TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 45 di Mercoledì 3 luglio 2013
MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MERITO ALLA DIFFUSIONE IN AGRICOLTURA DI ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ESERCIZIO DELLA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA
La Camera,
premesso che:
la Monsanto è una multinazionale americana che, grazie al pressoché indiscusso monopolio delle sementi geneticamente modificate, rappresenta oggi il sinonimo mondiale di organismi geneticamente modificati (ogm). Il 22 aprile 1998, la Monsanto Europe ha ricevuto l'autorizzazione dalla Commissione europea per l'immissione in commercio del mais Mon810, che produce la proteina insetticida cryA per l'inclusione del gene del batterio bacillus thuringiensis, ai sensi della direttiva 90/220/CEE;
il Mon810 non ha ancora ricevuto il rinnovo dell'autorizzazione ai sensi dalla direttiva 90/220/CEE abrogata dalla direttiva 2001/18/CE;
nel luglio del 2004 prima e nel maggio del 2007 poi, la Monsanto ha fatto richiesta di riconoscimento del Mon810 come prodotto esistente al momento dell'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1829/2003 che ha sostituito parte della direttiva 2001/18/CE sull'immissione in commercio di organismi geneticamente modificati;
il Mon810 è attualmente sul mercato in applicazione dell'articolo 20.4 del suddetto regolamento e può essere usato solo nei mangimi e non per l'alimentazione umana;
a tutt'oggi, le uniche piante transgeniche autorizzate alla coltivazione sono il suddetto mais ed una patata (varietà Amflora) prodotta dalla Basf e destinata prevalentemente all'industria cartaria;
in Italia non esistono coltivazioni di piante transgeniche mentre la commercializzazione dei loro prodotti avviene nel rispetto delle regole che riguardano l'immissione sul mercato di alimenti e mangimi contenenti organismi geneticamente modificati;
risulta sempre più evidente che le sollecitazioni delle società multinazionali favorevoli alla produzione di organismi geneticamente modificati, estranee all'interesse comune dei cittadini comunitari, sono in grado, molto spesso, di condizionare le scelte dell'Unione europea ad ogni livello, in particolare per quel che riguarda la produzione agricola, convenzionale e biologica;
la stragrande maggioranza dei cittadini europei vuole mantenere integre, ossia non inquinate da organismi geneticamente modificati, le produzioni agricole di qualità che rappresentano il vero valore aggiunto sul mercato alimentare globale;
nei Paesi sul cui territorio è stata autorizzata la coltivazione degli organismi geneticamente modificati, nonostante l'adozione dei piani di coesistenza, non è stato possibile evitare la contaminazione con varietà tradizionali e colture biologiche;
questo inquinamento, irreversibile, era previsto già nella direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001, che per l'emissione deliberata nell'ambiente degli organismi geneticamente modificati, al 4 punto dei considerando riporta: «gli organismi viventi immessi nell'ambiente in grandi o piccole quantità per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali, interessando così altri Stati membri; gli effetti di tali emissioni possono essere irreversibili»;
la normativa comunitaria sull'emissione in ambiente di organismi geneticamente modificati è assai confusa, come dimostrato dalla decisione del Consiglio di Stato di Francia ed Italia di ricorrere alla Corte di Giustizia dell'Unione europea per ottenere l'interpretazione su come dirimere cause nazionali riguardanti la coltivazione del summenzionato mais geneticamente modificato;
nei diversi dossier tecnici prodotti dalle aziende biotech, ai fini della loro valutazione da parte dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), vengono evidenziate differenze statisticamente significative nella composizione biochimica degli organismi geneticamente modificati rispetto alle varietà di origine, nonché negli effetti sulla salute degli animali oggetto degli studi di tossicità, i quali presentano generalmente alterazioni del sistema enzimatico, epatico e renale;
l'Efsa ha sin qui giustificato le differenze statisticamente significative di diversi organismi geneticamente modificati, incluso il Mon810, come dovute alla variabilità naturale;
diversi membri del panel di esperti sugli organismi geneticamente modificati dell'Efsa sono stati accusati di conflitto di interessi per la loro appartenenza ad aziende con chiari interessi economici nel mercato delle piante transgeniche;
nonostante la normativa di riferimento si ispiri al principio di precauzione, l'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003 carica la società civile dell'onere della prova definitiva circa la pericolosità degli organismi geneticamente modificati autorizzati;
avendo valutato l'urgenza di riavviare con determinazione il percorso per mettere un freno alla possibilità di coltivazioni di organismi geneticamente modificati nel nostro Paese e con lo scopo di riportare l'attenzione del Governo sull'urgenza di emanare la cosiddetta clausola di salvaguardia, sancita dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE (come già sollecitato nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-00050) relativa al mais geneticamente modificato Mon810, che consentirebbe di scongiurare l'eventuale semina da cui potrebbe derivare una contaminazione ambientale irreversibile, una delegazione del gruppo parlamentare «Movimento Cinque Stelle» ha incontrato il 28 marzo 2013 il Ministro pro tempore delle politiche agricole, alimentari e forestali, Mario Catania, e il 3 aprile 2013 il Ministro pro tempore dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, e il Ministro pro tempore della salute, Renato Balduzzi;
dagli incontri suddetti, anche secondo quanto riportato da numerose agenzia stampa, è emersa la reale disponibilità dei Ministri pro tempore ad un concreto intervento in questa direzione, in particolare il giorno 4 aprile 2013, il Ministro pro tempore delle politiche agricole, alimentari e forestali ha dichiarato: «Il Ministero della salute ha dato seguito alla nostra richiesta e al dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), chiedendo alla Commissione europea la sospensione d'urgenza dell'autorizzazione alla messa in coltura di sementi di mais Mon810 in Italia e nel resto dell'Unione europea»;
è necessario ricordare che la clausola di salvaguardia è già stata attuata da Stati membri dell'Unione europea quali Germania, Francia, Austria, Ungheria, Polonia, Grecia e Lussemburgo;
ad aprile 2013, il Ministro della salute pro tempore, Renato Balduzzi, ha inviato una lettera a Bruxelles chiedendo di adottare misure di emergenza che proibissero la coltivazione del mais Mon810 in tutta Europa, ma nessuna azione risulta essere stata intrapresa nelle sedi preposte;
il 21 maggio 2013, l'Assemblea del Senato della Repubblica ha approvato all'unanimità un ordine del giorno che impegnava il Governo ad avviare la clausola di salvaguardia e/o tutte le misure urgenti predisposte dall'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003;
tuttavia, il 25 giugno 2013, rispondendo ad un'interrogazione in Commissione agricoltura della Camera dei deputati, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali rispondeva annunciando l'impossibilità di ricorrere alla clausola di salvaguardia poiché preclusa da una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'8 settembre 2011 e annunciava l'emanazione di un decreto interministeriale di competenza del Ministero della salute, sempre in forza dell'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003 per vietare la coltivazione del Mon810 sul territorio nazionale;
nel frattempo, il 15 giugno 2013 a Vivaro (Pordenone) è stata avviata la prima semina – illegale – di mais geneticamente modificato in Italia: 6000 metri quadrati sono stati seminati con mais geneticamente modificato che si tradurranno in un evidente rischio di contaminazione all'atto della sua fioritura, cioè circa 50 giorni dopo la semina;
è opportuno far notare che l'obbligo comunitario, nella materia, prevale sul limite costituzionale interno solo quando non tocca principi e diritti fondamentali previsti dalla Costituzione (come il diritto alla salute, articolo 32 della Costituzione, e il diritto all'integrità dell'ambiente, articolo 9 della Costituzione), intangibili, in quanto tali, anche ad opera di prescrizioni comunitarie, non avendo l'Italia, con il Trattato di Roma (e successivi aggiornamenti) rinunciato a tutta la sua sovranità ma solo a parte di essa, come, peraltro, fatto rilevare anche dalla Corte costituzionale, con reiterate sentenze, tra le quali le sentenze n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 1146 del 1988 ed altre;
è evidente, comunque, che se non si intraprenderà un'azione concreta da parte del Governo, l'agricoltura italiana tradizionale e biologica rischierà di essere contaminata da organismi geneticamente modificati, senza conoscere i reali rischi per la salute umana, né per l'ambiente, che questi comporterebbero;
da quanto esposto in premessa, è chiaro che la normativa in materia di organismi geneticamente modificati – comunitaria, nazionale e regionale – presenta delle incongruenze che devono necessariamente essere risolte, a tutela della salute dei cittadini; per districare tale impasse burocratica sugli organismi geneticamente modificati, dal 2010 in Europa si è aperto il dibattito sulla revisione della direttiva 2001/18/CE affinché lasci agli Stati membri la possibilità di decidere in maniera autonoma circa la diffusione sul proprio territorio degli organismi geneticamente modificati;
tale possibilità di revisione risulta, tra l'altro, avallata nel programma delle prossime tre presidenze dell'Unione europea,
impegna il Governo:
a predisporre urgentemente e, comunque, prima della fioritura del mais, il decreto interministeriale annunciato, al fine di vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati nel nostro Paese, fino a che non sarà scientificamente dimostrato che il materiale transgenico non causa danni all'ambiente e alla salute umana;
ad intervenire presso le competenti sedi affinché la revisione della direttiva 2001/18/CE garantisca agli Stati membri la possibilità di limitare o vietare l'emissione ed immissione nel proprio territorio di organismi geneticamente modificati, anche per ragioni che vanno al di là dei danni alla salute o all'ambiente;
a mettere in atto tutte le azioni possibili al fine di procedere all'attuazione della clausola di salvaguardia, così come previsto dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, in quanto si ritiene che non ci siano impedimenti normativi;
a richiedere la sospensione dell'uso del Mon810 sino al rilascio di una nuova autorizzazione che risponda pienamente ai requisiti richiesti di dimostrata innocuità nella coltivazione e nell'uso come alimento o mangime;
a promuovere la ridefinizione, in particolare nelle competenti sedi europee, in maniera precisa e puntuale, del concetto di «rilascio in ambiente» per gli organismi geneticamente modificati che differisce in maniera sostanziale dal concetto di «commercializzazione e di immissione in commercio» e che da questo deve essere efficacemente separato.
(1-00019)
(Nuova formulazione) «Zaccagnini, Lupo, Lombardi, Parentela, Benedetti, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Zolezzi, Gallinella, D'Uva, L'Abbate, Brescia, Dieni, Liuzzi, Cozzolino, Villarosa, Cristian Iannuzzi, D'Incà, Segoni, Mannino, Sorial, Spessotto, Fico, Caso, Baldassarre, Cariello, Dadone, Battelli, D'Ambrosio, Tofalo, Terzoni, Del Grosso, Lorefice, Marzana, Crippa, Brugnerotto, Toninelli, Mantero, Micillo, Nesci, Carinelli, Grillo, Cancelleri, Colonnese, Nuti, Di Battista, Sibilia, Grande, Spadoni, Manlio Di Stefano, Ciprini, Cominardi».
(16 aprile 2013)
La Camera,
premesso che:
l'agroalimentare è uno dei settori che resiste meglio alla crisi economica in atto e, in particolare, l'agricoltura italiana registra risultati migliori dell'industria e dell'economia nel complesso sia in termini di contributo alla crescita economica (prodotto interno lordo) che di occupazione; ancora meglio si posiziona l'industria alimentare che presenta indicatori in termini di valore aggiunto che sono costantemente migliori della media dell'industria in generale; l’export si conferma il motore dell'agroalimentare italiano, con un nuovo record di 32 miliardi di euro di fatturato nel 2012 (+5,4 per cento sul 2011), e un avvio di 2013 molto promettente (Ismea su dati Istat);
le performance attuali del settore dipendono sia da fattori generali del sistema Paese, che da fattori specifici del settore caratterizzati da un enorme sforzo dei produttori italiani a tutela della qualità e della tracciabilità della produzione agroalimentare nazionale che si contrappone ad una visione che, a livello internazionale, tende a considerare la produzione agricola solo una commodity che, al pari del petrolio, può determinare ingenti fortune finanziarie; in tale ultimo contesto, l'attività lobbistica delle multinazionali che vogliono trarre profitto dal transgenico, a prescindere dalle conseguenze che derivano dalla loro coltivazione e commercializzazione, ha spesso il sopravvento nelle decisioni in materia di alimentazione, ponendo ostacoli alla ricerca indipendente a causa dei brevetti sui semi detenuti;
ad oggi, i nodi da sciogliere connessi al transgenico sono ancora molti: oltre ai rischi per la salute e l'economia del nostro Paese, che si contraddistingue per i suoi tradizionali prodotti tipici e di qualità, resta irrisolto il problema dell'impossibilità di coesistenza tra le colture di organismi geneticamente modificati e quelle convenzionali, dato che non esistono misure idonee ed efficaci per evitare la contaminazione che determina un inquinamento dell'ambiente irreversibile;
una vasta parte della comunità scientifica continua ad esprimere forti e rinnovate perplessità e significative resistenze all'impiego di tecnologie transgeniche in agricoltura, richiamando l'attenzione sull'importanza che sia la comunità dei cittadini a prendere le decisioni di merito sull'uso di tali tecnologie, in considerazione delle ricadute globali ed incontrollabili su salute e ambiente che potrebbero derivare da eventuali errori di valutazione;
un'eventuale introduzione di colture transgeniche avrebbe, inoltre, come diretta conseguenza la messa in discussione di uno dei principali fattori di creazione di valore aggiunto del Paese e, cioè, il modello agricolo italiano, fondato su produzioni di qualità apprezzate sul mercato interno ma, anche di più, all'estero e che danno vita a quel made in Italy così apprezzato da essere costantemente minacciato da imitazioni e falsificazioni;
in realtà, la maggioranza dei cittadini italiani ed europei ha già manifestato la propria volontà di non autorizzare la coltivazione di sementi transgeniche sui propri territori, al fine di tutelarne l'integrità per le future generazioni;
la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 costituisce il testo normativo fondamentale, in punto sia di «immissione in commercio» di organismi geneticamente modificati, sia di «emissione deliberata» di organismi geneticamente modificati nell'ambiente e prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da organismi geneticamente modificati attraverso l'applicazione del principio di «salvaguardia»;
la direttiva 2001/18/CE sull'emissione deliberata di organismi geneticamente modificati è stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 224 del 2003. Con tale atto, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato indicato quale autorità competente a livello nazionale, con il compito di coordinare l'attività amministrativa e tecnico-scientifica, il rilascio delle autorizzazioni e le comunicazioni istituzionali con la Commissione europea, con il supporto della commissione interministeriale di valutazione. Il decreto legislativo n. 224 del 2003, all'articolo 25, recepisce quanto stabilito dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta «clausola di salvaguardia» mediante la quale le autorità nazionali preposte – per l'Italia i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute – possono bloccare l'immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso. Con l'attivazione di tale clausola si dà luogo ad una serie di consultazioni fra la Commissione europea, le autorità nazionali, il produttore, gli organismi che sono intervenuti nella procedura di valutazione della conformità e tutte le parti interessate. La normativa comunitaria consente comunque alla Commissione europea di annullare il ricorso alla clausola di salvaguardia in caso di evidenze scientifiche contrarie;
la direttiva 2001/18/CE costituisce anche la norma che getta le basi per regolamentare la cosiddetta coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche. Infatti, con l'articolo 22 è previsto che gli organismi geneticamente modificati autorizzati, in conformità alla direttiva, devono poter circolare liberamente all'interno dell'Unione europea, mentre con l'articolo 26-bis (introdotto dal regolamento (CE) n. 1829/2003), si dispone che «gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altri prodotti». Questa disposizione consente, quindi, agli Stati membri di poter introdurre, nel proprio ordinamento, norme specifiche per regolare la coesistenza;
con il decreto-legge n. 279 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 5 del 2005, erano state previste disposizioni per assicurare la «coesistenza» tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2006, ha dichiarato la parziale incostituzionalità del decreto-legge n. 279 del 2004 nella parte ritenuta di esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura. L'intervento della Corte costituzionale ha causato un vuoto normativo molto dannoso, poiché sono stati mantenuti in vigore sia il principio della libertà di scelta dell'imprenditore sia il principio della coesistenza, mancando però del tutto le parti operative e tecniche per attuare la coesistenza. Il risultato è che ogni norma nazionale o regionale che vieta l'utilizzo di colture transgeniche diventa contraria al principio di coesistenza stabilito a livello europeo;
tale orientamento è stato da ultimo riconfermato nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'ottobre 2012 (sul caso di specie Pioneer Hi Bred Italia Srl contro Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) con cui la Corte di giustizia dell'Unione europea si è pronunciata in via pregiudiziale sull'interpretazione dell'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE. Per la Corte di giustizia dell'Unione europea uno Stato membro, ai sensi del citato articolo 26-bis, può disporre restrizioni e divieti geograficamente delimitati solo nel caso e per effetto delle misure di coesistenza realmente adottate. Viceversa, uno Stato membro non può, nelle more dell'adozione di misure di coesistenza dirette a evitare la presenza accidentale di organismi geneticamente modificati in altre colture, vietare in via generale la coltivazione di prodotti geneticamente modificati autorizzati ai sensi della normativa dell'Unione europea e iscritti nel catalogo comune; fin dal 2010, il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica della direttiva 2001/18/CE – attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee – che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni degli organismi geneticamente modificati sulla base di più ampi criteri oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell'ambiente; più in generale e in ambito comunitario, l'Italia ha da sempre sottolineato l'importanza dell'impatto socio-economico derivante dall'uso del transgenico che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in merito all'ambiente e alla salute;
al riguardo, si evidenzia l'intenzione del commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori Tonio Borg di rilanciare il negoziato europeo sugli organismi geneticamente modificati, rendendo gli Stati membri maggiormente autonomi sulle linee guida da autorizzare a livello nazionale;
anche le regioni hanno ripetutamente dichiarato la loro ferma opposizione all'introduzione di colture transgeniche in Italia, sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura italiana, la qualità e la specificità dei suoi prodotti;
a tal proposito, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha approvato un ordine del giorno con cui impegna il «Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, nelle more dell'approvazione della proposta di modifica della direttiva 2001/18/CE in materia di possibili divieti alla coltivazione di piante geneticamente modificate, di procedere con l'esercizio della clausola di salvaguardia ai sensi dell'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001» e «tenuto conto delle competenze in materia riconosciute dalla Costituzione impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali a rappresentare al Ministro dell'ambiente e in occasione delle riunioni in sede comunitaria la posizione unanime delle Regioni e delle Province autonome di assoluta contrarietà rispetto alla autorizzazione della coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale»;
il rischio che corre il sistema agroalimentare nazionale, in assenza di una chiara posizione del Governo con l'adozione della clausola di salvaguardia, potrebbe essere imminente se, come si apprende da alcune notizie stampa, fosse vero che «nei silos di stoccaggio della Lombardia, del Veneto, dell'Emilia e del Friuli ci sono 52 mila sacchi di mais transgenico autorizzato dall'Unione europea Mon810, sufficienti a coltivare 32 mila ettari, pronti per le semine di primavera»;
la tutela e la valorizzazione della qualità del sistema agroalimentare italiano è un obiettivo di rilevanza strategica che trova attuazione attraverso una concreta tutela istituzionale del comparto primario dall'inquinamento transgenico ed un efficace sistema di tracciabilità, di riconoscibilità e di etichettatura dei prodotti agroalimentari;
in presenza di rischi concreti per il sistema agricolo nazionale di inquinamento da colture transgeniche, che potrebbe verificarsi a causa di una normativa nazionale e comunitaria contraddittoria e incompleta, lo stesso Ministro pro tempore delle politiche agricole, alimentare e forestali, il 28 gennaio 2013, ha chiesto formalmente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualità di autorità nazionale in materia, di «guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di ogm in Italia»; ad oggi, otto nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di organismi geneticamente modificati autorizzate nei loro territori;
in realtà, l'ultimo rapporto del Servizio internazionale per l'acquisizione di applicazioni di biotecnologia agricola (Isaa) sullo status globale della commercializzazione di colture biotech/organismi geneticamente modificati del mese di febbraio 2013, ha evidenziato che in Europa sono rimasti solo cinque Paesi (Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania) a coltivare organismi geneticamente modificati, con 129.000 ettari di mais transgenico piantati nel 2012: una percentuale irrisoria della superficie agricola comunitaria che conferma l'opposizione in Europa alla diffusione del transgenico in agricoltura al fine di difendere le produzioni nazionali da possibili contaminazioni da colture geneticamente modificate e collocarne i prodotti ad un livello di maggiore interesse e competitività nel panorama economico mondiale;
in data 29 marzo 2013, il Ministro pro tempore della salute, Renato Balduzzi, ha inoltrato alla direzione generale salute e consumatori della Commissione europea la richiesta di sospensione d'urgenza dell'autorizzazione della messa in coltura in Italia e nel resto d'Europa di sementi di mais Mon810, con allegato il dossier elaborato dal Ministro pro tempore delle politiche agricole, alimentari e forestali, Mario Catania, a norma dell'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003;
tale procedura di emergenza – messa in atto dall'Italia sulla scorta dell'esperienza francese, a sua volta condizionata dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'8 settembre 2011 che si è pronunciata circa le condizioni alle quali le autorità francesi potevano vietare provvisoriamente le coltivazioni del mais Mon810 – per acquisire efficacia deve essere codificata attraverso l'emanazione di un ulteriore provvedimento dei Ministri delle politiche agricole, alimentari e forestali, della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
sebbene le procedure di emergenza siano state attivate, ad oggi, il provvedimento interministeriale non è stato predisposto e, quindi, le suddette procedure non hanno efficacia;
l'8 maggio 2013, l'ordinanza della Corte di giustizia dell'Unione europea, relativa al procedimento penale a carico di Giorgio Fidenato, ha ribadito quanto già espresso nella sentenza del 6 settembre 2012 (Pioneer Hi Bred Italia Srl contro Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali), ovvero che la messa in coltura di varietà di mais Mon810 non può essere assoggettata ad una procedura di autorizzazione nazionale quando l'impiego e la commercializzazione di queste varietà sono autorizzati ai sensi del regolamento (CE) n. 1829/2003 e sono iscritti nel catalogo comune delle varietà ai sensi della direttiva 2002/53/CE;
proprio grazie a questo gap il 15 giugno 2013, a Vivaro, Giorgio Fidenato ha seminato mais geneticamente modificato. Un gesto provocatorio con il quale l'agricoltore friulano ha voluto ribadire «la possibilità per gli agricoltori di poter scegliere», proprio in base alla ordinanza della Corte di giustizia dell'Unione europea e alla mancata codificazione, da parte dell'Italia, della procedura di emergenza prevista all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, il quale, di fatto, rimanda all'adozione delle procedure previste dal regolamento (CE) n. 178/2002 sulla sicurezza alimentare (articoli 53 e 54),
impegna il Governo:
ad intervenire urgentemente per evitare ogni rischio di contaminazione nell'area di Vivaro, adottando le misure adeguate;
a rendere pienamente operativa la procedura di emergenza prevista all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, adottando il provvedimento ministeriale necessario ai fini dell'efficacia della sospensione della coltura del mais Mon810;
ad avvalersi della clausola di salvaguardia, di cui all'articolo 25 del decreto legislativo n. 224 del 2003, di recepimento della direttiva 2001/18/CE, al fine di evitare ogni forma di coltivazione in Italia di organismi geneticamente modificati autorizzati a livello europeo e di tutelare la sicurezza del modello economico e sociale di sviluppo dell'agroalimentare italiano;
ad adoperarsi in sede di Unione europea affinché si proceda alla revisione della direttiva 2001/18/CE, al fine di consentire la piena tutela del sistema agroalimentare nazionale, consentendo agli Stati membri di vietare la coltivazione degli organismi geneticamente modificati anche per motivi diversi da quelli legati alla valutazione degli effetti negativi per la salute e per l'ambiente;
a prevedere, in relazione alla stagione delle semine avviata in gran parte del Paese, l'incremento delle attività di controllo per potenziare, d'intesa con le regioni, la sorveglianza sui prodotti sementieri in corso di distribuzione ed intervenire in presenza di sementi transgeniche non autorizzate.
(1-00015)
(Nuova formulazione) «Cenni, Rosato, Braga, Gnecchi, Benamati, Mongiello, Realacci, Lenzi, Arlotti, Magorno, Fanucci, Lodolini, Miotto, Manfredi, Rubinato, Murer, Moscatt, Antezza, D'Incecco, Petrini, Fossati, Marantelli, Marchi, Mariastella Bianchi, Mariani, Fregolent, Dallai, Bratti, Velo, Tullo, Terrosi, Fiorio, Oliverio, Zanin, Carra».
(9 aprile 2013)
La Camera,
premesso che:
il sistema dell'agroalimentare italiano rappresenta una componente economica fondamentale per il nostro Paese, in cui interagiscono varie attività che ne sono parte integrante e di cui l'agricoltura rappresenta l'anello basilare; da essa dipendono una serie di altri settori economici, che concorrono, nel complesso, a rappresentare circa il 16 per cento del prodotto interno lordo;
gli indicatori numerici relativi alla negativa congiuntura economica – particolarmente grave e complessa per l'economia nazionale, determinata da una crisi economica e finanziaria probabilmente la peggiore del dopo guerra, che ha coinvolto ogni settore dell'economia reale – rilevano, tuttavia, che proprio il comparto agroalimentare costituisce uno dei segmenti strategici dell'economia interna che ha dimostrato una reazione migliore rispetto ad altri settori, attraverso l'innovazione e, soprattutto, la qualità dei prodotti;
un rafforzamento dell'azione a tutela della qualità e della sicurezza dell'intera filiera agroalimentare, a sostegno delle politiche che attribuiscono ai prodotti di qualità un'importanza strategica per accrescere la capacità di penetrazione nei mercati internazionali, rappresenta, pertanto, nell'ambito europeo e mondiale, un'esigenza prioritaria e fondamentale per il nostro Paese, anche al fine di garantire l'eccellenza e le peculiarità dei prodotti dell'agroalimentare del made in Italy, nonché di rinvigorire il legame con il territorio che rende unici e non riproducibili i prodotti stessi in altri luoghi;
la crescita delle esportazioni, il cui fatturato per l'anno 2012 risulta essere stato di circa 32 miliardi di euro (con un incremento del 5,4 per cento sul 2011) e un avvio incoraggiante per l'anno 2013, nonostante il livello dimensionale delle imprese agroalimentari riscontri ostacoli nel raggiungere mercati emergenti e veda l'avvicinarsi dell'evento universale Expo 2015, contribuiscono positivamente a sostenere ulteriormente l'impegno e l'applicazione delle imprese agroalimentari, in particolare nei riguardi della tutela della qualità dei prodotti agroalimentari e in tema di etichettatura e di tracciabilità; grazie anche alle disposizioni promosse dal Governo Berlusconi di cui alla legge 3 febbraio 2011, n. 4, si sono raggiunti importanti risultati volti alla definizione di regole certe indirizzate, in particolare, alla lotta alla contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti alimentari;
la suddetta esposizione internazionale rappresenterà un'occasione per affrontare importanti argomenti legati alla scienza e alla tecnologia per la qualità e la sicurezza alimentare e all'agricoltura e alla biodiversità, nonché per accrescere i livelli di competitività del sistema agroalimentare europeo e, in particolare, di quello italiano;
nell'ambito dei suindicati argomenti, s'inseriscono ulteriori materie d'interesse rilevante per il sistema agroalimentare italiano che saranno oggetto di approfondimento nel corso dell'Expo 2015 e che riguardano aspetti scientifici e di sperimentazione legati al fabbisogno dell'innovazione nel settore agricolo, in particolare, rivolti alla diffusione degli organismi transgenici, diffusi sui mercati europei ed internazionali;
le caratteristiche qualitative che esaltano le peculiarità del modello agricolo e agroalimentare italiano, contribuendone a determinare un valore aggiunto, sono rappresentate dalla naturalità dei prodotti e dalle coltivazioni e produzioni non transgeniche;
gli elevati standard qualitativi dei prodotti tipici italiani e delle sue eccellenze uniche ed inimitabili rispetto a qualsiasi altro Paese continentale e mondiale, sostenuti e valorizzati attraverso i sistemi agricoli locali e rurali, i cui distretti hanno contribuito in modo determinante nel difendere il comparto agroalimentare, favorendo l'impulso per la crescita economica e sociale, hanno attribuito all'Italia il primato nella produzione di prodotti biologici a livello europeo, confermando un valore aggiunto unico sul quale investire, anche attraverso la creazione di sinergie con il settore turistico e agrituristico nell'attuale fase di crisi economica;
all'interno del suindicato quadro, il settore agricolo italiano svolge, pertanto, un ruolo fondamentale per la difesa integrata del territorio, attraverso gli strumenti della produzione integrata e della compatibilità ambientale, volta alla riduzione delle emissioni di gas serra, a una razionalizzazione dell'uso dell'acqua e dello sviluppo di energie rinnovabili, con l'obiettivo di rinforzare le tutele e la salvaguardia del paesaggio e la valorizzazione degli aspetti culturali tradizionali legati alle aree rurali del territorio nazionale;
l'agricoltura geneticamente modificata, in considerazione del quadro complessivo precedentemente indicato, non corrisponde, pertanto, alle esigenze e alle caratteristiche del nostro Paese, nonostante l'utilizzazione degli organismi geneticamente modificati abbia assunto dimensioni sempre più considerevoli negli ultimi anni, con una dinamica molto evidente ed una diffusione di grande rapidità;
nel mese di aprile 2013, il Ministro della salute pro tempore, Renato Balduzzi, a seguito di un rapporto predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra), aveva sollecitato la Commissione europea affinché sospendesse, in via d'urgenza, l'autorizzazione alla messa in coltura di sementi di mais geneticamente modificati della Monsanto Mon810, in Italia e nel resto d'Europa, al fine di definire, alla luce delle ultime linee guida, adeguate misure di gestione che dovrebbero essere rese obbligatorie per tutti gli utilizzatori di tali organismi geneticamente modificati;
nella XVI legislatura occorre, inoltre, evidenziare come il Parlamento si sia, fra l'altro, espresso favorevolmente alla proposta di regolamento di modifica della direttiva 2001/18/CE, attualmente ancora all'esame presso le istituzioni europee, che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati sulla base di criteri più ampi, oltre a quelli già previsti, di tutela della salute e dell'ambiente;
l'adozione della clausola di salvaguardia nei confronti del mais Mon810, già avvenuta in altri otto Paesi dell'Unione europea (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) per rafforzare e rendere più duratura la difesa dell'agricoltura di qualità e della biodiversità, era stata richiesta il 28 gennaio 2013 dal nostro Paese, attraverso il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore, attraverso una formale comunicazione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore in qualità di autorità nazionale in materia, il quale aveva evidenziato la necessità di interventi rigorosi e di azioni volte ad approfondire con maggiore cautela la diffusione e il commercio di tali organismi;
l'utilizzazione di tali organismi geneticamente modificati in agricoltura, come precedentemente riportato, ha assunto, infatti, dimensioni sempre più consistenti negli ultimi anni; la costante crescita ha determinato, a sua volta, una crescita della superficie coltivata con organismi geneticamente modificati nel mondo stimata in oltre 130 milioni di ettari, pari a circa il 9 per cento dell'intera superficie;
tale aumento esponenziale desta particolare attenzione e stimola ulteriori riflessioni, se si valuta che la commercializzazione degli organismi geneticamente modificati e la sua espansione nei mercati hanno avuto un effettivo inizio a partire dal 1996;
la Corte di giustizia dell'Unione europea, con l'ordinanza dell'8 maggio 2013, in riferimento alla causa C-542/12, ha, fra l'altro, stabilito che il diritto dell'Unione europea deve essere interpretato nel senso che la messa in coltura di organismi geneticamente modificati, quali le varietà del mais Mon810, non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione, quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati;
la suddetta decisione dell'alta Corte europea ha, altresì, disposto che dette varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio del 13 giugno 2002 e modificata dal regolamento (CE) n. 1829/2003;
l'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2008, ha, inoltre, chiarito che la norma va interpretata nel senso che non deve essere consentito ad uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di detti organismi geneticamente modificati per il fatto che l'ottenimento di un'autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre colture;
la pronuncia in via pregiudiziale (articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) scaturisce da un procedimento penale nei riguardi del titolare di un'azienda agricola italiana, che aveva disposto la messa a coltura di sementi geneticamente modificati di mais Mon810, in assenza di una specifica autorizzazione, come previsto dall'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo n. 212 del 2001;
le conclusioni a cui è giunta la Corte di giustizia dell'Unione europea appaiono, pertanto, controverse ed alimentano dubbi interpretativi, anche in considerazione del fatto che quanto disposto non contempla in modo contestuale l'adozione di provvedimenti prudenziali volti a tutelare la salute, l'ambiente e la qualità dei prodotti agroalimentari italiani;
le suindicate decisioni, inoltre, risultano, tra l'altro, in contraddizione con il principio di precauzione, peraltro contenuto nella normativa comunitaria, all'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
misure cautelari o interventi in forza di clausole di salvaguardia sono stati già adottati da otto Paesi europei, come peraltro precedentemente riportato, che prevedono il divieto di coltivazioni di organismi geneticamente modificati autorizzate nei loro territori, e sono presenti ed operativi, a differenza di altri Stati europei (Spagna, Repubblica Ceca, Romania, Portogallo e Slovacchia) e mondiali (India, Cina, Argentina, Brasile e Sud Africa) in cui la coltivazione di organismi geneticamente modificati è praticata senza norme preventive e di protezione;
il dibattito internazionale da parte della comunità scientifica e le iniziative del settore imprenditoriale e degli operatori sullo sviluppo e le problematiche connesse all'agricoltura transgenica, risultano, pertanto, in considerazione di quanto in precedenza evidenziato, attualmente molto accesi ed estesi in termini di partecipazione; si rileva come i nodi da sciogliere e le difficoltà da risolvere, connesse al settore transgenico, che riguardano la biodiversità e l'ambiente, siano ancora molto dibattuti e analizzati, come dimostrano anche le recenti manifestazioni, che hanno avuto luogo in Friuli Venezia Giulia, attraverso la semina di mais geneticamente modificato Mon810 in campo aperto; tali episodi costituiscono un grave attacco al patrimonio nazionale in termini di biodiversità, oltre a rappresentare un pericoloso precedente;
nell'ambito della valutazione del rischio derivante dall'impiego di organismi geneticamente modificati, nell'Unione europea, occorre inoltre rilevare che, se la competenza è attribuita all'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), per gli Stati membri dell'Unione europea è invece prevista la partecipazione al processo di valutazione del rischio, oltre che la partecipazione per ogni singolo Paese a studi sul monitoraggio post immissione al fine di verificare gli effetti sull'ambiente e sulla salute umana;
la suddetta valutazione comporta, inoltre, che, per ottenere l'autorizzazione del prodotto geneticamente modificato, essa debba essere svolta in ambienti extra europei dove è importante evidenziare non si tiene conto della particolarità territoriale italiana;
avviare iniziative in sede europea, volte ad una prevalente osservanza dei principi di precauzione e di approfondimento sugli effetti derivanti dall'utilizzo, dalla coltivazione e dalla diffusione di mais geneticamente modificato Mon810, al fine di completare un quadro conoscitivo più sicuro e rigoroso per la salute e l'ambiente nonché per la tutela dei prodotti agroalimentari italiani, appare pertanto indispensabile e necessario anche in considerazione degli effetti economici negativi che deriverebbero dall'espansione degli organismi geneticamente modificati, a svantaggio dell'importanza costituita dai caratteri distintivi dell'agricoltura italiana, il cui settore rappresenta un segno d'eccellenza in termini di qualità dei prodotti dell'agroalimentare del made in Italy universalmente riconosciuti e apprezzati,
impegna il Governo:
ad avviare tempestivamente la procedura per l'adozione della misura cautelare di cui all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, secondo quanto previsto dall'articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, a tutela della salute umana, dell'ambiente e del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano;
a dotare le autorità competenti, anche attraverso un'apposita iniziativa normativa urgente, di idonei strumenti per il controllo e il monitoraggio, provvedendo allo scopo a rafforzare, d'intesa con le regioni, l'apparato sanzionatorio utilizzabile per i produttori che coltivino, senza notifica preventiva e senza rispettare eventuali prescrizioni atte ad evitare la contaminazione delle altre colture, fermo restando quanto già previsto dal decreto legislativo n. 224 del 2003;
a sostenere e potenziare la ricerca scientifica e tecnologica in materia agricola, biologica ed agroalimentare secondo le migliori prassi scientifiche internazionali e, in caso di organismi geneticamente modificati, nel pieno rispetto del principio di precauzione.
(1-00128)
«Faenzi, Baldelli, Bosco, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Romele, Russo».
(1o luglio 2013)
La Camera,
premesso che:
il dibattito scientifico sullo sviluppo dell'agricoltura transgenica si articola intorno a chi ritiene che gli organismi geneticamente modificati non producano rischi di alcun genere e quanti, invece, affermano che i pericoli che scaturiscono da manipolazioni genetiche siano di gran lunga superiori agli eventuali benefici;
a prescindere dal confronto tra opposti pareri, il dato scientifico evidenzia che gli organismi geneticamente modificati, siano microrganismi, animali o vegetali, hanno caratteristiche genetiche e riproduttive alterate e che la comunità scientifica, in merito ai loro effetti sulla salute umana, non ha ancora espresso una posizione univoca;
risultati di uno studio realizzato dall'università francese di Caen dimostrano la tossicità degli organismi geneticamente modificati a seguito di alcuni esperimenti condotti su cavie nutrite con mais Monsanto geneticamente modificato, le quali hanno cominciato a manifestare gravissime patologie con un'incidenza da due a cinque volte superiore al gruppo di controllo rappresentato da cavie nutrite con mais non transgenico;
i suddetti risultati, oltre a mettere in dubbio la validità delle ricerche effettuate finora dalle imprese biotech, evidenziano notevoli problematiche nella metodologia usata per testare la sicurezza dei prodotti transgenici, tra cui la durata troppo breve delle analisi condotte, mediamente 3 mesi a fronte dei 24 mesi impiegati dalla ricerca in questione, e l'esiguità del numero di cavie utilizzate;
a seguito di tali ulteriori pareri sulla tossicità degli organismi geneticamente modificati e sull'ambiguità del processo di autorizzazione, che pare privo delle garanzie minime di sicurezza e, pertanto, in contrasto con il principio di precauzione che l'Unione europea pone a tutela della salute umana, sarebbe opportuno vietare l'importazione di prodotti transgenici e sospendere, ad ogni livello e in tutta Europa, il rilascio delle licenze alla semina di organismi geneticamente modificati autorizzati e risultati tossici;
il dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra) ha messo in evidenza che il Mon810 potrebbe modificare le popolazioni di lepidotteri «non bersaglio» e favorire lo sviluppo di parassiti potenzialmente dannosi per le altre colture; inoltre, il parere dell'Ispra conferma i rischi per le popolazioni di lepidotteri non target e non esclude la possibilità di impatto negativo sugli organismi acquatici sensibili alle tossine;
il Ministro della salute pro tempore, Renato Balduzzi, a seguito del dossier del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, ha chiesto alla Commissione europea che quest'ultima effettui una nuova valutazione completa del Mon810 alla luce delle ultime linee guida, definisca adeguate misure di gestione che dovrebbero essere rese obbligatorie per tutti gli utilizzatori di tali organismi geneticamente modificati e, nel frattempo, sospenda urgentemente l'autorizzazione alla messa in coltura di sementi di mais Mon810 nel nostro Paese e nell'Unione europea;
il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore, Mario Catania, si ritenne soddisfatto della richiesta del Ministro della salute pro tempore, Renato Balduzzi, riprendendo così la linea sempre tenuta dalla Lega Nord e Autonomie e dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore, Luca Zaia, sulla necessita di procedere con forza nella direzione di salvaguardare l'identità e la ricchezza dei prodotti italiani, che sono alla base del successo del settore agroalimentare, e far sì che gli organismi geneticamente modificati non attentino all'agricoltura identitaria italiana, culla della biodiversità che deve essere preservata;
l'impatto socio-economico dell'innovazione derivante dall'introduzione in agricoltura di organismi geneticamente modificati è fortemente negativo rispetto alle esigenze dei consumatori e agli obiettivi di politica agraria del Paese;
l'agricoltura italiana è essenzialmente di tipo multifunzionale e assolve compiti che vanno oltre la semplice produzione di alimenti e materie prime, svolgendo un ruolo di difesa integrata del territorio e di tutela del paesaggio e degli aspetti culturali tradizionali legati alle aree rurali, la cui valorizzazione, grazie alla presenza costante dell'agricoltore, trasforma la marginalità in opportunità;
gli organismi geneticamente modificati rappresentano, invece, il simbolo di un'agricoltura non finalizzata alla produzione di cibo e alla conservazione del territorio, ma alla creazione di reddito e al controllo dei mercati mondiali da parte di poche multinazionali;
il nostro Paese è la culla della biodiversità, con 4.500 prodotti tipici frutto di secoli e secoli di storia;
il mais transgenico, la cui coltivazione è autorizzata da anni in Europa (l'autorizzazione del 1998 non è stata rinnovata), non copre più dell'1 per cento della produzione totale. Il vero business delle multinazionali non sarebbe nella coltivazione ma nel brevetto delle sementi;
gli organismi geneticamente modificati non servirebbero a sfamare il mondo perché non esiste un patto etico per destinare un'eventuale sovrapproduzione a chi muore di fame. Dove si vendono gli organismi geneticamente modificati, i ricchi mangiano biologico, i poveri i cibi geneticamente modificati;
quanto si riporta testimonia che il dibattito sul tema in questione è ancora aperto e che la prudenza è indispensabile di fronte a scelte che modificano profondamente l'ambito nel quale vengono applicate e che impattano non solo sugli equilibri di mercato ma, soprattutto, sulla salute dei cittadini;
la direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da organismi geneticamente modificati attraverso l'applicazione del principio di «salvaguardia»;
questa direttiva è stata recepita nell'ordinamento italiano dal decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, dove all'articolo 25 si prevede che i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute e delle politiche agricole, alimentari e forestali, per quanto di rispettiva competenza, possono, con provvedimento d'urgenza, limitare o vietare temporaneamente l'immissione sul mercato, l'uso o la vendita sul territorio nazionale di un organismo geneticamente modificato, come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e autorizzato, che rappresenti un rischio per la salute umana o l'ambiente, con una valutazione fondata su informazioni esistenti basate su nuove o supplementari conoscenze scientifiche; il provvedimento, altresì, può indicare le misure ritenute necessarie per ridurre al minimo il rischio ipotizzato;
le regioni spesso hanno espresso la loro ferma contrarietà all'introduzione nel nostro Paese di colture transgeniche, evidenziando che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/18/CE, per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura del nostro Paese e la qualità e la specificità dei suoi prodotti;
ad oggi, 8 nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato le clausole di salvaguardia;
il 21 maggio 2013 il Senato della Repubblica ha approvato, durante la discussione di mozioni in tema di organismi geneticamente modificati, un ordine del giorno unitario a seguito del quale il Governo dovrebbe emanare un decreto ministeriale, che coinvolge i Ministri della salute, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle politiche agricole, alimentari e forestali, con il quale si dovrebbe disporre il divieto di coltivazione di varietà di mais Mon810 solo sul territorio nazionale. Detto decreto interministeriale fa ricorso all'articolo 34 del Regolamento (CE) n. 1829/2003, che consente di adottare misure di emergenza qualora sia manifesto che prodotti geneticamente modificati autorizzati possano comportare un grave rischio per la salute umana, degli animali e per l'ambiente;
il 15 giugno 2013 a Vivaro (Pordenone) seimila metri quadrati sono stati seminati con mais geneticamente modificato, creando un altissimo rischio di contaminazione biotech nel nostro Paese,
impegna il Governo:
a promuovere un intervento, nelle competenti sedi comunitarie, affinché l'Unione europea sospenda il rilascio di autorizzazioni alla semina in tutto il territorio dell'Unione medesima di organismi geneticamente modificati autorizzati e risultati tossici e disponga il divieto di importazione di prodotti transgenici, tenendo presente che, al momento, nessuna azione al riguardo è stata intrapresa dalle istituzioni europee;
a procedere con l'esercizio della clausola di salvaguardia di cui all'articolo 25 del decreto legislativo n. 224 del 2003 che recepisce la direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati.
(1-00129)
«Caon, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(1o luglio 2013)
La Camera,
premesso che:
l'agroalimentare è uno dei settori dell'economia italiana che meglio resiste e reagisce alla crisi economica in atto in termini di valore aggiunto e, in particolare, di export, con un nuovo record di 32 miliardi di euro di fatturato nel 2012 (+5,4 per cento sul 2011);
i dati Istat sui «Conti economici trimestrali» evidenziano che nel primo trimestre del 2013 l'agricoltura ha fatto registrare un aumento del valore aggiunto sia in termini congiunturali (+4,7 per cento), che tendenziali (+0,1 per cento), confermandosi come comparto in attivo anche sul piano occupazionale, con l'aumento delle assunzioni dello 0,7 per cento, in netta controtendenza con l'andamento recessivo del prodotto interno lordo e degli occupati dell'industria e dei servizi;
i suddetti dati evidenziano per l'Italia un calo tendenziale del prodotto interno lordo nel primo trimestre del 2013 del 2,4 per cento, provocato dalle flessioni dell'industria (-4,1 per cento) e dei servizi (-1,4 per cento);
le performance economiche del comparto agricolo sono positive, nonostante gli effetti negativi sulle coltivazioni provocati dal maltempo, che ha causato in agricoltura danni stimabili in un miliardo di euro, e dai segnali depressivi sui consumi che hanno interessato anche l'agroalimentare; l'agricoltura è stato l'unico settore che nel 2013 sta dimostrando segni di «vitalità economica» e occupazionale, a conferma questo della validità e della modernità del modello di sviluppo agricolo made in Italy, che è fondato sulla valorizzazione dell'identità della qualità e delle specificità che consentono di affrontare e vincere la competizione internazionale;
il modello di sviluppo agricolo fondato sul made in Italy è realizzabile grazie all'impegno crescente e costante dei produttori italiani che tutelano la qualità, la tracciabilità e la produzione agroalimentare nazionale, che si contrappone ad una visione che a livello internazionale tende a considerare la produzione agricola solo come una commodity indifferenziata;
il comparto agricolo nell'ultimo lustro ha dimostrato di essere una realtà economica d'eccellenza e di peculiare differenziazione della qualità agroalimentare rispetto agli altri partner intra-europei ed extra-europei e, per questi dati incontrovertibili, esso necessita di essere posta nell'agenda politica italiana quale uno dei volani principali della ripresa economica;
è recente la notizia che a Vivaro (Pordenone) seimila metri quadrati sono stati seminati con mais biotech, Mon810, creando un altissimo rischio di contaminazione nei confronti della biodiversità del nostro Paese;
una vasta parte della comunità scientifica continua ad esprimere forti e rinnovate perplessità rispetto all'impiego di tecnologie transgeniche in agricoltura, richiamando l'attenzione sull'importanza delle ricadute globali ed incontrollabili su salute e ambiente che potrebbero derivare da eventuali errori di valutazione e sulla difficoltà di coesistenza fra colture transgeniche, convenzionali e biologiche;
i recenti studi di Gilles-Eric Seralini, ricercatore dell'Istituto di biologia fondamentale e applicata presso l'Università degli Studi di Caen (Francia), condensati nel libro Tous co-bayes, conducono verso la «prova» della tossicità – tuttora molto dibattuta – degli organismi geneticamente modificati e degli erbicidi ad essi collegati; si tratta di un campo certamente da approfondire, ma, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, ciò è sufficiente per adottare tutti quei provvedimenti prudenziali per evitare futuri eventuali disastri ambientali e sanitari che potrebbero rivelarsi irreversibili;
la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 costituisce il testo normativo fondamentale per quanto concerne sia l'immissione in commercio di organismi geneticamente modificati, sia l'emissione deliberata di organismi geneticamente modificati nell'ambiente e prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da colture biotech attraverso l'applicazione della «clausola di salvaguardia»;
il decreto legislativo n. 224 del 2003, all'articolo 25, recepisce quanto stabilito dall'articolo 23 della direttiva n. 2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta «clausola di salvaguardia», mediante la quale le autorità nazionali preposte (per l'Italia sono i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute) possono bloccare l'immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso;
successivamente, l'Unione europea ha compiutamente regolamentato le procedure concernenti l'autorizzazione e la circolazione degli alimenti e dei mangimi geneticamente modificati con il regolamento (CE) n.1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio;
con il decreto-legge n. 279 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 5 del 2005, venivano previste disposizioni per assicurare la «coesistenza» tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2006, ha dichiarato la parziale incostituzionalità del decreto-legge n. 279 del 2004, nella parte in cui si richiama l'esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura, venendosi così a determinare un pericoloso vuoto normativo;
fin dal 2010 il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica della direttiva 2001/18/CE – attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee – che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati sulla base di più ampi criteri, oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell'ambiente; più in generale, e in ambito comunitario, l'Italia ha da sempre sottolineato l'importanza dell'impatto socio-economico derivante dall'uso del transgenico, che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in merito all'ambiente e alla salute;
nella seduta del 21 maggio 2013 il Senato della Repubblica ha approvato all'unanimità l'ordine del giorno sulle colture biotech con cui si impegna il Governo: «adottare la clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE e/o ad adottare la misura cautelare di cui all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, in base alla procedura prevista dall'articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, a tutela della salute umana, dell'ambiente e del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano; a rafforzare la già efficace opera di monitoraggio e controllo posta in essere con il coinvolgimento del Corpo forestale dello Stato, il quale da tempo effettua verifiche per evitare la contaminazione tra colture geneticamente modificate e non e per controllare l'eventuale presenza di sementi transgeniche non autorizzate; a potenziare la ricerca scientifica pubblica in materia agricola e biologica e, in caso di organismi geneticamente modificati, in ambiente confinato di laboratorio (...)»;
il Ministro Nunzia De Girolamo, nell'illustrazione delle linee programmatiche del suo dicastero rese il 12 giugno 2013 in seduta congiunta alle Commissioni agricoltura di Camera e Senato, ha affermato che: «(...) l'importanza di un positivo relazionarsi tra Governo e istituzioni parlamentari ha già trovato, in questa legislatura, un'ottima dimostrazione in Senato sul delicato tema degli organismi geneticamente modificati, con l'assunzione del mio personale impegno sull'ordine del giorno congiunto di tutti i gruppi rappresentati, finalizzato all'adozione di regole coerenti con la tutela della salute umana e dell'ambiente, nonché del modello socio-economico e del patrimonio agroalimentare italiano, al contempo rafforzando la ricerca scientifica e le azioni di monitoraggio e controllo (...)»;
il sistema delle regioni e delle province autonome ha ripetutamente dichiarato in sede di Conferenza delle regioni, con l'approvazione di un ordine del giorno e con una fitta corrispondenza istituzionale con le istituzioni europee e nazionali, la loro ferma opposizione all'introduzione di colture transgeniche in Italia, sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che andrà a modificare la direttiva 2001/18/CE, per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura italiana, la biodiversità agroalimentare, la qualità e le specificità dei suoi prodotti;
specificatamente, l'ordine del giorno della Conferenza delle regioni e delle province autonome recita: «(...) impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, nelle more dell'approvazione della proposta di modifica della direttiva 2001/18/CE in materia di possibili divieti alla coltivazione di piante geneticamente modificate, a procedere con l'esercizio della clausola di salvaguardia ai sensi dell'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE del Parlamento e del Consiglio europeo del 12 marzo 2001(...)»; ed ancora: «(...) tenuto conto delle competenze in materia riconosciute dalla Costituzione, impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali a rappresentare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e in occasione delle riunioni in sede comunitaria, la posizione unanime delle regioni e delle province autonome di assoluta contrarietà rispetto alla autorizzazione della coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale (...)»;
in presenza di rischi concreti per il sistema agricolo nazionale di inquinamento da colture transgeniche lo stesso Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore, il 28 gennaio 2013, ha chiesto formalmente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualità di autorità nazionale in materia, di: «(...) guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di organismi geneticamente modificati in Italia (...)»;
ad oggi, otto nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di organismi geneticamente modificati autorizzate nei loro territori;
l'ultimo rapporto del mese di febbraio 2013 del Servizio internazionale per l'acquisizione delle applicazioni biotecnologiche per l'agricoltura, Isaa, riguardante lo «Status globale della commercializzazione di colture biotech/ogm», ha evidenziato che in Europa sono rimasti solo cinque Paesi – Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania – a coltivare organismi geneticamente modificati, con 129 ettari di mais transgenico seminati nel 2012, una percentuale irrisoria della superficie agricola comunitaria;
in data 29 marzo 2013 il Ministro della salute pro tempore ha inoltrato alla direzione generale salute e consumatori della Commissione europea la richiesta di sospensione d'urgenza dell'autorizzazione della messa in coltura in Italia, e nel resto d'Europa, di sementi di mais Mon810, con allegato il dossier elaborato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, a norma dell'articolo 34 del regolamento (CE) 1829/2003;
il rischio che corre il sistema agroalimentare nazionale è evidenziato dalla semina di mais geneticamente modificato già avvenuta nei giorni scorsi nella regione Friuli Venezia Giulia ed alla possibilità di replica di tali atti in altre parti del territorio nazionale;
a seguito della semina di mais Mon810 avvenuta a Vivaro (Pordenone), le autorità competenti recintavano e ponevano sotto sequestro il campo seminato da mais biotech e si apriva un procedimento penale a carico dell'agricoltore, Giorgio Fidenato, autore della semina;
la Corte di giustizia dell'Unione europea, IX sezione, con ordinanza dell'8 maggio 2013, causa C-542/12, ha deciso in via pregiudiziale che: «(...) il diritto dell'Unione europea dev'essere interpretato nel senso che la messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais Mon810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e dette varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, come modificata dal regolamento n. 1829/2003. L'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2008, dev'essere interpreta nel senso che non consente a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di detti organismi geneticamente modificati per il fatto che l'ottenimento di un'autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre colture (...)»;
la pronuncia in via pregiudiziale (articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) della Corte di giustizia europea scaturisce dal procedimento penale in corso presso il tribunale di Pordenone a carico di Giorgio Fidenato, titolare dell'azienda agricola dove sono stati messi a coltura sementi di organismi geneticamente modificati, mais Mon810, in assenza della specifica autorizzazione (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 212 del 2001);
esiste il fondamentale «principio di precauzione», sia nella normativa comunitaria (articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) che in quella nazionale (articolo 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modifiche ed integrazioni), e, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, sarebbe opportuno e non più rinviabile, che il legislatore europeo introduca nel regolamento comunitario, in materia di organismi geneticamente modificati, l'inclusione di una «clausola di garanzia» in favore degli Stati membri che intendano avvalersene;
nella risposta fornita ad un'interrogazione a risposta immediata in Commissione agricoltura presentata dall'onorevole Franco Bordo e altri, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali ha espresso le seguenti considerazioni: «(...) il Senato della Repubblica ha recentemente approvato un ordine del giorno unitario, accolto dal Governo, in tema di organismi geneticamente modificati che si tradurrà nell'emanazione di un decreto interministeriale (salute, ambiente e tutela del territorio e del mare e politiche agricole, alimentari e forestali), con il quale verrà disposto il divieto di coltivazione di varietà di mais Mon810 sul territorio nazionale. Tuttavia, considerato che non ci troviamo nelle condizioni per ricorrere alla clausola di salvaguardia “vera e propria” di cui all'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE (strada preclusa da una sentenza della Corte di giustizia europea dell'8 settembre 2011), interverremo con il decreto interministeriale facendo ricorso all'articolo 34 del regolamento (CE) 1829/2003 che consente di adottare misure di emergenza qualora sia manifesto che prodotti geneticamente modificati autorizzati possano comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l'ambiente. Al riguardo, preciso che le misure di emergenza sono adottate con le procedure previste dagli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) 178/2002 sulla sicurezza alimentare (la cui autorità competente in Italia è il Ministero della salute)»; ed ancora «(...) vorrei inoltre far presente che, sebbene lo scorso mese di aprile il Ministro della salute abbia richiesto alla Commissione europea di adottare misure di emergenza che proibissero la coltivazione del mais transgenico Mon810 in tutta Europa (considerando che l'autorizzazione del 1998 non è stata rinnovata), al momento, tuttavia, nessuna azione al riguardo è stata intrapresa dalla competente istituzione europea. Da qui, la possibilità di adottare il decreto di divieto di coltivazione per il solo territorio nazionale a cui stanno lavorando i servizi giuridici dei tre Ministeri. Saranno naturalmente utilizzati, allo scopo, sia il dossier predisposto dal Cra (ove è stato messo in evidenza che il Mon810 potrebbe modificare le popolazioni di lepidotteri non bersaglio e favorire lo sviluppo di parassiti potenzialmente dannosi per le altre colture), sia il parere dell'Ispra (che conferma i rischi per le popolazioni di lepidotteri non target e non esclude la possibilità di impatto negativo sugli organismi acquatici sensibili alle tossine)». Da ultimo: «(...) da parte nostra, intendiamo proseguire sulla strada di un'azione forte e determinata a sostegno di una modifica della normativa comunitaria (peraltro già predisposta dalla stessa Commissione europea nel 2010), che consenta agli Stati membri di opporsi alla coltivazione degli organismi geneticamente modificati per motivi non solo sanitari e ambientali, ma anche di politica economica agraria, come quelli esposti dagli interroganti e assolutamente condivisibili (...)»,
impegna il Governo:
ad avvalersi della clausola di salvaguardia di cui all'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 o ad adottare l'equivalente misura cautelare di cui all'articolo 34 del regolamento (CE) 1829/2003, al fine di impedire ogni forma di coltivazione in Italia del mais transgenico Mon810 e di altri organismi geneticamente modificati eventualmente autorizzati a livello europeo, a tutela della salute umana, dell'ambiente e della sicurezza del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano;
ad assumere iniziative, in relazione alle semine di mais geneticamente modificato già avvenute nel Friuli Venezia Giulia, affinché vi sia l'impiego straordinario di reparti specializzati del Corpo forestale dello Stato per potenziare le attività di controllo e monitoraggio sulla purezza dei prodotti sementieri e per disporre le misure locali, e a più largo raggio, idonee ad impedire ogni forma di contaminazione delle colture;
ad adottare le opportune iniziative in seno alle istituzioni europee, al fine di velocizzare nel più breve tempo possibile la modifica della normativa comunitaria in materia di organismi geneticamente modificati predisposta già dal 2010 dalla Commissione europea;
a valutare la possibilità di adottare iniziative normative urgenti con cui impedire la messa a coltura di altre sementi di organismi geneticamente modificati, in considerazione del fatto che l'autorizzazione per il territorio europeo del 1998 non è stata, a tutt'oggi, rinnovata.
(1-00130)
«Franco Bordo, Palazzotto, Zan, Pellegrino, Zaratti, Migliore, Di Salvo».
(1o luglio 2013)
La Camera,
premesso che:
sin dall'origine l'eventualità di introdurre nei Paesi membri dell'Unione europea colture transgeniche ed alimenti contenenti organismi geneticamente modificati o derivanti da essi ha sollevato forti resistenze nell'opinione pubblica ed in una parte rilevante del mondo della produzione;
tali resistenze sono state particolarmente vive in Italia, ove la maggior parte dei consumatori si dichiara contraria all'introduzione di organismi geneticamente modificati nella catena alimentare ed in ogni caso chiede di conoscere, con adeguate modalità di etichettatura, se i prodotti posti in commercio contengano o siano derivati da organismi geneticamente modificati;
anche dal mondo agricolo italiano sono venute forti critiche rispetto all'introduzione dei predetti organismi nella filiera, principalmente in ragione del fatto che il comparto agroalimentare italiano si caratterizza per l'elevata qualità e per la diversità delle produzioni, sempre legate alla diversità dei territori, della loro storia e delle loro tradizioni, e che tali caratteristiche mal si conciliano con il modello produttivo sotteso alla diffusione di produzioni transgeniche;
le critiche del mondo agricolo appaiono in effetti motivate e comprensibili, poiché ad un'attenta analisi appare evidente che nella competizione globalizzata le possibilità di successo dell'agricoltura italiana, affetta da forti handicap strutturali sul versante dei costi e delle dimensioni aziendali, è strettamente legata alla possibilità di mantenere e rafforzare quella immagine di qualità e di tipicità che attualmente la connotano;
occorre, altresì, considerare che l'introduzione di colture transgeniche, oltre a comportare ricadute ambientali ancora non del tutto valutabili, presenta oggettivamente complessi problemi tecnici e giuridici sotto il profilo della necessità di assicurare una coesistenza con le colture convenzionali e biologiche, i cui agricoltori chiedono giustamente di essere posti al sicuro da qualsiasi contaminazione che possa recar loro danni economici nella commercializzazione del prodotto;
d'altra parte non può non rilevarsi che la ricerca scientifica in ambito genetico costituisce indubbiamente uno dei terreni più importanti e ricco di promesse di progresso per l'umanità, per le sue potenzialità in diversi campi, a partire da quello sanitario;
al riguardo, il rallentamento della ricerca scientifica concernente gli organismi geneticamente modificati utilizzabili nella sfera agroalimentare, registratosi in quasi tutti i Paesi europei e particolarmente in Italia, costituisce indubbiamente un fenomeno assai negativo, perché rischia di sottrarre ai nostri ricercatori un insieme di conoscenze che in futuro potrebbero dar luogo a nuove evoluzioni della materia, non necessariamente contrastanti con la sensibilità e con le caratteristiche del sistema produttivo italiano; senza peraltro dimenticare che determinati risultati scientifici, non idonei per il contesto europeo, potrebbero essere validi in altri ambiti geografici;
la normativa adottata dall'Unione europea per regolamentare la materia, più volte modificata, non è stata finora in grado di fugare le resistenze dell'opinione pubblica e degli agricoltori, né di fornire un quadro giuridico idoneo a consentire agli Stati membri di impostare in modo adeguato la soluzione del problema della coesistenza;
i limiti della normativa comunitaria sono stati, per alcuni aspetti, acuiti in Italia da un quadro normativo a sua volta incompiuto, anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.116 del 2006, che ha dichiarato la parziale incostituzionalità della legislazione precedentemente adottata in materia di coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali,
impegna il Governo:
a perseguire, con tutta la necessaria energia negoziale, un radicale miglioramento della normativa comunitaria in materia di coltivazione di sementi transgeniche e di immissione in commercio di organismi geneticamente modificati che si ispiri alle linee seguenti:
a) una rigorosa applicazione del principio di precauzione in tutti i procedimenti di autorizzazione alla coltivazione od al commercio di eventi trasgenici;
b) un regime obbligatorio di tracciabilità per tutte le sementi e gli organismi geneticamente modificati idoneo a segnalarne la presenza in tutti gli stadi della filiera;
c) un regime di etichettatura a beneficio del consumatore finale che metta a disposizione del medesimo tutte le informazioni assicurate dal predetto regime di tracciabilità;
d) regole generali in materia di coesistenza idonee a tutelare pienamente, attraverso le disposizioni attuative demandate agli Stati membri, i produttori convenzionali e biologici;
e) un'adeguata sussidiarietà, che consenta agli Stati membri, per motivazioni di carattere oggettivo, di interdire temporaneamente o definitivamente, in tutto il proprio territorio o in parte di esso, la coltivazione di sementi transgeniche;
a porre in essere, in attesa che si realizzi il predetto quadro normativo comunitario, tutte le iniziative compatibili con la vigente regolamentazione dell'Unione europea, affinché siano tutelate le giuste aspettative della maggioranza dei consumatori e degli agricoltori italiani, come riassunte nelle premesse, evitando, in particolare, che l'introduzione di colture transgeniche possa recare danni diretti o indiretti ad altri imprenditori agricoli;
a rilanciare, attraverso un programma organico che coinvolga tutti i poli della ricerca pubblica attivi nel settore, la ricerca scientifica concernente la materia, privilegiando obiettivi ed aree di studio che appaiano coerenti con le caratteristiche e con la vocazione del sistema agroalimentare italiano.
(1-00131)
«Catania, Dellai, Schirò Planeta, Binetti, Capua, Caruso, Causin, Cesa, Fauttilli, Matarrese, Molea, Monchiero, Nissoli, Rossi, Vargiu, Nesi, Gigli, Tinagli, Zanetti, Cimmino, Marazziti, Vecchio, Rabino, Antimo Cesaro, Vitelli, D'Agostino, Vezzali, Oliaro».
(1o luglio 2013)
La Camera,
premesso che:
la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 prevede, per gli Stati membri dell'Unione Europea, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da organismi geneticamente modificati attraverso l'applicazione del principio di «salvaguardia»;
la direttiva 2001/18/CE sull'emissione deliberata di organismi geneticamente modificati è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, e con tale atto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato indicato quale autorità competente a livello nazionale, con il compito di coordinare l'attività amministrativa e tecnico-scientifica, il rilascio delle autorizzazioni e delle comunicazioni istituzionali con la Commissione europea, con il supporto della commissione interministeriale di valutazione;
il decreto legislativo n. 224 del 2003, all'articolo 25, recepisce quanto stabilito dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta «clausola di salvaguardia», mediante la quale le autorità nazionali preposte – per l'Italia i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute – possono bloccare l'immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso;
con l'attivazione di tale clausola si dà luogo ad una serie di consultazioni fra la Commissione europea, le autorità nazionali, il produttore, gli organismi che sono intervenuti nella procedura di valutazione della conformità e tutte le parti interessate;
la normativa comunitaria consente, comunque, alla Commissione europea di annullare il ricorso alla clausola di salvaguardia in caso di evidenze scientifiche contrarie;
la direttiva 2001/18/CE costituisce anche la norma che getta le basi per regolamentare la cosiddetta coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche; l'articolo 22, infatti, prevede che gli organismi geneticamente modificati autorizzati in conformità alla direttiva debbano poter circolare liberamente all'interno dell'Unione europea, mentre l'articolo 26-bis (introdotto dal regolamento (CE) n. 1829/2003) dispone che «gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altri prodotti», consentendo, quindi, agli Stati membri di introdurre, nel proprio ordinamento, norme specifiche per regolare la coesistenza;
con il decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, erano state previste disposizioni per assicurare la «coesistenza» tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali, ma il successivo intervento della Corte costituzionale – con la sentenza n. 116 del 2006 – che ne ha dichiarato la parziale incostituzionalità nella parte ritenuta di esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura, ha causato un vuoto normativo molto dannoso, poiché sono stati mantenuti in vigore sia il principio della libertà di scelta dell'imprenditore sia il principio della coesistenza, mancando però del tutto le parti operative e tecniche per attuare la coesistenza, e, di conseguenza, ogni norma nazionale o regionale che vieta l'utilizzo di colture transgeniche diventa contraria al principio di coesistenza stabilito a livello europeo;
tale orientamento è stato da ultimo riconfermato nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'ottobre 2012 (sul caso di specie Pioneer Hi Bred Italia Srl contro Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali), con cui la Corte si è pronunciata in via pregiudiziale sull'interpretazione dell'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE: per la Corte di giustizia dell'Unione europea uno Stato membro, ai sensi del citato articolo 26-bis, può disporre restrizioni e divieti geograficamente delimitati solo nel caso e per effetto delle misure di coesistenza realmente adottate, mentre, viceversa, uno Stato membro non può, nelle more dell'adozione di misure di coesistenza dirette a evitare la presenza accidentale di organismi geneticamente modificati in altre colture, vietare, in via generale, la coltivazione di prodotti organismi geneticamente modificati autorizzati ai sensi della normativa dell'Unione europea e iscritti nel catalogo comune;
fin dal 2010 il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica della direttiva 2001/18/CE – attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee – che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati sulla base di più ampi criteri oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell'ambiente;
in via più generale e in ambito comunitario, l'Italia ha da sempre sottolineato l'importanza dell'impatto socio-economico derivante dall'uso del transgenico che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in merito all'ambiente e alla salute;
la Commissione europea sta intensificando la propria opera per giungere rapidamente ad una revisione della direttiva 2001/18/CE, con l'obiettivo di rendere gli Stati membri maggiormente autonomi in merito alle linee guida da autorizzare a livello nazionale;
il 28 gennaio 2013, il Ministro delle politiche agricole, alimentare e forestali pro tempore ha chiesto formalmente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore di «guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di organismi geneticamente modificati in Italia»;
le regioni hanno ripetutamente dichiarato la loro ferma opposizione all'introduzione di colture transgeniche in Italia, sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura italiana, la qualità e la specificità dei suoi prodotti;
ad oggi, otto nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di organismi geneticamente modificati autorizzate nei loro territori;
l'agroalimentare, anche in tempo di crisi, si conferma uno dei motori del sistema produttivo italiano grazie, in particolare, ad ottimi risultati nell’export, ottenuti in virtù degli enormi investimenti dei produttori e dei trasformatori per garantire qualità e tracciabilità ai prodotti italiani;
è necessario proseguire nella ricerca scientifica al fine di giungere a maggiori certezze circa gli eventuali danni alla salute provocati dalle colture transgeniche;
in attesa di evidenze più univoche, è opportuno avvalersi del principio di precauzione, non autorizzando né la semina su larga scala, né la sperimentazione in campo aperto, poiché questa, in assenza di regole certe in materia di coesistenza con le colture tradizionali e biologiche, si tradurrebbe in un'irrimediabile contaminazione de facto;
tutte le rilevazioni demoscopiche effettuate in Italia e in Europa nel corso degli ultimi anni confermano una profonda diffidenza da parte dei consumatori sulla salubrità e sull'utilità degli organismi geneticamente modificati;
un'immissione nel mercato di prodotti geneticamente modificati recherebbe un danno di immagine significativo al made in Italy agroalimentare, da sempre sinonimo di qualità e tipicità;
tale rischio sarebbe particolarmente significativo se fosse vero che, come si apprende dalla stampa, nei silos di stoccaggio della Lombardia, del Veneto, dell'Emilia Romagna e del Friuli Venezia Giulia ci sarebbero 52 mila sacchi di mais transgenico Mon810, sufficienti a coltivare 32 mila ettari, pronti per la semina;
per questa ragione, in data 29 marzo 2013, il Ministero della salute pro tempore aveva inoltrato alla direzione generale per la salute e i consumatori della Commissione Europea la richiesta di sospensione d'urgenza dell'autorizzazione alla messa in coltura in Italia e nel resto d'Europa di sementi di mais Mon810,
impegna il Governo:
ad avvalersi della clausola di salvaguardia, di cui all'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE e all'articolo 25 del decreto legislativo n. 224 del 2003 di recepimento della suddetta direttiva, al fine di evitare ogni forma di coltivazione in Italia di organismi geneticamente modificati autorizzati, almeno fino all'emergere di evidenze scientifiche condivise circa la loro non pericolosità per la salute e l'ambiente;
a valutare l'opportunità di adottare anche appositi interventi normativi urgenti, affinché le autorità competenti siano dotate degli strumenti utili per rafforzare, d'intesa con le regioni, i controlli e le sanzioni per i produttori che coltivino sementi transgeniche senza la preventiva notifica e senza rispettare le prescrizioni finalizzate ad evitare la contaminazione delle altre colture;
a prevedere l'incremento delle attività di controllo per potenziare, d'intesa con le regioni, la sorveglianza sui prodotti sementieri in corso di distribuzione ed intervenire in presenza di sementi transgeniche non autorizzate;
a richiedere con maggiore determinazione alla Commissione europea l'adozione di una nuova iniziativa di modifica della direttiva 2001/18/CE, al fine di consentire agli Stati membri una maggiore autonomia decisionale per preservare i rispettivi territori dalle contaminazioni da organismi geneticamente modificati;
a richiedere alla Commissione europea di garantire la più totale trasparenza in merito alla composizione e all'azione della European food safety authority (Efsa), istituita nel 2002, dopo intense trattative condotte dal Governo italiano pro tempore, e con sede a Parma, cui compete il processo di approvazione scientifica preliminare all'autorizzazione e alla immissione sul mercato di nuove sementi transgeniche.
(1-00132)
«Giorgia Meloni, Rampelli, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».
(1o luglio 2013)
INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA
LOMBARDI. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento ed il coordinamento dell'attività di Governo. — Per sapere – premesso che:
in data 21 giugno 2013, sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, è apparso il seguente comunicato: «La Presidenza del Consiglio dei ministri, in relazione alla notizia della nomina di Antonio Golini a presidente pro tempore dell'Istat, precisa quanto segue: Golini reggerà l'Istat per consentire che le funzioni monocratiche del presidente siano assolte e i poteri precipui del presidente siano esercitati; la nomina ha carattere temporaneo ed è legata all'avvio dell’iter di nomina del nuovo presidente; l'ultimo presidente, Enrico Giovannini, si è dimesso. Attualmente è Ministro del lavoro»;
stando alle notizie diramate dagli organi della stampa, la nomina pro tempore sarebbe stata disposta «per il periodo durante il quale Enrico Giovannini, attuale presidente, svolge le funzioni di Ministro del lavoro e delle politiche sociali», scelta che risulta del tutto estranea all'istituto del pro tempore, periodo che contempla esclusivamente il tempo necessario per affidare il nuovo incarico secondo il dettato della normativa vigente;
l'Istat è ente di diritto pubblico non economico, detentore di poteri e funzioni vieppiù numerosi e accentrati con l'ultimo riordino e, anche a tutela della sua indipendenza, è stabilito che la designazione debba essere sottoposta all'esame delle competenti commissioni parlamentari per l'acquisizione del parere obbligatorio a maggioranza qualificata dei due terzi, come indicato dall'articolo 3 della legge n. 400 del 1988 e dall'articolo 5 della legge n. 196 del 2009 –:
se il Governo non intenda procedere alla nomina del presidente dell'Istat secondo il dettato della normativa vigente.
(3-00165)
(2 luglio 2013)
GIORGIA MELONI. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, ha previsto l'istituzione di un fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli che risultino titolari di contratti di lavoro a tempo determinato;
l'operatività del fondo, che ha una dotazione finanziaria pari a 50 milioni di euro, è stata perfezionata dapprima con l'emanazione del decreto del Ministro della gioventù 17 dicembre 2010, n. 256, che ha fissato i criteri per accedervi e le sue modalità di funzionamento, e, successivamente, con la firma, nel maggio del 2011, di un protocollo d'intesa tra lo stesso Ministro e l'Associazione bancaria italiana;
nel protocollo l'Associazione bancaria italiana si impegnava, tra l'altro, a promuovere sia l'informazione relativa al fondo, sia la sottoscrizione delle convenzioni per l'erogazione dei mutui tra il Dipartimento della gioventù ed i singoli istituti bancari e di intermediazione finanziaria;
nella realtà, invece, il fondo appare assolutamente sottoutilizzato, come segnalato da parte di alcune associazioni di consumatori, a causa di una sostanziale disapplicazione del protocollo da parte dell'Associazione bancaria italiana, nonché delle convenzioni da parte dei singoli istituti di credito;
l'atteggiamento degli istituti di credito appare non solo molto grave, ma sembra anche costituire una palese violazione dei diritti dei soggetti che potrebbero accedere al fondo, risolvendo uno dei maggiori ostacoli alla creazione di nuovi nuclei familiari, in un momento di forte crisi economica;
alla stessa stregua, appare non essere stata esercitata compiutamente la funzione di monitoraggio sull'attuazione del fondo;
nel dicembre del 2012, l'allora Ministro Riccardi, nella risposta ad un atto di sindacato ispettivo, aveva annunciato l'imminente riunione di un tavolo tecnico al fine di superare le problematiche di sottoutilizzazione del fondo –:
quali siano i dati aggiornati rispetto all'utilizzazione del fondo, se siano state approvate le citate modifiche al regolamento e quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere al fine di garantire la possibilità dell'accesso al fondo al maggior numero possibile di giovani in possesso dei requisiti. (3-00166)
(2 luglio 2013)
TULLO, BONACCORSI, BRANDOLIN, BRUNO BOSSIO, CARDINALE, CARELLA, CASTRICONE, COPPOLA, CRIVELLARI, CULOTTA, FERRO, GANDOLFI, PIERDOMENICO MARTINO, MAURI, MOGNATO, MURA, PAGANI, PAOLUCCI, ROTTA, VELO, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
secondo il Censis sono 14 milioni i pendolari che ogni mattina utilizzano il treno, il trasporto su gomma o l'auto per spostarsi dai Comuni limitrofi verso le principali aree metropolitane italiane;
lo Stato ha ridotto drasticamente, con il decreto-legge n. 78 del 2010 e successivi, i trasferimenti alle regioni per il trasporto pubblico locale, con conseguenze ormai intollerabili che arrivano a ledere il diritto universale alla mobilità;
da anni, infatti, si registra una costante e consistente contrazione dell'offerta di servizi, la soppressione di molti collegamenti, una netta riduzione degli addetti e degli interventi per la sicurezza e la manutenzione di treni, autobus e infrastrutture, a fronte di un rincaro straordinario delle tariffe;
le ricadute sono pesanti sul sistema sociale ed economico del territorio, sugli utenti, sulla congestione e sull'inquinamento; effetti significativi anche sull'indotto, e in particolare sulle imprese di fornitura di autobus, di treni e materiale rotabile e su quelle di manutenzione del servizio;
la legge di stabilità per il 2013 ha previsto la modifica del finanziamento del trasporto pubblico locale, che dipenderà, oltre che dal gettito dell'accisa su gasolio e benzina, anche da un fondo unico per il trasporto pubblico locale su ferro e su gomma, nel quale confluiranno le diverse risorse, statali e regionali;
nel contesto attuale risulta difficilmente praticabile la prevista «fiscalizzazione» delle risorse per le ferrovie regionali (le «ex concesse»), di cui alla legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), che destina al trasporto ferroviario regionale quota parte delle accise sui carburanti, poiché il gettito delle accise è interamente impegnato per altre destinazioni, né appare possibile, considerando l'attuale livello di pressione fiscale, prevedere ulteriori aumenti di tali accise;
in molte regioni i contratti di servizio con Trenitalia scadono tra il 2014 e il 2015; in alcune non sono stati ancora sottoscritti (come in Sicilia), in altre risultano già scaduti (Friuli Venezia Giulia), in altre ancora non è definito il trasferimento di poteri e risorse (come nelle regioni a statuto speciale Sardegna e Val d'Aosta);
un sistema di trasporto inefficiente conferma e ricrea il circolo vizioso del sottosviluppo: l'inadeguatezza scoraggia la domanda degli utenti (soprattutto lavoratori e studenti che hanno bisogno di contare su un servizio regolare ed affidabile), sicché si tende sempre più a sacrificarli da parte dei soggetti – come le Ferrovie – che danno impulso al miglioramento del servizio e alla realizzazione di infrastrutture di trasporto solo se stimolati da una forte domanda dei potenziali utilizzatori del servizio;
le regioni, come la Provincia autonoma di Bolzano, che hanno investito nel trasporto ferroviario regionale, anche con nuovi treni, hanno registrato un aumento dei passeggeri di oltre il 26 per cento in tre anni: una chiara dimostrazione che se migliora il servizio aumenta la domanda e crescono gli introiti e gli abbonamenti;
alcune tratte pendolari hanno un traffico paragonabile a quello delle linee ad alta velocità, ma anche quelle oggi meno frequentate hanno ottime opportunità di sviluppo; gli investimenti possono essere ripagati anche attraverso un'attenta politica di crescita della domanda pendolare attraverso abbonamenti vantaggiosi e servizi di qualità, in modo da incrementare le opportunità di remunerazione dei servizi anche per gli operatori;
è necessario reintegrare le risorse statali decurtate dal decreto-legge n. 78 del 2010 e seguenti e mantenere nel tempo continuità negli stanziamenti, in modo da consentire l'acquisto di nuovi treni, e occorre pianificare lo sviluppo del servizio pubblico per il traffico pendolare prendendo a riferimento le migliori esperienze europee, che puntano a garantire percorrenze medie più elevate e con minori interruzioni, con treni e veicoli più capienti a due piani –:
quali iniziative il Governo intenda adottare per garantire continuità ed efficienza al trasporto pubblico locale, sia per il servizio ferroviario, sia per il trasporto su gomma, con risorse adeguate – anche di parte corrente – in modo da assicurare pieno rispetto degli standard qualitativi «europei» in merito a puntualità, affidabilità, affollamento, pulizia, comfort, decoro e informazione, anche attivando immediatamente l'Autorità dei trasporti per individuare obiettivi e livelli essenziali di servizio, esercitando un efficace e fondamentale ruolo di controllo del sistema in termini di servizio, concorrenza e tariffe.
(3-00167)
(2 luglio 2013)
BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
nel corridoio transeuropeo n. 9 Genova-Rotterdam è compreso il collegamento ferroviario Genova-Milano-Novara, meglio conosciuto come Terzo valico dei Giovi;
il Terzo valico dei Giovi è una delle infrastrutture basilari per lo sviluppo del Nord-Ovest; ad oggi, infatti, solo il 30 per cento delle merci destinate al mercato del Nord Italia transita per i porti italiani, il restante 70 per cento passa per altre vie, con prevalenza di utilizzo per i porti del Nord Europa;
il Governo Berlusconi, nel 2001, inserisce il Terzo valico dei Giovi nel primo elenco delle opere di preminente interesse nazionale all'interno della legge n. 443 del 2001, «Delega al Governo per l'individuazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale». La norma prevede, inoltre, la definizione di un quadro normativo che consenta di accelerare la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti di rilievo nazionale;
ad agosto 2006, il Governo Prodi, attraverso il Ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro, nel capoluogo piemontese per la conferenza dei servizi, afferma che: «Il terzo valico non rientra nelle priorità del Governo perché non è stato finanziato». Il Terzo valico dei Giovi viene cancellato dalle opere pubbliche prioritarie;
il 4 luglio 2008 il Cipe, su proposta del nuovo Governo Berlusconi, approva il programma infrastrutture strategiche. All'interno il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti indica anche le linee strategiche che caratterizzeranno le attività del Governo e dà per prossima l'apertura dei cantieri per la realizzazione del Terzo valico dei Giovi sul collegamento ferroviario alta velocità Milano-Genova;
il primo lotto dell'opera è stato finanziato per 720 milioni di euro, il secondo lotto vale 1,1 miliardi di euro; l'attuale Governo Letta afferma che i flussi di cassa del secondo lotto saranno resi disponibili non appena potranno partire i lavori. Ad oggi risulta un impegno di fondi, su tre anni, relativo all'opera pari a 31 milioni di euro per i lavori e 8 milioni di euro per i servizi;
il 18 marzo 2013 il Cipe ha deliberato lo «storno», a favore di Ferrovie dello Stato italiane, di 240 milioni di euro dal finanziamento del secondo lotto, per fronteggiare spese di manutenzione della rete ferroviaria nazionale;
nel decreto-legge «fare Italia», l'articolo 18, definito «sblocca cantieri», attinge quota delle risorse dagli accantonamenti destinati al Terzo valico dei Giovi per 50 milioni nel 2013, 189 milioni nel 2014, 274 milioni nel 2015 e 250 milioni nel 2016;
in sede di conversione del cosiddetto decreto-legge emergenze, approvato il 21 giugno 2013, è stato previsto al comma 2 dell'articolo 7-ter uno stanziamento decennale di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024, per il finanziamento degli investimenti relativi alla rete infrastrutturale ferroviaria nazionale, prevedendo che lo stanziamento venga attribuito con delibere del Cipe, con priorità agli interventi per la realizzazione, tra l'altro, del Terzo valico dei Giovi;
la regione Liguria afferma di aver individuato come siti per l'accoglimento dello smarino derivante dai lavori le zone di Scarpiono, Staglieno (zona Bianca per la realizzazione di un basamento), Trasta, Uscio (tombamento pontili Ronco-Canepa) per il 2013; Vado Ligure-piattaforma Maesk, area Derrick a Borzoli, comune di Stella, area della Filippa a Savona, cava Lupara ad Arenzano e cave del Chiaravagna per il 2014. La regione Liguria evidenzia criticità da parte del Governo sull'area Fincantieri – ribaltamento a mare – individuata come quella di maggior utilizzo. Il presidente dell'autorità portuale Merlo – il 21 giugno 2013 tramite una testata genovese – individuava l'area della nuova diga foranea come possibile area di accoglimento. A fronte di ciò le strutture ministeriali lamentano di non aver ricevuto indicazioni precise in merito a cave e siti di riqualifica ambientale da individuare mediante convenzione con le amministrazioni locali, le quali devono rilasciare relative autorizzazioni nei tempi utili al rispetto del programma cronologico dei cantieri –:
se il Governo intenda adottare iniziative volte a modulare un piano finanziario che garantisca che i lavori dell'opera del Terzo valico dei Giovi non subiscano arresti o ritardi e procedere all'adozione di misure urgenti di rifinanziamento, qualora le risorse stanziate risultino insufficienti per la prosecuzione dei lavori, prevedendo, a tutela dell'avanzamento dei cantieri dell'opera, iniziative nei confronti delle istituzioni locali liguri, qualora non rispondano agli adempimenti richiesti per la prosecuzione dei lavori relativi alla realizzazione dell'opera denominata Terzo valico dei Giovi. (3-00168)
(2 luglio 2013)
QUARANTA e LAVAGNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la storia del cosiddetto nodo stradale e autostradale genovese risale a più di trenta anni fa;
il primo progetto esecutivo di potenziamento dei collegamenti est-ovest è degli inizi degli anni ’80 e riguarda la bretella Voltri-Rivarolo, fra le autostrade A26 e A7, ma l'intervento, pur trovandosi in fase realizzativa (apertura dei cantieri), veniva bloccato a causa dell'opposizione di alcuni enti locali;
nel 1997 Autostrade per l'Italia redigeva uno studio intitolato «Ipotesi di ridistribuzione dei traffici autostradali gravitanti sul nodo di Genova», basato su di un modello matematico dei flussi del solo traffico autostradale rilevati nel 1995;
venivano così valutate diverse ipotesi progettuali nell'ottica di migliorare i livelli di servizio della mobilità autostradale, senza considerare le variazioni a livello della viabilità ordinaria;
tale studio giungeva alla conclusione che gli interventi più efficaci per decongestionare il nodo autostradale di Genova consistevano nel raddoppio delle autostrade in esercizio, seguendo tracciati prossimi agli attuali assi autostradali, compatibilmente con i vincoli ambientali ed insediativi;
nell'ottobre del 2000 veniva adottato il piano territoriale di coordinamento provinciale, che individuava diverse ipotesi per la riorganizzazione delle infrastrutture autostradali nell'area genovese e presentava una serie di alternative per una gronda autostradale con la funzione di superare Genova, passando a nord della città attraverso dei tratti in galleria e connettendo Valle Scrivia con Valle Fontanabuona;
il 12 marzo 2001 veniva sottoscritto – da regione Liguria, provincia e comune di Genova e provveditorato regionale alle opere pubbliche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – uno schema funzionale concernente la riorganizzazione dell'intero nodo stradale e autostradale di Genova;
l'intervento sul nodo di Genova veniva così incluso nel programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443 del 2001, la cosiddetta legge obiettivo), approvato con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica n. 121 del 21 dicembre 2001, nonché successivamente inserito nel IV atto aggiuntivo alla convenzione Anas/Autostrade per l'Italia;
in data 6 marzo 2002, venne sottoscritta, fra il Governo e la regione, l'intesa istituzionale quadro per la realizzazione delle grandi infrastrutture, in cui sono stati previsti interventi atti a decongestionare il trasporto dell'area metropolitana di Genova;
facendo riferimento allo schema funzionale approvato nel 2001, da febbraio a settembre 2002 venne approntato da Autostrade per l'Italia uno studio sul nodo di Genova, chiamato «studio di prefattibilità», che comprendeva le seguenti opere: il raddoppio dell'autostrada A10, tratto Genova Voltri-Genova ovest, tramite la costruzione di una nuova autostrada parallela all'esistente con uscita per Genova aeroporto e con l'attraversamento del torrente Polcevera, con un nuovo viadotto in affiancamento al ponte Morandi esistente: la cosiddetta gronda di Ponente; il potenziamento della A7 tramite la costruzione della nuova carreggiata nord nel tratto Genova ovest – Genova Bolzaneto: la cosiddetta nuova carreggiata nord A7; il nodo di San Benigno; il tunnel di Rapallo;
nel 2003 veniva elaborato da Autostrade per l'Italia uno studio di area vasta e successivamente uno studio di fattibilità presentato da Autostrade per l'Italia all'Anas nel settembre del 2003. In questo studio, effettuato sulla base delle risultanze dello studio di area vasta, venivano confrontate una serie di alternative progettuali che si aggiungono a quella già valutata nel 2002 ed inserita nel IV atto aggiuntivo alla convenzione tra Anas e Autostrade per l'Italia;
il 10 dicembre 2003 il tavolo congiunto attivato dall'Anas, con regione, provincia, comune e Autostrade per l'Italia, approvava l'itinerario caratterizzato dall'attraversamento della Val Polcevera tramite un tunnel passante al di sotto del letto del fiume immediatamente a sud di Bolzaneto;
sulla base dell'itinerario approvato, e a valle della registrazione (maggio 2004) del citato IV atto aggiuntivo da parte della Corte dei conti, nel giugno 2004 si iniziava il progetto preliminare avanzato e lo studio di impatto ambientale. Il lavoro si sviluppa attraverso un tavolo tecnico congiunto Anas-Autostrade per l'Italia-regione-provincia-comune, coordinato dalla regione, che ha il compito di analizzare la soluzione nei suoi dettagli, individuando e risolvendo le criticità;
ai primi di ottobre del 2004 si arrivava alla definizione di un tracciato condiviso;
il progetto preliminare, concluso a marzo 2005, pur fattibile tecnicamente, suscitava, tuttavia, notevoli perplessità sui possibili rischi di inquinamento delle falde acquifere in fase di costruzione del tunnel al di sotto del letto del fiume. Si tornava, dunque, ad ipotizzare l'attraversamento del Polcevera tramite viadotto, riconsiderando l'itinerario che prevedeva la realizzazione di un nuovo ponte sul torrente Polcevera immediatamente a nord (a circa 150 metri di distanza) dell'esistente viadotto Morandi;
il 26 febbraio 2006 gli enti locali sottoscrivevano con Anas un protocollo di intesa in cui di fatto venne «disegnato» il tracciato della gronda di Ponente auspicato dagli enti, che comprendeva il nuovo viadotto sul Polcevera, e nel marzo 2006, dopo una fase interlocutoria di confronto con gli organi tecnici del comune di Genova, venivano riavviati i lavori del tavolo tecnico, sempre coordinato dalla regione;
il 23 giugno 2006 il tavolo tecnico concludeva i suoi lavori con la scelta della nuova configurazione della gronda di Ponente, che recepiva interamente i dettami precisati dal protocollo del 26 febbraio 2006 e l'individuazione dei possibili schemi funzionali per la A7 nord/sud;
il 3 agosto 2006, alla presenza del Ministro delle infrastrutture, si procedeva alla sottoscrizione di un nuovo protocollo di intesa, che individuava, all'interno del pacchetto di iniziative che costituivano il nodo di Genova, nella gronda di Ponente e nel nodo di San Benigno i due interventi prioritari;
il 19 ottobre 2006, nel corso di una riunione tenutasi presso gli uffici della regione Liguria in Roma, i rappresentanti degli enti territoriali evidenziavano la necessità di ridefinire l'insieme delle iniziative infrastrutturali imprescindibili per il territorio genovese e, in questo quadro, arrivare alla scelta del sito in cui poter smaltire il materiale di risulta (smarino) proveniente dallo scavo delle gallerie, che dalle indagini eseguite risultava caratterizzato dalla significativa presenza di minerali con presenza di amianto;
il 5 febbraio 2007 veniva sottoscritto un ulteriore protocollo di intesa che, tra le altre cose, impegnava Autostrade per l'Italia alla rapida redazione di uno studio di fattibilità tecnica in merito alla possibilità di recapitare, oltre la diga foranea di Sampierdarena – opera di sbarramento prospiciente il porto che assolve principalmente la funzione di proteggere la costa smorzando l'intensità del moto ondoso – il materiale proveniente dallo scavo delle gallerie (coerentemente con il disegno della nuova zona costiera genovese);
il 5 aprile e il 24 maggio 2007 Autostrade per l'Italia illustrava agli enti territoriali i contenuti di tale studio di fattibilità – poi formalmente inoltrato l'11 giugno 2007. Nello studio, accogliendo una specifica richiesta del Presidente della regione Liguria, veniva esaminata anche la possibilità di poter conferire il materiale di risulta nel canale di calma prospiciente l'aeroporto di Genova, un canale realizzato per consentire il transito dei mezzi di emergenza e per proteggere le strutture dell'aeroporto smorzando l'intensità del moto ondoso. Il canale avrebbe continuato a svolgere le proprie funzioni anche dopo il deposito dei materiali di scavo;
data la delicatezza del tema, gli enti locali, tuttavia, non ritennero di operare una scelta definitiva in tal senso;
nel febbraio 2008 veniva presentato all'Anas il progetto preliminare avanzato del progetto, nella configurazione concordata a novembre 2006 ulteriormente affinata;
nell'aprile 2008 iniziava ad operare il gruppo tecnico di lavoro, istituito presso il ministero delle infrastrutture, al cui interno operano anche autorevoli funzionari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: al suddetto gruppo di lavoro veniva affidato il compito di individuare il sito ottimale in cui poter conferire il materiale – caratterizzato dalla presenza significativa di minerali amiantiferi – proveniente dallo scavo delle gallerie;
il 22 agosto 2008 regione, provincia e comune scrivevano al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ad Anas e ad Autostrade per l'Italia una lettera in cui, confermando il canale di calma come riferimento base per la risoluzione del problema del materiale di risulta, indicavano in un nuovo tracciato, proposto dal comune, la migliore soluzione in termini di costi/benefici. Tale soluzione sposta l'attraversamento della Val Polcevera a Bolzaneto, evitando l'abbattimento del Morandi e aprendo una prospettiva di collegamento con la programmata gronda di Levante. Gli enti individuavano anche un percorso di partecipazione dei territori interessati che coinvolgesse, fra l'altro, i municipi;
il 10 settembre 2008 il Gruppo tecnico di lavoro, istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, concludeva i suoi lavori individuando nel canale di calma il recapito finale del materiale di risulta;
il 24 ottobre 2008 il comune di Genova apriva ufficialmente l'avvio del dibattito pubblico, atto a coinvolgere direttamente i cittadini nel processo decisionale per la scelta definitiva del tracciato, e l'11 dicembre 2008, in un incontro propedeutico, il progetto del febbraio 2008 veniva confrontato con altre tre alternative;
nel dettaglio le quattro soluzioni esaminate erano le seguenti:
a) soluzione 1, anche detta «alta», chiesta ufficialmente dagli enti locali il 22 agosto 2008: prevedeva l'attraversamento della Val Polcevera a nord dell'attuale svincolo autostradale di Bolzaneto dell'A7, con il mantenimento dell'attuale viadotto Morandi sull'A10; la soluzione era corredata dalla previsione di realizzare una bretella di collegamento del tracciato di gronda con lo svincolo aeroportuale sull'A10, elemento che la differenzia da tutte le altre soluzioni;
b) soluzione 3, anche detta «intermedia»: prevedeva l'attraversamento della Val Polcevera in prosecuzione alla giacitura dell'A12 all'altezza del suo innesto sull'A7 (zona di Rivarolo-Begato) e, come nel caso della soluzione 1, il mantenimento dell'attuale viadotto Morandi sull'A10;
c) soluzione 4 (progetto del febbraio 2008): prevedeva l'attraversamento della Val Polcevera subito a nord dell'attuale viadotto Morandi sull'A10, di cui se ne prevede la successiva demolizione;
d) soluzione 5, anche detta «bassa»: prevedeva l'attraversamento della Val Polcevera subito a sud dell'attuale viadotto Morandi, previsto, come per la soluzione 4, in successiva demolizione;
le categorie attraverso cui veniva effettuato il confronto erano: i miglioramenti che ciascuna soluzione avrebbe potuto apportare al traffico nel 2025, l'impatto socio-economico di ciascuna alternativa, i problemi relativi alla gestione dei cantieri. Lo studio offre un primo commento dei risultati, lasciando al dibattito il compito della conclusioni;
nel gennaio 2009 veniva elaborata una quinta soluzione, proposta dal comune di Genova, a partire dalla soluzione 1 (alta): soluzione 2: il collegamento della gronda con l'A7 da realizzare in corrispondenza dell'attraversamento della Val Polcevera a sud del casello di Bolzaneto, mediante svincolo completo di raccordo per tutte le manovre, cioè tra Milano e Ventimiglia e tra Milano e la direttrice A12. Il collegamento della gronda con l'A7 per i veicoli provenienti e diretti a sud (Genova) da realizzare in corrispondenza dell'attuale interconnessione A7/A12, riutilizzando in parte l'attuale tratto autostradale;
come già esplicitato nelle premesse di cui sopra, il 26 febbraio 2006 gli enti locali sottoscrivevano con Anas un protocollo di intesa per la realizzazione dell'intero nodo di Genova, tra cui la gronda di Ponente;
per quanto risulta all'interrogante l'opera sarebbe dovuta costare complessivamente circa 3 miliardi e 150 mila euro;
i promotori dell'opera, come noto, avevano previsto un aumento del traffico tale da rendere necessario il raddoppio dell'A10 a ponente, il progetto ha preso corpo e il dibattito si è concentrato prevalentemente sull'impatto ambientale dell'opera;
grazie ad un articolo de il Secolo XIX apparso il 14 giugno 2013 è tornato di attualità il tema del rapporto costi benefici dell'opera e della sua utilità. In tale articolo – dal titolo «La crisi sta gelando le aspettative, aumentano i timori di realizzare una “autostrada nel deserto”. Il traffico cala non è più vantaggiosa» – si riportano indiscrezioni secondo le quali Autostrade per l'Italia sarebbe in possesso di uno studio aggiornato sull'evolversi del traffico del nodo genovese, che evidenzierebbero come nei prossimi anni il «maxi intervento non sarebbe più così vantaggioso», visto l'attuale calo di transiti. Nello stesso articolo si fa riferimento ad un altro studio realizzato da Prometeia nel 2007, dal quale risulterebbe evidente come, rispetto alle previsioni sull'aumento del traffico ipotizzate allora, oggi siamo sotto del 25 per cento. I due studi «stanno facendo riflettere gli addetti ai lavori» si legge nell'articolo, perché si paleserebbe come concreto il rischio di realizzare «un'autostrada deserta». A conferma di quanto detto, anche nell'ultimo anno si è registrato un calo di traffico autostradale pari al 7-8 per cento;
particolari preoccupazioni sono state evidenziate, peraltro, da numerose associazioni e cittadini contrari alla realizzazione della gronda, perché ritenuta un'opera inutile da un punto di vista strategico, oltre che pericolosa per la presenza di rocce amiantifere –:
quali iniziative intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto in premessa e, in particolare, se ritenga l'opera in questione ancora di pubblica utilità e se non ritenga opportuno porre in essere ogni atto di competenza presso Autostrade per l'Italia, al fine di acclarare e rendere pubblici i risultati delle notizie di stampa richiamate in premessa, al fine di conoscerne i risultati sotto il profilo dei flussi di traffico previsti, nonché acquisire un aggiornamento circa i costi dell'opera per valutarla puntualmente in termini di opportunità economica per quanto attiene al rapporto costi/benefici della stessa. (3-00169)
(2 luglio 2013)
CAON, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
la Commissione europea il 12 ottobre 2011 ha presentato un pacchetto di proposte relative alla riforma della politica agricola comune per il periodo 2014-2020, allo scopo di rafforzare la competitività, la sostenibilità e il consolidamento dell'agricoltura su tutto il territorio dell'Unione europea, di tutelare l'ambiente e di favorire lo sviluppo delle zone rurali;
dopo circa due anni si è concluso il 26 giugno 2013, con un accordo politico, il ciclo di negoziati sul futuro della politica agricola comune per i prossimi sette anni. L'accordo è sul piano strettamente politico, mentre spetterà al bilancio generale dell'Unione europea, per il 2014-2020, tradurre le misure in realtà. Il bilancio dell'Unione europea deve ancora essere definito, in mezzo ai tagli imposti della crisi economica;
il Commissario all'agricoltura Dacian Ciolos si è dichiarato fiducioso sull'accordo politico, per una riforma della politica agricola comune più equa, più agguerrita contro le crisi, che va in aiuto ai giovani e comprende le aspettative dei cittadini europei;
il Ministro interrogato si è detto soddisfatto sulla base di un'intesa fortemente migliorativa della posizione italiana e sul lavoro svolto dalla delegazione italiana, perché si è lavorato con l'obiettivo di far pesare il ruolo dell'Italia sul tavolo della riforma della politica agricola comune;
a parere degli interroganti, invece, l'accordo raggiunto a Bruxelles sulla politica agricola comune 2014-2020 è del tutto insufficiente rispetto alle esigenze del mondo agricolo europeo ed è particolarmente penalizzante per quello italiano;
si sa, purtroppo, con certezza che le stime sulle perdite medie complessive sull'agricoltura al Nord saranno attorno al 17 per cento;
dal 1o luglio 2013 la Croazia entra ufficialmente a far parte dell'Unione europea, diventando il 28esimo Stato membro;
gli interroganti si chiedono come si potrà, alla luce di questa nuova adesione, garantire lo stesso bilancio e, quindi, le stesse misure agli agricoltori dei 28 Stati membri. Nella migliore delle ipotesi il risultato del quadro finanziario pluriennale 2014/2020 sarà mantenuto e all'agricoltura verrà data la stessa quota di bilancio della precedente programmazione 2007/2013. Purtroppo ci si rende conto che non sarà come prima, perché non sarà più divisa per 15 Stati membri ma per 28;
i finanziamenti che saranno a disposizione dell'agricoltura italiana ammontano a circa 48 miliardi di euro, inferiori ai 52 previsti dal Ministro interrogato nel corso della sua audizione alle Commissioni agricoltura di Camera e Senato. Fondi insufficienti per riuscire a rilanciare il settore primario, principale mezzo per contrastare la crisi economica in atto;
il greening, ovvero il mantenimento di pascoli permanenti, la diversificazione delle colture e l'installazione di aree ecologiche, è una delle novità della politica agricola comune 2014-2020, che sembra imporrà la messa a riposo di una certa percentuale di terreni agricoli, aumentando così i costi per gli agricoltori;
il riso, seppur inserito come greening by definition (cioè come inverdimento per definizione, quindi non dovranno sottostare al regime greening per avere il contributo), passerà, presumibilmente, da un contributo di 1.000 euro per ettaro a 350 euro per ettaro, quindi perderanno almeno i due terzi degli aiuti che ricevono oggi;
l'Italia è contributore netto nei confronti dell'Europa e il Nord «regala», tra Roma e Bruxelles, almeno i tre quarti delle tasse e dei contributi che i cittadini del Nord versano;
purtroppo, l'agricoltura del Nord andrà incontro ad una catastrofe. Gli effetti negativi che la nuova politica agricola comune avrà sul sistema delle imprese agrozootecniche del Nord del Paese farà perdere alla zootecnia più del 15 per cento dei contributi che percepisce oggi;
presumibilmente ci si troverà di fronte alla chiusura di tutte quelle aziende agricole che vedranno ridursi drasticamente gli aiuti comunitari, che in questo periodo di profonda crisi sono una boccata d'ossigeno. Aziende che si vedranno ridotte anche del 40 per cento le contribuzioni comunitarie. Per un settore che vive anche di aiuto e sostegno pubblico non si tratta di una prospettiva rosea e beneaugurante;
secondo gli interroganti, con l'accordo raggiunto a Bruxelles, si è di fronte nella sostanza ad una falsa riforma che non avrà ricadute positive sulla competitività e l'innovazione delle imprese agricole italiane ed europee, perdendo così una preziosa occasione per promuovere il ruolo dell'agricoltura in Europa. Piuttosto che un pessimo accordo meglio nessun accordo, meglio lasciare le cose come stanno –:
quali saranno i vantaggi per gli agricoltori e gli allevatori italiani e se, invece, non si ritenga opportuno, alla luce di quanto evidenziato in premessa, rivedere la posizione dell'Italia, visto che l'accordo deve essere ancora ratificato formalmente dai Governi e dal Parlamento europeo, coinvolgendo il mondo delle organizzazioni delle imprese e delle cooperative agricole negli ambiti applicativi della riforma, delegati all'Italia ed agli altri Stati membri. (3-00170)
(2 luglio 2013)
SCHIRÒ PLANETA, CATANIA, GALGANO, CARUSO, MOLEA, VITELLI, CAUSIN e ROSSI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
la città di Milano ospiterà nell'ottobre del 2015 l'Expo 2015 «Nutrire il Pianeta Energia per la Vita»: un'occasione unica di crescita e visibilità del nostro Paese;
l'evento sarà l'occasione per affrontare la tematica universale e complessa della nutrizione da un punto di vista ambientale, storico, culturale, antropologico, medico, tecnico-scientifico ed economico;
pur ponendo al centro il tema del diritto ad una alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutto il pianeta, la manifestazione consentirà di dare visibilità anche alla tradizione e alla creatività enogastronomica del nostro Paese;
si tratta di una grande opportunità di promozione delle eccellenze italiane e di valorizzazione dei territori, non solo dal punto di vista agroalimentare, ma anche dal punto di vista storico-ambientale, grazie al vasto ed eccezionale patrimonio che il Paese dispone –:
quali iniziative, nell'ambito dell'esposizione universale Expo 2015, intenda adottare finalizzate alla promozione di uno dei settori portanti dell'economia italiana e alla valorizzazione dell'Italia dei territori, della cultura e delle biodiversità. (3-00171)
(2 luglio 2013)