Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze - A.C. 3634 - Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale
Riferimenti:
AC N. 3634/XVII     
Serie: Note per la I Commissione affari costituzionali    Numero: 193
Data: 02/05/2016
Descrittori:
CONVIVENTI   MATRIMONIO
SESSO DELLE PERSONE E SESSUALITA'     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni


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Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze

2 maggio 2016
Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale


Indice

Contenuto|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri princìpi costituzionali|Compatibilità con la CEDU (a cura dell'Avvocatura della Camera dei deputati)|


Contenuto

 La proposta di legge C. 3634, approvata dal Senato il 25 febbraio 2016, consta di un articolo unico che detta due distinte discipline:

  • con la prima (commi da 1 a 35) sono regolamentate le unioni civili tra persone dello stesso sesso;
  • con la seconda (commi da 36 a 65) è introdotta una normativa sulle convivenze di fatto (che può riguardare sia coppie omosessuali che eterosessuali).

Le ultime disposizioni (commi da 66 a 69) riguardano la copertura finanziaria del provvedimento.

La Commissione Giustizia non ha apportato modifiche al testo approvato dal Senato.


Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso (commi 1-35; 66-69)

Il Unione civilecomma 1 individua la finalità della legge nell'istituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, quale specifica "formazione sociale" ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione, nonché nella disciplina delle convivenze di fatto.

- chi può costituirlaNel riconoscere a due persone maggiorenni dello stesso sesso il diritto di costituire una unione civile, mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni (comma 2), si prevede la registrazione degli atti di unione civile nell'archivio dello stato civile (comma 3). Il documento attestante la costituzione del vincolo deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale (comunione o separazione dei beni) e della loro residenza, oltre che i dati anagrafici e la residenza dei testimoni (comma 9).

L'articolo unico dispone ancora in ordine al cognome dell'unione civile prevedendo che le parti, mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile, possano indicare un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi; al contrario, i partner potranno anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso (comma 10).

- cause impeditive E' prevista poi una serie di cause impeditive per la costituzione della unione civile (comma 4), la presenza di una delle quali determina la nullità dell'unione stessa (comma 5):

  • la sussistenza di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso;
  • l'interdizione di una delle parti per infermità mentale; in caso sia soltanto promossa la causa di interdizione, il PM può chiedere che si sospenda il procedimento per l'unione civile; quest'ultimo riprende solo dopo la formazione del giudicato sulla causa per l'interdizione;
  • la sussistenza di rapporti di affinità o parentela tra le parti (primo comma dell'articolo 87 del codice civile);
  • la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio, ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare, la procedura per la costituzione dell'unione civile è sospesa sino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento. 

 Lo stesso comma 5 stabilisce che all'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano alcuni articoli del codice civile relativi al matrimonio: in materia di nuovo matrimonio del coniuge (art. 65) e nullità del nuovo matrimonio (art. 68) nonché le disposizioni in materia di nullità del matrimonio relative all'interdizione (art. 119), all'incapacità di intendere e di volere (art. 120), alla simulazione (art. 123), all'azione del PM (art.125), alla separazione dei coniugi durante il giudizio (art. 126), all'intrasmissibilità dell'azione per impugnare il matrimonio (art. 127), al matrimonio putativo (art. 128), ai diritti dei coniugi in buona fede (art. 129) e alla responsabilità del coniuge in mala fede e del terzo (art. 129-bis).

- impugnazioneI commi da 6 a 8 riguardano l'impugnazione. Il comma 6 prevede la possibile impugnazione dell'unione civile, costituita nonostante la presenza di una causa impeditiva o in violazione del citato art. 68 c.c.; titolari dell'impugnazione sono, oltre ad una delle parti dell'unione, gli ascendenti prossimi, il PM e tutti coloro che hanno un interesse legittimo ed attuale al gravame. Si prevede, inoltre, che nel caso di costituzione di una nuova unione civile durante l'assenza di una delle parti, la nuova unione non è impugnabile finché dura l'assenza.

Il comma 7 estende sostanzialmente all'unione civile quanto previsto dall'art. 122 c.c. (violenza ed errore) per il matrimonio cioè la possibilità, per la parte, di impugnare il matrimonio se il suo consenso:

  • è stato estorto con violenza o è stato determinato da timore di eccezionale gravità, determinato da cause esterne alla parte;
  • è stato dato per errore sull'identità della persona o per effetto di errore essenziale sulle qualità personali dell'altro contraente (l'errore essenziale è quello che riguarda: la presenza di grave malattia fisica o mentale che impedisca lo svolgimento della vita comune; l'esistenza di una sentenza di condanna alla reclusione non inferiore a 5 anni per delitto non colposo; la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; la circostanza che l'altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a 2 anni). 

 Causa impeditiva dell'impugnazione è la circostanza che vi sia stata coabitazione per un anno dopo la cessazione della violenza o delle cause che hanno provocato il citato timore ovvero dopo la scoperta dell'errore.

Il comma 8 prevede la possibilità di impugnare in ogni tempo sia il matrimonio che l'unione civile dell'altra parte; analogamente a quanto previsto dall'art. 124 c.c. per il matrimonio, se, invece, viene opposta la nullità della prima unione, tale questione deve essere preventivamente giudicata.

 

- diritti e doveri Il comma 11 disciplina i diritti e doveri derivanti dall'unione civile omosessuale, nella sostanza riproducendo il contenuto dell'art. 143 del codice civile sul matrimonio (ad eccezione dell'obbligo di fedeltà): con la costituzione dell'unione civile le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; l'unione comporta l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione nonché di contribuire ai bisogni comuni, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo. Il comma 12, riproducendo le previsioni dell'art. 144 c.c., stabilisce che l'indirizzo della vita familiare e la residenza comune siano concordati tra le parti, spettando a ciascuna di essa il potere di attuare l'indirizzo concordato.

Analogamente al matrimonio, il comma 13 prevede che il regime patrimoniale ordinario dell'unione civile consista nella comunione dei beni (art. 159 c.c.), fatta salva la possibilità che le parti formino una convenzione patrimoniale; a quest'ultima si applicano le disposizioni del codice civile relative a forma (art. 162), modifica (art. 163), simulazione (art. 164) e capacità dell'inabilitato (art. 166) per la stipula delle convenzioni matrimoniali. Anche in tal caso, come nel matrimonio, resta ferma la possibilità di optare per la separazione dei beni. Lo stesso comma 13, sancendo l'inderogabilità per i contraenti dei diritti e doveri derivanti dalla costituzione dell'unione civile, stabilisce in tema di regime patrimoniale l'applicazione della disciplina delle sezioni II (fondo patrimoniale, artt. 167-171), III (comunione legale, artt. 177-197), IV (comunione convenzionale, artt. 210 e 211), V (separazione dei beni, artt. 215-219) e VI (impresa familiare, art. 230-bis) del libro primo, titolo VI, del codice civile.

 

- estensione di istituti civilisticiIl comma 14  estende alle unioni civili tra persone dello stesso sesso la disciplina dell'art. 342-ter c.c., prevedendo la possibilità che il giudice, su istanza della parte, applichi con decreto uno o più provvedimenti relativi al cd. ordine di protezione in caso di grave pregiudizio per l'integrità fisica o morale di una delle parti (con cui ordina all'altra parte la cessazione della condotta pregiudizievole, l'allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante e ai luoghi di istruzione dei figli della coppia; richiede l'intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni di sostegno e accoglienza a donne e minori vittime di abusi e maltrattati; impone il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti adottati, rimangono prive di mezzi adeguati).

Il comma 15 prevede:

  • che la scelta dell'amministratore di sostegno da parte del giudice tutelare ricada, ove possibile, sulla parte dell'unione civile;
  • che l'iniziativa per l'interdizione e l'inabilitazione spetti anche alla parte dell'unione civile che, al cessare della causa, può chiederne la revoca.

Il comma 16 stabilisce che la violenza è causa di annullamento del contratto - analogamente a quanto previsto in generale dall'art. 1436, primo comma, del codice civile - anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni dell'altra parte dell'unione civile costituita dal contraente o da un discendente o ascendente di lui.

Il comma 17 stabilisce che, in caso di morte del prestatore di lavoro (parte dell'unione civile) vada corrisposta anche all'altra parte dell'unione sia l'indennità dovuta dal datore di lavoro (ex art. 2118 c.c.) che quella relativa al trattamento di fine rapporto (ex art. 2120 c.c.).

Il comma 18 prevede che, analogamente a quanto previsto per i coniugi, tra le parti dell'unione civile la prescrizione rimanga sospesa.

- obbligo degli alimentiIl comma 19 estende all'unione civile omosessuale la disciplina sugli obblighi alimentari prevista dal codice civile (libro primo, titolo XIII).

Trovano altresì applicazione alle unioni civili anche gli articoli 116, primo comma (matrimonio dello straniero nello Stato), 146 (allontanamento dalla residenza familiare), 2647 (costituzione del fondo patrimoniale e separazione dei beni), 2653, primo comma, n. 4 (trascrizione delle domande di separazione degli immobili dotali e di scioglimento della comunione tra coniugi avente per oggetto beni immobili) e 2659 (nota di trascrizione) oltre - come si è visto - l'articolo 2941, primo comma n. 1) (sospensione della prescrizione tra i coniugi), del codice civile.

Il comma 20 - fatte salve le disposizioni del codice civile non richiamate espressamente e quelle della legge sull'adozione (L. 4 maggio 1983, n. 184) - prevede che le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi», «marito» e «moglie», ovunque ricorrano nelle leggi, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, trovino applicazione anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso.

- diritti successoriIl comma 21 estende ai partner dell'unione civile parte della disciplina sulle successioni riguardante la famiglia contenuta nel libro secondo del codice civile; si tratta delle disposizioni: dei Capi III (Dell'indegnità) e X (Dei legittimari) del Titolo I; dell'intero Titolo II (Delle successioni legittime); dei Capi II (Della collazione) e V-bis (Del patto di famiglia) del Titolo IV.

 I successivi commi riguardano le seguenti ipotesi di scioglimento dell'unione civile, che riprendono gran parte della normativa relativa al divorzio (L. 898/1970):

  • per morte o dichiarazione di morte presunta di una delle parti (comma 22);
  • nella gran parte delle ipotesi in cui può essere chiesto il divorzio da uno dei coniugi (art. 3, n. 1 e n. 2, lett. a), c), d) ed e) legge 898/1970) (comma 23);
  • per volontà dei partner manifestata davanti all'ufficiale di stato civile; la domanda di scioglimento va proposta decorsi tre mesi dalla data in cui tale volontà è manifestata (comma 24);
  • a seguito della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di una delle parti (comma 26);

- trasformazione del matrimonio in unione civileRecependo il dictum della Corte costituzionale (sentenza 11 giugno 2014, n. 170),  il comma 27 prevede una ipotesi di unione civile derivante dal matrimonio; se, infatti, dopo la rettificazione di sesso, i coniugi manifestano la volontà di non sciogliere il matrimonio o non cessarne gli effetti civili, questo si trasforma automaticamente in unione civile tra persone dello stesso sesso.

- negoziazione assistita e divorzio davanti al sindacoIl comma 25 estende alle unioni civili gran parte della disciplina della legge sul divorzio (tra esse, si segnala l'obbligo di una delle parti di somministrare periodicamente un assegno di mantenimento a favore dell'altro quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive; la possibilità di rivedere l'entità dell'assegno qualora sopravvengono giustificati motivi; la possibilità di imporre all'obbligato di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi; la sua responsabilità penale  - ex art. 570 c.p. - ove si sottragga alla corresponsione dell'assegno; il diritto ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro) nonchè le disposizioni processuali in materia di famiglia e stato delle persone (libro quarto, titolo II, c.p.c.). Prevede l'applicazione alle stesse unioni civili delle discipline acceleratorie della separazione e dello scioglimento del matrimonio di cui agli artt. 6 (negoziazione assistita) e 12 (procedura semplificata davanti al sindaco quale ufficiale di stato civile) del decreto legge 132 del 2014 (conv. dalla legge 162 del 2014).

Delega al GovernoI commi da 28 a 31 prevedono una delega al Governo per l'ulteriore regolamentazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.

 La normativa delegata è adottata su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dell'interno, del lavoro e delle politiche sociali e  degli affari esteri  e con l'ordinario coinvolgimento delle Commissioni parlamentari competenti (chiamate a pronunciarsi in via consultiva anche una seconda volta in caso di mancato recepimento del primo parere).  L'adozione del decreto (o dei decreti) legislativi avviene sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:

  • adeguamento alla disciplina del provvedimento in esame delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni (lettera a);
  • modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina della unione civile omosessuale italiana alle coppie omosessuali che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo (lettera b);
  • modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento del provvedimento in esame delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti (lettera c). 

Nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi e con la stessa procedura, il Governo potrà  adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, ulteriori disposizioni integrative e correttive.

Unione civile come causa di invalidità del matrimonioI commi 32 e 33 modificano gli articoli 86 e 124 del codice civile, equiparando il vincolo giuridico  derivante dall'unione civile a quello derivante dal matrimonio. Il comma 32 modifica l'articolo 86 (libertà di stato) inserendo fra le cause di invalidità del matrimonio anche la sussistenza di una precedente  unione civile tra persone dello stesso sesso. Il comma 33 prevede, di conseguenza, modificando l'art. 124 (vincolo del precedente matrimonio) l'impugnabilità in ogni tempo da parte del coniuge della precedente unione civile  contratta dall'altro coniuge. Il comma 34 demanda ad un DPCM, su proposta del Ministro dell'interno, la disciplina transitoria necessaria all'adeguamento della tenuta dei registri di stato civile fino alla vigenza  dei decreti legislativi in materia di cui al comma 28, lett. a). Il comma 35 prevede, infine, che l'efficacia delle disposizioni in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso (ovvero i commi da 1 a 34) decorra dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

I Copertura finanziariacommi da 66 a 69 disciplinano la copertura finanziaria delle disposizioni relative alle sole unioni civili. In particolare, il comma 66 individua gli oneri e ne dispone la copertura fino al 2025, autorizzando il Ministro dell'economia a provvedere alle relative variazioni di bilancio (comma 69).

Il comma 67 prevede che il Ministro del lavoro debba procedere ad un monitoraggio di tali oneri, sulla base di dati comunicati dall'INPS; in caso di scostamenti rispetto alle previsioni il Ministro dell'Economia è autorizzato a provvedere, dovendo altresì riferire con apposita relazione alle Camere (comma 68).


Disciplina delle convivenze (commi 36-65)

La seconda parte del provvedimento è dedicata alla disciplina della convivenza di fatto, istituto che può riguardare tanto coppie eterosessuali quanto coppie omosessuali. Il Definizione di conviventi di fattocomma 36 definisce i conviventi di fatto come due persone maggiorenni:

  • non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile,
  • unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale
  • coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune. Il comma 37, infatti, richiama ai fini dell'accertamento della stabile convivenza il concetto di famiglia anagrafica previsto dal regolamento anagrafico (D.P.R. n. 223 del 1989).

Il comma 38 estende ai conviventi di fatto i diritti spettanti al coniuge in base all'Estensione ai conviventi di alcuni diritti dei coniugiordinamento penitenziario.

Il comma 39 riconosce ai conviventi di fatto un reciproco diritto di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali in ambito sanitario, analogamente a quanto previsto oggi per i coniugi e i familiari.

I Poteri di rappresentanza nelle scelte medichecommi 40 e 41 riconoscono a ciascun convivente di fatto la facoltà di designare (in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità, alla presenza di un testimone) il partner come rappresentante, con poteri pieni o limitati per l'assunzione di decisioni in materia di salute, anche in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere ovvero, in caso di morte, per le scelte relative alla donazione di organi e alle modalità delle esequie.

I Diritti relativi all'abitazionecommi da 42 a 45 riconoscono ai conviventi alcuni diritti inerenti alla casa di abitazione, codificando alcuni orientamenti già espressi dalla giurisprudenza.

In particolare, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il comma 42 riconosce al convivente di fatto superstite il diritto di abitazione per 2 anni (che diventano 3 anni in caso di coabitazione di figli minori o di figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla durata della convivenza se superiore a 2 anni, e comunque fino ad un massimo di 5 anni. In base al comma 43, il diritto di abitazione viene meno se il convivente superstite cessa di abitare stabilmente nella casa o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.

Il comma 44 riguarda invece la successione nel contratto di locazione della casa di comune residenza, prevedendo tale facoltà per il convivente di fatto in caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto.

Il comma 45 dispone in ordine all'inserimento nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, equiparando il rapporto di convivenza a quello di coniugio ai fini di eventuali titoli o cause di preferenza nella formazione delle graduatorie stesse.

Il comma 46 introduce nel codice civile l'Impresa familiarearticolo 230-ter per disciplinare i diritti del convivente nell'attività di impresa. La nuova disposizione riconosce al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa del partner il diritto di partecipazione agli utili commisurato al lavoro prestato. Tale diritto non sussiste qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

I Interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegnocommi 47 e 48 ampliano le facoltà riconosciute al convivente di fatto nell'ambito delle misure di protezione delle persone prive di autonomia, facoltà già in parte previste dalla normativa vigente. In particolare, il comma 47 modifica l'articolo 712 del codice di procedura civile, per inserire fra i soggetti che devono essere indicati nella domanda per l'interdizione o l'inabilitazione anche il convivente di fatto. Il comma 48 riconosce al convivente di fatto la facoltà di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno del partner dichiarato interdetto o inabilitato o che presenti i requisiti per l'amministrazione di sostegno.

Il Risarcimento del dannocomma 49 recepisce orientamenti giurisprudenziali consolidati equiparando la convivenza di fatto al rapporto coniugale ai fini del risarcimento del danno da fatto illecito. In caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si dovranno applicare i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.

I Contratto di convivenzacommi da 50 a 63 disciplinano il contratto di convivenza.

Si tratta di un accordo attraverso il quale i conviventi possono disciplinare i loro rapporti patrimoniali (- finalitàcomma 50), che deve avere le seguenti caratteristiche formali, da rispettare anche in caso di successive modifiche o risoluzione (- formacomma 51):

  • forma scritta (a pena di nullità);
  • atto pubblico o scrittura privata autenticata. In caso di scrittura privata, un notaio o un avvocato dovranno autenticare le firme e attestare la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico.

Ai soli fini dell'opponibilità ai terzi, una copia dell'accordo deve essere trasmessa al comune di residenza per l'iscrizione all'anagrafe. A tale adempimento dovranno provvedere il notaio o l'avvocato che sono intervenuti nella redazione (comma 52). Il trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche dovrà avvenire nel rispetto del codice della privacy (d.lgs. n. 196 del 2003) e i dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche non dovranno costituire elemento di discriminazione a carico delle parti del contratto di convivenza (comma 55).

Il - contenutocomma 53 specifica i possibili contenuti del contratto, attraverso il quale le parti possono fissare la comune residenza, indicare le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, scegliere il regime patrimoniale della comunione dei beni (modificabile in qualunque momento nel corso della convivenza, in base al comma 54).

Il contratto non può essere sottoposto a termine o condizione (- nullitàcomma 56) ed è nullo nei seguenti casi (comma 57):

  • in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza;
  • se una delle parti è minorenne;
  • se una delle parti è interdetta;
  • se una delle parti è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell'altra (impedimento al matrimonio in base all'art. 88 c.c.);
  • in mancanza degli ulteriori requisiti previsti dal comma 36 (assenza di rapporti di parentela, affinità o adozione; assenza di un legame affettivo stabile di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale).

Il comma 58 precisa che gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il delitto di omicidio del coniuge (art. 88 c.c.), fino alla sentenza di proscioglimento. La sospensione non risulta quindi riferita espressamente - verosimilmente in ragione del diverso regime giuridico - alle ipotesi di omicidio di una parte di una unione civile o di una parte contraente di altra convivenza di fatto.

- risoluzioneIl contratto di convivenza si risolve, invece, in caso di (comma 59):

  • morte. Il convivente superstite o gli eredi del deceduto dovranno notificare l'estratto dell'atto di morte al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, che provvederà a notificare il contratto con questa annotazione all'anagrafe del comune di residenza (comma 63);
  • recesso unilaterale o di comune accordo tra le parti. In questo caso il provvedimento richiede il rispetto delle formalità previste per la conclusione del contratto e prevede - se i conviventi avevano scelto la comunione legale dei beni - lo scioglimento della stessa. Il comma 60 rinvia, in quanto compatibili, alle disposizioni del codice civile che regolano la comunione legale nel matrimonio (artt. 177-197) e prevede che, se dal contratto di convivenza derivavano diritti reali immobiliari, al trasferimento degli stessi deve provvedere un notaio. In caso di recesso unilaterale, il notaio o l'avvocato che ricevono l'atto devono notificarne una copia all'altro contraente; se la casa di abitazione è nella disponibilità del recedente, l'atto di recesso dovrà concedere al convivente almeno 90 giorni per lasciare l'abitazione (comma 61);
  • matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed una terza persona. In questo caso la parte che ha contratto il matrimonio o l'unione civile deve notificare al convivente di fatto l'estratto di matrimonio o di unione civile; una copia dovrà essere notificata anche al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza (comma 62).

Il Legge applicabilecomma 64 modifica la legge n. 218 del 1995, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, introducendovi il nuovo art. 30-bis in materia di contratti di convivenza. La nuova disposizione prevede che ai contratti di convivenza si applichi la legge nazionale comune dei contraenti; in caso di convivenza tra cittadini di nazionalità diversa, si applicherà la legge del luogo ove si svolge prevalentemente la convivenza. La disposizione fa comunque salve le norme nazionali, internazionali ed europee che regolano il caso di cittadinanza plurima.

Il Diritto agli alimenticomma 65 disciplina, alla cessazione della convivenza di fatto, il diritto agli alimenti. Il diritto del convivente a ricevere dall'altro gli alimenti deve essere affermato da un giudice in presenza dei seguenti presupposti (mutuati dall'art. 438 del codice civile):

  • il convivente versa in stato di bisogno;
  • il convivente non è in grado di provvedere al proprio mantenimento.

La durata dell'obbligo alimentare, determinato dal giudice, è proporzionato alla durata della convivenza; la misura degli alimenti è quella prevista dal codice civile (art. 438, secondo comma, che individua come parametro il bisogno di chi domanda e le condizioni economiche di chi deve somministrarli, specificando che gli alimenti non devono superare quanto sia necessario per la vita dell'alimentando, avuto riguardo alla sua posizione sociale). La riforma antepone l'obbligo alimentare dell'ex-convivente a quello che grava sui fratelli e le sorelle della persona in stato di bisogno.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il provvedimento è riconducibile alle materie "stato civile e anagrafe" e "ordinamento civile", di esclusiva competenza statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettere i) ed l) della Costituzione.


Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Il tema delle convivenze di fatto può essere inquadrato attraverso i seguenti articoli della Costituzione:

  • l'articolo 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità;
  • l'articolo 29, che riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Il favor matrimonii nella giurisprudenza costituzionaleDalla lettura di queste due disposizioni si ricava il particolare valore e la specifica rilevanza che il Costituente ha attribuito alla famiglia fondata sul matrimonio. La Corte costituzionale ha costantemente affermato che "la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale" e a questo non meccanicamente assimilabile al fine di desumerne l'esigenza costituzionale di una parificazione di trattamento (sent. 352 del 2000).

Anzi, pur non disconoscendo il valore di altre forme di convivenza, ha affermato che l'articolo 29 della Costituzione riconosce alla famiglia legittima «una dignità superiore, in ragione dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività di diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimonio» (sent. 310 del 1989). La Consulta, per effetto della copertura dell'art. 2 Cost., considera tuttavia la famiglia di fatto come una formazione sociale meritevole di tutela, seppur in maniera diversa da quella fondata sul matrimonio (sent. 237/1986).

Oltre che nella citata sentenza del 1989, la Corte, in diverse altre decisioni, ha posto in luce la netta diversità strutturale e contenutistica tra rapporto coniugale - caratterizzato da stabilità e certezza nonché dalla reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che nascono soltanto dal matrimonio - e convivenza di fatto, fondata sull'affectio quotidiana di ciascuna delle parti, liberamente e in ogni istante revocabile (sentenze 8/1996 e 461/2000).

Per la Consulta non è – quindi - né irragionevole, né arbitrario che il legislatore adotti soluzioni diversificate per la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente contemplata nell'articolo 29 della Costituzione, e per la famiglia di fatto, tradizionalmente ricondotta all'articolo 2 della Costituzione (ord. 121/2004).

In particolare, con la sentenza n. 8 del 1996 la Corte ha fornito una lettura precisa del dettato costituzionale: citando la sentenza n. 237 del 1986, la Consulta ha ricordato come quest'ultima, pur ribadendo la rilevanza costituzionale del "consolidato rapporto" di convivenza, ancorché rapporto di fatto, lo ha tuttavia distinto dal rapporto coniugale, "secondo quanto impongono il dettato della Costituzione e gli orientamenti emergenti dai lavori preparatori".

Solo quest'ultimo è stato ricondotto alla protezione dell'art. 29 della Costituzione, mentre il rapporto di fatto ricadrebbe nell'ambito della protezione, offerta dall'art. 2, dei diritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali. Forme di convivenza diverse dal matrimonio, proseguiva la Corte, non sono indifferenti né al diritto, né alla Costituzione, e "trovano una tutela – sicuramente meno forte, ma pur sempre una tutela"; in particolare, dove esiste un rapporto stabile e duraturo, si è, comunque, pur tra qualche dissenso, riconosciuta una formazione sociale di rilievo costituzionale. Tenendo distinta l'una dall'altra forma di vita comune tra uomo e donna – proseguiva la Corte -"si rende possibile riconoscere a entrambe la loro propria specifica dignità; si evita di configurare la convivenza come forma minore del rapporto coniugale, riprovata o appena tollerata e non si innesca alcuna impropria "rincorsa" verso la disciplina del matrimonio da parte di coloro che abbiano scelto di liberamente convivere".
La Corte esclude, infine, che tale valutazione costituzionale possa essere contraddetta da opposte visioni dell'interprete, in quanto i punti di vista di principio assunti dalla Costituzione valgono innanzitutto come criteri vincolanti di comprensione e classificazione, e quindi di assimilazione o differenziazione dei fatti sociali giuridicamente rilevanti. In tal modo sono poste le premesse "per una considerazione giuridica dei rapporti personali e patrimoniali di coppia nelle due diverse situazioni, considerazione la quale - fermi in ogni caso i doveri e i diritti che ne derivano verso i figli e i terzi - tenga presente e quindi rispetti il maggior spazio da riconoscersi, nella convivenza, alla soggettività individuale dei conviventi; e viceversa dia, nel rapporto di coniugio, maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, cioè come stabile istituzione sovraindividuale".

 

La Corte ha inoltre rilevato, posto che la convivenza rappresenta l'espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza dal matrimonio, che "l'estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti" (sentenza n. 166 del 1998).

Analoga linea è dettata più recentemente con la sentenza n. 140 del 2009, in cui si legge che «si deve ribadire quanto già più volte affermato, cioè che la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale e non può essere assimilata a questo per desumerne l'esigenza costituzionale di una parità di trattamento. La stessa Costituzione ha valutato le due situazioni in modo diverso, ed il dato assume rilievo determinante in un giudizio di legittimità costituzionale. Infatti, il matrimonio forma oggetto della specifica previsione contenuta nell'art. 29 Cost., che lo riconosce elemento fondante della famiglia come società naturale, mentre il rapporto di convivenza assume anch'esso rilevanza costituzionale, ma nell'ambito della protezione dei diritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali garantita dall'art. 2 Cost».

Anche il tema delle Le unioni omosessuali nella giurisprudenza costituzionaleunioni omosessuali può essere inquadrato da un punto di vista costituzionale attraverso i citati articoli 2 e 29 della Costituzione (v. ante), trovando possibile tutela nell'ambito delle formazioni sociali di cui all'art. 2. Inoltre viene in rilievo anche il principio di uguaglianza e non discriminazione di cui all'art 3 cost.

Nonostante il dettato dell'art. 29 Cost. non specifichi che il matrimonio debba essere consentito solo tra partner di sesso diverso, la giurisprudenza non ha riconosciuto alle coppie omosessuali la possibilità di contrarre matrimonio in Italia,  sulla base della necessaria diversità di sesso tra gli aspiranti coniugi. Ciò anche sulla base di una lettura della normativa nazionale, in particolare quella del codice civile in materia di filiazione (che parla di padre e madre, di concepimento, di parto).

Costante giurisprudenza della Consulta ritiene presupposto indefettibile del matrimonio la diversità di sesso dei coniugi. Le unioni omosessuali devono trovare, invece, riconoscimento e garanzie come "formazioni sociali" ai sensi dell'art. 2 della Costituzione. In tal senso la Corte, pur nel rispetto della discrezionalità del Parlamento, ha sollecitato il legislatore ad intervenire con una disciplina che regolamenti le unioni (tra persone dello stesso o di diverso sesso) che assumono forme diverse dal matrimonio.

 

Chiama- sentenza n. 138 del 2010ta a pronunciarsi sui profili di incostituzionalità del rifiuto di un ufficiale di stato civile, ai sensi dell'art. 98 c.c., a procedere alla pubblicazione di matrimonio richiesto da una coppia formata da due persone, entrambe di sesso maschile, la Consulta  (sentenza n. 138 del 2010) ha enunciato rilevanti principi di diritto in materia di unioni omosessuali. Secondo la Corte:

  • la "famiglia fondata sul matrimonio" prevista dal citato art. 29 Cost., è esclusivamente quella tra uomo e donna;
  • le unioni omosessuali non possono essere "omogenee" al matrimonio ma sono tutelate dall'art. 2 della Costituzione che tutela le formazioni sociali ove si svolge la personalità dell'uomo.
Rileva la Consulta che "come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l'art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un'articolata disciplina nell'ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso…Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un'interpretazione creativa".
Nella pronuncia, la Corte ha rappresentato, tuttavia, l'esigenza di rimettere al Parlamento, nell'esercizio della sua piena discrezionalità, l'individuazione di forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d'intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988). Può accadere, infatti, che "in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza".

 

Dopo che argomenti analoghi a quelli della sentenza del 2010 erano stati addotti nelle ordinanze n. 276 del 2010 e n. 4 del 2011, una ulteriore  sollecitazione al Parlamento a legiferare per assicurare tutela giuridica a forme di unione diverse dal matrimonio è venuto dalla Consulta con la sentenza n. 170/2014 relativa alle conseguenze civilistiche conseguenti ad una rettificazione di sesso in costanza di matrimonio.

La vicenda trae origine dal caso Bernaroli (il caso delle due Alessandre) relativa a una coppia unita in matrimonio, che – a seguito della rettificazione di sesso di Alessandro Bernaroli (da maschile a femminile)– si era vista annotare dall'ufficiale di stato civile (su ordine del tribunale) sull'atto di matrimonio, contestualmente alla rettificazione, la cessazione degli effetti civili del vincolo con la moglie Alessandra. I due coniugi, nonostante la rettificazione dell'attribuzione di sesso, non intendevano interrompere la loro vita di coppia dando, tuttavia, vita ad un modello di unione che si poneva, evidentemente, fuori dal modello del matrimonio prevista dal nostro ordinamento che prevede il requisito essenziale della eterosessualità dei coniugi.

Secondo lo Stato civile, la mancata cancellazione avrebbe comportato il riconoscimento di un matrimonio che da eterosessuale si era trasformato in omosessuale.

La Corte di cassazione – chiamata poi a giudicare la questione - riconosceva (con ordinanza del 6 giugno 2013, n. 14329) che la norma di cui all'art 4 della legge n. 164/1982 (per cui la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso «provoca» lo scioglimento del matrimonio) doveva essere interpretata come ipotesi di scioglimento automatico del matrimonio; la stessa Corte, ravvisando tuttavia nel "divorzio imposto" contro la volontà dei coniugi una lesione degli artt. 2, 3, 24, 29 e 117 Cost. adiva la Consulta, che in adesione a tale tesi, con la sentenza n. 170 del 2014, ha dichiarato l'incostituzionalità della norma, ritenendo illegittima la carenza di qualsiasi specifica tutela per una coppia che abbia contratto matrimonio e che voglia restare sposata.

Secondo la Consulta, tuttavia, se tale unione non può continuare come "matrimonio", non può neanche essere semplicisticamente equiparabile ad una unione di fatto di soggetti dello stesso sesso, poiché ciò equivarrebbe a cancellare, sul piano giuridico, un pregresso vissuto, nel cui contesto quella coppia ha maturato reciproci diritti e doveri, anche di rilievo costituzionale, che, seppur non più declinabili all'interno del modello matrimoniale, non sono, per ciò solo, tutti necessariamente sacrificabili. Da qui, la pronuncia di incostituzionalità degli artt. 2 e 4 della legge 164 del 1982 e l'invito al Parlamento a "introdurre una forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione, su tal piano, di assoluta indeterminatezza. E tal compito il legislatore è chiamato ad assolvere con la massima sollecitudine per superare la rilevata condizione di illegittimità della disciplina in esame per il profilo dell'attuale deficit di tutela dei diritti dei soggetti in essa coinvolti".

Con riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione (obbligo del rispetto dei vincoli derivanti dall'Unione europea), si ricorda che la La giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europeaCorte di Giustizia UE, investita di ricorso pregiudiziale per valutare la compatibilità della normativa tedesca in materia previdenziale, in particolare di norme che non riconoscevano ai partner registrati nell'ambito di una coppia omosessuale diritti analoghi a quelli riconosciuti ai coniugi, ha ritenuto la disciplina non conforme ai trattati perché lesiva del principio di non discriminazione sancito dalla direttiva 2000/78 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (sentenza 1.4.2008,  caso Tadao Maruko, C-267/06).

Sempre la Corte di Giustizia UE è stata chiamata a pronunciarsi su altro rinvio pregiudiziale sulle norme tedesche disciplinanti l'unione civile, nel caso Jürgen Römer, C‑147/08, sentenza 10.05.2011. In tale occasione la Corte ha stabilito che "il combinato disposto degli artt. 1, 2 e 3, n. 1, lett. c), della direttiva 2000/78 osta ad una normativa, in base alla quale un pensionato che ha contratto un'unione solidale registrata non percepisce una pensione di vecchiaia complementare equivalente a quella concessa ad un pensionato coniugato non stabilmente separato, mentre, secondo il diritto nazionale, detta unione porrebbe le persone dello stesso sesso in una situazione analoga a quella dei coniugi per quanto riguarda la suddetta pensione".

La Corte ha precisato, riguardo alle unioni civili registrate del tipo previsto dal Gesetz über die eingetragene Lebenspartnerschaft (legge tedesca sulle unioni civili registrate), che il raffronto tra le situazioni deve essere fondato su un'analisi incentrata sui diritti e sugli obblighi dei coniugi sposati e dei partner dell'unione civile registrata, quali disciplinati dalle disposizioni nazionali in vigore, che risultino pertinenti alla luce della finalità e dei presupposti di concessione della prestazione controversa nel procedimento principale, e non sulla verifica se il diritto nazionale abbia proceduto a un'equiparazione generale e completa, sotto il profilo giuridico, dell'unione civile registrata al matrimonio

Nella sentenza 12 dicembre 2013 (C‑267/12, Hay), la Corte di giustizia UE ha rilevato che il fatto che il Conseil constitutionnel abbia statuito che le coppie sposate e quelle legate da un PACS non versano in situazioni analoghe quanto al diritto alla pensione di reversibilità, non può escludere la comparabilità delle situazioni dei lavoratori sposati e dei lavoratori omosessuali uniti in un PACS in merito alla concessione di giorni di congedo e di premi in occasione del matrimonio. La Corte di giustizia UE ha quindi deciso che l'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione di un contratto collettivo, a termini della quale a un lavoratore dipendente unito in un patto civile di solidarietà con una persona del medesimo sesso sono negati benefici, segnatamente giorni di congedo straordinario e premio stipendiale, concessi ai dipendenti in occasione del loro matrimonio, quando la normativa nazionale dello Stato membro interessato non consente alle persone del medesimo sesso di sposarsi, allorché, alla luce della finalità e dei presupposti di concessione di tali benefici, detto lavoratore si trova in una situazione analoga a quella di un lavoratore che contragga matrimonio.


Compatibilità con la CEDU (a cura dell'Avvocatura della Camera dei deputati)

Quanto ai profili di compatibilità con l'ordinamento del Consiglio d'Europa e con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, i contenuti della proposta S. 2081 (oggi C. 3634) non appaiono in contrasto con i relativi orientamenti.

Vale la pena citare, al riguardo, il caso - Sentenza P.B. e J.S. c. AustriaP.B. e J.S. c. Austria del 2010.

I ricorrenti erano una coppia omosessuale. J.S. era un dipendente pubblico che intendeva nominare P.B. quale beneficiario associato dell'assicurazione obbligatoria che secondo la legge austriaca lo copriva. Le autorità amministrative prima e giudiziarie poi avevano rigettato le istanze dei ricorrenti. Peraltro, nel 2007, la legge austriaca era cambiata nel senso di richiedere per i beneficiari associati dell'assicurazione obbligatoria diversi requisiti, per esempio di parentela, di età e di durata della convivenza, ma eliminando ogni riferimento all'orientamento sessuale.

La Prima sezione della Corte EDU ha ravvisato, per il periodo anteriore alla modifica legislativa del 2007, una violazione del combinato disposto degli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (che prevedono rispettivamente il diritto alla vita privata e familiare e il divieto di discriminazione) in ragione che il criterio discretivo adoperato per concedere l'estensione al convivente dell'assicurazione e basato sull'orientamento sessuale non era una misura necessaria e proporzionata allo scopo di conseguire la concessione selettiva e mirata del beneficio. Viceversa, per il periodo successivo alla modifica legislativa, la Corte non ha ravvisato violazioni, giacché le restrizioni introdotte erano neutrali dal punto di vista dell'orientamento sessuale e basate su parametri oggettivi ragionevoli (parentela, età e durata della convivenza).

 

Nello stesso anno 2010, la Corte si è pronunciata nel caso - Sentenza Schalk e Kopf contro AustriaSchalk e Kopf contro Austria.

I ricorrenti erano una coppia omosessuale che aveva domandato le pubblicazioni prematrimoniali. Essi invece non ritenevano sufficienti per le loro istanze la mera registrazione amministrativa della loro unione, peraltro prevista dall'ordinamento austriaco solo diversi anni dopo l'inizio della loro relazione stabile (nel 2010). Subìto il rifiuto in tutti i gradi di giudizio della domanda di matrimonio, essi si erano rivolti alla Corte EDU. La Prima sezione riconosce che, per differenziare trattamenti giuridici sulla base dell'orientamento sessuale, occorrono l'esigenza imperiosa di proteggere un altro interesse meritevole di tutela e la proporzionalità della misura giuridica prescelta. In tale ambito, peraltro, gli Stati sottoscrittori godono di un certo margine di apprezzamento. Constatato che - in definitiva - le differenze di regime giuridico tra matrimonio e registrazione amministrativa dell'unione sono minime, la Corte statuisce che non vi è stata violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione, poiché la mancata previsione del matrimonio vero e proprio tra persone dello stesso sesso non eccede i limiti della discrezionalità legislativa. Né la Corte si sente di poter rimproverare all'Austria di non avere introdotto prima del 2010 la possibilità della registrazione amministrativa dell'unione.

 

Più di recente, si è imposto all'attenzione il caso - Sentenza Oliari contro ItaliaOliari c. Italia del 2015, su cui si è pronunciata la Quarta Sezione.

Enrico Oliari e il suo compagno avevano domandato al comune di Trento di procedere alle pubblicazioni prematrimoniali. Il comune si era rifiutato e ne era nato un contenzioso, giunto fino alla Corte costituzionale. Il giudice remittente aveva ritenuto non manifestamente infondata la questione se il codice civile violasse – per il tramite dell'articolo 8 della Convenzione EDU – l'articolo 117, primo comma, della Costituzione. La Corte dichiarò la questione in parte infondata e in parte inammissibile (sentenza n. 138 del 2010). Successivamente, la Corte d'appello di Trento rigettò il ricorso del signor Oliari. La Corte EDU, citati anche i precedenti tra cui la sentenza Schalk, osserva che in Italia non solo non è previsto il matrimonio omosessuale, ma manca (a differenza di altri Paesi) il riconoscimento delle unioni tra persone del medesimo sesso, anche in una forma più blanda. Ciò denota come il nostro Paese sia venuto meno all'obbligo positivo di tutela del diritto alla vita privata e familiare, attraverso il riconoscimento e la protezione formalizzati delle coppie omosessuali. Di qui la constatazione della violazione dell'articolo 8.