevata indennità di alloggio pari a circa 1.500/1.800 euro, senza l'utilizzo degli appartamenti che erano in uso ai precedenti dirigenti;
   successivamente il signor G.L. si è rivolto al servizio mobbing dell'ospedale di Foligno (Perugia), lamentando di essere divenuto bersaglio di molestie a livello morale, vessazioni, persecuzioni e violenze di natura psicologica perpetrate da alcuni suoi colleghi e superiori, nonché, a quanto consta agli interroganti, il timore della possibilità di un eventuale trasferimento in altra sede;
   bisogna ricordare, inoltre, che nel settembre del 2012 il signor G.L. ha ricevuto un avviso di garanzia dalla procura della Repubblica di Perugia per presunta violazione dell'articolo 368 del codice penale (calunnia) nei confronti dei dirigenti del compartimento Anas dell'Umbria (procedimento n. 4/114/13 RG) e nei suoi confronti veniva aperto un procedimento disciplinare;
   successivamente ai fatti sopra esposti lo stesso si è dimesso dal ruolo di direttore dei lavori a causa di un rapporto lavorativo, con i vertici aziendali, ormai gravemente incrinato;
   nell'ottobre 2014 la procura della Repubblica di Perugia ha emanato tre avvisi di garanzia nei confronti dei dirigenti dell'azienda pubblica, ramo umbro, contestando loro il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato;
   il caso sopra descritto presenta le caratteristiche che connotano il cosiddetto whistleblowing, ovvero il fenomeno per cui il lavoratore del settore pubblico, venuto a conoscenza di irregolarità ed anomalie messe in atto da colleghi o superiori, decide di denunciare l'accaduto agli organi competenti. Nella maggior parte dei casi, però, coloro che scelgono, con coraggio e determinazione, di denunciare diventano vittime di atteggiamenti persecutori e denigratori, lesivi della propria dignità e professionalità, proprio ad opera dei denunciati;
   quello del cosiddetto whistleblowing costituisce uno strumento legale operativo anche in Italia da qualche anno, ma che, ad oggi, non ha trovato la giusta e piena diffusione, proprio in virtù del timore di denunciare per evitare atteggiamenti ritorsivi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti citati in premessa e se ritengano opportuno ed improcrastinabile intervenire, ciascuno secondo la propria competenza, anche attraverso azioni di carattere normativo, al fine di favorire la piena e concreta attuazione del whistleblowing, offrendo tutela e certezza a tutti quei lavoratori del settore pubblico ma anche di quello privato, che, agendo con trasparenza ed onestà, scelgono di denunciare i colleghi o superiori «infedeli», autori di comportamenti irregolari o anomali, senza il timore di diventare vittime di soprusi e vendette trasversali. (3-01629)
(20 luglio 2015)
(ex 4-07778 del 5 febbraio 2015)

C) Interpellanza

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'articolo 18 della legge 11 novembre 2011, n. 180, recante «Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese», stabilisce che ogni anno il Governo debba presentare entro il 30 giugno, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata Stato-città ed autonomie locali, alle Camere un disegno di legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese volto a definire gli interventi in materia per l'anno successivo;
   tale norma, peraltro, come espressamente esplicitato nel primo comma dell'articolo 18 medesimo, è attuativa della comunicazione della Commissione europea COM (2008) 394 definitivo del 25 giugno 2008, recante «Una corsia preferenziale per la piccola impresa – Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la piccola impresa (uno Small business act per l'Europa)»;
   sempre secondo quanto stabilito dal citato articolo 18, tale disegno di legge deve essere diviso in sezioni;
   la prima deve contenere norme di immediata applicazione, al fine di favorire e promuovere le micro, piccole e medie imprese, rimuovere gli ostacoli che ne impediscono lo sviluppo, ridurre gli oneri burocratici e introdurre misure di semplificazione amministrativa, anche relativamente ai procedimenti sanzionatori vigenti connessi agli adempimenti a cui sono tenute le micro, piccole e medie imprese nei confronti della pubblica amministrazione;
   la seconda sezione deve contenere «una o più deleghe al Governo per l'emanazione di decreti legislativi, da adottare non oltre centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge» per realizzare gli obiettivi di sviluppo delle micro, piccole e medie imprese;
   la terza deve prevedere «l'autorizzazione all'adozione di regolamenti, decreti ministeriali e altri atti, sempre per realizzare gli obiettivi di sviluppo delle micro, piccole e medie imprese»;
   infine, la quarta sezione deve contenere «norme integrative o correttive di disposizioni contenute in precedenti leggi, con esplicita indicazione delle norme da modificare o abrogare»;
   a tale disegno di legge dovrebbe essere allegata una relazione volta a evidenziare «lo stato di conformità dell'ordinamento rispetto ai principi e agli obiettivi contenuti nella comunicazione della Commissione europea» che la legge si propone di recepire; «lo stato di attuazione degli interventi previsti nelle precedenti leggi annuali per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese, indicando gli effetti che ne sono derivati per i cittadini, le imprese e la pubblica amministrazione; l'analisi preventiva e la valutazione successiva dell'impatto delle politiche economiche e di sviluppo sulle micro, piccole e medie imprese; le specifiche misure da adottare per favorire la competitività e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese, al fine di garantire l'equo sviluppo delle aree sottoutilizzate»;
   l'articolo 18 prevede, infine, che per i fini di cui al comma 1, il Ministro dello sviluppo economico convoca il tavolo di consultazione permanente delle associazioni di categoria, per l'acquisizione di osservazioni e proposte;
   a parere dell'interpellante, la presentazione di tale disegno di legge rappresenterebbe una preziosissima e virtuosissima occasione al fine di aprire un proficuo dibattito parlamentare per l'approvazione di norme utili per lo meno ad alleviare la situazione di gravissima crisi e pesante malessere che vive da ormai troppo tempo il tessuto produttivo di questo Paese;
   di particolare importanza, in questa particolarissima contingenza economica, sarebbe l'introduzione nell'ordinamento italiano di semplificazioni amministrative e alleggerimenti, con particolare riferimento ai «procedimenti sanzionatori vigenti connessi agli adempimenti a cui sono tenute le micro, piccole e medie imprese nei confronti della pubblica amministrazione»;
   all'interpellante risulta che tale disegno di legge non sia mai stato ancora presentato alle Camere;
   l'interpellante giudica deplorevole che, sino ad oggi, non sia mai stata sfruttata la preziosa opportunità evidenziata in premessa –:
   se, nell'avvicinarsi della scadenza del 30 giugno, il Governo non ritenga ineludibile la presentazione di tale disegno di legge, soprattutto alla luce della particolarissima contingenza economica, che vede ogni giorno «soffocare» centinaia di micro, piccole e medie imprese.
(2-00552) «Luigi Di Maio».
(27 maggio 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN AMBITO INTERNAZIONALE IN RELAZIONE AL FENOMENO DEI MATRIMONI PRECOCI E FORZATI DI MINORI

   La Camera,
   premesso che:
    secondo le stime dell'Unicef nel mondo ci sono oltre 60 milioni di spose bambine a causa della pratica dei matrimoni di minori, precoci, forzati (child, early, forced marriage);
    l'Asia meridionale e l'Africa sub-sahariana sono le regioni in cui questa pratica è più largamente diffusa dove, non casualmente in coincidenza, sono presenti altri gravi fenomeni, come la mortalità materna e infantile, la malnutrizione e l'analfabetismo. Ma si registrano casi anche in Medio Oriente e Africa settentrionale, così come in Europa, compresa l'Italia, per effetto dei processi migratori, anche se il fenomeno è di difficile rilevazione, in quanto spesso queste unioni non vengono registrate;
    questi matrimoni sono quasi sempre incoraggiati e promossi dalle famiglie come rimedio alla povertà, come mezzo per «liberarsi» delle figlie, considerate un peso, perché «poco produttive», nella speranza di assicurare loro un futuro migliore, in termini sia finanziari sia sociali;
    al contrario, essi comportano una serie di conseguenze negative che segnano per sempre la vita delle spose bambine: queste ultime vengono precocemente sottratte all'ambiente della famiglia e a volte della comunità di origine, sono spesso soggette a violenze fisiche, psicologiche, economiche e sessuali, vittime di abusi e sfruttamento, impedite nelle opportunità educative (solitamente il matrimonio comporta l'abbandono scolastico) e di lavoro, vivono esperienze che comportano conseguenze pesanti sulla sfera affettiva, sociale e culturale;
    al matrimonio precoce seguono quasi sempre gravidanze altrettanto precoci, che provocano decine di migliaia morti, una quota rilevante della mortalità materna complessiva. Anche la prole da gravidanze precoci ne soffre le conseguenze: chi nasce da una madre-bambina o comunque minorenne ha un'alta probabilità di morire in età neonatale e, anche quando sopravvive, corre maggiori rischi di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici;
    già nel 1994, 179 Governi rappresentati alla Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo avevano riconosciuto il legame diretto tra matrimoni precoci, gravidanze in età adolescenziale e alti tassi di mortalità materna e sottolineato il ruolo cruciale dell'educazione nelle azioni di prevenzione;
    nel programma di azione della stessa Conferenza i Governi firmatari si erano impegnati a proteggere e promuovere il diritto degli/delle adolescenti a ricevere un'educazione sulla salute riproduttiva e a garantire l'accesso universale a queste informazioni;
    la Convenzione sui diritti dell'infanzia riconosce espressamente i/le bambini/e (ossia persone di età tra 0 e 18 anni) come titolari di diritti e l'articolo 16 della Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw) menziona il diritto di essere protette da matrimoni precoci;
    molti Paesi, compresi quelli in cui questa pratica è diffusa, hanno stabilito per legge l'età minima per il matrimonio, l'istruzione obbligatoria e i reati contro i minori, ma le norme tradizionali o di ordine religioso continuano ad avere il sopravvento sulla legislazione nazionale;
    malgrado la dichiarazione, pressoché universale, di impegno a porre fine alla pratica, si calcola che matrimoni di bambine di meno di 15 anni continueranno ad essere celebrati e che in questo decennio saranno 50 milioni le bambine che potrebbero rischiare di sposarsi prima di quell'età;
    il 22 ottobre 2014, con la risoluzione votata all'unanimità in Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati, il Governo si era sostanzialmente già impegnato ad intraprendere con urgenza ogni iniziativa utile sul fenomeno dei matrimoni precoci e forzati di minori in Iraq;
    il 18 dicembre 2014 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la prima «risoluzione di sostanza» sui matrimoni di minori, precoci e forzati; questa risoluzione comprende raccomandazioni «di sostanza» sulle quali convergono gli Stati membri, con riferimento ad iniziative da intraprendere da parte delle Nazioni Unite e delle loro agenzie, di Stati membri, organizzazioni internazionali, espressioni della società civile ed altri rilevanti attori;
    il 2 luglio 2015 il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato per consenso la risoluzione sui matrimoni precoci e forzati «Rafforzare gli sforzi per prevenire e eliminare i matrimoni precoci e forzati», il cui negoziato è stato co-presieduto da Italia e Sierra Leone;
    l'azione per prevenire ed eliminare i matrimoni di minori, precoci e forzati richiede altrettanto impegno di quello profuso nella campagna mondiale per l'eliminazione delle mutilazioni genitali femminili. Secondo i dati delle Nazioni Unite, pubblicati in occasione della giornata internazionale «tolleranza zero per le mutilazioni genitali femminili», il numero delle ragazze vittime di questa pratica, che mette in serio pericolo la loro vita, è diminuito e l'adozione unanime da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite della risoluzione del dicembre 2012, con la quale gli Stati membri sono stati invitati a intensificare gli impegni per la completa eliminazione delle mutilazioni genitali femminili, ha certamente contribuito al conseguimento di questo risultato;
    la questione dei matrimoni forzati costituisce un ulteriore e non secondario aspetto dell'azione per combattere la violenza di genere e promuovere i diritti delle donne e l’empowerment femminile;
    il nostro Paese ho svolto un grande ruolo, riconosciuto a livello internazionale, nella campagna contro le mutilazioni genitali femminili, che ha fatto acquisire all'Italia un'autorevolezza internazionale tale da consentirgli di svolgerne uno altrettanto importante nella prevenzione ed eliminazione dei matrimoni di minori, precoci e forzati;
    il nostro Paese, insieme agli altri Stati del gruppo G7 riunitosi a Bruxelles il 4 e 5 giugno 2014, ha manifestato la sua determinazione per promuovere la parità di genere, porre fine a tutte le forme di discriminazione e di violenza contro donne e ragazze, porre fine ai matrimoni di minori, precoci e forzati e promuovere la piena partecipazione e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze,

impegna il Governo:

   a dare attuazione alla risoluzione «Matrimoni di minori, precoci, forzati», adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2104, e alla risoluzione «Rafforzare gli sforzi per prevenire e eliminare i matrimoni precoci e forzati» adottata dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite il 2 luglio 2015;
   a contribuire a dare impulso e a sostenere a livello globale una rinnovata campagna per prevenire ed eliminare questa pratica che viola i diritti umani delle bambine, con l'impegno e la determinazione già mostrati per la campagna contro le mutilazioni dei genitali femminili;
   a sostenere finanziariamente programmi e progetti di cooperazione internazionale volti alla prevenzione e all'abbandono dei matrimoni di minori, precoci e forzati.
(1-00553)
(Ulteriore nuova formulazione) «Locatelli, Zampa, Bergamini, Binetti, Galgano, Gigli, Spadoni, Nicchi, Gebhard, Giorgia Meloni, Bechis, Albanella, Amato, Carocci, Chaouki, Cimbro, Di Gioia, Di Lello, Di Salvo, Fabbri, Fitzgerald Nissoli, Gadda, Gribaudo, Gullo, Iori, Patrizia Maestri, Malpezzi, Marzano, Mongiello, Palma, Pastorelli, Piazzoni, Piccione, Quartapelle Procopio, Rocchi, Sbrollini, Tidei, Tinagli, Venittelli, Ventricelli, Vezzali, Villecco Calipari, Carfagna, Giammanco, Scuvera, Antimo Cesaro, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco, Antezza, Labriola, Amoddio».
(21 luglio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    le stime dell'Unicef più recenti indicano che globalmente (Cina esclusa) 70 milioni di donne tra i 20 e i 24 anni – circa una su tre – si sono sposate prima dei 18 anni: di queste, 23 milioni si sono sposate addirittura prima di avere compiuto 15 anni;
    il fenomeno delle «spose bambine» è direttamente proporzionale ai casi di mortalità materna e infantile, di malnutrizione e di analfabetismo;
    se è vero che questo fenomeno assume una portata strutturale insita nelle culture di riferimento di alcune aree mondiali come l'Asia meridionale e l'Africa sub-sahariana, è altrettanto noto come il processo di mondializzazione e gli eventi di migrazione di massa abbiano permesso il radicarsi di questi comportamenti anche nei Paesi occidentali;
    per la sua posizione geopolitica, l'Italia è stata da sempre esposta al fenomeno migratorio. In primo luogo, poiché geograficamente protesa verso il mare è, di conseguenza, completamente predisposta ai flussi commerciali o migratori, sempre difficilmente controllabili nella loro interezza. In secondo luogo, poiché, trovandosi al centro del mar Mediterraneo, costituisce il confine meridionale del continente europeo, facilmente raggiungibile non solo dalla vicinissima Africa ma anche dal più lontano Medio Oriente;
    da tempo anche in Italia è emersa la problematica delle «spose bambine», un fenomeno sommerso e poco conosciuto ma diffuso nelle comunità degli extracomunitari presenti nel nostro territorio; si stima siano 2 mila ogni anno i casi accertati;
    già nella Conferenza del Cairo sulla popolazione e lo sviluppo del 1994 era stato affrontato il tema delle «spose bambine» e dei connessi rischi di mortalità dovuti alle gravidanze precoci;
    la tutela dei minori e del loro equilibrato sviluppo è prioritaria, in quanto i bambini rappresentano il futuro della nostra società; è necessario affermare il diritto delle nuove generazioni a vivere pienamente il loro presente e a sviluppare le proprie potenzialità nel loro contesto familiare, affinché possano affrontare positivamente la loro vita;
    il principio VI della Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1989 che afferma: «Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, ha bisogno di amore e di comprensione; egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d'affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre»;
    il 18 dicembre 2014 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la prima risoluzione sui matrimoni di minori, precoci e forzati nella quale si declinano le raccomandazioni per adottare una strategia comune di contrasto al fenomeno da condurre con rinnovata energia come si sta facendo al fine di eliminare la barbara pratica della mutilazione genitale femminile,

impegna il Governo:

   ad adottare, anche attraverso lo strumento della normativa d'urgenza, disposizioni atte a contrastare efficacemente nel nostro Paese la diffusione del fenomeno dei matrimoni precoci e forzati, prevedendo l'introduzione di una fattispecie di reato specifica con sanzioni penali adeguate alla gravità della condotta, e norme sia civili che amministrative che consentano la revoca del permesso di soggiorno agli esercenti la potestà genitoriale che siano riconosciuti colpevoli di aver costretto le proprie figlie minori a sposarsi, nonché la procedibilità d'ufficio e la semplificazione delle norme ai fini della dichiarazione della nullità del matrimonio;
   a dare attuazione alla risoluzione A/RES/69/156 per l'eliminazione dei matrimoni precoci e forzati, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2014;
   a sostenere in tutte le sedi internazionali campagne per prevenire e contrastare le pratiche che violano i diritti umani delle bambine con rinnovata energia anche in relazione all'aberrante fenomeno delle mutilazioni genitali.
(1-00945)
(Nuova formulazione) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Filippo Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(13 luglio 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER CONTRASTARE I CAMBIAMENTI CLIMATICI, ANCHE IN VISTA DELLA CONFERENZA DI PARIGI DI DICEMBRE 2015

   La Camera,
   premesso che:
    a fine 2015 scadranno gli impegni presi nel 2000 con il lancio da parte delle Nazioni Unite degli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDG) e partirà la muova fase degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), come deciso e contenuto nel documento approvato dai Capi di Stato e di Governo convenuti alla Conferenza di Rio +20 del 2012 «Il futuro che vogliamo»;
    è attualmente in corso il processo negoziale che porterà nel mese di settembre 2015 all'adozione finale dei nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile nel cui ambito avranno un ruolo di rilievo i target ambientali;
    fra gli obiettivi è ancora considerato l'accesso all'acqua un bene comune cui ormai spesso si fa riferimento anche come diritto umano;
    per la prima volta all'interno degli obiettivi è considerata la questione delle migrazioni (nel decimo cluster di obiettivi, cluster 10, «Reduce inequality within and among countries»;
    il testo in corso di discussione contiene uno specifico cluster di obiettivi (cluster 13) direttamente connessi ai cambiamenti climatici;
    a Parigi, dal 30 novembre all'11 dicembre 2015, si terrà la XXI sessione della Conferenza delle Parti – COP 21 dei Paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), durante la quale dovranno essere decisi gli impegni in termini di riduzione delle emissioni e di politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, nonché dei sistemi di monitoraggio e valutazione delle emissioni e degli impegni finanziari verso i Paesi più colpiti dagli impatti dei cambiamenti climatici;
    gli effetti dei cambiamenti climatici arrecano grave pregiudizio ai diritti umani delle popolazioni interessate, quali il diritto alla salute, all'acqua, alla terra, alle fonti di sostentamento, al cibo, ai diritti culturali, e qualsiasi iniziativa o impegno internazionale sul clima dovrà tener conto della dimensione relativa ai diritti umani;
    milioni di indigeni, donne ed uomini di ogni regione, sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici, ai disastri naturali ad essi connessi, agli effetti negativi di politiche di adattamento e mitigazione, alla continua dipendenza dai combustibili fossili e, allo stesso tempo, l'applicazione delle loro conoscenze tradizionali può consentire soluzioni efficaci in termini di conservazione di ecosistemi, adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici;
    nell'autunno 2015 si terrà anche la Conferenza delle Parti della Convenzione per la lotta alla desertificazione – UNCCD, ad Ankara dal 12 al 23 ottobre 2015, e nell'autunno del 2016 quella della Convenzione sulla biodiversità – CBD in Messico a novembre, le altre due convenzioni ambientali globali delle Nazioni Unite, le cui decisioni indirizzano le politiche globali e nazionali su terre aride e biodiversità anche in relazione agli effetti dei cambiamenti climatici e di cui dunque si dovrà tenere conto;
    sempre nel 2016, a Quito, si terrà la terza Conferenza del programma delle Nazioni Unite UN Habitat che ha ufficialmente individuato i cambiamenti climatici come uno dei temi principali per la dimensione urbana, e in generale, per gli insediamenti umani;
    a fine 2014 è stato completato il quinto rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici prodotto dal Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC) dal quale appare evidente la gravità della crisi climatica e l'urgenza di ridurre le emissioni di gas serra per evitare un ulteriore pericoloso riscaldamento del pianeta;
    già nel 2009, a Copenaghen, al fine di evitare «pericolose interferenze con il sistema climatico», i firmatari della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) hanno condiviso l'obiettivo di mantenere l'aumento della temperatura media globale del pianeta al di sotto di 2 gradi rispetto alla temperatura media del periodo preindustriale e di prendere in considerazione la possibilità di limitare il riscaldamento a 1,5 gradi;
    la temperatura media globale dell'atmosfera è in chiaro aumento; tale aumento, non essendo uniforme, agisce maggiormente su alcune zone, fra le quali l'area mediterranea;
    in Italia si sta registrando un trend di aumento pari a più del doppio di quello globale: nel 2014 è stato registrato un aumento di +2,4 gradi rispetto alla media 1880-1909;
    secondo il comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici, continuando ad emettere gas-serra senza serie politiche di riduzione ci sarà un riscaldamento globale compreso tra 2 e 4 gradi entro fine secolo, con conseguenze enormi a livello globale, alcune ancora difficilmente valutabili, anche per il nostro Paese;
    l'Italia non ha raggiunto l'impegno di riduzione previsto dal protocollo di Kyoto (6,5 per cento di riduzione delle emissioni nel periodo 2008-2012 rispetto al 1990); la riduzione delle emissioni osservata in questo periodo è stata dovuta prevalentemente alla crisi economica in corso che ha ridotto consumi e produzione;
    a causa della recessione, in Italia come in molti paesi dell'Unione europea, sono state ridotte le risorse finanziarie per implementazione dei controlli ambientali e delle politiche climatiche e energetiche;
    l'Unione europea si è impegnata a nuovi e più ambiziosi obiettivi per gli anni 2020 («pacchetto clima energia»: riduzione del 20 per cento delle emissioni nel 2020 rispetto al 1990), nel 2030 («2030 climate and energy goals for a competitive, secure and low-carbon EU economy»: riduzione del 40 per cento delle emissioni nel 2030 rispetto al 1990) e nel 2050 («Roadmap for moving to a low-carbon economy in 2050»: riduzione del 80-95 per cento delle emissioni nel 2050 rispetto al 1990);
    l'Unione europea ha approvato e inviato il 6 marzo 2015 al segretariato della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) i suoi «contributi programmati e definiti a livello nazionale» (Indc) che prevedono un impegno a ridurre le emissioni europee nel 2030 di almeno il 40 per cento rispetto al 1990,

impegna il Governo:

   a favorire l'approvazione, in occasione della prossima sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, di un accordo globale vincolante per la riduzione delle emissioni con obiettivi determinati e scadenzati, in grado di far rispettare le indicazioni del comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici e di avviare adeguate strategie nazionali di mitigazione e adattamento;
   a farsi promotore affinché l'Unione europea riveda al rialzo nei prossimi anni gli obiettivi del Libro verde sul quadro al 2030 per le politiche climatiche ed energetiche, prevedendo: una riduzione delle emissioni di gas serra dell'Unione europea pari ad almeno il 45 per cento rispetto al 1990, il raggiungimento di una quota di energie rinnovabili sul totale dei consumi energetici pari ad almeno il 40 per cento, nonché un aumento dell'efficienza energetica di almeno il 35 per cento;
   a sostenere con sollecitudine l'accordo di Lima sui cambiamenti climatici approvato al termine dell'ultima sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e definire in tempi brevi, attraverso un percorso democratico e partecipativo, le modalità per l'attuazione in Italia dei contributi programmati e definiti europei;
   a sostenere, nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, obiettivi ambiziosi per contrastare il cambiamento climatico e per avviare azioni di decarbonizzazione, anche con un adeguato supporto finanziario e tecnologico ai Paesi più poveri;
   ad assumere iniziative per implementare politiche migratorie pianificate e ben gestite, migrazioni sostenibili sulla base della libertà di mobilità e di migrazione prevista dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, e quindi per contrastare e prevenire ogni migrazione forzata per effetto, ad esempio, di guerre, persecuzioni, disastri e impatti dei cambiamenti climatici, favorendo il riconoscimento dello status di «climate refugees»;
   a sostenere il riconoscimento della relazione tra cambiamenti climatici e diritti umani, includendo nel documento finale di Parigi i diritti dei popoli indigeni, la loro conoscenza tradizionale, il diritto alla terra ed all'autodeterminazione, alla partecipazione diretta ed effettiva alle politiche climatiche e all'accesso diretto alle risorse finanziarie, assicurandone il rispetto e la promozione in ogni programma o progetto di mitigazione, adattamento, trasferimento di tecnologie, riduzione delle emissioni e capacity building;
   nel quadro degli impatti previsti, a sostenere in ogni sede il principio dell'acqua come bene comune e diritto umano, da affermare nel diritto internazionale e nelle Costituzioni dei singoli Stati;
   ad adottare entro il 2015 in Italia tutte le iniziative necessarie per la ratifica e l'implementazione degli impegni europei nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, con particolare riguardo all'emendamento approvato a Doha nel 2012 per la ratifica degli impegni relativi al secondo periodo del protocollo di Kyoto, circa gli ulteriori impegni vincolanti in materia di riduzione di gas serra;
   ad approvare entro settembre 2015 la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, elaborata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione con la comunità scientifica nazionale, procedendo immediatamente con la definizione di un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che ne recepisca le indicazioni definendone priorità, tempistiche e impegni di spesa;
   ad attivarsi in ambito nazionale e in sede di Unione europea affinché si adottino opportune forme di fiscalità ambientale che rivedano le imposte sull'energia e sull'uso delle risorse ambientali nella direzione della sostenibilità, anche attraverso la revisione della disciplina delle accise sui prodotti energetici in funzione del contenuto di carbonio (carbon tax), al fine di accelerare la conversione degli attuali sistemi energetici verso modelli a emissioni basse o nulle;
   ad avviare appropriate e immediate iniziative di rimozione degli incentivi e dei sussidi diretti e indiretti all'uso di combustibili fossili, anche attraverso la riduzione degli investimenti statali nelle industrie legate all'estrazione di nuovi prodotti fossili nel territorio nazionale, spostando gli investimenti sulla ricerca e sullo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, sul risparmio energetico nonché sull'efficiente produzione e uso dell'energia, rivedendo a tal fine la strategia energetica nazionale e definendo conseguentemente un vero piano nazionale energetico;
   ad adottare una nuova politica energetica, individuando e sostenendo misure di indirizzo della scelta delle fonti secondo criteri di riduzione e azzeramento delle emissioni e stabilendo una road map sulle varie priorità, al fine di accelerare la conversione degli attuali sistemi energetici climalteranti;
   ad assumere iniziative in ambito nazionale, nonché ad attivarsi nell'ambito dell'Unione europea, al fine di contrastare la povertà energetica e la vulnerabilità dei consumatori, attraverso una tariffazione equa dell'energia elettrica e termica, in grado di garantire le fasce più deboli dei cittadini;
   ad assumere iniziative per escludere dal Patto di stabilità le spese dello Stato, delle regioni e degli enti locali, legate a politiche e misure di riduzione delle emissioni climalteranti, con particolare riguardo alle risorse finalizzate al risparmio energetico, efficienza energetica, energie rinnovabili, nonché a interventi volti all'adattamento ai cambiamenti climatici e in particolare alla messa in sicurezza del territorio e alla protezione civile;
   a sostenere le azioni delle regioni finalizzate ad aumentare la resilienza del territorio promuovendo le opportune sinergie tra mitigazione e adattamento, anche in collegamento con le iniziative in atto a livello europeo (come l'iniziativa del «patto dei sindaci» sull'adattamento al cambiamento climatico);
   a favorire, per quanto di competenza, lo sviluppo in modo coordinato di adeguati piani regionali e locali di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici, privilegiando le misure ad alto grado di sostenibilità ambientale, evitando impatti negativi sull'ambiente e sugli ecosistemi delle misure stesse;
   ad istituire un qualificato ed organico servizio meteo-climatico nazionale con il compito di monitorare il cambiamento in atto nei vari ambiti nazionali (atmosfera, mare e ecosistemi);
   a riconoscere concretamente la centralità delle città e delle autorità locali in materia di pianificazione urbanistica e di programmazione socio-economico-ambientale;
   ad adottare politiche, piani e programmi sia a livello nazionale che a livello internazionale, anche nell'ambito della cooperazione allo sviluppo, che contribuiscano efficacemente al raggiungimento dei target previsti dagli Obiettivi di sviluppo sostenibili.
(1-00815)
«Pellegrino, Zaratti, Scotto, Kronbichler, Palazzotto, Franco Bordo, Zaccagnini, Pannarale, Airaudo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro».
(17 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    i cambiamenti climatici sono in atto e producono già impatti drammatici in ogni area del pianeta. Il riscaldamento globale, secondo gli scienziati, è legato all'attività umana e in particolare all'uso di combustibili fossili e dunque di carbone, petrolio e gas. Dalle osservazioni empiriche si riscontra una crescente tendenza all'aumento della temperatura media globale legata all'aumento delle emissioni di gas serra che stanno modificando la composizione dell'atmosfera;
    la temperatura media globale è aumentata di 0,85 gradi tra il 1880 e il 2012, mentre il decennio 2000-2010 è stato il più caldo dall'inizio delle rilevazioni climatiche e il 2014 è stato l'anno più caldo dall'inizio delle rilevazioni e, quel che più conta, è stato il tredicesimo anno consecutivo più caldo dall'inizio delle rilevazioni. Tra il 1983 e il 2012 l'emisfero settentrionale ha vissuto i trent'anni più caldi degli ultimi 1400 anni;
    si registrano già fenomeni di scioglimento dei ghiacci polari, di riduzione consistente dei ghiacciai delle medie latitudini, di innalzamento del livello dei mari insieme ad una maggiore frequenza di eventi atmosferici estremi, ad un'accentuata tendenza alla desertificazione e a fenomeni di acidificazione degli oceani;
    gli scienziati riuniti nel Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), l'organismo che riporta alle Nazioni unite formato dall'Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) e dal Programma delle Nazioni unite per l'ambiente (Unep), hanno indicato la soglia dei due gradi in più rispetto al periodo precedente alla rivoluzione industriale come limite da non superare nell'aumento della temperatura media globale per evitare effetti catastrofici con reazioni a catena non chiaramente stimabili;
    allo stato attuale, in assenza di interventi e politiche fortemente correttive di riduzione delle emissioni climalteranti, si arriverebbe ad un aumento della temperatura media globale tra i 3,8 e i 4,5 gradi entro la fine del secolo;
    la concentrazione di anidride carbonica equivalente in atmosfera ha già superato le 400 parti per milione essendo 456 parti per milione la soglia prudenziale alla quale corrisponde un aumento stimato di due gradi della temperatura media globale rispetto al periodo precedente alla rivoluzione industriale;
    se l'aumento della temperatura media globale non verrà contenuto, le conseguenze saranno catastrofiche. Gli effetti dei cambiamenti climatici sono molteplici e colpiscono direttamente o indirettamente quasi tutti i settori del sistema economico mondiale. Il riscaldamento globale avrà conseguenze drammatiche sulle condizioni di vita in moltissime aree del pianeta e, se non corretto, porterà a fenomeni di migrazione di massa e allo scatenarsi o inasprirsi di conflitti sociali o a vere e proprie guerre causate dalla scarsità di risorse naturali come acqua o terre abitabili e coltivabili con enormi rischi per la salute umana e con la compromissione di ecosistemi naturali essenziali alla vita;
    la regione del Mediterraneo è particolarmente vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico, sia in termini di numero di persone a rischio, vista l'alta densità della popolazione, sia in termini economici. Nel prossimo futuro si potrebbero registrare aumenti della durata dei periodi di siccità e della frequenza e intensità degli eventi atmosferici estremi, con rischi crescenti di alluvioni ed esondazioni dei fiumi. Le regioni più a sud dell'area mediterranea in particolare saranno esposte al rischio di aumento delle ondate di calore, alla diminuzione dell'estensione delle aree boschive e coltivabili, con conseguente aumento delle zone desertiche e desertificate, al rischio di innalzamento del livello dei mari con conseguente erosione delle zone costiere e delle città e aree urbanizzate situate in prossimità dei mari e diminuzione della disponibilità d'acqua anche per le produzioni agricole;
    ogni Paese è soggetto agli impatti dei cambiamenti climatici; una condizione di particolare vulnerabilità è però propria dei Paesi più poveri, più esposti agli effetti non equamente distribuiti di desertificazione e innalzamento del livello dei mari, più dipendenti dalle risorse naturali di base per la loro produzione agricola e con minori capacità di adattarsi all'impatto del riscaldamento globale; i Paesi più poveri subiscono un rischio maggiore non essendo però tra i Paesi che hanno prodotto le emissioni climalteranti che determinano il riscaldamento globale e lo stesso può dirsi per le nuove generazioni costrette a subire rischi che non hanno determinato; si pone dunque una stringente questione di giustizia climatica tra Paesi, oltre che tra generazioni;
    proprio questa stringente questione di giustizia climatica è a fondamento dell'impegno di Papa Francesco in questa materia tramite la sua enciclica dedicata al clima e all'ambiente;
    la generazione attuale, la prima ad affrontare i cambiamenti climatici e l'ultima a poter vincere la sfida, ha però la possibilità di contrastare efficacemente il riscaldamento climatico in atto adottando politiche e interventi per contenere drasticamente le emissioni di gas climalteranti che devono ridursi del 40-70 per cento entro la metà del secolo per azzerarsi sostanzialmente a fine secolo;
    l'Unione europea, durante il semestre di Presidenza italiana del Consiglio europeo, ha approvato ad ottobre 2014 il pacchetto clima energia al 2030 che prevede impegni vincolanti a livello europeo e nazionale con una riduzione entro il 2030 del 40 per cento delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, un aumento del 27 per cento della produzione di energia da fonti rinnovabili e un aumento dell'efficienza energetica seguendo la nuova direttiva europea;
    un accordo storico per la riduzione delle emissioni di gas serra è stato raggiunto nel novembre 2014 tra Stati Uniti e Cina, con l'impegno da parte cinese a fermarne la crescita entro il 2030 insieme a quello americano di ridurle del 26-28 per cento entro il 2025 rispetto al 2005. L'accordo segue il forte impegno assunto dalla presidenza Obama per contrastare il cambiamento climatico con misure basate sull'applicazione del Clean Air Act del 1970 che dà al Presidente il potere di emanare decreti per salvaguardare la qualità dell'aria. È la prima volta che le due superpotenze, responsabili per il 45 per cento delle emissioni mondiali, assumono un impegno simile;
    Parigi ospiterà dal 30 novembre all'11 dicembre del 2015 il vertice delle Nazioni unite (COP21) nel quale i 194 Paesi che hanno aderito alla convenzione sul clima dovranno raggiungere un accordo globale vincolante di riduzione delle emissioni con l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura media globale al di sotto dei due gradi rispetto al livello precedente alla rivoluzione industriale, che entrerà in vigore dal 2020, così come stabilito dal vertice di Durban, nel 2011 (COP17) che ha avviato la piattaforma di Durban, all'interno della quale ogni singolo Paese sta comunicando i propri obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra (Intended nationally determined contributions – Indcs),

impegna il Governo:

   a sostenere, durante la prossima Conferenza delle Parti di Parigi, il raggiungimento di un accordo globale vincolante di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, in vigore dal 2020, per contenere l'aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli precedenti alla rivoluzione industriale;
   a promuovere azioni che favoriscano una crescente riduzione delle emissioni climalteranti nel periodo precedente l'entrata in vigore del nuovo accordo globale, dunque prima del 2020, e che consentano di entrare in un sentiero di sviluppo che preveda la riduzione delle emissioni climalteranti al 2050 del 40-70 per cento rispetto al 2010 e il loro azzeramento a fine secolo, come anche previsto nel comunicato finale del G7 a Elmau in Germania dell'8 giugno 2015;
   ad adottare in via definitiva la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e a definire un piano nazionale di attuazione della strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che ne recepisca immediatamente le indicazioni, definendo le priorità di intervento, le tempistiche e gli impegni di spesa;
   a sostenere, nell'ambito della cooperazione internazionale, progetti di sostegno delle economie dei Paesi in via di sviluppo che favoriscano lo sviluppo delle energie rinnovabili per aumentare l'accesso all'elettricità per le aree che ne sono ancora prive e che promuovano piani di adattamento agli impatti locali dei cambiamenti climatici, anche con l'opportuno trasferimento di tecnologia;
   a sostenere, per quanto di competenza, l'impegno dei sindaci e degli amministratori locali nel trasformare i territori che amministrano in comunità resilienti, che attenuino e sopportino meglio l'impatto dei cambiamenti climatici, e in comunità intelligenti, smart cities and areas, nelle quali i servizi fondamentali di trasporto, illuminazione e sostegno alle attività produttive impieghino sempre più energia pulita e siano sempre più efficienti nell'uso delle risorse naturali;
   a promuovere una riforma sostanziale che renda efficace il sistema europeo di scambio dei titoli di emissione di gas serra (EU-ETS), anche allargando la platea delle attività economiche incluse nel sistema e ad assumere iniziative per definire ed adottare, anche nelle opportune sedi comunitarie e internazionali, nuove forme di fiscalità ambientale che impongano una giusta tassazione al carbonio e dunque alle attività che producono emissioni climalteranti insieme ad un sistema di regole chiaro, uniforme e stabile nel tempo, per orientare le scelte di investimento delle imprese verso tecnologie e attività a bassissime emissioni di carbonio;
   ad avviare una revisione della strategia energetica nazionale, coerente con gli obiettivi ambiziosi fissati al 2030 e al 2050 in sede europea, nonché con l'obiettivo di contenere entro la soglia dei due gradi l'aumento della temperatura media globale rispetto al livello precedente alla rivoluzione industriale, con la finalità di decarbonizzazione a fine secolo ribadita nelle conclusioni dell'ultimo G7 a Elmau in Germania, attraverso la definizione di un piano energetico nazionale con obiettivi a medio e lungo termine;
   ad istituire un servizio meteorologico nazionale distribuito (Smnd) con il compito di monitorare il cambiamento in atto nei vari ambiti nazionali (atmosfera, mare e ecosistemi) a supporto delle azioni e delle politiche condotte e messe in atto dalle istituzioni nazionali, regionali e locali;
   a promuovere politiche industriali che con incentivi mirati sostengano le attività economiche efficienti nell'uso delle risorse naturali e dell'energia, nel rispetto dei principi dell'economia circolare, per dare alle imprese l'occasione di essere protagoniste nella necessaria riconversione in chiave ecologica dell'economia e di rafforzare le proprie competenze nei nuovi mercati che si aprono;
   ad assumere iniziative per prevedere specifici cicli di approfondimento nelle scuole di ogni ordine e grado per dare agli studenti le informazioni che meritano sui cambiamenti climatici in atto, sulle loro cause e sugli effetti potenziali, così come sui comportamenti anche individuali che possono efficacemente contrastare il riscaldamento globale;
   a promuovere investimenti per sostenere la mobilità sostenibile, il trasporto pubblico, l'uso di biocombustibili di seconda e terza generazione, in modo da conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione nel settore dei trasporti;
   a promuovere l'impegno del settore agricolo nel conseguimento degli obiettivi di contenimento entro due gradi dell'aumento della temperatura media globale e degli obiettivi di decarbonizzazione, puntando a garantire un'alimentazione sostenibile e di qualità, impegno tanto più rilevante nell'anno in cui Milano ospita l'Expo dedicato al tema «Nutrire il pianeta».
(1-00941)
«Stella Bianchi, Rosato, Lorenzo Guerini, Realacci, Borghi, Braga, Bratti, Giachetti, Sereni, Mariani, Manfredi, Dallai, Covello, Nardi, Carrescia, Tino Iannuzzi, Ginoble, Piso, De Menech, Gadda, Zardini, Morassut, Mazzoli, Marroni, Cominelli, Giovanna Sanna, Valiante, Paola Boldrini, Famiglietti, Basso, Giulietti, Baruffi, Mognato, Grassi, Castricone, Malisani, Tidei, Antezza, Folino, Iacono, Marco Di Maio, Venittelli, Prina, Ghizzoni, Rubinato, Mura, Lodolini, Cova, La Marca, Capone, Fossati, Scuvera, Amato, D'Incecco, Epifani, Richetti, Giuditta Pini, Carnevali, Pierdomenico Martino, Simoni, Rotta, Gribaudo, Cinzia Maria Fontana, Verini, Villecco Calipari, Causi, Manciulli, Martella, Berlinghieri, Gnecchi, Amendola, Manzi, Campana, Fregolent, Bonaccorsi, Piccoli Nardelli, Coppola, Coscia, Zanin, Becattini, Beni, Crimì, Quartapelle Procopio, Arlotti, Malpezzi, Rampi, Schirò, Amoddio, Nicoletti, Stumpo, Bargero, Coccia, Cenni, Zoggia, Mariano, Parrini, Ginefra, Fiano, Fontanelli, Gasparini, Terrosi, Valeria Valente, Raciti, Casati, Mauri, Luciano Agostini, Zampa, Scanu, Pes, Meta, Rostan, Palma, Giuseppe Guerini, Bini, Moscatt, Francesco Sanna, Ginato, Fanucci, Sbrollini, Taricco, Miotto, Andrea Romano, Zan, Martelli, Vico, Garofani, Marchi, Gandolfi, Misiani, Lavagno, Cassano, Migliore, Rossomando».
(8 luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il contenimento del cambiamento climatico rappresenta una priorità tra le emergenze globali delle istituzioni nazionali e internazionali, viste le conseguenze geopolitiche a cui sta conducendo;
    il riscaldamento globale, senza interventi tempestivi e vincolanti, è destinato a superare di ben oltre due gradi i livelli dell'epoca preindustriale, con un impatto devastante sugli habitat – come le barriere coralline, da cui dipendono migliaia di organismi viventi che rischiano di scomparire –, sulla produzione agricola mondiale, sulla disponibilità di acqua potabile e sulla vivibilità delle aree costiere. Arrestare questo andamento ora non è solo una scelta responsabile ma anche quella più economica, dato che ogni ulteriore ritardo comporterebbe costi economici e ambientali crescenti, come evidenziato anche dallo studio «The Emissions Gap Report 2013» dell'Unep (United Nations Environment Programme);
    i Percorsi di concentrazione rappresentativi (RCP) del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC) descrivono quattro scenari di come il pianeta potrebbe cambiare in futuro. Essi sono: RCP8.5, RCP6, RCP4.5 e RCP2.6. I numeri si riferiscono a differenti valori di aumento del radiative forcing in W/m2 al 2100. I Percorsi di concentrazione rappresentativi sono associati a differenti possibili scenari di emissioni antropogeniche di gas serra e conseguenti innalzamenti della temperatura media terrestre. Lo scenario RCP4.5 prevede un innalzamento medio di 1.8 gradi (1.1÷2.6), mentre lo scenario RCP8.5, il caso peggiore, prevede un innalzamento medio di 3.7 gradi (2.6÷4.8). Attualmente il trend di emissioni di gas serra sta seguendo e lievemente superando lo scenario RCP 8.5 (Peters et al., 2013);
    secondo lo scenario RCP 4.5 in Italia si potrebbe verificare un generale aumento della temperatura di circa 3 gradi su tutto il Paese per il 2071-2100, rispetto al periodo di riferimento 1971-2000, con picchi di 4 gradi in inverno nella pianura Padana e, in estate, su tutta l'area nord-occidentale. Lo scenario RCP8.5 prevede un riscaldamento maggiore, caratterizzato da un'elevata variazione stagionale, con un minimo di 4 gradi in autunno e un massimo di 7,5 gradi in estate. In tutte le zone, in generale, è stimato un aumento medio delle temperature, che per lo scenario RCP 4.5 è di circa 3.2 gradi per secolo, mentre per quello RCP8.5 intorno ai 6,3 gradi;
    una prima conferma alla maggiore vulnerabilità climatica della nostra nazione è stata certificata dal Consiglio nazionale delle ricerche nel rapporto del 2014. A fronte di un incremento di temperatura media terrestre pari a 0,57 gradi (fonte NOAA), per l'Italia l'incremento medio è stato di 1.5 gradi, quindi quasi tre volte l'aumento medio globale, con punte di +2.0 gradi al Nord e +1.3 gradi al Sud;
    relativamente al cambiamento delle precipitazioni in Italia, nel periodo 2071-2100 rispetto al 1971-2000, lo scenario RCP4.5 stima un moderato aumento in inverno, su tutta l'area alpina orientale, invece un calo significativo al Nord durante l'estate. Riduzioni significative sono prospettate anche in Centro e nel Sud. Secondo lo scenario RCP8.5, si prevede un significativo aumento delle precipitazioni in inverno sul Centro-Nord, più marcato in Liguria, mentre il centro e il nord Italia saranno interessati da una forte riduzione in estate, in particolare nell'area alpina. Tutta l'Italia avrà una significativa riduzione delle precipitazioni in primavera, specialmente nelle zone di alta montagna, mentre in autunno solo gli Appennini (Bucchignani, Montesarchio, Zollo, & Mercogliano, 2015);
    a livello globale, gli effetti del cambiamento climatico sono già evidenti nell'aumento della frequenza e dell'intensità di fenomeni estremi – come tifoni, alluvioni, tornado, ma anche siccità –, e nell'incremento della temperatura, con il conseguente rapido declino del ghiaccio artico, dei ghiacciai montani e delle calotte glaciali di Groenlandia e Antartide, nell'espansione delle zone subtropicali calde, nonché nella perdita di barriera corallina a causa dell'acidificazione dell'oceano;
    negli ultimi 19 anni nella sola zona sud dell'Alaska è stata certificata una perdita di massa ghiacciata pari a 75 miliardi di tonnellate (75 chilometri cubi). Se questo può apparire un dato riguardante una zona lontana, è molto più stringente l'assottigliamento o addirittura la scomparsa di ghiacciai alpini, con conseguente compromissione del rifornimento idrico per l'agricoltura nei mesi estivi;
    secondo i dati del Cred (Centre for Research on the Epidemiology of Disasters), solo nel 2012 si sono registrate globalmente 310 calamità naturali con 9.330 decessi, 106 milioni di persone colpite e un danno economico stimato pari a 138 miliardi di dollari. E questo mentre è ormai condiviso, dall'opinione scientifica internazionale, lo stretto legame tra l'aumento dei rischi ambientali e il cambiamento climatico;
    il quinto rapporto del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC) sulla valutazione dei cambiamenti climatici individua, a livello europeo, la regione mediterranea/sud-europea come la più vulnerabile al rischio degli effetti negativi dei cambiamenti climatici. Molteplici settori verranno interessati – quali turismo, agricoltura, attività forestali, infrastrutture, energia e salute della popolazione – a causa del forte impatto del cambiamento climatico (aumento di temperatura e riduzione di precipitazioni) sui servizi ecosistemici;
    l'agricoltura rappresenta il settore più vulnerabile al cambiamento climatico e il suo cedimento, secondo un modello matematico sviluppato dal Global Sustainability Institute dell'Anglia Ruskin University di Cambridge, potrebbe portare la nostra società a collassare entro il 2040. Il modello è stato creato seguendo lo scenario business-as-usual (per lo più equivalente allo scenario RCP8.5), i risultati, basati su «tendenze climatiche plausibili», sono più che allarmanti e mostrano che «il sistema di approvvigionamento alimentare globale» si troverebbe ad affrontare perdite catastrofiche e un'epidemia senza precedenti di conflitti per il cibo. In generale, questi fenomeni si diffonderanno maggiormente nei Paesi tropicali e più poveri, secondo Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), entro 35 anni, l'agricoltura subirà un calo di resa del 50 per cento, compromettendo la sopravvivenza umana. Nella coltivazione di riso, grano e mais, i rendimenti sono destinate a ridursi del 10 per cento per ogni grado di aumento sopra i 30 gradi;
    un punto estremamente importante e poco conosciuto è la penetrazione del cuneo salino causato dall'innalzamento del livello marino. Questo determinerebbe una desertificazione indotta a causa dell'aumento di salinità delle falde, cosa che comprometterebbe sia l'agricoltura che la stessa vegetazione spontanea in una larga fetta delle coste italiane, con particolare rilievo per la pianura padana orientale;
    il dramma dei rifugiati climatici è sempre più preoccupante, determinato dalla stretta relazione tra degrado ambientale, mutamenti climatici e contesto socio-economico. Per il Rapporto dell'Internal Displacement Monitoring Centre, pubblicato nel 2013, di oltre 32 milioni di persone costrette alla mobilità per effetto di disastri naturali, il 98 per cento sono profughi climatici provenienti da Paesi poveri. Nel 2060, il Programma delle Nazioni Unite sull'ambiente (Unep) prevede che solo in Africa ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici;
    l'obiettivo di 2 gradi di riscaldamento globale, concordato dall'ONU e dai governi mondiali, è già un limite rischioso e pericoloso che non eviterà le conseguenze disastrose del cambiamento climatico. L'incremento di 2 gradi rappresenta più appropriatamente la soglia tra cambiamento climatico «pericoloso» ed «estremamente pericoloso» (Anderson & Bows, 2011);
    un aumento di 2 gradi può indurre a reazioni chimiche nelle acque oceaniche portando alla mobilitazione del metano ora immobilizzato negli idrati, alla fusione delle calotte polari e artiche, al rilascio di metano e terrestre dalla fusione del permafrost dell'Artico. L'impatto potrebbe compromettere lo scioglimento dei ghiacci di larga parte della Groenlandia e dell'Antartico occidentale, l'estinzione dal 15 al 40 per cento delle specie vegetali e animali, siccità diffusa e desertificazione in Africa, Australia, Europa Mediterranea, e gli Stati Uniti occidentali. Hadley Centre britannico calcola che il riscaldamento di solo un ulteriore 1 grado eliminerebbe acqua potabile da un terzo della superficie terrestre entro il 2100;
    l'innalzamento delle temperature oceaniche comporta un cambiamento nella composizione chimica delle acque, con conseguente acidificazione, e contribuisce allo scioglimento del plancton calcareo (piccoli organismi alla base della catena alimentare marina) e dei gusci calcarei delle conchiglie dei molluschi come vongole, mitili, ostriche, capesante. Questo non è un problema solo di equilibrio ecosistemico, ma presenta anche pesanti ricadute economiche per la pesca e l'acquacoltura;
    nello scenario RCP8.5, l'innalzamento del livello del mare previsto entro fine secolo è in media di 0.63 m (0.45÷0.82). Tuttavia secondo recentissimi studi, i livelli di anidride carbonica atmosferica moderni sono oggi equivalenti a quelli di circa tre milioni di anni fa (Pliocene), quando la concentrazione di anidride carbonica era circa di 400 parti per milione, la temperatura media terrestre era di circa 1-2 gradi maggiore di quella attuale e il livello del mare era di almeno sei metri maggiore;
    l'Università di Potsdam ha calcolato in 4,6 metri l'innalzamento del livello medio del mare in seguito all'aumento di temperatura media terrestre di 2 gradi. Numerosissime città costiere italiane verranno parzialmente o totalmente sommerse;
    secondo il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), per rimanere sotto ai 2 gradi si ha a disposizione un budget di 1000 miliardi di tonnellate di anidride carbonica dal 2011, mentre solo 400 miliardi di tonnellate di anidride carbonica per rimanere sotto 1,5 gradi. Dal 2011 ad oggi si sono consumati all'incirca altri 157 miliardi di tonnellate. Attualmente si stanno emettendo circa 40,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica consumando, secondo il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), il budget per rimanere sotto 1,5 gradi in 6 anni e in 21 per stare sotto i 2 gradi (con probabilità del 66 per cento);
    per il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), solo una diminuzione drastica delle emissioni di gas serra, stimata nella riduzione del 40-70 per cento entro il 2050 e in un azzeramento entro il 2100, potrebbe avere il 50 per cento di possibilità di stabilizzare l'aumento di temperatura media terrestre al di sotto dei 2 gradi;
    secondo illustri climatologi (Anderson, 2013), per avere una possibilità del 50 per cento di non superare i 2 gradi, è necessario proporre all'Unione europea una riduzione dell'80 per cento delle emissioni del settore energia entro il 2030, con la piena decarbonizzazione poco dopo;
    per le nazioni sviluppate (annex 1), i necessari livelli di mitigazione per avere il 50 per cento di probabilità di mantenersi sotto i 2 gradi, lasciando ai Paesi in via di sviluppo (non-annex 1) la possibilità di ritardare il picco delle proprie emissioni, potrebbero essere incompatibili con la crescita economica di breve-medio termine. I Paesi sviluppati dovrebbero decarbonizzare le proprie economie ad un ritmo del 8-10 per cento annuo, tuttavia riduzioni superiori al 3-4 per cento sono giudicate incompatibili con un'economia in crescita (Anderson & Bows, 2011). Al contrario, riduzioni annuali maggiori dell'1 per cento sono state associate solo a scenari di recessione economica o sconvolgimenti politici (Stern, 2006). Per ridurre del 8-10 per cento è certamente necessario intervenire sia sull'offerta (energie rinnovabili ed efficienza) che sulla domanda (diminuzione dei consumi);
    il prodotto interno lordo ha dimostrato la propria inadeguatezza come indicatore di un genuino progresso umano, poiché incapace di discriminare tra attività proficue e dannose e di prendere in considerazione molti costi ambientali e sociali. Occorre adottare al più presto indicatori macroeconomici come il genuine progress indicator (GPI) o il benessere equo e sostenibile (BES), capaci di misurare lo sviluppo economico integrando nella analisi fattori ambientali e sociali;
    il 2015 è stato dichiarato l'anno internazionale dei suoli, dell'elaborazione della Carta di Milano e degli Obiettivi di sviluppo del millennio, riaccendendo il dibattito sulle sfide legate al cibo, all'agricoltura, alle foreste e al paesaggio, con proposte di impegno al cambiamento di paradigma;
    come evidenziato dal rapporto Ispra 2015 sul consumo di suolo in Italia e ribadito da De Bernardinis nel suo intervento agli stati generali sul clima del 22 giugno 2015, il deterioramento del suolo ha ripercussioni dirette sulla qualità delle acque e dell'aria, sulla biodiversità e sui cambiamenti climatici; sempre nel rapporto Ispra viene evidenziato come nelle aree urbane il clima diventa più caldo e secco a causa della minore traspirazione vegetale ed evaporazione e delle più ampie superfici con un alto coefficiente di rifrazione del calore e che, soprattutto in climi aridi come quello mediterraneo, la perdita di copertura vegetale e la diminuzione dell'evapotraspirazione, in sinergia con il calore prodotto dal condizionamento dell'aria e dal traffico e con l'assorbimento di energia solare da parte di superfici scure in asfalto o calcestruzzo, contribuiscono ai cambiamenti climatici locali, causando il cosiddetto effetto «isola di calore»;
    il cambiamento climatico ha già prodotto conseguenze sulla salute, sugli ecosistemi, sulle risorse idriche e sull'agricoltura, mettendo a rischio la sicurezza alimentare e la sostenibilità ambientale. Le sfide immediate, per invertire la rotta, devono concentrarsi sul cambiamento e sull'innovazione, incidendo fortemente sui sistemi di produzione e di consumo;
    l'agricoltura industriale incide sul cambiamento climatico, facendo uso di sistemi meccanizzati ad alta intensità energetica e a combustibili fossili e, a sua volta, ne è influenzata, visto che le monocolture geneticamente omogenee, su cui si basa, non sono resilienti. Diversamente i sistemi di gestione agroecologici – varietà di tecniche agricole, come agricoltura biologica, sostenibile o permacultura –, basandosi sul rispetto della biodiversità, sull'efficienza dei processi biologici e sulla diversificazione dei sistemi di produzione, rappresentano un modello alternativo sostenibile, socialmente equo, resiliente ai cambiamenti climatici e, dunque, in grado di sostenere la sfida del cambiamento climatico. Inoltre, l'agroecologia aumenta il sequestro di carbonio organico nei suoli, contribuendo a ridurre l'anidride carbonica in atmosfera. Secondo il report «Agro-ecology and the right to food» delle Nazioni Unite, infatti, «i progetti agroecologici mostrano una media di incremento nella produttività dei campi dell'80 per cento in 57 Paesi in via di sviluppo, con una percentuale che sale al 116 per cento nei progetti africani»;
    l'attuale sistema economico lineare, tipico dei Paesi più industrializzati, non è più sostenibile. Al contrario, l'attuale crisi ambientale impone un passaggio repentino verso il modello circolare, finalizzato al recupero e alla rigenerazione dei prodotti e dei materiali, mettendo in pratica i principi di «rifiuti zero, energie rinnovabili, utilizzatori e non consumatori, approccio sistemico»;
    il sistema alimentare contribuisce ai cambiamenti climatici e, allo stesso tempo, ne è anche influenzato, con conseguenze sulla disponibilità e sulla tutela delle risorse naturali, sulle modalità di produzione e consumo e sulla sicurezza alimentare;
    la crescita della popolazione, stimata dalla FAO a 9 miliardi entro il 2050, unita alla transizione verso modelli alimentari a più alto impatto ambientale tipici dei Paesi ricchi industriali, implica l'esigenza di quasi raddoppiare la produzione alimentare. L'allevamento contribuisce per il 14,5 per cento alle emissioni globali generate dalle attività umane, più dell'intero settore dei trasporti;
    secondo i dati FAO del 2012, entro il 2050 il consumo di carne e di latte e derivati dovrebbe crescere rispettivamente del 76 per cento e 65 per cento rispetto al periodo 2005-2007, contribuendo a impoverire il nostro pianeta di risorse critiche come acqua e suolo, causando deforestazione e perdita della biodiversità oltre che incrementando le emissioni climalteranti;
    il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici ha rilevato che il maggiore potenziale di riduzione delle emissioni risiede nella modulazione della domanda. Secondo il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici, anche solo diminuendo il consumo di cibo di origine animale a una media di 90 grammi al giorno, come raccomandato dalle linee guida mediche inglesi, si potrebbe raggiungere, dal 2030, una riduzione di 2,15 miliardi di tonnellate di anidride carbonica l'anno;
    la crescita dei consumi di alimenti di origine animale si traduce in una costante crescita delle emissioni del settore agricoltura. Mantenendo i trend attuali, entro il 2070 le emissioni di gas serra legate al settore non consentirebbero di permanere sotto ai 2 gradi (Hedenus, Wirsenius, & Johansson, 2014);
    ogni anno, la richiesta crescente di olio di palma, comporta l'emissione di enormi quantità di gas serra, a causa della degradazione e degli incendi delle foreste torbiere indonesiane. La deforestazione del sud-est asiatico, negli ultimi 30 anni, è stata pari alla superficie di Italia, Svizzera e Austria, convertendo depositi di carbonio organico in fonti di emissione climalteranti;
    il rapporto FAO 2013 Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources denuncia lo spreco di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo l'anno, con gravi ripercussioni sul clima, sulle risorse naturali, oltre che etiche. Ogni anno, il cibo che viene prodotto, ma non consumato, emette 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. In Europa lo spreco alimentare – in seguito alla produzione agricola – produce annualmente circa 500 miliardi tonnellate di anidride carbonica, mentre in Italia 31 miliardi tonnellate di anidride carbonica, a cui si aggiunge la percentuale di sostanza organica che finisce in discarica, emettendo soprattutto metano;
    il report speciale «Energy and Climate Change» del World Energy Outlook, pubblicato in occasione della Conferenza di Parigi sul clima dall'Agenzia internazionale dell'energia ((IEA), riporta alcuni dati di sintesi sugli impatti ambientali del settore energetico. L'energia vale i due terzi di tutte le emissioni di gas serra di origine antropica e i combustibili fossili ne sono i principali responsabili, contando per il 90 per cento di tali emissioni. Le fossili continuano a soddisfare oltre l'80 per cento della domanda totale di energia e, nonostante una lieve inversione di tendenza registrata nell'ultimo anno, il volume totale delle emissioni globali di anidride carbonica del settore energetico, negli ultimi 27 anni, corrisponde al totale di tutti gli anni precedenti;
    interi settori dell'economia, ad oggi, non hanno minimamente intrapreso gli sforzi necessari a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni necessari per far fronte ai cambiamenti climatici;
    i trasporti e gli edifici, in particolare, registrano emissioni continuamente in crescita sia nei Paesi dell'Ocse che in quelli non appartenenti all'Ocse. Per il trasporto, la causa principale, è la crescita del numero di veicoli privati, cui si aggiunge, per quelli non appartenenti all'Ocse, una forte crescita del traffico merci spesso legata alla delocalizzazione delle produzioni industriali. Per gli edifici, il più alto livello di emissioni nei Paesi dell'Ocse è legato al riscaldamento degli ambienti, costruiti ancora senza i giusti accorgimenti di efficienza energetica;
    la geoingegneria si riferisce ad un'ampia serie di metodi e tecnologie che mirano ad alterare deliberatamente il sistema climatico allo scopo di alleviare gli impatti dei cambiamenti climatici. La maggior parte, ma non tutti i metodi, cercano o di ridurre la quantità di energia solare assorbita dal sistema climatico (solar radiation management – srm) o di incrementare l'eliminazione di anidride carbonica dall'atmosfera in quantità tale da alterare il clima (carbon dioxide removal – cdm). Due caratteristiche chiave dei metodi di geoingegneria di particolare rilievo consistono nel fatto che essi influiscono sul sistema climatico (per esempio atmosferico, terrestre o oceanico) a livello globale o regionale e potrebbero avere dei sostanziali effetti non voluti che attraversano i confini nazionali;
    la National Academy of Sciences (NAS) – associazione che è parte del sistema delle accademie statunitensi per fare consulenza su materie scientifiche e tecnologiche –, a febbraio 2015, dopo 18 mesi di lavoro condotto da 16 scienziati, ha pubblicato un rapporto in due volumi «Climate Intervention», finalizzato a valutare i potenziali impatti, i benefici e i costi delle tecniche di rimozione permanente di anidride carbonica e di aumento della riflettività della Terra (modifica dell'albedo) limitando l'assorbimento della luce. Nel rapporto si sostiene che la maggior parte delle strategie di rimozione dell'anidride carbonica sono limitate a livello tecnologico e, senza ulteriori innovazioni, la loro distribuzione su larga scala sarebbe più costosa della sostituzione dei combustibili fossili con le fonti rinnovabili;
    la modificazione dell'albedo – definita come «modificare la capacità di riflettere la radiazione solare attraverso anche iniezioni di particolato di solfati nella stratosfera, schiarimento delle nubi e altri metodi per aumentare la riflettività della superficie terrestre» – non richiederebbe maggiore innovazione tecnologica e i costi sono relativamente contenuti. Tuttavia, avrebbe l'effetto di mascherare temporaneamente gli effetti del riscaldamento a livello globale, ma con ampi cambiamenti climatici a scala regionale. Inoltre «impiegare tecniche di modificazione dell'albedo su grande scala porterebbe una serie di rischi ambientali, sociali, legali, economici ed etici. Questi includono la riduzione dell'ozono stratosferico e modifiche nel quantitativo e nelle modalità delle precipitazioni. Inoltre, la modificazione dell'albedo non contrasta gli impatti della elevata concentrazione di CO2 in atmosfera, come l'acidificazione degli oceani»;
    come sottolinea Pat Mooney, studioso conosciuto a livello internazionale, a proposito dei rischi imponderabili legati all'uso della geoingegneria, il clima terrestre è un sistema aperto, dunque non esistono confini politici o fisici e questo significa che esperimenti locali avrebbero ripercussioni, non desiderate, altrove;
    il Governo tedesco ha rifiutato l'opportunità di usare la geoingegneria come soluzione alternativa o integrativa per la difesa del clima, vista la mancanza di un'adeguata conoscenza delle possibili conseguenze e di una regolamentazione internazionale, rispondendo all'interrogazione – documento 17/9943 – posta nel 2012 dal partito socialdemocratico – SPD – con la richiesta di un dibattito pubblico per valutare possibilità, rischi e fattibilità delle tecniche di intervento sul clima;
    dal 30 novembre all'11 dicembre 2015, si terrà a Parigi la XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), durante la quale dovranno essere fissati gli impegni vincolanti in termini di riduzione delle emissioni e di politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, nonché dei sistemi di monitoraggio e valutazione delle emissioni e degli impegni finanziari per il mantenimento del riscaldamento globale entro i 2 gradi al di sopra della temperatura media pre-industriale;
    a fine 2014 è stato pubblicato il quinto rapporto IPCC di valutazione sui cambiamenti climatici, secondo cui i mutamenti del clima produrranno effetti gravi, estesi e irreversibili sulla popolazione e sugli ecosistemi del mondo intero. Per evitare che la temperatura media del pianeta aumenti di oltre 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali, tutti i Paesi dovranno ridurre in maniera consistente e costante le emissioni di gas a effetto serra;
    la comunicazione della Commissione europea «Roadmap for moving to a competitive low-carbon economy in 2050» afferma che la transizione verso un modello di sviluppo a basse emissioni non solo può essere effettuata senza compromettere la crescita e l'occupazione, ma può decisamente offrire a tutti i Paesi, europei e del resto del mondo, l'opportunità di ridare slancio all'economia, generando un concomitante miglioramento del benessere pubblico;
    l'Unione europea si è impegnata a raggiungere nuovi e più ambiziosi obiettivi al 2020 («Pacchetto clima-energia: riduzione del 20 per cento delle emissioni nel 2020 rispetto al 1990»), al 2030 («2030 climate and energy goals for a competitive, secure and low-carbon EU economy»: riduzione del 40 per cento delle emissioni nel 2030 rispetto al 1990) e al 2050 («Roadmap for moving to a low-carbon economy in 2050»: riduzione del 80-95 per cento delle emissioni nel 2050 rispetto al 1990);
    il 25 febbraio 2015 la Commissione europea ha emanato la comunicazione «Pacchetto Unione dell'energia» nella quale si delinea la «Strategia quadro per un'Unione dell'energia resiliente, corredata da una politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici» [COM(2015) 80 final];
    il 25 febbraio 2015 la Commissione europea ha emanato la comunicazione «Il Protocollo di Parigi – Piano per la lotta ai cambiamenti climatici mondiali dopo il 2020» contenente le raccomandazioni strategiche da seguire durante i negoziati di Parigi [COM(2015) 81 final];
    l'Unione europea ha approvato e inviato il 6 marzo 2015 al segretariato della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici i suoi «contributi programmati e definiti a livello nazionale» (Indc) che prevedono un impegno a ridurre le emissioni europee nel 2030 di almeno il 40 per cento rispetto al 1990;
    il protocollo di Montréal è un trattato internazionale volto a ridurre la produzione e l'uso di quelle sostanze che minacciano lo strato di ozono, firmato il 16 settembre 1987, entrato in vigore il 1o gennaio 1989;
    i composti di fluoro oggetto del Protocollo di Montréal rappresentano l'equivalente del 18 per cento dell'effetto serra totale generato dell'anidride carbonica;
    in occasione del Climate Summit tenutosi il 23 settembre 2014 a New York, è stata firmata la «Dichiarazione di New York sulle Foreste», sottoscritta da 150 attori tra cui Governi, aziende, comunità indigene e ong, che prevede di ridurre il tasso di perdita delle foreste entro il 2020, portandolo a zero entro il 2030. La dichiarazione impegna inoltre a ripristinare 150 milioni di ettari di territori degradati e terreni boschivi entro il 2020, ai quali se ne aggiungeranno altri 200 entro il 2030;
    la Convenzione sulla diversità biologica (Cbd), firmata a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992, persegue tre obiettivi principali: la conservazione della diversità biologica, l'uso sostenibile dei componenti della diversità biologica e la giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall'utilizzo delle risorse genetiche;
    la UNCCD (United Nations Convention to Combat Desertification) è entrata in vigore nel 1997. La Convenzione detta le linee guida per l'identificazione e la messa in opera di programmi d'azione nazionali, sub-regionali e regionali in materia di lotta alla desertificazione. L'Italia è tra i più importanti contributori;
    il Governo italiano ha promosso la definizione della Carta di Milano in occasione dell'EXPO2015: un documento partecipato e condiviso che richiama ogni cittadino, associazione, impresa o istituzione ad elaborare modelli economici e produttivi legati all'alimentazione che possano garantire uno sviluppo sostenibile in ambito economico e sociale;
    risulta evidente che il Sistema europeo di scambio di quote di emissione (EU ETS), ad oggi, abbia fallito nel ridurre le emissioni, lasciando eccessiva libertà, ad esempio nelle strategie alternative alla riduzione; nella prima fase, infatti, sono stati rilasciati troppi permessi, con un surplus di 267 milioni di tonnellate di anidride carbonica, coprendo solo il 4 per cento delle emissioni totali, con il risultato del collasso dei prezzi e della mancata riduzione delle emissioni; la seconda fase ha migliorato lievemente la situazione, presumibilmente per effetto della crisi economica, pur rimanendo largamente inefficace nel ridurre le emissioni;
    il Sistema europeo di scambio di quote di emissione, paradossalmente, ha finito per essere più uno schema incentivante per le industrie inquinanti, con un guadagno stimato da parte del settore energia di 19 miliardi di euro nella prima fase e di 71 miliardi nella seconda,

impegna il Governo:

   a promuovere accordi internazionali sul clima ambiziosi, vincolanti, duraturi ed equi, finalizzati:
    a) nel breve periodo a mantenere la variazione della temperatura media globale entro il limite di 1.5 gradi, con una rapida e costante riduzione delle emissioni climalteranti verso il raggiungimento di una totale decarbonizzazione;
    b) nel medio e lungo periodo: ad implementare strategie volte a riportare il livello di anidride carbonica atmosferico al livello preindustriale, al fine di azzerare ogni tipo di forzante antropica sul clima planetario;
   ad avviare e completare in pochi anni una completa transizione verso una completa decarbonizzazione dell'economia, integrando parametri legati al cambiamento climatico nei processi decisionali di carattere economico e strategico in tutti i livelli di governo e di impresa, attraverso cambiamenti sistematici delle politiche e degli strumenti di valutazione dei progetti, degli indicatori di performance, dei modelli di rischio e degli obblighi di segnalazione;
   a dare crescente supporto alla creazione di economie a bassa impronta di carbonio nei Paesi più poveri in modo da evitare che le loro economie leghino il proprio sviluppo alla dipendenza dalle fonti fossili;
   ad avviare appropriate e immediate iniziative di rimozione degli incentivi e dei sussidi diretti e indiretti all'uso di combustibili fossili, spostando gli investimenti sulla ricerca e sullo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, sul risparmio energetico nonché sull'efficiente produzione e uso dell'energia, rivedendo a tal fine la strategia energetica nazionale e definendo conseguentemente in vero piano nazionale energetico;
   a farsi promotore affinché l'Unione europea riveda al rialzo nei prossimi anni gli obiettivi del Libro verde sul quadro al 2030 per le politiche climatiche ed energetiche, prevedendo: una riduzione delle emissioni di gas serra dell'Unione europea pari ad almeno il 55 per cento rispetto al 1990, il raggiungimento di una quota di energie rinnovabili sul totale dei consumi energetici pari ad almeno il 45 per cento, nonché un aumento dell'efficienza energetica di almeno il 40 per cento;
   ad attivarsi, in ambito nazionale e in sede di Unione europea affinché si adottino opportune forme di fiscalità ambientale che rivedano le imposte sull'energia e sull'uso delle risorse ambientali nella direzione della sostenibilità, anche attraverso la revisione della disciplina delle accise sui prodotti energetici in funzione del contenuto di carbonio (carbon tax), al fine di accelerare la conversione degli attuali sistemi energetici verso modelli a emissioni basse o nulle;
   a spendere tutti i proventi derivanti dalla vendita all'asta dei permessi di emissioni al comparto industriale per politiche di mitigazione ed adattamento ai cambiamenti climatici;
   a promuovere una riforma sostanziale che porti alla cancellazione del sistema europeo di scambio dei titoli di emissione di gas serra (EU-ETS), concentrando gli impegni a livello nazionale ed internazionale per raggiungere il totale affrancamento dalle fonti fossili;
   a farsi promotore, tra i Paesi dell'Unione europea, del divieto di estrarre idrocarburi non convenzionali (quali tight gas, shale gas, tight oil, metano da carbone, idrati di metano) e di della predisposizione di un'adeguata tassazione sulle importazioni di idrocarburi, basata sugli impatti ambientali prodotti durante l'intero ciclo di vita;
   ad approvare entro settembre 2015 la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, elaborata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in collaborazione con la comunità scientifica nazionale, procedendo immediatamente con la definizione di un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che ne recepisca le indicazioni definendone priorità, tempistiche e impegni di spesa;
   a sottoscrivere il documento denominato «Geneva Pledge», presentato durante i negoziati sulla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) tenutisi nel febbraio 2015 a Ginevra, favorendo in tal modo il riconoscimento della stretta interconnessione fra giustizia sociale e giustizia ambientale, tra la tutela dei diritti umani e il contrasto dei cambiamenti climatici;
   nel quadro degli impatti previsti, a sostenere, in ogni sede, il principio dell'acqua come bene comune e diritto umano, affinché si affermi nel diritto internazionale e nelle costituzioni dei singoli Stati;
   a prevedere politiche volte ad un radicale cambiamento nel modo in cui la risorsa acqua viene utilizzata, gestita e condivisa, che valorizzino il ruolo delle comunità locali nella governance della risorsa e affinché almeno il minimo vitale, di buona qualità, sia accessibile a tutti;
   considerato lo stretto legame tra risorse idriche, alimentazione ed energia, a promuovere politiche di gestione di ciascun settore congiuntamente con gli altri;
   a promuovere politiche di limitazione all'agricoltura intensiva che contribuisce ad aggravare l'inquinamento idrico da fonti puntuali e non puntuali, posto che sostenendo invece politiche volte alla corretta combinazione di incentivi all'agroecologia, norme di legge più severe su pesticidi e fitosanitari con relative misure sanzionatorie e sussidi adeguatamente mirati ai piccoli agricoltori locali, così che si potrà favorire la riduzione dell'inquinamento idrico prodotto dall'agricoltura intensiva;
   ad assumere iniziative per implementare politiche migratorie pianificate e bene gestite, migrazioni sostenibili sulla base della libertà di mobilità e di migrazione prevista dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e, quindi, per contrastare e prevenire ogni migrazione forzata, favorendo il riconoscimento dello status di «climate refugees»;
   a sostenere in tutte le sedi l'esistenza di una chiara correlazione tra cambiamenti climatici e diritti umani, includendo nel documento finale di Parigi, i diritti dei popoli indigeni, la loro conoscenza tradizionale, il diritto alla terra ed all'autodeterminazione, alla partecipazione diretta ed effettiva alle politiche climatiche e all'accesso diretto alle risorse finanziarie, assicurandone il rispetto e la promozione in ogni programma o progetto di mitigazione, adattamento, trasferimento di tecnologie, riduzione delle emissioni e capacity building;
   ad impegnarsi fattivamente per l'attuazione del «New York declaration on Forests», l'accordo siglato in occasione del vertice ONU «Climate summit 2014», con l'obbiettivo di fermare la deforestazione delle foreste naturali entro il 2030, rafforzando gli incentivi per l'investimento a lungo termine e la tutela forestale ed aumentando i finanziamenti internazionali, progressivamente legati ai risultati;
   a promuovere l'applicazione dei precedenti impegni assunti dalla comunità internazionale, sostenendo, in particolare: l'eliminazione dei composti di fluoro oggetto del Protocollo di Montréal; l'attuazione dell'accordo di Lima al fine di definire in tempi brevi, attraverso un percorso democratico e partecipativo, le modalità per l'attuazione in Italia dei contributi programmati e definiti a livello nazionale europei; l'adozione in tempi brevi di tutte le iniziative necessarie per la ratifica e l'implementazione degli impegni europei nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, con particolare riguardo all'emendamento approvato a Doha nel 2012 per la ratifica degli impegni relativi al secondo periodo del protocollo di Kyoto, circa gli ulteriori impegni vincolanti in materia di riduzione di gas serra;
   a promuovere un nuovo modello di agricoltura, sia per la produzione alimentare, che per il ruolo fondamentale nella mitigazione dei cambiamenti climatici e dei danni naturali, promuovendo, a livello normativo e finanziario, lo sviluppo di politiche agricole più sostenibili e incoraggiando le comunità locali a gestire la produzione e il consumo delle proprie risorse nell'ottica degli obiettivi ambientali, e a promuovere la transizione verso l'agroecologia, pratiche sostenibili, resilienti e, allo stesso tempo, efficienti e socialmente eque, in grado di sostenere le sfide ambientali e alimentari future;
   a perseguire, in linea con la predisposizione del nuovo pacchetto europeo, un modello di economia circolare, da realizzare attraverso strumenti normativi, investimenti in innovazione e ricerca finalizzati al riuso e al riciclo, in modo da contribuire, tra l'altro, alla creazione di nuovi posti di lavoro;
   ad esprimersi chiaramente escludendo l'uso dell'ingegneria climatica – geoingegneria – come soluzione alternativa o integrativa rispetto agli impegni richiesti a livello internazionale per la mitigazione del cambiamento climatico, dal momento che le conseguenze sono ancora incerte e che la geoingegneria può provocare effetti preoccupanti e non gestibili; ad assumere iniziative per avviare, a tal fine, un dibattito a livello europeo ed internazionale, per prendere una posizione chiara che rifiuti l'uso della geoingegneria, promuovendo una moratoria internazionale;
   a promuovere l'adozione di politiche, piani e programmi sia a livello nazionale che a livello internazionale, anche nell'ambito della cooperazione allo sviluppo, al fine di coinvolgere tutti i Paesi in una strategia globale che punti alla revisione del modello economico e produttivo ed alla progressiva eliminazione delle fonti fossili;
   ad assumere iniziative per escludere dal Patto di stabilità le spese dello Stato, delle regioni e degli enti locali, legate a politiche e misure di riduzione delle emissioni climalteranti, con particolare riguardo alle risorse finalizzate al risparmio energetico, efficienza energetica, energie rinnovabili, nonché a interventi volti all'adattamento ai cambiamenti climatici e in particolare alla messa in sicurezza del territorio e alla protezione civile;
   a sostenere le azioni delle regioni finalizzate ad aumentare la resilienza del territorio promuovendo le opportune sinergie tra mitigazione e adattamento, anche in collegamento con le iniziative in atto a livello europeo;
   a favorire, per quanto di competenza, lo sviluppo in modo coordinato di adeguati piani regionali e locali di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici, privilegiando le misure ad alto grado di sostenibilità ambientale, evitando impatti negativi sull'ambiente e sugli ecosistemi delle misure stesse;
   ad incentivare e promuovere, in tutti i livelli di aggregazione territoriale, lo sviluppo di infrastrutture verdi in grado di sequestrare carbonio e compensare in parte le emissioni di gas serra, soprattutto in ambito urbano;
   a favorire l'adozione di misure per fermare il consumo di suolo attraverso piani di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente e, ove possibile, di ripristino delle condizioni ecosistemiche naturali dei luoghi, con particolare riferimento ai versanti montuosi oggetto di dissesto idrogeologico;
   a rivedere completamente la politica dei trasporti delle persone e delle merci: aumentando sotto il profilo qualitativo e quantitativo l'offerta del trasporto pubblico, con particolare attenzione al potenziamento delle infrastrutture per la mobilità locale e regionale; introducendo misure disincentivanti del trasporto individuale con mezzi a motore; favorendo le forme di mobilità sostenibile, con particolare attenzione per la mobilità ciclistica, sia in ambito urbano sia in ambito turistico, anche attraverso la creazione di reti per la mobilità dolce; promuovendo sistemi di intermodalità, car sharing e car pooling; avviando interventi per il riequilibrio modale del trasporto merci dalla gomma al ferro, eliminando ogni forma di incentivazione per l'autotrasporto; rivedendo completamente il piano delle grandi opere pubbliche in modo da espungere le opere che privilegiano le modalità di trasporto più inquinanti;
   a guidare il processo di cambiamento del sistema produttivo, economico e dei consumi alimentari, adottando politiche di indirizzo volte a promuovere stili di vita e abitudini più sostenibili nei cittadini, in particolare attraverso la riduzione dei consumi dei prodotti alimentari ad elevato impatto, quali i prodotti animali e derivati e l'incentivazione dei prodotti a filiera corta; a portare avanti con determinazione, nel dibattito e negli accordi internazionali sulla mitigazione dei cambiamenti climatici, il tema dell'alimentazione e delle scelte alimentari, riconoscendo il forte impatto ambientale legato, soprattutto, alla produzione e consumo di cibi di origine animale e dell'olio di palma;
   ad attivare misure di contrasto allo spreco alimentare in ossequio agli obiettivi enunciati nella Carta di Milano, ovvero nella riduzione del 50 per cento dello spreco alimentare al 2020, definendo delle azioni precise e improrogabili, per agire a più livelli: dalla produzione agricola per evitare le eccedenze, al riutilizzo nella catena alimentare destinata al consumo umano, fino al riciclo e al recupero, senza ricorrere alle discariche, per evitare l'incremento delle emissioni di metano e gas serra;
   a riconoscere che la crisi ambientale non può essere affrontata se non abbandonando il paradigma della crescita economica infinita misurata attraverso la crescita del prodotto interno lordo e ad adottare indicatori di sostenibilità alternativi come il benessere equo e sostenibile (BES) o il genuine progress indicator (GPI), capaci di misurare lo sviluppo economico tenendo in considerazione gli aspetti ambientali e sociali;
   a prevedere l'introduzione di specifici cicli di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado per diffondere tra le giovani generazioni la conoscenza del fenomeno dei cambiamenti climatici, con particolare riferimento alle conseguenze socio-economiche e all'adozione di pratiche e stili di vita maggiormente compatibili con i mutamenti in atto;
   ad istituire un servizio meteorologico nazionale distribuito (Smnd) con il compito di monitorare il cambiamento in atto nei vari ambiti nazionali (atmosfera, mare, ecosistemi) a supporto delle azioni e delle politiche condotte e messe in atto dalle istituzioni nazionali, regionali e locali.
(1-00951)
«Busto, De Rosa, Daga, Mannino, Micillo, Terzoni, Zolezzi, Vignaroli, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mantero, Marzana, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Villarosa».
(17 luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    si terrà a Parigi dal 30 novembre all'11 dicembre 2015 la Conferenza dei Paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nel cui ambito dovranno essere definiti gli obiettivi e gli impegni vincolanti per la riduzione delle emissioni nell'aria per contenere l'effetto serra ed i cambiamenti climatici;
    l'Italia ha ridotto in misura significativa le emissioni di gas serra, sia per effetto della recessione che ha ridotto i consumi, sia grazie alla modernizzazione e, quindi, alla migliore efficienza dei sistemi di produzione ed utilizzazione dell'energia che ha portato a risparmi nei consumi e ad una più ampia e costosa utilizzazione delle energie rinnovabili;
    la riduzione effettiva delle emissioni di gas serra, in attuazione del protocollo di Kyoto, ha scarsi o addirittura nulli effetti positivi sul clima se è concretamente effettuata, peraltro con alti costi, solo da pochi Paesi, prevalentemente appartenenti all'Unione europea, tra cui l'Italia, mentre non viene affatto attuata o lo è in misura insufficiente dai responsabili dei maggiori volumi di emissioni di gas serra che sono: gli Stati Uniti e i Paesi cosiddetti Brics e cioè Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, nonché dai Paesi di nuova industrializzazione del sud-est asiatico;
    l'Unione europea si è già impegnata, da parte sua, al raggiungimento di nuovi ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, peraltro molto onerosi e penalizzanti sotto il profilo economico per un'area economica che fa registrare un basso tasso di sviluppo ed un forte tasso di disoccupazione, ma questo sforzo virtuoso sarà sostanzialmente inutile se il resto del mondo continuerà ad ignorare sostanzialmente il problema;
    altro fenomeno, purtroppo fino ad ora sottovalutato, che incide negativamente sul clima e di cui bisogna tenere adeguato conto, è la progressiva riduzione della superficie delle foreste pluviali equatoriali per effetto di uno sfruttamento dissennato che sta intaccando quello che è il polmone verde del pianeta; tale fenomeno è particolarmente grave in Brasile, Indonesia, India, Africa centrale, Nuova Guinea e Sud-Est asiatico;
    va comunque tenuto conto che le oscillazioni climatiche determinate dalla natura sono immensamente più forti di quelle provocate dall'uomo, a partire dalla rivoluzione industriale; si pensi solo al succedersi nel tempo delle glaciazioni e dei periodi con clima temperato, e, su scala molto più ridotta e temporanea, si considerino gli effetti sul clima planetario provocati delle eruzioni del vulcano Tambora nel 1815, del Krakatoa nel 1883 e, più recentemente, del Pinatubo nel 1991, per cui le politiche, pur opportune, di contenimento delle emissioni di gas serra, anche se saranno realizzate finalmente su base planetaria, potranno avere effetti sicuramente benefici ma non decisivi sull'evoluzione del clima, specie nel lungo periodo, quindi per tale specifica ragione il tema del contenimento delle emissioni di gas serra va considerato in modo pragmatico e non ideologico,

impegna il Governo:

   a favorire, nell'ambito della prossima Conferenza di Parigi tra i Paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, un accordo globale e realmente vincolante per la riduzione delle emissioni con obiettivi realistici e opportunamente cadenzati che dovranno essere rispettati da tutti i Paesi aderenti;
   a richiedere l'introduzione di sanzioni credibili ed efficaci per i Paesi aderenti che non rispetteranno gli impegni assunti per la riduzione graduale delle emissioni di gas serra, in quanto, se dovesse persistere l'attuale situazione che vede solo pochi Paesi, per lo più europei, che agiscono concretamente, affrontando costi elevati, per ridurre le emissioni si avrebbero due risultati fortemente negativi: in primo luogo si vanificherebbero i benefici sul clima in quanto l'impegno dei Paesi virtuosi inciderebbe solo su una piccola parte delle emissioni su scala mondiale e, in secondo luogo, si distorcerebbe la concorrenza a vantaggio dei Paesi inadempienti;
   ad assumere iniziative per rivedere gli attuali incentivi per le energie rinnovabili che attualmente sono superiori a quelli che si applicano in media nell'Unione europea e che gravano eccessivamente sulle bollette energetiche dei cittadini e delle imprese, rendendole meno competitive, disincentivando in tale ambito l'uso di terreni adatti all'agricoltura per l'installazione di pannelli solari che dovranno essere collocati esclusivamente in aree sterili, e circoscrivendo gli incentivi strettamente alle fonti energetiche effettivamente rinnovabili e quindi non inquinanti;
   ad adottare, sia nell'ambito delle Nazione Unite, sia nell'ambito dell'Unione europea, sia – e soprattutto – sul piano nazionale, politiche sul contenimento delle emissioni dei gas serra realistiche e non ideologiche e che non siano inutilmente controproducenti sul piano economico per i cittadini e per le imprese.
(1-00953)
«Palese, Castiello, Distaso, Martinelli, Romele, Vella, Occhiuto».
(20 luglio 2015)