Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento lavoro | ||||
Titolo: | Conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro - Schema di D.Lgs. n. 157 - Schede di lettura | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 158 | ||||
Data: | 08/04/2015 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XI-Lavoro pubblico e privato |
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Conciliazione dei
tempi di cura, di vita e di lavoro Schema di D.Lgs. n. 157 (art. 1, co. 8, 9 e 11, L.183 del 2014) |
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Schede di
lettura |
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n. 158 |
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8 aprile 2015 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Lavoro ( 066760-4884 – * st_lavoro@camera.it |
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La
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esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e
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citata la fonte. |
File: LA0384 |
INDICE
§ Congedo di maternità (artt. 2 e 4)
§ Congedo di paternità (artt. 5 e 6)
§ Congedo parentale (artt. 7-10)
§ Indennità di maternità (artt. 3, 13-20)
§ Disposizioni in vigore (art. 21)
§ Congedo per le vittime di violenza di genere (art. 23)
§ Destinazione di risorse (art. 24)
§ Disposizioni finanziarie (art. 25)
§ Clausola di salvaguardia (art. 26)
Lo schema di decreto n.157 è volto a dare parziale attuazione all’articolo 1, commi 8 e 9, della legge delega n. 183/2014, il quale dispone la revisione e l’aggiornamento delle misure intese a tutelare la maternità e a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, allo scopo di garantire adeguato sostegno alle cure parentali.
Il comma 9 stabilisce i principii ed i criteri direttivi per l'esercizio della delega:
· la ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici (lettera a));
·
l'estensione alle lavoratrici madri
"parasubordinate" del diritto
alla prestazione di maternità anche in assenza del versamento dei contributi da
parte del datore di lavoro (c.d. principio di automaticità della prestazione) (lettera b));
· l'introduzione di un credito d'imposta, inteso ad incentivare il lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, che abbiano figli minori o figli disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo, nonché l'armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico (lettera c));
·
l'incentivazione di accordi collettivi intesi a
facilitare la flessibilità dell’orario
di lavoro e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la
conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità di genitore, l’assistenza
alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa, anche attraverso il
ricorso al telelavoro (lettera d));
· l'eventuale riconoscimento, compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali retribuite, della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al contratto collettivo nazionale, in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessiti di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute (lettera e));
· l'integrazione dell'offerta di servizi per le cure parentali, forniti dalle aziende e dai fondi o enti bilaterali, nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, in coordinamento con gli enti locali titolari delle funzioni amministrative, anche mediante la promozione dell'impiego ottimale di tali servizi da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi (lettera f));
· la ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione, per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche tenuto conto della funzionalità organizzativa all'interno delle imprese (lettera g));
· l'introduzione di congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere (certificati dai servizi sociali del comune di residenza) (lettera h));
· l'estensione dei principii e dei criteri direttivi di cui al presente comma 9, in quanto compatibili e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, con riferimento al riconoscimento della possibilità di fruizione dei congedi parentali in modo frazionato ed alle misure organizzative intese al rafforzamento degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (lettera i));
· la semplificazione e razionalizzazione degli organismi, delle competenze e dei fondi operanti in materia di parità e pari opportunità nel mondo del lavoro, nonché il riordino delle procedure relative alla promozioni di azioni positive per cui è competente il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (ferme restando comunque le funzioni in materia proprie della Presidenza del Consiglio dei ministri) (lettera l)).
Si fa presente che lo schema
di decreto legislativo in esame attua unicamente i principi e criteri direttivi
di cui alle lettere a), b), d), g), h) e l), mentre non interviene sulle lettere
c), e), f) ed i)[1].
Per quanto riguarda le modalità
di esercizio della delega, il comma 10 prevede che il decreto
legislativo venga adottato nel rispetto della procedura di cui all’articolo 14
della legge n.400 del 1988[2].
Il comma 11 dispone che lo schema di decreto legislativo deve essere corredato di relazione tecnica (che dia conto della neutralità finanziaria dei medesimi ovvero dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura). Lo schema di decreto, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, è trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di esso siano espressi, entro trenta giorni dalla data di trasmissione, i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari. Decorso tale termine, il decreto è emanato anche in mancanza dei pareri.
Il parere parlamentare dovrà pertanto essere espresso entro l’8 maggio 2015
Il comma 12 prevede che
dall'attuazione delle deleghe non devono
derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale
fine, per gli adempimenti previsti dai decreti legislativi attuativi, le
amministrazioni competenti provvedono attraverso una diversa allocazione delle
ordinarie risorse umane, finanziarie e strumentali, allo stato in dotazione
alle medesime amministrazioni. Si prevede, inoltre, che qualora uno o più
decreti attuativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino
compensazione al proprio interno, i decreti legislativi dai quali derivano
nuovi o maggiori oneri siano emanati solo successivamente o contestualmente
all'entrata in vigore dei provvedimenti
legislativi, ivi compresa la legge di stabilità, che stanzino le occorrenti
risorse finanziarie.
Il comma 13 prevede che entro dodici mesi dalla data di entrata in
vigore dei decreti di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri
direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la
medesima procedura di cui ai commi 1 e 2, disposizioni
integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle evidenze
attuative nel frattempo emerse.
Il comma 15 prevede che le legge e i decreti legislativi di attuazione
entrino in vigore il giorno successivo a quello della loro pubblicazione in
Gazzetta ufficiale.
Lo schema di decreto legislativo si compone di 26 articoli.
L’articolo 1 definisce oggetto e finalità del provvedimento, volto a introdurre misure sperimentali per il 2015 (ad eccezione della misura volta alla promozione della conciliazione tra vita e lavoro, di cui all’articolo articolo 24, introdotta in via sperimentale per il triennio 2016-2018) per la tutela della maternità delle lavoratrici e per favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei lavoratori, attraverso una serie di modifiche al Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (di cui al decreto legislativo n. 151/2001)[3].
Nel commento che
segue si illustra il contenuto delle disposizioni contenute nello schema di
decreto legislativo, dando conto, per ciascun istituto, delle principali
modifiche rispetto alla normativa vigente. Per un raffronto puntuale tra le
disposizioni introdotte dal provvedimento e la normativa vigente in ciascuna
materia si rinvia all’apposito testo a
fronte nel presente dossier.
Gli articoli 2 e 4 dello schema di decreto intervengono sulla disciplina del congedo di maternità, modificando quanto disposto in materia, rispettivamente, dagli articoli 16 e 26 del D.Lgs. 151/2001.
Le disposizioni sono volte a dare attuazione, in
particolare, al criterio direttivo di
cui alla lettera g) dell’articolo
1, comma 9, della legge delega che prevede la ricognizione delle disposizioni
in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione, per
garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche tenuto conto della
funzionalità organizzativa all'interno delle imprese.
In particolare si prevede che:
· nel caso di parto anticipato rispetto alla data presunta, i giorni di maternità obbligatoria che la lavoratrice non ha goduto prima del parto possono essere aggiunti a quelli successivi alla nascita, anche se la somma dei due periodi supera il limite complessivo dei 5 mesi (attualmente tale possibilità è concessa, ma non si può superare il limite dei 5 mesi) (articolo 2, comma 1);
· nel caso in cui il neonato venga ricoverato in una struttura (pubblica o privata) nel periodo previsto per l’astensione obbligatoria, la madre può chiederne (una sola volta per ogni figlio) la sospensione e goderne, in tutto o in parte, dalla data di dimissioni del neonato, previa presentazione di attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della donna con la ripresa dell’attività lavorativa (articolo 2, comma 2). Tale facoltà può essere esercitata anche nel caso di congedo di maternità per adozione o affidamento (articolo 4).
Al riguardo, si fa presente che le disposizioni sono volte a
recepire la
sentenza della Corte costituzionale 4-7 aprile 2011, n. 116, con la quale la
Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 16, c. 1, lett. c), del D.Lgs. 151/2001,
nella parte in cui non consente nel caso di parto prematuro con ricovero del
neonato, che la madre lavoratrice possa fruire (a sua richiesta e
compatibilmente con le sue condizioni di salute medicalmente attestate), del
congedo obbligatorio o di parte di esso a partire dalla data d’ingresso del
bambino nella casa familiare.
La normativa
concernente la tutela della famiglia, e,
più specificamente, della maternità e dell’infanzia, ha progressivamente
conosciuto, soprattutto negli ultimi anni, importanti modifiche, che hanno
messo in risalto in primo luogo gli interessi del bambino, intesi nelle
accezioni relazionali ed affettive, e, in secondo luogo, la creazione di
condizioni più favorevoli ad un’effettiva conciliazione tra il diritto alla
maternità e il diritto al lavoro.
Infatti, dopo le
leggi che possono definirsi “storiche” – la L. 1204/1971 e la L. 903/1977 -,
un’estensione complessiva delle tutele relative alla maternità e paternità è
stata realizzata, in primo luogo, attraverso la L. 53/2000[4], con la quale peraltro sono state introdotte altre
disposizioni relative alle assenze dal lavoro e ai congedi per altre esigenze
della vita (per esempio, la formazione).
Si può affermare
che con la L. 53/2000 l'intera normativa in materia di assenze dal lavoro
consentite in relazione alla nascita ed alle malattie dei figli è stata
riformulata, estendendo l'ambito temporale di applicazione delle disposizioni -
dai tre agli otto anni di età del bambino - e promuovendo il concorso del padre
nell'attività di assistenza. La stessa legge, inoltre, ha introdotto la
possibilità per i lavoratori subordinati di ottenere permessi retribuiti (tre
giorni lavorativi l'anno) e di richiedere periodi di congedo non retribuiti
(sino a due anni) per gravi motivi interessanti la sfera familiare del
richiedente. La tutela è stata estesa in buona parte anche al padre lavoratore
al quale la legge attribuisce benefici propri, non derivanti dal mancato
esercizio dei diritti attribuiti alla madre: entrambi i genitori possono
infatti godere della tutela alternativamente o, a volte, anche
contemporaneamente secondo le necessità organizzative della famiglia.
Sulla base della
delega contenuta nella stessa L. 53/2000 con il decreto legislativo n.151/2001[5] è stato emanato un testo unico per il riordino delle disposizioni normative vigenti in
materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità. Tale
provvedimento, in base alla delega, si è limitato a conferire organicità e
sistematicità alle norme già vigenti, senza introdurre elementi di innovazione
sostanziale rispetto alle norme oggetto di codificazione.
Le norme del D.Lgs. 151/2001, a tutela e sostegno della maternità e
della paternità, si applicano sia alle lavoratrici che ai lavoratori
subordinati, alle lavoratrici autonome, alle libere professioniste e alle
lavoratrici iscritte alla Gestione separata dell’INPS[6].
Da ultimo, la L.
92/2012 (c.d. Riforma del mercato del lavoro) è intervenuta sul D.Lgs. 151/2001, mediante interventi volti alla tutela
delle donne attraverso la loro inclusione nel mercato del lavoro e la
previsione di un sostegno effettivo alla genitorialità (art. 4, in particolare
commi da 8 a 11 e da 16 a 24).
Sotto il profilo
della tutela delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, in primo luogo il D.Lgs. 151/2001 riconosce alle lavoratrici un congedo di maternità obbligatorio e
retribuito della durata complessiva di cinque
mesi (due mesi prima del parto e tre mesi dopo il parto, oppure, a scelta
della lavoratrice e se le condizioni mediche lo consentono, un mese prima del
parto e quattro mesi dopo il parto).
Tale congedo
spetta, sempre per un periodo massimo di cinque mesi, anche alle lavoratrici
che abbiano adottato un minore (articolo 26 del D.Lgs.
151/2001).
In caso di
adozione nazionale, il congedo deve essere fruito durante i primi cinque mesi
successivi all’effettivo ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice.
In caso di adozione internazionale, il congedo può essere fruito prima
dell’ingresso del minore in Italia, durante il periodo di permanenza all’estero
richiesto per l’incontro con il minore e gli adempimenti relativi alla procedura
adottiva. Ferma restando la durata complessiva del congedo, questo può essere
fruito entro i cinque mesi successivi all’ingresso del minore in Italia (articolo
26, commi 2 e 3, del D.Lgs. 151/2001).
Nel caso in cui
la lavoratrice, per il periodo di permanenza all’estero, non richieda o
richieda solo in parte il congedo di maternità, può fruire di un congedo non
retribuito, senza diritto all’indennità (articolo 26, comma 4, del D.Lgs. 151/2001).
In caso di
affidamento di minore, il congedo può essere fruito entro cinque mesi
dall’affidamento, per un periodo massimo di tre mesi (articolo 26, comma 6, del
D.Lgs. 151/2001).
Tali congedi
(retribuito e non retribuito) spettano, alle medesime condizioni, al
lavoratore, nel caso in cui non sia stato richiesto, per specifici motivi,
dalla lavoratrice (articolo 31 del D.Lgs. 151/2001).
L’ordinamento
tutela anche la maternità delle lavoratrici autonome e delle libere
professioniste, riconoscendo (articoli 66 e ss. del D.Lgs.
151/2001) un’indennità giornaliera corrisposta, per i due mesi antecedenti la
data del parto e per i tre mesi successivi alla stessa data effettiva del
parto. Tale indennità è riconosciuta anche in caso di adozione e affidamento.
Alle stesse viene anche riconosciuto il congedo parentale in precedenza
richiamato, anche in caso di adozioni e affidamenti, fino al raggiungimento di
determinate età da parte del minore (vedi
infra).
Si ricorda,
inoltre, che la L. 104/2006 ha esteso, dal 1° aprile 2006, la tutela
previdenziale relativa alla maternità alle lavoratrici e ai lavoratori
appartenenti alla categoria dei dirigenti
che prestano la loro opera alle dipendenze di datori di lavoro privati. Da tale
data, i datori di lavoro sono tenuti a versare il contributo per
l'assicurazione per la maternità sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti
con qualifica di dirigente (nella misura prevista dall'art. 79, comma 1, del D.Lgs. n. 151/2001) in considerazione dei diversi settori
produttivi[7].
In merito al trattamento economico per congedo di
maternità, ai sensi dell’articolo 22 del D.Lgs.
151/2001 le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80%
della retribuzione[8] per tutto il periodo di congedo di maternità. La
contrattazione collettiva può inoltre prevedere un'integrazione (a carico dell'azienda)
dell'indennità anticipata dal datore di lavoro per conto dell'INPS. L'indennità
decorre dal primo giorno di assenza obbligatoria dal lavoro ed è corrisposta,
secondo specifiche modalità e con gli stessi criteri previsti per l'erogazione
delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie (articolo
22, comma 2, del D.Lgs. 151/2001).
Per quanto
concerne il trattamento previdenziale
per congedo di maternità, ai sensi dell’articolo 25 del D.Lgs.
151/2001 non è richiesta, in costanza di
rapporto di lavoro, alcuna anzianità contributiva pregressa ai fini
dell'accreditamento dei contributi figurativi per il diritto alla pensione e
per la determinazione della misura stessa, mentre i periodi corrispondenti al
congedo di maternità (astensione obbligatoria di cui agli artt. 16 e 17 del D.Lgs. 151/2001) verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro sono considerati utili ai fini
pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all'atto della
domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata.
Gli articoli 5 e 6 intervengono sulla disciplina del congedo di paternità, modificando quanto disposto in materia dagli articoli 28 e 31 del D.Lgs. 151/2001.
Le disposizioni danno attuazione al criterio direttivo di cui alla lettera g) dell’articolo 1, comma 9, della
legge delega che prevede, tra l’altro, una maggiore flessibilità dei congedi obbligatori e parentali,
favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
In particolare:
· si prevede che il padre possa usufruire del congedo di paternità per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre, di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, anche se la madre è una lavoratrice autonoma (con diritto all’indennità di maternità) (articolo 5, comma 1, lett. a), cpv. “1-bis”). In tali casi, al padre lavoratore autonomo è riconosciuta (previa domanda all’INPS, che provvede d’ufficio agli accertamenti necessari all’erogazione dell’indennità, con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente) l’indennità di maternità spettante alle lavoratrici autonome, per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua (articolo 5, comma 1, lett. a), cpv. “1-ter”).
Sarebbe opportuno specificare se tale
estensione riguardi o meno anche le ipotesi di adozione e affidamento anche
alla luce della sentenza n. 385 dell’11-14 ottobre 2005, con la quale la Corte
costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 72 del D.Lgs. 151/2001 nella parte in cui non prevede, per il caso
di adozione o affidamento, che il libero professionista possa chiedere
l'indennità qualora non l’abbia richiesta la libera professionista (sul punto,
cfr. i successivi articoli 15, 18 e 20).
Si segnala, inoltre, che una disposizione di
contenuto analogo è prevista, sempre con riferimento alla medesima indennità di
cui all’articolo 66 del richiamato D.Lgs. 151/2001 e
a beneficio del padre lavoratore autonomo, anche dagli articoli 15 e 16, comma
1, lettera a), dello schema di decreto in esame.
· si specifica che il congedo di maternità non retribuito previsto per la lavoratrice per il periodo di permanenza all’estero richiesto in caso di adozione internazionale, possa essere utilizzato dal padre anche se la madre non è una lavoratrice (la normativa vigente riconosce questa possibilità al lavoratore solo nel caso di madre lavoratrice) (articolo 6).
L'articolo 28 del
D.Lgs. 151/2001, riconosce il congedo di paternità, ossia il diritto al padre lavoratore di
astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte
residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave
infermità della madre, o di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo
del bambino al padre.
Per quanto
riguarda il trattamento normativo si applicano al padre lavoratore le stesse
disposizioni previste per il congedo di maternità (articolo 29 del D.Lgs. 151/2001).
Inoltre, l'articolo 4, comma 24, lettera a), della L. 92/2012 ha previsto la
misura sperimentale, per gli anni 2013-2015, dell'obbligo per il padre lavoratore
dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, di astensione dal lavoro per un giorno.
Entro il medesimo periodo, il padre lavoratore dipendente può astenersi per
ulteriori due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua
sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a
quest’ultima. Per questi giorni di astensione viene riconosciuta un’indennità
giornaliera a carico dell’INPS pari al 100% della retribuzione per il periodo
di due giorni goduto in sostituzione della madre, un’indennità pari al 100%
della retribuzione per il giorno di astensione obbligatorio sopra indicato. Il
padre lavoratore deve dare preventiva comunicazione in forma scritta al datore
di lavoro dei giorni prescelti per astenersi dal lavoro con un preavviso di
almeno quindici giorni.
Il congedo
facoltativo è fruibile dal padre anche contemporaneamente all'astensione della
madre (articolo 1 del D.M. 22 dicembre 2012), inoltre i congedi obbligatorio e
facoltativo non possono essere frazionati ad ore (articolo 3 del D.M. 22
dicembre 2012).
Infine, in base
a quanto disposto dall’articolo 31 del D.Lgs. 151/2001, il congedo di maternità previsto in
caso di adozione sia nazionale che
internazionale (ex art. 26, c. 1-3, D.Lgs. 151/2001)
che non sia stato chiesto dalla lavoratrice spetta, alle medesime condizioni,
al lavoratore. Ugualmente si applica anche al padre lavoratore la disciplina di
cui al comma 4 del medesimo art. 26, prevista per il periodo di permanenza
all'estero in caso di adozione internazionale.
Gli articoli da 7 a 10 intervengono sulla disciplina dei congedi parentali, modificando quanto disposto in materia dagli articoli da 32 a 34 e dall’articolo 36 del D.Lgs. 151/2001.
Le disposizioni danno attuazione ai criteri direttivi di cui alle lettere g) e h) dell’articolo 1, comma
9, della legge delega, che prevedono, tra l’altro:
·
una maggiore
flessibilità dei congedi obbligatori e
parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro, anche tenuto conto della funzionalità organizzativa all'interno delle
imprese (lett.
g));
·
il riconoscimento
della possibilità di fruizione dei congedi
parentali in modo frazionato e il rafforzamento degli strumenti di
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (lett. h)).
In particolare:
· il periodo massimo di fruibilità viene esteso dall’ottavo al dodicesimo anno di vita del bambino (articolo 7, comma 1, lett. a)). Lo stesso termine si applica anche in caso di adozione e affidamento (articolo 10, comma 1, lett. a)) e di prolungamento del congedo parentale in presenza di figlio minore portatore di handicap (articolo 8);
· viene esteso, anche nei casi di adozione e affidamento, dal terzo al sesto anno di vita del bambino (o entro i sei anni dall’ingresso del minore in famiglia) il periodo di indennizzo previsto, nella misura del 30%, per l’utilizzo del congedo parentale (articolo 9, comma 1, lett. a) e articolo 10, comma 1, lett. b)). Viene inoltre specificato che la suddetta indennità possa essere percepita per periodi ulteriori (a condizione che il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria), ma non oltre l’ottavo anno di vita del bambino (articolo 9, comma 1, lett. b));
· in caso di mancata regolamentazione della modalità di fruizione su base oraria da parte dei contratti collettivi (anche aziendali), viene prevista la possibilità per ciascun genitore di scegliere tra la fruizione giornaliera o oraria; la fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. È esclusa la cumulabilità della fruizione oraria del congedo parentale con permessi o riposi previsti dal decreto in esame (articolo 7, comma 1, lett. b));
Sembrerebbe opportuno specificare se le
disposizioni operanti in caso di mancanza della regolamentazione contrattuale
si applicano anche al personale del comparto sicurezza e difesa e a quello dei
vigili del fuoco e soccorso pubblico, per i quali, in base a quanto disposto
dall’articolo 32, comma 1-bis, del D.Lgs. 151/2001,
la disciplina collettiva deve prevedere, specifiche e diverse modalità di
fruizione e di differimento del congedo, "al fine di tenere conto delle
peculiari esigenze di funzionalità connesse all'espletamento dei relativi
servizi istituzionali".
· viene ridotto il termine di preavviso per la richiesta del congedo: da 15 giorni si passa a 5 per il congedo giornaliero e a 2 per quello su base oraria (articolo 7, comma 1, lett. c)).
I congedi
parentali si traducono nell'astensione
facoltativa dal lavoro della lavoratrice o del lavoratore. In particolare,
trascorso il periodo di congedo di maternità, ciascun genitore, ai sensi dell’articolo 32 del D.Lgs.
151/2001, ha diritto di astenersi dal lavoro nei primi 8 anni di vita del bambino, con un limite complessivo massimo di 10 mesi.
Tale diritto
spetta:
·
alla madre
lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità (astensione
obbligatoria), per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi;
·
al padre
lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato
non superiore a 6 mesi, elevabile a 7 mesi qualora usufruisca dell'astensione
facoltativa per un periodo continuativo non inferiore a 3 mesi (in quest'ultimo
caso, il periodo massimo utilizzabile da entrambi i genitori viene elevato a 11
mesi);
·
nel caso in cui
vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore
a 10 mesi.
Salvi casi di
oggettiva impossibilità, il congedo parentale deve essere richiesto con un
preavviso non inferiore 15 giorni (con l'indicazione dell'inizio e della fine
del periodo di congedo).
Lo stesso
articolo 32 (così come modificato dall’articolo 1, comma 339, della L. 228/2012[9]) ha attribuito alla contrattazione collettiva di settore il potere di stabilire le
modalità di fruizione del congedo
parentale su base oraria, nonché i criteri di calcolo della base oraria e
l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa.
Specifiche e diverse modalità di fruizione e di differimento del congedo sono
previste dalla disciplina collettiva per il personale del comparto sicurezza e
difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico, al fine di tenere conto delle
peculiari esigenze di funzionalità connesse all'espletamento dei relativi
servizi istituzionali.. Oltre a ciò, è stato precisato in ordine al periodo di
preavviso da osservare ai fini dell'esercizio del diritto al congedo parentale,
che, restando fermo il periodo quindicinale per il preavviso debba essere
indicato l’inizio e la fine del periodo di congedo ed è stato previsto che il
lavoratore e il datore di lavoro possano mantenersi in contatto durante il
periodo di congedo, al fine di concordare adeguate misure di ripresa
dell’attività lavorativa, tenendo conto di quanto eventualmente previsto dalla
contrattazione collettiva.
L’articolo 33 del D.Lgs.
151/2001 dispone che per ogni minore con handicap in situazione di gravità
accertata[10] la lavoratrice madre (o, in alternativa, il
lavoratore padre) ha diritto, entro il compimento dell'ottavo anno di vita del
bambino, al prolungamento del congedo
parentale, fruibile in misura continuativa o frazionata, per un periodo
massimo, comprensivo dei periodi previsti dall’articolo 32, non superiore a tre
anni, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso
istituti specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la
presenza del genitore. In
alternativa al prolungamento del congedo, fino al compimento del terzo anno di
vita del bambino, possono essere fruiti i riposi giornalieri retribuiti di due
ore (ex art. 42, c. 1, D.Lgs. 151/2001).
Per quanto
concerne l’indennizzo riconosciuto per i
periodi di congedo parentale, si ricorda che l’articolo 34 del D.Lgs. 151/2001 riconosce
alle lavoratrici e ai lavoratori, fino al terzo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30% della retribuzione,
per un periodo massimo complessivo tra i
genitori di 6 mesi. Per i periodi di congedo parentale ulteriori è dovuta
un'indennità pari al 30% della retribuzione, a condizione che il reddito
individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del
trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale
obbligatoria. L'indennità per congedo parentale non spetta ai lavoratori
dipendenti che, durante la fruizione del congedo stesso, intraprendano una
nuova attività lavorativa.
Gli articoli 3 e da 13 a 20 intervengono sulla disciplina dell’indennità di maternità, modificando quanto disposto in materia dagli articoli 24, 64, 66, 67, 70, 71 e 72 del D.Lgs. 151/2001.
Le disposizioni danno attuazione al criterio direttivo di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 1, comma 9, della legge
delega, che prevedono:
·
la ricognizione
delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, nella prospettiva di estendere,
eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di
donne lavoratrici (lett.
a));
·
l'estensione alle
lavoratrici madri "parasubordinate" del diritto alla prestazione di maternità anche in assenza del versamento
dei contributi da parte del datore di lavoro (c.d. principio di
automaticità della prestazione) (lett. b)).
Per quanto riguarda, in primo luogo, le lavoratrici dipendenti, si prevede che
l’indennità di maternità venga corrisposta anche nel caso, attualmente escluso
dalla normativa vigente (art. 24 del D.Lgs.
151/2001), di risoluzione del rapporto
di lavoro per giusta causa, derivante da colpa grave della lavoratrice, che si verifichi durante i periodi
di congedo di maternità[11] (articolo 3[12]).
Altre modifiche riguardano la disciplina vigente per le lavoratrici autonome e le imprenditrici agricole, per le libere professioniste e per le lavoratrici iscritte alla Gestione separata presso l’INPS, non iscritte ad altre forme obbligatorie.
Più nel dettaglio, per le lavoratrici autonome e imprenditrici agricole e per le libere
professioniste (articoli 14-20):
· viene esteso alle lavoratrici autonome e imprenditrici agricole il diritto all’indennità di maternità anche nel caso di adozione e affidamento con le stesse regole e condizioni previste per le altre lavoratrici[13] e sulla base di idonea documentazione (articoli 16, comma 1, lett. b) e 20, comma 1, lett. a)[14]). Specifiche modalità di presentazione della relativa domanda sono disposte per le libere professioniste (articolo 20, comma 1, lett. b));
· in caso di morte o di grave infermità della madre, di abbandono, nonché di affidamento esclusivo del bambino al padre, al padre lavoratore autonomo o libero professionista è riconosciuta (previa domanda all’INPS, corredata da certificazione attestante le condizioni previste, ex articoli 16, comma 1, lett. a) e 19[15]) l’indennità cui hanno diritto le lavoratrici autonome e le libere professioniste[16], per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre o per la parte residua (articoli 15 e 18).
Tale disposizione attua quanto previsto dalla Corte costituzionale con la sentenza 385/2005, la quale ha dichiarato l’illegittimità degli articoli 70 e 72 del D.Lgs. 151/2001 nella parte in cui non prevedono che il libero professionista possa richiedere l'indennità qualora non l’abbia richiesta la libera professionista.
Si segnala, peraltro, che non viene
esplicitamente previsto che tale indennità spetti al lavoratore autonomo o
libero professionista anche in caso di adozione e affidamento (sul punto, cfr.
l’articolo 5).
Per le lavoratrici iscritte alla Gestione separata presso l’INPS, non iscritte ad altre forme obbligatorie di previdenza si prevede (articolo 13):
· che il diritto all’indennità di maternità spettante alle lavoratrici iscritte alla Gestione separata in caso di adozione e affidamento venga corrisposto per i cinque mesi successivi all’ingresso effettivo del minore in famiglia, secondo condizioni e modalità stabilite con decreto interministeriale, adottato ai sensi dell’articolo 59, comma 16, della L. 449/1997, in materia di entità del contributo dovuto per gli iscritti alla Gestione separata INPS [17] (articolo 13, comma 1, cpv. “Art. 64-bis (Adozioni e affidamenti)”);
Al riguardo, si fa presente che la norma è volta a recepire quanto già disposto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 257/2012[18]
· l’estensione del principio della automaticità dell’indennità di maternità, che spetta anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del committente (articolo 13, comma 1, cpv. “Art. 64-ter (Automaticità delle prestazioni)”).
L’indennità di
maternità è disciplinata dall’articolo 22 del D.Lgs.
151/2001, ai sensi del quale le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80% della
retribuzione[19] per tutto il periodo di congedo di maternità. La
contrattazione collettiva può inoltre prevedere un'integrazione (a carico
dell'azienda) dell'indennità anticipata dal datore di lavoro per conto
dell'INPS.
L'indennità
decorre dal primo giorno di assenza obbligatoria dal lavoro ed è corrisposta,
secondo specifiche modalità e con gli stessi criteri previsti per l'erogazione
delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie (articolo
22, comma 2, del D.Lgs. 151/2001).
Alle lavoratrici autonome, coltivatrici
dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali, alle
imprenditrici agricole a titolo principale e alle pescatrici autonome della
piccola pesca marittima e delle acque interne (di cui alla L. 250/1958) è
corrisposta, ai sensi dell’articolo 66 del D.Lgs.
151/2001, una indennità giornaliera per il periodo di gravidanza e per quello
successivo al parto. L'indennità è corrisposta, per le coltivatrici dirette,
colone e mezzadre e le imprenditrici agricole, per i due mesi antecedenti la
data del parto e per i tre mesi successivi alla stessa, in misura pari all'80%
della retribuzione minima giornaliera per gli operai agricoli a tempo
indeterminato, in relazione all'anno precedente il parto. Alle lavoratrici
autonome, artigiane ed esercenti attività commerciali è corrisposta, per i due
mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi alla stessa data
effettiva del parto, in misura pari all'80% del salario minimo giornaliero. Per
i pescatori della piccola pesca marittima e delle acque interne l'indennità è
corrisposta (articolo 68 del D.Lgs. 151/2001) per i
due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi alla stessa
data effettiva del parto, in misura pari all'80% della misura giornaliera del
salario convenzionale (cosi come previsto dall'articolo 10 della L. 250/1958).
Per quanto
riguarda le lavoratrici iscritte alla
Gestione separata dell’INPS, il DM 12 luglio 2007 ha esteso loro la
disciplina relativa al congedo e all’indennità di maternità anche. Si ricorda,
inoltre, che nel caso in cui le stesse lavoratrici abbiano adottato o avuto in
affidamento preadottivo un minore, hanno diritto all'indennità di maternità per
un periodo di 5 mesi (anziché di 3 mesi).
Per quanto concerne il principio generale dell'automatismo delle prestazioni previdenziali e assistenziali, questo è sancito dall’articolo 2116 del codice civile[20], per cui le prestazioni spettano al lavoratore anche quando i contributi dovuti non siano stati effettivamente versati. Pur trattandosi di una regola di principio (che, secondo consolidata giurisprudenza, trova applicazione a prescindere da qualsiasi richiamo esplicito, essendo semmai necessaria una disposizione esplicita per derogare al principio stesso[21]), essa tuttavia opererebbe per i lavoratori subordinati, ma non anche per i lavoratori iscritti alla Gestione separata INPS e per gli autonomi.
Con sentenza n. 941 del 12 dicembre 2013 il Tribunale di Bergamo ha però argomentato che se è vero che la non applicabilità del principio di automatismo delle prestazioni abbia una sua coerenza nei casi di rapporti di lavoro autonomo, come ad esempio per i professionisti (in questi casi, infatti, l'obbligo di pagamento della contribuzione previdenziale grava sui lavoratori stessi assicurati e sui quali ovviamente non può che ricadere la conseguenza dell'eventuale omesso versamento), nel caso di contratti di collaborazione coordinata e continuativa o di collaborazione a progetto, in cui tutta una serie di elementi (i contributi versati da parte del committente anche per la quota a carico del lavoratore, l’assimilazione ai fini fiscali dei redditi da collaborazione a quelli da lavoro dipendente e la mancanza di una modalità per costringere il committente a versare i contributi) prefigurano un sistema speculare a quello previsto per i lavoratori dipendenti, "la mancata applicazione del principio dell'automaticità delle prestazioni potrebbe costituire una violazione dell'art. 3 della Costituzione, trattando situazioni che allo stesso modo meritano tutela, in modo irragionevolmente diverso”. Sulla base di ciò, è stato ritenuto applicabile anche ai collaboratori coordinati e continuativi e a quelli a progetto iscritti alla gestione separata dell’INPS l’accreditamento automatico dei contributi previdenziali non versati dal committente.
L’articolo 11 amplia la categoria di lavoratrici che non possono essere obbligate a svolgere lavoro notturno, prevista dall’articolo 53 del D.Lgs. 151/2001, inserendo tra queste anche la lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di età o, in alternativa ed alle stesse condizioni, il lavoratore padre adottivo o affidatario convivente con la stessa.
La disposizione dà attuazione al criterio direttivo di
cui alla lettera g) dell’articolo 1, comma 9, della legge delega, che dispone la
ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, per favorire,
tra l’altro, le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro,
anche tenuto conto della funzionalità organizzativa all'interno delle imprese.
In linea
generale, per lavoro notturno si
intende quello svolto in un periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti
l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino (art. 1, c. 2, del D.Lgs. 66/2003).
Nello specifico,
l’articolo 53 del D.Lgs.
151/2001 prevede il divieto di adibire
le donne al lavoro notturno
(dalle ore 24 alle ore 6) dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento
di un anno di età del bambino. Non sono obbligati a prestare lavoro notturno:
- la
lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni (o, in alternativa,
il lavoratore padre convivente con la stessa);
- la
lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio
convivente di età inferiore a dodici anni;
- la
lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai
sensi della L. 104/1992.
Si
segnala che l’articolo 18-bis del
decreto legislativo n. 66 del 2003 stabilisce che sia punito con l'arresto da
due a quattro mesi o con l'ammenda da 516 euro a 2.582 euro chi, nelle
fattispecie richiamate dall’articolo 53 del decreto legislativo n. 151 del
2001, adibisca lavoratrici al lavoro notturno nonostante il loro dissenso
espresso in forma scritta e comunicato al datore di lavoro entro 24 ore
anteriori al previsto inizio della prestazione. Al riguardo, occorre valutare
se sia possibile estendere la suddetta sanzione penale anche alla nuova
fattispecie introdotta dalla disposizione in esame.
L’articolo 12, attraverso una modifica dell’articolo 55 del D.Lgs. 151/2001, dispone che, in caso di dimissioni volontarie, l’obbligo di preavviso viene meno nel solo caso in cui le dimissioni sono presentate durante il periodo in cui è previsto il divieto di licenziamento, ossia (come previsto dall’articolo 54, comma 1, del D.Lgs. 151/2001) dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti in caso di congedo di maternità, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino[22].
Si ricorda che, in base a quanto disposto dall'articolo 54 del D.Lgs. 151/2001, le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di
gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Il divieto di
licenziamento non si applica nel caso di colpa grave da parte della
lavoratrice; di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta; di
ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di
risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; di esito
negativo della prova. Durante il periodo nel quale opera il divieto di
licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, né essere
collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo salvo specifiche
eccezioni. Il successivo articolo 55
prevede che in caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per
cui è previsto il divieto di licenziamento, la lavoratrice abbia diritto alle
indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di
licenziamento. Tale previsione riguarda anche il padre lavoratore e si applica
anche nel caso di adozione e di affidamento, entro un anno dall'ingresso del
minore nel nucleo familiare. Il comma 4 (come modificato dall’articolo 4, comma
16, della L. 92/2012), prevede, inoltre, che la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice,
durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del
bambino (o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in
affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni
decorrenti dalla comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando
o dell'invito a recarsi all'estero per ricevere la proposta di abbinamento)
devono essere convalidate dal servizio
ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per
territorio. Tale obbligo di convalida, che costituisce condizione sospensiva
per l’efficacia della cessazione del rapporto di lavoro, opera anche nel caso
di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
In tutti i casi
di dimissioni richiamati dall’articolo 55, la lavoratrice o il lavoratore sono
tenuti al preavviso (ai sensi del
comma 5 dello stesso articolo 55).
La L. 92/2012
(articolo 4, commi 17-23) ha introdotto, poi, alcune modalità alternative di convalida, al rispetto delle quali viene
subordinata l'efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale del
rapporto:
-
convalida
effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per
l'impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dalla
contrattazione collettiva (comma 17);
-
sottoscrizione di
apposita dichiarazione apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della
comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, secondo le modalità di cui
all'articolo 21 della L. 264/1949[23] (comma 18).
Qualora non si proceda alla convalida di cui al comma
17 o alla sottoscrizione di cui al comma 18, il rapporto di lavoro si intende
risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva, qualora la lavoratrice
o il lavoratore non aderisca, entro il termine di sette giorni dalla ricezione,
all'invito a presentarsi presso la Direzione territoriale del lavoro o il
Centro per l'impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi
individuate dalla contrattazione collettiva (comma 19).
La comunicazione dell’invito deve essere recapitata al
domicilio della lavoratrice o del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o
ad altro domicilio formalmente comunicato dalla lavoratrice o dal lavoratore al
datore di lavoro, ovvero è consegnata alla lavoratrice o al lavoratore che ne
sottoscrive copia per ricevuta (comma 20).
Nel suddetto termine di sette giorni dalla ricezione
dell'invito, che possono sovrapporsi con il periodo di preavviso, la
lavoratrice o il lavoratore hanno facoltà di revocare le dimissioni e la
risoluzione consensuale, offrendo le proprie prestazioni al datore di lavoro.
La revoca può essere comunicata in forma scritta. Il contratto di lavoro, se
interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno
successivo alla comunicazione della revoca (comma 21).
Le dimissioni sono inefficaci qualora, in mancanza
della convalida o della sottoscrizione (di cui ai citati commi 17 e 18), il datore di lavoro non trasmette alla
lavoratrice o al lavoratore la comunicazione contenente l'invito entro il
termine di trenta giorni dalla data delle dimissioni e della risoluzione
consensuale (comma 22).
Infine, è prevista una sanzione amministrativa
pecuniaria da euro 5.000 ad euro 30.000 nelle ipotesi in cui il datore di
lavoro abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al
fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto,
salvo che il fatto costituisca reato. L'accertamento e l'irrogazione della
sanzione sono di competenza delle Direzioni territoriali del lavoro, con
applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni della legge 689/1981[24] (comma 23).
Da ultimo, sulla materia è intervenuto l'articolo 7, comma 5, lettera d), n. 1), del D.L. 76/2013, che ha
esteso le tutele introdotte dall'articolo 4, commi da 16 a 23, della L.
92/2012, ai lavoratori e alle lavoratrici con contratto di collaborazione
coordinata e continuativa, anche a progetto, ovvero con contratti di
associazione in partecipazione (di cui all'articolo 2549, secondo comma, c.c.).
L’articolo 21 opera (in attuazione del criterio direttivo di cui alla lettera g) dell’articolo 1, comma 9, della legge delega, che prevede, tra l’altro, la ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) una risistemazione testuale dell’articolo 85 del D.Lgs. 151/2001 che contiene un elenco delle disposizioni che rimangono in vigore dopo l’emanazione del medesimo D.Lgs. 151/2001. L’articolo 21 aggiorna il suddetto elenco, eliminando dallo stesso le disposizioni abrogate nel frattempo.
Più
specificamente:
·
si abrogano le
disposizioni di cui alle lettere m) e
z) del comma 1 del richiamato
articolo 85 (concernenti, rispettivamente, la lettera d) del comma 1 dell'articolo 4 del D.L. 325/1987[25], che prevede la dimissioni dai corsi per l’accesso ai
ruoli della Polizia di Stato per gli allievi, e gli agenti di polizia
ausiliari, che siano stati per qualsiasi motivo assenti dal corso per più di 30
giorni, anche non consecutivi, ovvero 40 giorni se l'assenza è stata
determinata da infermità contratta durante il corso; e l’articolo 18 del D.Lgs. 135/1999, che prevede l’interruzione volontaria
della gravidanza[26]);
·
modificando la
lettera h) del comma 2, si dispone
che rimanga in vigore il D.M. 10 settembre 1998, che aggiorna il D.M. 6 marzo 1995
concernente l'aggiornamento del D.M. 14 aprile 1984 recante protocolli di
accesso agli esami di laboratorio e di diagnostica strumentale per le donne in
stato di gravidanza ed a tutela della maternità, in luogo, appunto del citato
D.M. 6 marzo 1995.
L’articolo 22 – in attuazione di quanto previsto dal criterio direttivo di cui alla lettera d) dell’articolo 1, comma 9, della legge delega, che prevede l'incentivazione di accordi collettivi intesi a facilitare la flessibilità dell’orario di lavoro e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità di genitore, l’assistenza alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro – introduce benefici per i datori di lavoro privato che facciano ricorso al telelavoro per motivi connessi ad esigenze di cure parentali in forza di accordi collettivi: in questi casi i lavoratori ammessi al telelavoro sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti dalle leggi e dai contratti per l’applicazione di particolari normative o istituti
Il telelavoro non si
qualifica come un’autonoma tipologia contrattuale, quanto, piuttosto, come una
modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che, potendo anche essere
svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei
locali della stessa.
Il
telelavoro può configurarsi come un’attività di lavoro autonomo, quando il
telelavoratore fornisce servizi in piena autonomia; di lavoro parasubordinato,
quando il telelavoratore presta la sua opera continuativamente nei confronti di
un committente ma è comunque libero di organizzare la propria attività; di
lavoro subordinato, quando, anche se in luogo diverso dalla sede dell’unità
produttiva, il telelavoratore presta la sua attività alle dipendenze e sotto la
direzione dell’imprenditore, senza alcuna autonomia.
Nel settore privato il telelavoro è
disciplinato, in recepimento dell’Accordo Quadro Europeo del 16 luglio 2002, dall’Accordo Interconfederale del 9 giugno
2004, diretto a stabilire una regolamentazione generale a livello nazionale
dell’istituto. Alla contrattazione collettiva è affidata la possibilità di
adeguare od integrare i principi e i criteri definiti nell’Accordo.
L’Accordo
prevede che il telelavoro consegua ad una scelta volontaria del datore di
lavoro e del lavoratore interessati, e non incide sullo status del telelavoratore. Per quanto attiene alle condizioni di
lavoro, inoltre, si dispone che il telelavoratore fruisca dei medesimi diritti,
garantiti dalla legislazione e dal contratto collettivo applicato, previsti per
un lavoratore comparabile che svolge
attività nei locali dell’impresa, nonché delle identiche tutele previste dalla
normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Nel settore pubblico, il telelavoro è
disciplinato dal D.P.R. 8 marzo 1999, n.
70, recante il Regolamento di disciplina del telelavoro nelle pubbliche
amministrazioni, a norma dell'articolo 4, comma 3, della L. 191/1998, e dall’Accordo-quadro del 23 marzo 2000. Anche
per il settore pubblico è previsto che il ricorso al telelavoro debba
consentire al lavoratore pari diritti ed opportunità rispetto ai lavoratori che
operano in sede.
In particolare, l’articolo 3, comma 2, del
D.P.R. 70 stabilisce che il ricorso a forme di telelavoro avviene sulla base di
un progetto generale in cui sono
indicati: gli obiettivi, le attività interessate, le tecnologie utilizzate ed i
sistemi di supporto, le modalità di effettuazione secondo principi di ergonomia
cognitiva, le tipologie professionali ed il numero dei dipendenti di cui si
prevede il coinvolgimento, i tempi e le modalità di realizzazione, i criteri di
verifica e di aggiornamento, le modificazioni organizzative ove necessarie,
nonché i costi e i benefici, diretti e indiretti.
Il
progetto deve definire (articolo 3, comma 4) la tipologia, la durata, le
metodologie didattiche, le risorse finanziarie degli interventi di formazione e
di aggiornamento, anche al fine di sviluppare competenze atte ad assicurare
capacità di evoluzione e di adattamento alle mutate condizioni organizzative,
tecnologiche e di processo.
Ai sensi
del successivo articolo 4, comma 1, del D.P.R. 70, l’Amministrazione assegna il
dipendente al telelavoro sulla base di criteri
previsti dalla contrattazione collettiva, che, fra l'altro, consentano di valorizzare i benefici sociali e personali
del telelavoro.
Inoltre,
l’articolo 3, comma 5, dell’Accordo-quadro dispone, nell'ambito di ciascun
comparto, la facoltà, per la contrattazione, di disciplinare gli aspetti
strettamente legati alle specificità del comparto e, in particolare: criteri
generali per l'esatta individuazione del telelavoro rispetto ad altre forme di
delocalizzazione; criteri generali per l'articolazione del tempo di lavoro e
per la determinazione delle fasce di reperibilità telematica; forme di
copertura assicurativa delle attrezzature in dotazione e del loro uso;
iniziative di formazione legate alla specificità del comparto.
Il
successivo articolo 4 stabilisce, nell'ambito dei progetti di telelavoro di cui
all'articolo 3 del D.P.R. 70, che l'Amministrazione di riferimento deve
assegnare, con specifiche procedure, posizioni di telelavoro ai lavoratori che
si siano dichiarati disponibili a ricoprire dette posizioni, alle condizioni
previste dal progetto, con priorità per coloro che già svolgano le relative
mansioni o abbiano esperienza lavorativa in mansioni analoghe a quelle
richieste, tale da consentire di operare in autonomia nelle attività di
competenza.
Sono
inoltre previsti particolari criteri di scelta da utilizzare in caso di
richieste in esubero, e precisamente: situazioni di disabilità psico-fisiche
tali da rendere disagevole il raggiungimento del luogo di lavoro; esigenze di
cura di figli minori di 8 anni; esigenze di cura nei confronti di familiari o
conviventi, debitamente certificate; maggiore tempo di percorrenza dall'abitazione
del dipendente alla sede.
Da
ultimo, il legislatore è intervenuto sulla materia con la L. 183/2011 (Stabilità 2012), articolo
22, comma 5, che reca alcune misure
intese a favorire il ricorso al telelavoro, anche con specifico riferimento
ai disabili e ai lavoratori in mobilità. In particolare, prevede:
· che i benefici concessi dalla normativa vigente al
fine di promuovere e incentivare azioni volte a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro (art.9, c. 1, lettera a), della L. 53/2000, possano essere
riconosciuti anche in caso di telelavoro in forma di contratto a termine o
reversibile;
· che gli obblighi in materia di assunzioni obbligatorie e quote di riserva possano essere adempiuti
anche utilizzando il telelavoro;
· che fra le modalità
di assunzione che possono costituire oggetto delle convenzioni di
integrazione lavorativa (di cui all’articolo 11 della legge 68/1999[27]) sono incluse anche le assunzioni con contratto di
telelavoro;
·
al fine di
facilitare il reinserimento dei lavoratori in mobilità, che le offerte di
lavoro ad essi rivolte comprendono anche ipotesi di attività lavorative in
forma di telelavoro, anche reversibile.
In attuazione del criterio direttivo di cui alla lettera h) dell’articolo 1, comma 9, della legge delega, che prevede l'introduzione di congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere (certificati dai servizi sociali del comune di residenza), l’articolo 23 dispone che le dipendenti, pubbliche e private, inserite in percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, debitamente certificati, possono astenersi dal lavoro, per motivi legati al suddetto percorso, per un periodo massimo di tre mesi, senza alcuna decurtazione della retribuzione (il periodo di astensione è comunque computato ai fini dell’anzianità di servizio, della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del TFR). Il termine di preavviso per la fruizione del congedo è di sette giorni, salvo casi di oggettiva impossibilità. Il periodo di tre mesi può non essere continuativo in quanto può essere utilizzato su base oraria o giornaliera, distribuito nell’arco temporale di tre anni; in caso di mancata regolamentazione della modalità di fruizione del congedo da parte dei contratti collettivi la dipendente può scegliere tra la fruizione oraria o giornaliera.
Lo stesso diritto è riconosciuto alle collaboratrici a progetto inserite nei suddetti percorsi di protezione, il cui rapporto contrattuale rimane sospeso per il periodo corrispondente all’astensione, la cui durata non può essere superiore a tre mesi.
Alla lavoratrice vittima di violenza di genere inserita in appositi percorsi è riconosciuto il diritto di chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale (verticale o orizzontale) che potrà ritornare nuovamente a tempo pieno solo su richiesta della lavoratrice.
Vengono fatte salve le disposizioni più favorevoli previste dalla contrattazione collettiva.
Per quanto concerne l’ambito
di applicazione della disposizione in oggetto, si fa presente che, per le
lavoratrici dipendenti nel settore privato, si fa riferimento esclusivamente
alle dipendenti da soggetti imprenditori[28] (mentre tale specificazione non è prevista
per le collaboratrici, limitandosi la norma a fare riferimento esclusivamente a
quelle a progett).
In attuazione
degli impegni presi con la recente ratifica della Convenzione di Istanbul
(legge n. 77 del 2013) ed in sinergia con le politiche dell'Unione Europea, il
decreto legge n. 93 del 2013, all’articolo 5, ha previsto l'adozione da parte
del Ministro delegato per le pari opportunità di un Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere
per affrontare in modo organico e in sinergia con i principali attori coinvolti
a livello centrale e territoriale il fenomeno della violenza contro le donne.
Tale Piano non è stato ancora adottato.
Al fine di dare
attuazione a quanto previsto dal richiamato articolo 5, il successivo articolo
5-bis destina un finanziamento, di
natura permanente, nell'ambito del Piano, al potenziamento delle forme di assistenza e di sostegno alle
donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso il rafforzamento della
rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e delle case rifugio:
a tal fine il Fondo per le pari opportunità è incrementato di 10 milioni annui
a decorrere dal 2015.
Le risorse per
il rafforzamento della citata rete dei servizi territoriali sono ripartite
annualmente dal Ministro per le pari opportunità, d'intesa con la Conferenza
Stato-Regioni, sulla base di una serie di criteri:
a)
programmazione regionale e interventi già operativi per contrastare la violenza
nei confronti delle donne;
b) numero dei
centri antiviolenza pubblici e privati già esistenti in ogni regione;
c) numero delle
case-rifugio pubbliche e private già esistenti in ogni regione;
d) necessità di
riequilibrare la presenza dei centri antiviolenza e delle case-rifugio in ogni
regione, riservando un terzo dei fondi disponibili all'istituzione di nuovi
centri e di nuove case-rifugio.
Il DPCM 24 luglio 2014 ha provveduto, in
fase di prima attuazione, a ripartire tra le Regioni e le Province autonome le
risorse stanziate per gli anni 2013 e 2014. L'art. 3, c. 4, del DPCM, ha
previsto che con successiva intesa da sancire in sede di conferenza unificata
siano stabiliti, entro il 2014, i requisiti minimi necessari che i centri
antiviolenza e le case rifugio devono possedere anche per poter accedere al
riparto delle risorse finanziarie. In attuazione di tale previsione è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 18 febbraio 2015 l'Intesa siglata il 27
novembre 2014.
Si dispone,
inoltre, che i centri antiviolenza e le case rifugio operino in maniera
integrata con la rete dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali e
che le regioni destinatarie delle risorse debbono presentare al Ministro per le
pari opportunità, entro il 30 marzo di ogni anno, una relazione sulle
iniziative adottate nell’anno precedente utilizzando tali risorse. Sulla base delle
suddette relazioni, il Ministro per le pari opportunità presenta alle Camere,
entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione sullo stato di utilizzo delle
risorse stanziate.
L’articolo 24 destina, in via sperimentale per il triennio 2016-2018, alla promozione della conciliazione tra lavoro e vita privata, una quota pari al 10% del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, secondo criteri e modalità fissati con apposito decreto interministeriale. Il decreto interministeriale è chiamato a definire anche ulteriori interventi in materia di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, anche attraverso l’elaborazione di linee guida, volte a favorire la stipula di contratti aziendali, a cui provvede un’apposita cabina di regia (ai cui componenti non spetta alcun compenso o gettone di presenza), presieduta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali con l’ulteriore compito di coordinare le attività di monitoraggio dei suddetti interventi. All’elaborazione delle richiamate linee guida e al coordinamento delle connesse attività di monitoraggio si provvede con le risorse (umane, strumentali e finanziarie) disponibili e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Lo sgravio
contributivo dei contratti di produttività è stato previsto dall’articolo
1, commi 67 e 68 della L. 247/2007, originariamente in via sperimentale, con
effetto dal 1° gennaio 2008, e poi tradotto in forma strutturale dall’articolo
4, commi 28-29, della L. 92/2012. In particolare, il comma 67 ha previsto,
attraverso l’istituzione di un apposito Fondo
per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione
di secondo livello, la concessione di uno sgravio contributivo relativo
alla quota di retribuzione imponibile di cui all'articolo 12, terzo comma,
della L. 153/1969 (che disciplina la determinazione del reddito da lavoro
dipendente ai fini contributivi), costituita dalle erogazioni previste dai
contratti collettivi aziendali e territoriali (ovvero di secondo livello)
caratterizzate da incertezza della corresponsione o dell'ammontare e
correlazione, stabilita dal contratto medesimo, tra la struttura del la quota
di retribuzione e la misurazione di incrementi di produttività, qualità, nonché
altri elementi di competitività, assunti come indicatori dell'andamento
economico dell'impresa e dei suoi risultati. Tale sgravio, fruibile su domanda
delle imprese, è concesso sulla base dei seguenti criteri: importo annuo
complessivo delle erogazioni in oggetto ammesse allo sgravio entro il limite
massimo del 5% della retribuzione contrattuale percepita; determinazione dello
sgravio, con riferimento alla quota di erogazioni di cui al precedente
richiamo, nella misura di 25 punti percentuali; determinazione dello sgravio,
sempre con riferimento alla quota di erogazioni relative all’importo annuo
complessivo in misura pari ai contributi previdenziali a carico dei datori di
lavoro sulla quota del 5%. Il comma 68 ha rinviato ad un decreto
interministeriale la disciplina delle modalità di attuazione dello sgravio.
Le risorse del Fondo[29] attualmente sono pari
a 391 milioni di euro per il 2015 (per il biennio 2016-2017 sono previsti,
rispettivamente, 383 e 362 milioni di euro)[30].
L’articolo 25 dispone che agli oneri derivanti dalle misure, aventi carattere sperimentale per il solo 2015, contenute negli articoli da 2 a 23 del decreto in esame, valutati in 104 milioni di euro per il 2015, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione della legge delega di riforma del mercato del lavoro[31].
Il riconoscimento dei benefici ad anni successivi al 2015 è condizionata all’entrata in vigore di ulteriori decreti legislativi attuativi della delega di cui alla legge n.183/2014, che individuino adeguata copertura finanziaria.
Si fa presente che la
modifica espressa del testo unico di cui al decreto legislativo n.151/2001 non
appare coerente con la sperimentalità delle misure per il solo 2015; infatti,
qualora non si volesse confermare tali misure (o parte di esse) per gli anni
successivi al 2015, sarà necessario intervenire nuovamente sul testo unico con
una normativa di carattere primario (entro il 2015), ripristinando il testo
attualmente vigente.
Si valuti, altresì,
l’opportunità di attribuire natura permanente, e non già sperimentale e
transitoria per il solo 2015, alle disposizioni volte ad adeguare la normativa
vigente a decisioni della Corte costituzionale (ad esempio gli articoli 3 e 13
che estendono la corresponsione dell’indennità di maternità anche ad ipotesi
attualmente non contemplate) e alle disposizioni che non presentano carattere
oneroso[32] (quali, ad esempio, gli articoli 4, 6, 11,
12, 14, 17, 21 e 22).
L’articolo 26 inserisce
un’apposita clausola di salvaguardia
- rispondente ai criteri di effettività e automaticità ai sensi dell’articolo
17, comma 12, della L. 196/2009 - in base alla quale se, a seguito del monitoraggio
degli effetti finanziari delle misure previste dallo schema di decreto svolto
dal Ministero dell’economia e delle finanze e dal Ministero del lavoro e delle
politiche sociali (anche attraverso l’utilizzo del sistema permanente di
monitoraggio ex articolo 1, comma 2, della L. 92/2012[33]), si
verifichino o stiano per verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di
spesa di cui al precedente articolo 25, si provvede con DM alla
rideterminazione dei benefici ivi previsti.
Si segnala che l’articolo in
esame, pur richiamando interamente il comma 12 dell’articolo 17, della L.
196/2009, non fa menzione della relazione ivi prevista che il Ministro
dell’economia e delle finanze trasmette alle Camere nel caso in cui vi siano (o
stiano per esservi) scostamenti rispetto alle previsioni di spesa.
L’articolo 17
della L. 196/2009 dispone che ciascuna legge che comporti nuovi o maggiori oneri
indichi espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento previsto, la
spesa autorizzata (che si intende come limite massimo di spesa), ovvero le
relative previsioni di spesa, prevedendo una specifica clausola di
salvaguardia, da redigere secondo determinati criteri, definiti dal comma 12
del medesimo articolo 17.
Più nel
dettaglio, la clausola di salvaguardia deve essere
effettiva e automatica e indicare le misure di riduzione delle spese o di
aumenti di entrata (con esclusione del ricorso ai fondi di riserva), nel caso
si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle
previsioni indicate dalle leggi al fine della copertura finanziaria. In tal
caso, sulla base di apposito monitoraggio, il Ministro dell'economia e delle
finanze adotta, sentito il Ministro competente, le misure indicate nella
clausola di salvaguardia e riferisce alle Camere con apposita relazione che
espone le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini della
revisione dei dati e dei metodi utilizzati per la quantificazione degli oneri
autorizzati dalle predette leggi.
Infine, si segnala l’opportunità di precisare
in modo espresso che il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno
successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, conformemente a quanto previsto
dall’articolo 1, comma 15, della legge n. 183 del 2014 e in linea con quanto stabilito
al riguardo nei primi due decreti legislativi attuativi della delega di cui
alla medesima legge.
D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 |
Schema di decreto legislativo |
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Articolo 2 |
Articolo 16 |
Articolo 16 |
1. E' vietato
adibire al lavoro le donne: |
1. Identico |
a) durante i
due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo
20; |
Identico |
b) ove il
parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data
presunta e la data effettiva del parto; |
Identico |
c) durante i
tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all'art. 20; |
Identico |
d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima
del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella
presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo
il parto. |
d) durante i giorni non goduti prima del parto,
qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali
giorni si aggiungono al periodo di
congedo di maternità dopo il parto, anche
qualora la somma dei periodi di cui alle lettere a) e c) superi il limite
complessivo di cinque mesi |
1-bis. Nel caso di interruzione
spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno
dall'inizio della gestazione, nonché in caso di decesso del bambino alla
nascita o durante il congedo di maternità, le lavoratrici hanno facoltà di
riprendere in qualunque momento l'attività lavorativa, con un preavviso di
dieci giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista del
Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente
ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro
attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla loro salute. |
Identico |
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Art. 16-bis
(Rinvio e sospensione del congedo di maternità). 1. In caso di ricovero del neonato in una struttura
pubblica o privata, la madre ha diritto di chiedere la sospensione del congedo di
maternità per il periodo di cui all’articolo 16, comma 1, lettere c) e d), e
di godere del congedo, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del
bambino. 2. Il diritto di cui al comma 1 può essere
esercitato una sola volta per ogni figlio ed è subordinato alla produzione di
attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della
donna con la ripresa dell’attività lavorativa |
|
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Articolo 3 |
Articolo 24 |
Articolo 24 |
1. L'indennità
di maternità è corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di
lavoro previsti dall'articolo 54, comma 3, lettere b) e c), che si
verifichino durante i periodi di congedo di maternità previsti dagli articoli
16 e 17. |
1. L'indennità
di maternità è corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di
lavoro previsti dall'articolo 54, comma 3, lettere a), b) e c), che si verifichino durante i periodi di congedo di
maternità previsti dagli articoli 16 e 17. |
2. Le
lavoratrici gestanti che si trovino, all'inizio del periodo di congedo di
maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate,
sono ammesse al godimento dell'indennità giornaliera di maternità purché tra
l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e quello di
detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni. |
Identico |
3. Ai fini del
computo dei predetti sessanta giorni, non si tiene conto delle assenze dovute
a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti
gestori delle relative assicurazioni sociali, né del periodo di congedo
parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente
maternità, né del periodo di assenza fruito per accudire minori in
affidamento, né del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal
contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale. |
Identico |
4. Qualora il
congedo di maternità abbia inizio trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione
del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all'inizio del periodo di
congedo stesso, disoccupata e in godimento dell'indennità di disoccupazione,
ha diritto all'indennità giornaliera di maternità anziché all'indennità
ordinaria di disoccupazione. |
Identico |
5. La
lavoratrice, che si trova nelle condizioni indicate nel comma 4, ma che non è
in godimento della indennità di disoccupazione perché nell'ultimo biennio ha
effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all'obbligo
dell'assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto all'indennità
giornaliera di maternità, purché al momento dell'inizio del congedo di
maternità non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla data di
risoluzione del rapporto e, nell'ultimo biennio che precede il suddetto
periodo, risultino a suo favore, nell'assicurazione obbligatoria per le
indennità di maternità, ventisei contributi settimanali. |
Identico |
6. La lavoratrice
che, nel caso di congedo di maternità iniziato dopo sessanta giorni dalla
data di sospensione dal lavoro, si trovi, all'inizio del congedo stesso,
sospesa e in godimento del trattamento di integrazione salariale a carico
della Cassa integrazione guadagni, ha diritto, in luogo di tale trattamento,
all'indennità giornaliera di maternità. |
Identico |
7. Le
disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai casi di
fruizione dell'indennità di mobilità di cui all'articolo 7 della legge 23
luglio 1991, n. 223. |
Identico |
|
|
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Articolo 4 |
Articolo 26 |
Articolo 26 |
1. Il congedo di maternità come regolato dal
presente Capo spetta, per un periodo massimo di cinque mesi, anche alle
lavoratrici che abbiano adottato un minore. |
Identico |
2. In caso di adozione nazionale, il congedo
deve essere fruito durante i primi cinque mesi successivi all’effettivo
ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice. |
Identico |
3. In caso di adozione internazionale, il congedo
può essere fruito prima dell’ingresso del minore in Italia, durante il
periodo di permanenza all’estero richiesto per l’incontro con il minore e gli
adempimenti relativi alla procedura adottiva. Ferma restando la durata
complessiva del congedo, questo può essere fruito entro i cinque mesi
successivi all’ingresso del minore in Italia. |
Identico |
4. La
lavoratrice che, per il periodo di permanenza all’estero di cui al comma 3,
non richieda o richieda solo in parte il congedo di maternità, può fruire di un
congedo non retribuito, senza diritto ad indennità. |
Identico |
5. L’ente
autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione
certifica la durata del periodo di permanenza all’estero della lavoratrice. |
Identico |
6. Nel caso di
affidamento di minore, il congedo può essere fruito entro cinque mesi
dall’affidamento, per un periodo massimo di tre mesi. |
Identico |
|
6-bis. La
disposizione di cui all’articolo 16-bis
trova applicazione anche al congedo di maternità disciplinato dal presente
articolo. |
|
|
|
Articolo 5 |
Articolo 28 |
Articolo 28 |
1. Il padre
lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo
di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in
caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in
caso di affidamento esclusivo del bambino al padre. |
Identico |
|
1-bis. Le
disposizioni di cui al comma 1, si applicano anche qualora la madre sia
lavoratrice autonoma avente diritto all’indennità di cui all’articolo 66. |
|
1-ter.
L’indennità di cui all’articolo 66 spetta al padre lavoratore autonomo,
previa domanda all’INPS, per tutta la durata del congedo di maternità o per
la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice in caso di morte o di
grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di
affidamento esclusivo del bambino al padre. |
2. Il padre
lavoratore che intenda avvalersi del diritto di cui al comma 1 presenta al
datore di lavoro la certificazione relativa alle condizioni ivi previste. In
caso di abbandono, il padre lavoratore ne rende dichiarazione ai sensi
dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre
2000, n. 445. |
2. Il padre
lavoratore che intende avvalersi del diritto di cui ai commi 1 e 1-bis
presenta al datore di lavoro la certificazione relativa alle condizioni ivi
previste. In caso di abbandono, il padre lavoratore ne rende dichiarazione ai
sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 2000, n. 445. L’INPS provvede
d’ufficio agli accertamenti amministrativi necessari all’erogazione
dell’indennità di cui al comma 1-ter,
con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione
vigente. |
|
|
|
Articolo 6 |
Articolo 31 |
Articolo 31 |
1. Il congedo
di cui all’articolo 26, commi 1, 2 e 3, che non sia stato chiesto dalla
lavoratrice spetta, alle medesime condizioni, al lavoratore. |
Identico |
2. Il congedo
di cui all’ articolo 26, comma 4, spetta, alle medesime condizioni, al
lavoratore. L’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la
procedura di adozione certifica la durata del periodo di permanenza
all’estero del lavoratore. |
2. Il congedo
di cui all’articolo 26, comma 4, spetta, alle medesime condizioni, al
lavoratore anche qualora la madre non
sia lavoratrice. L’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare
la procedura di adozione certifica la durata del periodo di permanenza
all’estero del lavoratore. |
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Articolo 7 |
Articolo 32 |
Articolo 32 |
1. Per ogni
bambino, nei primi suoi otto anni di vita, ciascun genitore ha diritto di
astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. I
relativi congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere
il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente
articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro
compete: |
1. Per ogni
bambino, nei primi suoi dodici
anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le
modalità stabilite dal presente articolo. I relativi congedi parentali dei
genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto
salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto
limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete: |
a) alla madre
lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità di cui al Capo III,
per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; |
Identico |
b) al padre
lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o
frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso di cui al
comma 2; |
Identico |
c) qualora vi
sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore
a dieci mesi. |
Identico |
1-bis. La contrattazione collettiva di
settore stabilisce le modalità di fruizione del congedo di cui al comma 1 su
base oraria, nonché i criteri di calcolo della base oraria e l'equiparazione
di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa. Per il
personale del comparto sicurezza e difesa di quello dei vigili del fuoco e
soccorso pubblico, la disciplina collettiva prevede, altresì, al fine di
tenere conto delle peculiari esigenze di funzionalità connesse
all'espletamento dei relativi servizi istituzionali, specifiche e diverse
modalità di fruizione e di differimento del congedo. |
Identico |
|
1-ter. In
caso di mancata regolamentazione, da parte della contrattazione collettiva,
anche di livello aziendale, delle modalità di fruizione del congedo parentale
su base oraria, ciascun genitore può scegliere tra la fruizione giornaliera e
quella oraria. La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla
metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale
o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il
congedo parentale. È esclusa la cumulabilità della fruizione oraria del
congedo parentale con permessi o riposi di cui al presente decreto
legislativo. |
2. Qualora il
padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo
continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi, il limite complessivo dei
congedi parentali dei genitori è elevato a undici mesi. |
Identico |
3. Ai fini
dell'esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore è tenuto, salvo
casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le
modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un
termine di preavviso non inferiore a quindici giorni con l'indicazione
dell'inizio e della fine del periodo di congedo. |
3. Ai fini
dell'esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore è tenuto, salvo
casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le
modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi e, comunque, con un
termine di preavviso non inferiore a cinque
giorni indicando l'inizio e la fine del periodo di
congedo. Il termine di preavviso è
pari a 2 giorni nel caso di congedo parentale su base oraria. |
4. Il congedo
parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l'altro genitore non
ne abbia diritto. |
Identico |
4-bis. Durante il periodo di congedo, il
lavoratore e il datore di lavoro concordano, ove necessario, adeguate misure
di ripresa dell'attività lavorativa, tenendo conto di quanto eventualmente
previsto dalla contrattazione collettiva. |
Identico |
|
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Articolo 8 |
Articolo 33 |
Articolo 33 |
1. Per ogni
minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo
4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, la lavoratrice madre o, in
alternativa, il lavoratore padre, hanno diritto, entro il compimento
dell'ottavo anno di vita del bambino, al prolungamento del congedo parentale,
fruibile in misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo,
comprensivo dei periodi di cui all'articolo 32, non superiore a tre anni, a
condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti
specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza
del genitore. |
1. Per ogni
minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo
4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, la lavoratrice madre o, in
alternativa, il lavoratore padre, hanno diritto, entro il compimento del dodicesimo anno di vita del
bambino, al prolungamento del congedo parentale, fruibile in misura
continuativa o frazionata, per un periodo massimo, comprensivo dei periodi di
cui all'articolo 32, non superiore a tre anni, a condizione che il bambino
non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che, in
tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore. |
2. In
alternativa al prolungamento del congedo possono essere fruiti i riposi di
cui all'articolo 42, comma 1. |
Identico |
3. Il congedo
spetta al genitore richiedente anche qualora l'altro genitore non ne abbia
diritto. |
Identico |
4. Il
prolungamento di cui al comma 1 decorre dal termine del periodo
corrispondente alla durata massima del congedo parentale spettante al richiedente
ai sensi dell'articolo 32. |
Identico |
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Articolo 9 |
Articolo 34 |
Articolo 34 |
1. Per i periodi di congedo parentale di cui
all'articolo 32 alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno
di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione,
per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi. L'indennità è
calcolata secondo quanto previsto all'articolo 23, ad esclusione del comma 2
dello stesso. |
1. Per i periodi di congedo parentale di cui
all'articolo 32 alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al sesto anno di vita del bambino,
un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo
complessivo tra i genitori di sei mesi. L'indennità è calcolata secondo
quanto previsto all'articolo 23, ad esclusione del comma 2 dello stesso. |
2. Si applica
il comma 1 per tutto il periodo di prolungamento del congedo di cui
all'articolo 33. |
Identico |
3. Per i
periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32 ulteriori rispetto a
quanto previsto ai commi 1 e 2 è dovuta un'indennità pari al 30 per cento
della retribuzione, a condizione che il reddito individuale dell'interessato
sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a
carico dell'assicurazione generale obbligatoria. Il reddito è determinato
secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l'integrazione
al minimo. |
3. Per i
periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32 ulteriori rispetto a
quanto previsto ai commi 1 e 2 è dovuta,
fino all’ottavo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per
cento della retribuzione, a condizione che il reddito individuale
dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo
di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria. Il reddito è
determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per
l'integrazione al minimo. |
4. L'indennità è corrisposta con le modalità
di cui all'articolo 22, comma 2. |
Identico |
5. I periodi di congedo parentale sono
computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie
e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia. |
Identico |
6. Si applica quanto previsto all'articolo 22,
commi 4, 6 e 7. |
Identico |
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Articolo 10 |
Articolo 36 |
Articolo 36 |
1. Il congedo
parentale di cui al presente Capo spetta anche nel caso di adozione,
nazionale e internazionale, e di affidamento. |
Identico |
2. Il congedo
parentale può essere fruito dai genitori adottivi e affidatari, qualunque sia
l’età del minore, entro otto anni dall’ingresso del minore in famiglia, e
comunque non oltre il raggiungimento della maggiore età. |
2. Il congedo
parentale può essere fruito dai genitori adottivi e affidatari, qualunque sia
l’età del minore, entro dodici
anni dall’ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il
raggiungimento della maggiore età. |
3. L’indennità di cui all’ articolo 34, comma
1, è dovuta, per il periodo massimo complessivo ivi previsto, nei primi tre
anni dall’ingresso del minore in famiglia. |
3. L'indennità
di cui all'articolo 34, comma 1, è dovuta, per il periodo massimo complessivo
ivi previsto, entro i sei anni
dall'ingresso del minore in famiglia. |
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Articolo 11 |
Articolo 53 |
Articolo 53 |
1. E' vietato adibire le donne al lavoro,
dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al
compimento di un anno di età del bambino. |
Identico |
2. Non sono obbligati a prestare lavoro
notturno: |
Identico |
a) la lavoratrice madre di un figlio di età
inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la
stessa; |
Identico |
b) la lavoratrice o il lavoratore che sia
l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a
dodici anni; |
Identico |
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b-bis) la
lavoratrice madre adottiva o affidataria di un minore, nei primi tre anni
dall’ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno
di età o, in alternativa ed alle stesse condizioni, il lavoratore padre
adottivo o affidatario convivente con la stessa. |
3. Ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera
c), della legge 9 dicembre 1977, n. 903, non sono altresì obbligati a
prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio
carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e
successive modificazioni. |
Identico |
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Articolo 54 (Divieto di
licenziamento) |
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1. Le lavoratrici non possono essere
licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi
di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento
di un anno di età del bambino. |
Identico |
2. Il divieto di licenziamento opera in
connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice,
licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a
presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti
l'esistenza all'epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano. |
Identico |
3. Il divieto di licenziamento non si applica
nel caso: |
3. Il divieto di licenziamento non si applica
nel caso: |
a) di colpa grave da parte della lavoratrice,
costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; |
Identico |
b) di cessazione dell'attività dell'azienda
cui essa è addetta; |
Identico |
c) di ultimazione della prestazione per la
quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro
per la scadenza del termine; |
Identico |
d) di esito negativo della prova; resta fermo
il divieto di discriminazione di cui all'articolo 4 della legge 10 aprile
1991, n. 125, e successive modificazioni. |
Identico |
4. Durante il periodo nel quale opera il
divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro,
salvo il caso che sia sospesa l'attività dell'azienda o del reparto cui essa
è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La
lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di
licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, e
successive modificazioni, salva l'ipotesi di collocamento in mobilità a
seguito della cessazione dell'attività dell'azienda di cui al comma 3,
lettera b). |
Identico |
5. Il licenziamento intimato alla lavoratrice
in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, è nullo. |
Identico |
6. E' altresì nullo il licenziamento causato
dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del
bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore. |
Identico |
7. In caso di fruizione del congedo di
paternità, di cui all'articolo 28, il divieto di licenziamento si applica
anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino
al compimento di un anno di età del bambino. Si applicano le disposizioni del
presente articolo, commi 3, 4 e 5. |
Identico |
8. L'inosservanza delle disposizioni contenute
nel presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da euro 10.032
a euro 2.582. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta di cui
all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689. |
Identico |
9. Le disposizioni del presente articolo si
applicano anche in caso di adozione e di affidamento. Il divieto di
licenziamento si applica fino ad un anno dall'ingresso del minore nel nucleo
familiare. In caso di adozione internazionale, il divieto opera dal momento
della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando, ai
sensi dell'articolo 31, terzo comma, lettera d), della legge 4 maggio 1983,
n. 184, e successive modificazioni, ovvero della comunicazione dell'invito a
recarsi all'estero per ricevere la proposta di abbinamento. |
Identico |
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Articolo 12 |
Articolo 55 |
Articolo 55 |
1. In caso di dimissioni volontarie presentate
durante il periodo per cui è previsto, a norma dell'articolo 54, il divieto
di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da
disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. |
1. In caso di
dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a
norma dell'articolo 54, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha
diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per
il caso di licenziamento. La
lavoratrice e il lavoratore che si dimettono nel predetto periodo non sono
tenuti al preavviso |
2. La disposizione di cui al comma 1 si
applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità. |
Identico |
3. La disposizione di cui al comma 1 si
applica anche nel caso di adozione e di affidamento, entro un anno
dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. |
Identico |
4. La risoluzione consensuale del rapporto o
la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo
di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni
di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o
in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni
decorrenti dalle comunicazioni di cui all'articolo 54, comma 9, devono essere
convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali competente per territorio. A detta convalida è sospensivamente
condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro. |
Identico |
5. Nel caso
di dimissioni di cui al presente articolo, la lavoratrice o il lavoratore non
sono tenuti al preavviso. |
Abrogato |
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Articolo
13 |
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Art. 64-bis (Adozioni e affidamenti) |
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1. In caso di adozione, nazionale o internazionale,
alle lavoratrici di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995,
n. 335, non iscritte ad altre forme obbligatorie, spetta, sulla base di
idonea documentazione, un’indennità per i cinque mesi successivi
all’effettivo ingresso del minore in famiglia, alle condizioni e secondo le
modalità di cui al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, adottato ai sensi
dell’articolo 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. |
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Art. 64-ter (Automaticità delle prestazioni) |
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1. I lavoratori e le lavoratrici iscritte
alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto
1995, n. 335, non iscritte ad altre forme obbligatorie, hanno diritto
all’indennità di maternità anche in caso di mancato versamento alla Gestione
dei relativi contributi previdenziali da parte del committente. |
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Articolo
14 |
Capo XI (Lavoratrici autonome) |
Capo XI (Lavoratori autonomi) |
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Articolo
15 |
Art. 66 (Indennità di maternità per le lavoratrici
autonome e le imprenditrici agricole) |
Art. 66 (Indennità di maternità per le lavoratrici autonome e le imprenditrici agricole) |
1. Alle lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali di cui alle leggi 26 ottobre 1957, n. 1047, 4 luglio 1959, n. 463, e 22 luglio 1966, n. 613, alle imprenditrici agricole a titolo principale, nonché alle pescatrici autonome della piccola pesca marittima e delle acque interne, di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250, e successive modificazioni, è corrisposta una indennità giornaliera per il periodo di gravidanza e per quello successivo al parto calcolata ai sensi dell'articolo 68. |
Identico |
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1-bis. L’indennità di cui al comma 1
spetta al padre lavoratore autonomo, per il periodo in cui sarebbe spettata
alla madre lavoratrice autonoma o per la parte residua, in caso di morte o di
grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di
affidamento esclusivo del bambino al padre. |
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Articolo
16 |
Art. 67 (Modalità
di erogazione) |
Art. 67 (Modalità di erogazione) |
1. L'indennità di cui all'articolo 66 viene erogata dall'INPS a seguito di apposita domanda in carta libera, corredata da un certificato medico rilasciato dall'azienda sanitaria locale competente per territorio, attestante la data di inizio della gravidanza e quella presunta del parto ovvero dell'interruzione della gravidanza spontanea o volontaria ai sensi della legge 22 maggio 1978, n. 194. |
Identico |
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1-bis. L’indennità di cui all’articolo
66, comma 1-bis, è erogata previa domanda all’INPS, corredata dalla
certificazione relativa alle condizioni ivi previste. In caso di abbandono il
padre lavoratore autonomo ne rende dichiarazione ai sensi dell’articolo 47
del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. |
2.
In caso di adozione o di affidamento, l'indennità di maternità di cui all'articolo 66 spetta, sulla base di
idonea documentazione, per tre mesi
successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia a condizione che
questo non abbia superato i sei anni di età, secondo quanto previsto all'articolo 26, o i 18 anni di età, secondo quanto previsto all'articolo 27. |
2. In caso di adozione o di affidamento, l'indennità di maternità di cui all'articolo 66 spetta, sulla base di idonea documentazione, per i periodi e secondo quanto previsto all’articolo 26. |
3. L'INPS provvede d'ufficio agli accertamenti amministrativi necessari. |
Identico |
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Articolo
17 |
Capo XII (Libere professioniste) |
Capo XII (Liberi professionisti) |
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Articolo
18 |
Art.
70. (Indennità di maternità per le libere professioniste) |
Art.
70. (Indennità di maternità per le libere professioniste) |
1. Alle libere professioniste, iscritte ad un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza di cui alla tabella D allegata al presente testo unico, è corrisposta un'indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa. |
Identico |
2. L'indennità di cui al comma 1 viene corrisposta in misura pari all'80 per cento di cinque dodicesimi del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito da lavoro autonomo dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello dell'evento. |
Identico |
3. In ogni caso l'indennità di cui al comma 1 non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all'80 per cento del salario minimo giornaliero stabilito dall'articolo 1 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1981, n. 537, e successive modificazioni, nella misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella A e dai successivi decreti ministeriali di cui al secondo comma del medesimo articolo. |
Identico |
3-bis. L'indennità di cui al comma 1 non può essere superiore a cinque volte l'importo minimo derivante dall'applicazione del comma 3, ferma restando la potestà di ogni singola cassa di stabilire, con delibera del consiglio di amministrazione, soggetta ad approvazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un importo massimo più elevato, tenuto conto delle capacità reddituali e contributive della categoria professionale e della compatibilità con gli equilibri finanziari dell'ente. |
Identico |
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3-ter. L’indennità di cui al comma 1
spetta al padre libero professionista per il periodo in cui sarebbe spettata
alla madre libera professionista o per la parte residua, in caso di morte o
di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di
affidamento esclusivo del bambino al padre. |
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Articolo
19 |
Art. 71. (Termini e modalità della domanda) |
Art. 71. (Termini e modalità della domanda) |
1. L'indennità di cui all'articolo 70 è corrisposta, indipendentemente dall'effettiva astensione dall'attività, dal competente ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza in favore dei liberi professionisti, a seguito di apposita domanda presentata dall'interessata a partire dal compimento del sesto mese di gravidanza ed entro il termine perentorio di centottanta giorni dal parto. |
Identico |
2. La domanda, in carta libera, deve essere corredata da certificato medico comprovante la data di inizio della gravidanza e quella presunta del parto, nonché dalla dichiarazione redatta ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante l'inesistenza del diritto alle indennità di maternità di cui al Capo III, al Capo X e al Capo XI. |
Identico |
3. L'indennità di maternità spetta in misura intera anche nel caso in cui, dopo il compimento del sesto mese di gravidanza, questa sia interrotta per motivi spontanei o volontari, nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194. |
Identico |
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3-bis. L’indennità di cui all’articolo
70, comma 3-ter è erogata previa domanda al competente ente previdenziale,
corredata dalla certificazione relativa alle condizioni ivi previste. In caso
di abbandono il padre libero professionista ne rende dichiarazione ai sensi
dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre
2000, n. 445. |
4. I competenti enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza in favore dei liberi professionisti provvedono d'ufficio agli accertamenti amministrativi necessari. |
Identico |
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Articolo
20 |
Art. 72. (Adozioni e affidamenti) |
Art. 72. (Adozioni e affidamenti) |
1. L'indennità di cui all'articolo 70 spetta altresì per l'ingresso del bambino adottato o affidato, a condizione che non abbia superato i sei anni di età. |
1. In caso di adozione o di affidamento, l'indennità di maternità di cui all'articolo 70 spetta, sulla base di idonea documentazione, per i periodi e secondo quanto previsto all’articolo 26. |
2. La domanda, in carta libera, deve essere presentata dalla madre al competente ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza in favore dei liberi professionisti entro il termine perentorio di centottanta giorni dall'ingresso del bambino e deve essere corredata da idonee dichiarazioni, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestanti l'inesistenza del diritto a indennità di maternità per qualsiasi altro titolo e la data di effettivo ingresso del bambino nella famiglia. |
2. La domanda deve essere presentata dalla madre al competente ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza in favore dei liberi professionisti entro il termine perentorio di centottanta giorni dall'ingresso del minore e deve essere corredata da idonee dichiarazioni, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestanti l'inesistenza del diritto a indennità di maternità per qualsiasi altro titolo e la data di effettivo ingresso del minore nella famiglia. |
3. Alla domanda di cui al comma 2 va allegata copia autentica del provvedimento di adozione o di affidamento. |
Identico |
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Articolo
21 |
Art. 85. (Disposizioni in vigore) |
Art. 85. (Disposizioni in vigore) |
1. Restano in vigore, in particolare, le seguenti disposizioni legislative, fatte salve le disapplicazioni disposte dai contratti collettivi ai sensi dell'articolo 72, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29: a) l'articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3; b) l'articolo 157-sexies del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, come sostituito dall'articolo 1 del decreto legislativo 7 aprile 2000, n. 103; c) l'articolo 3 della legge 8 agosto 1972, n. 457; d) l'articolo 10 della legge 18 maggio 1973, n. 304; e) la lettera c) del comma 2 dell'articolo 5 della legge 9 dicembre 1977, n. 903; f) l'articolo 74 della legge 23 dicembre 1978, n. 833; g) l'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33; h) il comma 2 dell'articolo 54 della legge 1° aprile 1981, n. 121; i) l'articolo 12 della legge 23 aprile 1981, n. 155; j) l'articolo 8-bis del decreto-legge 30 aprile 1981, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 giugno 1981, n. 331; k) l'articolo 14 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54; l) l'articolo 7 della legge 26 aprile 1985, n. 162; m) la lettera d) del comma 1 dell'articolo
4 del decreto-legge 4 agosto 1987, n. 325, convertito, con modificazioni,
dalla legge 3 ottobre 1987, n. 402; n) il comma 1-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 22 gennaio 1990, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1990, n. 58; o) il comma 8 dell'articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223; p) il comma 2 dell'articolo 7, il comma 2 dell'articolo 18 e il comma 2 dell'articolo 27 del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443; q) il comma 4 dell'articolo 2 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197; r) il comma 2, seconda parte, dell'articolo 5 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 201; s) il comma 40 dell'articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335; t) gli articoli 5, 7 e 8 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564; u) l'articolo 23 della legge 4 marzo 1997, n. 62; v) il comma 16 dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1991, n. 449; w) il comma 2 dell'articolo 2 del decreto-legge 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 1998, n. 52; x) il comma 1 dell'articolo 25 e il comma 3 dell'articolo 34 e il comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; y) la lettera a) del comma 5 dell'articolo 1 del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124; z) l'articolo 18 del decreto
legislativo 11 maggio 1999, n. 135; aa) la lettera e) del comma 2, dell'articolo 1 del decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230; bb) l'articolo 65 della legge 2 agosto 1999, n. 302; cc) il comma 1 dell'articolo 41 della legge 23 dicembre 1999, n. 488; dd) i commi 2 e 3 dell'articolo 12 della legge 8 marzo 2000, n. 53, limitatamente alla previsione del termine di sei mesi ivi previsto: ee) il comma 2 dell'articolo 10 e il comma 2 dell'articolo 23 del decreto legislativo 21 maggio 2000, n. 146; ff) gli articoli 5 e 18, il comma 3 dell'articolo 25, il comma 3 dell'articolo 32, il comma 6 dell'articolo 41 e il comma 3 dell'articolo 47 del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334; gg) il comma 12 dell'articolo 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. |
1. Restano in vigore, in particolare, le seguenti disposizioni legislative, fatte salve le disapplicazioni disposte dai contratti collettivi ai sensi dell'articolo 72, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29: a) l'articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3; b) l'articolo 157-sexies del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, come sostituito dall'articolo 1 del decreto legislativo 7 aprile 2000, n. 103; c) l'articolo 3 della legge 8 agosto 1972, n. 457; d) l'articolo 10 della legge 18 maggio 1973, n. 304; e) la lettera c) del comma 2 dell'articolo 5 della legge 9 dicembre 1977, n. 903; f) l'articolo 74 della legge 23 dicembre 1978, n. 833; g) l'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33; h) il comma 2 dell'articolo 54 della legge 1° aprile 1981, n. 121; i) l'articolo 12 della legge 23 aprile 1981, n. 155; j) l'articolo 8-bis del decreto-legge 30 aprile 1981, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 giugno 1981, n. 331; k) l'articolo 14 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54; l) l'articolo 7 della legge 26 aprile 1985, n. 162; m) Abrogata; n) il comma 1-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 22 gennaio 1990, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1990, n. 58; o) il comma 8 dell'articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223; p) il comma 2 dell'articolo 7, il comma 2 dell'articolo 18 e il comma 2 dell'articolo 27 del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443; q) il comma 4 dell'articolo 2 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197; r) il comma 2, seconda parte, dell'articolo 5 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 201; s) il comma 40 dell'articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335; t) gli articoli 5, 7 e 8 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564; u) l'articolo 23 della legge 4 marzo 1997, n. 62; v) il comma 16 dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1991, n. 449; w) il comma 2 dell'articolo 2 del decreto-legge 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 1998, n. 52; x) il comma 1 dell'articolo 25 e il comma 3 dell'articolo 34 e il comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; y) la lettera a) del comma 5 dell'articolo 1 del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124; z) Abrogata; aa) la lettera e) del comma 2, dell'articolo 1 del decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230; bb) l'articolo 65 della legge 2 agosto 1999, n. 302; cc) il comma 1 dell'articolo 41 della legge 23 dicembre 1999, n. 488; dd) i commi 2 e 3 dell'articolo 12 della legge 8 marzo 2000, n. 53, limitatamente alla previsione del termine di sei mesi ivi previsto: ee) il comma 2 dell'articolo 10 e il comma 2 dell'articolo 23 del decreto legislativo 21 maggio 2000, n. 146; ff) gli articoli 5 e 18, il comma 3 dell'articolo 25, il comma 3 dell'articolo 32, il comma 6 dell'articolo 41 e il comma 3 dell'articolo 47 del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334; gg) il comma 12 dell'articolo 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. |
2. Restano in vigore, in particolare, le seguenti disposizioni regolamentari: a) il decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1403; b) il decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, ad eccezione degli articoli 1, 11 e 21; c) il comma 4 dell'articolo 58 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382; d) il comma 2, dell'articolo 20-quinquies e il comma 2 dell'articolo 25-quater del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 337; e) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 2 giugno 1982; f) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 23 maggio 1991; g) l'articolo 14 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 aprile 1994, n. 439, fino al momento della sua abrogazione così come prevista dalla lettera c) del comma 1 dell'articolo 10 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 287; h) il decreto del Ministro della sanità 6 marzo 1995; i) il comma 4 dell'articolo 8 e il comma 3 dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465; j) il comma 2 dell'articolo 7 del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 25 marzo 1998, n. 142; k) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 4 aprile 2002; l) il comma 1 dell'articolo 1 del decreto del Ministro della sanità 10 settembre 1998; m) gli articoli 1 e 3 del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 febbraio 1999; n) il comma 2 dell'articolo 6 del decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica 30 aprile 1999, n. 224; o) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 4 agosto 1999; p) il comma 6 dell'articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394; q) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 20 dicembre 1999, n. 553; r) il decreto del Ministro della sanità 24 aprile 2000. r-bis) il decreto del Ministro per la solidarietà sociale 21 dicembre 2000, n. 452, e successive modificazioni. |
2. Restano in vigore, in particolare, le seguenti disposizioni regolamentari: a) il decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1403; b) il decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, ad eccezione degli articoli 1, 11 e 21; c) il comma 4 dell'articolo 58 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382; d) il comma 2, dell'articolo 20-quinquies e il comma 2 dell'articolo 25-quater del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 337; e) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 2 giugno 1982; f) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 23 maggio 1991; g) l'articolo 14 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 aprile 1994, n. 439, fino al momento della sua abrogazione così come prevista dalla lettera c) del comma 1 dell'articolo 10 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 287; h) il decreto del Ministro della sanità 10 settembre 1998; i) il comma 4 dell'articolo 8 e il comma 3 dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465; j) il comma 2 dell'articolo 7 del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 25 marzo 1998, n. 142; k) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 4 aprile 2002; l) il comma 1 dell'articolo 1 del decreto del Ministro della sanità 10 settembre 1998; m) gli articoli 1 e 3 del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 febbraio 1999; n) il comma 2 dell'articolo 6 del decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica 30 aprile 1999, n. 224; o) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 4 agosto 1999; p) il comma 6 dell'articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394; q) il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 20 dicembre 1999, n. 553; r) il decreto del Ministro della sanità 24 aprile 2000. r-bis) il decreto del Ministro per la solidarietà sociale 21 dicembre 2000, n. 452, e successive modificazioni. |
[1] Concernenti, rispettivamente, l’introduzione del tax credit quale incentivo al lavoro femminile, la facoltà di cessione dei giorni di riposo aggiuntivi; l’integrazione dell'offerta di servizi per le cure parentali forniti dalle aziende e dai fondi o enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona e l’estensione dei richiamati criteri ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Al riguardo, nella scheda sull’Analisi tecnico-normativa (ATN) allegata allo schema di decreto si evidenzia che “non si è proceduto all’intero riordino della normativa in materia in quanto, considerati anche i tempi ridotti per l’iter di approvazione ed i vincoli finanziari connessi, si è preferito optare per un’impostazione minimale e settoriale”. In tal senso, prosegue l’ATN, “sono state previlegiate le soluzioni tese ad intervenire nei settori socialmente più “sensibili”, nonché quelle volte a superare delicate questioni interpretative ed applicative”.
[2] L’articolo 14 della legge n.400 del 1988 prevede i decreti legislativi adottati dal Governo ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione sono emanati dal Presidente della Repubblica con la denominazione di «decreto legislativo» e con l'indicazione, nel preambolo, della legge di delegazione, della deliberazione del Consiglio dei ministri e degli altri adempimenti del procedimento prescritti dalla legge di delegazione. L'emanazione del decreto legislativo deve avvenire entro il termine fissato dalla legge di delegazione; il testo del decreto legislativo adottato dal Governo è trasmesso al Presidente della Repubblica, per la emanazione, almeno venti giorni prima della scadenza. Se la delega legislativa si riferisce ad una pluralità di oggetti distinti suscettibili di separata disciplina, il Governo può esercitarla mediante più atti successivi per uno o più degli oggetti predetti. In relazione al termine finale stabilito dalla legge di delegazione, il Governo informa periodicamente le Camere sui criteri che segue nell'organizzazione dell'esercizio della delega.
[3] In tema di promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, si segnala che l’articolo 10 del disegno di legge in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, attualmente all’esame del Senato (A.S. 1577), prevede che le amministrazioni pubbliche (senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) adottino misure organizzative per il rafforzamento del telelavoro (anche al fine di creare le migliori condizioni per l'attuazione delle disposizioni in materia di fruizione del congedo parentale), dei meccanismi di flessibilità dell’orario di lavoro e per l'adozione del lavoro ripartito (orizzontale o verticale), stipulino convenzioni con asili nido e scuole dell'infanzia e provvedano all’organizzazione, anche attraverso accordi con altre amministrazioni pubbliche, di servizi di supporto alla genitorialità, aperti duranti i periodi di chiusura scolastica. Si demanda a direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri la definizione di indirizzi per l’attuazione, da parte delle amministrazioni pubbliche, delle citate disposizioni e per l’adozione di codici di condotta e linee guida contenenti regole inerenti l'organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione tra i tempi di vita ed i tempi di lavoro dei propri dipendenti.
[4] L. 8 marzo 2000, n. 53, “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”.
[5] D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53”.
[6] Per lavoratrici e lavoratori si intendono, salvo sia altrimenti specificato, i dipendenti, compresi quelli con contratto di apprendistato, di amministrazioni pubbliche, di privati datori di lavoro, nonché i soci lavoratori di cooperative (articolo 2 del, D.Lgs. 151/2001; circolare INPS n. 41/2006). Inoltre, la lavoratrice e il lavoratore a tempo parziale, in attuazione di quanto previsto dal D.Lgs. 61/2000 ed, in particolare, del principio di non discriminazione, beneficiano dei medesimi diritti di un dipendente a tempo pieno comparabile, per quanto riguarda la durata dei congedi previsti dal D.Lgs. 151/2001 (articolo 60 del D.Lgs. 151/2001).
[7] V. al riguardo la circolare INPS n. 76/2006.
[8] Per retribuzione s'intende la retribuzione media globale giornaliera del periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto e immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo per maternità.
[9] Le modifiche sono state apportate per il recepimento della direttiva 2010/18/UE dell'8 marzo 2010, che attua l'accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale.
[10] In base a quanto previsto dall’art. 4, c. 1, della L. 104/1992, richiamato dall’art. 33 del D.Lgs. 151/2001, gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell'intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua sono effettuati dalle ASL mediante le commissioni mediche di cui all’art. 1 della L. 295/1990.
[11] Al riguardo, si ricorda che l’articolo 54 del decreto legislativo n.151/2001 sancisce il divieto di licenziamento delle lavoratrici dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di vita del bambino. Il divieto di licenziamento non si applica in caso di:
· colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro (lett. a));
· cessazione dell'attività dell'azienda (lett. b));
· ultimazione della prestazione o di scadenza del termine contrattuale (lett. c));
· esito negativo della prova (lett. d)).
L’articolo 24 del decreto legislativo n.151 del 2001 attualmente dispone che in caso di licenziamento l’indennità di maternità è corrisposta nei soli casi di cui alle lettere b) e c).
[12] L’articolo in questione dà attuazione a quanto disposto dalla Corte costituzionale che, con sentenza n. 405 del 3-14 dicembre 2014, ha dichiarato illegittimo l’art. 24, c. 1, del D.Lgs. 151/2001, nella parte in cui esclude la corresponsione dell'indennità di maternità nell’ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa, consistente in colpa grave della lavoratrice (art. 54, c. 3, lett. a), del medesimo decreto legislativo.
[13] Attualmente, la disciplina relativa all’indennità di maternità per le lavoratrici autonome in caso di adozione e affidamento è diversa rispetto a quella prevista per le altre lavoratrici: sulla base di quanto previsto dall’art. 67, c. 2, del D.Lgs. 151/2001, in caso di adozione o di affidamento, la lavoratrice autonoma ha diritto all'indennità di maternità (per 3 mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia) a condizione che il bambino non abbia superato i 6 anni di età, mentre tale limitazione non opera nel caso di lavoratrice dipendente, alla quale il congedo di maternità in caso di adozione sia nazionale che internazionale, spetta per un periodo di cinque mesi a prescindere dall'età del minore all'atto dell'adozione (art. 26 del D.Lgs. 151/2001).
[14] Si segnala che tale disposizione recepisce quanto stabilito dalla Corte costituzionale con sentenza 371/2003. Con la richiamata sentenza la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 72 del D.Lgs. 151/2001 nella parte in cui non prevede che nel caso di adozione internazionale l’indennità di maternità spetta nei tre mesi successivi all’ingresso del minore adottato o affidato, anche se abbia superato i sei anni di età.
[15] Si prevede che l’abbandono venga dichiarato dal padre attraverso dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (ex art. 47 del D.P.R. 445/2000).
[16] Tale indennità giornaliera, spettante per i 2 mesi antecedenti la data del parto e per i 3 mesi successivi alla stessa, per le lavoratrici autonome e imprenditrici agricole è pari all'80 per cento della retribuzione minima giornaliera per gli operai agricoli a tempo indeterminato, in relazione all'anno precedente il parto (art. 66 del D.Lgs. 151/2001), mentre per le libere professioniste l’importo è pari all'80 per cento di cinque dodicesimi del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito da lavoro autonomo dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello dell'evento (art. 70 del D.Lgs. 251/2001).
[17] L’articolo 59, comma 16, della L. 449/1997 è intervenuto sull’entità del contributo dovuto per gli iscritti alla Gestione separata INPS, disponendone un incremento a decorrere dal 1° gennaio 1998, pari a 1,5 punti percentuali e a ulteriori 0,5 punti ogni biennio fino al conseguimento della misura complessiva del 19% (il primo di tali incrementi opera a partire dal 1° gennaio 2000; il processo si conclude, dunque, il 1° gennaio 2028). Tali aumenti sono stati posti soltanto per i soggetti che non sono iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie. Si ricorda che le richiamate aliquote sono state successivamente rimodulate da una serie di interventi legislativi (da ultimo, dall'articolo 46-bis, comma 1, lettera g), del D.L. 83/2012, che ha modificato l’articolo 2, comma 57, della L. 92/2012). Riguardo all'aliquota di computo, il richiamato comma 16 ha altresì previsto che essa sia maggiorata rispetto a quella di finanziamento di 2 punti percentuali, nei limiti di una complessiva aliquota di computo di 20 punti percentuali. Lo stesso comma ha inoltre istituito, per la richiamata Gestione separata, un'ulteriore aliquota contributiva (pari allo 0,5%) per il finanziamento dell'onere derivante dall'estensione ai soggetti iscritti della tutela relativa alla maternità, agli assegni al nucleo familiare e alla malattia in caso di degenza ospedaliera. La disciplina della tutela per malattia in caso di degenza ospedaliera, nei limiti delle risorse derivanti dallo specifico gettito contributivo e in relazione al reddito individuale, è stata demandata ad un apposito decreto interministeriale. Con il D.M. 12 gennaio 2001 sono stati definiti i criteri per la corresponsione dell'indennità di malattia in caso di degenza ospedaliera.
Si ricorda, infine, che analoga disposizione è contenuta nell’articolo 84 del D.Lgs. 151/2001.
[18] Con la sentenza richiamata, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 64, comma 2, del D.Lgs. 151/2001, come integrato dal richiamo al DM 4 aprile 2002, nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, prevede l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi.
[19] Per retribuzione s'intende la retribuzione media globale giornaliera del periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto e immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo per maternità.
[20] Si ricorda che ai sensi dell’articolo 2116 c.c., le prestazioni previdenziali ed assistenziali obbligatorie sono dovute al lavoratore (subordinato) anche quando l'imprenditore non abbia versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali. Nel caso in cui, secondo tali disposizioni, gli istituti di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non siano tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l'imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al lavoratore.
[21] In tal senso, vedi, per tutte, Cassazione n. 7602/2003, n. 18720/2004, n. 5767/2002, n. 460/2001.
[22] La disposizione pare volta a risolvere un dubbio interpretativo, dando seguito a quanto già chiarito dal MLPS con l’interpello n. 28/2014 del 7 novembre 2014, secondo cui “In ordine alla questione circa l’obbligo di preavviso nel caso di dimissioni, l’art. 55, comma 5, stabilisce che “nel caso di dimissioni di cui al presente articolo, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso”. La disposizione, sebbene faccia riferimento all’articolo 55 nel suo complesso, è evidentemente riferita all’ipotesi di “dimissioni” presentate nel periodo in cui sussiste il divieto di licenziamento e cioè fino al compimento di un anno di età del bambino. Ciò in considerazione del fatto che le modifiche relative all’estensione temporale da 1 a 3 anni riguardano esclusivamente la procedura di convalida delle dimissioni stesse”.
[23] I datori di lavoro sono tenuti a comunicare la cessazione dei rapporti di lavoro, entro i cinque giorni successivi, quando si tratta di rapporti a tempo indeterminato ovvero nei casi in cui la cessazione sia avvenuta in data diversa da quella comunicata all'atto dell'assunzione.
[24] “Modifiche al sistema penale”.
[25] Il D.L. 325/1987 è stato abrogato dall'articolo 2268, comma 1, n. 843, del D.Lgs. 66/2010 (Codice dell’ordinamento militare), a decorrere dall’8 ottobre 2010.
[26] Il D.Lgs. 135/1999 è stato abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2004, dall'articolo 183 del D.Lgs. 196/2003 (Codice in materia di dati personali).
[27] L’articolo 11 della L. 68/1999 prevede che,
al fine di favorire l'inserimento lavorativo dei disabili, gli uffici
competenti possono stipulare con il datore di lavoro convenzioni aventi ad
oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli
obiettivi occupazionali di cui alla presente legge. Nella convenzione sono
stabiliti i tempi e le modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna
ad effettuare.
[28] Al riguardo merita evidenziare che le stime degli oneri previsti nella relazione tecnica appaiono riferite all’intera platea delle lavoratrici dipendenti.
[29] Risorse
allocate sul cap. 4330 dello stato
di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Tabella 4
(missione 25 “Politiche previdenziali”, programma 25.3 “Previdenza obbligatoria
e complementare, assicurazioni sociali”).
[30] Si fa presente
che il Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello è
stato già oggetto di numerosi interventi di riduzione. In particolare:
·
i commi 249 e 254 dell’art. 1 della L.
228/2012 hanno disposto, rispettivamente, una riduzione pari a 32 milioni
di euro per l'anno 2013, 43 milioni di euro per l'anno 2014, 51 milioni di euro
per l'anno 2015, 67 milioni di euro per l'anno 2016, 88 milioni di euro per
l'anno 2017, 94 milioni di curo per l'anno 2018, 106 milioni di euro per l'anno
2019, 121 milioni di euro per l'anno 2020, 140 milioni di euro per l'anno 2021
e di 157 milioni di euro a decorrere dall'anno 2022 (per coprire gli oneri
derivanti dal rifinanziamento degli ammortizzatori sociali) e di 118 milioni di
euro per il 2013 (per la copertura degli oneri dovuti all’incremento del Fondo
sociale dell’occupazione);
·
l’art. 4, c. 1, lett.
a), del D.L. 54/2013 ha disposto (per la copertura degli oneri derivanti
dal rifinanziamento degli ammortizzatori sociali) una riduzione di 250 milioni
di euro;
·
l’art. 15, c. 3, lett.
c), del D.L. 102/2013 ha previsto (per la copertura degli oneri derivanti
dall’attuazione dell’intero provvedimento) una riduzione pari a 186 milioni
euro per l'anno 2013, e, quanto a 64 milioni di euro per l'anno 2013, mediante
utilizzo delle disponibilità già trasferite all'INPS, nel medesimo anno, in via
di anticipazione, a valere sul predetto Fondo;
·
l’art. 40 del D.L. 133/2014 ha previsto
(per la copertura degli oneri derivanti dal rifinanziamento degli
ammortizzatori sociali e del c.d. bonus Giovannini):
-
l’utilizzo delle
risorse finanziarie stanziate, per l'anno 2012, ai fini dell'attribuzione degli
sgravi contributivi sulle retribuzioni previste dalla contrattazione di secondo
livello rimaste inutilizzate, pari a 103.899.045 euro, le quali sono
appositamente riversate all'entrata del bilancio dello Stato (lettera e));
-
la riduzione (pari
a 50 milioni di euro per l'anno 2014), del Fondo relativo agli sgravi
contributivi per la contrattazione di secondo livello relative al 2012, con
conseguente rideterminazione dello stesso Fondo nell'importo di 557 milioni di
euro per il 2014 medesimo (lettera f));
·
l’art. 1, c. 313, della L. 190/2014 (Stabilità
2015) ha disposto una riduzione di 208 milioni di euro per l'anno 2015 e di 200
milioni di euro a decorrere dall'anno 2016.
[31] Si ricorda che l’articolo 1, comma 107, della L. 190/2014 (Stabilità 2015) ha stanziato risorse per la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione della legge delega 10 dicembre 2014, n. 183, istituendo a tal fine un apposito fondo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con una dotazione di 2,2 miliardi di euro annui per il biennio 2015-2016 e 2 miliardi di euro a decorrere dal 2017.
[32] Secondo quanto riportato nella relazione tecnica.
[33] La L. 28 giugno 2012, n. 92 (Riforma del mercato del lavoro), all'articolo 1, commi da 2 a 6, prevede l'istituzione (senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) di un sistema permanente di monitoraggio e valutazione, basato su dati forniti ISTAT e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan), volto a verificare lo stato di attuazione degli interventi e a valutarne gli effetti sull'efficienza del mercato del lavoro, sull'occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e di uscita nell'impiego. Al sistema di monitoraggio e valutazione, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con le altre Istituzioni competenti, concorrono le parti sociali (attraverso le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale dei lavoratori e dei datori di lavoro), nonché l'INPS e l'ISTAT, chiamati ad organizzare banche dati informatizzate anonime (contenenti i dati individuali anonimi, relativi ad età, genere, area di residenza, periodi di fruizione degli ammortizzatori sociali con relativa durata ed importi corrisposti, periodi lavorativi e retribuzione spettante, stato di disoccupazione, politiche attive e di attivazione ricevute), aperta ad enti di ricerca e università.
Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione è chiamato a produrre rapporti annuali sullo stato di attuazione delle singole misure, da cui potranno essere desunti elementi per successivi interventi di implementazione o correzione delle norme introdotte.