Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: La Ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza alle donne. Aspetti di interesse della Commissione Giustizia
Riferimenti:
AC N. 118/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 6    Progressivo: 2
Data: 20/05/2013
Descrittori:
CONVENZIONE DI ISTANBUL   DONNE
LESIONI PERSONALI   OMICIDIO
RATIFICA DEI TRATTATI   REATI SESSUALI


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La Ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza alle donne. Aspetti di interesse della Commissione Giustizia

20 maggio 2013
Elementi per l'istruttoria legislativa



Indice

Il Capo V - Diritto sostanziale|Il Capo VI - Indagini, procedimenti penali, diritto procedurale e misure protettive|



La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, è composta da 80 articoli.

Nel complesso la Convenzione impegna le Parti contraenti ad adottare misure legislative e di altri tipo necessarie per realizzare una serie di obiettivi volta a volta individuati nell'articolato.

La Convenzione è composta da dodici capitoli: obiettivi della Convenzione; politiche integrate e raccolte dei dati; prevenzione; protezione e sostegno; diritto sostanziale; indagini, procedimenti penali, diritto procedurale e misure protettive; migrazione e asilo; cooperazione internazionale; meccanismo di controllo; relaizoni con altri strumenti internazionali; emendamenti alla Convenzione; clausole finali.

In particolare, i profili di competenza della Commissione Giustizia sono interessati direttamente dal Capo V (Diritto sostanziale, artt. 29-48) e dal Capo VI (Indagini, procedimenti penali, diritto procedurale e misure protettive, artt. 49-58) della Convenzione.

I profili di competenza della Commissione Giustizia sono inoltre suscettibili di essere interessati anche dalle disposizioni definitorie (art. 3 della Convenzione), qualora si ritenga che esse possano integrare le diverse fattispecie penali rilevanti.

Sono di seguito richiamati, nella presente nota, i singoli articoli dei capi V e VI della Convenzione, con l'indicazione delle eventuali disposizioni sostanziali o processuali corrispondenti, vigenti nell'ordinamento italiano.


Il Capo V - Diritto sostanziale

Il Capitolo V della Convenzione, rubricato "Diritto sostanziale", negli articoli da 29 a 48, individua le misure  («legislative o di altro tipo») che gli Stati devono adottare per garantire il pieno rispetto dell'accordo internazionale. Si tratta di interventi, prevalentemente di natura penale e processuale penale, per garantire la repressione di ogni forma di violenza e il sostegno alle vittime.

 

Gli articoli da 29 a 48 della Convenzione


Risarcimento danni in sede civile

Articolo 29 - Procedimenti e vie di ricorso in materia civile

1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per fornire alle vittime adeguati mezzi di ricorso civili nei confronti dell'autore del reato.

2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie, conformemente ai principi generali del diritto internazionale, per fornire alle vittime adeguati risarcimenti civili nei confronti delle autorità statali che abbiano mancato al loro dovere di adottare le necessarie misure di prevenzione o di protezione nell'ambito delle loro competenze.


Articolo 30 - Risarcimenti

1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le vittime abbiano il diritto di richiedere un risarcimento agli autori di qualsiasi reato previsto dalla presente Convenzione.

2. Un adeguato risarcimento da parte dello Stato è accordato a coloro che abbiano subito gravi

pregiudizi all'integrità fisica o alla salute, se la riparazione del danno non è garantita da altre fonti, in particolare dall'autore del reato, da un'assicurazione o dai servizi medici e sociali finanziati dallo Stato. Ciò non preclude alle Parti la possibilità di richiedere all'autore del reato il rimborso del risarcimento concesso, a condizione che la sicurezza della vittima sia pienamente presa in considerazione.

3. Le misure adottate conformemente al paragrafo 2 devono garantire che il risarcimento sia concesso entro un termine ragionevole.

 

Per quanto riguarda «i mezzi di ricorso civili nei confronti dell'autore del reato» (art. 29, comma 1) e la garanzia «che le vittime abbiano il diritto di richiedere un risarcimento agli autori di qualsiasi reato» previsto dalla Convenzione (art. 30, comma 1), si ricorda che  nel nostro ordinamento un fatto produttivo di danno può rivestire una duplice valenza, in quanto può costituire, allo stesso tempo, sia un illecito civile che un illecito penale. La persona offesa da un reato può dunque sia presentare in sede civile una domanda di risarcimento del danno subito, che costiuirsi parte civile e rivolgere la medesima domanda all'interno del processo penale (art. 76 c.p.p.).

 

Il nuovo codice di procedura penale ha infatti aperto la strada alla possibilità che il giudizio penale e quello civile scorrano su due binari paralleli, concludendosi con giudicati contraddittori.

La norma fondamentale della nuova disciplina relativa al rapporto tra giudizio civile e azione penale è stata introdotta attraverso l'art. 75 c.p.p., che sostanzialmente prevede tre ipotesi: 

  • l'azione proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fin tanto che in sede civile non sia stata pronunciata una sentenza di merito, anche non passata in giudicato; tale trasferimento comporta la rinuncia agli atti del giudizio civile 

  • l'azione civile può proseguire in sede civile, se non viene trasferita in sede penale, ovvero se è iniziata quando non è più possibile la costituzione di parte civile 

  • se l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il giudizio civile deve essere sospeso fino alla pronuncia della sentenza definitiva.

 

Risulta più problematico, sul piano applicativo, inquadrare il secondo comma dell'articolo 29 che ipotizza un impegno dello Stato parte della Convenzione a garantire un risarcimento alle vittime, a fronte dell'inerzia delle autorità statali con riguardo all'attività di prevenzione e protezione. Dovrebbero valere sul punto le disposizioni vigenti in tema di risarcimento del danno e di responsabilità erariale (art. 28 Cost.).

 

Per quanto riguarda invece l'ultima parte dell'articolo 30, si rileva che attualmente il nostro ordinamento non prevede fondi nazionali cui attingere in caso di inadempimento dell'obbligo di risarcimento dei danni da parte dell'autore di uno dei reati previsti dalla Convenzione. L'intervento dello Stato a sostegno di coloro che abbiano riportato danni a seguito della commissione di reati è peraltro previsto dal nostro ordinamento per le vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, del racket e dell'usura. Costituisce poi un'ipotesi distinta il Fondo di garanzia per le vittime della sStrada, ai sensi dell'art. 283 del D.lgs n. 209 del 2005.

 

Articolo 29
Articolo 30


Custodia dei figli

Articolo 31 - Custodia dei figli, diritti di visita e sicurezza

1. Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione.

2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che l'esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini.

 

La Convenzione intende garantire che, in sede di affidamento dei figli e di disciplina dei diritti di visita, l'autorità prende in considerazione i precedenti episodi di violenza commessi dai genitori, così da tutelare la vittima e i minori.

Il nostro ordinamento non stabilisce espressamente che il giudice debba tener conto di precedenti condanne o di denunce a carico di uno dei genitori. Tuttavia, il codice civile stabilisce:

- la decadenza dalla potestà genitoriale per il genitore che violi o trascuri i doveri ad essa inerenti o abusi  dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio (art. 330);

- l'allontanamento del genitore dalla residenza familiare quando la sua condotta non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza ma appare comunque pregiudizievole al figlio (art. 333 c.c.).

Inoltre, ferma la regola dell'affido condiviso, l'art. 155-bis del codice civile stabilisce che il giudice può disporre l'affidamento dei figli a uno solo dei genitori qualora ritenga che l'affidamento anche all'altro sia contrario all'interesse del minore.

Per quanto riguarda il diritto di visita, il nostro ordinamento non lo disciplina espressamente, lasciando alla giurisprudenza la sua regolamentazione (ai sensi dell'art. 155 c.c., il giudice determina i tempi e le modalità della presenza dei minori presso i genitori). La giurisprudenza ha costantemente affermato che nella regolamentazione del diritto da parte del giudice che dispone in ordine all'affidamento, possa essere sospeso il diritto di visita ovvero possano essere previste «modalità protette» per gli incontri, ossia che questi avvengano in spazi limitati e alla presenza di personale qualificato (per esempio, gli assistenti sociali).

 

Articolo 31


Matrimonio forzato

 

Articolo 32 - Conseguenze civili dei matrimoni forzati

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che i matrimoni contratti con la forza possano essere invalidabili, annullati o sciolti senza rappresentare un onere finanziario o amministrativo eccessivo per la vittima.

 

Articolo 37 - Matrimonio forzato

1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per penalizzare l'atto intenzionale di costringere un adulto o un bambino a contrarre matrimonio.

2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per penalizzare il fatto di attirare intenzionalmente con l'inganno un adulto o un bambino sul territorio di una Parte o di uno Stato diverso da quello in cui risiede, allo scopo di costringerlo a contrarre matrimonio.

 

 

In base all'articolo 122 del codice civile nel nostro ordinamento il matrimonio può essere impugnato dal coniuge il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo (primo comma). La disposizione precisa che l''azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l'errore. L'ordinamento non prevede misure speciali per impugnare il matrimonio, né la gratuità dell'azione.

 

Per quanto riguarda invece la fattispecie penale, richiesta dall'articolo 37 della Convenzione, il nostro ordinamento non la prevede.

Attualmente in caso di matrimonio forzato sono dunque applicabili il delitto di violenza privata, di cui all'articolo 610 del codice penale («Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa») ovvero, nelle ipotesi più gravi, paventate dal secondo comma della disposizione, il delitto di tratta di persone (art. 601 c.p.).


 

Articolo 32
Articolo 37


Violenza psicologica e fisica

Articolo 33 - Violenza psicologica

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per penalizzare un comportamento intenzionale mirante a compromettere seriamente l'integrità psicologica di una persona con la coercizione o le minacce.

 

Articolo 35 - Violenza fisica

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per penalizzare il comportamento intenzionale di chi commette atti di violenza fisica nei confronti di un'altra persona.

 

 

Per quanto riguarda la violenza psicologica, così come definita dall'art. 33 della Convenzione, il nostro ordinamento penale non prevede una fattispecie specifica di questo tenore, pur punendo «chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa» (violenza privata, art. 610 c.p.).  

Ben diversamente, la violenza fisica cui fa riferimento l'articolo 35 della Convenzione è ampiamente coperta nel nostro ordinamento penale, basti pensare alle diverse fattispecie di percosse (art. 581 c.p.) o lesioni personali (artt. 582 e ss. c.p.), ovvero alla violenza privata (art. 610 c.p.), ove lo scopo della violenza fisica sia costringere qualcuno a fare, tollerare od omettere qualcosa.

 

Articolo 33
Articolo 35


Stalking

Articolo 34 - Atti persecutori (Stalking)

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per penalizzare un comportamento intenzionalmente e ripetutamente minaccioso nei confronti di un'altra persona, portandola a temere per la propria incolumità.

 

 

Il delitto di atti persecutori (c.d. stalking) è stato introdotto nel nostro ordinamento dal decreto-legge n. 11 del 2009 (convertito dalla legge n. 38 del 2009) che ha inserito l'articolo 612-bis nel codice penale.

Per la sussistenza della nuova fattispecie delittuosa (procedibile a querela della persona offesa, salvo talune ipotesi specificamente indicate) si richiede la ripetitività della condotta, nonché l'idoneità dei comportamento a provocare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero a ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona alla medesima legata da relazione affettiva ovvero a costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni.

 

Articolo 34


Violenza sessuale

Articolo 36 - Violenza sessuale, compreso lo stupro

1. Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per perseguire penalmente i responsabili dei seguenti comportamenti intenzionali:

a) atto sessuale non consensuale con penetrazione vaginale, anale o orale compiuto su un'altra persona con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto;

b) altri atti sessuali compiuti su una persona senza il suo consenso;

c) il fatto di costringere un'altra persona a compiere atti sessuali non consensuali con un terzo.

2. Il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto.

3. Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo per garantire che le disposizioni del paragrafo 1 si applichino anche agli atti commessi contro l'ex o l'attuale coniuge o partner, quale riconosciuto dalla legislazione nazionale.

 

Il nostro codice penale inquadra i reati di violenza sessuale tra i delitti contro la libertà personale: tali reati sono disciplinati dagli articoli da 609-bis a 609-undecies del codice penale.

Per quanto riguarda specificamente l'art. 36 della Convenzione, si ricorda che l'art. 609-bis (Violenza sessuale) punisce con la reclusione da 5 a 10 anni chi, con violenza o minaccia o abuso di autorità, costringa taluno a compiere o subire atti sessuali (primo comma). Alla stessa pena soggiace il soggetto che induce taluno a compiere o subire atti sessuali con le seguenti modalità (secondo comma): abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto (n. 1); traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona (n. 2).

Il legislatore non definisce il concetto di "atti sessuali", rimettendo la specificazione della condotta alla giurisprudenza, che ne ha dato una definizione ampia, giungendo a ricomprendervi anche le molestie sessuali consistenti in atti concludenti.

Per quanto riguarda in particolare la lettera c) del comma 1 dell'art. 36 della Convenzione, ovvero la sanzione per colui che costringe un'altra persona a compiere atti sessuali non consensuali con un terzo, nel nostro ordinamento trova applicazione il delitto di violenza privata (art. 610 c.p.) e, nelle ipotesi più gravi di costrizione della volontà, il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.)  che punisce con la reclusione da 8 a 20 anni «chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali».

 

Articolo 36


Mutilazioni genitali femminili

Articolo 38 - Mutilazioni genitali femminili

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per perseguire penalmente i seguenti atti intenzionali:

a) l'escissione, l'infibulazione o qualsiasi altra mutilazione della totalità o di una parte delle grandi labbra vaginali, delle piccole labbra o asportazione del clitoride;

b) costringere una donna a subire qualsiasi atto indicato al punto a, o fornirle i mezzi a tale fine;

c) indurre, costringere o fornire a una ragazza i mezzi per subire qualsiasi atto enunciato al punto a.

 

La legge n. 7 del 2006 ha dettato le misure necessarie per prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile, quali violazioni dei diritti fondamentali all'integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine (art. 1).

Tale legge in particolare ha introdotto nel codice penale un'autonoma fattispecie di reato (Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, art. 583-bis, c.p.) che punisce con la reclusione da 4 a 12 anni chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili (clitoridectomia, escissione, infibulazione ed altre analoghe pratiche).

Quando la mutilazione sia di natura diversa dalle precedenti e sia volta a menomare le funzioni sessuali della donna, la pena è la reclusione da 3 a 7 anni; una specifica aggravante (pena aumentata di un terzo) è prevista quando le pratiche siano commesse a danno di un minore ovvero il fatto sia commesso a fini di lucro.

L'art. 583-bis - previa richiesta del Ministro della giustizia - stabilisce la punibilità delle mutilazioni genitali femminili, anche se l'illecito è commesso all'estero da cittadino italiano (o da straniero residente in Italia) o in danno di cittadino italiano (o di straniero residente in Italia).

 

Articolo 38


Aborto forzato

Articolo 39Aborto forzato e sterilizzazione forzata

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per perseguire penalmente i seguenti atti intenzionali:

a) praticare un aborto su una donna senza il suo preliminare consenso informato;

b) praticare un intervento chirurgico che abbia lo scopo e l'effetto di interrompere definitivamente la capacità riproduttiva di una donna senza il suo preliminare consenso informato o la sua comprensione della procedura praticata.

 

Entrambe le fattispecie penali cui si riferisce la Convenzione sono attualmente contemplate dal nostro ordinamento.

In particolare, quanto all'aborto forzato, la legge sull'interruzione di gravidanza (legge n. 194 del 1978) punisce, all'articolo 18, «chiunque cagiona l'interruzione della gravidanza senza il consenso della donna», con la reclusione da 4 a 8 anni. Si considera come non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l'inganno. La stessa pena si applica a chiunque provochi l'interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna.

Quanto alla sterilizzazione forzata, questa è punita ai sensi dell'art. 583, secondo comma, del codice penale, che qualifica come lesione personale gravissima (reclusione da 6 a 12 anni) la lesione dalla quale derivi «la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare».

 

Articolo 39


Molestie sessuali

Articolo 40 - Molestie sessuali

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, con lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona, segnatamente quando tale comportamento crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo, sia sottoposto a sanzioni penali o ad altre sanzioni legali.

 

Nel nostro ordinamento le molestie sessuali di natura fisica (es: palpeggiamenti) sono punite dal codice penale a titolo di violenza sessuale; per quelle di natura verbale non esiste una specifica disciplina e possono essere attualmente punite ai sensi dell'art.  660, a titolo di molestia o disturbo alle persone («Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516»).

 

Si ricorda che il d.d.l. AS 1675 (Disposizioni in materia di violenza sessuale), approvato dalla Camera nella scorsa legislatura, prevedeva (art. 4) una specifica fattispecie di molestie sessuali, introducendo nel codice penale l'art. 609-ter.1 («Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque arreca molestia a taluno mediante un atto o un comportamento a contenuto esplicitamente sessuale è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000»).

 

Articolo 40


Concorso nel reato e reato tentato

Articolo 41 - Favoreggiamento o complicità e tentativo

1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per perseguire penalmente il favoreggiamento o la complicità intenzionali in ordine alla commissione dei reati di cui agli articoli 33, 34, 35, 36, 37, 38.a e 39 della presente Convenzione.

2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per perseguire penalmente i tentativi intenzionali di commissione dei reati di cui agli articoli 35, 36, 37, 38.a e 39 della presente Convenzione.

 

 

La Convenzione richiede che per tutte le fattispecie di violenza psicologica, stalking, violenza fisica, violenza sessuale, matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili e aborto e sterilizzazione forzata, gli ordinamenti degli Stati membri puniscano tanto il favoreggiamento, quanto «la complicità intenzionale».

Si ricorda che in relazione al favoreggiamento, l'articolo 378 del codice penale punisce con la reclusione fino a 4 anni chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la reclusione, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti.

Quanto alla complicità, questa può essere intesa oltre che come favoreggiamento anche come concorso di persone nel reato (ai sensi dell'articolo 110 del codice penale).

In relazione tanto al favoreggiamento quanto al concorso, si osserva che il nostro ordinamento non contempla il reato di violenza psicologica, come definito dall'art. 33 della Convenzione.


Il secondo comma dell'art. 41 richiede che gli Stati parte della Convenzione puniscano anche il tentativo di compiere un reato di violenza fisica, violenza sessuale, matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili e aborto e sterilizzazione forzata.

Quanto al tentativo, l'articolo 56 del codice penale stabilisce che «chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica». Il colpevole di delitto tentato è punito con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi. Se il colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso. Se volontariamente impedisce l'evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà.

 

Articolo 41


Ingiustificabilità dei reati

Articolo 42 - Giustificazione inaccettabile dei reati, compresi quelli commessi in nome del cosiddetto "onore"

1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che nei procedimenti penali intentati a seguito della commissione di qualsiasi atto di violenza che rientra nel campo di applicazione della presente Convenzione, la cultura, gli usi e costumi, la religione, le tradizioni o il cosiddetto "onore" non possano essere addotti come scusa per giustificare tali atti. Rientrano in tale ambito, in particolare, le accuse secondo le quali la vittima avrebbe trasgredito norme o costumi culturali, religiosi, sociali o tradizionali riguardanti un comportamento appropriato.

2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, qualora un bambino sia stato istigato da una persona a compiere un atto di cui al paragrafo 1, non sia per questo diminuita la responsabilità penale della suddetta persona per gli atti commessi.

 

 

La prima parte della disposizione intende escludere che ragioni di tipo culturale (costumi, religioni, tradizioni) possano giustificare gli atti di violenza elencati nella convenzione.

In merito si osserva che nel nostro ordinamento tali usi non rappresentano nè una scriminante nè un'attenuante dei delitti elencati. Il c.d. delitto d'onore è stato eliminato dal nostro ordinamento con l'abrogazione dell'articolo 587 del codice penale ad opera della legge n. 442 del 1981. Si tratta del venir meno della disposizione che puniva con una pena più lieve chiunque provocasse la morte del coniuge, della figlia o della sorella, «nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia». Pene diminuite erano nelle medesime circostanze previste anche per i delitti di lesioni personali, anche gravissime mentre non era punibile il reato di percosse.

 

La seconda parte della disposizione intende invece garantire che venga punito l'adulto che si avvale di un minore per indurlo a commettere il delitto, motivandolo con ragioni di tipo culturale o religioso. In merito si ricorda che l'articolo 111 del nostro codice penale (rubricato "Determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile") stabilisce che «chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile, ovvero non punibile a cagione di una condizione o qualità personale, risponde del reato da questa commesso, e la pena è aumentata». Inoltre, «se chi ha determinato altri a commettere il reato ne è il genitore esercente la potestà, la pena è aumentata fino alla metà o, se si tratta di delitti per i quali è previsto l'arresto in flagranza, da un terzo a due terzi».

 

 

Articolo 43 - Applicazione dei reati

I reati previsti ai sensi della presente Convenzione si applicano a prescindere dalla natura del rapporto tra la vittima e l'autore del reato.

 

Nell'ordinamento penale italiano la natura del rapporto esistente tra la vittima e l'autore del reato può costituire un'aggravante del delitto e non una sua scriminante.

 

Articolo 42
Articolo 43


Giurisdizione

Articolo 44 - Giurisdizione

1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per determinare la giurisdizione competente per qualsiasi reato previsto ai sensi della presente Convenzione quando il reato è commesso:

a) sul loro territorio; o

b) a bordo di una nave battente la loro bandiera; o

c) a bordo di un velivolo immatricolato secondo le loro disposizioni di legge; o

d) da uno loro cittadino; o

e) da una persona avente la propria residenza abituale sul loro territorio.

2. Le Parti adottano tutte le misure legislative o di altro tipo appropriate per determinare la giurisdizione con riferimento a tutti i reati di cui alla presente Convenzione quando il reato è commesso contro un loro cittadino o contro una persona avente la propria residenza abituale sul loro territorio.

3. Per perseguire i reati stabiliti conformemente agli Articoli 36, 37, 38 e 39 della presente Convenzione, le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie affinché la loro competenza non sia subordinata alla condizione che i fatti siano perseguibili penalmente sul territorio in cui sono stati commessi.

4. Per perseguire i reati stabiliti conformemente agli Articoli 36, 37, 38 e 39 della presente Convenzione, le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie affinché la loro competenza riguardante i commi d. ed e. del precedente paragrafo 1 non sia subordinata alla condizione che il procedimento penale possa unicamente essere avviato a seguito della denuncia della vittima del reato, o di un'azione intentata dallo Stato del luogo dove è stato commesso il reato.

5. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per determinare la giurisdizione con riferimento a tutti i reati di cui alla presente Convenzione, nei casi in cui il presunto autore del reato si trovi sul loro territorio e non possa essere estradato verso un'altra Parte unicamente in base alla sua nazionalità.

6. Quando più Parti rivendicano la loro competenza riguardo a un reato che si presume stabilito conformemente alla presente Convenzione, le Parti interessate si concertano, se lo ritengono opportuno, per determinare quale sia la giurisdizione più appropriata per procedere penalmente.

7. Fatte salve le disposizioni generali di diritto internazionale, la presente Convenzione non esclude alcuna competenza penale esercitata da una delle Parti conformente al proprio diritto interno.

 

 

La prima parte di questa disposizione attiene all'affermazione della giurisdizione italiana. In merito si ricorda che il codice penale determina la giurisdizione nel caso di reati previsti dalla Convenzione commessi sul territorio nazionale (art. 6 c.p.), a bordo di navi battenti bandiera italiana o di aeromobili immatricolati secondo la legge italiana (art. 4), da un cittadino italiano (all'estero, art. 9), da stranieri residenti in Italia (art. 10, comma 2).

 

Nella seconda parte la Convenzione richiede agli Stati di affermare la propria giurisdizione ogniqualvolta vittima di uno dei reati sia un loro cittadino ovvero una persona avente la propria residenza abituale in Italia. In merito, l'articolo 10 del codice penale afferma la giurisdizione italiana nei confronti dello straniero che commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a un anno «sempre che si trovi nel territorio dello Stato, e vi sia richiesta del ministro della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa».

Il diritto penale italiano non si applica se il delitto è commesso all'estero ai danni di uno straniero, pur abitualmente residente in Italia.

 

Il paragrafo 3 dell'articolo 44 richiede agli Stati di intervenire affinché i delitti di violenza sessuale, matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili e aborto e sterilizzazione forzati siano perseguibili nei loro territori indipendentemente dal fatto che siano considerati reati nello Stato del commesso delitto.

L'adeguamento del nostro ordinamento a questa disposizione potrebbe essere realizzato attraverso l'integrazione del catalogo di reati di cui all'articolo 7 del codice penale (Reati commessi all'estero).

 

Il paragrafo 4 della disposizione richiede agli Stati di eliminare ogni limitazione all'affermazione della loro giurisdizione sui delitti di delitti di violenza sessuale, matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili e aborto e sterilizzazione forzati commessi dal cittadino o da uno straniero abitualmente residente in Italia.

In merito si evidenzia che il nostro ordinamento prevede, per il solo delitto di mutilazioni genitali femminili (art. 583-bis c.p., quarto comma), la possibilità di perseguire il cittadino, o lo straniero residente in Italia, che compia il reato all'estero; la disposizione richiede peraltro un'esplicita richiesta del Ministro della giustizia.

Il paragrafo 5 dell'articolo 44 sembra richiedere agli Stati di affermare la propria giurisdizione ogni qualvolta il presunto autore di uno dei reati previsti dalla Convenzione, commesso all'estero, si trovi sul loro territorio e non vi sia possibilità di procedere ad estradizione. Anche in questo caso si potrebbe valutare una modifica dell'articolo 7 del codice penale (Reati commessi all'estero) ovvero l'introduzione di una norma speciale.

In base al paragrafo 6, in caso di conflitto di giurisdizione la Convenzione consente agli Stati di procedere a consultazioni reciproche al fine di determinare quale Stato debba procedere, specificando così un principio di cooperazione più in generale affermato dall'articolo 62 della Convenzione stessa.

Infine, l'ultimo paragrafo fa salva ogni competenza penale esercitata dagli Stati parte in relazione al proprio diritto interno.

 

Articolo 44


Sanzioni penali e misure accessorie

Articolo 45 - Sanzioni e misure repressive

1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che i reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione siano punibili con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, che tengano conto della loro gravità. Tali sanzioni includono, se del caso, pene privative della libertà e che possono comportare l'estradizione.

2. Le Parti possono adottare altre misure nei confronti degli autori dei reati, quali:

- il monitoraggio, o la sorveglianza della persona condannata;

- la privazione della patria podestà, se l'interesse superiore del bambino, che può comprendere la sicurezza della vittima, non può essere garantito in nessun altro modo.

 

 

Come detto in sede di commento delle disposisioni penali, il nostro ordinamento appresta per la quasi totalità delle fattispecie oggetto della Convenzione specifiche sanzioni penali, caratterizzate dall'applicazione della pena detentiva (reclusione). L'estradizione non è subordinata all'entità delle pene stabilite per il reato: l'art. 10 del codice penale prevede che l'estradizione non è ammessa se il fatto oggetto della domanda non è previsto dalla legge italiana.

 

Quanto alla seconda parte della disposizione, una volta scontata la pena, il nostro ordinamento non prevede monitoraggi o controlli dei condannati per reati previsti dalla Convenzione.

L'art. 609-nonies, c.p. dispone: «La condanna per i delitti previsti dall'articolo 609-bis (violenza sessuale), nelle ipotesi aggravate di cui all'articolo 609-ter e  609-octies (violenza sessuale di gruppo), nelle ipotesi aggravate di cui al terzo comma (sostanzialmente, quando le vittime sono minori), comporta, dopo l'esecuzione della pena e per una durata minima di un anno, l'applicazione delle seguenti misure di sicurezza personali:

1) l'eventuale imposizione di restrizione dei movimenti e della libera circolazione, nonché il divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati abitualmente da minori;

2) il divieto di svolgere lavori che prevedano un contatto abituale con minori;

3) l'obbligo di tenere informati gli organi di polizia sulla propria residenza e sugli eventuali spostamenti.

 

Più in generale, l'art. 34 del codice penale prevede che sia la legge a determinare i casi nei quali la condanna comporta la decadenza dalla potestà genitoriale. Tale decadenza è attualmente espressamente prevista, per i condannati per reati di cui agli artt. 36 (violenza sessuale) e 38 (mutilazioni genitali femminili) della Convenzione, dall'art. 602-bis c.p.

L'art. 330 del codice civile stabilisce, inoltre, che il giudice può pronunziare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. Tuttavia, la giurisprudenza ha precisato che, non solo gli abusi o i maltrattamenti, commessi direttamente sulla persona del minore, ma anche quelli indiretti, perpetrati nei confronti di stretti congiunti a lui cari (quali la visione da parte del minore di ripetute aggressioni fisiche alla madre da parte del padre) integrano un vero e proprio abuso o maltrattamento del minore, tali da legittimare l'immediato allontanamento del marito e padre dalla casa familiare (Tribunale per i minorenni de L'Aquila, 19 luglio 2002).

 

Articolo 45


Circostanze aggravanti

Articolo 46 - Circostanze aggravanti

Le Parti adottano le misure legislative e di ogni altro tipo necessarie per garantire che le seguenti circostanze, purché non siano già gli elementi costitutivi del reato, possano, conformemente alle disposizioni pertinenti del loro diritto nazionale, essere considerate come circostanze aggravanti nel determinare la pena per i reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione:

a) il reato è stato commesso contro l'attuale o l'ex coniuge o partner, come riconosciuto dal diritto nazionale, da un membro della famiglia, dal convivente della vittima, o da una persona che ha abusato della propria autorità;

b) il reato, o i reati connessi, sono stati commessi ripetutamente;

c) il reato è stato commesso contro una persona in circostanze di particolare vulnerabilità;

d) il reato è stato commesso su un bambino o in presenza di un bambino;

e) il reato è stato commesso da due o più persone che hanno agito insieme;

f) il reato è stato preceduto o accompagnato da una violenza di estrema gravità;

 

g) il reato è stato commesso con l'uso o con la minaccia di un'arma;

h) il reato ha provocato gravi danni fisici o psicologici alla vittima;

i) l'autore era stato precedentemente condannato per reati di natura analoga.

 

 

 

L'articolo 46 della Convenzione individua una serie di circostanze che dovranno essere considerate dagli Stati come aggravanti dei delitti di violenza.

 

In particolare, la lettera a) richiede un'aggravante quando il fatto sia commesso contro l'attuale o l'ex coniuge o partner, da un membro della famiglia, dal convivente della vittima, o da una persona che ha abusato della propria autorità. In merito si ricorda che il nostro ordinamento prevede un'aggravante comune, destinata cioè a trovare applicazione per qualsiasi reato, consistente nell'aver «commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione, o di ospitalità» (art. 61 del codice penale). Questa aggravante determina un aumento di pena fino a un terzo (art. 64. c.p.).

 

L'«abuso di relazioni domestiche» si configura nei rapporti tra persone appartenenti al medesimo nucleo familiare, indipendentemente dall'esistenza di un vincolo di parentela, di affinità o di convivenza; l'aggravante è stata ritenuta sussistente anche nei casi di abituale frequentazione dell'abitazione della vittima da parte del reo.

 

A questa aggravante comune si aggiungono le seguenti aggravanti speciali:

  • il delitto di omicidio è aggravato (e si applica la reclusione da 24 a 30 anni) se è commesso nei confronti del coniuge (art. 577 c.p.);
  • il delitto di atti persecutori è aggravato se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa (art. 612, secondo comma, c.p.).

 

La lettera b) richiede un'aggravante quando il reato, o i reati connessi, sono stati commessi ripetutamente. L'art. 81 del codice penale disciplina il reato continuato punendo con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata sino al triplo, chi commette più violazioni della medesima disposizione di legge ovvero chi, con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.

 

La lettera c) prevede un'aggravante quanto il reato è stato commesso contro una persona in circostanze di particolare vulnerabilità. Il nostro ordinamento prevede un'aggravante comune, destinata cioè a trovare applicazione per qualsiasi reato, consistente nell'aver «profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa» (art. 61 del codice penale). Questa aggravante (della c.d. minorata difesa) determina un aumento di pena fino a un terzo (art. 64. c.p.).

A questa aggravante comune si aggiunge l'aggravante speciale prevista per il delitto di atti persecutori, quando il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità (art. 612-bis, terzo comma).

Si ricorda, invece, che nel delitto di violenza sessuale l'aver indotto taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto è un elemento costitutivo del reato (art. 609-bis, secondo comma).

 

La lettera d) richiede un'aggravante quando il reato è stato commesso su un bambino o in presenza di un bambino. Per quanto riguarda la minore età della vittima del reato, si evidenziano le seguenti disposizioni del codice penale:

  • l'art. 572 del codice penale, relativo al delitto di maltrattamenti in famiglia, prevede un'aggravante «se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici»;
  • l'art. 583-bis del codice penale, relativo al delitto di mutilazioni genitali femminili, prevedere un'aggravante (pena aumentata di un terzo) quando le pratiche di mutilazione sono commesse a danno di un minore;
  • i delitti di tratta (artt. 600, 601 e 602 del codice penale) sono aggravati (pena aumentata da un terzo alla metà) se la persona offesa è minore degli anni diciotto;
  • i delitti di violenza sessuale (artt. 609-bis e 609-octies) sono aggravati se commessi nei confronti dei seguenti soggetti: persona che non ha compiuto gli anni dieci (reclusione da 7 a 14 anni); persona che non ha compiuto gli anni quattordici o che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore (reclusione da 6 a 12 anni). Si ricorda peraltro che in altre fattispecie di violenza sessuale o di reati di sfruttamento sessuale di minori la minore età della vittima è elemento costitutivo della fattispecie (es. artt. 609-quater, 609-quinquies).

Non risultano aggravanti per la commissione del reato in presenza di un bambino (il compimento di atti sessuali in presenza di persona minore di anni 14, al fine di farla assistere, rappresenta un'autonoma fattispecie penale, di corruzione di minorenne ex art. 609-quinquies).

 

La lettera e) invita gli Stati a prevedere un'aggravante quando il reato è stato commesso da due o più persone che hanno agito insieme. Nel nostro ordinamento l'aggravante comune per la commissione del fatto da parte di più persone opera in base all'art. 122 c.p. «se il numero delle persone, che sono concorse nel reato, è di cinque o più, salvo che la legge disponga altrimenti».

Si segnala peraltro che il delitto di violenza privata (art. 610 c.p.) è aggravato se la violenza o la minaccia è commessa da più persone riunite; lo stesso accade per il delitto di minaccia (art. 612 c.p.). Sono aggravati se commessi da più persone riunite anche i delitti di lesioni personali (artt. 582 e 583 c.p.), mutilazioni genitali femminili (art. 583-bis c.p.). In altri casi la presenza di più persone è elemento costitutivo della fattispecie (es. violenza sessuale di gruppo, art. 609-octies).

 

La lettera f) richiede un'aggravante se il reato è stato preceduto o accompagnato da una violenza di estrema gravità. l nostro ordinamento prevede un'aggravante comune, destinata cioè a trovare applicazione per qualsiasi reato, consistente nell'avere «avere adoperato sevizie, o l'aver agito con crudeltà verso le persone» (art. 61 del codice penale). Questa aggravante determina un aumento di pena fino a un terzo (art. 64. c.p.).

 

La lettera g) prevede un'aggravante per il reato commesso con l'uso o con la minaccia di un'arma. L'uso o la minaccia delle armi non rapppresentano un'aggravante comune nel diritto penale italiano ma, in relazione a specifici delitti, il legislatore prevede comunque un aggravio di pena. Per gli aspetti di interesse della Convenzione di Istanbul, si richiamano le seguenti fattispecie, aggravate se commesse con uso di armi:

  • i delitti di violenza privata (art. 610 c.p.) e di minaccia (art. 612 c.p.);
  • i delitti di lesioni personali (artt. 582 e 583 c.p.) e di mutilazioni genitali femminili (art. 583-bis c.p.);
  • i delitti di violenza sessuale (art. 609-ter c.p.) e di atti persecutori (art. 612-bis c.p.).

 

La lettera h) richiede la previsione di un'aggravante quanto il reato ha provocato gravi danni fisici o psicologici alla vittima. L'entità del danno fisico patito dalla vittima rileva nell'ordinamento penale in relazione esclusivamente al delitto di lesioni (art. 582 e ss. c.p.).

 

Infine, la lettera i) prevede un'aggravante se l'autore del reato era stato precedentemente condannato per reati di natura analoga. Nel nostro ordinamento, l'art. 99 del codice penale disciplina la recidiva stabilendo che il giudice possa aumentare di un terzo la pena da infliggere se il colpevole, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro. La pena può essere aumentata fino alla metà se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole (commi primo e secondo). L'art. 101 del codice precisa che «Agli effetti della legge penale, sono considerati reati della stessa indole non soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo preveduti da disposizioni diverse di questo codice ovvero da leggi diverse, nondimeno, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinarono, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni».

 

Articolo 46


Recidiva internazionale

Articolo 47 - Condanne pronunciate sul territorio di un'altra Parte contraente

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per prevedere la possibilità di prendere in considerazione, al momento della decisione relativa alla pena, le condanne definitive pronunciate da un'altra Parte contraente in relazione ai reati previsti in base alla presente Convenzione.

 

La disposizione trova un riscontro nell'ordinamento penale italiano nel combinato degli articoli 12, 99 e 101 del codice penale.  L'art. 12 del codice penale disciplina il riconoscimento delle sentenze penali straniere stabilendo che «Alla sentenza penale straniera pronunciata per un delitto può essere dato riconoscimento: 1. per stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna ovvero per dichiarare l'abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere; 2. quando la condanna importerebbe, secondo la legge italiana, una pena accessoria; 3. quando, secondo la legge italiana, si dovrebbe sottoporre la persona condannata o prosciolta, che si trova nel territorio dello Stato, a misure di sicurezza personali; 4. quando la sentenza straniera porta condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno, ovvero deve, comunque, esser fatta valere in giudizio nel territorio dello Stato, agli effetti delle restituzioni o del risarcimento del danno, o ad altri effetti civili». Per operare il riconoscimento occorre che la sentenza di condanna sia stata pronunciata dall'autorità giudiziaria di uno Stato estero col quale esiste trattato di estradizione. In mancanza, la sentenza estera può essere egualmente ammessa a riconoscimento nello Stato purché ne faccia richiesta il ministro della giustizia.

L'art. 99 del codice penale disciplina la recidiva stabilendo che il giudice possa aumentare di un terzo la pena da infliggere se il colpevole, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro. «La pena può essere aumentata fino alla metà: 1) se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole; 2) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente; 3) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l'esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione della pena» (commi primo e secondo). L'art. 101 del codice precisa che «Agli effetti della legge penale, sono considerati reati della stessa indole non soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo preveduti da disposizioni diverse di questo codice ovvero da leggi diverse, nondimeno, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinarono, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni».

Ai fini della recidiva, dunque, la precedente decisione di condanna può essere stata pronunciata anche da una autorità giurisdizionale estera: in questo caso, si parla di recidiva internazionale. Come specificato dall'art. 12, perché la sentenza di condanna pronunciata dallo stato estero rilevi quale presupposto della dichiarazione di recidiva, occorre che la stessa sia stata riconosciuta dall'ordinamento italiano.

 

Articolo 47


Esclusione della conciliazione

Articolo 48 - Divieto di metodi alternativi di risoluzione dei conflitti o di misure alternative alle pene obbligatorie

1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo destinate a vietare i metodi alternativi di risoluzione dei conflitti, tra cui la mediazione e la conciliazione, per tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione.

2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo destinate a garantire che, se viene inflitto il pagamento di una multa, sia debitamente presa in considerazione la capacità del condannato di adempiere ai propri obblighi finanziari nei confronti della vittima.

 

 

L'ordinamento italiano non conosce metodi alternativi di risoluzione dei conflitti nel settore penale, anche in considerazione dell'obbligatorietà dell'azione penale.

Nel settore civile, con il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, è stata disciplinata la possibilità della mediazione nelle controversie civili (quindi: anche quelle per risarcimento danni) e commerciali. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2012, ha dichiarato incostituzionale l'obbligatorietà della mediazione.

 

Quanto alla determinazione della multa, in base all'art. 133-bis c.p., nella determinazione dell'ammontare della multa o dell'ammenda il giudice deve tenere conto anche delle condizioni economiche del reo. Il giudice può aumentare la multa o l'ammenda stabilite dalla legge sino al triplo o diminuirle sino a un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa.

 

Articolo 48


Il Capo VI - Indagini, procedimenti penali, diritto procedurale e misure protettive

Il Capitolo VI della Convenzione, negli articoli da 49 a 58, disciplina gli aspetti processuali penali connessi ai reati di violenza ed individua dunque le misure («legislative o di altro tipo») che gli Stati devono adottare per garantire il pieno rispetto dell'accordo internazionale. Si tratta di interventi sulle indagini penali, dell'adozione di misure cautelari e di sicurezza, di acquisizione di prove e di assistenza alle vittime.

 

Gli articoli da 49 a 58 della Convenzione


Indagini preliminari, vittima nel processo e prevenzione

Articolo 49 - Obblighi generali

1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le indagini e i procedimenti penali relativi a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione siano avviati senza indugio ingiustificato, prendendo in considerazione i diritti della vittima in tutte le fasi del procedimento penale.

2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo, in conformità con i principi fondamentali in materia di diritti umani e tenendo conto della comprensione della violenza di genere, per garantire indagini e procedimenti efficaci nei confronti dei reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione.

 

 

Non risultano esservi disposizioni speciali relative alla disciplina delle indagini concernenti gli ambiti trattati dalla Convenzione. Per tutte le indagini rimane fermo il principio della obbligatorietà dell'azione penale.

 

 

Articolo 50 - Risposta immediata, prevenzione e protezione

1. Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo necessarie per garantire che le autorità incaricate dell'applicazione della legge affrontino in modo tempestivo e appropriato tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione, offrendo una protezione adeguata e immediata alle vittime.

2. Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo per garantire che le autorità incaricate dell'applicazione della legge operino in modo tempestivo e adeguato in materia di prevenzione e protezione contro ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della presente Convenzione, ivi compreso utilizzando misure operative di prevenzione e la raccolta delle prove.

 

Circa i diritti della vittima nelle diverse fasi del procedimento penale, si applicano alle ipotesi di violenza di genere gli istituti processuali generali relativi alla persona offesa. Ad esempio: art. 90 c.p.p. sulla presentazione di memorie e l'indicazione di mezzi di prova; art. 369 c.p.p. sull'informaizone di garanzia anche alla persona offesa; art. 394 c.p.p. sulla richiesta di incidente probatorio; art. 401 c.p.p. sulla partecipazione all'incidente probatorio; art. 410 c.p.p. sull'opposizione alla richiesta di archiviazione; art. 459 c.p.p. sull'opposizione alla richiesta di emissione del decreto penale di condanna; art. 572, c.p.p. aulla richiesta al p.m. di impugnazione.

Inoltre, l'art. 734-bis c.p. punisce con l'arresto da tre a sei mesi chiunque divulghi anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l'immagine della persona offesa senza il suo consenso, anche nei casi di delitti di violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo.

 

Non vi sono disposizioni specifiche relative all'attività di contrasto nei confronti delle forme di violenza interessate dalla Convenzione.

Si applicano gli istituti generali sull'attività di contrasto da parte degli organi di polizia e sulle misure di prevenzione.

Quanto alla protezione delle vittime, la legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007) ha istituito un fondo, presso la Presidenza del Consiglio, per la realizzazione di un piano contro la violenza alle donne (cap. 496) stanziando a tal fine 20 milioni di euro per l'anno 2008. Le somme destinate al Piano nazionale non sono state mai impegnate nel corso degli anni, fino al 2011 quando la Corte dei Conti ha dato il via libera al primo Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking.

Attraverso il Piano si intende affrontare in modo organico e in sinergia con i principali attori coinvolti a livello sia centrale che territoriale il fenomeno della violenza contro le donne. A tal fine il Dipartimento per le Pari opportunità organizza la Rete Nazionale antiviolenza.

 

I "nodi" della Rete Nazionale Antiviolenza sono gli Ambiti Territoriali di Rete. Si tratta di aree territoriali, Comuni, province o Regioni, con le quali il Dipartimento per le pari opportunità stipula un Protocollo d'intesa al fine di promuovere azioni di sensibilizzazione e contrasto alla violenza di genere, di promuovere la costituzione o il rafforzamento di reti locali atte a contrastare gli episodi di violenza di genere e stalking, di facilitare l'integrazione del servizio nazionale 1522 con le strutture socio-sanitarie presenti in ambito territoriale e, infine, di realizzare seminari tematici pubblici sul tema della violenza di genere.

In tali territori è attivo un dispositivo di accesso diretto ai servizi locali veicolato dal servizio di accoglienza telefonica 1522 (si tratta di un trasferimento diretto di chiamata, dal call center al centro antiviolenza attivo negli orari prestabiliti di apertura al pubblico).

Dal sito del Dipartimento per le Pari opportunità risultano essere Ambiti Territoriali di Rete le città di Bologna, Palermo, Napoli, Venezia, Pescara, Prato, Cosenza, Isernia, Trieste, Ravenna, Nuoro, Potenza, Aosta, Torino, Latina, Agrigento, Reggio Emilia, Faenza, le Province di Genova, Ancona, Bari, Catania, Caserta, Crotone, Teramo, Pesaro-Urbino e la Provincia Autonoma di Bolzano.

 

Sulla raccolta delle prove si applicano le disposizioni processuali ordinarie.

 

Articolo 49
Articolo 50


Misure di protezione della vittima

Articolo 51- Valutazione e gestione dei rischi

1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per consentire alle autorità competenti di valutare il rischio di letalità, la gravità della situazione e il rischio di reiterazione dei comportamenti violenti, al fine di gestire i rischi e garantire, se necessario, un quadro coordinato di sicurezza e di sostegno.

2 Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la valutazione di cui al parafrafo 1 prenda in considerazione, in tutte le fasi dell'indagine e dell'applicazione delle misure di protezione, il fatto che l'autore di atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione possieda, o abbia accesso ad armi da fuoco.

 

Articolo 52 - Misure urgenti di allontanamento imposte dal giudice

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le autorità competenti si vedano riconosciuta la facoltà di ordinare all'autore della violenza domestica, in situazioni di pericolo immediato, di lasciare la residenza della vittima o della persona in pericolo per un periodo di tempo sufficiente e di vietargli l'accesso al domicilio della vittima o della persona in pericolo o di impedirgli di avvicinarsi alla vittima. Le misure adottate in virtù del presente articolo devono dare priorità alla sicurezza delle vittime o delle persone in pericolo.

 

Articolo 53 - Ordinanze di ingiunzione o di protezione

1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le ordinanze di ingiunzione o di protezione possano essere ottenute dalle vittime di ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della presente Convenzione.

2. Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo necessarie per garantire che le ordinanze di ingiunzione o di protezione di cui al paragrafo 1 siano:

– concesse per una protezione immediata e senza oneri amministrativi o finanziari eccessivi per la vittima;

– emesse per un periodo specificato o fino alla loro modifica o revoca;

– ove necessario, decise ex parte con effetto immediato;

– disponibili indipendentemente, o contestualmente ad altri procedimenti giudiziari;

– possano essere introdotte nei procedimenti giudiziari successivi.

3. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la violazione delle ordinanze di ingiunzione o di protezione emesse ai sensi del paragrafo 1 sia oggetto di sanzioni penali o di altre sanzioni legali efficaci, proporzionate e dissuasive.

 

 

Sono già previste nel nostro ordinamento misure processuali di carattere generale.

 

Ad esempio, nel codice di procedura penale, l'art. 274, nel disciplinare le esigenze cautelari, prevede che le misure cautelari siano disposte quando sussistono specifiche e inderogabili esigenze delle indagini, ovvero il pericolo di fuga dell'imputato ovvero ancora quando sussiste il concreto pericolo che l'imputato commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale.

Tra le misure cautelari rientrano inoltre l'allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.), il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p.), il divieto e l'obbligo di dimora (art. 283 c.p.p.). Tali misure possono essere applicate quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni.

Proprio il decreto-legge 11/2009, che ha introdotto nel codice penale l'art. 612-bis, relativo al delitto di atti persecutori (c.d. stalking), ha previsto una nuova misura coercitiva, consistente nel divieto di avvicinamento dell'imputato ai luoghi frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.

 

Per quanto riguarda, invece, il codice civile, la legge n. 154 del 2001 ha introdotto gli articoli 342-bis (Ordini di protezione contro gli abusi familiari) e 342-ter (Contenuto degli ordini di protezione): si tratta di misure volte ad ottenere la tutela della vittima anche quando sussista soltanto una accertata situazione di tensione e non necessariamente un reato.

Diversamente dalla misura penalistica, le cui condizioni di applicabilità sono fissate in via generale per tutte le misure cautelari, il presupposto positivo che legittima l'adozione dell'ordine in sede civile consiste, infatti, nel "grave pregiudizio all'integrità fisica e morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente".

 L'ordine di protezione è un provvedimento d'urgenza che il giudice adotta con decreto, su istanza di parte, per una durata massima di un anno (prorogabile su istanza di parte soltanto se ricorrono gravi motivi e per il tempo strettamente necessario), con cui sono ordinati la cessazione della condotta e l'allontanamento dalla casa familiare con eventuale ordine di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante; sono altresì dettate le specifiche modalità di adempimento ed è eventualmente disposto l'intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione familiare nonché il pagamento periodico di un assegno (art. 342-ter c.c.).

Chiunque violi l'ordine di protezione (ma anche analoghi provvedimenti assunti nei procedimenti di separazione e di divorzio) è soggetto alla pena della reclusione fino a 3 anni o della multa da 103 a 1.032 euro, incorrendo nella mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 c.p.).

 

 

Articolo 54 - Indagini e prove

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che in qualsiasi procedimento civile o penale, le prove relative agli antecedenti sessuale e alla condotta della vittima siano ammissibili unicamente quando sono pertinenti e necessarie.

 

 

Anche questa disposizione della Convenzione ha la finalità di proteggere la vittima delle violenze, escludendo che i suoi antecedenti sessuali e la sua condotta possano essere genericamente richiamati in qualsiasi procedimento civile o penale. Nel nostro ordinamento l'articolo 190 del codice di procedura penale prevede che il giudice escluda le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti, mentre nel processo civile non sussiste un'analoga disposizione di carattere generale.

 

Articolo 56 - Misure di protezione

1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo destinate a proteggere i diritti e gli interessi delle vittime, compresi i loro particolari bisogni in quanto testimoni in tutte le fasi delle indagini e dei procedimenti giudiziari, in particolare:

a) garantendo che siano protette, insieme alle loro famiglie e ai testimoni, dal rischio di intimidazioni, rappresaglie e ulteriori vittimizzazioni;

b) garantendo che le vittime siano informate, almeno nei casi in cui esse stesse e la loro famiglia potrebbero essere in pericolo, quando l'autore del reato dovesse evadere o essere rimesso in libertà in via temporanea o definitiva;

c) informandole, nelle condizioni previste dal diritto interno, dei loro diritti e dei servizi a loro disposizione e dell'esito della loro denuncia, dei capi di accusa, dell'andamento generale delle indagini o del procedimento, nonché del loro ruolo nell'ambito del procedimento e dell'esito del giudizio;

d) offrendo alle vittime, in conformità con le procedure del loro diritto nazionale, la possibilità di essere ascoltate, di fornire elementi di prova e presentare le loro opinioni, esigenze e preoccupazioni, direttamente o tramite un intermediario, e garantendo che i loro pareri siano esaminati e presi in considerazione;

e) fornendo alle vittime un'adeguata assistenza, in modo che i loro diritti e interessi siano adeguatamente rappresentati e presi in considerazione;

f) garantendo che possano essere adottate delle misure per proteggere la vita privata e l'immagine della vittima;

g) assicurando, ove possibile, che siano evitati i contatti tra le vittime e gli autori dei reati all'interno dei tribunali e degli uffici delle forze dell'ordine;

h) fornendo alle vittime, quando sono parti del processo o forniscono delle prove, i servizi di interpreti indipendenti e competenti;

i) consentendo alle vittime di testimoniare in aula, secondo le norme previste dal diritto interno, senza essere fisicamente presenti, o almeno senza la presenza del presunto autore del reato, grazie in particolare al ricorso a tecnologie di comunicazione adeguate, se sono disponibili.

 

Non sussistono nel nostro ordinamento disposizioni espresse sulla protezione dei testimoni di giustizia concernenti i reati interessati dalla convenzione, quali la violenza sessuale o la violenza privata. Infatti, il decreto-legge 8/1991 e successive modificazioni, riserva la disciplina di specie solo ad alcuni reati.

Sono applicabili evidentemente le ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza e le altre misure di carattere processuale o preventivo.

 


 

Articoli da 51 a 53
Articolo 54
Articolo 56


Procedibilità

Articolo 55 - Procedimenti d'ufficio e ex parte

1. Le Parti si accertano che le indagini e i procedimenti penali per i reati stabiliti ai sensi degli articoli 35, 36, 37, 38 e 39 della presente Convenzione non dipendano interamente da una segnalazione o da una denuncia da parte della vittima quando il reato è stato commesso in parte o in totalità sul loro territorio, e che il procedimento possa continuare anche se la vittima dovesse ritrattare l'accusa o ritirare la denuncia.

2. Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo necessarie per garantire, conformemente alle condizioni previste dal loro diritto interno, la possibilità per le organizzazioni governative e non governative e per i consulenti specializzati nella lotta alla violenza domestica di assistere e/o di sostenere le vittime, su loro richiesta, nel corso delle indagini e dei procedimenti giudiziari relativi ai reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione.

 

 

La prima parte della disposizione richiede che le indagini ed i procedimenti penali per i reati di violenza fisica, violenza sessuale, matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili, aborto e sterilizzazione forzati possano essere avviati e svolti d'ufficio, non richiedendo espressamente una denuncia da parte della vittima.

In merito si osserva che nel nostro ordinamento penale il principio della procedibilità d'ufficio dei delitti si applica come regola generale, ovvero quando il legislatore non prescriva una diversa condizione di prcedibilità. In particolare, la scelta del nostro legislatore è sempre stata quella della procedibilità a querela della persona offesa per i delitti di violenza sessuale (art. 609-septies c.p.), con la specificazione dell'irrevocabilità della querela proposta. Si procede d'ufficio solo se:

  • la vittima della violenza sessuale è un minore;
  • il fatto è commesso dall'ascendente, dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza;
  • il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni;
  • il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio;
  • il reato di atti sessuali con minorenne è stato commesso nei confronti di un minore di 10 anni.

 

La seconda parte della disposizione attiene all'assistenza alle vittime da parte di oragnizzazioni di volontariato. In merito ricorda che articoli 91 e 92 del codice di procedura penale prevedono, in via generale, i diritti e le facoltà degli enti e delle associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato e il consenso della persona offesa.

In particolare, in base all'art. 91, gli enti e le associazioni senza scopo di lucro ai quali, anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede, sono state riconosciute, in forza di legge, finalità di tutela degli itneressi lesi dal reato, possono esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato.

 

Articolo 55


Gratuito patrocinio

Articolo 57Gratuito patrocinio

Le Parti garantiscono che le vittime abbiano diritto all'assistenza legale e al gratuito patrocinio alle condizioni previste dal diritto interno.

 

Le disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato, contenute nel TU spese di giustizia (D.P.R. 115/2002) sono state recentemente novellate dal decreto-legge n. 11 del 2009 (convertito dalla legge n. 38 del 2009) che ha disposto l'accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti, a favore della persona offesa dal reato di violenza sessuale (semplice e di di gruppo) e di atti sessuali con minorenne.

 

Articolo 57


Prescrizione del reato

Articolo 58 - Prescrizione

Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo necessarie per garantire che il termine di prescrizione per intentare un'azione penale relativa ai reati di cui agli articoli 36, 37, 38 e 39 della presente Convenzione sia prolungato per un tempo sufficiente e proporzionale alla gravità del reato, per consentire alla vittima minore di vedere perseguito il reato dopo avere raggiunto la maggiore età.

 

Nel nostro ordinamento una specifica disciplina della prescrizione del reato per i delitti di violenza sessuale è dettata dall'art. 157, sesto comma, del codice penale che raddoppia i termini di prescrizione per i delitti di violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne e violenza sessuale di gruppo.

Il termine di prescrizione decorre dalla commissione del fatto e a nulla rileva la minore età della vittima.

 

Articolo 58