Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Il sistema di elezione del Parlamento nazionale - Riforme e dibattito parlamentare
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 42
Data: 19/07/2013
Descrittori:
PARLAMENTO   SISTEMI ELETTORALI
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Il sistema di elezione del
Parlamento nazionale

Riforme e dibattito parlamentare

 

 

 

 

 

 

n. 42

 

 

 

19 Luglio 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

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File: ac0176.doc


INDICE

 

Dal sistema proporzionale al maggioritario misto: la legge Mattarella  3

§  Il sistema proporzionale  3

§  La legge elettorale del 1953  4

§  Dai referendum alla legge Mattarella  5

Dai tentativi di correzione del sistema maggioritario misto all'approvazione della legge 270/2005  13

§  Il dibattito parlamentare e i referendum del 1999 e 2000  13

§  Le elezioni del 2001, i seggi vacanti e la revisione dei collegi uninominali 17

§  I tentativi di “correzione” della legge Mattarella e la legge n. 270 del 2005  20

Le iniziative di riforma elettorale nella XV e XVI legislatura  23

§  Le criticità della legge 270/2005  23

§  Le proposte di modifica  24

Questioni aperte  33

§  Premio di maggioranza e preferenze: l'ordinanza della Corte Suprema di Cassazione  33

§  Assegnazione dei seggi nelle circoscrizioni e spostamento dei seggi 35

 

 


Dal sistema proporzionale al maggioritario misto:
la legge Mattarella

Il sistema proporzionale

Dal 1948, per oltre quaranta anni, il Parlamento nazionale è stato eletto con sistema proporzionale.

Per la Camera dei deputati, il sistema prevedeva l'attribuzione dei seggi a liste di candidati concorrenti nelle 32 circoscrizioni in cui era, allora, suddiviso il territorio nazionale. Come avviene attualmente, a norma del DPR 361/1957, a ciascuna circoscrizione era attribuito un numero di seggi variabile sulla base della popolazione registrata nell’ultimo censimento generale.

I partiti e i gruppi politici organizzati presentavano nelle circoscrizioni, liste di candidati distinguendole medianti appositi contrassegni da depositare presso il Ministero del’interno.

Una prima assegnazione dei seggi alle liste veniva fatta in ambito circoscrizionale, con il metodo del quoziente corretto (dato dal totale dei voti validi nella circoscrizione diviso i seggi da assegnare più due) attribuendo a ciascuna lista tanti seggi quanti quozienti interi fossero contenuti nella cifra elettorale della lista. I seggi non assegnati nella circoscrizione confluivano nel collegio unico nazionale e venivano ripartiti tra le liste - con il metodo del quoziente intero e dei maggiori resti – tra le liste che avessero ottenuto nella circoscrizione almeno un quoziente.

L'elettore esprimeva il voto per una lista e poteva indicare tre o quattro voti di preferenza per singoli candidati, secondo che i deputati da eleggere nella circoscrizione fossero più o meno di 15.

Si ricorda che le 32 circoscrizioni, di grandezza disomogenea, erano composte prevalentemente da più province della medesima regione, ad eccezione della provincia di Trieste, che costituiva da sola la circoscrizione (o collegio) XXXII, della provincia di Belluno, inclusa nella circoscrizione XI (Friuli) con Udine e Gorizia, e della provincia di Rieti, inclusa nella circoscrizione XVIII (Umbria) con Perugia e Terni.

 

Il sistema per l'elezione del Senato era formalmente diverso, ma di fatto ugualmente proporzionale. In ciascuna regione erano costituiti tanti collegi uninominali quanti dovevano essere i senatori da eleggere[1], il collegio era attribuito al candidato che otteneva più del 65 % dei voti validi del collegio. I seggi non attribuiti nei collegi perché nessun candidato aveva raggiunto il quorum erano attribuiti, nell'ambito della regione, ai gruppi di candidati che si erano presentati con il medesimo contrassegno, con il metodo dei divisori d'Hondt.

Solo nella elezione del 1948 i seggi ottenuti con il quorum superano la decina (14 la DC e 1 il PPTS_SVP), si dimezzano già nel 1953 e nelle elezioni del 1968, 1972 e 1976 sono solo 2, di cui 1 sempre ottenuto dall'SVP e l'altro dalla DC (ad eccezione del '72 dove entrambi sono ottenuti dalla DC) fino alle ultime quattro elezioni in cui è solo l'SVP ad ottenere un seggio (o 2 nel 1992) con il quorum.

La quasi totalità dei seggi è stata perciò sempre assegnata con il metodo proporzionale in ambito regionale. Proprio per tale ragione, peraltro, già a partire dal 1948 (e su tale prassi è stata data conferma legislativa dalla L. 64/1958) non si è più proceduto alla ridefinizione dei collegi uninominali di ciascuna regione in modo da rendere il loro numero pari a quello dei senatori di volta in volta assegnati alla regione medesima in relazione alle variazioni di popolazione di questa. Il numero dei collegi uninominali in cui risultavano divise le regioni è pertanto rimasto fermo alla cifra stabilita nel 1948 (238 collegi), mentre il numero dei senatori da eleggere (a partire dal 1963, quando viene introdotto il numero fisso di 315) è superiore di 77 unità a tale cifra. Per tale motivo, a ciascuna regione erano assegnati un numero di senatori maggiore rispetto a quello dei collegi uninominali in cui risultava suddivisa (c.d. seggi "fuori quota").

La legge elettorale del 1953

Al sistema elettorale della Camera, sopra descritto, fu apportata una notevole modifica con la legge 31 marzo 1953, n. 148, che attribuiva un premio di maggioranza alle liste collegate tra loro che, in tutto il territorio nazionale, avessero raccolto la metà più uno del totale dei voti validi attribuiti a tutte le liste. Il premio di maggioranza consisteva nell’attribuzione di 380 seggi alla coalizione vincente. Nel caso in cui nessuna coalizione superasse la metà dei voti validi, si prevedeva il riparto in maniera proporzionale con il sistema previgente.

Le elezioni politiche del 7 giugno 1953 si svolsero per il Senato con il sistema delle elezioni precedenti e per la Camera con la nuova normativa. Le forze politiche della coalizione vincente ottennero poco meno del 50 per cento dei voti validi non usufruendo così del premio di maggioranza ed annullando gli effetti della legge. Questa successivamente venne abrogata con la legge 31 luglio 1954, n. 615, ripristinando in ogni sua parte il sistema elettorale precedente.

Dai referendum alla legge Mattarella

Con l'evoluzione del sistema politico, sul finire degli anni ottanta, emergono i due principali aspetti problematici del sistema.

La difficoltà di formare una maggioranza politica stabile e la tendenza del sistema politico verso un sistema elettorale maggioritario, troverà espressione prima nella legislazione elettorale degli enti locali con l'elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Provincia, poi nel referendum popolare sulla legge del Senato, cui seguirà l'approvazione delle leggi 276 e 277 del 1993 con le quali viene modificato il sistema di elezione del Senato e della Camera in senso maggioritario.

L'altra questione concerne il rapporto tra eletti e territorio. Il sistema delle preferenze plurime alla Camera, inizialmente pensato come ampia possibilità di scelta da parte dell'elettore, nell'ambito di liste di candidati composte anche da 54 candidati (la XIX circoscrizione: Roma, Viterbo, Latina, Frosinone), è accusato da molti di essere un sistema di controllo del voto. La richiesta di referendum abrogativo delle disposizioni che consentono all'elettore di esprimere tre o quattro voti di preferenza è l'unico quesito, nel 1991, ad essere ammesso dalla Corte costituzionale.

 

Il referendum del 1991 sulle preferenze

Tra febbraio e marzo del 1990 vennero presentate, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, tre richieste di referendum abrogativo in materia elettorale per le quali vennero raccolte e depositate (il 2 agosto 1990) le sottoscrizioni prescritte.

Le tre richieste riguardavano:

§  l'abrogazione di alcune disposizioni della L. 6 febbraio 1948, n. 29, Norme per la elezione del Senato della Repubblica (abolizione del quorum del 65% dei votanti per risultare eletti nel collegio uninominale);

§  l'abrogazione parziale degli del D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, Approvazione del Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati (riduzione del numero delle preferenze);

§  l'abrogazione di alcune disposizioni del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali (estensione a tutti i comuni del sistema maggioritario allora vigente per l’elezione dei consigli comunali con meno di 5.000 abitanti).

 

Delle tre richieste referendarie solamente la seconda passava al vaglio della Corte costituzionale che dichiarava inammissibile le altre (sentenza 17 gennaio 1991, n. 47).

In particolare, la richiesta dichiarata ammissibile interessava le norme della legge elettorale della Camera che prevedevano la possibilità degli elettori di esprime più di un voto di preferenza (DPR 361/1957, artt. 4, 58, 59, 60, 61, 68 e 76).

 

La consultazione referendaria si svolse il 9 e 10 giugno 1991 ed ebbe un consenso molto ampio. Parteciparono al voto 29.609.635 elettori, pari 62,5 % degli aventi diritto e i voti favorevoli all'abrogazione furono 26.896.979, pari al 95,5 % dei voti validi.

 

Il 5 aprile 1992 si svolsero le elezioni politiche, le prime (ed uniche) con la possibilità di esprimere una sola preferenza alla Camera.

 

La nuova legislazione elettorale per gli enti locali

Il 25 marzo 1993 viene approvata la legge (n. 81/1993) che modifica il sistema elettorale di comuni e province in senso maggioritario e dispone l'elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia. I rispettivi consigli sono eletti contestualmente e, qualora il sindaco o il presidente della provincia cessi dalla carica per qualsiasi motivo, il consiglio è sciolto e si torna alle urne.

 

L’elezione del sindaco e del consiglio comunale avviene con sistema integralmente maggioritario e votazione in un unico turno se si tratta di organi di un comune con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti; con sistema proporzionale, correzione maggioritaria e doppio turno di votazione se la popolazione del comune è pari o superiore a 15.000 abitanti. Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, l'attribuzione del premio di maggioranza, segue regole diverse a seconda che la proclamazione del sindaco avvenga dopo la prima votazione o a seguito di ballottaggio. Qualora il sindaco venga eletto al primo turno, alle liste ad esso collegate sono attribuiti il 60% dei seggi del consiglio, a due condizioni:

§  che le liste collegate abbiano ottenuto almeno il 40% dei voti validi;

§  che nessuna altra lista o coalizione abbia ottenuto più del 50% dei voti validi.

Nel caso in cui il sindaco venga eletto a seguito di ballottaggio, per l'attribuzione del premio di maggioranza, è sufficiente la seconda condizione.

 

Il presidente della provincia e il consiglio provinciale, nel sistema elettorale delineato dalla legge 81/1993 in vigore fino al 2011[2], sono eletti contestualmente, con votazione a doppio turno, ripartizione proporzionale dei seggi fra liste concorrenti (gruppi di candidati presentati nei collegi uninominali in cui è ripartito il territorio provinciale) ed esito maggioritario in favore del gruppo di liste collegate al sindaco eletto. A queste liste, infatti, sono attribuiti il 60% dei seggi del consiglio provinciale. Nel caso del consiglio provinciale, non sono previste condizioni per l'attribuzione del premio di maggioranza.

Il referendum del 1993 sulla legge del Senato e i principi della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali

Il 16 settembre 1991 venne depositata presso la cancelleria della Corte di Cassazione la richiesta di referendum abrogativo concernente la legge per l'elezione del Senato della Repubblica ed il 14 gennaio 1992 vennero depositate le firme raccolte in osservanza del disposto dell'art. 75 della Costituzione. Questa volta la Corte costituzionale accoglie il quesito e il referendum si svolge il 18 aprile 1993.

Anche questa consultazione, come quella sulle preferenze, ebbe un largo consenso: votarono 36.922.390 elettori, pari 77 % degli aventi diritto e i voti favorevoli all'abrogazione furono 28.936.747 pari all'82,7 % dei voti validi.

L'abrogazione con referendum delle norme della L. 29/48 che prevedevano il quorum per l'elezione nel collegio uninominale determina la trasformazione del sistema elettorale per il Senato da sistema a carattere quasi totalmente proporzionale in sistema misto a prevalenza maggioritario. L'elezione dei senatori nei 238 collegi uninominali (come già ricordato, i collegi erano rimasti quelli definiti nel 1948) avviene con la maggioranza semplice dei voti, mentre i restanti 77 sono eletti con sistema proporzionale nell'ambito di circoscrizioni coincidenti con le regioni.

Benché il sistema risultante dall'abrogazione fosse ritenuto dalla Corte costituzionale immediatamente applicabile, la Corte stessa nella medesima sentenza di ammissibilità del referendum (sentenza n. 32/1993) individuava alcuni correttivi da apportare in sede parlamentare. Il principale riguardava proprio la quota di seggi da assegnare con metodo proporzionale attribuita a ciascuna regione, che non risultava rapportata alla dimensione demografica della regione medesima.

 

Nel frattempo proseguivano i lavori della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali (istituita nell'agosto 1992). Ancor prima dello svolgimento del referendum, nella seduta del 10 febbraio 1993, al termine di una complessa attività istruttoria svolta sia dal Comitato "legge elettorale" sia dalla stessa Commissione plenaria, la Commissione approva due schemi contenenti i principi direttivi per la riforma del sistema elettorale della Camera e del Senato.

Per entrambi i rami del Parlamento, i principi sono i seguenti:

§  attribuzione nell'ambito di ciascuna circoscrizione, di una quota di seggi pari a tre quinti con sistema maggioritario e dei rimanenti due quinti con sistema proporzionale; per il Senato questo principio non si applica a Valle d'Aosta e Molise dove sono costituiti solo collegi uninominali; per la Camera dei deputati le nuove circoscrizioni non devono superare i confini regionali e ciascuna non può eleggere complessivamente più di 30 deputati;

§  attribuzione del seggio in ciascun collegio uninominale al candidato che consegue il maggior numero di voti validi espressi;

§  la delimitazione dei collegi uninominali deve essere effettuata sulla base di principi e di criteri direttivi che devono riguardare i seguenti aspetti: la definizione dei limiti di scostamento della popolazione di ciascun collegio dalla media nazionale; il rispetto dei confini comunali e provinciali; la coerenza del bacino territoriale di ciascun collegio;

§  devono essere definiti dei meccanismi che consentano la rappresentatività delle minoranze linguistiche riconosciute.

 

Per l'assegnazione dei seggi da attribuire con metodo proporzionale, vengono prospettate due ipotesi alternative.

Per il Senato è previsto l'espressione da parte dell'elettore di un unico voto a favore di uno dei candidati nel collegio uninominale e calcolo, ai fini dell'attribuzione dei seggi da assegnare con metodo proporzionale, unicamente dei voti non utilizzati per eleggere i candidati proclamati eletti nei collegi; la seconda ipotesi prevede invece l'espressione da parte dell'elettore di un secondo voto a favore di uno dei gruppi di candidati presentatisi nella circoscrizione regionale.

Per la Camera, la prima ipotesi è l'attribuzione dei due quinti dei seggi in ambito circoscrizionale, con metodo proporzionale (del quoziente, ma con attribuzione dei soli seggi a quoziente intero) sulla base di un secondo voto espresso dall'elettore per gruppi di candidati. Anche in questa ipotesi, nonostante il secondo voto, dovrebbe essere applicato lo scorporo dei voti utilizzati per la elezione del candidato nel collegio uninominale; la seconda ipotesi, invece, non prevede lo scorporo dei voti. Per la Camera dei deputati una ulteriore indicazione riguarda l'utilizzo dei resti e la ripartizione nazionale dei seggi non assegnati nelle circoscrizioni, cui accedono le sole liste che abbiano ottenuto più del 3 % dei voti validi a livello nazionale o almeno un seggio – proporzionale – nella circoscrizione.

Il sistema elettorale che uscirà dai lavori delle Commissioni affari costituzionali della Camera e del Senato, tranne che per l'assegnazione della quota proporzionale alla Camera, rispecchia i principi sopra esposti.

Le leggi 276 e 277 del 1993 (cd. “Leggi Mattarella”)

Per il Senato della Repubblica, il sistema delineato dalla legge 4 agosto 1993, n. 276, è caratterizzato dai seguenti elementi:

§  attribuzione in ogni regione di tre quarti dei seggi con sistema maggioritario a turno unico nell'ambito di altrettanti collegi uninominali; fanno eccezione la regione Valle d'Aosta, che è costituita in un unico collegio uninominale e la regione Molise, il cui territorio è ripartito in due collegi uninominali;

§  ripartizione dei restanti seggi spettanti alla Regione con sistema pro-porzionale nell'ambito della circoscrizione regionale tra gruppi di candidati concorrenti nei collegi uninominali;

§  ciascun elettore dispone di un solo voto, da esprimere a favore di uno dei candidati presentati nel collegio uninominale;

§  sottrazione totale dalla cifra elettorale di ciascun gruppo dei voti conseguiti dai candidati eletti nei collegi uninominali (c.d. “scorporo totale”).

 

La presentazione delle candidature nei singoli collegi è fatta per gruppi ai quali i candidati aderiscono con l'accettazione della candidatura; è possibile, tuttavia, la presentazione di candidature individuali. Nessun candidato può accettare la candidatura in più di un collegio uninominale. E’ inoltre vietata la candidatura contestuale al Senato ed alla Camera.

I seggi della quota proporzionale sono attribuiti ai gruppi in proporzione alla cifra elettorale di ciascun gruppo di candidati, secondo il metodo d'Hondt; la cifra elettorale è data dalla somma dei voti conseguiti dai candidati presentatisi nei collegi della regione con il medesimo contrassegno, detratti i voti ottenuti dai candidati già proclamati eletti nei collegi stessi. In corrispondenza ai seggi attribuiti a ciascun gruppo, sono quindi proclamati eletti i candidati non eletti in sede di collegio uninominale compresi nel gruppo medesimo, secondo la graduatoria delle rispettive cifre elettorali individuali.

 

La legge 4 agosto 1993, n. 277 per l'elezione della Camera dei deputati ha un impianto analogo a quella del Senato, da cui differisce però sensibilmente soprattutto per la maggiore complessità dei raccordi fra parte maggioritaria e proporzionale del sistema misto che si è adottato. In sintesi gli elementi che caratterizzano tale sistema, sono i seguenti:

§  suddivisione del territorio nazionale in 26 circoscrizioni di dimensione regionale o infraregionale;

§  attribuzione, in ogni circoscrizione, del 75% dei seggi con la formula maggioritaria nell'ambito di altrettanti collegi uninominali;

§  ripartizione in ambito nazionale dei restanti seggi con la formula pro-porzionale dei quozienti interi e di più alti resti e con il sistema delle liste concorrenti; è prevista una soglia di sbarramento del 4%;

§  attribuzione a ciascun elettore di due voti su schede distinte: uno per l'elezione del candidato nel collegio uninominale, uno per la scelta di una delle liste circoscrizionali concorrenti al riparto dei seggi in ragione proporzionale;

§  scorporo parziale dai voti conseguiti dalle liste dei voti necessari per eleggere, nei collegi uninominali, i candidati collegati a ciascuna lista;

§  determinazione delle circoscrizioni in cui le singole liste si vedono attribuire i seggi conquistati in ambito nazionale e conseguente proclamazione, su base circoscrizionale, dei candidati di lista risultati eletti con il metodo proporzionale.

 

La presentazione delle candidature nei collegi uninominali è fatta per singoli candidati che, all'atto della accettazione della candidatura, devono dichiarare a quale (o a quali) delle liste circoscrizionali che concorrono alla ripartizione dei seggi proporzionali intendano collegarsi. La legge ammette, infatti, la possibilità di un collegamento con più liste, senza limitazione di numero. Nel caso di collegamenti plurimi però, questi devono essere i medesimi in tutti i collegi uninominali della circoscrizione. Non è ammessa la candidatura di una stessa persona in più collegi uninominali della medesima o di altre circoscrizioni, essendo nulle le candidature ulteriori. E’ invece ammessa la contemporanea candidatura in un collegio uninominale della Camera e in liste circoscrizionali fino ad un massimo di tre. Se eletto nel collegio uninominale, il candidato incluso nella lista non sarà preso in considerazione ai fini dell'attribuzione dei seggi proporzionali.

 

A differenza di quanto stabilito per il Senato, il legislatore ha optato per il sistema della doppia scheda e della separazione delle candidature nei collegi uninominali e nelle liste circoscrizionali che concorrono al riparto proporzionale. Al tempo stesso, però, le due parti del sistema sono rese interdipendenti perché:

§  i candidati nei collegi sono obbligati a collegarsi ad una lista;

§  il meccanismo dello scorporo impone un costo alle liste per l'appoggio dato ai candidati cui si collegano formalmente, costituito dai voti che ad esse vengono sottratti ai fini dei calcoli proporzionali, in caso di vittoria dei candidati stessi nei collegi uninominali;

§  i candidati, anche se non vincitori nei collegi uninominali, possono acquisire un seggio alla Camera perché entrano automaticamente a far parte, come si dirà, di una graduatoria cui si fa ricorso in caso di esaurimento delle liste circoscrizionali di candidati per l'assegnazione dei seggi proporzionali.

 

Alla Camera, come detto, lo scorporo è parziale. Fra le liste che hanno superato la soglia di sbarramento, la ripartizione proporzionale dei seggi è effettuata previa detrazione di una parte dei voti risultati necessari per eleggere i candidati nei collegi uninominali collegati alla lista (c. d. "scorporo parziale"): alle liste collegate a ciascun candidato eletto in un collegio uninominale è sottratta quella parte dei voti che, in ogni collegio, ha consentito al candidato collegato di vincere, e cioè i voti ottenuti dal candidato giunto al secondo posto, più uno. La legge stabilisce tuttavia una soglia minima di scorporo: per ogni candidato eletto in un collegio uninominale collegato ad una lista non può essere sottratto un numero di voti inferiori al 25% dei voti validi espressi in quel collegio. Qualora il candidato secondo classificato nel collegio abbia conseguito un risultato inferiore a tale percentuale, lo “scorporo” sarà pertanto pari al 25% dei voti validi del collegio. In caso di collegamento del candidato eletto con più liste, gli effetti dello scorporo sono distribuiti fra tutte le liste collegate in proporzione al numero di voti da ciascuna di esse ottenuti nel collegio.

 

Sulla base della delega – e dei relativi criteri e principi direttivi – contenuta all'articolo 7, di entrambe le leggi, sono stati, infine, adottati i Decreti legislativi 20 dicembre 1993, n. 535 e n. 536 recanti la determinazione dei collegi uninominali per l'elezione, rispettivamente del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.

Ancora gli stessi articoli 7 istituiscono anche la «Commissione per la verifica e la revisione dei collegi elettorali» ed indicano le circostanze per le quali quelle stesse leggi prevedono che si debba procedere alla revisione dei collegi.

 

 

 


Dai tentativi di correzione del sistema maggioritario misto all'approvazione della legge 270/2005

Il dibattito parlamentare e i referendum del 1999 e 2000

Dopo la seconda “sperimentazione” del nuovo sistema elettorale, all'inizio della XIII legislatura, riprende il dibattito politico e parlamentare sulla legge elettorale.

 

Le elezioni politiche del 27 e 28 marzo 1994 sono la prima prova del sistema maggioritario misto. I partiti seguono le nuove regole: i candidati nei collegi uninominali si collegano ad una o più liste; i collegamenti sono uguali in tutti i collegi della circoscrizione, ma non necessariamente in tutte le circoscrizioni. L'offerta politica è modulata territorialmente: nelle circoscrizioni del Nord (fino dove è presente la Lega Nord, allora la XIII circoscrizione, Toscana), Forza Italia e Lega Nord sono collegate insieme con candidati comuni, mentre Alleanza Nazionale sostiene suoi candidati; nelle altre circoscrizioni, invece, i candidati del centro destra sono collegati con Forza Italia e Alleanza Nazionale. Le liste del centro sinistra sono collegate a candidati comuni con il contrassegno 'Progressisti' in quasi tutte le circoscrizioni: Partito democratico della sinistra, Rifondazione comunista, Federazione dei Verdi, Partito Socialista Italiano, La Rete, Alleanza democratica (ma le liste non sono presenti in tutte le circoscrizioni).

Il centro destra ottiene la maggioranza alla Camera ma non al Senato. Il Governo si forma, ma dura, com'è noto, solo due anni.

Per le elezioni del 21 aprile 1996 i partiti cambiano strategia: i candidati nei collegi uninominali sono collegati ad una sola lista; tra le liste del centro destra non c'è nessun accordo; nel centro sinistra si fa l'accordo di desistenza: in alcuni collegi Rifondazione rinuncia a presentare il simbolo a favore di candidati del PDS, in altri collegi è il PDS a rinunciare al simbolo in favore del candidato di Rifondazione. La maggioranza, anche questa volta di misura, è conquistata dal centro sinistra.

 

La costituzione di una solida maggioranza di governo continua ad essere un aspetto problematico molto presente, insieme all'equilibrio tra governabilità e rappresentatività.

In sede parlamentare, la discussione si svolge inizialmente presso la Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, ove il tema della riforma elettorale era strettamente congiunto a quello della revisione della seconda parte della Costituzione e, segnatamente, della forma di governo e del sistema bicamerale. Tuttavia, non avendo la Commissione poteri referenti in materia elettorale, essendo tale disciplina dettata con legge ordinaria, si è lungamente discusso sull’opportunità di “costituzionalizzare” alcuni principi in materia elettorale. Nel giugno del 1997, tuttavia, si è proceduto alla presentazione di due ordini del giorno in materia, senza procedere alla votazione degli stessi, in cui si prospettava un sistema basato sul doppio turno.

Dopo l'arresto dell’esame in Aula alla Camera del testo elaborato dalla Commissione bicamerale (giugno 1998), i lavori in materia di legislazione elettorale sono ripresi presso l’altro ramo del Parlamento.

 

Nel febbraio del 1999, riprendendo le linee guida in materia elettorale definite dalla Commissione bicamerale il Governo (D’Alema I) ha presentato due disegni di legge l’uno relativo all’elezione della Camera (A.S. 3812) e l’altro al Senato (A.S. 3811). Il sistema proposto per la Camera, era basato sul doppio turno di collegio (il doppio turno era previsto qualora il candidato non avesse ottenuto il 50% dei voti validi) per eleggere il 90 % dei deputati. I candidati nei collegi avrebbero potuto presentarsi, oltre che con un contrassegno di lista anche con un contrassegno di coalizione. Il restante 10 % dei seggi veniva diviso in tre quote: non più di 23 seggi sarebbero stati attribuiti come “diritto di tribuna” per le liste che non si presentavano nei collegi uninominali; una seconda parte, invece, era destinata alla coalizione vincente come premio di maggioranza; i restanti seggi venivano attribuiti ai migliori perdenti nei collegi uninominali.

Il 18 aprile 1999 si svolgeva il referendum popolare relativo all’abolizione del meccanismo di attribuzione della quota proporzionale dei seggi della Camera attraverso liste (previsto dalla cd “legge Mattarella”). Il referendum, tuttavia, non otteneva il necessario quorum di validità richiesto dall’articolo 75 della Costituzione; votarono infatti 24,4 milioni di elettori pari al 49,6 % degli aventi diritto.

 

L’esame parlamentare è ripreso nel marzo del 2000 dopo la dichiarazione, da parte della Corte costituzionale della ammissibilità del quesito referendario che – anche questa volta - aveva ad oggetto le disposizioni e gli altri riferimenti che definiscono il sistema per la attribuzione dei seggi da assegnare con metodo proporzionale.

Alla ripresa dell’esame, il Governo ed i gruppi di maggioranza si sono fatti sostenitori di una proposta per l’elezione della Camera (A.S. n. 4505, d’iniziativa del sen. Elia ed altri) che scontava un previsto risultato positivo del referendum ed era, perciò, diversa da quella che aveva costituito sino ad allora il testo di riferimento. In particolare tale proposta era volta ad introdurre un premio di governabilità (o di maggioranza) e l’indicazione del candidato alla carica di Primo ministro nella scheda elettorale. Contestualmente, alcuni gruppi di opposizione (CCD, Forza Italia, RC) annunciavano la presentazione di proposte “neoproporzionali” che si ispirano al sistema di elezione del Bundestag.

Il 21 maggio 2000 si è svolto il referendum popolare e, per la seconda volta, non è stato raggiunto il quorum di validità, la percentuale di votanti si è abbassata ulteriormente rispetto al 1999: i votanti furono infatti meno di 16 milioni, corrispondenti al 32,4 % degli elettori.

Successivamente, dunque, i senatori dei gruppi della maggioranza hanno presentato un emendamento contenente una complessiva proposta di revisione del sistema per la elezione della Camera dei deputati. In tale emendamento si prospettava l'assegnazione del 50 % dei seggi con un meccanismo maggioritario e, della restante parte, con sistema proporzionale (con voto su “liste bloccate”) con una clausola di sbarramento fissata al 5 %. Si prevedeva, inoltre, la possibilità, per le coalizioni in competizione nei singoli collegi, di indicare il nome della persona indicata per la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il testo è stato successivamente integrato con l'introduzione di un premio di governabilità, in grado di portare al 55 % dei seggi la coalizione che avesse vinto ottenendo più voti ed avendo superato la soglia minima del 40 %. Nel testo sono state introdotte anche disposizioni per dare attuazione al nuovo dettato costituzionale sul voto e la rappresentanza degli italiani residenti all'estero.

La I Commissione, tuttavia, non ha ultimato l’esame e in Aula la maggioranza ha approvato un ordine del giorno favorevole all’introduzione di un sistema elettorale misto, da cui discenda anche l'indicazione del Presidente del Consiglio, in modo da incorporare la scelta del leader nella scelta della maggioranza nonché di meccanismi atti ad evitare crisi ministeriali (es. sfiducia costruttiva, attribuzione al Presidente del Consiglio del potere di proporre al Capo dello Stato anche la revoca dei ministri).

Lo scorporo di coalizione (cd. “Liste civetta”)

A ridosso dello scioglimento delle Camere è iniziato, presso la Commissione Affari costituzionali della Camera, l’esame in sede referente di una proposta di legge C. 7618 (Mussi ed altri), in materia di "scorporo di coalizione", meglio nota come proposta contro le “liste-civetta”. La proposta di legge interveniva su alcuni aspetti del procedimento per la presentazione delle candidature per le elezioni della Camera dei deputati, allo scopo di scoraggiare le pratiche elusive dell'obbligo di collegamento tra le liste e le candidature nei collegi uninominali e formalizzando a livello nazionale l’istituto della coalizione tra formazioni politiche.

La riforma della forma di governo regionale del 1999 e 2001

Tra il novembre 1999 e il gennaio 2001 intanto, si concludono le due riforme costituzionali che portano alla modifica del sistema di governo delle regioni.

La legge costituzione 1/1999 per le regioni a statuto ordinario e la legge costituzione 2/2001 per le regioni a statuto speciale, conferiscono a ciascuna regione la competenza legislativa sul proprio sistema di elezione dei consiglieri, del Presidente e degli altri componenti la Giunta, nonché la disciplina dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità degli stessi.

Per le regioni a statuto ordinario, il percorso di riforma era iniziato con l'approvazione della legge n. 43 del 1995, che modificava il sistema elettorale in senso maggioritario. Secondo quanto stabilito dalla legge - ancora alla base del sistema elettorale in quelle regioni che non hanno adottato una propria disciplina[3] - i 4/5 dei consiglieri (80%) sono eletti sulla base di liste circoscrizionali (provinciali) concorrenti, mentre il restante quinto dei consiglieri (20%) è eletto con sistema maggioritario sulla base di liste regionali concorrenti (il cd. listino); ciascuna lista regionale deve collegarsi con una o più liste provinciali e il nome del capolista compare nella scheda elettorale. La legge del 1995, tuttavia, non poteva disporre l'elezione diretta del Presidente della Giunta per il vincolo costituzionale recato dall'art. 122 Cost. della elezione del Presidente e della Giunta regionale da parte del Consiglio tra i propri componenti (ex comma 5).

La riforma elimina tale vincolo e l'ultimo comma dell’articolo 122 introduce direttamente nella forma di governo delle regioni a statuto ordinario l’elezione diretta del Presidente della Giunta. Lo statuto regionale potrà decidere per altra forma di governo, o modificare parzialmente taluni aspetti di questa; sino ad allora il Presidente della Giunta regionale è eletto a suffragio universale diretto e gli sono attribuiti i poteri previsti dalle disposizioni transitorie recate dall’articolo 5 della legge costituzionale n. 1/1999. Gli altri vincoli costituzionali, com'è noto, sono la nomina e la revoca dei componenti la Giunta regionale da parte  Presidente eletto (art. 122, ultimo comma), la disciplina delle cause di scioglimento (autoritativo) del Consiglio regionale, nonché le cause di cessazione dalle funzioni del Presidente eletto che, in ogni caso, comportano le dimissioni della Giunta, lo scioglimento del Consiglio regionale e nuove elezioni (art. 126 Cost.).

A seguito della riforma costituzionale, dunque, il capolista della lista regionale diventa il candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale. Rimane nella disciplina 'nazionale' 3 l'attribuzione dei seggi del listino come premio di maggioranza così come era stato disegnato dalla legge del 1995[4]: alla lista (o alle liste) collegata alla lista regionale vincente sono attribuiti comunque il 60 o il 55 per cento dei seggi del consiglio a seconda che essa abbia ottenuto nella regione più o meno del 40 per cento dei voti espressi per le liste regionali.

Le elezioni del 2001, i seggi vacanti e la revisione dei collegi uninominali

La questione dei seggi vacanti

Le votazioni del 13 maggio 2001 hanno consegnato alla Camera della XIV legislatura 11 componenti in meno rispetto ai 630 deputati che la Costituzione le assegna. Seggi che sarebbero spettati alla lista Forza Italia alla quale tuttavia, tra liste circoscrizionali e collegamenti nei collegi uninominali, sono mancati 13 candidati per completare l’assegnazione dei 62 seggi della quota proporzionale ai quali avrebbe avuto diritto in base ai risultati elettorali.

La strategia del ricorso alle “liste civetta”, già collaudata in abbozzo nelle elezioni del 1994 e un po’ più estesamente nelle elezioni del 1996, ha trovato grande applicazione nelle candidature per l’elezione del 2001; l’intento di evitare la penalizzazione dovuta al meccanismo dello scorporo ha suggerito a varie forze politiche di ridurre al minimo il numero dei candidati uninominali che dichiaravano il collegamento alle liste del partito di appartenenza.

In presenza di un grande numero di voti attribuito a queste liste – come nel caso della lista Forza Italia – i candidati nella quota proporzionale (il cui numero è al massimo un terzo di quello dei seggi proporzionali spettanti a ciascuna circoscrizione) non sono stati sufficienti a raccogliere il successo elettorale.

Secondo l’art. 11 del regolamento di attuazione della legge elettorale[5] quei seggi avrebbero dovuto essere ripartiti, proporzionalmente, fra le altre liste ammesse. La Camera però ha ritenuto di dover disattendere quella disposizione in quanto norma regolamentare incidente su materia coperta da riserva di legge.

Non offrendo la legge elettorale allora vigente una soluzione alternativa che consentisse di assegnare i seggi vacanti, essi sono rimasti tali per l’intera legislatura. Solo nel 2005 una nuova legge (L. 4 aprile 2005, n. 47) è intervenuta ad integrare la disciplina introducendo, accanto al meccanismo del collegamento tra candidati nei collegi uninominali e liste nella quota proporzionale, il concetto di coalizione di liste, individuabile tramite le candidature uninominali caratterizzate dal medesimo contrassegno. Questa definizione di “coalizione” ha definito un criterio in base al quale sono stati assegnati i seggi che si sono resi vacanti nel prosieguo della legislatura.

Il voto degli italiani all’estero

A conclusione di un percorso intrapreso nella XI legislatura, due leggi di revisione costituzionale approvate nello scorcio finale della XIII legislatura (la L.Cost. 17 gennaio 2000, n. 1[6], di modifica dell’art. 48 Cost., e la L.Cost. 23 gennaio 2001, n. 1[7], di modifica degli articoli 56 e 57 Cost.), hanno attribuito ai cittadini italiani residenti all’estero il diritto di eleggere, nell’ambito di una circoscrizione Estero, sei senatori e dodici deputati.

La nuova disciplina costituzionale ha lasciato invariato il numero complessivo di componenti delle due Camere. Il numero dei seggi da distribuire nelle circoscrizioni nazionali – detratti i seggi da assegnare nella circoscrizione Estero – ne è risultato quindi ridotto e pari, rispettivamente, a 618 per la Camera e 309 al Senato. L’art. 3 della L.Cost. n. 1 del 2001 ha demandato alla legge ordinaria il compito di stabilire contestualmente le modalità per l’attribuzione dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero e le modificazioni delle norme per l’elezione delle Camere conseguenti alla variazione del numero dei seggi assegnati nel territorio nazionale.

Nella XIV legislatura, con l’approvazione della L. 459/2001[8], cui è seguito il D.P.R. 104/2003[9], è stata attuata questa previsione costituzionale. La L. 459/2001 ha stabilito inoltre che, con le medesime modalità previste per le elezioni politiche, i cittadini italiani all’estero possano esprimere il proprio voto anche nei referendum abrogativi e per quelli costituzionali indetti rispettivamente sulla base dell’art. 75 e dell’art. 138 della Costituzione.

La revisione dei collegi uninominali

All’inizio della XIV legislatura una seconda questione metteva il Parlamento innanzi all’esigenza di dover intervenire legislativamente sul sistema elettorale: la revisione del numero e il ridisegno dei collegi uninominali.

La revisione era richiesta dalle stesse leggi istitutive (nn. 276 e 277/1993) per via della nuova determinazione della popolazione fatta dal censimento generale del 2001[10]; era ancor più necessaria per ripristinare il rapporto fra seggi maggioritari e quota proporzionale alterato dalla introduzione della disciplina sul voto degli italiani all’estero che aveva sottratto 12 deputati e 6 senatori alla rappresentanza eletta nelle circoscrizioni del territorio nazionale.

Entrambe queste cause concorrevano a modificare il numero dei seggi spettanti a ciascuna circoscrizione e, all’interno di queste, la ripartizione tra seggi da attribuire con metodo uninominale e seggi da attribuire con metodo proporzionale. Bisognava cioè determinare quali fossero le circoscrizioni alle quali i seggi venivano sottratti e come si sarebbe modificato di conseguenza il numero dei collegi uninominali.

Inoltre, la riduzione del numero dei seggi/collegi in talune circoscrizioni e lo spostamento della popolazione rilevato dal censimento 2001 richiedevano che le circoscrizioni dei collegi uninominali fossero ridisegnate per rispondere al parametro (indicato dalla legge) dello scostamento massimo del 10 % in più o in meno rispetto al valore medio della popolazione nei collegi della circoscrizione.

Le leggi elettorali prevedevano che all’inizio di ciascuna legislatura i Presidenti delle Camere procedessero al rinnovo della Commissione tecnica per la revisione dei collegi uninominali e che questa presentasse poi ai Presidenti la sua proposta di revisione. Secondo la normativa allora vigente, sia per dare seguito ad una proposta formulata dalla Commissione tecnica, sia per procedere su diversa iniziativa, il numero e le circoscrizioni territoriali dei collegi uninominali avrebbero potuto essere modificati soltanto con atto avente forza di legge.

Sin dall’inizio dei propri lavori la Commissione tecnica aveva richiesto alle Camere di indicare i criteri secondo i quali essa avrebbe dovuto procedere alla definizione della nuova proposta di assetto dei collegi uninominali. Erano possibili infatti più criteri nella determinazione dei collegi uninominali da assegnare a ciascuna circoscrizione e si sarebbe potuto procedere alla determinazione delle nuove circoscrizioni secondo più criteri, pervenendo a soluzioni molto diverse fra loro, tutte formalmente rispettose dei parametri indicati dalla legge.

La Commissione tecnica ne riferì alla Commissione affari costituzionali della Camera e questa chiese in proposito l’avviso del ministro dell’interno. Nel frattempo aveva preso corpo anche il procedimento di revisione delle due leggi elettorali e per molto tempo i due procedimenti percorsero strade parallele.

Nel frattempo, per garantire che si potesse procedere alla elezione delle Camere in caso di scioglimento anticipato, il Governo emanò un decreto-legge con il quale determinava un nuovo assetto dei collegi uninominali nella regione Molise la quale, per via della assegnazione dei seggi alla circoscrizione Estero, aveva perso il seggio proporzionale e avrebbe votato soltanto per l’elezione dei candidati nei collegi uninominali (D.L. 26 aprile 2005, n. 64).

La disciplina introdotta dal decreto-legge non fu rinnovata alla sua scadenza (settembre 2005) perché nel frattempo la Commissione affari costituzionali della Camera aveva intrapreso la parte finale del procedimento che avrebbe portato alla modifica delle due leggi elettorali tramite l’approvazione della L. 270/2005.

I tentativi di “correzione” della legge Mattarella e la legge n. 270 del 2005

La vicenda dei 12 seggi non assegnati, le critiche rivolte da molte parti alla disciplina dello “scorporo” e al ricorso alle “liste civetta”, l’osservazione che molti elettori avevano utilizzato il voto disgiunto fra proporzionale e maggioritario, a danno di quest’ultimo perché, probabilmente, non avevano trovato nella scheda del voto uninominale il contrassegno della propria lista ed, infine, le aspirazioni di taluni gruppi ad aumentare il numero dei seggi assegnati con il metodo proporzionale, hanno fatto si che, sin dall’inizio della XIV legislatura, si manifestasse l’esigenza di correggere la legge elettorale vigente.

Sulle due principali questioni sono state avanzate molte proposte emendative con riguardo:

§  alla disciplina dello scorporo, per rendere inefficace il ricorso alle “liste civetta”; alcune proposte erano intese a rendere obbligatorio (non evitabile) lo scorporo, introducendo il cosiddetto “scorporo di coalizione” (A.C. 2620, 3304, 5613, 5908). Una articolata disciplina della presentazione delle liste e delle dichiarazioni di collegamento avrebbe consentito agli uffici elettorali di dichiarare il collegamento d’ufficio ed operare lo scorporo dei voti anche quando i presentatori di liste e candidature avessero reso dichiarazioni elusive; altre proposte, invece, tendevano a cancellare lo scorporo e consentire che in sede proporzionale (sia alla Camera, sia al Senato) le liste (o i raggruppamenti di candidati) potessero concorrere con tutti i voti ottenuti (A.C. 2712, 3560);

§  alla scheda ed alle modalità di espressione del voto; le proposte erano intese a consentire che nella scheda per la votazione uninominale alla Camera e nella scheda per il voto al Senato, potessero comparire i contrassegni delle liste proporzionali in numero tale da consentire la “presenza” visibile di tutte le liste partecipanti alla coalizione (delle principali, almeno) (A.C. n. 5651, n. 5652). In queste, una proposta era intesa a unificare, per la Camera, in un’unica scheda, voto uninominale e proporzionale per consentire all’elettore di votare in ogni caso “la propria lista” rendendo questo voto efficace anche ai fini della scelta del candidato della coalizione nel collegio uninominale;

La terza linea di intervento – quella intesa a modificare il rapporto del voto tra maggioritario e proporzionale in favore di quest’ultimo – pur presente nel dibattito politico che accompagnava le proposte di revisione, non era stata tradotta in una proposta di legge da abbinare nell’esame in Commissione.

 

Le prime proposte di intervento sulle leggi elettorali – intese ad impedire che in futuro si potesse ricorrere nuovamente alle liste civetta – furono presentate nell’aprile del 2002 ma la Commissione ne avviò concretamente l’esame – di queste e delle altre sopravvenute – nel marzo 2005, ad un anno dalla scadenza della legislatura. Il teso unificato presentato dal relatore come testo base per la Commissione[11] il 6 giugno 2005, propone infine l'abolizione dello scorporo (e poche altre modifiche). Questo testo verrà successivamente abbandonato.

La legge n. 270 del 2005

L’intervento legislativo definitivo e di più ampia portata è stato inserito in forma emendativa in un testo unificato (A.C. 2620 e abb.), all’esame della I Commissione della Camera, che recava in origine limitate modifiche al sistema vigente. La legge 270/2005, novellando in più parti i testi unici per l’elezione di Camera e Senato, ha introdotto un nuovo sistema elettorale, orientato in senso interamente proporzionale, con premio di maggioranza e articolate soglie di sbarramento per liste e coalizioni.

 

Ai fini dell’elezione della Camera la legge prevede, in estrema sintesi, che:

§  i partiti politici che intendono presentare liste di candidati possono collegarsi tra loro in coalizioni; i partiti che si candidano a governare presentano il loro programma e indicano il nome del loro leader. I partiti collegati in coalizione depositano lo stesso programma e indicano il nome del capo della coalizione;

§  l’elettore esprime un solo voto per la lista di candidati prescelta; non è prevista l’espressione di preferenze;

§  i seggi sono ripartiti proporzionalmente in ambito nazionale - con il “metodo del quoziente intero e dei maggiori resti” - tra le coalizioni di liste e le liste che abbiano superato le soglie di sbarramento previste dalla legge. Sono previste soglie di sbarramento per le coalizioni nel loro complesso (10% del totale dei voti validi[12]), per le liste che non facciano parte di una coalizione ammessa alla ripartizione (4%), e per le liste che ne facciano parte, ai fini della ripartizione dei seggi già assegnati alla coalizione (2%[13]);

§  alla coalizione di liste (o alla lista non coalizzata) più votata, qualora non abbia già conseguito almeno 340 seggi, è attribuito un premio di maggioranza tale da farle raggiungere tale numero di seggi;

§  l’assegnazione dei seggi spettanti in ogni circoscrizione alle coalizioni e alle liste ha luogo secondo un complesso meccanismo ispirato anch’esso a criteri di proporzionalità e accompagnato da procedure di correzione.

 

La disciplina proposta per l’elezione del Senato è analoga a quella già descritta con riguardo alla Camera, ma presenta alcune differenze legate alla natura dell’organo, che è eletto “su base regionale” (art. 57, co. 1°, Cost.). Queste le principali:

§  i seggi sono ripartiti e assegnati in ambito regionale, e le soglie di sbarramento (più elevate[14]) sono anch’esse riferite al totale dei voti conseguiti nella Regione;

§  è assegnato Regione per Regione anche il premio alla coalizione o lista singola più votata, con l’attribuzione del 55% dei seggi spettanti alla Regione, qualora essa non abbia già conseguito tale risultato.

Mentre resta ferma la disciplina elettorale per gli italiani all’estero, sono previste specifiche disposizioni per talune Regioni (Molise, Valle D’Aosta e Trentino-Alto Adige) caratterizzate da bassa popolazione o dalla presenza di consistenti minoranze linguistiche.

 

 


Le iniziative di riforma elettorale nella XV e XVI legislatura

Sin dai primi passi della XV legislatura il dibattito politico, la pubblicistica che lo sostiene ed i lavori parlamentari sono percorsi da proposte e propositi di ‘ripensamento’ dei sistemi elettorali di Camera e Senato appena ridisegnati dalla legge 270 del 2005 (il c.d. Porcellum).

 

All’indomani del primo risultato di quella legge (l’elezione del 9 e 10 aprile 2006), nell’esposizione degli indirizzi programmatici del nuovo Governo (PRODI II), il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali dichiarava che la maggioranza riteneva necessaria una modifica alla legge elettorale vigente sia perché essa era stata approvata sul finire della precedente legislatura senza il concorso dell’allora opposizione, sia perché le scelte operate da quella legge erano foriere di “disfunzione e di contraddizione nel rapporto tra eletti e territorio”.

 

Di fatto su quel primo risultato elettorale gravava il peso di una maggioranza parlamentare debole ed incerta al Senato, per la sfavorevole combinazione dei premi di maggioranza regionali, contro una maggioranza solida di 63 seggi alla Camera ottenuta però con un premio di 62 seggi e contestata per via delle poche decine di migliaia di voti che, invece, avevano separato la coalizione ‘vincente’ da quella ‘perdente’.

 

XV e XVI legislatura sono state percorse perciò ininterrottamente dal dibattito politico-dottrinale sulla ‘revisione della legge elettorale’, dai lavori della Commissione Affari costituzionali del Senato che ha inseguito lungo le due legislature un testo parlamentare di modifiche condivise e da due tentativi referendari (2009 e 2011) che hanno sperato di forzare la mano ai partiti e al Parlamento ritenuti (dai promotori) entrambi interessati a conservare (nella sostanza) la legge vigente. Senza dimenticare le petizioni popolari, esauritesi anch’esse nel dibattito parlamentare. Nel mezzo, le elezioni del 2008 dove, con quella stessa legge, la maggioranza ‘vincente’ (questa volta di centro-destra) con oltre 3 milioni di voti su quella ‘perdente’ ha conquistato alla Camera i 63 seggi di differenza con (soli) 40 di premio e, soprattutto, una favorevole combinazione dei premi regionali al Senato ottenendone 34 seggi di vantaggio.

Le criticità della legge 270/2005

Proposte di modifica e proposte alternative al sistema della legge n. 270/2005 si sono sovrapposte e combinate sin dall’inizio dei lavori della Commissione Affari costituzionali del Senato nella XV legislatura.

 

Nel tempo, le critiche a quella legge sono andate crescendo di numero e ne hanno investito sia l’impianto fondamentale sia  singolarmente, molte delle modalità operative in cui quello si traduce:

§  la formazione di coalizioni elettorali, sovente formate da liste eterogenee e politicamente distanti, motivate soltanto dall’obiettivo di aggregare i numeri che possano vincere la posta maggioritaria;

§  la ‘forzatura’ costituzionale (e politica) della indicazione del ‘capo’ come futuro Presidente del Consiglio dei ministri;

§  il sistema delle soglie, di fatto inconsistente e che favorisce la frammentazione non solo per l’accesso ai seggi ma per la determinazione della cifra elettorale della coalizione vincente;

§  il sistema delle candidature, che presenta liste corpose sino a 43 candidati tutti vincolati nella elezione all’ordine stabilito dal partito proponente (e, per converso, l’assenza del voto di preferenza, o di altro sistema di scelta diretta da parte dell’elettore);

§  la multicandidabilità senza limiti ed il ‘balletto’ delle opzioni che ne segue;

§  il premio di maggioranza alla Camera ed al Senato, assegnati senza un limite minimo di voti o di seggi già conquistati in termini proporzionali dalla lista o coalizione che lo vince;

§  i premi assegnati entrambi senza un limite massimo in numero di seggi;

§  il premio assegnato per regione al Senato, cosa questa che rende aleatorio il suo risultato nazionale e che lascia aperta l’eventualità che fatte le due somme nazionali (di voti e di seggi), il premio abbia favorito la lista o coalizione che ha ottenuto il minor numero di voti;

§  la ‘sconnessione’ fra premio elettorale e formazione della maggioranza parlamentare: può avvenire infatti – ed è accaduto ripetutamente nelle scorse legislature – che le liste che hanno ottenuto il premio perdano componenti in favore delle liste di opposizione, o che – come è avvenuto per la legislatura in corso – il premio (o una sua parte) sia assegnato ad una lista che si colloca direttamente all’opposizione.

Le proposte di modifica

Le proposte di “correzioni” alla legge vigente hanno riguardato tutti, o quasi tutti gli aspetti richiamati; quelle alternative hanno attinto copiosamente ai principali modelli elettorali di sistemi proporzionali, maggioritari e misti tentando, il più delle volte, di adattare quei sistemi e quei metodi alle particolarità di un quadro politico frammentato e disomogeneo al suo interno e fra i territori.

 

Si ricorda inoltre che alcune proposte di riforma del sistema elettorale – più nella XVI che non nella XV legislatura – prevedevano che, in parallelo, il Parlamento procedesse alle modifiche costituzionali che le avrebbero rese praticabili sia sotto il profilo della legittimità che dell’efficacia; così sicuramente quelle in cui il sistema elettorale scontava la riduzione del numero dei parlamentari, o l’adozione di una forma di governo presidenziale o semi-presidenziale, o ancora soltanto il rafforzamento dell’esecutivo tramite la cosiddetta “sfiducia costruttiva”.

 

I lavori della Commissione Affari costituzionali del Senato sono approdati a tre ipotesi in successione: due nella XV legislatura, entrambe significativamente diverse dal sistema della legge n. 270/2005 ed una, ma con numerose varianti in successione, nella XVI legislatura. Quest’ultima – nel testo unificato proposto dal relatore di maggioranza – aveva dichiaratamente l’intento di preservare l’impianto maggioritario e coalizionale della legge vigente e correggerne le ‘distorsioni’ determinate – principalmente - dalla disciplina del premio di maggioranza e – per usare la formula più corrente e sintetica – dalla assenza del voto di preferenza.

 

Tra le proposte alternative ha avuto senza dubbio il più largo consenso quella del «ritorno al Mattarellum». Avanzata da esponenti di quasi tutte le formazioni politiche, da studiosi ed, infine, dal comitato che si è formato intorno alla richiesta del referendum del 2011, questa proposta aveva l’intento di pervenire attraverso l’abrogazione – tout court – della legge n. 270/2005 e alla contestuale reviviscenza (automatica, o per novazione) della disciplina previgente. I due quesiti abrogativi sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte costituzionale (Sent. 24 gennaio 2011, n. 13).

Senza ricordarle singolarmente, la gran parte di quelle proposte – nella XV come nella XVI legislatura – hanno adottato la formula sintetica della abrogazione della legge n. 270/2005 e della nuova efficacia delle disposizioni precedenti (XV legislatura, Casson, S. n. 904, Peterlini, S.n. 1604, XVI legislatura Ceccanti, S.n.1549, Parisi, C.n.2421, e molti altri). Talune di esse però, non poche, accompagnano quella formula con modifiche più o meno ampie del ‘Mattarellum’, mirando ad apportarvi le correzioni già definite nel corso dell’iter (XIV legislatura) che portò alla approvazione della legge n. 270/2005: la disciplina dello scorporo ed il problema delle ‘liste civetta’, la disciplina delle candidature e la pluricandidabilità, l’introduzione – alla Camera - del voto unico, o l’applicazione anche alla Camera del sistema Senato (XVI legislatura, Cabras, S.n. 1550, Ceccanti S.n. 2327, Martella, C. n. 1852), l’abolizione della quota proporzionale, la revisione dei collegi uninominali ed altro ancora.

 

Una diversa iniziativa di riforma della legge elettorale è quella promossa attraverso i quesiti referendari del 2009. L'intento dichiarato dai promotori era quello di spingere i soggetti politici rappresentati nel Parlamento a perseguire, sin dalla fase pre-elettorale, la costruzione di un raggruppamento unitario, favorendo in tal modo l'apertura di una prospettiva tendenzialmente bipartitica o, comunque,  la riduzione della frammentazione del quadro partitico. I primi due quesiti del referendum del giugno 2009, incidevano su varie disposizioni dei testi unici per l'elezione di Camera e Senato, al fine di sopprimere la disciplina che permetteva il collegamento di più liste in coalizioni. In caso di esito positivo dei referendum, si avrebbe avuto, quale principale conseguenza, l’attribuzione del premio di maggioranza alla lista singola – e non più alla coalizione di liste – che ottenesse il maggior numero di voti. Inoltre, l’abrogazione delle norme sulle coalizioni avrebbe comportato indirettamente anche un innalzamento delle soglie di sbarramento per l’accesso alle Camere. Con il terzo quesito, veniva proposto l’eliminazione della possibilità per un candidato di presentarsi in più circoscrizioni; in tal modo si voleva rafforzare il rapporto tra elettori ed eletti, recuperando una maggiore corrispondenza tra le liste presentate nelle diverse circoscrizioni ed i candidati effettivamente eletti.

I “SI” ebbero successo – circa l’80% dei partecipanti al voto – ma il numero dei partecipanti restò ampiamente sotto la soglia di validità del referendum (fermandosi a circa il 24 % degli elettori).

 

Se si eccettuano alcune proposte singolarmente nuove per il contesto elettorale italiano – come alcune intese ad introdurre il voto alternativo (talvolta impropriamente indicato nella cronaca come «sistema australiano»), o una proposta mutuata dalla tripartizione del voto in una precedente versione del «sistema ungherese» - le proposte di iniziativa parlamentare presentate nella XV e nella XVI legislatura si raccolgono di fatto come variazioni e adattamenti sotto le due grandi partizioni dei sistemi elettorali: quelli di ispirazione proporzionale e quelli maggioritari, o ‘tendenti’ a quel risultato. Nel mezzo le numerose combinazioni dei sistemi misti, quale è quello della legge n. 270 del 2005 e quali sono molte delle proposte di modifica avanzate, a partire dalla cosiddetta “Prima Bozza Bianco”, relatore alla I Commissione nella XV legislatura (4 luglio 2007), e dal Testo unificato Malan, relatore di maggioranza alla stessa Commissione Affari costituzionali del Senato nella XVI legislatura (11 ottobre 2012).

 

Intorno alle modifiche, o correzioni di sistema, si innestano poi le molte questioni che in ciascuna proposta ne qualificano aspetti importanti: circoscrizioni e collegi, soglie, candidature, coalizioni, numero di schede e numero di voti, voto di preferenza, voto unico e ballottaggi.

 

Il ritorno ad un sistema proporzionale è proposto il più delle volte nelle modalità del cd. «sistema tedesco», limitato generalmente al sistema Camera e con le correzioni necessarie alla impossibilità di prevedere i seggi in “sovrannumero”. Per il Senato quelle proposte ricorrono, generalmente, al sistema pre-1993. Nella XV legislatura le proposte Salvi (A.S. 1391), Russo Spena (A.S. 1553), Baccini (A.S. 1746), Cutrufo (A.S. 1455), Saro (A.S. 1917). Tra le diverse varianti proposte si ricordano quelle che semplificano il doppio voto in voto unico; quelle che conservano la soglia al 5% o che la esclude del tutto. Nella XVI legislatura quelle proposte sono state generalmente presentate senza ulteriori modifiche: Rutelli (S.n. 2293), Tomassini (S.n. 3035), Tabacci (A.C. 3634), Ria (A.C. n. 3659).

 

Al «sistema tedesco» era anche ispirata la proposta di testo unificato avanzata dal relatore e presidente della Commissione affari costituzionali del Senato, sen. Bianco, sul finire della XV legislatura (15 gennaio 2008, proposta poi ri-presentata come disegno di legge nella XVI legislatura, A.S. 2650). Quel testo, non esaminato per la conclusione anticipata della legislatura, prevedeva per la Camera la doppia ripartizione dei seggi circoscrizionali (le circoscrizioni pre-Mattarellum) in collegi uninominali e liste proporzionali, il doppio voto su scheda unica, l’elezione a maggioranza semplice nei collegi uninominali, la soglia nazionale pari al 5% del totale dei secondi voti, la ripartizione nazionale dei seggi con il metodo dei quozienti interi e maggiori resti, l’assorbimento dei seggi già ottenuti nei collegi uninominali, la riassegnazione nelle circoscrizioni dei seggi attribuiti alle liste in sede nazionale. Per l’elezione del Senato la proposta prevedeva un sistema dei collegi uninominali simile a quello in uso per l’elezione dei consiglieri provinciali: in ciascuna regione un numero di collegi uninominali uguale al numero dei senatori spettanti, la soglia del 5% regionale, la ripartizione proporzionale ai gruppi di candidati per quozienti interi e maggiori resti, la proclamazione secondo la graduatoria delle cifre individuali (così nella XVI legislatura anche la proposta Del Pennino, A.S. 3076).

 

Altre proposte di legge proponevano il ritorno al proporzionale post-Costituente, con poche variazioni di adattamento.

 

Sul versante opposto si segnalano le proposte intese ad introdurre sistemi marcatamente maggioritari ispirati, alternativamente, ai modelli inglese, francese e spagnolo; i primi, optando per l’attribuzione della totalità dei seggi in collegi uninominali a turno unico e maggioranza semplice; i secondi, per collegi uninominali a doppio turno per la totalità, o per una consistente quota di seggi, i terzi per ripartizioni e assegnazioni in circoscrizioni relativamente piccole (5/9 seggi) in cui la selezione maggioritaria fosse operata dalla soglia implicita e, per un ulteriore piccolo effetto, dalla ripartizione circoscrizionale con il metodo d’Hondt. A parte vi sono poi le altre proposte in cui l’effetto maggioritario è determinato da varie configurazioni del premio di maggioranza, di coalizione o di governabilità che combinano, sulla scia della legge n. 270/2005, competizione proporzionale ed esito maggioritario.

Altre proposte di legge si muovono con analoga ispirazione sul modello della legge elettorale per le regioni a statuto ordinario (il così detto «Tatarellum»), che viene adattata, per la Camera, attraverso la previsione dell’impossibilità di eleggere direttamente il Presidente del Consiglio.

 

Proposte per l’assegnazione di tutti i seggi Camera e Senato con sistema maggioritario a turno unico («Modello inglese») sono state avanzate nella XVI legislatura: disegni di legge Ceccanti (A.S. 2312) e Musso (A.S. 2357). Esseiprevedono la possibilità di concorrere soltanto per candidati nei collegi uninominali senza alcun collegamento fra essi, né di lista, né di coalizione. Prevedono un solo turno di votazione ed il ricorso al voto singolo trasferibile. In una variante della formula uninominale del voto alternativo l’elettore vota il suo ordine preferenziale di tutti i candidati (A.S. 3212); in un’altra variante l’espressione del voto può avvenire per due (soli) candidati in ordine di prima e seconda preferenza (A.S. 2357). E’ eletto il candidato che con le prime preferenze, o con la somma delle successive preferenze, raggiunge la maggioranza assoluta + 1.

 

Il maggioritario con doppio turno di collegio (sul «Modello francese») è proposto, con la sola variante sul numero dei candidati ammessi al secondo turno, dalle proposte di legge presentate nella XV (Finocchiaro , A.S. 1673) e XVI legislatura (Perduca, A.S. 1105 e Ceccanti, A.S. 2098) . Anche in questo caso, in ciascuna circoscrizione Camera e regione Senato sono costituiti tanti collegi uninominali quanti sono i seggi assegnati. Le candidature sono singole, ma possono essere “appoggiate” da uno o più partiti e gruppi politici. Sulla scheda però non potranno essere presenti più di quattro contrassegni a contraddistinguere il nome del candidato. Al primo turno è eletto il candidato che ottiene la maggioranza assoluta dei seggi, all’eventuale ballottaggio partecipano i due candidati che al primo turno hanno ottenuto il maggior numero di voti. Una delle proposte (A.S. 2098) allarga la partecipazione al ballottaggio ai candidati che al primo turno hanno ottenuto un numero di voti validi superiore al 12,5% del totale dei voti validi nel collegio.

 

Al «Modello spagnolo» è direttamente ispirata una proposta di legge della XV legislatura (Tonini, A.S. 1450). Di quel sistema coglie principalmente l’effetto ‘soglia’ implicita costituito dalla ridotta dimensione delle circoscrizioni e dalla adozione della ripartizione circoscrizionale proporzionale ma con il metodo d’Hondt. Le circoscrizioni assumono numero e territorio delle province con l’adozione del metodo maggioritario nelle circoscrizioni cui sia assegnato un solo seggio e l’accorpamento ad una circoscrizione limitrofa delle province cui – in base alla popolazione residente - non spetterebbe alcun seggio. Nelle circoscrizioni più grandi, ove la soglia implicita potrebbe divenire troppo bassa, trova applicazione la soglia esplicita del 3% circoscrizionale. Il sistema si struttura ed agisce nello stesso modo per Camera e Senato.

 

Nella prima metà del 2007, intorno alle intese che si andavano cercando fra i partiti sulla definizione di un primo testo comune da adottare per il prosieguo del lavori della Commissione Affari costituzionali del Senato, prese forma la così detta proposta «Ispano-tedesca» come ipotesi di un sistema che poteva conciliare una competizione proporzionale e personalizzata con gli effetti aggregativi e – sperabilmente – bipolari della ‘correzione’ maggioritaria che consegue alla ridotta dimensione delle circoscrizioni e alla adozione in quelle del metodo di ripartizione d’Hondt.

Del sistema tedesco assume la bipartizione dei seggi al 50% fra collegi uninominali e liste circoscrizionali, la ripartizione dei seggi con metodo proporzionale e il “riassorbimento” nella quota proporzionale dei seggi ottenuti nei collegi uninominali. Ispirandosi però al sistema spagnolo le circoscrizioni sono formate da complessi di 6, 7 o 8 collegi uninominali ed assegnano complessivamente 12, 14, 16 seggi ; questi sono ripartiti con il metodo d’Hondt in ciascuna circoscrizione, senza alcun recupero nazionale. Alla soglia espressa del 3% circoscrizionale si aggiunge quindi quella implicita determinata dal metodo di ripartizione. L’elettore dispone di un solo voto, espresso per il candidato uninominale; quel voto è computato nella cifra elettorale della lista collegata a quel candidato. La personalizzazione del voto (in luogo del voto di preferenza) non tocca soltanto il candidato nel collegio uninominale, ma si estende ai candidati della breve lista circoscrizionale, anch’essi elencati nella scheda di votazione; le liste circoscrizionali non esauriscono le candidature possibili e lasciano spazio alla elezione dei ‘migliori perdenti’ come nel sistema introdotto dalla ‘legge Mattarella’ per l’elezione del Senato.

 

Echi del sistema spagnolo ricorrono per altro in molte delle modifiche proposte alla legge n. 270/2005 nell’adozione di circoscrizioni di piccole dimensioni in grado di sostituire il complesso sistema di soglie multilivello della legge vigente, sia per l’adozione di liste di candidati quanto possibili brevi e ‘conoscibili’ dagli elettori, come alternativa all’adozione del voto di preferenza.

 

Sono infine numerose le proposte intese a modificare la legge n. 270/2005 senza travolgerne però interamente il sistema.

Alcune introducono modifiche ad aspetti determinanti come l’introduzione del voto di preferenza (XV legislatura, Cutrufo, A.S. 124, Peterlini, A.S.1572, Iniziativa popolare, A.S. 1936, XVI legislatura, Romano, A.S. 1886, Zinzi, A.C. 1095 e molti altri), la soppressione o la riduzione della possibilità di candidature multiple (XVI legislatura, Molinari, A.S. 748, Benedetti-Valentini, A.S. n. 3001 e ancora molti altri), qualche variazione al sistema delle soglie o alla misura e alle regole di attribuzione del premio di maggioranza.

 

Altre invece conservano l’impianto della legge vigente per un sistema a ripartizione proporzionale con esito maggioritario all’attribuzione affidato alla attribuzione di un premio in seggi, ma ne modificano la disciplina mirando ad evitare le censure attualmente rivolte alla misura e alla operatività del premio di maggioranza e al permanere delle “liste bloccate”.

Questa impostazione è accolta dalle proposte di testo unificato avanzate dai due relatori nella Commissione Affari costituzionali del Senato nella XVI legislatura. Nella seduta dell’11 ottobre 2012 i due relatori, i senatori Malan e Bianco, presentano ciascuno una propria proposta di testo unificato, ispirate entrambe al sistema prospettato dalla proposta Quagliariello A.S. 3428, ma differenti tra loro per la scelta del criterio di assegnazione dei seggi che sostituisce le “liste bloccate”: la combinazione del voto di preferenza alternato a candidature “bloccate”, il primo, e un articolato sistema di 309 collegi uninominali che si combinano con candidature anch’esse in liste circoscrizionali bloccate, il secondo.

 

Il sistema proposto dai testi Malan e Bianco è ancora quello della competizione proporzionale tra liste e, per il premio di maggioranza, tra coalizioni di liste con assegnazione dei seggi in sede nazionale. L’esito maggioritario è affidato ad un premio di maggioranza di 76 seggi (in misura fissa e senza ulteriori condizioni nelle proposte iniziali) da assegnare alla lista, o alla coalizione di liste che ottiene il maggior numero di voti validi in sede nazionale. Il territorio nazionale è ripartito in circoscrizioni che, nella proposta Malan, avrebbero dovuto essere più numerose e meno estese di quelle esistenti (tendenzialmente le 32 circoscrizioni del sistema elettorale pre-1993) e, nella proposta Bianco, sono ulteriormente divise in 309 collegi uninominali.

 

Diverso invece il sistema delle candidature: il testo Malan prevede che l’elettore possa esprimere tre voti di preferenza. Le liste circoscrizionali sono per questo divise in due elenchi: un primo elenco, pari ai 2/3 dei seggi assegnati alla circoscrizione, è composto di candidati la cui elezione è connessa alla graduatoria dei rispettivi voti di preferenza; un secondo elenco, pari al restante terzo dei seggi assegnati, è composto di candidati la cui elezione segue l’ordine nella lista. L’elettore dispone di un solo voto che esprime per la lista prescelta; a questo può aggiungere sino a tre voti di preferenza scegliendo candidati che fanno parte del primo elenco. Nella espressione della preferenza plurima è disciplinato il voto di genere.

 

Permane un articolato sistema di soglie per l’accesso alla ripartizione dei seggi: una soglia nazionale del 5% del totale dei voti validi che si applica, di fatto, alle sole liste non coalizzate; una soglia nazionale del 4% per le liste che fanno parte di una coalizione, senza che vi sia congiunta – come nella legge attuale – una corrispondente soglia di coalizione; una soglia rivolta alle formazioni politiche insediate prevalentemente in parti del territorio nazionale: 7% dei voti validi in un territorio che comprenda almeno un sesto della popolazione nazionale; una soglia per le liste rappresentative di minoranze linguistiche, il 15% dei voti validi espressi nella circoscrizione.

 

I seggi (541 alla Camera, giacché 76 sono riservati al premio di maggioranza e 1 al collegio uninominale di Aosta e 271 al Senato, ove il premio di maggioranza è fissato in 37 seggi) sono ripartiti tra le liste ammesse – liste e non coalizioni – in sede nazionale alla Camera con il metodo d’Hondt e in sede regionale al Senato con il medesimo metodo.

 

Per l’assegnazione del premio di maggioranza alla Camera l’Ufficio elettorale nazionale individua la coalizione di liste, o eventualmente, la lista che ha ottenuto il maggior numero di voti  e assegna a questa i seggi premio. Nella proposta iniziale il premio è determinato in misura fissa e la sua assegnazione non è condizionata da altri parametri. Se il premio è assegnato ad una coalizione di liste, i 76 seggi sono ripartiti con il metodo d’Hondt fra le liste partecipanti ammesse alla ripartizione dei seggi. Successivamente l’Ufficio procede alla assegnazione nelle circoscrizioni dei seggi ottenuti da ciascuna lista. Il metodo ricalca sostanzialmente quello della legge in vigore.

 

L’Ufficio elettorale circoscrizionale, ricevute le indicazioni sul numero dei seggi spettanti a ciascuna lista proclama eletti per ciascuna di esse – sino a concorrenza dei seggi cui la lista ha diritto – per due terzi di quel numero, con arrotondamento all’unità superiore, candidati appartenenti al primo elenco (quello dei voti di preferenza) seguendo la graduatoria delle rispettive cifre individuali e per il terzo residuo candidati del secondo elenco (la lista bloccata) seguendo l’ordine di lista. Più complessa – per via della ripartizione fra le regioni dei 37 seggi del premio di maggioranza – ma sostanzialmente ispirata ai medesimi principi e criteri l’assegnazione dei seggi e le proclamazioni al Senato.

 

Della bozza di testo unificato presentata dal senatore Bianco si è detto che essa differisce da quella del senatore Malan principalmente perché sostituisce il voto di preferenza con l’articolazione dei seggi – in ciascuna circoscrizione Camera e Senato – in due blocchi: il 50% nei quali concorrono e sono eletti candidati uninominali con il metodo maggioritario semplice ed il 50% di candidature circoscrizionali recate da una lista bloccata. L’assegnazione dei seggi alle liste ed il premio alle coalizioni è il medesimo del testo Malan, ma è più complessa ed articolata la disciplina diretta ad “assorbire” i seggi uninominali nella quota proporzionale spettante a ciascuna lista.

 

La questione conflittuale sulla quale la Commissione ha a lungo discusso riguarda la disciplina del premio di maggioranza e fu posta in modo dirimente dalla approvazione dell’emendamento [1.90. (testo 3), 20 novembre 2012] che per l’assegnazione del premio alla Camera poneva la condizione che la lista o la coalizione maggioritaria avesse ottenuto almeno il 42,5% del totale dei voti validi in sede nazionale. In caso contrario, la ripartizione dei seggi sarebbe stata meramente proporzionale, salvo l’applicazione delle soglie.

 

Furono avanzate ed esaminate molte proposte alternative, non tutte formalizzate in altrettanti emendamenti:

-       dove fissare la soglia di accesso al premio, (40% o quote inferiori);

-       come dimensionare il premio riducendolo in misura fissa (50 seggi) in ragione del numero di voti ottenuti dalla coalizione o lista cui sarebbe assegnato, o proporzionandolo in misura variabile al numero di voti, o al numero di seggi ottenuti dalla lista vincente nella ripartizione proporzionale (si parlò dell’ «ascensore»);

-       fissare comunque una soglia di seggi oltre la quale non sarebbero stati assegnati ulteriori seggi (340 seggi);

-       sdoppiare il premio prevedendo insieme al premio di maggioranza un premio alla seconda lista o coalizione (la maggiore delle minoranze), immaginando un premio di governabilità concesso comunque alla prima lista quale che fosse il risultato raggiunto nella ripartizione proporzionale.

 

Su tutte queste proposte non vi furono votazioni formali ed i lavori si esaurirono senza una decisione in merito.

 

 

 


Questioni aperte

Premio di maggioranza e preferenze: l'ordinanza della Corte Suprema di Cassazione

L'occasione della ordinanza[15] con quale la Corte Suprema di Cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della vigente legge elettorale, ha riproposto all'attenzione del legislatore alcuni dei punti problematici del sistema elettorale già emersi nel dibattito politico e parlamentare e già rilevati anche in passato dalla Corte costituzionale.

 

Il giudizio ha origine nell’atto di citazione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dell’Interno, presentato dall’avv. Aldo Bozzi in qualità di cittadino elettore al Tribunale civile di Milano nel novembre 2009, adducendo che le disposizioni della vigente legge elettorale gli avrebbero impedito l’esercizio libero e diretto del diritto di voto nelle elezioni del 2006 e del 2008, in contrasto con gli articoli 48, 56 e 58 della Costituzione.

Nell’atto di citazione, le previsioni della legge elettorale, che non consentono la scelta del singolo candidato da parte dell’elettore, che attribuiscono premi di maggioranza e che prevedono l’indicazione del capo di ciascuna lista o coalizione condizionando l’autonomia del Capo dello Stato, sono fatte oggetto di questioni incidentali di costituzionalità delle quali si chiede la rimessione alla Corte Costituzionale, motivando sul punto della rilevanza e non manifesta infondatezza.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 18 aprile 2011, ritenute manifestamente infondate le proposte eccezioni di illegittimità costituzionale, ha rigettato le domande dell’attore e dei cittadini successivamente intervenuti ad adiuvandum in giudizio.

L’appello successivamente proposto è stato rigettato dalla Corte di appello di Milano con la sentenza 24 aprile 2012 ed è stato conseguentemente presentato ricorso per Cassazione.

 

Nell’ordinanza depositata il 17 maggio 2013, la Corte di cassazione, preliminarmente dichiara la sussistenza dell’interesse ad agire dei ricorrenti, in quanto l’espressione del voto costituisce oggetto di un diritto inviolabile e permanente dei cittadini, “i quali possono essere chiamati ad esercitarlo in qualsiasi momento e devono poterlo esercitare in modo conforme alla Costituzione. Lo stato di incertezza al riguardo è fonte di un pregiudizio concreto e ciò è sufficiente per giustificare la meritevolezza dell’interesse ad agire in capo ai ricorrenti”.

 

Venendo alle questioni di legittimità costituzionale, la Corte ritiene non manifestamente infondate quelle concernenti l’attribuzione del premio di maggioranza e l’esclusione del voto di preferenza, mentre dichiara essere manifestamente infondata quella riguardante la menomazione dei poteri del Presidente della Repubblica.

 

Con riguardo al premio di maggioranza, assegnato alla lista (o coalizione di liste) che abbia ottenuto il maggior numero di voti (a livello nazionale alla Camera, regione per regione al Senato), la relativa disposizione, che trasforma una maggioranza relativa di voti (potenzialmente anche molto esigua) in una maggioranza assoluta dei seggi, determina, secondo la Corte, “una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica”.

E’ vero, riconosce la Corte, che l’obiettivo della norma è quello di garantire la stabilità dell’azione di governo, ma ciò può giustificare una limitata deroga al principio di rappresentanza, mentre non può determinare una “sproporzione talmente grave da risultare irragionevole”.

Per la Corte l’attribuzione del premio di maggioranza come congegnato dalla legge 270/2005 è pertanto manifestamente irragionevole (art. 3 Cost.), e lesivo dei principi di uguaglianza del voto (art. 48, co. 2, Cost.) e rappresentanza democratica (art. 1, co. 2 e 67 Cost.).

Per le modalità di attribuzione del premio di maggioranza al Senato, la Corte solleva un ulteriore dubbio di costituzionalità. Infatti, essendo il premio diverso per ogni regione, il risultato è una sommatoria casuale di premi regionali che potrebbe portare alla formazione di una maggioranza diversa rispetto alla Camera, contraddicendo quindi l’obiettivo della stabilità del governo.

Inoltre, al Senato il premio di maggioranza è più cospicuo nelle regioni più popolose con effetti distorsivi sul peso del voto.

 

Per quanto riguarda il voto di preferenza, la Corte solleva il dubbio se il sistema elettorale, che consente di votare solamente la lista senza poter esprimere una preferenza per un candidato, possa considerarsi “diretto” oppure come sostanzialmente indiretto e quindi in contrasto con la costituzione che stabilisce che il suffragio è diretto (artt. 56, co. 1 e 58, co. 1 Cost.).

 

Va ricordato che la Corte costituzionale, in sede di giudizio di ammissibilità di referendum, con le sentenze 15 e 16 del 2008 e poi con la sentenza n. 13 del 2012 – pur avendo escluso, per costante giurisprudenza, che in sede di controllo di ammissibilità dei referendum potessero venire in rilievo profili di illegittimità costituzionale della legge oggetto della richiesta referendaria o della normativa di risulta - aveva sollecitato il legislatore a riconsiderare gli aspetti problematici della legge n. 270 del 2005 in particolare quello dell’attribuzione di un premio di “maggioranza [...] senza che sia raggiunta una soglia minima di voti e/o di seggi”.

Inoltre, tali moniti al legislatore sono stati di recente ricordati dal Presidente della Corte costituzionale nella riunione straordinaria del 12 aprile 2013.

Assegnazione dei seggi nelle circoscrizioni e spostamento dei seggi

La formula elettorale adottata per l'elezione della Camera dei deputati dalla legge 270/2005, comporta che i seggi assegnati alle liste in sede nazionale siamo poi ripartiti nelle 26 circoscrizioni elettorali. I seggi così attribuiti a ciascuna lista sono quindi assegnati ai candidati della circoscrizione stessa secondo l'ordine della graduatoria di lista.

 

La formula di ripartizione dei seggi nelle circoscrizioni dovrebbe garantire, insieme, due risultati:

§  che a ciascuna lista siano assegnati tanti seggi nelle circoscrizioni, quanti sono quelli assegnati in sede nazionale;

§  che in ogni circoscrizione siano proclamati eletti tanti deputati quanti sono i seggi ad essa spettanti in proporzione alla popolazione e stabiliti nel Decreto del Presidente della Repubblica[16], in osservanza di quanto stabilito dalla dall'art. 56 della Costituzione.

La formula adottata dalla legge 270/2005 mira a soddisfare entrambe le condizioni o, comunque, a minimizzare lo scostamento dei seggi assegnati nella circoscrizione da quelli ad essa spettanti in base al decreto del Presidente della Repubblica.

 

La legge prevede infatti una prima ripartizione dei seggi di ciascuna circoscrizione alle liste (e coalizioni), quindi la verifica che alle liste (e coalizioni) siano stati attribuiti – sommando i seggi assegnati nelle circoscrizioni - tutti i seggi assegnati in sede nazionale e – ove la verifica dia esito negativo - una procedura di correzione.

Al termine della correzione – tuttavia - può risultare che in alcune circoscrizioni i seggi assegnati siano minori o maggiori di quelli ad esse spettanti sulla base della popolazione e stabiliti, come detto, con decreto del Presidente della Repubblica.

 

Nelle elezioni 2006, la circoscrizione Molise 'perde' uno dei suoi 3 tre seggi in favore della circoscrizione Trentino-Alto Adige.

Nelle elezioni 2008 si sono spostati due seggi: le circoscrizioni Trentino-Alto Adige e Sicilia 1, 'perdono' ciascuna un seggio in favore delle circoscrizioni Veneto 1 e Piemonte 2.

Nelle elezioni 2013 i seggi che migrano da una circoscrizione ad un'altra sono ancora due. Questa volta le circoscrizioni 'perdenti' sono Friuli-Venezia Giulia  e Molise, in favore di Trentino-Alto Adige e Sardegna.

 

In riferimento alla assegnazione dei seggi alle circoscrizioni avvenuta a seguito delle elezioni della Camera dei deputati del 24 e 25 febbraio 2013 la regione Friuli-Venezia Giulia ha presentato ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato (n. 6, dell'8 maggio 2013)[17]. In particolare la regione denuncia la violazione del principio di ripartizione territoriale della rappresentanza politica, in relazione all'assegnazione alla regione di 12 seggi, anziché i 13 ad essa spettanti sulla base del citato D.P.R. 22 dicembre 2012. La regione chiede alla Corte che venga sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 83, primo comma n. 8 nella parte in cui prevede che le compensazioni possano essere effettuate in altra circoscrizione, anziché nella stessa circoscrizione; norma che violerebbe l'art. 56, quarto comma, della Costituzione, in quanto non garantirebbe che vengano assegnati nelle circoscrizioni tutti i seggi ad esse spettanti in proporzione alla popolazione.

 

 



[1]     Il testo originario dell'art. 57 della Costituzione, così disponeva: «Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale. A ciascuna Regione è attribuito un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sei. La Valle d'Aosta ha un solo senatore.» Con la legge costituzionale n. 2/1963 è stato stabilito il numero fisso di 315 senatori ed elevato a 7 il numero minimo di senatori per regione.

[2]     Il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici (convertito L. 22 dicembre 2011, n. 214) ha trasformato i consigli provinciali in organi elettivi di secondo grado e ne ha demandato le modalità di elezione alla legge dello Stato da emanarsi entro il 31 dicembre 2012 (art. 23, commi 14-21). La Sentenza della Corte costituzionale.

[3]     Nelle regioni che non hanno adottato una propria legge elettorale, il sistema elettorale è disciplinato dalla normativa nazionale, costituita da un complesso di norme il cui nucleo fondamentale sono la legge 108/1968, la legge 43/1995, l’articolo 5 della legge costituzionale 1/1999 ed infine la legge 165/2004, che stabilisce i principi cui sottostà la potestà legislativa della regione in materia elettorale. Quanto alle leggi elettorali delle regioni, nessuna di esse ha modificato sostanzialmente il sistema di elezione stabilito dalle leggi nazionali; tutte conservano l’impianto proporzionale in circoscrizioni corrispondenti al territorio delle province e l’esito maggioritario in sede regionale. Le regioni Campania, Marche, Toscana, Umbria e Veneto (quest'ultima regione ha adottato la legge regionale nel gennaio 2012, perciò non è stata ancora applicata) hanno emanato proprie leggi elettorali che sostituiscono quasi integralmente la disciplina statale. Le regioni Calabria, Lazio, Puglia e Lombardia hanno approvato leggi elettorali che in varia misura e per aspetti diversi sostituiscono, integrano e modificano la legislazione nazionale. La regione Piemonte ha modificato parzialmente soltanto le disposizioni che disciplinano la presentazione delle liste circoscrizionali e regionali. Nelle regioni Liguria, Emilia-Romagna, Basilicata, Molise e, salvo quanto detto sopra, Piemonte si applica la disciplina nazionale.

[4]     L. 108/1965 art. 15 come modificato dall'art. 3 della L. 43/1995.

[5]     D.P.R. 5 gennaio 1994, n. 14, Regolamento di attuazione della legge 4 agosto 1993, n. 277, per l’elezione della Camera dei deputati.

[6]     L. cost. 17 gennaio 2000, n. 1, Modifica all’articolo 48 della Costituzione concernente l’istituzione della circoscrizione Estero per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.

[7]     L. cost. 23 gennaio 2001, n. 1, Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione concernenti il numero di deputati e senatori in rappresentanza degli italiani all’estero.

[8]     L. 27 dicembre 2001, n. 459, Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.

[9]     D.P.R. 2 aprile 2003, n. 104, Regolamento di attuazione della legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante disciplina per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.

[10]    Nella Gazzetta ufficiale del 7 aprile 2003, supplemento ordinario n. 54, è stato pubblicato il D.P.C.M. 2 aprile 2003, Popolazione legale della Repubblica in base al censimento del 21 ottobre 2001.

[11]    Seduta del 16 giugno 2005 - ALLEGATO (Testo unificato predisposto dal Relatore adottato come testo base dalla Commissione).

[12]    La coalizione deve inoltre comprendere almeno una lista che abbia raggiunto almeno il 2% del totale dei voti validi o, a determinate condizioni, una lista rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute.

[13]    È’ inoltre ammessa alla ripartizione la lista che ha ottenuto il risultato migliore tra quelle che non hanno raggiunto la soglia del 2%.

[14]    20% per le coalizioni; 8% per le liste non coalizzate; 3% per le liste facenti parte di una coalizione ammessa alla ripartizione.

[15] Ordinanza n. 12060/2013 depositata il 17 maggio 2013 dalla Corte suprema di Cassazione, I sezione civile; la Corte ha dichiarato rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale e ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale.

[16]    Com'è noto prima di ciascuna tornata elettorale, insieme al D.P.R. con cui vengono convocati i comizi elettorali, viene emanato il D.P.R. che reca l'assegnazione dei seggi alle circoscrizioni  in attuazione dell'art. 56, comma 4 della Costituzione. Per le elezioni 2013, D.P.R. 22 dicembre 2012.

[17]    Ricorso per conflitto di attribuzione tra enti n. 6, depositato in Cancelleria l'8 maggio 2013 (G.U. 1° Serie spec. n. 24 del 12 giugno 2013).