Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: La Convenzione di Istnbul contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 10
Data: 14/05/2013
Descrittori:
CONSIGLIO D' EUROPA   CONVENZIONE DI ISTANBUL
DONNE   LESIONI PERSONALI
REATI SESSUALI   TRATTATI ED ACCORDI INTERNAZIONALI
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari


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La Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica

9 maggio 2013




 

 


 La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela.

 Per entrare in vigore, la Convenzione necessita della ratifica di almeno 10 Stati, tra i quali 8 membri del CdE; al momento, gli Stati firmatari sono 29, e le ratifiche 4 (Albania, Montenegro, Portogallo e Turchia). L'Italia ha sottoscritto la Convenzione il 27 settembre 2012, dopo l'approvazione da parte delle Camere (v. seduta del Senato del 20 settembre 2012 e della Camera dei deputati del 2 settembre 2012) di mozioni e di ordini del giorno volti a tale fine.

La Convenzione (art. 3) precisa che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione contro le donne.  

Il Consiglio d'Europa ha intrapreso una serie di iniziative per contrastare la violenza contro le donne già a partire dall'inizio degli anni '90. La prima strategia globale per la prevenzione della violenza e la protezione delle vittime risale al 2002, quando fu approvata una Raccomandazione – Rec(2002)5 – che invita gli Stati membri ad adottare una serie di misure fra le quali quelle di rivedere le proprie politiche nazionali, di garantire la protezione delle vittime e di elaborare piani d'azione mirati alla loro difesa, nonché alla prevenzione di tali crimini. L'applicazione di questa Raccomandazione è regolarmente osservata attraverso cicli di monitoraggio, l'ultimo dei quali risale al 2010, subito dopo l'istituzione della Commissione ad hoc (Ad Hoc Committee on Preventing and Combating Violence against Women and Domestic Violence - CAHVIO) per la stesura della Convenzione oggi in esame, divenuta nota con il nome di "Convenzione di Istanbul". Il terzo round di monitoraggio mostrava la volontà di tutti i paesi membri del CdE di stabilire standard vincolanti in tutte le aree oggetto della Raccomandazione.

Alla Raccomandazione Rec(2002)5 aveva fatto seguito una importante campagna lanciata in tutta Europa dalla  Task Force del CdE per combattere la violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, le cui risultanze sono contenute nel Rapporto di Fine Attività (EG-TFV (2008) 6). Il Rapporto raccomanda proprio l'adozione di una convenzione, nell'ambito della tutela dei diritti umani, per prevenire e combattere la violenza sulle donne (la cui stesura è stata elaborata, come si diceva, dalla CAHVIO).

 

I contenuti della Convenzione       

La Convenzione si compone di un Preambolo, di 81 articoli raggruppati in dodici Capitoli, e di un Allegato.

Il Preambolo ricorda innanzitutto i principali strumenti che, nell'ambito del Consiglio d'Europa e delle Nazioni Unite, sono collegati al tema oggetto della Convenzione e sui quali quest'ultima si basa. Tra di essi riveste particolare importanza la CEDAW (Convenzione Onu del 1979 sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne) e il suo Protocollo opzionale del 1999 che riconosce la competenza della Commissione sull'eliminazione delle discriminazioni contro le donne a ricevere e prendere in esame le denunce provenienti da individui o gruppi nell'ambito della propria giurisdizione.

Si ricorda che la CEDAW – universalmente riconosciuta come una sorta di Carta dei diritti delle donne – definisce "discriminazione contro le donne" "ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia l'effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l'esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza fra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo".

Si segnala che, sempre nell'ambito delle Nazioni Unite, nel 2009 è stato lanciato il database sulla violenza contro le donne, allo scopo di fornire il quadro delle misure adottate dagli Stati membri dell'Onu per contrastare la violenza contro le donne sul piano normativo e politico, nonché informazioni sui servizi a disposizione delle vittime.

Il Preambolo della Convenzione in esame riconosce inoltre che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi ed aspira a creare un'Europa libera da questa violenza.

Gli Obiettivi  della Convenzione sono elencati nel dettaglio dall'articolo 1. Oltre a quanto già esplicitato nel titolo della Convenzione stessa, appare importante evidenziare l'obiettivo di creare un quadro globale e integrato che consenta la protezione delle donne, nonché la cooperazione internazionale e il sostegno alle autorità e alle organizzazioni a questo scopo deputate.

Di rilievo inoltre la previsione che stabilisce l'applicabilità della Convenzione sia in tempo di pace sia nelle situazioni di conflitto armato, circostanza, quest'ultima, che da sempre costituisce momento nel quale le violenze sulle donne conoscono particolare esacerbazione e ferocia.

Contestualmente alla firma, l'Italia ha depositato presso il Consiglio d'Europa una nota verbale con la quale ha dichiarato che "applicherà la Convenzione nel rispetto dei princìpi e delle previsioni costituzionali". Tale dichiarazione interpretativa - apposta anche a seguito di quanto chiesto al Governo con le mozioni approvate al Senato il 20 settembre 2012 – è motivata dal fatto che la definizione di "genere" contenuta nella Convenzione - l'art. 3, lettera c) recita: "con il termine genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini" - è ritenuta troppo ampia e incerta e presenta profili di criticità con l'impianto costituzionale italiano (si veda, al proposito, la relazione illustrativa al ddl di autorizzazione alla ratifica – A.S. 3654 - presentato dal Governo Monti l'8 gennaio 2013).

L'articolo 4 della Convenzione sancisce il principio secondo il quale ogni individuo ha il diritto di vivere libero dalla violenza nella sfera pubblica e in quella privata. A tal fine le Parti si obbligano a tutelare questo diritto in particolare per quanto riguarda le donne, le principali vittime della violenza basata sul genere (ossia di quella violenza che colpisce le donne in quanto tali, o che le colpisce in modo sproporzionato).

Poiché la discriminazione di genere costituisce terreno fertile per la tolleranza della violenza contro le donne, la Convenzione si preoccupa di chiedere alle Parti l'adozione di tutte le norme atte a garantire la concreta applicazione del principio di parità tra i sessi corredate, se del caso, dall'applicazione di sanzioni.

I primi a dover rispettare gli obblighi imposti dalla Convenzione sono proprio gli Stati i cui rappresentanti, intesi in senso ampio, dovranno garantire comportamenti privi di ogni violenza nei confronti delle donne (art. 5).

L'articolo 5 prevede anche un risarcimento delle vittime di atti di violenza commessi da soggetti non statali, che può assumere forme diverse (riparazione del danno, indennizzo, riabilitazione, ecc.). L'indennizzo da parte dello Stato è disciplinato dall'art. 30, par. 2, della Convenzione ed è accordato alle vittime se la riparazione non è garantita da altre fonti.

Riguardo l'articolo 30 della Convenzione, si ricorda che il Governo Monti aveva annunciato (v. relazione illustrativa al citato ddl 3654 presentato al Senato nella scorsa legislatura) la propria intenzione, al momento del deposito dello strumento di ratifica, di apporre la riserva all'articolo 30, paragrafo 2, prevista dall'articolo 78 della Convenzione stessa.

Ampio spazio viene dato dalla Convenzione alla prevenzione della violenza contro le donne e della violenza domestica. La prevenzione richiede un profondo cambiamento di atteggiamenti e il superamento di stereotipi culturali che favoriscono o giustificano l'esistenza di tali forme di violenza. A tale scopo, la Convenzione impegna le Parti non solo ad adottare le misure legislative per prevenire la violenza, ma anche alla promozione di campagne di sensibilizzazione, a favorire nuovi programmi educativi e a formare adeguate figure professionali.

Altro punto fondamentale della Convenzione è la protezione delle vittime. Particolare enfasi viene posta sulla necessità di creare meccanismi di collaborazione per un'azione coordinata tra tutti gli organismi, statali e non, che rivestono un ruolo nella funzione di protezione e sostegno alle donne vittime di violenza, o alle vittime di violenza domestica. Per proteggere le vittime è necessario che sia dato rilievo alle strutture atte al loro accoglimento,  attraverso un'attività informativa adeguata che deve tenere conto del fatto che le vittime, nell'immediatezza del fatto, non sono spesso nelle condizioni psico-fisiche di assumere decisioni pienamente informate.

I servizi di supporto possono essere generali (es. servizi sociali o sanitari offerti dalla pubblica amministrazione) oppure specializzati. Fra questi si prevede la creazione di case rifugio e quella di linee telefoniche di sostegno attive notte e giorno. Strutture ad hoc sono inoltre previste per l'accoglienza delle vittime di violenza sessuale.

La Convenzione stabilisce l'obbligo per le Parti di adottare normative che permettano alle vittime di ottenere giustizia, nel campo civile, e compensazioni, in primo luogo dall'offensore, ma anche dalle autorità statali se queste non hanno messo in atto tutte le misure preventive e di tutela volte ad impedire la violenza (sui risarcimenti da parte dello Stato si è già detto più sopra).

La Convenzione individua anche una serie di reati  (violenza fisica e psicologica, sessuale, stupro, mutilazioni genitali, ecc.), perseguibili penalmente, quando le violenze siano commesse intenzionalmente e promuove un'armonizzazione delle legislazioni per colmare vuoti normativi a livello nazionale e facilitare la lotta alla violenza anche a livello internazionale. Tra i reati perseguibili penalmente è inserito lo stalking, definito il comportamento intenzionale e minaccioso nei confronti di un'altra persona, che la porta a temere per la propria incolumità. Quanto al matrimonio forzato, vengono distinti i casi nei quali una persona viene costretta a contrarre matrimonio da quelli nei quali una persona viene attirata con l'inganno in un paese estero allo scopo di costringerla a contrarre matrimonio; in quest'ultimo caso, è sanzionabile penalmente anche il solo adescamento, pur in assenza di celebrazione del matrimonio.

La Convenzione torna in più punti sull'inaccettabilità di elementi religiosi o culturali, tra i quali il cosiddetto "onore" a giustificazione delle violenze chiedendo tra l'altro alle Parti di introdurre le misure, legislative o di altro tipo, per garantire che nei procedimenti penali intentati per crimini rientranti nell'ambito della Convenzione, tali elementi non possano essere invocati come attenuante.

In materia di sanzioni, la Convenzione chiede alle Parti di adottare misure per garantire che i reati in essa contemplati siano oggetto di punizioni efficaci, proporzionate e dissuasive, commisurate alla loro gravità.

La Convenzione contiene poi un ampio capitolo di previsioni che riguardano le inchieste giudiziarie, i procedimenti penali e le procedure di legge, a rafforzamento delle disposizioni che delineano diritti e doveri nella Convenzione stessa.

Un Capitolo apposito è dedicato alle donne migranti, incluse quelle senza documenti, e alle donne richiedenti asilo, due categorie particolarmente soggette a violenze di genere. La Convenzione mira ad introdurre un'ottica di genere nei confronti della violenza di cui sono vittime le migranti, ad esempio accordando ad esse la possibilità di ottenere uno status di residente  indipendente da quello del coniuge o del partner. Inoltre, viene stabilito l'obbligo di riconoscere la violenza di genere come una forma di persecuzione (ai sensi della Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati)  e ribadito l'obbligo di rispettare il diritto del non-respingimento per le vittime di violenza contro le donne.

La Convenzione istituisce infine un Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (GREVIO) costituito da esperti indipendenti, incaricati di monitorare l'attuazione della Convenzione da parte degli Stati aderenti. Il monitoraggio avverrà attraverso questionari, visite, inchieste e rapporti sullo stato di conformità degli ordinamenti interni agli standard convenzionali, raccomandazioni generali, ecc.). I privilegi e le immunità dei membri del GREVIO sono oggetto dell'Allegato alla Convenzione.



 

La Convenzione di Istanbul
Precedenti iniziative del C.d'E.
Quadro giuridico
Obiettivi della Convenzione
La posizione dell'Italia
Diritti individuali
Diritti delle vittime
Servizi di sostegno
Dimensione giudiziaria
Donne immigrate