Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||
Titolo: | I Balcani occidentali di fronte al processo di allargamento dell'Unione europea | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 148 | ||
Data: | 11/12/2014 | ||
Descrittori: |
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
I Balcani occidentali di fronte al processo di allargamento dell’Unione europea |
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n. 148 |
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11 dicembre 2014 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri ( 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
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INDICE
Schede di
lettura
Il quadro politico nei Balcani occidentali 3
§ Albania 3
§ Bosnia-Erzegovina 4
§ Kosovo 6
§ Macedonia 8
§ Montenegro 9
§ Serbia 9
Il processo di allargamento agli Stati dei Balcani occidentali
(a cura dell’Ufficio Rapporti con
l’Unione europea) 12
Pubblicistica
§ Dragan
Janjic ‘Seselj, test politico per il
governo serbo’, in: Osservatorio
Balcani e Caucaso, 9 dicembre 2014 1
§ Bianchi
M. ‘Kosovo e Bosnia-Erzegovina: le ferite
del passato e la fine degli alibi’, in: Aspenia on line, 28 novembre 2013 1
§ Edi
Rama ‘L’Europa della speranza e l’Europa
della paura’, in: Osservatorio
Balcani e Caucaso, 27 ottobre 2014 1
§ Capusella
A.L. ‘Progress report sul Kosovo: nessuna responsabilità, nessun
futuro’, in: Osservatorio Balcani e
Caucaso, 22 ottobre 2014 1
§ Dragan
Janjic ‘L’autunno russo della Serbia’, in: Osservatorio Balcani e Caucaso, 21 ottobre 2014 1
§ Giacalone
G. ‘Bosnia, Albania, Kosovo: il Jihad nei Balcani’ in: ISPI, 20 ottobre 2014 1
§ European
Policy Centre ‘Allargamento: che ne è dei
partiti politici dei Balcani?’, in: Osservatorio
Balcani e Caucaso, 25 settembre 2014 1
§ Tacconi
M. ‘Sanzioni alla Russia: gli effetti sul
Sud Est Europa’, in: Osservatorio
Balcani e Caucaso, 6 agosto 2014 1
§ Drago
Hedl ‘Zagabria
un anno dopo l’ingresso nell’UE’, in: Osservatorio
Balcani e Caucaso, 21 luglio 2014 1
§ Pedrazzi
N. ‘Albania candidata all’Ue: la salita
comincia ora’, in: Osservatorio
Balcani e Caucaso, 1 luglio 2014 1
§ Giacalone
G. ‘Il Jihadismo nei balcani: i nuovi
focolai bosniaci’ in: ISPI, 4 luglio
2014 1
§ Capusella
A.L., ‘La fase critica del Kosovo’,
in: Osservatorio Balcani e Caucaso, 26
giugno 2014 1
§ Anghelone
F., ‘Il ruolo della Turchia nei Balcani’,
in: Aspenia online, 25 giugno 2013 1
§ Dragan
Janjic, ‘Serbia, la svolta di Vucic verso
Bruxelles’, in: Osservatorio Balcani
e Caucaso, 20 giugno 2014 1
§ James
Ker-Lindsay, ‘Europee: i sostenitori dei
Balcani’, in: Osservatorio Balcani e
Caucaso, 10 giugno 2014 1
§ Denti
D., ‘L’UE e i Balcani a Salonicco, 11
anni dopo. Cos’è andato storto?’, in: Osservatorio
Balcani e Caucaso, 9 giugno 2014 1
§ Pilotto
S. ‘Serbia between the Huge cultural
heritage of the past and the EU integragion options of the future’, in: ISPI, maggio 2014 1
§ Rossini
A. O.‘Bosnia-Herzegovina at a
stalemate?’, in: ISPI, maggio 2014 1
§ Quercia
P. ‘Syrian foreign fighters and the
Balkans – A new challenge for political islamism in South Eastern Europe’, in:
eMISS, febbraio 2014 1
§ Belloni
R. ‘Il crescente euroscetticismo dei
Balcani occidentali’, in: il Mulino,
6/2013 1
§ Pedrazzi
N. ‘L’Albania in Europa, l’Europa in
Albania’, in: il Mulino, 6/2013 1
§ Demurtas
A. ‘Bosnia erzegovina: le debolezze
strutturali del paese e la stabilità nei balcani’, in: Equilibri, 18 marzo 2013 1
L’inizio del
2011 vedeva in Albania un aggravamento dello scontro politico, quando in gennaio quattro
manifestanti dell’opposizione venivano uccisi a Tirana
ed emergeva che i colpi di arma da fuoco erano stati sparati dagli edifici del
Governo: Berisha, che aveva accusato l’opposizione di essere scesa in campo con
armi nascoste, vedeva crollare la propria tesi e si spingeva ad offendere
gravemente il Procuratore generale e il Capo dello Stato, Bamir
Topi.
Le elezioni
municipali di maggio vedevano la sconfitta – anche questa di misura e molto contestata – del
leader dell’opposizione socialista Edy
Rama, in lizza per un quarto mandato quale sindaco della capitale: i
socialisti si aggiudicavano tuttavia la maggior parte delle città, mentre nel
conteggio complessivo dei voti prevalevano le forze di governo.
Comunque, in
settembre l’opposizione poneva fine al boicottaggio parlamentare, ma il
mese successivo la Commissione UE rifiutava ancora una volta di concedere
all’Albania lo status di paese candidato all’adesione: la principale
motivazione rimaneva la situazione politica, che tuttavia non migliorava di
certo con l’esplodere di un aperto
contrasto tra la maggioranza di Berisha e il Presidente della Repubblica.
Un anno dopo, nell’ottobre 2012 – dopo l’elezione alla Presidenza della Repubblica
albanese di Bujar Nishami -,
la Commissione UE rilevava i numerosi progressi del paese, e raccomandava al
Consiglio di concedere all’Albania lo status di paese candidato, ma solo dopo ulteriori passi positivi nel campo della giustizia, della
pubblica amministrazione e delle regole parlamentari. Sarebbero inoltre state
decisive, per il giudizio dell’Unione europea, le elezioni legislative del 23 giugno 2013: queste registravano, pur in
un clima di violenza e tensione che faceva stato delle persistenti difficoltà
politiche del paese, una netta vittoria del centro-sinistra di Edy Rama – divenuto premier il 10 settembre - sul Partito
democratico di Sali Berisha. Proprio la valutazione positiva del processo
elettorale faceva sì che alla metà di ottobre il rapporto annuale della
Commissione europea concedesse finalmente all’Albania la raccomandazione per lo
status di paese candidato all’adesione alla UE.
Alla raccomandazione faceva seguito, nel Consiglio europeo del 26-27 giugno
2014, la vera e propria concessione a Tirana dello status di paese candidato – concessione che peraltro non
implica di per sé l’apertura di negoziati per l’adesione, bensì un
incoraggiamento per il futuro sulla base del positivo riconoscimento del lavoro
fatto. Non a caso all’Albania veniva prospettata anche una serie di condizioni ancora
lungi dall’essere adempiute, soprattutto nel campo della lotta alla
corruzione e al crimine organizzato, piaghe della società albanese così come di
quella di altri Stati balcanici che aspirano all’integrazione europea. Il
Ministro degli esteri pro tempore Federica Mogherini,
in visita a Tirana il 25 luglio, esprimeva tutta la propria soddisfazione per
il traguardo raggiunto dall’Albania, sottolineando
come l’Italia fosse stata tra i paesi più impegnati per tale prospettiva.
Va al proposito ricordata
anche la Conferenza di Berlino (28
agosto), organizzata dal governo tedesco per il consolidamento delle
prospettive europee dei paesi dei Balcani occidentali, con la
partecipazione degli Stati interessati, oltre che di rappresentanti della
Croazia, della Slovenia, dell’Austria e della Francia – alla Conferenza è
inoltre intervenuto l’allora presidente della Commissione UE Barroso,
unitamente ai Commissari all’Allargamento e all’Energia.
All’inizio di settembre, dopo una mobilitazione
pubblica di parecchie settimane che aveva fatto seguito alla scoperta in luglio
di gravi irregolarità nella gestione
della Banca centrale albanese, con diversi arresti, venivano
incarcerati i vertici dell’Istituto, nelle persone del governatore Fullani e dell’ispettore capo Golemi.
I due alti funzionari sono stati accusati di abuso d’ufficio, essenzialmente
per omessa vigilanza sui fondi della Banca centrale, ripetutamente oggetto di
furti. L’arresto di Fullani e Golemi
è stato salutato da vasti settori dell’opinione pubblica, come una vittoria
contro la corruzione dilagante nel paese e raramente perseguita.
Il 21 settembre Papa Francesco ha compiuto proprio in Albania il primo
viaggio in Europa fuori del territorio italiano: a Tirana il Papa ha ricordato le
sofferenze di tutte le confessioni religiose albanesi al tempo del regime
comunista, collegandole alle persecuzioni religiose oggi in atto in altre parti
del mondo: al tempo stesso il Papa ha espresso speranza per il futuro degli
albanesi, popolo giovane e desideroso di miglioramenti importanti della sua
condizione.
Finalmente, dopo
ben 14 mesi di stallo istituzionale,
soprattutto (ma non esclusivamente) dovuto all’irrigidimento di Dodik, leader
della Repubblica srpska, il 28 dicembre 2011 si giungeva in Bosnia-Erzegovina ad un accordo tra
i sei principali partiti politici bosniaci, in base al quale si procedeva a
indicare un premier designato nella persona dell’economista croato-bosniaco Vjekoslav Bevanda, del partito Comunità
democratica croata: il 5 gennaio 2012 Bevanda riceveva l’approvazione della
Presidenza tripartita della Bosnia, e dopo sette giorni otteneva sulla sua
designazione il via libera del parlamento federale bosniaco, in vista della
formazione di un nuovo governo.
Dalle reazioni delle forze politiche bosniache
emergeva con una certa chiarezza che l’intesa era stata raggiunta soprattutto
in vista dello sblocco di finanziamenti del Fondo monetario internazionale e
dell’Unione europea, propedeutico a sua volta alla presentazione bosniaca della
candidatura per l’ingresso nella UE. Il 10 febbraio
2012 il governo guidato da Bevanda
otteneva la fiducia nel Parlamento bosniaco: peraltro, con un rimpasto
limitato, nel mese di novembre si inaugurava per il
governo una diversa maggioranza parlamentare, con il maggior partito
musulmano-bosniaco all’opposizione.
Le istituzioni ricevevano tuttavia un duro colpo il
26 aprile 2013, quando veniva tratto in arresto con
gravi accuse di corruzione Zivko Budimir, presidente della Federazione Bh, l’Entità croato-musulmana della Bosnia-Erzegovina, appartenente
al partito ultranazionalista dell’etnia croata: assieme a Budimir
venivano altresì incarcerati 18 alti funzionari dell’Entità croato-musulmana.
Il progressivo aggravarsi della situazione
economica bosniaca in un contesto di apparente
indifferenza delle autorità costituite verso i problemi del paese provocava all’inizio di febbraio del 2014 l’esplodere
di vaste proteste in tutto il paese, che si accanivano in particolar modo
nel territorio della Federazione croato-musulmana contro le istituzioni cantonali, accusate di essere sostanzialmente
inutili e troppo costose, e per di più assenti nel territorio della Repubblica srpska, la cui condizione economica era nettamente
migliore. Il bilancio degli scontri del 7 febbraio vedeva numerosi arresti e
circa duecento feriti, la maggior parte dei quali, a
riprova della durezza del confronto, tra le forze dell’ordine. Gli scontri
proseguivano nella serata del 7 febbraio addirittura con l’assalto all’edificio in cui ha sede la Presidenza tripartita del
paese.
Nei giorni successivi la veemenza delle proteste si
placava, ma la partecipazione ad esse era sempre molto
vasta, profilandosi un movimento di
contestazione ampio e deciso ad agire ad oltranza. Naturalmente non è
mancato chi ha sostenuto protesta in chiave etnica, ma si sono anche levate più
voci del tutto contrarie a caratterizzare in questo modo le proteste, e gli
stessi paesi responsabili dell’applicazione dell’accordo di
pace di Dayton del 1995 hanno condannato ogni strumentalizzazione etnica, e
rilevato come le preoccupazioni siano comuni a tutti cittadini bosniaci nei
confronti della corruzione, della disoccupazione e della totale mancanza di
prospettive economiche. La difficile situazione bosniaca è stata seguita da
presso dall’Unione europea, ma anche dalla Turchia, con il tempestivo arrivo a
Sarajevo l’11 febbraio del ministro
degli esteri turco Davutoglu.
Alle grandi difficoltà economiche si aggiungevano alla metà di maggio le devastanti alluvioni
che colpivano anche la Serbia e la Croazia orientale, con decine di morti e
incalcolabili danni all’agricoltura e alle infrastrutture. Il 24 luglio si
recava a Sarajevo l’allora ministro degli esteri Federica Mogherini
in missione nei Balcani, con tappa iniziale proprio in Bosnia-Erzegovina, paese
che, secondo il nostro Ministro, ha bisogno di riforme non ulteriormente
procrastinabili, e la cui urgenza è richiesta anzitutto dai cittadini bosniaci
– l’On. Mogherini indicava le elezioni dell’ottobre
2014 come occasione per una svolta verso un percorso virtuoso.
Proprio
queste elezioni, che hanno avuto luogo il 12 ottobre, hanno
fatto registrare un certo indebolimento delle forze al governo nelle due entità che
compongono la Bosnia federale dopo il 1995. In queste consultazioni – a
carattere davvero generale, perché i 3,2 milioni di elettori erano chiamati ad eleggere tanto i membri della Presidenza tripartita della
Bosnia, quanto i deputati al parlamento centrale e nei parlamenti delle due
entità, oltre alla Presidenza dell’entità serba (Repubblica Srpska)
e ai consigli dei 10 cantoni presenti nella sola entità croato-musulmana
(Federazione Bh) -, per la seconda volta, la Bosnia
ha ignorato le indicazioni della Corte europea dei diritti dell’Uomo sulla
necessità di consentire candidature anche ad esponenti di gruppi etnici diversi
dai tre principali - attorno ai quali soltanto, va peraltro ricordato, i
vigenti Accordi di Dayton ritennero di poter riorganizzare la vita civile in
Bosnia-Erzegovina.
Nel dettaglio, alla Presidenza tripartita hanno vinto: per i serbi Mladen Ivanic,
candidato dall’opposizione dell’entità serba e perciò
non gradito al presidente Dodik, che lo accusa di
essere troppo vicino ai musulmani; per i croati il leader nazionalista
dell’HDZ, Dragan Covic, di
tendenza secessionista e già destituito dalla Presidenza collegiale nel 2005,
con accuse di corruzione; per i musulmani Bakir Izetbegovic, proveniente da una famiglia già centrale nella vita
politica bosniaca ed esponente del maggior partito musulmano, l’Sda (Partito di azione democratica) – peraltro anche
Izetbegovic aveva visto la propria candidatura macchiata da accuse di
malversazioni. Per quanto concerne la
Presidenza della Repubblica Srpska, Milorad Dodik – sempre più su
posizioni nazionaliste e secessioniste – si
è visto riconfermare al vertice: tuttavia
il suo partito, la Lega dei socialdemocratici indipendenti (Snsd),
ha riportato solo una vittoria di stretta misura sia nel parlamento dell’entità
serba che in quello centrale. Nell’altra entità, quella croato-musulmana, le
elezioni parlamentari hanno registrato la doppia affermazione del partito
musulmano Sda, a fronte di un netto calo di consensi dei socialdemocratici (Sdp)
affermatisi nelle precedenti elezioni.
Il 10
settembre 2012, quattro anni e mezzo dopo la proclamazione dell’indipendenza
nel 2008, il Kosovo raggiungeva, almeno sul piano formale, la piena sovranità: cessava
infatti la supervisione sul paese esercitata fino a quel momento
dall’ISG (Gruppo internazionale di orientamento sul Kosovo, composto da 25
Stati sostenitori della prima ora di Pristina). Se la Comunità internazionale
sembra aver riconosciuto a Pristina sostanziali progressi sulla via della
democrazia e dello Stato di diritto, non
va dimenticato che la sovranità del paese è rimasta a lungo contestata dai
serbo-kosovari residenti nel nord, nonché dalla stessa
Serbia, il cui premier Ivica Dacic ribadiva in un primo tempo anch’egli che Belgrado non
avrebbe mai riconosciuto l’indipendenza kosovara – anche se i colloqui tra le
parti, con il decisivo impulso della UE, raggiungevano qualche risultato
distensivo. L’accordo sulla gestione integrata delle frontiere tra serbi,
kosovari e missione europea EULEX, in procinto di entrare in vigore in metà
delle sei postazioni dal 10 dicembre 2012, provocava comunque nuove minacce dei serbi
del nord del Kosovo, intenzionati a rifiutare in ogni modo il
solidificarsi di una vera frontiera con la Serbia e le sue implicazioni,
come l’eventuale imposizione di dazi o l’obbligo di servirsi di documenti kosovari.
Tuttavia proprio il governo serbo di impronta teoricamente più nazionalista succeduto al
periodo di Tadic e capeggiato da Dacic
si spingeva nel marzo 2013 ad ammettere che in qualche modo il Kosovo non
andava più considerato parte della Serbia, e che era ormai tempo per tutti i
serbi di prenderne atto, superando le bugie raccontate a lungo negli anni
passati. Ciononostante però i colloqui ripetuti a Bruxelles tra le rispettive
delegazioni non registravano veri progressi, fino a che il 19 aprile veniva raggiunto un accordo
definito storico tra il premier
kosovaro Hashim Thaci e quello serbo Ivica Dacic, finalizzato alla sistemazione della zona
settentrionale del Kosovo, abitata prevalentemente da serbi e
oggettivamente facilitata dalla vicinanza geografica nel mantenimento di forti
legami con Belgrado. L'accordo ha previsto anche la collaborazione della NATO
alla sua attuazione, NATO che intanto continuerà a garantire come ha fatto
finora la sicurezza dell'intero Kosovo.
La parte fondamentale dell'accordo serbo-kosovaro,
articolato in 15 punti, prevede la nascita di una associazione dei comuni a maggioranza serba nel
Kosovo settentrionale, associazione che godrà di una vasta autonomia che va
dai poteri di polizia all'amministrazione della giustizia, tuttavia nell'ambito
delle strutture nazionali del Kosovo. Nel contesto dell'accordo
ciascuna parte si impegnava a non agire per bloccare il percorso di
integrazione europea dell'altro contraente, nonché a contribuire nel 2013
all'organizzazione di elezioni nei comuni del Nord del Kosovo. Nel dettaglio,
per quanto concerne i poteri di polizia, gli esponenti serbo-kosovari saranno
inquadrati nelle strutture kosovare di pari grado, ma si prevede la figura di
un capo della polizia regionale per le quattro municipalità del Kosovo
settentrionale a maggioranza serba, figura che sarà appannaggio di un
serbo-kosovaro nominato dal ministro dell'interno del Kosovo da una lista di nomi fornita dall'associazione dei comuni serbo-kosovari.
Nel Kosovo
settentrionale la composizione dei corpi di polizia rifletterà quella etnica
della popolazione. Per quanto riguarda la giustizia, si procederà a una
integrazione delle autorità giudiziarie, mentre la Corte di appello di
Pristina darà vita a un gruppo composto da una maggioranza di giudici
serbo-kosovari specializzato per le questioni che riguardano i comuni a
maggioranza serba. La municipalità di Mitrovica Nord
ospiterà una divisione permanente della Corte d'appello.
Nelle more
della ratifica dell'accordo nelle rispettive capitali si levavano forti le voci
dei serbi del Kosovo settentrionale, come anche della Chiesa ortodossa di Belgrado, fortemente contrari all'accordo appena siglato - in effetti
va ricordato che i serbi del Nord del Kosovo non erano stati inclusi nelle
estenuanti tornate negoziali che avevano condotto alla firma dell'accordo.
Tuttavia il Parlamento serbo
approvava il 26 aprile a larga maggioranza l'accordo del 19 – cui il Parlamento
kosovaro aveva già dato via libera quattro giorni prima -: poche ore dopo la Commissione europea presentava ai
ministri degli esteri della UE riuniti a Lussemburgo i
rapporti su Serbia e Kosovo, che raccomandavano rispettivamente l'apertura dei
negoziati per l'adesione e dei negoziati per l'accordo di associazione
all'Unione europea – in effetti il Vertice europeo della fine di giugno
indicava per entrambe le questioni la data del 1° gennaio 2014.
Unanime condanna destava il 19 settembre
l’uccisione nel nord del Kosovo di un doganiere lituano della missione europea
EULEX che stazionava ad un posto di frontiera con la
Serbia, mentre tre altri agenti venivano feriti. Alla metà di ottobre il
rapporto annuale della Commissione europea accordava al Kosovo luce verde per
dare avvio al negoziato per l’accordo di stabilizzazione e associazione con la UE; tuttavia il 3
novembre le elezioni locali registravano nel nord del Kosovo ripetute
intimidazioni e violenze da parte dei serbo-kosovari contrari agli accordi del
19 aprile 2013, con gravi ombre sulla possibilità di effettiva attuazione
degli stessi, e, di riflesso, pregiudizio della possibilità di effettiva
integrazione europea del Kosovo e della Serbia.
Rinnovato ottimismo destavano comunque le elezioni kosovare dell’8
giugno 2014,
alle quali per la prima volta partecipavano massicciamente anche i
serbo-kosovari – lo stesso premier di Belgrado Vucic aveva espresso auspici in
tal senso -, consolidando la compagine istituzionale del paese e le prospettive
di reale attuazione degli accordi del 2013. La maggioranza relativa veniva riportata dal Partito democratico del Kosovo del
premier in carica Hashim Thaci, che con poco più del
30% dei voti incontrava però gravi difficoltà a dar vita a un nuovo governo.
Semmai la calante affluenza al voto (41%) denunciava un certo scollamento dalla
politica seguita dalle autorità, anche qui alle prese con forte disoccupazione,
corruzione e diffusa criminalità.
Il nuovo esecutivo ha potuto ottenere solo il
9 dicembre la fiducia del parlamento (73 voti contro 38), dopo un accordo
siglato il giorno precedente tra il partito del premier uscente Thaci (Partito
democratico del Kosovo – Pdk) e la Lega democratica
del Kosovo (Ldk) guidata da Isa Mustafa:
in base a tale intesa la guida del governo è andata a
Isa Mustafa, mentre Thaci – con la promessa di
elezione nel 2016 al vertice dello Stato – ha ripiegato sulle cariche di
vicepremier e ministro degli esteri. La minoranza serbo-kosovara ha ottenuto un
vicepremier e due dicasteri.
Il 5 giugno
2011 in
Macedonia, sulla spinta di ripetute richieste
delle opposizioni, convinte di poter ribaltare la situazione politica, si
svolgevano elezioni legislative nelle
quali la coalizione di maggioranza al governo restava solida, pur
arretrando di qualche seggio.
In luglio le preoccupazioni per la libertà dei
media in Macedonia si confermavano quando, con l’accusa di evasione fiscale, veniva chiusa una stazione televisiva che di recente aveva
duramente attaccato il governo – nel frattempo erano stati chiusi con le stesse
motivazioni tre giornali dello stesso gruppo editoriale. Nonostante poi la
prosecuzione muscolare dei progetti di edilizia monumentale storico-macedone
nella capitale, il veto ellenico legato
alla questione del nome impediva ancora una volta l’inizio dei negoziati per
l’adesione alla UE – anche se in dicembre la Corte
internazionale di giustizia dava ragione a Skopje, per la violazione di un
impegno greco del 1995 a non ostacolare l’accesso macedone ai consessi
internazionali.
Il 24 marzo
2013 si svolgevano in Macedonia le elezioni municipali, giudicate sostanzialmente
corrette – ma con alcune eccezioni – dagli osservatori OSCE: tenuto conto anche
dei ballottaggi del 7 aprile, il partito conservatore al governo, che fa capo a
Gruevski, si aggiudicava 55
comuni su 81, mentre 15 andavano all’alleato di governo dell’Unione democratica
degli albanesi, e 5 all’opposizione socialdemocratica.
Il predominio
del partito conservatore perdurava anche nel 2014, quando il 27 aprile si
svolgevano simultaneamente le elezioni legislative anticipate di un anno e il
ballottaggio delle presidenziali, che registrava la conferma del capo dello
Stato uscente Ivanov.
Il Montenegro
registrava grandi progressi sulla via dell’integrazione europea, con l’inizio, il 29
giugno 2012, dei negoziati per la futura adesione all’Unione europea. Il 14 ottobre le elezioni politiche
vedevano la riconferma della coalizione di
centro-sinistra che si richiamava, pur dopo il suo ritiro dalle dirette
responsabilità di governo, all’inossidabile leader Djukanovic,
ma per la prima volta in dieci anni non veniva raggiunta la maggioranza
assoluta dei seggi in Parlamento, obbligando il consumato leader a stabilire
accordi di governo con altre formazioni politiche. Uguale riconferma otteneva Filip Vujanovic nelle elezioni presidenziali del 7 aprile 2013, seppure solo con il 51,2%
dei consensi, e l’aspra contestazione dello sfidante Miodrag
Lekic – cui sono andati i voti delle opposizioni di
destra e di sinistra - per presunte frodi elettorali.
Il 6 maggio 2012
si svolgevano in Serbia congiuntamente le elezioni presidenziali, legislative e
municipali:
va infatti ricordato che il presidente in carica Boris
Tadic si era dimesso anticipatamente proprio allo
scopo di far convergere in un unico giorno le tre scadenze elettorali. Alle elezioni legislative e a quelle
presidenziali partecipavano anche i serbi residenti nel Kosovo, dopo un
accordo tra Belgrado e Pristina mediato dall’OSCE, impegnata altresì nel
monitoraggio del processo elettorale nell'intera Serbia. Naturalmente sul
territorio kosovaro l’OSCE poteva avvalersi della collaborazione della missione
internazionale KFOR e della missione europea EULEX, e
le operazioni di voto si svolgevano senza incidenti.
I risultati
registravano una leggera prevalenza di Tadic nelle
presidenziali, non tale comunque da risparmiargli di affrontare il suo
antagonista Tomislav Nikolic
nel ballottaggio; mentre nelle elezioni legislative
prevaleva con oltre il 24% dei consensi il partito del
Progresso serbo dello stesso Nikolic, di impronta
conservatrice moderata, nei confronti del Partito democratico e più fortemente
europeista del presidente uscente Tadic, che non
andava oltre il 22% dei voti. In
entrambi i casi, tuttavia, una grande affermazione era quella
di Ivica Dacic, capo del Partito socialista
serbo - a suo tempo fondato da Slobodan Milosevic, ma che dopo la caduta di
questi era stato progressivamente traghettato da Dacic
su lidi meno nazionalisti e più apertamente progressisti, senza dimenticare
neanche la prospettiva europea del paese.
Dacic infatti riportava il
14% dei consensi sia nelle presidenziali che a favore del suo partito nelle
legislative, ponendosi così quale futuro ago della bilancia per la
formazione del nuovo governo della Serbia. Il
20 maggio il ballottaggio si risolveva a sorpresa a favore di Nikolic, che sconfiggeva contro quasi tutte le previsioni il presidente uscente Boris Tadic.
Dopo quasi tre mesi dalle elezioni legislative, il
27 luglio la Serbia vedeva il via libera parlamentare all’insediamento del nuovo governo presieduto dal socialista
Ivica Dacic, a
capo di una coalizione di tre forze politiche dominata
dai conservatori nazionalisti (il Partito del progresso serbo) del
neopresidente Nikolic e dai socialisti. Dacic teneva subito a rassicurare la Comunità
internazionale, e soprattutto l’Europa, contro gli spettri del passato,
poiché non si sarebbero dovuti temere ripensamenti
sulla via dell’integrazione europea di Belgrado, inserita tra le priorità del
nuovo esecutivo. I mesi successivi confermavano sostanzialmente tali
dichiarazioni, soprattutto per i progressi
nelle relazioni con il Kosovo: al proposito l’allora Ministro degli Esteri
Emma Bonino, in visita a Belgrado il 18 giugno 2013, ribadiva
l’impegno dell’Italia per la rapida fissazione in sede europea di una data per l’inizio dei negoziati di adesione
della Serbia, che in effetti nel Vertice europeo di fine giugno veniva
stabilita per il 1° gennaio 2014. Alla metà di ottobre l’impegno italiano veniva ribadito dal Presidente del Consiglio pro-tempore Enrico Letta nel terzo
vertice bilaterale di Ancona.
Il 16 marzo
2014 si svolgevano le elezioni legislative anticipate, che premiavano
largamente colui che forse più di tutti le aveva
volute, ovvero Aleksandar Vucic, capo del partito
conservatore filoeuropeista (Partito del progresso serbo), che sfiorava il 50% dei
consensi su un’affluenza – calante – del 53% circa, distanziando in maniera
abissale le altre forze politiche, tra le quali il Partito socialista, secondo, riportava appena il 13% dei voti.
Vucic aveva caratterizzato la campagna elettorale con forti accenti riformisti
ed europeisti: proprio in chiave di adesione ai requisiti posti da Bruxelles
andrebbe interpretato il repulisti dei vertici della polizia decretato da
Vucic, con la rimozione in tronco dei capi dei cinque dipartimenti del corpo,
accusati di inerzia, lassismo e talvolta complicità
nei confronti della criminalità organizzata e del narcotraffico.
Nuove turbolenze hanno tuttavia colpito la Serbia
dapprima il 14 ottobre, quando una provocazione a favore della Grande Albania
ha infiammato gli animi durante la partita di calcio Serbia-Albania, provocando
anche il rinvio di un incontro – davvero storico, il primo dopo 68 anni – tra i capi dei rispettivi governi. Ma, soprattutto, il panorama politico a Belgrado è stato
scosso il 12 novembre dal rientro in
patria di Vojislav Seselj, ex leader
ultraconservatore sotto processo all’Aja per i
crimini perpetrati contro croati e musulmani dal 1991 al 1993. Seselj ha potuto tornare in Serbia
per un periodo di cure, essendo affetto da cancro al colon, ma appena sbarcato
dall’aereo ha rilasciato alle migliaia di sostenitori entusiasti che lo
accoglievano dichiarazioni molto critiche nei riguardi dell’attuale dirigenza
politica del Partito del progresso serbo, bollata quale cricca di traditori
venduti alle potenze occidentali. Vucic
e Dacic (divenuto ministro degli Esteri) hanno
reagito all’imbarazzo ridimensionando la figura politica di Seselj
quale esponente di un passato ormai superato.
Come ribadito in più occasioni dalle istituzioni europee, la prossima fase del processo di allargamento dovrebbe riguardare i paesi dei Balcani occidentali che, già in occasione del Consiglio europeo tenutosi a Feira il 19 e 20 giugno 2000, sono stati definiti “candidati potenziali all’adesione all’Unione europea”.
L’Unione europea attribuisce un’importanza strategica al processo di allargamento, che è essenziale per garantire la stabilità e il consolidamento democratico ai confini dell’UE, consentendo a tutti i paesi candidati e potenziali candidati di fare progressi nel processo di avvicinamento all’UE. Naturalmente tale processo si basa sul reciproco rispetto delle condizioni e degli impegni assunti.
I paesi candidati
della regione dei Balcani sono: Albania,
ex Repubblica iugoslava di Macedonia,
Montenegro e Serbia. La Croazia è entrata a far parte dell’UE il 1° luglio 2013.
Attualmente le relazioni tra l’Unione europea e i paesi dei Balcani occidentali si svolgono prevalentemente nel quadro del Processo di stabilizzazione ed associazione (PSA), istituito nel 1999. Il processo è la cornice entro cui diversi strumenti sostengono gli sforzi compiuti da questi paesi nella fase di transizione verso democrazie ed economie di mercato stabili.
Le componenti principali del PSA sono: un elevato livello di assistenza finanziaria, misure commerciali che prevedono la liberalizzazione asimmetrica degli scambi, una forte dimensione regionale nonché la stipula, con ciascun paese della regione, di un accordo di stabilizzazione ed associazione (ASA), basato sul rispetto dei principi democratici e degli elementi fondanti del mercato unico europeo.
Accordi di stabilizzazione e associazione sono già in
vigore con la ex
Repubblica iugoslava di Macedonia[1],
l’Albania[2],
il Montenegro[3]
e la Serbia[4].
La Bosnia Erzegovina e l’UE hanno firmato l’accordo di stabilizzazione ed associazione il 16 giugno 2008, che non è ancora entrato
in vigore. Il Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013 ha deciso
avviare i negoziati per stipulare l’accordo di stabilizzazione e associazione
anche con il Kosovo. L’accordo è stato siglato a luglio 2014.
L’8 ottobre 2014 la Commissione europea ha pubblicato l’annuale pacchetto allargamento, con il quale fa il punto del processo in corso e consolida l’approccio degli ultimi anni, che pone maggiormente l'accento sulla realizzazione delle riforme fondamentali già dalle prime fasi del negoziato con i paesi candidati: accanto a stato di diritto e governance economica, la Commissione ha aggiunto la riforma della pubblica amministrazione.
Lo stato di diritto è al cuore del processo di allargamento: a partire dal 2012, ai paesi candidati è richiesto di affrontare questioni come la riforma giudiziaria, la lotta al crimine organizzato e alla corruzione nella fase iniziale del processo di adesione, dimostrando una solida base di risultati sostenibili.
Basandosi sull’ esperienza del semestre europeo, nel corso del 2013 la Commissione ha migliorato gli strumenti di cooperazione con i paesi dell’allargamento per rafforzare la governance economica, inclusi i programmi nazionali di riforma economica, ponendo l’accento sulla stabilità fiscale e sulle riforme strutturali per migliorare competitività e crescita.
Con il pacchetto del 2014, la Commissione pone l’accento sulla riforma della pubblica amministrazione e sul rafforzamento delle istituzioni democratiche che rimangono deboli nella maggior parte dei paesi dell’allargamento, con limitate capacità amministrative, alto livello di politicizzazione e mancanza di trasparenza.
Per quanto riguarda in particolare Balcani occidentali, la Commissione ricorda che la chiara prospettiva di adesione all'Unione, concessa loro dagli Stati membri, esercita un importante effetto stabilizzatore e puntella i progressi verso il rispetto delle condizioni necessarie. In questo panorama, secondo la Commissione le relazioni di buon vicinato e la cooperazione regionale rivestono un ruolo essenziale, un ambito questo che ha registrato progressi nell'ultimo anno, anche se restano sul tappeto una serie di questioni. In una regione così di recente teatro di conflitti, è necessario un impegno costante per risolvere le questioni bilaterali tra i paesi dell'allargamento e con gli Stati membri, eventualmente anche sotto gli auspici dell'ONU, e per voltare la pagina di una pesante eredità storica.
Per quanto riguarda gli aspetti economici, prosegue una ripresa modesta: secondo le ultime previsioni della Commissione, i paesi candidati dei Balcani occidentali dovrebbero crescere in media dell'1,6% nel 2014. Ciò nonostante, tutti i paesi sono alle prese con grandi sfide economiche strutturali, con alti tassi di disoccupazione e bassi livelli di investimenti esteri. Queste le principali sfide individuate dalla Commissione:
- rafforzare il risanamento di bilancio riducendo il deficit e attuando riordini credibili del settore pubblico;
- potenziare la gestione dei conti pubblici, compresi la gestione e la riscossione delle entrate, l'elaborazione e l'esecuzione del bilancio, la contabilità e la rendicontazione e il controllo esterno;
- alleviare l'elevato onere dei prestiti in sofferenza;
- ristrutturare e migliorare la governance delle imprese di Stato;
- migliorare il tessuto imprenditoriale, anche tramite l'economia digitale, sostenendo lo sviluppo del settore privato, semplificando la regolamentazione e promuovendo gli investimenti nella ricerca;
- migliorare le reti energetiche e di trasporto e sviluppare la connettività;
- creare mercati del lavoro funzionanti, anche garantendo la necessaria flessibilità, migliorare l'occupabilità dei lavoratori e garantire che il sistema di istruzione e di acquisizione delle competenze siano più rispondenti alle esigenze del mercato del lavoro.
Nonostante nell'ultimo anno si siano registrati una serie di sviluppi positivi, i paesi dei Balcani occidentali sono di fronte all'importante sfida di rafforzare lo stato di diritto e, in particolare, di migliorare il funzionamento e l'indipendenza del sistema giudiziario e di potenziare la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata.
In molti casi sono necessari ampi riordini per garantire sistemi giudiziari indipendenti ed efficienti che assicurino processi equi, amministrati da una magistratura imparziale e responsabile, nominata e promossa secondo principi meritocratici. Molti paesi si sono dotati di strategie di riforma del sistema giudiziario la cui attuazione però è ancora in una fase iniziale e numerose questioni sono ancora irrisolte.
Come anticipato, lo scopo della Commissione è integrare meglio la riforma della pubblica amministrazione nel processo di allargamento. In tal senso sono già attivi o sono in fase di creazione con i paesi dei Balcani occidentali "gruppi speciali sulla riforma della pubblica amministrazione", destinati a far avanzare i lavori, attorno ad alcune questioni principali: quadro strategico della riforma; definizione e coordinamento delle politiche; gestione delle risorse umane puntando su efficienza e meritocrazia; rendicontabilità e trasparenza dell'amministrazione; accessibilità delle informazioni e mezzi di ricorso giudiziario e amministrativo; miglioramento dei servizi per cittadini e imprese.
La Commissione rileva che i negoziati di adesione sono ulteriormente progrediti, con l'apertura di dodici capitoli (di cui due già chiusi).
Dopo l'allineamento della legislazione pertinente con la riforma costituzionale del luglio 2013, sono stati eletti e nominati in posti chiave diversi funzionari giudiziari e delle procure. Si è migliorata l'efficienza dell'apparato giudiziario e rafforzato il quadro legislativo per la tutela dei diritti fondamentali, compresa la legge sul difensore civico.
Si rilevano tuttavia ritardi nell'attuazione di un certo numero di misure, in particolare le riforme legislative, specialmente quelle volte a combattere la corruzione. Il Montenegro deve adottare rapidamente una normativa adeguata sul finanziamento dei partiti politici. Deve essere sviluppata una casistica credibile di indagini, azioni penali e condanne definitive in relazione ai casi di corruzione, anche nelle alte sfere. Va garantito l'uso sistematico degli strumenti di sequestro e confisca dei beni.
Permangono inoltre serie preoccupazioni riguardo alla libertà di espressione e dei media. È necessario accelerare le indagini sui casi di violenza nei confronti dei giornalisti. Occorre inoltre instaurare un dialogo politico costruttivo e ripristinare la fiducia nel processo elettorale e nelle istituzioni statali. Per mantenere lo slancio del percorso verso l'adesione è indispensabile rafforzare la capacità amministrativa per le questioni connesse all'integrazione nell'UE. Occorre inoltre depoliticizzare e rendere più professionale la funzione pubblica. Il paese deve proseguire l'attuazione delle riforme economiche, affrontando in particolare il problema dell'alto tasso di disoccupazione, e migliorare il contesto imprenditoriale.
Da gennaio 2014 sono in corso i negoziati di adesione tra l'UE e la Serbia, il cui avvio è stato deciso dal Consiglio europeo in considerazione dei progressi del paese sul fronte delle riforme e del suo costante impegno per normalizzare le relazioni con il Kosovo.
Secondo la valutazione della Commissione: la Serbia ha compiuto qualche progresso in termini di riforma della pubblica amministrazione, con l'adozione di una strategia globale e il rafforzamento del coordinamento e della programmazione; sul versante della giustizia, sono state adottate leggi importanti e norme per la valutazione di giudici e procuratori; un gran numero di presidenti di tribunale è stato nominato su base permanente. Vi è inoltre una forte volontà politica di combattere la corruzione: sono state svolte diverse indagini su casi di corruzione nelle alte sfere e compiuti sforzi per migliorare il coordinamento; la Serbia ha partecipato attivamente alla cooperazione regionale tra le autorità di contrasto.
A parere della Commissione, il paese deve tuttavia prendere ulteriori provvedimenti per garantire l'efficienza e l'indipendenza della magistratura e adottare atti legislativi fondamentali come la legge sul gratuito patrocinio, la legge sugli informatori e la legge sui conflitti di interesse. Occorre inoltre garantire nella pratica il pieno rispetto dei diritti fondamentali, compresa la protezione dei gruppi vulnerabili; in particolare desta preoccupazione il deterioramento delle condizioni per un pieno esercizio della libertà di espressione. È necessario ovviare alle carenze della pubblica amministrazione e dare un maggior seguito alle conclusioni degli enti normativi indipendenti.
Infine, la Serbia deve mantenere l'impegno a favore della cooperazione regionale e la partecipazione attiva e costruttiva al processo di normalizzazione delle relazioni con il Kosovo, che ha registrato notevoli progressi. La Commissione ricorda che, come per i capitoli sullo Stato di diritto, il quadro negoziale richiede che il processo di normalizzazione delle relazioni con il Kosovo proceda di pari passo con l'avanzamento globale dei negoziati.
Nonostante sia un paese candidato dal 2005, il Consiglio non ha ancora approvato l’apertura dei negoziati di adesione, nonostante le raccomandazioni favorevoli della Commissione negli ultimi sei anni.
Nella relazione 2014, la Commissione segnala rispetto al passato qualche ulteriore progresso per quanto riguarda la riforma della pubblica amministrazione e la cooperazione attiva tra le forze di polizia a livello regionale e internazionale. Considerato lo stadio attuale del processo di adesione, il paese mantiene un notevole livello di allineamento con l'acquis comunitario e il programma per l’integrazione con l'UE rimane una priorità strategica.
Tuttavia, nel corso dell’anno scorso è stata espressa seria preoccupazione per la sempre maggiore politicizzazione delle istituzioni pubbliche e per il controllo del governo sui media, anche nel contesto elettorale, come segnalato dall'OSCE. Inoltre: la fiducia nelle istituzioni pubbliche sta diminuendo; aumentano le preoccupazioni circa il carattere selettivo della giustizia; tensioni politiche fra governo e opposizione dimostrano che gli interessi di partito prevalgono sempre più sugli interessi nazionali. Secondo la Commissione il governo e l'opposizione hanno il dovere di garantire che il dibattito politico si svolga principalmente in Parlamento e di contribuire ad agevolare il suo corretto funzionamento. Il governo deve garantire che l'opposizione possa svolgere pienamente la sua funzione di controllo democratico. Dal canto suo, l'opposizione deve partecipare in modo costruttivo ai processi democratici.
Per quanto riguarda la situazione interetnica, è necessario promuovere una maggiore fiducia tra le diverse comunità. Occorre portare a termine la revisione dell'accordo quadro di Ohrid e dare seguito alle relative raccomandazioni.
Rimane inoltre fondamentale l'adozione di misure decisive per risolvere la "questione del nome" con la Grecia. Il fatto che le parti in conflitto non siano arrivate a un compromesso dopo 19 anni di trattative sotto l'egida delle Nazioni Unite ha avuto ripercussioni dirette sulle aspirazioni europee del paese. Secondo la Commissione occorrono un intervento risoluto e un sostegno proattivo da parte dei leader dell'UE.
Nonostante gli elementi di preoccupazione, la Commissione ritiene che i criteri politici continuino ad essere sufficientemente rispettati e mantiene la sua raccomandazione di intavolare i negoziati di adesione, pur deplorando i passi indietro registrati da un anno a questa parte. La Commissione esorta le autorità ad adoperarsi risolutamente per fugare le preoccupazioni circa l'accentuarsi della politicizzazione e delle carenze relative all'indipendenza della magistratura e alla libertà di espressione, affinché questa raccomandazione possa essere mantenuta anche nei prossimi anni. La Commissione conferma il proprio impegno a sostenere gli sforzi profusi dal paese, anche attraverso un dialogo inclusivo ad alto livello sull'adesione, per attuare tutte le riforme connesse all'UE e, di conseguenza, sfruttare appieno il potenziale delle relazioni tra le parti.
La decisione del Consiglio europeo di giugno 2014 di concedere all'Albania lo status di candidato è al tempo stesso un riconoscimento dei suoi sforzi in materia di riforme e un incoraggiamento ad accelerare il processo. A novembre 2013 la Commissione ha istituito un dialogo ad alto livello con l'Albania per aiutare il paese a mantenere lo slancio impresso al processo di integrazione nell'UE e monitorare l'andamento delle riforme in funzione delle priorità fondamentali a cui è subordinato l'avvio dei negoziati di adesione. A maggio 2014 l'Albania ha adottato una tabella di marcia in cui le riforme previste sono illustrate e strutturate in funzione delle priorità fondamentali.
Secondo la Commissione, l'Albania ha compiuto progressi negli ultimi dodici mesi: il governo ha fatto altri passi avanti nell'ambito della riforma della giustizia e ha dimostrato la volontà politica di agire con determinazione per prevenire e combattere la corruzione; il quadro legislativo è stato rafforzato e si sono migliorati il coordinamento e il monitoraggio delle politiche a livello centrale; in diversi settori si osservano miglioramenti a livello di lotta contro la criminalità organizzata, con un'intensificazione delle attività di contrasto, specie per quanto riguarda i sequestri di stupefacenti, i reati connessi alla droga, la criminalità economica e la tratta di esseri umani; è stato preso qualche provvedimento per migliorare il riconoscimento giuridico dei diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender e intersessuali (comunità LGBTI).
Secondo la Commissione, permangono tuttavia numerose carenze, specie per quanto riguarda lo stato di diritto, e il lavoro da fare è ancora tanto: il paese dovrà portare avanti la riforma della pubblica amministrazione onde rendere quest'ultima più professionale e meno politicizzata; attuare un riordino dell'intero sistema giudiziario per rafforzarne l'indipendenza, l'efficienza e la rendicontabilità; intensificare la lotta alla corruzione e adottare altre energiche misure per combattere la criminalità organizzata, onde costituire una solida casistica di indagini proattive, azioni penali e condanne in entrambi i settori; adottare misure efficaci per migliorare la tutela dei diritti umani, in particolare della comunità rom, combattere la discriminazione e assicurare il rispetto dei diritti di proprietà. Il governo non ha realizzato le priorità concordate per quanto riguarda la libertà di espressione e dei media.
È di fondamentale importanza che il processo di riforma sia accompagnato da un dialogo costruttivo e sostenibile fra il governo e l'opposizione, a cui spetta il compito di garantire che il dibattito politico si svolga principalmente in Parlamento e di contribuire ad agevolare il suo corretto funzionamento. L'istituzione di un Consiglio nazionale per l'integrazione europea che riunisca tutte le parti interessate contribuirà ulteriormente a rafforzare l'inclusività del processo di riforma ed è fondamentale affinché le riforme pertinenti siano appoggiate da tutte le fasce della società albanese.
Il processo di integrazione europea è tuttora in una fase di stallo: manca ancora la volontà di tutti i leader politici di avviare le riforme necessarie per progredire verso l'adesione all'UE. Si osservano progressi limitatissimi per quanto riguarda le questioni politiche ed economiche e la conformità con gli standard europei.
Le proteste di massa dell'inizio del 2014 hanno sottolineato la fragilità del contesto socioeconomico. La Commissione ha varato tre iniziative per orientare la priorità verso le riforme e le questioni che interessano direttamente i cittadini, estendendo il dialogo strutturato sulla giustizia tra l'UE e la Bosnia-Erzegovina ad altre questioni connesse allo Stato di diritto, in particolare la lotta alla corruzione, creando un gruppo di lavoro congiunto UE/Bosnia-Erzegovina per accelerare l'attuazione dei progetti finanziati dall'Unione e concentrandosi sul rafforzamento della governance economica. Questo ha portato, tra l'altro, all'elaborazione di un "patto per la crescita e l'occupazione" insieme a soggetti chiave quali le istituzioni finanziarie internazionali. Il patto guiderà l'attuazione delle riforme economiche nei prossimi mesi e costituirà la base del programma nazionale di riforma economica che la Commissione chiede al paese di elaborare entro la fine di gennaio 2015.
La mancanza di un meccanismo di coordinamento efficace per le questioni collegate all'UE continua a incidere negativamente sull'interazione del paese con l'Unione. Il Consiglio dei ministri è ancora teatro di tensioni politiche sulla ripartizione delle competenze fra i diversi livelli di governo, ulteriormente aggravate dalla complessità dell'assetto istituzionale del paese. L'accordo di stabilizzazione e di associazione firmato nel 2008 e ratificato nel 2011 non è ancora entrato in vigore, perché la Bosnia-Erzegovina non soddisfa le condizioni necessarie.
Vista l'impossibilità di concordare a livello politico le strategie nazionali necessarie per potere usufruire dell'assistenza dello strumento di preadesione in settori come l'energia, i trasporti e l'ambiente, i finanziamenti in questi ambiti sono stati considerevolmente ridotti e si è optato per un'erogazione diretta dell'assistenza ai cittadini.
Il completamento dei negoziati per l’accordo di stabilizzazione e di associazione (ASA) con il Kosovo e la sigla dell'accordo a luglio 2014 sono una svolta importante nel percorso di integrazione europea del Kosovo. L'ASA, che sarà il primo accordo globale tra l'UE e il Kosovo, prevede un dialogo politico rafforzato, una maggiore integrazione commerciale, anche attraverso l'apertura dei mercati dell'UE ai prodotti industriali e agricoli del Kosovo, e nuove forme di cooperazione.
La Commissione rileva che il Kosovo ha compiuto progressi nell'ambito del dialogo sulla liberalizzazione del visto. La cooperazione con la missione UE sullo Stato di diritto (EULEX) è proseguita in modo soddisfacente. Le autorità del Kosovo hanno assunto l'importante impegno politico di rinnovare il mandato della missione, assumendo nel contempo maggiori responsabilità, e hanno accettato di istituire un tribunale speciale competente a statuire sui casi emersi in seguito alle indagini della task force investigativa speciale. Per completare il processo, il Kosovo deve ora adottare le necessarie modifiche legislative, anche per quanto riguarda la Costituzione e deve collaborare con il tribunale speciale e superare il retaggio del passato.
Nonostante i progressi, le sfide da affrontare sono molteplici: la situazione del Kosovo per quanto riguarda lo Stato di diritto, compresa l'indipendenza della magistratura, e gli scarsi risultati ottenuti nella lotta alla criminalità organizzata destano ancora notevole preoccupazione; è necessario un maggiore impegno per ovviare alle carenze individuate durante il dialogo sul visto, adoperandosi anche per ridurre i rischi che la potenziale liberalizzazione del visto comporterebbe in termini di sicurezza e migrazione; servono urgentemente riforme economiche strutturali per ridurre l'elevata disoccupazione; occorre inoltre intraprendere in via prioritaria riforme importanti, come la riforma elettorale e la riforma della pubblica amministrazione, e adottare misure per tutelare le minoranze.
Il Kosovo deve dunque impegnarsi attivamente per realizzare il suo programma di riforma collegato all'UE nonché le priorità evidenziate nello studio di fattibilità del 2012 e nelle ultime relazioni sui progressi compiuti. Nell'ambito dell'ASA il Kosovo si è impegnato ad attuare una riforma globale e ad allineare la legislazione con l'acquis dell'UE in ambiti quali lo Stato di diritto, la pubblica amministrazione, l'economia, la concorrenza e il commercio. Il Kosovo deve concentrarsi sui preparativi volti ad agevolare l'applicazione dell'ASA, comprese le strutture necessarie. La Commissione è pronta ad aiutare il Kosovo a passare a questa nuova fase importante delle sue relazioni con l'UE e a intensificare il dialogo con il Consiglio nazionale per l'integrazione europea.
Il Kosovo ha potuto progredire verso il suo futuro europeo grazie all'avanzamento del processo di riforma e al costante impegno profuso per normalizzare le relazioni con la Serbia, che sono notevolmente migliorate. In questo contesto, il nuovo governo del Kosovo dovrà mantenere l'impegno a favore della cooperazione regionale e la partecipazione attiva e costruttiva al processo di normalizzazione delle relazioni con la Serbia. Il Kosovo deve inoltre continuare ad applicare gli accordi raggiunti nell'ambito del dialogo.
[1] L’Accordo di stabilizzazione ed associazione tra UE e ex Repubblica iugoslava di Macedonia è entrato in vigore il 1° aprile 2004.
[2] L’Accordo di stabilizzazione ed associazione tra UE e Albania è entrato in vigore il 1° aprile 2009.
[3] L’Accordo di stabilizzazione ed associazione tra UE e Montenegro è entrato il vigore il 1° maggio 2010.
[4] L’Accordo di stabilizzazione ed associazione tra UE e Serbia è entrato il vigore il 1° settembre 2013.