TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 28 di Martedì 4 giugno 2013
MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE AL CONTRASTO DI OGNI FORMA DI VIOLENZA NEI CONFRONTI DELLE DONNE
La Camera,
premesso che:
la comunità internazionale già si è mossa da tempo in relazione al tema della violenza sulle donne con la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna del 1979, la dichiarazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne del 1993, la risoluzione del 20 dicembre 1993 sull'eliminazione della violenza nei confronti delle donne, la risoluzione del 19 febbraio 2004 sull'eliminazione della violenza domestica nei confronti delle donne, la risoluzione del 20 dicembre 2004 sulle misure da adottare per eliminare i delitti d'onore commessi contro le donne e la risoluzione del 2 febbraio 1998 sulle misure in materia di prevenzione dei reati e di giustizia penale per eliminare la violenza contro le donne;
fra le iniziative più importanti, si segnalano anche la piattaforma per l'azione approvata dalla IV conferenza mondiale sulla donna dell'ONU a Pechino nel 1995, la conferenza mondiale di Stoccolma contro lo sfruttamento sessuale dei minori del 1996, la risoluzione dell'Assemblea mondiale della sanità «Prevenzione della violenza: una priorità della sanità pubblica» del 1996, nella quale l'Organizzazione mondiale della sanità riconosce la violenza come problema cruciale per la salute delle donne, la risoluzione (n. 52 del 1986) dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla «Prevenzione dei reati e misure di giustizia penale per eliminare la violenza contro le donne», solo per citare le iniziative più importanti;
il Parlamento europeo si è ripetutamente espresso sul tema con la risoluzione del 2 febbraio 2006 sulla situazione nella lotta alla violenza contro le donne ed eventuali azioni future; la risoluzione del 17 gennaio 2006 sulle strategie di prevenzione della tratta di donne e bambini, vulnerabili allo sfruttamento sessuale; la risoluzione del 24 ottobre 2006 sull'immigrazione femminile: ruolo e condizione delle donne immigrate nell'Unione europea;
la Commissione europea con la Carta delle donne 2010 ha introdotto, nella strategia di attuazione della parità di genere, anche la lotta e il contrasto alla violenza contro le donne;
il Consiglio dell'Unione europea nel 2004 ha adottato una direttiva (n. 2004/80/CE) relativa all'indennizzo delle vittime di reato che, al paragrafo 2 dell'articolo 12, stabilisce che: «Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime»; nel patto europeo per la parità di genere 2010-2015, inoltre, ha evidenziato la stretta connessione tra la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva e la Carta delle donne 2010 della Commissione europea, ribadendo la centralità della lotta alla violenza di genere per un «rafforzamento democratico ed economico dell'Unione»;
l'Italia ha ratificato fin dal 1985 la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU nel 1979, impegnandosi ad adottare «misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico che privato». Le ultime raccomandazioni del Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne al nostro Paese sono state fatte in occasione della quarantanovesima sessione di valutazione, tenutasi nel luglio 2011 presso le Nazioni Unite a New York, e sono state pubblicate il 3 agosto 2011;
il rapporto ombra elaborato dalla piattaforma «Lavori in corsa: 30 anni CEDAW», presentato il 17 gennaio 2012 alla Camera dei deputati, insieme alle raccomandazioni del Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne, riferisce che la violenza maschile sulle donne è la prima causa di morte per le donne tra i 16 anni e i 44 anni in tutta Europa e nel mondo e, in Italia, più che altrove. Nel nostro continente ogni giorno 7 donne vengono uccise dai propri partner o ex partner;
il primo rapporto dell'ONU tematico sul femminicidio, presentato il 25 giugno 2012, frutto del lavoro realizzato in Italia dalla special rapporteur Rashida Manjoo, afferma che «Il continuum della violenza nella casa si riflette nel crescente numero di vittime di femminicidio in Italia». Il rapporto sottolinea che, nel nostro Paese, gli stereotipi di genere sono profondamente radicati e predeterminano i ruoli di uomini e donne nella società. Analizzando i dati relativi alla presenza nei media, il 46 per cento delle donne appare associato a temi quali il sesso, la moda e la bellezza e solo il 2 per cento a questioni di impegno sociale e professionale;
il legislatore italiano si è attivato dando nuovo impulso alla riforma della normativa in questo settore, approvando, ad esempio, la legge 15 febbraio 1996, n. 66 «Norme contro la violenza sessuale», la legge 3 agosto 1998, n. 269 «Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù»; la legge 5 aprile 2001, n. 154 «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari»; il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, la cosiddetta «legge anti-stalking»;
il 27 settembre 2012, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali pro tempore, con delega alle pari opportunità, ha firmato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011 (Convenzione d'Istanbul);
secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero dell'interno, nel 2011 in Italia ci sono stati 160 omicidi le cui vittime erano donne, di questi 84 compiuti per mano di partner o ex partner. Secondo una stima, sono state 124 le donne uccise nel 2012 e 35 le vittime nei primi mesi del 2013. Per quanto riguarda i dati sulla violenza sulle donne, forniti dalle forze dell'ordine al Ministero dell'interno, essi sono parziali, trattandosi di dati basati sulle denunce. Secondo fonte Istat il 93 per cento di questi fenomeni restano nel sommerso;
quanto sinora esposto porta a considerare la violenza di genere come un fenomeno di carattere universale, un atto discriminatorio che nega alle donne – o riduce – il semplice godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali; per violenza si devono, pertanto, intendere tutte quelle azioni verbali, fisiche, sessuali, psicologiche, economiche o morali che intendono colpire le donne e ricondurle ad una posizione di inferiorità e dipendenza;
la violenza contro le donne riguarda tutti i ceti sociali e colpisce donne di tutte le età, etnie, religioni e, in alcuni, casi può assumere il drammatico aspetto di violenza contro bambine;
alla base della violenza di genere vi è la concezione di impari rapporti di potere fra uomini e donne che minano le basi democratiche della società stessa; per questo un'efficace lotta alla violenza contro le donne non può prescindere dal coinvolgimento degli uomini e da un forte contrasto delle diseguaglianze economiche e sociali tra i generi e una vera e propria rivoluzione culturale sull'eguaglianza;
nonostante la produzione normativa internazionale, europea e nazionale atta a contrastare la violenza di genere, i fatti di cronaca dimostrano l'incapacità di incidere efficacemente nella regressione del fenomeno,
impegna il Governo:
nell'ambito delle sue competenze, ad adottare, sostenere ed accelerare ogni iniziativa normativa volta ad adeguare l'ordinamento interno alle prescrizioni contenute nella Convenzione d'Istanbul, nel rispetto dello spirito della stessa, che si fonda sulle linee guida necessarie ad un'efficace lotta alla violenza di genere: prevenzione, protezione, repressione, monitoraggio e integrazione delle singole politiche;
a provvedere alla formazione specializzata di tutti quegli operatori sociali, sanitari o giudiziari che vengono a contatto e prestano assistenza alle vittime;
ad assumere iniziative per rendere omogeneo lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza alle vittime di violenza sessuale e domestica presso i pronto soccorso ospedalieri come ambito privilegiato per l'apertura di sportelli dedicati in cui sia presente personale specializzato, dedicato alla presa in carico delle vittime di violenza, in stretto collegamento con la rete territoriale e che costituiscano il punto di riferimento nell'emergenza;
a prevedere l'obbligo per questure e commissariati della presenza, nei propri uffici, di una quota di personale, titolare di una formazione specifica in materia di delitti contro la personalità individuale e la libertà sessuale, competente a ricevere le denunce o querele da parte di donne vittime di tali reati;
ad individuare programmi di assistenza specifica dei minori che siano stati vittime, anche se indirettamente, di fenomeni di violenza domestica;
a promuovere l'adozione di un codice di deontologia recante principi e prescrizioni volti a tutelare, nell'esercizio dell'attività giornalistica, nell'ambito della comunicazione pubblicitaria, nella costruzione dei palinsesti televisivi e radiofonici, il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile, nonché a prevenire ogni forma di discriminazione di genere e di femminicidio;
ad individuare tutte le risorse economiche finanziarie atte a ripristinare il fondo contro la violenza alle donne, istituito dall'articolo 2, comma 463, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), finalizzato alla prevenzione, all'informazione e alla sensibilizzazione nei confronti del fenomeno della violenza contro le donne, nonché al sostegno finanziario dei centri antiviolenza e delle case-rifugio;
a rendere piena e concreta l'attuazione della direttiva 2004/80/CE e, in particolare, dell'articolo 12, paragrafo 2, predisponendo iniziative per l'istituzione di un fondo per l'indennizzo delle vittime dei reati a sfondo sessuale;
ad istituire in tempi rapidi un osservatorio permanente sulla violenza contro le donne, nel quale convergano flussi stabili di dati sulla violenza, provenienti dai vari Ministeri coinvolti, dall'Istat, dai centri antiviolenza e da soggetti pubblici e privati;
a predisporre, insieme alle regioni e agli altri enti locali, un piano nazionale contro la violenza di genere sulle donne, di concerto con la Conferenza unificata;
ad istituire un tavolo interministeriale al fine di affrontare il femminicidio da tutti i punti di vista, approntando anche progetti integrati che garantiscano una maggiore incisività nella prevenzione e nel contrasto al problema della violenza di genere;
ad approntare una campagna di sensibilizzazione che spinga sempre più donne vittime di violenza a denunciarne gli episodi e a promuovere nell'inserimento nei programmi scolastici l'educazione alla relazione al fine di sensibilizzare gli studenti e prevenire la discriminazione di genere e la violenza;
ad assumere iniziative normative per estendere la sfera di applicazione del permesso di soggiorno, di cui all'articolo 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, anche alle donne vittime di violenza;
ad attuare il programma contro la tratta e lo sfruttamento degli esseri umani e per la tutela delle vittime;
a presentare alle Camere con cadenza annuale una relazione sullo stato d'attuazione della normativa in materia di violenza di genere, femminicidio, stalking, e delle iniziative poste in essere da tutti i soggetti coinvolti.
(1-00039)
(Nuova formulazione) «Speranza, De Micheli, Giacomelli, Grassi, Martella, Velo, Bellanova, De Maria, Fregolent, Garavini, Pollastrini, Rosato, Mauri, Roberta Agostini, Amoddio, Antezza, Arlotti, Bazoli, Biffoni, Biondelli, Bonaccorsi, Bonafè, Braga, Paola Bragantini, Brandolin, Campana, Carnevali, Cimbro, Cuperlo, Ermini, Ferranti, Gasparini, Giuliani, Greco, Gribaudo, Gullo, Ghizzoni, Lenzi, Leonori, Madia, Malpezzi, Manfredi, Magorno, Marroni, Marzano, Mazzoli, Miotto, Mogherini, Mongiello, Montroni, Moretti, Mosca, Murer, Nardella, Orfini, Paris, Pes, Petitti, Giorgio Piccolo, Piccoli Nardelli, Picierno, Giuditta Pini, Quartapelle Procopio, Raciti, Rossomando, Sbrollini, Scalfarotto, Scuvera, Sereni, Tartaglione, Tidei, Valeria Valente, Vazio, Verini, Villecco Calipari, Zappulla, Martelli, Zampa, Iori, Incerti, Bindi, Cenni».
(15 maggio 2013)
La Camera,
premesso che:
non è certo la prima volta che l'Italia si trova a dover affrontare momenti alquanto critici: si sono già verificate pesanti crisi economiche, unitamente a fasi di estrema incertezza politica che hanno dilaniato il Paese; tutti concordano, però, nel dire che in passato una delle forze – anzi, forse la principale – su cui gli italiani hanno sempre potuto contare per ricostruire una società migliore è stata la famiglia, un'istituzione coesa in cui la solidarietà interna ha attutito e contrastato la durezza delle condizioni esterne;
oggi la violenza crescente al suo interno segnala che questa forza non è più così compatta e non è più in grado di sostenere il peso delle sconfitte individuali e degli smottamenti sociali; la crisi familiare, tuttavia, viene occultata e lo si vede nei sempre più frequenti casi di femminicidio che, purtroppo, funestano le pagine dei giornali;
negli ultimi anni, in diversi consessi internazionali, lo Stato italiano è stato fortemente redarguito dalle Nazioni Unite per il suo scarso e inefficace impegno nel contrastare la violenza maschile nei confronti delle donne; le osservazioni all'Italia di Rashida Manjoo, special rapporteur delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, sono pesanti: «In Italia resta un problema grave, risolverlo è un obbligo internazionale. Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita. In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l'adozione di leggi e politiche, incluso il piano di azione nazionale contro la violenza, ma non hanno però portato a una diminuzione di femmicidi e non si sono tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine». E successivamente ha aggiunto: «Le leggi per proteggere le vittime ci sarebbero. Non sono, però, sufficienti. Dipendenza economica, inchieste malfatte, un sistema d'istituzioni e regole frammentato, lungaggine dei processi e inadeguata punizione dei colpevoli le rendono poco efficaci»;
nell'agosto del 2011, il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne (Comitato per l'attuazione della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna) e, nel giugno 2012, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, hanno rivolto allo Stato italiano una serie di raccomandazioni: ad oggi, si è ancora del tutto inottemperanti rispetto agli standard e agli impegni internazionali;
rappresentano cifre da brivido quelle del femminicidio in Italia (il Paese è ai primi posti nel mondo, calcolando che viene uccisa una donna ogni tre giorni): in otto anni sono state più di novecento le vittime nel nostro Paese, ma la cosa più grave è che il 70 per cento di quelle uccise nel 2012 aveva denunciato il proprio assassino per stalking, maltrattamenti e abusi;
quello che emerge e che fa più orrore, sia a leggere le statistiche che i casi di cronaca nera, è che il maggior numero di violenze sessuali è messo in atto da un uomo che la donna conosce; di solito, infatti, i responsabili di questi reati (consumati nel 63 per cento dei casi tra le mura domestiche) sono coloro che dichiarano di «amare» le loro donne: mariti lasciati, fidanzati traditi o che non accettano la fine di una storia. E tutto ciò, indipendentemente da alcune caratteristiche della donna, quali l'età, la nazionalità, lo status sociale, il carattere, l'istruzione e l'occupazione;
nello specifico, sono 124 le donne uccise nel 2012 (nel 2013 già circa una quarantina), in leggero calo rispetto alle 129 del 2011. Ma ci si trova davanti ad un dato altrettanto preoccupante, se si considerano i 47 tentati femminicidi e le otto vittime, tra figli e altre persone;
questo è quanto risulta dal rapporto sul femminicidio in Italia nel 2012 della Casa delle donne di Bologna che, dal 2005, raccoglie dati sul fenomeno sempre più allarmante e, quindi, meritevole di immediata attenzione da parte della politica;
le regioni del Nord restano quelle in cui i delitti sono più frequenti (52 per cento), nonostante le donne vivano situazioni di maggior autonomia e indipendenza: evidentemente sono meno propense ad accettare di subire violenza e disparità di potere nella relazione e, forse, per questo sono anche maggiormente a rischio di finire vittime della violenza maschile;
il rapporto sottolinea l'unico dato positivo, ovvero una maggiore attenzione della stampa nella descrizione dei femminicidi, tralasciando, a volte, la solita etichetta «omicidio passionale» che ingenera confusione e non descrive adeguatamente la situazione; finalmente, i giornalisti focalizzano la propria attenzione sui maltrattamenti e le denunce che hanno preceduto il delitto, escludendo il cosiddetto «raptus»: il femminicidio, infatti, raramente è frutto di un accesso d'ira incontrollata, ma costituisce soltanto l'ultimo scalino di una lunga escalation;
se fino al 2011, in quasi il 90 per cento dei casi riportati dalla cronaca, tale informazione non era reperibile, oggi si apprende frequentemente dai mezzi di informazione che il 40 per cento delle donne uccise nel 2012 aveva già subito violenza da parte del partner o dell'ex compagno che poi l'ha uccisa: è questo un dato importante che dimostra come la consapevolezza dei media sul legame profondo tra violenza di genere e femminicidio, in questi anni, è cresciuta e si è consolidata;
il femminicidio è sempre preceduto da altre forme di violenza sul corpo, la mente, l'emotività e gli affetti di una donna. Comincia con una forma di potere e controllo che si esprime attraverso atti o minacce di sopruso fisico, psicologico, sessuale, economico o persecutorio contro le donne in quanto donne, per mantenerle in una condizione di inferiorità nei rapporti privati (la coppia, la famiglia) e pubblici (il lavoro, la scuola, la collettività). Ognuno di questi abusi costituisce una forma di violenza che va tenuta sotto controllo, a prescindere dal fatto che sia punito dalla legge come reato e/o che sia accettato e considerato «normale» nella società di appartenenza;
la prevenzione di questi delitti è necessaria e praticabile e richiede una tipologia di interventi diversificati a seconda della situazione concreta in cui vive la donna: dalla sua autonomia economica alla presenza o meno di figli, dalla sua capacità di reagire con energia alla sua tendenza, invece, a subire passivamente le situazioni; la prevenzione si può realizzare offrendo una protezione sempre maggiore e sempre più qualificata alle donne che vivono situazioni di violenza, prima che giunga a conseguenze irreparabili;
fondamentale importanza assume la formazione di tutti i soggetti che lavorano nei vari settori con le vittime di violenza e i minori: l'assenza di un'adeguata specializzazione rappresenta un fattore di rischio per l'incolumità psicofisica delle donne che si rivolgono alle autorità ed ai servizi territoriali per chiedere aiuto, e può determinare prassi deleterie e percezioni soggettive che sminuiscono e giustificano gli abusi, determinando una condizione di vittimizzazione secondaria ed aumentando il pericolo di ulteriori violenze;
infine, si deve porre fine all'umiliazione ed alla frustrazione delle donne che, in sede civile, combattono per il riconoscimento dei propri diritti e di quelli dei propri figli, vagando da una sede all'altra a seconda delle diverse competenze territoriali dei diversi giudici;
secondo l’Helsinki foundation for human rights serve un'attività di osservazione condotta per un periodo prolungato di tempo, in maniera costante o intermittente (Helsinki foundation for human rights, 2001). Secondo il report della Human rights monitoring and documentation series, serve l'attenta osservazione della situazione generale condotta in modo tale da determinare quali azioni future andranno intraprese,
impegna il Governo:
a monitorare con rinnovata sensibilità e lucidità la violenza alle donne, considerandola come un fenomeno e un'azione sociale molto complessa che va contro i diritti umani di tutti;
ad attuare politiche di supporto alla famiglia per contrastare i livelli di povertà e di disagio che spesso hanno, nella donna, la prima e principale vittima di un sistema sociale, in cui la disoccupazione può generare frustrazione e degrado;
a sostenere l'inserimento professionale delle donne e la loro autonomia economica, in modo che possano interrompere prontamente rapporti caratterizzati da aggressività e da violenza domestica, senza dover temere per la loro successiva autonomia;
a rispettare ed attuare le osservazioni conclusive 2011 del Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne, nonché le raccomandazioni della relatrice speciale delle Nazioni Unite contro la violenza sulle donne;
a riconoscere i centri antiviolenza come nodi strategici di ogni politica e come parte integrante dei servizi da offrire sul territorio per accogliere donne vittime di violenza e, nel caso, i loro figli e, per questo, a garantire che siano affidati a personale altamente specializzato, oltre ai volontari;
a destinare alle sopra citate strutture maggiori risorse, attraverso finanziamenti regolari e continuati nel tempo, proprio per creare una rete di interventi sistematici che possano aiutare le donne nella fase acuta del distacco dall'aggressore e, successivamente, accompagnarle in un itinerario di progressiva riconquista della propria autonomia, anche sul piano psicologico;
a rafforzare le reti di contrasto al fenomeno tra istituzioni e privato sociale qualificato, potenziando la capacità di ascolto e di pronto intervento, in modo da non lasciare le donne sole o in balia della potenziale violenza dell'uomo;
a promuovere una forte campagna di prevenzione e di sensibilizzazione culturale, debitamente pubblicizzata, che segnali fino a che punto la violenza è una piaga della società italiana e un fattore concreto di disgregazione familiare e sociale;
a favorire una corretta formazione di operatori sanitari, sociali, del diritto e dell'informazione, soprattutto per imparare a gestire i primi contatti con la vittima e aiutarla a raccontare in modo esaustivo ciò che le accade, perché troppo spesso appare impaurita, prigioniera di uno strano senso di protezione nei confronti del suo aguzzino e, quindi, reticente;
ad assumere iniziative normative per un severo inasprimento delle pene previste per lo stalking e l'inserimento nel codice penale dell'aggravante del «femminicidio», unitamente ad una maggiore tempestività tra la denuncia del caso e la tutela del soggetto;
ad assumere iniziative per evitare, in ogni modo, che chi ha ricevuto una denuncia per stalking possa disporre di un'arma, prevedendo in tali casi la revoca delle relative licenze;
ad assumere iniziative per prevedere, negli uffici giudiziari, sezioni specializzate in questo specifico campo, in modo che le donne possano superare la paura e divenire consapevoli che sconfiggere e sopravvivere alla violenza è possibile, aiutando a trasformare velocemente in denuncia anche gli sfoghi o le confidenze addolorate delle donne che giungono in questura accompagnate da amici o familiari, ma che poi non sanno porre un punto fermo e decisivo alla loro condizione.
(1-00036)
(Nuova formulazione) «Binetti, Dellai, Buttiglione, Cesa, Gigli, Gitti, Adornato, Cera, Balduzzi, Capua, Caruso, Causin, Cimmino, D'Agostino, Dambruoso, De Mita, Galgano, Marazziti, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Nissoli, Oliaro, Piepoli, Quintarelli, Rabino, Rossi, Santerini, Sberna, Schirò Planeta, Tinagli, Vargiu, Vecchio, Vitelli».
(14 maggio 2013)
La Camera,
premesso che:
nonostante da tempo la violenza maschile sulle donne abbia assunto il carattere della sistematicità e sia la prima causa di morte delle stesse in Europa e nel mondo, il tema troppo a lungo è rimasto al margine del dibattito «ufficiale», imponendosi nell'agenda del nostro Paese solo quando i numeri sono diventati intollerabili: ogni due, tre giorni una donna viene uccisa, con casi estremi di cinque donne uccise nella stessa settimana come è successo recentemente;
la violenza maschile sulle donne non può più essere considerata una questione privata, non avrebbe mai dovuto esserlo: è questione politica in quanto fenomeno di pericolosità sociale che riguarda tutta la società;
purtroppo, le istituzioni del nostro Paese non hanno mostrato un forte ed efficace impegno nel contrasto a questo tragico fenomeno, tant’è che il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne e la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne hanno rivolto allo Stato italiano una lunga lista di raccomandazioni che evidenziano la nostra inadeguatezza e incapacità a contrastare la violenza in tutte le sue forme;
fermare questa tragedia è un impegno che riguarda tutti e tutte, in particolare chi si trova a ricoprire ruoli istituzionali, e significa assumere impegni precisi per avviare azioni di contrasto, protezione, prevenzione e sensibilizzazione con politiche attive, coerenti e coordinate che coinvolgano i diversi attori, istituzionali e non, a tutti i livelli, ponendo il tema della violenza contro le donne come priorità assoluta dell'agenda politica,
impegna il Governo:
ad affrontare con urgenza il tema della violenza sulle donne in tutte le sue forme e la definizione delle politiche necessarie ad azioni di contrasto, protezione, prevenzione e sensibilizzazione, politiche che scaturiscano da decisioni ampie e condivise;
a coinvolgere in quest'azione le associazioni attivamente impegnate sul tema della violenza contro le donne cui va il merito, tra gli altri, di aver sensibilizzato l'opinione pubblica sull'entità e la drammaticità del fenomeno, troppo a lungo tollerato.
(1-00040)
(Nuova formulazione) «Locatelli, Bueno, Gebhard, Pisicchio, Di Lello».
(15 maggio 2013)
La Camera,
premesso che:
il concetto di femminicidio, tornato in primo piano con le cronache di questi giorni, comprende non solo l'uccisione di una donna in quanto donna, ma ogni atto violento o minaccia di violenza esercitata nei confronti di una donna, in ambito pubblico o privato, che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale o psicologico o sofferenza alla donna. L'uccisione è, quindi, solo una delle estreme conseguenze, l'espressione più drammatica della violenza sulle donne esistente nella società;
nel 1993, l'antropologa messicana Marcela Lagarde utilizza il termine femminicidio per comprendere: «La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine – maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale – che comportano l'impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l'uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all'insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia»;
la cronaca riporta, infatti, casi di violenza generata da motivi che spesso non appaiono riconducibili all'odio di genere e alla misoginia ma alla violenza in famiglia, alla gelosia, alla possessività; il «femminicidio» diventa quindi non un omicidio inaspettato, ma l'ultimo atto di violenza dopo una serie di maltrattamenti all'interno della coppia. Le donne, uccise da mariti, da compagni, da padri o da fratelli, hanno solo provato a sottrarsi alla loro tirannia o hanno violato presunte regole sociali o codici d'onore; «femminicidi» che sembrano troppo spesso delitti annunciati, perché in tanti casi sono preceduti da anni di violenza, frutto di silenzi e complicità da parte di coloro che sono vicini alle donne che subiscono maltrattamenti, ma anche frutto di mancanze da parte delle istituzioni, che hanno il dovere di implementare il funzionamento dei centri antiviolenza e di mettere in campo una serie di politiche di prevenzione e di promozione di una cultura del rispetto tra i generi, nella convinzione che la violenza è un problema pubblico, di violazione dei diritti umani delle cittadine che la subiscono e non una questione da relegare all'ambito privato;
nonostante il riconoscimento di fondamentali diritti civili, sociali e culturali a favore delle donne, la violenza fisica e sessuale è quindi, ancora oggi, una delle forme di violazione dei diritti umani più grave e più diffusa nel mondo; combattere con forza ogni atteggiamento e comportamento che tendono a tollerare, giustificare o ignorare la violenza commessa contro le donne è, pertanto, assoluta priorità di ogni livello di Governo; a livello mondiale, le cronache riportano con puntuale periodicità episodi di violenza commessi nei confronti di donne molestate, minacciate, violentate, stuprate e uccise, cui si aggiungono le donne vittime di ogni forma di violenza per il loro rifiuto di sottoporsi ad irragionevoli dettami fanatico-religiosi, nonché altre forme di violazione dei diritti delle donne o che con la violenza contro le donne sono connesse, come la violenza sui luoghi di lavoro, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali femminili e la tratta di donne e di bambine;
se si esamina il fenomeno nel nostro Paese, il quadro è comunque allarmante: dal 2005 al 2012 sono stati 903 i casi di donne uccise da uomini. Nel 2012, in Italia sono state uccise più di 120 donne, una ogni due giorni. Il 40 per cento delle donne uccise nel 2012 aveva già subito violenza da parte del partner o ex partner. Il 68 per cento delle violenze avvengono in casa e i due terzi delle vittime subisce più episodi di violenza (soprattutto da parte del partner). Gli assassini sono uomini, nella maggior parte dei casi appartenenti al nucleo familiare e alla cerchia degli affetti più vicini. Secondo i dati Istat relativi al 2006, sono 6 milioni e 743 mila le donne che tra i 16 e i 70 anni sono state, almeno una volta nella vita, vittime di violenza, fisica o sessuale. Ma nel nostro Paese solo il 18,2 per cento delle donne considera la violenza subita in famiglia un reato, per il 44 per cento è stato qualcosa di sbagliato e per il 36 per cento solo qualcosa che è accaduto. Inoltre, i dati svelano che il 93 per cento delle violenze perpetuate dal coniuge o dall'ex non viene denunciato;
il 4 marzo 2013 Telefono Rosa ha presentato la sua nuova ricerca sulla violenza domestica, basata sulle telefonate e gli interventi realizzati dall'associazione. Cercando di conoscere meglio l'identità delle vittime, la ricerca indica due fasce maggiormente in pericolo: quella compresa tra i 35 e i 54 anni (33 per cento), mentre nella fascia 45-54 anni gli abusi scendono al 25 per cento. Tra le donne italiane si riscontra una maggiore concentrazione di vittime tra i segmenti più adulti (35enni-44enni: 32 per cento; 45enni-55enni: 26 per cento); spostando l'attenzione sulle straniere, è possibile osservare una maggiore concentrazione di violenze nelle classi anagrafiche più giovani (25enni-34enni: 31 per cento; 45enni-55enni: 39 per cento). Allarmante è il legame tra l'omicidio e le violenze pregresse sulla vittima o su altre donne: nel 40 per cento dei casi emerge che la vittima ha subito violenze (psicologiche, fisiche, sessuali e stalking) precedenti al femminicidio. La percentuale di donne che ha subito violenza e ha prole è altissima: nel 2012 l'82 per cento delle vittime ha figli, in particolare il 65 per cento sono minorenni. Nel 2012 l'82 per cento dei figli ha ripetutamente assistito alle violenze in famiglia. Aumentano nel 2012 i casi di abusi di lunga durata, nel 18 per cento coprono un arco di tempo compreso tra i 5 e i 10 anni; raggiunge il 28 per cento la percentuale dei maltrattamenti che dura da più di 10 anni; il 12 per cento di questi vede le donne rassegnate alla loro condizione da oltre 20 anni;
soltanto in questi primi mesi del 2013 sono state uccise 34 donne. Un numero rilevante che, purtroppo, conferma il drammatico trend di questi ultimi anni;
questi numeri sottolineano l'ampiezza del fenomeno e il suo profondo radicamento nella cultura del nostro Paese e nella vita delle famiglie: non si tratta dell'epilogo estremo di una storia personale, ma di un comportamento strutturato, che attraversa una parte grande del Paese, in centinaia di migliaia di case-prigioni sparse nelle campagne, nei paesi, nelle grandi città;
in particolare, continui episodi riportati dalla cronaca, in particolare nell'ultimo periodo, dimostrano l'ampia portata di questa quotidiana tragedia, specie in termini di vite perdute, il che impone di mettere in campo ogni possibile misura normativa; lo studio e l'attuazione di interventi volti a prevenire gli episodi di violenza, abuso e vessazione di cui le donne sono vittime rappresentano una priorità dell'intero Esecutivo;
nel 2009, l'introduzione nell'ordinamento giuridico italiano del reato di stalking è stata una chiara dimostrazione dell'attenzione del Governo e del Parlamento all'individuazione di strategie di contrasto, di prevenzione della violenza e di reinserimento delle vittime di tale reato; lo stesso decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009, che ha introdotto il reato di stalking, ha inoltre previsto ulteriori interventi in materia di violenza sessuale; il provvedimento, in particolare, ha introdotto l'arresto obbligatorio in flagranza per la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo, nonché disposizioni volte a rendere più difficile ai condannati per taluni delitti a sfondo sessuale l'accesso ai benefici penitenziari, tra cui le misure alternative alla detenzione. La medesima legge ha, inoltre, consentito l'accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti, a favore della persona offesa da taluni reati a sfondo sessuale. Il decreto-legge n. 11 del 2009 ha poi previsto, quale aggravante speciale dell'omicidio, il fatto che esso sia commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo, nonché da parte dell'autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa;
va segnalato, inoltre, che nel corso della XVI legislatura, per la prima volta l'Italia ha adottato un Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, finanziato con più di 18 milioni di euro, con una strategia di contrasto delineata su base nazionale, con l'obiettivo di mettere in rete l'esperienza dei centri antiviolenza nelle regioni italiane e del numero verde 1522 e le professionalità delle forze dell'ordine;
servono, comunque, altri segnali forti: un investimento certo e sicuro per i centri antiviolenza e per il sistema dei servizi di prevenzione che si occupano della violenza sulle donne e, in secondo luogo, l'unificazione di tutte le informazioni in un'unica banca dati, che consenta alle forze dell'ordine e all'intero sistema dei servizi antiviolenza di reperire in tempi rapidi le notizie sulle vittime e sugli autori del reato;
a ciò si aggiunga che l'Italia ha sottoscritto, nel settembre 2012, la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica» dell'11 maggio 2011 (Convenzione di Istanbul), la cui legge di autorizzazione alla ratifica è stata già approvata dalla Camera dei deputati il 28 maggio 2013;
la Convenzione di Istanbul è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che si prefigge di creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, grazie a misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziaria e di sostegno alle vittime;
la Convenzione di Istanbul, ove si riconosce esplicitamente la violenza sulle donne quale violazione dei diritti umani e forma di discriminazione, obbligherà, dunque, lo Stato italiano ad adottare specifiche misure legislative per contrastare l'allarmante fenomeno;
partendo dal presupposto che la volontà di sopraffazione trae spesso origine da atteggiamenti discriminatori e che, dunque, solo un profondo mutamento culturale potrebbe combattere in modo efficace il fenomeno, possono essere messe in campo iniziative, anche in sede legislativa, per porre un freno all'incontenibile sequenza di violenze perpetrate nei confronti delle donne,
impegna il Governo:
ad adottare e sostenere ogni iniziativa legislativa volta ad adeguare l'ordinamento interno alle prescrizioni contenute nella Convenzione di Istanbul, nonché, più in generale, ad adottare le norme regolamentari e i provvedimenti amministrativi idonei a promuovere realmente una cultura della soggettività femminile, contrastando il femminicidio quale negazione della soggettività, dei diritti fondamentali e della dignità delle donne;
ad agire sul piano della prevenzione e del contrasto della violenza, della promozione della soggettività femminile e della tutela delle vittime di violenza sessuale, di stalking e di maltrattamenti, in particolare dando piena attuazione al Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, utilizzando le risorse all'uopo stanziate e individuando specifiche iniziative volte a potenziare i servizi e le misure di assistenza delle vittime di violenza, prevedendo un'organica risposta a livello territoriale e di rete e rendendo omogeneo lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza, attraverso la collaborazione e la cooperazione tra i soggetti pubblici e privati (pronto soccorso, associazioni, sportelli antiviolenza, forze dell'ordine, servizi sociali e comuni) che operano per la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e che forniscono servizi di supporto ed assistenza;
ad istituire un tavolo interministeriale al fine di affrontare il femminicidio da tutti i punti di vista e di predisporre progetti coordinati per tutto il territorio nazionale che garantiscano maggiore incisività nel contrasto alla violenza di genere;
ad istituire un osservatorio nazionale permanente sulla violenza alle donne che predisponga e tenga aggiornati i dati relativi ai fenomeni di violenza sulle donne, provenienti da soggetti pubblici e privati, accessibili anche ai fini della ricerca e dell'elaborazione di interventi di prevenzione e di contrasto alla violenza;
ad adottare le opportune iniziative volte a promuovere, nell'esercizio dell'attività giornalistica, nei messaggi pubblicitari, nei palinsesti e nelle trasmissioni di radio e televisione, il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile, nonché a prevenire ogni forma di discriminazione di genere o di femminicidio;
a sostenere la promozione dell'inserimento nei programmi scolastici dell'educazione alla relazione, al fine di sensibilizzare, informare, formare gli studenti e prevenire la violenza nei confronti delle donne, la discriminazione di genere e il femminicidio e promuovere la soggettività femminile;
a promuovere in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano azioni volte ad incentivare la realizzazione di misure a favore delle vittime di violenza e a coinvolgere le stesse, laddove sia necessario, in percorsi di formazione e di inserimento lavorativo, in linea con le esperienze europee più avanzate;
a presentare alle Camere annualmente una relazione sullo stato di attuazione delle normative e delle iniziative poste in atto da tutti i soggetti coinvolti.
(1-00041)
(Nuova formulazione) «Brunetta, Carfagna, Centemero, Prestigiacomo, Bergamini, Dorina Bianchi, Brambilla, Calabria, Castiello, Faenzi, Garnero Santanchè, Giammanco, Milanato, Petrenga, Polidori, Polverini, Ravetto, Saltamartini, Elvira Savino, Sandra Savino, Scopelliti».
(15 maggio 2013)
La Camera,
premesso che:
il fenomeno del femminicidio e, più in generale, della violenza sulle donne ha assunto dimensioni allarmanti nel nostro Paese, tanto da essere definito dalla relatrice speciale Onu sul tema, Rashida Manjoo, nel suo rapporto del 2012 relativo alla sua missione in Italia, una vera e propria emergenza nazionale;
in base alle ultime rilevazioni Istat, sono quasi 7 milioni le donne tra i 16 ed i 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita, pari al 31,9 per cento: circa 5 milioni hanno subito violenze sessuali (23,7 per cento), quasi 4 milioni violenze fisiche (18,8 per cento) - di cui 1 milione ha subito stupro o tentato stupro. Il 24,7 per cento ha subito violenze da un uomo non partner ed il 14,3 per cento delle donne con un rapporto di coppia dal partner/ex;
dall'inizio degli anni ’90, mentre è diminuito il numero di omicidi di uomini su uomini, il numero di donne uccise da uomini è aumentato esponenzialmente;
negli ultimi anni il nostro Paese è stato fortemente redarguito dalle Nazioni Unite per l'impegno troppo poco efficace per contrastare la violenza maschile nei confronti delle donne;
il Comitato per l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), nonché la relatrice speciale per le Nazioni Unite, Manjoo, in relazione all'Italia, hanno espresso preoccupazioni: per l'elevata prevalenza della violenza nei confronti di donne e bambine italiane, migranti, rom e sinte; per l'allarmante numero di donne uccise dai propri partner o ex partner; per il persistere di tendenze socio-culturali che minimizzano o giustificano la violenza domestica; per l'assenza di un rilevamento ufficiale e costante sul fenomeno; per la mancanza di un coinvolgimento attivo delle realtà della società civile competenti sul fenomeno del contrasto alla violenza; per l'attitudine a rappresentare donne e uomini in maniera stereotipata e sessista nei media e nell'industria pubblicitaria;
ad oggi l'Italia si mostra ancora inadempiente al riguardo;
la violenza sulle donne va considerata quale fatto politico, attinente alla cultura nelle relazioni fra uomini e donne, ovvero al fondamento dell'affettività e della democrazia;
le associazioni e i movimenti, che vantano un impegno di numerosi anni su un tema tanto delicato, quale è la violenza sulle donne, hanno agito spesso in solitudine e senza le risorse necessarie;
analogamente può dirsi in relazione ai centri antiviolenza, ancora poco radicati sul territorio, anche per l'esiguità degli stanziamenti economici a supporto dell'attività;
anche alla luce del dibattito che anima il Paese da tempo sul tema, occorre favorire in ogni modo la più rapida approvazione dei progetti di legge di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa, fatta ad Istanbul nel 2011, in tema di prevenzione e contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, firmata dal nostro Paese in data 27 settembre 2012,
impegna il Governo:
a provvedere all'attuazione delle osservazioni conclusive del 2011 del Comitato per l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), nonché delle raccomandazioni della relatrice speciale Onu contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo, riportate nel rapporto relativo alla missione in Italia;
ad istituire un osservatorio nazionale in tema di violenza di genere, coinvolgendo nell'attività le associazioni e i movimenti che si occupano da anni del tema, nonché i centri antiviolenza, incentivandone il ruolo e il radicamento sul territorio con la previsione di stabili ed adeguati finanziamenti;
a verificare l'efficacia e l'attuazione del piano nazionale contro la violenza, il cui termine è previsto nel 2013, nonché a prevedere una revisione e un rilancio dello stesso che consideri, quali elementi centrali, la promozione di una cultura differente, la prevenzione, la protezione delle donne, nonché la persecuzione del persecutore;
a introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado specifici corsi di sensibilizzazione sulla parità di genere, nonché sull'affettività;
ad assumere iniziative per prevedere l'accesso al patrocinio gratuito per le parti offese senza limitazioni reddituali;
a rafforzare, nel quadro degli interventi volti a garantire i livelli essenziali delle prestazioni sociali, di cui alla legge n. 328 del 2000, anche attraverso la previsione di adeguati stanziamenti, i centri e le reti di prevenzione, le case rifugio, nonché la protezione e il sostegno alle donne vittime di violenza.
(1-00043)
(Nuova formulazione) «Migliore, Di Salvo, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».
(16 maggio 2013)
La Camera,
premesso che:
i numeri sulla violenza in Italia sono ormai tristemente noti. Una donna su tre, in un'età compresa tra i 16 e i 70 anni, è stata vittima di forme di violenza; il 35 per cento delle vittime non presenta denuncia, mentre solo il 13 per cento ha fatto richiesta di aiuto per stalking;
secondo Telefono Rosa, nel 2012 le vittime femminili hanno superato di poco le 120 unità e si è passati da un omicidio ogni tre giorni registrato nel 2011 a uno ogni due giorni; la gran parte delle violenze rimane sommersa, impunita e avviene tra le pareti domestiche; un dramma diffuso che riguarda tutte le classi sociali e che va aumentando;
nonostante i mutamenti sociali, i diritti acquisiti e le leggi varate in questi anni, il fenomeno rimane ancora un problema irrisolto: mancano serie politiche di contrasto della violenza, ricerche e progetti di sensibilizzazione e di formazione; la violenza sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani che ostacola o rende impossibile il godimento di altri diritti umani, compromettendo, altresì, il raggiungimento della parità di opportunità tra donne e uomini. Si è davanti ad un grave reato, una forma di discriminazione che non riguarda la sfera privata perché è solo l'aspetto più evidente e brutale dell'ineguaglianza esistente nella società;
è sempre più urgente affrontare il problema nella sua gravità per risolverlo, ma per far ciò è necessario un radicale cambiamento culturale nella nostra società. Ciò anche alla luce dei dati del Global gender gap report 2012, la classifica stilata ogni anno dal World economic forum sul divario di opportunità tra uomini e donne in 135 Paesi e secondo il quale appare evidente che i risultati sono sempre più sconfortanti per l'Italia: complessivamente all'ottantesimo posto (nel 2011 era al settantaquattresimo); nello specifico: centounesimo posto, in quanto a partecipazione economica e opportunità; sessantacinquesimo posto, in quanto ad accesso all'istruzione di base e di livello superiore; settantaseiesimo posto per quanto riguarda la salute e la sopravvivenza; al settantunesimo posto in materia di rappresentanza politica;
la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e la violenza domestica, aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa e degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione a Istanbul l'11 maggio 2011, rappresenta il primo strumento internazionale, giuridicamente vincolante, finalizzato a creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza;
si tratta di un trattato corposo che analizza il fenomeno nella sua complessità e fornisce un quadro giuridico completo, sia in chiave di prevenzione che di repressione di questa odiosa forma di violenza;
questa Convenzione – che l'Italia deve recepire nelle parti in cui il nostro ordinamento ancora non ha raggiunto gli auspicati standard, lasciando impregiudicati gli eventuali livelli di maggior tutela – potrebbe, se attuata da tutti i Paesi membri, salvare e cambiare le vite di milioni di vittime e dare un contributo concreto al miglioramento del rispetto dei diritti umani e dello status delle donne. È una battaglia di civiltà cui la politica non può e non deve sottrarsi;
il grande valore di tale Convenzione risiede anche nel sancire la necessità di un cambiamento radicale di mentalità all'interno della società, per estirpare i pregiudizi fondati sulla cosiddetta inferiorità delle donne o sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini. In essa si afferma, infatti, che spetta agli Stati prevenire, fermare e sanzionare la violenza sulle donne, sia domestica sia esterna, e che la violenza verso le donne non può essere giustificata da nessun argomento di natura culturale, storica o religiosa;
l'inserimento nel codice penale italiano del nuovo articolo 612-bis sugli atti persecutori (stalking), la giurisprudenza costituzionale che si è venuta formando sulla presunzione assoluta di pericolosità degli accusati dei delitti a sfondo sessuale e, da ultimo, l'approvazione definitiva, nel 2012, della legge n. 172 del 2012 di adeguamento interno alla Convenzione di Lanzarote hanno costituito un segnale di un'evoluzione importante ma che ancora non basta; l'Italia è, tra i Paesi europei, agli ultimi posti per contrasto al fenomeno della violenza di genere: infatti, il report di Rashida Manjoo, relatore speciale sulla violenza contro le donne delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, in visita nel nostro Paese nel 2012, ha condannato pesantemente l'Italia rilevando che «Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita»;
da più parti, ormai, si sollecita l'introduzione di un'aggravante generale per i delitti commessi per motivi di genere, oltre che di un'aggravante specifica per il caso di omicidio, che riguarda anche il delitto commesso nei confronti dell'ex coniuge o dell'ex convivente. È auspicabile, quindi, che su questo campo possa presto attivarsi un più determinato intervento legislativo che tocchi anche aspetti apparentemente procedurali (ma in realtà sostanziali), quali il divieto di sospensione condizionale della pena, il divieto di bilanciamento per equivalenza tra aggravanti e attenuanti o il divieto di patteggiamento, come segnale ulteriore di contrasto e dissuasione alla commissione di crimini del genere;
ma il passo ulteriore dovrà essere necessariamente di carattere culturale, in quanto la sanzione penale non potrà mai esaurire lo spettro delle azioni da intraprendere su questo fronte, tenuto conto che da quasi trent'anni, e precisamente dalla legge 14 marzo 1985, n. 132, è stata ratificata e resa esecutiva la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979;
a tutt'oggi, solo quattro Paesi hanno ratificato la Convenzione di Istanbul, ovvero hanno concluso il processo di creazione di una legge nazionale che renda effettivo nel proprio Paese il testo della stessa. Questi Paesi sono (e, su alcuni c’è da stupirsene, per tanti versi): Turchia, Albania, Montenegro e Portogallo. Mancano, dunque, ancora almeno 6 ratifiche,
impegna il Governo:
ad attivare, nell'ambito delle proprie competenze, un'azione a livello europeo affinché si giunga alla ratifica immediata, da parte degli Stati dell'Unione europea, della Convenzione del Consiglio d'Europa, adottata ad Istanbul nel 2011, sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica;
a valutare tutte le iniziative necessarie affinché, per quanto riguarda l'educazione delle nuove generazioni, venga agevolata la creazione di spazi di approfondimento periodici affinché si affrontino temi come l'uguaglianza e la violenza di genere, per avviare un radicale cambiamento culturale nella nostra società e per estirpare i pregiudizi fondati sulla cosiddetta inferiorità delle donne o sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini;
ad attivarsi, anche con iniziative normative e con fondi adeguati, per l'adozione di serie politiche di contrasto della violenza, ricerche e progetti di sensibilizzazione e di formazione di personale qualificato in grado di affrontare e gestire situazioni di emergenza;
a sostenere e attuare con più determinazione sia quanto già contenuto nella Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, sia quanto è stato osservato dalla relatrice speciale Onu contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo, di cui in premessa;
ad avviare una campagna capillare di informazione di utilità sociale a qualsiasi livello su questa drammatica realtà che ancora oggi presenta aspetti sempre più inquietanti;
a rinnovare il Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, con particolare attenzione alla raccolta dei dati e al loro monitoraggio, per avere un quadro aggiornato della situazione in maniera periodica e certa, e alla promozione e consolidamento, su tutto il territorio nazionale, della rete tra centri antiviolenza e istituzioni preposte alla tutela, quali gli enti locali, le forze dell'ordine, i consultori, gli ospedali, i servizi sociali e socio-sanitari;
a sostenere con adeguate risorse finanziarie i centri antiviolenza, istituzioni fondamentali per il corretto ed efficace funzionamento dei servizi a tutela della donna vittima di violenza;
a coinvolgere in maniera diretta i centri antiviolenza con maggiore esperienza, al fine della redazione del Piano nazionale antiviolenza;
a presentare semestralmente una relazione alla competenti commissioni parlamentari sullo stato di attuazione del Piano nazionale antiviolenza;
ad individuare forme alternative di risarcimento alle donne che hanno subito violenza, ad esempio attraverso progetti di reinserimento lavorativo, al fine di ripristinare condizioni di vita adeguate successive al superamento della violenza subita.
(1-00042)
(Ulteriore nuova formulazione) «Mucci, Crippa, Prodani, Mannino, Brescia, Dieni, D'Ambrosio, Nuti, Spadoni, Fantinati, Di Vita, Nesci, Dall'Osso, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Cecconi».
(16 maggio 2013)
La Camera,
premesso che:
nel nostro Paese, se da un lato negli ultimi 10 anni il numero complessivo degli omicidi è diminuito, il numero degli omicidi perpetrati nei confronti delle donne è aumentato in maniera allarmante (i dati relativi al 2012 in Italia registrano più di 120 vittime) e nella maggior parte dei casi gli autori di questi delitti sono legati alle vittime da un rapporto parentale;
fino agli anni ’90 il dato dei delitti non era disaggregato per cui non si conosceva la gravità del fenomeno, che, invece, si è rivelato di tale portata da giustificare la scelta di coniare il termine specifico di femminicidio, per indicare la violenza misogina dell'uomo nei confronti delle donne, introducendo un'ottica di genere nello studio dei crimini;
il termine è nato per indicare gli omicidi della donna «in quanto donna», ovvero la maggior parte degli omicidi di donne e bambine. Si tratta di omicidi di donne commessi da parte di partner o ex partner, ma anche delle ragazze uccise dai padri che non accettano le decisioni e l'emancipazione delle proprie figlie;
la dimensione e la specificità del fenomeno sembrano giustificare l'esigenza dell'introduzione nel codice penale italiano di una fattispecie di reato ad hoc per perseguire in modo specifico tali condotte criminose;
la circostanza per cui i delitti sono perpetrati nella maggioranza dei casi da un uomo che ha, o ha avuto, una relazione di affetto o conoscenza con la donna esplicita una dimensione sociale della violenza, ancora più preoccupante per il fatto che le «mura domestiche» sono spesso la scena del crimine e che gli assassini nella maggioranza dei casi sono legati alle vittime da rapporti coniugali o genitoriali;
l'Italia ha ratificato fin dal 1985 la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (Cedaw), adottata dall'Assemblea generale dell'Onu nel 1979, impegnandosi ad adottare «misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico che privato»;
con la Dichiarazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne nel 1993 e con la IV Conferenza mondiale delle Nazioni Unite nel 1995 in cui fu definita la violenza di genere come il manifestarsi delle relazioni di potere storicamente ineguali fra donne e uomini, la denuncia del fenomeno è entrata con forza nelle sedi istituzionali e anche il Parlamento europeo e il Consiglio d'Europa hanno preso posizioni ufficiali di condanna contro la violenza sulle donne;
la Conferenza mondiale di Stoccolma del 1996 contro lo sfruttamento sessuale dei minori, le raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio d'Europa (raccomandazione rec (2002)5 sulla protezione delle donne dalla violenza, raccomandazione CM/rec (2007)17 sulle norme e meccanismi per la parità tra le donne e gli uomini, raccomandazione CM/rec (2010)10 sul ruolo delle donne e degli uomini nella prevenzione e soluzione dei conflitti e nel consolidamento della pace) e le altre raccomandazioni pertinenti hanno posto l'attenzione sulla tutela dei diritti umani e sulla diffusa violazione dei diritti delle donne e dei minori, riconoscendo la violenza come problema cruciale per la salute delle donne;
nel nostro Paese, nonostante l'entità drammaticamente allarmante del fenomeno del femminicidio, non esiste una commissione preposta all'analisi e al monitoraggio dei dati relativi alla violenza contro le donne e questa lacuna si somma ad altre problematiche: le risorse del fondo antiviolenza sono piuttosto esigue e non sono stati programmati interventi ordinari o straordinari in grado di fare fronte a questo fenomeno dilagante, ivi compresa una legge organica che stabilisca i termini dell'intervento nei casi di violenza familiare e che metta a disposizione le risorse necessarie;
i cartelloni pubblicitari che pochi giorni fa sono stati affissi sulle strade di Napoli, raffiguranti in primo piano l'immagine di un uomo che impugna uno straccio per «cancellare ogni traccia» e in secondo piano il corpo nudo di una donna giacente in un letto, hanno provocato l'indignazione di molti, tanto che l'Istituto per l'autodisciplina pubblicitaria ha disposto il ritiro, ritenendo che siffatte pubblicità, prendendo spunto dal drammatico fenomeno del femminicidio, oltre a svilire l'immagine della donna, istigano ad ingiustificati e gravissimi comportamenti violenti;
ai nostri giorni i mezzi di comunicazione, includendo la stampa, la televisione e internet, ricoprono un importante ruolo non solo informativo ma anche formativo e, di conseguenza, la pubblicità, nella sua realtà virtuale e mediatica, veicola messaggi e modelli di grande rilevanza sociale; pertanto, l'abuso dei messaggi pubblicitari può provocare rischi sui soggetti più vulnerabili, quali l'effetto omologante nei modelli di identificazione, la globalizzazione culturale, la spinta all'emulazione, l'inibizione della scelta critica e dello sviluppo creativo;
il Parlamento europeo ha rilevato come la discriminazione di genere nei media sia tuttora diffusa, considerando come parti di tale fenomeno la pubblicità e i media che presentano stereotipi e auspicando che la pubblicità sia disciplinata da norme etiche e/o giuridiche vincolanti e/o dai codici di condotta esistenti che proibiscono la pubblicità che trasmette messaggi discriminatori o degradanti basati sugli stereotipi di genere;
in occasione della V Conferenza mondiale dell'Onu sulle donne del 2005, il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne ha espresso forti preoccupazioni per la condizione delle donne italiane, che vengono percepite come madri e come oggetti sessuali, soprattutto attraverso i messaggi veicolati dalla pubblicità e dalla televisione;
la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi e uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini; l'elemento chiave per prevenire tale fenomeno è il raggiungimento dell'uguaglianza di genere de iure e de facto;
la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell'11 maggio 2011 ad Istanbul, approvata il 28 maggio 2013 da parte di questo ramo del Parlamento con la ratifica ed esecuzione, si pone l'obiettivo di proteggere le donne da ogni forma di violenza e di contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione, promuovendo la concreta parità tra i sessi, ivi compreso il rafforzamento dell'autonomia e dell'autodeterminazione delle donne. Inoltre, la Convenzione mira a predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le donne vittime di violenza, anche sostenendo e assistendo le organizzazioni e le autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica;
la mutilazione genitale femminile è forse uno degli atti più degradanti e pericolosi di quella «violenza domestica» che la Convenzione, il cui disegno di legge di ratifica è ora all'esame del Senato della Repubblica, si propone di contrastare, perché sempre praticata all'interno della famiglia e del quadro parentale più stretto e una delle forme più crudeli e lesive di violenza sulle donne, perché riguarda soprattutto le bambine, addirittura le neonate, ed ha risvolti fisici e psicologici che le segneranno per tutta la vita;
le mutilazioni genitali femminili, praticate in diverse forme in molte parti del continente africano e in alcuni Paesi islamici dell'Asia, a seguito del fenomeno migratorio si sono diffuse anche in Europa ed in Nord America e, nonostante il 20 dicembre 2012 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite si sia pronunciata per la messa al bando universale di questa pratica vergognosa e terribile e nonostante l'approvazione nel nostro Paese di una legge, la n. 7 del 2006, in attuazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione e di quanto sancito dalla Dichiarazione e dal Programma di azione adottati a Pechino il 15 settembre 1995, l'infibulazione continua ad essere praticata in seno a comunità straniere, principalmente di origine africana e di cultura islamica, nel nostro Paese, che detiene, infatti, il più alto numero di donne infibulate rispetto a tutto il resto d'Europa;
alla mancata efficacia della legge contro le mutilazioni non contribuiscono solo retaggi culturali e religiosi radicati in comunità chiuse, ma anche episodi di cronaca giudiziaria che finiscono con l'indebolire la credibilità del nostro Stato di diritto: proprio nel novembre 2012 la seconda sezione della corte d'appello di Venezia ha assolto con formula piena due genitori nigeriani condannati in primo grado in base alla legge n. 7 del 2006 per avere mutilato le proprie figlie;
già nella XVI legislatura sono stati presentati diversi disegni di legge d'iniziativa dei deputati del gruppo Lega Nord, tra cui i progetti di legge nn. 611 e 666, quest'ultimo recante «Modifiche al codice penale concernenti la disciplina dei reati di violenza sessuale nell'ambito dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale», approvato allora dalla Camera dei deputati, ma che, non avendo avuto la definitiva approvazione del Senato della Repubblica, verrà ripresentato anche nella XVII legislatura;
è stato votato anche dalla Lega Nord, in condivisione con altre forze politiche, e introdotto finalmente nel codice penale con decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori», il reato di stalking, delitto previsto e disciplinato ora dall'articolo 612-bis del codice penale e punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni;
per un efficace contrasto alla violenza nei confronti delle donne è necessario prevedere non solo pene severe, ma altresì assicurare l'effettività della pena, senza alcuno sconto o beneficio per chi si macchia di tali reati, sia per prevenire ma anche per dare effettiva tutela e ristoro alle vittime, dal che si evince l'assoluta inopportunità, ad esempio, di prevedere misure alternative e la messa in prova per i reati di cui all'articolo 612-bis del codice penale (stalking), così come, invece, previsto dalla proposta di legge n. 331 recante «Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti di irreperibili» in discussione presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati;
la Corte costituzionale, con sentenza n. 265 del 2010, in riferimento all'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall'articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, aveva ritenuto la parziale incostituzionalità della custodia cautelare in carcere obbligatoria per i reati di violenza sessuale; successivamente la Corte di cassazione ha assunto nel merito, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, decisioni anche discordanti (sentenza n. 4377 del 2012 e sentenza n. 15211 del 2012);
molti Paesi, in cui è cresciuta la consapevolezza nella società civile e nelle istituzioni sull'effettiva natura del problema, ad oggi dispongono di osservatori e di raccolte che consentono di avere dati disaggregati delle violenze per genere, mentre nel nostro Paese gli unici dati disponibili sono quelli ricavati dalle notizie riportate nei giornali, dato che non esiste un osservatorio preposto a monitorare questo preoccupante e sommerso fenomeno. Il 14 luglio 2011 il Comitato Cedaw ha fatto richiesta all'Italia di fornire i dati sui femminicidi e il Governo italiano non è stato in grado di fornire tempestivamente questa risposta, a causa della mancanza di una raccolta ufficiale di tali dati,
impegna il Governo:
a proseguire il programma diretto a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne promuovendo il sostegno, anche attraverso appositi finanziamenti, della rete dei centri antiviolenza presenti sul territorio nazionale;
a mettere in atto iniziative volte a promuovere la conoscenza e l'applicazione effettiva della normativa vigente in tema di tutela dei diritti umani e civili e di contrasto alla violenza sulle donne, in particolar modo attraverso la promozione di un programma di educazione e formazione ai diritti umani per tutti gli ordini di scuole;
a promuovere la stesura di un codice di autoregolamentazione per la tutela della donna nella pubblicità, riconoscendo il principio della necessità e convenienza del rispetto e dell'applicazione di alcune regole da parte dell'intera categoria, al fine di combattere il problema degli stereotipi di genere, denunciato sia dal Parlamento europeo che dalla Conferenza mondiale delle donne dell'Onu;
ad adottare tutte le misure utili a contrastare in modo concreto ed efficace la pratica della mutilazione genitale femminile nel nostro Paese, anche rafforzando le norme di legge attualmente in vigore, laddove abbiano lasciato uno spazio interpretativo sufficientemente ampio a rendere possibili sentenze che, di fatto, hanno considerato accettabile una pratica a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo barbara ed illegale;
ad assumere ogni iniziativa di competenza diretta a garantire celerità nei processi ed effettività della pena per chi si macchia di simili reati, senza alcun beneficio o sconto di pena e senza attenuanti legate alle pratiche culturali tradizionali e religiose;
ad assumere iniziative normative volte a ridurre i profili di discrezionalità nelle decisioni di escludere la custodia cautelare in carcere per i reati già indicati nell'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, pur nel rispetto delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale.
(1-00063)
«Rondini, Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giovanni Fava, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Prataviera».
(3 giugno 2013)
La Camera,
premesso che:
la violenza contro le donne è la violazione dei diritti umani più diffusa nel mondo e, anche nel nostro Paese, il fenomeno ha assunto, ormai da decenni, una dimensione drammatica;
secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica, nel solo 2012, le donne che hanno subito violenze fisiche sono state quasi quattro milioni, e cinque milioni sono state vittime di violenza sessuale, mentre le donne vittime di omicidio da gennaio a dicembre del 2012 sono state 124, e da gennaio 2013 ad oggi sono già una quarantina;
peraltro, questi dati sono assolutamente inferiori alla realtà, posto che ancora sono numerosissime le donne vittime di violenza che non sporgono una regolare denuncia, in particolar modo quando si tratta di violenza sessuale;
nella maggior parte dei casi, inoltre, l'omicidio costituisce solo l'estrema conseguenza delle forme di violenza perpetrate ai danni delle donne, e non è un isolato incidente che arriva in maniera inaspettata e immediata, ma costituisce spesso l'ultimo efferato atto che pone fine ad una serie di violenze continuate nel tempo, che quasi nell'ottanta per cento dei casi si consuma all'interno delle mura domestiche, per mano di mariti, conviventi e fidanzati, magari divenuti nel frattempo ex;
il legame tra la vittima e l'aguzzino, sia quello di natura psicologica ed affettiva, sia quello di natura economica, è uno degli elementi che rendono difficoltoso per le vittime sporgere denuncia e per il sistema giudiziario perseguire i reati;
a ciò si aggiunge la questione della lunghezza dei tempi dei procedimenti giudiziari, che fanno sì che le violenze, anche quando tempestivamente denunciate, non sono, purtroppo, quasi mai perseguite in modo efficace;
a tutto ciò si aggiunge un problema di tipo culturale, per cui in molti Paesi del mondo la violenza sulle donne è un fenomeno non solo tollerato, ma sostenuto sulla base di usi antichi che non riconoscono alla donna dignità sociale pari a quella riconosciuta agli uomini;
si pensi, in questo ambito, e a mero titolo esemplificativo, alla questione delle mutilazioni genitali femminili: secondo l'Organizzazione mondiale della sanità le vittime di questo tipo di pratica sono state tra cento e centoquaranta milioni di donne, tre milioni di donne le subiscono ogni anno, pari ad una media di ben ottomila ragazze al giorno;
nel giugno del 2012, in occasione della presentazione alle Nazioni Unite del primo rapporto tematico sul femminicidio, la Relatrice speciale dell'Onu ha avuto modo di affermare che, «culturalmente e socialmente occultate, queste diverse manifestazioni di violenza basate sul genere continuano a essere accettate, tollerate o giustificate, e l'impunità è la regola. Con riguardo agli omicidi basati sul genere, è veramente carente l'assunzione di responsabilità da parte degli Stati nell'agire con la dovuta diligenza per la promozione e protezione dei diritti delle donne»;
in Italia già a partire dagli anni ’90 si è cominciato ad affrontare il fenomeno della violenza contro le donne, e nel corso di un decennio sono state adottate alcune riforme e innovazioni legislative di grande importanza: nel 1996 con la nuova legge contro la violenza sessuale, nel 1998 con l'adozione delle norme contro lo sfruttamento della prostituzione, la pornografia e il turismo sessuale, nel 2001 con le misure contro la violenza nelle relazioni familiari e, infine, nel 2008 con l'adozione di una normativa contro il fenomeno degli atti persecutori (stalking);
le nuove norme sono state accompagnate, negli anni, dall'istituzione dei centri di ascolto e di aiuto per le donne in difficoltà, e nella XVI legislatura è anche stato adottato il Piano nazionale antiviolenza;
il nostro Paese si appresta a fare un ulteriore passo lungo questo percorso con la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, approvata dalla Camera dei deputati il 28 maggio 2013;
il valore fondamentale della Convenzione è rappresentato dal fatto che costituisce il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, e questo è ancora più di rilievo se si considera che la firma della Convenzione è aperta anche agli Stati non membri del Consiglio d'Europa;
questo, infatti, permette che il quadro di norme volte a proteggere le donne contenuto nella Convenzione, un quadro incentrato sulla prevenzione, sulla protezione delle vittime e sul perseguimento dei trasgressori, possa trovare, si spera, applicazione anche in Paesi in cui la legislazione in materia è meno avanzata;
la Convenzione dispone che siano inseriti negli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati aderenti fattispecie di reato che coprano ogni manifestazione di violenza contro le donne, e, in particolare, che siano sanzionati ogni tipo di violenza contro le donne, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali, lo stalking, le violenze fisiche, psicologiche e sessuali, ed è altresì prevista la creazione di un sistema di monitoraggio;
appare, peraltro, di particolare rilievo il fatto che la Convenzione rivolge la propria attenzione alle donne di tutte le età e, quindi, anche a quelle ancora più indifese, quali le bambine e le adolescenti;
ancora, la Convenzione offre un approccio culturale al problema, un fatto nuovo e di grande importanza, perché per la prima volta la Convenzione consente di affrontare la questione in un'ottica globale, sancendo che non è necessario soltanto armonizzare la normativa nelle nazioni e tra le nazioni, ma che occorre stabilire con forza il principio universale che la violenza contro le donne, di qualunque genere sia, è e rimane una violazione dei diritti umani e che, in nessun caso, può essere coperta, mistificata, giustificata o banalizzata;
con la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e ha invitato i Governi, le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative impegnate su questo fronte ad organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica in quel giorno,
impegna il Governo:
a mantenere alta l'attività di contrasto a questa inaccettabile forma di violenza, anche attraverso la razionalizzazione e la semplificazione del quadro giuridico, affinché ogni sua manifestazione possa essere perseguita in modo efficace e tempestivo;
in questo quadro, ad agevolare, nell'ambito delle proprie competenze, la rapida attuazione della Convenzione di Istanbul, sia per quanto attiene l'adeguamento del sistema normativo, sia per quanto attiene al fattore culturale ed a quello, strettamente legato ad esso, della prevenzione dei reati;
a prevedere, nell'ambito del recepimento della Convenzione, un apposito ed adeguato stanziamento di bilancio, che consenta di approntare le misure necessarie a combattere il fenomeno della violenza contro le donne su tutto il territorio nazionale;
a prevedere un sistema di monitoraggio che consenta di creare un collegamento tra tutte le iniziative poste in essere sotto il profilo della prevenzione e del primo aiuto alle vittime, anche coinvolgendo le aziende sanitarie locali, al fine di poter approntare i più efficaci strumenti operativi a contrasto del fenomeno;
ad accogliere l'invito formulato dall'Assemblea generale dell'ONU, celebrando la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, con manifestazioni sul territorio nazionale e iniziative di sensibilizzazione al tema, affinché anche le vittime di violenza, che sinora non hanno trovato il coraggio di denunciare i propri aggressori, possano trovare la spinta per farlo;
a sostenere, nelle opportune sedi internazionali, l'approvazione e la ratifica della Convenzione d'Istanbul nelle aree del mondo in cui non esiste ancora alcuna norma a protezione delle donne, delle ragazze e delle bambine, affinché la Convenzione possa divenire uno strumento il più possibile diffuso e condiviso, e raccogliendo la sfida di avvicinare una parte sempre maggiore del mondo alla cultura del rispetto anche per le donne.
(1-00065)
«Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Rampelli, Taglialatela, Totaro».
(3 giugno 2013)
MOZIONI IN MERITO ALLA REALIZZAZIONE DELLA NUOVA LINEA FERROVIARIA TORINO-LIONE
La Camera,
premesso che:
nel 2001 venne firmato un accordo tra Italia e Francia per la realizzazione di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, successivamente ratificato dal Parlamento francese e da quello italiano con la legge 27 settembre 2002, n. 228;
in applicazione di tale accordo, i gestori delle infrastrutture italiana (Rete ferroviaria italiana) e francese (Réseau ferré de France) crearono una «società per azioni semplificata», la Lyon Turin ferroviaire (LTF), per la realizzazione degli studi e dei lavori preliminari della parte comune franco-italiana, nonché per definire il tracciato, le procedure di valutazione ambientale, lo scavo delle discenderie e dei tunnel di ricognizione, i lavori connessi e, infine, gli studi necessari alla stesura del progetto (avant-projet) poi inserito nell'ambito del piano delle infrastrutture strategiche della cosiddetta legge obiettivo, con un costo pari a 1.807,6 milioni di euro;
nel 2003 il progetto preliminare venne consegnato ai competenti organi italiani e la relativa opera inserita nell'ambito dell'intesa generale quadro tra il Governo e la regione Piemonte. In forza dell'accordo con il Governo francese, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti autorizzò la realizzazione del cunicolo esplorativo di Venaus, trasmettendo, altresì, al Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) la relazione istruttoria sul «Nuovo collegamento ferroviario transalpino Torino-Lione»;
nel 2005 Rete ferroviaria italiana indicò quale data di ultimazione lavori il mese di settembre 2016, ma, a seguito di alcune manifestazioni di dissenso da parte delle collettività locali, si svolse un primo incontro tra esponenti del Governo ed i rappresentanti degli enti locali per trovare una mediazione che potesse consentire di sbloccare i lavori. Subito dopo, i lavori di scavo del cunicolo di Venaus furono fermati e venne istituito l'Osservatorio tecnico sulla Torino-Lione, con il compito di svolgere, con le parti interessate, tutti gli approfondimenti necessari per risolvere le controversie con le collettività locali;
nel 2006, per assicurare la più ampia partecipazione alle comunità locali, nella riunione del 29 giugno svoltasi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con la regione Piemonte e gli enti locali interessati, venne deciso di stralciare il procedimento dalla «legge obiettivo» e di ricondurlo alla procedura ordinaria prevista dall'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 6167 del 1977 relativo alle opere di interesse statale;
nel 2007 la Commissione europea decise di finanziare un insieme di interventi per i progetti prioritari nazionali inseriti nella rete TEN-T e, tra essi, la «Lione-Torino». Fu pubblicato un bando europeo e presentata una richiesta congiunta italo-francese di finanziamento;
con la predisposizione del dossier europeo fu ridefinito il costo della parte comune italo-francese del collegamento: il costo degli studi corrispondeva a circa 842 milioni di euro, mentre quello dei lavori a circa 9.033 milioni di euro;
successivamente la Commissione europea assegnò, per il periodo 2007-2013, un contributo di 671,8 milioni di euro per gli studi ed una prima parte dei lavori relativi alla parte comune del progetto;
nel 2008 il Governo diede mandato all'Osservatorio di completare l'approfondimento del nodo di Torino, anche per consentire una corretta individuazione degli scenari ferroviari e trasportistici che avrebbero interessato la valle dove si intendeva individuare dei tracciati alternativi della nuova linea;
nell'ambito del vertice italo-francese del 24 febbraio 2009, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti esaminava con il Governo francese alcuni aspetti che riguardavano la nuova linea ferroviaria alta velocità-alta capacità Torino-Lione e nel 2010 l'Osservatorio stabiliva gli indirizzi operativi per la progettazione preliminare della nuova linea Torino-Lione, con orientamenti per il futuro tracciato dal confine di Stato alla connessione con la linea alta velocità-alta capacità Torino-Lione;
negli «allegati infrastrutture» alle decisioni di finanza pubblica 2011-2013 e 2012-2014 l'opera «Fréjus ferroviario» viene riportata nell'ambito delle tabelle relative al «Programma delle infrastrutture strategiche - opere da avviare entro il 2013»;
nel corso del 2012 il Governo, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Mario Monti, in linea con quanto più volte ribadito dal precedente Esecutivo, ha manifestato l'intenzione di realizzare la «Torino-Lione»;
tra gli aspetti trattati, si formalizzava la definizione, all'interno della parte comune italo-francese, della «sezione transfrontaliera». Si confermava anche, come nella prima fase, la ripartizione dei costi: l'importo delle opere verrà corrisposto per il 42,1 per cento dalla Francia e per il 57,9 per cento dall'Italia. Inoltre, si ipotizzava un finanziamento fino all'ammontare del 40 per cento del costo complessivo da parte dell'Unione europea;
il 20 marzo 2012, inoltre, come si apprende dalla stampa nazionale, il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Mario Ciaccia, a margine dell’Italian business mission to Qatar organizzata da Ance, Confindustria, Simest e Ministero dello sviluppo economico, ha annunciato che a breve il Cipe avrebbe sbloccato risorse per circa 300 milioni di euro, una parte delle quali, pari a 20 milioni, sarebbero andati a finanziare gli interventi su cosiddetto «nodo di Torino», collegati alla realizzazione dell'alta velocità. Questa dichiarazione, però, non ha avuto esito concreto;
il 3 dicembre 2012, al termine di un incontro a Lione, i due Governi emettevano un comunicato che recitava: «I due Paesi hanno confermato l'interesse strategico del nuovo collegamento ferroviario tra Torino e Lione, che costituisce un'infrastruttura prioritaria non solo per la Francia e l'Italia, ma anche per l'Unione europea. Sono state, inoltre, adottate alcune misure per il potenziamento della sicurezza stradale all'interno delle gallerie transfrontaliere»; si è specificato, tuttavia, che le decisioni in proposito dovranno essere ratificate dai rispettivi Parlamenti;
con tali indicazioni si è praticamente autorizzato il raddoppio del tunnel autostradale del Fréjus, provvedimento in aperta contraddizione rispetto alla più volte manifestata intenzione di trasferire le merci dalla «gomma al ferro» a fini ecologici;
il progetto della nuova linea Torino-Lione, impropriamente definito «Tav», è oramai da molto tempo oggetto di un acceso dibattito che, purtroppo, in alcuni casi, è anche trasceso in fenomeni che non hanno nulla a che fare con il sano confronto dialettico che dovrebbe caratterizzare l'adozione di ogni scelta strategica per il futuro del nostro Paese;
il 9 febbraio 2012, 360 professori, ricercatori e professionisti accreditati hanno pubblicato un appello rivolto al Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, professor Mario Monti, per chiedere un ripensamento del progetto della nuova linea ferroviaria Torino-Lione;
in particolare, nell'ambito del suddetto appello, si evidenzia come nel corso degli ultimi dieci anni sia diminuita la domanda di trasporto merci e passeggeri. Si legge nel documento: «Nel decennio tra il 2000 e il 2009, prima della crisi economica, il traffico complessivo di merci dei tunnel autostradali del Fréjus e del Monte Bianco è crollato del 31 per cento. Nel 2009 ha raggiunto il valore di 18 milioni di tonnellate di merci trasportate, come 22 anni prima. Nello stesso periodo si è dimezzato anche il traffico merci sulla ferrovia del Fréjus, anziché raddoppiare come ipotizzato nel 2000 nella Dichiarazione di Modane sottoscritta dai Governi italiano e francese. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, tra l'altro, non sarebbe nemmeno ad alta velocità per passeggeri perché, essendo quasi interamente in galleria, la velocità massima di esercizio sarà di 220 chilometri orari, con tratti a 160 e 120 chilometri orari, come risulta dalla valutazione d'impatto ambientale presentata dalle Ferrovie italiane. Per effetto del transito di treni passeggeri e merci, l'effettiva capacità della nuova linea ferroviaria Torino-Lione sarebbe praticamente identica a quella della linea storica, attualmente sottoutilizzata nonostante il suo ammodernamento terminato un anno fa e per il quale sono stati investiti da Italia e Francia circa 400 milioni di euro»;
viene, inoltre, sottolineata l'assenza di vantaggi economici per il Paese, specie sotto il profilo del ritorno del capitale investito. Al riguardo, si legge nel documento:
«1) non sono noti piani finanziari di sorta. Sono emerse recentemente ipotesi di una realizzazione del progetto per fasi, che richiedono nuove analisi tecniche, economiche e progettuali. Inoltre, l'assenza di un piano finanziario dell'opera, in un periodo di estrema scarsità di risorse pubbliche, rende ancora più incerto il quadro decisionale in cui si colloca, con gravi rischi di stop and go;
2) il ritorno finanziario appare trascurabile, anche con scenari molto ottimistici. Le analisi finanziarie preliminari sembrano coerenti con gli elevati costi e il modesto traffico, cioè il grado di copertura delle spese in conto capitale è probabilmente vicino a zero. Il risultato dell'analisi costi-benefìci effettuata dai promotori, e molto contestata, colloca comunque l'opera tra i progetti marginali;
3) ci sono opere con ritorni certamente più elevati: occorre valutare le priorità. Risolvere i fenomeni di congestione estrema del traffico nelle aree metropolitane, così come riabilitare e conservare il sistema ferroviario «storico», sono alternative da affrontare con urgenza, ricche di potenzialità innovativa, economicamente, ambientalmente e socialmente redditizie;
4) il ruolo anticiclico di questo tipo di progetti sembra trascurabile. Le grandi opere civili presentano un'elevatissima intensità di capitale e tempi di realizzazione molto lunghi. Altre forme di spesa pubblica presenterebbero moltiplicatori molto più significativi;
5) ci sono legittimi dubbi funzionali, e quindi economici, sul concetto di corridoio. I corridoi europei sono tracciati semi-rettilinei, con forti significati simbolici, ma privi di supporti funzionali. Lungo tali corridoi vi possono essere tratte congestionate alternate a tratte con modesti traffici. Prevedere una continuità di investimenti per ragioni geometriche può dar luogo ad un uso molto inefficiente di risorse pubbliche, oggi drammaticamente scarse»;
altro aspetto valutato in modo nettamente negativo è quello relativo al bilancio energetico-ambientale. Secondo i firmatari dell'appello in questione: «Esiste una vasta letteratura scientifica nazionale e internazionale, da cui si desume chiaramente che i costi energetici e il relativo contributo all'effetto serra da parte dell'alta velocità sono enormemente acuiti dal consumo per la costruzione e l'operatività delle infrastrutture (binari, viadotti, gallerie), nonché dai più elevati consumi elettrici per l'operatività dei treni, non adeguatamente compensati da flussi di traffico sottratti ad altre modalità. Non è, pertanto, in alcun modo ipotizzabile un minor contributo all'effetto serra, neanche rispetto al traffico autostradale di merci e passeggeri. Le affermazioni in tal senso sono basate sui soli consumi operativi (trascurando le infrastrutture) e su assunzioni di traffico crescente (prive di fondamento, a parte alcune tratte e orari di particolare importanza)»;
per finire con il nodo relativo al pericolo di sottrarre risorse al benessere del Paese, la nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con un costo totale del tunnel transfrontaliero di base e tratte nazionali, previsto intorno ai 20 miliardi di euro (e una prevedibile lievitazione fino a 30 miliardi di euro e forse anche di più, per l'inevitabile adeguamento dei prezzi già avvenuto negli altri tratti di alta velocità realizzati), penalizzerebbe l'economia italiana con un contributo al debito pubblico dello stesso ordine della manovra economica che il Governo ha messo in atto per fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria che il Paese attraversa;
è legittimo domandarsi come e a quali condizioni potranno essere reperite le ingenti risorse necessarie a questa faraonica opera e quale sarà il ruolo del capitale pubblico. Alcune stime fanno pensare che grandi opere come Tav e ponte sullo Stretto di Messina in realtà nascondano ingenti rischi per il rapporto debito/prodotto interno lordo del nostro Paese, costituendo sacche di debito nascosto, la cui copertura viene attribuita a capitale privato, di fatto garantito dall'intervento pubblico;
numerosi studi elaborati da docenti del Politecnico di Torino e di altre università italiane, inoltre, chiedono con forza di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo l'effettiva necessità dell'opera in questione, anche e soprattutto alla luce dell'attuale congiuntura economica-finanziaria in cui versa il nostro Paese;
si rileva, inoltre, che anche l'Agenzia nazionale per l'ambiente francese, secondo quanto si apprende dalla stampa nazionale, nel dicembre 2011 avrebbe diffuso un dossier particolarmente critico sulla realizzazione del Fréjus ferroviario;
altre criticità sono state sollevate da più parti in relazione alla circostanza che, sebbene il citato Osservatorio tecnico sulla Torino-Lione abbia prodotto proposte interessanti, non si sia mai premurato di includere nell'ambito del proprio lavoro un confronto sull'effettiva utilità del tunnel di base e le possibili alternative;
la Corte dei conti francese, nel rapporto annuale di febbraio 2012, ha anche espresso forti critiche all'Autostrada ferroviaria alpina (Afa) tra Italia e Francia, affermando che i servizi di trasporto combinato strada-rotaia tra i due Paesi devono ancora dimostrare di essere convenienti ed efficienti;
la medesima Corte, nel rapporto del 1o agosto 2012, ha espresso la necessità di una revisione profonda dei finanziamenti per l'alta velocità e il quotidiano Le Figaro ha riportato tutte le perplessità che sono emerse sulla saturazione della linea esistente, in considerazione dell'andamento dell'economia. Il Governo francese si è dichiarato disponibile al proseguimento dell'iniziativa a patto di ridiscutere i riparti di spesa e di ottenere un massiccio intervento dell'Europa. Il Commissario dei trasporti dell'Unione europea, Siim Kallas, ha dichiarato che l'intervento riguarda i due Stati. La situazione presenta, quindi, aspetti assolutamente contraddittori rispetto al quadro sin ora rappresentato di totale condivisione del progetto e merita un esame più approfondito, come richiesto da tempo dagli amministratori locali;
il Governo pro tempore, nel 2012, in risposta alle criticità sollevate da più parti sull'opera in questione, ha pubblicato un documento dal titolo «Tav Torino Lione. Domande e risposte, marzo 2012», dove spiega i motivi per i quali ha riconfermato la Torino Lione come opera strategica per il nostro Paese, adducendo ragioni di tipo ecologico, occupazionale e di saturazione delle linee esistenti, con taglio propagandistico piuttosto che tecnico e basato su effettivi dati e proiezioni attendibili sull'evoluzione dell'economia europea nel prossimo futuro;
tale documento, anziché dare risposte convincenti, ha evidenziato ancora di più la carenza di reali ragioni trasportistiche a giustificazione dell'opera, introducendo elementi del tutto estranei alla logica del «fare le opere se, quando e dove servono» e non ha naturalmente placato la furiosa polemica e la tensione sociale sulla Torino-Lione. Effetti questi che bisognerebbe superare definitivamente per ripristinare un serio confronto politico sulle decisioni da attuare nel settore dei trasporti e delle infrastrutture;
a fronte della gravissima crisi occupazionale che sta investendo l'Italia, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'opera in questione potrebbe dar luogo nel prossimo futuro a un migliaio di posti di lavoro a fronte di una spesa di svariati miliardi di euro e, quindi, con un rapporto occupazione/investimento ridottissimo rispetto ad altri progetti su piccole opere o a politiche per la riduzione del costo del lavoro. Sarebbe, comunque, auspicabile avviare un'ulteriore e seria riflessione per verificare con estrema esattezza se, al riguardo, siano state prese in considerazione tutte le opzioni possibili e se l'ordine di priorità stabilito corrisponda realmente a quello giusto;
il segmento della linea ferroviaria Torino-Lione è incluso nell'asse 6, uno dei 30 assi transeuropei TEN-T core network, come da decisione n. 661/2010/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 luglio 2010 (allegato III), che ha confermato la decisione n. 884/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 (allegato II). L'asse 6 Lione-Trieste-Divaèa/Koper-Divaèa-Lubiana-Budapest-frontiera ucraina (corrispondente al vecchio corridoio 5) non è previsto ad alta velocità dalle stesse decisioni del Parlamento europeo e dal Consiglio europeo già citate, mentre ad alta velocità sono, invece, espressamente previsti gli assi 2, 3, 4 e 19;
pertanto, l'Europa ha previsto l'asse 6 come linea convenzionale e non ad alta velocità/alta capacità;
pertanto, l'asse 6 – ossia il segmento presente sul territorio italiano – esiste già ed è stato oggetto di lavori di riammodernamento con una spesa di circa 400 milioni di euro;
i predetti lavori, appena conclusi, permettono il passaggio dei moderni profili standard PC45 (profili maggiori non possono percorrere le linee italiane, francesi e spagnole);
anche ai più convinti sostenitori di tale progetto infrastrutturale, stante la drammatica crisi economica in cui versa il nostro Paese, dovrebbe apparire evidente come la realizzazione di un progetto così impegnativo per le finanze dello Stato e perfettamente inutile rispetto a quanto previsto dall'Europa, sia del tutto incompatibile con l'ordine di priorità di destinazione delle risorse che dovrebbe essere applicato e tale principio dovrebbe entrare con forza nell'agenda politica di qualsiasi Governo,
impegna il Governo:
a porre in essere ogni iniziativa presso le competenti sedi dell'Unione europea affinché, anche in considerazione della situazione di gravissima crisi economica che sta interessando il nostro Paese, venga accertato che l'asse 6 non è previsto dall'Europa ad alta velocità/alta capacità, nonché venga accertato se tutti i Paesi appartenenti all'Unione europea coinvolti dall'attraversamento nell'asse 6 citato abbiano confermato senza riserve la loro adesione alla realizzazione di tale progetto infrastrutturale;
a porre in essere ogni atto di competenza teso ad abbandonare definitivamente il progetto della nuova linea Torino-Lione e a chiudere conseguentemente le attività in essere presso il cantiere nel comune di Chiomonte.
(1-00048)
«Airaudo, Castelli, Migliore, Della Valle, Di Salvo, Crippa, Melilla, Fico, Daniele Farina, Sorial, Claudio Fava, Caso, Lavagno, Lupo, Piras, Gallinella, Pellegrino, L'Abbate, Costantino, Zaccagnini, Nardi, Benedetti, Duranti, Massimiliano Bernini, Quaranta, Parentela, Marcon, Gagnarli, Boccadutri, Busto, Lacquaniti, Daga, Ferrara, Carinelli, Matarrelli, Dadone, Aiello, Franco Bordo, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Piazzoni, Pilozzi, Placido, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Zan, Zaratti, Alberti, Agostinelli, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Catalano, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Currò, Da Villa, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Di Vita, Manlio Di Stefano, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fraccaro, Frusone, Furnari, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, Labriola, Liuzzi, Lorefice, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Spadoni, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
(22 maggio 2013)
La Camera,
premesso che:
le analisi economiche, scientifiche e ambientali che in sede europea sono state fatte negli ultimi anni dimostrano l'importanza strategica delle reti di trasporto su rotaia TEN-T per lo sviluppo dei prossimi decenni;
l'Europa deve recuperare competitività nei confronti delle nuove potenze economiche mondiali e si stima che una rete di trasporto passeggeri-merci efficiente possa determinarne un incremento del 17 per cento;
con la globalizzazione dei mercati il flusso mondiale delle merci è in costante aumento e, dopo il momentaneo calo del 2009, ha ripreso a salire in modo importante, sia in importazione sia in esportazione, e produce ricchezza e crescita, economica e occupazionale;
il recente documento europeo sul settore stima nel 30 per cento l'aumento dell'occupazione nella logistica entro il 2020;
in Germania, a seguito di una politica mirata, la logistica è il terzo settore per occupazione con 2,6 milioni di addetti; i margini di crescita sono, dunque, molto alti per l'Italia, dove gli occupati sono appena 1 milione;
il Governo Berlusconi, nel corso del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea del 2003, aveva sostenuto durante i lavori del gruppo Van Meert l'inserimento del corridoio Genova-Rotterdam come prioritario; nel giugno del 2008 chiese la rivisitazione dei corridoi ferroviari strategici in vista del loro collegamento con il Mar Mediterraneo e, in particolare, con le economie emergenti dei Paesi che si affacciano su questo mare;
in questi anni, grazie alle misure contenute nel «collegato trasporti» del 2002, che incentivano l'intermodalità ferroviario-marittima, si sono sviluppate notevolmente le cosiddette autostrade del mare, con lo spostamento su di esse del carico di circa 600.000 tir;
la Commissione europea, nella sua decisione del 19 ottobre 2011, ha indicato i dieci corridoi ferroviari necessari per un'efficiente rete di trasporti, peraltro indispensabile a raggiungere gli obiettivi di Kyoto sulla sostenibilità ambientale; fra questi c’è la nuova linea ferroviaria Torino-Lione, che ha ricevuto così il via libera ai finanziamenti comunitari 2014/2020 per le reti TEN-T;
attraverso la realizzazione di questi dieci corridoi, tutti collegati con i porti più importanti d'Europa, sarà possibile trasferire dalla strada alla rotaia il 30 per cento del trasporto merci entro il 2030 e il 50 per cento entro il 2050;
la Tav è la parte centrale del corridoio mediterraneo, ritenuto indispensabile a livello europeo per un efficiente reticolo di trasporto su rotaia. La Tav, incrociando nella pianura padana i corridoi sud-nord Genova-Rotterdam e Brennero-Berlino, per il corridoio adriatico metterà in rete con l'Europa tutte le nostre strutture logistiche pubbliche e private e consentirà alla pianura padana di diventare la più grande area logistica del sud Europa con importanti ricadute economiche ed occupazionali;
per quel che riguarda le attività proprie del Governo italiano e del Parlamento, il 20 ottobre 2010 la Camera dei deputati ha approvato all'unanimità quattro mozioni che impegnavano il Governo:
a) a confermare la valenza strategica della realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione come asse decisivo per i collegamenti europei;
b) a garantire un adeguato piano finanziario con programmazione pluriennale che copra l'intero ammontare dell'opera;
c) a confermare i fondi – circa 200 milioni di euro – previsti nel primo atto aggiuntivo all'intesa generale quadro dell'11 aprile 2009, necessari a realizzare gli interventi prioritari di prima fase;
d) ad assumere iniziative per garantire un primo stanziamento per la realizzazione delle opere previste dal piano strategico, sia infrastrutturale sia intermodale, per il completo utilizzo della nuova opera, approvato dalla provincia di Torino e dalla regione Piemonte;
in tale contesto il Governo si è impegnato a monitorare tutte le fasi della realizzazione dell'opera, affinché la salute dei cittadini e il territorio vengano preservati;
il 3 agosto 2011 il Cipe ha approvato il progetto preliminare della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, progetto che prevede il cosiddetto «fasaggio», ovvero la realizzazione per fasi dell'infrastruttura, con un rilevante risparmio sui costi;
nel mese di settembre 2011 si è svolta la riunione del comitato intergovernativo tra Italia e Francia per la firma del nuovo accordo internazionale sulla ripartizione delle spese, con la riduzione della quota a carico dell'Italia dal 63 al 60 per cento; con la ratifica di tale accordo tutte le condizioni richieste dall'Unione europea saranno rispettate; l'accordo è stato firmato a Roma il 30 gennaio 2012 nel quadro della programmazione europea della rete «Connecting Europe» per la realizzazione e l'esercizio della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino-Lione (compresi i nodi di St. Jean de Maurienne e di Susa);
il 29 marzo 2012 è stata approvata la mozione 1-00980, sottoscritta congiuntamente da tutti i gruppi della Camera, che, nel riconfermare gli impegni precedenti, ha chiesto al Governo di dare concreta attuazione alle misure di inserimento territoriale e ambientale della linea e alle misure di sollievo alle popolazioni interessate, allocando le risorse secondo un criterio di proporzionalità rispetto all'impatto subito;
entro il 31 dicembre 2013 è prevista la conclusione dell’iter di approvazione del progetto definitivo, con un'ulteriore valutazione di impatto ambientale, così da consentire l'apertura dei cantieri;
la non realizzazione della Tav, ritenuta strategica per prima dall'Europa, oltre a indebolire l'efficienza della rete europea, escluderebbe il Piemonte dal flusso degli scambi economici e commerciali del futuro, con pesanti e durature conseguenze sul piano economico e sociale,
impegna il Governo:
a confermare la valenza strategica della realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione;
ad assumere tutte le iniziative economiche e normative che garantiscano la fattibilità dell'opera, di interesse nazionale e transnazionale;
a monitorare costantemente tutte le fasi della realizzazione dell'opera, sia preliminari sia definitive, affinché la salute dei cittadini e il territorio vengano preservati;
a reperire ulteriori fondi finalizzati agli interventi di accompagnamento e inserimento nel territorio della nuova linea Torino-Lione, con particolare riferimento alla sezione transfrontaliera e ai comuni sede di cantiere, tenendo conto di quanto previsto dal piano strategico per il territorio interessato dalla direttrice Torino-Lione, dall'accordo Stato-regione del 28 giugno 2008 (cosiddetto accordo di Pracatinat) e dall'atto aggiuntivo del 23 gennaio 2009;
a dare piena attuazione all'accordo tra Italia e Francia, firmato a Roma il 30 gennaio 2012, per la realizzazione e l'esercizio della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, anche mediante presentazione del relativo disegno di legge di ratifica.
(1-00033)
«Costa, Capezzone, Calabria, Vito, Baldelli».
(8 maggio 2013)
La Camera,
premesso che:
il 29 gennaio 2001, sulla base della necessità di favorire un migliore equilibrio tra le diverse modalità di trasporto, in particolare nella zona sensibile delle Alpi, nel rispetto degli obiettivi e degli orientamenti contenuti nel Piano generale dei trasporti e della logistica in Italia, è stato siglato un accordo fra Italia e Francia per la realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario misto merci-viaggiatori tra Torino e Lione, ratificato con la legge 27 settembre 2002, n. 28;
l'asse ferroviario Lione-Torino-Milano-Venezia-Trieste, garantendo una significativa riduzione dei costi di attraversamento della tratta alpina e dei tempi di percorrenza e l'incremento, rispetto agli attuali standard, della qualità e dell'affidabilità del servizio offerto (passeggeri e merci), si prefigge di promuovere il riequilibrio modale a favore del trasporto ferroviario, mediante il quale sarà possibile perseguire una riduzione dell'inquinamento, nonché il miglioramento della sicurezza dei traffici;
nell'ambito dello sviluppo di una rete ferroviaria europea, il corridoio mediterraneo mira ad assicurare la connessione tra il quadrante occidentale europeo e l'Europa centro-orientale, attraverso una rete transeuropea di merci e passeggeri, che, fungendo da contrappeso all'asse Reno-Danubio e da alternativa alle direttrici ovest-est più a nord (tra cui la Rotterdam- Kiev), favorisca gli scambi economici e rafforzi la competitività dei Paesi dell'Europa mediterranea;
per quanto riguarda l'Italia, il corridoio mediterraneo rappresenta una delle principali reti a supporto del tessuto industriale, sia per la maggiore accessibilità sulla direttrice est-ovest, sia per la connessione, attraverso i nodi dislocati sul suo tracciato, con tutti i corridoi TEN-T passanti per l'Italia, ovvero il Genova-Rotterdam (attraverso i nodi di Milano e Novara), l'Helsinki-La Valletta (attraverso Verona) e il Baltico-Adriatico (presso Padova e Cervignano del Friuli), incrementando in questo modo la capacità di scambio con l'Europa e ampliando il bacino di riferimento dei principali gateway portuali localizzati in Italia, in particolare l'Arco del Nord Adriatico e l'Arco del Nord Tirreno;
il 30 gennaio 2012 è stato firmato, dalle autorità politiche italiana e francese, l'accordo per la realizzazione e l'esercizio di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, un protocollo addizionale al trattato di Torino del 2001, in cui si stabilisce la realizzazione della nuova linea Torino-Lione per fasi funzionali;
il 31 gennaio 2013 è stato presentato presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici del Ministero delle infrastrutture e trasporti il progetto definitivo della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, approvato da Lyon Turin ferroviaire (LTF), società responsabile dell'opera;
l'intero progetto, modificato come tracciato e modalità realizzative rispetto allo studio originario del 2005 in un'ottica di maggiore attenzione alle necessità del territorio, interessa complessivamente 112 comuni tra Lione e Torino. Tutti gli 87 comuni francesi e la maggioranza di quelli italiani non si sono opposti all'opera. I comuni italiani contrari sono circa una dozzina, ma, se si considerano quelli direttamente interessati dalla realizzazione di tratte in superficie e/o cantieri, sono solo due le amministrazioni esplicitamente contrarie (Chiusa San Michele e Sant'Ambrogio di Torino – 6.500 abitanti);
le comunità locali disponibili al dialogo, direttamente o attraverso loro esperti, sono state partecipi di un confronto continuo durante l'intero processo di definizione delle scelte, dalle prime ipotesi di tracciato fino al progetto definitivo, ed è di fondamentale importanza che le parti coinvolte continuino a dialogare;
l'Osservatorio Torino-Lione è stata la sede di questo confronto con 204 sedute (dal 12 dicembre 2006 al 29 gennaio 2013), 10 gruppi di lavoro e oltre 300 audizioni, di cui 65 internazionali, nel cui ambito sono state considerate 11 alternative di tracciato e alla fine è stato individuato il corridoio migliore, anche sulla base dei suggerimenti delle comunità locali raggruppate in 5 ambiti territoriali omogenei;
l'attuale Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, onorevole Maurizio Lupi, ha manifestato grande attenzione al progetto, facendo visita ai cantieri dell'opera, esprimendo solidarietà agli operai e alle forze dell'ordine e partecipando, presso la regione Piemonte, alla riunione della task force operativa della Torino-Lione insieme alle istituzioni e agli enti locali interessati dalla tratta;
pochi giorni fa, il 30 maggio 2013, il Cipe ha stabilito la rimodulazione delle risorse (10 milioni di euro) per la Valsusa come compensazione. La lista delle opere, condivisa da regione, provincia e comuni valsusini è piuttosto grande e vale circa 40 milioni di euro. Sarà, quindi, stilato un ordine di priorità per il finanziamento delle opere;
nei prossimi giorni, il 13 giugno 2013 precisamente, sarà convocata la conferenza dei servizi per la verifica e l'approvazione del progetto definitivo della Torino-Lione;
molti Paesi europei, fra cui Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svizzera, hanno sviluppato le linee ad alta velocità e nel resto del mondo anche Cina, Corea, Giappone e Turchia, con il favore di tutta la popolazione. In Francia la tratta ad alta velocità esiste dal settembre 1981: Parigi-Lione e il sistema Tgv hanno festeggiato, il 28 novembre 2003, il primo miliardo di passeggeri trasportati dall'inaugurazione del servizio; così come in Svizzera, da parecchi anni, si stanno scavando vari tunnel e costruendo viadotti per la realizzazione di una complessa rete ferroviaria ad alta velocità con il consenso di tutti i cittadini. Nel mondo, il nostro Paese è al settimo posto, come chilometri di ferrovia ad alta velocità in servizio, dopo Cina, Spagna, Giappone, Francia, Germania e Turchia;
la linea Torino-Lione garantirà sensibili miglioramenti nei tempi di transito dei servizi ferroviari passeggeri, riducendo la distanza tra Milano e Lione, Parigi, Barcellona, Londra, Madrid, Bruxelles. Inoltre, la nuova linea ferroviaria mira ad adeguare la tecnica ferroviaria sulle direttrici transfrontaliere ai più moderni standard internazionali, eliminando le problematiche legate all'attraversamento in quota delle Alpi, attraverso la realizzazione di una linea di pianura con pendenza massima del 12 per cento e una sagoma ammessa tra le più elevate nel panorama dei tunnel ferroviari transalpini. Si stima che la nuova linea garantirà una riduzione media dei costi operativi ferroviari del 42 per cento fra Torino e Lione, grazie all'ottimizzazione del peso e della sagoma dei carichi, della lunghezza dei treni e del superamento della necessità di utilizzo dei locomotori di spinta nella tratta di attraversamento delle Alpi;
è necessario dotare il nostro Paese di un'infrastruttura che, oltre all'ammodernamento del sistema Paese, porta indubbi benefici per i territori in cui si colloca, considerando l'aumento della competitività del Piemonte e delle regioni attraversate e i nuovi posti di lavoro derivanti da nuovi insediamenti industriali e dallo sviluppo della logistica,
impegna il Governo
a mettere in atto ogni azione necessaria, anche agevolando il dialogo fra le parti interessate, per garantire il prosieguo dei lavori volti alla realizzazione della nuova linea Torino-Lione, al contempo vigilando sui criteri e le modalità di ripartizione delle risorse compensative.
(1-00064)
«Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giovanni Fava, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Marguerettaz, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(3 giugno 2013)