Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: La forma dello Stato nei progetti di riforma costituzionale - Legislature IX - XVI
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 28
Data: 21/06/2013
Descrittori:
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA   ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

 

Documentazione e ricerche

La forma dello Stato nei progetti di riforma costituzionale

 

Legislature IX - XVI

 

 

 

 

 

 

n. 28

 

 

 

21 giugno 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-9475 / 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: ac0167.doc

 


INDICE

Schede riassuntive

Premessa  3

§  Il contenuto del dossier 3

§  Elementi di sintesi 4

Le riforme del Titolo V approvate  7

§  La riforma della forma di governo regionale del 1999 e 2001  7

§  La riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione  10

§  La giurisprudenza costituzionale sul riparto di competenze legislative: profili problematici 18

§  Le modifiche della legge costituzionale n. 1/2012  22

I progetti di riforma della forma di Stato nella XVI Legislatura  23

§  Il progetto di riforma costituzionale approvato dal Senato  23

§  Il disegno di legge costituzionale del Governo di riforma del titolo V   24

§  I progetti di legge costituzionale esaminati dalla I Commissione della Camera  26

§  La “clausola di supremazia” in alcuni ordinamenti federali 27

La riforma della forma di Stato nella XIV Legislatura: il testo sottoposto a referendum popolare  29

Prima della riforma del 2001  37

§  La riforma della forma di Stato nella XIII Legislatura: il testo della c.d. Commissione D’Alema  37

§  La riforma della forma di Stato nella XII Legislatura: il progetto di revisione costituzionale del c.d. Comitato Speroni 39

§  La riforma della forma di Stato nella XI Legislatura: il progetto di revisione costituzionale della c.d. Commissione De Mita-Iotti 40

§  La riforma della forma di Stato nella X Legislatura: il progetto di legge A.C. 4887 e abb.-A   46

§  La riforma della forma di Stato nella IX Legislatura: la relazione della c.d. Commissione Bozzi 47

 

 


Schede riassuntive

 


Premessa

Il contenuto del dossier

Il presente dossier raccoglie una sintetica descrizione delle disposizioni in materia di forma di Stato contenute nei principali progetti di riforma costituzionale[1] elaborati nel corso dell’ultimo trentennio.

L’illustrazione del contenuto dei diversi progetti di riforma sarà preceduta dalla descrizione delle riforme intervenute nel Titolo V della Costituzione con le leggi costituzionali n. 1 del 1999, n. 3 del 2001 e n. 1 del 2012 e della giurisprudenza costituzionale determinata dalle riforme introdotte dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.

Saranno quindi presi in esame:

-         Il progetto di riforma costituzionale C. 5386, il disegno di legge S. 3520 e i progetti di legge C. 445 cost. e abb., il cui esame è stato avviato nella XVI Legislatura;

-         la legge costituzionale di riforma della parte seconda della Costituzione approvata nella XIV Legislatura (pubblicata nella “Gazzetta Ufficiale” n. 269 del 18 novembre 2005), non entrata in vigore perché respinta nel referendum del 25 e 26 giugno 2006;

-         il progetto di legge C. 3931-A elaborato nel corso della XIII Legislatura dalla commissione bicamerale per le riforme costituzionali (c.d. “bicamerale D’Alema”), poi non approvato dalla Camera;

-         la relazione approvata dal comitato di studio sulle riforme istituzionali, elettorali e costituzionali costituito dal governo nel 1994 (c.d. “Comitato Speroni”, XII Legislatura);

-         il progetto di legge C. 3597-S. 1789 elaborato nel corso dell’XI Legislatura nell’ambito della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali (c.d. “bicamerale De Mita-Jotti”), poi non esaminato da Camera e Senato;

-         il progetto di legge C. 4887-A, approvato dal Senato e modificato dalla Commissione Affari costituzionali, poi non approvato dalla Camera nella X Legislatura;

-         la relazione conclusiva della Commissione per le riforme istituzionali istituita nella IX Legislatura (c.d. “Commissione Bozzi”).

I testi dei progetti di riforma costituzionale sopra richiamati sono accessibili dalla versione digitale del presente dossier consultabile sul sito della Camera dei deputati.

Elementi di sintesi

Da un confronto tra l’attuale testo costituzionale e i diversi progetti di riforma costituzionale succedutisi nel tempo, è possibile ricavare alcuni primi elementi di valutazione.

In particolare alcuni elementi ricorrenti nei progetti di riforma anteriori al 2001 hanno poi trovato attuazione con la Legge costituzionale n. 3/2001. Tra questi merita segnalare:

- la tendenza di tutti i progetti di riforma esaminati, fatta eccezione per la relazione della Commissione Bozzi, a quel rovesciamento nella ripartizione di competenze tra Stato e regioni rispetto al testo originario della Costituzione (che come è noto indicava le materie nelle quali le regioni potevano legiferare nel rispetto dei principi della legislazione statale), poi realizzato con la riforma del 2001, vale a dire l’indicazione tassativa delle competenze legislative dello Stato e la tendenziale attribuzione di una competenza residuale generale alle regioni; questo impianto assume assetti peculiari nei progetti più risalenti come l’A.C. 4887-A della X Legislatura (il quale prevede l’indicazione, all’art. 70, delle materie di competenza esclusiva statale ed una generale competenza residuale concorrente per le altre materie all’articolo 117), l’A.C. 3957-A.S. 1789 del’XI Legislatura (il quale prevede sia l’indicazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato, all’art. 70, sia l’indicazione delle materie di competenza esclusiva regionale all’articolo 117, con l’attribuzione delle materie residuali alla legislazione concorrente), e la relazione del Comitato di studio sulle riforme della XII Legislatura (individuazione all’articolo 70 delle materie di esclusiva competenza statale con attribuzione, all’articolo 117, di tutte le rimanenti alla competenza legislativa esclusiva delle regioni);

- una generale convergenza, nei progetti di legge che affrontano la materia, sul modello di federalismo fiscale delineato dall’articolo 119, vale a dire fondato sul finanziamento delle funzioni degli enti territoriali con tributi propri, compartecipazioni al gettito e ricorso alla perequazione per i territori con minore capacità fiscale (così l’A.C. 3957-A.S. 1789 del’XI Legislatura e l’A.C. 3931-A della XIII Legislatura, contra però la relazione del Comitato di studio della XII Legislatura, che non fa riferimento alle compartecipazione), senza indicazione dei tributi specifici spettanti ai diversi livelli di governo;

- una generale convergenza sull’attribuzione delle funzioni amministrative in via generale ai comuni ferma restando l’applicazione del principio di sussidiarietà (contra però l’A.C. 3957-A.S. 1789 dell’XI Legislatura, il quale prevede esplicitamente l’attribuzione allo Stato delle funzioni amministrative nelle materie di competenza esclusiva statale).

 

Con riferimento invece ad altri profili, i vari progetti di riforma sono intervenuti sul testo del Titolo V come modificato nel 2001, ovvero hanno indicato soluzioni poi non accolte in quel testo. Tra questi merita segnalare:

- l’indicazione, in alcuni progetti di riforma, dell’esigenza di una “clausola di supremazia” che consenta comunque l’intervento del Governo per esigenze di interesse nazionale (così l’A.S. 3520 nella XVI Legislatura e l’A.C. 3931-A della XIII Legislatura, nonché, sia pure con una procedura peculiare che prevede un voto del Parlamento a camere riunite a maggioranza assoluta, nella legge di riforma approvata nella XIV Legislatura);

- molte proposte attribuiscono alla competenza legislativa esclusiva dello Stato materie attualmente attribuite alla competenza legislativa concorrente, quali quelle in materia di porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e navigazione, ordinamento della comunicazione (ovvero poste e telecomunicazioni), produzione e trasporto di energia (così l’A.S. 3520 nella XVI Legislatura; la legge di riforma costituzionale approvata nella XIV Legislatura e sottoposta a referendum; l’A.C. 3931-A della XIII Legislatura) e sicurezza del lavoro (così l’A.C. 3931-A ma non la legge approvata nella XIV Legislatura e l’A.S. 3520 nella XVI Legislatura);

- valutazioni difformi, nei diversi progetti di riforma, sull’attribuzione o meno di una generale competenza residuale regolamentare, nel rispetto comunque del principio di sussidiarietà, ai comuni (questa è presente nell’A.C. 3931-A della XIII Legislatura, ma non nella legge di riforma approvata nella XIV Legislatura; soluzione diversa è quella prevista dall’attuale articolo 117 che riserva allo Stato la potestà regolamentare nelle materie di legislazione esclusiva statale);

- la previsione, in alcuni progetti di riforma, dell’obbligo di esercizio associato delle funzioni da parte dei comuni al di sotto di una determinata soglia stabilita con legge (e non direttamente in Costituzione, così l’A.C. 3931-A della XIII Legislatura e il disegno di legge approvato nella XIV Legislatura).

 

 


Le riforme del Titolo V approvate

L’evoluzione dell’assetto istituzionale italiano nel senso di un deciso rafforzamento dell’autonomia riconosciuta agli enti territoriali, in primo luogo alle Regioni, ha portato, nel 1999 e nel 2001, all’approvazione di due rilevanti interventi di modifica della Costituzione:

§  il primo ha introdotto l’elezione diretta dei presidenti delle regioni e ha attribuito a ciascuna Regione il potere di definire la propria forma di governo e la propria legge elettorale (leggi costituzionali n. 1 del 1999 e n. 2 del 2001);

§  il secondo, di portata più ampia, ha tra l’altro modificato la ripartizione costituzionale delle competenze legislative ed amministrative tra Stato e regioni (riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001).

Più in generale, l’entrata in vigore del nuovo Titolo V ha posto una serie di questioni interpretative che si è tentato di risolvere con l’introduzione di norme di adeguamento dell’ordinamento al nuovo quadro costituzionale.

All’esigenza di “attuare e chiarire” la riforma del Titolo V si è inteso far fronte, principalmente, attraverso la L. 131/2003, che ha dettato alcune disposizioni di carattere transitorio sul rapporto tra atti normativi statali, regionali e locali e ha previsto una delega al Governo per la ricognizione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente.

La formulazione (da molti ritenuta non ottimale) del riparto costituzionale delle competenze legislative ha creato, nella sua prima fase di attuazione, un elevato contenzioso tra Stato e regioni dinanzi alla Corte costituzionale, che ha avuto modo di esprimersi in numerose occasioni, dando un rilevante contributo all’interpretazione di non pochi aspetti problematici della riforma costituzionale.

La riforma della forma di governo regionale del 1999 e 2001

La legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, ha modificato gli articoli 121, 122, 123 e 126 della Costituzione, concernenti la forma di governo e l'autonomia statutaria delle regioni a statuto ordinario, in particolare:

§  composizione e funzioni degli organi della regione, con particolare riferimento al Presidente della Giunta, tra le cui funzioni sono aggiunte la direzione della politica della Giunta e la conseguente responsabilità politica (art. 121);

§  sistema di elezione dei consiglieri regionali, del Presidente e degli altri componenti della giunta regionale (art. 122);

§  autonomia statutaria: modalità di approvazione dello statuto e suoi contenuti fondamentali (art.123);

§  scioglimento anticipato del consiglio regionale e votazione della sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta (art. 126).

Forma di governo e sistema elettorale

Il nuovo testo dell’articolo 122 elimina il vincolo della elezione del Presidente e della Giunta regionale da parte del Consiglio tra i propri componenti (ex comma 5) e attribuisce a ciascuna regione la competenza legislativa sul proprio sistema di elezione dei consiglieri, del Presidente e degli altri componenti la Giunta, nonché la disciplina dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità degli stessi.

La competenza e l’autonomia statutaria delle regioni sono soggette per altro ad alcuni vincoli posti dalla Costituzione stessa, o rimessi alla legge della Repubblica. Questa stabilisce la durata degli organi elettivi e determina “i principi fondamentali” ai quali dovrà attenersi la legge regionale in materia di elezione degli organi, di forma di governo e di ineleggibilità e incompatibilità.

L’ultimo comma dell’articolo 122 introduce direttamente nella forma di governo delle regioni a statuto ordinario l’elezione diretta del Presidente della Giunta. Lo statuto regionale potrà decidere per altra forma di governo, o modificare parzialmente taluni aspetti di questa; sino ad allora il Presidente della Giunta regionale è eletto a suffragio universale diretto e gli sono attribuiti i poteri previsti dalle disposizioni transitorie recate dall’articolo 5 della legge costituzionale n. 1/1999.

Due ulteriori vincoli connotano la forma di governo introdotta dalla legge costituzionale 1 del 1999. In primo luogo il Presidente eletto nomina e revoca i componenti la Giunta regionale (art. 122, ultimo comma). In secondo luogo il nuovo articolo 126 modifica la disciplina delle cause di scioglimento (autoritativo) del Consiglio regionale, per adattarla alla nuova forma di governo regionale (tra queste cause vi è la cessazione dalle funzioni del Presidente eletto) ed introduce inoltre la disciplina del cd. autoscioglimento. In particolare, il Consiglio regionale può votare una mozione di sfiducia motivata, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti, non prima di tre giorni dalla sua presentazione. L’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente eletto a suffragio universale e diretto, la sua rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni (volontarie), comportano le dimissioni della Giunta, lo scioglimento del Consiglio regionale e nuove elezioni.

Autonomia statutaria

Assieme alla riforma della forma di governo, con elezione diretta del Presidente della Giunta, la legge costituzionale n. 1/1999 attribuisce alle regioni a statuto ordinario l'autonomia statutaria.

Ciascuna regione adotta e modifica il proprio statuto secondo la procedura descritta ai commi 2 e 3 dell'articolo 123 Cost. Si tratta di una legge rinforzata, adottata con la maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio e con due deliberazioni successive ad una distanza non minore di due mesi. Lo statuto può essere impugnato dal Governo per questione di legittimità costituzionale e può essere sottoposto a referendum popolare qualora ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale entro tre mesi dalla sua pubblicazione. Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi. Tutte le regioni a statuto ordinario, ad eccezione della Basilicata e del Molise, hanno adottato lo statuto.

Lo statuto stabilisce la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento; regola l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione e disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la regione e gli enti locali.

Regioni a statuto speciale

La legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2, Disposizioni concernenti l'elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, reca modifiche agli statuti speciali della Regione siciliana, della Valle d’Aosta, della Sardegna, del Friuli-Venezia Giulia e del Trentino-Alto Adige.

Analogamente alla già richiamata legge costituzionale n. 1/1999 sulle regioni a statuto ordinario, le modifiche apportate a ciascuno statuto attribuiscono alla regione e alla provincia autonoma di Trento e di Bolzano la competenza legislativa sulla forma di governo, sul sistema di elezione dei consiglieri, del Presidente e degli altri componenti della Giunta, nonché sulla disciplina dei casi di ineleggibilità e incompatibilità[2]. Fonte normativa per queste discipline è la legge 'statutaria': una legge approvata dalla maggioranza dei consiglieri, che può essere sottoposta a referendum popolare con specifiche procedure[3].

La riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione

La revisione del Titolo V, disposta con la legge costituzionale n. 3 del 2001, ha profondamente rivisto il complessivo sistema dei rapporti tra Stato, regioni ed enti locali.

I soggetti costitutivi del nuovo ordinamento

Al modello della Costituzione del 1948 - in base al quale lo Stato aveva competenza legislativa in tutte le materie, fatta eccezione per alcune, espressamente elencate, in cui la potestà legislativa era riconosciuta alle regioni, previa comunque definizione dei princìpi fondamentali da parte della legislazione dello Stato - si è sostituito un nuovo modello che introduce (art. 114 Cost.) il principio innovativo secondo il quale Stato, regioni, province, città metropolitane e comuni sono considerati paritariamente quali enti costitutivi dell’ordinamento repubblicano. Anzi, l’ordine con il quale gli enti costitutivi sono richiamati dalla disposizione costituzionale – partendo dai comuni per arrivare sino allo Stato – dichiaratamente si propone di valorizzare gli enti più vicini al cittadino, in coerenza con il principio di sussidiarietà (inteso in senso “verticale”), enunciato dall’art. 118, primo comma, come sostituito dalla legge costituzionale di riforma.

Le città metropolitane vengono inserite nel novero degli enti territoriali ad autonomia costituzionale garantita. La norma costituzionale non specifica le funzioni e le modalità di formazione delle città metropolitane e il rapporto tra queste e gli altri enti locali. L’unica previsione in proposito è quella contenuta nell’art. 117, lettera p), che attribuisce alla competenza esclusiva della legge statale il compito di definire la legge elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali delle città metropolitane (oltre che degli altri enti locali).

Lo statuto di autonomia delle regioni e degli enti locali

Agli enti diversi dallo Stato viene riconosciuta la condizione giuridica di “enti autonomi” con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.

Il contenuto degli statuti delle regioni a statuto ordinario è stabilito dal nuovo art. 123 della Costituzione, come rivisto dalla legge costituzionale n. 1 del 1999 (si veda, supra). Lo statuto regionale determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della regione.

Il nuovo art. 116 Cost. – integralmente sostituito dall’art. 2 della legge di riforma – conferma l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni a statuto speciale. Viene anche confermata la disciplina di approvazione degli statuti speciali, che devono essere approvati con legge costituzionale; si ricorda peraltro che rispetto al procedimento disciplinato dall’art. 138 Cost. la legge costituzionale n. 2 del 2001 ha previsto alcune deroghe, consistenti nella consultazione della regione interessata e nella non esperibilità del referendum costituzionale nazionale.

Per queste regioni le uniche novità previste dal testo riguardano la doppia denominazione in lingua rispettivamente tedesca e francese per il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta e la previsione che la regione Trentino Alto-Adige è costituita dalle province autonome di Trento e Bolzano. Con questa ultima disposizione la speciale autonomia delle due province della regione - già disciplinata dallo statuto speciale Trentino - viene riconosciuta direttamente dalla Costituzione.

Una norma transitoria contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale prevede inoltre che, sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni recate dalla revisione costituzionale si applichino anche alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano, limitatamente però alle parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite.

Per quanto riguarda i comuni e le province, rispetto a quanto previsto dal previgente art. 128 Cost. (di cui è disposta l’abrogazione), il nuovo testo innalza dalla legge ordinaria alla Costituzione il livello della fonte per la fissazione dei principi sull’autonomia degli enti locali. Tali principi sono individuati nell’art. 118 Cost. per quanto riguarda l’attribuzione delle competenze amministrative e nell’art. 119 Cost. per l’autonomia finanziaria.

La subordinazione diretta alla Costituzione dei principi di autonomia per gli enti locali non determina peraltro il venir meno della competenza della legge statale in materia. La determinazione della disciplina riguardante la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali dei comuni e delle province è infatti rimessa dal nuovo art. 117, comma primo, lettera p) alla competenza esclusiva della legge statale.

Il nuovo riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni

La riforma, all’art. 117 Cost., delinea una nuova configurazione della funzione legislativa tra Stato e regioni, finalizzata ad un “rilancio” della fonte legislativa regionale. La funzione legislativa cessa di essere prerogativa primaria dello Stato: ha luogo anzi un’inversione del criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni, che comporta:

§  un primo elenco di materie la cui disciplina è demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma[4]), il quale cessa così di essere soggetto a competenza generale per divenire soggetto a competenza enumerata;

§  un secondo elenco di materie “di legislazione concorrente”, in cui “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” (art. 117, terzo comma[5]);

§  una norma di chiusura, secondo cui la potestà legislativa su ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato spetta alle Regioni (competenza generale “residuale”: art. 117, quarto comma).

Il sistema di riparto delle competenze normative è completato dal principio di attribuzione della potestà regolamentare, che vede una riduzione della competenza statale, ampliandosi quella delle Regioni e degli enti locali: allo Stato spetta emanare i regolamenti nelle materie riservate alla sua competenza esclusiva, salva la possibilità di delega alle Regioni, mentre alle Regioni è attribuita la potestà regolamentare in ogni altra materia (e quindi anche in quelle di competenza concorrente). I comuni, le province, le città metropolitane hanno potestà regolamentare per la disciplina riguardante l’organizzazione e il funzionamento delle competenze loro attribuite.

Sempre all’art. 117 Cost., si stabilisce il principio della partecipazione delle regioni alla fase ascendente di formazione del diritto comunitario nelle materie di competenza regionale. Viene inoltre stabilito il principio della competenza regionale nell’attuazione ed esecuzione nelle stesse materie degli atti dell’unione europea e degli accordi internazionali. Queste nuove competenze regionali sono stabilite nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello stato che disciplina anche l’esercizio del potere sostitutivo.

 

Di particolare rilievo, sempre in correlazione con l’esercizio della potestà legislativa delle Regioni, anche la soppressione del visto governativo sulle leggi regionali dal testo dell’art. 127 Cost. e dei controlli preventivi sugli atti delle Regioni e degli enti locali, mediante abrogazione del primo comma dell’art. 125 Cost., in materia di controllo di legittimità e di merito degli atti della Regione da parte di organi statali, e dell’art. 130 Cost., che prevedeva il controllo sugli atti dei comuni da parte di organi della Regione.

Si accompagna a queste modifiche la previsione – a date condizioni – di un generale potere sostitutivo del Governo, nonché la possibilità per lo Stato e le Regioni di ricorrere alla Corte costituzionale per l’instaurazione in via principale del giudizio di legittimità costituzionale avverso leggi, rispettivamente, regionali e statali, in condizioni (processuali) di sostanziale parità (artt. 120, secondo comma e 127 Cost.).

Quanto alla disciplina del potere sostitutivo del Governo, ai sensi dell’articolo 120, secondo comma della Costituzione, può esercitato “quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nelle ipotesi di:

§  mancato rispetto di norme e trattati internazionali;

§  mancato rispetto della normativa comunitaria;

§  pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica.

La definizione delle procedure per l’esercizio del potere sostitutivo è espressamente demandata dall’articolo 120, secondo comma, Cost., alla legge, che deve definire “procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.

La possibilità di estendere ad altre regioni forme di autonomia speciale con legge ordinaria “negoziata” con le regioni stesse

Ferme restando le particolari forme di autonomia delle Regioni a statuto speciale, la riforma (art. 116, terzo comma, Cost.) ha previsto la possibilità di attribuire alle Regioni a statuto ordinario, con legge dello Stato, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia relative:

§  a tutte le materie che il nuovo art. 117 attribuisce alla competenza concorrente di Stato e regioni;

§  ad alcune tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato (giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali).

Si tratta di quello che è stato definito “regionalismo differenziato” o “regionalismo asimmetrico”, in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre. Si viene così a delineare un sistema che consente tre diversi livelli di autonomia regionale:

§  le Regioni a statuto speciale, con forme di autonomia definite dai rispettivi statuti approvati con legge costituzionale (art. 116, primo comma, Cost.);

§  le Regioni a statuto ordinario che non abbiano attivato la procedura ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., le cui potestà legislative, uguali per tutte le Regioni, sono quelle stabilite dall’art. 117 Cost.;

§  quelle Regioni a statuto ordinario che abbiano ottenuto, ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., forme speciali di autonomia, le quali ovviamente potrebbero essere diverse da Regione e Regione.

L’ampliamento dell’autonomia regionale ordinaria deve essere sostenuto da una specifica regolazione dei rapporti finanziari, coordinata con la disciplina generale di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione e rispettosa dei principi di perequazione e solidarietà.

Per procedere all’attribuzione di queste forme rafforzate di autonomia è necessaria una legge statale, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali. La legge deve essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti e deve recare un contenuto definito d’intesa con la Regione medesima.

L’art. 116, terzo comma, non ha tuttavia ancora avuto attuazione.

Il riparto delle funzioni amministrative

Quanto alle funzioni amministrative (art. 118 Cost.), la riforma del Titolo V ha stabilito l’attribuzione di tali funzioni presso il livello di governo più vicino al cittadino, e dunque, in via generale ai comuni, salvo conferimento ad altri livelli di governo sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, mirando a superare con ciò il principio del parallelismo tra attribuzione di funzioni legislative e attribuzione di funzioni amministrative che invece ispirava il precedente testo costituzionale.

Tale parallelismo era già stato di fatto superato dalla L. 59 del 1997 che ha previsto un ampio deferimento di funzioni amministrative alle regioni e agli enti locali anche nelle competenze riservate alla potestà legislativa dello Stato. La L. 59 aveva anche stabilito quali principi fondamentali per il deferimento di funzioni gli stessi principi recepiti dall’articolo in esame: sussidiarietà (si tratta della c.d. “sussidiarietà verticale” che impone l’esercizio delle funzioni amministrative - ove possibile – da parte dell’ente più vicino ai cittadini), adeguatezza, differenziazione.

 

I principi espressamente indicati dall’art. 118, primo comma, primo periodo, sono dunque:

§  il principio di sussidiarietà: in base ad esso la generalità dei compiti e delle funzioni amministrative è attribuita “ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, all’autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati”[6]. In tale definizione si ritrovano le due articolazioni del principio di sussidiarietà: il principio di sussidiarietà verticale, in virtù del quale l’esercizio delle funzioni e dei servizi deve essere dislocato ad un livello di governo più vicino ai cittadini utenti, restando la possibilità di intervento dei livelli superiori di governo limitata ai casi di esercizio a livello unitario; il principio di sussidiarietà orizzontale, in base al quale sono demandate a soggetti pubblici solo ciò che non può essere utilmente svolto dai soggetti privati;

§  il principio di differenziazione: concerne l’allocazione delle funzioni  che deve avvenire “in considerazione delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi”[7];

§  il principio di adeguatezza: l’amministrazione destinataria del conferimento di funzioni amministrative deve essere idonea, sotto il profilo organizzativo, “a garantire, anche in forma associata con altri enti, l’esercizio delle funzioni”[8].

 

Il secondo comma stabilisce un secondo criterio per la individuazione delle competenze amministrative dei comuni, delle province e delle città metropolitane, ulteriore rispetto a quello di carattere funzionale enunciato dal primo comma: si prevede infatti che tali enti siano titolari di una serie di funzioni proprie (anche se esse non sono definite dalla Costituzione) e delle ulteriori funzioni ad esse attribuite dalle legge statale e regionale. Si ricorda in proposito che il secondo comma dell’art. 117 attribuisce (lettera p) alla legge statale la competenza esclusiva in materia, fra l’altro, di disciplina delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane.

Il terzo comma prevede che sia la legge statale a stabilire forme di coordinamento tra le funzioni amministrative esercitate dallo stato e quelle svolte dalle regioni in alcune materie riservate alla potestà legislativa esclusiva dello stato: immigrazione, ordine pubblico e sicurezza, tutela dei beni culturali.

Il quarto comma dell’articolo enuncia infine il principio della c.d. “sussidiarietà orizzontale” in materia di svolgimento di attività di interesse generale: lo Stato, le regioni, le città metropolitane e i comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di tali attività.

Il c.d. federalismo fiscale

La definizione dei quadri competenziali è strettamente collegata al meccanismo del federalismo fiscale: solo una volta stabilite con chiarezza le funzioni è possibile mettere definitivamente a regime i flussi necessari al loro finanziamento attraverso i meccanismi di federalismo fiscale recati dall’articolo 119 della Costituzione. La norma dispone in via generale l’attribuzione alle regioni, ed altresì agli enti locali, dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Tra i principali elementi di novità, figura anche la specificazione della potestà tributaria degli enti territoriali, con la facoltà di stabilire ed applicare tributi propri; la  compartecipazione a tributi erariali, esplicitamente in base alla riferibilità del relativo gettito al rispettivo territorio; l’istituzione, rimessa alla legge statale, di un fondo perequativo destinato ai territori con minore capacità fiscale; la precisazione secondo la quale il complesso delle risorse derivante dalle entrate e dai tributi propri, dalle compartecipazioni ai tributi erariali e dalle disponibilità assicurate dal fondo perequativo debbono consentire agli enti territoriali di finanziare “integralmente” le funzioni pubbliche loro attribuite.

Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali delineato dal nuovo Titolo V è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati, nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale sottesi al nostro sistema costituzionale. Alla luce dell’articolo 119 Cost., non deve inoltre ritenersi preclusa la possibilità di differenziazioni tra i sistemi tributari locali, che potrebbero tra l’altro determinare un certo grado di competizione fiscale.

Il processo di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, come modificato dalla riforma del titolo V, è stato dapprima sostanzialmente guidato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che già a partire dalla sentenza n. 370 del 2003 ribadiva l’urgenza di configurare il riparto di competenze tracciato dalle nuove disposizioni. Successivamente, molti degli ambiti della legislazione in materia fiscale e tributaria sono stati definiti, nei punti principali, da una ripetuta giurisprudenza della Corte che in numerose sentenze ha rivolto al legislatore futuro enunciati direttivi di carattere generale sulla natura e sull’ampiezza del potere statale di coordinamento della finanza pubblica, della «autonomia finanziaria» riconosciuta a regioni ed enti locali, sul rapporto fra funzioni e risorse, o tra perequazione e capacità fiscale.

Successivamente, in attuazione delle disposizioni dell’articolo 119, il Parlamento ha approvato, nel corso della XVI legislatura, la legge n. 42 del 2009, che reca una delega  per la definizione della struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, per l’individuazione delle regole di assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e per la elaborazione degli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.

Commissione parlamentare per le questioni regionali in composizione integrata.

L’art. 11 della legge costituzionale n. 3/2001 prevede che sino alla revisione delle norme del Titolo primo della Parte seconda della Costituzione (quelle riguardanti il Parlamento), i regolamenti della Camera e del Senato possano prevedere la partecipazione alla Commissione parlamentare per le questioni regionali di rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti locali.

Con questa composizione integrata, alla Commissione parlamentare è attribuita una funzione consultiva particolarmente incisiva. In particolare, essa esprime pareri sui progetti di legge all’esame del Parlamento che riguardino le materie di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. (quelle di legislazione concorrente) e all’art. 119 Cost.  (in materia di autonomia finanziaria di regioni, province e comuni). Qualora la commissione parlamentare competente in sede referente non si adegui al parere espresso dalla commissione bicamerale, l’Assemblea deve deliberare sulle corrispondenti parti del progetto di legge a maggioranza assoluta dei componenti.

La disposizione dell’art. 11 L.Cost. n. 3/2001 non ha però trovato attuazione, in quanto i regolamenti parlamentari non hanno proceduto all’integrazione della Commissione bicamerale per le questioni regionali.

 

La giurisprudenza costituzionale sul riparto di competenze legislative: profili problematici

Fin dall'approvazione nel 2001 della riforma del titolo V della parte II della Costituzione, il problema principale posto dalla nuova ripartizione di attribuzioni legislative tra Stato e regioni è stato quello di una chiara individuazione del contenuto delle materie, al fine di determinare una netta linea di demarcazione tra competenza statale e competenza regionale.

Le materie trasversali

Un primo elemento di difficoltà consiste nel fatto che, tra le materie attribuite alla competenza esclusiva statale, ve ne sono alcune di carattere trasversale, che fanno riferimento non ad oggetti precisi, ma a finalità che devono essere perseguite e che pertanto si intrecciano con una pluralità di altri interessi, incidendo in tal modo su ambiti di competenza concorrente o residuale delle regioni (ex multis: sentenza n. 171 del 2012, n. 235 del 2011, n. 225/2009,  n. 12 del 2009, n. 345/2004, n. 272/2004). Con riferimento a tali materie sono stati coniati in dottrina i termini di materie-funzioni o materie-valori.

 

Le principali materie trasversali sono state individuate in:

 

- tutela della concorrenza¸ materia della quale la giurisprudenza costituzionale ha costantemente sottolineato stante il carattere «finalistico» della stessa «trasversalità», con conseguente possibilità di influire su altre materie attribuite alla competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni (sentenze n. 299 del 2012; n. 18 del 2012; n. 150 del 2011; n. 288 del 2010; n. 431, n. 430, n. 401, n. 67 del 2007 e n. 80 del 2006, n. 345 del 2004). Infatti, la materia tutela della concorrenza non ha solo un ambito oggettivamente individuabile che attiene alle misure legislative di tutela in senso proprio ma, dato il suo carattere «finalistico», anche una portata più generale e trasversale, non preventivamente delimitabile, che deve essere valutata in concreto al momento dell'esercizio della potestà legislativa sia dello Stato che delle Regioni nelle materie di loro rispettiva competenza (sentenza n. 291/2012). Ad essa è inoltre sotteso "l'intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell'intero Paese" (sentenza n. 14/2004).

 

- tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, con riferimento alla quale la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che "non si può discutere di materia in senso tecnico, perché la tutela ambientale è da intendere come valore costituzionalmente protetto, che in quanto tale delinea una sorta di «materia trasversale», in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, anche regionali, fermo restando che allo Stato spettano le determinazioni rispondenti ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale" (ex multis: sentenze n. 278/2012, n. 171/2012, n. 20/2012, n. 235/2011, n. 191/2011, n. 225/2009,  n. 12/2009, n. 378/2007);

 

- determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, anch'essa ritenuta non una materia in senso stretto, ma "una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (ex multis, sentenze n. 164/2012 e n. 282/2004).

 

Uguale carattere "espansivo" deve essere riconosciuto anche ad altre materie di competenza statale, quali l'ordinamento penale (sentenza n. 185/2004), l'ordinamento civile (sentenze n. 233/2006, n. 380/2004 e n. 274/2003), politica estera e rapporti internazionali dello Stato e rapporti dello Stato con l'Unione europea (sentenza n. 239/2004).

 

Del resto anche alcune delle materie di competenza concorrente presentano un carattere trasversale, che consente alla legislazione statale di incidere, sia pure solo con norme di principio, su materie rimesse alla legislazione residuale delle regioni.

Viene in primo luogo in questione la materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, alla base dei ripetuti interventi statali volti al contenimento delle spese degli enti territoriali. Al riguardo la Consulta ha ritenuto che costituiscono principi fondamentali della materia le norme che "si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi" (sentenza n. 193/2012; nello stesso senso, sentenze 148/2012, n. 232/2011 e n. 326/2010, n. 159/2008, n. 95/ 2007, n. 449/2005, n. 390/2004).

Ma vi sono diverse ulteriori materie ascritte alla competenza concorrente che si prestano ad incidere sugli ambiti propri di altre materie riservate alle regioni, fra le quali la tutela della salute, le professioni (sentenze n. 222/2008 e n. 355/2005) e la ricerca scientifica (sentenza n. 133/2006).

La "concorrenza di competenze"

La complessità dei fenomeni sociali oggetto di disciplina legislativa rende inoltre molto spesso difficile la riconduzione sic et simpliciter di una normativa ad un'unica materia, determinandosi invece un intreccio tra diverse materie e diversi livelli di competenza che la Corte stessa non ha esitato a definire "inestricabile".

Come rilevato nella fondamentale sentenza n. 50 del 2005, in caso di interferenze tra norme rientranti in materie di competenza statale ed altre di competenza concorrente o residuale regionale, "può parlarsi di concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente. Per la composizione di siffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed è quindi necessaria l'adozione di principi diversi". I principi enucleati dalla Corte sono il principio di prevalenza, che può applicarsi "qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre", ed il principio di leale collaborazione, "che per la sua elasticità consente di aver riguardo alle peculiarità delle singole situazioni" ed impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni, a salvaguardia delle loro competenze (nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 234/2012, n. 187/2012, n. 88/2009, n. 213/2006, n. 133/2006, n. 231/2005, n. 219/2005).

 

Numerosissimi sono i casi in cui è emersa la necessità di attivare procedimenti destinati ad integrare il parametro della leale collaborazione, in particolare attraverso il sistema delle Conferenze Stato-Regioni e autonomie locali, all'interno del quale "si sviluppa il confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in esito al quale si individuano soluzioni concordate di questioni controverse locali" (sentenza n. 31/2006, nello stesso senso, ex multis sentenze n. 114/2009).

 

Il principio di leale collaborazione, cui la Corte ha fatto ampio ricorso nei casi di cd. "attrazione in sussidiarietà" è divenuto così un princìpio-cardine e costituisce una fondamentale chiave di lettura per delineare il quadro delle attribuzioni nei frequenti casi di intersezione e sovrapposizione tra competenze statali e competenze regionali.

 

Il principio di leale collaborazione è «suscettibile di essere organizzato in modi diversi, per forme e intensità» (sent. n. 308/2003), a seconda del quantum di incidenza sulle competenze regionali. Una nutrita giurisprudenza costituzionale ha spesso richiesto per l'adozione di una disciplina, segnatamente di carattere regolamentare, in ambiti normativi di pertinenza regionale, la previa intesa in sede di Conferenza unificata o di Conferenza Stato-regioni, al fine di garantire un contemperamento tra potestà statali e prerogative regionali; l'intesa è stata talora costruita come intesa "forte", con un livello di codecisione paritaria tra Stato e regioni (sentenza n. 383/2005). In altri casi di minore impatto sulle competenze regionali, la Corte ha invece ritenuto sufficiente l'acquisizione di un parere della Conferenza (sentenza n. 200/2009, 232/2009).

L'"attrazione in sussidiarietà"

Un altro principio elaborato dalla giurisprudenza costituzionale che determina un'attribuzione di competenze diversa da quella desumibile dal tenore letterale dell'art. 117 Cost. è quello della c.d. "attrazione in sussidiarietà", enunciato per la prima volta nella sentenza n. 303 del 2003.

 

A partire da tale sentenza, la Corte costituzionale ha dato un'interpretazione dinamica dell'attribuzione di funzioni amministrative all'art. 118, primo comma, Costituzionale., in base al quale le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai comuni, possono essere allocate ad un livello diverso di governo per assicurarne l'esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. L'allocazione delle funzioni amministrative si riflette anche sulla distribuzione delle competenze legislative: il principio di legalità di cui all'art. 97 Cost. impone infatti che le funzioni amministrative siano organizzate e regolate dalla legge. Ne consegue che l'attrazione allo Stato delle funzioni amministrative comporta la parallela attrazione della funzione legislativa.

 

Pertanto anche se sulla base di un'interpretazione strettamente letterale del dettato costituzionale - in una materia di competenza concorrente lo Stato dovrebbe limitarsi a stabilire i principi fondamentali, in virtù della capacità ascendente del principio di sussidiarietà, la normativa statale può anche presentare norme di dettaglio. La valutazione della necessità del conferimento di funzioni amministrative ad un livello superiore rispetto a quello comunale (cui spetterebbero tali funzioni in base all'art. 118, co. 1) spetta al legislatore statale ma deve essere proporzionata, non irragionevole e operare nel rispetto del principio di leale collaborazione.

 

Allo stesso modo e negli stessi limiti sono giustificati interventi della legislazione statale in ambiti materiali di competenza residuale (sentenze n. 76 del 2009, n. 88 del 2007 e n. 214 del 2006).

 

In particolare, la sentenza n. 6 del 2004 ha fissato le condizioni per l'applicazione del "principio di sussidiarietà ascendente". Affinché la legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l'esercizio, è necessario che:

 

- rispetti i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni;

 

- detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni;

 

- risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine;

 

- risulti adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione;

 

- preveda adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali.

 

Tale impostazione è stata confermata dalla successiva giurisprudenza (sentenze n. 383/2005, n. 248/2006 e n. 88/2009).

 

L'attrazione in sussidiarietà ha trovato applicazione principalmente nei settori delle infrastrutture (sentenza n. 303/2003), dell'energia (sentenze n. 4/2004 e n. 383/2005), dell'ordinamento della comunicazione (sentenza n. 163/2012) e del turismo (sentenze n. 80/2012, n. 76/2009, n. 13/2009, n. 94/2008, n. 339/2007, n. 88/2007 e n. 214/2006).

La competenza concorrente: principi fondamentali o norme di dettaglio?

Un ulteriore elemento di criticità deriva dal fatto che la distinzione tra principi fondamentali e norme di dettaglio, che costituisce il discrimine tra competenza statale e competenza regionale nelle materie di legislazione concorrente, appare ben chiara in linea astratta ma comporta non pochi problemi interpretativi una volta calata sul piano concreto delle singole e specifiche disposizioni.

 

In linea generale, dunque, il vaglio di costituzionalità, che deve verificare il rispetto del rapporto tra normativa di principio e normativa di dettaglio, "va inteso nel senso che l'una è volta a prescrivere criteri e obiettivi, mentre all'altra spetta l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi" (sentenze n. 16/2010, n. 237 del 2009 e n. 181 del 2006).  Peraltro, il carattere di principio di una norma non è escluso, di per sé, dalla specificità delle prescrizioni, qualora la norma «risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione» (sentenze n. 16/2010, n. 237/2009, sentenza n. 430/2007).

 

E' sul piano concreto, come detto, che insorgono le maggiori difficoltà interpretative, in quanto, secondo la giurisprudenza costituzionale, la nozione di principio fondamentale "non ha e non può avere caratteri di rigidità e di universalità, perché le "materie" hanno diversi livelli di definizione che possono mutare nel tempo. È il legislatore che opera le scelte che ritiene opportune, regolando ciascuna materia sulla base di criteri normativi essenziali che l'interprete deve valutare nella loro obiettività." (sentenza n. 50/2005). Ne consegue che  "l'ampiezza e l'area di operatività dei principî fondamentali [?] non possono essere individuate in modo aprioristico e valido per ogni possibile tipologia di disciplina normativa. Esse, infatti, devono necessariamente essere calate nelle specifiche realtà normative cui afferiscono e devono tenere conto, in modo particolare, degli aspetti peculiari con cui tali realtà si presentano» (sentenza n. 336/2005).

 

La sentenza n. 16/2010 ha infine aggiunto che, "nella dinamica dei rapporti tra Stato e Regioni, la stessa nozione di principio fondamentale non può essere cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza, ma deve tenere conto del contesto, del momento congiunturale in relazione ai quali l'accertamento va compiuto e della peculiarità della materia."

 

 

In conclusione, nonostante siano oramai trascorsi quasi dodici anni dalla riforma del titolo V, l'attribuzione di una determinata disciplina normativa alla sfera di competenze dello Stato o delle regioni non sempre si fonda su criteri definiti, in quanto la ripartizione di competenze delineata dall'art. 117, commi secondo, terzo e quarto, Cost., pur in apparenza piuttosto rigida, dà luogo ad una serie di interferenze e sovrapposizioni fra i diversi ambiti materiali tali da rendere incerta l'attività dell'interprete.

 

Con la conseguenza che, come dimostrato dall'enorme contenzioso costituzionale sul punto, per determinare i confini tra attribuzioni statali e regionali, bisogna spesso attendere l'intervento della Corte costituzionale, le cui decisioni, per loro stessa natura, soffrono del forte limite della riferibilità a singole e specifiche disposizioni e per questo non sempre risultano idonee alla costruzione di un corpus unitario e definito di principi-guida per l'interprete.

Le modifiche della legge costituzionale n. 1/2012

Nel XVI legislatura è stata approvata la legge costituzionale n. 1/2012, che  novella gli articoli 81, 97, 117 e 119 Cost., ed, in particolare, introduce il principio dell’equilibrio tra entrate e spese del bilancio, cd. “pareggio di bilancio”, correlandolo a un vincolo di sostenibilità del debito di tutte le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle regole in materia economico-finanziaria derivanti dall’ordinamento europeo.

 

Per quanto concerne la disciplina di bilancio degli enti territoriali, la legge costituzionale apporta talune modifiche l'articolo 119 della Costituzione, al fine di specificare che l'autonomia  finanziaria degli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni), è assicurata nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci; è inoltre costituzionalizzato il principio del concorso di tali enti all’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

Con una modifica al sesto comma dell’articolo 119 viene altresì precisato che il ricorso all'indebitamento - che la vigente disciplina costituzionale consente esclusivamente per finanziare spese d’investimento - è subordinato alla contestuale definizione di piani di ammortamento e alla condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio.

 

La legge costituzionale novella, inoltre, l’articolo 117 della Costituzione, inserendo la materia dell'armonizzazione dei bilanci pubblici nel novero delle materie sulle quali lo Stato ha una competenza legislativa esclusiva.

Le nuove disposizioni costituzionali troveranno applicazione a decorrere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014.


I progetti di riforma della forma di Stato
nella XVI Legislatura

Il progetto di riforma costituzionale approvato dal Senato

Il progetto di legge costituzionale di riforma della parte II della Costituzione, approvato dal Senato nel corso della XVI legislatura (A.C. 5386) non incide su alcuna delle disposizioni del titolo V relativo agli enti territoriali.

La tematica del rapporto tra Stato e Regioni è affrontata, in maniera piuttosto limitata, dalla nuova configurazione del Senato, che assume la denominazione di “Senato Federale della Repubblica” ed è eletto in base ad una legge che garantisce la rappresentanza territoriale da parte dei senatori. Ai lavori del Senato partecipa inoltre un rappresentante per regione, eletto tra i propri componenti da ciascun consiglio o assemblea regionale, con diritto di voto nelle materie di legislazione concorrente o di interesse degli enti territoriali.

il sistema bicamerale delineato resta peraltro un sistema paritario, con l’introduzione di una diversificazione di funzioni tra i due rami del Parlamento solo sul piano dei procedimento legislativo. In particolare, nel nuovo procedimento “eventualmente monocamerale”, che ha inizio alla Camera o al Senato in base alle rispettive competenze, al Senato è riconosciuto un ruolo prevalente nell’esame dei progetti di legge di interesse degli enti territoriali.[9]

Questi elementi non appaiono tuttavia nel complesso sufficienti a rendere il Senato una vera “Camera delle regioni”.

 

Occorre altresì ricordare che, nel testo approvato dalla Commissione Affari costituzionali del Senato (A.S. 24 e abb.-A), era stata introdotta, nell’ambito della disciplina del procedimento legislativo (art. 72, secondo comma), una disposizione che riconosceva alla legge statale bicamerale il potere di intervenire - peraltro solo nel caso di leggi iniziativa governativa - nelle materie attribuite alla potestà legislativa regionale “al fine di garantire l'unità giuridica o economica della Repubblica” e “nel rispetto dei princìpi di leale collaborazione e di sussidiarietà”.

Veniva così nella sostanza profondamente modificato il riparto di competenze tra Stato e regioni fissato dal titolo V, con l’introduzione di una sorta di clausola di supremazia, senza però intervenire sul titolo V medesimo.

Il raccordo tra il Senato ed il sistema delle autonomie era altresì assicurato dall’ istituzione, presso il Senato, di una Commissione paritetica per le questioni regionali, composta pariteticamente da rappresentanti delle regioni e senatori, cui era attribuita una funzione consultiva rinforzata sui disegni di legge relativi a materie di competenza concorrente ed all’autonomia finanziaria (art. 13 A.S. 24-A).

 

Le due disposizioni sono state soppresse nel corso dell’esame in Assemblea al Senato e pertanto non figurano nel testo trasmesso alla Camera (A.C. 5386).

Il disegno di legge costituzionale del Governo di riforma del titolo V

Nell'ottobre del 2012 il Governo Monti ha presentato al Senato un disegno di legge costituzionale di riforma del Titolo V (S. 3520).

 

La Commissione Affari costituzionali del Senato ha avviato l’esame del disegno di legge.

 

L'intervento riformatore mira a superare le problematicità emerse nell’attuazione del riparto di competenze delineato dal titolo V, che hanno dato luogo ad un nutrito contenzioso costituzionale, attraverso un complessivo rafforzamento della competenza legislativa dello Stato, alla quale sono riconosciuti margini di intervento più ampi degli attuali.

 

Esso si incentra anzitutto sul principio dell'unità giuridica ed economica della Repubblica come valore fondamentale dell'ordinamento, prevedendo che la sua garanzia, assieme a quella dei diritti costituzionali, costituisce compito primario della legge dello Stato, anche a prescindere dal riparto delle materie fra legge statale e legge regionale (art. 117, primo comma). E' la cosiddetta clausola di supremazia (supremacy clause) presente in gran parte degli ordinamenti federali.

 

Il rapporto fra leggi statali e leggi regionali è inoltre impostato secondo una logica di complementarietà e di non conflittualità, con alcune innovazioni particolarmente incisive.

E' dunque attribuito alla legge statale un ruolo più ampio nell'area della legislazione concorrente, prevedendo che spetta alla legge dello Stato non più di stabilire i "principi fondamentali", bensì di porre la disciplina funzionale a garantire l'unità giuridica ed economica della Repubblica.

Si prevede, inoltre, che la legge statale, che interviene in una materia di potestà concorrente, ove introduca una disciplina che renda necessario un coerente adeguamento da parte della legislazione regionale, possa stabilire un termine per tale adeguamento, non inferiore a 120 giorni. Il potere dello Stato di ricorrere in via principale alla Corte costituzionale avverso le leggi regionali è correlativamente esteso ai casi di mancato rispetto del termine di adeguamento.

 

Il riconoscimento esplicito della competenza legislativa delle regioni nelle materie non riservate espressamente alla competenza dello Stato viene meno ed è sostituito dalla previsione che nelle materie non attribuite alla competenza esclusiva statale o alla competenza concorrente, la legislazione delle regioni deve rispettare la legislazione statale per i profili relativi alle materie affidate alla sua competenza esclusiva dello Stato. Viene così espressamente costituzionalizzato il carattere “residuale” della potestà legislativa statale.

 

Nel campo della legislazione esclusiva dello Stato è prevista:

La materia del turismo è inoltre trasferita dalla competenza residuale delle regioni alla competenza concorrente dello Stato.

 

Si dispongono confini meno rigidi fra potestà regolamentare del Governo e potestà regolamentare delle regioni, prevedendo che lo Stato e le regioni possano emanare regolamenti per l'attuazione delle proprie leggi.

 

Il disegno di legge interviene altresì sull’autonomia riconosciuta dall’art. 116, primo comma, Cost. alle Regioni a statuto speciale, introducendo il principio secondo cui in materia finanziaria tale l’autonomia si svolge “concorrendo con lo Stato e con gli altri enti territoriali ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali”.

La formula riprende quella già introdotta dalla legge costituzionale n. 1/2012, sull’introduzione del principio costituzionale del pareggio di bilancio, nell’art. 119 Cost. al fine di delimitare l’autonomia finanziaria degli enti territoriali (il nuovo art. 119, primo comma, non fa peraltro riferimento agli obblighi internazionali).

 

Viene infine modificato la statuto della regione Sicilia al fine di adeguare la procedura di impugnazione delle leggi impugnazione delle leggi regionali siciliane a quella vigente per tutte le altre leggi regionali.

I progetti di legge costituzionale esaminati dalla I Commissione della Camera

Nella XVI legislatura, la Commissione Affari costituzionali della Camera ha avviato, in data 16 ottobre 2012, l'esame di sette proposte di legge costituzionale relative alla ripartizione di competenze legislative tra Stato e Regioni delineata dall'articolo 117 della Costituzione (C. 445 cost. e abb.).

In particolare, la proposta di legge costituzionale Zaccaria n. 445 è volta ad ampliare l'ambito di intervento del legislatore statale, introducendo, fra l'altro, una cd. clausola di supremazia, che consente un intervento della legge statale nelle materie di competenza concorrente o residuale regionale.

La proposta di legge costituzionale Carlucci n. 763 attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale la materia, attualmente di competenza concorrente, promozione e organizzazione di attività culturali, aggiungendo espressamente anche le attività di spettacolo.

Le proposte di legge costituzionale Mantini n. 1709 e Borghesi n. 2801 introducono tra le materie di competenza concorrente il turismo, attualmente spettante alla competenza residuale delle regioni (sentenze n. 76/2009, n. 94 del 2008, n. 214 e n. 90 del 2006).

Le proposte di legge costituzionale Laffranco n. 4423 e Libè n. 4806 assegnano alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, attualmente, come già visto, di competenza concorrente.

La proposta di legge costituzionale Volontè n. 1372 disegna un diverso equilibrio tra attribuzioni legislative statali e attribuzioni legislative regionali, con una notevole riduzione delle materie di competenza concorrente, che per la maggior parte transitano nella competenza regionale, e con l'individuazione espressa di alcune materie attribuite alla competenza esclusiva delle regioni. Essa inoltre ha un contenuto più ampio rispetto alle altre, in quanto non si limita ad intervenire sull'art. 117 Cost., ma modifica molti altri articoli del titolo V.

La “clausola di supremazia” in alcuni ordinamenti federali

Negli Stati Uniti la Costituzione affida al Congresso federale il potere di legiferare su materie elencate (art. I, sezione VIII, «Congress shall have the power to»), ma non dà alcuna indicazione circa il carattere esclusivo di tali competenze. L'esclusività si evince solo per alcuni poteri (affari esteri, conio della moneta, uffici postali, dichiarazioni di guerra, sez. X) per i quali agli Stati viene esplicitamente negata la possibilità di legiferare. La presenza di divieti espliciti ha fatto sì che la dottrina ritenesse, a contrario, che in assenza di tali divieti i poteri enumerati si dovessero intendere quali concorrenti, ossia esercitabili tanto dallo Stato federale, quanto dai singoli Stati. La presenza su una medesima materia di disciplina federale e disciplina statale pone dunque negli Stati Uniti non un problema di legittimità costituzionale, ma il problema della risoluzione di un'antinomia tra due provvedimenti legislativi parimenti legittimi. L'antinomia è risolta a favore della legge federale a seguito dell'applicazione della c.d. clausola di supremazia (supremacy clause).

L'art. VII, clausola 2 della Costituzione afferma infatti che «La Costituzione e le leggi degli Stati Uniti che seguiranno nel rispetto di questa, e tutti I trattati stipulate o da stipulare da parte degli Stati Uniti, in base alle loro competenze, costituiranno la legge suprema del Paese; e i giudici di ogni Stato saranno tenuti a conformarsi ad essi, quali che possano essere le disposizioni in contrario nella Costituzione o nella legislazione di qualsiasi singolo Stato». In questo contesto costituzionale caratterizzato da un sindacato di costituzionalità diffuso - il ricorso alla clausola di supremazia risulta particolarmente opportuno, perché la prevalenza che questa disposizione assicura alla legislazione federale non conduce all'illegittimità della disciplina che cede, ma soltanto alla disapplicazione nel singolo caso, senza sottrarre interi settori materiali alla legislazione degli Stati membri. Peraltro, la supremacy clause è stata utilizzata negli Stati Uniti anche per fondare la più ampia dottrina della preemption, in base alla quale il Congresso può precludere ai governi statali la disciplina di determinate materie potenzialmente di competenza degli Stati.

Per quanto riguarda la Germania, la Konkurrierende Gesetzgebung disciplinata nell'art. 72 della Legge fondamentale prevede che nelle materie oggetto di legislazione concorrente i Lander possano legiferare fintantoché e nella misura in cui la federazione non eserciti la propria competenza legislativa. Quest'ultima, a sua volta, in molte materie, ha il diritto di legiferare solo «se e nella misura in cui» sia necessaria una disciplina legislativa federale per «la creazione di condizioni di vita equivalenti nel territorio federale» o per la tutela dell'unità giuridica o economica», in nome del gesamtstaatlichen Interesse, l'interesse dell'intero Stato. Tale disposizione ha rappresentato nei decenni passati il principale meccanismo di assunzione di competenze legislative in capo al Bund, grazie anche ad un totale self-restraint del Tribunale costituzionale federale, che ha ritenuto esplicitamente insindacabile la sussistenza dei presupposti indicati in Costituzione per l'avocazione delle competenze. Con due revisioni, del 1994 (quando si è espressamente affermata la giustiziabilità dell'art. 72, c. 2, da parte del giudice costituzionale) e del 2006, è stato calibrato il peso dell'intervento della federazione a seconda dell'ampiezza e intensità delle istanze unitarie coinvolte.

In Spagna, l'art. 150, c. 3, della Costituzione prevede che «deliberando a maggioranza assoluta di ogni Camera» lo Stato può dettare leggi per stabilire i principi necessari ad armonizzare le disposizioni normative delle comunità autonome, anche nel caso di materie attribuite alla loro competenza, quando così esiga l'interesse generale». Tale clausola, tuttavia, è stata ricostruita, tanto dalla dottrina quanto dalla giurisprudenza del tribunale costituzionale, come strumento di applicazione eccezionale.


La riforma della forma di Stato nella XIV Legislatura: il testo sottoposto a referendum popolare

La legge costituzionale di riforma della seconda parte della Costituzione approvata nella XIV Legislatura (pubblicata nella “Gazzetta Ufficiale” n. 269 del 18 novembre 2005), poi non entrata in vigore perché respinta nel referendum costituzionale del 25 e 26 giugno 2006, prevede una significativa riformulazione delle disposizioni costituzionali del Titolo V. In particolare si interviene sugli articoli 114, 116, 117, 118, 120, 122, 123, 126, 127, 131 e 133, sono inoltre inseriti gli articoli 127-bis e 127-ter.

 

Si ricorda peraltro che nella XIV legislatura veniva presentato al Senato il 26 febbraio 2002 il disegno di legge governativo (A.S. 1187), il quale inseriva un nuovo quinto comma nell’articolo 117 della Costituzione, ai sensi del quale le Regioni “attivano la competenza legislativa esclusiva” nelle materie sanitaria (con riguardo all’assistenza e all’organizzazione), scolastica (quanto ai profili organizzativi, di gestione degli istituti e di definizione della parte dei programmi di interesse della Regione) e della polizia locale.

Nei mesi successivi il progetto di riforma formava oggetto di accesa e approfondita discussione presso i due rami del Parlamento e nel Paese, giungendo sino ad essere approvato in prima deliberazione, con poche modifiche, sia dal Senato (5 dicembre 2002) sia dalla Camera (14 aprile 2003).

L’iter del progetto di riforma, tuttavia, non proseguiva ulteriormente, poiché gli orientamenti politici sul tema, anche all’interno delle forze di maggioranza, erano nel frattempo evoluti in direzione di riforme di più ampio respiro.

Gli articoli 114 e 116: conformazione generali dei rapporti tra gli enti costituenti la Repubblica, Roma capitale e autonomie speciali

All’articolo 114, nel ribadire la formula introdotta con la legge costituzionale n. 3/2001 in base alla quale “la Repubblica è costituita dai “dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” si specifica che tali enti dovranno regolare i reciproci rapporti “secondo principi di leale collaborazione e di sussidiarietà”.

Viene inoltre ampliato il contenuto del terzo comma in materia di riconoscimento di Roma come capitale della Repubblica. Si precisa infatti che da tale status derivano “forme e condizioni particolari di autonomia, anche normativa, nelle materie di competenza regionale”. Conseguentemente la definizione dello status di Roma capitale dovrà avvenire “nei limiti e con le modalità stabiliti nello statuto della Regione Lazio”, mentre viene soppresso l’attuale riferimento alla sua approvazione con legge dello Stato.

 

La previsione dell’approvazione con legge dello Stato dell’ordinamento della capitale è in realtà ricollocato all’articolo 117, nell’ambito della definizione delle materie di competenza esclusiva dello Stato (cfr. infra).

 

All’articolo 116 la principale novità è rappresentata dalla costituzionalizzazione della procedura di adozione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale. Si integra infatti la disposizione vigente, la quale prevede che gli statuti siano adottati con legge costituzionale, prevedendo che tale legge costituzionale sia adottata “previa intesa con la Regione o Provincia autonoma interessata sul testo approvato dalle due Camere in prima deliberazione”. Vengono inoltre disciplinate le modalità con le quali le regioni e le province autonome possono negare l’intesa, vale a dire “entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con deliberazione a maggioranza dei due terzi dei componenti del Consiglio o Assemblea regionale o del Consiglio della Provincia autonoma interessata”. Si prevede in fine che “decorso tale termine senza che sia stato deliberato il diniego, le Camere possano adottare la legge costituzionale”.

 

Viene poi soppresso il terzo comma dell’articolo 116 che consente, con legge approvata a maggioranza assoluta da entrambe le Camere e sulla base di un’intesa con la Regione interessata, il riconoscimento a tutte le regioni di forme ulteriori di autonomia rispetto a quelle previste dal Titolo V nelle materia di legislazione concorrente e nelle materia di legislazione esclusiva concernenti l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

L’articolo 117 e 127: il rapporto con l’ordinamento internazionale, il catalogo delle materie e la “clausola di supremazia”

All’articolo 117 viene in primo luogo modificato il primo comma, sopprimendo la previsione che la potestà legislativa dello Stato debba essere esercitata non solo nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento internazionale ma anche da quelli derivanti dagli obblighi internazionali.

 

Le modifiche operate al secondo comma dell’articolo 117 prevedono l’inserimento tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato delle seguenti:

-     promozione internazionale del sistema economico e produttivo nazionale (lettera a);

-     politica, monetaria, del credito e in materia di organizzazioni comuni di mercato (lettera e);

-     norme generali sulla tutela della salute; sicurezza e qualità alimentari (lettera m-bis);

-     sicurezza del lavoro (lettera o);

-     ordinamento della capitale (lettera p);

-     grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza (lettera s-bis);

-     ordinamento della comunicazione (lettera s-ter);

-     ordinamento delle professioni intellettuali (lettera s-quater);

-     ordinamento sportivo nazionale (lettera s-quater);

-     produzione strategica, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia (lettera s-quinquies).

Viene invece esclusa dalla delimitazione della materia di competenza esclusiva “ordine pubblico e sicurezza”, la “polizia amministrativa regionale”, oltre a quella locale già prevista.

 

Al terzo comma dell’articolo 117 sono apportate le conseguenti modifiche al catalogo delle materie di legislazione concorrente. In particolare, dal catalogo sono espunte le materie “tutela della salute e sicurezza del lavoro”, si precisa che la competenza in materia di “ordinamento sportivo”, “reti di trasporto e navigazione” e “comunicazione” è concorrente solo nel caso in cui l’ambito della materia sia regionale (per la comunicazione si precisa che all’ambito regionale è ricondotta anche l’emittenza in ambito regionale). Si inseriscono inoltre le materie “promozione in ambito regionale dello sviluppo delle comunicazioni elettroniche”, “istituti di credito a carattere regionale” (che sostituisce “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale” ed “enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale”) e “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia” (come distinta dalla “produzione strategica, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia”, che come si è visto è competenza esclusiva dello Stato, e va a sostituire l’attuale materia di legislazione concorrente “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”).

 

Al quarto comma dell’articolo 117 viene ridefinita la competenza residuale delle regioni. L’attuale previsione che alle regioni spetti “ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” viene integrata con il riferimento esplicito a quattro materie:

-     assistenza ed organizzazione sanitaria;

-     organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche;

-     definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione;

-     polizia amministrativa regionale e locale.

 

Viene in fine modificata la previsione dell’ottavo comma dell’articolo 117. In particolare, rispetto all’attuale testo si precisa che la ratifica delle intese tra diverse regioni per il migliore esercizio delle funzioni deve avvenire con legge regionale, deve riguardare funzioni amministrative e conseguentemente, l’eventuale costituzione di organi comuni deve caratterizzarsi come costituzione di organi amministrativi comuni.

 

Alle previsioni dell’articolo 117 si collega quanto previsto dal nuovo secondo comma dell’articolo 127 che delinea una sorta di “clausola di supremazia” dell’interesse nazionale. Si prevede infatti che il governo possa contestare governo una legge regionale o parte di essa ritenuta lesiva dell’interesse nazionale, rimettendo la valutazione, in ultima istanza, al Parlamento in seduta comune (dopo aver richiesto alla regione di rimuove le disposizioni pregiudizievoli, se entro quindici giorni la regione non interviene). Il Parlamento può nei successivi quindi giorni sopprimere o modificare, a maggioranza assoluta, la legge regionale.

 

Si ricorda in fine che la legge di riforma costituzionale, in forza del nuovo articolo 70 della Costituzione, definisce un iter legislativo diverso in base all’ambito materiale del contenuto di un progetto di legge. Infatti, fatte salve alcune eccezioni, nel caso in cui tale ambito rientri nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, si prevede l’avvio dell’esame alla Camera, con un solo potere di “richiamo” da parte del Senato; qualora invece tale ambito rientri nella competenza legislativa concorrente, si prevede l’avvio dell’esame al Senato, con un solo potere di “richiamo” da parte della Camera[10].

L’articolo 118: il federalismo amministrativo e la “costituzionalizzazione” del sistema delle conferenze; il principio di sussidiarietà

All’articolo 118, il nuovo terzo comma introduce una “costituzionalizzazione” del sistema delle conferenze. Si prevede infatti che con legge bicamerale[11] sia istituita la Conferenza Stato-regioni per attuare il principio di leale collaborazione previsto dall’articolo 114 e per promuovere accordi ed intese. Con legge bicamerale possono essere inoltre create ulteriori Conferenze tra lo Stato e gli enti della Repubblica, cioè regioni, province, comuni e città metropolitane (il riferimento sembra essere alla Conferenza Stato-città e alla Conferenza unificata).

 

L’articolo 118, dopo avere ribadito al primo comma quanto previsto anche dal testo vigente sull’attribuzione in via generale ai comuni delle funzioni amministrative, salva la possibilità di attribuzione ai livelli di governo superiori per garantire l’esercizio unitario delle funzioni, specifica al nuovo quarto comma, che deve essere garantita a comuni, province e città metropolitane l’autonomia nell’esercizio delle funzioni amministrative, nell’ambito delle leggi statali o regionali.

 

Il nuovo quinto comma integra le materie, attualmente richiamate dal terzo comma dell’articolo 118, di competenza legislativa esclusiva dello Stato per le quali si può prevedere con legge statale la definizione di forme di coordinamento, si deve intendere per l’esercizio delle funzioni amministrative: oltre alle già previste immigrazione; ordine pubblico e sicurezza; tutela dei beni culturali, si inseriscono le materie ricerca scientifica e tecnologica; grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale.

 

Il nuovo sesto comma amplia la portata del principio di sussidiarietà orizzontale già contenuto nel vigente quarto comma dell’articolo 118 che prevede che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Il nuovo sesto comma prevede che il favore si esplichi anche attraverso misure fiscali. Si inserisce inoltre la previsione del riconoscimento e del sostegno degli enti di autonomia funzionale per le attività nelle quali si esplica la sussidiarietà orizzontale. L’ordinamento degli enti di autonomia funzionale sarà definito con legge ad iniziativa prevalente della Camera[12].

 

Tali enti hanno già ricevuto un riconoscimento nell’ambito dell’attuazione del decentramento amministrativo (già a partire dalla L. 59/1997) e, in seguito, con la L. 131/2003 che all’art. 7, co. 1, nel dettare i criteri e i princìpi del conferimento di funzioni amministrative, espressamente ne garantisce le attribuzioni, disponendo che possano operare anche in settori quali lo sviluppo economico e la gestione dei servizi.

 

Viene in fine inserito un nuovo settimo comma che prevede che con “legge bicamerale” venga favorito l’esercizio in forma associata delle funzioni dei piccoli comuni e di quelli situati nelle zone montane, attribuendo a tali forme associative la medesima autonomia riconosciuta ai Comuni.

L’articolo 120: il potere sostitutivo

Con due puntuali modifiche all’articolo 120, si precisa che il potere sostitutivo dello Stato è esercitato con riferimento alle funzioni attribuite a regioni, province e città metropolitane dagli articoli 117 e 118.

Si sopprime inoltre la previsione di una legge per la disciplina del potere sostitutivo, mantenendo comunque fermo che questo si debba esplicare nel rispetto dei principi di leale collaborazione e sussidiarietà.

Gli articoli 122, 123 e 126: la forma di governo regionale

La legge di riforma costituzionale prevede anche alcuni puntuali interventi sulla forma di governo regionale. In particolare:

-     con una modifica all’articolo 122 si rimette alla legge elettorale regionale, all’interno dei principi stabiliti con legge della Repubblica, anche la determinazione dei criteri di composizione del consiglio;

-     con un’ulteriore modifica all’articolo 122 si prevede che il presidente della regione non sia immediatamente rieleggibile dopo il secondo mandato consecutivo;

-     all’articolo 123 viene soppresso il riferimento al Commissario del governo;

-     sempre all’articolo 123 si definisce il Consiglio delle autonomie locali, al cui disciplina è rimessa, confermando il testo vigente, allo Statuto regionale, non solo come organo di consultazione ma anche come organo di concertazione e di raccordo fra la regione e gli enti locali;

-     all’articolo 126 è previsto il parere del Senato sul decreto del Presidente della Repubblica di scioglimento di un consiglio regionale per violazione della Costituzione o per gravi violazioni di legge;

-     sempre all’articolo 126 si prevede che non si debba procedere allo scioglimento del consiglio regionale in caso di morte o impedimento permanente del presidente della Regione.

Gli articoli 127-bis, 127-ter, 131 e 133: ulteriori disposizioni

La legge di riforma prevede in fine puntuali disposizioni concernenti:

-     la possibilità anche per comuni, province e città metropolitane, in analogia a quanto previsto per le regioni dall’articolo 127, di sollevare questione di legittimità costituzionale di fronte alla Corte costituzionale quando ritengano lesa la propria sfera di competenza costituzionalmente garantita (art. 127-bis);

-     la previsione di forme di coordinamento tra Senato e consigli regionali, ivi compresa la possibilità per i senatori della regione di essere sentiti di fronte al consiglio regionale (art. 127-ter);

-     l’introduzione della definizione bilingue per Val d’Aosta (Vallée d’Aoste) e per il Trentino-Alto Adige (SüdTirol) nell’elenco delle regioni (art. 131);

-     l’istituzione, con legge bicamerale, di città metropolitane (art. 133).

 

Va infine ricordata, tra le disposizioni transitorie della legge di riforma costituzionale, la possibilità di formare, entro cinque anni dall’entrata in vigore della riforma, nuove Regioni con almeno un milione di abitanti, con legge costituzionale (è soppresso il parere dei Consigli regionali) e con la sola condizione di sentire le popolazioni interessate, intendendosi per “popolazioni interessate” i cittadini residenti nei comuni o nelle province di cui si chiede il distacco (art. 53 della legge di revisione costituzionale, commi 14 e 15).

 

 

 

 


Prima della riforma del 2001

La riforma della forma di Stato nella XIII Legislatura: il testo della c.d. Commissione D’Alema

Il progetto di legge C. 3931-A di riforma della seconda parte della Costituzione elaborato in seno alla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali istituita nella XIII Legislatura (cd. “bicamerale D’Alema”) prevede una completa riscrittura del Titolo V che diviene Titolo I dedicato a “Comuni, Province, Regioni e Stato” (artt. 55-63).

 

Rispetto al testo dell’articolo 117 all’epoca vigente il progetto di legge C. 3931-A opera, all’articolo 58, comma 1, un “rovesciamento”, con l’indicazione delle materie di competenza legislativa statale e concorrente e l’attribuzione delle rimanenti competenze alle regioni (il testo allora vigente dell’articolo 117 prevedeva invece il riconoscimento di alcuni ambiti di legislazione concorrente tra Stato e regioni, prevedendo per il resto una generale competenza legislativa residuale dello Stato). Rispetto al catalogo delle materie di legislazione esclusiva dello Stato poi definite con la legge costituzionale n. 3/2001 emergono queste differenze:

-     l’inserimento delle materie “grandi reti di trasporto”; “poste e telecomunicazioni”; “produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia”;

-     l’assenza delle materie “rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose” e “norme generali dell’istruzione”.

 

Il secondo comma dell’articolo 58 definisce le materie di competenza concorrente cioè quelle nelle quali “spetta allo Stato determinare con legge la disciplina generale”. Si tratta di un catalogo più limitato dell’attuale. Si segnala in particolare la completa attribuzione alla legislazione concorrente della materia “istruzione” e l’assenza delle materie “governo del territorio”; “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale”; “enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale”.

 

Il terzo comma dell’articolo 58 prevede una “clausola di supremazia”, disponendo che spetti comunque allo Stato “la potestà legislativa per la tutela di imprescindibili interessi nazionali e quella ad esso attribuita da altre disposizioni della Costituzione”.

 

Il medesimo articolo 58 disciplina anche, in modo più succinto rispetto all’attuale testo costituzionale, l’esercizio del potere sostitutivo “del governo” ad “organi dei Comuni, delle Province e delle Regioni, nel caso che da inadempienze derivi pericolo per l'incolumità e la sicurezza pubblica”.

 

L’articolo 56 del progetto di legge, intervenendo nelle materie attualmente disciplinate dall’articolo 118, prevede in via generale l’attribuzione delle funzioni pubbliche ai diversi livelli di governo (comuni, province, regioni e Stato) sulla base dei principi di sussidiarietà e differenziazione. Inoltre si prevede l’attribuzione in via generale delle funzioni regolamentari e amministrative ai comuni anche nelle materie di competenza legislativa dello Stato o delle regioni, ad eccezione delle funzioni espressamente attribuite dalla Costituzione, dalle leggi costituzionali o dalla legge agli altri livelli di governo. Si tratta di una soluzione parzialmente diversa da quella dell’attuale Titolo V che prevede sì l’attribuzione in via generale delle funzioni amministrative ai comuni (art. 118, primo comma) ma non di quelle regolamentari, che sono attribuite allo Stato per le materie di competenza esclusiva, alle regioni negli altri casi e alle province, comuni e città metropolitane in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (art. 117, sesto comma).

 

L’articolo 56 interviene anche in materia di istituzione delle aree metropolitane ed esercizio associato delle funzioni comunali per i comuni che siano inferiori ad una determinata soglia fissata con legge della Repubblica.

 

L’articolo 62 del progetto di legge interviene in materia di federalismo fiscale. In analogia con il testo attuale dell’articolo 119 si delinea un sistema basato su tributi propri, compartecipazioni e ricorso al fondo perequativo. Rispetto all’attuale testo dell’articolo 119 si segnalano le seguenti differenze:

-     si determina la quota di partecipazione di comuni, province e regioni nella metà del gettito complessivo , al netto degli interventi per il servizio del debito pubblico, per far fronte a calamità naturali, per interventi di sviluppo economico e per il fondo perequativo;

-     si precisa che le compartecipazioni al gettito devono consentire, integrando i tributi propri, alle regioni con maggiore capacità fiscale l’autosufficienza finanziaria ed in generale a tutti gli enti territoriali il finanziamento delle proprie funzioni;

-     si stabilisce che i diversi livelli di governo partecipino all’accertamento dei tributi;

-     si specifica che il finanziamento integrale delle funzioni di comuni, province e regioni (mediante risorse proprie, compartecipazione e ricorso al fondo perequativo per le regioni con capacità fiscale minore a quella stabilita con legge) deve avvenire ad un livello di adeguatezza medio ed in condizioni di massima efficienza ed economicità (concetto che appare analogo a quello dei costi standard);

-     non è presente la previsione di cui al quinto comma dell’articolo 119 che consente allo Stato interventi speciali in favore di determinati comuni, province, regioni per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale (anche se parzialmente analoga può risultare la previsione di specifici interventi per lo sviluppo economico, da disciplinare con legge approvata dalle due camere;

-     si prevede in via generale l’attribuzione ai comuni dei beni demaniali, fatta eccezione per quelli attribuiti con legge della Repubblica agli altri livelli di governo perché essenziali per l’esercizio delle loro funzioni.

 

L’articolo 60 interviene in materia di statuto e forma di governo regionale, anticipando in buona parte i contenuti della riforma degli articoli 121, 122 e 123 del 1999. Rispetto all’attuale testo di tali disposizioni costituzionali si segnalano le seguenti differenze:

-    non si prevede per la legge elettorale regionale il rispetto di principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica ma si inserisce direttamente nel testo costituzionale il rispetto dei principi di democraticità; rappresentatività e stabilità di governo;

-     non è contemplata la previsione esplicita dell’elezione diretta del presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente.

 

Tra le ulteriori disposizioni merita ricordare che:

-    l’articolo 56 consente il ricorso alla Corte costituzionale anche ai comuni ed alle province in caso di invasione delle proprie competenze costituzionalmente garantite da parte di una legge dello Stato o regionale;

-    l’articolo 63 interviene in fine in materia di costituzione di nuove regioni e fusioni di regioni esistenti. Rispetto al testo attuale si sopprime l’obbligo della richiesta da parte di comuni che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate.

La riforma della forma di Stato nella XII Legislatura: il progetto di revisione costituzionale del c.d. Comitato Speroni

I punti fondamentali della relazione approvata dal comitato Speroni tema di forma di Stato possono essere così sintetizzati:

§  il rovesciamento dell'impostazione allora vigente degli articoli 70 e 117 Cost., nel senso di enumerare in modo tassativo le materie attribuite alla funzione legislativa dello Stato, mentre tutte le altre verrebbero automaticamente affidate alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni;

§  la garanzia costituzionale per l'autonomia, organizzativa, normativa, amministrativa e finanziaria per gli enti territoriali secondo il criterio di sussidiarietà;

§  la ripartizione delle funzioni amministrative con legge dello Stato tra Regioni, Province, Comuni ed altri enti locali nelle materie di competenza legislativa regionale, sempre secondo il criterio di sussidiarietà (similmente è previsto per la delega di funzioni amministrative a tali enti nelle materie di competenza legislativa statale);

§  la previsione costituzionale di attività sovranazionali, soprattutto a livello comunitario, delle Regioni;

§  autonomia finanziaria ed impositiva di Comuni, Province e Regioni, intesa come reperimento autonomo delle risorse per l'esercizio delle competenze, salvo il trasferimento di fondi statali per esigenze di riequilibrio non determinate da inefficienze tributarie;

§  autonomia statutaria delle Regioni, le quali possono definire forma di governo e legislazione elettorale regionali, con l'obbligo di prevedere meccanismi di tutela dell'autonomia di Comuni e Province;

§  abolizione del controllo preventivo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione, nonché delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali;

§  una disciplina più rigorosa dello scioglimento dei Parlamenti regionali (per impossibilità a funzionare; per atti contrari alla Costituzione e per ragioni di sicurezza pubblica, sentito il parere del Senato e del Presidente del Parlamento regionale);

§  eliminazione della possibilità per il Governo nazionale di promuovere davanti alle Camere la questione di merito per contrasto di interessi nei confronti di una legge regionale; la previsione di un termine tassativo per le pronunce della Corte costituzionale sulle leggi regionali impugnate per motivi di legittimità;

§  previsione di una soglia minima (4 milioni di abitanti) per la fusione o la creazione di nuove Regioni, stabilendo in via transitoria meccanismi incentivanti a tal fine;

§  una disposizione finale per il mantenimento, comunque, delle competenze attualmente attribuite alle Regioni a statuto speciale.

La riforma della forma di Stato nella XI Legislatura: il progetto di revisione costituzionale della c.d. Commissione De Mita-Iotti

Il progetto di riforma costituzionale C. 3597-S. 1789 elaborato dalla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali costituita nella XI legislatura (c.d. Commissione De Mita-Iotti), per ciò che attiene alla forma di Stato definiscono, nel quadro della riaffermata unitarietà della Repubblica, un nuovo modello di Stato regionale, caratterizzato dalla coesistenza nell'ambito della Comunità nazionale di distinte comunità territoriali dotate di autonomia politica e di governo, di autonomia finanziaria e di autonomia normativa primaria e secondaria di carattere generale.

Come già nel progetto di legge approvato dalla Commissione affari costituzionali della Camera nella precedente legislatura, il criterio di ripartizione delle competenze tra lo Stato e le regioni viene capovolto rispetto a quello codificato nel testo allora vigente dell'art. 117 Cost.: le materie riservate alla competenza dello Stato sono enumerate tassativamente nel nuovo testo dell'art. 70, mentre tutte le altre funzioni sono attribuite alle regioni, la cui competenza acquista pertanto carattere generale. Si analizzano di seguito i singoli aspetti della riforma proposta.

Allo Stato sono riservate le attribuzioni relative alle funzioni ritenute essenziali alla garanzia della sua unitarietà e sovranità, vale a dire le competenze in materia di politica estera, politica militare, politica della giustizia e governo della finanza. Allo Stato è inoltre riservata la definizione del contenuto essenziale delle libertà e dei diritti civili, etico-sociali, economici e politici riconosciuti ai soggetti privati in base alle disposizioni recate dalla parte prima della Costituzione. Le regioni hanno competenza, legislativa ed amministrativa, in tutte le altre materie.

Più specificamente, le materie di competenza statale, elencate tassativamente dal nuovo testo dell'art. 70 concernono, in sintesi, i seguenti settori: politica estera e rapporti internazionali; difesa nazionale e sicurezza pubblica; diritti pubblici soggettivi; politica della giustizia (ordinamento giudiziario e degli organi di controllo previsti dagli artt. 99 e 100 Cost, giustizia penale, civile, amministrativa, tributaria e contabile, ordinamento civile e penale e sanzioni penali); politica monetaria; contabilità dello Stato e finanza statale; programmazione economica generale ed azioni di riequilibrio, politica industriale ed energetica, dei trasporti e delle grandi comunicazioni; tutela dell'ambiente e dell'igiene pubblica; ricerca scientifica e tecnologica e tutela della proprietà artistica, letteraria ed intellettuale; previdenza sociale ed ordinamento generale della tutela e della sicurezza del lavoro; ordinamento generale e programmazione dell'istruzione ed ordinamento dell'università; disciplina generale dell'organizzazione e del procedimento amministrativo; materia elettorale; ordinamento delle professioni; statistica, pesi e misure; armi ed esplosivi; poste e telecomunicazioni; ordinamenti sportivi di interesse nazionale.

 

Alle regioni a statuto speciale è attribuita, con legge costituzionale, competenza legislativa esclusiva in tutte le materie non espressamente riservate allo Stato ai sensi del nuovo testo dell'art. 70. Gli statuti speciali possono indicare materie nelle quali lo Stato e le regioni esercitano competenze concorrenti; la definizione di potestà legislativa concorrente è configurata, in base al nuovo testo dell'art. 116, come il risultato di intese tra le parti, in quanto si prevede che gli statuti siano adottati con legge costituzionale su proposta di ciascuna regione e previa intesa della regione medesima sul testo approvato in prima lettura dalle camere.

Alle regioni a statuto ordinario è attribuita potestà legislativa esclusiva (nel vigente ordinamento riconosciuta solamente alle regioni a statuto speciale) nelle materie elencate nel nuovo testo dell'art. 117 Cost., che comprende settori di notevole rilievo quali l'agricoltura, il commercio, l'artigianato, il turismo, la formazione professionale, l'assetto urbanistico e del territorio. Tale potestà legislativa deve essere esercitata "in armonia con la Costituzione e con i principi generali posti dalle leggi di riforma economico sociale dello Stato" (limiti già previsti per le regioni a statuto speciale). Nelle altre materie alle regioni è attribuita una potestà legislativa concorrente, da esercitare nel rispetto dei "principi fissati dalle leggi organiche". Il regime dei limiti (ulteriori rispetto a quelli sopra indicati) imposti alla competenza regionale concorrente è radicalmente innovativo rispetto a quello previsto nel vigente ordinamento, per i seguenti profili.

La definizione di principi da parte dello Stato nella materie attribuite alla competenza legislativa concorrente delle regioni, mediante approvazione di una legge organica, è meramente facoltativa (mentre nell'ordinamento vigente in mancanza di apposite leggi cornice i principi-limite sono desunti dal complesso delle leggi statali vigenti nella materia). Il contenuto delle leggi organiche è più limitato rispetto a quello delle leggi-cornice: mentre quest'ultime infatti devono definire i "principi fondamentali delle materie" attribuite alla competenza regionale, le leggi organiche stabiliscono i principi fondamentali delle funzioni che attengono ad esigenze di carattere unitario ed hanno per destinatarie solo le regioni e non già i cittadini e gli altri soggetti sottoposti alla sovranità nazionale.

L’approvazione delle leggi organiche è soggetta ad una procedura "rinforzata" per quanto attiene alla iniziativa, che deve essere presentata al Senato, ed al quorum richiesto (approvazione a maggioranza assoluta dei componenti); le regioni, che devono essere obbligatoriamente consultate nel corso dell'iter di formazione delle leggi, possono ricorrere alla Corte costituzionale, in via principale, per motivi di illegittimità, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione della legge. Le leggi organiche, infine, possono essere modificate solo con espressa previsione e possono essere sottoposte a referendum abrogativo solamente con il consenso preventivo di almeno cinque consigli regionali su un quesito successivamente sottoscritto da almeno 500 mila elettori; il referendum è approvato se alla votazione hanno partecipato almeno i due terzi degli aventi diritto e se è stata raggiunta la maggioranza dei voti espressi validamente.

 

Il regime dei controlli sulle leggi regionali previsto dal nuovo testo dell'art. 127 risulta profondamente modificato, soprattutto in ragione della soppressione della figura del controllo mediante richiesta di riesame. Il testo proposto prevede che ogni legge approvata dal Consiglio regionale sia comunicata al Commissario di Governo, il quale deve vistarla entro il termine di 40 giorni (anziché 30 giorni), sempre che nel medesimo termine il Governo non promuova la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale o quella di merito per contrasto di interessi davanti al Parlamento.

 

Il nuovo testo dell'art. 118 Cost. definisce un sistema innovativo del riparto delle competenze amministrative sia per quanto concerne il rapporto tra Stato e regioni, sia sotto il profilo dei rapporti tra regioni ed enti locali.

Allo Stato, coerentemente con quanto previsto dal nuovo art. 70, sono attribuite competenze amministrative esclusivamente nelle materie riservate alla sua potestà legislativa, mentre in tutte le altre materie le funzioni amministrative sono attribuite "alle regioni, alle province e ai comuni". Nell'ambito di tali materie alle regioni spetta l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di coordinamento, nonché l'esercizio delle funzioni di carattere unitario a livello regionale, mentre tutte le altre funzioni sono attribuite, con legge regionale, ai comuni ed alle province. L'emanazione della legge con la quale si provvede al riparto delle funzioni è configurata come atto dovuto da parte delle regioni, a differenza di quanto previsto dal vigente art. 118, che configura come facoltativa da parte delle regioni la delega dell'esercizio delle proprie funzioni amministrative ai comuni ed alle province.

 

Secondo quanto previsto dal nuovo art. 118-bis, lo Stato, con legge organica, deve stabilire per ciascuna funzione di competenza regionale avente eminente valore sociale, quali sono le prestazioni minime che comunque ogni regione è tenuta a garantire ai cittadini. La legge organica definisce altresì le procedure per l'esercizio di poteri sostitutivi da parte dello Stato in caso di inadempienza da parte delle regioni.

 

Il regime dei controlli sugli atti amministrativi delle regioni è radicalmente innovativo rispetto a quello vigente, in ragione sia della definizione dell'organo di controllo, sia del tipo di controllo ammesso. Quanto al primo aspetto in luogo dell'organo statale di controllo di nomina governativa, il nuovo testo dell'art. 125 attribuisce la funzione di controllo a sezioni decentrate della Corte dei conti; quanto alla tipologia di controlli ammessi viene soppresso il riferimento ai controlli di merito. I casi, i limiti e le modalità di esercizio del controllo di legittimità sono stabiliti con legge dello Stato.

 

Il nuovo art. 126 modifica la disciplina vigente in materia di scioglimento dei consigli regionali, in quanto sopprime alcuni dei presupposti previsti, vale a dire lo scioglimento per ragioni di sicurezza nazionale o per mancata adesione dell'invito da parte del Governo a sostituire la Giunta o il Presidente che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge.

 

La disciplina costituzionale in materia di finanza regionale, proposta dal nuovo testo dell'art. 119 e dall'art. 119-bis, rende più incisivo il principio della finanza propria, definendo l'autonomia finanziaria e l'autonomia della imposizione tributaria come parte costitutiva dell'autonomia politica delle regioni, delle province e dei comuni. Il coordinamento tra la finanza statale, la finanza regionale e quella degli enti locali deve essere assicurato con legge organica.

Le entrate spettanti alla regione, in base al nuovo art. 119-bis sono le seguenti:

§  tributi propri istituiti e regolati con leggi regionali;

§  proventi derivanti dalla vendita di beni e servizi;

§  quote di partecipazione al gettito prodotto nelle singole regioni da tributi erariali con particolare riferimento alle imposte indirette.

 

Per la tutela delle regioni economicamente svantaggiate è prevista l'istituzione, da parte dello Stato, di un fondo perequativo, il cui ammontare deve essere definito in misura non superiore a quanto necessario per compensare la minore capacità di produrre gettito tributario e contributivo rispetto alla media nazionale per abitante. E' prevista anche l'istituzione di un ulteriore fondo a fini perequativi delle maggiori spese per abitante cui sono soggette le regioni di minore dimensione demografica per l'erogazione di servizi. I trasferimenti dello Stato derivanti dai fondi perequativi sono fissati d'intesa con le regioni e non possono in alcun caso avere vincoli di destinazione. Lo Stato per provvedere a scopi determinati può intervenire con finanziamenti aggiuntivi, d'intesa con le regioni interessate.

Nel caso di delega di funzioni amministrative da parte dello Stato alle regioni, i mezzi finanziari di cui le regioni delegatarie dispongono devono essere adeguati mediante una corrispondente ridefinizione delle loro quote di partecipazione al gettito dei tributi erariali.

Il nuovo art 117-ter attribuisce alle regioni la potestà di stipulare accordi con gli analoghi enti territoriali di altri Stati; a tal fine viene promossa da parte dello Stato la stipulazione di trattati internazionali che consentano tali accordi. Le procedure per la formazione degli accordi sono disciplinate con legge dello Stato.

Il nuovo art. 117-quater attribuisce alle regioni la facoltà di partecipare, secondo le modalità stabilite con legge statale, alle procedure di formazione della volontà dello Stato in relazione agli atti comunitari che incidono sulle materie di competenza regionale. Alle regioni è inoltre attribuita la potestà di dare attuazione alle direttive della Comunità europea nelle materie di propria competenza, fermo restando il potere di intervento sostitutivo dello Stato in caso di inadempienza.

La partecipazione delle regioni al processo normativo comunitario viene garantita infine con la attribuzione alle regione del potere di designazione di propri rappresentanti nell'ambito degli organi comunitari, secondo modalità stabilite con legge dello Stato e conformemente agli accordi comunitari stipulati in materia.

 

In tema di forma di governo regionale, il contenuto dell'autonomia politica delle regioni proposto nel nuovo testo dell'art. 122 è sensibilmente ampliato rispetto all'attuale dettato costituzionale: alle regioni viene infatti riconosciuta la potestà di adottare, con disposizioni statutarie approvate a maggioranza di due terzi dei consiglieri, una disciplina della propria forma di governo diversa da quella stabilita, in generale, dalla Costituzione. Le norme statutarie che definiscono la forma del governo regionale sono sottoposte a referendum confermativo, entro tre mesi dalla data di pubblicazione, qualora ne facciano richiesta un quinto dei consiglieri regionali o un ventesimo degli elettori della regione; le disposizioni in tal caso sono approvate se ottengono il consenso della maggioranza degli aventi diritto al voto.

La forma di governo delineata dall'art. 122 è di tipo parlamentare: si prevede infatti che il Presidente della giunta venga eletto dal Consiglio, tra i suoi componenti, a scrutinio palese. Il Presidente nomina e revoca i componenti della giunta, il cui ufficio è incompatibile con quello di consigliere. E' introdotto lo strumento della sfiducia costruttiva: il Consiglio può infatti revocare il Presidente con votazione a maggioranza assoluta dei componenti su una mozione che deve indicare contestualmente il nominativo del nuovo Presidente. Sistema elettorale regionale.

L'autonomia politica delle regioni definita nel nuovo testo dell'art. 122 si completa con l'attribuzione alle regioni del potere di adottare, con legge regionale approvata a maggioranza di due terzi dei consiglieri, un sistema di elezione del consiglio diverso da quello stabilito con legge statale. La legge regionale di disciplina del sistema elettorale può essere sottoposta a referendum confermativo, entro tre mesi dalla pubblicazione, qualora ne facciano richiesta un quinto dei consiglieri regionali o un ventesimo degli elettori della regione; la legge in tal caso si intende approvata se ottiene il consenso della maggioranza degli aventi diritto al voto.

La definizione del sistema elettorale regionale, per i casi in cui le singole regioni non provvedano ad adottare speciali disposizioni, spetta allo Stato, che deve emanare una apposita legge organica.

 

Le province ed i comuni, secondo il nuovo testo dell'art. 128, sono definiti come enti autonomi rappresentativi delle comunità locali.

Ad essi viene riconosciuta autonomia statutaria (dando in tal modo rango costituzionale alla normativa già introdotta dalla legge 142/1990) e sono attribuite funzioni proprie nel quadro della comunità nazionale e regionale. L'ordinamento e le funzioni dei comuni e delle province sono disciplinati dalle leggi regionali secondo i principi fissati dallo Stato con legge organica, che determina altresì le forme di autonomia statutaria.

Il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali è devoluto a sezioni decentrate della Corte dei conti.

La riforma della forma di Stato nella X Legislatura: il progetto di legge A.C. 4887 e abb.-A

Il progetto di revisione costituzionale, dapprima approvato dal Senato e poi, con modifiche, in testo unificato dalla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati (C. 4887-A), prevede una modifica degli articoli della Costituzione che fissano le competenze legislative e amministrative delle regioni, nonché i limiti dell'autonomia a queste riconosciuta, in relazione anche alla differenziazione funzionale tra le due Camere che il testo introduce[13].

Alcune soluzioni normative prefigurate dal progetto di legge sono state successivamente accolte dalla riforme costituzionali del 1999 e del 2001.

La prima innovazione è rappresentata dal capovolgimento del criteri di competenza legislativa accolto dalla Costituzione: mentre la Costituzione - nel testo vigente al tempo della presentazione della progetto di legge – elenca tassativamente le competenze legislative regionali (art. 117 Cost.), rimanendo le altre materie riservate alla disciplina legislativa statale, nel testo approvato dalla I Commissione si propone di elencare invece (con modifica dell'art. 70 Cost.) le materie riservate alla legge dello Stato, tutte le altre intendendosi attribuite alle regioni.

Le materie rientranti nella competenza legislativa dello Stato ed elencate nell'art. 70 rientrano in grandi settori di intervento normativo che nella relazione di accompagnamento del testo approvato in Commissione sono individuati nell'ordinamento dello Stato, nelle relazione internazionali, nella sicurezza esterna e interna, nel sistema dei diritti pubblici soggettivi, nel sistema delle garanzie giurisdizionali, nella finanza pubblica, nel sistema dei pubblici poteri relativi alle relazioni economiche e al governo del territorio, nelle politiche per l'alta cultura e l'istruzione superiore, nel sistema dei diritti sociali.

In tutte le altre materie, riservate alla competenza delle regioni, la legislazione statale potrà porre, come già previsto per le materie di cui all'art. 117 Cost., solo le norme di principio cui si dovranno attenere le leggi regionali.

Anche per quanto concerne la legislazione di principio statale il testo prevede rilevanti innovazioni: il nuovo testo dell'art. 70 Cost. prevede che i principi possano essere stabiliti solo da leggi specificamente preordinate alla loro definizione, escludendo dunque che i medesimi possano ricavarsi anche per via interpretativa, dal complesso della legislazione statale su un determinato ambito normativo. Tali leggi sono chiamate "leggi organiche" e la loro approvazione è tendenzialmente riservata al Senato: si prevede inoltre che le leggi organiche possano fissare esclusivamente i "principi fondamentali delle funzioni che attengono alle esigenze di carattere unitario", ulteriormente specificandosi e delimitandosi in tal modo l'ambito di intervento della legislazione di principio di fonte statale.

Il quadro della riforma dell'autonomia regionale è completato dal nuovo testo degli articoli 118, 119, 121, 122, 126 e 127 della Costituzione.

In particolare il nuovo testo dell'art. 118 Cost. prevede che tutte le funzioni amministrative nelle materie non riservate allo Stato spettano alle Regioni, alle Province e ai comuni, prevedendo così, per la prima volta con norma di rango costituzionale, che anche le province e i comuni siano direttamente e necessariamente tributari di competenze amministrative proprie: il secondo comma dell'art. 118 specifica che la legge regionale deve attribuire a tali enti le funzioni amministrative di interesse locale. L'art. 119 stabilisce invece il principio dell'autonomia finanziaria delle Regioni, determinando altresì i principi generali per la sua attuazione.

Da segnalare infine la grande potenzialità innovativa del nuovo testo dell'art. 122 Cost. che prevede che lo statuto regionale, con disposizioni deliberate a maggioranza dei due terzi dei componenti il Consiglio regionale, possa prevedere il sistema d'elezione dei consiglieri regionali e la disciplina della forma di governo della regione anche in difformità da quanto previsto in via generale dalle norme costituzionali in materia.

La riforma della forma di Stato nella IX Legislatura: la relazione della c.d. Commissione Bozzi

La relazione conclusiva della Commissione per le riforme istituzionali costituita nella IX Legislatura e presieduta dall’on. Bozzi non contiene una proposta di riformulazione degli articoli del Titolo V della Costituzione. Essa tuttavia rimette al Parlamento la proposta di riforma degli articoli 117 e 118 trasmessa alla Commissione dalla Conferenza dei presidenti delle regioni, la quale, essendo pervenuta a ridosso della conclusione dei lavori della Commissione, non aveva potuto essere oggetto di approfondimento da parte dell’organo parlamentare.

La Conferenza dei presidenti delle regioni propone in primo luogo una riforma dell’articolo 116 volta a specificare che alle regioni a Statuto speciale sono comunque riconosciute, anche se non previste dai rispettivi statuti, le competenze nelle materie di cui all’articolo 117.

La riforma proposta dell’articolo 117 mantiene l’impianto del testo approvato dall’Assemblea costituente vale a dire la possibilità di esercizio della potestà legislativa regionale, in coerenza con i principi fondamentali stabiliti dalle leggi statali, solo in determinati ambiti materiali e sempreché le norme regionali non risultassero in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni.

Tuttavia, si precisa che i principi fondamentali dovevano essere espressamente contenuti nelle leggi statali. In tal modo si intendeva probabilmente promuovere l’approvazione di vere e proprie “leggi-cornice”, abbandonando la prassi invece invalsa (con il sostegno anche della giurisprudenza dalla Corte costituzionale) di ricavare i principi fondamentali dal complesso della legislazione esistente. Al riguardo, anche la relazione conclusiva della Commissione esprime l’auspicio di “una migliore definizione e una più ampia utilizzazione dello strumento delle leggi-cornice (alle quali si attribuisce il carattere di leggi bicamerali), al fine di definire con chiarezza i limiti dei “principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato” entro i quali deve svolgersi la legislazione regionale, senza però ampliare tali limiti – come pur talora è avvenuto – fino al punto di comprimere l’autonomia delle scelte del legislatore regionale e ridurne la funzione a quella di una normazione sub primaria a carattere meramente applicativo”. Il nuovo articolo 117 proposto prevede che le leggi volte a determinare i principi fondamentali debbano essere approvate da entrambe le Camere con il parere della Commissione bicamerale per le questioni regionali (da integrarsi con venti rappresentanti delle regioni “scelti a norma di legge”: nuovo articolo 127-bis). In caso di parere contrario della Commissione bicamerale la legge deve essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera (quarto comma).

Inoltre, le materie assegnate alla competenza regionale dal nuovo articolo 117 proposto sono raggruppate in settori organici, prevedendo altresì l’inserimento di nuove materie. Tali settori sono:

-        ordinamento e organizzazione amministrativa (vengono inserite, tra le altre, le nuove materie delle forme di collaborazione e di associazione fra enti locali);

-        servizi sociali (vengono inserite, tra le altre, le seguenti materie: assistenza sociale, con esclusione delle prestazioni previdenziali; formazione professionale; organizzazione dei servizi scolastici, ferma restando la competenza statale circa le norme generali sull’istruzione e la disciplina del personale scolastico; le attività sportive e ricreative; i beni culturali di interesse regionale e le tradizioni popolari);

-        sviluppo economico (vengono inserite, tra le altre, le seguenti materie: servizi a sostegno delle attività industriali ed a sostegno dell’occupazione; distribuzione commerciale; risorse idriche, minerarie ed energetiche salvo i limiti definiti dai programmi nazionali);

-        assetto e utilizzazione del territorio (che comprende tutte materie nuove rispetto al testo allora vigente dell’articolo 117, tra le quali la protezione dell’ambiente; i trasporti di interesse regionale e locale; lavori e opere pubbliche escluse quelle relative a servizi di interesse statale).

 

Si prevede inoltre (secondo comma) che nelle materie di loro competenza spetti alle regioni dare attuazione a regolamenti e direttive delle Comunità europee, ferma restando la determinazione con legge statale dei principi fondamentali.

La proposta della Conferenza dei presidenti delle regioni contiene anche una riformulazione dell’articolo 118, volta a valorizzare le funzioni di indirizzo e programmazione amministrativa delle regioni ed a devolvere a province e comuni l’esercizio concreto delle funzioni amministrative.

La proposta include anche, infine, una riformulazione dell’articolo 119. In particolare, si introduce il concetto di programmazione economica nazionale, da stabilirsi da parte dello Stato con il concorso delle regioni, nel quadro della quale le regioni sono chiamate a prevedere una loro programmazione, con il concorso di province e comuni.

Inoltre, tra le entrate con cui le regioni possono finanziare le proprie funzioni normali, oltre ai tributi propri ed a quote di tributi erariali riscosse sul proprio territorio, sono aggiunti anche i trasferimenti dello Stato senza vincolo di destinazione in relazione ai bisogni delle regioni e agli obiettivi nazionali di riequilibrio (in maniera parzialmente analogo a quanto ora previsto con il fondo perequativo).

Sono previsti anche finanziamenti a destinazione vincolata per il finanziamento di servizi di carattere nazionale, nonché per provvedere a scopi determinati.

Si prevede in fine la costituzione di un demanio regionale, secondo modalità stabilite con legge della Repubblica.

 



[1] Per il contesto dei quali si rinvia alla premessa del dossier Il bicameralismo nei progetti di riforma costituzionale (Documentazione e ricerche n. 26 – 11 giugno 2013) e al dossier Il metodo delle riforme costituzionali – I precedenti (Documentazione e ricerche n. 17 – 22 maggio 2013).

[2] Per le regioni Sardegna, Sicilia, Friuli-Venezia Giulia e per la provincia autonoma di Trento la legge costituzionale 2/2001 detta inoltre la disciplina transitoria per le elezioni dei rispettivi consigli e Presidenti, fino all’entrata in vigore della normativa di ciascuna regione; disciplina che – uniformando il sistema a quello delle regioni a statuto ordinario, prevede l'elezione diretta del Presidente della Regione (e della Provincia autonoma di Trento) contemporaneamente all'elezione del Consiglio.

Per la regione Valle d'Aosta e per la Provincia autonoma di Bolzano, invece, in considerazione delle specificità delle rispettive popolazioni, non sono state emanate norme transitorie e per la Provincia autonoma di Bolzano è stato inserito il vincolo statutario dell'elezione del consiglio provinciale con sistema proporzionale (art. 47, comma 3, DPR 670/1972).

[3] Si ricorda altresì che, alla fine della XVI legislatura, sono state approvate tre leggi costituzionali che modificano gli statuti delle regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna, al fine di ridurre il numero dei componenti del consiglio o dell’assemblea regionale (rispettivamente, L. Cost. n. 1/2013, L. Cost. n. 2/2013 e L. Cost. n. 3/2013).

[4] Tali materie sono divise per lettera:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;

b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

n) norme generali sull'istruzione;

o) previdenza sociale;

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;

s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

[5]  Si tratta delle seguenti materie: “rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale”.

[6]  Art. 4, co. 3, lett. a), L. 59/1997.

[7]  Art. 4, co. 3, lett. h), L. 59/1997.

[8]  Art. 4, co. 3, lett. g), L. 59/1997.

[9] Per una disamina più analitica, si rinvia al dossier Il bicameralismo nei progetti di riforma costituzionale, cap. 1 (Doc. e ric. n. 26/2013).

[10] Per questi aspetti si rinvia al dossier Il bicameralismo nei progetti di riforma costituzionale (Documentazione e ricerche n. 26, 11 giugno 2013).

[11] Vale a dire esaminata in modo “paritario” e approvata da entrambe le Camere, ai sensi del nuovo articolo 70, comma 3, della Costituzione.

[12] Cioè per la quale il Senato ha solo la possibilità di un “richiamo” intervenendo entro quindici giorni entro l’approvazione della Camera, ai sensi dell’articolo 70, primo comma.

[13] Si rinvia in proposito al dossier Il bicameralismo nei progetti di riforma costituzionale, cap. 7 (Doc. e ric. n. 26 dell’11 giugno 2013).