Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica - AA.CC. 118, 878, 881 E 940
Riferimenti:
AC N. 878/XVII   AC N. 118/XVII
AC N. 881/XVII   AC N. 940/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 6
Data: 20/05/2013
Descrittori:
CONVENZIONE DI ISTANBUL   DONNE
LESIONI PERSONALI   OMICIDIO
PREVENZIONE DEL CRIMINE   REATI SESSUALI
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica

AA.CC. 118, 878, 881 e 940

Schede di lettura

 

 

n. 6

 

 

 

20 maggio 2013


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento affari esteri

( 066760-4172/ 066760-4939 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: es0036.doc


Schede di lettura

§     Premessa  3

§     I contenuti della Convenzione  4

§     Il contenuto delle proposte di legge AA.CC. nn. 118, 878, 881 e 940  9

§     Attività parlamentare nella XVI legislatura  9

Allegato

§     Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ‘Rapporto sulla missione in Italia del relatore speciale, Rashida Manjoo, sulla violenza contro le donne sulle sue cause e sulle sue conseguenze’, 15 giugno 2012 – testo in inglese  13

 

 


Schede di lettura

 


Premessa

Già all’inizio degli anni Novanta, il Consiglio d’Europa ha intrapreso una serie di iniziative per contrastare la violenza contro le donne: la prima strategia globale per la prevenzione della violenza e la protezione delle vittime risale al 2002, quando fu approvata una Raccomandazione – Rec(2002)5 – che invita gli Stati membri ad adottare una serie di misure fra le quali quelle di rivedere le proprie politiche nazionali, di garantire la protezione delle vittime e di elaborare piani d’azione mirati alla loro difesa, nonché alla prevenzione di tali crimini.

L’applicazione di questa Raccomandazione è regolarmente verificata attraverso cicli di monitoraggio, l’ultimo dei quali risale al 2010, subito dopo l’istituzione della Commissione ad hoc (Ad Hoc Committee on Preventing and Combating Violence against Women and Domestic Violence - CAHVIO) per la stesura della Convenzione oggi in esame, divenuta nota con il nome di “Convenzione di Istanbul”. Il terzo round di monitoraggio mostrava la volontà di tutti i paesi membri del CdE di stabilire standard vincolanti in tutte le aree oggetto della Raccomandazione.

Alla Raccomandazione Rec(2002)5 aveva fatto seguito una campagna lanciata in tutta Europa dalla Task Force del CdE per combattere la violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, le cui risultanze sono contenute nel Rapporto di Fine Attività (EG-TFV (2008) 6). Il Rapporto raccomanda proprio l’adozione di una convenzione, nell’ambito della tutela dei diritti umani, per prevenire e combattere la violenza sulle donne (la cui stesura è stata elaborata, come si diceva, dalla CAHVIO).

La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l’11 maggio 2011, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell’ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela.

La Convenzione è per molti aspetti riconducibile ad un vasto filone di sviluppi normativi e della prassi internazionale emerso sia nel contesto delle Nazioni Unite (v., ad esempio, la Dichiarazione dell'Assemblea generale dell’Onu sull'eliminazione della violenza contro le donne, adottata con la risoluzione assembleare del 23 febbraio 1994), sia a livello di sistemi regionali di protezione (cfr. a questo riguardo la Convenzione interamericana di Belém do Pará del 1994 sulla prevenzione, la punizione e l'eliminazione della violenza contro le donne, ed il Protocollo di Maputo alla Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa, del 2003)

Ai fini dell’entrata in vigore della Convenzione sono necessarie le ratifica di almeno 10 Stati, tra i quali 8 membri del Consiglio d’Europa; al momento, gli Stati firmatari sono 29, e le ratifiche 4 (Albania, Montenegro, Portogallo e Turchia): l’Italia ha sottoscritto la Convenzione il 27 settembre 2012.

 

I contenuti della Convenzione  

La Convenzione si compone di un Preambolo, di 81 articoli raggruppati in dodici Capitoli[1], e di un Allegato.

Il Preambolo ricorda innanzitutto i principali strumenti che, nell’ambito del Consiglio d’Europa e delle Nazioni Unite, sono collegati al tema oggetto della Convenzione e sui quali quest’ultima si basa. Tra di essi riveste particolare importanza la CEDAW (Convenzione delle Nazioni Unite del 1979 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne) e il suo Protocollo opzionale del 1999 che riconosce la competenza della Commissione sull’eliminazione delle discriminazioni contro le donne a ricevere e prendere in esame le denunce provenienti da individui o gruppi nell’ambito della propria giurisdizione.

Si ricorda che la CEDAW – universalmente riconosciuta come una sorta di Carta dei diritti delle donne – definisce "discriminazione contro le donne" “ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia l'effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l'esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza fra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo”.

Si segnala che, sempre nell’ambito delle Nazioni Unite, nel 2009 è stato lanciato il database sulla violenza contro le donne, allo scopo di fornire il quadro delle misure adottate dagli Stati membri dell’Onu per contrastare la violenza contro le donne sul piano normativo e politico, nonché informazioni sui servizi a disposizione delle vittime.

Il Preambolo della Convenzione in esame riconosce inoltre che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi ed aspira a creare un’Europa libera da questa violenza.

Gli obiettivi della Convenzione sono elencati nel dettaglio dall’articolo 1. Oltre a quanto già esplicitato nel titolo della Convenzione stessa, appare importante evidenziare l’obiettivo di creare un quadro globale e integrato che consenta la protezione delle donne, nonché la cooperazione internazionale e il sostegno alle autorità e alle organizzazioni a questo scopo deputate.

Di rilievo inoltre la previsione che stabilisce l’applicabilità della Convenzione sia in tempo di pace sia nelle situazioni di conflitto armato (art. 2), circostanza, quest’ultima, che da sempre costituisce momento nel quale le violenze sulle donne conoscono particolare esacerbazione e ferocia.

Contestualmente alla firma, il Governo italiano ha depositato presso il Consiglio d'Europa una nota verbale con la quale ha dichiarato che “applicherà la Convenzione nel rispetto dei princìpi e delle previsioni costituzionali”. Tale dichiarazione interpretativa - apposta anche a seguito di quanto chiesto al Governo con le mozioni approvate al Senato il 20 settembre 2012 – è motivata dal fatto che la definizione di “genere” contenuta nella Convenzione - l’art. 3, lettera c) recita: “con il termine genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini” - è ritenuta troppo ampia e incerta e presenta profili di criticità con l’impianto costituzionale italiano (cfr., al proposito, la relazione illustrativa al disegno di legge di autorizzazione alla ratifica – A.S. 3654 - presentato dal Governo Monti l’8 gennaio 2013).

L’articolo 4 della Convenzione sancisce il principio secondo il quale ogni individuo ha il diritto di vivere libero dalla violenza nella sfera pubblica e in quella privata. A tal fine le Parti si obbligano a tutelare questo diritto in particolare per quanto riguarda le donne, le principali vittime della violenza basata sul genere (ossia di quella violenza che colpisce le donne in quanto tali, o che le colpisce in modo sproporzionato). Poiché la discriminazione di genere costituisce terreno fertile per la tolleranza della violenza contro le donne, la Convenzione si preoccupa di chiedere alle Parti l’adozione di tutte le norme atte a garantire la concreta applicazione del principio di parità tra i sessi corredate, se del caso, dall’applicazione di sanzioni.

I primi a dover rispettare gli obblighi imposti dalla Convenzione sono proprio gli Stati i cui rappresentanti, intesi in senso ampio, dovranno garantire comportamenti privi di ogni violenza nei confronti delle donne (art. 5).

L’articolo 5 prevede anche un risarcimento delle vittime di atti di violenza commessi da soggetti non statali, che può assumere forme diverse (riparazione del danno, indennizzo, riabilitazione, ecc.). L’indennizzo da parte dello Stato è disciplinato dall’art. 30, par. 2, della Convenzione ed è accordato alle vittime se la riparazione non è garantita da altre fonti.

Il Capitolo II contiene una serie di altri impegni, di carattere politico e sociale che integrano le previsioni di prevenzione, tutela e sanzione contenute nei tre capitoli successivi. In particolare, l’articolo 7 stabilisce che le politiche nazionali adottate ai fini dell’applicazione della Convenzione, debbano porre al loro centro i diritti della vittima e debbano essere il più possibile inclusive nei confronti di agenzie governative, enti e autorità nazionali e locali pertinenti.

Ampio spazio viene dato dalla Convenzione alla prevenzione della violenza contro le donne e della violenza domestica (Cap. III). La prevenzione richiede un profondo cambiamento di atteggiamenti e il superamento di stereotipi culturali che favoriscono o giustificano l’esistenza di tali forme di violenza. A tale scopo, la Convenzione impegna le Parti non solo ad adottare le misure legislative per prevenire la violenza, ma anche alla promozione di campagne di sensibilizzazione (art. 13), a favorire nuovi programmi educativi e a formare adeguate figure professionali.

Altro punto fondamentale della Convenzione è la protezione delle vittime (Cap. IV). Particolare enfasi viene posta sulla necessità di creare meccanismi di collaborazione per un’azione coordinata tra tutti gli organismi, statali e non, che rivestono un ruolo nella funzione di protezione e sostegno alle donne vittime di violenza, o alle vittime di violenza domestica (art. 18). Per proteggere le vittime è necessario che sia dato rilievo alle strutture atte al loro accoglimento,  attraverso un’attività informativa adeguata che deve tenere conto del fatto che le vittime, nell’immediatezza del fatto, non sono spesso nelle condizioni psico-fisiche idonee ad assumere decisioni pienamente informate.

I servizi di supporto possono essere generali (es. servizi sociali o sanitari offerti dalla pubblica amministrazione) oppure specializzati. Fra questi si prevede la creazione di case rifugio e quella di linee telefoniche di sostegno attive notte e giorno. Strutture ad hoc sono inoltre previste per l’accoglienza delle vittime di violenza sessuale (artt. 20-24).

La Convenzione stabilisce l’obbligo per le Parti di adottare normative che permettano alle vittime di ottenere giustizia, nel campo civile, e compensazioni, (Cap. V, artt. 29-32) in primo luogo dall’offensore, ma anche dalle autorità statali se queste non hanno messo in atto tutte le misure preventive e di tutela volte ad impedire la violenza (per i risarcimenti da parte dello Stato v. supra).

La Convenzione individua anche una serie di reati (violenza fisica e psicologica, sessuale, stupro, mutilazioni genitali, aborto forzato, molestie sessuali – artt. da 33 a 41), perseguibili penalmente, e promuove un’armonizzazione delle legislazioni per colmare vuoti normativi a livello nazionale e facilitare la lotta alla violenza anche a livello internazionale. Tra i reati perseguibili penalmente è inserito lo stalking (art. 34), definito il comportamento intenzionale e minaccioso nei confronti di un’altra persona, che la porta a temere per la propria incolumità.

Quanto al matrimonio forzato (art. 37), vengono distinti i casi nei quali una persona viene costretta a contrarre matrimonio da quelli nei quali una persona viene attirata con l’inganno in un paese estero allo scopo di costringerla a contrarre matrimonio; in quest’ultimo caso, è sanzionabile penalmente anche il solo adescamento, pur in assenza di celebrazione del matrimonio. Per i suddetti reati la Convenzione prevede l'obbligo delle Parti di adottare misure legislative o di altro tipo volte a garantire che le condotte tipiche delle varie fattispecie siano sottoposte a sanzioni penali o ad altre sanzioni legali.

La Convenzione torna in più punti (art. 12, par. 5 e art. 42) sull’inaccettabilità di motivazioni fondate sulla “cultura, gli usi e costumi, la religione, le tradizioni o il cosiddetto ‘onore’” a giustificazione delle violenze chiedendo tra l’altro alle Parti di introdurre le misure, legislative o di altro tipo, per garantire che nei procedimenti penali intentati per crimini rientranti nell’ambito della Convenzione, tali elementi non possano essere invocati come attenuante.

L’articolo 44 disciplina la determinazione della giurisdizione competente a giudicare sui reati penali contemplati dalla Convenzione.

In materia di sanzioni, la Convenzione chiede alle Parti di adottare misure per garantire che i reati in essa contemplati siano oggetto di punizioni efficaci, proporzionate e dissuasive, commisurate alla loro gravità (art. 45).

Le circostanze aggravanti, conformemente alle disposizioni delle normative nazionali sono contemplate all’articolo 46.

La Convenzione contiene poi un ampio Capitolo (Cap. VI) di previsioni che riguardano le inchieste giudiziarie, i procedimenti penali e le procedure di legge, a rafforzamento delle disposizioni che delineano diritti e doveri nella Convenzione stessa.

Un Capitolo apposito (Cap. VII) è dedicato alle donne migranti, incluse quelle senza documenti, e alle donne richiedenti asilo, due categorie particolarmente soggette a violenze di genere. La Convenzione mira ad introdurre un’ottica di genere nei confronti della violenza di cui sono vittime le migranti, ad esempio accordando ad esse la possibilità di ottenere uno status di residente  indipendente da quello del coniuge o del partner (art. 59). Inoltre, viene stabilito l’obbligo di riconoscere la violenza di genere come una forma di persecuzione - ai sensi della Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati - (art. 60)  e ribadito l’obbligo di rispettare il diritto del non-respingimento per le vittime di violenza contro le donne (art. 61).

Nel Capitolo VIII (artt. da 62 a 65) vengono delineati gli impegni delle Parti al fine di ottenere una cooperazione internazionale per prevenire, combattere e perseguire gli atti di violenza domestica e contro le donne e per proteggere le vittime di tali reati. La cooperazione avviene anche attraverso la trasmissione di informazioni; i dati personali sono utilizzati in base agli obblighi derivanti dalla partecipazione alla Convenzione europea sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato dei dati a carattere personale.

La Convenzione istituisce all’art. 66 (Cap. IX) un Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (GREVIO) costituito da esperti indipendenti, incaricati di monitorare l'attuazione della Convenzione da parte degli Stati aderenti. Il monitoraggio avverrà attraverso questionari, visite, inchieste e rapporti sullo stato di conformità degli ordinamenti interni agli standard convenzionali, raccomandazioni generali, ecc.). I privilegi e le immunità dei membri del GREVIO sono oggetto dell’Allegato alla Convenzione.

L’art. 67 stabilisce che il Comitato delle Parti, composto dai rappresentanti delle Parti alla Convenzione, si riunisca per la prima volta entro un anno dall’entrata in vigore della Convenzione per eleggere i membri del GREVIO.

Risulta molto importante l’esplicita menzione dei Parlamenti nazionali (art. 70) che ricevono i rapporti del GREVIO e partecipano al controllo delle misure attuative, mentre un bilancio periodico dell’applicazione della Convenzione è affidato all’Assemblea parlamentare del CdE.

La possibilità di modificare la Convenzione è descritta all’art. 72. Una volta ricevuti dal Segretario generale del CdE, gli eventuali emendamenti dovranno essere da quest’ultimo trasmessi a tutti gli Stati membri dell’organizzazione, alle altre Parti, all’Unione europea e ad ogni Stato invitato a firmare (la Convenzione è, in base all’art. 75, par. 1, aperta anche alla firma degli Stati non membri che hanno partecipato alla stesura della Convenzione e della Unione europea). L’emendamento è accettato dal Consiglio dei ministri dopo il suo esame e dopo la consultazione della Parti che non sono membri del CdE.

La composizione delle eventuali controversie avverrà, in base all’art. 74, mediante negoziato, conciliazione o arbitrato. Il Consiglio dei ministri del Consiglio d’Europa può proporre alle Parti delle procedure per la composizione delle controversie (art. 74).

Alla Convenzione potranno aderire, dopo la sua entrata in vigore, anche Stati non membri del CdE che non abbiano partecipato alla sua elaborazione alle condizioni previste dall’art. 76.

L’articolo 78 circoscrive le disposizioni della Convenzione alle quali è possibile apporre riserva. Tra di esse quella contenuta nell’art. 30, par. 2 in materia di risarcimento da parte dello Stato

Riguardo l’articolo 30 della Convenzione, si ricorda che il Governo Monti aveva annunciato (si veda al proposito la relazione illustrativa al citato ddl A.S. 3654 presentato al Senato nella scorsa legislatura) la propria intenzione, al momento del deposito dello strumento di ratifica, di apporre la riserva all’articolo 30, paragrafo 2, prevista dall’articolo 78 della Convenzione stessa.

Si segnala, infine, che l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha predisposto un Manuale dei parlamentari per l’applicazione della Convenzione di Istanbul che contiene un’ampia illustrazione dei contenuti dell’Accordo e delinea il ruolo dei parlamentari nella sua attuazione[2]

 

Il contenuto delle proposte di legge AA.CC. nn. 118, 878, 881 e 940

Entrambe le proposte di legge Spadoni e Di Vita (A.C. 878) e Migliore ed altri (A.C. 881) recano le consuete disposizioni previste dagli atti legislativi di autorizzazione alla ratifica: l’art. 1 contiene l’autorizzazione alla ratifica della Convenzione di Istanbul, l’art. 2 l’ordine di esecuzione mentre l’art. 3 reca la clausola di entrata in vigore.

La proposta di legge Bergamini ed altri (A.C. 940) reca inoltre un articolo (art. 3) di neutralità finanziaria per chiarire che l’attuazione della Convenzione non comporta maggiori oneri a carico del bilancio dello stato.

L’iniziativa di legge Mogherini ed altri (A.C. 118) reca all’art. 3 la clausola di copertura, priva di una quantificazione degli oneri derivanti dall’attuazione della Convenzione, come invece previsto dalla legislazione vigente in materia di contabilità pubblica.

Nei giorni scorsi sono state inoltre presentate, alla Camera, sei mozioni che, pur diversificandosi tra loro per la diversa accentuazione della questione e talvolta anche nell’individuazione degli strumenti di contrasto, contengono nel dispositivo l’impegno per la rapida ratifica della Convenzione di Istanbul, ritenuta un caposaldo nella lotta contro la violenza di genere. Si tratta delle mozioni 1-00036 (Binetti ed altri), 1-00039 (Speranza ed altri), 1-00040 (Locatelli ed altri), 1-00041 (Brunetta ed altri), 1-00042 (Mucci ed altri), 1-00043 (Migliore ed altri). Le mozioni Speranza e Brunetta chiedono altresì esplicitamente un adeguamento dell’ordinamento interno al fine di renderlo compatibile con le prescrizioni contenute nella Convenzione.

Attività parlamentare nella XVI legislatura

Nella precedente legislatura sono state presentate, presso i due rami del Parlamento, sei iniziative legislative volte ad autorizzare la ratifica della Convenzione di Istanbul, il cui iter non è però mai stato avviato. Si tratta dell’A.S. 3390 (Serafini ed altri), dell’A.S. 3488 (Finocchiaro ed altri), dell’A.S. 3489 (Carlino ed altri), dell’A.S. 3562 (Allegrini ed altri); alla Camera, dell’A.C. 5489 (Mogherini ed altri) e dell’A.C. 5615 (Sbrollini ed altri). Come accennato, inoltre, l’8 gennaio scorso, il Governo ha presentato un disegno di legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione in oggetto (A.S. 3654): nessuno di questi progetti è stato però oggetto di esame da parte delle competenti commissioni parlamentari.

Il 2 febbraio 2012 la Camera dei deputati ha approvato un ordine del giorno, in relazione alla legge comunitaria per il 2011, promosso dalle donne parlamentari componenti della Delegazione italiana presso il Consiglio d’Europa, che sollecitava la sottoscrizione della Convenzione da parte dell’Unione europea e dell’Italia. Il 6 giugno dello stesso anno la Commissione Affari sociali della Camera ha approvato una risoluzione conclusiva di dibattito, che impegnava il Governo, tra l’altro, ad accelerare l'iter per l'adesione, in tempi brevi, dell'Italia alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

Il 20 settembre 2012, il Senato ha inoltre approvato - anche in esito alle risultanze del Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne riguardanti il nostro Paese ed in vista della sottoscrizione della Convenzione da parte dell’Italia[3] - un ordine del giorno (Poli Bortone e Castiglione), e sei mozioni (Carlino ed altri, Carloni ed altri, Bianconi ed altri, Franco ed altri, Aderenti ed altri, D’Alia ed altri, Baio ed altri) che impegnano il Governo a sottoscrivere la Convenzione di Istanbul)[4].

 


Allegato

 


 

 



[1] I capitoli della Convenzione presentano le seguenti rubriche: “Obiettivi, definizioni, uguaglianza e non discriminazione, obblighi generali” (cap. I), “Politiche integrate e raccolte dei dati” (cap. II), “Prevenzione” (cap. III), “Protezione e sostegno” (cap. IV), “Diritto sostanziale” (cap. V), “Indagini, procedimenti penali, diritto procedurale e misure protettive” (cap. VI), “Migrazione e asilo” (cap. VII), “Cooperazione internazionale” (cap. VIII), “Meccanismo di controllo” (cap. IX), “Relazioni con altri strumenti internazionali” (cap. X), “Emendamenti alla Convenzione” (cap. XI).

[2] Il Manuale è consultabile presso l’URL http://www.women.it/dire/images/pdf/iniziative/convenzioneistambulviolenza.pdf.

[3]  Cfr. il testo della Relazione nella documentazione allegata.