Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Introduzione dell'aggravante di "negazionismo"- A.C. 2874 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2874/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 291
Data: 15/04/2015


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Introduzione dell'aggravante di "negazionismo"

15 aprile 2015
Schede di lettura


Indice

La normativa internazionale ed europea|Contenuto|La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (in collaborazione con l'Avvocatura della Camera)|Il reato di negazionismo in alcuni Paesi europei ed extraeuropei (a cura del Servizio Biblioteca)|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|


L'articolo unico della proposta di legge C. 2874, approvata in prima lettura dal Senato l'11 febbraio 2015:

A tali fini, oltre al codice penale, la proposta di legge modifica la legge n. 654 del 1975 (Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966), come modificata nel corso del tempo e in particolare dalla "legge Mancino" (decreto-legge n. 122/1993).

Il provvedimento è stato approvato dal Senato dopo una complessa trattazione, in cui sono state elaborate diverse stesure del progetto.
Rispetto al primo testo della Commissione Giustizia, che introduceva nell'art. 414 del codice penale (istigazione a delinquere) un autonomo reato di negazionismo, la nuova formulazione ha inteso ovviare sia alle perplessità e criticità emerse nel corso del dibattito sul rischio di introdurre un mero reato di opinione, sia alla necessità di elaborare un testo in grado di contemperare le esigenze poste dalle fonti internazionali ed europee in materia di contrasto del negazionismo con quelle della tutela della libertà di espressione del pensiero di cui all'art. 21 della Costituzione.
Quanto all'utilizzazione del termine "negazionismo", va precisato che - mentre con il termine "revisionismo" si indica la tendenza storiografica a rivedere le opinioni storiche consolidate sulla base di nuove interpretazioni o valutazioni, con il risultato di operare una reinterpretazione della storia - con il "negazionismo", secondo l'accezione più ampia generalmente accolta, si esclude invece la stessa esistenza dell'olocausto facendo riferimento, di solito, a quelle dottrine secondo cui il genocidio - in particolare quello degli ebrei da parte dei nazisti - non è mai avvenuto o, nel migliore dei casi, è stato dagli storici molto sopravvalutato. 

Il fenomeno del negazionismo si è manifestato con portata e in misura diversa a seconda dei Paesi europei, i quali hanno reagito in tempi e con risposte differenti. Il negazionismo è attualmente punito espressamente in Germania, in Francia, in Austria, in Belgio, in Spagna, in Portogallo e in Svizzera.

La normativa internazionale ed europea

Sono numerose in ambito internazionale le normative che, pur affermando il diritto alla libera manifestazione del pensiero, allo stesso tempo vietano la discriminazione ed in particolare la forma della propaganda razzista, permettendo una deroga o una limitazione della libertà di opinione. Oltre alla Carta delle Nazioni Unite del 1945, ci si riferisce ad esempio alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 (art. 19), alla Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma aNew York nel 1966, al Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (artt. 19 e 20).

Più recentemente, e in maniera più stringente in funzione antinegazionista, su proposta degli Stati Uniti, è stata approvata (con la sola opposizione dell'Iran) il 26 gennaio 2007 dall'ONU una risoluzione la cui parte dispositiva ha soltanto due paragrafi: "Condanna senza alcuna riserva qualunque negazione dell'Olocausto" e "chiede a tutti gli stati membri di respingere senza riserve ogni negazione, totale o parziale, dell'olocausto come fatto storico e tutte le attività che hanno questo fine". La data della risoluzione non appare casuale in quanto, nel novembre del 2005, dalle Nazioni Unite fu scelto il 27 gennaio come Giornata Internazionale per la commemorazione delle vittime dell'Olocausto.

Si ricorda poi il Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest del 2001 sui crimini informatici, adottata dal Consiglio d'Europa nel 2001, già siglata e ratificata dall'Italia con legge 18 marzo 2008, n. 48.

Il Protocollo, adottato dal Consiglio d'Europa nel 2003, è stato invece sottoscritto dall'Italia il 9 novembre 2011, ma non ancora ratificato.

Mentre la Convenzione prevede per i crimini informatici strumenti procedurali e investigativi adeguati ad Internet, il Protocollo addizionale interessa il contrasto a forme di xenofobia e razzismo con i mezzi informatici e comporta, tra l'altro, per gli Stati aderenti l'adozione di norme di diritto interno per la repressione del negazionismo di tutti i genocidi.

In Europa, a livello sovranazionale, va ricordato il contenuto della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo che prevede sia la libertà di espressione e di opinione (art. 10) che il divieto dell'abuso di diritto (art. 17).

La decisione quadro del Consiglio dell'Unione Europea sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia (ora Decisione quadro 2008/913/GAI) mira all'estensione a tutti gli Stati membri della punizione del razzismo e della negazione dei genocidi, in particolare della negazione dell'Olocausto, già reato in altri Paesi membri. La decisione doveva essere attuata entro il 28 novembre 2010.

L'antecedente normativo della citata decisione quadro è costituito dall'azione comune 96/443/GAI che offre la prima definizione a livello europeo di condotte riconducibili al negazionismo ovvero gli "atti di apologia pubblica, a fini razzisti o xenofobi, dei crimini contro l'umanità e delle violazioni dei diritti dell'uomo, nonché della negazione pubblica dei crimini definiti all'articolo 6 dello Statuto del Tribunale militare internazionale di Norimberga". La relativa punibilità è tuttavia subordinata alla condizione che la negazione "comprenda un comportamento sprezzante e degradante" nei confronti del gruppo che ne è vittima. Il negazionismo non viene quindi punito in quanto tale, come espressione di un'opinione, bensì soltanto se si concretizza nell'indicato comportamento offensivo nei confronti delle vittime.

In particolare, la decisione quadro prevede come punibili (con pene detentive massime da 1 a 3 anni), in quanto reati penali, determinati atti commessi con intento razzista o xenofobo, tra cui "la apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei cri­mini di guerra, quali definiti agli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, dirette pubblica­mente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all'ascendenza o all'origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all'odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro". Analoga previsione riguarda i crimini definiti all'articolo 6 dello statuto del Tribunale mi­litare internazionale (accordo di Londra dell'8 agosto 1945). Tuttavia, la decisione quadro permette agli Stati membri di limitare ulteriormente l'area della punibilità, potendosi perseguire soltanto i comportamenti atti a "turbare l'ordine pubblico o che siano minacciosi, offensivi o ingiuriosi". 

La Relazione del 27 gennaio 2014 (COM(2014)27) della Commissione Europea (al Parlamento e al Consiglio) sull'attuazione della decisione quadro 2008/913/GAI ha evidenziato che  "diversi Stati non hanno recepito in pieno o correttamente tutte le disposizioni della decisione quadro". Eccezion fatta per le previsioni riguardanti le sanzioni penali, per le quali le misure nazionali risultano in linea con quelle contenute nella decisione quadro, la Commissione riferisce che esistono evidenti lacune nell'attuazione delle misure riguardanti soprattutto i reati di negazione, apologia, o minimizzazione grossolana dei crimini previsti, la motivazione razzista e xenofoba dei reati, la responsabilità delle persone giuridiche e la giurisdizione. In particolare, per quanto riguarda la negazione, l'apologia o la minimizzazione del genocidio, dei crimini contro l'umanità e di quelli di guerra definiti dallo Statuto della Corte penale internazionale(6), a fronte di 8 Stati membri (tra cui Bulgaria, Ungheria, Lettonia Cipro e Slovacchia) che considerano reati questi tre tipi di comportamento, ben 13 Stati (tra cui Regno Unito, Belgio, Germania e Olanda) non prevedono disposizioni penali al riguardo. In altri Stati si menzionano espressamente solo alcuni di questi comportamenti (l'"apologia" in Francia, Spagna, Italia e Polonia, la "negazione" in Portogallo, e in Romania entrambe, seppur con limitazioni(8) ). Inoltre, in Spagna e in Italia si fa riferimento al solo crimine di genocidio. Per quanto riguarda i crimini definiti dallo Statuto del Tribunale militare internazionale, solo 6 Stati membri (tra cui Belgio, Repubblica ceca, Germania, Ungheria e Lettonia), fanno riferimento al "regime nazista" e alla "Germania nazista", come autori dei crimini. In particolare, il Belgio menziona solo il "genocidio", mentre la Repubblica ceca e l'Ungheria il "genocidio" e altri crimini di guerra. Ben 15 Stati membri (tra cui Belgio, Danimarca, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito, Portogallo, Finlandia) non prevedono disposizioni specifiche che qualifichino come reato l'apologia, la negazione o la minimizzazione dell'Olocausto. In alcuni di essi (Paesi bassi, Finlandia e Regno unito), tali comportamenti sono oggetto di condanna sulla base di disposizioni di diritto penale riferite in generale all'istigazione, ai contrasti etnici o all'incitamento all'odio.

Contenuto

L'Le modifiche alla legge 654/1975articolo unico della proposta di legge è suddiviso in due commi.

Il comma 1 modifica anzitutto l'articolo 3, comma 1, della legge 13 ottobre 1975, n. 654, che  - nel testo modificato da ultimo dalla legge 85 del 2006 (Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione) - attualmente punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato:

- alla lett. a),  con la pena della reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;

- alla lett. b), con la reclusione da sei mesi a quattro anni, chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Il comma 3 dell'art. 3 della legge n. 654 (il secondo comma è stato soppresso dalla legge Mancino n. 205/1993)  vieta, inoltre, ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e ne sanziona con pene detentive la partecipazione (da sei mesi a quattro anni) e la promozione o direzione (da uno a sei anni).

Sul piano nazionale, oltre alla citata normativa,  va ricordata la legge 9 ottobre 1967, n. 962 (Prevenzione e repressione del delitto di genocidio) il cui articolo 8 punisce con la reclusione da tre a dodici anni la pubblica istigazione e apologia dei delitti di genocidio (indicati dagli artt. da 1 a 5 della legge). L'art. 1 punisce gli atti "concreti" volti a distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, provocando la morte o lesioni personali gravi o gravissime; l'art. 2 punisce la deportazione a fini di genocidio; l'art. 3 prevede un'aggravante in caso di morte; gli artt. 4 e 5 puniscono il genocidio, rispettivamente, mediante limitazione delle nascite o sottrazione di minori.

Le modificazioni introdotte dalla proposta di legge all'art. 3 della legge n. 654/1975:

  • circoscrivono  - alle lettere a) e b) del comma 1 -  la rilevanza penale della istigazione alle sole condotte commesse "pubblicamente"; pertanto in entrambe le lettere, dopo la parola "istiga" è inserita la parola "pubblicamente".

Le due modificazioni interessano quindi le fattispecie di carattere generale per gli atti discriminatori o di violenza, indicate dalle citate lettere a) e b) della legge 654 di cui è delimitato il campo di applicazione.

Si osserva che con le modificazioni alle lettere a) e b) dell'art. 3 della legge 654 risulterebbero depenalizzate le condotte, oggi sanzionate, di istigazione "non pubblica" per fini discriminatori o di violenza, con conseguente efficacia retroattiva delle disposizioni di maggior favore (v. art. 2 del codice penale sulla successione di leggi penali).

Si valuti poi se la nuova fattispecie di istigazione a commettere atti di discriminazione di cui alla lettera a) dell'art. 3 della legge 654, ora connotata dal carattere pubblico, possa risultare assorbita dalla fattispecie generale di istigazione prevista dall'art. 414 c.p. Infatti, la clausola di salvaguardia con cui esordisce l'art. 3 della legge 654 ("salvo che il fatto costituisca più grave reato") potrebbe rendere inapplicabile l'istigazione pubblica a commettere atti di discriminazione (pena massima di un anno e mezzo di reclusione o multa), in quanto tale condotta sarebbe punita più severamente dall'art. 414 c.p. (chiunque pubblicamente istiga a commettere delitti è punito, in base alla proposta di legge, con la reclusione da uno a tre anni). 

  • L'aggravante di negazionismoprevedono - con un comma aggiuntivo 3-bis - un aumento di pena, nei casi in cui la propaganda, la pubblica istigazione e il pubblico incitamento si fondino "in tutto o in parte sulla negazione della Shoah ovvero dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra" come definiti dallo Statuto della Corte penale internazionale (artt, 6, 7 e 8), ratificato dall'Italia con la legge 232 del 1989.

Si ricorda che l'utilizzo del termine "Shoah" è già utilizzato dal legislatore italiano. Si vedano infatti: la legge 211/2000 ( Istituzione del «Giorno della Memoria» in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti), che usa tale termine all'articolo 1; la legge 91/2003 (Istituzione del Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah) e la legge 208/2005 (Concessione di un contributo al Museo nazionale della Shoah).

In particolare, il crimine di genocidio ai sensi dell'art. 6 del citato Statuto della Corte penale internazionale è definito da uno seguenti atti commessi nell'intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, e precisamente: a) uccidere membri del gruppo; b) cagionare gravi lesioni all'integrità fisica o psichica di persone appartenenti al gruppo; c) sottoporre deliberatamente persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da comportare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo stesso; d) imporre misure volte ad impedire le nascite in seno al gruppo; e) trasferire con la forza bambini appartenenti al gruppo ad un gruppo diverso.

Si valuti se, con riguardo alla istigazione "pubblica" a commettere atti discriminatori, quanto sopra osservato (sulle modificazioni all'art. 3 della legge 654) sulla individuazione della sanzione applicabile in base alla clausola di salvaguardia ("salvo che il fatto costituisca più grave reato") possa interessare anche la nuova aggravante.

Inoltre, l'aggravante indica la condotta di "pubblico incitamento" mentre la fattispecie base in cui è richiamato l'incitamento (comma 3 dell'art. 3 della legge Mancino: è vietata ogni forma organizzativa avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza) non prevede il requisito del carattere pubblico.

La punizione del negazionismo a titolo di aggravante del reato presupposto, come emerge chiaramente dai lavori parlamentari, è mirata ad evitare l'introduzione di un reato di opinione, suscettibile di confliggere con il diritto di manifestazione del pensiero garantito dall'art. 21 della Costituzione.

La modifica all'art. 414 c.p.Il comma 2 dell'articolo 1 della proposta di legge poi, - secondo quanto emerge dal dibattito svolto al Senato - ha l'obiettivo di assicurare una coerenza sistematica sul piano sanzionatorio. Esso modifica il numero 1) del primo comma dell'articolo 414 del codice penale, riducendo da cinque a tre anni di reclusione il limite massimo di pena previsto per il reato di istigazione a commettere un delitto.

L'articolo 414 c.p. punisce chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati, per il solo fatto dell'istigazione:
1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;
2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.
Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel n. 1.
Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e dal secondo comma è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
Fuori dei casi di cui all'articolo 302, se l'istigazione o l'apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità la pena è aumentata della metà. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici

La riduzione a tre anni della pena edittale massima si riflette anche sulla pena prevista dall'ultimo comma dell'art. 414 c.p. per l'istigazione o l'apologia concernente delitti di terrorismo, oggetto del recente decreto-legge 7/2015, volto invece a incrementare il sistema punitivo nei confronti del terrorismo.

Il disegno di legge di contrasto all'omofobia, all'esame del SenatoSi ricorda che, nell'attuale legislatura, l'articolo 3 della legge n. 654/1975 è già stato oggetto di esame in relazione alla proposta di legge di contrasto all'omofobia e transfobia, approvata dalla Camera il  19 settembre 2014 ed attualmente all'esame del Senato (S. 1052). ll provvedimento:

  • modifica l'articolo 3, inserendo tra le condotte di istigazione, violenza e associazione finalizzata alla discriminazione anche quelle fondate sull'omofobia o sulla transfobia. Conseguentemente, il provvedimento punisce con la reclusione fino a un anno e 6 mesi o la multa fino a 6.000 euro chi «istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi» fondati sull'omofobia o transfobia; con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chi in qualsiasi modo «istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi» fondati sull'omofobia o transfobia; con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque partecipa - o presta assistenza - ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi fondati sull'omofobia o transfobia. La pena per coloro che le promuovono o dirigono è la reclusione da 1 a 6 anni.
  • chiarisce che, ai sensi della legge n. 654, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, una serie di condotte riconducibili alla libertà di manifestazione del pensiero, anche all'interno di alcuni tipi di organizzazioni

Si consideri l'eventuale necessità di un coordinamento tra le concorrenti modificazioni all'art. 3 della legge Mancino.

Precedenti parlamentari e governativiNel corso della passata legislatura una analoga proposta di legge (S 3511), volta a introdurre nell'ordinamento il reato di negazionismo, è stata oggetto di esame da parte del Senato.

Anche questo provvedimento si componeva di un solo articolo che, integrando l'articolo 3 della legge n. 654 del 1975, sanzionava con la reclusione fino a tre anni l'apologia o la negazione dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale, e dei crimini definiti dall'articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale, allegato all'Accordo di Londra dell'8 agosto 1945 (Tribunale di Norimberga). La disposizione delimitava l'ambito di applicazione della norma introducendo, con riguardo all'apologia, il requisito dell'idoneità a turbare l'ordine pubblico. L'iter del disegno di legge si è interrotto per la conclusione anticipata della legislatura.

Ancor prima, quando nel gennaio 2007 il Ministro della Giustizia Mastella annunciò un disegno di legge del Governo per introdurre la punizione della negazione dell'Olocausto (comunicato stampa 19 gennaio 2007, sito Internet Min. giustizia) vi fu un'immediata reazione fra gli storici italiani: più di 200 firmarono un appello nel quale si indicavano le ragioni per cui una legge del genere era da considerarsi pericolosa, inutile e controproducente. Di fronte a queste reazioni, il Ministro Mastella modificò sostanzialmente il disegno di legge – poi approvato dal Consiglio dei ministri del 25 gennaio - eliminando ogni riferimento al negazionismo e limitandosi a inasprire, sulla scia della legislazione precedente, le pene contro chi "diffonda idee sulla superiorità razziale". Il provvedimento – che peraltro non è diventato legge - prevedeva, inoltre, l'istituzione di un Osservatorio per la lotta all'antisemitismo presso la Presidenza del consiglio.
Più di recente analoga iniziativa legislativa venne annunciata dal ministro della giustizia Alfano che, nel gennaio 2011, alla vigilia della Giornata della memoria (27 gennaio) riferiva dell'immediata costituzione di un gruppo tecnico di lavoro per la predisposizione della norma. Affermava Alfano – che "disconoscere la verità significa uccidere una seconda volta le vittime. La negazione della Shoah non è un'opinione ma è il risultato di una operazione che si colloca all'opposto dei valori delle nostre democrazie". Quindi, "usare il diritto penale non è in contrasto con la Costituzione".

La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (in collaborazione con l'Avvocatura della Camera)

La giurisprudenza della CEDU individua questioni centrali nell'ambito della riflessione sul reato di negazionismo, come ipotesi in cui si ammette una limitazione della libertà di espressione, tutelata dall'art. 10 Cedu.

Con riferimento all'A. C. 2874, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo non pare ostativa rispetto alla modifica proposta.

Si può, anzi, osservare che vi sono precedenti giurisprudenziali che hanno ritenuto la sanzione imposta dagli ordinamenti degli Stati membri del Consiglio d'Europa all'espressione di opinioni offensive della memoria e dell'identità dei sopravvissuti dell'Olocausto non in contrasto con l'articolo 10 della CEDU. Si consideri, per esempio, la sentenza sul caso Peta Deutschland contro Germania dell'8 novembre 2012, in cui la Corte ha ritenuto che una campagna d'opinione – lanciata da un'associazione per la tutela dei diritti degli animali, nella quale si equiparava la tortura e la strage di animali a quella di persone umane e nella quale entrambe venivano definite "olocausto" - non fosse tutelata dall'articolo 10.

Con riferimento diretto alla questione del negazionismo, è di particolare rilievo la nota sentenza Garaudy c. Francia del 1998, in cui la Corte dichiara irricevibile la richiesta presentata dal ricorrente (autore di un libro in cui propugnava tesi negazioniste), ritenendo possibile per gli Stati, in presenza di certe condizioni, una limitazione della libera manifestazione del pensiero. La Corte, nella sentenza Garaudy, di fronte alle affermazioni rispetto a cui i ricorrenti lamentano, in particolare, una violazione della libera manifestazione del pensiero, effettua una distinzione che merita di essere ricordata perché citata come precedente in altre sentenze sul negazionismo. I giudici individuano una categoria di fatti storici chiaramente stabiliti – come l'Olocausto – e una categoria di fatti rispetto a cui "è tuttora in corso un dibattito tra gli storici circa come sono avvenuti e come possono essere interpretati". La CEDU affronta la questione dei limiti al dibattito storico sugli avvenimenti della seconda guerra mondiale e, pur considerando necessario per qualsiasi paese il dibattito aperto e sereno sulla propria storia, afferma l'esclusione della garanzia dell'art. 10 CEDU per il discorso revisionista o negazionista sull'esistenza dell'Olocausto. Secondo tale interpretazione spetta alla Corte, a partire dall'obiettivo perseguito, dal metodo utilizzato e dal contenuto delle affermazioni, valutare se vengono o meno rimessi in discussione dei "fatti storici". Ed è in base a tale ragionamento che la Corte dichiara la richiesta del ricorrente irricevibile, ritenendo che il libro pubblicato da Garaudy avesse come obiettivo di rimettere in discussione l'Olocausto, visto che propugnava tesi negazioniste. Lo scopo – secondo la Corte – non sarebbe dunque la ricerca di una verità, ma riabilitare il regime nazionalsocialista e, di conseguenza, accusare di falsificazione storica le stesse vittime di questo regime. Affermazioni di questo genere, secondo la Corte, "mettono in discussione i valori che fondano la lotta contro il razzismo e l'antisemitismo e sono tali da turbare gravemente l'ordine pubblico. Offendendo i diritti altrui, questi comportamenti sono incompatibili con la democrazia e con i diritti umani e i loro autori perseguono obiettivi, quali quelli vietati dall'art. 17 CEDU». Pertanto queste affermazioni non rientrano nella tutela dell'art. 10 CEDU e contrastano con i valori fondamentali della Convenzione, espressi nel Preambolo, ovvero la giustizia e la pace.

Ulteriormente rilevante è la vicenda che ha formato oggetto della recente sentenza della CEDU nel caso Perınçek c. Svizzera (la pronunzia è del 17 dicembre 2013): il ricorrente Doğu Perınçek era stato condannato dal Tribunale federale svizzero per le sue affermazioni a proposito dei crimini commessi nel 1915 dall'Impero ottomano contro il popolo armeno (il ricorrente non aveva negato tali crimini, ma aveva sostenuto che non si trattasse di genocidio e che si trattasse di uno sterminio giustificato da ragioni belliche). Il codice penale svizzero prevede espressamente come reato (art. 261 bis, 4° alinea) la condotta di chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia o religione o, per le medesime ragioni, disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l'umanità La Corte EDU ha, in questo caso, adottato una decisione favorevole al ricorrente, sostenendo che la condanna subìta dal Perınçek per contestazione di crimini di genocidio o contro l'umanità è in contrasto con la libertà di espressione.


Il reato di negazionismo in alcuni Paesi europei ed extraeuropei (a cura del Servizio Biblioteca)

Documentazione comparata

 

Austria

Con la legge del 26 febbraio 1992, l'Austria ha inserito nel Verbotsgesetz 1947(Legge costituzionale sul divieto di formazione del partito nazionalsocialista, dell'8 maggio 1945) due paragrafi nuovi: il primo contiene una fattispecie generale e sussidiaria che punisce "chiunque compia attività in sensonazionalsocialista con pena detentiva da uno fino a dieci anni e, in caso diparticolare pericolosità del reo o dell'attività, fino a 20 anni" (§ 3g); il secondo contiene una disposizione specifica contro la negazione del genocidio nazionalsocialista: "In applicazione del § 3g viene anche punito chiunque con un'opera di stampa, inradiotelevisione o per mezzo di altro mezzo di comunicazione di massa (medium) o in altro modo pubblico accessibile a una moltitudine di persone nega, banalizza grossolanamente, apprezza ocerca di giustificare il genocidio nazionalsocialista o altri reati contro l'umanità" (§ 3h).

 

Canada

L'art. 181 del Codice penale canadese (Criminal code) stabilisce il reato di diffusione di notizie false.

In particolare l'articolo dispone che "è colpevole di un atto criminoso e passibile di detenzione fino ad un periodo massimo di due anni, chiunque, volontariamente, pubblica una dichiarazione, una storia o una notizia che sa falsa e che causa o che potrebbe attentare o causare un danno ad un interesse pubblico".

Nel 1988 il cittadino canadese Ernst Zundel, fu condannato dalla Corte di Toronto per aver pubblicato un pamphlet ("Did Six Million Really Die ?" di Richard Verrall, con lo pseudonimo di Richard E. Harwood) con cui si negava l'Olocausto. L'atto di pubblicazione è stato giudicato criminoso ai sensi dell' art.181 del Codice penale.

La sentenza del 1988 è stata poi impugnata davanti alla Corte Suprema canadese.

Nel 1992 tale organo giurisdizionale, nella sentenza "R. v. Zundel [1992] 2 S.C.R. 731", ha dichiarato incostituzionale l'art.181 del Codice penale perché non conforme all'art. 2 (b) della Carta canadese dei diritti e delle libertà(1982), con cui è tutelata la libertà di espressione.

 
NdR: Il sistema di giustizia costituzionale canadese si presenta come un sistema di tipo diffuso. In tale sistema ogni giudice ha il potere di verificare la conformità alla Costituzione di una legge e qualora ne valuti l'incostituzionalità disapplicarla. La disapplicazione comporta che la norma giudicata incostituzionale venga considerata come "non esistente" ai fini della decisione che il giudice deve assumere. Ma l'efficacia della disapplicazione è limitata al processo in corso, sicché un diverso giudice, ove ritenesse la stessa norma non contrastante con la Costituzione, potrebbe comunque applicarla.
Tuttavia, in base alla regola dello "stare decisis", secondo la quale le corti inferiori sono vincolate ai precedenti desumibili dalle pronunce delle corti superiori, accade che, qualora la Corte Suprema giudichi una disposizione di legge incostituzionale, di fatto vincoli tutti gli altri giudici del paese a disapplicarla.
 
Documentazione
Scheda di presentazione della sentenza " R. versus Zundel" [1992] della Corte Suprema Canadese:

 

Francia

L'art. 24-bis della Loi du 28 juillet 1881 sur la liberté de la presse, introdotto dall'art. 9 della Loi n. 90-615 du 13 juillet 1990 tendant à réprimer tout acte raciste, antisémite ou xénophobe(la cosiddetta "LoiGayssot" dal nome del suo presentatore) stabilisce il reato di negazione di uno o più crimini contro l'umanità.

L'art. 24 bis della Loi sur la liberté de la presse, successivamente modificato dall'art. 247 dellaLoi n. 92-1336 du 16 décembre 1992,e dall'art. 5 della Loi n. 2014-1353 du 13 novembre 2014, recita nello specifico:

"Saranno puniti con 1 anno di reclusione e 45.000 euro di ammenda coloro che avranno contestato attraverso uno dei mezzi enunciati all'articolo 23 [ad es. discorsi espressi in luoghi pubblici, scritti, mezzi di comunicazione al pubblico per via elettronica], l'esistenza di uno o più crimini contro l'umanità, definiti dall'articolo 6 dello statuto del tribunale militare internazionale allegato all'accordo di Londra dell'8 agosto 1945 e che sono stati commessi sia dai membri di un'organizzazione dichiarata criminale in applicazione dell'articolo 9 del suddetto statuto, sia da una persona riconosciuta colpevole di tali crimini da parte di una giurisdizione francese o internazionale.

Il tribunale potrà inoltre ordinare:

1° l'affissione o la diffusione della decisione pronunciata nelle condizioni previste dall'articolo 131-35 del codice penale".

Si segnala inoltre che il legislatore, con la Loi n. 2001-70 du 29 janvier 2001, ha stabilito che la Francia riconosce pubblicamente il genocidio armeno del 1915.

Nell'ottobre 2011 era stata presentata all'Assemblea nazionale francese una proposta di legge recante trasposizione del diritto comunitario in merito alla lotta contro il razzismo e che prevedeva la repressione della contestazione dell'esistenza del genocidio armeno (Proposition de loi portant transposition du droit communautaire sur la lutte contre le racisme et réprimant la contestation de l'existence du génocide arménien, nel testo approvato dal Senato il 23 gennaio 2012). Tale proposta, tuttavia, è stata dichiarata incostituzionale con decisione del Conseil constitutionnel (Decision n. 2012-647 DC du 18 février 2012) per violazione della libertà di espressione.

Documentazione
Scheda di presentazione della Loi n. 90-615 ("Loi Gayssot") :

 

Germania

Il § 130, comma 3, del Codice penale tedesco punisce con pena detentiva fino a cinque anni o con pena pecuniaria "chiunque apprezza, nega o banalizza in un modo idoneo a turbare la pace pubblica, in pubblico o in una riunione, fatti di cui al § 220a, comma 1, del Codice penale (genocidio) commessi sotto il regime nazionalsocialista".Si puniscono pertanto non solo la negazione, ma anche l'approvazione, espressa o tacita, e la minimizzazione.

Nel diritto penale tedesco, la perseguibilità d'ufficio dei reati di apologia e negazione dei genocidi nazionalsocialistiè contenuta nel § 194, comma 2, secondo periodo, del Codice penale tedesco, in base al quale, se il fatto è commesso con la diffusione o la messa a disposizione del pubblico di uno scritto, in una riunione o tramite una rappresentazione radiofonica, la querela non è richiesta quando il defunto ha perso la vita come vittima della tirannia o del dispotismo nazionalsocialista o di altri ed il vilipendio sia connesso a ciò.

 

Spagna

L'art. 607, comma 2, del codice penale spagnolo del 1995, stabilisce che la diffusione con qualunque mezzo di idee o dottrine che [neghino o] giustifichino i delitti di genocidio (previsti dal medesimo articolo, al comma 1) o pretendano la riabilitazione di regimi o istituzioni che proteggano pratiche generatrici dei medesimi delitti, è punita con la reclusione da uno a due anni.

Tuttavia la sentenza 235/2007, del 7 novembre 2007, del Tribunale Costituzionale, ha dichiarato incostituzionale e nulla l'espressione "nieguen o" ("neghino o") contenuta nel testo dell'articolo. Attualmente, pertanto, la negazione dell'Olocausto come di ogni altro crimine contro l'umanità non è considerata reato.

Stati Uniti

Il primo emendamento della Costituzione americana proibisce l'approvazione di leggi che, tra l'altro, "limitino la libertà di parola, o di stampa" ("abridging the freedom of speech, or of the press"). Ciò impedisce che possa essere pertanto approvata una legge in materia di negazionismo.


Necessità dell'intervento con legge

Il provvedimento modifica fonti di rango primario. Si giustifica quindi l'intervento con legge.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il contenuto della proposta di legge è riconducibile all'ordinamento penale, materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera l), Cost.