TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 461 di Martedì 14 luglio 2015

 
.

INTERROGAZIONI

A)

   DORINA BIANCHI. — Al Ministro della salute e al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in materia di sicurezza alimentare, i principali cambiamenti apportati dal regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori, hanno sicuramente aumentato il livello di informazioni sull'etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari, nonché sulla loro etichettatura nutrizionale;
   per quanto concerne, invece, tutto ciò che è relativo alla somministrazione alimentare, sia pubblica che privata, attualmente i genitori degli studenti sono costretti a delegare questo importante aspetto alle strutture scolastiche, senza avere alcun tipo di controllo sull'alimentazione dei propri figli;
   l'Italia resta ancora ai primi posti in Europa per obesità, con il 20,9 per cento di bambini in sovrappeso ed il 9,8 per cento obeso (dato del sistema di sorveglianza nazionale «Okkio alla salute», promosso dal Ministero della salute insieme al Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, all'interno del programma strategico «Guadagnare salute – rendere facili le scelte salutari» e coordinato dall'Istituto superiore di sanità, in collaborazione con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con le regioni e le aziende sanitarie locali);
   i dati del 2014 indicano che dal 2008 ad oggi sono diminuiti i bambini di 8-9 anni in sovrappeso oppure obesi, ma restano elevati i livelli di eccesso ponderale che pongono l'Italia ai primi posti in Europa per sovrappeso e obesità infantile;
   per quanto attiene alle abitudini alimentari, che possono favorire un aumento di peso, specie se concomitanti, dai dati 2014 emerge che l'8 per cento dei bambini salta la prima colazione, il 52 per cento fa una abbondante merenda a metà mattina, mentre il 25 per cento non consuma quotidianamente frutta e/o verdura;
   i genitori, inoltre, nella maggior parte dei casi non sempre hanno un quadro corretto del problema ponderale del proprio figlio, né dell'esposizione del bambino a fenomeni di intolleranza ed allergia alimentare;
   la creazione di un repertorio nazionale per le aziende di prodotti alimentari e aziende che erogano servizi di somministrazione nelle scuole e in altri edifici pubblici potrebbe garantire una serie di controlli continui e specialistici, soprattutto nella tracciabilità e nell'uso delle materie prime;
   uno strumento del genere permetterebbe allo Stato di essere totalmente trasparente, efficace ed efficiente su tale delicata problematica, prevedendo l'iscrizione dei produttori e dei somministratori nel repertorio con l'obbligo di inserire tutti i propri prodotti con i relativi ingredienti;
   l'obbligatorietà di iscrizione di produttori e somministratori aumenterebbe maggiormente i livelli di sicurezza e di monitoraggio della problematica legata alla prevenzione e alla cura del diabete infantile –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative per istituire un repertorio nazionale per le aziende di prodotti alimentari e aziende che erogano servizi di somministrazione nelle scuole, negli ospedali e negli edifici pubblici, sotto il controllo dei rispettivi dicasteri. (3-01555)
(17 giugno 2015)

B)

   SISTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   al 1o ottobre 2014 l'Italia ha ospitato più di 130 mila migranti provenienti da diversi Paesi;
   nelle strutture nazionali, come centri di accoglienza per richiedenti asilo, centri di identificazione ed espulsione, centri di prima accoglienza, strutture temporanee, posti sprar (sistema di accoglienza per richiedenti asilo), sono stati accolti ben 61.536 soggetti;
   la sola Sicilia ne ha accolti 14.719, il Lazio 7.822, la Puglia 6.004, la Lombardia 5.653, la Calabria 4.558, la Campania 4.104 e così via in percentuali inferiori, ma sempre significative;
   in data 25 ottobre 2014 attraverso i mezzi di stampa si è appreso che le autorità regionali pugliesi hanno predisposto il protocollo sanitario, da attivarsi in caso di ipotesi di contagio del virus «ebola»;
   dai controlli effettuati è emerso che un'eventuale emergenza si potrebbe scontrare con una mancanza di posti letto in isolamento o alto isolamento;
   si è stabilito che si procederà alla formazione ad hoc degli operatori del 118 e di coloro che operano nei punti di primo intervento, non solo per velocizzare i tempi, ma anche per alzare gli standard di sicurezza degli operatori sanitari;
   in data 3 ottobre 2014, l'agenzia di informazione Ansa ha reso noto che «circa 600 migranti ospiti del cara e del cie di Bari» meno della metà dei presenti, perché volontari «sono stati sottoposti a screening ematico delle malattie infettive (ebola, hiv, epatite, tifo, tubercolosi, se pur quest'ultima non leggibile dal prelievo), solo grazie al progetto dell'associazione Help di Bari, in collaborazione con l'Avis di Avellino»;
   la tubercolosi necessita di radiografia al torace per essere diagnosticata;
   la scabbia necessita di visita specialistica –:
   se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per intervenire sul territorio nazionale, nelle strutture deputate all'accoglienza degli stranieri, dei migranti, dei viaggiatori in generale e quindi nei centri di accoglienza per richiedenti asilo, centri di identificazione ed espulsione, centri sprar, porti ed aeroporti;
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per monitorare la situazione ed operare all'unisono con il «centro regionale per la sorveglianza virologica». (3-01556)
(19 giugno 2015)

C)

   GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio 2014 è stato sottoscritto ad Arezzo, dagli assessori regionali alle infrastrutture e ai trasporti della regione Toscana Vincenzo Ceccarelli e della regione Umbria Silvano Rometti, l'accordo tra la Toscana e l'Umbria per la realizzazione di uno studio di fattibilità della stazione Medioetruria per l'alta velocità sul tracciato della direttissima Roma-Firenze;
   tale stazione, già prevista nei piani dei trasporti delle due regioni, dovrebbe servire un bacino di un milione di persone tra Umbria e bassa Toscana, riguardante le province di Arezzo, Siena e Perugia, e dovrebbe intercettare almeno il 10-12 per cento dei circa 180 treni transitanti ogni giorno su questa tratta;
   l'intesa sottoscritta, oltre a prevedere la realizzazione di uno studio di fattibilità della stazione sia dal punto di vista strutturale che economico, con il calcolo dei costi e benefici, nonché con l'indicazione con precisione del punto in cui sarà realizzata qualora il progetto venisse accettato, ha stabilito il varo di uno specifico tavolo tecnico composto da rappresentanti di entrambe le regioni per effettuare i primi approfondimenti sulla questione;
   sebbene l'accordo non faccia riferimento alla possibile ubicazione della stazione, questa dovrebbe comunque essere realizzata in Valdichiana, circoscritta nel territorio tra Chiusi e Arezzo. «La nuova stazione proposta – si legge nell'accordo – dovrà essere localizzata in un punto che presenti idonee caratteristiche di accessibilità possibilmente multimodali rispetto al bacino di traffico da servire». Dovrà, quindi, essere un punto strategico rispetto alla rete ferroviaria, ma anche in relazione a quella stradale, possibilmente correlato agli interventi di potenziamento in corso, tra cui quelli legati al completamento della «Due mari». «Quel che è certo – ha commentato l'assessore toscano Ceccarelli – è che di questa fermata potranno beneficiarne sia i cittadini umbri, che quelli di Arezzo e Siena, ma credo che potrà avere ripercussioni positive anche per i grossetani»;
   per l'assessore regionale ai trasporti dell'Umbria, Silvano Rometti, «il protocollo rappresenta un ulteriore passo avanti nell'attuazione delle scelte compiute con il piano dei trasporti e in questo quadro la nuova stazione sulla direttrice Roma-Firenze, a servizio dell'alto Lazio, dell'Umbria e della bassa Toscana, costituisce una scelta strategica per la nostra regione. L'Umbria non può e non deve rimanere isolata dai collegamenti ferroviari che sono il futuro della mobilità, come più volte ribadito dalla stessa Unione europea. Da tempo c’è stato un proficuo lavoro con il Governo, con le istituzioni interessate ed incontri pubblici per rendere concreta la realizzazione della nuova stazione Medioetruria, di cui ora andranno meglio definiti progettazione, modalità e costi perché possa diventare un efficace snodo strategico del sistema dei trasporti, collegato alle principali vie di comunicazione nazionali e capace di intercettare un numero congruo di treni ad alta velocità sulla direttrice Roma-Milano». «Al momento però – ha aggiunto l'assessore – resta tutto da definire: tempi, costi, localizzazione e progettazione verranno definiti solo nei prossimi mesi. Dobbiamo pensare ad una logica di insieme che vada fuori dai confini della nostra regione. Queste sono strutture di grande impatto non solo economico e infrastrutturale, ma anche turistico»;
   la realizzazione della nuova stazione ferroviaria Medioetruria sulla linea dell'alta velocità Firenze-Roma dovrebbe rappresentare uno snodo strategico per le regioni Umbria e Toscana per sostenere lo sviluppo dei rispettivi territori, delle imprese e del turismo, nonché per garantire servizi più efficienti per la mobilità dei cittadini;
   l'esempio di Medioetruria vanta un precedente significativo. Da circa un anno è infatti operativo a Reggio Emilia Mediopadana, l'unico scalo viaggiatori intermedio tra le stazioni di Bologna e Milano, costato circa 70 milioni di euro, mentre il costo ipotizzabile per la fermata toscana dovrebbe essere di poco più della metà. Attualmente sia Trenitalia sia Nuovo trasporto viaggiatori servono la stazione Mediopadana con diversi collegamenti al giorno attraverso treni ad alta velocità. La realizzazione di Medioetruria dovrebbe svolgere la stessa funzione, collocandosi come unico scalo di alta velocità intermedio tra Roma e Firenze e servendo un bacino potenziale di un milione di persone;
   secondo l'intesa raggiunta nel luglio 2014, a settembre 2014 è stato conferito l'incarico per studiare la fattibilità trasportistica e commerciale di questa opera infrastrutturale, i cui risultati avrebbero dovuto essere prodotti entro gennaio 2015, ed è stato richiesto al Governo di inserirla nel XII allegato alle infrastrutture, in cui si fissano le priorità concordate tra Governo e regioni;
   nel mese di dicembre 2014 si è insediato il tavolo tecnico composto da rappresentanti delle regioni Umbria e Toscana, delle università di Perugia, Siena e Firenze e di Rete ferroviaria italiana, che entro qualche mese, compiute le dovute valutazioni e approfondimenti, avrebbe dovuto indicare il luogo più idoneo in Valdichiana per la realizzazione della nuova stazione ferroviaria Medioetruria sulla linea dell'alta velocità Firenze-Roma;
   compito del tavolo incaricato della fattibilità del progetto per la realizzazione della nuova stazione ferroviaria sulla linea dell'alta velocità Firenze-Roma è valutare se Umbria e bassa Toscana possano legittimamente ambire ad uno scalo che potrebbe rivelarsi strategico per un territorio oggi tagliato fuori dai collegamenti veloci Nord-Sud e dall'evoluzione del trasporto ferroviario;
   durante la presentazione del tavolo tecnico, l'assessore alle infrastrutture e ai trasporti della regione Umbria Rometti ha spiegato che «la nuova stazione sulla direttrice Roma-Firenze presumibilmente sorgerà nel tratto tra Chiusi e Arezzo, sarà a servizio dell'alto Lazio, dell'Umbria e della bassa Toscana, in un'area importante per entrambi i territori». Le ipotesi sono essenzialmente due: la prima, preferita dalle istituzioni regionali, riguarda il tratto tra Rigutino e Arezzo, quindi molto vicino al capoluogo toscano; la seconda, invece, molto più vicino a Chiusi, come chiedono a gran voce molti sindaci delle province di Perugia e Siena;
   spetterà, quindi, al tavolo tecnico determinarne la collocazione ottimale sulla base di valutazioni di carattere trasportistico, di accessibilità generale ed in relazione all'attuale rete ferroviaria, stradale ed alle sue prospettive di potenziamento e sviluppo nell'ambito interessato, tra cui la E78;
   il 14 maggio 2015 a Firenze, alla presenza dei rappresentanti delle regioni Umbria e Toscana, si è riunito il tavolo tecnico e, per la prima volta, alla riunione hanno partecipato rappresentanti ai massimi livelli dei due gestori delle linee dell'alta velocità: Vincenzo Soprano, amministratore delegato di Trenitalia, ed Emanuele De Santis e Francesco Fiore, dirigenti di Ntv, Nuovo trasporto viaggiatori;
   da un'analisi delle potenzialità del nuovo scalo, è emerso come il bacino di interesse della stazione, pari a circa due milioni e mezzo di potenziali utenti, avrebbe dimensioni analoghe a quello della stazione Mediopadana che è stata realizzata in Emilia-Romagna. Ed anche per questo il progetto per la realizzazione della stazione Medioetruria, il nuovo scalo intermedio tra Firenze e Roma, incontra il pieno interesse dei due operatori dell'alta velocità, Trenitalia e Ntv. I rappresentanti di Rete ferroviaria italiana hanno sottolineato «l'interesse a tutti i progetti di sviluppo finalizzati a migliorare la qualità dei servizi ferroviari e a promuovere il riequilibrio del rapporto modale fra gomma e ferro. Per questo mettiamo a disposizione le competenze tecniche utili a sostenere la realizzazione di questo progetto»;
   a questo primo riscontro seguiranno altri approfondimenti volti a comprendere meglio non solo le dimensioni del bacino per i residenti, ma anche la sua attrattività sotto il profilo turistico. In parallelo il tavolo tecnico continuerà a lavorare sulla possibile localizzazione della stazione: l'esito conclusivo dei lavori del tavolo, infatti, consisterà nell'individuazione di alcuni siti di cui si evidenzieranno potenzialità e criticità;
   secondo quanto affermato dalla presidente della regione umbra Catiuscia Marini nel mese di dicembre 2014, in occasione dell'insediamento del tavolo tecnico, «il collegamento all'alta velocità ha un interesse strategico per l'Umbria, è uno snodo fondamentale per il futuro della regione, per la mobilità dei cittadini, per le imprese e per il turismo. L'alta velocità rappresenta uno strumento indispensabile per rompere l'isolamento dell'Umbria verso l'esterno e, soprattutto, verso Milano ed il Nord del Paese. La realizzazione di Medioetruria consentirà di superare questo gap infrastrutturale, mettendo in condizione gli utenti di raggiungere agevolmente il capoluogo e di dirottare su questa tratta ferroviaria i turisti che, per l'85 per cento, gravitano sull'asse Perugia, Assisi, Trasimeno. Sarà di fondamentale importanza anche per la scelta delle sedi universitarie, in parte dipendenti dai servizi ferroviari offerti e dai collegamenti con altre infrastrutture, tra cui quelle aeroportuali»;
   l'accordo sul progetto dello Medioetruria ha sollevato, tuttavia, alcune voci di dissenso da parte alcune istituzioni dell'Umbria e da parte del «Comitato ultimo treno» che, in alternativa, propone di valorizzare la linea trasversale Ancona-Perugia-Roma, con transito interno all'aeroporto di Perugia;
   le critiche riguarderebbero il fatto che la regione Toscana userebbe l'accordo con l'Umbria per rafforzare il proprio sistema ferroviario regionale a danno di quello umbro, che vedrebbe gran parte del territorio tagliato fuori dalle ricadute positive derivanti dal passaggio dei convogli dell'alta velocità;
   inoltre, la spesa dell'opera infrastrutturale pari a 30 milioni di euro è soltanto un'ipotesi e potrebbe addirittura crescere in fase di realizzazione: tutto ciò per avere una stazione dell'alta velocità a circa 50 chilometri da Perugia che potrebbe rivelarsi un'ulteriore opera inutile ai fini dello sviluppo infrastrutturale dell'Umbria –:
   se, a fronte dei dati relativi alla Mediopadana cui si fa continuo riferimento come termine di paragone per il progetto Medioetruria e che sono risultati di molto inferiori ai 2,5 milioni di passeggeri ipotizzati, si ritenga l'investimento sostenibile in termini di costi-benefici, considerando la spesa di 30 milioni di euro necessaria per realizzare una stazione che sposta traffico e ricadute economiche verso la Toscana a svantaggio dell'Umbria, già oggi regione molto più depressa della prima e che, dunque, rischia di essere ulteriormente penalizzata dall'opera in questione. (3-01542)
(15 giugno 2015)

D)

   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Electrosys con sede in Orvieto (Perugia), attiva nel settore dell'elettronica di precisione, si trova in concordato preventivo dal luglio 2014 e recentemente è stato siglato un accordo con la società Elenos per la cessione dell'azienda;
   tuttavia, nonostante la conclusione dell'accordo, rimane forte l'incertezza e la preoccupazione per il futuro dell'azienda e, soprattutto, per la sorte dei lavoratori dipendenti;
   infatti, come si apprende dalla stampa on line (www.orvieto24.it del 3 febbraio 2015), «l'ultimo stipendio, o meglio acconto sullo stipendio, lo hanno percepito a febbraio 2014. Circa 500 euro, poi più niente. Sono i circa ottanta dipendenti della Electrosys che da un anno non vengono pagati, ottanta famiglie che non possono più contare su uno stipendio, famiglie che da un anno non sanno più a che santo votarsi. Fa da sottofondo a tutto questo la spinosa vicenda del passaggio di proprietà: il giudice ha deciso per l'offerta di affitto di ramo di azienda proposta dalla Elenos, ma i dipendenti dicono che, al contrario di quanto affermato dal sindaco Giuseppe Germani, da Andrea Scopetti e Andrea Taddei, segretario e capogruppo del Partito democratico di Orvieto, “niente sarebbe definito poiché il giudice – secondo quanto riferito da un gruppo di dipendenti – starebbe valutando la congruità dell'offerta prima di dare il suo ok alla firma o di predisporre il fallimento di azienda”. Azienda che nel frattempo – dicono i dipendenti – sarebbe ancora aperta e nel cui stabilimento accoglierebbe ogni giorno una ventina di persone che – a detta dei dipendenti – nessuno sa cosa fanno, ma soprattutto nessuno sa come e se verranno pagati. E certamente non sono stati pagati gli ottanta dipendenti che dopo la firma del concordato di giugno si aspettavano almeno di ricevere la cassa integrazione. E invece no. E perché no? Perché sempre secondo quanto riferito dai dipendenti – alcuni vizi di forma evidenziati in alcuni documenti presentati dai sindacati e da Confindustria al Ministero sarebbero l'origine del blocco di tutta la procedura. Procedura che, ormai ferma da mesi, nessuno riesce a sbloccare»;
   intanto, considerato il lasso di tempo trascorso, forte è il rischio che la Electrosys perda importanti commesse e i clienti acquisiti, con conseguente indebolimento della società e ricadute sui livelli occupazionali –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta e se sia vero che i dipendenti della Electrosys non hanno percepito alcuna retribuzione, né goduto del trattamento di cassa integrazione e per quali motivi;
   quali misure urgenti intendano adottare per favorire un rilancio dell'attività e per tutelare i livelli occupazionali, anche verificando la sussistenza dei presupposti per la concessione di ammortizzatori sociali e di sostegno al reddito. (3-01610)
(10 luglio 2015)

E)

   ZAN. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera n. 2199 del 27 novembre 2014, pubblicata nel bollettino ufficiale della regione del 23 dicembre 2014, la giunta regionale del Veneto ha accantonato 5.370.000 euro dei fondi per le aree sottoutilizzate per il triennio 2014-2016, destinandoli al complesso monumentale della Rocca di Monselice, in provincia di Padova, per «interventi necessari e urgenti alla piena funzionalità del complesso e completamento delle opere intraprese»;
   un capitolo da 1.900.000 euro sarebbe destinato al progetto «completamento dell'impianto di risalita per l'accesso turistico al Colle della Rocca», che prevede la perforazione del colle e l'installazione di un ascensore al suo interno;
   il cantiere per tale progetto fu bloccato nel maggio del 2008 dopo il sequestro da parte della magistratura: concluso lo scavo orizzontale, risulta a oggi mancante quello verticale; ripartirebbe, quindi, il progetto al centro di una vicenda giudiziaria durata sei anni e conclusasi nel febbraio 2014 tra assoluzioni e prescrizioni;
   secondo il portavoce del comitato popolare «Lasciateci respirare» Francesco Miazzi, la contrarietà al progetto da parte delle associazioni ambientaliste del territorio si fonda su vari elementi, che vanno dall'estrema fragilità del colle allo stravolgimento nella fruizione del patrimonio architettonico presente, passando per l'insostenibilità economica di gestione per un impianto di risalita di tali dimensioni;
   a tal proposito va rilevato come in effetti manchi a tutt'oggi un qualsiasi elaborato che affronti i termini relativi all'importante problema della gestione dell'impianto una volta in esercizio;
   cedimenti e crolli interni avevano costretto a sospendere i lavori ben prima del sequestro, avendo i costanti movimenti franosi messo a rischio i residenti;
   a seguito di tali eventi franosi non risultano all'interrogante pareri competenti e obiettivi sulle reali condizioni geologiche e strutturali del colle, che potrebbero essere ulteriormente compromesse dall'escavazione del tunnel verticale;
   vi è, infatti, il concreto rischio che la ripresa delle perforazioni all'interno del Colle della Rocca riattivi le frane verificatesi appena due anni fa a pochi metri dalla prima cinta muraria attorno al Mastio;
   viene da chiedersi perché non si punti verso alternative meno costose, meno impattanti e più funzionali, come proposto dagli stessi comitati, quali un semplice impianto di risalita, posizionato nel parcheggio laterale di Villa Duodo, che potrebbe permettere a piccoli mezzi elettrici di superare il dislivello e le barriere per riprendere il sentiero presente; per disabili o persone in difficoltà il colle diverrebbe così completamente fruibile;
   sulla Rocca sono concentrate numerose bellezze architettoniche, oltre ai resti di antiche fortificazioni, tra cui l'imponente roccaforte del Mastio federiciano. Il colle risulta, peraltro, sottoposto a tutela paesaggistica;
   secondo quanto ha dichiarato al quotidiano Il Mattino di Padova in data 18 gennaio 2015 l'assessore regionale veneto alla cultura Marino Zorzato, la proposta di spesa relativa al progetto necessita dell'accordo di programma con il Governo, attraverso il tavolo di partenariato a livello nazionale. «La prudenza è d'obbligo finché non abbiamo la certezza che in sede nazionale la proposta sarà accolta, anche se sono convinto che sarà così. Una volta ottenuto il via libera nazionale», ha proseguito Zorzato, «si potrà passare alla progettazione. Questo tipo di finanziamento è condizionato dall'inizio dei lavori entro la fine di quest'anno. Dovremmo avere il progetto definitivo per giugno-luglio, poi gara d'appalto e appalto entro fine anno»;
   Ferdinando Businaro, presidente della società Rocca, ha affermato, secondo quanto riportato nell'articolo di cui al capoverso precedente, che «l'ascensore è rimasto in una situazione di stallo» e che «ci sarà da risolvere inoltre la questione del contenzioso con Eurocostruzioni perché possa ripartire il cantiere dell'ascensore»;
   la cosa maggiormente sconcertante è che, con riferimento al progetto di cui sopra, nemmeno un euro sembra essere stato destinato dalla regione Veneto per fermare il movimento franoso in atto ovunque, in particolare sul fronte nord del colle;
   il comune di Monselice avrebbe definito un progetto preliminare per la messa in sicurezza del vicolo Scaloncino, una delle principali vie di accesso dal Colle della Rocca, per un costo di circa 380 mila euro, che tuttavia l'amministrazione comunale ha ammesso essere una somma difficile da reperire;
   nonostante già nel 2013 sia crollato un pezzo di parete sul lato nord e molte famiglie siano state costrette a lasciare le proprie abitazioni, gli interventi da parte della regione Veneto, oltre che tardivi, sono risultati del tutto insufficienti a risolvere l'emergenza e a tutelare questo patrimonio –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati in merito a quanto sopra esposto;
   se e quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere, anche sulla base dell'accordo di programma tra Governo e regione Veneto, per garantire la sicurezza dei cittadini di Monselice, nonché la piena salvaguardia del patrimonio ambientale, storico e artistico del Colle della Rocca e così la sua stessa stabilità geologica. (3-01261)
(27 gennaio 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN AMBITO INTERNAZIONALE IN RELAZIONE AL FENOMENO DEI MATRIMONI PRECOCI E FORZATI DI MINORI

   La Camera,
   premesso che:
    secondo le stime dell'Unicef nel mondo ci sono oltre 60 milioni di spose bambine a causa della pratica dei matrimoni di minori, precoci, forzati (child, early, forced marriage);
    l'Asia meridionale e l'Africa sub-sahariana sono le regioni in cui questa pratica è più largamente diffusa dove, non casualmente in coincidenza, sono presenti altri gravi fenomeni, come la mortalità materna e infantile, la malnutrizione e l'analfabetismo. Ma si registrano casi anche in Medio Oriente e Africa settentrionale, così come in Europa, compresa l'Italia, per effetto dei processi migratori, anche se il fenomeno è di difficile rilevazione, in quanto spesso queste unioni non vengono registrate;
    questi matrimoni sono quasi sempre incoraggiati e promossi dalle famiglie come rimedio alla povertà, come mezzo per «liberarsi» delle figlie, considerate un peso, perché «poco produttive», nella speranza di assicurare loro un futuro migliore, in termini sia finanziari sia sociali;
    al contrario, essi comportano una serie di conseguenze negative che segnano per sempre la vita delle spose bambine: queste ultime vengono precocemente sottratte all'ambiente della famiglia e a volte della comunità di origine, sono spesso soggette a violenze fisiche, psicologiche, economiche e sessuali, vittime di abusi e sfruttamento, impedite nelle opportunità educative (solitamente il matrimonio comporta l'abbandono scolastico) e di lavoro, vivono esperienze che comportano conseguenze pesanti sulla sfera affettiva, sociale e culturale;
    al matrimonio precoce seguono quasi sempre gravidanze altrettanto precoci, che provocano decine di migliaia morti, una quota rilevante della mortalità materna complessiva. Anche la prole da gravidanze precoci ne soffre le conseguenze: chi nasce da una madre-bambina o comunque minorenne ha un'alta probabilità di morire in età neonatale e, anche quando sopravvive, corre maggiori rischi di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici;
    già nel 1994, 179 Governi rappresentati alla Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo avevano riconosciuto il legame diretto tra matrimoni precoci, gravidanze in età adolescenziale e alti tassi di mortalità materna e sottolineato il ruolo cruciale dell'educazione nelle azioni di prevenzione;
    nel programma di azione della stessa Conferenza i Governi firmatari si erano impegnati a proteggere e promuovere il diritto degli/delle adolescenti a ricevere un'educazione sulla salute riproduttiva e a garantire l'accesso universale a queste informazioni;
    la Convenzione sui diritti dell'infanzia riconosce espressamente i/le bambini/e (ossia persone di età tra 0 e 18 anni) come titolari di diritti e l'articolo 16 della Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw) menziona il diritto di essere protette da matrimoni precoci;
    molti Paesi, compresi quelli in cui questa pratica è diffusa, hanno stabilito per legge l'età minima per il matrimonio, l'istruzione obbligatoria e i reati contro i minori, ma le norme tradizionali o di ordine religioso continuano ad avere il sopravvento sulla legislazione nazionale;
    malgrado la dichiarazione, pressoché universale, di impegno a porre fine alla pratica, si calcola che matrimoni di bambine di meno di 15 anni continueranno ad essere celebrati e che in questo decennio saranno 50 milioni le bambine che potrebbero rischiare di sposarsi prima di quell'età;
    il 18 dicembre 2013 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la prima «risoluzione di sostanza» sui matrimoni di minori, precoci e forzati; questa risoluzione comprende raccomandazioni «di sostanza» sulle quali convergono gli Stati membri, con riferimento ad iniziative da intraprendere da parte delle Nazioni Unite e delle loro agenzie, di Stati membri, organizzazioni internazionali, espressioni della società civile ed altri rilevanti attori;
    l'azione per prevenire ed eliminare i matrimoni di minori, precoci e forzati richiede altrettanto impegno di quello profuso nella campagna mondiale per l'eliminazione delle mutilazioni genitali femminili. Secondo i dati delle Nazioni Unite, pubblicati in occasione della giornata internazionale «tolleranza zero per le mutilazioni genitali femminili», il numero delle ragazze vittime di questa pratica, che mette in serio pericolo la loro vita, è diminuito e l'adozione unanime da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite della risoluzione del dicembre 2012, con la quale gli Stati membri sono stati invitati a intensificare gli impegni per la completa eliminazione delle mutilazioni genitali femminili, ha certamente contribuito al conseguimento di questo risultato;
    la questione dei matrimoni forzati costituisce un ulteriore e non secondario aspetto dell'azione per combattere la violenza di genere e promuovere i diritti delle donne e l’empowerment femminile;
    il nostro Paese ho svolto un grande ruolo, riconosciuto a livello internazionale, nella campagna contro le mutilazioni genitali femminili, che ha fatto acquisire all'Italia un'autorevolezza internazionale tale da consentirgli di svolgerne uno altrettanto importante nella prevenzione ed eliminazione dei matrimoni di minori, precoci e forzati;
    il nostro Paese, insieme agli altri Stati del gruppo G7 riunitosi a Bruxelles il 4 e 5 giugno 2014, ha manifestato la sua determinazione per promuovere la parità di genere, porre fine a tutte le forme di discriminazione e di violenza contro donne e ragazze, porre fine ai matrimoni di minori, precoci e forzati e promuovere la piena partecipazione e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze,

impegna il Governo:

   a dare attuazione alla risoluzione 69/156, «Matrimoni di minori, precoci, forzati», adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2014;
   a contribuire a dare impulso e a sostenere a livello globale la campagna per prevenire ed eliminare questa pratica che viola i diritti umani delle bambine, con l'impegno e la determinazione già mostrati per la campagna contro le mutilazioni dei genitali femminili;
   a sostenere finanziariamente programmi e progetti di cooperazione internazionale volti alla prevenzione e all'abbandono dei matrimoni di minori, precoci e forzati.
(1-00553)
(Nuova formulazione) «Locatelli, Zampa, Bergamini, Binetti, Galgano, Spadoni, Nicchi, Gebhard, Giorgia Meloni, Albanella, Amato, Carocci, Chaouki, Cimbro, Di Gioia, Di Lello, Di Salvo, Fabbri, Gadda, Gribaudo, Gullo, Iori, Patrizia Maestri, Malpezzi, Marzano, Mongiello, Palma, Pastorelli, Piazzoni, Piccione, Quartapelle Procopio, Rocchi, Sbrollini, Tidei, Tinagli, Venittelli, Ventricelli, Vezzali, Villecco Calipari, Carfagna, Giammanco, Scuvera, Antimo Cesaro».
(21 luglio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    le stime dell'Unicef più recenti indicano che globalmente (Cina esclusa) 70 milioni di donne tra i 20 e i 24 anni – circa una su tre – si sono sposate prima dei 18 anni: di queste, 23 milioni si sono sposate addirittura prima di avere compiuto 15 anni;
    il fenomeno delle «spose bambine» è direttamente proporzionale ai casi di mortalità materna e infantile, di malnutrizione e di analfabetismo;
    se è vero che questo fenomeno assume una portata strutturale insita nelle culture di riferimento di alcune aree mondiali come l'Asia meridionale e l'Africa sub-sahriana, è altrettanto noto come il processo di mondializzazione e gli eventi di migrazione di massa abbiano permesso il radicarsi di questi comportamenti anche nei Paesi occidentali;
    per la sua posizione geopolitica, l'Italia è stata da sempre esposta al fenomeno migratorio. In primo luogo, poiché geograficamente protesa verso il mare è, di conseguenza, completamente predisposta ai flussi commerciali o migratori, sempre difficilmente controllabili nella loro interezza. In secondo luogo, poiché, trovandosi al centro del mar Mediterraneo, costituisce il confine meridionale del continente europeo, facilmente raggiungibile non solo dalla vicinissima Africa ma anche dal più lontano Medio Oriente;
    da tempo anche in Italia è emersa la problematica delle «spose bambine», un fenomeno sommerso e poco conosciuto ma diffuso nelle comunità degli extracomunitari presenti nel nostro territorio; si stima siano 2 mila ogni anno i casi accertati;
    già nella Conferenza del Cairo sulla popolazione e lo sviluppo del 1994 era stato affrontato il tema delle «spose bambine» e dei connessi rischi di mortalità dovuti alle gravidanze precoci;
    la tutela dei minori e del loro equilibrato sviluppo è prioritaria, in quanto i bambini rappresentano il futuro della nostra società; è necessario affermare il diritto delle nuove generazioni a vivere pienamente il loro presente e a sviluppare le proprie potenzialità nel loro contesto familiare, affinché possano affrontare positivamente la loro vita;
    il principio VI della Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1989 che afferma: «Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, ha bisogno di amore e di comprensione; egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d'affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre»;
    il 18 dicembre 2014 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la prima risoluzione sui matrimoni di minori, precoci e forzati nella quale si declinano le raccomandazioni per adottare una strategia comune di contrasto al fenomeno da condurre con rinnovata energia come si sta facendo al fine di eliminare la barbara pratica della mutilazione genitale femminile,

impegna il Governo:

   ad adottare, anche attraverso lo strumento della normativa d'urgenza, norme atte a contrastare nel nostro Paese la diffusione del fenomeno dei matrimoni precoci e forzati, prevedendo l'introduzione di una fattispecie di reato specifica e misure atte a revocare il permesso di soggiorno agli esercenti la patria potestà che siano riconosciuti colpevoli di aver costretto le proprie figlie minori a sposarsi;
   a dare attuazione alla risoluzione A/RES/69/156 per l'eliminazione dei matrimoni precoci e forzati, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2014;
   a sostenere in tutte le sedi internazionali campagne per prevenire e contrastare le pratiche che violano i diritti umani delle bambine con rinnovata energia anche in relazione all'aberrante fenomeno delle mutilazioni genitali.
(1-00945)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Filippo Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(13 luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il matrimonio forzato, nell'accezione che ne dà la Forced Marriage Unit del Regno Unito, è «un matrimonio in cui uno o entrambi gli sposi non acconsentono (o, nel caso di adulti con disabilità cognitive o fisiche, non possono acconsentire) al matrimonio e viene esercitata una costrizione. La costrizione può includere la pressione fisica, psicologica, finanziaria, sessuale ed emotiva». Tale definizione include i matrimoni combinati allorquando non vi sia il consenso di una delle parti, oltre che i matrimoni precoci come strettamente correlati ai matrimoni forzati;
    il problema è affrontato come una forma di violenza contro le donne e l'indagine ha considerato forzato un matrimonio quando viene violata la libertà delle donne, con la consapevolezza che il concetto di libertà, come quello di consenso, implica il riferimento alla soggettività, al modo in cui ogni donna la percepisce e rappresenta per se stessa e a partire da sé;
    all'origine del fenomeno si trovano un insieme di fattori che riguardano: le norme sociali dominanti in un Paese o in una comunità; le strutture economiche e familiari; il «modello familiare» e i relativi valori che in esso sono riconosciuti quali oggetto di tutela dalle società e dagli Stati, ivi compresi quelli occidentali; le diseguaglianze di genere che assegnano alle donne un ruolo inferiore rispetto agli uomini, decurtando i loro diritti dentro la famiglia e nei più ampi sistemi sociali e culturali in cui vivono;
    non compaiono nella legislazione statale italiana riferimenti specifici al «matrimonio forzato», ma è tuttavia possibile ricorrere agli strumenti giuridici predisposti con valenza più generale e la crescente consapevolezza globale verso il fenomeno dei matrimoni forzati ha determinato un notevole aumento di studi, pubblicazioni, interventi e anche provvedimenti normativi a livello internazionale. La maggior parte di queste iniziative si basa su studi e indagini qualitativi, infatti i rari dati quantitativi sono riferibili soprattutto a rilevazioni di dati connessi all'erogazione di un servizio specifico, come è il caso del Forced Marriage Unit nel Regno Unito;
    per ragioni di natura metodologica è difficile, se non addirittura impossibile, quantificare con precisione il fenomeno dei matrimoni forzati a causa della concomitanza di alcuni fattori quali il grado di coercizione e di conseguenza del consenso, la carenza di basi di rilevamento e quindi la mancanza di rappresentatività statistica, e, soprattutto, il fatto che le persone coinvolte possono sentirsi stigmatizzate socialmente, tutti fattori che possono portare al rifiuto di cooperare, o a dare informazioni inattendibili al fine di proteggere la propria privacy;
    per quanto concerne il matrimonio forzato la resistenza delle vittime a denunciare membri della famiglia o della comunità pone un ulteriore ostacolo alla raccolta di informazioni attendibili, così come l'assenza di un certificato di nascita implica che la vittima stessa abbia difficoltà a provare di essere coinvolta in un matrimonio precoce e, di conseguenza, le stime del fenomeno che si trovano in letteratura, gli andamenti temporali e i profili delle vittime sono poco generalizzabili, anche perché le metodologie applicate e le relative inferenze non sono sempre appositamente disegnate per la rilevazione del matrimonio forzato nelle sue diverse forme;
    dalle indagini a livello nazionale o subnazionale emerge come il fenomeno si differenzi a seconda delle regioni o degli Stati dell'Unione europea dove si sviluppa e dunque può essere più o meno consistente, se non del tutto assente nel dibattito pubblico;
    alcuni Paesi hanno tentato di valutare l'ordine di grandezza del problema (Svezia, Germania, Gran Bretagna, Francia e Svizzera) e si è addivenuti a un quadro delle popolazioni a rischio, considerando dunque non solo la quota di presenza, ma anche quella del potenziale rischio e della consistenza di donne e giovani come gruppi più vulnerabili;
    sono orientamenti utili soprattutto nell'ottica di un'indagine più approfondita sulla valutazione del rischio nel nostro Paese; tenendo conto della distribuzione degli insediamenti delle comunità a livello regionale e degli scarsi dati a disposizione si cerca di combinare il dato della rappresentanza femminile con quello dell'indicazione del rischio potenziale tra le comunità presenti in Italia esposte al rischio (misurato dall'indicazione dell'Unicef e dalle ricerche empiriche); si trovano ai primi posti le comunità provenienti da i paesi del sud-est asiatico (Bangladesh, Pakistan, India, Sri Lanka), caratterizzate tuttavia da una limitata presenza di donne; da alcuni paesi africani (Senegal, Ghana, Nigeria, Egitto), anch'esse – a parte la Nigeria – caratterizzate da una bassa presenza femminile;
    la presenza differenziata delle diverse comunità a livello regionale consente la possibilità di specifici approfondimenti locali, anche perché nel complesso nazionale il peso di queste comunità non è alto, ma si concentra in alcune specifiche regioni o aree: le comunità provenienti da Marocco e Albania, presenti nella lista dei Paesi a rischio, sono le più numerose nel nostro Paese; si tratta di gruppi in cui la presenza di donne e di individui di seconda generazione è una componente importante;
    da un'analisi dei dati a disposizione è evidente che in Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte risiede più della metà di cittadini marocchini, mentre Lombardia, Toscana ed Emilia Romagna ospitano quasi la metà dei cittadini albanesi, rendendo queste regioni aree di potenziale approfondimento, anche se la consistenza complessiva a livello nazionale ne rende comunque interessante uno studio più approfondito e analisi conoscitive di maggiore dettaglio andrebbero effettuate sia sulle comunità ad alta presenza femminile provenienti dai Paesi dell'est europeo (Ucraina, Macedonia), più esposte al rischio di matrimonio precoce nei Paesi di origine, sia su comunità provenienti dall'America latina (Brasile, Ecuador, Perù), anch'essi considerabili come Paesi in cui è presente la pratica del matrimonio precoce;
    affrontare il tema del matrimonio forzato o imposto implica interrogare le culture (ivi compresa quella italiana) in materia di famiglia, strategie matrimoniali e di tutti i fattori sociali, culturali, economici ed etici che costituiscono elementi importanti per l'espressione del consenso riguardo al matrimonio e al reticolo sociale che questi attiva, sia esso determinato da amore e libera scelta, oppure da accordo a un'unione;
    è necessario preoccuparsi dell'accesso delle donne ai beni sociali ed economici nelle diverse culture e della profonda e strutturale differenza tra i sessi, non solo per le culture «altre da noi», ma anche per il mondo occidentale e ciò implica considerare che, come afferma la politologa Carole Pateman: «le donne e le ragazze sono spesso esposte a gravi forme di violenza, tra cui la violenza domestica, le molestie sessuali, lo stupro, il matrimonio forzato, i delitti commessi in nome del cosiddetto «onore» e le mutilazioni genitali femminili, che costituiscono una grave violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze e il principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi»;
    bisogna inoltre considerare, come ricorda Pateman, la distinzione fra contratto e consenso, che quando una giovane donna acconsente (o rifiuta) di sottoscrivere un matrimonio combinato, acconsente (o rifiuta) di intraprendere questa forma di istituto matrimoniale; prendere parte a un contratto matrimoniale crea una nuova relazione coniugale e ciò rappresenta un esempio della differenza tra contratto e consenso; quando si acconsente, l'oggetto del consenso è preesistente e si acconsente a qualcosa. Il contratto relativo alla «proprietà sulla persona» è il veicolo tramite cui vengono riprodotti i rapporti di subordinazione nelle principali istituzioni della società moderna;
    affrontare il tema del matrimonio forzato comporta fare i conti con una limitazione della libertà degli individui e una prevalenza di usi, costumi, sistemi di valori collettivi che investe uomini e donne, tuttavia se la lettura avviene in una prospettiva di genere emerge immediatamente la radicale differenza che anche in questo caso caratterizza i destini delle donne, poiché è un fenomeno profondamente segnato da culture patriarcali e dinamiche di potere decisamente sfavorevoli al sesso femminile;
    per questo si è scelta un'ottica che valuti la differenza sessuale quale base di riflessione sui sistemi sociali e culturali in cui si vive e analizzi senza preconcetti le strategie e le tradizioni matrimoniali delle culture presenti in Italia ed interagenti con la nostra, quali quelle che provengono dalle migrazioni, elemento, quest'ultimo, che aumenta la complessità dell'analisi, contenendo in sé la necessità di considerare anche le dinamiche migratorie e come queste si intreccino con le strategie matrimoniali;
    è risaputo quanto sia delicato parlare di culture «altre» cercando di uscire da una prospettiva «eurocentrica» per guardare con rispetto e interesse (anche per l'apporto che ne può derivare) ad altre storie, altri saperi, altre tradizioni, ma tenendo fermi, da un lato, quei diritti umani fondamentali che garantiscono alle donne di essere e potere agire come libere cittadine nel proprio Paese, come in quello di accoglienza, e, dall'altro, il riconoscimento della differenza sessuale e lo squilibrio di «potere» che questa determina nelle società e in tutte culture, quindi bisogna provvedere a un'equilibrata convivenza di valori che rispetti la nostra legge;
    va evidenziato che questo tema non vede il nostro Paese e le sue tradizioni così distanti da quelle che si accolgono attraverso i flussi migratori, dato che solo nel 1981 è stata abrogata la norma che permetteva il matrimonio riparatore in caso di stupro e che attualmente si può rilevare un aumento dei matrimoni (e delle gravidanze) precoci in particolare nel sud dell'Italia;
    è da ricordare che, come ben evidenzia l'indagine francese «Immigrées et filles d'immigrés: le recul des mariages forcés Enquête Trajectoires et Origines (2008)», l'intervento di una terza persona o delle famiglie nella scelta della sposa o dello sposo era praticata in Francia, come nel resto d'Europa, sino all'inizio degli anni Sessanta e che ancora oggi, in Italia, non si possono escludere pressioni nella scelta matrimoniale in caso di gravidanze precoci o di piccole comunità in cui sia fortemente presente l'elemento del controllo della sessualità femminile e dell'onore familiare;
    tuttavia l'esperienza dei centri antiviolenza fa emergere come il fenomeno delle spose bambine non sia sconosciuto nella cultura italiana, ancora di più se nella fenomenologia del matrimonio forzato si inserisce l'elemento della difficoltà a rompere il legame matrimoniale per pressioni familiari o culturali;
    con l'affidamento della ricerca finalizzata alla costruzione di una stima attendibile del numero delle donne e bambine vittime in Italia di matrimoni forzati, il dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri ha scelto di avviare un percorso conoscitivo e di approfondimento in merito ad un tema delicato e complesso quale quello del matrimonio forzato, fenomeno che in Italia non è ancora divenuto oggetto di un discorso pubblico e politico e per cogliere il quale mancano spesso le categorie di lettura persino in servizi attenti ai bisogni delle donne;
    il matrimonio forzato è materia di raccomandazioni e direttive internazionali ed europee che hanno prodotto esperienze consolidate di intervento sia sul piano normativo e conoscitivo, sia riguardo alle azioni intraprese dagli Stati per prevenirlo e combatterlo e sono stati individuati gli elementi salienti del fenomeno: la definizione del fenomeno e la creazione di indicatori utili a effettuare una stima della popolazione a «rischio» e delle vittime, residenti in Italia, nonché la comparazione degli strumenti normativi a livello internazionale e comunitario con quelli presenti nel nostro Paese;
    se la finalità generale degli studi condotti in Italia è quella di offrire uno strumento utile per definire, conoscere e sviluppare azioni di prevenzione e contrasto del fenomeno, uno dei principi metodologici considerati come base è stato quello di porsi in una condizione di riflessione concettuale che permettesse di analizzare le differenti modalità e approcci teorici attualmente presenti nel dibattito internazionale sul matrimonio forzato;
    è tuttavia necessario individuare quali sono i campi di intervento in cui si inquadra il matrimonio forzato e lo studio realizzato nel 2013 da Women Living Under Muslim Laws, su incarico dell’Office of the High Commissioner for Human Rights, ha bene messo in luce come siano presenti una pluralità di ambiti in cui viene iscritta l'analisi del matrimonio forzato, evidenziandone i rischi concettuali da considerare adeguatamente nell'analizzare i concetti a cui ci si riferisce alla ricerca di una definizione e di una classificazione ed evidenzia che i principali sistemi di lettura del fenomeno appartengono al campo dei diritti umani, al ruolo del multiculturalismo, in particolare il suo rapporto con le norme basate sull'onore e al movimento contro la violenza verso le donne e la sua cornice concettuale femminista;
    il matrimonio forzato è considerato prima di tutto una violazione dei diritti umani ed è spesso concepito come una forma di violenza endemica, o maggiormente rilevante in particolari comunità, religioni e culture in particolare; nell'ambito delle indagini sulla violenza contro le donne, il matrimonio forzato è esaminato come forma di violenza di genere strettamente connessa al patriarcato, ai ruoli di genere e alla marginalizzazione delle donne rispetto alle posizioni di potere nella società;
    bisognerebbe procedere ad una ricognizione nazionale e internazionale per offrire elementi utili al raggiungimento della finalità sopra espressa, che valorizzasse il dibattito scientifico, politico e concettuale attivo sul tema e permettesse di enucleare le informazioni di base per formulare raccomandazioni utili allo sviluppo di azioni di prevenzione e contrasto;
    è necessario effettuare una ricognizione sulle indagini quantitative e qualitative più recenti o significative prodotte in Italia, in Europa o su mandato dell'Onu e dei suoi organismi, così da avere un quadro complessivo di riferimento che permetta: una prima definizione e qualificazione del fenomeno, allargato ai matrimoni precoci, combinati o di convenienza; la comprensione delle fonti statistiche disponibili mediante una lettura comparata delle normative in vigore in alcuni Paesi comunitari e dei vincoli posti dalla normativa internazionale al quadro normativo nazionale; una verifica della presenza del tema nelle normative regionali e le azioni sviluppate in Italia; l'analisi dei sistemi di aiuto adottati da quei Paesi europei che hanno scelto di sviluppare piani di azione nazionali o specifici interventi; l'analisi delle caratteristiche del sistema di intervento;
    gli ambiti teorici e di intervento sopra accennati (principalmente diritti umani, multiculturalismo, da declinato come intercultura, differenza sessuale e violenza contro le donne, ma anche salute e benessere psicofisico, rischio di schiavitù e sviluppo nell'ottica di azioni transnazionali in materia) sono tutti campi di azione da esplorare, privilegiando uno sguardo fortemente orientato al genere e una stretta connessione con la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne in ogni sua forma, ivi compresa la tratta, anche in considerazione della direttiva comunitaria inerente a questo fenomeno;
    in estrema sintesi, per ricondurre a unità quanto fin qui affermato, si può dire che un matrimonio è forzato quando contrasta la libertà femminile ma ben sapendo che quella stessa categoria è complessa e mobile, non può essere definita una volta per tutte, non può assumere un significato univoco poiché essa è legata al sistema di valori, all'esperienza, a un «calcolo» soggettivo del rapporto costi/benefici, e al livello di consapevolezza di sé e dei propri desideri che ciascuna donna ha raggiunto in quella fase del ciclo di vita;
    l'analisi degli studi internazionali sul tema offre la possibilità di osservare come negli stessi Paesi vi siano profonde differenze tra le aree di provenienza (rurale o urbana ad esempio), anche perché sono in corso importanti processi di trasformazione che finiscono per dare a quelle società, nonostante alcuni tratti dominanti, il carattere di un mosaico plurale che non permette di generalizzare la pratica o la tradizione dei matrimoni concordati e del controllo della sessualità femminile a un'intera popolazione oltre che l'appartenenza a una data religione;
    mentre le linee di indirizzo e i vincoli posti derivano dai trattati e dalle convenzioni internazionali, la normativa italiana in materia è composta da leggi regionali che si propongono di intervenire sul fenomeno con l'obiettivo di istruire un quadro generale così da fornire le indicazioni utili a introdurre nella normativa italiana i dati essenziali per facilitare gli interventi e aiutare le vittime e le potenziali vittime,

impegna il Governo:

ad intraprendere e a finanziare azioni efficaci per combattere il fenomeno del matrimonio forzato che viola i diritti umani delle bambine, propugnando una campagna antipedofilia caratterizzata da un impegno anche più determinato quale quello profuso per la campagna contro le mutilazioni genitali femminili.
(1-00946)
«Bechis, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».
(13 luglio 2015)