Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||||
Titolo: | Riunione interparlamentare sulla politica commerciale dell'Unione europea - Parigi, 17 giugno 2015 | ||||
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 38 | ||||
Data: | 12/06/2015 | ||||
Descrittori: |
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Nota: | Questo dossier non prevede la versione in formato pdf. |
Camera dei deputati
XVII LEGISLATURA
Documentazione per le Commissioni
riunioni interparlamentari
Riunione interparlamentare sulla politica commerciale
dell’Unione europea
Parigi, 17 giugno 2015
n. 38
12 giugno 2015
Il dossier è stato curato dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea
(' 066760.2145 - * cdrue@camera.it)
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I N D I C E
Premessa
Programma della riunione (versione inglese)
I negoziati tra UE e USA per un partenariato in materia di commercio e investimenti
· Relazioni commerciali tra l’UE e gli Stati Uniti
· Studi sull’impatto dell’accordo TTIP
· La posizione del Parlamento europeo
· La posizione degli Stati Uniti
· La trasparenza dei negoziati
L’Accordo globale economico e commerciale tra UE e Canada (CETA)
· Relazioni commerciali tra l’UE e il Canada
La partecipazione dell’Unione europea all’Organizzazione mondiale del commercio
· Recente attività del Consiglio dell’UE
I Parlamenti dell’Unione europea e i negoziati sui trattati internazionali
· Recenti indicazioni emerse dalle sedi interparlamentari dell’UE
La procedura per la negoziazione di accordi commerciali da parte dell’UE
Nota di inquadramento – Sessione I (versione inglese) 31
Nota di inquadramento – Sessione II (versione inglese) 33
PREMESSA
Le Commissioni affari europei, affari esteri e affari economici dell’Assemblea nazionale francese hanno assunto l’iniziativa di organizzare una riunione interparlamentare dedicata alla politica commerciale dell’Unione europea, con riferimento ai negoziati in corso con gli Stati Uniti (TTIP), con il Canada (CETA) e in sede di Organizzazione mondiale per il commercio (OMC).
La riunione non rientra tra quelle organizzate nell’ambito del Semestre di presidenza del Consiglio dell’UE, che fino al 30 giugno 2015 è detenuto dal Lussemburgo.
La riunione interparlamentare si svolgerà la mattina del 17 giugno, a Parigi, presso l’Assemblea nazionale e sarà articolata in due sessioni dedicate rispettivamente a: 1) i rischi dei negoziati commerciali in corso; 2) l’impatto dei negoziati commerciali.
In vista della riunione l’Assemblea nazionale ha trasmesso per ogni sessione una nota di inquadramento volta a orientare il dibattito.
In particolare, nella nota dedicata alla prima sessione, relativa ai rischi dei negoziati commerciali in corso, vengono richiamate le seguenti questioni:
· in quale misura le disposizioni dei futuri accordi commerciali potranno garantire gli standard europei in materia ambientale, sociale e di tutela della salute ?
· in relazione alle disposizioni relative alla protezione degli investitori esteri (cosiddetta clausola investor State dispute settlement – ISDS meccanismo volto a regolare le dispute tra investitori esteri e singoli Stati per quanto riguarda la corretta applicazione delle disposizioni degli accordi commerciali) è veramente necessario garantire maggiori diritti ad investitori esteri rispetto a quelli nazionali e in tal caso il diritto degli Stati a regolare sarà sufficientemente protetto? Le recenti proposte presentante dal Commissario Cecilia Malmström per la riforma dei sistema di protezione degli investitori, assunto che saranno accettate dagli USA, saranno efficaci?
· nel caso in cui i Parlamenti nazionali decidessero di opporsi al meccanismo ISDS, si dovrebbe correre il rischio di rifiutare la ratifica degli accordi commerciali, perdendo i progressi che essi comunque comporterebbero in materia di protezione delle indicazioni geografiche e di apertura dei mercati degli appalti pubblici?
· nonostante i progressi conseguiti in tema di trasparenza dei negoziati in corso, grazie alle iniziative della Commissione europea, la questione dell’accesso dei Parlamenti nazionali ai documenti di negoziato, in particolare quelli americani, rimane un tema assai rilevante per i Parlamenti.
Nella nota dedicata alla seconda sessione, relativa all’impatto dei negoziati commerciali in corso, si richiama la questione delle conclusioni a volte divergenti degli studi di valutazioni di impatto della crescita in termini assoluti e in relazione al PIL, nonché dell’aumento dell’occupazione e delle esportazioni degli accordi commerciali e della necessità per i Parlamenti nazionali - che dovranno ratificare gli accordi - di avere valutazioni affidabili.
I Parlamenti devono contentarsi delle informazioni fornite dai Governi, dalla Commissione o dalle organizzazioni non governative o dovrebbero procedere ad autonome valutazioni dell’impatto di tali accordi?
Per quanto riguarda poi la tendenza dell’UE a sviluppare accordi commerciali bilaterali con paesi in via di sviluppo, la nota propone di approfondire la discussione attorno a due questioni:
· la tendenza dell’UE a incrementare il numero di accordi commerciali bilaterali non mette in pericolo l’approccio multilaterale alle problematiche del commercio mondiale e quindi la tenuta in considerazione delle esigenze dei paesi in via di sviluppo?
· i Parlamenti nazionali non dovrebbero valutare l’impatto degli accordi commerciali tenendo in considerazione anche i paesi in via di sviluppo e la coerenza di tali accordi con altre politiche dell’Ue e in particolare della politica dell’UE per la cooperazione allo sviluppo?
I negoziati per un partenariato in materia di commercio e investimenti tra gli Stati Uniti e l’Unione europea (Transatlantic Trade and Investment Partnership - TTIP) sono stati avviati ufficialmente al G8 del 17 giugno 2013.
Il Consiglio dei ministri competenti per il commercio aveva approvato, il 14 giugno 2013, il mandato negoziale per la Commissione, concordando, per superare il veto minacciato dalla Francia che ha invocato l’eccezione culturale dell’UE, che i servizi audiovisivi non siano coperti dal mandato stesso.
Parere favorevole all'avvio dei negoziati è stato dato dal Parlamento europeo nella risoluzione del 23 maggio 2013 (approvata con 460 voti favorevoli, 105 contrari e 28 astensioni), in cui si ricorda ai negoziatori il loro dovere di tenere il Parlamento "immediatamente e pienamente informato" durante tutte le fasi delle trattative. I parlamentari europei sottolineano che nessun accordo potrà avere effetto senza l'approvazione del Parlamento europeo. Nella risoluzione viene avanzata la forte richiesta di salvaguardare i principi essenziali propri dell'UE, tra i quali in particolare il consolidato principio di precauzione in materia di sicurezza alimentare[1], la tutela dei diritti di proprietà intellettuale e delle indicazioni geografiche, l’alto livello di protezione dei dati personali; gli standard ambientali e sul lavoro.
USA e UE sono reciprocamente i primi partner commerciali. Nel 2014 l'UE ha esportato verso gli Stati Uniti merci per circa 311 miliardi di euro e ha importato merci dagli Stati Uniti per circa 205 miliardi di euro.
Nel periodo 2010-2014 le esportazioni dell’UE verso gli Stati Uniti sono cresciute con un tasso annuale medio di 6,4% mentre le importazioni dagli Stati Uniti verso l’UE del 4,2%.
Nel settore dei servizi, secondo gli ultimi dati disponibili, relativi al 2013, le esportazioni di servizi dall'UE verso gli Stati Uniti hanno raggiunto circa 181 miliardi di euro e le importazioni nell'Unione di servizi provenienti dagli Stati Uniti sono state pari a 160 miliardi di euro.
In termini di investimenti esteri diretti (IED), al 2013 gli stock di IED dell'UE negli Stati Uniti hanno raggiunto il valore di 1.686 miliardi di euro e quelli degli Stati Uniti nell’UE sono pari a 1.651 miliardi di euro.
Per maggiori dettagli sui rapporti commerciali tra UE e USA si veda la nota a cura della Direzione Generale Commercio della Commissione europea.
Per le statistiche commerciali nel settore agricolo tra UE e USA si veda la nota a cura dalla DG Agricultura della Commissione europea.
Sull’impatto dell’accordo TTIP sono stati prodotti una ampia serie di studi, tra i quiali si segnalano i seguenti.
· la valutazione di impatto della Commissione europea pubblicata nel settembre 2013, basata sullo studio “Reducing Transatlantic Barriers to Trade and Investment” che la Commissione europea aveva commissionato al Centre for Economic Policy Research, pubblicato nel marzo 2013;
Nelle previsioni della Commissione europea, la stipula dell’accordo potrebbe incrementare il PIL dell’UE di circa lo 0,5%, per un valore di 119 miliardi di euro l’anno; per gli USA il vantaggio viene quantificato in un aumento dello 0,4% del PIL, per un valore di 95 miliardi di euro.
· “Transatlantic Trade andInvestment Partnership (TTIP) - Who benefits from a free trade deal?” pubblicato dalla fondazione Bertelsmann nel giugno 2013;
· il rapporto di Confindustria pubblicato nel maggio 2013, che in particolare analizza l’impatto dell’accordo TTIP per i diversi settori industriali italiani;
Confindustria è favorevole l’accordo di libero scambio UE-USA. Nonostante il basso livello medio di protezione tariffaria vi sono ancora picchi che ostacolano l’accesso al mercato USA e la rimozione dei dazi, data l’entità degli scambi commerciali, può fornire risultati immediati e assai consistenti. La divergenza regolamentare costituisce un costo fisso per le imprese, per taluni settori assai elevato, riducendone l’accesso al mercato e la competitività. Sarà necessario un elevato livello di cooperazione regolamentare preventiva per evitare l’adozione di nuove barriere o norme divergenti. Per la liberalizzazione dei servizi va garantito pieno accesso al mercato e trattamento pari a quello degli operatori nazionali con limitate eccezioni, applicando norme e requisiti domestici senza discriminazione ed assicurando la protezione dei dati senza ulteriori costi o vincoli. Il mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali favorirebbe il superamento di molti limiti e restrizioni. L’accesso agli appalti pubblici è attualmente sbilanciato in favore degli US, il cui mercato è aperto alle imprese europee soltanto per poco più del 30%, con regole diverse a livello federale e statale. In materia di proprietà intellettuale, l’accordo dovrebbe permettere di estendere l’armonizzazione al trattamento dei dati, dei segreti e delle informazioni confidenziali industriali. Altresì prioritari gli aspetti legati al riconoscimento delle Indicazioni Geografiche e le problematiche connesse al fenomeno dell’Italian sounding, particolarmente grave per il settore agroalimentare.
· “Stima degli impatti sull’economia italiana derivanti dall’accordo di libero scambio USA-UE” pubblicato da Prometeia nel giugno 2013 e che in particolare anallizza l’impatto sull’economia italiana;
Lo studio Prometeia evidenzia che una semplice abolizione della barriere tariffarie non avrebbe apprezzabili ritorni economici. La riduzione o l’abolizione delle barriere non tariffarie avrebbe invece effetti significativi per tutti i paesi coinvolti dall’accordo, con un loro pieno dispieamento in un orizzonte temporale di tre anni. L’Italia sarebbe quindi tra i paesi che maggiormente beneficierebbe in termini industriali dall’accordo TTIP, per le maggiori difficoltà dei produttori italiani rispetto ai principali concorrenti europei, dovute al mix merceologico dell’export italiano, che da lato è maggiormente esposto alle barriere tariffarie (con un aggravio di costi del 7% nei confronti dei concorrenti UE) e dell’altro subisce la concorrenza dei paesi che hanno nel prezzo la loro maggiore leva competitiva (Cina e Messico su tutti). Particolarmente positivi sarebbero gli effetti per tutto il comparto dei mezzi di trasporto, e per i seguenti settori: maccanica, sistema moda, alimentare e bevande. Nello scenario piu ottomista il rapporto stima la possibilità di un aumento delle esportazioni italiane di merci, a prezzi costanti, pari ai due miliardi di euro. Il rapporto individua come invece esposte ad un possibile effetto negativo le aree della filiera chimica e farmaceutica, dell’agricoltura e dei prodotti intermedi come carta e legno, data la maggiore competitivià delle merci statunitensi. Gli effetti non sarebbero però limitati alla competititiva delle esportazioni; l’aumento delle esportazioni stimolerbbe l’attività di investimento. La componente di domanda interna piu favorita sarebbe quella dei beni strumentali, storicamente legate all’andamento delle esportazioni. Un’estensione ampia dell’accordo di liberalizzazione potrebbe produrre un aumento dell’economia italiana di circa il mezzo punto percentuale. Il rapporto stima che a tre anni dall’applicazione dell’accordo il PIL dell’Italia aumenterebbe al netto dell’inflazione, di 5,6 miliardi di Euro e l’occupazione di circa 30.000 unità;
· “Il partenariato transatlantico su commercio ed investimenti: presupposti e prospettive”, pubblicato dall’Istituto affari internazionali (IAI) nel dicembre 2013;
· “Trade Sustainability Impact Assessment on the Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) between the European Union and the United States of America” rapporto commissionato dalla Commissione europea al centro Studi Ecorys e pubblicato nel marzo 2014;
· “The Impact of TTIP -The underlying economic model and comparisons” del Centre for European Policy Studies (CEPS) dell’ottobre 2014, commissionato dal Parlamento europeo e che in particolare analizza la metodologia usata dalla Commissione europea nella valutazione dell’impatto dell’accordo TTIP;
· “The Trans Atlantic Trade and Investment Partnership:European Disintegration, Unemployment and Instability” dell’ottobre 2014 Global development and environment institute, presso la Tufts University che ha in particolare un approccio molto critico rispetto ai possibile impatto dell’accordo TTIP;
· “TTIP impact on european energy markets and manufacturing industries” del gennaio 2015, commissionato dal Parlamento europeo e che analizza l’impatto sul mercato europeo dell’energia e sull’industria manifatturiera;
· “Boosting TTIP Negotiations: A Value Chain Approach” pubblicato dall’Istituto affari internazionali (IAI) il 25 maggio scorso.
Come dichiarato in più occasioni dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, l’accordo ha “l’appoggio totale e incondizionato del governo” italiano, che spera in una sua conclusione entro la fine del 2015.
Rispondendo ad una interrogazione del deputato Gallinella, nel corso della seduta del 30 aprile 2014, il ministro per lo sviluppo economico, Federica Guidi, ha dichiarato che l’Italia ha effettuato un’attenta valutazione di impatto sulle risultanze economiche per il paese, da cui risulta che saremo tra i paesi con i maggiori effetti positivi dal buon esito del negoziato per i principali settori di specializzazione del nostro paese nel commercio mondiale, quali ad esempio, la meccanica, il sistema moda, l’agroalimentare, le bevande e anche per l’industria dei mezzi di trasporto.
Sull’argomento sono state presentate diverse mozioni, che sono state esaminate e votate nelle sedute della Camera del 20 ottobre e del 17 novembre 2014. Nelle mozioni approvate si è impegnato il Governo: a riferire in Parlamento sugli esiti delle trattative; ad intervenire in sede europea affinché i beni e servizi fondamentali siano esclusi dalla trattativa e si svolgano adeguate consultazioni pubbliche; a vigilare su un approccio equilibrato al meccanismo arbitrale Investor State dispute settlement (Isds); a ribadire la necessità per il settore alimentare del riconoscimento delle indicazioni geografiche (IIGG) e del contrasto dell’«italian sounding»; a monitorare l’impatto dell’accordo sul sistema delle piccole e medie imprese.
La XIII Commissione Agricoltura della Camera, inoltre, il 4 novembre 2014 ha avviato un’ indagine conoscitiva “Ricadute sul sistema agroalimentare italiano dell'Accordo di partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP)”, nell’ambito della quale ha svolto audizioni dei rappresentanti delle principali organizzazioni agricole nonché del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, del Vice Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, del relatore permanente della Commissione agricoltura del PE per i negoziati di libero scambio UE-USA, Paolo De Castro.
In materia di accesso al mercato, il mandato negoziale - concordato all’unanimità dagli Stati membri dell’UE in seno al Consiglio - affronta tra l’altro le seguenti questioni:
· tariffe - l'obiettivo è sopprimere tutti i dazi sugli scambi bilaterali, con lo scopo comune di raggiungere una sostanziale eliminazione delle tariffe al momento dell'entrata in vigore dell'accordo e una graduale abolizione di tutte le tariffe, salvo quelle più sensibili, in un breve arco di tempo. Le barriere tariffarie transatlantiche sono relativamente basse, con una media del 5,2% per l’UE e 3,5% per gli USA, ma, in considerazione della grandezza degli scambi tra UE e USA, lcomportano costi non trascurabili;
· ostacoli non tariffari causati dalle differenze nella disciplina e nelle norme. In base ai calcoli effettuati da uno studio indipendente del Centro di ricerca per la politica economica (CEPR) di Londra, intitolato Reducing barriers to Transatlantic Trade ("ridurre gli ostacoli agli scambi transatlantici"), circa l'80% dei vantaggi economici del TTIP deriverebbero dalla riduzione dei costi imposti dalla burocrazia e dalle disposizioni normative, nonché da una liberalizzazione degli scambi di servizi e delle gare d'appalto pubbliche;
· regole di origine - l’obiettivo è quello di conciliare gli approcci UE e USA in materia di regole di origine per facilitare gli scambi, tenendo in conto gli interessi dei produttori europei;
· misure di difesa commerciale - l’UE vuole istituire un dialogo su misure antidumping e anti sussidi con gli USA, senza pregiudizi per i diritti ad usare tali misure nel quadro delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio;
· servizi - entrambe le parti dovrebbero aprire i loro settori dei servizi analogamente a quanto è stato fatti in altri accordi simili; allo stesso tempo le parti intendono aprire i loro mercati dei servizi in nuovi settori, quale quello dei trasporti. Sono stati esclusi, su richiesta dalla Francia, il settore degli audiovisivi;
· appalti pubblici - le imprese europee i cui affari dipendono da appalti pubblici rappresentano il 25% del PIL dell’UE e 31 milioni di posti di lavoro. Significative nuove opportunità dovrebbero arrivare secondo la Commissione dall’apertura dei mercati degli appalti pubblici a tutti i livelli, senza discriminazioni per le imprese europee.
Come ribadito in più occasioni dalla Commissione, le norme fondamentali dell’UE, come quelle in materia di OGM o in difesa della vita e della salute umana, della salute e del benessere degli animali o dell'ambiente e degli interessi dei consumatori, non rientreranno nei negoziati.
La posizione iniziale dell’UE, sviluppata in coerenza con il mandato, è sintetizzata in alcuni position papers su diversi aspetti del negoziato, che sono stati consegnati alla controparte statunitense nel corso del primo round negoziale.
Successivamente, il 14 maggio 2014 la Commissione ha pubblicato ulteriori position papers su cinque temi del negoziato (sostanze chimiche, veicoli a motore, prodotti cosmetici, prodotti farmaceutici, tessili e abbigliamento). Il 7 gennaio 2015 infine la Commissione ha reso pubblici i testi delle proposte dell’UE in materia di: concorrenza; sicurezza alimentare, animale e delle piante; questioni doganali; barriere tecniche agli scambi; piccole e medie imprese; meccanismo di risoluzione delle controversie tra Stati. Tali iniziative sono state assunte per venire incontro alle richieste di maggiore trasparenza dei negoziati e all’impegno in tal senso assunto dalla Commissione nel novembre 2014 (vedi infra).
Finora si sono tenuti nove round negoziali, l’ultimo dei quali si è concluso il 24 aprile 2015 ed è stato dedicato a tutte le aree oggetto del negoziato[2]. Nel corso della conferenza stampa a conclusione del round negoziale, Ignacio Garcia Bercero - capo negoziatore per l’UE – ha riassunto i principali risultati:
a) per quanto riguarda accesso al mercato, tariffe e appalti, le due parti hanno proseguito nella valutazione complessiva delle reciproche offerte, arrivando ad una maggiore comprensione delle rispettive priorità e sensibilità. Come affermato nella dichiarazione congiunta, rilasciata da Malmstrom e Froman il 20 marzo 2015, l’accordo salvaguarderà le modalità con cui i governi nazionali individuano e forniscono servizi pubblici ai cittadini, lasciandoli liberi di decidere in qualsiasi momento che certi servizi devono essere necessariamente forniti dal settore pubblico;
b) sulle questioni regolamentari, si sono svolte discussioni dettagliate sia sui temi della cooperazione orizzontale sia su tutti e nove i settori specifici (automobili, farmaceutici, dispositivi medici, cosmetici, prodotti ingegneristici, tessili, pesticidi, tecnologie dell’informazione e della comunicazione);
c) per quanto riguarda gli standard le due parti avrebbero assunto un impegno fermo ed inequivoco in base al quale i regolatori UE e USA non introdurranno alcuna misura che possa abbassare o mettere a rischio i livelli di protezione dell’ambiente e di tutela della salute e della sicurezza dei consumatori nonché degli altri obiettivi pubblici;
d) in materia di regole, si è discusso in particolare di energia e materie prime, valutando come il TTIP possa contribuire ad assicurare a terze parti un accesso trasparente e non discriminatorio alle infrastrutture energetiche ed esaminando come migliorare la cooperazione nel settore energetico. In ogni caso, non è stato ancora deciso se un capitolo in tema di energia e materie prime farà parte del testo dell’accordo o meno. Le discussioni servono ad esprimere le diverse posizioni e ad assumere tale decisione;
e) è proseguito il dibattito sulle piccole e medie imprese (PMI), per valutare quali benefici possano trarre dal TTIP. In occasione della settimana negoziale, l’UE ha reso pubblico il risultato di un’indagine svolta presso 900 PMI europee per identificare gli ostacoli incontrati nel commercio transatlantico Molti di loro avrebbero sottolineato l’importanza di avere migliore accesso alle informazioni, costi ridotti per certificazioni e ispezioni, minore procedure doganali.
L’introduzione di misure volte a garantire tutela e sicurezza per gli investitori e gli investimenti è prevista nel mandato negoziale approvato dal Consiglio.
Anche allo scopo di rendere i negoziati con gli USA più aperti e più trasparenti possibile, la Commissione ha avviato il 27 marzo 2014 una consultazione pubblica online sulla protezione degli investitori e sulla composizione delle controversie investitore-Stato (Investor-state dispute settlement - ISDS) nel contesto del TTIP.
La consultazione ha inteso verificare se l’approccio proposto dall’UE per il TTIP abbia raggiunto il giusto equilibrio tra la protezione degli investitori e la salvaguardia del diritto dell’UE di introdurre regolamentazioni nel pubblico interesse.
L' ISDS è uno strumento di diritto pubblico internazionale che garantisce ad un investitore straniero il diritto di dare inizio ad un procedimento di risoluzione delle controversie nei confronti di un Govero straniero (lo "Stato ospite"). Se l'investitore straniero di un paese "A" ("Stato d'origine") investe in un paese "B" ("Stato ospite"), e quest'ultimo viola uno dei diritti garantiti all'investitore secondo il diritto pubblico internazionale, qualora entrambi abbiano concordato sull'ISDS, allora quell'investitore può portare la questione di fronte ad una corte arbitrale. Secondo un studio UNCTAD del febbraio 2015], nel corso del 2014 42 ricorsi a tribunali ISDS sono stati presentati dagli investitori. Allo stesso anno i casi conclusi sono 356 dei quali il 37% in favore dello Stato, il 25% dell'investitore e nel 28% dei casi le parti si sono accordate. Per maggiori dettagli si veda la nota esplicativa sul sistema ISDS a cura della Commissione europea.
La composizione delle controversie tra investitori e Stato attraverso un arbitrato internazionale è prevista in più di 1.400 trattati di investimento conclusi dagli Stati membri dell'UE e in circa 3.000 trattati simili sottoscritti in tutto il mondo. La Commissione europea ha compiuto sforzi per riformare il sistema vigente di protezione degli investimenti e di ISDS, con un approccio diverso da quello adottato nell'ambito dei 3.000 accordi esistenti - molti risalenti agli anni '60, '70 e '80 - che contengono clausole tradizionali di protezione degli investimenti e di ISDS. Tale approccio fa leva su due serie di azioni:
a) chiarire e migliorare le regole a protezione degli investimenti in modo da assicurare che il diritto a legiferare degli Stati non subisca pregiudizio;
b) creare un sistema di ISDS moderno, trasparente ed efficace basato sui seguenti aspetti: prevenire il rischio di abuso del sistema; rendere il sistema di arbitraggio più trasparente; prevenire i conflitti d'interesse o la tendenziosità per quanto concerne gli arbitratori; assicurare una coerenza e un controllo migliori; chiarire che gli ISDS si applicheranno soltanto alle violazioni delle disposizioni a tutela degli investimenti e a nessun altra parte della TTIP.
L'approccio si basa anche sulle iniziative dell'UE in sede di Nazioni Unite per creare il primo sistema di regole globali in materia di trasparenza per l'ISDS nell'ambito dell’UNCITRAL (United Nations Commission on International Trade Law), l’organo fondamentale del sistema delle Nazioni Unite nel campo del diritto commerciale internazionale.
Il 13 gennaio 2015 la Commissione ha reso pubblica la propria dettagliata analisi delle quasi 150.000 risposte ricevute[3], dalle quali emerge chiaramente – come dichiarato dal Commissario responsabile per il commercio, Cecilia Malmström, - un notevole scetticismo nei confronti dello strumento ISDS e la necessità di "intavolare una discussione aperta e franca” prima di varare qualsiasi raccomandazione politica in questo ambito.
A tal fine, la Commissione ha organizzato diverse consultazioni con i ministri del commercio dell'UE, il Parlamento europeo e i soggetti interessati - tra cui organizzazioni non governative, imprese, sindacati, organizzazioni dei consumatori e organizzazioni ambientaliste - per discutere di protezione degli investimenti e ISDS.
Il 6 maggio 2015 il Commissario Cecilia Malmström ha presentato un concept paper nella quale illustra le seguenti proposte per riformare il meccanismo ISDS per tener conto delle critiche formulate in quattro aree:
· diritto a regolamentare degli Stati: introdurre delle disposizioni volte a garantire il diritto degli Stati di prendere misure per obiettivi di interesse pubblico secondo il grado di protezione ritenuto piu appropriato;
· trasprarenza /nomina degli arbitri: prevedere che gli arbitri del sistema ISDS siano scelti nell’ambito di un albo prestabilito dalle parti dell’accordo e prevedere che abbiano specifiche qualificazioni di attività giuridisdizionale;
· rapporto con le giurisdizioni nazionali: imporre agli investitori esteri che vogliano aprire un contenzioso di scegliere, all’inizio del procedimento, tra il ricorso al meccanismo ISDS o quello alle corti nazionali, oppure in alternativa richidere all’investitore di rinunciare alla giurisdizione domestica una volta adito il sistema ISDS;
· diritto di appello: introdurre un sistema di appello rispetto al decisioni assunte con meccanismo ISDS, sulla base dell’organismo di appello esistente in ambito OMC. Tale organo sarebbe formato da 7 membri permanenti, e dovrebbe disporre di un segretariato.
Nel documento, il Commissario propone, inoltre, a medio lungo termine di far evolvere il sistema ISDS verso un sistema multilaterale attraverso la creazione di una corte permanente internazionale, composta da giudici titolari e deputata a regolamentare l’ambito delle controversie in tutti gli accordi commerciali che richiedano un sistema di ISDS.
La Commissione europea si è impegnata a presentare, dopo la pronuncia del Parlamento europeo su questa fase negoziale, più articolate proposte in tal senso.
Il Parlamento europeo, che è autorizzato ad esprimere la propria posizione in ogni fase del negoziato di un accordo internazionale, sta predisponendo il testo di una risoluzione in cui si valuta l’andamento dei negoziati a 1 anno e mezzo dal loro avvio e si rivolgono raccomandazioni alla Commissione.
La commissione commercio internazionale del PE ha approvato (28 voti a favore, 13 contro) il 28 maggio 2015 la relazione presentata da Bernd Lange (gruppo dei socialisti e democratici, Germania) recante raccomandazioni alla Commissione sui negoziati TTIP, che doveva essere discussa e votata dalla Assemblea plenaria il 10 giugno.
Il Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, considerato l’alto numero di emendamenti e richieste di voto separate (circa 200) che erano stati presentati in plenaria e il mancato accordo da parte dei principali gruppi politici che avevano sostenuto la relazione in commissione (Popolari, Conservatori, Liberali a cui si era aggiunto il Gruppo Socialista) ha però deciso il 9 giugno 2015, ai sensi dell’articolo 175 del regolamento del PE, di rinviarli alla Commissione commercio internazionale che si riunirà di nuovo il 15 e 16 giugno per valutare se ammettere al voto in plenaria gli emendamenti e le richieste di voto separato presentati.
Tra gli emendamenti e richieste di voto per parti separati, presentati in Assemblea, si segnalano in particolare quelli sul meccanismo ISDS e in particolare quello presentato dal gruppo socialista (dal relatore on. Lange) volto a proporre una soluzione permanente per la risoluzione delle controversie tra investitori e Stati senza utilizzare il sistema privato di risoluzione delle controversie tra investitore e Stato (ISDS).
Nella relazione approvata dalla Commissione commercio internazionale si raccomanda, tra l’altro, alla Commissione europea che:
· il sistema di protezione degli investitori (ISDS) dovrebbe essere basato sul documento (concept paper) presentato il 6 maggio scorso dal commissario per il commercio internazionale Cecilia Malmström, e in particolare prevedere giudici togati nominati pubblicamente e indipendenti, audizioni pubbliche, un meccanismo di appello che assicuri la coerenza delle sentenze e il rispetto della giurisdizione UE e di quella nazionale. Nel medio termine, si dovrebbe istituire una “Corte internazionale per gli investimenti”;
· negoziare una lista esaustiva di prodotti agricoli e industriali sensibili che potrebbe essere esentata dalla liberalizzazione commerciale oppure essere sottoposta a un periodo di transizione più esteso. Dovrebbe essere eliminato il divieto statunitense sull'importazione di carne di manzo europea e salvaguardato il sistema europeo d’indicazione geografica;
· prevedere un sistema di riconoscimento reciproco degli standard equivalenti per il riconoscimento degli standard per la salute pubblica di prodotti alimentari e di piante. In ogni caso deve essere mantenuto il rispetto del principio di precauzione in vigore nell'UE;
· dovrebbe essere previsto uno specifico capitolo dedicato all'energia e abolite le restrizioni esistenti o gli ostacoli all'esportazione dei carburanti, compresi il GNL e il petrolio greggio tra UE e Stati Uniti;
· che l'acquis dell'UE in materia di protezione dei dati personali non sia compromesso dalla liberalizzazione dei flussi di dati, in particolare nel settore del commercio elettronico e dei servizi finanziari;
· siano rimosse le restrizioni USA in merito all'acquisizione da parte di imprese europee di servizi marittimi e aerei nonché di compagnie aeree;
· sia superata la disparità nell'apertura dei mercati degli appalti pubblici attraverso un'apertura significativa del mercato statunitense degli appalti pubblici a tutti i livelli di governo;
· sia garantita un'opportuna esclusione dei servizi sensibili, quali i servizi pubblici e le aziende di pubblica utilità (tra cui acqua, sanità, previdenza sociale e istruzione);
· l’accordo includa un capitolo specifico per le PMI che preveda di: eliminare il doppio requisito di certificazione; istituire un sistema d'informazione via web sulle diverse regolamentazioni; introdurre una "corsia preferenziale" alle frontiere o eliminare alcuni picchi tariffari;
· si preveda un capitolo sui diritti di proprietà intellettuale (DPI) che comprenda una tutela sicura di settori DPI definiti in modo chiaro e preciso;
· si insista sulla ratifica ed applicazione da parte degli Stati Uniti delle otto convenzioni fondamentali dell'Organizzazione internazionale del lavoro (finora gli USA ne hanno ratificate solo due);
· sia previsto un monitoraggio delle incidenze economiche, occupazionali, sociali e ambientali del TTIP. Si chiede, inoltre, alla Commissione europea di eseguire studi di impatto per ciascuno Stato membro come pure una valutazione della competitività dei settori dell'Unione rispetto ai settori analoghi degli Stati Uniti;
· sia assicurata una migliore trasparenza dei negoziati, rendendo pubblico un numero superiore di testi. Dovrebbe essere garantito ad ogni parlamentare europeo l'accesso ai testi consolidati (ossia ai capitoli già concordati tra Unione europea e Stati Uniti). I Governi devono essere incoraggiati a coinvolgere i Parlamenti nazionali, tenendoli adeguatamente informati sui negoziati in corso.
.
In occasione del Vertice bilaterale UE-USA del 26 marzo 2014, il Presidente Obama avrebbe confermato la volontà da parte statunitense di raggiungere un accordo ambizioso e completo, senza tuttavia impegnarsi su una data precisa per la conclusione delle trattative. Come risulta anche da note informali, i negoziati non procederebbero speditamente, mancando una forte volontà politica da entrambe le parti: per quanto riguarda gli USA, al momento il paese sembrerebbe puntare maggiormente sulla conclusione dei negoziati per l’accordo transpacifico TPP (tra USA, Australia, Brunei, Cile, Canada, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam); per quanto riguarda l’UE vi sarebbero posizioni differenti tra gli Stati membri, in particolare per quanto riguarda il meccanismo di risoluzione delle controversie.
In merito alle difficoltà sul versante USA, si segnala inoltre che il 12 maggio 2015 Il Senato ha votato contro l’istituzione della ‘Trade Promotion Authority’, una corsia veloce che avrebbe permesso al Presidente Obama di gestire i negoziati in maniera autonoma e indipendente, lasciando al Congresso soltanto il potere di approvare o rigettare in blocco gli accordi finali. L’urgenza era data non tanto dal TTIP, su cui pure si sta tentando di accelerare, quanto dal TPP, che sembrerebbe in dirittura d’arrivo dopo oltre cinque anni di negoziato.
Secondo una notizia riportata dal “New york Times” il 1° giugno 2015, a seguito delle difficolta di natura parlamentare, il negoziato commerciale sul TTIP non si prevede che possa essere concluso prima della fine del mandato del presidente Obama, nel 2016. In occasione della riunione del G7, svoltasi l’8 giugno 2015, si è convenuto di accelerare i negoziati per l’accordo TTIP al fine di concluderli entro l’anno
L’UE ha assunto diverse iniziative volte a diffondere informazioni e a promuovere la trasparenza dei negoziati, a partire dalla pubblicazione del testo del mandato negoziale, decisa dal Consiglio il 9 ottobre 2014. Ciò anche al fine di venire incontro alle diffuse preoccupazioni manifestate dall’opinione pubblica e dalla società civile in merito alla conclusione dell’accordo con gli Stati Uniti,
Fino al 31 ottobre 2014 è stata aperta sul tema una consultazione organizzata dal mediatore europeo, l’irlandese Emily O’Reilly, con cui i soggetti interessati hanno potuto dare suggerimenti sulle misure concrete che la Commissione dovrebbe intraprendere per rendere più trasparenti i negoziati TTIP. Alla consultazione hanno partecipato oltre 6.000 cittadini. Anche sulla base delle risposte dei cittadini, a marzo 2015 il mediatore europeo ha ribadito che - nonostante gli sforzi intrapresi dalla Commissione – è necessaria maggiore trasparenza nei negoziati tra Unione europea e Stati Uniti sul TTIP perché “la resistenza Usa alla pubblicazione di alcuni documenti non è di per sé sufficiente a tenerli nascosti al pubblico europeo”. In particolare, il mediatore chiede alla Commissione di pubblicare un elenco completo dei documenti che sono pubblici e di quelli che non lo sono, nonché di pubblicare gli ordini del giorno dei verbali delle riunioni con i lobbisti. Inoltre chiede di estendere gli obblighi di trasparenza anche agli incontri delle parti interessate con i direttori della Commissione, i responsabili di unità, e i negoziatori.
Dal canto suo, sulla base delle proposte avanzate nella comunicazione del 25 novembre 2014 (C(2014)9052), la Commissione ha assunto iniziative volte a:
· rendere pubblici un maggior numero di testi negoziali dell’UE che la Commissione già condivide con Stati membri e Parlamento;
· fornire l’accesso ai testi relativi al TTIP a tutti i membri del Parlamento europeo, e non soltanto ai pochi selezionati, all’interno della cosiddetta “reading room”;
· classificare meno documenti come “ad accesso limitato”, rendendoli più facilmente accessibili ai membri del Parlamento europeo fuori dalla reading room;
· pubblicare e modificare su base regolare la lista pubblica dei documenti condivisi con Parlamento europeo e Consiglio.
Anche il Consiglio, nelle sue conclusioni del 21 novembre 2014, ha sottolineato quanto sia importante comunicare meglio lo scopo e i vantaggi dell’accordo e aumentare la trasparenza e il dialogo con la società civile, in modo da rendere chiari i benefici per i cittadini europei e le opportunità per le imprese europee, in particolare le PMI. Secondo il Consiglio, è necessario affrontare il tema anche sul versante statunitense per individuare possibili soluzioni per migliorare la trasparenza, incluso l’accesso a tutti i documenti negoziali per consentire agli Stati membri di sviluppare costruttive discussioni con la società civile.
Nel contributo adottato dalla COSAC che si è svolta a Riga, dal 31 maggio al 2 giugno 2015, per quanto riguarda in particolare i negoziati in corso sull’accordo TTIP si:
· invita la Commissione europea a salvaguardare gli alti standard dell’UE in materia di sicurezza alimentare, tutela della salute, benessere animale, ambiente, lavoro, tutela dei consumatori e protezione dei dati personali;
· sottolinea il ruolo dei Parlamenti nell’assicurare la legittimità democratica e la trasparenza dei negoziati e promuovere la consapevolezza dei cittadini;
· chiede una maggiore informazione sull’andamento dei negoziati in corso, garantendo un miglior equilibrio tra la loro necessaria confidenzialità ed il diritto dei Parlamenti ad essere informati e coinvolti nei negoziati in corso;
· invita i Governi degli Stati membri dell’UE ad incrementare l’attività di comunicazione istituzionale sulle sfide ed opportunità del TTIP e degli altri negoziati commerciali in corso;
In occasione del vertice bilaterale UE-Canada, che si è svolto ad Ottawa il 26 settembre 2014, sono stati dichiarati conclusi i negoziati per un nuovo accordo globale economico e commerciale (CETA) e ne è stato reso pubblico il testo.
Una volta tradotto in tutte le lingue ufficiali dell’UE il testo dell’accordo sarà inviato al Consiglio per la sua conclusione. L’accordo dovrà essere approvato dal Parlamento europeo e ratificato dai 28 Stati membri dell’UE. Esso potrebbe entrare in vigore nel corso del 2016.
L’accordo, i cui negoziati sono stati avviati nel 2009, è volto a promuovere la liberalizzazione delle relazioni commerciali e di investimento tra UE e Canada.
L’accordo copre, in particolare, i seguenti aspetti: accesso ai rispettivi mercati per beni, investimenti e contratti di appalto; definizione di standard tecnici su in materia sanitaria e fitosanitaria; protezione degli investimenti; regole comuni per la concorrenza e diritti di proprietà intellettuale.
Secondo le stime della Commissione europea, una volta entrato in vigore l’accordo, il commercio bilaterale di beni e servizi potrebbe aumentare del 23% ed il PIL dell’UE di circa 12 miliardi ogni anno.
Gli elementi chiave dell'accordo sono:
· l'eliminazione del 99% dei dazi doganali esistenti tra le due aree economiche sui beni industriali e agricoli e nel settore della pesca;
· il riconoscimento delle indicazioni geografiche protette e la possibilità ai produttori canadesi di carne di avere accesso al mercato europeo e viceversa agli agricoltori europei di vendere latticini e prodotti caseari sul mercato nordamericano;
· la rimozione di alcuni ostacoli agli investimenti diretti;
· specifica clausola di protezione degli investimenti e risoluzione controversie tra Stati ed investitori (investor-to-state-dispute settlement, cosiddetta clausola ISDS).
· la liberalizzazione del commercio nel settore dei servizi. Circa la metà dell’aumento globale del PIL per l’UE dovrebbe provenire dalla liberalizzazione degli scambi di servizi. Il CETA creerà nuove opportunità per le imprese europee, dando loro accesso al mercato canadese in settori chiave quali i servizi finanziari, le telecomunicazioni, l’energia e i trasporti marittimi. Complessivamente, una volta attuato l'accordo, i vantaggi per l’UE potrebbero ammontare a 5,8 miliardi di euro l’anno;
· una maggiore protezione, da parte canadese, della proprietà intellettuale, attraverso standard armonizzati a quelli dell'UE.
· l’eliminazione di barriere di natura non tariffaria, attraverso un maggior dialogo e trasparenza nel settore della regolamentazione tecnica. Secondo la Commissione, riducendo il costo della messa in conformità con i regolamenti tecnici, le norme e le procedure di valutazione della conformità (comprese le disposizioni in materia di marchi ed etichettatura), l'accordo CETA agevolerà gli scambi commerciali e porterà vantaggi all'industria in generale. In base alle stime, ciò potrebbe generare un aumento del PIL fino a 2,9 miliardi di euro l’anno per l’UE;
· il mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali (ingegneri, architetti, commercialisti);
· una maggiore apertura dei mercati degli appalti pubblici. Secondo uno studio congiunto UE-Canada (2008) il valore globale degli appalti aggiudicati dal governo federale del Canada è stimato a 15-19 miliardi di dollari canadesi all’anno. Il valore dei contratti ad altri livelli di governo supera di gran lunga questa cifra. Ad esempio, nel 2011 gli appalti aggiudicati dalle amministrazioni comunali canadesi ammontavano a circa 112 miliardi di dollari canadesi (circa 82 miliardi di euro), pari a quasi il 7% del PIL canadese.
L'UE è il secondo partner commerciale del Canada dopo gli USA. Nel 2014 l'UE ha esportato verso il Canada merci per circa 32 miliardi di euro e ha assorbito merci canadesi per un valore di circa 28 miliardi di euro. Il Canada è 12° tra i partner commerciali internazionali dell'UE.
Nel periodo 2010-2014 le esportazioni dell’UE verso il Canada sono cresciute con un tasso annuale medio di 4,3% mentre le importazioni dal Canada verso l’UE del 2,5%.
Gli scambi di servizi tra l'UE e il Canada hanno registrato notevoli progressi. Secondo gli ultimi dati disponibili, relativi al 2013, le esportazioni di servizi dall'UE verso il Canada hanno raggiunto circa 16 miliardi di euro e le importazioni nell'Unione di servizi provenienti dal Canada sono state valutate pari a circa 10 miliardi di euro.
In termini di investimenti esteri diretti (IED), l'UE ha investito in Canada più di quanto il Canada non abbia investito nell'UE. Nel 2013 gli stock di IED dell'UE destinati al Canada hanno raggiunto 225 miliardi di euro. Gli stock canadesi nell'UE sono stati valutati pari a 117 miliardi di euro.
Per maggiori dettagli si veda la nota a cura della Direzione Generale Commercio della Commissione europea.
Per le statistiche commerciali nel settore agricolo tra UE e Canada si veda la nota a cura dalla DG Agricultura della Commissione europea.
L’Unione europea è membro dal 1° gennaio 1995 dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), unitamente agli Stati membri dell’Unione e ai Paesi candidati.
Avendo l’Unione europea una politica commerciale comune, essa agisce in seno all’OMC come un unico attore, in particolare attraverso la Commissione europea che interviene a nome dell’Unione nella maggior parte delle riunioni dell’Organizzazione e nella negoziazione degli accordi commerciali.
La quarta Conferenza ministeriale[4] dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), svoltasi dal 9 al 14 novembre 2001 a Doha (Qatar), ha lanciato un negoziato commerciale diretto a consentire una maggiore apertura dei mercati e a stabilire un rinnovato sistema di regole multilaterali per sostenere e rilanciare gli scambi mondiali.
Il programma di lavoro delineato nella Dichiarazione ministeriale approvata dalla Conferenza - comunemente indicato come Agenda di Doha per lo sviluppo in quanto pone le esigenze dei Paesi in via di sviluppo e di quelli meno avanzati al centro dei suoi obiettivi – ha enumerato 21 questioni oggetto di negoziato e stabilito un calendario per ciascun settore, compreso quello agricolo.
Il focus dei negoziati è la riforma dei sussidi agricoli, il miglioramento dell’accesso ai mercati globali e la garanzia che la nuova liberalizzazione dell’economia globale rispetti le esigenze di crescita sostenibile dei Paesi in via di sviluppo.
Le Istituzioni europee hanno sottolineato in numerose occasioni e documenti l’impegno dell’Unione europea per una conclusione positiva dei negoziati relativi all’Agenda di Doha. In particolare, le priorità dell’UE in relazione all’Agenda di Doha sono le seguenti:
· in merito all’apertura del mercato per i beni industriali, l’UE intende eliminare tariffe doganali elevate e prevenire il ricorso indiscriminato ad aumenti tariffari quali misura di protezione commerciale, in modo da incrementare significativamente gli scambi commerciali tra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo;
· l’ulteriore apertura del mercato dei servizi dovrebbe portare considerevoli opportunità sia per le imprese sia per i consumatori in un momento critico dell’economia mondiale. L’Unione europea non si prefigge tuttavia la generale liberalizzazione dei settori di primario interesse pubblico ed è impegnata a difendere il diritto dei membri dell’OMC a promuovere la diversità culturale;
· l’Unione europea è determinata a liberalizzare ulteriormente il mercato agricolo, nonostante che l’Europa sia già il più grande importatore di beni agricoli nel mondo ed anche il più grande importatore di prodotti agricoli dai paesi in via di sviluppo;
· l’Unione europea ritiene che l’Agenda avrà successo soltanto se avrà un concreto impatto sulle opportunità di sviluppo dei singoli membri e se darà un tangibile contributo agli sforzi internazionali in favore dello sviluppo sostenibile, incrementando la coerenza di azione tra l’OMC e le altre organizzazioni internazionali, quali Banca mondiale, Conferenza delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo e Fondo monetario internazionale;
· l’Unione europea intende definire specifiche regole in favore dei Paesi in via di sviluppo (PVS) per ciò che riguarda l’attuazione degli accordi OMC esistenti e le proposte di trattamenti speciali e differenziati. Inoltre, l’Unione europea intende sostenere gli sforzi dei Paesi in via di sviluppo per integrare il tema del commercio nelle strategie nazionali di sviluppo e di riduzione della povertà. A questo proposito, l’UE è impegnata ad assicurare che gli aiuti al commercio rispondano alle attuali necessità dei paesi in questione sia attraverso i propri programmi di cooperazione allo sviluppo sia attraverso l’assistenza bilaterale e multilaterale;
· l’UE intende aumentare la coerenza tra politiche commerciali e tutela dell’ambiente, tenuto conto che essa, unitamente allo sviluppo sociale e alla protezione dei consumatori, è un elemento chiave dello sviluppo sostenibile perseguito dall’Agenda di Doha;
· la modifica delle regole del commercio mondiale è una pre-condizione per un sistema di governo degli scambi e degli investimenti mondiali equo e trasparente.
Il Consiglio affari esteri nella riunione del 21 novembre 2014 ha proceduto ad uno scambio di vedute sulle prospettive dell’Agenda di Doha dopo la conferenza di Bali del novembre 2013 ed ha adottato delle conclusioni sulle priorità dell’Ue in materia di politica commerciale nelle quali in particolare:
· ribadisce la determinazione dell'UE a promuovere scambi liberi, equi e aperti, in uno spirito di reciprocità e mutuo vantaggio e nel quadro dell'OMC. Pur mantenendo il proprio impegno a favore del rafforzamento del sistema commerciale multilaterale, l'UE continuerà a concentrarsi sullo sviluppo delle sue relazioni commerciali bilaterali. Sulla scorta dei progressi tangibili realizzati nel quadro dell'agenda commerciale bilaterale dell'UE, occorre adoperarsi per ricercare accordi con i partner principali, dando priorità ai negoziati che produrranno i benefici maggiori in termini di crescita e occupazione;
· sottolinea che l'agenda commerciale dell’UE, che è anche uno strumento delle relazioni esterne, dovrebbe essere pienamente coerente con le altre politiche pertinenti dell'UE, tra l'altro mediante l'opportuna interazione tra servizi della Commissione;
· ribadisce che al fine di sfruttare il potenziale non utilizzato degli scambi commerciali nei settori agricolo, industriale e dei servizi, occorre affrontare alcuni problemi strutturali: costi dell'energia, accesso alle materie prime (in primo luogo tramite l'eliminazione dei dazi e delle restrizioni all'esportazione), internazionalizzazione delle PMI, barriere tecniche e altre barriere non tariffarie;
· il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (inclusi indicazioni geografiche, brevetti, marchi e diritti d'autore), nonché mercati degli appalti pubblici aperti e il sostegno allo sviluppo sostenibile (compresa l'esigenza di far fronte a sfide come il cambiamento climatico e il rispetto delle norme del lavoro) devono restare al centro dei negoziati commerciali;
· sottolinea la necessità di comunicare meglio i vantaggi del commercio, migliorando la trasparenza sui negoziati commerciali per rafforzare il dialogo con i cittadini europei in un spirito di responsabilità democratica;
· invitato la Commissione europea a prendere in considerazione la possibilità di aggiornare il suo documento strategico su "Commercio, crescita e affari mondiali" presentato nel 2010.
Nella comunicazione intitolata “Commercio, crescita e affari mondiali” (COM(2010)612) del 9 novembre del 2010, la Commissione europea ha delineato la strategia dell’UE volta a contribuire alla crescita economica e sostenibile attraverso la politica commerciale. In particolare nella comunicazione la Commissione avanzava le seguenti priorità:
- completare l‘agenda negoziale in seno all'OMC e con i principali partner commerciali come l'India e il Mercosur. Il completamento di questa agenda aumenterebbe il PIL europeo di più di uno per cento all'anno;
- approfondire le relazioni commerciali con altri partner strategici, come ad esempio gli Stati Uniti, Cina, Russia e Giappone, con l'obiettivo principale di eliminare gli ostacoli non tariffari agli scambi;
- aiutare le imprese europee ad accedere ai mercati globali attraverso la creazione di un meccanismo per ristabilire un equilibrio tra l'apertura dei mercati nell'UE e i mercati più chiusi con i nostri partner commerciali, in particolare in materia di appalti pubblici;
- garantire che il commercio resti inclusivo, in modo da arrecare benefici ai molti e non a pochi e in particolare sostenga i paesi in via di sviluppo.
Il tema del ruolo che i Parlamenti dell’Unione svolgono o possono svolgere nell’ambito del complesso processo di definizione di un accordo tra UE e parti terze sta assumendo una crescente importanza nel dibattito pubblico, oltre che nel confronto politico, inserendosi in una più ampia discussione sulla trasparenza dei negoziati, la pubblicità delle informazioni e i margini per l’esercizio di un controllo democratico.
Si tratta di una questione particolarmente attuale posto che su importanti negoziati in corso (CETA e TTIP[5]) si vanno concentrando le preoccupazioni e le attenzioni della società civile e che, per tentare di venire parzialmente incontro alla forte richiesta di trasparenza avanzata da tante parti, il Consiglio ha autorizzato la Commissione a rendere pubblici per la prima volta i mandati negoziali[6].
I trattati richiamati hanno, in effetti, una portata amplissima, vertendo su molteplici aspetti molto sensibili non soltanto dal punto di vista economico, per le ricadute che possono comportare sugli assetti produttivi e sulle prospettive di crescita delle economie europee, ma anche per quanto concerne la salvaguardia di diritti fondamentali.
Per quanto concerne specificamente il Parlamento europeo, occorre considerare che con il Trattato di Lisbona esso ha visto parzialmente rafforzate le sue competenze in materia di accordi internazionali, posto che, da un lato, (articolo 218, paragrafo 6, del Trattato sul funzionamento dell’UE- TFUE) sono stati ampliati i casi in cui il Consiglio, prima di concludere un accordo, deve acquisire l’assenso del Parlamento europeo e, dall’altro, è introdotto (articolo 218, paragrafo 10, del TFUE) l’obbligo di informare Il Parlamento europeo immediatamente e pienamente in tutte le fasi della procedura negoziale.
Si ricorda a tale proposito che il PE ha già fatto ampio uso delle sue nuove competenze rifiutando di approvare l’ACTA, l’accordo commerciale anti contraffazione che, conseguentemente, non è mai entrato in vigore.
Ciò nondimeno l’intero processo di negoziazione di un accordo rimane sostanzialmente intergovernativo, in considerazione del ruolo prevalente del Consiglio, più ancora che della stessa Commissione europea.
Quanto ai Parlamenti nazionali, in base ai Trattati ad essi è riconosciuta una specifica competenza nei casi di accordi di tipo misto, in quanto aventi ad oggetto materie di competenza concorrente dell’Unione e degli Stati membri. In questi casi, infatti, ai fini dell’entrata in vigore del Trattato è richiesta la ratifica, oltre che da parte dell’UE, anche da parte degli Stati membri.
Si ricorda che l’articolo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione prevede che la politica commerciale dell’UE sia tra i settori di competenza esclusiva dell’UE.
A tale proposito si ricorda l’iniziativa assunta a giugno 2014 dai Presidenti delle Commissioni affari europei e commercio estero della Camera bassa dei Paesi Bassi che, in una lettera sottoscritta da 21 Presidenti di omologhe Commissioni dei Parlamenti dell’UE[7], ha chiesto alla Commissione europea che gli accordi di libero scambio in corso di negoziato (i citati TTIP e CETA) siano definiti come accordi misti, in virtù delle materie interessate, prevedendo in tal modo la ratifica da parte dei parlamenti nazionali.
Nella risposta inviata il 16 ottobre 2014 dall’allora Vice Presidente della Commissione, Maroš Šefčovič, ai Presidenti delle Camere firmatarie veniva anzitutto ricordato che la natura dell’accordo può essere determinato con certezza soltanto a conclusione dei negoziati, quando il contenuto è definito. In secondo luogo, nella lettera si sottolineava che i Parlamenti nazionali dispongono di diversi strumenti per esercitare un controllo sull’andamento dei negoziati. A conclusione della lettera veniva espressa la convinzione della Commissione che un solido dibattito dei parlamenti nazionali su importanti negoziati sia un elemento positivo e veniva manifestata la disponibilità a fornire informazioni e a partecipare eventualmente a tali dibattiti.
Va peraltro considerato che i procedimenti di esame dei provvedimenti di ratifica di trattati internazionali non prevedono la possibilità di modificare i contenuti dei trattati stessi mediante puntuali emendamenti per cui, di fatto, le prerogative parlamentari si traducono tutt’al più nella facoltà di non consentire la ratifica: in sostanza, un ruolo che si limita all’approvazione o al rigetto del testo.
Resta, ovviamente, ferma la possibilità di avvalersi dei diversi strumenti ordinari attraverso i quali i singoli Parlamenti svolgono le loro funzioni istituzionali di indirizzo e controllo nel confronti dei rispettivi governi al fine di fornire orientamenti (più o meno vincolanti, a seconda dei diversi ordinamenti) nell’attività svolta dai medesimi governi in seno al Consiglio, oltre che attraverso le procedure di informazione sull’andamento dei negoziati.
Al ruolo dei Parlamenti nazionali nei negoziati dei Trattati internazionali è stata dedicata una sessione della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’UE, organizzata dalla Camera dei deputati a Roma, il 20 e 21 aprile 2015.
Nelle conclusioni adottate dalla Conferenza dei Presidenti di Roma si:
· sottolinea la volontà di non vedere limitate le capacità di intervento dei parlamenti nazionali al solo processo di ratifica;
· ribadisce la necessità che vengano concessi la possibilità di esercitare una specifica competenza sul maggior numero possibile di accordi di libero scambio e, più in generale, un ampio accesso alle informazioni sui negoziati in corso, onde poter esprimere i propri orientamenti sui negoziati stessi;
· si invita la Commissione europea a garantire ai parlamentari nazionali lo stesso accesso ai documenti che da gennaio 2015 è consentito a tutti i membri del Parlamento europeo.
Il tema del ruolo dei Parlamenti nazionali nella politica commerciale dell’UE è stato discusso anche nell’ambito della COSAC che si è svolta a Riga dal 31 maggio al 2 giugno 2015. Nel contributo adottato, per quanto riguarda in particolare il ruolo dei Parlamenti nella politica commerciale dell’UE si:
· chiede un maggiore coinvolgimento dei Parlamenti nazionali dall’inizio dei negoziati di accordi commerciali;
· invita la Commissione europea ad impegnarsi in un dialogo attivo con i Parlamenti nazionali;
· auspica una piena cooperazione e scambio di informazioni con il Parlamento europeo sui temi di politica commerciale dell’UE.
In occasione della conferenza è stato inoltre presentato il rapporto semestrale della COSAC, compilato sulla base delle risposte fornite dai Parlamenti dell’UE (40 Parlamenti/Camere su 41 totali hanno fornite risposte), un sezione del quale è dedicata alla questione del ruolo dei Parlamenti nella politica commerciale dell’UE.
In particolare nel rapporto si evidenzia che:
· il 51% dei Parlamenti/Camere hanno diritto di accesso all’informazione sui negoziati commerciali e sui relativi documenti;
· l’86% dei Parlamenti/Camere ricevono informazioni dai relativi Governi sui negoziati in corso;
· il 78% dei Parlamenti/Camere ritiene che occorra rafforzare la trasparenza sui negoziati TTIP;
· l’84% dei Parlamenti/Camere hanno discusso l’accordo TTIP;
· il 49% dei Parlamenti/Camere hanno discusso l’accordo CETA;
· il 76% dei Parlamenti/Camere hanno avviato discussioni sull’impatto della politica commerciale dell’UE nel proprio paese;
· il 31% dei Parlamenti/Camere hanno svolto consultazioni pubbliche sulla politica commerciale dell’UE;
· il 6% dei Parlamenti/Camere hanno condotto una analisi di impatto sui profili della politica commerciale dell’UE.
L’articolo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione prevede che la politica commerciale dell’UE sia tra i settori di competenza esclusiva dell’UE.
Le disposizioni relative alla conclusione di accordi relativi alla politica commerciale sono contenute all’articolo 207, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)[8], che a sua volta rimanda per le disposizioni più generali l’articolo 218 del TFUE, relativo alle procedure per la negoziazione e conclusione degli accordi tra l’UE e i paesi terzi.
In base all’articolo 207, paragrafo 3, del TFEU, qualora si debbano negoziare accordi con uno o più Stati o organizzazioni internazionali nell’ambito della politica commerciale dell’UE, la Commissione presenta raccomandazioni al Consiglio, che l’autorizza ad aprire i negoziati necessari e definisce il mandato negoziale.
I negoziati sono condotti dalla Commissione in consultazione con un comitato speciale, designato dal Consiglio per assisterla in questo compito, e nel quadro delle direttive che il Consiglio può impartirle. La Commissione europea è tenuta a riferire periodicamente al comitato speciale e al Parlamento europeo sui progressi dei negoziati.
Per tutte le decisioni relative alla negoziazione e conclusioni di accordi commerciali, il Consiglio dell’UE delibera in linea generale a maggioranza qualificata.
Il Consiglio delibera all’unanimità in merito:
a) ad accordi nel settore degli scambi di servizi, degli aspetti commerciali della proprietà intellettuale e degli investimenti esteri diretti, qualora tali accordi contengano disposizioni per la quale è richiesta l’unanimità per l’adozione di norme interne all’UE;
b) ad accordi nel settore degli scambi dei servizi culturali e audiovisivi, qualora tali accordi possano recare pregiudizio alla diversità culturale e linguistica dell’Unione;
c) ad accordi nel settore degli scambi di servizi nell’ambito sociale, dell’istruzione e della sanità qualora tali accordi rischino di perturbare l’organizzazione nazionale di tali servizi.
Una volta che i negoziati sono dichiarati conclusi il testo viene inizializato nella versione inglese che viene formalmente trasmessa al Consiglio ed al Parlamento europeo. Il testo del accordo viene poi tradotto in tutte le lingue e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, senza che la pubblicazione abbia natura giuridicamente vincolante. Il Consiglio adotta poi una decisione sulla firma e conclusione dell’accordo che viene successivamente firmato dalle parti.
Il testo dell’accordo è quindi trasmesso dal Consiglio al Parlamento europeo per la sua approvazione. Il Parlamento europeo può solo approvare o respingere l’accordo.
Nel caso in cui gli accordi commerciali sono considerati di natura mista, ossia coinvolgono anche settori di competenza concorrente degli Stati membri è richiesta la ratifica da parte di tutti gli Stati membri.
Dopo l’approvazione da parte del Parlamento e completato il processo eventuale di ratifica da parte degli Stati membri (nel caso di accordi misti), il Consiglio adotta la decisione finale di conclusione dell’accordo che viene pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.
Si ricorda infine, che ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11 del TFUE, la Corte di giustizia dell’UE - preliminarmente all’entrata in vigore dell’accordo, può essere adita dal Consiglio, dalla Commissione, dal Parlamento europeo o da uno Stato membro, per verificare la validità dell'accordo. Il controllo verte sulla validità formale (rispetto della procedura di adozione) e sostanziale (rispetto della conformità dell'accordo col diritto primario europeo). In caso di parere negativo, per permettere l'entrata in vigore dell'accordo è necessaria una revisione dello stesso.
SECRETARIAT OF THE
FOREIGN AFFAIRS COMMITTEE
Paris, 29 May 2015
Interparliamentary meeting on the commercial policy
of the European Union
National Assembly, Paris
17 June 2015
9:30 – 11:15
'Trade agreements : what risks and how to avert them?'
Article 207 of the Treaty of Lisbon rationalised the European Union's commercial policy. Since 2009, all the main aspects of foreign trade, including in particular services, trade related intellectual property rights and, above all, direct foreign investment, are an exclusive European Union competence.
Faced with the stalemate in the Doha cycle multilateral trade negotiations launched in 2001, the European Commission, on the basis of the mandates of the Council, has engaged in more and more bilateral negotiations with the main trade partners of the European Union, some of which are completed (Canada, Singapore, South Korea), some still on-going (United States and Japan in particular). It is also negotiating, with 24 members of the WTO, a Trade and Services Agreement (TiSA).
Among these bilateral negotiations as a whole, two have caused deep concern in civil society. Many national Parliaments, for example the National Assembly, have taken up this concern by the adoption of resolutions : the Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA) with Canada and the Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) with the United States. Although of differing scope, the CETA and the TTIP, like moreover the TiSA, indeed raise the same questions with reference to the collective preferences of Europeans, especially owing to the Investor-State Disputes Settlement (ISDS) system which they contain.
- The ISDS allows an investor to sue a host State at an arbitration court owing to a national regulation supposedly infringing the rights he draws from an investment treaty ; if the arbitrators, chosen and paid by the parties, agree with the investor, compensation can reach thousands of millions of dollars and without any possibility of appeal. Therefore, States could see their right to regulate, especially in environmental, social and health matters, constantly threatened by investor complaints, so much so it would be destroyed;
- Consequently, the ISDS could lead to jeopardising the collective preferences of Europeans, and this infringement could also result from the very text of the treaties, especially as regards agricultural products (GMOs, hormone-treated beef...) or public services (in the case of the TiSA). Referring specifically to the TTIP, it would comprise a regulatory cooperation council aimed at coordinating American and European changes in regulations. There is therefore a risk that these future treaties could lead, through different ways, to a decline in our standards in environmental, social or health matters.
Aware of these risks, national Parliaments must reflect together on the means to avert them. Indeed, as these treaties are on the face of it 'mixed', they must be ratified by the European Parliament and also by all the national Parliaments. The following questions arise in particular :
- To what extent do the clauses of the future treaties preserve our collective preferences, especially by sufficiently precise wording to avoid the tendentious interpretations of arbitration courts? According to the Commission, they do preserve them but can we be sure of the fact?
- Referring to these treaties and, more generally to the ISDS, is it really necessary between countries respecting the rule of law, to grant more rights to foreign investors than to national investors? If so, is the right of States to regulate sufficiently protected? Will the recent proposals by Commissioner Malmström in this respect, within the TTIP framework and aimed at improving the conditions of resort to private arbitration, be effective, assuming they are accepted by the Americans?
- If national Parliaments were to oppose the ISDS, should the risk be taken, by refusing to ratify the CETA, of losing the advances it contains, especially as regards the protection of geographical indications and the opening up of public procurement?
Last, the issue of the transparency of the on-going negotiation process arises. The new European Commission has, indeed, allowed significant progress to be made on this matter but access to the negotiation documents, in particular American, and to the reports, remains a subject of major concern, especially for national Parliaments.
SECRETARIAT OF THE
FOREIGN AFFAIRS COMMITTEE
Paris, 29 May 2015
Interparliamentary meeting on the commercial policy
of the European Union
National Assembly, Paris
17 June 2015
11:30 – 13:15
'Trade agreements : an opportunity?
For whom and under what conditions?
In exercising its exclusive competence regarding commercial policy, the European Union aims, in accordance with the terms of Article 206 of the Treaty on the Functioning of the European Union, to contribute 'to the harmonious development of world trade, the progressive abolition of restrictions on international trade and on foreign direct investment, and the lowering of customs and other barriers'. The European Union and the Member States expect increased economic growth and, consequently, a boost to job creation from the achievement of these goals.
Trade negotiations, whether bilateral or multilateral, beginning with those of the TTIP, are now combined with impact studies to assess their actual positive effects. The European Commission's assessment of the likely benefits of the TTIP is thus based on analysis carried out by the Centre for Economic Policy Research. According to that study, the TTIP would increase the size of the EU economy by nearly 120 billion euros (i.e. 0.4% of GDP), while creating several million jobs in the exporting sectors. The study estimates that in total the average European household of four will see its disposable income increase by something in the region of 500 euros per year, as a result of the combined effect of wage increases and price reductions.
However, NGOs have denounced this study, especially the fact that it is based on a computable general equilibrium model highly sensitive to any variation in its underlying hypotheses. Other studies, such as that of the American Tufts University, therefore consider that the TTIP would lead, on the contrary, to a fall in European GDP, the destruction of 600,000 jobs and a reduction in the share of salaries in added value.
National Parliaments are led to ratify the TTIP like other trade agreements and cannot ignore their global impact and that on each of the economic sectors and players. They must therefore have reliable studies on the TTIP.
The question therefore arises as to whether they can content themselves with information transmitted by their government, by the Commission or by NGOs or whether they themselves must assess the impact of these agreements.
Also, in addition to the TTIP, CETA and other trade agreements signed or under negotiation with developed countries (South Korea, Singapore, Japan...), the European Union has signed or is negotiating bilateral agreements with several developing countries (Peru, Colombia, Burma...). However, it is acknowledged that the interests of the latter are better taken into account in a multilateral framework than in a bilateral one. Two questions therefore arise:
- Doesn't the fact that the European Union is increasing the number of bilateral trade and investment agreements endanger multilateralism and, consequently, the taking into account of the interests of developing countries?
- Shouldn't national Parliaments assess the impact of these agreements also on the developing countries concerned as well as coherence of these agreements with the other policies of the European Union, especially development policy?
[1] Sulla base di una comunicazione della Commissione, adottata nel febbraio del 2000, il principio di precauzione (previsto dall’articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) si applica quando:
· i dati scientifici sono insufficienti, poco conclusivi o non certi;
· da una valutazione scientifica previa emerge che si possono ragionevolmente temere effetti potenzialmente pericolosi per l'ambiente e la salute umana, animale o vegetale.
In questi due casi, i rischi sono incompatibili con il livello di protezione elevato perseguito dall'Unione europea. La comunicazione enuncia anche le tre regole cui attenersi per far sì che il principio di precauzione sia rispettato:
· una valutazione scientifica completa condotta da un'autorità indipendente per determinare il grado d'incertezza scientifica;
· una valutazione dei rischi e delle conseguenze in mancanza di un'azione europea;
· la partecipazione, nella massima trasparenza, di tutte le parti interessate allo studio delle azioni eventuali.
[2] Lo stato del negoziato è sintetizzato dalla Commissione in un breve documento in lingua inglese.
[3] 149.399 sono state le risposte; il maggior numero di esse sono giunte dal Regno Unito, seguito da Austria, Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Spagna, che insieme raggiungono il 97% delle risposte totali. La vasta maggioranza delle risposte (oltre il 99%) sono state sottoposte da singoli individui o collettivamente attraverso azioni coordinate con le organizzazioni della società civile.
[4] Sono nove le Conferenze ministeriali svoltesi finora: a Singapore nel 1996, a Ginevra nel 1998, a Seattle nel 1999, a Doha nel 2001, a Cancún nel 2003, a Hong Kong nel 2005, a Posdam nel 2007, a Ginevra nel 2009 e a Bali nel 2013. La prossima conferenza ministeriale si svolgerà a Nairobi dal 15 a al 18 dicembre 2015.
[5] Il CETA (Comprehensive Trade and Economic Agreement) è un accordo economico globale negoziato tra l’UE e il Canada e destinato ad abolire il 99% dei dazi doganali. Il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) è negoziato tra UE e USA ed è destinato a diventare l’accordo di libero scambio bilaterale internazionale più imponente finora concluso.
[6] A ciò si aggiungano le iniziative che la Commissione ha assunto o si è prefissa di assumere per quanto riguarda il TTIP: rendere pubblici un maggior numero di testi negoziali dell’UE che la Commissione già condivide con Stati membri e Parlamento europeo; fornire l’accesso ai testi relativi al TTIP a tutti i membri del Parlamento europeo, e non soltanto ai pochi selezionati, all’interno della cosiddetta “reading room”; classificare meno documenti come “ad accesso limitato”, rendendoli più facilmente accessibili ai membri del Parlamento europeo fuori dalla reading room; pubblicare e modificare su base regolare la lista pubblica dei documenti condivisi con Parlamento europeo e Consiglio; organizzare consultazioni pubbliche sui temi più delicati.
[7] La lettera è stata firmata anche dai presidenti delle commissioni competenti in materia di affari europei della Tweede Kamer olandese (la Camera alta), del Nationalral e Bundesrat austriaci, della Camera dei rappresentanti del Belgio, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica ceca, dell’Assemblea nazionale francese, del Bundestag tedesco, dell’Assemblea nazionale ungherese, dell’Oireachtas irlandese, del Seima lettone, della Camera dei deputati lussemburghese, della Camera dei rappresentanti di Malta, del Sejm e del Senato polacchi, dell’Assemblea della Repubblica portoghese, del Consiglio nazionale slovacco, dell’Assemblea nazionale slovena, della House of Lords e della House of Commons del Regno unito.
[8] Sulle fasi del processo negoziali vedi nota esplicativa della Direzione Generale Commercio della Commissione europea.