Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Modifiche alla disciplina della responsabilità civile dei magistrati - A.C. 1735 e abb. - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2738/XVII   AC N. 1735/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 90    Progressivo: 1
Data: 03/12/2014
Descrittori:
MAGISTRATI   RESPONSABILITA' CIVILE
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Modifiche alla disciplina della responsabilità civile dei magistrati

A.C. 1735 e abb.

 

 

 

 

 

 

 

n. 90/1

 

 

 

3 dicembre 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

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( 066760-2278 – * bib_segreteria@camera.it

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§  La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§   Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

§  Le parti relative alla legislazione comparata sono state curate dal Servizio Biblioteca.

 

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File: gi0131a.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§  Introduzione                                                                                                     3

Contenuto delle proposte di legge                                                                   9

§  La proposta di legge C. 2738, approvata dal Senato                                     10

§  La proposta di legge C. 990 (Gozi ed altri)                                                    28

§  La proposta di legge C. 1735 (Leva)                                                              30

§  La proposta di legge C. 1850 (Brunetta)                                                        33

§  La proposta di legge C. 2140 (Cirielli)                                                            34

Il parere del Consiglio superiore della magistratura sul disegno di legge del Governo                                                                                                             37

La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e le procedure di contenzioso aperte (in collaborazione con l’Ufficio Rapporti con l’Unione Europea)                                                                                               41

La responsabilità civile dei magistrati in alcuni ordinamenti europei (a cura del Servizio Biblioteca)                                                                                       45

§  Francia                                                                                                           45

§  Germania                                                                                                       47

§  Regno Unito                                                                                                   49

§  Spagna                                                                                                           49

 

 


Schede di lettura

 


Introduzione

Le cinque proposte di legge in esame - C. 2738, approvata dal Senato e le proposte C. 990 (Gozi ed altri), C. 1735 (Leva), C. 1850 (Brunetta) e C. 2140 (Cirielli) - modificano la legge n. 117 del 1988 (cd. legge Vassalli) che disciplina l’azione per fare valere la responsabilità civile dello Stato per i danni causati dalla condotta illecita di un magistrato. La legge Vassalli venne approvata a seguito dell’esito favorevole del referendum abrogativo della previgente normativa dell’8 novembre 1987.

 

La Commissione Giustizia della Camera aveva già avviato, in questa legislatura (il 14 novembre 2013), l’esame in sede referente della proposta di legge C. 1735 (Leva), cui è stata abbinata nel corso dell’iter la proposta C. 1850 (Brunetta). Dopo che nella seduta della Commissione del 18 dicembre 2013 era stato proposto un ciclo di audizioni, l’iter alla Camera si è interrotto.

L’esame di alcuni disegni di legge in materia di responsabilità civile dei magistrati - nel frattempo, avviato anche al Senato (il 3 dicembre 2013) - è proseguito presso l’altro ramo del Parlamento e si è concluso con l’approvazione, il 20 novembre 2014, della citata proposta di legge C. 2738.

 

Le proposte intendono farsi carico delle criticità che sono derivate dall’applicazione della legge “Vassalli” in materia e, al tempo stesso, sono dirette a recepire le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).

Con l’intervento s'intende, in particolare, dare seguito alla sentenza del 24 novembre 2011 con la quale la CGUE ha condannato l'Italia per violazione degli obblighi di adeguamento dell'ordinamento interno al principio generale di responsabilità degli Stati membri dell'Unione europea, in caso di violazione del diritto dell'Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado. Tale decisione, insieme alla precedente del 2006 della stessa CGUE (Grande Sezione, Sentenza 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo) ha portato a due procedure di contenzioso con la Commissione europea. Nonostante le due decisioni della CGUE confermino la bontà dell’impostazione della disciplina italiana (sia in relazione all’esclusione della responsabilità diretta del magistrato che al fatto che la responsabilità da imputare allo Stato si concretizza solo a seguito di una violazione “imputabile a un organo giudiziario di ultimo grado”) due profili dell’art. 2 della legge 117/1988 - secondo la Corte - contrastano con il diritto dell’Unione Europea: il primo è che il danno risarcibile provocato da un giudice non possa derivare anche da interpretazioni di norme di diritto o da valutazioni di fatti e prove; il secondo che, in casi diversi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, possano essere imposti, per la concretizzazione della responsabilità dei giudici, “requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente”.

Più estesamente, v. ultra, La giurisprudenza della CGUE e le procedure di contenzioso aperte (in collaborazione con l’Ufficio Rapporti con l’Unione Europea).

 

Nell’ordinamento nazionale, la responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, secondo le leggi penali, civili e amministrative, per gli atti compiuti in violazione di diritti, è sancita dall’art. 28 Cost. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.

 

La Corte costituzionale, già con la sentenza 2/1968, aveva rilevato che “la singolarità della funzione giurisdizionale, la natura del provvedimenti giudiziali, la stessa posizione, super partes del magistrato possono suggerire, come hanno suggerito ante litteram, condizioni e limiti alla sua responsabilità; ma non sono tali da legittimarne, per ipotesi, una negazione totale, che violerebbe apertamente quel principio o peccherebbe di irragionevolezza sia di per sé (art. 28) sia nel confronto con l'imputabilità del "pubblici impiegati" (D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e art. 3 della Costituzione).

 

Sempre secondo la Corte, quanto alle altre violazioni di diritti soggettivi, cioé ai danni cagionati dal giudice per colpa grave o lieve o senza colpa, il diritto al risarcimento nei riguardi dello Stato non trova garanzia nel precetto costituzionale; ma niente impedisce alla giurisprudenza di trarlo eventualmente da norme o principi contenuti in leggi ordinarie (se esistono).

 

La Corte, con la sentenza n. 18/1989, nel valutare la legittimità costituzionale della legge 117/1988 (legge Vassalli), ha riconosciuto che l’art. 28 Cost. è stato interpretato nel senso che la responsabilità dello Stato può esser fatta valere anteriormente o contestualmente con quella dei funzionari e dei dipendenti, non avendo carattere sussidiario (Corte cost. 8 giugno 1963, n. 88).

La Corte ha poi sottolineato che la garanzia costituzionale della indipendenza dei magistrati è diretta “a tutelare, in primis, l'autonomia di valutazione dei fatti e delle prove e l'imparziale interpretazione delle norme di diritto. Tale attività non può dar luogo a responsabilità del giudice (art. 2, n. 2 l. n. 117 cit.) ed il legislatore ha ampliato la sfera d'irresponsabilità, fino al punto in cui l'esercizio della giurisdizione, in difformità da doveri fondamentali, non si traduca in violazione inescusabile della legge o in ignoranza inescusabile dei fatti di causa, la cui esistenza non è controversa”.

Ancora, la Corte ha osservato che “la previsione del giudizio di ammissibilità della domanda (art. 5 l. cit.) garantisce adeguatamente il giudice dalla proposizione di azioni manifestamente infondate, che possano turbarne la serenità, impedendo, al tempo stesso, di creare con malizia i presupposti per l'astensione e la ricusazione”.

La Corte, nella stessa sentenza, ha ricordato poi che “è principio consolidato in giurisprudenza che la responsabilità dello Stato sussiste solo nei limiti in cui si è in presenza di una responsabilità del giudice”.

 

Con la sentenza n. 385/1996, la Corte ha poi valutato la disciplina del giudizio della Corte dei conti per danno erariale, concludendo che la sua estensione anche all’attività giurisdizionale è rimessa al legislatore ordinario e non è determinata direttamente dalla Costituzione.

 

La Corte ha rilevato che l’applicazione del giudizio della Corte dei conti è suscettibile di espansione in via interpretativa, quando sussistano i presupposti soggettivi e oggettivi della responsabilità per danno erariale, ma ciò solo "in carenza di regolamentazione specifica da parte del legislatore che potrebbe anche prevedere la giurisdizione ed attribuirla ad un giudice diverso" (sentenza n. 641 del 1987). "La concreta attribuzione della giurisdizione, in relazione alle diverse fattispecie di responsabilità amministrativa, è infatti rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario e non opera automaticamente in base all'art. 103 Cost., richiedendo l'interpositio legislatoris…Ne deriva la conciliabilità in linea di principio dell'indipendenza della funzione giudiziaria con la responsabilità nel suo esercizio, non solo con quella civile, oltre che penale, ma anche amministrativa, nelle sue diverse forme”. Peraltro la Costituzione lascia aperto un campo all'esplicazione della discrezionalità del legislatore.

 

Nella legislatura in corso, durante l’esame della legge europea 2013-bis (AC 1864-A), la Camera aveva approvato (l’11 giugno 2014) un emendamento (em. 26.110) proposto dall’on. Pini (Lega Nord) interamente sostitutivo dell’art. 26, che prevedeva un’ipotesi di responsabilità diretta del magistrato.

La disposizione stabiliva che “chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario” compiuto dal magistrato, “in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave” può agire per il risarcimento contro lo Stato e contro il magistrato ritenuto colpevole.

Dopo che al Senato, nel corso del successivo esame del disegno di legge presso la Commissione politiche UE, la modifica era stata soppressa, anche l’Assemblea, nella seduta del 17 settembre 2014, ha respinto - con voto di fiducia - un analogo emendamento del sen. Candiani (Lega Nord), che reintroduceva, la responsabilità civile diretta dei magistrati (em. 24.0.100).

 

Nella scorsa legislatura, le Camere hanno affrontato il tema della responsabilità civile dei magistrati in quattro distinti momenti.

1) Il disegno di legge costituzionale A.C. 4275, presentato dal Governo Berlusconi alla Camera dei deputati, e volto ad una riforma complessiva del Titolo IV della Parte II della Costituzione, “La Magistratura”, prevedeva (articolo 14) l’introduzione in Costituzione di una nuova sezione e un nuovo articolo, relativi alla responsabilità dei magistrati. Il nuovo articolo 113-bis prevedeva, al primo comma, che i magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato. La disposizione introduceva innanzitutto una responsabilità diretta dei magistrati per gli atti compiuti in violazione dei diritti, senza quindi che il cittadino debba rivolgersi allo Stato[1]. Il nuovo art. 113-bis, secondo comma, introduceva il principio della responsabilità civile dei magistrati per i casi di ingiusta detenzione e di altra indebita limitazione della libertà personale e rimette la disciplina alla legge. Il terzo comma prevedeva infine, ribadendo quanto già previsto dall’art. 28 Cost. per i funzionari ed i dipendenti dello Stato, che la responsabilità civile dei magistrati si estende allo Stato. Il disegno di legge del Governo ha avviato l’iter in sede referente presso le Commissioni I e II della Camera dei deputati, che hanno disposto lo svolgimento di un’indagine conoscitiva nel corso della quale sono stati affrontati anche i temi della responsabilità civile dei magistrati. Le Commissioni non hanno concluso l’esame in sede referente.

2) La Commissione Giustizia della Camera aveva, poi, avviato l’esame di una serie di proposte di legge in materia di responsabilità civile dei magistrati (C. 1956 Brigandì, C. 252 Bernardini, C. 1429 Lussana, C. 2089 Mantini, C. 3285 Versace, C. 3300 Laboccetta e C. 3592 Santelli), svolgendo sul tema una serie di audizioni informali. L’esame in sede referente non si è concluso.

A seguito della procedura di infrazione comunitaria (2009/2230) avviata dalla Commissione europea contro il nostro Paese sul tema della responsabilità civile dei magistrati (v. infra), proposte di modifica della legge n. 117 del 1988 (legge “Vassalli”) sono state inserite in diversi momenti dell’iter parlamentare nei disegni di legge comunitaria.

3) Si ricorda, in primo luogo, il disegno di legge comunitaria 2010 che, nel testo della Commissione Politiche dell’Unione europea (A.C. 4059-A), conteneva una specifica disposizione (articolo 18), incidente sui presupposti della responsabilità civile dei magistrati. Dopo il rinvio del disegno di legge in Commissione, disposto il 6 aprile 2011 dall'Assemblea, il provvedimento è tornato all'esame dell'Aula il 26 luglio, dove l'approvazione di un emendamento della Commissione ha disposto la soppressione dell'art. 18 sulla responsabilità civile dei magistrati.

4) La volontà di introdurre una disposizione di modifica della legge 117/1988 si manifesta pochi mesi dopo in sede di esame del disegno di legge comunitaria 2011 quando, il 2 febbraio 2012, l’Assemblea della Camera dei deputati approva un articolo aggiuntivo al disegno di legge (emendamento Pini 30.052), con il parere contrario del Governo (v. art. 25 dell’A.S. 3129). Sul testo si è espresso con un parere critico anche il Consiglio superiore della magistratura (14 marzo 2012).

In particolare, l’articolo 25 prevedeva la sostituzione del comma 1 dell’art. 2 della legge n. 117/1988 con la previsione della possibilità - per chi abbia subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni nelle ipotesi considerate nel medesimo articolo 2, ovvero per diniego di giustizia - di agire non solo contro lo Stato, ma anche contro il soggetto riconosciuto colpevole, per ottenere il risarcimento dei danni.

Un'ulteriore innovazione era poi costituita dall'introduzione dell'ipotesi della "violazione manifesta del diritto", aggiuntiva rispetto ai già previsti titoli di imputazione della responsabilità (dolo o colpa grave), un'innovazione connessa a quanto statuito dalla Corte di giustizia nelle sentenze 30 settembre 2003, emessa nella causa C-224/01 (Kobler), e 13 giugno 2006, emessa nella causa C-173/03 (Traghetti del Mediterraneo SpA). L'ultima innovazione era infine rappresentata dall'aggiunta di un ultimo periodo al comma in questione, con il quale veniva esplicitamente specificato che costituisce dolo il carattere intenzionale della violazione del diritto. L’articolo 25 sostituiva anche il comma 2 dell’articolo 2 della legge 117/1988, eliminando la disposizione che attualmente esclude la configurabilità della responsabilità in presenza di attività di interpretazione di norme di diritto. Il suddetto comma 2 veniva infatti riformulato prevedendo che, salvi i casi previsti dai commi 3 e 3-bis del medesimo articolo 2, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non possa dar luogo a responsabilità la sola attività di valutazione del fatto e delle prove. La terza e ultima modifica all'articolo 2 prevista dall’art. 25 consisteva nell’inserimento del comma 3-bis, in base al quale, ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste una violazione manifesta del diritto ai sensi del comma 1, deve essere valutato se il giudice abbia tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano la controversia sottoposta al suo sindacato, con particolare riferimento al grado di chiarezza e di precisione della norma violata, al carattere intenzionale della violazione, alla scusabilità o inescusabilità dell'errore di diritto. In caso di violazione del diritto dell'Unione europea, si deve tener conto se il giudice abbia ignorato la posizione adottata eventualmente da un'istituzione dell'Unione europea, non abbia osservato l'obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché se abbia ignorato manifestamente la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea.

L’esame del disegno di legge comunitaria 2011, approvato dalla Camera, non si è poi concluso al Senato (A.S. 3129).

 

Sulla riforma della responsabilità civile dei magistrati, si ricorda che il Governo ha presentato il 24 settembre u.s. al Senato il disegno di legge S: 1626.

Il contenuto del disegno di legge governativo è stato in parte recepito in proposte emendative presentate al disegno di legge S. 1070, da tempo adottato come testo base dalla Commissione.

 

L’11 novembre 2014 la Commissione Giustizia del Senato ha convenuto di non inserire all'ordine del giorno della Commissione il disegno di legge del Governo, essendosi concluso l'iter d'esame dei disegni di legge n. 1070 e connessi, già licenziati per l'Assemblea, in un testo in parte comprensivo delle disposizioni recate dal disegno di legge S. 1626.

 

Di seguito si dà conto del contenuto delle proposte di legge in esame, del parere del CSM (sul disegno di legge del Governo S. 1626), della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e delle procedure di infrazione tuttora aperte nei confronti dell’Italia. Sono inoltre sintetizzate le discipline di alcuni Paesi europei in materia di responsabilità civile dei magistrati.


Contenuto delle proposte di legge

Si riportano, preliminarmente, a fini conoscitivi alcuni dati statistici sulle azioni civili attivate nei confronti dello Stato per responsabilità dei magistrati ai sensi della legge 117 del 1988.

Tali dati sono stati comunicati nel gennaio 2014 alla Presidenza della Commissione Giustizia del Senato dall’allora ministro della giustizia Annamaria Cancellieri. Poiché il Ministero è coinvolto nella procedura solo a fini istruttori, fonti dei dati sono l’Avvocatura dello Stato e la Presidenza del Consiglio dei ministri.

 

In particolare, l’Avvocatura dello Stato ha comunicato che, dall’entrata in vigore della legge 117 fino al 9 febbraio 2011, risultavano proposte 409 cause. Di queste:

§  253 sono state dichiarate definitivamente inammissibili;

§  49 sono in pendenza di giudizio sull’ammissibilità;

§  70 sono state impugnate in relazione alla dichiarata inammissibilità;

§   34 sono state dichiarate ammissibili, di cui 16 ancora pendenti;

§   18 cause risultano decise, di cui 4 con condanna dello Stato al risarcimento.

 

La Presidenza del Consiglio ha, invece, comunicato alcuni dati per gli anni dal 2010 al 2013.

Nel 2010 le azioni civili proposte sono state 62, di cui

§  40 dichiarate definitivamente inammissibili o rigettate;

§  22 ancora pendenti.

Nel 2011 sono state proposte 29 azioni, di cui:

§  13 dichiarate definitivamente inammissibili o rigettate;

§  14 cause pendenti;

§  2 condanne dello Stato

Nel 2012 sono state proposte 29 azioni civili, di cui:

§  13 dichiarate definitivamente inammissibili o rigettate;

§  14 ancora pendenti;

§  2 concluse con condanna dello Stato

Nel 2013 (dati al 22 ottobre) risultano proposte 14 azioni civili, di cui:

§  13 ancora pendenti;

§  1 rigettata.

 

Sempre la Presidenza del Consiglio ha fornito, per il periodo dal 2005 al 22 ottobre 2013, ulteriori dati sulle pronunce di condanna dello Stato e le azioni di rivalsa nei confronti dei magistrati.

Nel 2005 vi sono state 2 condanne a carico dello Stato (di cui una riformata in appello e per la quale è pendente il ricorso in cassazione e la seconda non notificata in forma esecutiva).

Nel 2006 vi è stata una condanna dello Stato ed è stata esercitata l’azione di rivalsa (già andata a buon fine).

Nel 2007 risulta una condanna dello Stato; la causa è in grado d’appello ed è stata avviata l’azione di rivalsa.

Nel 2008 non risultano condanne.

Nel 2009 non risultano condanne.

Nel 2010 è intervenuta un’azione di rivalsa.

Nel 2011 risultano intervenute 2 condanne e le 2 corrispondenti azioni di rivalsa.

Nel 2012 risulta una condanna ed un’azione di rivalsa.

Nel 2013 non risulta alcuna condanna.

 

Infine, si segnala che la Relazione tecnica allegata al disegno di legge del Governo presentato al Senato (S. 1626) riferiva di un totale di 7 condanne per risarcimento nel decennio che va dal 2005 al 2014. Tali condanne hanno comportato, secondo la Relazione, una liquidazione media degli importi pari a circa 54.000 euro.

 

La proposta di legge C. 2738, approvata dal Senato

La proposta è composta da sette articoli che introducono modifiche agli articoli 2, 4, 7, 8, 9 e 13 della legge 117 del 1988 sulla responsabilità civile dei magistrati.

Gli elementi principali sono:

·         il mantenimento dell’attuale principio della responsabilità indiretta del magistrato (l’azione risarcitoria rimane azionabile nei confronti dello Stato);

·         la limitazione della clausola di salvaguardia che esclude la responsabilità del magistrato;

·         la ridefinizione delle fattispecie di colpa grave;

·         l’eliminazione del filtro endoprocessuale di ammissibilità della domanda;

·         una più stringente disciplina della rivalsa dello Stato verso il magistrato

 

 

L’articolo 1 - l'unico che non incide direttamente sulla legge Vassalli - indica l'oggetto e le finalità dell'intera proposta di legge: rendere effettiva la disciplina della responsabilità civile dello Stato e dei magistrati, anche alla luce dell’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.

Risarcibilità del danno non patrimoniale

L’articolo 2 interviene in più punti sull’art. 2 della legge 117, relativo alla responsabilità del giudice per dolo o colpa grave.

Anzitutto, al comma 1 dell’art. 2 viene estesa la risarcibilità del danno non patrimoniale anche al di fuori dei casi delle ipotesi di privazione della libertà personale per un atto compiuto dal magistrato. Si rammenta che ormai costanti orientamenti della giurisprudenza (v. tra le altre, Cass. SS.UU., sent. 26972/2008 e la recente Corte cost., sent. 235/2014) riconducono la tutela risarcitoria della persona al danno patrimoniale e a quello non patrimoniale, quest’ultimo comprensivo oltre che del danno biologico in senso stretto, anche del danno morale soggettivo nonché dei pregiudizi diversi ed ulteriori costituenti lesione di un interesse costituzionalmente protetto.

 

Il vigente l’articolo 2, comma 1, della legge n. 117/1988 prevede che colui che ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento posto in essere da un magistrato nell’esercizio delle sue funzioni con dolo o colpa grave ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. La proposta di legge sopprime la locuzione “che derivino da privazione della libertà personale”.

 

In base al comma 1 così modificato il danno, patrimoniale e non patrimoniale, deve rappresentare – come attualmente previsto dalla legge - l’effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con “dolo” o “colpa grave” nell’esercizio delle sue funzioni ovvero conseguente a “diniego di giustizia”.

 

Rimane inalterata la definizione del diniego di giustizia di cui all’art. 3 della legge 117/1988 ovvero “il rifiuto, l'omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria (termine prorogabile in casi particolari con decreto motivato, cfr comma 2). Se il termine non è previsto, debbono in ogni caso decorrere inutilmente trenta giorni dalla data del deposito in cancelleria dell'istanza volta ad ottenere il provvedimento” (comma 1). Quando l'omissione o il ritardo senza giustificato motivo concernono la libertà personale dell'imputato, il termine di cui al comma 1 è ridotto a cinque giorni, improrogabili, a decorrere dal deposito dell'istanza o coincide con il giorno in cui si è verificata una situazione o è decorso un termine che rendano incompatibile la permanenza della misura restrittiva della libertà personale (comma 3).

 

Limitazione della clausola di salvaguardia

Il comma 2 dello stesso art. 2 della proposta di legge delimita l’applicazione della cd. clausola di salvaguardia, che attualmente prevede che “non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove”.

Sono a tal fine fatti salvi i commi 3 e 3-bis del medesimo articolo 2. Pertanto, pur confermando in via generale che il magistrato non è chiamato a rispondere per l’attività di interpretazione della legge e di valutazione del fatto e delle prove, il nuovo comma 2 esclude da tale ambito di irresponsabilità i casi di dolo, di colpa grave (come individuati dal nuovo comma 3) e di violazione manifesta della legge e del diritto della UE (come definita dal nuovo comma 3-bis). Nelle citate ipotesi, quindi, anche l'attività interpretativa di diritto e valutativa del fatto e delle prove può dare luogo a responsabilità del magistrato.

 

Si ricorda come, sul tema, la Corte di cassazione ha più volte affermato che la c.d. “clausola di salvaguardia” – di cui all’art. 2, comma 2, della Legge n. 117 –  «non tollera riduttive letture perché è giustificata dal carattere valutativo dell’attività giudiziaria» (Cass. civ,. sentenza n. 25123 del 2006; nello stesso senso, Sez. III, sentenza 13000 del 2006 e, più recentemente, sez. VI, ordinanza 23979 del 2012).

Le nuove ipotesi di colpa grave

L’art. 2 della proposta di legge ridefinisce, poi, le fattispecie di colpa grave individuate dall’art. 2, comma 3, della legge Vassalli.

 

Per il vigente comma 3 dell’art. 2,, costituiscono colpa grave:

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

 

Ai sensi del nuovo comma 3, i comportamenti del magistrati che costituiscono colpa grave sono tali ope legis, essendo stato soppresso il riferimento (di natura soggettiva) alla “negligenza inescusabile”, oggi previsto per la grave violazione di legge, per l’affermazione di un fatto inesistente e per la negazione di un fatto esistente.

 

La giurisprudenza della Cassazione ha, da tempo, ritenuto che la negligenza inescusabile del magistrato deve consistere in un quid pluris rispetto alla colpa grave (tra le altre, Cass. sentt. 26 luglio 1994, n. 6950 e 18 marzo 2008, n. 7272).

 

Costituisce, in particolare, nuova fattispecie di colpa grave il travisamento del fatto o delle prove”.

 

La nuova fattispecie si aggiunge alla negazione di un atto esistente e all’affermazione di un fatto inesistente. Nel disegno di legge del Governo, presentato al Senato, il travisamento era invece diretto a sostituire le due ipotesi.

 

Il nuovo comma 3 stabilisce, infatti, che costituisce colpa grave del magistrato:

§  la “violazione manifesta della legge nonchè del diritto dell’Unione europea” (tale formulazione sostituisce la “grave violazione di legge” e riprende le indicazioni della sentenza della CGUE Traghetti del mediterraneo);

§  il travisamento del fatto o delle prove;

§  l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

§  la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

§  l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dei casi previsti dalla legge oppure senza motivazione.

 

Occorre considerare se sia possibile operare una netta distinzione tra valutazione del fatto (per la quale, a parte i casi di dolo e di colpa grave ai sensi dei commi 3 e 3-bis, è esclusa la responsabilità) e travisamento del fatto (che la consente) e, analogamente, tra valutazione delle prove e loro travisamento.

Dal punto di vista della formulazione del testo, si rileva che – diversamente da quanto previsto dal vigente comma 2 dell’art. 2 della legge 117 - le diverse fattispecie di colpa grave non risultano più distinte per lettere.

La violazione manifesta della legge e del diritto della UE

Il nuovo comma 3-bis dello stesso articolo 2 è disposizione volta a precisare i presupposti di cui tenere conto per la determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge e del diritto dell'Unione europea che, ai sensi del nuovo comma 3, costituiscono ipotesi di colpa grave del magistrato. Si tratta di una casistica non esaustiva; la disposizione infatti precisa che si tiene conto “in particolare” dei seguenti elementi:

·          del grado di chiarezza e precisione delle norme violate;

·         dell’inescusabilità e gravità della inosservanza. Il riferimento alla inescusabilità, rimosso dal comma 3 vigente, è reintrodotto quindi tra gli elementi sintomatici della violazione manifesta della legge e del diritto UE.

Inoltre, per il caso della sola violazione manifesta del diritto dell'Unione europea, si dovrà tenere conto anche:

·         dell’inosservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea;

Il rinvio pregiudiziale è un meccanismo che ha lo scopo di fornire ai giudici degli Stati membri dell’Unione europea lo strumento per assicurare un’interpretazione e un’applicazione uniformi di tale diritto in seno all’Unione. In forza degli articoli 19, paragrafo 3, lettera b, del Trattato sull’Unione europea e 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione del diritto dell’Unione e sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione.

·         del contrasto interpretativo cioè del contrasto dell’atto o del provvedimento emesso dal giudice con l’interpretazione adottata dalla stessa CGUE.

La formulazione della disposizione non contempla invece l’ipotesi della responsabilità dei magistrati che si discostino dalle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione (su tale ipotesi, contenuta nell’originario disegno di legge S. 1070, il parere del CSM esprime valutazioni critiche).

 

Resta fermo, ai sensi del comma 3-bis, l’eventuale giudizio di responsabilità del magistrato per danno erariale davanti alla Corte dei conti ai sensi del DL 543/1996.

 

Il danno erariale consiste nel danneggiamento o nella perdita di beni o denaro (danno emergente) prodotto da un pubblico dipendente alla propria o ad altra amministrazione (art. 1, quarto comma, L. 20/1994), o nel mancato conseguimento di incrementi patrimoniali (lucro cessante), così come disposto dall’art. 1223 c.c.

La Corte dei Conti ha competenza nei giudizi per danno erariale dei pubblici funzionari i quali vengono chiamati a rispondere del loro operato in caso di danni patrimoniali all'amministrazione per comportamento doloso o colposo. Il giudizio di responsabilità è istituito ad istanza del procuratore generale presso la Corte dei conti che, prima dell'esercizio dell'azione, deve inviare al soggetto interessato un invito a dedurre, cioè a presentare in un tempo non inferiore a 30 giorni deduzioni o documenti. Decorso il termine il procuratore ha 120 giorni per esercitare l'azione. Nel periodo di tempo indicato,  il procuratore svolge la propria attività istruttoria con la quale appurare l'esistenza di elementi di responsabilità. In caso affermativo viene predisposto l'atto di citazione, che deve essere depositato alla Corte dei Conti per il decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di trattazione davanti ad una della sezioni giurisdizionali cui, all’esito del procedimento, spetta la decisione finale. La decisione della sezione può essere appellata davanti alle Sezioni riunite della Corte .

 

La giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità hanno escluso che - a fronte della disciplina prevista dalla legge 117/1988 con l’azione di rivalsa, davanti al giudice ordinario, dello Stato nei confronti del magistrato autore di danno erariale – sia proponibile una concorrente azione davanti alla Corte dei conti.

La clausola relativa alla responsabilità erariale riguarda le sole fattispecie di violazione manifesta della legge e del diritto dell’Unione europea. Occorre dunque considerare la portata dell’esplicita salvaguardia del giudizio per danno erariale circoscritta a tali fattispecie; in particolare, occorre valutare se e quando il giudizio per danno erariale in quelle ipotesi possa cumularsi con quello per responsabilità civile.

Pare, inoltre, più corretto richiamare, anziché il DL 543 del 1996, la legge 20 del 1994 “Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti”, modificata dallo stesso DL.

La soppressione del filtro giudiziale

L’articolo 3 della proposta di legge aumenta da due a tre anni i termini previsti dai commi 2 e 4 dell’art. 4 della legge 117 per la proposizione della domanda di risarcimento contro lo Stato, da esercitare nei confronti del Presidente del Consiglio (comma 1).

 

Il vigente art. 4 stabilisce che l'azione di risarcimento del danno contro lo Stato deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Competente è il tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello (comma 1). L'azione di risarcimento del danno deve essere proposta a pena di decadenza entro due anni che decorrono dal momento in cui l'azione è esperibile (comma 2). Il termine è, invece, di tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento nell'ambito del quale il fatto stesso si è verificato (comma 3). In tali casi, l'azione deve essere promossa entro due anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull'istanza (comma 4).

 

Il comma 2 dell’art. 3 abroga l’art. 5 della stessa legge 117 relativo al filtro di ammissibilità della domanda di risarcimento davanti al tribunale del distretto di corte d’appello.

 

L’art. 5 della legge 117 prevede che vi sia una delibazione preliminare di ammissibilità della domanda di risarcimento verso lo Stato (controllo presupposti, rispetto termini e valutazione manifesta infondatezza) da parte del tribunale distrettuale.  A tale fine il giudice istruttore, alla prima udienza, rimette le parti dinanzi al collegio che è tenuto a provvedere entro 40 gg. dal provvedimento di rimessione del giudice istruttore. L'inammissibilità è dichiarata con decreto motivato, impugnabile davanti alla corte d'appello che pronuncia anch'essa in camera di consiglio con decreto motivato entro 40 gg. dalla proposizione del reclamo. Contro il decreto di inammissibilità della corte d'appello può essere proposto ricorso per cassazione. Se la domanda è dichiarata ammissibile, il tribunale dispone la prosecuzione del processo ed ordina la trasmissione di copia degli atti ai titolari dell'azione disciplinare.

 

Tale giudizio, ritenuto in dottrina e tra gli operatori del diritto uno degli elementi di maggior criticità della legge Vassalli, ha esercitato, di fatto, una funzione deflativa finendo per ridurre al minimo le possibilità di risarcimento per i cittadini. Dai dati che lo stesso Ministero della giustizia ha consegnato alla Commissione giustizia del Senato (coincidenti con quelli della relazione tecnica allegata al d.d.l. del Governo S. 1626) emerge che dall’entrata in vigore della legge 117 del 1988 ad oggi - su oltre 400 ricorsi per risarcimento proposti dai cittadini, solamente 7 si sono conclusi con un provvedimento che ha riconosciuto il risarcimento per  dolo o colpa grave da parte di magistrati (v. Senato, seduta dell’Assemblea del 19 novembre 2014).

 

Si valuti l’opportunità di abrogare, per coordinamento con la soppressione del filtro di ammissibilità di cui all’art. 5 della legge 117, anche l’art. 6 della stessa legge, in quanto relativo all’intervento del magistrato nel giudizio di ammissibilità davanti al tribunale distrettuale.

 

L’azione di rivalsa

L’articolo 4 modifica l’art. 7 della legge 117/1988 relativo all'azione di rivalsa dello Stato verso il magistrato, spettante al Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Attualmente, l’art. 7 della legge Vassalli prevede che lo Stato, entro un anno dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o di titolo stragiudiziale stipulato dopo la dichiarazione di ammissibilità, esercita l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato (comma 1). In nessun caso la transazione è opponibile al magistrato nel giudizio di rivalsa e nel giudizio disciplinare (comma 2). I giudici conciliatori e i giudici popolari rispondono soltanto in caso di dolo. I cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano organi giudiziari collegiali rispondono in caso di dolo e nei casi di colpa grave di cui all'art. 2, comma 3, lettere b) e c) (comma 3).

 

Le novità rispetto all’attuale disciplina del comma 1 dell’art. 7 sono le seguenti:

·         l’azione deve essere esercitata entro 2 anni (anziché, uno come attualmente) dal risarcimento avvenuto sulla base del titolo giudiziale o stragiudiziale nei riguardi dello Stato;

·         la rivalsa verso il magistrato è stata espressamente resa obbligatoria (si tratta di un esplicito rafforzamento di un obbligo, tuttavia, già esistente);

·         per coordinamento con l’abrogazione dell’art. 5 è eliminato il riferimento alla domanda di ammissibilità dell’azione;

·         sono stati ancorati i presupposti della rivalsa al diniego di giustizia, alla violazione manifesta della legge e del diritto della UE o al travisamento del fatto o delle prove, di cui all’art. 2, commi 2, 3 e 3-bis, stabilendosi, tuttavia, che l'elemento soggettivo della condotta dannosa del magistrato debba essere esclusivamente il dolo o la negligenza inescusabile.

 

Si osserva che la formulazione del nuovo comma 1 dell’art. 7 della legge 117/1988 non ricomprenderebbe tra i presupposti della rivalsa obbligatoria tutte le ipotesi di colpa grave del magistrato elencate nel nuovo articolo 2 della legge. Occorre, quindi, valutare se nelle fattispecie non ricomprese, l’azione di rivalsa sia facoltativa. Inoltre, occorre valutare il riferimento al “travisamento” del fatto e delle prove” con riguardo all’articolo 2, comma 2: tale disposizione, come modificata dalla proposta di legge, fa riferimento alla “valutazione” del fatto e delle prove”.

Può, ancora, essere opportuno chiarire l’effettivo significato della “negligenza inescusabile” del magistrato in rapporto alla colpa grave. Si ricorda che il riferimento espresso alla “negligenza inescusabile” in specifici casi di colpa grave di cui all’art. 2, comma 3, della legge 117/1988 è stato, tra l’altro, soppresso dall’art. 2 della proposta in esame.

 

La proposta di legge conferma poi il vigente comma 2 dell’art. 7 della legge 117, sull’inopponibilità della transazione al magistrato nel giudizio di rivalsa e disciplinare

Viene poi modificato il successivo comma 3:

·         è espunto il riferimento alla soppressa figura del conciliatore, il comma 3:

·         viene confermata la sola responsabilità dolosa dei giudici popolari (delle corti d’assise);

·          si prevede che gli estranei alla magistratura membri di organi giudiziari collegiali (ad es.. gli esperti dei tribunali dei minorenni) rispondono, oltre che per dolo, per negligenza inescusabile per travisamento del fatto o delle prove (attualmente tale responsabilità è stabilita per dolo e colpa grave, quest’ultima solo se derivante dall’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento nonché dalla negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento)

 

Inoltre, l'articolo 5 della proposta di legge interviene sull’art. 8 della legge 117 ridefinendo i limiti quantitativi della rivalsa. Essa non può eccedere una somma pari alla metà di un'annualità di stipendio (la normativa vigente prevede un terzo), al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui è proposta l'azione risarcitoria. Questo limite non si applica al fatto commesso con dolo, nel qual caso ovviamente l'azione risarcitoria è totale. L'esecuzione della rivalsa, invece, se effettuata mediante trattenuta sullo stipendio non può comportare complessivamente il pagamento per rate mensili in misura superiore al terzo dello stipendio netto (attualmente non può superare un quinto).

Responsabilità disciplinare

L’articolo 6 della proposta di legge 2738 modifica poi l’art. 9 della legge Vassalli, coordinando la disciplina dell’azione disciplinare a carico del magistrato (conseguente all’azione di risarcimento intrapresa) con la soppressione del filtro di ammissibilità della domanda disposto dall’art. 3, comma 2. E’, in tal senso, espunto dal comma 1 dell’art. 9 della legge 117/1988 il riferimento al termine di due mesi dalla comunicazione del tribunale distrettuale (che dichiara ammissibile la domanda di risarcimento) entro il quale il PG della cassazione deve proporre l’azione disciplinare.

Responsabilità contabile

L’articolo 7, infine, integra con un comma aggiuntivo 2-bis il contenuto dell’art. 13 della legge 117/1988 (Responsabilità civile per fatto costituente reato) prevedendo la responsabilità contabile per il mancato esercizio dell’azione di regresso dello Stato verso il magistrato.

 

L’art. 13 della legge 117 prevede, in tale ipotesi, l'azione diretta nei confronti del magistrato e dello Stato, quale responsabile civile, in caso di reati commessi dal magistrato medesimo nell'esercizio delle proprie funzioni. All'azione di regresso dello Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato si procede altresì secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti.

 

Ai fini dell’accertamento di tale responsabilità, il comma 2-bis stabilisce, in capo al Presidente del consiglio e al Ministro della giustizia, oneri informativi annuali nei confronti della Corte dei conti in relazione alle condanne emesse nell’anno precedente per risarcimento del danno derivante da reato ed alle conseguenti azioni di regresso verso il magistrato.

Si osserva che la proposta di legge non prevede una specifica disposizione transitoria della nuova disciplina. Una disposizione del genere è invece presente nel disegno di legge governativo S. 1626.

 

Testo a fronte tra la normativa vigente e le proposta di legge C. 2738

 

Normativa vigente

A.C. 2738, approvato dal Senato

L. 13 aprile 1988, n. 117

Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati

Art. 1

Ambito di applicazione.

1.  Le disposizioni della presente legge si applicano a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria.

1. Identico.

2.  Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai magistrati che esercitano le proprie funzioni in organi collegiali.

2. Identico.

3.  Nelle disposizioni che seguono il termine "magistrato" comprende tutti i soggetti indicati nei commi 1 e 2.

3. Identico.

 

 

Art. 2

Responsabilità per dolo o colpa grave

1. Chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.

1.  Chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali.

2. Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

2. Fatti salvi i commi 3 e 3-bis ed i casi di dolo, nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove

3. Costituiscono colpa grave:

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b)  l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c)  la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d)  l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

3. Costituisce colpa grave                                       la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell'Unione europea, il travisamento del fatto o delle prove, ovvero l'affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento, ovvero l'emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

 

3-bis. Fermo restando il giudizio di responsabilità contabile di cui al decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell'Unione europea si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché dell'inescusabilità e della gravità dell'inosservanza. In caso di violazione manifesta del diritto dell'Unione europea si deve tener conto anche della mancata osservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché del contrasto dell'atto o del provvedimento con l'interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea

 

 

Art. 3

Diniego di giustizia

1.  Costituisce diniego di giustizia il rifiuto, l'omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria. Se il termine non è previsto, debbono in ogni caso decorrere inutilmente trenta giorni dalla data del deposito in cancelleria dell'istanza volta ad ottenere il provvedimento.

1. Identico.

2.  Il termine di trenta giorni può essere prorogato, prima della sua scadenza, dal dirigente dell'ufficio con decreto motivato non oltre i tre mesi dalla data di deposito dell'istanza. Per la redazione di sentenze di particolare complessità, il dirigente dell'ufficio, con ulteriore decreto motivato adottato prima della scadenza, può aumentare fino ad altri tre mesi il termine di cui sopra.

2. Identico.

3.  Quando l'omissione o il ritardo senza giustificato motivo concernono la libertà personale dell'imputato, il termine di cui al comma 1 è ridotto a cinque giorni, improrogabili, a decorrere dal deposito dell'istanza o coincide con il giorno in cui si è verificata una situazione o è decorso un termine che rendano incompatibile la permanenza della misura restrittiva della libertà personale.

3. Identico.

 

 

Art. 4

Competenza e termini

1. L'azione di risarcimento del danno contro lo Stato deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Competente è il tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da determinarsi a norma dell'articolo 11 del codice di procedura penale e dell'articolo 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

1. Identico.

2. L'azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno. La domanda deve essere proposta a pena di decadenza entro due anni che decorrono dal momento in cui l'azione è esperibile.

2. L'azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno. La domanda deve essere proposta a pena di decadenza entro tre  anni che decorrono dal momento in cui l'azione è esperibile.

3. L'azione può essere esercitata decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento nell'ambito del quale il fatto stesso si è verificato.

3. Identico.

4. Nei casi previsti dall'art. 3 l'azione deve essere promossa entro due anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull'istanza.

4. Nei casi previsti dall'art. 3 l'azione deve essere promossa entro tre anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull'istanza.

5. In nessun caso il termine decorre nei confronti della parte che, a causa del segreto istruttorio, non abbia avuto conoscenza del fatto.

5. Identico.

 

 

Art. 5

Ammissibilità della domanda


Abrogato

1.  Il tribunale, sentite le parti, delibera in camera di consiglio sull'ammissibilità della domanda di cui all'art. 2.

 

2.  A tale fine il giudice istruttore, alla prima udienza, rimette le parti dinanzi al collegio che è tenuto a provvedere entro quaranta giorni dal provvedimento di rimessione del giudice istruttore.

 

3.  La domanda è inammissibile quando non sono rispettati i termini o i presupposti di cui agli articoli 2, 3 e 4 ovvero quando è manifestamente infondata.

 

4.  L'inammissibilità è dichiarata con decreto motivato, impugnabile con i modi e le forme di cui all'art. 739 del codice di procedura civile, innanzi alla corte d'appello che pronuncia anch'essa in camera di consiglio con decreto motivato entro quaranta giorni dalla proposizione del reclamo. Contro il decreto di inammissibilità della corte d'appello può essere proposto ricorso per cassazione, che deve essere notificato all'altra parte entro trenta giorni dalla notificazione del decreto da effettuarsi senza indugio a cura della cancelleria e comunque non oltre dieci giorni. Il ricorso è depositato nella cancelleria della stessa corte d'appello nei successivi dieci giorni e l'altra parte deve costituirsi nei dieci giorni successivi depositando memoria e fascicolo presso la cancelleria. La corte, dopo la costituzione delle parti o dopo la scadenza dei termini per il deposito, trasmette gli atti senza indugio e comunque non oltre dieci giorni alla Corte di cassazione che decide entro sessanta giorni dal ricevimento degli atti stessi. La Corte di cassazione, ove annulli il provvedimento di inammissibilità della corte d'appello, dichiara ammissibile la domanda. Scaduto il quarantesimo giorno la parte può presentare, rispettivamente al tribunale o alla corte d'appello o, scaduto il sessantesimo giorno, alla Corte di cassazione, secondo le rispettive competenze, l'istanza di cui all'art. 3.

 

5.  Il tribunale che dichiara ammissibile la domanda dispone la prosecuzione del processo. La corte d'appello o la Corte di cassazione che in sede di impugnazione dichiarano ammissibile la domanda rimettono per la prosecuzione del processo gli atti ad altra sezione del tribunale e, ove questa non sia costituita, al tribunale che decide in composizione interamente diversa. Nell'eventuale giudizio di appello non possono far parte della corte i magistrati che abbiano fatto parte del collegio che ha pronunziato l'inammissibilità. Se la domanda è dichiarata ammissibile, il tribunale ordina la trasmissione di copia degli atti ai titolari dell'azione disciplinare; per gli estranei che partecipano all'esercizio di funzioni giudiziarie la copia degli atti è trasmessa agli organi ai quali compete l'eventuale sospensione o revoca della loro nomina.

 

 

 

Art. 6

Intervento del magistrato nel giudizio

1.  Il magistrato il cui comportamento, atto o provvedimento rileva in giudizio non può essere chiamato in causa ma può intervenire in ogni fase e grado del procedimento, ai sensi di quanto disposto dal secondo comma dell'art. 105 del codice di procedura civile. Al fine di consentire l'eventuale intervento del magistrato, il presidente del tribunale deve dargli comunicazione del procedimento almeno quindici giorni prima della data fissata per la prima udienza.

1. Identico.

2.  La decisione pronunciata nel giudizio promosso contro lo Stato non fa stato nel giudizio di rivalsa se il magistrato non è intervenuto volontariamente in giudizio. Non fa stato nel procedimento disciplinare.

2. Identico.

3.  Il magistrato cui viene addebitato il provvedimento non può essere assunto come teste né nel giudizio di ammissibilità, né nel giudizio contro lo Stato.

3. Identico.

 

 

Art. 7

Azione di rivalsa

1.  Lo Stato, entro un anno dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o di titolo stragiudiziale stipulato dopo la dichiarazione di ammissibilità di cui all'art. 5, esercita l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato.

1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, entro due anni dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o di titolo stragiudiziale, ha l'obbligo di esercitare l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato nel caso di diniego di giustizia, ovvero nei casi in cui la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell'Unione europea ovvero il travisamento del fatto o delle prove, di cui all'articolo 2, commi 2, 3 e 3-bis, sono stati determinati da dolo o negligenza inescusabile.

2.  In nessun caso la transazione è opponibile al magistrato nel giudizio di rivalsa e nel giudizio disciplinare.

2. In nessun caso la transazione è opponibile al magistrato nel giudizio di rivalsa o nel giudizio disciplinare.

3.  I giudici conciliatori e i giudici popolari rispondono soltanto in caso di dolo. I cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano organi giudiziari collegiali rispondono in caso di dolo e nei casi di colpa grave di cui all'art. 2, comma 3, lettere b) e c).

3. I giudici popolari rispondono soltanto in caso di dolo. I cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano organi giudiziari collegiali rispondono in caso di dolo o negligenza inescusabile per travisamento del fatto o delle prove.

 

 

Art. 8

Competenza per l'azione di rivalsa e misura della rivalsa

1. L'azione di rivalsa deve essere promossa dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

1. Identico.

2. L'azione di rivalsa deve essere proposta davanti al tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da determinarsi a norma dell'articolo 11 del codice di procedura penale e dell'articolo 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

2. Identico.

3. La misura della rivalsa non può superare una somma pari al terzo di una annualità dello stipendio, al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta, anche se dal fatto è derivato danno a più persone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità. Tale limite non si applica al fatto commesso con dolo. L'esecuzione della rivalsa, quando viene effettuata mediante trattenuta sullo stipendio, non può comportare complessivamente il pagamento per rate mensili in misura superiore al quinto dello stipendio netto.

3. La misura della rivalsa non può superare una somma pari alla metà di una annualità dello stipendio, al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta, anche se dal fatto è derivato danno a più persone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità. Tale limite non si applica al fatto commesso con dolo. L'esecuzione della rivalsa, quando viene effettuata mediante trattenuta sullo stipendio, non può comportare complessivamente il pagamento per rate mensili in misura superiore ad un terzo dello stipendio netto.

4.  Le disposizioni del comma 3 si applicano anche agli estranei che partecipano all'esercizio delle funzioni giudiziarie. Per essi la misura della rivalsa è calcolata in rapporto allo stipendio iniziale annuo, al netto delle trattenute fiscali, che compete al magistrato di tribunale; se l'estraneo che partecipa all'esercizio delle funzioni giudiziarie percepisce uno stipendio annuo netto o reddito di lavoro autonomo netto inferiore allo stipendio iniziale del magistrato di tribunale, la misura della rivalsa è calcolata in rapporto a tale stipendio o reddito al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta.

4. Identico.

 

 

Art. 9

Azione disciplinare

1. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari o il titolare dell'azione disciplinare negli altri casi devono esercitare l'azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento, salvo che non sia stata già proposta, entro due mesi dalla comunicazione di cui al comma 5 dell'art. 5. Resta ferma la facoltà del Ministro di grazia e giustizia di cui al secondo comma dell'art. 107 della Costituzione.

1. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari o il titolare dell'azione disciplinare negli altri casi devono esercitare l'azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento, salvo che non sia stata già proposta. Resta ferma la facoltà del Ministro di grazia e giustizia di cui al secondo comma dell'art. 107 della Costituzione.

2. Gli atti del giudizio disciplinare possono essere acquisiti, su istanza di parte o d'ufficio, nel giudizio di rivalsa.

 

3. La disposizione di cui all'art. 2, che circoscrive la rilevanza della colpa ai casi di colpa grave ivi previsti, non si applica nel giudizio disciplinare.

 

 

 

Artt. 10 - 12

(omissis)

 

 

Art. 13

Responsabilità civile per fatti costituenti reato

1. Chi ha subìto un danno in conseguenza di un fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni ha diritto al risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato. In tal caso l'azione civile per il risarcimento del danno ed il suo esercizio anche nei confronti dello Stato come responsabile civile sono regolati dalle norme ordinarie.

1. Identico.

2. All'azione di regresso dello Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato si procede altresì secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti.

2. Identico.

 

2-bis. Il mancato esercizio dell'azione di regresso, di cui al comma 2, comporta responsabilità contabile. Ai fini dell'accertamento di tale responsabilità, entro il 31 gennaio di ogni anno la Corte dei conti acquisisce informazioni dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dal Ministro della giustizia sulle condanne al risarcimento dei danni per fatti costituenti reato commessi dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni, emesse nel corso dell'anno precedente e sull'esercizio della relativa azione di regresso.

 

 

Art. 14

Riparazione per errori giudiziari

1.  Le disposizioni della presente legge non pregiudicano il diritto alla riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta detenzione.

1. Identico.

 

 

Art. 15

Esenzioni

1. Si osserva, in quanto applicabile, l'articolo unico, della legge 2 aprile 1958, n. 319, come sostituito dall'articolo 10, della legge 11 agosto 1973, n. 533.

1. Identico.

 

 

Artt. 16 – 19

(omissis)

 

 

 


La proposta di legge C. 990 (Gozi ed altri)

L’articolo unico della proposta in esame interviene sugli articoli da 2 a 8 della legge 117 del 1988 modificando il sistema della responsabilità civile del magistrato con la finalità di assicurare maggiore concretezza ed efficacia.

Gli strumenti utilizzati a tal fine sono sostanzialmente, nel quadro di una estrema semplificazione del quadro normativo, l’eliminazione delle previsioni limitative della responsabilità.

In particolare:

§  la lett. a) riformula il comma 1 dell’art. 2 della l. 117 (responsabilità per dolo o colpa grave) introducendo le seguenti modificazioni: la previsione della risarcibilità del danno non patrimoniale per atti compiuti dal magistrato, anche al di fuori dei casi delle ipotesi di privazione della libertà personale; l’espressa previsione secondo cui chi vuole ottenere il risarcimento dei danni “deve” agire contro lo Stato (anziché, come attualmente, “può”). Tale ultima modifica, più che avere contenuti sostanziali, sembra volere rafforzare l’attuale sistema della responsabilità diretta dello Stato (e quella del magistrato a seguito di rivalsa). Sono poi abrogati i commi 2 e 3 dell’art. 2 ovvero la clausola di salvaguardia ( le ipotesi di irresponsabilità del magistrato per attività di interpretazione della legge o di valutazione del fatto e delle prove) nonchè la tipizzazione dei casi di colpa grave (comma 3);

 

§  la lett. b) abroga l’intero art. 3 della legge 117 relativo, in particolare,  agli elementi costitutivi del diniego di giustizia.

Per l’art. 3, costituisce diniego di giustizia il rifiuto, l'omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria. Se il termine non è previsto, debbono in ogni caso decorrere inutilmente trenta giorni dalla data del deposito in cancelleria dell'istanza volta ad ottenere il provvedimento (comma 1). 2.  Il termine di trenta giorni può essere prorogato, prima della sua scadenza, dal dirigente dell'ufficio con decreto motivato non oltre i tre mesi dalla data di deposito dell'istanza. Per la redazione di sentenze di particolare complessità, il dirigente dell'ufficio, con ulteriore decreto motivato adottato prima della scadenza, può aumentare fino ad altri tre mesi il termine di cui sopra (comma 2).Quando l'omissione o il ritardo senza giustificato motivo concernono la libertà personale dell'imputato, il termine di cui al comma 1 è ridotto a cinque giorni, improrogabili, a decorrere dal deposito dell'istanza o coincide con il giorno in cui si è verificata una situazione o è decorso un termine che rendano incompatibile la permanenza della misura restrittiva della libertà personale (comma 3).

 

§  la lett. c) interviene sull’art. 4 della legge 117 che detta disposizioni procedimentali relative all’azione contro lo Stato. In particolare, mentre il nuovo primo periodo del comma 1 reca una più puntuale formulazione (si precisa che l’azione va esercitata contro lo Stato nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri), la sostituzione del comma 2 subordina l’avvio dell’azione di risarcimento verso lo Stato alla definitiva conclusione del procedimento cui l’atto, il comportamento o il provvedimento giudiziale dannoso del magistrato si riferisce (in modo simile, la p.d.l. C. 1850 si riferisce al provvedimento giudiziario pronunciato in ultima istanza).

Il vigente comma 2 dell’art. 4 prevede che l’azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno. La domanda deve essere proposta a pena di decadenza entro due anni che decorrono dal momento in cui l'azione è esperibile.

Sono, inoltre abrogati dalla lett. c) i commi 3, 4 e 5 dell’art. 4 relativi ai termini di esercizio dell’azione civile di risarcimento.

In base al comma 3, l'azione di risarcimento può essere esercitata decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento nell'ambito del quale il fatto stesso si è verificato; il comma 4 è abrogato per coordinamento con l’abrogazione dell’art. 3 (stabilisce che nei casi previsti dall'art. 3 l'azione deve essere promossa entro due anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull'istanza); il comma 5 prevede che in nessun caso il termine decorre nei confronti della parte che, a causa del segreto istruttorio, non abbia avuto conoscenza del fatto.

 

§  la lett. d) abroga gli artt. 5 e 6 della legge 117 relativi, rispettivamente, al giudizio di ammissibilità della domanda di risarcimento davanti al tribunale del distretto nonché all’eventuale intervento in causa del magistrato.

§  La lett. e) modifica l’art. 7 relativo all’azione di rivalsa. In particolare, viene riformulato il comma 1 da un lato, con l’esplicitazione dell’obbligo dello Stato all’azione di recupero; dall’altro, con l’eliminazione del termine attuale di un anno entro il quale va esercitata la rivalsa.

E’ in particolare, stabilito che con l’azione di rivalsa lo Stato deve vedersi rimborsare l’intero onere sostenuto (attualmente il limite è fissato ad 1/3 di un’annualità di stipendio).

Sono poi soppressi i commi 2 e 3 dell’art. 7 ovvero: la previsione dell'opponibilità al magistrato della transazione nel giudizio di rivalsa e in quello disciplinare; l'equiparazione alla responsabilità dei magistrati della responsabilità dei giudici popolari e dei cittadini estranei alla magistratura che concorrono alla formazione di collegi giudicanti.

Si valuti, in relazione alla misura della rivalsa, un coordinamento della disposizione che prevede il recupero dell’intero onere sostenuto dallo Stato per il risarcimento con quella di cui all’art. 8, comma 3, della legge 117 relativa ai limiti quantitativi della stessa rivalsa.

§  la lett. f), infine, sostituisce il comma 2 dell’art. 8 individuando nella Corte dei conti il giudice competente per la proposizione dell’azione di rivalsa (attualmente il giudice naturale è il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello).

 

La proposta di legge C. 1735 (Leva)

L’articolo unico della proposta interviene sugli articoli 2, 5 e 7 della legge n. 117 del 1988. Pur confermando il sistema di responsabilità indiretta del magistrato, la proposta:

§  equipara, ai fini della responsabilità civile dello Stato, la condotta dei magistrati onorari a quella dei magistrati togati;

§  ridefinisce il concetto di colpa grave;

§  limita l’attuale clausola di salvaguardia, volta a individuare i casi in cui non si dà luogo a responsabilità;

§  elimina il filtro di ammissibilità della domanda di risarcimento danni, attualmente attribuito alla valutazione del tribunale distrettuale;

§  integra la disciplina dell’azione di rivalsa dello Stato.

Analiticamente, la lettera a) modifica l’art. 2 della legge n. 117/1988.

In primo luogo, l’attuale rubrica dell’articolo 2 – Responsabilità per dolo o colpa grave – è sostituita con la rubrica Responsabilità dello Stato.

Appare utile valutare la portata della modifica della rubrica, suscettibile, se non altro, di orientare l’interprete. Occorre infatti considerare che, come già oggi, la proposta conferma l’azione risarcitoria diretta nei confronti dello Stato e fa salva l’azione di rivalsa di quest’ultimo nei confronti del magistrato.

In secondo luogo, novellando il comma 1 dell’articolo 2, la proposta di legge specifica che le disposizioni sulla responsabilità civile dello Stato si applicano non solo ai danni provocati da un atto del giudice togato, ma anche da quello compiuto da un magistrato onorario. Si ricorda, invece, che attualmente, in base all’art. 7, comma 3, della legge 117/1988, i giudici di pace e i giudici popolari rispondono soltanto in caso di dolo; la disposizione è stata sul punto modifcata (v. infra).

Si osserva che la disposizione potrebbe trovare più idonea collocazione nell’art. 1 della legge 117/1988, relativo all’ambito di applicazione della medesima.

La proposta mantiene come presupposto della responsabilità civile dello Stato, oltre al diniego di giustizia, il dolo o la colpa grave del giudice nell'esercizio delle sue funzioni (comma 1).

Tuttavia, modificando il comma 2 dell’articolo 2, corregge la c.d. clausola di salvaguardia, che attualmente esclude che l’attività di interpretazione di norme di diritto e l’attività di valutazione del fatto e delle prove possano dare luogo a responsabilità civile.

La proposta esclude espressamente dalla salvaguardia i casi di dolo, nonché i casi nei quali si ledano i diritti fondamentali della persona attraverso:

§  la manifesta violazione di norme di diritto. L’espressione è analoga all’attuale ipotesi di «grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile», prevista tra i casi di colpa grave dal comma 3, lettera a), che viene contestualmente soppressa; 

§  il travisamento del fatto. L’espressione sostituisce le attuali ipotesi – relative alla colpa grave - di «affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento», prevista dal comma 3, lettera b), e di «negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento», prevista dal comma 3, lettera c). Entrambe le lettere del comma 3 sono contestualmente soppresse;

§  il travisamento di una prova.

Inoltre, con la modifica del comma 3 dell’articolo 2, la proposta precisa che per colpa grave si intendono le ipotesi descritte al comma 2 (ovvero la manifesta violazione di norme di diritto, il travisamento del fatto e il travisamento di una prova), nonché l’emissione di provvedimenti concernenti la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione. In sostanza, la novella richiama le ipotesi previste dal comma precedente e sopprime le tre specificazioni sulla grave violazione di legge e sull’esistenza di fatti esclusi o l’inesistenza di fatti acclarati, attualmente previste.

A parte le considerazioni sulla possibilità di distinzione tra valutazione e travisamento del fatto e delle prove ai fini dell’efficacia della clausola di salvaguardia (identiche a quelle a commento dell’analoga norma della p.d.l. 2738, (cui si rinvia), occorrerebbe considerare se l’elenco dei diritti fondamentali della persona debba considerarsi rimesso alla determinazione dell’interprete o, ad esempio, si debba attingere ai diritti costituzionalmente tutelati.

 

La lettera b) dell’articolo unico della proposta di legge abroga l’articolo 5 della legge 177/1988, che attualmente subordina il risarcimento alla delibazione preliminare di ammissibilità della domanda (controllo presupposti, rispetto termini e valutazione di manifesta infondatezza) da parte del tribunale distrettuale.

Come per la proposta C. 2738, andrebbe valutata – per coordinamento - l’opportunità di abrogazione anche dell’art. 6 della legge Vassalli, inerente l’eventuale intervento del magistrato davanti al tribunale distrettuale.

La lettera c) modifica l’articolo 7 della legge 117/1988, relativo all’azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato.

 

L’articolo 7 prevede che se è accertata nel giudizio la responsabilità del magistrato, lo Stato, entro un anno dal risarcimento, esercita nei suoi confronti l'azione di rivalsa (comma 1). In nessun caso la transazione è opponibile al magistrato nel giudizio di rivalsa e nel giudizio disciplinare (comma 2). La rivalsa dello Stato si applica anche (comma 3) ai giudici di pace (la legge fa riferimento ai giudici conciliatori) e ai giudici popolari, che rispondono sono a titolo di dolo, mentre i cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano organi giudiziari collegiali rispondono a titolo di dolo e in caso di “affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento” ovvero di “negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento” (ovvero colpa grave ai sensi dell’art. 2, comma 3, lettere b) e c)).

 

Rispetto alla normativa vigente, la proposta di legge:

§  elimina dal comma 1 ogni riferimento alla dichiarazione di ammissibilità della domanda, coordinando il testo con l’abrogazione dell’art. 5;

§  specifica che l’azione di rivalsa può essere esercitata dallo Stato nei confronti del magistrato solo se il fatto è commesso con dolo o colpa grave;

Si osserva che, già in base all’art. 2 della legge 117/1988, come modificata dalla proposta di legge, non paiono esservi ipotesi di risarcibilità ulteriori rispetto ai casi di dolo o colpa grave.

§  elimina ogni riferimento ai giudici conciliatori e ai giudici popolari, in considerazione dell’inserimento all’art. 2 della legge del richiamo alla magistratura onoraria. Mantiene il richiamo ai cittadini estranei alla magistratura, specificando per coordinamento con la novella dell’art. 2, comma 3, che essi rispondono solo per dolo e nei casi di colpa grave per travisamento del fatto o di una prova.

Si segnala che il testo attuale dell’art. 7, comma 3, distingue tre categorie di soggetti: giudici conciliatori, giudici popolari e cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano organi giudiziari collegiali.

Se i primi sono senz’altro riconducibili alla categoria dei giudici onorari, cui è esteso dalla p.d.l. il campo d’applicazione della legge sulla responsabilità civile, e i terzi sono mantenuti nella nuova formulazione della disposizione, resta da chiarire quale sia la disciplina relativa ai giudici popolari. Occorre quindi considerare se i giudici popolari debbano essere ricondotti alla categoria dei cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o che formano organi giudiziari collegiali, nel presupposto che sia errata la distinzione del 1988.

Si osserva, in fine, che la proposta di legge A.C. 1735 non prevede alcuna disposizione transitoria.

La proposta di legge C. 1850 (Brunetta)

La proposta in esame, sostanzialmente composta da un articolo unico (l’art. 2 concerne l’entrata in vigore) modifica gli articoli 2, 5 e 7 della legge 117 del 1988 sulla responsabilità civile dei magistrati.

Principi basilari della proposta sono:

 

Anzitutto, l’articolo 1 integra la formulazione del comma 1 dell’art. 2 della legge 117, prevedendo la possibilità di risarcimento solo in relazione a provvedimento giudiziario pronunciato “in ultima istanza” posti in essere dal magistrato nell’esercizio delle funzioni giudiziarie.

Si valuti se la locuzione “provvedimento giudiziario pronunciato in ultima istanza” corrisponda ai provvedimenti giudiziari definitivi oppure abbia un’estensione maggiore.

 

Dall’abrogazione del comma 2 dell’art. 2 della legge 117 consegue, invece, la responsabilità del magistrato (finora esclusa) anche:

 

Sono conseguentemente rideterminate le fattispecie di colpa grave previste dal comma 3 dell’art. 2 della legge 117. Rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente, costituiscono colpa grave ai sensi del nuovo comma 3 anche :

 

Un comma 3-bis, aggiunto all’art. 2, della legge 117, indica nella chiarezza e precisione della norma gli elementi da considerare ai fini del riconoscimento della violazione manifesta del diritto.

Lo stesso comma 3-bis indica, invece, nella violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea un indice particolare di valutazione della violazione del diritto dell’Unione europea.

Si osserva, in relazione a quest’ultima ipotesi, come la proposta in esame non preveda esplicitamente ipotesi di colpa grave per violazione del diritto della UE. Si potrebbe tuttavia interpretare la previsione di cui all’art. 2, comma 3, lett. a), della legge 117, come sostituito dalla proposta di legge (la violazione manifesta del diritto), come comprensiva anche del diritto dell’Unione europea, per il quale peraltro il comma 3-bis non parla di violazione “manifesta” ma di semplice violazione.

 

Come le proposte di legge C. 2738 e C. 1850, anche la proposta in esame abroga l’articolo 5 della legge 117 del 1988 sopprimendo così il filtro di ammissibilità della domanda di risarcimento da parte del tribunale del distretto di corte d’appello.

Anche in tal caso, andrebbe valutato il caso di abrogare anche l’art. 6 della legge 117, relativo all’intervento in causa del magistrato.

Un’ultima modifica riguarda l’azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato, disciplinata dall’art. 7 della legge 117 per la quale è confermato in un anno il termine entro il quale lo Stato esercita l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato.

Dalla soppressione dei commi 2 e 3 deriva :

-        la previsione dell’opponibilità al magistrato della transazione nel giudizio di rivalsa e in quello disciplinare;

-         l’equiparazione alla responsabilità dei magistrati della responsabilità dei giudici popolari e dei cittadini estranei alla magistratura che concorrono alla formazione di collegi giudicanti.

 

La proposta di legge C. 2140 (Cirielli)

L’articolo unico della proposta in esame interviene sulla legge 117/1988 soltanto in relazione alla disciplina dell’azione di rivalsa.

Elementi fondanti della proposta sono:

§  la previsione, in sostituzione di tale azione, di un’azione di responsabilità amministrativo-contabile, che intende equiparare il magistrato agli altri funzionari dello Stato;

§  la conseguente individuazione nella Corte dei conti del giudice competente per l’azione di regresso verso il magistrato, in sostituzione del tribunale distrettuale.

 

Alla sostituzione dell’azione di rivalsa corrisponde, anzitutto, la nuova denominazione della rubrica dell’art. 8 della L. 117 che da “azione di rivalsa” diventa azione di responsabilità amministrativo-contabile”.

L’attuale comma 1 dell’art. 7 è sostituito (art. 1, lett. a)) con sei nuovi commi (da 1 a 1-sexies). Il primo stabilisce che il tribunale del distretto, una volta passata in giudicato la sentenza di risarcimento a carico dello Stato, contestualmente all’avvenuto risarcimento, deve trasmettere la decisione al competente procuratore regionale della Corte dei conti.

Della trasmissione alla indicata Procura regionale della sentenza e dell’intera documentazione afferente al giudizio è titolare il Presidente del tribunale del distretto. La Corte dei conti notifica con decreto al magistrato condannato la fissazione del giudizio (comma 1-bis).

Sul punto si valuti il riferimento al magistrato “condannato” contenuto nel nuovo comma 1-bis del comma 7. In tale fase, condannato al risarcimento è, infatti, sulla base della sentenza del tribunale, solo lo Stato; il magistrato potrà esserlo solo all’esito del giudizio davanti alla Corte dei conti.

Il successivo comma 1-ter prevede il possibile intervento in causa del magistrato “per presentare le sue giustificazioni” in base alle modalità stabilite dal regolamento di procedura dei giudizi della Corte dei conti (ovvero il RD 1038 del 1933).

Pare opportuno sostituire il richiamo a “le sue giustificazioni” con la locuzione che faccia riferimento agli atti e ai documenti a propria difesa.

 

Il regolamento di procedura davanti alla Corte dei conti prevede (art. 14) che la Corte dei conti può richiedere all'amministrazione e ordinare alle parti di produrre gli atti e i documenti che crede necessari alla decisione della controversia e può ordinare al procuratore generale di disporre accertamenti diretti anche in contraddittorio delle parti.

La stessa Corte può inoltre disporre l'assunzione di testimoni ed ammettere gli altri mezzi istruttori che crederà del caso, stabilendo i modi con cui debbono seguire ed applicando, per quanto possibile, le leggi di procedura civile (art. 15).

 

In base al comma 1-quater, la Corte - se riconosce la responsabilità del magistrato - liquida il debito deliberando la condanna del magistrato al pagamento dei danni (nei confronti dello Stato).

Competente per l’esecuzione è il Ministro della giustizia cui il pubblico ministero trasmette la decisione della Corte dei conti.

Pare opportuno precisare se il riferimento al pubblico ministero riguardi il Procuratore regionale della Corte dei conti o il Procuratore generale della stessa Corte.

 

Il comma 1-sexies dispone che, per l'esecuzione delle decisioni della Corte dei conti, siano applicabili le norme di competenza, i mezzi e le forme stabiliti dalla legge per la riscossione dei tributi diretti.

 

Nel sistema della riscossione delle imposte dirette, disciplinato dal DPR n. 602/1973, la riscossione può essere spontanea o coattiva. Nel primo caso essa si concreta nella ritenuta diretta, consistente nell'obbligo dei soggetti pubblici che corrispondono determinate somme (emolumenti, stipendi, ma anche vincite e premi) di trattenere una parte di esse e riversarla all'amministrazione finanziaria, ovvero nel versamento diretto, in cui il contribuente dichiara ed assolve il debito tributario. Quest'ultima è la principale modalità di riscossione delle imposte sul reddito, e trova applicazione anche per il versamento delle ritenute dei sostituti d'imposta. Per "esecuzione coattiva" si intende l'azione di recupero forzoso di un credito della Pubblica Amministrazione (in questo caso, di natura tributaria); se a seguito della notifica della cartella e degli altri avvisi il cittadino non paga spontaneamente, né interviene un provvedimento di sospensione o annullamento da parte dell'ente creditore, l'Agente della riscossione (Adr) deve obbligatoriamente recuperare le somme iscritte a ruolo attivando le procedure esecutive disciplinate dalla legge. Questi principi sono stati innovati dalla disciplina dell'accertamento cd. "esecutivo" (disciplinato dall'articolo 29, del D.L. 78/2010), che ha concentrato le fasi di accertamento e riscossione per gli atti emessi a partire dal 1° ottobre 2011 (e relativi ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi): in particolare, ai sensi della predetta norma, l'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell'IVA e dell'IRAP, nonché il relativo provvedimento di irrogazione delle sanzioni, devono contenere l'intimazione ad adempiere all'obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati; trascorsi sessanta giorni dalla notifica, detto accertamento diventa esecutivo.

Viene poi riformulato il comma 2 dell’art. 7, attualmente relativo all’inopponibilità al magistrato della transazione sia nel giudizio di rivalsa che in quello disciplinare.

 

Dal comma 2 è espunto il riferimento al giudizio di rivalsa, cui la proposta di legge sostituisce il giudizio amministrativo-contabile davanti alla Corte dei conti.

Si osserva, dal punto di vista della formulazione del testo, che occorre correggere il riferimento alla transazione “di cui al comma 1” posto che tale comma, come riformulato, non fa riferimento ad alcuna transazione.

Infine, la proposta di legge dispone l’abrogazione dei commi 1 e 2 dell’articolo 8 della legge 117/1988 (art. 1, lett. b)

Tale abrogazione, a fronte dell’avvenuta sostituzione degli stessi commi da parte della proposta di legge, non risulta necessaria.


Il parere del Consiglio superiore della magistratura sul disegno di legge del Governo

 

Nella seduta del 29 ottobre 2014, su richiesta dal Ministro della giustizia, il CSM ha espresso il proprio parere sul disegno di legge governativo S. 1626, di modifica della disciplina della legge 117 del 1988.

Di seguito si riportano i principali rilievi del Consiglio sulle sole parti del testo del Governo confluite nel progetto di legge C. 2738, approvato dal Senato, ed ora all’esame della Camera dei deputati.

 

In via generale, il CSM, pur esprimendo favore per il mantenimento del modello del “doppio binario” (ovvero per l’autonomia della responsabilità dello Stato rispetto a quella del magistrato) manifesta preliminarmente la sua contrarietà ad un eventuale utilizzo della nuova disciplina come elemento di condizionamento del merito delle scelte del magistrato, la cui autonomia e indipendenza è garantita dalla Costituzione.

Il Consiglio superiore considera, invece, con favore l’intervento normativo ove sia mosso dall’esigenza di dare corretta attuazione all’orientamento della Corte di giustizia dell’Unione europea sulla sola responsabilità diretta dello Stato.

 

Sul depotenziamento della salvaguardia, prevista dall’art. 2, comma 2, della legge 117/1988 (l’impossibilità di una responsabilità del magistrato per l’attività interpretativa della legge e di valutazione del fatto e delle prove) ai sensi della clausola di riserva prevista dal nuovo comma 2 - ovvero nei casi di dolo e di colpa grave di cui ai commi 3 e 3-bis - il CSM svolge i seguenti rilievi:

Tale salvaguardia, secondo il Consiglio “non tollera letture riduttive, in quanto giustificata dal carattere fortemente valutativo dell’attività giudiziaria ed attua, come precisato da Corte cost. 19 gennaio 1989, n. 18, l’indipendenza del giudice e, con essa, del giudizio. Tanto è vero che, pacificamente, non può ritenersi che il giudice sia obbligato a decidere conformemente all’interpretazione già effettuata precedentemente dallo stesso o da altro giudice in relazione ad un’altra controversia (Cass., III sez., sent. 31 maggio 2006, n. 13000)”

 

Rilievi critici risultano nel parere anche in relazione alla fattispecie di colpa grave di cui al nuovo comma 3 dell’art. 2 della legge Vassalli. In particolare, la soppressione dell’elemento soggettivo della “negligenza inescusabile” rende rilevanti i soli indici oggettivi rivelatori di tale colpa (come la violazione manifesta della legge e del diritto dell’Unione europea) “prescindendo da ogni indagine di tipo soggettivo in ordine all’operato dell’apparato statale”. In particolare, in relazione al travisamento del fatto e delle prove – per evitare surrettizie indagini circa la corretta interpretazione dei fatti, la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche e sull’attività valutativa del giudice –  sarebbe necessario “che il travisamento debba essere espressamente qualificato come inescusabile o comunque come “palese” o “evidente” o "macroscopico", e debba quindi consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile alla stregua degli atti e dei documenti di causa”.

Tale precisazione degli elementi che identificano detto travisamento risulta parzialmente recepita nel testo approvato dal Senato.

 

Sulla soppressione del filtro giudiziale di ammissibilità della domanda civile conseguente all’abrogazione dell’art. 5 della legge 117 (ora art. 3, comma 2, C. 2738), il CSM ritiene indispensabile, al contrario, “mantenere una valutazione sommaria di ammissibilità” con la conservazione di “sistemi processuali limitativi non solo volti ad evitare l’abuso del diritto alla tutela giurisdizionale ma anche tali da costituire un possibile vantaggio per il titolare della pretesa sostanziale”.

Secondo il CSM, il filtro potrebbe esser riformato prevedendo in tale sede la sola verifica delle condizioni formali per la proposizione della domanda nonché la sua non manifesta infondatezza: Sarebbe, inoltre, opportuno che il tribunale distrettuale che si pronuncia sull’ammissibilità non possa poi decidere nel merito sull’azione di risarcimento che dovrebbe essere passata alla competenza di diverso giudice.

 

In relazione alla riforma dell’azione di rivalsa, il CSM è favorevole alla scelta del legislatore di conservare, anche in relazione alla rivalsa, l’esclusiva legittimazione processuale dello Stato nel giudizio eventualmente promosso dal danneggiato.

Critiche sono invece rivolte nel parere del CSM a diversi profili di novità dell’art. 7 della legge Vassalli. In particolare: appare troppo penalizzante per il magistrato l’aumento da uno a tre anni del termine per l’esercizio dell’azione di rivalsa, aumento che può costituire un vulnus ai principi della certezza dei rapporti giuridici; inoltre, l’espressa obbligatorietà dell’azione di rivalsa, anziché avere una funzione di chiarimento della natura dell’azione dello Stato verso il magistrato “si traduce, in realtà, in uno strumento distonico rispetto al nuovo sistema fondato, alla luce di quanto in precedenza evidenziato, su canoni di responsabilità di tipo prevalentemente oggettivo, e presenta profili di possibile interferenza con la garanzia dei principi costituzionali di autonomia ed indipendenza della magistratura”; l’aumento da 1/5 a 1/3 della parte dello stipendio netto decurtabile mensilmente “introduce una ingiustificata disparità di trattamento per i magistrati rispetto a quanto previsto per tutti gli altri dipendenti pubblici”.

 


La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e le procedure di contenzioso aperte
(in collaborazione con l’Ufficio Rapporti con l’Unione Europea)

Nella sentenza 13 giugno 2006, emessa nella causa C-173/03 (Traghetti del Mediterraneo), pronunciandosi in via pregiudiziale, la Corte di giustizia ha affermato che «Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un'interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale».

La Corte ha osservato che «Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler».

Alla luce della sentenza da ultimo indicata, al fine di determinare se questa condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale investito di una domanda di risarcimento danni deve tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione sottoposta al suo sindacato, e, in particolare, del grado di chiarezza e di precisione della norma violata, del carattere intenzionale della violazione, della scusabilità o inescusabilità dell’errore di diritto, della posizione adottata eventualmente da un’istituzione comunitaria nonché della mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE, nonché della manifesta ignoranza della giurisprudenza della Corte di giustizia nella materia (sentenza Köbler, cit., punti 53-56).

 

Sulla base di questa pronuncia della Corte di Giustizia, la Commissione europea, con lettera di costituzione in mora ex articolo 226 del Trattato CE (oggi riferibile all’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) del 9 ottobre 2009, ha contestato all’Italia di essere venuta meno agli obblighi imposti dal diritto dell’Unione in virtù del principio generale della responsabilità degli Stati membri in caso di violazione del diritto comunitario imputabile ad un loro organo giurisdizionale.

In particolare, gli addebiti mossi dalla Commissione riguardavano la compatibilità rispetto al diritto dell’Unione europea delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 2 della legge n. 177 del 1988.

 

Con lettera del 22 marzo 2010 la Commissione ha fatto pervenire alla Repubblica italiana un parere motivato, invitandola ad adottare le misure necessarie per conformarsi entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione. Ritenendo che tale parere motivato fosse rimasto senza risposta, il 29 luglio 2010, la Commissione europea ha convenuto la Repubblica italiana innanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea mediante ricorso per inadempimento degli obblighi derivanti dai trattati ex articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Ribadendo considerazioni già espresse nella lettera di messa in mora (e, in precedenza, nella sentenza della Corte di giustizia del 2006), a sostegno del ricorso la Commissione ha sostanzialmente ribadito i due addebiti:

§  da un lato, ha contestato alla Repubblica italiana di avere escluso responsabilità dello Stato italiano per i danni causati a singoli dalla violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale qualora tale violazione derivi da un’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo;

§  dall’altro, ha rilevato che il nostro ordinamento limita, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove, la possibilità di invocare tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave.

 

La Repubblica italiana, d’altro canto, ha contestato l’addebito dell’inadempimento, dovuto - a suo parere - ad un’interpretazione erronea della legge n. 117/88.

Tra le controdeduzioni di parte italiana deve ricordarsi l’argomento secondo cui l’art. 2 di detta legge conterrebbe unicamente una clausola limitativa della responsabilità, a prescindere dall’attività giurisdizionale in questione, considerato che i presupposti (dolo e colpa grave) fissati al primo comma dell’art. 2 della legge medesima (e precisati, con riguardo alla nozione di «colpa grave», al successivo terzo comma), si applicherebbero anche alla fattispecie relativa all’interpretazione di norme di diritto ed alla valutazione di fatti e prove. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione europea, nella menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo la Corte non avrebbe respinto l’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 117/88 sostenuta dalla Repubblica italiana, bensì si sarebbe limitata a rispondere alla questione pregiudiziale formulata dal giudice del rinvio. Secondo la Repubblica italiana, la disciplina contestata non sarebbe di per sé in contrasto con la giurisprudenza della Corte, atteso che ai giudici nazionali sarebbe consentito procedere ad un’interpretazione di tale legge conforme ai requisiti del diritto dell’Unione e, in particolare, a quelli fissati nelle citate sentenze Köbler e Traghetti del Mediterraneo; a tal proposito la nozione di «colpa grave» contenuta nella normativa italiana in esame coinciderebbe con la condizione della «violazione grave e manifesta del diritto dell’Unione», quale definita dalla giurisprudenza della Corte.

 

Sulla procedura di infrazione (causa C-379/10) promossa dalla Commissione europea si è pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 24 novembre 2011.

La Corte, accogliendo gli addebiti rilevati dalla Commissione, ha stabilito che la disciplina italiana sul risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, laddove esclude qualsiasi responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell'Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo, e laddove limita tale responsabilità ai casi di dolo o di colpa grave, è in contrasto con il principio generale di responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto dell'Unione.

La Corte rammenta che uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni arrecati ai singoli per violazione del diritto dell'Unione da parte dei propri organi in presenza di tre condizioni:

-      la norma giuridica violata dev'essere preordinata a conferire diritti ai singoli,

-      la violazione deve essere sufficientemente caratterizzata e

-      tra la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e il danno subìto dal soggetto leso deve sussistere un nesso causale diretto.

La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado è disciplinata dalle stesse condizioni. In tal senso, una «violazione sufficientemente caratterizzata della norma di diritto» si realizza quando il giudice nazionale ha violato il diritto vigente in maniera manifesta. Il diritto nazionale può precisare la natura o il grado di una violazione che implichi la responsabilità dello Stato ma non può, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi.

 

Da ultimo si segnala che, con lettera di messa in mora ex articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il 26 settembre 2013 la Commissione ha contestato all’Italia di non aver adottato alcuna iniziativa volta ad adempiere alla sentenza della Corte 24 novembre 2011, nella causa C-379/10.

 

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 260, paragrafi 1 e 2 del TFUE, quando la Corte di giustizia dell'Unione europea riconosca che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta.

La Commissione, ove ritenga che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta, dopo aver posto tale Stato in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte. Essa precisa l'importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze. Infine, la Corte, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.

 


La responsabilità civile dei magistrati in alcuni ordinamenti europei
(a cura del Servizio Biblioteca)

Francia

In Francia la peculiarità della funzione giurisdizionale ha da sempre imposto una particolare cautela nella previsione della responsabilità di coloro che la esercitano. Progressivamente i magistrati dell’ordine giudiziario sono stati percepiti come professionisti tenuti alla buona realizzazione dei loro compiti nell’esercizio dei loro poteri giurisdizionali e, pertanto, non esenti dall’applicazione di un principio generale di responsabilità civile, temperato tuttavia dalla necessità di preservarli dal moltiplicarsi di azioni legali di risarcimento da parte di ricorrenti semplicemente insoddisfatti del contenuto delle decisioni giudiziarie prese nei loro confronti[2].

Per tali ragioni è lo Stato a rispondere, in via prioritaria, degli eventuali danni (e interessi) determinati dall’amministrazione della giustizia nei confronti di coloro che sono ad essa sottoposti.

Sono previsti i seguenti tre regimi di responsabilità civile dei magistrati (Code de l’organisation judiciaire, artt. L 141-1 e ss.):

 

§  il primo riguarda la responsabilità per funzionamento difettoso del servizio giudiziario (fonctionnement défectueux du service de la justice), il cui campo di applicazione risulta peraltro limitato alle due ipotesi della colpa grave[3] (faute lourde) e del diniego di giustizia (déni de justice) (art. L 141-1)[4];

 

§  il secondo concerne la responsabilità per colpa personale (faute personnelle) dei magistrati ordinari (i magistrati del Corpo giudiziario) ed è soggetto alla disciplina contenuta nello statut de la magistrature (art. L 141-2);

 

§  il terzo è relativo alla responsabilità per colpa personale degli altri giudici (ad es., i giudici amministrativi o quelli appartenenti a giurisdizioni speciali) ed è appositamente regolato da leggi speciali o, in loro assenza, segue il procedimento della cosiddetta “prise à partie” (art. L141-3)[5].

 

In tutti e tre i casi la responsabilità civile viene fatta valere contro lo Stato e non è ammessa l’azione diretta contro i magistrati: è lo Stato, pertanto, a garantire le vittime anche dei danni causati dalle colpe personali dei magistrati, fatta salva la facoltà dello Stato di rivalersi su questi ultimi.

 

Per ciò che riguarda, in particolare, il primo regime, il funzionamento difettoso della giustizia si riferisce all’insieme di attività in cui si esplica il servizio della giustizia: sentenze, provvedimenti e atti giurisdizionali, ma anche tutti gli atti giuridici o materiali connessi all’esercizio del servizio, nonché gli atti delle autorità amministrative che collaborano al servizio della giustizia.

La responsabilità diretta dello Stato nei confronti delle vittime deriva dalla nozione di colpa del servizio (faute de service) riconosciuta a carico dello Stato, indipendentemente dall’accertamento di una responsabilità personale dell’autore materiale del danno[6]. Tuttavia, come richiamato in precedenza, i casi di malfunzionamento del servizio giudiziario sono circoscritti ai due casi, rispettivamente, di colpa grave (ad esempio, la divulgazione alla stampa di atti giudiziari o la sparizione, in determinate circostanze, di dossier istruttori) e di diniego di giustizia (ad esempio, la fissazione eccessivamente tardiva di un’udienza o una sentenza che dopo lungo tempo ancora non viene pronunciata).

 

Il secondo regime si basa sul concetto di “colpa personale” del giudice, che tuttavia, secondo il dettato dell’art. 11-1 dello statut de la magistrature, va intesa come comportamento lesivo del magistrato, ma sempre collegato al servizio pubblico della giustizia (faute personnelle se rattachant au service public de la justice) o non distaccabile da quel servizio o, per lo meno, non privo di collegamenti con il servizio pubblico della giustizia[7]. In questo caso lo Stato – come già ricordato – può rivalersi con un’azione riconvenzionale nei confronti del giudice personalmente responsabile del danno[8].

 

Anche il terzo regime di responsabilità civile si fonda sulla colpa personale del giudice, ma, a differenza del precedente, si applica ai magistrati non appartenenti al Corpo giudiziario (come i giudici amministrativi o i giudici speciali) e, invece di essere regolato dallo statut de la magistrature, segue la procedura della “prise à partie”. Tale procedura, regolata in dettaglio dagli artt. 366-1 e ss. del Code de procedure civile, è ammessa nei seguenti casi: dolo, frode, concussione, colpa grave e diniego di giustizia. Ma, sebbene qui la responsabilità civile riguardi il comportamento personale del giudice (rientrante nelle fattispecie appena menzionate) e non un suo comportamento legato al servizio pubblico della giustizia, è sempre lo Stato a rispondere civilmente delle condanne al risarcimento dei danni e interessi che possono essere pronunciate contro i magistrati. La causa è di competenza della Corte d’Appello della circoscrizione nella quale il giudice interessato tiene le sue udienze. La prise à partie per essere procedibile deve essere autorizzata preventivamente dal Primo Presidente della Corte d’appello, che decide dopo aver acquisito il parere del Procuratore generale presso la Corte, ossia del Pubblico Ministero. Il rifiuto del Primo Presidente può essere impugnato davanti ad una Chambre civile della Corte di Cassazione.

Germania

La Legge fondamentale tedesca (Grundgesetz - GG), all’articolo 34, sancisce la responsabilità dello Stato (Federazione o Land) in caso di violazione dei doveri della funzione da parte di un giudice.

La responsabilità risarcitoria è, dunque, indiretta, nel senso che il preteso danneggiato non può direttamente chiamare in causa il giudice di cui si vuole far valere la responsabilità.

La fattispecie della responsabilità è quella prevista dall’articolo 839 del Codice civile (Burgerliches Gesetzbuch – BGB)[9], rispetto alla quale opera il criterio di imputazione (allo Stato) stabilito dall’articolo 34 GG[10].

 

L’articolo 839, comma 1, del Codice civile tedesco, stabilisce la responsabilità del funzionario pubblico (Beamter - categoria nella quale sono ricompresi i giudici) che violi dolosamente o colposamente i doveri d’ufficio di cui è titolare; tale responsabilità comporta il risarcimento del danno subito da terzi.

Al comma 2, la stessa disposizione prevede la responsabilità del funzionario che violi i propri doveri nell’emanazione di provvedimenti (Urteil) nel quadro di una vertenza, e la conseguente responsabilità, se la violazione commessa costituisce reato.

 

Quindi, l’obbligo di risarcimento da parte del giudice sorge quando, nel corso di un procedimento giurisdizionale, egli abbia cagionato un danno attraverso la violazione dell’articolo 839, comma 2. Non rientrano in queste ipotesi il rifiuto o il ritardo di esercitare le proprie funzioni, rispetti ai quali opera l’immunità giudiziaria (Richterprivilege) posta a fondamento dell’indipendenza della magistratura. Tale indipendenza richiede, infatti, che nell’interesse dell’imparzialità del giudice, egli non debba temere azioni o ritorsioni per le decisioni assunte; la garanzia di indipendenza della magistratura, inoltre, è stabilita nell’interesse della certezza del diritto, che verrebbe incrinata se la pretesa inesattezza di una decisione giudiziaria fosse oggetto non soltanto della revisione da parte di un altro giudice secondo le comune norme procedurali, ma anche di azioni giudiziarie per atto illecito.

 

Sotto il profilo soggettivo, le disposizioni in materia di responsabilità e le relative esimenti si applicano tanto ai giudici di ruolo che a quelli onorari (figure contemplate dall’ordinamento giudiziario tedesco a livello di Länder).

 

Sotto il profilo oggettivo, la nozione di Urteil di cui all’articolo 839, comma 2, BGB, comprende una gamma di provvedimenti giurisdizionali adottati non soltanto ad esito e a chiusura di un procedimento (sentenza), ma anche durante il suo svolgimento. In base all’interpretazione giurisprudenziale, rientrano nella nozione atti processuali aventi carattere tendenzialmente definitivo, quali la decisione di condanna alle spese oppure le decisioni che sottopongono a tutela o a curatela le persone. Ne sono, invece, esclusi gli atti processuali a carattere tendenzialmente provvisorio, quali, ad esempio, le ordinanze relative all’ammissione di prove, le decisioni sul valore della lite, e, in ambito penale, il mandato di arresto, gli ordini di perquisizione, le ordinanze di sospensione della patente di guida.

Regno Unito

Sui magistrati grava una generale responsabilità per il loro operato, la quale si modula secondo i principi della loro accountability, sia “interna” (ossia verso i poteri pubblici e lo stesso ordine di cui sono membri), sia “esterna”, con riguardo allo scrutinio pubblico al quale sono sottoposti i loro atti[11]. Ciò non comporta, tuttavia, l’indifferenziata applicazione nei loro riguardi delle norme comuni in materia di responsabilità per fatto illecito.

 

Il principio dell’esonero dalla responsabilità civile del magistrato per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, radicato nel common law, è tradizionalmente inteso quale presidio dell’indipendenza della magistratura nel suo complesso (precedente giurisprudenziale rilevante, a questo riguardo, è Sirros v Moore [1975] QB 118, in cui la corte giudicante precisò l’ambito della judicial immunity che tutela il giudice rispetto alla “liability in a civil action for damages in respect of acts done in his judicial capacity”).

 

Il principio suddetto (codificato anche dal legislatore con riferimento ai magistrates, giudici onorari disciplinati dal Justice of Peace Act 1997, ss. 51, 52) ha subìto temperamenti a seguito dell’incorporazione nel diritto interno della CEDU con lo Human Rights Act 1988, che in attuazione dell’art. 5(5) della Convenzione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per ingiusta detenzione.

Spagna

La normativa in materia di responsabilità civile dei giudici e dei magistrati è contenuta in alcuni articoli della Ley Orgánica 6/1985 del Poder Judicial (LOPJ)[12].

L’art. 16 della LOPJ stabilisce che i giudici e i magistrati rispondono penalmente e civilmente nei casi e nella forma prevista dalle leggi.

Vi è anche, agli articoli 411-413, un apposito capitolo sulla responsabilità civile. I giudici e i magistrati rispondono civilmente per i danni e i pregiudizi causati quando, nello svolgimento delle loro funzioni, incorrano in dolo o colpa (art. 411). La responsabilità civile può esigersi su istanza della parte lesa o dei suoi aventi causa, nel relativo giudizio (art. 412). La domanda di responsabilità civile non può essere presentata fino a quando non sia stata emessa la decisione che conclude il processo in cui si presuma sia stato prodotto il danno; in nessun caso la sentenza del giudizio di responsabilità civile può modificare la decisione emessa alla fine di tale processo (art. 413).

L’art. 266, n. 1, della Ley 1/2000, de 7 de enero, de Enjuiciamiento Civil[13], nel disciplinare alcuni casi speciali di presentazione di documentazione processuale, cita la “domanda di responsabilità civile contro giudici e magistrati per danni e pregiudizi causati nell’esercizio delle loro funzioni, con dolo, colpa o ignoranza inescusabile”, l’art. 403, comma 2, della medesima legge, sancisce la non ammissibilità delle domande di responsabilità civile contro giudici e magistrati per i danni e pregiudizi che, per dolo, colpa o ignoranza inescusabile, sono stati arrecati nell’esercizio delle loro funzioni, se non sia stata emessa la risoluzione che pone fine al processo durante il quale si suppone sia stato prodotto il danno.

Accanto a questa responsabilità di tipo personale del magistrato o giudice, esiste anche una responsabilità patrimoniale dello Stato per gli errori giudiziari, per il funzionamento anomalo dell’amministrazione della giustizia e per l’ingiusta carcerazione preventiva. L’art. 121 della Costituzione prevede che:

«I danni causati per errori giudiziari, così come quelli che siano conseguenza del malfunzionamento dell’Amministrazione della Giustizia, daranno diritto a un indennizzo a carico dello Stato, conformemente alla legge».

La LOPJ ha dato attuazione al precetto costituzionale, aggiungendovi la previsione dell’ingiusta carcerazione preventiva. Il titolo V del libro III della LOPJ è dedicato alla “responsabilità patrimoniale dello Stato per il funzionamento dell’Amministrazione della Giustizia” (artt. 292-297).

L’art. 292 della LOPJ prevede che, per i danni causati per errore giudiziario o come conseguenza del funzionamento anomalo della giustizia, spetti ai danneggiati un indennizzo a carico dello Stato, salvo casi di forza maggiore. Il danno arrecato deve essere effettivo, valutabile economicamente e individualizzato in relazione a una persona o gruppo di persone.

L’art. 293 della LOPJ stabilisce che l’indennizzo per errore deve essere preceduto da una decisione giudiziaria che espressamente lo riconosca. Tale decisione può risultare direttamente da una sentenza emessa in virtù del ricorso di revisione. Negli altri casi si applicano le seguenti regole:

a)        l’azione giudiziaria per il riconoscimento dell’errore deve essere sollecitata obbligatoriamente entro tre mesi dal giorno in cui può essere esercitata;

b)        la domanda di dichiarazione dell’errore è sottoposta alla Sala del Tribunale supremo corrispondente al medesimo ordine giurisdizionale dell’organo a cui è imputato l’errore; se l’errore è attribuito a una sezione o Sala del Tribunale supremo, la competenza è della Sala speciale prevista dall’art. 61 della LOPJ[14]; in caso di organi della giurisdizione militare, la competenza è della Sala Quinta (militare) del Tribunale supremo[15];

c)        il procedimento per decidere sulla domanda è quello del ricorso di revisione in materia civile, essendone parti, in ogni caso il Pubblico ministero (Ministerio Fiscal) e l’Amministrazione dello Stato;

d)        il Tribunale emette sentenza definitiva, senza ulteriore ricorso, nel termine di quindici giorni, con previa relazione dell’organo giurisdizionale a cui è attribuito l’errore;

e)        se l’errore non è riconosciuto, saranno addebitate le spese al richiedente;

f)         non si procede alla dichiarazione di errore contro una risoluzione giudiziaria se non si sono esauriti i ricorsi previsti dall’ordinamento;

g)        la semplice richiesta di dichiarazione dell’errore non impedisce l’esecuzione della risoluzione giudiziaria a cui è imputato l’errore.

 

Sia nel caso di errore giudiziario, sia di funzionamento anomalo dell’amministrazione della giustizia, l’interessato deve presentare la propria richiesta di indennizzo direttamente al Ministero della giustizia. Contro la risoluzione può essere presentato ricorso contenzioso-amministrativo. Il diritto a reclamare l’indennizzo si prescrive nel termine di un anno, a partire dal giorno in cui può essere esercitato.

L’art. 294 disciplina in particolare l’indennizzo in favore di chi abbia scontato la carcerazione preventiva essendo poi assolto per inesistenza del fatto imputato o nel caso in cui sia stato dichiarato il non luogo a procedere, sempre che il soggetto ne abbia avuto pregiudizi. La determinazione dell’indennizzo è fissata in funzione del tempo di privazione della libertà e delle conseguenze personali e familiari prodotte.

In nessun caso si dà luogo all’indennizzo quando l’errore giudiziario o l’anomalo funzionamento dei servizi è causato dalla condotta dolosa o colposa della vittima (art. 295).

L’art. 296 prevede che lo Stato risponda dei danni prodotti da giudici e magistrati per dolo o colpa grave. In tal caso lo Stato può ripetere quanto pagato a titolo di indennizzo al danneggiato mediante un’azione di rivalsa nei confronti del giudice che ha causato il danno.

 


 



[1]     Secondo la relazione illustrativa, l’art. 113-bis afferma per la prima volta, nella Costituzione, il principio della responsabilità professionale del magistrato, destinato a completare il nuovo assetto della magistratura in cui l'autonomia e l'indipendenza devono trovare un necessario bilanciamento nella efficienza e responsabilità. Con riferimento al primo comma, la relazione illustrativa sottolinea  che «si prevede un'unica disciplina comune per tutti gli impiegati civili dello Stato: il magistrato dovrà, infatti, rispondere degli atti compiuti in violazione dei diritti, che cagionino un danno ingiusto al pari degli altri funzionari dello Stato».

[2]     RIGHETTI E., La responsabilità civile del giudice nel diritto francese in "Rivista di diritto processuale", 1991, n. 1, pp. 178-224; JOLY-HURARD J., La responsabilité civile, pénale et disciplinaire des magistrats, in "Revue internationale de droit comparé", n. 2006, n. 2, pp. 439-475; CANIVET G., JOLY-HURARD J., La responsabilité des juges, ici et ailleurs in "Revue internationale de droit comparé", 2006, n. 4, pp. 1049-1093; GUINCHARD S., Les responsabilités encourues pour dysfonctionnement du service public de la justice civile in “Petites Affiches”, luglio 2007, pp. 12-24.

[3]     Sebbene il concetto di “colpa grave” non sia definito a livello normativo, è più volte intervenuta la giurisprudenza a precisarne il contenuto: cfr. JOLY-HURARD J., op. cit., pp. 446 ss.

[4]     Nonostante la riduzione della responsabilità per faute de service soltanto a queste due ipotesi, la giurisprudenza ne ha ammorbidito l’applicazione estendendo, ad esempio, la responsabilità dello Stato anche a casi dove la mancanza di servizio si estrinsecava nella “lentezza del giudizio”, assimilata al “diniego di giustizia”.

[5]     Fino ad ora questo terzo regime si è sempre identificato con la prise à partie, dal momento che le leggi speciali previste dal Codice non sono mai state emanate.

[6]     Secondo la dottrina affermata, il danno derivante dal comportamento lesivo viziato da colpa grave o diniego di giustizia deve essere certo, personale, diretto e lesivo di un “intérêt légitime juridiquement protégé”. DE VITA A., La responsabilità civile del giudice e dello Stato come problema nel diritto francese (note comparative)(in "Il Foro italiano", 1979, fasc. 9, pp. 181-239, pt. 5).

[7]     L’eventuale atto o comportamento illecito “esclusivamente personale”, compiuto dal magistrato senza alcun collegamento con il servizio pubblico della giustizia, rientra invece nel campo d’applicazione delle disposizioni di diritto comune in materia di responsabilità civile (Code civil, artt. 1382 e 1383) in quanto il magistrato, in questo caso, sarebbe perseguito non come agente pubblico ma come un cittadino ordinario.

[8]     L’azione è esercitata davanti a una sezione civile (Chambre civile) della Cassazione.

[9]     L’ art. 839 del Codice civile tedesco (Responsabilità per violazione dei doveri d’ufficio) recita:

      (1) Se un funzionario viola dolosamente o colposamente i doveri d’ufficio che incombono su di lui nei confronti di un terzo, deve risarcire al terzo il danno da ciò derivante. Se al funzionario è imputabile solo negligenza, nei suoi confronti possono essere avanzate pretese solo se il soggetto leso non possa ottenere risarcimento in altro modo.

      (2) Se un funzionario viola il suo dovere d’ufficio nella decisione di una vertenza, è responsabile del danno da ciò derivante solo se la violazione del dovere consiste in un reato. Questa disposizione non trova applicazione ad un diniego contrario al proprio dovere o ad un ritardo dell’esercizio dell’ufficio.

      (3) L’obbligo di risarcimento non sorge se il soggetto leso dolosamente o colposamente ha omesso di impedire il danno mediante l’impiego di mezzi legali.

[10]   L’articolo 34 della Grundgesetz recita: “Se taluno, nell'esercizio di un ufficio pubblico affidatogli, viene meno al suo dovere d'ufficio nei riguardi di un terzo, la responsabilità, per principio, ricade sullo Stato o sull'ente in cui egli presta servizio. In caso di dolo o di colpa grave può essere fatto valere il diritto di rivalsa. Per quanto concerne il diritto al risarcimento dei danni e il diritto di rivalsa non può mai essere esclusa l'azione di fronte alla giurisdizione ordinaria”.

[11]   I profili della accountability dei magistrati, precisati alla luce della riforma costituzionale del 2005, sono esposti nella guida The Accountabilityof the Judiciary, predisposta dal Lord Chief Justice nell’ottobre 2007.

[12]   La Legge organica 6/1985 è consultabile al seguente link: http://noticias.juridicas.com/base_datos/Admin/lo6-1985.html.

[13]   La Legge 1/2000 è consultabile al seguente link: http://noticias.juridicas.com/base_datos/Privado/l1-2000.l2t1.html.

[14]   Tale Sala è composta dal Presidente del Tribunale supremo, dai Presidenti di Sala e dal magistrato più anziano e più giovane di ciascuna di esse.

[15]   Il Tribunale supremo ha cinque Salas, rispettivamente competenti in materia: civile, penale, contenzioso-amministrativa, sociale (del lavoro) e militare.