Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili - A.C. 331 e A.C. 927 Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 927/XVII   AC N. 331/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 7
Data: 20/05/2013
Descrittori:
DIRITTO PROCESSUALE PENALE   PENE DETENTIVE
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili

A.C. 331

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 7

 

 

 

20 maggio 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9559 / 066760-9148 – * st_giustizia@camera.it

Ha partecipato alla redazione del dossier il seguente Servizio:

Avvocatura della Camera dei deputati – Osservatorio sulle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU)

( 066760-9360 / 066760-4056 – * segreteria_avvocatura@camera.it

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: gi0039.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§      Misure detentive non carcerarie (art. 1)                                                          3

§      Sospensione del procedimento penale con messa alla prova (artt. 2-6)     11

§      Sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili (artt. 7-13)     17

 

 



 

La proposta di legge AC 331 (Ferranti ed altri) ripropone il testo del disegno di legge d'iniziativa governativa approvato dalla Camera il 4 dicembre 2012 (AC 5019-bis), il cui iter si è interrotto per la fine anticipata della XVI legislatura.

Il provvedimento, composto da 14 articoli, prevede:

§         la delega al Governo per l'introduzione di pene detentive non carcerarie;

§         l'adozione, anche nel processo penale ordinario, della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato;

§         una nuova disciplina della sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili.

 

Misure detentive non carcerarie (art. 1)

Il Capo I del provvedimento in esame, composto del solo articolo 1, prevede una delega al Governo per l’introduzione nel codice penale e nella normativa complementare delle pene detentive non carcerarie, presso l’abitazione.

La delega dovrà essere esercitata sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi (comma 1):

 

§         la detenzione domiciliare (presso l’abitazione del condannato o altro domicilio) è aggiunta alle pene detentive principali per i delitti puniti con la reclusione non superiore nel massimo a quattro anni. La detenzione domiciliare - nella misura minima di 15 gg. e massima di 4 anni - può essere applicata anche per fasce orarie o giorni della settimana;

 

Si osserva che la relazione alla p.d.l. esclude il reato di stalking (art. 612-bis c.p.) dall’applicabilità della pena non carceraria; tale esclusione non trova tuttavia conferma nell’articolato.

 

§         gli arresti domiciliari si aggiungono come pena detentiva principale per tutte le contravvenzioni punite con la pena dell’arresto (indipendentemente, quindi, dall’entità) anche per fasce orarie o per giorni della settimana. La misura minima della pena detentiva non carceraria è di 5 gg. e quella massima di 3 anni;

§         il giudice potrà prescrivere particolari modalità di controllo delle due citate misure detentive domiciliari anche attraverso mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (braccialetti elettronici);

§         le nuove misure non potranno essere applicate ai delinquenti abituali (artt. 102 e 103 c.p.), ai contravventori abituali (art. 104 c.p.), ai delinquenti e contravventori professionali (art. 105 c.p.) e ai delinquenti per tendenza (art. 108 c.p.);

§         il giudice – nel corso dell’esecuzione della pena - potrà sostituire le indicate pene detentive non carcerarie con la reclusione o l'arresto, sia nel caso di indisponibilità di un'abitazione o altro domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato sia ove il condannato non rispetti le prescrizioni impartite;

§         ai fini dell’applicazione del beneficio si applicano i criteri di determinazione della pena cui all’art. 278 c.p.p.;

§         l'allontanamento non autorizzato del condannato dal domicilio equivale ad evasione;

§         la nuova disciplina dovrà essere coordinata sia con quella sulle misure alternative previste dalla legge 354/1975 (ordinamento penitenziario) che con la disciplina sulle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi previste dalla legge 689/1981.

 

I restanti commi dell’art. 1 disciplinano il procedimento per l’esercizio della delega, il cui termine è fissato in 8 mesi (ulteriori 18 mesi per i decreti legislativi correttivi e integrativi) nonché per l’espressione del parere parlamentare. L’attuazione della riforma non deve comportare oneri finanziari.

 

Si osserva che la formulazione dell’articolo 1 della proposta di legge non precisa se vi sia piena equivalenza tra il periodo di reclusione o arresto in carcere e quello di reclusione o arresto presso l’abitazione.

Non è inoltre specificato come debbano essere computate le fasce orarie e i giorni per settimana.

 

Si ricorda che esistono già nel nostro ordinamento alcuni istituti che, sebbene relativi alla fase di esecuzione della pena, appaiono parzialmente affini alle pene detentive non carcerarie previste dal provvedimento in esame.

 

Il D.lgs. 274 del 2000 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace) ha introdotto, per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, una serie di modifiche al sistema sanzionatorio tra cui la pena della permanenza domiciliare, che riguarda sia i reati puniti con la pena detentiva alternativa a quella pecuniaria sia i reati puniti con la sola pena detentiva sia ancora i reati puniti con la pena detentiva congiunta a quella pecuniaria.

In base all’art. 52 del D.lgs. n. 274, infatti:

- quando il reato è punito con la pena della reclusione o dell'arresto alternativa a quella della multa o dell'ammenda, se la pena detentiva è superiore nel massimo a sei mesi, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da euro 258 a euro 2.582 o la pena della permanenza domiciliare da sei giorni a trenta giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità per un periodo da dieci giorni a tre mesi;

- quando il reato è punito con la sola pena della reclusione o dell'arresto, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da euro 516 a euro 2.582 o la pena della permanenza domiciliare da quindici giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da venti giorni a sei mesi;

- quando il reato è punito con la pena della reclusione o dell'arresto congiunta con quella della multa o dell'ammenda, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da euro 774 a euro 2.582 o la pena della permanenza domiciliare da venti giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da un mese a sei mesi;

- nei casi di recidiva reiterata infraquinquennale, il giudice applica la pena della permanenza domiciliare o quella del lavoro di pubblica utilità, salvo che sussistano circostanze attenuanti ritenute prevalenti o equivalenti.

In base all’art. 53 del d.lgs. 274, la pena della permanenza domiciliare comporta l'obbligo di rimanere presso la propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo di cura, assistenza o accoglienza nei giorni di sabato e domenica; il giudice, avuto riguardo alle esigenze familiari, di lavoro, di studio o di salute del condannato, può disporre che la pena venga eseguita in giorni diversi della settimana ovvero, a richiesta del condannato, continuativamente (comma 1). La durata della permanenza domiciliare non può essere inferiore a sei giorni né superiore a quarantacinque; il condannato non è considerato in stato di detenzione (comma 2). Il giudice può altresì imporre al condannato, valutati i criteri di cui all' articolo 133, comma secondo, del codice penale, il divieto di accedere a specifici luoghi nei giorni in cui non è obbligato alla permanenza domiciliare, tenuto conto delle esigenze familiari, di lavoro, di studio o di salute del condannato (comma 3). Il divieto non può avere durata superiore al doppio della durata massima della pena della permanenza domiciliare e cessa in ogni caso quando è stata interamente scontata la pena della permanenza domiciliare (comma 4).

Inoltre, l’art. 55 stabilisce che, quando è violato l'obbligo del lavoro sostitutivo conseguente alla conversione della pena pecuniaria, la parte di lavoro non ancora eseguito si converte nell'obbligo di permanenza domiciliare (un giorno di permanenza domiciliare equivale a euro 25 di pena pecuniaria e la durata della permanenza non può essere superiore a 45 gg.). Se il condannato non richiede di svolgere il lavoro sostitutivo, le pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità si convertono nell'obbligo di permanenza domiciliare.  

In base all’art. 56, il condannato che senza giusto motivo si allontana dai luoghi in cui è obbligato a permanere è punito con la reclusione fino ad un anno. Alla stessa pena soggiace il condannato che viola reiteratamente senza giusto motivo gli obblighi o i divieti inerenti alle pene della permanenza domiciliare.

Prevede l’art. 58 che per ogni effetto giuridico la pena dell'obbligo di permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria. Quando per qualsiasi effetto giuridico si deve eseguire un ragguaglio, un giorno di pena detentiva equivale a due giorni di permanenza domiciliare.

L’art. 59 disciplina poi il controllo sull'osservanza delle sanzioni dell'obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità: l'ufficio di pubblica sicurezza del luogo di esecuzione della pena o, in mancanza dell'ufficio di pubblica sicurezza, il comando dell'Arma dei carabinieri territorialmente competente effettua il controllo sull'osservanza degli obblighi connessi alla pena dell'obbligo di permanenza domiciliare.

Alle pene irrogate dal giudice di pace (tra cui la permanenza domiciliare) non si applicano le disposizioni relative alla sospensione condizionale della pena.

 

Parzialmente affini a quello oggetto del provvedimento in esame appaiono poi alcune misure alternative alla detenzione contenute nell’ordinamento penitenziario (Legge 354/1975) e, in particolare, le misure dell’affidamento in prova al servizio sociale, della detenzione domiciliare, delle misure alternative alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, della detenzione domiciliare speciale.

L’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario) è applicabile ai condannati a pena detentiva non superiore a tre anni , per un periodo uguale a quello della pena da scontare, sempre che, sulla base dei risultati dell’osservazione della personalità condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, si possa ritenere che il provvedimento contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione dal pericolo che egli commetta altri reati. L’osservazione in istituto non è necessaria nei casi in cui il condannato, dopo la commissione del reato, ha tenuto un comportamento tale da consentire tale giudizio. L’affidamento in prova è disposto: dal P.M. prima dell’inizio dell’esecuzione della pena, secondo la procedura di cui all’articolo 656, comma 5, c.p.p.; dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, dal magistrato di sorveglianza (che sospende l’esecuzione) e dal Tribunale di sorveglianza (competente a decidere sul merito dell’istanza). La misura, che è revocabile, è accompagnata dalla previsione di prescrizioni – modificabili dal magistrato di sorveglianza - cui il soggetto ammesso alla misura è tenuto in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro. Deve essere anche stabilito che l’affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza. Il servizio sociale svolge funzioni di controllo, di assistenza e riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza. In caso di esito positivo del periodo di prova si produce l’estinzione della pena e di ogni altro effetto penale.

La detenzione domiciliare (art. 47-ter OP) è applicabile alla persona che, al momento dell'inizio dell'esecuzione della pena, o dopo l'inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di età purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza né sia stato mai condannato con l'aggravante della recidiva. Non è applicabile per una serie di reati.

La detenzione domiciliare si applica inoltre ai condannati alla pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente residuo di maggior pena, e agli arrestati sempre che si tratti di:

- persone in condizioni di salute particolarmente gravi;

- persone di età superiore a sessant’anni inabili anche parzialmente;

- persone minori di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro, di famiglia;

- indipendentemente dai presupposti di cui sopra, per l’espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, quando non ricorrono i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati.

A tali soggetti viene consentito di espiare le pene nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza.

L’applicazione della detenzione domiciliare è disposta dal p.m. prima dell’inizio dell’esecuzione della pena, secondo la procedura di cui all’articolo 656, comma 5, c.p.p.; dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, dal magistrato di sorveglianza (che può disporre l’applicazione provvisoria della misura) e dal Tribunale di sorveglianza (competente a decidere sul merito dell’istanza). L’applicazione della misura è accompagnata da prescrizioni specifiche ed è revocabile.

L’affidamento al servizio sociale e la detenzione domiciliare previste dagli articoli 47 e 47-ter possono essere applicate, anche oltre i limiti di pena ivi previsti, su istanza dell'interessato o del suo difensore, nei confronti di coloro che sono affetti da AIDS (art. 47-quater OP) conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale e che hanno in corso o intendono intraprendere un programma di cura e assistenza presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell'assistenza ai casi di AIDS. L'istanza deve essere corredata da certificazione del servizio sanitario pubblico competente o del servizio sanitario penitenziario, che attesti la sussistenza delle condizioni di salute ivi indicate e la concreta attuabilità del programma di cura e assistenza, in corso o da effettuare, presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell'assistenza ai casi di AIDS. Le prescrizioni da impartire per l'esecuzione della misura alternativa devono contenere anche quelle relative alle modalità di esecuzione del programma.

 In caso di applicazione della misura della detenzione domiciliare, i centri di servizio sociale per adulti svolgono l'attività di sostegno e controllo circa l'attuazione del programma. Ilgiudice può non applicare la misura alternativa qualora l'interessato abbia già fruito di analoga misura e questa sia stata revocata da meno di un anno.

La detenzione domiciliare speciale interessa le donne  condannate, con prole (art. 47-quinquies OP). 1. Quando non ricorrono le condizioni per lq concessione della detenzione domiciliare ordinaria ( art. 47-ter), le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo. Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell'articolo 4-bis, l'espiazione di almeno un terzo della pena o di almeno quindici anni, prevista dal comma 1 del presente articolo, può avvenire presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri ovvero, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga, nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli. In caso di impossibilità di espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, la stessa può essere espiata nelle case famiglia protette, ove istituite.

Ulteriore misura alternativa è la semilibertà. L’art. 48 OP precisa che tale misura consiste nella concessione al condannato e all'internato di trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale. In base all’art. 50 OP, possono essere espiate in semilibertà la pena dell'arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale. Fuori dei casi indicati, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l'espiazione di almeno metà della pena ovvero, se si tratta di condannato per specifici gravi delitti di particolare allarme sociale (di cui all’art. 4-bis), di almeno due terzi di essa. L'internato può invece esservi ammesso in ogni tempo. Tuttavia, nei casi previsti dall'articolo 47, se mancano i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale, il condannato per un reato diverso da quelli di cui all’art.4-bis può essere ammesso al regime di semilibertà anche prima dell'espiazione di metà della pena. Per il computo della durata delle pene non si tiene conto della pena pecuniaria inflitta congiuntamente a quella detentiva. L'ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società. Il condannato all'ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena.I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili.

 

Si ricorda, inoltre, che l’art. 656 del codice di procedura penale stabilisce che se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni (o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope), il pubblico ministero ne sospende l'esecuzione ed è possibile ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione.

Sull’istanza decide il tribunale di sorveglianza entro 45 giorni dal ricevimento dell'istanza. Qualora l'istanza non sia tempestivamente presentata, o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell'esecuzione. La sospensione dell'esecuzione non può peraltro essere disposta nei confronti dei condannati per taluni delitti (previsti dall'art. 4-bis dell’o.p. nonché da altri articoli del c.p.), nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva, nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva. Se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il pubblico ministero sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di una delle misure alternative.

La sospensione dell'esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (v. ultra).

Una possibile sospensione dell’esecuzione della pena detentiva è prevista dal citato caso di cui all’art. 90 del TU 309/1990 sulle tossicodipendenze nei confronti di persona che debba espiare una pena detentiva inflitta per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendente.

Il tribunale di sorveglianza può sospendere l'esecuzione della pena detentiva per cinque anni qualora, all'esito dell'acquisizione della relazione finale della ASL, accerti che la persona si è sottoposta con esito positivo ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo eseguito presso una struttura sanitaria pubblica od una struttura privata autorizzata. La sospensione può essere concessa solo quando deve essere espiata una pena detentiva, anche residua e congiunta a pena pecuniaria, non superiore a sei anni od a quattro anni se relativa a titolo esecutivo comprendente uno dei gravi reati di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. La sospensione della esecuzione non può essere concessa e la relativa domanda è inammissibile se nel periodo compreso tra l'inizio del programma e la pronuncia della sospensione il condannato abbia commesso altro delitto non colposo punibile con la reclusione. La sospensione dell'esecuzione della pena rende inapplicabili le misure di sicurezza nonché le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna, tranne che si tratti della confisca. La sospensione non si estende alle obbligazioni civili derivanti dal reato.  La sospensione della esecuzione della pena non può essere concessa più di una volta.

La disciplina sulle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi è, invece prevista dalla citata legge 689/1981 che prevede, al capo III, che il giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna, quando ritiene di dovere determinare la durata della pena detentiva entro il limite di due anni, può sostituire tale pena con quella della semidetenzione; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla anche con la libertà controllata; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di sei mesi, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente

La semidetenzione (art. 55) comporta in ogni caso l'obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno negli istituti o nelle sezioni indicati nel secondo comma dell'art. 48 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e situati nel comune di residenza del condannato o in un comune vicino. La determinazione delle ore e l'indicazione dell'istituto sono effettuate in relazione alle comprovate esigenze di lavoro o di studio del condannato.

La semidetenzione comporta altresì:

§       il divieto di detenere a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se è stata concessa la relativa autorizzazione di polizia;

§       la sospensione della patente di guida;

§       il ritiro del passaporto, nonché la sospensione della validità, ai fini dell'espatrio, di ogni altro documento equipollente;

§       l'obbligo di conservare e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia e nel termine da essi fissato l'ordinanza emessa a norma dell'art. 62 e l'eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena, adottato a norma dell'art. 64.

Ulteriore misura sostitutiva è costituita dalla libertà controllata (art. 56) che comporta in ogni caso:

§       il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, salvo autorizzazione concessa di volta in volta ed esclusivamente per motivi di lavoro, di studio, di famiglia o di salute;

§       l'obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno, nelle ore fissate compatibilmente con gli impegni di lavoro o di studio del condannato, presso il locale ufficio di pubblica sicurezza o, in mancanza di questo, presso il comando dell'Arma dei carabinieri territorialmente competente;

§       il divieto di detenere a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se è stata concessa la relativa autorizzazione di polizia;

§       la sospensione della patente di guida;

§       il ritiro del passaporto, nonché la sospensione della validità, ai fini dell'espatrio, di ogni altro documento equipollente;

§       l'obbligo di conservare e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia e nel termine da essi fissato l'ordinanza emessa a norma dell'art. 62 e l'eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena, adottato a norma dell'art. 64.

Nei confronti del condannato il magistrato di sorveglianza può disporre che i centri di servizio sociale svolgano gli interventi idonei al suo reinserimento sociale.

 

Più recentemente, la legge n. 199 del 2010 ha introdotto la possibilità di scontare presso la propria abitazione, o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, la pena detentiva non superiore a diciotto mesi (termine così modificato dal decreto-legge 211/2011, convertito dalla legge 9/2012), anche residua di pena maggiore.

L'istituto è destinato ad operare fino alla completa attuazione del “Piano carceri”, nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione, e comunque non oltre il 31 dicembre 2013.

Spetta al magistrato di sorveglianza la verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura. Tale controllo si esplica in particolare nella valutazione delle seguenti cause ostative: concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga; sussistenza di specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti; insussistenza di un domicilio idoneo ed effettivo, anche in funzione delle esigenze di tutela della persona offesa dal reato.

Il beneficio non è applicabile agli autori dei delitti di particolare allarme sociale di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai soggetti sottoposti al regime di sorveglianza particolare in carcere. A differenza, invece, dell’istituto della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter O.P., esso può trovare applicazione anche in caso di recidiva reiterata.

Per quanto riguarda la procedura, il provvedimento distingue due ipotesi a seconda che il condannato sia o meno già detenuto e, in ogni caso, con il richiamo all’art. 69-bis dell’ordinamento penitenziario, prefigura una trattazione dell’istanza da parte del magistrato di sorveglianza particolarmente snella.

E' stata poi inserita una disciplina specifica per i condannati tossicodipendenti o alcoldipendenti sottoposti ad un programma di recupero o che intendano sottoporsi ad esso.

Al fine di disincentivare l’allontanamento dal luogo di espiazione della pena, il provvedimento inasprisce il regime sanzionatorio per il reato di evasione, applicabile – in virtù del rinvio alla disciplina della detenzione domiciliare – anche all'esecuzione domiciliare delle pene; esso, inoltre, prevede come circostanza aggravante comune il fatto che il soggetto abbia commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione.

La legge prevede infine l'assunzione di personale nel ruolo degli agenti e degli assistenti del Corpo di polizia penitenziaria e l'abbreviazione dei corsi di formazione iniziale degli agenti di polizia penitenziaria.

 

 


Sospensione del procedimento penale con messa alla prova (artt. 2-6)

Il Capo II della p.d.l. introduce nell'ordinamento l'istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova.

Scopo della nuova disciplina – ispirata alla probation di origine anglosassone - è quello di estendere l'istituto, tipico del processo minorile, anche al processo penale per adulti in relazione a reati di minor gravità. Come recita la relazione al d.d.l., l’istituto “offre ai condannati per reati di minore allarme sociale un percorso di reinserimento alternativo e, al contempo, svolge una funzione deflattiva dei procedimenti penali in quanto è previsto che l'esito positivo della messa alla prova estingua il reato con sentenza pronunciata dal giudice”.

 

La disciplina del processo penale minorile (DPR 448/1988) prevede (art. 28) che il giudice, sentite le parti, possa disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all'esito della prova. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo è sospeso il corso della prescrizione (comma 1). Con l'ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato (comma 2). Contro l'ordinanza possono ricorrere per Cassazione il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore (comma 3).

Con sentenza n. 125/1995, la Corte costituzionale ha invece dichiarato l'illegittimità dell'art. 28, comma 4, nella parte in cui prevede che la sospensione non può essere disposta se l'imputato chiede il giudizio abbreviato o il giudizio immediato) La sospensione è revocata in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte (comma 5).

Ai sensi del successivo art. 29 del DPR, decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia dato esito positivo. All’esito negativo della prova, il giudice assume, ex artt. 32 e 33, gli opportuni provvedimenti per la prosecuzione del processo.

L’art. 27 del D.L.vo n. 272/1989 (Norme di attuazione del processo minorile) detta la disciplina delle modalità di articolazione dell’intervento dei servizi sociali minorili sia per l’elaborazione del progetto individuale della messa alla prova che dei controlli periodici sul minore e i relativi obblighi di informazione al giudice sull’andamento della prova.

 

L’introduzione della messa alla prova nel processo penale ordinario era stata prevista anche nei lavori della cd. Commissione Pisapia.

Istituita il 30 luglio 2006 (XV leg) con decreto del Ministro della Giustizia Mastella, la Commissione aveva avuto l'incarico di predisporre uno schema di disegno di legge delega di riforma del codice penale.

 

La Relazione finale della Commissione Pisapia (19 novembre 2007) così recitava: La Commissione ha ritenuto di estendere al processo per adulti, in presenza di reati puniti con pena diversa da quella detentiva e per i reati per cui è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni, l'istituto della “messa alla prova”, che, nel processo minorile ha dato risultati positivi in una percentuale, secondo stime del Ministero, attorno all'85%. Tale istituto ….. oltre a consentire di pervenire all'estinzione del reato (laddove la rinnovata sospensione condizionale della pena potrà solo estinguere quest'ultima), avrà sicuramente effetti positivi anche in termini di deflazione del carico giudiziario. Poiché tale istituto si configura come una probation giudiziale con sospensione del procedimento, la sua concessione non poteva non essere ancorata alla tipologia di pena e/o a parametri edittali: in particolare la messa alla prova sarà possibile solo in presenza di reati puniti con pena diversa da quella detentiva o con pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni. In caso di esito positivo della prova, il reato si estingue.

Si è previsto, onde evitare la eccessiva cumulabilità dei benefici, che - se la sospensione del processo con messa alla prova sia stata concessa per reato punito con pena detentiva - una eventuale successiva sospensione condizionale della pena non potrà mai essere concessa più di una volta. La Commissione ha ritenuto che la disciplina concreta dell'Istituto, per il suo carattere fondamentalmente processuale, dovrà trovare spazio nel codice di rito”.

La messa alla prova (introdotta dall’art. 44 dell’articolato della Commissione) è, inoltre, stata prevista dalla stessa Commissione anche in possibile abbinamento alla sospensione condizionale della pena, anch’essa oggetto di intervento nel progetto di legge delega. L’art. 48 dell’articolato (Sospensione condizionale della pena con prescrizioni e misure di controllo) aveva, infatti previsto che la sospensione condizionale potesse, o dovesse, a secondo dei casi, accompagnarsi alla messa alla prova; la norma stabiliva, infatti, che il giudice, nel sospendere l'esecuzione della pena, potesse ordinare la messa alla prova del condannato per il periodo corrispondente, per favorirne il reinserimento sociale e che in caso di seconda concessione la messa alla prova fosse obbligatoria. In caso di messa alla prova: a) il giudice, sentite le parti, determina prescrizioni per il reinserimento sociale che non siano lesive della dignità e dei diritti fondamentali del condannato; che, per le prescrizioni che prevedano obblighi di fare, sia obbligatorio il consenso del condannato e che, in caso di rifiuto, il giudice, ove comunque la conceda, possa subordinare la sospensione ad altre prescrizioni; b) il giudice possa revocare o modificare le prescrizioni; c) il giudice dia, quando necessario, disposizioni per interventi di aiuto, di sostegno e di controllo del condannato; d) la prova decorra dalla condanna, salvo che l'imputato richieda un inizio anticipato; e) il giudice possa dichiarare l'estinzione anticipata del periodo di prova quando ritenga raggiunto il reinserimento sociale dello stesso.

 

L’articolo 2 modifica il codice penale aggiungendo tre nuovi articoli relativi alla messa alla prova (da 168-bis a 168-quater), sistematicamente inserita tra le cause estintive del reato. Sono, a tal fine, aggiunti al capo I del titolo IV del libro I del codice penale tre nuovi articoli.

 

- Il nuovo art. 168-bis anzitutto, diversamente da quanto previsto per il processo minorile, áncora la sospensione del processo con messa alla prova alla richiesta dell’imputato. La messa alla prova, possibile solo in caso di reati puniti con pena pecuniaria ovvero con reclusione fino a 4 anni, sola, congiunta o alternativa a pena pecuniaria, consiste sia nel lavoro di pubblica utilità che in condotte riparatorie, volte all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato (comma 1). La norma precisa che il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita in favore della collettività (durata minima 30 giorni, anche non continuativi) da svolgere presso Stato, Regione, Provincia, Comune od Onlus. Sebbene l’impegno lavorativo giornaliero (fino ad un massimo di 8 ore) non debba pregiudicare le esigenze di studio, lavoro famiglia e salute dell’imputato, possono, dal giudice, essere imposte ulteriori prescrizioni  di fare o non fare (sempre modificabili nel corso della prova) relative ai rapporti col servizio sociale o sanitario, all’eliminazione delle conseguenze del danno, a misure limitative delle libertà personali (di dimora, di movimento, di frequentare determinati locali) (commi 2 e 3). Il comma 4 dell’art. 168-bis precisa che la sospensione del procedimento con messa alla prova non può essere concessa più di una volta (una seconda concessione è possibile solo per reati commessi anteriormente al primo provvedimento di sospensione).

 

- L’art. 168-ter, analogamente a quanto previsto per il processo minorile, prevede la sospensione del corso della prescrizione del reato durante il periodo di sospensione del processo con messa alla prova; dall’inapplicabilità del primo comma dell’art. 161 deriva che la sospensione della prescrizione non si estende ai concorrenti nel reato (comma 1). Al termine della messa alla prova, se il comportamento dell’imputato è valutato positivamente, il giudice dichiara l’estinzione del reato, restando comunque applicabili le eventuali sanzioni amministrative accessorie (comma 2).

 

- L’art. 168-quater indica come motivo di revoca della messa alla prova la grave e reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte dal giudice.

 

 

L’articolo 3 della p.d.l. introduce nel Libro VI del codice di procedura penale il titolo V-bis (Della sospensione del procedimento con messa alla prova) che detta le disposizioni processuali relative all’istituto (artt. da 464-bis a 464-novies).

 

- Il nuovo art. 464-bis conferma che la messa alla prova può essere richiesta dall’imputato (oralmente o in forma scritta) personalmente o a mezzo procuratore speciale; in virtù del rinvio all’art. 583, comma 3, la sottoscrizione della richiesta dell’imputato va autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore.

La sospensione con messa alla prova può essere chiesta nei seguenti termini:

 

fase del procedimento

termine

Al termine della discussione in udienza preliminare (o nell’ulteriore udienza fissata per l’integrazione delle indagini)

fino alla formulazione delle conclusioni (art. 421 e 422)

Nel rito direttissimo e nel procedimento con citazione diretta a giudizio

fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento

Nel giudizio immediato

entro 15 gg. dalla notifica del relativo decreto

Nel procedimento per decreto

Unitamente all’atto di opposizione

 

Alla richiesta di messa alla prova va allegato un programma di trattamento che l’imputato elabora con gli uffici di esecuzione penale esterna (UEPE), i cui contenuti minimi sono individuati dall’art. 464-bis nelle modalità di coinvolgimento dell’imputato nel processo di reinserimento sociale (e, se necessario, del suo nucleo familiare); nelle condotte che intendono promuovere la conciliazione con l’offeso dal reato; nelle prescrizioni che accompagnano il lavoro di pubblica utilità e gli impegni assunti dall’imputato per la riparazione e l’attenuazione del danno prodotto alla persona offesa (restituzione, risarcimenti, condotte riparatorie).

Nei reati ambientali e in quelli previsti dalla normativa sulla circolazione stradale e sugli infortuni sul lavoro, tali impegni sono condizione di ammissibilità della domanda di messa alla prova.

Elementi valutativi ai fini della concessione della messa alla prova possono essere acquisiti dal giudice tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti (contesto familiare e socio economico dell’imputato) e debbono essere comunicate tempestivamente al PM ed al difensore dell’imputato.

 

- Il successivo art. 464-ter detta disposizioni relative alla richiesta di messa alla prova nel corso delle indagini preliminari. In tale fase, il pubblico ministero, informato dal GIP della richiesta dell’indagato, deve esprimere entro 5 giorni il suo eventuale consenso. Se il PM è d’accordo, deve esprimerlo per iscritto, formulando l’imputazione; in tal caso, il giudice decide con ordinanza sulla messa alla prova ai sensi dell’art. 464-quater (vedi ultra). Se invece il PM dissente dalla richiesta di sospensione con messa alla prova, deve enunciarne le ragioni; in tale ipotesi, l’imputato può avanzare una nuova richiesta entro il termine di apertura del dibattimento di primo grado ed il giudice, se la ritiene fondata, può provvedere disponendo la messa alla prova ai sensi dell’art. 464-quater.

 

- L’art. 464-quater riguarda la decisione del giudice sulla richiesta di messa alla prova e gli effetti della pronuncia. Nella stessa udienza in cui è avanzata la richiesta da parte dell’imputato (o in apposita udienza camerale) - se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento ex art 129 c.p.p. per mancanza di una causa di punibilità - il giudice, sentite le parti e la persona offesa decide con ordinanza.

La concessione della messa alla prova da parte del giudice (che può anche sentire l’imputato) deriva della valutazione favorevole su due elementi:

§         l’idoneità del programma di trattamento presentato

§         la previsione che l’imputato non commetterà altri reati.

Il programma trattamentale presentato con la domanda - già contenente prescrizioni ed obblighi per l’imputato - può essere integrato dal giudice con ulteriori obblighi e misure (su cui è, tuttavia, necessario il consenso dell’imputato). Sono, tuttavia, previsti limiti massimi di sospensione del procedimento (decorrenti dalla firma del verbale di messa alla prova da parte dell’imputato):

§         2 anni se si procede per reati puniti con pena detentiva, sola, congiunta o alternativa a quella pecuniaria);

§         1 anno se si procede per reati puniti con sola pena pecuniaria.

Contro l’ordinanza è ammesso ricorso per cassazione da parte dell’imputato, del PM  o della stessa persona offesa (in tale ultimo caso,, se non è stato avvisato dell’udienza o, se comparso, non è stato sentito); l’impugnazione non produce comunque effetti sospensivi.

Dal richiamo alla mancata applicazione dell’art. 75, comma 3, c.p.p. deriva la prosecuzione dell’azione proposta in sede civile nei confronti dell’imputato.

Anche in tal caso, se la richiesta di messa alla prova è rigettata, potrà essere riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

 

- L’art. 464-quinquies precisa che l’ordinanza di sospensione del procedimento stabilisce i termini di adempimento delle prescrizioni e degli obblighi a carico dell’imputato (sempre modificabili). L’adempimento può essere prorogato una sola volta per gravi e comprovati motivi ed il giudice può autorizzare il pagamento rateale del risarcimento eventualmente dovuto alla persona offesa e con il suo consenso. L’ordinanza è trasmessa agli uffici di esecuzione penale esterna che prendono in carico l’imputato per la messa alla prova.

 

- L’art. 464-sexies prevede che il giudice, a richiesta di parte, durante la sospensione del procedimento, possa svolgere attività probatoria che possa condurre al proscioglimento dell’imputato.

 

- L’art. 464-septies disciplina l’esito della messa alla prova stabilendo che, acquisita la relazione finale degli uffici, il giudice, se l’esito è positivo, dichiara estinto il reato con sentenza. Se, al contrario, la prova ha esito negativo, adotta ordinanza di prosecuzione del procedimento.

 

- L’art. 464-opties è relativo alla possibile revoca dell’ordinanza di messa alla prova, disposta d’ufficio dal giudice all’esito di apposita udienza. L’ordinanza di revoca è ricorribile per cassazione per violazione di legge. Definitiva l’ordinanza di revoca, il procedimento a carico dell’imputato riprende il suo corso.

Stante che i casi di revoca sono previsti dal nuovo art. 168-quater, è opportuno che la formulazione del 464-opties faccia riferimento all’ “ordinanza di revoca di cui all’art. 168-quater”.

- L’art. 464-novies prevede che sia in caso di esito negativo della prova che di revoca della misura, questa non è più proponibile.

 

La disposizione in commento aggiunge inoltre nel codice di rito penale l’art. 657-bis che, in caso di prova negativa o di una sua revoca, detrae dalla pena da eseguire il periodo di messa alla prova: 3 gg. di prova sono equiparati a un giorno di reclusione-arresto ovvero a € 250 di multa-ammenda.

 

L’articolo 4 del provvedimento in esame novella le disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (D.Lgs 271/1989) inserendovi l’art. 191-bis relativo alle attività di pertinenza degli uffici di esecuzione penale esterna.

 

Gli uffici di esecuzione penale esterna (UEPE) sono stati istituiti dalla legge 27 luglio 2005, n. 154 che ha modificato l'art. 72 della legge 26 luglio 1975, n. 354 che costituiva i centri di servizio sociale per adulti dell'amministrazione penitenziaria.

Il loro coordinamento è affidato agli uffici dell'esecuzione penale esterna presso i provveditorati regionali dell'Amministrazione penitenziaria.

Gli uffici provvedono ad eseguire, su richiesta del magistrato di sorveglianza, le inchieste sociali utili a fornire i dati occorrenti per l'applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza e per il trattamento dei condannati e degli internati. Prestano la loro opera per assicurare il reinserimento nella vita libera dei sottoposti a misure di sicurezza non detentive. Inoltre, su richiesta delle direzioni degli istituti penitenziari, prestano opera di consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario.

Gli assistenti sociali in sevizio negli UEPE svolgono le attività indicate dall'art. 72 della legge: compiti di vigilanza e/o di assistenza nei confronti dei soggetti ammessi alle misure alternative alla detenzione nonché compiti di sostegno e di assistenza nei confronti dei sottoposti alla libertà vigilata.

Nell'attuare gli interventi di osservazione e di trattamento in ambiente esterno (applicazione ed esecuzione delle misure alternative, delle sanzioni sostitutive e delle misure di sicurezza) l'ufficio si coordina con le istituzioni e i servizi sociali che operano sul territorio. Le intese operative con i servizi degli enti locali sono definite in una visione globale delle dinamiche sociali che investono la vicenda personale e familiare dei soggetti e in una prospettiva integrata d'intervento.

Gli indirizzi generali e il coordinamento in materia sono dettati dalla Direzione generale dell'esecuzione penale esterna presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.

 

Agli UEPE compete la redazione del programma di trattamento a richiesta dell’imputato, la trasmissione dello stesso al giudice, la sorveglianza sulla messa alla prova, l’informazione al giudice sul suo andamento e l’indicazione su prescrizioni ulteriori da applicare, la proposta di abbreviazione o, in caso di gravi violazione, di revoca della messa alla prova.

 

 

L’articolo 5 novella l’art. 3 del TU sul casellario giudiziario (DPR 313/2002) aggiungendo, tra i provvedimenti da iscrivere per estratto, l’ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova.

 

 

L’articolo 6 stabilisce, in relazione all’introduzione della messa alla prova, l’adeguamento (entro 90 gg.) della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna.

 

Sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili (artt. 7-13)

Il Capo III della p.d.l. disciplina il procedimento nei confronti degli irreperibili.

L'articolo 7 novella le disposizioni del codice di procedura penale in tema di udienza preliminare. Dopo avere eliminato ogni riferimento alla contumacia dall’art. 419-bis sugli atti introduttivi del processo (in cui è introdotto un esplicito rinvio alla nuova disciplina degli irreperibili), la proposta di legge sostituisce l'art. 420-bis c.p.p. (sulla rinnovazione dell'avviso dell'udienza) che detta le specifiche ipotesi che permettono al giudice l'adozione dell'ordinanza che dispone di procedere in assenza dall'imputato. L'art. 420-bis prevede quindi la revoca dell'ordinanza a seguito della comparizione dell'imputato prima della decisione, disciplinando i diritti processuali di quest'ultimo ove provi che la sua contumacia è stata incolpevole. Analoga revoca dell'ordinanza di prosecuzione del processo è disposta quando risulta che il processo doveva essere sospeso per assenza dell'imputato. Ferma la disciplina dell'impedimento a comparire (art. 420-ter c.p.p.), che non viene novellata, l'art. 7 sostituisce l'art. 420-quater, con la disciplina della sospensione del processo per assenza dell'imputato e la soppressione di ogni riferimento alla contumacia: se non ricorrono le ipotesi dell'art. 420-bis né quelle dell'art. 420-ter, a fronte dell'assenza dell'imputato, il giudice rinvia l'udienza e dispone che l'avviso sia notificato all'imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria. La riformulazione dell'art. 420-quinquies è volta a disciplinare le nuove ricerche dell'imputato e la possibile revoca della sospensione del processo.

 

L'articolo 8 novella le disposizioni in tema di dibattimento, eliminando ogni riferimento alla contumacia. L'intervento sull'art. 489 c.p.p. è volto a disciplinare l'ipotesi in cui l'imputato contro il quale si è proceduto in assenza nell'udienza preliminare intervenga in dibattimento e chieda di rendere dichiarazioni spontanee. Se l'imputato prova che l'assenza era incolpevole, potrà ottenere una rimessione in termini per accedere al giudizio abbreviato o al patteggiamento.

 

L'articolo 9 della proposta di legge interviene, invece, sulla disciplina delle impugnazioni, ancora una volta per sopprimere ogni richiamo all'istituto della contumacia (artt. 585 e 603, co. 4, c.p.p.) e per: prevedere che, se si è proceduto in assenza dell'imputato in carenza dei presupposti previsti dal codice ovvero quando questi non aveva avuto incolpevolmente conoscenza della celebrazione del processo di primo grado, il giudice d'appello deve dichiarare la nullità della sentenza e disporre il rinvio degli atti al giudice di primo grado (art. 604 c.p.p.); prevedere che analogamente debba procedere la Corte di Cassazione (art. 623 c.p.p.); introdurre l'art. 625-ter, dedicato alla rescissione del giudicato, possibile quando il condannato definitivo dimostri che l'assenza al processo è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo.

 

L'articolo 10 interviene sull’art. 159 del codice penale aggiungendo la sospensione del processo a carico dell'irreperibile a quelle che già comportano una sospensione del corso della prescrizione (autorizzazione a procedere, deferimento della questione ad altro giudice, sospensione del procedimento e del processo penale per impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore).

 

L'articolo 11 attribuisce il potere regolamentare ai Ministri della giustizia e dell'Interno affinché siano disciplinate con decreto le modalità e i termini secondo i quali devono essere comunicati e gestiti i dati relativi all'ordinanza di sospensione del processo per assenza dell'imputato.

 

L'articolo 12 della p.d.l. introduce l'art. 143-bis nelle norme di attuazione del c.p.p. dettando gli adempimenti conseguenti alla sospensione del processo per assenza dell'imputato.

 

L'articolo 13 novella il TU sul casellario giudiziario (D.P.R. 313/2002) aggiungendo, all'articolo 3, tra i provvedimenti da iscrivere per estratto quelli di sospensione del processo per assenza dell'imputato e, all'art.icolo 5, tra le iscrizioni da eliminare, lo stesso provvedimento di sospensione, ove revocato.

 

L'articolo 14 reca la clausola di invarianza finanziaria.