Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Affari Comunitari
Titolo: Legge Europea 2017 - A.S. 2886
Riferimenti: AC N.4505/XVII
Serie: Progetti di legge   Numero: 580/3
Data: 12/09/2017

A.S. n. 2886 


LEGGE EUROPEA 2017 

Schede di letturasettembre 2017


 

 

 

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Dossier n. 498/3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 580/3

 

 

 

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I N D I C E

 

 

Introduzione. 7

Schede di lettura. 11

Articolo 1 (Disposizioni in materia di avvocati stabiliti. Completo adeguamento alla direttiva 98/5/CE) 13

Articolo 2 (Disposizioni in materia di diritto d'autore. Completo adeguamento alle direttive 2001/29/CE e 2004/48/CE) 17

Articolo 3 (Disposizioni in materia di tracciabilità dei medicinali veterinari e dei mangimi medicati per il conseguimento degli obiettivi delle direttive 2001/82/CE e 90/167(CEE)) 21

Articolo 4 (Modifiche all’art.98 del D.Lgs. n. 259/2003 - Codice comunicazioni elettroniche- Caso EU Pilot 8925/16/CNECT) 27

Articolo 5 (Disposizioni per la completa attuazione della decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale – Caso EU Pilot 8184/15/JUST) 33

Articolo 6 (Disciplina dell'accesso alle prestazioni del fondo per l'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti. Procedura di infrazione n. 2011/4147) 41

Articolo 7 (Disposizioni in materia di rimborsi IVA. Procedura di infrazione 2013/4080) 47

Articolo 8 (Modifiche alla disciplina delle restituzioni dell'IVA non dovuta - Caso EU Pilot 9164/17/TAXU) 51

Articolo 9 (Modifiche al regime di non imponibilità ai fini IVA delle cessioni all'esportazione in attuazione dell'articolo 146, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/112/CE) 55

Articolo 10 (Agevolazioni fiscali per le navi iscritte nei Registri dei Paesi dell’Unione europea o dello SEE. Caso EU-Pilot 7060/14/TAXU) 59

Articolo 11 (Disposizioni relative agli ex lettori di lingua straniera. Caso EU-pilot 2079/11/EMPL) 63

Articolo 12   (Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/2203 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e ai caseinati destinati all'alimentazione umana e che abroga la direttiva 83/417/CEE del Consiglio. Procedura di infrazione n. 2017/0129) 71

Articolo 13 (Disposizioni in materia di anagrafe equina per l'adeguamento al regolamento (UE) 2016/429 e al regolamento (UE) 2015/262) 77

Articolo 14 (Modifica all'articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71, in materia di norme sanitarie per la gente di mare – Caso EU-Pilot 8443/16/MOVE) 79

Articolo 15 (Disposizioni sanzionatorie per la violazione dell’articolo 48 del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio di sostanze e miscele) 83

Articolo 16 (Disposizioni in materia di tutela delle acque. Monitoraggio delle sostanze chimiche. Caso EU-Pilot 7304/15/ENVI) 85

Articolo 17 (Corretta attuazione della direttiva 91/27l/CEE in materia di acque reflue urbane, con riferimento all’applicazione dei limiti di emissione degli scarichi idrici) 91

Articolo 18 (Disposizioni in materia di emissioni industriali - Caso EU-Pilot 8978/16/ENVI) 95

Articolo 19 (Adeguamento della normativa nazionale alla comunicazione 2014/C 200/01 della Commissione, in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020. Imprese a forte consumo di energia elettrica. Decisione C (2017) 3406 della Commissione) 109

Articolo 20 (Adeguamento della normativa nazionale alla comunicazione 2014/C 200/01 della Commissione, in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020. Sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili) 121

Articolo 21 (Adeguamento della normativa nazionale alla comunicazione 2014/C 200/01 della Commissione, in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020. Imprese a forte consumo di gas naturale) 125

Articolo 22 (Modificazioni alla legge 24 dicembre 2012, n. 234) 129

Articolo 23 (Disposizioni per l’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE relativa agli ascensori e ai componenti di sicurezza degli ascensori nonché per l'esercizio degli ascensori) 133

Articolo 24 (Termini di conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico) 137

Articolo 25 (Trattamento economico del personale estraneo alla pubblica amministrazione selezionato per partecipare a iniziative e missioni del Servizio europeo di azione esterna) 141

Articolo 26 (Autorità nazionale competente per la certificazione e la sorveglianza degli aeroporti nonché del personale e delle organizzazioni che operano in essi, ai sensi del regolamento (UE) n. 139/2014) 145

Articolo 27 (Interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea) 147

Articolo 28 (Modifiche al codice in materia di protezione di dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196) 149

Articolo 29 (Disposizioni in materia di funzionamento del Garante per la protezione dei dati personali) 151

Articolo 30 (Clausola di invarianza finanziaria) 153

 


Introduzione

Il disegno di legge europea 2017, recante "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017", è stato presentato alla Camera dei deputati il 19 maggio 2017 (A.C. 4505), in base alle disposizioni di cui alla legge 24 dicembre 2012, n. 234, sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.

Il testo è stato approvato, con modifiche, il 20 luglio 2017 e successivamente trasmesso al Senato (A.S. 2886).

 

La legge europea è - assieme alla legge di delegazione europea - uno dei due strumenti predisposti dalla legge n. 234 del 2012 al fine di adeguare periodicamente l'ordinamento nazionale a quello dell'Unione europea.

L'articolo 29, comma 5, della legge vincola il Governo alla presentazione alle Camere, su base annuale, di un disegno di legge dal titolo "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea", completato dall'indicazione "Legge europea" seguita dall'anno di riferimento.

Non è stabilito un termine preciso per la presentazione. Al contrario l'articolo 29, comma 4, prevede che il disegno di legge di delegazione europea sia presentato entro il 28 febbraio di ogni anno.

L'articolo 30, comma 3, dettaglia come segue il contenuto della legge europea:

a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea;

b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea;

c) disposizioni necessarie per dare attuazione a, o per assicurare l'applicazione di, atti dell'Unione europea;

d) disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea;

e) disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo esercitabile ex articolo 117, comma 5, della Costituzione per l'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea al livello regionale e delle province autonome di Trento e Bolzano in caso di inadempienza degli enti competenti. Peraltro l'articolo 41 detta principi e limiti cui è sottoposto tale potere sostitutivo.

Vengono, dunque, inserite nel disegno di legge europea, in linea generale, norme volte a prevenire l'apertura, o a consentire la chiusura, di procedure di infrazione, nonché, in base ad una interpretazione estensiva del disposto legislativo, anche norme volte a permettere l'archiviazione dei casi di pre-contenzioso EU Pilot (su cui infra).

La legge di delegazione europea contiene invece disposizioni per il conferimento al Governo di deleghe legislative per il recepimento degli atti dell'Unione europea (ad esempio direttive o decisioni quadro) che richiedono trasposizione negli ordinamenti nazionali (articolo 30, comma 2).

Sugli schemi di disegno di legge europea e di delegazione europea è previsto, ai sensi dell'articolo 29, comma 6, il parere della Conferenza Stato-regioni. La presentazione alle Camere ha luogo comunque ove il parere medesimo non sia adottato entro venti giorni dalla richiesta.

Si evidenzia inoltre che la legge europea e la legge di delegazione europea non sono gli unici strumenti per assicurare l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'UE. L'articolo 37 della legge n. 234 del 2012 specifica, infatti, che "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari europei può proporre al Consiglio dei ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, diversi dalla legge di delegazione europea e dalla legge europea, necessari a fronte di atti normativi dell'Unione europea o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea ovvero dell'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia che comportano obblighi statali di adeguamento, qualora il termine per provvedervi risulti anteriore alla data presunta di entrata in vigore della legge di delegazione europea o della legge europea relativa all'anno di riferimento". Qualora si rilevi necessario ricorrere a tali ulteriori provvedimenti, "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assume le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare" (art. 37, comma 2).

Infine, l'articolo 38 della legge n. 234 del 2012, rubricato “Attuazione di singoli atti normativi dell'Unione europea”, prevede che "in casi di particolare importanza politica, economica e sociale, tenuto conto anche di eventuali atti parlamentari di indirizzo, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere un apposito disegno di legge recante le disposizioni occorrenti per dare attuazione o assicurare l'applicazione di un atto normativo emanato dagli organi dell'Unione europea riguardante le materie di competenza legislativa statale".

 

Il disegno di legge europea 2017, come modificato dalla Camera dei deputati, si compone di 30 articoli che modificano o integrano disposizioni vigenti dell’ordinamento nazionale per adeguarlo al diritto europeo. L’articolato contiene disposizioni di natura eterogenea che intervengono, tra l'altro, nei seguenti ambiti settoriali: libera circolazione delle merci; giustizia e sicurezza; fiscalità; lavoro; tutela della salute; tutela dell’ambiente; energia.

Rilevano, in particolare, gli articoli volti a consentire l'archiviazione di tre procedure di infrazione pendenti nei confronti dell'Italia (articoli 6, 7 e 12) e quelli finalizzati a superare le contestazioni mosse all'Italia nell'ambito di otto casi EU-Pilot (articoli 4, 5, 8, 10, 11, 14, 16 e 18).

 

Le procedure di infrazione sono disciplinate dagli articoli 258-260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

L'articolo 258 disciplina le fattispecie in cui la Commissione europea, incaricata dall'articolo 17 del Trattato sull'Unione europea di vigilare sull'applicazione del diritto dell'Unione, ritenga che vi sia stata una violazione del diritto UE ad opera di uno Stato membro.

La procedura prevede preliminarmente una fase pre-contenziosa, durante la quale la Commissione indirizza allo Stato membro interessato:

1)      una lettera di messa in mora, atto di apertura formale della procedura di infrazione. La Direzione generale competente in materia vi identifica la violazione contestata e pone un termine entro il quale lo Stato può comunicare osservazioni ed argomentazioni di risposta;

2)      un parere motivato, nel caso in cui non pervenga alcuna risposta o quest'ultima sia considerata insoddisfacente. Nel parere si constata la sussistenza della violazione e si invita lo Stato, entro un termine preciso, ad adottare le misure necessarie.

Nel caso in cui lo Stato non si conformi al parere della Commissione può aprirsi la fase contenziosa vera e propria (articolo 258, par. 2), che ha luogo di fronte alla Corte di giustizia. In caso di accertamento, con sentenza, che effettivamente vi è stata un'infrazione del diritto dell'Unione, lo Stato membro interessato dovrà prendere tutti i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza. Qualora ciò non avvenga, la Commissione ha la facoltà di adire nuovamente la Corte di giustizia, chiedendo l'applicazione di una sanzione pecuniaria (articolo 260, paragrafo 2).

Si segnala inoltre che dall'aprile 2008 è attivo "EU Pilot", un sistema di comunicazione tra Commissione europea e Stati membri - basato su un sito Internet - che permette la condivisione informale di informazioni e fornisce agli Stati membri la possibilità di risolvere eventuali infrazioni senza ricorrere alla procedura formale di contestazione prevista dai Trattati.

Qualora la Commissione europea - di propria iniziativa o su segnalazione esterna - ritenga opportuno verificare che il diritto dell'Unione sia applicato in maniera corretta, può inviare una richiesta alle autorità nazionali dello Stato interessato attraverso EU Pilot. Lo Stato membro dispone di un periodo di dieci settimane per rispondere e la Commissione, dal canto suo, effettua una valutazione nelle dieci settimane successive. Nel caso in cui la risposta ricevuta non sia considerata soddisfacente, la Commissione ha facoltà di dare inizio alle procedure di infrazione regolate dai Trattati.

Statistiche della Commissione europea, aggiornate all’anno 2016, confermano un tasso di risoluzione dei casi EU Pilot - in termini di casi chiusi a seguito di risposte soddisfacenti dei Governi nazionali - pari al 72 per cento (leggermente inferiore rispetto al 75 per cento del 2015). L'Italia appare peraltro (con 52 casi aperti) tra gli Stati membri con il numero più alto di nuovi casi EU-Pilot, assieme a Francia e Spagna (53) e Polonia (41).

 

Si segnala che durante l'esame in Aula presso la Camera dei deputati è stato soppresso l'articolo 11-bis dell'A.C. 4505-A, recante "Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. Procedura di infrazione n. 2017/0127". Norme finalizzate a superare la relativa procedura di infrazione sono state recentemente approvate con l'articolo 9-bis del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante "Disposizioni urgenti per la crescita economica nel mezzogiorno".


Schede di lettura


Articolo 1
(Disposizioni in materia di avvocati stabiliti. Completo adeguamento alla direttiva 98/5/CE)

 

 

L’articolo 1 modifica la disciplina per l’accesso degli avvocati stabiliti al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori riallineandola a quella dettata dalla legge professionale forense per gli avvocati che abbiano conseguito il titolo in Italia.

L’intervento adegua la normativa nazionale alla direttiva 98/5/CE, sul diritto di stabilimento degli avvocati europei in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale (cd. avvocati stabiliti). La direttiva, per assicurare il buon funzionamento della giustizia, prevede la possibilità di stabilire specifiche disposizioni per l’accesso alle Corti supreme, quali il ricorso ad avvocati specializzati (art. 5, par. 3).

E’ “avvocato stabilito” il cittadino di uno degli Stati membri dell'Unione europea che esercita stabilmente in Italia la professione di avvocato con il titolo professionale di origine e che è iscritto nella sezione speciale dell'albo degli avvocati (art. 3, comma 1, lettera d), del D.lgs. 96/2001).

Si ricorda che il riconoscimento del titolo di avvocato, così come di altri titoli professionali conseguiti nella UE, per l'esercizio della professione in Italia, è previsto dal decreto legislativo n. 206 del 2007, che ha attuato la cd. direttiva qualifiche 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. L’art. 22, comma 2, del citato decreto stabilisce che il riconoscimento della professione forense è subordinato al superamento di una prova attitudinale, la cui disciplina è recata dal relativo regolamento di attuazione (DM n. 191/2003), previsto all'art. 9 del D.Lgs. 115/1992, attuativo della precedente direttiva (ora sostituito dal D.Lgs. n. 206/2007). 

In particolare, l’articolo 1 riformula il comma 2 dell’art. 9 del D.Lgs. n. 96 del 2001, di recepimento della direttiva europea del 98/5/CE, che attualmente stabilisce che l'avvocato stabilito che voglia iscriversi nella sezione speciale dell'albo dei cassazionisti (ferma restando l'intesa con un avvocato abilitato ad esercitare davanti a dette giurisdizioni) deve farne domanda al Consiglio Nazionale Forense (CNF) dimostrando di aver esercitato la professione nell’Unione europea per almeno 12 anni, compresi quelli eventualmente già esercitati come avvocato stabilito.

 

Con le modifiche introdotte, la disciplina per l’accesso al patrocinio presso le giurisdizioni superiori da parte degli avvocati stabiliti è uniformata a quella dettata dall’art. 22, comma 2, della legge professionale forense (L. n. 247 del 2012) per gli avvocati abilitati in Italia.

Si ricorda che l’art. 22, comma 2, della legge 247/2012 individua solo uno dei due canali di accesso al patrocinio per le giurisdizioni superiori. Il comma 1 dello stesso articolo prevede che l’avvocato con anzianità di almeno 5 anni d’iscrizione all’albo circondariale forense che abbia superato l'apposito esame annuale per l'iscrizione all'albo speciale per le giurisdizioni superiori (disciplinato dalla legge n. 1003 del 1936 e dalle sue norme di attuazione, R.D. n. 1482 del 1936) può chiedere al CNF l’iscrizione nell'albo speciale.

L’articolo 1, comma 1 del disegno di legge europea:

·     riduce da 12 a 8 anni il periodo minimo di esercizio della professione forense in ambito UE da parte dell’avvocato stabilito ai fini dell’iscrizione nella sezione speciale dell’albo per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori;

·     aggiunge, agli stessi fini, l’obbligo della lodevole e proficua frequenza della Scuola superiore dell’avvocatura;

 

Si osserva come la sussistenza dell’ulteriore requisito della frequentazione lodevole e proficua della Scuola superiore dell’avvocatura sembra derivare dal semplice superamento della verifica finale di idoneità prevista al termine del corso presso la Scuola (cfr. ultra, Regolamento n. 1/2015 del Consiglio nazionale forense). Detto regolamento non prevede, infatti, specifiche valutazioni di merito inerenti alla prova finale.

 

·     sopprime la disposizione secondo cui alle deliberazioni del Consiglio nazionale forense in materia di iscrizione e cancellazione dalla sezione speciale dell'albo si applica la disposizione di cui all'art. 35 del RDL n. 1578 del 1933, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 36 del 1934, e successive modificazioni.

Quest’ultima disposizione del RDL del 1933, come integrata dall’art. 7 del D.Lgs.C.P.S. n. 597/1947, prevede: l’obbligo di motivazione delle deliberazioni in materia di iscrizione e cancellazione dall'albo speciale dei cassazionisti; la comunicazione di tali deliberazioni all'interessato ed al Pubblico Ministero presso la Corte suprema di cassazione con lettera raccomandata A/R.; la possibilità dell’interessato e del P.M. di proporre ricorso entro 30 gg. dalla comunicazione al CNF.

 

Il Regolamento C.N.F 20 novembre 2015, n. 1 stabilisce che l’iscrizione nell’Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori può essere richiesta al CNF dagli avvocati che, avendo maturato una anzianità di iscrizione all’albo di otto anni, successivamente abbiano lodevolmente e proficuamente frequentato il corso organizzato a Roma dal Consiglio Nazionale Forense, per il tramite della Fondazione Scuola Superiore dell’Avvocatura, sezione “Scuola Superiore dell’Avvocatura per Cassazionisti”. Il regolamento prevede un test selettivo di accesso, superato il quale si accede al corso trimestrale di 100 ore (in ragione, di regola, di 10 ore a settimana) avente ad oggetto diritto processuale civile, diritto processuale penale, giustizia amministrativa, giustizia costituzionale ed orientamenti recenti delle giurisdizioni superiori.

Il corso si articola in un modulo comune (20 ore) ed in un modulo specialistico (80 ore) a scelta, al termine del quale si svolge la verifica finale di idoneità, che ha luogo in Roma, a cadenza annuale. La verifica si articola in una sola prova scritta, consistente nella scelta tra la redazione di un ricorso per cassazione in materia penale o civile o un atto di appello al Consiglio di Stato. La prova è valutata da una Commissione composta da 15 componenti effettivi e 15 supplenti, scelti tra membri del CNF, avvocati iscritti all’Albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, professori universitari di ruolo in materie giuridiche e magistrati addetti alla Corte di cassazione o magistrati del Consiglio di Stato. Nella valutazione della prova, la Commissione tiene conto della maturità del candidato, dell’apprendimento delle materie oggetto del corso, oltre che dell’effettiva padronanza delle tecniche di redazione degli atti di patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.

 

Il comma 2 dell’articolo 1 in esame detta, poi, una disciplina transitoria secondo cui – alla data di entrata in vigore della legge europea - conservano l’iscrizione nella sezione speciale gli avvocati stabiliti già iscritti, mentre possono chiederla quelli che, alla stessa data, ne abbiano maturato i requisiti.

Anche qui si tratta di un riallineamento all’analoga disciplina transitoria prevista dall’art. 22, comma 3, della legge professionale forense.

 

Quest’ultima disposizione ha stabilito, infatti, che gli avvocati che, alla data di entrata in vigore della legge, fossero iscritti nell'albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori conservassero l'iscrizione. Allo stesso modo potevano chiedere l'iscrizione coloro che alla data di entrata in vigore della presente legge avessero maturato i requisiti per detta iscrizione secondo la previgente normativa.

Tale possibilità è stata più volte prorogata; da ultimo, l’art. 10, comma 2-ter del DL 244 del 2016 (Proroga e definizione di termini) – modificando il citato art. 22 della legge 247/2012 – ha previsto che possono altresì chiedere l'iscrizione nell'albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori gli avvocati che maturino i requisiti secondo la previgente normativa entro 5 anni dalla data di entrata in vigore della legge (cioè entro il 2 febbraio 2018).

 


 

Articolo 2
(Disposizioni in materia di diritto d'autore. Completo adeguamento alle direttive 2001/29/CE e 2004/48/CE)

 

 

L'articolo attribuisce all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il potere di adottare provvedimenti cautelari - in presenza dei presupposti di legittimità ivi enunciati - per la tutela del diritto d'autore e dei diritti connessi. Attribuisce inoltre alla medesima Autorità il potere di disciplinare con proprio regolamento la procedura per l'adozione del provvedimento cautelare e per la proposizione e la decisione del reclamo contro di esso nonché l'individuazione delle misure idonee volte ad impedire la reiterazione di violazioni già accertate.

 

Il comma 1 prevede che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, su istanza dei titolari dei diritti, può ordinare in via cautelare ai prestatori di servizi della società dell'informazione di porre fine immediatamente alle violazioni del diritto d'autore e dei diritti connessi, qualora:

§ le violazioni medesime risultino manifeste sulla base di un sommario apprezzamento dei fatti;

§ sussista la minaccia di un pregiudizio imminente e irreparabile per i titolari dei diritti.

A tal fine il comma 1 in esame richiama, ai fini della loro attuazione:

§ l'articolo 8 della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001;

§ gli articoli 3 e 9 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004.

 

L'articolo 8 della direttiva 2001/29/CE stabilisce che gli Stati membri prevedono adeguate sanzioni e mezzi di ricorso contro le violazioni dei diritti e degli obblighi - contemplati nella direttiva - inerenti alla tutela giuridica del diritto d'autore e dei diritti connessi nell'ambito del mercato interno, con particolare riferimento alla società dell'informazione, e adottano tutte le misure necessarie a garantire l'applicazione delle sanzioni e l'utilizzazione dei mezzi di ricorso. Le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie a garantire che i titolari dei diritti i cui interessi siano stati danneggiati da una violazione effettuata sul suo territorio possano intentare un'azione per danni e/o chiedere un provvedimento inibitorio e, se del caso, il sequestro del materiale all'origine della violazione, nonché delle attrezzature, prodotti o componenti di cui all'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva in esame. Gli Stati membri si assicurano che i titolari dei diritti possano chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto d'autore o diritti connessi.

 

L'articolo 3 della direttiva 2004/48/CE prevede che gli Stati membri definiscono le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale oggetto della medesima direttiva. Tali misure, procedure e mezzi di ricorso sono leali ed equi, non inutilmente complessi o costosi e non comportano termini irragionevoli né ritardi ingiustificati. Le misure, le procedure e i mezzi di ricorso sono effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo e da prevedere salvaguardie contro gli abusi.

L'articolo 9 della medesima direttiva prevede (par. 1) che gli Stati membri assicurano che le competenti autorità giudiziarie possano, su richiesta dell'attore:

a) emettere nei confronti del presunto autore della violazione un'ingiunzione interlocutoria volta a prevenire qualsiasi violazione imminente di un diritto di proprietà intellettuale, o a vietare, a titolo provvisorio e, imponendo se del caso il pagamento di una pena pecuniaria suscettibile di essere reiterata, ove sia previsto dalla legislazione nazionale, il proseguimento di asserite violazioni di tale diritto, o a subordinare l'azione alla costituzione di garanzie finalizzate ad assicurare il risarcimento del titolare; un'ingiunzione interlocutoria può inoltre essere emessa, alle stesse condizioni, contro un intermediario, i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà intellettuale; ingiunzioni contro intermediari i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto d'autore o un diritto connesso sono contemplate dalla direttiva 2001/29/CE;

b) disporre il sequestro o la consegna dei prodotti sospettati di pregiudicare un diritto di proprietà intellettuale per impedirne l'ingresso o la circolazione nei circuiti commerciali.

In base al par. 2, nei casi di violazioni commesse su scala commerciale gli Stati membri assicurano che, quando la parte lesa faccia valere l'esistenza di circostanze atte a pregiudicare il pagamento del risarcimento, l'autorità giudiziaria competente possa disporre il sequestro conservativo di beni mobili e immobili del presunto autore della violazione, compreso il blocco dei suoi conti bancari e di altri averi. A tal fine la competente autorità può disporre la comunicazione delle documentazioni bancarie, finanziarie o commerciali, o l'appropriato accesso alle pertinenti informazioni.

L'autorità giudiziaria ha facoltà (par. 3), con riguardo alle misure di cui ai paragrafi 1 e 2, di richiedere all'attore di fornire qualsiasi elemento di prova ragionevolmente accessibile al fine di accertare con un sufficiente grado di certezza che il medesimo è il titolare del diritto e che una violazione di tale diritto è in atto o imminente.

Il par. 4 stabilisce che gli Stati membri assicurano che le misure di cui ai paragrafi 1 e 2 possano, ove opportuno, essere adottate inaudita altera parte, in particolare quando un ritardo potrebbe arrecare un danno irreparabile al titolare del diritto. In tal caso le parti ne vengono informate, senza indugio, al più tardi dopo l'esecuzione delle misure. Su richiesta del convenuto si procede a un riesame, nel corso del quale il medesimo ha diritto ad essere inteso, allo scopo di decidere, entro un termine ragionevole dopo la notificazione delle misure, se queste vadano modificate, revocate o confermate.

Gli Stati membri assicurano (par. 5) che le misure provvisorie di cui ai paragrafi 1 e 2 siano revocate o cessino comunque di essere efficaci, su richiesta del convenuto, se l'attore non promuove un'azione di merito dinanzi all'autorità giudiziaria competente entro un periodo ragionevole che sarà determinato dall'autorità giudiziaria che ordina tali misure quando la legislazione dello Stato membro lo consente oppure, in assenza di tale determinazione, entro un periodo che non deve superare 20 giorni lavorativi o 31 giorni di calendario, qualora questi rappresentino un periodo più lungo.

Le competenti autorità giudiziarie possono subordinare (par. 6) le misure di cui ai paragrafi 1 e 2 alla costituzione da parte del richiedente di una cauzione adeguata o di una garanzia equivalente destinata ad assicurare l'eventuale risarcimento del danno subito dal convenuto, quale previsto al paragrafo 7.

Qualora le misure provvisorie siano revocate o decadano (par. 7) in seguito ad un'azione o omissione dell'attore, o qualora successivamente si constati che non vi è stata violazione o minaccia di violazione di un diritto di proprietà intellettuale, l'autorità giudiziaria ha la facoltà di ordinare all'attore, su richiesta del convenuto, di corrispondere a quest'ultimo un adeguato risarcimento del danno eventualmente arrecato dalle misure in questione.

 

L'Autorità disciplina con proprio regolamento (commi 2 e 3):

§ le modalità con le quali il provvedimento cautelare è adottato e comunicato ai soggetti interessati;

§ i soggetti legittimati a proporre reclamo avverso il provvedimento medesimo;

§ i termini entro i quali il reclamo deve essere proposto e la procedura attraverso la quale è adottata la decisione definitiva dell'Autorità;

§ le misure idonee volte ad impedire la reiterazione di violazioni già accertate dall'Autorità medesima.


Articolo 3
(Disposizioni in materia di tracciabilità dei medicinali veterinari e dei mangimi medicati per il conseguimento degli obiettivi delle direttive 2001/82/CE e 90/167(CEE))

 

L’articolo 3, come modificato in prima lettura alla Camera, disciplina la tracciabilità dei farmaci ad uso veterinario e l’inserimento di taluni dati, mediante ricetta sanitaria elettronica, in una specifica banca dati centralizzata per il monitoraggio della distribuzione di tali medicinali.

Inoltre, viene introdotto l’obbligo, a decorrere dal 1° settembre 2018[1], di redigere le ricette dei medicinali veterinari esclusivamente secondo il modello di ricetta elettronica e si stabiliscono sanzioni per chi falsifichi tali ricette. Analogo obbligo viene previsto per la prescrizione veterinaria dei mangimi medicati.

 

L’intervento legislativo viene attuato novellando gli articoli 89 e 118 del Codice dei medicinali veterinari (D. lgs. n. 193/2006), attuativo della Direttiva 2004/28/CE[2]. Più in dettaglio:

-        la lett. a) del comma 1 aggiunge i commi da 2-bis a 2-quater all’articolo 89, comma 2, del D. Lgs. 193/2016.

            Si fa obbligo ai soggetti componenti la filiera di registrare informaticamente i dati (nel testo “informazioni”) relativi alla produzione, distribuzione e commercializzazione dei farmaci veterinari, mediante il loro inserimento nella Banca Dati centrale, istituita dal DM salute del 15 luglio 2004[3] per la tracciabilità dei farmaci destinati all’uso umano (comma 2-bis).

I soggetti interessati sono: produttori, depositari, grossisti, le farmacie, i titolari di autorizzazioni all’immissione in commercio – vendita diretta o al dettaglio - dei medicinali ad uso veterinario, nonché i medici veterinari (attraverso la prescrizione del medicinale veterinario).

Durante l’esame in prima lettura, sono stati introdotti quali soggetti interessati anche le parafarmacie.

Le informazioni da inserire nella banca dati sono:

a)  l’inizio attività di vendita, ogni sua variazione intervenuta successivamente all’immissione in commercio e alla sua cessazione, nonché i dati relativi alla produzione e commercializzazione dei medicinali veterinari. Durante l’esame del provvedimento alla Camera, è stata prevista l’introduzione anche dei dati relativi all’acquirente.

b)  I dati concernenti la produzione e la commercializzazione dei medicinali veterinari.

  Durante l’esame in prima lettura, è stato inoltre precisato che la Banca Dati Centrale deve essere alimentata esclusivamente con i dati delle ricette elettroniche ed è stato posto l’obbligo, in capo al medico veterinario, di inserire i dati identificativi del titolare dell’allevamento presso il quale vengono utilizzati i medesimi farmaci ad uso veterinario (comma 2-ter).

Viene inoltre stabilita la clausola di invarianza degli oneri per la finanza pubblica recati dal precedente comma, per l’attività di tenuta ed aggiornamento della banca dati (comma 2-quater).

 

Come indicato anche nella relazione illustrava, il sistema informatizzato di registrazione dei dati relativi alla produzione, commercializzazione e distribuzione dei medicinali veterinari agevola il conseguimento degli obiettivi di tutela della salute pubblica già previsti dal codice comunitario dei medicinali veterinari (Direttiva 2001/82/CE)[4].

  In proposito si sottolinea che la tracciabilità dei dati riguardanti i medicinali ad uso veterinario verrà garantita attraverso l’ampliamento della banca dati istituita per la tracciabilità del farmaco ad uso umano, già funzionante presso il Ministero della salute[5]. Questa banca dati comprenderà pertanto anche il settore dedicato alla raccolta dei dati relativi ai medicinali veterinari, alimentato finora su base volontaria[6]. Peraltro, all’interno del documento “Agenda per la Semplificazione 2015-2017” elaborato dal Governo, nell’ambito delle misure di semplificazione delle imprese, si rileva l’azione mirata 5.11. in materia, per quanto qui interessa, di sanità veterinaria (da realizzare entro dicembre 2017), che prevede, tra l’altro, l’eliminazione dell’obbligo del passaporto bovino e per l’appunto, tramite la digitalizzazione, la tracciabilità dei medicinali veterinari.

 

Il modello di ricetta medico veterinaria ed i casi in cui tale modello è obbligatorio sono stabiliti nell'allegato III del sopra citato D.Lgs 193/2006, suscettibile di essere modificato per assicurarne la compatibilità comunitaria.

Si segnala che il progetto “ricetta elettronica veterinaria” rientra nella realizzazione dell’obiettivo strategico, definito dalla Direttiva generale per l’attività amministrativa e la gestione – 2015, finalizzato al risanamento finanziario e al contenimento della spesa pubblica, da realizzarsi, in particolare, tramite il potenziamento degli strumenti informatizzati (cruscotti) per l'analisi dei dati del sistema tessera sanitaria[7] attraverso il monitoraggio delle prescrizioni effettuate dai medici rispetto alle prestazioni erogate, anche in base agli esiti dell'avvio del processo di dematerializzazione della ricetta medica[8].

Inoltre, in base a informazioni dell’Associazione nazionale medici veterinari italiani (ANMVI), si rileva l’avvio di una fase sperimentale dal settembre del 2015, da parte di un gruppo di lavoro coordinato dalle Regioni Lombardia e Abruzzo[9], in collaborazione con il Centro Sistemi Informativi dell'Istituto zooprofilattico sperimentale (IZS) di Teramo e la Direzione Generale della Sanità Animale e dei Farmaci Veterinari.

Non trascurabile è, infine, la considerazione che l’interoperabilità della predetta banca dati con il nuovo sistema informativo sanitario (NSIS), potrebbe assicurare un più efficace sistema di farmacosorveglianza ed un quadro più preciso del consumo di antibiotici finalizzato al contrasto del fenomeno dell’antibioticoresistenza animale.

 

-        la lett. b) del comma 1 aggiunge inoltre il comma 1-bis all’articolo 118 del D.Lgs. n. 193/2006, con il quale si introduce la possibilità di utilizzare il modello di ricetta elettronica per la prescrizione dei medicinali veterinari, ove obbligatoria, in alternativa alle modalità di redazione in formato cartaceo attualmente utilizzato dai veterinari abilitati. L’obbligo dell’utilizzo esclusivo della ricetta elettronica per i medicinali veterinari è previsto a decorrere dal 1° settembre 2018.

La medesima novella, ai sensi del comma 2, è inserita per ragioni di coordinamento con la disciplina attualmente vigente per i mangimi medicati (vale a dire modificati con miscele autorizzate) dopo il comma 1 dell’articolo 8 del decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 90 (attuativo della direttiva 90/167/CEE con la quale sono stabilite le condizioni di preparazione, immissione sul mercato ed utilizzazione dei mangimi medicati) . Anche per la prescrizione di tali mangimi, ove obbligatoria, viene infatti previsto l’obbligo dell’utilizzo esclusivo della ricetta elettronica a decorrere dal 1° settembre 2018.

 

Alla Camera, con esclusivo riferimento ai medicinali veterinari, è stata infine inserita (dal capoverso 1-ter della lett. b) del comma 1) la previsione del pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria (da 10.329 a 61.974 euro) di cui al richiamato articolo 108, comma 1 (immissione in commercio di medicinali veterinari senza la necessaria autorizzazione), per chiunque falsifichi o tenti di falsificare ricette elettroniche. La sanzione è comminata a meno che il fatto non costituisca reato.

 

Si fa presente che non viene introdotta un’analoga disposizione volta a sanzionare la falsificazione o il tentativo di falsificazione delle ricette elettroniche anche per i mangimi medicati, considerato peraltro che tale fattispecie sanzionatoria non è prevista tra quelle di cui all’articolo 16 del D. Lgs. n. 90/1993.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

 

La Commissione europea ha presentato, il 10 settembre 2014, la proposta di regolamento relativo ai medicinali veterinari (COM(2014) 558) che è volta ad abrogare e sostituire la direttiva 2001/82 recante il codice relativo ai medicinali veterinari.

La proposta intende istituire, tutelando nel contempo la sanità pubblica e animale, la sicurezza alimentare e l'ambiente, un corpus legislativo aggiornato e proporzionato, adeguato alle specificità del settore veterinario, in particolare al fine di:

         aumentare la disponibilità dei medicinali veterinari;

         ridurre gli oneri amministrativi;

         stimolare la competitività e l'innovazione;

         migliorare il funzionamento del mercato interno;

         affrontare il rischio per la sanità pubblica rappresentato dalla resistenza agli antimicrobici (AMR - Antimicrobial Resistance).

Nello specifico, la proposta di regolamento contiene disposizioni concernenti: l’autorizzazione all’immissione in commercio; i medicinali veterinari omeopatici; la fabbricazione, l’importazione e l’esportazione; la fornitura e l’impiego; i controlli; le restrizioni e le sanzioni; la rete di regolamentazione.

La proposta prevede, in particolare, una rete europea operativa tra le autorità competenti degli Stati membri, l’Agenzia europea per i medicinali e la Commissione europea volta a garantire che:

         i medicinali veterinari siano disponibili sul mercato dell'Unione;

         essi siano valutati adeguatamente prima di essere autorizzati per l'impiego;

         la loro sicurezza ed efficacia siano monitorate costantemente.

Oltre all’istituzione di una singola banca dati per tutti i medicinali veterinari autorizzati nell'Unione, nella quale le autorità competenti dovranno caricare i dati relativi alle autorizzazioni nazionali all'immissione in commercio, la proposta prevede anche un sistema di registrazione e segnalazione dell'impiego di antimicrobici.

All’interno dell’Agenzia europea per i medicinali è istituito un Comitato per i medicinali veterinari che, a sua volta, potrà costituire gruppi di lavoro permanenti – come quello incaricato di fornire consulenze scientifiche alle imprese – e temporanei.

Per dare agli interessati il tempo sufficiente per adeguarsi alla nuova normativa, la proposta dispone che il futuro regolamento si applicherà a decorrere da due anni dalla sua pubblicazione.

La proposta di regolamento è al momento all’esame del Consiglio dell’UE. Il Parlamento europeo si è espresso in prima lettura, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, adottando emendamenti alla proposta, con la risoluzione del 10 marzo 2016.

 

 

 


Articolo 4
(Modifiche all’art.98 del D.Lgs. n. 259/2003 - Codice comunicazioni elettroniche- Caso EU Pilot 8925/16/CNECT)

 

 

L’articolo 4, introdotto alla Camera, interviene sul Codice delle comunicazioni elettroniche per introdurre nell’ordinamento nazionale le sanzioni da applicare in caso di violazione del regolamento sui costi del roaming UE nelle reti pubbliche di comunicazioni mobili e sul c.d. Internet aperto, in modo da rendere effettiva tale nuova disciplina europea.

Si tratta in particolare di introdurre all’articolo 98 del Codice delle comunicazioni elettroniche, le sanzioni, nell’ambito delle reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico, necessarie ad attuare efficacemente le nuove norme del regolamento roaming, per le quali il nostro ordinamento non prevede attualmente sanzioni specifiche. Infatti:

-   l’art. 18 del regolamento 2012/531/UE, che disciplina il roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili nell'Unione, prevede l’obbligo degli Stati membri di comunicare alla Commissione (il termine era il 30 giugno 2013) le sanzioni adottate per la violazione delle sue disposizioni e di prendere tutti i provvedimenti necessari per la loro attuazione;

-   l’art. 6 del regolamento 2015/2120/UE relativo all’accesso ad un Internet aperta, modifica anche il precedente regolamento del 2012  e fissa il termine per comunicare le sanzioni al 30 aprile 2016.

In entrambi i casi è richiesto che le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive.

In relazione a tali obblighi, formalmente in relazione al regolamento 2015/2120/UE, è stata infatti aperta, ad ottobre 2016, la procedura EU Pilot 8925/16/CNECT, con la quale si chiedevano chiarimenti sulla efficacia dissuasiva della legislazione nazionale per le violazioni delle norme europee da parte di alcuni operatori di telefonia mobile, che sono segnalate alla Commissione UE (vedi di seguito).

 

L’articolo 4, comma 1, per rimediare alla carenza legislativa del nostro ordinamento, provvede quindi ad introdurre i nuovi commi 16-bis, 16-ter, 16-quater, all’art. 98 (sanzioni) nel Codice delle comunicazioni elettroniche  (D. Lgs. n. 259 del 2003).

Il nuovo comma 16-bis consente all’AGCOM, in caso di violazioni, di irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria da 120.000 € a 2,5 milioni €, e di ordinare l’immediata cessazione delle violazioni nonché di condannare l’operatore al rimborso delle somme ingiustificatamente addebitate agli utenti, indicando il termine entro cui adempiere, che non deve superare i trenta giorni.

Si ricorda che nel nostro ordinamento è attualmente vigente la norma dell’art. 1, co. 31 della legge n. 249 del 1997, istitutiva delle Autorità per i servizi di pubblica utilità, che consente alle Autorità di diffidare gli operatori a conformarsi alla normativa e cessare i comportamenti lesivi dei diritti degli utenti disponendo una sanzione pecuniaria di importo compreso tra 10.329 e 258.228 € circa.

 

L’importo delle sanzioni amministrative che viene fissato dai  nuovi commi qui introdotti è analogo a quello previsto in via generale dal comma 11 dell’art. 98 del Codice delle comunicazioni elettroniche per le violazioni ad ordini e diffide dell’Autorità in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico.

Si ricorda anche che alle sanzioni amministrative in materia di Comunicazioni elettroniche irrogabili AGCOM non si applicano, come già previsto dal comma 17-bis dell’art. 98, le disposizioni sul pagamento in misura ridotta (oblazione) di cui all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, previste invece in via generale per le sanzioni amministrative pecuniarie.

 

Il nuovo comma 16-bis prevede inoltre che qualora l’AGCOM ritenga che sussistano motivi di urgenza per il rischio di un danno notevole per il funzionamento del mercato o per la tutela degli utenti, possa adottare, sentiti gli operatori interessati e nelle more dell’adozione del provvedimento definitivo, provvedimenti temporanei per far sospendere la condotta con effetto immediato. Tale facoltà è sostanzialmente prevista per le medesime ipotesi di violazione per le quali sono previste le sanzioni con procedura ordinaria, descritte nella tabella che segue. Le nuove sanzioni qui introdotte sono previste per la violazione dei seguenti articoli del regolamento 2012/531/UE, come modificato dal regolamento 2015/2120/UE e dal regolamento 2017/920/UE:

Regolamento 2012/531/UE

Oggetto

Art. 3, par. 1,2,5,6 e 7

Accesso all'ingrosso al roaming (diritto di accesso , offerta di riferimento da parte degli operatorii mobili sufficientemente dettagliata, possibilità di chiedere di includere anche elementi non contemplati dall'offerta di riferimento)

Art. 4, par. 1, 2 e 3

Vendita separata di servizi di dati in roaming al dettaglio regolamentati (divieto per i fornitori di precludere ai clienti l'accesso ai servizi di dati in roaming regolamentati forniti direttamente sulla rete ospitante da un fornitore alternativo di roaming e diritto dei clienti di cambiare fornitore di roaming in qualsiasi momento)

art. 5, par. 1

Attuazione della vendita separata di servizi di dati in roaming al dettaglio regolamentati (i fornitori nazionali adempiono in modo che i clienti in roaming possano utilizzare servizi di dati in roaming separati regolamentati e soddisfano tutte le richieste ragionevoli di accesso alle infrastrutture e ai relativi servizi di sostegno)

Art. 6-bis

Abolizione dei sovrapprezzi del roaming al dettaglio a decorrere dal 15 giugno 2017

Art. 6-ter, par. 1

Possibilità dei fornitori di applicare una politica di utilizzo corretto ai servizi di roaming al dettaglio

Art. 6-quater, par. 1 e 2

Sostenibilità dell'abolizione dei sovrapprezzi del roaming al dettaglio (autorizzazione ad applicare un sovrapprezzo nella misura necessaria per recuperare i costi della fornitura di servizi di roaming al dettaglio regolamentati)

Art. 6-sexies, par. 1, 3 e 4

Fornitura di servizi di roaming al dettaglio regolamentati (requisiti per l’applicazione di  un sovrapprezzo)

Art. 7, par. 1, 2 e 3

Tariffe medie all'ingrosso che l'operatore di una rete ospitante può applicare al fornitore di roaming per le chiamate in roaming regolamentate, a decorrere dal 15 giugno 2017

Art. 9

Tariffe all'ingrosso per gli SMS in roaming regolamentati

Art. 11

Divieto di modifica delle caratteristiche tecniche degli SMS in roaming regolamentati

Art. 12

Tariffe medie all'ingrosso per servizi di dati in roaming regolamentati a decorrere dal 15 giugno 2017

Art. 14

Trasparenza delle tariffe al dettaglio per le chiamate e gli SMS in roaming

Art. 15, par. 1,2,3, 5 e 6

Trasparenza e meccanismi di salvaguardia per servizi di dati in roaming al dettaglio

Art. 16, par. 4

Vigilanza e applicazione da parte delle autorità nazionali di regolamentazione che hanno il potere di esigere che le imprese soggette agli obblighi del regolamento forniscano tutte le informazioni per la sua attuazione e applicazione

Il nuovo comma 16-ter prevede, analogamente, che l’AGCOM, irroghi una sanzione amministrativa pecuniaria, da 120.000 € a 2,5 milioni € e ordini l’immediata cessazione delle violazioni, nel caso di violazione dei seguenti articoli del regolamento 2015/2120/UE, relativo ad un’Internet aperta :

Art. 3

Salvaguardia dell'accesso a un'Internet aperta (tra cui: il diritto di accedere a informazioni e contenuti e di diffonderli, di utilizzare e fornire applicazioni e servizi e utilizzare apparecchiature terminali, indipendentemente dalla sede dell'utente finale o del fornitore o dalla localizzazione, dall'origine o dalla destinazione delle informazioni, dei contenuti, delle applicazioni o del servizio; il principio secondo il quale gli accordi tra i fornitori e gli utenti finali sulle condizioni e sulle caratteristiche commerciali e tecniche dei servizi di accesso a Internet non limitino l'esercizio dei diritti degli utenti finali e i fornitori di servizi di accesso a Internet, nel fornire i servizi, trattano tutto il traffico allo stesso modo, senza discriminazioni, restrizioni o interferenze).

Art. 4, par. 1 e 2

Misure di trasparenza per assicurare l'accesso a un'Internet aperta (caratteristiche minime dei contratti che includono servizi di accesso a Internet; obbligo di procedure trasparenti, semplici ed efficienti per trattare i reclami degli utenti finali relativi ai diritti e agli obblighi).

Art. 5, par. 2

Vigilanza e applicazione (i fornitori di comunicazioni elettroniche al pubblico e di accesso a Internet, devono rendere disponibile all’autorità nazionale di regolamentazione le informazioni sugli obblighi di cui agli articoli 3 e 4, in particolare la gestione della capacità della loro rete e del traffico, e la motivazione delle misure di gestione del traffico eventualmente applicate).

Anche in questi casi , qualora riscontri ad un sommario esame violazioni relative all’art. 3 e 4, l’AGCOM può adottare provvedimenti temporanei per far sospendere la condotta con effetto immediato, a tutela del funzionamento del mercato o degli utenti.

Il nuovo comma 16-quater prevede che l’AGCOM possa disporre la pubblicazione dei provvedimenti adottati a spese dell’operatore, sui mezzi ritenuti più idonei, anche su uno o più quotidiani a diffusione nazionale.

Il comma 2 dell’articolo 2-bis reca la clausola di invarianza finanziaria, per cui dall'attuazione delle disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e secondo la quale le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti con le risorse umane, strumentali e finanziare disponibili a legislazione vigente.

 

Procedure di contenzioso  

 

La Commissione europea ha inviato al Governo italiano una richiesta di informazioni (EU Pilot 8925/16/CNECT) relativa all'implementazione del regolamento (UE) 531/2012, come modificato dal regolamento (UE) 2015/2120 (cd. regolamento roaming). Al fine di assicurare una transizione agevole verso l'abolizione dei sovrapprezzi di roaming al dettaglio in vigore dal 15 giugno 2017, a partire dal 30 aprile 2016 sono divenute applicabili le modifiche al regolamento (UE) 531/2012 apportate dal regolamento (UE) 2015/2120, in base alle quali, a partire da tale data, per il periodo transitorio, si applica di default una nuova regolamentazione dei prezzi al dettaglio: gli operatori possono continuare ad applicare alle condizioni domestiche un sovrapprezzo per il roaming pari agli attuali prezzi massimi all'ingrosso regolamentati (0,05€ al minuto per le chiamate effettuate, 0,02€ per SMS inviato, 0,05€ per MB di traffico dati e 0,0114€ al minuto per le chiamate ricevute), purché la somma del prezzo al dettaglio nazionale e degli eventuali sovrapprezzi applicati non superi rispettivamente 0,19€ per minuto di chiamate effettuate, 0,06€ per SMS inviato e 0,20€ per MB di traffico dati. Il regime transitorio è stato applicato fino alla definitiva abolizione del sovrapprezzo applicato al traffico roaming, avvenuta il 15 giugno 2017, a seguito della revisione dei mercati roaming all'ingrosso.

A seguito di varie email e lettere inviate alla Commissione europea da cittadini italiani, sarebbe emerso che in Italia alcuni principali operatori (in particolare TIM, Wind e H3G) avrebbero adottato tariffe di roaming che non rispetterebbero le disposizioni del regolamento roaming.

Nei vari scambi di corrispondenza che hanno avuto luogo tra la Commissione e le autorità italiane, i servizi della Commissione avrebbero evidenziato l'importanza di garantire una supervisione tempestiva da parte delle autorità italiane competenti dei diversi piani tariffari di roaming adottati dagli operatori nel periodo transitorio, cosi come l'adozione delle misure volte a garantire la corretta applicazione del regolamento roaming.

In particolare, la Commissione avrebbe chiesto i seguenti chiarimenti:

·       fornire un'indicazione precisa delle misure adottate dall’Italia al fine di garantire che le sanzioni applicabili in caso di violazioni del regolamento roaming siano efficaci, proporzionate e dissuasive;

·       descrivere tutte le misure a disposizione delle autorità italiane, oltre alle sanzioni, volte a garantire la cessazione delle violazioni del regolamento roaming;

·       fornire una descrizione completa della procedura applicabile alle violazioni del regolamento roaming da parte degli operatori;.

·       fornire informazioni quantitative sui ricavi degli operatori italiani TIM, Wind e H3G per la fornitura di servizi roaming ai loro clienti, nonché la quantificazione dell’indebito vantaggio di cui gli operatori hanno beneficiato in conseguenza della violazione del regolamento roaming;

·       fornire informazioni complete sullo stato di avanzamento dei procedimenti sanzionatori in corso contro TIM, Wind e H3G;

·       indicare che tipo di provvedimenti urgenti le autorità italiane potrebbero adottare o hanno già adottato al fine di garantire l'immediata cessazione della violazione del regolamento roaming da parte degli operatori;

·       indicare se e in che modo le autorità italiane intendono garantire che qualsiasi effetto negativo sarà rimosso con effetto retroattivo;

·       fornire un'indicazione precisa delle norme nazionali relative all'accesso a un'Internet aperta.

Sul tema, il 12 dicembre 2016, è intervenuta anche l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), che ha rilevato, nell’ordinamento italiano, la mancanza di una norma che preveda una sanzione specifica in caso di violazione delle disposizioni contenute nel regolamento roaming. Pertanto l’AGCOM ha segnalato al Governo la necessità di un tempestivo intervento normativo, che disponga anche l’attribuzione all’Autorità del potere di adottare misure urgenti volte a garantire l’immediata cessazione della violazione. Nel frattempo, la stessa Autorità ha fatto ricorso ad un meccanismo sanzionatorio indiretto, mediato dall’adozione di una diffida la cui inosservanza è punita con una sanzione pecuniaria. Allo stato, risultano aperti tre procedimenti sanzionatori nei confronti delle società Telecom Italia S.p.A., Wind telecomunicazioni S.p.A. e H3G S.p.A. a per inottemperanza alle diffide impartite.

L’articolo 4 del DDL in esame interviene sui rilievi sollevati dalla Commissione europea nella misura in cui introduce nell’ordinamento italiano sanzioni specifiche da applicare in caso di violazione delle disposizioni europee relative al roaming nelle reti pubbliche di comunicazioni mobili e all’accesso a un’Internet aperta, in particolare prevedendo sanzioni pecuniarie, l’immediata cessazione delle violazioni e la condanna dell’operatore al rimborso delle somme ingiustificatamente addebitate agli utenti, indicando anche il termine di adempimento, che non deve superare i trenta giorni.


Articolo 5
(
Disposizioni per la completa attuazione della decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale – Caso EU Pilot 8184/15/JUST)

 

L’articolo 5 modifica la legge n. 654 del 1975 (di ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale di New York del 1966 sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale) e il decreto legislativo n. 231 del 2001 (sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche).

Secondo il Governo, l’intervento consente di sanare il caso EU Pilot 8184/15/Just, attuando i contenuti della decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale.

 

La decisione quadro 2008/913/GAI

 

La decisione quadro 2008/913/GAI ha previsto il riavvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari dei paesi dell'UE per quanto riguarda i reati ispirati a talune manifestazioni di razzismo e xenofobia, che devono costituire un reato in tutti i paesi dell'UE ed essere passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive.

La decisione quadro si applica ad ogni reato commesso:

§  sul territorio dell'Unione europea (UE), anche tramite un sistema di informazione;

§  da un cittadino di un paese dell'UE o per conto di una persona giuridica avente sede in un paese dell'UE; a tale riguardo, la decisione quadro propone criteri per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche.

Sono considerati reati penali, determinati atti commessi, quali: pubblico incitamento alla violenza o all'odio rivolto contro un gruppo di persone o un membro di tale gruppo definito sulla base della razza, del colore, la religione, l’ascendenza, la religione o il credo o l’origine nazionale o etnica; il reato di cui sopra commesso mediante diffusione e distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale; l'apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana in pubblico dei crimini di genocidio o contro l'umanità, i crimini di guerra, quali sono definiti nello Statuto della Corte penale internazionale (articoli 6, 7 e 8), quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro.

Saranno passibili di sanzione i base alla decisione quadro anche l'incitamento o la partecipazione nel commettere gli atti suddetti.

Riguardo a tali reati, i paesi dell'UE è previsto per gli Stati membri l’obbligo di stabilire: sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive; pene detentive della durata massima di almeno un anno.

Analoghe sanzioni dovranno riguardare le persone giuridiche e comprendere ammende penali e non penali. Inoltre gli enti possono essere sanzionati mediante: l'esclusione dal beneficio di agevolazioni o sovvenzioni pubbliche; l'interdizione temporanea o permanente dall’esercizio di un’attività commerciale; il collocamento sotto sorveglianza giudiziaria; il provvedimento di liquidazione giudiziaria. La decisione quadro stabilisce che l'avvio delle indagini o dell'azione legale per reati di razzismo e xenofobia non deve essere subordinato a una denuncia o un'accusa a opera della vittima. In ogni caso, la motivazione razzista o xenofoba deve essere considerata circostanza aggravante o, in alternativa, il tribunale deve poter considerare tale motivazione nel decidere quale sanzione infliggere.

 

La prima modifica, introdotta dal comma 1 dell’articolo 5 del disegno di legge, amplia il campo di applicazione dell’aggravante di “negazionismo” di cui al comma 3-bis dell’art. 3 della legge n. 654 del 1975.

Tale ultima disposizione è stata introdotta dalla recente legge n. 115 del 2016 (la relazione al d.d.l. riferisce erroneamente di un intervento sul citato art. 3, come da ultimo modificato dalla legge n. 85 del 2006, anziché dalla legge 115 del 2016) che ha inteso sanare, se non totalmente, i rilievi della Commissione Europea espressi nel citato caso EU Pilot 8184/15/JUST.

L’art. 3 della legge n. 654 del 1975 punisce:

§  con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;

§  con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi

Il comma 3 dello stesso articolo vieta ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. La partecipazione o l’assistenza all’attività di tali organizzazioni è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Pene maggiori (reclusione da uno a sei anni) sono previste per i promotori e per chi dirige le organizzazioni.

Il comma 3-bis stabilisce una maggior pena (reclusione da due a sei anni) se la propaganda ovvero l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale , ratificato ai sensi della legge n. 232 del 1999.

Il comma 1 dell’art. 5 in esame integra la formulazione del citato comma 3-bis, prevedendo la sanzionabilità con la reclusione da 2 a 6 anni – oltre che della negazione – anche della minimizzazione in modo grave, dell’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra.

Il criterio della gravità verrà quindi in evidenza tanto ai fini della sussistenza del reato (“minimizzazione in modo grave”) quanto per la valutazione agli effetti della pena da parte del giudice (art. 133 c.p., primo comma, n. 2): gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato).

Sul piano nazionale, oltre alla citata normativa, va ricordata la legge 9 ottobre 1967, n. 962 (Prevenzione e repressione del delitto di genocidio), il cui articolo 8 punisce con la reclusione da tre a dodici anni la pubblica istigazione e apologia dei delitti di genocidio (indicati dagli artt. da 1 a 5 della legge). La legge punisce: inoltre, gli atti "concreti" volti a distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, provocando la morte o lesioni personali gravi o gravissime; la deportazione a fini di genocidio; il genocidio, rispettivamente, mediante limitazione delle nascite o sottrazione di minori; chi costringe persone appartenenti ad un gruppo nazionale etnico, razziale o religioso, a portare marchi o segni distintivi indicanti la appartenenza al gruppo; l’accordo per commettere genocidio.

Il comma 2 dell’articolo 5 aggiunge, poi, un nuovo articolo 25-terdecies al decreto legislativo n. 231 del 2001 che aggiunge al catalogo dei delitti che comportano la responsabilità delle persone giuridiche anche i reati di razzismo e xenofobia aggravati dal negazionismo, di cui al citato comma 3-bis dell’art. 3 della legge n. 654 del 1975.

In particolare, si prevede in relazione alla commissione di tale reato l’applicazione all’ente della sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote.

Si ricorda che l'importo di una quota va da un minimo di 258 ad un massimo di 1.549 euro e che il suo importo, allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione, è stabilito dal giudice in base alle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente (artt. 10 e 11, D.Lgs. 231 del 2001).

Lo stesso comma 2 stabilisce che:

§  la condanna per negazionismo comporta l’applicazione all’ente le sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2001 (interdizione dall'esercizio dell'attività; sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; divieto di contrattare con la PA, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi.

§  la stabile utilizzazione dell’ente (o di una sua unità organizzativa) al fine di commettere o agevolare il negazionismo è sanzionato con l’interdizione definitiva dell’esercizio dell’attività. Si ricorda che l’art. 16, comma 3, del d.lgs. 231 già prevede che, se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità, è sempre disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività e non si applicano le disposizioni previste dall'articolo 17 (quest’ultimo, a sua volta, prevede la inapplicabilità delle sanzioni interdittive nel caso di riparazione delle conseguenze del reato).

Si valuti se la disposizione introdotta dal disegno di legge sulla interdizione dall’esercizio dell’attività non risulti superflua, in considerazione di quanto già disposto in tal senso dall’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 231 del 2001.

 

L’attività parlamentare

Si segnala, in materia, la trasmissione al Senato del disegno di legge AS 2471, approvato dalla Camera il 6 luglio 2016 (AC 3084), di Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, riguardante la criminalizzazione degli atti di razzismo e xenofobia commessi a mezzo di sistemi informatici, fatto a Strasburgo il 28 gennaio 2003.

Il provvedimento novella l’articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 654/1975 e nello specifico:

§  prevede che il delitto di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero l’istigazione a commettere o la commissione di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi possa essere commesso con qualsiasi mezzo, anche informatico o telematico;

§  è ampliato l’ambito della descritta fattispecie penale, in cui viene compresa anche la distribuzione, divulgazione, diffusione o pubblicizzazione di materiale razzista o xenofobo.

 

Nella corrente legislatura si ricorda poi l’istituzione della Commissione “Jo Cox” sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio (10 maggio 2016), presieduta dalla Presidente della Camera e composta che da un deputato per ogni gruppo politico, rappresentanti di organizzazioni sopranazionali, di istituti di ricerca e di associazioni ed esperti, con il compito di condurre attività di studio e ricerca su tali temi, anche attraverso lo svolgimento di audizioni.

 

Procedure di contenzioso

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 8184/15/JUST, avrebbe rilevato una serie di carenze individuate nel quadro legislativo italiano di recepimento della decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio sulla lotta contro alcune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale.

Le leggi notificate dall’Italia ai fini del recepimento sono, in particolare, la legge n. 962 del 1967 sulla prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, la legge n. 654 del 1975 sulla ratifica e attuazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (e successive modifiche), e il Codice penale.

Gli addebiti contestati dalla Commissione europea concernerebbero vari profili  della decisione quadro, costituendo, a seconda dei casi, fattispecie di mancato recepimento, recepimento incompleto, e recepimento incorretto.

Apologia, negazione o minimizzazione grossolana dei crimini come definiti  dallo Statuto militare internazionale allegato all’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945

L’articolo 1, paragrafo 1, lettera d) della decisione quadro prevede che siano puniti l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini definiti  all’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale, allegato all’accordo di Londra dell’8 agosto 1945, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro.

Secondo la Commissione europea il recepimento di questa disposizione richiederebbe l’esistenza di una norma in ambito nazionale che penalizzi tali comportamenti quando sono posti in essere in modo atto a istigare alla violenza e all’odio nei confronti di un gruppo o di un suo membro: la Commissione europea avrebbe rilevato l’inesistenza di una disposizione simile nella legislazione italiana.

Apologia, negazione, o minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra

L’articolo 1, paragrafo1, lettera c).della decisione quadro richiede agli Stati membri che siano resi punibili l’apologia, la negazione o alla minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, quali definiti agli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro

La Commissione europea avrebbe contestato all’Italia il recepimento incompleto della disposizione in quanto la norma di recepimento  indicata dalle autorità italiane (articolo 8, comma 2 della legge 962 del 1967, farebbe riferimento unicamente al comportamento di chi pubblicamente fa apologia, e solo in relazione al reato di genocidio, mentre, contrariamente a quanto previsto dalla decisione quadro, non includerebbe la condotta di pubblica negazione, né la minimizzazione grossolana, e non fa riferimento ai reati contro l’umanità e i crimini di guerra.

Responsabilità delle persone giuridiche e relative sanzioni

Gli articoli 5 e 6 della decisione quadro garantiscono che le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili dei reati ivi previsti, nonché soggette a sanzioni proporzionate, efficaci e dissuasive (la responsabilità e le sanzioni non devono essere necessariamente di natura penale), indipendentemente dall’accusa o condanna di persone fisiche.

Le indicazioni delle autorità italiane circa le previsioni esistenti in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ai fini del recepimento di tali disposizioni non sarebbero state ritenute sufficienti dalla Commissione europea, che avrebbe quindi contestato il mancato recepimento della disposizione europea.

Competenza giurisdizionale nei casi in cui i comportamenti che integrano le fattispecie di reato siano commessi a mezzo di sistemi informatici

L’articolo 9, paragrafo 2 della decisione quadro obbliga ciascuno Stato membro ad adottare le misure necessarie per garantire che la propria competenza giurisdizionale si estenda ai casi in cui le fattispecie di reato in essa previste siano poste in essere mediante un sistema di informazione, precisando altresì i criteri che sovraintendono a tale delimitazione di giurisdizione  (presenza fisica, sul territorio dello Stato membro in questione, dell’autore del comportamento, a prescindere dal fatto che il comportamento implichi o no l’uso di materiale ospitato su un sistema di informazione situato sul suo territorio; uso di materiale ospitato su un sistema di informazione situato sul territorio dello Stato membro in questione, indipendentemente dal fatto che l’autore ponga in essere o no il comportamento allorché è fisicamente presente su tale  territorio).

La Commissione europea avrebbe rilevato il mancato recepimento di tale disposizione, nutrendo dubbi circa la rilevanza delle disposizioni generali italiane in materia di giurisdizione (articoli 6 e 9 del Codice penale).

Istigazione pubblica alla violenza o all’odio

L’articolo 1, paragrafo 1 lettera a) obbliga gli Stati membri a adottare le misure necessarie affinché sia resa punibile l’istigazione pubblica alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica.

La Commissione europea avrebbe contestato l’incorretto recepimento di tale disposizione, poiché la norma a tal fine indicata dalle autorità italiane (articolo 3, comma 1, lettera a) della legge 654 del 1975) configurerebbe una condotta maggiormente restrittiva di quella richiesta dalla decisione quadro.

In particolare la condotta della “istigazione pubblica all’odio” sarebbe recepita (dalla legge italiana) nel comportamento di “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”; la Commissione europea avrebbe rilevato che la decisione quadro richiede agli Stati membri di sanzionare l’istigazione pubblica all’odio in quanto tale e non la propaganda di tale istigazione[10].

La Commissione europea avrebbe inoltre rilevato che, contrariamente a quanto disposto nella decisione quadro, l’articolo 3, comma 1 della legge n. 654 del 1975 non farebbe espresso riferimento né  ad “individui” né a “gruppi”.

Sebbene la modalità di formulazione della disposizione italiana potrebbe suggerire in ogni caso un ampio campo di applicazione (tale da ricomprendere sia individui sia gruppi), la Commissione ritiene che per sostenere tale interpretazione occorrerebbe il supporto in tal senso della giurisprudenza o dei lavori preparatori relativi alla norma indicata, elementi non forniti dalle autorità italiane.

La Commissione europea, avrebbe infine sottolineato il numero limitato di condanne per espressioni di odio razziale e xenofobo sulla base della citata disposizione italiana, nonostante i gravi incidenti che - sulla base delle informazioni in suo possesso - si sarebbero registrati in Italia. Secondo la Commissione ciò dimostrerebbe le difficoltà che le autorità giudiziarie starebbero incontrando nell’impiego della citata disposizione italiana ai fini del perseguimento della condotta descritta alla lettera a) del paragrafo 1 dell’articolo 1 della decisione quadro, confermando ulteriormente il proprio convincimento del recepimento incorretto della disposizione europea nell’ordinamento italiano.

Istigazione pubblica alla violenza o all’odio mediante diffusione e distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale

La disposizione italiana testé illustrata è stata indicata dalle autorità italiane anche ai fini del recepimento dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), che prevede la punibilità dell’istigazione pubblica alla violenza e all’odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica,  perpetrate mediante la diffusione e la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale. La Commissione europea avrebbe anche in questo caso rilevato (per le medesime considerazioni indicate nel precedente paragrafo) il non incorretto recepimento della disposizione europea, aggiungendo che il termine “propaganda” utilizzato dalla disposizione italiana nei riguardi dell’istigazione all’odio non includerebbe esplicitamente la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale, così come previsto dall’articolo 1, paragrafo 1, lettera b) della decisione quadro.

Potrebbe risultare opportuno, alla luce della legge n. 115 del 2016, recante “Modifica all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7, e 8 dello statuto della Corte penale internazionale” - peraltro richiamata dalla relazione introduttiva -, acquisire l’avviso del Governo sull’idoneità delle misure proposte a risolvere pienamente i rilievi avanzati dalla Commissione europea, anche in considerazione del fatto che l’intervento normativo non sembra prospettare misure inerenti alla questione relativa alla competenza giurisdizionale nei casi in cui i reati citati siano commessi a mezzo di sistemi informatici. 


Articolo 6
(Disciplina dell'accesso alle prestazioni del fondo per l'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti. Procedura di infrazione n. 2011/4147)

 

L'articolo 6  oltre ad apportare modifiche alle disposizioni della legge 7 luglio 2016, n. 122 (legge europea 2015-2016) in materia di accesso al fondo per l’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, estende l'ambito di applicazione della disciplina anche alle fattispecie precedenti alla sua entrata in vigore.

 

L'articolo in esame modifica in primo luogo gli articoli da 12 a 14 della legge n. 122 del 2016.

Il comma 1 interviene:

·       sull'articolo 12, relativo alle condizioni per l'accesso all'indennizzo:

o   abrogandone la lettera a) del comma 1 che prevede, fra le condizioni di accesso all'indennizzo che la vittima sia titolare di un reddito annuo, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a quello previsto per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (lettera a);

o   modificandone la lettera b) del comma 1, al fine di condizionare l'accesso all'indennizzo al fatto che la vittima abbia già esperito infruttuosamente l'azione esecutiva nei confronti dell'autore del reato per ottenere il risarcimento del danno dal soggetto obbligato in forza di sentenza di condanna irrevocabile o di una condanna a titolo di provvisionale. Tale condizione non si applica nel caso in cui l'autore del reato sia rimasto ignoto ovvero nel caso cui l'autore del reato abbia chiesto ed ottenuto l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato nel procedimento penale o civile in cui è stata accertata la sua responsabilità (lettera b);

o   prevedendo, attraverso una modifica alla lettera e) del comma 1, fra le condizioni di accesso all'indennizzo che la vittima non abbia percepito, per lo stesso fatto, somme superiori a 5.000 euro (la formulazione vigente non prevede tale limite) erogate a qualunque titolo da soggetti pubblici o privati (lettera c).

 

·       sull'articolo 13, relativo alla domanda di indennizzo:

o   modificandone per coordinamento la lettera b) del comma 1, la quale prevede che la domanda di indennizzo debba essere corredata anche dalla documentazione attestante l'infruttuoso esperimento dell'azione esecutiva per il risarcimento del danno nei confronti dell'autore del reato, salvo il caso in cui l'autore del reato sia rimasto ignoto oppure abbia chiesto e ottenuto l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato nel procedimento penale o civile in cui è stata accertata la sua responsabilità  (lettera d);

o   intervenendo sul comma 2 per prevedere che il termine di sessanta giorni entro il quale la domanda di indennizzo deve essere presentata decorra anche dalla data del passaggio in giudicato della sentenza penale (attualmente tale termine decorre dalla decisione che ha definito il giudizio per essere ignoto l'autore del reato ovvero dall'ultimo atto dell'azione esecutiva infruttuosamente esperita) (lettera e).

 

·       sull'articolo 14, relativo al Fondo per l'indennizzo in favore delle vittime: incrementandone la dotazione attraverso una modifica al comma 2. Si prevede che il Fondo sia alimentato da un contributo annuale dello Stato pari a 2.600.000 euro per l'anno 2016, a 5.400.000 per l'anno 2017 e a 4.000.000 euro a decorrere dall'anno 2018(lettera f);

 

La disposizione si propone inoltre di completare l’adeguamento della normativa nazionale alle previsioni della direttiva 2004/80/CE, modificando l’ambito di operatività ratione temporis della nuova disciplina.

A ben vedere, la disciplina dettata dalla legge europea 2015-2016 è applicabile alle fattispecie successive alla sua entrata in vigore (23 luglio 2016), mentre la direttiva 2004/80/CE fa obbligo agli Stati membri di applicare le disposizioni almeno ai richiedenti le cui lesioni derivino da reati commessi dopo il 30 giugno 2005 (articolo 18).

 

Più nel dettaglio, il comma 2 dell'articolo estende la disciplina relativa all’accesso al fondo per l’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti a chiunque è stato vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 giugno 2005.

 

Il comma 3 introduce un termine di decadenza di centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge in esame per la presentazione della domanda di indennizzo. Tale domanda deve essere presentata nel rispetto delle medesime condizioni e modalità di accesso all’indennizzo previste dalla legge n. 122/2016.

 

Il comma 4 prevede che gli oneri derivanti dalle modifiche apportate all'articolo 14, comma 2 della legge n. 122 del 2016 (vedi comma 1), quantificati in 2,8 milioni di euro per l’anno 2017 e in 1,4 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2018, nonché gli oneri derivanti dall'attuazione del comma 2 dell'articolo, quantificati in 10 milioni di euro per l'anno 2017 e in 30 milioni di euro per l'anno 2018, gravino:

·       quanto a 12,8 milioni di euro per l'anno 2017 e 1,4 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019 sul fondo per il recepimento della normativa europea di cui all’articolo 41-bis della legge 24 dicembre 2012, n. 234, introdotto dall’articolo 28 della legge 29 luglio 2015, n. 115.- legge europea 2014.

 

L'articolo 28 della legge europea 2014 - aggiungendo l'articolo 41-bis alla legge n. 234 del 2012 sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea- ha previsto l'istituzione nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze di un fondo, denominato "Fondo per il recepimento della normativa europea", volto a consentire il tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi imposti dalla normativa europea.

 

·       quanto a 31,4 milioni di euro per l'anno 2018 sul Fondo di cui al comma 200 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015)

 

Il comma 200 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015 ha previsto l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, di un Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione, con la dotazione di 27 milioni di euro per l'anno 2015 e di 25 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016. Tale Fondo è ripartito annualmente con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.

 

Ai sensi del comma 5 con riguardo agli oneri di cui al comma precedente trovano applicazione i commi da 12 a 12-quater dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica) per la copertura finanziaria delle leggi e, in particolare, quelle relative al monitoraggio degli oneri e alle misure per gli eventuali scostamenti.

 

Il comma 6, infine, autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Procedure di contenzioso

 

La procedura di infrazione n. 2011/4147  è stata avviata dalla Commissione europea per il non corretto recepimento della direttiva 2004/80/CE, relativa all’indennizzo delle vittime di reato. L’Italia ha provveduto a dare attuazione a tale direttiva con il decreto legislativo n. 204 del 2007[11]. Le misure previste dal provvedimento sono state ritenute tuttavia non del tutto adeguate dalla Commissione europea. Il decreto legislativo del 2007, infatti, se da un lato, ha trasposto in maniera corretta la direttiva nella parte concernente l’istituzione del sistema di cooperazione per l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, individuando le competenti autorità di assistenza e di decisione, creando un punto centrale di contatto presso il Ministero della giustizia e disciplinando il regime linguistico applicabile, dall'altro, non ha proceduto alla istituzione di un comprensivo sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reato, ritenendo adeguati i sistemi di indennizzo e risarcimento contemplati già dall'ordinamento per alcune tipologie di reato (quali quelli di stampo mafioso o terroristico). La Commissione quindi, considerando solo parziale la trasposizione della direttiva ad opera del decreto legislativo n. 204, ha ritenuto di adire nuovamente la Corte di giustizia (causa C- 601/14) al fine di ottenere una ulteriore pronuncia di accertamento della violazione da parte dello Stato italiano.

Le contestazioni della Commissione europea, accolte peraltro dalla Corte di Lussemburgo (vedi infra), toccavano in particolare il parziale recepimento dell'obbligo imposto dall'articolo 12, paragrafo 2 della direttiva 2004/80/CE. Tale disposizione impone infatti agli Stati membri di dotarsi di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, senza lasciare alcun margine di discrezionalità agli Stati quanto all'ambito di copertura del sistema stesso, destinato pertanto a dover corrispondere all'intera categoria dei reati intenzionali violenti. Secondo le istituzioni europee l'Italia non avrebbe con il decreto legislativo del 2007 correttamente trasposto tale parte della direttiva, non avendo esteso il sistema nazionale d’indennizzo a qualunque fattispecie di reato qualificabile.

Proprio per far fronte alla nuova procedura di infrazione le disposizioni della legge europea 2015-2016 – facendo salve le provvidenze già previste da altre disposizioni di legge per determinati reati, se più favorevoli[12] -  hanno riconosciuto il diritto all’indennizzo, a carico dello Stato, in favore delle vittime di reati dolosi commessi con violenza alla persona e, comunque, del reato di intermediazione illecita e sfruttamento al lavoro, ad eccezione dei reati di percosse e lesioni semplici. Sono state fissate le condizioni per l’accesso all’indennizzo, si è previsto che l’indennizzo è destinato a rifondere le sole spese mediche e assistenziali - ad eccezione dei casi di violenza sessuale e omicidio, in cui esso è comunque elargito - e si è stabilito che il relativo onere finanziario gravi sul Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura, appositamente ridenominato ed esteso alle vittime dei reati intenzionali violenti.

La Corte di Giustizia, con sentenza dell’11 ottobre 2016, pronunciata a seguito del ricordato ricorso C-601/14, ha statuito che l’Italia, non avendo adottato tutte le misure per garantire l’esistenza, nelle situazioni transfrontaliere, di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, è venuta meno all’obbligo ad essa incombente in forza dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE. A ben vedere la Corte non ha potuto tener conto delle nuove norme di attuazione della direttiva, contenute nella legge europea, in quanto intervenute successivamente alla proposizione del ricorso, mentre l’inadempimento si è cristallizzato con l’adozione del parere motivato. Le disposizioni della legge europea 2015-2016 sono attualmente al vaglio della Commissione europea, alla quale sono state ritualmente notificate, al fine della valutazione circa la chiusura della procedura di infrazione.

 

 


 

Articolo 7
(Disposizioni in materia di rimborsi IVA. Procedura di infrazione 2013/4080)

 

L’articolo 7, modificato alla Camera, interviene sulla disciplina dei rimborsi IVA al fine di consentire l’archiviazione della procedura di infrazione 2013/4080, allo stadio di messa in mora ex art. 258 TFUE.  Con tale atto la Commissione europea aveva contestato alla Repubblica Italiana il mancato rispetto degli obblighi imposti dall’articolo 183, paragrafo 1 della direttiva 2006/112/CE, come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (si veda più diffusamente infra il paragrafo relativo alle procedure di contenzioso).

Ai sensi del richiamato articolo 183, qualora, per un periodo d'imposta l'importo delle detrazioni superi quello dell'IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l'eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite.

La Commissione aveva sostenuto che l’Italia facesse correre eccessivi rischi finanziari ai soggetti passivi in occasione del rimborso IVA; tuttavia, la portata delle contestazioni risulta ridimensionata a seguito delle modifiche apportate alla disciplina dei rimborsi IVA, in occasione della legge di delega fiscale (legge 11 marzo 2014, n. 23, in attuazione della quale, con l’articolo 13 del decreto legislativo n. 175 del 21 novembre 2014, è stato modificato l’articolo 38-bis del decreto IVA).

 

Si ricorda che durante l’esame del provvedimento in sede referente alla Camera dei deputati l’articolo in esame era stato soppresso, al fine di recepire la condizione posta dalla Commissione V Bilancio della Camera. La Commissione Bilancio aveva infatti rilevato la necessità di aggiornare le stime alla base della quantificazione degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui all'articolo soppresso sulla base degli ultimi dati disponibili. La soppressione dell’articolo 5 era apparsa necessaria per assicurare il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione, posto che il Fondo per il recepimento della normativa europea, del quale era previsto l'utilizzo, a parere della Commissione non recava le occorrenti disponibilità volte a fronteggiare il maggiore onere disposto dalla norma. In mancanza della quantificazione del maggiore onere derivante dal citato aggiornamento dei dati e della individuazione della relativa copertura finanziaria, la Commissione Bilancio aveva dunque ritenuto necessario sopprimere l’articolo.

Con alcune modifiche alla copertura finanziaria, di seguito illustrate, l’articolo è stato ripristinato durante l’esame in Assemblea alla Camera.

 

Il menzionato articolo 13 del decreto legislativo n. 175 del 21 novembre 2014 ha novellato pressoché integralmente le norme (articolo 38-bis del D.P.R. n. 633 del 1972) in materia di rimborsi IVA; rispetto alla precedente impostazione della normativa sui rimborsi, che prevedeva in via generale l’obbligo di prestazione di garanzia con specifiche eccezioni. Con le novelle apportata dal D.lgs. n. 175 del 2014 è stata generalizzata l’esecuzione dei rimborsi senza prestazione di garanzia o particolari adempimenti, salvo casi specifici.

Per effetto dell’articolo 7-quater, comma 32 del D.L. n. 193 del 2016, è stata da ultimo elevata da 15.000 a 30.000 euro la soglia dei rimborsi eseguibili senza alcun adempimento. I rimborsi di soglia superiore a 30.000 euro sono subordinati ad una dichiarazione/istanza, al visto di conformità ed ad un’autocertificazione sulle consistenze patrimoniali del soggetto richiedente. Sono poi previste alcune ipotesi nelle quali al contribuente è richiesta la prestazione di idonea garanzia, che comunque sostituisce il visto di conformità.

Si rammenta che la prestazione di garanzia e il visto di conformità non sono più previsti, dal 1° gennaio 2017, per specifiche categorie di soggetti passivi IVA di minori dimensioni sottoposti ad un programma di assistenza da parte dall’Agenzia delle entrate, per effetto di quanto previsto dall’articolo 4 del  decreto legislativo n. 127 del 2015.

 

Con le disposizioni in esame, per le ipotesi residue in cui il soggetto che chiede il rimborso presenta profili di rischio e continua ad essere tenuto a prestare una garanzia a tutela delle somme erogate, si prevede il versamento di una somma a titolo di ristoro delle spese sostenute per il rilascio della garanzia stessa, da effettuarsi quando sia stata definitivamente accertata la spettanza del rimborso.

 

Più in dettaglio, il comma 1 riconosce una somma a ristoro forfetario dei costi sostenuti dai soggetti passivi che, ai sensi delle nuove disposizioni contenute nel comma 4 dell’articolo 38-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, prestano garanzia a favore dello Stato in relazione a richieste di rimborso dell’IVA. Tale ristoro è fissato in misura pari allo 0,15 per cento dell’importo garantito per ogni anno di durata della garanzia.

Detta somma è versata quando sia stato definitivamente accertato che al contribuente spetta il rimborso dell’imposta; nel caso di mancata emissione di un avviso di rettifica o di accertamento ciò si verifica alla scadenza del termine per l’emissione.

 

Per quanto riguarda la decorrenza della disposizione, il comma 2 prevede che la medesima si applica a partire dalle richieste di rimborso fatte con la dichiarazione annuale dell’IVA relativa all’anno 2017 e dalle istanze di rimborso infrannuale relative al primo trimestre 2018.

 

Il comma 3 reca la copertura degli oneri derivanti dalla disposizione in esame.

Per effetto delle modifiche apportate durante l’esame alla Camera, essi sono valutati in 23,5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2018 (in luogo di 7,3 milioni di euro a decorrere dal medesimo anno come previsto dal testo originario del disegno di legge).

Inoltre, in luogo di disporre la sola riduzione del Fondo per il recepimento della normativa europea, si prevede anche l’utilizzo delle quote del predetto Fondo appositamente stanziate per la tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea e la riduzione del FISPE – Fondo per gli interventi strutturali di politica economica.

In particolare, agli oneri predetti si provvede:

-        quanto a 7,3 milioni di euro per l’anno 2018 e a 11,09 milioni a decorrere dall’anno 2019, mediante corrispondente riduzione del Fondo per il recepimento della normativa europea (di cui all’articolo 41-bis della legge 24 dicembre 2012, n. 234);

-        quanto a 16,2 milioni di euro per l’anno 2018 e a 12,41 milioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020, mediante corrispondente utilizzo delle quote del Fondo appositamente stanziate per la tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea dall’articolo 43, comma 9-bis, della medesima legge 24 dicembre 2012, n. 234.

Il predetto comma 9-bis dispone infatti che, ai fini della tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, nel caso di mancata ottemperanza dello Stato alle sentenze medesime, sia riservata una quota del Fondo per il recepimento della normativa europea, nel limite massimo di 50 milioni di euro per l'anno 2016 e di 100 milioni di euro annui per il periodo 2017-2020. A fronte dei pagamenti effettuati, il Ministero dell'economia e delle finanze attiva il procedimento di rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello Stato in favore delle amministrazioni stesse;

-         quanto a 12,41 milioni a decorrere dall’anno 2021, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modifica-zioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.

Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Procedure di contenzioso

Il 26 settembre 2013 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2013/4080) per violazione degli artt. 179 e 183 della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in merito alla disciplina del rimborso IVA.

La citata direttiva prevede che, ove i beni e/o i servizi, acquistati da un operatore, siano da esso finalizzati all'esercizio della propria attività imprenditoriale di cessione/prestazione di servizi, il medesimo operatore possa detrarre dal debito IVA da cui è gravato per legge (cd. IVA a debito), la stessa IVA che gli è stata scaricata dal soggetto da cui ha acquistato detti beni/servizi strumentali (cd. IVA a credito). Se l'ammontare dell'IVA a credito eccede quello dell'IVA a debito, l'art. 183 della direttiva 2006/112CE consente al contribuente di riportare tale eccedenza ad un periodo di imposta successivo, o di ottenerne il rimborso. Al riguardo, nella sentenza C-107/10 la Corte di Giustizia ha precisato che un rimborso procrastinato di oltre tre mesi, rispetto al momento in cui si ingenera il relativo diritto, sarebbe inaccettabile. Ora, dal combinato disposto degli artt. 30 e 38 bis del D.P.R. 26/10/72, n. 633, risulta che la previsione di un periodo non eccedente i suddetti tre mesi, per il rimborso di cui si tratta, sarebbe concesso in Italia non a tutti gli aventi diritto al rimborso stesso, ma solo a quelli, tra loro, che:

·       prestino una cauzione in titoli di Stato o una fideiussione triennale, a garanzia di un'eventuale restituzione dei rimborsi al Fisco, ove gli stessi risultino, in seguito, indebiti;

·       ovvero siano contribuenti cd. "virtuosi", cioè muniti di una serie di requisiti, compreso quello dell'anzianità di almeno 5 anni della propria attività.

Al riguardo, la Commissione osserva che il termine finale di 3 mesi concerne categorie troppo ristrette di contribuenti (laddove dovrebbe coinvolgere la totalità dei medesimi) e, in relazione alle stesse, risulta subordinata alla sussistenza di requisiti troppo onerosi (una fideiussione triennale). Per gli altri contribuenti non rientranti nelle categorie suddette, quindi, il termine del rimborso sarebbe, illegittimamente, prolungato oltre il trimestre. Peraltro, la Commissione osserva che, anche per i contribuenti virtuosi o prestanti cauzione, il termine di tre mesi rimarrebbe, di fatto, non rispettato.

In tema di rimborso dell’IVA, il legislatore italiano è intervenuto con il citato art. 13 del decreto legislativo 175/2014 in cui, tra le altre cose, viene generalizzata l'esecuzione dei rimborsi senza prestazione di garanzia o particolari adempimenti, salvo casi specifici, e vengono specificate le ipotesi nelle quali al contribuente è richiesta la prestazione di idonea garanzia, che comunque sostituisce il visto di conformità.

Nelle ultime comunicazioni, trasmesse per le vie brevi, la Commissione europea chiede alle autorità italiane la trasmissione dei dati statistici relativi ai rimborsi IVA per il secondo semestre 2015 e il primo semestre 2016, nonché rassicurazioni circa l’adozione della norma inerente il rimborso del costo delle garanzie richieste per ottenere il rimborso dell’IVA.

L’art. 7 del DDL in esame interviene sulla violazione contestata dalla Commissione europea nella misura in cui prevede, per le ipotesi residue in cui il soggetto che chiede il rimborso presenta profili di rischio e continua ad essere tenuto a prestare una garanzia a tutela delle somme erogate, il versamento di una somma a titolo di ristoro delle spese sostenute per il rilascio della garanzia stessa, da effettuarsi quando sia stata definitivamente accertata la spettanza del rimborso. Si tratterebbe, peraltro, piuttosto che di un rimborso integrale, della corresponsione di una somma forfetaria dei costi sostenuti per il rilascio della garanzia pari allo 0,15% dell’importo garantito per ogni anno di durata della garanzia stessa.


Articolo 8
(Modifiche alla disciplina delle restituzioni dell'IVA non dovuta - Caso EU Pilot 9164/17/TAXU)

 

L’articolo 8, introdotto alla Camera, intende modificare la vigente disciplina per la presentazione della domanda di restituzione dell’IVA non dovuta. A tal fine, le norme in esame prevedono che essa, in via ordinaria, sia presentata nel termine di due anni dal versamento della medesima imposta o dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione, a pena di decadenza.

Si consente tuttavia il superamento del termine così fissato, nel caso in cui sia applicata un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi che sia stata accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria: in tal caso, i due anni per la presentazione della domanda di restituzione decorrono dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

Gli oneri derivanti dalle norme in esame sono quantificati in 500.000 euro annui a decorrere dal 2017, coperti a carico del FISPE – Fondo per gli interventi strutturali di politica economica.

 

Le norme in esame intendono porre fine alla procedura EU Pilot 9164/17TAXU, con la quale la Commissione europea ha richiesto informazioni relativamente all’interpretazione, da parte delle autorità giudiziarie e dell’autorità fiscale italiana, della sentenza Banca Antoniana Popolare Veneta (C-427/10), in merito alle condizioni di rimborso dell’IVA versata e non dovuta.

Secondo la Corte di Cassazione, il diritto del fornitore al rimborso dell’Iva, nonostante la scadenza del termine (due anni) di decadenza previsto dalla normativa italiana per l'azione di rimborso verso l’Autorità fiscale, riguarda soltanto l’Iva non dovuta che lo stesso fornitore ha dovuto rimborsare al cliente in esecuzione, anche spontanea, di un provvedimento coattivo di rimborso a suo danno ed in favore del cliente. Quindi, secondo la Corte di Cassazione, il diritto del fornitore al rimborso dell’Iva, oltre il termine biennale, sorge soltanto quando la pretesa restitutoria del cliente si concretizza con l'adempimento del comando imperativo da parte del medesimo cliente.

Di conseguenza, il superamento del termine decadenziale di due anni dal versamento dell’IVA non dovuta viene ammesso solo in presenza di un atto di imperio, quale è il “provvedimento coattivo”. Il risultato è, dunque, che l’Agenzia delle entrate nega il rimborso dell’IVA non dovuta, se richiesta dopo il termine di due anni, se è stata rimborsata dal fornitore al suo cliente spontaneamente e non, invece, a seguito di una sentenza del giudice civile che abbia accertato il diritto del cliente ad ottenere tale rimborso. Scopo di tale interpretazione è quello di sottoporre al vaglio dell’Autorità giudiziaria le richieste di rimborso dell’IVA, per evitare che le parti private possano trovare un accordo in danno degli interessi dell’Amministrazione fiscale.

Ciononostante, l’obbligo di sottoporre al giudice civile la richiesta di restituzione dell’IVA non dovuta a favore del cliente che abbia subito la rivalsa appare sproporzionato in tutti i casi in cui l’Amministrazione fiscale sia ben consapevole della non debenza dell’imposta, per effetto di accertamento in capo al fornitore ovvero in capo al cliente.

Si veda, per dettagli, il paragrafo dedicato alle procedure di contenzioso UE (infra).

 

L’articolo 8, comma 1, introduce quindi il nuovo articolo 30-ter nel D.P.R. n. 633 del 1972 (decreto IVA), che specifica la disciplina della restituzione dell’IVA non dovuta.

Il comma 1 dell’articolo 30-ter, in linea generale, chiarisce che il soggetto passivo può presentare la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Tuttavia (comma 2 dell’articolo 30-ter) si stabilisce una deroga ai termini così fissati, nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, ove essa sia stata accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria. In tal caso, infatti, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

Ai sensi del successivo comma 3 dell’articolo 30-ter, la restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.

 

Il comma 2 dell’articolo 8 del provvedimento in esame quantifica l’onere derivante dalle norme in esame in 500.000 euro annui a decorrere dal 2017, disponendo che la relativa copertura finanziaria sia a carico del FISPE - Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282. Si autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti va-riazioni di bilancio.

 

Infine, il comma 3 dell’articolo 8 prevede che ai predetti oneri si applichi la procedura per la compensazione degli oneri che eccedono le previsioni di spesa, disciplinata - in superamento delle clausole di salvaguardia -  dall’articolo 17, commi da 12 a 12-quater, della legge di contabilità generale, legge 31 dicembre 2009, n. 196.

In sintesi le richiamate norme dispongono che, qualora siano in procinto di verificarsi scostamenti degli oneri rispetto alle previsioni, il Ministro dell'economia, in attesa di successive misure correttive, provveda per l'esercizio in corso alla riduzione degli stanziamenti iscritti nello stato di previsione del Ministero competente; qualora i suddetti stanziamenti non siano sufficienti alla copertura finanziaria del maggior onere, allo stesso si dovrà provvedere con DPCM, previa delibera del Consiglio dei ministri, mediante riduzione degli stanziamenti iscritti negli stati di previsione della spesa. Gli schemi di entrambi di decreti vanno trasmessi alle Commissioni bilancio delle Camere, che dovranno esprimersi entro sette giorni dalla data della trasmissione, decorsi i quali i decreti possono comunque essere adottati.

 

Procedure di contenzioso

 

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 9164/17/TAXU, ha chiesto informazioni all’Italia per quanto riguarda  l’interpretazione da parte dell’autorità fiscale italiana della sentenza della Corte di giustizia dell’UE relativa al caso Banca Antoniana Popolare Veneta (C-427/10), in merito alle condizioni di rimborso dell’IVA versata e non dovuta.

In base alla legislazione italiana, il fornitore ha, a pena di decadenza, due anni di tempo dal pagamento dell’imposta per attivare la richiesta di rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria (art. 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546) a fronte del termine decennale di prescrizione a disposizione del cliente per l’azione di ripetizione nei confronti del fornitore (articoli 2033 e 2946 del codice civile).

La Corte di giustizia, nella citata sentenza C-427/10 del 15 dicembre 2011, ha ritenuto che il disallineamento dei termini di rimborso a disposizione, rispettivamente, del fornitore e del cliente non sia, di per sé, incompatibile con l’ordinamento dell’UE. La tutela dei princìpi di effettività e di neutralità esige, tuttavia, che sia garantita la restituzione dell’IVA al fornitore se esposto all’azione di ripetizione del cliente.

In altre parole, la convivenza delle due disposizioni configgenti non deve rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di rimborso dell’imposta non dovuta.

La Corte di Cassazione , con sentenza n. 12666 del 20 luglio 2012, ha stabilito che il diritto del fornitore al rimborso dell’IVA riguarda soltanto l’IVA non dovuta che lo stesso fornitore ha dovuto rimborsare al cliente in seguito a un provvedimento coattivo. Di conseguenza, il superamento del termine decadenziale di due anni dal versamento dell’IVA non dovuta viene ammesso solo in presenza di un atto di imperio, quale è il “provvedimento coattivo”. Il risultato è, dunque, che l’Agenzia delle entrate nega il rimborso dell’IVA non dovuta, se richiesta dopo il termine di due anni, se è stata rimborsata dal fornitore al suo cliente spontaneamente e non a seguito di una sentenza del giudice civile che abbia accertato il diritto del cliente ad ottenere tale rimborso.

Il richiamo al “dovere” di rimborso, risulta finalizzata a garantire che gli effetti dell’indebito pagamento dell’IVA e, dunque, del recupero, non ricadano in danno dell’Erario.

Tuttavia, secondo la Commissione, l’obbligo di sottoporre al giudice civile la richiesta di restituzione dell’IVA non dovuta a favore del cliente che abbia subito la rivalsa, benché comprensibile in linea di principio, appare sproporzionato in tutti i casi in cui l’Amministrazione fiscale sia ben consapevole della non debenza dell’imposta, per effetto di accertamento in capo al fornitore ovvero in capo al cliente.

Pertanto, l’interpretazione della Corte di Cassazione, divenuta prassi per l’Amministrazione fiscale, confliggerebbe con i princìpi di effettività e neutralità, in tutti i casi in cui l’Amministrazione fiscale è consapevole dell’applicazione indebita dell’imposta e dell’inesistenza di un conseguente rischio fiscale, derivante dal rimborso di detta imposta.

Sulla base di queste considerazioni, la Commissione europea rileva l'opportunità di una esplicita norma che consenta al contribuente un più semplice esercizio del proprio diritto al rimborso dell’IVA versata e non dovuta, pur contemperando adeguatamente tale diritto con le esigenze di tutela erariale.

L’art. 8 del DDL in esame interviene sulla violazione contestata dalla Commissione europea nella misura in cui prevede che, nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione possa essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.


 

Articolo 9
(Modifiche al regime di non imponibilità ai fini IVA delle cessioni all'esportazione in attuazione dell'articolo 146, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/112/CE)

 

L’articolo 9 modifica la disciplina concernente la non imponibilità ai fini IVA delle cessioni di beni effettuate nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo, destinati ad essere trasportati o spediti fuori dell'Unione europea in attuazione di finalità umanitarie.

 

In particolare, l'articolo 9, comma 1, introduce la nuova lettera b-bis) nell'articolo 8, primo comma,  del "decreto IVA" (DPR n. 633 del 1972), riconducendo le cessioni di beni - e relative prestazioni accessorie - effettuate nei confronti delle amministrazioni dello Stato e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo (soggetti iscritti nell'elenco di cui all'art. 26, co. 3, della legge n. 125 del 2014), alle cessioni all'esportazione non imponibili ai fini IVA.

 

La disposizione in esame intende attuare quanto previsto dall' art. 146, par. 1, lett. c) della direttiva 2006/112/CE (relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto). Tale norma consente di esentare dall'IVA le cessioni di beni ad organismi riconosciuti che li esportano fuori dall'Unione nell'ambito delle loro attività umanitarie, caritative o educative condotte al di fuori del territorio UE.

 

Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 26, comma 2, della legge n. 125 del 2014 ("Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo") sono soggetti della cooperazione allo sviluppo:

a)  organizzazioni non governative (ONG) specializzate nella cooperazione allo sviluppo e nell'aiuto umanitario;

b)  organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) statutariamente finalizzate alla cooperazione allo sviluppo e alla solidarietà internazionale;

c)  organizzazioni di commercio equo e solidale, della finanza etica e del microcredito che nel proprio statuto prevedano come finalità prioritaria la cooperazione internazionale allo sviluppo;

d)  le organizzazioni e le associazioni delle comunità di immigrati che mantengano con le comunità dei Paesi di origine rapporti di cooperazione e sostegno allo sviluppo o che collaborino con soggetti provvisti dei requisiti di cui al presente articolo e attivi nei Paesi coinvolti;

e)  le imprese cooperative e sociali, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditori, le fondazioni, le organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, e le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, qualora i loro statuti prevedano la cooperazione allo sviluppo tra i fini istituzionali;

f)    le organizzazioni con sede legale in Italia che godono da almeno quattro anni dello status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC).

Ai sensi del comma 3 del medesimo art. 26, sulla base di parametri e criteri fissati dal Comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo (previsto dall'articolo 21 della legge), vengono verificate le competenze e l'esperienza dalle organizzazioni e dagli altri soggetti di cui al comma 2, ai fini dell'iscrizione in apposito elenco dei soggetti della cooperazione pubblicato e aggiornato periodicamente dall'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.

 

Con la novella in esame si applica l'esenzione ai fini IVA alle spedizioni o trasporti al di fuori dell'UE effettuate dal cessionario (o per suo conto) entro 180 giorni dalla consegna. La prova dell’avvenuta esportazione dei beni è data dalla documentazione doganale.

Le modalità della cessione o spedizione in oggetto sono fissate da un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

 

L'articolo 8, primo comma, lett. b), stabilisce che costituiscono cessioni non imponibili le cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio dell'UE, entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto. L'esportazione deve risultare da vidimazione apposta dall'Ufficio doganale o dall'Ufficio postale su un esemplare della fattura. Sono inoltre contemplate alcune eccezioni. La novella pone quindi un termine più ampio rispetto a quello stabilito dall'art. 8, co. 1, lett. b) in via generale. Riguardo ai termini temporali cfr. oltre.

 

Il comma 2 novella l'articolo 7 del D.Lgs. n. 471 del 1997 ("Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi"). Tale articolo 7 fissa la sanzione amministrativa (dal cinquanta al cento per cento del tributo) nei confronti di chi effettua, senza addebito d'imposta, le cessioni all'esportazione - ai sensi dell'articolo 8, primo comma, lettera b) del D.P.R. n. 633 del 1972 - qualora il trasporto o la spedizione fuori del territorio dell'Unione europea non avvenga nel termine ivi prescritto, di 90 gionri. La sanzione non si applica se, nei trenta giorni successivi, viene eseguito, previa regolarizzazione della fattura, il versamento dell'imposta.

Con la modifica in esame si intende estendere tale disciplina sanzionatoria alle cessioni che sono oggetto della disposizione in esame (includendo nel testo dell'articolo 7 il richiamo alla lettera b-bis) di cui si propone l'introduzione), applicabile qualora i beni in questione non dovessero essere effettivamente esportati, in frode alla legge. Si ribadisce che la lett. b-bis) pone il termine di 180 giorni.

 

Con la risoluzione n. 98/E del 10 novembre 2014, l’Agenzia delle entrate ha fornito alcuni chiarimenti riguardo alle cessioni all’esportazione anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza del 19/12/2013 - procedimento C-563/12). Il caso sottoposto al vaglio della Corte di Giustizia coinvolgeva una società ungherese alla quale, in sede di verifica, è stato disconosciuto il diritto di qualificare alcune operazioni come cessione all’esportazione esenti IVA, sulla base del fatto che la spedizione delle merci verso i Paesi terzi era avvenuta dopo il decorso del termine dei 90 giorni previsto dalla legislazione nazionale (termine analogo a quello previsto dalla legislazione italiana). Secondo la Corte, gli Stati membri possono prevedere "termini ragionevoli" per l’effettuazione dell’operazione ai fini delle esenzioni, senza essere perentori. Risulta quindi illegittima una previsione nazionale che preveda che il superamento del termine abbia la conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dall’esenzione.

Conseguentemente la risoluzione 98/E afferma che, ferma la compatibilità con la direttiva del termine di 90 giorni, "risulta aderente al tessuto comunitario anche la procedura di regolarizzazione prevista dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997, da attuare, da parte del cedente nazionale, allo spirare del  suddetto termine di 90 giorni, laddove non abbia la prova che il bene è uscito dal territorio nazionale. Diversamente, non è in linea con la decisione della Corte la soluzione di negare il beneficio della non imponibilità, nonostante sia possibile dimostrare l’uscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione, seppure dopo lo scadere del predetto termine, e di non consentire il recupero dell’IVA corrisposta in sede di regolarizzazione". Sarà quindi possibile recuperare l’IVA nel frattempo versata ai sensi del citato articolo 7, comma 1, del decreto n. 471 del 1997 emettendo una nota di credito (art. 26, secondo comma, del d.P.R. n. 633/1972) oppure mediante una richiesta di rimborso (art. 21 del d.lgs. n. 546/1992).

Come segnalato dalla relazione illustrativa, le suddette considerazioni si applicherebbero per analogia anche allo spirare del termine di 180 giorni previsto dalla nuova lettera b-bis).

 

Il comma 3 abroga l'art. 26, comma 5, della legge n. 125 del 2014. Tale comma 5 reca la disciplina attualmente vigente sulla non imponibilità ai fini dell'IVA delle cessioni in oggetto.

 

L'articolo 26, comma 5, stabilisce che le cessioni di beni a favore di amministrazione e soggetti della cooperazione sono da considerarsi non imponibili agli effetti dell'IVA ai sensi dell'articolo 8-bis del DPR n. 633/1972. Tale articolo 8-bis reca l'elenco delle operazioni non ricomprese nell'articolo 8 ma comunque assimilate alle cessioni all'esportazione non imponibili.


Articolo 10
(Agevolazioni fiscali per le navi iscritte nei Registri dei Paesi dell’Unione europea o dello SEE. Caso EU-Pilot 7060/14/TAXU)

 

L’articolo 10 estende il regime fiscale agevolato per le navi iscritte al Registro Internazionale Italiano (RII) anche a favore dei soggetti residenti e non residenti con stabile organizzazione in Italia che utilizzano navi, adibite esclusivamente a traffici commerciali, iscritte in registri di Paesi dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo.

 

Le misure agevolative oggetto di estensione sono le seguenti:

-      credito d’imposta in misura corrispondente all’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta sulle retribuzioni corrisposte al personale di bordo imbarcato, da valere ai fini del versamento delle ritenute alla fonte relative a tali redditi (articolo 4, comma 1, della legge n. 457 del 1997);

-      concorrenza nella misura del 20 per cento del reddito prodotto con navi iscritte nel Registro Internazionale a formare il reddito complessivo assoggettabile all’IRPEF e all’IRES (articolo 4, comma 2, della legge n. 457 del 1997);

-      esclusione dalla base imponibile IRAP del valore della produzione realizzato mediante l’utilizzo di navi iscritte al Registro Internazionale (articolo 12, comma 3 del D.Lgs. n. 446 del 1997);

-      regime forfetario, opzionale, di determinazione del reddito armatoriale: c.d. tonnage tax (articolo 155, comma 1, del TUIR).

 

Il comma 1 prevede che la suddetta estensione avviene a decorrere dal periodo d’imposta nel quale entra in vigore il decreto ministeriale attuativo previsto dal comma 3.

 

Il comma 2 prevede che le disposizioni del comma 1 si applichino a condizione che sia rispettato quanto stabilito dalle seguenti disposizioni:

 

-        gli articoli 1, comma 5, e 3 del DL n. 457 del 1997;

Si tratta delle norme che pongono i limiti al cabotaggio pe le navi iscritte al Registro Internazionale. Il comma 5 dell’art. 1, vieta infatti il cabotaggio per tali navi, ma prevede un'attenuazione di tale riserva generale, che consente il servizio di cabotaggio delle navi iscritte al Registro internazionale per le navi da carico di oltre 650 tonnellate di stazza lorda con i seguenti limiti:

·        un viaggio di cabotaggio mensile quando il viaggio di cabotaggio segua o preceda un viaggio in provenienza o diretto verso un altro Stato, se si osservano i requisiti di nazionalità dell'equipaggio di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c): sostanzialmente sono richiesti 6 ufficiali di nazionalità UE compreso il comandante;

·        sei viaggi di cabotaggio al mese, oppure viaggi illimitati ma ciascuno con percorrenza superiore alle cento miglia marine, se sono rispettati i criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), e del comma 1-bis , cioè se l'equipaggio è interamente di cittadinanza comunitaria oppure extracomunitario qualora sia stata utilizzata la deroga del comma 1-bis, cioè in presenza di specifici accordi sindacali nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore,

·         per le navi traghetto ro-ro (roll on roll off, ossia che traghettano mezzi gommati) e ro-ro pax (roll on roll off passengers, ossia che traghettano mezzi gommati e/o passeggeri), adibite a traffici commerciali tra porti appartenenti al territorio nazionale, continentale e/o insulare, anche a seguito o in precedenza di un viaggio proveniente da o diretto verso un altro Stato, solamente qualora sia imbarcato esclusivamente personale italiano o comunitario (tale previsione è stata introdotta dal D.Lgs. n. 221 del 2016).

L’art. 3 del DL 457/1997 prevede che le condizioni economiche, normative, previdenziali ed assicurative dei marittimi italiani o comunitari imbarcati sulle navi iscritte nel Registro internazionale sono disciplinate dalla legge regolatrice del contratto di arruolamento e dai contratti collettivi dei singoli Stati membri. Il rapporto di lavoro del personale non comunitario non residente nell'Unione europea, imbarcato a bordo delle navi iscritte nel Registro internazionale, è invece regolamentato dalla legge scelta dalle parti e comunque nel rispetto delle convenzioni OIL in materia di lavoro marittimo

 

-        l’articolo 317 del Codice della navigazione, che disciplina la composizione e la forza minima dell'equipaggio;

L’art. 317 dispone che sia il comandante del porto a provvedere all'applicazione delle disposizioni di legge riguardanti la determinazione del numero minimo degli ufficiali di coperta e di macchina, e dei relativi gradi, nonché la composizione e la forza minima dell'intero equipaggio.

 

-        l’articolo 426 del regolamento per l’esecuzione del Codice della navigazione (D.p.r. 15 febbraio 1952, n. 328), che disciplina i poteri del comandante del porto relativamente alla formazione degli equipaggi

L’art. 426 prevede che nella formazione dell'equipaggio della nave, spetti esclusivamente al comandante del porto, che ha facoltà di negare le spedizioni alla nave il cui equipaggio non sia composto in conformità alle norme:

1. accertare che l'equipaggio comprenda il numero di marittimi di stato maggiore e di bassa forza, ritenuto indispensabile alla sicurezza della navigazione;

2. vigilare che sia garantita l'osservanza delle leggi sul lavoro applicabili ai marittimi e delle norme sulle condizioni per l'igiene e abitabilità dei locali destinati all'equipaggio;

3. vigilare sull'osservanza delle tabelle di armamento stabilite, secondo i casi, dal Ministero o nei contratti collettivi d'arruolamento.

 

Il comma 3 demanda ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’attuazione delle disposizioni previste dai commi 1 e 2. Tale decreto deve essere adottato entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge in esame.

 

Il comma 4  individua le coperture finanziarie degli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 20 milioni di euro per il 2018 e a 11 milioni di euro a decorrere dal 2019. A tali oneri si provvede mediante riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea (articolo 41-bis della legge n . 234 del 2012).

 

Procedure di contenzioso

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 7060/14/TAXU, pone la questione della compatibilità con il diritto dell’UE delle vigenti disposizioni concernenti i regimi di determinazione del reddito imponibile delle imprese marittime (art. 4 del decreto legge 457/1997 e artt. da 155 a 161 del Testo Unico delle Imposte sul Reddito, TUIR).

In particolare, la Commissione rileva che il requisito dell'immatricolazione della nave nel Registro internazionale italiano (RII) ai fini della concessione dei benefici fiscali di cui alle disposizioni richiamate potrebbe costituire una condizione discriminatoria nei confronti dei soggetti esercenti attività di traffico marittimo internazionale stabiliti in altri Stati dell'UE o dello Spazio economico europeo (SEE), ponendosi dunque come una restrizione contraria alla libertà di stabilimento, quale garantita dall’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) e dall’art. 31 dell’Accordo SEE. Inoltre, ad avviso della Commissione, l'applicazione di misure fiscali di vantaggio ai soli esercenti navi immatricolate nel RII potrebbe dissuadere lo stabilimento in Italia da parte di soggetti residenti in altri Stati dell'UE o dello SEE esercenti l'attività di traffico marittimo internazionale nella misura in cui probabilmente le navi da essi utilizzate sono registrate nel Registro navale dei rispettivi Stati. La legislazione italiana, infatti, instaura una differenza di trattamento fiscale in funzione della nazionalità del mezzo di esecuzione della prestazione che, in quanto tale, potrebbe costituire una restrizione contraria alla libertà di prestazione dei servizi, quale garantita dall’art. 56 del TFUE e 36 dell’Accordo SEE.

L’art. 7 del DDL in esame dovrebbe consentire la chiusura del caso EU-Pilot 7060/14/TAXU, dal momento che estende il vigente regime fiscale agevolato relativo ai soggetti esercenti navi iscritte al Registro Internazionale Italiano (RII) anche nei confronti di soggetti residenti e non residenti con stabile organizzazione in Italia che utilizzano navi iscritte in Registri di Paesi UE o SEE.

Peraltro, si può osservare che le modalità di attuazione della nuova normativa sono rinviate ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dall’entrata in vigore della Legge europea.


 

Articolo 11
(Disposizioni relative agli ex lettori di lingua straniera. Caso EU-pilot 2079/11/EMPL)

 

L’articolo 11 stanzia risorse per consentire il superamento del contenzioso relativo alla ricostruzione di carriera degli ex lettori di lingua straniera assunti nelle università statali prima dell’entrata in vigore del D.L. 120/1995 (L. 236/1995), con il quale è stata introdotta nell’ordinamento nazionale la nuova figura del “collaboratore esperto linguistico”.

Secondo la relazione illustrativa dell’A.C. 4505, la disposizione intende risolvere il caso EU Pilot 2079/11/EMPL, nell’ambito del quale la Commissione europea ha chiesto chiarimenti all’Italia circa la compatibilità dell'art. 26, co. 3, ultimo capoverso, della L. 240/2010 – che ha stabilito l'automatica estinzione dei giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, relativi al trattamento economico degli ex lettori – con l'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che tutela il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.

In particolare, la Commissione, pur ritenendo che l'automatica estinzione dei giudizi pendenti potrebbe essere vista come logica conseguenza di una definizione in via legislativa della questione oggetto di controversia, si è interrogata sulla necessità e la proporzionalità della restrizione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (più ampiamente, v. infra par. Procedure di contenzioso).

 

Nello specifico, l’art. 11 prevede che, a decorrere dal 2017, il Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO)[13] è incrementato di € 8.705.000[14] destinati, a titolo di cofinanziamento, alla copertura degli oneri derivanti dai contratti integrativi di sede perfezionati dalle università statali italiane e volti a superare il contenzioso in atto, nonché a prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso nei confronti delle medesime università da parte degli ex lettori di lingua straniera.

Al riguardo, la relazione illustrativa e l’analisi tecnico-normativa dell’A.C. 4505 facevano presente che, sui circa 500 ex lettori in servizio nelle università statali, circa 260 hanno un contenzioso pendente con gli atenei dai quali dipendono.

La relazione tecnica dell’A.C. 4505, a sua volta, evidenziava che l’onere complessivo pari a € 8.705.000 annui è calcolato moltiplicando il costo massimo pro capite per l’adeguamento stipendiale (pari a € 33.480) per le 260 unità interessate.

 

Le risorse sono destinate esclusivamente alle università che perfezionano i contratti integrativi di sede – definiti, a livello di singolo ateneo, secondo uno schema-tipo da emanare con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge – entro il 31 dicembre 2017. Lo stesso decreto definisce i criteri di ripartizione delle stesse risorse.

Al relativo onere si provvede, quanto a € 8.705.000 per il 2017 e a decorrere dal 2019, e quanto a € 5.135.000 per il 2018, mediante corrispondente riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea (art. 41-bis della L. 234/2012). Per la quota non coperta, per il 2018, a valere sul citato fondo, pari a € 3.570.000, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per il medesimo anno, del fondo speciale di parte corrente relativo al MEF.

 

Al riguardo, occorre ricordare che l’art. 28 del DPR 382/1980 aveva previsto la possibilità per le università di assumere – con contratto di diritto privato di durata massima pari ad un anno accademico, rinnovabile per un massimo di cinque anni consecutivi –, in relazione ad effettive esigenze di esercitazioni degli studenti di corsi di lingua, e anche al di fuori di specifici accordi internazionali, lettori di madre lingua straniera di qualificata e riconosciuta competenza, accertata dalla facoltà interessata, in numero non superiore al rapporto di uno a centocinquanta tra il lettore e gli studenti effettivamente frequentanti il corso. I relativi oneri erano coperti con finanziamenti a tale scopo predisposti per ciascuna università con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il CUN.

Tale disciplina è stata censurata dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 55 del 23 febbraio 1989, nella parte in cui non consentiva il rinnovo annuale per più di cinque anni dei suddetti contratti.

Ulteriori censure, sotto diversi profili, sono derivate dalle sentenze della Corte di Giustizia europea del 30 maggio 1989 (causa 33/88) e del 2 agosto 1993 (cause riunite C-259/91, C-331/91 e C-332/91), nonché dalla procedura di infrazione n. 92/4660.

E’ stato conseguentemente approvato il citato D.L. 120/1995 (L. 236/1995), il cui art. 4 ha dettato una nuova disciplina, abrogando contestualmente l’art. 28 del DPR 382/1980.

Nello specifico, la nuova disciplina – rimettendo, tra l’altro, gli oneri a carico dei bilanci dei singoli atenei, anche a seguito dell’intervenuta autonomia finanziaria degli stessi (art. 5, L. 537/1993) – ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 1994, le università possono assumere, compatibilmente con le risorse disponibili nei propri bilanci, per esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche, anche mediante apposite strutture d'ateneo, istituite secondo i propri ordinamenti, collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre (CEL) – in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere e di idonea qualificazione e competenza – con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato ovvero, per esigenze temporanee, a tempo determinato. L'assunzione avviene per selezione pubblica, le cui modalità sono disciplinate dalle università, secondo i rispettivi ordinamenti.

Sempre in base all’art. 4 citato, le università avevano l'obbligo di assumere prioritariamente i titolari dei contratti di cui all'art. 28 del DPR 382/1980, in servizio nell'a.a. 1993-1994, nonché quelli cessati dal servizio per scadenza del termine dell'incarico, salvo che la mancata rinnovazione fosse dipesa da inidoneità o da soppressione del posto. Il personale così assunto conservava i diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti.

 

Con sentenza del 26 giugno 2001 (causa C-212/99), la Corte di giustizia europea ha però stabilito che l’Italia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 39 del Trattato CE “con riferimento alla prassi amministrativa e contrattuale posta in essere da alcune università pubbliche [Università degli studi della Basilicata, di Milano, Palermo, Pisa, La Sapienza di Roma e L'Orientale di Napoli], prassi che si traduce nel mancato riconoscimento dei diritti quesiti degli ex lettori di lingua straniera, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali”, in quanto “ai collaboratori linguistici non è stata riconosciuta, in termini di trattamento economico e previdenziale, l'anzianità di servizio che avevano acquisito come lettori di lingua straniera prima dell'entrata in vigore della L. 236/1995”[15]. Ne è derivata la condanna alle spese.

In seguito a tale condanna, la Commissione europea ha chiesto all’Italia di dare adempimento alla sentenza sopra citata, e da ultimo, con parere motivato del 30 aprile 2003, le ha concesso un termine di 2 mesi dalla notifica dello stesso, per adottare gli strumenti necessari.

 

L’intervento normativo in esecuzione della sentenza è stato effettuato nel 2004. In particolare, l’art. 1, co. 1, del D.L. 2/2004 (L. 63/2004) ha attribuito ai collaboratori esperti linguistici presso le sei università sopra indicate, già destinatari di contratti stipulati ai sensi dell'art. 28 del DPR 382/1980, un trattamento economico, proporzionale all'impegno orario assolto – tenendo conto che l'impegno pieno corrisponde a 500 ore –, corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli. La richiamata equiparazione è stata disposta ai soli fini economici, con esclusione dell’esercizio da parte dei collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente.

 

Il 4 marzo 2004 la Commissione europea ha presentato ricorso alla Corte di giustizia europea chiedendo l’accertamento del persistente inadempimento dell’Italia nei confronti della sentenza 26 giugno 2001 e il pagamento di una penale giornaliera.

La Corte di giustizia europea, con sentenza 18 luglio 2006 (causa C-119/04), ha accertato l'inadempimento dei suddetti obblighicon riferimento alla situazione esistente prima dell'entrata in vigore del D.L. 2/2004 – per la mancata attuazione da parte dell'Italia dei provvedimenti richiesti dalla esecuzione della pronuncia del 26 giugno 2001, nel termine di due mesi assegnato dal parere motivato della Commissione del 30 aprile 2003. Ha, peraltro, escluso la permanenza del suddetto inadempimento, alla data dell'esame dei fatti, nel quadro normativo stabilito dal D.L. 2/2004.

 

Nel frattempo, la Corte di Cassazione sezione Lavoro, con le sentenze 21856/2004 e 5909/2005, ha esteso l’ambito di applicazione del D.L. 2/2004, in particolare affermando che: “la delimitazione del campo di applicazione di tale nuova normativa alle università specificatamente indicate non può interferire sul valore di ulteriore fonte di diritto comunitario che deve essere attribuito alle sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità europee, ed in particolare alla citata sentenza del 26 giugno 2001, che la normativa stessa intende eseguire. Pertanto, il trattamento spettante secondo questa disciplina deve essere riconosciuto a tutti gli appartenenti alla categoria dei collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera ancorché dipendenti da università diverse da quelle contemplate” (Cass. n. 5909/2005)[16].

 

Da ultimo, l’art. 26, co. 3, della L. 240/2010 ha disposto che l’art. 1, co. 1, del D.L. 2/2004 si interpreta nel senso che ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all'impegno orario effettivamente assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell'art. 28 del DPR 382/1980, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell'art. 4 del D.L. 120/1995.

Inoltre, ha disposto che, a decorrere da quest'ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l'importo corrispondente alla differenza tra l'ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal D.L. 2/2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile a norma del D.L. 120/1995. Ha, infine, previsto l’estinzione dei giudizi in materia, in corso alla data di entrata in vigore della legge[17] [18].

 

Al riguardo, l’analisi tecnico-normativa dell’A.C. 4505 faceva presente che, a fronte di quanto previsto dall’art. 26, co. 3, della L. 240/2010, molti ex lettori hanno avviato un contenzioso nei confronti degli atenei dai quali dipendono, reclamando il diritto a conservare una retribuzione e una progressione economica corrispondente a quelle dei ricercatori confermati anche per i periodi successivi al 1994 (anno di instaurazione del nuovo rapporto di lavoro quali collaboratori esperti linguistici).

Sempre l’analisi tecnico-normativa evidenzia che il contenzioso, in alcuni casi, si è risolto con pronunce sfavorevoli per le università (Cassazione, sezione lavoro: 28 settembre 2016, n. 19190; 15 ottobre 2014, n. 21831; 5 luglio 2011, n. 14705).

Al riguardo, nella risposta del 16 dicembre 2014 all'interrogazione discussa nella 7^ Commissione del Senato n. 3-00189, il rappresentante del Governo ha rimarcato che “il contenzioso è particolarmente delicato per quelle università (tra le quali l’università di Catania) che hanno, in un primo momento, riconosciuto ai lettori lo stipendio del ricercatore universitario anche dopo la trasformazione del rapporto di lavoro in CEL e poi, con l’entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, hanno modificato tale trattamento economico procedendo al recupero delle somme già percepite dagli interessati”.

 

Con riguardo alla estinzione dei giudizi, la Corte di Cassazione sezione Lavoro, con ordinanza n. 79/2017, ha rimesso una serie di ricorsi al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, a seguito dei diversi orientamenti giurisprudenziali maturati nel corso del tempo, che l’ordinanza riassume.

In particolare, ha evidenziato che la stessa Cassazione – a partire dalla sentenza n. 2941 del 7 febbraio 2013 – ha applicato la disciplina generale ex art. 310 c.p.c., stabilendo che, ove la controversia sia pendente in Cassazione, con l’estinzione si determina il passaggio in giudicato della sentenza di merito. Ciò ha poi riguardato anche fattispecie in cui le sentenze di appello avevano accolto le pretese dei lettori anche in termini più favorevoli rispetto alle previsioni di legge. Peraltro, l’ordinanza evidenzia come recenti sentenze della stessa Cassazione (da ultimo la n. 10190/2016) hanno circoscritto l’estinzione ai soli processi in cui rilevi l’assetto dato dal legislatore alla materia. In tali casi l’estinzione – riguardando il giudizio e non il processo – dovrebbe investire anche le pronunce rese nel frattempo, siano esse favorevoli o sfavorevoli ai lettori, sì da evitare disparità di trattamento.

Inoltre, l’ordinanza evidenzia che non appaiono omogenee le posizioni assunte dalla Cassazione nel corso del tempo, circa la resistenza del giudicato alla sopravvenienza della nuova normativa che ha trasformato la figura del lettore.

 

 

Procedure di contenzioso

 

Il 22 dicembre 2014 la Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 2079/11/EMPL, ha chiesto chiarimenti all’Italia circa la compatibilità dell'articolo 26, comma 3, ultimo capoverso, della legge n. 240 del 30 dicembre 2010, che stabilisce l'automatica estinzione dei giudizi pendenti relativi al trattamento economico degli ex lettori, con l'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che tutela il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.

In particolare, la Commissione rileva che la disposizione contestata è stata introdotta nel contesto della nuova regolamentazione del trattamento economico degli ex lettori, la quale mira a riportare le pertinenti disposizioni di diritto nazionale in linea con il diritto dell'Unione, ed in particolare con l'articolo 45 TFUE, come interpretato dalla Corte di giustizia nella causa C-212/99.

In questa ottica, l'automatica estinzione dei giudizi pendenti potrebbe essere vista come logica conseguenza del fatto che, in seguito alla definizione in via legislativa della questione oggetto di controversia, tali giudizi sarebbero effettivamente privati della loro ragion d'essere.

La Commissione ritiene che ragioni di economia processuale, ed in particolare l'esigenza di evitare un inutile dispendio di risorse pubbliche e garantire una deflazione del contenzioso, assicurando in tal modo il buon andamento dell'amministrazione della giustizia, possano in linea di principio giustificare un intervento del legislatore quale quello in questione. Tuttavia, si interroga sulla necessità e la proporzionalità della restrizione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva che deriva dalla contestata disposizione.

La Commissione ritiene pertanto necessario ottenere chiarimenti da parte delle autorità italiane circa:

·       il numero di procedimenti interessati dall'applicazione della disposizione contestata, al fine di valutare se l'automatica estinzione dei procedimenti sia effettivamente necessaria a perseguire gli obiettivi di economia processuale;

·       quali siano le conseguenze concrete prodotte dall'applicazione della norma contestata sui diritti sostanziali e processuali delle parti nei procedimenti interessati;

·       con  riguardo alle modalità della declaratoria di estinzione, se in tale caso l'estinzione avvenga in modo automatico ovvero debba essere pronunciata dal giudice a seguito di una valutazione delle circostanze da effettuarsi caso per caso;

·       se la declaratoria di estinzione debba essere pronunciata per "cessazione della materia del contendere", ovvero per altri motivi;

·       se sia soggetta ad un obbligo di motivazione, se sia subordinata ad una valutazione del giudice circa l'eventuale esistenza di pretese residuali (incluse eventuali domande di risarcimento dei danni) e se sia impugnabile (e in caso affermativo, con quali mezzi e a quali condizioni);

·       se l'impossibilità di conseguire una pronuncia nel merito, che sembra derivare dall'estinzione del giudizio, abbia in concreto effetti pregiudizievoli per le parti, con particolare riguardo all'obiettivo di ottenere una celere ed effettiva soddisfazione delle pretese economiche fondate sull'articolo 26, comma 3, della legge 240/2010. In tale contesto, le autorità italiane sono in particolare invitate a fornire informazioni dettagliate a proposito dei seguenti elementi: l'esistenza di garanzie circa il rimborso delle spese legali di avvio del procedimento e degli altri costi sostenuti per intentare l'azione giudiziaria; l'esistenza di garanzie circa la possibilità di ottenere il risarcimento di eventuali danni.

L’art. 11 del DDL legge europea non modifica la norma contestata (articolo 26, comma 3, ultimo capoverso, della legge n 240/2010), ma incide sulla chiusura dei contenziosi attuali, con conseguente risparmio delle spese legali. Infatti, per superare il contenzioso in atto e prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso, la norma prevede che agli ex lettori di madrelingua sarà almeno attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione. Tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici di qualsiasi funzione docente.

 


Articolo 12
 (Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/2203 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e ai caseinati destinati all'alimentazione umana e che abroga la direttiva 83/417/CEE del Consiglio. Procedura di infrazione n. 2017/0129
)

 

 

L’articolo 12, riguardante la sicurezza dei prodotti alimentari a base di caseina, prevede disposizioni di attuazione della direttiva 2015/2203/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e ai caseinati destinati all'alimentazione umana e che abroga la direttiva 83/417/CEE del Consiglio.

 

Il presente articolo adegua la normativa vigente alle nuove disposizioni attualmente in vigore, anche in tema di etichettatura, contenute nel regolamento (UE) n. 1169/2011; ma, soprattutto, esso è volto a dare recepimento alla direttiva (UE) 2015/2203, avente lo scopo di:

      allineare i poteri conferiti alla Commissione dalla nuova distinzione introdotta dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE); la proposta è intesa a delineare il conferimento dei poteri alla Commissione nel nuovo contesto giuridico creato dal trattato di Lisbona;

      tener conto della nuova legislazione adottata nel frattempo, segnatamente per quanto riguarda l'alimentazione umana (la direttiva 2000/13/CE, il regolamento (CE) n. 178/2002, il regolamento (CE) n. 882/2004, il regolamento (CE) n. 1332/2008 ed il regolamento (CE) n. 1333/2008);

      adeguare i requisiti di composizione dei prodotti interessati alle norme internazionali pertinenti adottate dal Codex Alimentarius. Tale adeguamento implica due modifiche: il tenore massimo di umidità della caseina alimentare aumenta dal 10% al 12% e il tenore massimo di grassi del latte della caseina acida alimentare è ridotto dal 2,25% al 2%.

Obiettivo della direttiva, oggetto del presente recepimento, è dunque quello di facilitare la libera circolazione delle caseine e dei caseinati destinati all'alimentazione umana, garantendo, al contempo, un elevato livello di tutela della salute, nonché allineare le disposizioni vigenti nei singoli Stati alla legislazione generale dell'Unione ed a quella internazionale.

L’articolo 21 della legge di delegazione europea 2014 (legge n. 170/2016) aveva autorizzato il Governo a dare attuazione alla predetta direttiva mediante regolamento; ma, considerata l’esigenza di dettare anche una disciplina sanzionatoria (al fine di adeguare l’importo delle sanzioni amministrative previste dall’articolo 8 del D.P.R. n. 180 del 1988), si è ritenuto necessario adottare, mediante recepimento diretto, un provvedimento di rango primario.

 

Il comma 1 definisce l’ambito oggettivo di applicazione della norma, ossia la produzione e la commercializzazione delle caseine e dei caseinati destinati all’alimentazione umana e alle loro miscele.

 

Le caseine e i caseinati destinati all’alimentazione umana sono una categoria di lattoproteine ossia di proteine ottenute dalla coagulazione del latte.

Nel settore alimentare sono utilizzate come coadiuvanti tecnologici in molti alimenti, ad esempio, nel vino, nei dolciumi, nelle caramelle e vengono altresì impiegate quali ingredienti nei salumi dove fungono da collante.

Nel panorama caseario europeo, è permesso l'utilizzo di caseine e di caseinati, come alternativa al latte, nella produzione di formaggi entro un massimo del 10 per cento dell'intera produzione.

La caseina viene prodotta solo quando il latte viene lavorato per la produzione di burro e sono pochi, quindi, i produttori che possono permettersi impianti completi.

L'uso della caseina è esteso anche ad una larga parte dell'industria, per la sua proprietà di eccellente collante ecologico; si utilizza, ad esempio, nella produzione di gomma, guarnizioni, produzione di fuochi artificiali e patinatura di carta.

Fino a pochi anni fa, la Commissione europea finanziava i produttori di caseina e caseinati per gli alti costi di produzione; attualmente, invece, tali finanziamenti non vengono più erogati.

I caseinati sono invece quei prodotti ottenuti mediante essiccazione delle caseine non neutralizzanti.

I produttori utilizzano i caseinati perché il loro costo è più basso rispetto al latte, in quanto i caseinati vengono prodotti in paesi come Argentina, Nuova Zelanda e Australia, dove il costo del latte è inferiore a quello europeo e tale, dunque, da rendere più conveniente un prodotto per ottenere il quale occorre sostenere costi industriali importanti: acidificazione del latte, separazione ed essiccazione delle caseine.

 

Il comma 2 introduce, secondo le indicazione della direttiva, la definizione di «caseina acida alimentare”, di «caseina presamica alimentare e di «caseinati alimentari”.

Il comma 3 descrive le indicazioni obbligatorie che i prodotti, aventi ad oggetto caseine e caseinati, devono riportare su imballaggi, recipienti o etichette in caratteri ben visibili, chiaramente leggibili ed indelebili.

Il comma 4 individua quali indicazioni devono obbligatoriamente figurare in lingua italiana, potendo anche essere riportate in altra lingua.

Il comma 5 contempla, come indicato nella direttiva, la possibilità di deroga per alcune delle indicazioni obbligatorie (quali la indicazione del tenore di proteine per le miscele contenenti caseinati alimentari, la quantità netta di prodotti espressa in chilogrammi, il nome o ragione sociale dell’operatore del settore alimentare e l’indicazione del Paese di origine nel caso di provenienza da un Paese terzo), che potrebbero essere inserite solo nel documento di accompagnamento.

Il comma 6 prevede che, quando il tenore minimo di proteine del latte, stabilito all'allegato I, sezione I, lettera a), punto 2, all'allegato I, sezione II, lettera a), punto 2, e all'allegato II, lettera a), punto 2, della direttiva (UE) 2015/2203 risulta superato, è possibile indicarlo in modo adeguato sugli imballaggi, sui recipienti o sulle etichette dei prodotti.

 

In merito agli allegati, si rappresenta che nell’articolo si rinvia al contenuto degli allegati della stessa direttiva, considerato che gli articoli 5 e 6 della direttiva prevedono che, al fine di tener conto della evoluzione delle norme internazionali applicabili e del progresso tecnico, la Commissione ha il potere di adottare atti delegati al fine di modificare le norme stabilite agli allegati I e II, i quali stabiliscono, in particolare, i fattori essenziali di composizione delle caseine, i contaminanti, le impurità, i coadiuvanti tecnologici, le colture batteriche, gli ingredienti autorizzati e le caratteristiche organolettiche delle caseine.

 

Il comma 7 detta una disposizione riguardante lo smaltimento delle scorte: la Camera ha però modificato le regole di commercializzazione dei lotti di prodotto, fabbricati anteriormente all’entrata in vigore della legge proposta, e delle etichette non conformi a quanto sancito dallo stesso. Ora sarà possibile la loro commercializzazione fino ad esaurimento delle scorte e comunque entro e non oltre 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, ma dovrà trattarsi, nel caso delle predette etichette, solo di quelle stampate anteriormente alla data dell'entrata in vigore della legge. La medesima Camera ha inserito il comma 8, ai sensi del quale resta salva, in ogni caso, la possibilità di utilizzare etichette e materiali di confezionamento non conformi: ciò a condizione che siano integrati con le informazioni obbligatorie previste dall'articolo in commento, mediante l’apposizione di etichette adesive inamovibili e graficamente riconoscibili.

 

I commi 9, 10, 11, 12, 13 e 14 introducono norme sanzionatorie riguardanti le prescrizioni in materia di sicurezza e di commercializzazione di tali prodotti, prevedendo tre ipotesi di illecito amministrativo, facendo salve le ipotesi in cui le condotte descritte integrino una fattispecie di illecito penale.

 

Si prevede, in particolare, che integri un illecito amministrativo la condotta di colui che:

1)       utilizza - per la preparazione di alimenti - caseine o caseinati che non rispondono ai requisiti previsti dalla direttiva, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro mille ad euro diecimila; una causa di salvaguardia è stata in proposito introdotta dalla Camera, secondo cui tali sanzioni previste non si applicano a chi utilizza caseine e caseinati in confezioni originali, qualora la non corrispondenza alle prescrizioni riguardi i requisiti intrinseci o la composizione dei prodotti o le condizioni interne dei recipienti e sempre che l'utilizzatore non sia a conoscenza della violazione o la confezione originale non presenti segni di alterazione;

2)       denomina le caseine o i caseinati, commercializzati per usi diversi, in modo tale da indurre in errore il consumatore sul loro effettivo uso, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquecento ad euro cinquemila;

3)       pone in commercio, con le denominazioni indicate nel comma 2 ovvero con altre denominazioni similari che possono indurre in errore l’acquirente, prodotti non rispondenti ai requisiti stabiliti dall’art. 9 in commento, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquecento ad euro cinquemila;

4)       pone in commercio i prodotti di cui al comma 2, con una denominazione comunque diversa da quelle prescritte dal medesimo articolo in esame, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro duecentocinquanta ad euro duemilacinquecento;

5)       viola le disposizioni stabilite nel comma 3 dello stesso articolo relative alle indicazioni obbligatorie che devono essere apposte su imballaggi, recipienti, etichette o documenti, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro cinquecento ad euro cinquemila.

 

I commi 15 e 16 individuano le Autorità competenti ad accertare le violazioni - in conformità alle previsioni contenute nell’articolo 2 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 193 - e ad irrogare le sanzioni previste (con la procedura della legge n. 689/1981, capo primo, sezione seconda). A livello nazionale, le autorità competenti ad effettuare tali attività sono il Ministero della salute, per la parte relativa alla sicurezza alimentare e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per la parte relativa ai controlli qualitativi e quantitativi. A livello territoriale, le autorità competenti sono le regioni, le province autonome e le ASL. Le amministrazioni svolgeranno tali attività con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Il comma 17 detta una specifica clausola di invarianza finanziaria. In effetti, in merito ai controlli in materia di sicurezza alimentare, già la citata normativa prevede che le autorità competenti siano il Ministero della salute, le Regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e le aziende sanitarie locali, nell’ambito delle rispettive competenze: secondo la relazione tecnica, «trattasi, pertanto, di attività istituzionali delle medesime, fronteggiabili con le risorse disponibili a legislazione vigente. Le attività di controllo di competenza del Ministero della salute sono già coperte dalle risorse previste dal capitolo di spesa 5010 del Ministero della salute “Spese per il potenziamento ed il miglioramento dell'efficacia della programmazione e dell'attuazione del piano nazionale integrato dei controlli”, mentre i controlli di competenza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sono coperti con le risorse finanziarie già destinate al funzionamento e all’operatività dell’Ispettorato centrale repressione frodi (Missione 1 “Agricoltura, politiche agroalimentari e pesca” Programma 1.4 “Vigilanza, prevenzione e repressione frodi nel settore agricolo, agroalimentare, agroindustriale e forestale”, capitoli n. 2460 e n. 2461 “Spese per acquisti di beni e servizi” e pertinenti piani gestionali)».

 

Il comma 18 dispone l’abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio1988, n. 180 con il quale era stata recepita la direttiva 83/417/CEE, ora abrogata dalla direttiva (UE) 2015/2203.

 

La direttiva 83/417/CEE del Consiglio del 25 luglio 1983, recepita con il decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988 n. 180, prevedeva il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri per talune lattoproteine (caseine e caseinati), destinate all’alimentazione umana. La suddetta direttiva armonizzava, a livello europeo, le caratteristiche di composizione e di fabbricazione delle suddette caseine, al fine di fornire una regolamentazione uniforme delle stesse. Dall'entrata in vigore della direttiva erano intervenuti vari cambiamenti, in particolare, lo sviluppo di un ampio quadro normativo nel settore del diritto alimentare e l'adozione di una norma internazionale relativa ai prodotti alimentari a base di caseina, da parte della Commissione europea, di cui oggi occorre tenere conto.

 

Procedure di contenzioso

 

L'articolo 12 è finalizzato all’archiviazione della procedura di infrazione n. 2017/0129, allo stadio di messa in mora ex art. 258 TFUE, avviata dalla Commissione europea il 24 gennaio 2017 (SG-Greffe(2017)D/1429) per mancato recepimento della direttiva entro il termine in essa contenuto (22 dicembre 2016).

 


Articolo 13
(Disposizioni in materia di anagrafe equina per l'adeguamento al regolamento (UE) 2016/429 e al regolamento (UE) 2015/262)

 

L'articolo 13, risultante da un inserimento deciso dalla Camera dei deputati, attiene all'organizzazione della banca dati degli equidi, per adeguarla alle normative europee sopraggiunte.

Ai sensi del comma 1 il Ministero della salute organizza e gestisce l'anagrafe degli equidi, avvalendosi della banca dati informatizzata istituita ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 196.

A partire dal 2000, in Italia, è operante una Banca Dati Nazionale (BDN) delle anagrafi zootecniche, collocata fisicamente presso il Centro Servizi Nazionale, attivato presso l’istituto zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo e Molise. La banca dati comprende 7 anagrafi diverse: anagrafe bovina; anagrafe ovina e caprina; anagrafe suina; anagrafe avicola; anagrafe equidi; anagrafe apistica; registrazione

Il comma 2 dispone che entro 180 giorni un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, definisca le procedure tecnico-operative per la gestione e il funzionamento dell'anagrafe degli equidi.

Si rammenta che, nella legislazione vigente, con l'Anagrafe equina il legislatore aveva inteso conseguire, tra le altre, le seguenti finalità: tutela della salute pubblica e tutela del patrimonio zootecnico (costituzione e funzionalità della rete di epidemio-sorveglianza); tutela economica e valorizzazione del patrimonio zootecnico; fornire il basilare supporto per trasmettere informazioni al consumatore di carni di equidi e consentire un’etichettatura adeguata e chiara del prodotto; assicurare la regolarità delle corse dei cavalli nonché garantire efficienza ed efficacia nella gestione dei controlli sulle corse stesse; prevenire e controllare il fenomeno dell’abigeato. La normativa proposta si collega, almeno nella rubrica, ad esigenze sopraggiunte e fatte proprie dal regolamento (UE) 2016/429 e dal regolamento (UE) 2015/262: si tratterebbe di assicurare livelli elevati di sanità animale e di sanità pubblica nell'Unione nonché lo sviluppo razionale del settore agricolo e dell'acquacoltura, e di aumentare la produttività, nonché evitare la diffusione delle malattie infettive.

Per il comma 3, alla data del decreto è abrogato il comma 15 dell'articolo 8 del decreto decreto-legge 24 giugno 2003, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla legge 1º agosto 2003, n. 200.

Con il D.L. n. 147/2003 era stata ufficialmente istituita l’Anagrafe degli Equidi, con l’obiettivo di creare una banca dati che permetta l’identificazione univoca degli equidi presenti sul territorio nazionale. In particolare, l’articolo 8, comma 15 ha disposto che l’UNIRE[19] - sulla base delle linee guida e dei princìpi stabiliti dal MIPAAF - organizzasse e gestisse l'anagrafe equina nell'àmbito del SIAN, articolandola per razza, tipologia d'uso e diffusione territoriale. L'Anagrafe equina è stata poi regolamentata con i D.M. 5 maggio 2006, 9 ottobre 2007 e 29 dicembre 2009.

Conseguentemente, a decorrere dall'anno 2018 le risorse dedicate (i 43.404 euro annui di cui al capitolo 7762, iscritto nello stato di previsione della spesa del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nell'ambito della missione «Agricoltura, politiche agroalimentari e pesca», programma «Politiche competitive, della qualità agroalimentare, della pesca, dell'ippica e mezzi tecnici di produzione») sono trasferite in apposito capitolo di spesa dello stato di previsione del Ministero della salute. Ai sensi del comma 4 il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 


 

Articolo 14
(Modifica all'articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71, in materia di norme sanitarie per la gente di mare – Caso EU-Pilot 8443/16/MOVE)

 

L’articolo 14, inserito durante l’esame alla Camera, chiarisce che il periodo di validità del certificato medico dei lavoratori marittimi, nel caso in cui il medesimo scada durante il viaggio, può essere prorogato, senza oneri per la finanza pubblica, per un periodo non superiore a tre mesi.

 

L’intervento legislativo è attuato mediante una novella alle disposizioni sanitarie di cui all’articolo 12, comma 5, del D.Lgs. 71/2015, che consentono la proroga della validità del certificato medico dei lavoratori marittimi nel caso in cui il medesimo scada durante il viaggio.

La disposizione in esame stabilisce che il certificato medico rimane in vigore fino all'arrivo nel successivo porto di scalo dove sia disponibile un medico, a condizione che il periodo in questione non superi i tre mesi (comma 1).

E’ prevista infine una clausola di salvaguardia degli oneri a carico della finanza pubblica per l’attuazione delle disposizioni in esame (comma 2).

 

Il sopra richiamato decreto legislativo n. 71 ha attuato la direttiva 2012/35/UE modificativa della direttiva 2008/106/CE in materia di requisiti minimi della formazione della gente di mare. La disposizione in esame è volta a risolvere, per gli aspetti di competenza del Ministero della salute, il Caso EU Pilot 8443/16/MOVE, avviato dalla Commissione europea nel quadro del sistema di comunicazione EU Pilot. La Commissione ha, infatti, eccepito che la disposizione di cui al sopra richiamato comma 5, art. 71 del D.Lgs. 71/2015 non sia conforme all’articolo 11, par. 6, della direttiva 2008/106/CE e alla regola I/9.6 sugli standard medici previsti dalla Convenzione STCW[20] perché non chiarisce sufficientemente che il periodo di validità del certificato medico dei lavoratori marittimi, nel caso in cui il medesimo scada durante il viaggio, non può essere prorogata per un periodo superiore a tre mesi.

 

Procedure di contenzioso

 

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 8443/16/MOVE, avrebbe rilevato una serie di carenze nell’attuazione della direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare.

In particolare, la Commissione invita le autorità italiane a fornire chiarimenti sui seguenti punti:

·     modulo di allineamento relativo agli ufficiali di coperta e agli ufficiali di macchina: non è chiaro se siano incluse nella bozza di programma una serie di competenze, tra cui: "mantenere una guardia di navigazione sicura", "mantenere la nave nelle condizioni di sicurezza in mare", "garantire la conformità alle disposizioni di prevenzione dell'inquinamento";

·     corsi di livello direttivo: la Commissione intende verificare se i programmi dei suddetti corsi siano conformi alle norme previste dalla  Convenzione internazionale sui requisiti minimi di formazione per la gente di mare (Standards of Training, Certification and Watchkeeping, STCW);

·     corsi di specializzazione: le autorità italiane dovrebbero fornire chiarimenti circa la conformità alla direttiva 2008/106/CE e alla Convenzione STCW del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 30 novembre 2016, relativo ai requisiti per il rilascio dei titoli per la navigazione nazionale costiera: in particolare, il decreto esclude le persone che prestano servizio esclusivamente a bordo di navi operanti in viaggi costieri (Near  Coastal Voyages, NCV) nazionali dall'obbligo di conformarsi alla direttiva (nonché alla convenzione STCW), rilasciando loro certificati (''titoli") contemplati esclusivamente da disposizioni nazionali. La direttiva, invece, non distingue tra “viaggi internazionali” e “nazionali” nell’ambito dell’area NCV;

·     programma relativo agli ufficiali di coperta in "Trasporti e logistica. Conduzione del mezzo": le autorità italiane dovrebbero fornire documenti e informazioni del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca MIUR, atti a dimostrare il completamento del programma da parte di tutte le scuole;

·     programma relativo agli ufficiali di macchina in "Trasporti e logistica. Conduzione del mezzo": si ritiene necessario verificare che tale programma sia stato aggiornato al fine di includervi la voce "manutenzione e riparazione, quali smontaggio, regolazione e rimontaggio di macchinari e attrezzature";

·     corsi non riconosciuti dall’amministrazione: le autorità italiane sono invitate a fornire chiarimenti comprovanti che le università interessate abbiano allineato i propri programmi, in particolare quelli della corso di laurea in “Scienze nautiche e aeronautiche” alle prescrizioni della citata direttiva;

·     prove pratiche non effettuate in materia di addestramento nella lotta antincendio: le autorità italiane dovrebbero fornire la versione ufficiale del decreto che disciplina i corsi di addestramento antincendio di base e avanzato;

·     norme sanitarie: la normativa italiana (articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 71/2015) stabilisce che, se il periodo di validità di un certificato medico scade durante il viaggio, il certificato continua ad essere valido fino al prossimo porto di scalo dove sia disponibile un medico ivi autorizzato. Tuttavia questa disposizione non è conforme all'articolo 11, paragrafo 6 della direttiva 2008/*106/CE e alla regola I/9.6 della convenzione STCW, in base ai quali tale periodo di validità non può superare i tre mesi;

·     convalida dei certificati di competenza: le autorità italiane dovrebbero fornire adeguate prove del fatto che i certificati di competenza per ufficiali di macchina di livello direttivo, qualora non sia stata impartita una formazione pratica relativa a/funzionamento  e alla manutenzione di alcuni tipi di apparato motore di propulsione, riportino tali limitazioni nella convalida.

Al riguardo si segnala che la misura inserita nella disposizione riguarda unicamente la sola questione relativa alle norme sanitarie.

 

 

 


Articolo 15
(Disposizioni sanzionatorie per la violazione dell’articolo 48 del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio di sostanze e miscele)

 

L’articolo 15, inserito nel corso dell’esame alla Camera, introduce un nuovo illecito amministrativo, punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 60.000 euro, a carico di chiunque viola le disposizioni in materia di pubblicità previste dall’art. 48 del Regolamento (CE) n. 1272/2008 (Regolamento CLP) sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio di sostanze e miscele.

In particolare, il comma 1 della nuova disposizione inserisce l’articolo 10-bis nel decreto legislativo n. 186 del 2011[21], che detta la disciplina sanzionatoria recata dal citato Regolamento 1272/2008.

Più precisamente, l’introdotto articolo 10-bis dispone le sanzioni amministrative pecuniarie, da 10.000 a 60.000 euro, comminate per le violazione delle prescrizioni in materia di pubblicità di cui all’art. 48, paragrafi 1 e 2, primo periodo, del Regolamento (CE) n. 1272/2008, in base alle quali:

§  la pubblicità delle sostanze classificate come pericolose deve menzionare le classi o le categorie di pericolo;

§  la pubblicità di una miscela classificata come pericolosa o contenente una sostanza classificata come pericolosa (di cui all’articolo 25, par. 6, dello stesso Regolamento CLP), che permetta a una persona di concludere un contratto d'acquisto senza aver prima preso visione dell'etichetta deve menzionare il tipo o i tipi di pericoli che sono indicati nell'etichetta.

L’illecito amministrativo trova applicazione “salvo che il fatto costituisca reato” (clausola di riserva penale).

 

Si ricorda che il Regolamento CLP detta i criteri per la classificazione e le norme relative all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele, stabilendo, tra l’altro, l’obbligo per i fornitori di etichettare ed imballare le sostanze e le miscele classificate come pericolose in conformità allo stesso regolamento, prima di immetterle sul mercato. Inoltre, prevede norme volte ad evitare l’esposizione accidentale alle sostanze chimiche pericolose fornite al pubblico e l’avvelenamento dei consumatori, con particolare riferimento ai minori.

Per quanto qui interessa, la violazione punita è quella relativa alle prescrizioni in materia di pubblicità previste all’articolo 48, par. 1 e 2, primo periodo, del richiamato regolamento (CE) n. 1272/2008. Al par. 1, tale norma prevede, infatti, che qualsiasi pubblicità per una sostanza classificata come pericolosa deve menzionarne le classi o le categorie di pericolo. Inoltre, ogni pubblicità per una miscela classificata come pericolosa a cui si applica l’art. 25, par. 6 del medesimo regolamento (obbligo di etichettatura con indicazioni supplementari) che comporti la conclusione di un contratto d’acquisto, senza che la persona interessata allo stesso abbia preventivamente preso visione dell’etichetta, deve menzionare il tipo o i tipi di pericoli che sono indicati nell’etichetta (par. 2).

La ratio della norma, che appare rivolta a chiunque operi nel commercio a distanza di sostanze chimiche e miscele, è quella di una maggiore responsabilizzazione per comportamenti non conformi al principio di precauzione per la sicurezza dei consumatori e per la tutela della salute.

 

Il comma 2 dell’art. 15 reca la clausola di invarianza finanziaria.

Gli interventi, infatti, a legislazione vigente, rientrano già nel “Piano   nazionale del controlli sui prodotti chimici[22] (emanato annualmente) previsti dall’Accordo Stato-regioni del 29 ottobre 2009 e pertanto tutte le risorse necessarie risulterebbero già strutturate e disponibili senza oneri aggiuntivi.

 

 


 

Articolo 16
(Disposizioni in materia di tutela delle acque. Monitoraggio delle sostanze chimiche. Caso EU-Pilot 7304/15/ENVI)

 

L’articolo 16 integra le disposizioni, dettate dall’art. 78-sexies del cd. Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006, d’ora in avanti Codice), relative ai metodi di analisi utilizzati per il monitoraggio dello stato delle acque - al fine di garantire l’intercomparabilità, a livello di distretto idrografico, dei risultati del monitoraggio medesimo, nonché la valutazione delle tendenze ascendenti e d’inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee - onde pervenire al superamento di alcune delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell’ambito del caso EU Pilot 7304/15/ENVI.

A tal fine, viene previsto che le autorità di bacino distrettuali promuovano intese con le regioni e le province autonome ricadenti nel distretto idrografico di competenza.

La norma precisa altresì che l’intercomparabilità, che le intese dovranno perseguire a livello di distretto idrografico, dovrà riguardare i dati del monitoraggio:

·       delle sostanze prioritarie di cui alle tabelle l/A e 2/A dell’allegato 1 (nel corso dell’esame in Commissione è stato precisato che l’allegato in questione è quello alla parte terza del Codice);

Si ricorda che la tabella 1/A dell’allegato 1 alla parte terza del Codice indica gli standard di qualità ambientale nella colonna d'acqua e nel biota per le sostanze dell'elenco di priorità, mentre la successiva tabella 2/A indica gli standard di qualità ambientale nei sedimenti nei corpi idrici marino-costieri e di transizione.

·       e delle sostanze non prioritarie di cui alla tabella l/B del medesimo allegato 1.

Nella tabella 1/B sono definiti gli standard di qualità ambientale per alcune delle sostanze appartenenti alle famiglie di cui all’Allegato 8 (che fornisce un elenco indicativo dei principali inquinanti).

 

Nel corso dell’esame in Commissione alla Camera dei deputati è stato inserito un periodo che, ai fini del monitoraggio e della valutazione dello stato di qualità delle acque, prevede che le autorità di bacino distrettuali promuovano altresì intese (con i medesimi soggetti di cui sopra, vale a dire con le regioni e le province autonome ricadenti nel distretto idrografico di competenza) finalizzate all’adozione di una metodologia di valutazione delle tendenze ascendenti e di inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee.

Si fa notare che l’assenza di metodologie per la valutazione delle tendenze ascendenti e d'inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee è una delle questioni poste dalla Commissione all’attenzione delle autorità italiane.

 

Per garantire il raggiungimento delle finalità indicate, viene altresì previsto che l’ISPRA provveda alla pubblicazione sul proprio sito web, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge, dell’elenco dei laboratori del sistema agenziale dotati delle metodiche analitiche disponibili a costi sostenibili, conformi ai requisiti di cui al paragrafo A.2.8.-bis della sezione A "Stato delle acque superficiali" della parte 2 "Modalità per la classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici" dell'allegato 1 alla parte terza del Codice (v. infra).

 

L’articolo 78-sexies è stato inserito nel cd. Codice dell’ambiente dall'art. 1, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 10 dicembre 2010, n. 219, recante “Attuazione della direttiva 2008/105/CE relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE, 86/280/CEE, nonché modifica della direttiva 2000/60/CE e recepimento della direttiva 2009/90/CE che stabilisce, conformemente alla direttiva 2000/60/CE, specifiche tecniche per l'analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque”.

Il testo vigente del comma 1 dell’art. 78-sexies del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) affida all’ISPRA il compito di verificare che i requisiti minimi di prestazione per tutti i metodi di analisi siano basati su una incertezza di misura definita conformemente ai criteri tecnici riportati al paragrafo A.2.8.-bis della sezione A "Stato delle acque superficiali" della parte 2 "Modalità per la classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici" dell'allegato 1 alla parte terza del Codice.

Il successivo comma 2 dispone che, in mancanza di standard di qualità ambientali per un dato parametro o di un metodo di analisi che rispetti i requisiti minimi di prestazione citati, le ARPA e le APPA assicurano che il monitoraggio sia svolto applicando le migliori tecniche disponibili a costi sostenibili.

Le disposizioni dettate dall’art. 78-sexies consentono di recepire il disposto dell’art. 4 della direttiva 2009/90/CE.

In base al paragrafo 1 dell’art. 4, gli Stati membri verificano che i criteri minimi di efficienza per tutti i metodi di analisi siano basati su un'incertezza di misura pari o inferiore al 50% (k = 2) stimata al livello degli standard di qualità ambientale pertinenti e su un limite di quantificazione pari o inferiore al 30% rispetto agli standard di qualità ambientale pertinenti.

Il recepimento delle soglie indicate da tale articolo è operato dalla nuova lettera A. 2.8.-bis (anch’essa inserita nel testo del Codice dal citato D.Lgs. 219/2010) che, nel disciplinare i “requisiti minimi di prestazione per i metodi di analisi e calcolo dei valori medi”, prescrive, tra l’altro, le seguenti prestazioni minime dei metodi di misurazione:

·     alle concentrazioni dello standard di qualità (SQA-MA ed SQA-CMA) l'incertezza estesa associata al risultato di misura non deve essere superiore al 50% del valore dello standard di qualità. L'incertezza estesa sarà ottenuta … ponendo il fattore di copertura k uguale a 2;

·     il limite di quantificazione dei metodi deve essere uguale od inferiore al 30% dei valori dello standard di qualità (SQA-MA);

·     per quanto riguarda la valutazione dell'incertezza di misura, per i metodi che includono i dati di precisione … il laboratorio che li adotta deve “verificare che l'incertezza estesa (k=2) ottenuta dal dato di riproducibilità del metodo sia inferiore al 50% del valore dello standard di qualità”.

 

Il paragrafo 2 dell’articolo 4 dispone che, in mancanza di standard di qualità ambientale per un dato parametro o di un metodo di analisi che rispetti i criteri minimi di efficienza stabiliti al paragrafo 1, gli Stati membri assicurano che il monitoraggio sia svolto applicando le migliori tecniche disponibili che non comportino costi eccessivi.

Occorre inoltre ricordare che, secondo il 1° considerando della medesima direttiva, “occorre garantire la qualità e la comparabilità dei risultati analitici ottenuti dai laboratori incaricati dalle autorità nazionali competenti di effettuare il monitoraggio chimico delle acque, come previsto dall'articolo 8 della direttiva 2000/60/CE”.

Il richiamato articolo 8 della direttiva quadro sulle acque (direttiva 2000/60/CE) stabilisce che gli Stati membri provvedono a elaborare programmi di monitoraggio dello stato delle acque al fine di definire una visione coerente e globale dello stato delle acque all'interno di ciascun distretto idrografico e prevede l’adozione di specifiche tecniche e metodi uniformi per analizzare e monitorare lo stato delle acque.

 

La relazione illustrativa sottolinea che le disposizioni del D.Lgs. 219/2010 hanno “attribuito alle regioni, attraverso le agenzie regionali dell’ambiente (ARPA e APPA), la facoltà di scelta delle migliori tecniche disponibili (MTD) per il monitoraggio delle sostanze chimiche. In alcuni casi, però, l’applicazione di diverse metodiche analitiche sullo stesso corpo idrico comune a più regioni ha portato a risultati analitici diversi e incoerenti tra le diverse regioni ricadenti nel medesimo distretto”.

Per tale motivo, quindi, e per garantire il rispetto del requisito dell’intercomparabilità previsto dalla normativa europea, sono dettate le disposizioni dell’articolo in esame.

 

L’art. 2, comma 1, dello Statuto approvato con D.M. Ambiente 27 novembre 2013 ha attribuito, tra l’altro, all’ISPRA, compiti di controllo, di monitoraggio e di valutazione con riferimento alla tutela delle acque. Il comma 4 dell’art. 2 dello statuto prevede altresì che l’ISPRA garantisce, attraverso il coordinamento del sistema agenziale, anche l’accuratezza delle misurazioni e il rispetto degli obiettivi di qualità e di convalida dei dati, provvedendo, fra l’altro, all’approvazione di sistemi di misurazione, all’adozione di linee guida e all’accreditamento dei laboratori.

La relazione illustrativa sottolinea che l’elenco dei laboratori dotati delle metodiche analitiche conformi ai requisiti di cui al citato paragrafo A.2.8.-bis verrà reso disponibile mediante la pubblicazione dello stesso in una sezione dedicata del sito di ISPRA, attraverso il Sistema informativo nazionale per la tutela delle acque italiane (SINTAI).

Sul sito del SINTAI si legge che l'ISPRA, per gli specifici compiti assegnati in materia di tutela delle acque, ha progettato, realizzato e messo in opera il SINTAI, attraverso il quale tutte le attività relative alla gestione delle informazioni vengono espletate. In particolare nel SINTAI sono disponibili tutti i dati prodotti dal sistema delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente e trasmessi all'ISPRA dalle regioni e province autonome.

Si fa infine notare che la messa a disposizione delle informazioni tramite il sistema SINTAI è contemplata anche dall’art. 78-ter del D.lgs. 152/2006 (inserito dall’art. 1 del D.Lgs. 219/2010), che disciplina l’inventario dei rilasci da fonte diffusa, degli scarichi e delle perdite.

 

Si ricorda che la legge n. 132 del 28 giugno 2016, entrata in vigore il 14 gennaio 2017, è volta a istituire il Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente (SNPA), di cui fanno parte l'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e le agenzie regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano per la protezione dell'ambiente, nonché a intervenire sulla disciplina dell'ISPRA.

L’art. 4, comma 2, dispone che l'ISPRA, fermi restando i compiti e le funzioni ad esso attribuiti dalla normativa vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, adegua la propria struttura organizzativa e tecnica al perseguimento degli obiettivi fissati dalla legge e prevede, tra l’altro, l’adeguamento dello statuto dell’ISPRA - entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge (cioè entro il 14 maggio 2017) - “per la parte relativa alle funzioni conferite dalla presente legge”.

 

Procedure di contenzioso

 

Secondo la Commissione europea, vi sarebbero numerosi esempi di cattiva o incompleta applicazione della direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque.

In particolare, la Commissione europea, nell’ambito del caso EU Pilot 7304/15/ENVI,  avrebbe chiesto di ricevere chiarimenti e informazioni in merito alle seguenti questioni.

 

Insufficiente coordinamento nell'implementazione della direttiva

La Commissione europea avrebbe sollevato dubbi sull’esistenza di un adeguato meccanismo di coordinamento che assicuri che gli obiettivi della direttiva siano perseguiti nell’intero distretto idrografico, come previsto dall’articolo 3, comma 4, della direttiva. Ad avviso della Commissione europea, la valutazione dei Piani di gestione dei bacini idrografici (RBMPs) mostrerebbe significative differenze nell'implementazione della direttiva all'interno dei diversi distretti di bacino idrografico italiani, con importanti differenze nell'approccio seguito dalle regioni per l'implementazione di alcuni punti chiave delle direttiva, come ad esempio la valutazione delle pressioni e degli impatti, i programmi di monitoraggio, le modalità con le quali sono stati stabiliti gli obiettivi e i programmi delle misure.

 

Incompleto monitoraggio ed incompleta valutazione dello stato della qualità delle acque

La valutazione da parte della Commissione europea dei RBMPs avrebbe rilevato importanti carenze nei programmi di monitoraggio finalizzati alla definizione dello stato di qualità delle acque, ai sensi dell’articolo 8 della direttiva, che prevede che gli Stati elaborino programmi di monitoraggio dello stato delle acque al fine di definire una visione coerente e globale dello stato delle acque all'interno di ciascun distretto idrografico.

In particolare, vi sarebbero le seguenti carenze nei programmi di monitoraggio:

·       il metodo della fauna ittica, che è un indice di qualità per la classificazione dello stato ecologico dei corsi d'acqua, dei laghi e delle acque di transizione, non sarebbe stato elaborato né “intercalibrato" per consentire la comparabilità dei diversi metodi per la valutazione della qualità delle acque. Secondo la Commissione non vi sarebbero garanzie che una metodologia comune sarà applicabile (da tutte le regioni) in tempo per il secondo ciclo dei Piani di gestione dei bacini idrografici;

·       non sarebbero stati effettuati adeguati monitoraggi né valutazioni degli inquinanti specifici. L'Italia, con il D.M. 260/2010, ha adottato una lista di 51 inquinanti specifici, ma dalle informazioni delle Autorità Italiane risulterebbe che non tutte le regioni abbiano iniziato il monitoraggio di queste sostanze;

·       non sarebbe stata fissata una metodologia per la definizione del buon potenziale ecologico per tutti i corpi idrici artificiali e fortemente modificati, al fine di raggiungere un buono stato chimico. La definizione di una metodologia che fissi gli obiettivi per i corsi d'acqua artificiali e fortemente modificati è considerata di fondamentale importanza per l'Italia, dato il loro considerevole numero (1638, circa il 20% del totale dei corpi idrici superficiali);

·       fino ad ora non sarebbero state intraprese azioni in merito alla determinazione delle pressioni quantitative sulle acque sotterranee, (con particolare riferimento alle regioni Sicilia, Calabria e Basilicata), essenziale per la valutazione dello stato delle acque sotterranee e per determinare se gli obiettivi ambientali per le acque sotterranee possono essere raggiunti;

·       il monitoraggio delle sostanze prioritarie, ossia delle sostanze chimiche con un rischio significativo per l’ambiente acquatico per le quali l’UE riconosce priorità di intervento, sarebbe incompleto in diverse regioni italiane;

·       lo standard di qualità delle acque stabilito dall’Italia per il mercurio potrebbe non essere sufficientemente protettivo.

 

Assenza di metodologie per la valutazione delle tendenze ascendenti e d'inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee

Secondo la Commissione europea, vi sarebbe la mancanza di una metodologia di valutazione delle tendenze ascendenti e d'inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee nella maggior parte dei Distretti di bacino idrografico; pertanto, le autorità italiane dovrebbero chiarire quando tale metodologia sarà stabilita.

 

Mancanza di giustificazione delle esenzioni

La Commissione europea sottolinea che gli obiettivi ambientali della direttiva in esame sono vincolanti e che i Piani di Bacino dovrebbero includere giustificazioni per l'applicazione delle esenzioni. Ad avviso della Commissione, i Piani di Bacino italiani non includerebbero tali giustificazioni, nonostante l'applicazione delle esenzioni sia significativa sia per i corpi idrici superficiali che per quelli sotterranei.

 

Identificazione di programmi di misure

La valutazione effettuata dai servizi della Commissione sui Piani di Bacino italiani avrebbe rilevato una mancanza di collegamento tra le analisi delle pressioni e il programma delle misure. La direttiva in esame prevede che gli Stati Membri stabiliscano un programma di misure per il raggiungimento degli obiettivi, tenendo conto dei risultati delle analisi delle pressioni e degli impatti, che costituiscono la base per identificare il gap esistente per il raggiungimento dello stato di qualità ambientale in ciascun corpo idrico.

 

Prezzi dell'acqua in agricoltura

Secondo la Commissione europea, l'incentivazione dei prezzi in Italia sarebbe molto debole, specialmente nel settore agricolo. Infatti, non ci sarebbe un meccanismo in atto che assicuri un uso efficiente dell'acqua in agricoltura: non è richiesta alcuna misurazione dei volumi di acqua prelevati e il prezzo dell'acqua in agricoltura non è legato al volume di acqua utilizzato. Pertanto, la politica dei prezzi attuale non fornirebbe adeguati incentivi per gli utilizzatori affinché usino l'acqua in modo efficiente. Pertanto, le autorità italiane dovrebbero spiegare come vengono assicurati il meccanismo di incentivazione dei prezzi e il recupero dei costi finanziari, ambientali e della risorsa nel settore agricolo.

 

Altre questioni legate al settore agricolo

Le autorità italiane dovrebbero, infine, chiarire se saranno introdotte nuove misure vincolanti per gli agricoltori nei Programmi di Misure nel secondo ciclo dei Piani di gestione, relative, in particolare: alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento diffuso dovuto a azoto, fosforo e inquinanti organici, fitofarmaci; alla prevenzione e riduzione dell’erosione dei sedimenti e del suolo; alla protezione della struttura morfologica dei corsi d’acqua. Inoltre, le autorità italiane sono invitate a chiarire i limiti dei nutrienti (nitrati e fosfati) fissati per il buono stato dei corsi d’acqua.

 

Come affermato nella relazione del Governo, la disposizione è finalizzata a superare solo una delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell’ambito del caso EU Pilot 7304/15/ENVI relative alla non corretta applicazione, a livello nazionale, della direttiva 2009/90/CE. In particolare, l’intervento è volto ad assicurare l’intercomparabilità, a livello di distretto idrografico (previsto all’articolo 3 della direttiva 2000/60/CE), dei dati di monitoraggio delle sostanze chimiche e, di conseguenza, dello stato ecologico e chimico dei corpi idrici superficiali. La disposizione mira altresì a rispondere ad un’ulteriore contestazione del caso EU Pilot 7304/15/ENVI circa la mancanza di una metodologia di valutazione delle tendenze ascendenti e d’inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee.

 

 


Articolo 17
(Corretta attuazione della direttiva 91/27l/CEE in materia di acque reflue urbane, con riferimento all’applicazione dei limiti di emissione degli scarichi idrici)

 

L’articolo 17, modificato nel corso dell’esame alla Camera, interviene, al comma 1, sulla disciplina relativa ai limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, stabilendo che gli stessi limiti (riferiti al contenuto di fosforo e azoto) devono essere monitorati e rispettati non in relazione alla potenzialità dell’impianto ma, più in generale, al carico inquinante generato dall’agglomerato urbano.

Il comma 2 esclude che tali ulteriori attività di monitoraggio e controllo comportino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e, in base ad una modifica approvata dalla Camera, a carico della tariffa del servizio idrico integrato per le attività svolte dal gestore unico del servizio.

Nel corso dell’esame alla Camera è stato inoltre inserito il comma 3, che esclude effetti derivanti dalla modifica di cui al comma 1 su quanto disposto dall’articolo 92 del D.Lgs. 152/2006, che disciplina le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, e sulla sua applicazione in relazione ai limiti di utilizzo delle materie agricole contenenti azoto nelle medesime aree.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame modifica la tabella 2 dell’allegato 5 alla Parte Terza del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), la quale fissa limiti di emissione (riferiti al contenuto di fosforo e di azoto) per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, graduati in ragione delle diverse potenzialità dell’impianto di trattamento delle acque medesime.

La tabella 2 (che si riporta di seguito) prevede infatti limiti più severi per potenzialità impiantistiche superiori a 100.000 abitanti equivalenti (A.E.) e limiti meno stringenti per potenzialità comprese tra 10.000 e 100.000 A.E.

Tabella 2. Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili.

Parametri (media annua)

Potenzialità impianto in A.E.

 

10.000 - 100.000

> 100.000

 

Concentrazione

% di riduzione

Concentrazione

% di riduzione

Fosforo totale (P mg/L)

? 2

80

? 1

80

Azoto totale (N mg/L)

? 15

70-80

? 10

70-80

 

La modifica in esame consiste nella sostituzione del titolo della seconda colonna “Potenzialità impianto in A.E.” con la dicitura “Carico generato dall’agglomerato in A.E.”, al fine appunto di riferire i limiti riportati dalla tabella non più alla potenzialità dell’impianto, bensì al carico generato dall’agglomerato.

 

Secondo la relazione illustrativa ciò implica quindi una estensione del campo di applicazione della norma, poiché i controlli sulla qualità degli scarichi dovranno essere effettuati sulla “totalità degli impianti di depurazione al servizio degli agglomerati superiori a 10.000 A.E., i cui scarichi recapitano in aree sensibili”. Pertanto, sempre secondo la relazione, si potrebbe avere “limitatamente ad alcune situazioni territoriali, ossia agglomerati con carico generato maggiore di 10.000 abitanti equivalenti e scarico in area sensibile, un aumento del numero degli impianti di depurazione da sottoporre a monitoraggio” che “si tradurrebbe in un aumento del numero di campioni da prelevare e sottoporre ad analisi per verificare il rispetto dei valori limite”.

Ai sensi dell’art. 5, paragrafo 2, della direttiva 91/271/CEE, gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, ad un trattamento più spinto di quello standard “per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti”. La relazione illustrativa sottolinea quindi che “secondo la direttiva, dunque, per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, l’elemento discriminante per l’applicazione dei limiti di emissione previsti non è la potenzialità dell’impianto, bensì il carico inquinante generato dall’agglomerato, espresso in abitanti equivalenti”.

La medesima relazione ricorda che il riferimento nella Tabella 2 alla potenzialità dell’impianto in A.E. - che è stato contestato (benché solo informalmente) dalla Commissione europea nell’ambito delle procedure d’infrazione avviate sulle acque reflue urbane (procedure d’infrazione 2004/2034, 2009/2034 e 2014/2059) - ha “determinato, in diversi casi, una non corretta applicazione della direttiva 91/271/CEE”.

 

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che le eventuali ulteriori attività di monitoraggio e controllo – come specificato nel corso dell’esame alla Camera - derivanti dall’estensione operata dal comma 1, sono svolte con le risorse disponibili a legislazione vigente, nei limiti delle disponibilità di bilancio degli organi di controllo e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Nel corso dell’esame alla Camera il comma 2 è stato integrato al fine di disporre che non vi siano nuovi o maggiori oneri nemmeno a carico della tariffa del servizio idrico integrato, per le attività svolte dal gestore unico del servizio idrico integrato.

Si fa notare che nella relazione illustrativa al testo iniziale del ddl si chiariva che gli eventuali oneri connessi alle ulteriori attività, “trattandosi di attività che rientrano nella gestione degli impianti di depurazione, saranno coperti con i proventi derivanti dalla tariffa del servizio idrico integrato, a norma dell’articolo 154, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.

Relativamente alla tariffa del servizio idrico, disciplinata dall’art. 154 del D.Lgs. 152/2006, si ricorda che la richiamata norma dispone, tra l’altro, che la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio «chi inquina paga».

 

Il comma 3, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, prevede che dall’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non devono derivare effetti sulle materie disciplinate ai sensi dell’art. 92 del D.Lgs. 152/2006, né conseguenze sull’applicazione del medesimo articolo in relazione ai limiti di utilizzo di materie agricole contenenti azoto, in particolare degli effluenti zootecnici e dei fertilizzanti, nelle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola.

L’art. 92 del D.lgs. 152/2006 disciplina l’individuazione delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, secondo i criteri previsti nell’Allegato 7/A-I alla parte terza del medesimo decreto legislativo. In particolare, l’Allegato 7/A-I considera zone vulnerabili le zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali di scarichi.

Ai fini di una prima individuazione sono state designate quali zone vulnerabili determinate aree elencate nel medesimo Allegato 7/A-III.

Ogni quattro anni sono aggiornati, rispettivamente, i criteri previsti nell’Allegato 7/A-I con decreto del Ministro dell'ambiente, sentita la Conferenza Stato-regioni, e l’elenco delle zone vulnerabili da parte delle regioni, sentita l’Autorità di Bacino (commi 1-5).

Nelle zone individuate devono essere attuati specifici programmi di azione per la tutela e il risanamento delle acque dall'inquinamento causato da nitrati di origine agricola, nonché le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali 19 aprile 1999 (pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 102 del 4 maggio 1999) (comma 6).

I Programmi di azione sono obbligatoriamente definiti dalle regioni, sulla base delle indicazioni e delle misure di cui al citato Allegato 7/A-IV (comma 7). Le regioni riesaminano e, se del caso, rivedono i citati programmi d'azione obbligatori per lo meno ogni quattro anni (comma 8-bis).

Con il decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali del 19 aprile 1999 (codice di buona pratica agricola), emanato ai sensi della Direttiva CEE 91/676, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, sono stati definiti specifici obiettivi al fine di contribuire anche a livello generale a realizzare la maggior protezione di tutte le acque dall'inquinamento da nitrati riducendo l'impatto ambientale dell'attività agricola attraverso una più attenta gestione del bilancio dell'azoto.

Si ricorda, inoltre, che l’art. 112, comma 2, del cd. Codice dell’Ambiente prevede che le regioni disciplinano le attività di utilizzazione agronomica sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con un decreto del Ministro delle politiche agricole, di concerto con i Ministri dell'ambiente, delle attività produttive, della salute e delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza permanente, garantendo nel contempo la tutela dei corpi idrici potenzialmente interessati ed in particolare il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità di cui alla parte terza del Codice. Conseguentemente, è stato emanato il D.M. 25 febbraio 2016 che, nel Titolo V, contiene le norme per l’utilizzazione agronomica in zone vulnerabili da nitrati.

In tale ambito, l’art. 35 del medesimo D.M. 25 febbraio 2016 stabilisce che le previsioni del citato Allegato 7 alla Parte Terza del Codice dell’Ambiente siano integrate dalle disposizioni contenute nel medesimo Titolo V, e che i programmi di azione regionali previsti dall’art. 92 del d.lgs. 152/2006, siano conformi alle disposizioni di cui al medesimo Titolo V, che integra l'Allegato 7, parte A-IV della Parte Terza del medesimo decreto.

 


 

Articolo 18
(Disposizioni in materia di emissioni industriali - Caso EU-Pilot 8978/16/ENVI)

 

L'articolo 18, inserito nel corso dell’esame alla Camera, modifica in più punti le norme che, nell’ambito del cd. Codice dell’ambiente di cui al D.Lgs. 152/2006 (d’ora in poi “Codice”), sono volte ad attuare le disposizioni in materia di emissioni industriali e di autorizzazione integrata ambientale (AIA) dettate dalla direttiva 2010/75/UE (d’ora in poi“direttiva”). La finalità delle modifiche è quella di pervenire ad un recepimento completo della direttiva e, conseguentemente, superare le censure mosse dalla Commissione europea nell’ambito del caso EU Pilot 8978/16/ENVI.

Di seguito si dà conto delle modifiche operate, che investono quattro gruppi diversi di disposizioni:

1)  la disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), dettata dalla parte seconda del Codice;

2)  le disposizioni sugli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti contenute nel Titolo III-bis della parte quarta del Codice;

3)  le norme in materia di emissioni di composti organici volatili (COV) e di grandi impianti di combustione, contenute nella parte quinta del Codice;

4)  la disciplina relativa alle installazioni e agli stabilimenti che producono biossido di titanio e solfati di calcio, contenuta nella parte quinta-bis del Codice.

 

1)  Autorizzazione integrata ambientale (lettere a)-f))

 

Definizioni (lettera a))

 

La lettera a) novella la lettera l-bis del comma 1 dell’art. 5 del Codice, al fine di introdurre nella definizione di “modifica sostanziale di un progetto, opera o di un impianto” il riferimento agli effetti negativi e significativi sulla salute umana relativamente alla variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero al potenziamento dell'impianto, dell'opera o dell'infrastruttura o del progetto. La norma vigente fa riferimento solo agli effetti sull’ambiente. L’inserimento del riferimento degli effetti prodotti sulla salute umana è in linea con quanto previsto dall'art. 3, punto 9), della direttiva.

 

Contenuto della domanda di AIA (lettera b))

La lettera b) modifica il comma 2 dell’articolo 29-ter del Codice, al fine di prevedere che la “sintesi non tecnica” dei dati, che accompagna le informazioni contenute nella domanda di AIA, includa anche i dati riguardanti la relazione di riferimento, sulla scorta di quanto prevede l’articolo 12, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva.

L’art. 29-ter, comma 2, del Codice, infatti, attualmente prevede che la domanda di AIA deve contenere anche una sintesi non tecnica dei dati di cui alle lettere da a) a l) del comma 1 del medesimo articolo 29-ter, non comprendendo pertanto i dati della relazione di riferimento (prevista nella lettera m), il cui riferimento viene ora inserito dalla disposizione in esame), che deve essere elaborata dal gestore nel caso in cui l'attività comporti l'utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose e tenuto conto della possibilità di contaminazione del suolo e delle acque sotterrane nel sito dell'installazione.

 

Partecipazione del pubblico (lettere c), d), f))

La lettera c),  che novella il comma 2 dell’art. 29-quater del Codice, prevede – con le novelle di cui ai numeri 1) e 3) - che, nell’ambito della procedura per il rilascio dell'AIA, la consultazione del pubblico sia garantita non solo mediante pubblicazione sul sito internet dell’autorità competente del contenuto della decisione (come prevede la norma vigente), ma anche attraverso la pubblicazione, non appena sia ragionevolmente possibile, del progetto di decisione, compreso il verbale conclusivo della conferenza di servizi (prevista nel comma 5 dell’articolo 29-quater), nonché delle proposte di riesame pervenute dalle autorità competenti in materia ambientale (ai sensi dell’art. 29-octies, comma 4, del Codice) ovvero dal sindaco (ai sensi dell’art. 29-quater, comma 7, del Codice). Le integrazioni al comma 2 sembrano finalizzate a un allineamento della norma vigente con quanto prescrive l’Allegato IV della direttiva, laddove si prevede che il pubblico, tra l’altro, è informato in una fase precoce della procedura di adozione di una decisione o, al più tardi, non appena sia ragionevolmente possibile fornire le informazioni sulla natura delle possibili decisioni o sull'eventuale progetto di decisione, nonché sulle eventuali informazioni riguardanti una proposta di aggiornamento di un'autorizzazione o delle condizioni di autorizzazione.

Con la novella di cui al numero 2), si prevede inoltre che si faccia particolare riferimento agli elementi di cui alle lettere b), e), f) e g) del comma 13 dell’art. 29-quater del Codice, già indicati nella norma attuale e relativi ai motivi della decisione, alle metodologie utilizzate per la concessione dell’AIA, alle deroghe concesse e alle misure adottate al momento della cessazione definitiva delle attività.

Con la lettera d) viene modificata la lettera c) del comma 13 dell’art. 29-quater del Codice, al fine di allinearne il contenuto con l'Allegato IV, punto 1, lettera b), della direttiva, che prescrive l’obbligo di informare il pubblico sul fatto che la decisione è soggetta a una valutazione dell'impatto ambientale transfrontaliera o alle consultazioni tra Stati membri.

Con la novella introdotta alla lettera c) del comma 13 dell’art. 29-quater, si specifica che sono a disposizione del pubblico anche i risultati delle consultazioni condotte coinvolgendo altri Stati ai sensi dell’art. 32-bis del Codice in merito agli effetti transfrontalieri derivanti dal funzionamento di un impianto.

In particolare, il comma 13 dell’articolo 29-quater prevede che copia dell'autorizzazione integrata ambientale e di qualsiasi suo successivo aggiornamento, è messa tempestivamente a disposizione del pubblico, presso l'ufficio individuato dall’autorità competente. La norma prevede inoltre che siano disponibili al pubblico presso il medesimo ufficio altre informazioni (elencate nelle lettere a)-h)), tra cui i risultati delle consultazioni condotte prima dell'adozione della decisione e una spiegazione della modalità con cui se ne è tenuto conto nella decisione (lett. c).

 

La lettera f), che aggiunge il comma 2-bis all’articolo 32-bis del Codice, prevede l’obbligo per il Ministero dell’ambiente di provvedere, attraverso il proprio sito internet istituzionale, a rendere disponibili al pubblico in modo appropriato le informazioni ricevute da altri Stati dell’Unione europea, in attuazione degli obblighi recati dall’articolo 26, paragrafo 1, della direttiva, circa le decisioni adottate in tali Stati su domande presentate per l’esercizio di attività di cui all’allegato VIII alla parte seconda del Codice (attività energetiche, produzione e trasformazione dei metalli, industria dei prodotti minerali, industria chimica, gestione dei rifiuti e altre attività).

L’articolo 26, paragrafo 1, della direttiva prevede, qualora uno Stato membro constati che il funzionamento di un'installazione può avere effetti negativi significativi sull'ambiente di un altro Stato membro, oppure qualora uno Stato membro che potrebbe subire tali effetti significativi presenti domanda in tal senso, che lo Stato membro in cui è stata richiesta la domanda di autorizzazione (ai sensi dell’articolo 4 della direttiva) o di modifica sostanziale (ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2 della direttiva), comunica all'altro Stato membro le eventuali informazioni che devono essere fornite o rese disponibili ai sensi dell'allegato IV (concernente la partecipazione del pubblico alle decisioni), nel momento stesso in cui le mette a disposizione del pubblico. 

 

Rispetto delle condizioni dell'AIA (lettera e))

 

La lettera e) sostituisce la lettera b) del comma 9 dell’articolo 29-decies del Codice, al fine di prevedere la diffida e la contestuale sospensione dell’attività dell’impianto per un periodo determinato nel caso di situazioni che costituiscano un pericolo immediato per la salute umana o per l’ambiente o nel caso in cui violazioni siano comunque reiterate più di due volte in un anno, disciplinando le proroghe della sospensione fino al ripristino della conformità dell’impianto.

In particolare, si prevede - decorso il tempo determinato contestualmente alla diffida - la proroga automatica della sospensione finché il gestore non dichiara di aver individuato e risolto il problema che ha causato l’inottemperanza. Tale sospensione è inoltre automaticamente rinnovata a cura dell’autorità di controllo (l’ISPRA per impianti di competenza statale, o, negli altri casi, l'autorità competente, avvalendosi delle agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente) -  alle medesime condizioni e durata individuate contestualmente alla diffida -  se i controlli sul successivo esercizio non confermano il ripristino della conformità, almeno in relazione alle situazioni che, costituendo un pericolo immediato per la salute umana o per l’ambiente, avevano determinato la precedente sospensione.

 

L’art. 8, paragrafo 2, primo comma, lettera b) della direttiva prescrive l’adozione immediata da parte del gestore delle misure necessarie per garantire il ripristino della conformità nel più breve tempo possibile, prevedendo, al secondo comma, in caso di un pericolo immediato per la salute umana o l'ambiente e sino a che la conformità non venga ripristinata, la sospensione dell’esercizio dell'installazione, dell'impianto di combustione, dell'impianto di incenerimento dei rifiuti, dell'impianto di coincenerimento dei rifiuti o della relativa parte interessata.

L’art. 29-decies, comma 9, del Codice prescrive attualmente, in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie o di esercizio in assenza di autorizzazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni e delle misure di sicurezza di cui all'articolo 29-quattuordecies, che l'autorità competente proceda secondo la gravità delle infrazioni:

a)  alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze, nonché un termine entro cui, fermi restando gli obblighi del gestore in materia di autonoma adozione di misure di salvaguardia, devono essere applicate tutte le appropriate misure provvisorie o complementari che l'autorità competente ritenga necessarie per ripristinare o garantire provvisoriamente la conformità;

b)  alla diffida e contestuale sospensione dell'attività per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni, o nel caso in cui le violazioni siano comunque reiterate più di due volte all'anno;

c)  alla revoca dell'autorizzazione e alla chiusura dell'installazione, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo o di danno per l'ambiente;

d)  alla chiusura dell'installazione, nel caso in cui l'infrazione abbia determinato esercizio in assenza di autorizzazione.

Il comma 2 del citato articolo 29-decies prevede, tra l’altro, che il gestore provvede ad informare immediatamente i soggetti citati nella norma in caso di violazione delle condizioni dell'autorizzazione, adottando nel contempo le misure necessarie a ripristinare nel più breve tempo possibile la conformità.

 

2)  Impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti (lett. g)-o) e v)-z))

 

Installazioni di trattamento degli scarichi gassosi (lettere g) e h))

 

Le lettere g) e h) intervengono sulle definizioni di “impianto di incenerimento” e “impianto di coincenerimento” (recate dall’art. 237-ter del Codice) al fine di chiarire – in linea con il dettato dell’art. 42, par. 1, terzo comma, della direttiva – che entrambe tali tipologie impiantistiche comprendono anche “le installazioni di trattamento degli scarichi gassosi”.

In particolare, la lettera g) integra il disposto dell'art. 237-ter, comma 1, lettera b), che attualmente non fa alcun riferimento a tali installazioni, al fine di includere nella definizione di inceneritore le citate installazioni di trattamento degli scarichi gassosi.

La lettera h) invece riscrive la parte della definizione in cui si fa riferimento alle “apparecchiature di trattamento degli effluenti gassosi” sostituendo tale espressione con quella di “installazioni di trattamento degli scarichi gassosi”, maggiormente aderente al disposto della direttiva.

 

Limiti di emissione per carbonio organico totale e CO (lettere i) e m))

 

Le disposizioni dettate dalle lettere i) ed m) sono finalizzate a recepire quanto stabilito dall’art. 51, par. 3, della direttiva, in relazione ai limiti da rispettare per le emissioni di carbonio organico totale e monossido di carbonio (CO).

Una prima modifica (recata dalla lettera i)) riguarda il comma 3 dell’art. 237-sexies, che riproduce per lo più quanto stabilito dal comma 2 del citato par. 3.

Entrambe le disposizioni richiamate prevedono, infatti, che le emissioni di carbonio dei bollitori (la norma nazionale utilizza il termine “caldaie”) per corteccia utilizzati nelle industrie della pasta di legno e della carta, che coinceneriscono i rifiuti nel luogo di produzione, debbano rispettare una serie di condizioni, tra cui i valori limite di emissione di cui alla parte 3 dell'allegato VI.

La norma nazionale non fa però riferimento all’allegato 1 al Titolo III-bis della Parte Quarta del Codice (che corrisponde alla parte 3 dell’allegato VI alla direttiva), ma all’allegato 2 (che corrisponde alla parte 4 del citato allegato VI). La lettera in esame provvede quindi a riferire correttamente la disposizione all’allegato 1.

 

La lettera m) introduce nel testo del Codice una disposizione volta a recepire l’art. 51, par. 3, comma 1, della direttiva (nuovo comma 1-bis. dell’art. 237-nonies).

La norma europea richiamata, che non trova rispondenza nel testo vigente del Codice, dispone che le emissioni di carbonio organico totale e monossido di carbonio degli impianti di coincenerimento dei rifiuti, autorizzati a modificare le condizioni di esercizio, rispettano anche i valori limite relativi alle emissioni in atmosfera degli impianti di incenerimento dei rifiuti fissati dalla parte 3 dell'allegato VI (corrisponde all’allegato 1 al Titolo III-bis della Parte Quarta del Codice).

Il nuovo comma 1-bis introdotto dalla norma in esame riproduce nella sostanza quanto previsto dalla disposizione europea, consentendo quindi di rimediare al suo mancato recepimento. Nel fare ciò la norma in esame precisa che i limiti da rispettare sono quelli del solo paragrafo A dell’allegato 1.

Tale precisazione appare forse superflua, dato che i paragrafi successivi al paragrafo A non riguardano i valori limite di emissione in atmosfera ma, ad esempio, il procedimento di normalizzazione (par. B) o la valutazione dei risultati delle misurazioni (par. C).

 

 

 

Riesame periodico e aggiornamento dell’autorizzazione (lettera l))

 

La lettera l) introduce una disposizione che impone all’autorità competente di provvedere al riesame periodico e all’aggiornamento, ove necessario, delle condizioni di autorizzazione (nuovo comma 3-bis dell'art. 237-sexies).

Si tratta di una disposizione che mira a garantire il riesame periodico, e l’eventuale aggiornamento, per gli impianti di incenerimento/coincenerimento non assoggettati ad autorizzazione integrata ambientale (in tal caso, infatti, l’effettuazione del riesame è garantita dal disposto del comma 1 dell’art. 29-octies, secondo cui l'autorità competente riesamina periodicamente l'autorizzazione integrata ambientale (AIA), confermando o aggiornando le relative condizioni).

Si ricorda che l’art. 237-quinquies stabilisce che la realizzazione e l'esercizio degli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti rientranti nell'ambito di applicazione del titolo III-bis della parte IV del Codice devono essere autorizzati:

- ai sensi dell’art. 208 del Codice, in caso di impianti non sottoposti ad AIA;

- ai sensi della disciplina recata dal titolo III-bis della Parte II del Codice, in caso di impianti sottoposti ad AIA.

 

Limiti di emissione per le acque reflue (lettera n))

 

La lettera n) integra il disposto del comma 8 dell'art. 237-terdecies – che disciplina la verifica, per i soli impianti di coincenerimento, dell'osservanza dei limiti di emissione stabiliti per il flusso di acque reflue provenienti dal processo di depurazione degli effluenti gassosi – al fine di estendere l’ambito di applicazione della norma anche agli impianti di incenerimento, in linea con quanto previsto dall’art. 46, paragrafo 4, della direttiva.

L’applicazione a tutti gli impianti, sia di coincenerimento che di incenerimento, si desume dal fatto che il citato paragrafo 4 si apre con una disposizione secondo cui i valori limite di emissione si applicano al punto in cui le acque reflue, provenienti dalla depurazione degli scarichi gassosi sono evacuate dall'impianto di incenerimento dei rifiuti o dall'impianto di coincenerimento dei rifiuti.

L’incompleto recepimento in questione deriva dal fatto che le disposizioni del paragrafo 4 sono state trasposte, nel Codice, all’interno di diversi commi dell'art. 237-terdecies. E dal fatto che la disposizione di apertura del citato paragrafo 4 è stata recepita con il comma 9 della norma nazionale e non è stata riprodotta in modo completo all’interno del comma 8, dove, erroneamente, si fa riferimento solo agli impianti di coincenerimento.

 

Informazione all'autorità competente in caso di anomalo funzionamento dell’impianto (lettera o))

 

La lettera o) integra il disposto del comma 5 dell’art. 237-octiesdecies – che impone al gestore di dare comunicazione nel più breve tempo possibile all'autorità di controllo qualora si verifichino guasti o anomalie di funzionamento dell’impianto – al fine di prevedere anche l’obbligo, sempre in capo al gestore, di informare anche l’autorità competente.

Si tratta di una disposizione che recepisce il principio generale dettato, per tutti gli impianti industriali disciplinati dalla direttiva (ivi compresi, quindi, gli impianti di incenerimento e coincenerimento) dall’art. 8, paragrafo 2, lettera a), secondo cui, in caso di violazione delle condizioni di autorizzazione, gli Stati membri provvedono affinché il gestore informi immediatamente l'autorità competente.

 

Modifiche alle norme tecniche contenute negli allegati (lettere v) e z))

 

Le lettere v) e z) apportano una serie di modifiche, rispettivamente, agli allegati 1 e 2 al Titolo III-bis della Parte Quarta del Codice.

Spesso le modifiche apportate ai due allegati sono identiche. Ciò si rende necessario per la diversa organizzazione delle norme nazionali rispetto a quelle europee. Infatti:

- nella direttiva, tutte le disposizioni tecniche relative agli impianti di incenerimento dei rifiuti e agli impianti di coincenerimento dei rifiuti sono riunite all’interno di un unico allegato, l’allegato VI;

- nel testo del Codice, invece, le norme relative agli impianti di incenerimento sono contenute nell’allegato 1 al Titolo III-bis alla Parte Quarta, mentre le norme relative agli impianti di coincenerimento si trovano collocate nel successivo allegato 2, come schematizzato nella seguente tabella:

 

Allegato 1
(impianti di incenerimento)

Allegato 2
(impianti di coincenerimento)

Emissioni
in atmosfera

paragrafi A, B e C

paragrafi A, B e C

Emissioni
nelle acque

paragrafi D ed E

paragrafo D*

* Il paragrafo D dell’allegato 2 si limita a disporre l’applicazione, per gli impianti di coincenerimento, delle norme dettate per gli inceneritori dai paragrafi D-E dell'Allegato 1.

 

Misurazioni della concentrazione di inquinanti eseguite in modo rappresentativo (lettera v), punti 1.1) e 2), e lettera z), punto 1))

 

Le norme dettate dalla lettera v), punti 1.1) e 2), e dalla lettera z), punto 1), sono finalizzate a recepire, negli allegati 1 e 2 al Titolo III-bis della Parte Quarta del Codice, la disposizione contenuta nell’allegato VI, parte 6, punto 1.1, della direttiva, secondo cui le misurazioni relative alla determinazione delle concentrazioni di inquinanti nell'atmosfera e nell'acqua sono eseguite in modo rappresentativo.

Poiché la disposizione europea ha carattere generale, essa viene riprodotta (in virtù della struttura normativa evidenziata nella tabella suesposta):

- al paragrafo C, punto 1, dell’allegato 1, in modo che si applichi alle emissioni in atmosfera degli impianti di incenerimento;

- al paragrafo E, punto 1, dell’allegato 1, in modo che si applichi alle emissioni nelle acque degli impianti di incenerimento;

- al paragrafo C, punto 1, dell'allegato 2, in modo che si applichi alle emissioni in atmosfera degli impianti di coincenerimento.

 

Norme da seguire per il campionamento e l’analisi degli inquinanti (lettera v), punto 1.2.1), e lettera z), punto 2.1))

 

Le norme dettate dalla lettera v), punto 1.2.1), e dalla lettera z), punto 2.1), sono finalizzate a recepire, negli allegati 1 e 2 al Titolo III-bis della Parte Quarta del Codice, la disposizione contenuta nell’allegato VI, parte 6, punto 1.2, primo e secondo periodo, della direttiva, secondo cui il campionamento e l'analisi di tutte le sostanze inquinanti, ivi compresi le diossine e i furani, devono essere eseguiti in conformità con le norme CEN o, in loro assenza, con le norme ISO, nazionali o internazionali che assicurino la disponibilità di dati di qualità scientifica equivalente.

Poiché la disposizione europea ha carattere generale, essa viene riprodotta (in virtù della struttura normativa evidenziata nella tabella suesposta):

- al paragrafo C, punto 1, dell’allegato 1, in modo che si applichi alle emissioni in atmosfera degli impianti di incenerimento;

- al paragrafo C, punto 1, dell'allegato 2, in modo che si applichi alle emissioni in atmosfera degli impianti di coincenerimento.

 

Si fa notare che, mentre la norma in esame riguarda le sole emissioni in atmosfera, la norma europea che si intende recepire si applica anche alle emissioni nelle acque (in base al disposto del punto 1.3 della parte 6 dell’allegato VI della direttiva, che estende l’applicazione di tutte le norme del punto 1.2 anche alle misurazioni periodiche delle emissioni nell'acqua). Per tale ragione, andrebbe valutata l’opportunità di inserire la disposizione in questione anche all’interno del paragrafo E dell’allegato 1 (a sua volta richiamato dal paragrafo D dell’allegato 2).

 

Il richiamato punto 1.3 della parte 6 dell’allegato VI della direttiva, lo si ricorda, dispone infatti, tra l’altro, che le misurazioni periodiche delle emissioni nell'atmosfera e nell'acqua sono effettuate in conformità del punto 1.2, ove è contenuta la disposizione che impone il rispetto delle norme CEN (o di altre norme equivalenti) nelle attività di campionamento e analisi di tutte le sostanze inquinanti (ivi compresi le diossine e i furani).

 

Si fa altresì notare che nel primo periodo del punto 1.2 della parte 6 dell’allegato VI della direttiva, si prevede l’obbligo di conformità alle norme CEN (o altre norme che assicurino la disponibilità di dati di qualità scientifica equivalente) anche per l'assicurazione di qualità dei sistemi automatici di misurazione e la loro taratura in base ai metodi di misurazione di riferimento. Tale disposizione non è però oggetto della novella in esame, poiché già recepita nei paragrafi C (relativi alle emissioni in atmosfera) dell’allegato 1 e dell’allegato 2 ove si dispone che l'assicurazione di qualità dei sistemi automatici di misurazione e la loro taratura in base ai metodi di misurazione di riferimento devono essere eseguiti in conformità alla norma UNI EN 14181.

 

Controllo dei sistemi automatici di misurazione (lettera v), punto 1.2.2), e lettera z), punto 2.2))

 

Le norme dettate dalla lettera v), punto 1.2.2), e dalla lettera z), punto 2.2), sono finalizzate a recepire, negli allegati 1 e 2 al Titolo III-bis della Parte Quarta del Codice, la disposizione contenuta nell’allegato VI, parte 6, punto 1.2, terzo periodo, della direttiva, secondo cui i sistemi automatici di misurazione sono sottoposti a controllo per mezzo di misurazioni parallele in base ai metodi di misurazione di riferimento almeno una volta all'anno.

Poiché la disposizione europea ha carattere generale, essa viene riprodotta (in virtù della struttura normativa evidenziata nella tabella esposta in precedenza):

- al paragrafo C, punto 1, dell’allegato 1, in modo che si applichi alle emissioni in atmosfera degli impianti di incenerimento;

- al paragrafo C, punto 1, dell'allegato 2, in modo che si applichi alle emissioni in atmosfera degli impianti di coincenerimento.

 

Si fa notare che, mentre la norma in esame riguarda le sole emissioni in atmosfera, la norma europea che si intende recepire (contenuta nel punto 1.2 della direttiva) si applica anche alle emissioni nelle acque (in base al disposto del punto 1.3 della parte 6 dell’allegato VI della direttiva, v. supra). Andrebbe, pertanto, valutata l’opportunità di inserire la disposizione in questione anche all’interno del paragrafo E dell’allegato 1.

 

Altre norme sul controllo delle emissioni in atmosfera (lettera v), punto 1.2.3), e lettera z), punto 2.3))

 

Le norme dettate dalla lettera v), punto 1.2.3), e dalla lettera z), punto 2.3), sono finalizzate a recepire, negli allegati 1 e 2 al Titolo III-bis alla Parte Quarta del Codice, la disposizione (contenuta nell’allegato VI, parte 8, punto 1.3, della direttiva) riguardante la determinazione dei valori medi durante il periodo di campionamento e dei valori medi in caso di misurazioni periodiche di HF, HCl e SO2.

La direttiva stabilisce che tali valori medi sono determinati come previsto agli articoli 45, paragrafo 1, lettera e), e 48, paragrafo 3, e al punto 1 della parte 6 dell’allegato VI.

Al fine di recepire tali condizioni, le norme in esame prevedono che i citati valori medi siano determinati:

- in fase di autorizzazione dall'autorità competente;

Tale parte della norma consente di recepire il citato richiamo all’art. 45, paragrafo 1, lettera e), della direttiva, in base al quale l'autorizzazione contiene le procedure e la frequenza di campionamento e misurazione da utilizzare per rispettare le condizioni fissate per il controllo delle emissioni.

- insieme con la localizzazione dei punti di campionamento e misurazione da utilizzare per il controllo delle emissioni;

Tale parte della norma consente di recepire il citato richiamo all’art. 48, paragrafo 3, della direttiva, in base al quale l'autorità competente stabilisce la localizzazione dei punti di campionamento o di misurazione da utilizzare per il controllo delle emissioni.

- secondo quanto previsto nel paragrafo C (rispettivamente degli allegati 1 e 2).

Tale parte della norma consente di recepire il citato richiamo al punto 1 della parte 6 dell’allegato VI, che disciplina le tecniche di misurazione.

 

3)  Composti Organici Volatili (COV) e grandi impianti di combustione (lettere p)-r) e aa)-bb)

 

Grandi impianti di combustione (lettere p) e aa))

 

La lettera p) modifica l’alinea del comma 5 dell’articolo 273 del Codice, in cui si disciplinano i limiti di emissione per i grandi impianti di combustione, al fine di stabilire che il periodo di esenzione, per gli impianti anteriori al 2002 con potenza termica nominale totale non superiore a 200 MW, dall’obbligo di osservare i prescritti valori limite di emissione, si conclude al 31 dicembre 2022, come indicato dall’articolo 35, paragrafo 1, della  direttiva, invece che al 31 dicembre 2023, come attualmente previsto nella normativa nazionale.

Il vigente comma 5 dell’art. 273 consente di non rispettare i valori limite di emissione prescritti (cioè quelli previsti, ai sensi del comma 3 dell’art. 273 per i grandi impianti di combustione, nella Parte II, sezioni da 1 a 6, dell'Allegato II alla Parte Quinta del Codice) nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2016 ed il 31 dicembre 2023 per gli impianti di combustione anteriori al 2002 con potenza termica nominale totale non superiore a 200 MW ove ricorrano le condizioni indicate alle lettere a) e b) del medesimo comma 5.

 

La lettera p), inoltre, interviene su una delle condizioni per il mantenimento della esenzione, prevista alla lettera b) del citato comma 5 dell’articolo 273, al fine di prevedere che i valori limite di emissione i emissione di ossido di zolfo, ossido di azoto e polveri non meno severi di quelli che l'impianto deve rispettare alla data del 31 dicembre 2015 ai sensi dell'autorizzazione, del titolo I e del titolo III-bis della Parte Seconda del Codice, si applicano nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2016 ed il 31 dicembre 2022, come indicato dall’articolo 35, paragrafo 1, lett. d), della  direttiva, invece che fino al 31 dicembre 2023 come prevede attualmente la norma.

 

La lettera aa) modifica in più punti la parte I dell’allegato II alla parte quinta del Codice, che disciplina i valori limite di emissione dei grandi impianti di combustione.

Il numero 1) interviene sul punto 3.1 della parte I dell’allegato II, prevedendo che, per gli impianti multicombustibili che comportano l’impiego simultaneo di due o più combustibili, l'autorità competente, in sede di autorizzazione, stabilisce i valori limite di emissione anche per il  monossido di carbonio, oltre che per il biossido di zolfo, gli ossidi di azoto, le polveri e i metalli, in linea con quanto previsto dall’articolo 40, paragrafo 1, primo comma, della direttiva.

Il numero 2) modifica il punto 4.4, il quale prevede che l’autorità competente stabilisca, in sede di autorizzazione, l’obbligo di effettuare misurazioni discontinue almeno ogni sei mesi ovvero, in alternativa, individui opportune procedure di determinazione per valutare le concentrazioni del biossido di zolfo. La novella è volta a precisare che tali procedure siano volte a valutare anche le concentrazioni degli ossidi di azoto (in luogo delle polveri come previsto dalla norma vigente) nelle emissioni, in linea con l’Allegato V, parte 3, della direttiva.

Il numero 3) sostituisce il punto 5.1, che disciplina la conformità ai valori limite di emissione in caso di misurazioni continue. In primo luogo, i valori limite di emissione considerati per le misurazioni riguardano gli impianti nuovi e vecchi (quindi non solo gli impianti anteriori al 2013) e devono risultare convalidati; in secondo luogo, nessun valore medio giornaliero deve superare per gli impianti nuovi i pertinenti valori limite e superare il 110% dei valori limite di emissione per gli impianti anteriori al 2002 e anteriori al 2013 (attualmente è previsto che solo il 97% o il 95% dei valori medi di 48 ore non superi la soglia del 110%); da ultimo, si prevede che il 95% di tutti i valori medi orari convalidati nell’arco dell’anno non superi il 200% dei pertinenti valori limite.

L’allegato V, parte 4, della direttiva stabilisce - alla lettera b) - che nessun valore medio giornaliero convalidato supera il 110% dei valori limite di emissione pertinenti indicati nelle parti 1 e 2 (cioè per impianti anteriori al 2013 e successivi) e - alla lettera d) - che il 95% di tutti i valori medio orari convalidati nel corso dell'anno non supera il 200% dei valori limite di emissione pertinenti indicati nelle parti 1 e 2.

Il vigente punto 5.1. prevede, in caso di misurazioni continue, che i  valori limite di emissione indicati nella parte  II, sezioni da 1 a 5, si considerano rispettati se la valutazione dei risultati evidenzia che,  nelle ore operative, durante un anno civile: nessun valore medio mensile supera i pertinenti valori limite di emissione, e il 97% di tutte le medie di 48 ore non supera il 110% dei valori limite di emissione previsti per il biossido di zolfo e le polveri, ed il 95% di tutte le medie di 48 ore non supera il 110% dei valori limite di emissione previsti per gli ossidi di azoto.

Per finalità di coordinamento, il numero 4) sopprime il punto 5.3, in quanto il suo contenuto confluisce nel nuovo punto 5.1.

 

Emissioni di COV (lettere q), r) e bb))

 

La lettera q) aggiunge il comma 5-bis all’articolo 275 del Codice, al fine di prevedere un obbligo di tempestiva informazione dell’autorità competente, da parte del gestore, in caso di qualsiasi violazione delle prescrizioni autorizzative. L’introduzione di tale obbligo appare in linea con l’articolo 8, paragrafo 2, lett. a) della direttiva, che lo prevede in via generale per tutte le possibili violazioni delle condizioni di autorizzazione. Resta fermo quanto previsto  dall’articolo 271 del Codice, che, ai commi 14 e 20, disciplina specifici casi relativi al superamento dei valori limite di emissione.

 

La lettera r) modifica il comma 6 dell’articolo 275 del Codice, specificando che l’autorizzazione per l’esercizio dello stabilimento, ai fini della valutazione dell’emissione totale annua di solvente, deve fare riferimento alle emissioni effettive, (come indicato nell’allegato VII, parte 5, punto 3, lett. c della direttiva), e non già al consumo massimo teorico.

Il vigente comma 6 dell’art. 275 del Codice prevede in particolare che l'autorizzazione indichi il consumo massimo teorico di solvente e l'emissione totale annua conseguente all'applicazione dei valori limite previsti, individuata sulla base di detto consumo. La novella è volta proprio a sopprimere l’individuazione sulla base del consumo teorico. L’Allegato VII, parte 5, punto 3, lett. c della direttiva, che disciplina le disposizioni tecniche relative ad installazioni ed attività che utilizzano solventi organici, specifica che la conformità ai valori limite previsti è realizzata se l'emissione effettiva di solvente determinata in base al piano di gestione dei solventi è inferiore o uguale all'emissione bersaglio.

La lettera bb) novella il punto 3.4 della parte I dell’Allegato III alla parte quinta del Codice, intervenendo sulle circostanze nelle quali l’autorità competente può consentire l’installazione di strumenti per la misura e per la registrazione in continuo di parametri significativi ed indicativi del corretto stato di funzionamento dei dispositivi di abbattimento. Si prevede, in particolare, che tali misurazioni possano avvenire in caso di emissioni che, a valle dei dispositivi di abbattimento, presentano un flusso di massa di COV, espressi come carbonio organico totale, non superiore a 10 kg/h. Tale modifica risulta necessaria al fine di rendere la disposizione nazionale conforme a quanto previsto dall’allegato VII, parte 6, punti 1 e 2, direttiva.

Il citato punto 1 della direttiva prevede che i  canali muniti di dispositivi di abbattimento e con più di 10 kg/h di carbonio organico totale al punto finale di scarico sono oggetto di un monitoraggio in continuo delle emissioni onde verificarne la conformità (tale disposizione è stata recepita al punto 3.2. della parte I dell’Allegato III del Codice). Il predetto punto 2 della direttiva prevede che, negli altri casi, gli Stati membri provvedono affinché vengano eseguite misurazioni in continuo o periodiche. Per le misurazioni periodiche si devono ottenere almeno tre valori di misurazione durante ogni misurazione.

 

4)  Biossido di Titanio (lettere s)-u))

 

Le lettere s)-u) novellano in più punti l’art. 298-bis del Codice, che reca disposizioni particolari relative alla emissioni nelle acque, alle emissioni nell'atmosfera, agli stoccaggi ed alle lavorazioni per installazioni e stabilimenti che producono biossido di titanio e solfati di calcio.

La lettera s) aggiunge i commi 1-bis e 1-ter all’art. 298-bis, che dispongono l’applicazione di misure in caso di violazione delle condizioni di autorizzazione, al fine di recepire quanto previsto dall’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva.

In particolare, il comma 1-bis prevede l’obbligo per il gestore di informare immediatamente l’autorità competente in caso di violazione delle condizioni di autorizzazione, adottando nel contempo le misure necessarie a ripristinare la conformità nel più breve tempo possibile. Il comma 1-ter prevede che l’autorità competente obblighi il gestore ad adottare ogni misura complementare appropriata che ritiene necessaria per ripristinare la conformità, disponendo la sospensione dell’esercizio della relativa parte interessata, laddove la violazione determini un pericolo immediato per la salute umana o minacci di provocare ripercussioni serie ed immediate sull’ambiente, e sino a che la conformità non sia ripristinata con l’applicazione delle misure adottate.

La lettera t) novella il comma 3 dell’art. 298-bis, introducendo l’obbligo (invece della prevista facoltà) a carico delle autorità competenti di effettuare ispezioni e prelievi di campioni relativamente alla emissioni nelle acque, alle emissioni nell'atmosfera, agli stoccaggi ed alle lavorazioni presso le installazioni e gli stabilimenti che producono biossido di titanio, al fine di un corretto recepimento dell’articolo 70 della direttiva.

La lettera u), che aggiunge il comma 3-bis all’articolo 298-bis, è finalizzata ad applicare quanto previsto dalla direttiva (articolo 7, paragrafo 1, lett. a), b) e c)), in materia di incidenti e inconvenienti (informazione dell’Autorità competente e misure da adottare in tali evenienze), anche agli impianti che producono biossido di titanio. Si prevede, pertanto, l’applicazione a tali impianti delle disposizioni dell’articolo 29-undecies del Codice, che disciplina gli adempimenti a carico del gestore in caso di incidenti o eventi imprevisti che incidano in modo significativo sull'ambiente.

 

Procedure di contenzioso

 

La Commissione europea, nel novembre 2016, ha aperto il caso Eu-Pilot 8978/16/ENVI, contestando all’Italia il mancato o incompleto recepimento ovvero il recepimento scorretto o impreciso/ambiguo di numerose disposizioni della direttiva 2010/75/UE, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), ad opera del decreto legislativo 4 marzo 2014, n.46, con il quale sono state anche introdotte modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, recante norme in materia ambientale.

La Commissione europea ha pertanto invitato le autorità italiane a presentare osservazioni in merito alle questioni sollevate e, qualora esse concordino con le carenze riscontrate dalla Commissione stessa, a comunicare l’impegno dell’Italia ad apportare le opportune modifiche legislative, unitamente al relativo calendario.

Inoltre, la Commissione europea ha chiesto alle autorità italiane di comunicare eventuali atti legislativi adottati nel frattempo ai fini del recepimento e le disposizioni essenziali di diritto interno adottate nel settore disciplinato dalla citata direttiva, ai sensi dell’articolo 80, paragrafo 2, della medesima. Le autorità italiane sono state poi invitate a comunicare l’eventuale esistenza, nell’ordinamento interno, di disposizioni che vanno al di là delle prescrizioni della direttiva prevedendo misure più severe e nel caso a fornirne l’elenco.

Infine, la Commissione europea ha richiesto all’Italia informazioni specifiche in merito all’attuazione dell'articolo 79 della direttiva in materia di sanzioni, disposizione che, richiedendo una corretta attuazione pratica, più che un recepimento esplicito, era stata lasciata fuori dall'analisi di conformità condotta dalla Commissione stessa.

A fronte delle numerose carenze riscontrate dalla Commissione europea, il Governo italiano ha ritenuto fondate soltanto alcune delle contestazioni di non conformità sollevate. Conseguentemente, l’articolo 18 del DDL in esame contiene modifiche al decreto legislativo n. 152 del 2006, come novellato dal decreto legislativo n.46 del 2014, volte a superare esclusivamente le contestazioni ritenute condivisibili.

 


Articolo 19
(Adeguamento della normativa nazionale alla comunicazione 2014/C 200/01 della Commissione, in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020. Imprese a forte consumo di energia elettrica. Decisione C (2017) 3406 della Commissione)

 

 

L'articolo 19, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, contiene in primo luogo (comma 1) una disposizione di carattere generale volta a destinare automaticamente alla riduzione delle tariffe elettriche degli utenti che sostengono gli oneri connessi all'attuazione delle misure di cui ai commi successivi dell’articolo stesso, almeno il 50 per cento delle risorse derivanti dalle riduzioni per gli anni 2017-2019, della componente tariffaria A3, destinata alla promozione di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

L'oggetto principale dell'articolo (commi 2-5) è tuttavia la modifica della disciplina delle agevolazioni previste per le imprese a forte consumo di energia elettrica, in coerenza con la recente Decisione della Commissione europea C(2017) 3406 del 23 maggio 2017 che si è pronunciata in merito alla compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato delle misure notificate dallo Stato italiano concernenti le agevolazioni previste in materia di oneri generali di sistema per le suddette  imprese a forte consumo di energia. La nuova disciplina delle agevolazioni, prevede l’utilizzo della possibilità prevista dall’Unione europea dell’applicazione della clausola sul valore aggiunto lordo (Val) per le imprese che hanno un costo dell’energia pari ad almeno il 20% dello stesso Val. Tali imprese potranno ridurre il proprio contributo per le rinnovabili fino allo 0,5% del Val, rendendo questo onere esclusivamente funzione del proprio risultato aziendale (fatto salvo la contribuzione minima richiesta dalle regole Ue). Il nuovo meccanismo si pone in stretta relazione con l'entrata in vigore della riforma degli oneri generali per i clienti non domestici (prevista con il DL 210/2015) che entrerà in vigore il 1 gennaio 2018 e che prevede, tra l'altro l'abbandono (in quanto incompatibile con la disciplina comunitaria degli aiuti di stato) della struttura degressiva della tariffa rispetto ai consumi. In sostanza il nuovo sistema di agevolazioni espliciterà in un unico valore due benefici prima distinti (la tariffa degressiva e le agevolazioni previste dall’articolo 39 del DL 83/12).

Inoltre l'articolo interviene (commi 6 e 7) sull’ambito di applicazione del regime tariffario speciale per l’approvvigionamento di energia elettrica del sistema ferroviario. In particolare saranno esclusi dal regime tariffario speciale solo i servizi passeggeri espletati sulle linee appositamente costruite per l’alta velocità ed alimentate a 25 kV corrente alternata. Rientrano quindi nel perimetro di applicazione del regime di agevolazione tutte le reti diverse da quelle asservite all’alta velocità, e dunque anche i servizi a mercato che non siano alta velocità (ad esempio i servizi espletati sulle linee ad alta capacità).

 

In particolare, il comma 1 destina, dal primo gennaio 2018, le risorse derivanti dal minore fabbisogno economico relativo alla componente tariffaria A3, per gli anni 2017, 2018, 2019 rispetto al 2016, per un minimo del cinquanta per cento, alla riduzione diretta delle tariffe elettriche degli utenti che sostengono gli oneri connessi all'attuazione delle misure volte alla riforma delle agevolazioni per le imprese energivore di cui ai commi successivi dell’articolo stesso. La disposizione demanda, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del disegno di legge in esame, all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico l’adozione dei provvedimenti necessari ai fini applicativi.

Come è noto con le bollette dell'energia elettrica, oltre ai servizi di vendita (materia prima, commercializzazione e vendita), ai servizi di rete (trasporto, distribuzione, gestione del contatore) e alle imposte, si pagano alcune componenti per la copertura di costi per attività di interesse generale per il sistema elettrico nazionale: si tratta dei cosiddetti oneri generali di sistema, introdotti nel tempo da specifici provvedimenti normativi. Negli ultimi anni, gli oneri generali di sistema hanno rappresentato una quota crescente e sempre più significativa della spesa totale annua di energia elettrica degli utenti finali.

La componente tariffaria A3 a carico dei clienti finali, destinata alla promozione di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, copre la differenza tra i costi sostenuti dal GSE per l’acquisto e l’incentivazione di energia elettrica e la somma dei ricavi derivanti dalla vendita di energia sul mercato elettrico.

La componente A3 è la  più consistente fra gli oneri di sistema e finanzia sia  l'incentivazione del fotovoltaico sia il sistema del Cip 6, che incentiva le fonti rinnovabili e assimilate (impianti alimentati da combustibili fossili e da combustibili di processo quali scarti di raffineria etc. La componente A3 finanzia inoltre: lo scambio sul posto, il ritiro dedicato dell'energia elettrica prodotta da impianti a fonti rinnovabili o non rinnovabili sotto i 10 MVA; il ritiro da parte del GSE dei certificati verdi CV invenduti nell'anno precedente; la copertura degli oneri CV per gli impianti assimilati in convenzione CIP 6/92 non cogenerativi; la copertura degli oneri CO2 per gli impianti assimilati in convenzione CIP 6/92; la tariffa omnicomprensiva per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili (feed in).L'incidenza di questi incentivi sulla spesa delle famiglie aumenta con il crescere dei consumi.

La misura della componente A3 viene stabilita trimestralmente dall’AEEGSI con propria delibera, sulla base delle proiezioni economico finanziarie del GSE ed ha l’obiettivo di garantire la sostenibilità degli incentivi, assicurando un equilibrio economico finanziario per il GSE. Recentemente è stato introdotto il principio per cui i produttori di energia riconoscono un corrispettivo al GSE finalizzato alla copertura di parte dei costi di finanziamento. Il disavanzo economico risultante dalla differenza fra i costi sostenuti dal GSE per l’incentivazione e la promozione delle fonti rinnovabili ed i relativi ricavi viene appunto coperta dal gettito derivante dalla componente A3.

Secondo i dati forniti dal GSE sull’evoluzione del fabbisogno economico A3 a partire dal 2009, con indicazione del trend previsto fino al 2019, si evidenzia che il fabbisogno economico A3 è cresciuto rapidamente da circa 3 miliardi di euro nel 2009 a circa 13 miliardi di euro nel 2014 e 2015. La fine del periodo di incentivazione per i beneficiari dei meccanismi CIP6/92 e CV comporta negli anni una graduale diminuzione dell’energia oggetto di incentivazione e, quindi, dell’energia venduta dal GSE sul mercato elettrico. Tale fenomeno e la pubblicazione di specifici provvedimenti finalizzati alla riduzione della bolletta elettrica - tra cui, ad esempio, lo "spalma-incentivi fotovoltaico" (Legge 116/2014) e lo "spalma-fer" (Legge 9/2014) - hanno portato ad una riduzione del fabbisogno A3 nel 2015.  Per l’anno 2016 il fabbisogno economico A3 si attesta sui 14,4 miliardi di euro, in lieve incremento rispetto al 2015; la variazione è principalmente determinata dal passaggio dal meccanismo dei Certificati Verdi ai nuovi meccanismi di incentivazione introdotti dal D.M. 6 luglio 2012. Il GSE, infatti, nel corso dell’anno 2016 ha continuato a sostenere costi per il ritiro dei Certificati Verdi, emessi a fronte di energia prodotta negli anni precedenti, cui si sono aggiunti gli oneri di incentivazione dell’energia prodotta nel 2016 per gli impianti aderenti al nuovo meccanismo. Per il 2017 si prevede un decremento del fabbisogno economico, stimabile in via preliminare in circa 12,6 miliardi di euro, principalmente a seguito della conclusione dell’iter di ritiro dei Certificati Verdi. Nel 2018 e 2019 si prevede una riduzione del fabbisogno A3 per la conclusione del periodo di incentivazione di diversi impianti.

In merito all’impatto economico sugli utenti che sostengono gli oneri delle misure introdotte dall’articolo in esame, si veda infra.

 

Il comma 2 demanda ad uno o più decreti del Ministero dello sviluppo economico, da adottarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore del disegno di legge in esame, sentita l’AEEGSI e previo parere delle competenti commissioni parlamentari, da rendersi entro 30 giorni dalla trasmissione degli schemi di decreto, la ridefinizione delle imprese a forte consumo di energia elettrica, nonché delle agevolazioni attualmente previste per tale tipologia di imprese.

 

Si segnala che il termine per l’espressione del parere parlamentare sugli schemi di decreto ministeriale coincide con quello dell’adozione dei decreti stessi.

 

La disposizione è volta a conformare la legislazione nazionale alla Comunicazione della Commissione europea “Disciplina degli aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014-2020”, nonché alla citata Decisione della Commissione europea C(2017) 3406 del 23 maggio 2017 volta a valutare la possibile esistenza e compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato delle misure notificate dallo Stato italiano in data 17 aprile 2014 relative alle agevolazioni previste in materia di oneri generali di sistema per le imprese a forte consumo di energia dall’art. 39 del Decreto-legge n. 83 del 12 giugno 2012 e dal decreto ministeriale del 5 aprile 2013.

 

Con riferimento al sistema di agevolazioni vigente per le imprese c.d. “energivore”, si ricorda che l’articolo 39, comma 1, del decreto legge 83/12 ha previsto che con uno o più decreti del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto col Ministro dello Sviluppo Economico, fossero definite le imprese a forte consumo di energia. La norma è stata attuata con il decreto 5 aprile 2013.L’azienda “energivora” è identificata non solo sul consumo assoluto dei vettori energetici, ma anche in base all’incidenza del costo dell’energia sul proprio volume complessivo d’affari.

Il provvedimento stabilisce che le aziende con un costo totale dell’energia superiore al 3% del fatturato abbiano diritto ad agevolazioni sulle accise. Al 2% è invece stato fissato l'indice di intensità elettrica, ossia il rapporto tra costi dell'elettricità e fatturato oltre il quale le aziende potranno godere di sgravi sugli oneri di sistema in bolletta (in particolare quelli per le FER). Più alto sarà questo rapporto maggiori saranno le agevolazioni. Resta poi valida la soglia di 2,4 GWh annui di volumi consumati, al di sotto della quale le imprese non avranno diritto agli sgravi.

Il medesimo articolo 39 ha altresì disposto che i corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema elettrico ed i criteri di ripartizione dei medesimi oneri a carico dei clienti finali venissero rideterminati dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, in modo da tener conto della definizione di imprese a forte consumo di energia contenuta e nel rispetto dei vincoli (divieto di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) sanciti dal citato comma 2, secondo indirizzi del Ministro dello sviluppo economico.Il Decreto del Ministro dello sviluppo economico del 24 luglio 2013, attuativo del decreto legge 83/2012, ha inoltre demandato all'Autorità per l'Energia Elettrica, il Gas e il Settore Idrico (AEEG) di ridefinire i corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema, limitando l'erogazione di tali benefici alle sole imprese energivore del settore manifatturiero (pertanto, la possibilità di accedere ai benefici è stata preclusa alle imprese operanti in settori diversi, come quello dei servizi sanitari).

In seguito all’acquisizione degli indirizzi del Ministro dello Sviluppo Economico, l’AEEGSI, con la deliberazione 340/2013/R/eel, ha stabilito che, a partire dal 1° luglio 2013, le imprese a forte consumo di energia elettrica che ne abbiano titolo possano richiedere le agevolazioni loro spettanti .

Il quadro legislativo di riferimento verte sui c.d. oneri generali, cioè quegli oneri volti a garantire la copertura dei costi sostenuti per gli interventi effettuati sul sistema elettrico per realizzare finalità di interesse collettivo individuate dal legislatore. Tali costi sono finanziati tramite componenti tariffarie distintamente individuate nella bolletta elettrica e che ciascun utente finale versa in parte in quota fissa e in parte in funzione dei consumi effettivi di energia elettrica. Le agevolazioni consistono nell’ esonero dal pagamento di tali componenti, stabilendo che le aliquote delle componenti tariffarie A venissero poste pari a zero per i consumi mensili eccedenti gli 8 GWh per utenti connessi in media tensione e per i consumi mensili eccedenti i 12 GWh per utenti connessi in alta e altissima tensione. Con riferimento alle soglie di consumo inferiori agli 8 GWh (per gli utenti in media tensione) e 12 GWh (per gli utenti in alta e altissima tensione) era prevista una riduzione di tale aliquota in misura diversa a seconda del valore dell’intensità di costo dell’energia elettrica.

Dunque, a partire dal 1° gennaio 2014, è stata introdotta in bolletta una nuova componente tariffaria, denominata AE a copertura degli oneri, derivanti dal comma 3 dell’articolo 39 del D.L. n. 83/2012, per le agevolazioni alle imprese a forte consumo di energia elettrica, a carico delle utenze non destinatarie delle medesime agevolazioni.

 

L’obiettivo della norma introdotta con il comma in esame sembra essere quello di assicurare l'entrata in vigore contestuale della riforma degli oneri generali (prevista a partire dal 1°gennaio 2018 per effetto del DL244/16) e la riformulazione delle agevolazioni per imprese energivore, nelle modalità approvate dalla Commissione europea con la citata Decisione C(2017) 3406.

 

Con riferimento alla compatibilità delle misure disposte a favore delle imprese a forte consumo di energia elettrica con la Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014-2020, di cui alla Comunicazione 2014/C 200/01 (Linee guida), le sezioni 3.7.2 e 3.7.3 delle suddette Linee guida prevedono, tra l’altro, che gli Stati membri possano adottare misure di agevolazione per le imprese a forte consumo di energia elettrica sotto forma di riduzione dei costi associati esclusivamente al finanziamento della produzione di energia da fonti rinnovabili e nel rispetto di determinate condizioni (indicate al paragrafo 3.7.2); prevedono, inoltre, che la Commissione debba approvare un piano di aggiustamento nei casi in cui i sistemi di agevolazioni preesistenti all’entrata in vigore di detta disciplina non siano conformi a dette condizioni.

In ossequio alla normativa europea in materia di aiuti di Stato, le misure istitutive delle agevolazioni alle imprese a forte consumo di energia elettrica sono state notificate dal Governo alla Commissione Europea in data 17 aprile 2014 e il relativo procedimento si è concluso con la citata Decisione della Commissione europea C(2017) 3406 del 23 maggio 2017. Oggetto dell’analisi della Commissione sono le agevolazioni sulla corresponsione di tali componenti tariffarie consentite per le imprese a forte consumo di energia in funzione dei livelli minimi di consumo ed incidenza del costo dell’energia sul valore dell’attività di impresa.

In tale contesto, la Commissione effettua la valutazione circa la possibile compatibilità con il mercato interno delle misure in questione e giunge alle seguenti conclusioni: le agevolazioni in questione rappresentano un aiuto di Stato in quanto comportano un vantaggio selettivo nei confronti solo di determinate imprese, limitate nel numero, con specifici livelli di consumi e che operano in determinati settori (quali quello manifatturiero); inoltre, al § 76 si evidenzia come la contestata digressività del sistema non corrisponda ad un principio di ordinaria tassazione e già dai termini utilizzati relativi a “riduzioni” e/o “esenzioni” si dovrebbe comprendere che si tratta di una eccezione; per di più, la digressività non rappresenterebbe una caratteristica tipica delle tariffe di trasmissione; l’utilizzo di risorse statali, in quanto una risorsa può definirsi statale non solo quando avviene un trasferimento a livello di bilancio pubblico, ma anche quando tali risorse rimangono sotto il controllo pubblico, e ciò avverrebbe nel caso di specie, dal momento che le componenti tariffarie ex lege sono imposte sui consumatori finali e sono trasferite in conti gestiti da organismi pubblici, quali la Cassa e il GSE; le misure sarebbero in grado di avere un effetto distorsivo sulla concorrenza. Nelle conclusioni pertanto, viene chiarito che le agevolazioni relative alle componenti tariffarie A devono considerarsi aiuti di Stato illegali, in quanto sono state riconosciute senza che venissero previamente notificate. La Commissione però precisa che lo Stato italiano ha dimostrato che le imprese a forte consumo di energia in questione avrebbero realmente beneficiato solo della componente A3 volta a finanziare le agevolazioni a sostegno dell’energia derivante da fonti rinnovabili e della cogenerazione, in quanto de facto i corrispettivi per le altre voci degli oneri generali sarebbero stati versati. In ogni caso, in virtù degli impegni proposti dallo Stato italiano nel citato piano di adeguamento, laddove si dimostrasse che i soggetti abbiano effettivamente beneficiato dell’effettivo esonero dal pagamento delle altre componenti A, si effettuerebbero delle detrazioni con riferimento alle riduzioni previste nel piano di rientro per il periodo 2014-2016.

Per tali ragioni, la Commissione decide di limitare la valutazione di compatibilità solo alle misure che sono state riconosciute (e che potranno essere riconosciute) relative alla componente A3. Al riguardo, sottolineando i diversi effetti positivi e la conformità ai requisiti richiesti dalle Linee Guida in materia di aiuti ai settori dell'ambiente e dell’energia, si conclude per la compatibilità di tale misura, stabilendo che in base ai piani dell’Italia, le riduzioni delle maggiorazioni destinate a finanziare il sostegno all'energia elettrica da fonti rinnovabili e alla cogenerazione saranno limitate alle imprese ad alta intensità energetica che operano nei settori esposti agli scambi internazionali e ad un massimo dell'85% delle maggiorazioni sulle energie rinnovabili e la cogenerazione.

 

La disciplina introdotta è infatti strettamente connessa con la riforma degli oneri generali per i clienti non domestici di cui al decreto legge 30 dicembre 2015, n. 210, (come modificato dal DL 244/2016) che prevede che la struttura delle componenti tariffarie relative agli oneri generali di sistema, da applicare ai clienti connessi in alta e altissima tensione, a decorrere dal 1° gennaio 2018, sia adeguata su tutto il territorio nazionale dall’Autorità in modo da rispecchiare la struttura della tariffa di rete per i servizi di trasmissione, distribuzione e misura, in vigore dal 2014. Tale norma comporta una profonda revisione dell’attuale struttura (degressiva e articolata in scaglioni di consumo) delle aliquote degli oneri generali per gli utenti non domestici dato che, avendo come riferimento la struttura delle tariffe di rete, da una parte, aumenta il peso delle componenti "fisse" (per punto di prelievo e per potenza), dall'altra abolisce gli scaglioni sulla componente proporzionale al consumo.

La riforma rimuoverà dunque l’agevolazione implicita presente nell’attuale struttura tariffaria che favorisce i grandi consumatori di energia elettrica (ritenuta  aiuto di stato non compatibile  dalla CE): verrà, in particolare, eliminata la struttura degressiva della tariffa.

 

In conseguenza dell’adozione della nuova tariffa si determina dunque un significativo aumento degli oneri per le imprese energivore, in particolare per quelle con consumi superiori a 12 GWh al mese

Secondo la struttura tariffaria che resterà in vigore fino al 31/12/2017, gli oneri sono pagati, sostanzialmente, sull’energia prelevata dalla rete, secondo il seguente schema semplificato:

a)  l’aliquota pagata dai consumatori domestici è progressiva rispetto ai consumi (anche se in base alla riforma della tariffa domestica, introdotta in attuazione dell’art. 11 comma 3 del d.lgs. 102/2014, tale progressività sarà eliminata dal 1/1/2018);

b) i consumatori non domestici in bassa tensione pagano un’aliquota costante;

c)  i consumatori non domestici in media tensione pagano un’aliquota costante;

d) i consumatori in alta tensione pagano secondo un criterio degressivo rispetti ai  consumi.

Con la delibera 481/2017/R/eel l'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico definisce la nuova struttura tariffaria degli oneri generali per il settore elettrico dal 1 gennaio 2018.

In considerazione della decisione europea di compatibilità delle misure istitutive delle misure a favore delle imprese a forte consumo di energia elettrica (cd. energivori) con le norme europee in materia di aiuti di Stato (decisione C(2017) 3406), e in vista dell'attuazione della riforma degli oneri generali per i clienti non domestici dal 1 gennaio 2018, la delibera definisce, la struttura tariffaria degli oneri generali, al fine di agevolarne l'adozione da parte di tutti i soggetti interessati, in particolare in relazione alle necessarie modifiche dei sistemi informativi degli esercenti la vendita e delle imprese di distribuzione.

In particolare la delibera definisce che la struttura degli oneri generali da applicare ai clienti non domestici relativa alle componenti A2, A3,A4, A5, As, MCT, UC4 e UC7 preveda due raggruppamenti relativi a:

-        "oneri generali relativi al sostegno delle energie rinnovabili ed alla cogenerazione" (ASOS);

-        "rimanenti oneri" (ARIM);

Inoltre prevede che tali raggruppamenti abbiano una forma trinomia, caratterizzata da tre aliquote:

·       una quota fissa espressa in centesimi di euro per punto di prelievo per anno;

·       una quota potenza espressa in centesimi di euro/kW per anno; ai fini dell'applicazione della quota potenza il riferimento è alla definizione di potenza utilizzata ai fini della determinazione delle tariffe di rete come definita dal Testo Integrato delle disposizioni per l'erogazione dei servizi di trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica (TIT), ossia come potenza contrattualmente impegnata ove consentito o, per tutti gli altri casi, come il valore massimo della potenza prelevata nel mese ;

·       una quota variabile espressa in centesimi di euro/kWh;

Inoltre si prevede che la struttura del raggruppamento "oneri generali relativi al sostegno delle energie rinnovabili ed alla cogenerazione" possa essere differenziata tra clienti energivori e clienti agevolati suddivisi per classi di agevolazioni, come saranno successivamente definite.

 

Al fine di compensare l’aumento degli oneri per le imprese energivore conseguente alla riforma della struttura tariffaria viene dunque introdotta una nuova forma di agevolazione per tali imprese.

La novità principale è l’utilizzo di una possibilità prevista dall’Unione europea: l’applicazione della clausola sul Valore Aggiunto Lordo (VAL) per le imprese che hanno un costo dell’energia pari ad almeno il 20% dello stesso Val. Queste imprese potranno ridurre il proprio contributo per le rinnovabili fino allo 0,5% del Val, rendendo questo onere esclusivamente funzione del proprio risultato aziendale (fatto salvo la contribuzione minima richiesta dalle regole Ue).

 

Il comma 3 demanda infatti ai decreti ministeriali di cui al comma 2, la definizione dei criteri di adeguamento delle agevolazioni, introducendo la clausola, contenuta nelle Linee Guida, sul valore aggiunto lordo quale parametro per la quantificazione della contribuzione per le imprese energivore e definendo la contribuzione in funzione dell’intensità elettrica sul fatturato per le altre imprese energivore, eventualmente modulabile per tener conto dell’esposizione al commercio internazionale dei diversi settori merceologici, nel rispetto dei livelli di contribuzione minima fissati dalla Commissione europea (limitazione dell’importo totale da versare allo 0,5 % del valore aggiunto lordo dell’impresa interessata). Ai medesimi decreti ministeriali è altresì demandata la definizione delle modalità di applicazione della clausola sul valore aggiunto lordo (VAL) secondo quanto prevede la Comunicazione della Commissione europea sugli aiuti di stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014-2020. E’ inoltre specificato che in sede di prima applicazione, tale clausola si applica alle imprese con indice di intensità elettrica sul VAL maggiore o uguale al 20%, fatto salvo il rispetto del valore minimo di contribuzione richiesto dalla disciplina europea.

 

Al riguardo si ricorda che il Punto 189 della Comunicazione della Commissione europea “Disciplina degli aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014-2020” prevede che “se necessario, gli Stati membri hanno la possibilità di limitare ulteriormente l’importo dei costi generati dall’aiuto al finanziamento delle energie rinnovabili che un’impresa deve versare, fissandolo al 4 % del valore aggiunto lordo dell’impresa interessata. Per le imprese che presentano un’intensità di energia elettrica di almeno il 20 %, gli Stati membri possono limitare l’importo totale da versare allo 0,5 % del valore aggiunto lordo dell’impresa interessata.

Il Punto 190 specifica che se gli Stati membri decidono di applicare le limitazioni, fissandole rispettivamente al 4 % e allo 0,5 % del valore aggiunto lordo, tali limitazioni devono valere per tutte le imprese ammissibili.

 

Il nuovo meccanismo, dunque, espliciterà in un unico valore due benefici prima distinti (la tariffa degressiva e le agevolazioni previste dall’articolo 39 del DL 83/12).

 

L'impatto economico delle nuove misure di agevolazione per le imprese energivore dipende da aspetti di competenza del Ministero per lo sviluppo economico, tra cui in particolare il contributo agli oneri per il supporto alle fonti rinnovabili e alla cogenerazione dovuto dalle imprese energivore che si possono avvalere della "clausola VAL" e i livelli di sconto per le imprese energivore che non si possono avvalere della medesima clausola VAL.

A riguardo, secondo i dati forniti dal MISE, le riduzioni già vigenti a favore delle imprese energivore sono:

a)         agevolazioni esplicite art.39: circa 600 ML€ all’anno;

b)        riduzioni implicite derivanti dalla tariffa degressiva: circa 400 ML€ all’anno.

Il totale delle riduzioni già vigenti è quindi di circa 1.000 ML€ all’anno.

 

L’AEEGSI ha fornito una prima stima  delle nuove agevolazioni in 1.4 miliardi di euro, articolata nel seguente modo:

 -1.25 miliardi per le agevolazioni alle imprese energivore che si avvalgono della “clausola VAL” (più conveniente), simulando la più ampia soglia di accesso consentita pari a un indice di electrointensity del 20% e un contributo pari al minimo (0,5%); tale ammontare si riferisce a circa il 60% dell’energia complessivamente agevolata (30 TWh su 50 TWh) per circa 1.200 imprese su 3.000;

- 0.15 miliardi per le agevolazioni alle imprese energivore che non si avvalgono della “clausola VAL. Tale impatto è valutato ai livelli degli oneri generali di sistema attuali e ai livelli attuali di consumo delle imprese energivore attualmente incluse nelle liste formulate in attuazione dell'art. 39 del DL 83/2012.

Per quanto riguarda i clienti domestici, l’impatto previsto dovrebbe essere di circa 9 euro/anno addizionali pari a 1.9% della bolletta annua totale tasse incluse del cliente domestico tipo. Tale valore deriva dalla ripartizione dell'impatto complessivo (1.400 milioni di euro) tra famiglie (circa 24%) e imprese (76%). La parte attribuita al settore domestico viene ripartita su 59 TWh di consumo, che comporta una aliquota media di 5,9 euro/MWh. Tenendo conto che un cliente domestico tipo consuma 2.700 kWh/anno (2,7 MWh/a), l'ammontare dovuto è di circa 15,9 euro; detraendo i 6,7 euro/anno già presenti nella bolletta attuale, si ottiene il predetto differenziale di circa 9 euro/anno.

Infine, per quanto riguarda i clienti non domestici, al 1° gennaio 2018, l’impatto dipenderà dall’azione contestuale della riforma della struttura tariffaria degli oneri generali e delle misure di agevolazione. In linea generale, si può osservare che, da una parte, la riforma della struttura tariffaria degli oneri generali comporterà una diminuzione degli oneri per le piccole e medie imprese, alimentate in bassa tensione, con buon utilizzo della potenza impegnata; dall’altra parte, i clienti non domestici non energivori risentiranno degli effetti delle nuove misure di agevolazione per le imprese energivore, secondo modalità applicative che potranno essere definite con i decreti ministeriali previsti dal comma 2.

 

Il comma 4 aggiorna il decreto legislativo n.102 del 2014, laddove tale norma impone l’obbligo di diagnosi energetica per i soggetti di cui all’articolo 39 del DL 83 del 2012. Tale obbligo si applica ora al nuovo perimetro delle imprese energivore definito dalle linee guida CE.

 

Come è noto, la direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, recepita dal D.Lgs. 102/2014,  non utilizza il termine "diagnosi energetica", bensì quello di "audit energetico", che all'articolo 2 definisce come una procedura sistematica finalizzata a ottenere un'adeguata conoscenza del profilo di consumo energetico di un edificio o gruppo di edifici, di una attività o impianto industriale o commerciale o di servizi pubblici o privati, a individuare e quantificare le opportunità di risparmio energetico sotto il profilo costi-benefici e a riferire in merito ai risultati.

Il citato D.Lgs. 102/2014 prescrive l'obbligo della diagnosi energetica (o “audit energetico”) per le alcune tipologie di attività, come le grandi imprese e le imprese energivore.

Attualmente le  imprese a forte consumo di energia (o energivore) soggette all’obbligo di diagnosi energetica, ai sensi dell’articolo 8, comma 3, sono le imprese iscritte nell’elenco annuale istituito presso la Cassa Conguaglio per il settore elettrico ai sensi del decreto interministeriale 5 aprile 2013. Pertanto, le piccole o medie imprese non eleggibili al riconoscimento del beneficio energivori non sono soggette all’obbligo di diagnosi. L’impresa energivora è esonerata dall’obbligo di esecuzione della diagnosi energetica nel caso in cui adotti uno dei sistemi di gestione volontaria di cui all’articolo 8, comma 1, secondo periodo (EMAS, ISO 50001, EN ISO 14001), a condizione che il suddetto sistema di gestione includa un audit energetico realizzato in conformità con i criteri elencati all’allegato 2 al decreto legislativo 102/2014. Resta fermo l’obbligo di comunicare all’ENEA l’esito della diagnosi condotta nell’ambito del sistema di gestione.

 

Il comma 5 interviene sulle disposizioni del D.L. 25-1-2010 n. 3, relative ai criteri della revisione tariffaria che entrerà in vigore il 1° gennaio 2018.

In particolare, in conformità a quanto previsto dalla decisione della Commissione europea C(2017) 3406, si prevede che la struttura delle componenti tariffarie relative agli oneri generali di sistema, da applicare ai clienti connessi in alta e altissima tensione, a decorrere dal 1° gennaio 2018, sia adeguata su tutto il territorio nazionale dall’Autorita? in modo da rispecchiare, non più del tutto, ma “almeno in parte” la struttura degressiva della tariffa di rete per i servizi di trasmissione, distribuzione e misura, in vigore dal 2014.

Viene inoltre soppressa la previsione in base alla quale la rideterminazione degli oneri di sistema elettrico, di cui all'articolo 39, comma 3, del D.L. n. 83/2012, sia applicata esclusivamente agli oneri generali relativi al sostegno delle energie rinnovabili.

L’articolo 39, comma 3, del più volte citato DL 83/2012 prevede che i corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema elettrico ed i criteri di ripartizione dei medesimi oneri a carico dei clienti finali sono rideterminati dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas entro 60 giorni dalla data di emanazione dei decreti di cui al comma 1, in modo da tener conto della definizione di imprese a forte consumo di energia contenuta nei decreti di cui al medesimo comma 1 e nel rispetto dei vincoli di cui al comma 2, secondo indirizzi del Ministro dello sviluppo economico.

 

Il comma 6, in connessione alla riforma tariffaria per i clienti non domestici relativa agli oneri di sistema (che come già detto più volte entrerà in vigore il 1 gennaio 2018), interviene con disposizioni interpretative sull’articolo 29 del decreto legge 91/2014, concernente il regime tariffario elettrico di Ferrovie dello Stato, per chiarire che gli effetti di tale decreto sul regime tariffario speciale che riguarda l’energia elettrica per i trasporti ferroviari sono riferiti alla componente compensativa di tale regime tariffario, senza impatto sulla parte che riguarda il pagamento degli oneri di sistema.

 

Il regime tariffario speciale per l’approvvigionamento di energia elettrica del sistema ferroviario è nato con la nazionalizzazione del settore elettrico , in seguito alla quale le Ferrovie delle Stato (oggi RFI) sono state espropriate delle proprie centrali idroelettriche e geotermiche, trasferite all’ENEL. A seguito dei processi di liberalizzazione del settore dell’energia elettrica e della privatizzazione dell’ENEL, l’onere del regime speciale è transitato dall’ex monopolista nazionale (ENEL) all’utenza generale del sistema elettrico,.

Tale regime tariffario speciale riconosciuto ai consumi elettrici della rete ferroviaria italiana RFI di cui al DPR 730/63 è costituito da tre componenti:

1) una componente “compensativa” finanziata da tutti gli utenti finali tramite la componente tariffaria A4, che viene erogata dalla Cassa servizi energetici ambientali a RFI e poi distribuita alle imprese ferroviarie in proporzione ai loro consumi;

2) l’esenzione totale dal pagamento degli “oneri generali di sistema” per i primi 3300 GWh di energia elettrica consumata dalla rete RFI per usi di trazione ferroviaria;

3) l’applicazione del meccanismo del “punto unico virtuale” (PUV) per l’energia eccedente la soglia di cui al punto 2, il che, con l’attuale struttura tariffaria fortemente degressiva degli oneri di sistema, si traduce in un notevole sconto dal pagamento di tali oneri.

Con recente sentenza del 14 giugno 2017, n. 1408, ha affermato il Consiglio di Stato che il regime speciale di cui gode Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. continua a trovare applicazione anche dopo l’entrata in vigore della novella di cui all’art. 1, comma 3 ter, del DL 3/2010 con la conseguente necessità che l'Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico, in attuazione del d.l. n. 210 del 2015, riformi le componenti tariffarie relative agli oneri generali di sistema preservando gli effetti economici del regime speciale di RFI.

La determinazione della componente compensativa è quantificata secondo dati forniti dal MISE in circa 200 ML corrispondenti al  gettito raccolto dalla componente A4 nel 2015.

Il fabbisogno della componente compensativa si riduce in relazione all’abbassamento del PUN (Prezzo unico nazionale) . La componente compensativa è infatti strutturata come differenza tra il costo dell’energia sul mercato e una soglia di costo prefissata: quindi più scende il PUN, più si riduce il fabbisogno della componente compensativa. L’Autorità fissa le aliquote del gettito tenendo conto anche di aspetti congiunturali; naturalmente sul medio periodo gli effetti congiunturali si annullano e quindi si assicura l’allineamento tra fabbisogno e gettito, ma questo può non valere nel breve periodo.

 

Il comma 7 interviene direttamente sull’articolo 29, co. 1 del decreto-legge n. 91/2014, riperimetrando l’ambito di applicazione del regime tariffario speciale. In particolare saranno esclusi dal regime tariffario speciale solo i servizi passeggeri espletati sulle linee appositamente costruite per l’alta velocità ed alimentate a 25 kV corrente alternata. Rientrano quindi nel perimetro di applicazione del regime tutte le reti diverse da quelle asservite all’alta velocità. L'obiettivo della disposizione va letto alla luce della riforma del sistema tariffario che, come più volte ricordato entrerà in vigore il 1 gennaio 2018 e che elimina la struttura depressiva della tariffa, e sembra dunque essere quello di compensare parzialmente l'aggravio di costi che verranno a gravare sulle imprese ferroviarie che operano nel settore dell'alta velocità.

La disposizione sopprime quindi il secondo e terzo periodo del comma 1 dell’articolo 29 che demandavano ad un decreto del MISE sentite l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e i servizi idrici e l'Autorità per i trasporti, la definizione delle modalità di individuazione dei consumi rilevanti ai fini dell'attuazione del regime (il DM è stato adottato il 22 dicembre 2015).

 

L’art. 29, co. 1, del decreto-legge n. 91/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116/2014 aveva ristretto, dal 1° gennaio 2015, l’ambito di applicazione del regime tariffario speciale ai soli consumi di energia elettrica impiegati per uso trazione rientranti nel servizio universale e per il settore del trasporto ferroviario delle merci, lasciando fuori dal perimetro dell’agevolazione i c.d. “servizi a mercato” (alta velocità e treni a medio/lunga percorrenza), con l’obiettivo di conseguire un risparmio per il sistema utile a diminuire il costo delle bollette a carico di famiglie e imprese. Fino all’adozione del decreto ministeriale attuativo (22 dicembre 2015) che ha fissato le modalità di calcolo dei consumi rilevanti ai fini della nuova disciplina, il DL ha previsto una norma transitoria (comma 2) che individuava un obiettivo di risparmio per il sistema di 80 ML€, da conseguire attraverso una riduzione della componente compensativa sull’energia eccedente la soglia dei 3300 GWh di energia elettrica consumata.

Nel 2015 non era ancora entrato in vigore il DM di cui al comma 1 dell’art. 29 DL 91/14 e quindi è stata applicata la riduzione forfettaria di 80 M€ alla componente compensativa prevista dal comma 2 dello stesso articolo. Tuttavia, la riduzione del perimetro del regime tariffario speciale ai soli servizi ferroviari per pendolari e merci ha comportato l’applicazione, dal 2015, degli oneri generali di sistema agli usi ferroviari a mercato (non agevolati): infatti, la componente compensativa non riguarda gli oneri generali, a cui si applicano altri meccanismi (esenzione totale fino a 3.3 TWh e “punto unico virtuale” per gli oneri generali sull’energia rientrante nel regime agevolato).  Non si tratta pertanto di aumento del risparmio sulla componente compensativa ma di un altro effetto, dovuto all’applicazione (con le modalità previste dalla generalità dell’utenza) all’energia per usi ferroviari a mercato delle componenti tariffarie a copertura degli oneri generali, con un conseguente aumento di gettito che va a beneficio di tutti i gettiti degli oneri generali, non solo della A4, ma di tutte le A (soprattutto della A3), riducendo  marginalmente il fabbisogno di oneri generali per tutte le altre utenze (dato il volume degli oneri generali, però, tale effetto marginale è quasi impercettibile). 

Secondo dati forniti dal MISE l’applicazione della norma del comma 1 del DL 91/2014 ha favorito nel corso del 2016 un risparmio per il sistema di entità superiore agli 80 ML€ conseguiti nel 2015 grazie alla norma transitoria. L’impatto di tale risparmio sulle imprese ferroviarie erogatrici di servizi a mercato è stato molto gravoso, con stime di aggravio di costi per approvvigionamento di energia elettrica di circa 130 ML€ rispetto al regime precedente. La ricaduta di tale aggravio di costi per le imprese ferroviarie che operano esclusivamente nel settore dell’alta velocità ha avuto ripercussioni sulla concorrenza e sull’aumento dei prezzi dei biglietti. Tale situazione potrebbe divenire più critica in seguito all’entrata in vigore della nuova struttura tariffaria degli oneri di sistema prevista dal DL 244/2016, in conseguenza della rimozione della degressività, con ulteriore aggravio di costi per le imprese ferroviarie per il venir meno dei vantaggi del PUV.

Si specifica inoltre che il valore di 80 ML€ di riduzione dei costi, fissato dal legislatore al comma 2 del DL 91/2014, rappresenti l’obiettivo di risparmio massimo derivante dalla “componente compensativa”e che si conservino per gli oneri generali di sistema le disposizioni del DPR 730/63 (esenzione totale dei primi 3300 GWh e PUV per l’eccedenza).

La componente compensativa può ridursi automaticamente in presenza di costo dell’energia decrescente. Il fatto che 80 M€ sia un massimo dipende dunque dal fatto che la componente compensativa non può essere negativa.

 


Articolo 20
(Adeguamento della normativa nazionale alla comunicazione 2014/C 200/01 della Commissione, in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020. Sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili)

 

Per proseguire la politica di sostegno alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, illustrata dalla Comunicazione europea 2014/C 200/01, l'articolo in esame novella l'articolo 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28.

 

Il 28 giugno 2014 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea la Comunicazione della Commissione 2014/C 200/01, recante "Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020". Il testo illustra le condizioni alle quali - secondo l'opinione della Commissione europea - gli aiuti di Stato a favore dell'energia e dell'ambiente possono essere considerati compatibili con il mercato interno a norma dell'articolo 107, par. 3, lettera c) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE)[23].

La compatibilità con il mercato interno delle misure a favore dell'ambiente e dell'energia adottate dagli Stati membri è determinata in primis alla luce dei seguenti principi comuni:

1)     contributo al raggiungimento di un obiettivo ben definito di interesse comune. Si valuta, in particolare, se gli effetti positivi dell'aiuto, derivanti dal conseguimento di un obiettivo di interesse comune, superino i potenziali effetti negativi sugli scambi e sulla concorrenza;

2)     necessità dell'intervento statale per un miglioramento tangibile che il mercato da solo non è in grado di fornire;

3)     adeguatezza della misura d'aiuto per conseguire l'obiettivo di interesse comune;

4)     effetto di incentivazione, inteso come capacità di modificare il comportamento delle imprese interessate, spingendole ad intraprendere un'attività supplementare che non svolgerebbero senza l'aiuto o svolgerebbero solo in modo limitato o diverso;

5)     proporzionalità dell'aiuto, limitato al minimo indispensabile per stimolare investimenti o attività supplementari;

6)     prevenzione degli effetti negativi indebiti sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri;

7)     trasparenza dell'aiuto.

 

La Comunicazione disciplina quindi gli aiuti: a favore dell'energia da fonti rinnovabili (par. 3.3); misure di efficienza energetica (par. 3.4); per l'uso efficiente delle risorse e la gestione dei rifiuti (par. 3.5); per la cattura e lo stoccaggio di CO2 (par. 3.6); sotto forma di sgravi o esenzioni da tasse ambientali (par. 3.7); per le infrastrutture energetiche (par. 3.8); per l'adeguatezza della capacità di produzione (par. 3.9); sotto forma di autorizzazioni scambiabili (par. 3.10); al trasferimento di imprese (par. 3.11).

Ai sensi del par. 4, la Commissione europea può esigere che taluni regimi di aiuto siano soggetti ad una scadenza temporale (di norma quattro anni o meno) e ad una valutazione ex post.

La relativa disciplina sarà applicata fino al 31 dicembre 2020.

 

Il comma 1 alla lettera a) sostituisce il vigente testo del comma 3 dell'articolo 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 con un nuovo testo, mentre il comma 1 alla lettera b) interviene sul comma 4, lettera c) del medesimo articolo 24: esso reca Meccanismi di incentivazione per la produzione di energia elettrica da impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2012.

In base alle modifiche introdotte dalla lettera a), l'incentivo riguarderà la produzione di energia elettrica da impianti di potenza nominale fino a un valore che sarà stabilito con appositi decreti, di cui tuttavia si anticipano alcuni elementi.

 

Il testo si riferisce a decreti del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, per i profili di competenza, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, sentite l'Autorità per l'energia elettrica e il gas e la Conferenza unificata, che definiscono le modalità per l'attuazione dei sistemi di incentivazione. Ai sensi del comma 5 del vigente articolo 24 del decreto legislativo 28/2011 i decreti, tra le altre cose, disciplinano appunto i valori degli incentivi di cui al comma 3 per gli impianti che entrano in esercizio a decorrere dal 1° gennaio 2013. 

 

Innanzi tutto, l'incentivo - che già andava differenziato sulla base delle caratteristiche delle diverse fonti rinnovabili - reca requisiti di potenza fissati per legge: non più l'unica soglia minima di 5 MW elettrici, bensì un "tetto" differenziato tra gli impianti eolici (non superiore a 5 MW elettrici) e gli impianti alimentati da altre fonti rinnovabili impianti eolici (non superiore a 1 MW elettrico). Inoltre risulterebbe soppresso il diritto all'incentivo - attualmente previsto dal vigente testo del comma 3 - in favore di impianti previsti dai progetti di riconversione del settore bieticolo-saccarifero approvati dal Comitato interministeriale che si occupa delle problematiche bieticolo-saccarifere.  

 

Tale Comitato interministeriale, che nel 2006 fu creato allo scopo di fronteggiare la grave crisi del settore bieticolo - saccarifero, approva il piano per la razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticolo- saccarifera, coordina le misure comunitarie e nazionali previste per la riconversione industriale del settore e per le connesse problematiche sociali e formula direttive per l'approvazione dei progetti di riconversione. Il Comitato in parola è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è composto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che lo presiede, dal Ministro delle politiche agricole e forestali, con le funzioni di Vice-presidente, dal Ministro dell'economia e delle finanze, dal Ministro delle attività produttive, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro per le politiche comunitarie e dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nonché' da tre presidenti di regioni designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trenta e di Bolzano. La norma istitutiva del Comitato in parola è l'articolo 2 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81.

 

Successivamente, la lettera a) stabilisce che la diversificazione dell'incentivo per fonti e per scaglioni di potenza sarà finalizzata esclusivamente alla riduzione dei costi, anziché a commisurare l'incentivo stesso ai costi specifici degli impianti, tenendo conto delle economie di scala (come prescrive la norma attualmente in vigore). Inoltre, si puntualizza che -come già avviene ai sensi della normativa in vigore - l'incentivo riconosciuto è quello applicabile alla data di entrata dell'impianto in esercizio.  

La lettera b), poi, modifica il comma 4, lettera c). La novità ha ad oggetto le procedure d'asta al ribasso per impianti di potenza nominale superiore ai valori minimi stabiliti per l'accesso agli incentivi di cui sopra, gestite tramite il GSE.

 

Il GSE (Gestore Servizi Energetici) è una società per azioni interamente posseduta dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, costituita ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 16 marzo 1999 n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica) Gli indirizzi strategici ed operativi del GSE sono definiti dal Ministero dello Sviluppo Economico. GSE esercita funzioni di natura pubblicistica del settore elettrico ed è la Capogruppo di Acquirente Unico S.p.A., Gestore dei mercati energetici S.p.A. e Ricerca sul Sistema Energetico - RSE S.p.A., società che operano nel settore energetico.

 

Queste procedure, finora relative ad un contingente di potenza da installare per ciascuna fonte o tipologia d'impianto, per effetto della novella invece riguarderanno i contingenti di potenza anche riferiti a più tecnologie e specifiche categorie di intervento.   


Articolo 21
(
Adeguamento della normativa nazionale alla comunicazione 2014/C 200/01 della Commissione, in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020. Imprese a forte consumo di gas naturale)

 

 

Il comma 1 demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico la definizione delle imprese a forte consumo di gas naturale, in base a:

·       requisiti e parametri relativi ai livelli minimi di consumo

·       incidenza del costo del gas naturale sul valore dell'attività d'impresa

·       ed esposizione delle imprese alla concorrenza internazionale.

Previa verifica della sussistenza dei requisiti in questione, le imprese che ne facciano richiesta sono inserite in un apposito elenco delle imprese a forte consumo di gas naturale.

Si prevede per l'emanazione di tale decreto il termine di quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame, sentita l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico.

La norma in parola[24] fa riferimento alla finalità di consentire la rideterminazione dell'applicazione al settore industriale dei corrispettivi a copertura degli oneri generali del sistema del gas il cui gettito è destinato al finanziamento di misure volte al raggiungimento di obiettivi comuni in materia di decarbonizzazione, in modo conforme ai criteri di cui alla comunicazione della Commissione europea 2014/C 200/01, del 28 giugno 2014, recante «Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020».

 

Il 28 giugno 2014 è infatti stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea la Comunicazione della Commissione 2014/C 200/01, recante "Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020". Il testo illustra le condizioni alle quali - secondo l'opinione della Commissione europea - gli aiuti di Stato a favore dell'energia e dell'ambiente possono essere considerati compatibili con il mercato interno a norma dell'articolo 107, par. 3, lettera c) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

 

L'articolo 107 del TFUE dichiara incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati sotto qualsiasi forma che - favorendo talune imprese o talune produzioni - falsino o minaccino di falsare la concorrenza.

Il paragrafo 3 dell'articolo 107 elenca gli aiuti che "possono considerarsi compatibili con il mercato interno". Tra questi, la lettera c) individua quelli destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse".

 

La compatibilità con il mercato interno delle misure a favore dell'ambiente e dell'energia adottate dagli Stati membri è determinata in primis alla luce dei seguenti principi comuni:

1)    contributo al raggiungimento di un obiettivo ben definito di interesse comune. Si valuta, in particolare, se gli effetti positivi dell'aiuto, derivanti dal conseguimento di un obiettivo di interesse comune, superino i potenziali effetti negativi sugli scambi e sulla concorrenza;

2)    necessità dell'intervento statale per un miglioramento tangibile che il mercato da solo non è in grado di fornire;

3)    adeguatezza della misura d'aiuto per conseguire l'obiettivo di interesse comune;

4)    effetto di incentivazione, inteso come capacità di modificare il comportamento delle imprese interessate, spingendole ad intraprendere un'attività supplementare che non svolgerebbero senza l'aiuto o svolgerebbero solo in modo limitato o diverso;

5)    proporzionalità dell'aiuto, limitato al minimo indispensabile per stimolare investimenti o attività supplementari;

6)    prevenzione degli effetti negativi indebiti sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri;

7)    trasparenza dell'aiuto.

 

La Comunicazione disciplina quindi gli aiuti: a favore dell'energia da fonti rinnovabili (par. 3.3); misure di efficienza energetica (par. 3.4); per l'uso efficiente delle risorse e la gestione dei rifiuti (par. 3.5); per la cattura e lo stoccaggio di CO2 (par. 3.6); sotto forma di sgravi o esenzioni da tasse ambientali (par. 3.7); per le infrastrutture energetiche (par. 3.8); per l'adeguatezza della capacità di produzione (par. 3.9); sotto forma di autorizzazioni scambiabili (par. 3.10); al trasferimento di imprese (par. 3.11).

Ai sensi del par. 4, la Commissione europea può esigere che taluni regimi di aiuto siano soggetti ad una scadenza temporale (di norma quattro anni o meno) e ad una valutazione ex post.

La relativa disciplina sarà applicata fino al 31 dicembre 2020.

 

Il comma 2 demanda alla Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, su indirizzo adottato dal Ministro dello sviluppo economico, la rideterminazione dei corrispettivi a copertura degli oneri generali del sistema del gas, il cui gettito è destinato al finanziamento di misure volte al raggiungimento di obiettivi comuni in materia di decarbonizzazione, e dei criteri di ripartizione dei medesimi oneri a carico dei clienti finali; a tal fine, si tiene conto della definizione delle imprese a forte consumo di gas naturale  - di cui al comma 1 della norma - , nel rispetto dei requisiti e dei limiti stabiliti nella citata comunicazione della Commissione europea 2014/C 200/01 nonché applicando parametri di riferimento per l'efficienza del consumo di gas a livello settoriale[25]. Si stabilisce per tale attività il termine di centoventi giorni dalla emanazione del decreto del Mise.

Si specifica che il sistema risultante dalla rideterminazione dei corrispettivi in questione assicura il rispetto dei limiti di cumulo degli aiuti di Stato stabiliti dalle norme europee e l'invarianza del gettito tributario; inoltre, si pone una clausola di invarianza finanziaria.

La norma non appare specificare le modalità e lo strumento per l'adozione dell'indirizzo adottato dal Ministro dello sviluppo economico, nei confronti dell'Autorità incaricata ai sensi della disposizione.

 

In base al comma 3, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico adotta i provvedimenti necessari a garantire che tutti i consumi di gas superiori a 1 milione di Smc/anno per usi non energetici non siano assoggettati all'applicazione dei corrispettivi tariffari stabiliti per la copertura degli oneri generali del sistema del gas il cui gettito è destinato al finanziamento di misure in materia di obiettivi comuni per la decarbonizzazione. Si stabilisce, anche in relazione a tale previsione, il vincolo che i provvedimenti dell'Autorità assicurino l'invarianza del gettito tributario e la clausola di invarianza finanziaria.


Articolo 22
(Modificazioni alla legge 24 dicembre 2012, n. 234)

 

 

L'articolo 22 reca modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 234 ("Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea").

La lettera a) è stata inserita nel corso dell'esame presso l'Aula della Camera dei deputati. Modifica l'articolo 2, comma 9, della legge n. 234/2012 e si propone di espungere la qualificazione di "ufficio" alla Segreteria del CIAE..

 

L'articolo 2 della legge n. 234/2012 regola il Comitato interministeriale per gli affari europei (CIAE), organo operante presso la Presidenza del Consiglio dei ministri a cui partecipano le Amministrazioni competenti in materia di affari esteri, economia e finanze, affari regionali, turismo e sport, coesione territoriale. Partecipano altresì "gli altri Ministri aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche all'ordine del giorno". Le riunioni del CIAE sono predisposte da un Comitato tecnico di valutazione, regolato dall'articolo 19 della medesima legge. In particolare, il Comitato "coordina, nel quadro degli indirizzi del Governo, la predisposizione della posizione italiana nella fase di formazione degli atti normativi dell'Unione europea" (articolo 19, comma 2).

Il comma 9 dell'articolo 2 - nella versione vigente - specifica che nell'ambito del Dipartimento per le politiche europee è individuato l'ufficio di Segreteria del CIAE "per lo svolgimento delle attività istruttorie e di sostegno al funzionamento del CIAE e del Comitato tecnico di valutazione".

 

Le lettere b) e c), invece, sono rimaste invariate rispetto al testo presentato dal Governo alla Camera dei deputati. La ratio delle modifiche che esse apportano - specifica la relazione illustrativa del provvedimento, pubblicata in calce all'A.C. 4505 - è, da un lato, assicurare una maggiore partecipazione del Parlamento nazionale alla fase ascendente degli atti delegati dell'Unione europea, dall'altro garantirne il corretto e tempestivo recepimento.

In particolare, la lettera b) propone - mediante l'inserimento di una nuova lettera e-bis) al comma 7 dell'articolo 29 - che nella relazione illustrativa del disegno di legge di delegazione europea sia inserito l'elenco delle direttive dell'UE che delegano alla Commissione europea il potere di adottare atti di cui all'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (cd. "direttive deleganti").

Si ricorda che ai sensi dell'articolo 290 del TFUE "un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo. Gli atti legislativi delimitano esplicitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere. Gli elementi essenziali di un settore sono riservati all'atto legislativo e non possono pertanto essere oggetto di delega di potere". Il controllo spetta al legislatore dell'Unione (Parlamento europeo e Consiglio), in considerazione del fatto che con la delega il legislatore medesimo ha conferito alla Commissione il potere di elaborare atti che avrebbe potuto adottare esso stesso. L'art. 290, par. 2, prevede le seguenti forme di controllo, attivabili appunto dal Parlamento europeo o dal Consiglio:

1)     diritto di revoca: provvedimento eccezionale, che priva in maniera generale ed assoluta la Commissione dei poteri delegati e può essere motivato, ad esempio, dal sopraggiungere di elementi tali da rimettere in causa il fondamento medesimo della delega;

2)     diritto di obiezione (o "opposizione"): censura specifica rivolta contro un atto preciso.

Nell'aprile 2016 la questione degli atti delegati è stata oggetto di una Convenzione d'intesa, allegata all'Accordo interistituzionale "Legiferare meglio". Anche al fine di arginare le ricorrenti accuse di poca trasparenza del processo di formazione degli atti delegati, si è prevista: la partecipazione all'elaborazione di esperti degli Stati membri (articoli 4-7); la possibilità, per Parlamento europeo e Consiglio, di partecipare con propri esperti (articolo 11); la divulgazione periodica di elenchi indicativi degli atti delegati previsti (articolo 9).

Peraltro le Commissioni permanenti del Senato della Repubblica hanno in più occasioni rilevato, nelle proprie risoluzioni, elementi di criticità nell'applicazione pratica del sistema di delega, relativi a:

1)      indeterminatezza temporale: lo schema di deleghe prive di scadenza temporale, anche se modificabili ricorrendo a opposizione o revoca, è ricorrente nelle proposte legislative della Commissione europea. Sin dal 2010 la 14a Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) ha rilevato l'incongruenza di questa impostazione con il disposto letterale del TFUE. Si ricorda, ad esempio, la risoluzione Doc XVIII, n. 66, della XVI Legislatura[26]. Nella citata Convenzione d'intesa sugli atti delegati è esplicitamente stabilito: "L'atto di base può autorizzare la Commissione ad adottare atti delegati per un periodo determinato o indeterminato" (articolo 16). Nel caso di deleghe a tempo determinato - prosegue l'articolo 17 - "l'atto di base dovrebbe prevedere in linea di principio il rinnovo automatico e tacito della delega per periodi di autentica durata".

Resta aperta la questione se un accordo tra le istituzioni comunitarie possa, ed in che misura, modificare il dettato del TFUE;

2)     incidenza su elementi essenziali del documento legislativo in via di approvazione (indeterminatezza della portata). Il TFUE vieta esplicitamente di incidere, tramite delega legislativa, su elementi essenziali del documento legislativo. Nel gennaio 2013 l'eccessiva ampiezza della delega è stato uno dei motivi alla base dell'adozione di un parere motivato sulla sussidiarietà da parte della 12a Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato della Repubblica (si veda la risoluzione di cui al Doc XVIII, n. 183 della XVI Legislatura). Recentemente anche la 9a Commissione permanente (Agricoltura e produzione agroalimentare) ha di nuovo rilevato l'indeterminatezza della portata in un parere motivato ai sensi del Protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona (Doc XVIII, n. 185, 1° marzo 2017).

 

L'informativa della quale la disposizione prevede l'inserimento nella legge di delegazione europea andrebbe a colmare una lacuna informativa, in quanto gli atti delegati, non avendo natura legislativa, non sono oggetto di trasmissione ai Parlamenti nazionali ai sensi dei Protocolli 1 e 2 allegati ai Trattati.

Questa trasmissione, negli auspici del Governo, dovrebbe consentire di individuare, con il necessario anticipo, gli atti sui quali intensificare la collaborazione Governo-Parlamento e che dovrebbero essere recepiti nell'ordinamento nazionale con decreto legislativo.

La lettera c), infatti, consente una formula di recepimento diversa -  tramite decreto ministeriale - per gli atti delegati aventi un contenuto meramente tecnico.

La norma prevede infatti di inserire - in fine del comma 6 dell'articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 - il rinvio alla disciplina di cui all'articolo 36 "per il recepimento degli atti delegati dell'Unione europea che recano meri adeguamenti tecnici".

 

L'articolo 36 stabilisce il ricorso al decreto del Ministro competente per materia per dare attuazione alle norme dell'Unione europea non autonomamente applicabili.

Spetta al Ministro che emana il decreto darne "tempestiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro per gli affari europei".

 

Nella relazione illustrativa si specifica ulteriormente che gli atti a cui si fa riferimento sono di contenuto tecnico e spesso si limitano a modificare gli Allegati di atti vigenti. Per questo motivo il termine per il loro recepimento è tipicamente molto breve: sette mesi in media, con casi in cui il termine è stato fissato a quindici giorni. Seguire anche per questi atti la via del recepimento parlamentare - che prevede l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni permanenti - potrebbe determinare il rischio, a detta della relazione illustrativa, dell'apertura di una procedura di infrazione. Il Governo calcola infatti che il meccanismo della delega legislativa richieda in media sei mesi per il suo completamento.


Articolo 23
(Disposizioni per l’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE relativa agli ascensori e ai componenti di sicurezza degli ascensori nonché per l'esercizio degli ascensori)

 

 

L’articolo 23, introdotto nel corso dell’esame in sede referente alla Camera, reca disposizioni ai fini dell’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE per l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative agli ascensori e ai componenti di sicurezza per ascensori.

 

Si ricorda che la direttiva 2014/33/UE è parte di un pacchetto di provvedimenti adottati a livello europeo per l'adeguamento della legislazione relativa ad alcuni prodotti al nuovo quadro normativo generale comune in materia di certificazione di conformità e commercializzazione dei prodotti, costituito dal regolamento (CE) n. 765/2008 e dalla decisione n. 768/2008/UE. La citata direttiva ha proceduto alla rifusione delle norme contenute nella Direttiva 95/16/CE, che nel tempo ha subito modifiche e necessita di ulteriori aggiornamenti e modificazioni. Il D.P.R. n. 162/1999 reca il Regolamento contenente norme per l'attuazione della direttiva 2014/33/UE, relativa agli ascensori ed ai componenti di sicurezza degli ascensori, nonché per l'esercizio degli ascensori, c.d. “Regolamento ascensori”).

L'ambito di applicazione della direttiva riguarda gli ascensori quali prodotti finiti solo dopo essere stati installati in modo permanente in edifici o costruzioni e i componenti di sicurezza per ascensori nuovi prodotti da un fabbricante nell'Unione oppure componenti di sicurezza nuovi o usati importati da un Paese terzo. A tal fine essa ha introdotto:

1. misure volte ad affrontare il problema della non conformità, tra cui l'enunciazione di dettagliati obblighi essenziali di sicurezza e di corretta prassi costruttiva anche nella fase della progettazione;

2. il principio per cui gli operatori economici sono responsabili della conformità dei prodotti, in funzione del rispettivo ruolo che rivestono nella catena di fornitura; qualsiasi operatore economico che immetta sul mercato un ascensore o componente con il proprio nome o marchio commerciale oppure lo modifichi, così da incidere sulla conformità alla Direttiva, è considerato il fabbricante e si deve assumere i relativi obblighi;

3. norme concernenti la tracciabilità durante l'intera catena di distribuzione, in modo che ogni operatore economico sia in grado di informare le autorità in merito al luogo di acquisto del prodotto e al soggetto al quale è stato fornito;

4. misure volte a garantire la qualità dell'operato degli "organismi di valutazione della conformità"(OVC), con l'indicazione di criteri stringenti relativi in particolare alla loro indipendenza ed alla competenza nello svolgimento della loro attività;

5. Il sistema di valutazione della conformità viene completato dal sistema di accreditamento degli organismi di valutazione della conformità di cui al Regolamento CE n. 765/2008.

Il D.P.R. n. 23/2017 ha novellato il D.P.R. n. 162/1999, attuativo della precedente direttiva nella medesima materia (la citata Direttiva 95/16/CE), introducendo modifiche alle disposizioni vigenti riferite ai requisiti degli ascensori e dei relativi componenti di sicurezza, agli adempimenti degli operatori privati interessati e alle relative procedure e alla disciplina dei compiti ed adempimenti riferiti alle amministrazioni pubbliche.

Si ricorda, in proposito, che il D.P.R. n. 162/1999 era stato già modificato dal D.P.R n.214/2010 per la parziale attuazione della direttiva 2006/42/CE relativa alle macchine e che modifica la direttiva 95/16/CE relativa agli ascensori, nonché dal D.P.R. n. 8/2015 per chiudere la procedura di infrazione 2011/4064 ai fini della corretta applicazione della direttiva 95/16/CE relativa agli ascensori e di semplificazione dei procedimenti per la concessione del nulla osta per ascensori e montacarichi nonché della relativa licenza di esercizio.

Più in dettaglio, l’art. 12-bis, al comma 1, prevede che il certificato di abilitazione di cui all’art. 15, co. 1, del D.P.R. n. 162/1999:

        è valido su tutto il territorio nazionale;

Al riguardo, si ricorda che l’art. 15, co. 1, del citato D.P.R. n. 162/1999, come modificato dal D.P.R. n. 23/2017, dispone che, ai fini della conservazione dell'impianto e del suo normale funzionamento, il proprietario o il suo legale rappresentante sono tenuti ad affidare la manutenzione di tutto il sistema degli ascensori, dei montacarichi e degli apparecchi di sollevamento rispondenti alla definizione di ascensore la cui velocità di spostamento non supera 0,15 m/s a persona munita di certificato di abilitazione o a ditta specializzata, ovvero a un operatore comunitario dotato di specializzazione equivalente che debbono provvedere a mezzo di personale abilitato.

        è rilasciato dal Prefetto in seguito all’esito favorevole di una prova teorico-pratica innanzi ad un’apposita commissione esaminatrice, nominata dal Prefetto. La commissione si compone di cinque funzionari – almeno uno quali, oltre al presidente, fornito di laurea in ingegneria – in possesso di adeguate competenze tecniche e così designati:

1.   uno dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (che presiede la commissione);

2.   uno dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

3.   uno dal Ministero dello sviluppo economico;

4.   uno dall’Istituto nazionale per gli infortuni sul lavoro (INAIL);

5.   uno da un’Azienda sanitaria locale, ovvero dall’ARPA, ove le disposizioni regionali di attuazione del D.L. n. 496/1993 (L. n. 61/1994) attribuiscano a tale Agenzia le competenze in materia.

All’esame teorico pratico sono presenti almeno tre membri della commissione, compreso il presidente.

Ai sensi dell’art. 15, co.1, del citato D.P.R. n. 162/1999, il certificato di abilitazione è rilasciato dal prefetto, in seguito all'esito favorevole di una prova teorico - pratica, da sostenersi dinanzi ad apposita commissione esaminatrice ai sensi degli articoli 6, 7 (di cui il co. 2 della norma in commento dispone l’abrogazione, v. infra), 8, 9 e 10 del D.P.R. n. 1767/1951. Numerose, però, sono state le criticità manifestatesi nel settore a seguito della soppressione delle citate commissioni, in attuazione delle disposizioni relative alla riduzione degli organi collegiali delle amministrazioni pubbliche (D.L. n. 95/2012, convertito nella L. n. 135/2012, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario)[27]. Tale D.L. ha infatti previsto che, a decorrere dalla data di scadenza degli organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni, le attività svolte dagli organismi stessi sono definitivamente trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni nell'ambito delle quali operano.

La norma in commento riproduce quasi integralmente il testo dell’art. 2, co. 1, lettera i), dell’A.G. n. 335, ossia dell’originario schema di D.P.R., recante modifiche al regolamento di cui al D.P.R. n. 162/1999, per l'attuazione della direttiva 2014/33/UE[28]. La commissione esaminatrice, come delineata dallo schema di decreto nella versione originaria, era composta, anziché da 5, da 4 membri, in quanto nel testo definitivo è stato inserito anche un membro designato dal MISE.

Al riguardo, si ricorda che il parere espresso, in data 12 ottobre 2016, su tale A.G. dalla X Commissione della Camera dei deputati faceva esplicito riferimento alla rivitalizzazione, contenuta nel citato art. 2, co. 1, lettera i), della possibilità di costituire le commissioni d'esame, con riproduzione ed aggiornamento delle relative disposizioni che ne regolano la composizione ed il funzionamento[29].

Il Consiglio di Stato[30] ha però evidenziato l'assenza di base legale di tale rivitalizzazione, sottolineando come la norma in questione non rientri né nel contenuto obbligatorio della direttiva, né in quello facoltativo: l'assenza di una base legale, ad avviso del Consiglio di Stato, non può essere sanata da considerazioni di carattere sistematico, atteso che la disposizione, oltre a disporre l'abrogazione di alcune norme regolamentari, istituisce un nuovo organismo collegiale, non previsto da fonti primarie in conflitto con la legislazione vigente in materia[31].

Di qui l’esigenza, evidenziata nel predetto parere della X Commissione, di provvedere “ad accelerare il ripristino di organi o istituzioni competenti in materia di rilascio dei menzionati certificati di abilitazione”[32].

 

Si rammenta altresì che l’art. 03 del D.L. n. 496/1993 (L. n. 61/1994) ha demandato alle future leggi regionali e delle province autonome, per lo svolgimento delle attività di interesse regionale e delle attività tecniche di prevenzione, di vigilanza e di controllo ambientale, l’istituzione rispettivamente Agenzie regionali e provinciali, attribuendo ad esse o alle loro articolazioni territoriali anche l'attrezzatura e la dotazione finanziaria dei servizi delle unità sanitarie locali..

Il comma 2 disciplina lo svolgimento delle sessioni d’esame, la cui data e la cui sede di svolgimento sono determinate dal prefetto del capoluogo di regione, il quale può disporre apposite sessioni di esame che raccolgono tutte le domande presentate nella regione, al fine di razionalizzare le procedure finalizzate al rilascio del certificato di abilitazione. Il prefetto, nell’esercizio di tale potere, tiene conto del numero e della provenienza delle domande pervenute, previe intese con gli altri Prefetti della regione.

Il co. 3  dispone l’abrogazione degli artt. 6 e 7 del D.P.R. n. 1767/1951, dedicati, rispettivamente, alla commissione per l'abilitazione del personale di manutenzione, nominata dal prefetto, e alla domanda di abilitazione per il personale di manutenzione.

Sulla soppressione delle citate commissioni, in attuazione delle disposizioni relative alla riduzione degli organi collegiali delle amministrazioni pubbliche (D.L. n. 95/2012, convertito nella L. n. 135/2012), v. supra.

Si evidenzia al riguardo che l’originario schema di D.P.R. (A.G. n. 335), all’art. 2, co. 1, lett. i), faceva altresì salvi gli effetti degli artt. 8 e 9, dedicati, rispettivamente, alla prova teorico-pratica da sostenersi dinanzi alla commissione e al certificato di abilitazione. Tale riferimento non compare più nella versione definitiva, dovendo le relative disposizioni ritenersi assorbite dalle norme di cui all’art. 1 della norma in commento.

Il co. 4 autorizza il Governo ad emanare un regolamento di modifica del D.P.R. n. 162/1999, sulla base delle previsioni recate dai precedenti commi dell’articolo, disponendo l’abrogazione dei co. 1 e 2 dalla data di entrata in vigore del regolamento medesimo.

 


Articolo 24
(Termini di conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico)

 

L'articolo 24 fissa in settantadue mesi il termine di conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico, nonché dei dati relativi alle chiamate senza risposta, al fine di garantire strumenti di indagine efficaci a fronte delle straordinarie esigenze di contrasto al fenomeno del terrorismo, anche internazionale. 

 

Più nel dettaglio la disposizione, in attuazione dell'articolo 20[33] della direttiva 2017/541/UE per le finalità di accertamento e repressione dei delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo (articolo 51, comma 3-quater c.p.p.) e dei gravi reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a)[34] c.p.p., estende a 72 mesi il termine di conservazione dei dai di traffico telefonico e telematico, nonché dei dati relativi alle chiamate senza risposta di cui all'articolo 4-bis, commi 1 e 2 del decreto-legge n. 7 del 2015 (legge di conv. n. 43 del 2015).

 

L'articolo 4-bis del decreto-legge n. 7 del 2015 (legge di conv. n. 43 del 2015) imponeva fino al 30 giugno 2017 l'obbligo di conservazione dei dati relativi al traffico telefonico o telematico, esclusi comunque i contenuti di comunicazione, detenuti dagli operatori dei servizi di telecomunicazione,  di quelli relativi al traffico, nonché dei dati relativi alle chiamate senza risposta, trattati temporaneamente da parte dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibile al pubblico oppure di una rete pubblica di comunicazione, telefonico o telematico per le finalità di accertamento e di repressione dei reati di cui agli articoli 51, comma 3-qua-ter, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale [35].

 

 

Si tratta di una disciplina derogatoria rispetto a quella generale fissata dall'articolo 132 del decreto legislativo n. 196 del 2003 (cd. Codice della privacy), il quale fissa la data retention in due anni per il traffico telefonico, in un anno per quello telematico e in 30 giorni per le chiamate senza risposta.

 

 

La direttiva 2017/541/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2017, sulla lotta contro il terrorismo e che sostituisce la decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio

 

La direttiva in titolo (il cui termine di recepimento scade l'8 settembre 2018) si articola in 6 titoli e in 30 articoli, anticipati da un ampio preambolo che ribadisce gli obiettivi perseguiti dall’Unione nella prevenzione e nella repressione del terrorismo internazionale.

Finalità della direttiva è innanzitutto far fronte ai fenomeni dei foreign fighters e del finanziamento del terrorismo, secondo quanto già da tempo compiuto sia nell’ambito delle Nazioni Unite con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 2178/2014 sia nell’ambito degli Stati che fanno parte del Consiglio d’Europa, con la Convenzione di Varsavia contro il terrorismo (2005) e con il Protocollo addizionale del 22 ottobre 2015.

Nel perseguire tali finalità di tutela, la direttiva 2017/541/UE si pone in continuità con:

·       la decisione quadro 2002/475/GAI (che dalla stessa direttiva è sostituita);

·        la decisione quadro 2005/671/GAI;

·       la direttiva 2012/29/UE in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato;

·       la direttiva 2015/849/UE in materia di prevenzione del finanziamento al terrorismo.

Nel merito, la direttiva stabilisce norme minime relative alla definizione dei reati di terrorismo, dei reati riconducibili a un gruppo terroristico e dei reati connessi ad attività terroristiche. La direttiva qualifica come reato:

·       i viaggi a fini terroristici, per contrastare il fenomeno dei combattenti terroristi stranieri;

·       l'organizzazione e l'agevolazione di tali viaggi, anche tramite sostegno logistico e materiale, come l'acquisto di biglietti o la pianificazione di itinerari;

·       la partecipazione a un addestramento a fini terroristici, ad esempio per la fabbricazione o l'uso di esplosivi, armi da fuoco o sostanze nocive o pericolose, rispecchiando la disposizione esistente riguardo alla fornitura consapevole di tale addestramento;

·       il fatto di fornire o raccogliere capitali, con l'intenzione o la consapevolezza che tali capitali saranno utilizzati per commettere reati di terrorismo e reati connessi a gruppi terroristici o ad attività terroristiche.

 

Inoltre, impone agli Stati sia di adottare le sanzioni e le misure di contrasto necessarie, sia di provvedere alle misure di protezione, assistenza e sostegno per le vittime del terrorismo (la direttiva 2012/29/UE stabilisce, infatti, una serie di diritti vincolanti per tutte le vittime di reato, ma non prevede alcuna misura specifica per le vittime del terrorismo).

 

Nuove disposizioni sono infine volte ad assolvere agli obblighi internazionali derivanti, in particolare, dalla Risoluzione 2178(2014) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSCR) sulle minacce alla pace e alla sicurezza internazionali causate da atti terroristici, dal Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo e dalle Raccomandazioni della task force "Azione finanziaria" sul finanziamento del terrorismo.


Articolo 25
(T
rattamento economico del personale estraneo alla pubblica amministrazione selezionato per partecipare a iniziative e missioni del Servizio europeo di azione esterna)

 

L’articolo 25 novella l’articolo 17 della legge n. 145 del 2016 (Disposizioni concernenti la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali) inserendovi due ulteriori commi finalizzati a disciplinare il trattamento economico del personale esterno estraneo alla pubblica amministrazione che partecipa ad iniziative e missioni del Servizio di azione esterna dell’Unione europea (SEAE), come le missioni istituite nell’ambito della Politica di sicurezza e difesa comune o gli uffici dei Rappresentanti speciali UE.

 

La disposizione in commento era presente, sebbene non nella forma della novella all’articolo 17 della legge n. 145/2016, nella formulazione originaria del disegno di legge europea 2017 (A.C. 4505).

 

Il comma 1 dispone che all’articolo 17 della legge 21 luglio 2016, n. 145 dopo il comma 1 siano inseriti due ulteriori commi.

 

Il nuovo comma 2 dell’articolo 17 prevede che l’indennità di missione, corrisposta dal Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale al personale estraneo alla pubblica amministrazione selezionato per partecipare a iniziative e missioni del Servizio di azione esterna, si calcola in conformità ai commi 2, 3, 4 e 6 dell’articolo 5 della medesima legge n. 145/2016.

 

La relazione introduttiva al disegno di legge europea 2017, in riferimento a tale disposizione, evidenzia come l’intervento normativo di cui al comma 1 si è reso necessario in ragione dell’innovazione normativa sulla partecipazione italiana alle missioni internazionali introdotta dalla richiamata legge 145 del 2016.

In precedenza, come da ultimo con il decreto-legge 16 maggio 2016, n. 67, il trattamento delle figure esterne alla Pubblica Amministrazione impegnate - attraverso il Servizio di azione esterna della UE - in iniziative e missioni nell’ambito della Politica europea di sicurezza e difesa comune, ovvero negli uffici dei Rappresentanti speciali dell’Unione europea, è stato regolato nella misura dell’80% dell’indennità di servizio all’estero, quale prevista dall’articolo 171 del DPR 5 gennaio 1967, n. 18 recante ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri.

La nuova normativa quadro sulla partecipazione italiana alle missioni internazionali ha previsto tra l’altro, all’articolo 5, che l’indennità di missione al personale partecipante - nell’ambito delle risorse afferenti al fondo per il finanziamento delle missioni internazionali di cui all’articolo 4 della medesima legge 145 del 2016 - venga ricalcolata in base al comma 2 dello stesso articolo 5, “al netto delle ritenute, detraendo  eventuali indennità e contributi corrisposti allo stesso titolo agli interessati direttamente dagli organismi internazionali”. Il comma 2 dell’articolo 5 prevede dunque che l'indennità di missione sia calcolata sulla diaria giornaliera prevista per la località di  destinazione, nella misura del 98 per cento o nella misura intera, incrementata del 30 per cento se il personale non usufruisce a qualsiasi titolo di vitto e alloggio gratuiti.

In base al successivo comma 3, con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di ripartizione del fondo per le missioni internazionali a favore delle missioni deliberate - secondo la procedura stabilita agli articoli 2 e 3 della nuova normativa quadro, si può stabilire, per alcuni teatri operativi di particolare disagio ambientale, che la relativa indennità sia calcolata sulla diaria giornaliera prevista per una località diversa da quella di destinazione, tuttavia situata nel medesimo continente. Il comma 4 prevede poi che durante i periodi di riposo o di recupero fruiti in costanza di missione, ma al di fuori del teatro operativo, al personale interessato è corrisposta un’indennità giornaliera pari alla diaria di missione estera percepita.

Infine, il comma 6 prevede la non applicazione del primo comma dell’articolo 28 del decreto-legge 223 del 2006 - recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale. La non applicazione in questione sottrae alla riduzione del 20 per cento il trattamento economico del personale estraneo alla Pubblica Amministrazione impegnato in missione nel Servizio europeo per l’azione esterna.

 

Il nuovo comma 3 dell’articolo 17 della legge 145 del 2016 subordina la corresponsione del trattamento di missione previsto al precedente nuovo comma 1 all’autorizzazione effettiva, da parte dell’Italia, della partecipazione ad iniziative e missioni del Servizio europeo per l’azione esterna: tale autorizzazione, sulla scorta degli articoli 2 e 3 della legge 145 del 2016, è disposta con deliberazione del Consiglio dei Ministri e autorizzazione delle Camere mediante appositi atti di indirizzo.

 

Si ricorda che con l’articolo 4 del decreto-legge 1° gennaio 2010, n. 1 - “Disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa” - sono state dettate disposizioni finalizzate, da parte dell’Italia, a contribuire all’entrata in funzione, a partire dall’aprile 2010, del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE - v. infra), chiamato ad assistere l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza della UE, secondo quanto previsto dal Trattato di Lisbona.

 

E’ opportuno rilevare che la formulazione originaria dell’art. 17 disciplinava puntualmente il trattamento economico del personale esterno estraneo alla pubblica amministrazione che partecipa ad iniziative e missioni del Servizio di azione esterna dell’Unione europea (SEAE). Nel corso dell’esame presso la XIV Commissione, è stato approvato un emendamento, presentato dalla relatrice, che recepisce l’osservazione inserita nella relazione adottata il 21 giugno scorso dalla Commissione Difesa in merito al disegno di legge europea 2017, intesa ad introdurre direttamente nella legge n. 145/2016 attraverso una novella, la norma di cui all'articolo 13.

 

Si segnala infine che la relazione tecnica al disegno di legge europea 2017, in riferimento all’articolo 13, esclude oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, stante il carattere ordinamentale della norma. Si rileva tuttavia come le nuove modalità di calcolo dell’indennità di missione potrebbero comportare scostamenti, ancorché lievi, nell’entità delle somme che il MAECI dovrà corrispondere al personale estraneo alla Pubblica Amministrazione, ma ciò avverrà solo dopo la deliberazione di ciascuna specifica missione, e dopo il riparto delle relative risorse a valere sul già richiamato fondo per le missioni internazionali.

 

L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza

 

Ai sensi dell’articolo 27 del Trattato sull’Unione europea (TUE), l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza:

- guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione e la attua in qualità di mandatario del Consiglio;

- assicura la coerenza dell’azione esterna dell’Unione;

- presiede il Consiglio dell’UE “Affari esteri” ed è uno dei Vicepresidenti della Commissione europea;

- rappresenta l’Unione europea per le materie che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune. Conduce a nome dell’Unione il dialogo politico con i paesi terzi ed esprime la posizione dell’Unione nelle organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU.

L’Alto Rappresentante è nominato dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata con l’accordo del Presidente della Commissione, per un periodo di 5 anni. La sua nomina è sottoposta al voto collettivo di approvazione del Parlamento europeo sull’intera Commissione, ai sensi dell’art. 17 del TUE.

Federica Mogherini è stata nominata Alto Rappresentante dal Consiglio europeo con decorrenza dal 1° dicembre 2014.

L’Alto Rappresentante coordina il lavoro dei commissari con portafogli che hanno un impatto sulle relazioni esterne dell’UE. Si tratta in particolare dei Commissari europei responsabili per:

- allargamento e politica di vicinato (Johannes Hahn);

- commercio (Cecilia Malmström);

- cooperazione internazionale e politica di sviluppo (Neven Mimica);

- aiuti umanitari e gestione delle crisi (Christos Stylianides).

A tal fine, l’Alto Rappresentante presiede il gruppo di lavoro sull’azione esterna, che si riunisce su base mensile ed è composto dai suddetti commissari cui sono associati anche i seguenti commissari europei con portafogli aventi una dimensione esterna rilevante: azione per il Clima ed energia (Miguel Arias Cañete); Trasporti (Violeta Bulc) migrazione, affari interni e cittadinanza (Dimitris Avramopoulos).

L’Alto Rappresentante è inoltre supportato da Rappresentanti speciali dell’UE per specifiche regioni ed aree.

Attualmente vi sono 9 rappresentanti speciali competenti per: Corno d’Africa (Alexander Rondos); Kosovo (Samuel Žbogar), diritti umani (Stavro sLambrinidis); Afghanistan (Franz-Michael Skjold Mellbin); Bosnia Erzegovina (Lars-Gunnar Wigemark); Caucaso del Sud crisi in Georgia (Herbert Salber); Sahel (Michel Dominique Reveyrand-de Menthon); processo di pace in Medio Oriente (Fernando Gentilini); Asia Centrale(Peter Burian).

 

Il Servizio europeo per l’azione esterna

 

Il “Servizio europeo per l’azione esterna” (SEAE) è il servizio diplomatico dell’UE previsto dall’articolo 27 del TUE con il compito di:

- assistere l'Alto Rappresentante dell'UE nella gestione della politica estera e di sicurezza dell'UE;

- gestire le relazioni diplomatiche e i partenariati strategici con i paesi extra UE;

- collaborare con i servizi diplomatici nazionali dei paesi dell'UE, l'ONU e altre potenze mondiali.

Il Servizio europeo per l'azione esterna, guidato dall’Alto Rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, è un organo funzionalmente autonomo, distinto dalla Commissione e dal segretariato del Consiglio, composto da:

- a Bruxelles - personale esperto trasferito dal Consiglio dell'UE, dalla Commissione europea e dai servizi diplomatici dei paesi dell'UE;

- una rete di "ambasciate" (delegazioni) dell'UE presso 143 paesi terzi e organizzazioni internazionali.

Il contributo finanziario per il funzionamento del SEAE nel bilancio dell’UE per il 2017 è pari a circa 650 milioni di euro.

 

Agenzia europea per la difesa

 

L’Agenzia europea per la difesa (European Agency defense - EDA) istituita a Bruxelles nel 2004, ha i seguenti compiti:

- migliorare le capacità di difesa dell’UE nel settore della gestione delle crisi;

- promuovere la cooperazione europea in materia di armamenti;

- rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea e creare un mercato europeo dei materiali di difesa che sia competitivo;

- promuovere le attività di ricerca al fine di rafforzare il potenziale industriale e tecnologico dell’Europa in questo settore.

Fanno parte dell’Agenzia 27 Stati membri (tutti ad eccezione della Danimarca).

La struttura decisionale dell'EDA è composta da:

- il capo dell'agenzia, responsabile dell'organizzazione e del funzionamento complessivo, è l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini;

- il tavolo di governo: prende le decisioni sul conto dell'agenzia; è composto dai Ministri della difesa degli Stati membri e da un rappresentante della Commissione europea;

- il Direttore generale: è il capo del personale ed è responsabile della supervisione e della coordinazione delle unità; attualmente è Jorge Domecq.

Per il 2017 l’EDA dispone di un bilancio di 31 milioni di euro.

 


Articolo 26
(Autorità nazionale competente per la certificazione e la sorveglianza degli aeroporti nonché del personale e delle organizzazioni che operano in essi, ai sensi del regolamento (UE) n. 139/2014)

L'articolo 26, introdotto dalla Camera dei deputati, individua nell’ENAC (Ente nazionale dell’Aviazione civile), l’Autorità nazionale competente per la certificazione e la sorveglianza degli aeroporti, nonché del personale e delle organizzazioni che operano in essi, ai sensi del regolamento (UE) n. 139/2014.

Il regolamento (UE) n. 139/2014 richiede infatti agli Stati membri di designare uno o più soggetti come autorità competente, dotata dei necessari poteri e responsabilità ai fini della certificazione e della sorveglianza degli aeroporti, nonché del personale e delle organizzazioni che in essi operano (art. 3, comma 1).

Secondo il Regolamento, l'autorità competente, che per l’Italia è stata identificata da questa norma in ENAC, deve essere indipendente dai gestori degli aeroporti e dai fornitori di servizi di gestione del piazzale. Tale indipendenza viene garantita mediante separazione, quanto meno a livello funzionale, tra l'autorità competente e i suddetti gestori di aeroporti e fornitori di servizi di gestione del piazzale. Inoltre l’autorità deve disporre delle risorse e capacità necessarie per l'adempimento dei suoi compiti.

L’articolo 26 fa poi salvo quanto previsto all’articolo 26 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, con riferimento alla competenza del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

L’articolo 26 del decreto legislativo n. 139 del 2006 prevede infatti che negli aeroporti civili e militari aperti al trasporto aereo commerciale, il Corpo nazionale eserciti la funzione di Autorità competente per gli aspetti di certificazione e sorveglianza del servizio di salvataggio e antincendio.

Il regolamento (UE) 139/2014 disciplina i requisiti tecnici e le procedure amministrative relativi agli aeroporti ai sensi del regolamento (CE) n. 216/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio. In particolare esso regolamenta:

a) le condizioni per stabilire e notificare al richiedente la base di certificazione applicabile ad un aeroporto di cui all'allegato II e all'allegato III;

L’allegato II stabilisce i requisiti per le autorità competenti responsabili per la certificazione e la sorveglianza degli aeroporti, dei gestori degli aeroporti e dei fornitori di servizi di gestione del piazzale. L’allegato III al regolamento stabilisce i requisiti che deve seguire il gestore aeroportuale per quanto riguarda la gestione, la certificazione, i manuali e altre responsabilità e il fornitore di servizi di gestione del piazzale.

b) le condizioni per il rilascio, il mantenimento, la modifica, la limitazione, la sospensione o la revoca dei certificati per gli aeroporti e dei certificati per le organizzazioni responsabili della gestione degli aeroporti, compresi i limiti operativi derivanti dalla struttura specifica dell'aeroporto;

c) le condizioni di esercizio degli aeroporti;

d) le responsabilità dei titolari di certificati di cui all'allegato III del Regolamento;

e) le condizioni di accettazione e di conversione dei certificati esistenti di aeroporti già rilasciati dagli Stati membri;

f) le condizioni per la decisione di non accordare le esenzioni di cui all'articolo 4, paragrafo 3 ter , del regolamento (CE) n. 216/2008, compresi i criteri per gli aeroporti cargo, la notifica degli aeroporti esentati, nonché per il riesame delle esenzioni accordate;

L’articolo 4, paragrafo 4-ter del Regolamento(CE) n. 216/2008 prevede la possibilità per gli Stati membri di esentare dalle disposizioni del suddetto regolamento un aeroporto che non gestisce più di 10 000 passeggeri all’anno, e non gestisce più di 850 movimenti relativi a operazioni cargo all’anno

g) le condizioni in base alle quali le operazioni sono vietate, limitate o subordinate a determinate condizioni ai fini della sicurezza di cui all'allegato III;

h) determinate condizioni e procedure per la dichiarazione e per la vigilanza dei fornitori del servizio di gestione del piazzale di cui al paragrafo 2, lettera e), dell'articolo 8 bis del regolamento (CE) n. 216/2008, indicate nell'allegato II e nell'allegato III.

Tale disposizione consente agli Stati membri di autorizzare i fornitori di servizi di gestione dell’area di stazionamento a dichiarare di possedere le capacità e i mezzi necessari per assumersi le responsabilità associate ai servizi forniti, in luogo della certificazione prevista in via generale dal paragrafo 1, lettera d) dell’articolo sopra citato.


Articolo 27
(Interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea)

 

L’articolo 27 estende la possibilità di avvalersi di personale non appartenente alla pubblica amministrazione anche per la realizzazione e monitoraggio di interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea, per la durata degli interventi ed alle medesime condizioni previste per l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.

 

Il comma 1, in particolare, dispone che per la realizzazione ed il monitoraggio di interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea ai sensi dell’art. 6 comma 2 della legge n. 125 del 2014 (Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo) le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari possono, nei limiti del predetto finanziamento e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, avvalersi di personale non appartenente alla pubblica amministrazione, per la durata degli interventi e alle medesime condizioni previste per l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo dall’art. 11, comma 1 lett. c) del DM 22 luglio 2015 n. 113 (Statuto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo). L’applicazione delle disposizioni del comma in commento agli interventi nei Paesi nei quali l’Agenzia ha proprie sedi è limitata fino al subentro della medesima Agenzia nella responsabilità degli interventi stessi.

 

Il citato articolo 6 della legge 125/2014 disciplina la partecipazione dell'Italia alla definizione delle politiche europee e ai programmi di sviluppo dell'Unione europea (c.d. cooperazione delegata), imponendo l’armonizzazione delle politiche nazionali di cooperazione con quelle dell'Unione europea e la partecipazione alla cooperazione indiretta (comma 2), facendo ricorso di norma all’Agenzia per la cooperazione.

I commi 3 e 4 assegnano la responsabilità delle relazioni in materia di aiuto allo sviluppo con l'Unione europea e con gli strumenti finanziari europei competenti, nonché della definizione e dell'attuazione delle politiche del Fondo europeo di sviluppo (FES) al Ministro degli affari esteri, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sulla base degli indirizzi contenuti nel documento triennale di programmazione e di indirizzo di cui all’articolo 12 della medesima legge n. 125/2014.


 

La cooperazione delegata

 

Con l’espressione “cooperazione delegata” si indica, nel quadro del “Codice di condotta dell'UE sulla divisione del lavoro nell'ambito della politica di sviluppo”, una modalità di gestione che consente alla Commissione europea di delegare fondi ad uno Stato membro per l'esecuzione di programmi di cooperazione a seguito della firma di appositi “accordi di delega” e, a loro volta, agli Stati membri di trasferire risorse alla Commissione stessa attraverso la firma di “accordi di trasferimento”, il tutto al fine di favorire una maggiore concentrazione ed efficacia degli aiuti in quei Paesi partner e settori nei quali più evidente è il valore aggiunto di un donatore specifico, in un'ottica di reciprocità e massimizzazione dell'efficacia dell'aiuto.

 

Il richiamato articolo 11, comma 1 lett. c) del DM 22 luglio 2015 n. 113 recante Statuto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo prevede che l’Agenzia realizzi e monitori in loco le iniziative di cooperazione all’estero mediante:

a) il proprio personale destinato alle sedi all'estero;

b) l'invio in missione di dipendenti propri o di altre amministrazioni pubbliche;

c) personale non appartenente alla pubblica amministrazione mediante l'invio in missione o la stipula di contratti di diritto privato a tempo determinato, disciplinati dal diritto locale, nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento italiano.

 

Il comma 2 dell’articolo 13-bis in commento stabilisce che il controllo della rendicontazione degli interventi di cui al precedente comma 1 può essere effettuato da un revisore legale o da una società di revisione legale, entrambi da individuarsi nel rispetto delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici (di cui al Dlgs. 18 aprile 2016, n. 50) con oneri a carico del finanziamento dell’Unione europea.

 

Attualmente, a norma dell’art. 4, comma 2 del decreto ministeriale 3 febbraio 2014, al controllo della rendicontazione delle spese in gestione delegata provvede un collegio di tre revisori, uno dei quali, con funzione di presidente, designato dal MAECI tra il proprio personale con qualifica dirigenziale o equiparata, e gli altri designati dal Ministero dell'economia e delle finanze tra dirigenti della Ragioneria generale dello Stato. Ai fini dell’esecuzione degli interventi di cooperazione delegata, il comma 2 mira a rafforzare gli strumenti a disposizione del MAECI per assicurare il controllo sulla rendicontazione prescritto dall'articolo 60, paragrafo 5, comma secondo, del Regolamento (UE, EURATOM) 966/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell'Unione e che, al predetto articolo 60, disciplina la gestione indiretta. Il corretto e tempestivo svolgimento di tale controllo, d’altronde, è essenziale ai fini dell'attuazione degli interventi, condizionando la regolare erogazione dei finanziamenti da parte dell'Unione europea. Il comma 2 in commento consente al MAECI di ricorrere, all'occorrenza, anche a revisori o a società di revisione legali individuati nel rispetto del Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n.?50, e con oneri a carico del finanziamento dell'Unione europea.

 


Articolo 28
(Modifiche al codice in materia di protezione di dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196)

 

L'articolo novella l'articolo 29 del codice in materia di protezione di dati personali (ossia il decreto legislativo n. 196 del 2003) onde prevedere - alla lettera a) - che il titolare del trattamento dei dati possa avvalersi, quale responsabile del trattamento, di soggetti pubblici e privati.

Questo, anche quando si tratti di dati personali sensibili.

Rimane fermo che tali soggetti debbano fornire idonea garanzia, per esperienza, capacità ed affidabilità, del pieno rispetto delle vigenti disposizioni in materia di trattamento (compreso il profilo relativo alla sicurezza).

Si viene a prevedere inoltre che, in caso di tale avvalimento di soggetti pubblici e privati da parte del titolare, quest'ultimo sia tenuto a stipulare con loro atti giuridici in forma scritta, adottati in conformità a schemi-tipo predisposti dal Garante per la protezione dei dati personali.

Siffatta stipulazione deve specificare:

1)    la finalità perseguita;

2)    la tipologia dei dati oggetto del trattamento;

3)    la durata del trattamento;

4)    gli obblighi e i diritti del responsabile del trattamento;

5)    le modalità del trattamento.

La novella altresì prevede che le condizioni poste in tale stipulazione siano vincolanti per il responsabile del trattamento e siano oggetto della vigilanza (anche mediante verifiche periodiche) da parte del titolare del trattamento circa la loro puntuale osservanza.

 

Altra novella - recata dalla lettera b) - inserisce nel codice un nuovo articolo 110-bis, relativo al riutilizzo dei dati per finalità di ricerca scientifica o per scopi statistici.

Tale novella prevede che il Garante per la protezione dei dati personali possa autorizzare, a determinate condizioni, nell'àmbito delle finalità di ricerca scientifica ovvero per scopi statistici, il riutilizzo, senza il previo consenso degli interessati, dei dati, anche sensibili, già acquisiti e trattati in maniera legittima per altre finalità. Dalla novella - che è conforme alle previsioni di cui agli artt. 5, 9 e 89 del regolamento 2016/679/UE del Parlamento europeo, del 27 aprile 2016, regolamento che si applica a decorrere dal 25 maggio 2018 - sono esclusi i dati genetici.

Più in particolare, il novello articolo 110-bis demanda al Garante l'autorizzazione (entro quarantacinque giorni dalla richiesta, secondo un meccanismo di silenzio-rifiuto) a riutilizzare i dati in oggetto.

Condizione per il riutilizzo - posta dalla novella medesima - è l'adozione previa di forme di minimizzazione e di anonimizzazione dei dati, idonee alla tutela degli interessati. 

Tale idoneità alla tutela degli interessati è valutata dal Garante, il quale può porre specifiche condizioni o prevedere apposite misure, in ordine al riutilizzo dei dati.

 


Articolo 29
(Disposizioni in materia di funzionamento del Garante per la protezione dei dati personali)

 

L'articolo attribuisce al Garante per la protezione dei dati personali un contributo aggiuntivo di 1,4 milioni di euro, a decorrere dal 2018.

Esso è inteso ad "assicurare il regolare esercizio dei poteri di controllo affidati al Garante" nonché a svolgere gli accresciuti compiti derivanti dalla cooperazione fra autorità di protezione di dati entro l'Unione europea.

 

In aggiunta a quel contributo, si viene ad autorizzare un incremento di 25 unità del personale nel ruolo organico - stabilito nel limite di 100 unità dall'articolo 156 del decreto legislativo n. 196 del 2003, con un successivo incremento fino a 25 unità stabilito dalla legge n. 296 del 2006 (articolo 1, comma 542) ed un ulteriore incremento di 12 unità stabilito dalla legge n. 147 del 2013 (articolo 1, comma 268).

Per l'incremento di personale ora disposto è autorizzata la spesa di:

1)    887.250 euro per il 2017;

2)    2.2661.750 euro annui a decorrere dal 2018.

 

Pertanto il complessivo onere conseguente all'articolo è pari a:

1)    887.250 euro per il 2017;

2)    4.061750 euro annui a decorrere dal 2018.

Vi si fa fronte con corrispettiva riduzione del programma "Fondi di riserva e speciali" (nella missione "Fondi da ripartire") dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2017. 

 


 

Articolo 30
(Clausola di invarianza finanziaria)

 

L'articolo 30 reca una clausola di invarianza finanziaria per tutte le disposizioni del disegno di legge, fatta eccezione per gli articoli 6, 7, 8, 10, 11 e 29.

 

Si ricorda che l’articolo (ex articolo 14), nella formulazione originaria, includeva - tra le eccezioni alla clausola di invarianza finanziaria - l’articolo 5 del disegno di legge in materia di rimborsi IVA. Per effetto della soppressione dell’articolo, in recepimento della condizione posta dalla V Commissione Bilancio nel parere sul provvedimento in esame (vedi scheda), il riferimento all’articolo 5 è stato espunto dal testo.

 

Va rammentato che l'articolo 17, comma 6-bis, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 prescrive, per siffatte clausole di neutralità finanziaria, che la relazione tecnica debba riportare la valutazione  degli effetti derivanti dalle disposizioni medesime, i dati e gli  elementi idonei a suffragare l'ipotesi di invarianza degli effetti sui saldi di finanza  pubblica, attraverso l'indicazione dell'entità delle risorse già esistenti  nel  bilancio e delle relative unità gestionali, utilizzabili per le finalità indicate dalle disposizioni medesime anche attraverso la loro riprogrammazione, fermo restando che, in ogni caso, la clausola di neutralità finanziaria non può essere prevista nel caso di spese di natura obbligatoria.

 

 

 

 



[1]     Modifica introdotta in Aula Camera, in luogo della data del 1° gennaio 2018.

[2]     Questa direttiva modifica la Direttiva 2001/82/CE (v. infra).

[3]     “Istituzione, presso l'Agenzia italiana del farmaco, di una banca dati centrale finalizzata a monitorare le confezioni dei medicinali all'interno del sistema distributivo”. Si ricorda, che la Banca Dati è stata costituita dal 2005 presso il Ministero della Salute.

[4]     In particolare, i considerando 2) e 23) stabiliscono, rispettivamente, che le normative in materia di produzione e di distribuzione dei medicinali veterinari devono avere come scopo essenziale la tutela della sanità pubblica e che i distributori di medicinali veterinari siano opportunamente autorizzati dagli Stati membri a tenere adeguati registri. L’art. 65, par. 3, della Direttiva, inoltre, prevede che il titolare dell'autorizzazione di distribuzione conservi una documentazione dettagliata, che contenga per ogni operazione in entrata od uscita, almeno le seguenti informazioni: a) data; b) identificazione precisa del medicinale veterinario; c) numero del lotto e di fabbricazione; data di scadenza; d) quantità ricevuta o fornita; e) nome ed indirizzo del fornitore o del destinatario. Almeno una volta all'anno deve essere eseguita una verifica approfondita. Le registrazioni sono tenute a disposizione della competente autorità a fini di ispezione per almeno tre anni. Analoghi obblighi sono previsti per i venditori al dettaglio (art. 66, par. 2), i veterinari (art. 70, par. 1, lett. f)) e addirittura per i proprietari o i responsabili di animali – cui vengono somministrati medicinali veterinari – successivamente destinati alla produzione di alimenti (art. 69, par. 1 e 2). Inoltre, è previsto che gli Stati membri tengono un registro dei produttori e dei distributori autorizzati a possedere sostanze attive che possano essere utilizzate nella fabbricazione dei medicinali veterinari con proprietà anabolizzanti, antiinfettive, antiparassitarie, antinfiammatorie, ormonali o psicotrope. Tutte le transazioni commerciali riguardanti le sostanze che possono venire impiegate per la fabbricazione di medicinali veterinari devono essere registrate in modo dettagliato e devono essere disponibili per i controlli a fini d'ispezione per almeno tre anni (art. 68, par. 2). Infine, il titolare della AIC è chiamato a registrare in modo dettagliato tutti i presunti effetti collaterali negativi verificatisi a seguito dell’uso del medicinale ad uso veterinario, sia nella UE, sia in un paese terzo (art. 75).

[5]     In base alle informazioni contenute nella relazione illustrativa, le attività di aggiornamento della banca dati del Ministero della salute saranno realizzate a valere sulla contabilità speciale 5965 relativa al progetto/intervento “Malattie animali” del Fondo di rotazione per le politiche europee.

[6]     Sul punto la sezione del sito del Ministero della salute “Sperimentazione tracciabilità farmaci veterinari”.

[7]     Articolo 50, Disposizioni in materia di monitoraggio della spesa nel settore sanitario e di appropriatezza delle prescrizioni sanitarie, del DL.269/2003 (L. 326/2003).

[8]     Dm 2 novembre 2011 e DL. 179/2012 (L. 221/2012), art. 13 e 13-bis.

[9]     In base ai dati forniti dalla relazione tecnica, i soggetti coinvolti sono 8 ASL, 24 veterinari liberi professionisti, 25 grossisti e farmacie e 59 allevamenti (11 avicoli, 41 bovini e 7 suini) di cui 49 in regione Lombardia e 10 in regione Abruzzo.  Nel corso del 2016, altre Regioni e Province autonome (Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Molise, Piemonte, P.A. di Bolzano, P.A. di Trento, Sardegna, Umbria, Veneto e Valle D’Aosta) hanno manifestato la volontà di aderire alla sperimentazione.

[10] Peraltro la Commissione europea, nel chiarire le differenze tra le due fattispecie, richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione circa la descrizione della condotta di “propaganda”, mettendone in luce i contorni più restrittivi rispetto a quelli dell’”istigazione”.

[11]   E' opportuno ricordare che tale decreto è stato adottato su impulso della procedura di infrazione avviata dalla Commissione nei confronti del nostro Paese per la mancata adozione, dopo il 1° gennaio 2006 di qualsivoglia misura di attuazione e conclusasi con una sentenza di condanna (Corte di Giustizia, sentenza 29 novembre 2007, causa C-112/07, Commissione c. Italia).

[12]   Fra le leggi speciali che disciplinano la concessione, a carico dello Stato, di indennizzi a favore delle vittime di determinate forme di reati intenzionali violenti si segnalano le seguenti:

      – legge del 13 agosto 1980, n. 466 – recante norme in ordine a speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche (articoli 3 e 4);

      – legge del 20 ottobre 1990, n. 302 – recante norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articoli 1 e da 3 a 5);

      – decreto legge del 31 dicembre 1991, n. 419 – recante istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive, convertito dalla legge del 18 febbraio 1992, n. 172 (articolo 1);

      – legge dell’8 agosto 1995, n. 340 – recante norme per l’estensione dei benefici di cui agli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990, ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica (articolo 1 – che richiama gli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990);

      – legge del 7 marzo 1996, n. 108 – recante disposizioni in materia di usura (articoli 14 e 15);

      – legge del 31 marzo 1998, n. 70 – recante benefici per le vittime della cosiddetta «banda della Uno bianca» (articolo 1 – che richiama gli articoli 1 e 4 della legge n. 302/1990);

      – legge del 23 novembre 1998, n. 407 – recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articolo 2);

      – legge del 23 febbraio 1999, n. 44 – recante disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura (articoli 3 e da 6 a 8);

      – decreto del Presidente della Repubblica del 28 luglio 1999, n. 510 – regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articolo 1);

      – legge del 22 dicembre 1999, n. 512 – recante istituzione del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso (articolo 4);

      – decreto legge del 4 febbraio 2003, n. 13 – recante disposizioni urgenti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, convertito con modificazioni dalla legge n. 56/2003;

      – legge dell’11 agosto 2003, n. 228 – recante misure contro la tratta di persone, che istituisce il Fondo per le misure anti-tratta e uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati previsti dagli articoli 600 e 601 del codice penale, come modificata dall’articolo 6 del decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 24;

      – decreto legge del 28 novembre 2003, n. 337 – recante disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all’estero, convertito con modificazioni dalla legge n. 369/2003 (articolo 1);

      – legge del 3 agosto 2004, n. 206 – recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice (articolo 1);

      – legge del 23 dicembre 2005, n. 266 – (legge finanziaria 2006), che, al suo articolo 1, paragrafi da 563 a 565, contiene disposizioni che prevedono la corresponsione di aiuti alle vittime del dovere, ai soggetti equiparati e ai loro familiari;

      – legge del 20 febbraio 2006, n. 91 – recante norme in favore dei familiari superstiti degli aviatori italiani vittime dell’eccidio avvenuto a Kindu l’11 novembre 1961;

      – decreto del Presidente della Repubblica del 7 luglio 2006, n. 243 – regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati;

      – decreto legge del 12 novembre 2010, n. 187 – recante misure urgenti in materia di sicurezza, convertito con modificazioni dalla legge n. 217/2010, tra cui, a norma del suo articolo 2-bis, l’istituzione di un «Fondo di solidarietà civile» a favore delle vittime di reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive ovvero di manifestazioni di diversa natura.

[13]  Le risorse del FFO sono allocate sul cap. 1694 dello stato di previsione del MIUR. In base al Decreto 102065 del 27 dicembre 2016 – Ripartizione in capitoli delle Unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e per il triennio 2017–2019, per il 2017 il cap. 1694 reca uno stanziamento pari a € 6.981.890.720.

[14]   Per effetto dell’incremento ora disposto, le risorse allocate sul cap. 1694 per il 2017 diverrebbero, dunque, pari a € 6.990.595.720.

[15]   “L'esame dell'ambito normativo nazionale fa emergere che, certo, l'art. 4, terzo comma, della legge n. 236 prevede esplicitamente la conservazione dei diritti quesiti da parte degli ex lettori di lingua straniera in relazione ai precedenti rapporti di lavoro. Tuttavia, una valutazione delle prassi amministrative e contrattuali poste in essere da alcune università pubbliche italiane consente di concludere nel senso dell’esistenza di situazioni discriminatorie” (cfr. n. 31 della sentenza).

[16]   Tale posizione è stata ribadita, più recentemente, con sentenza 21004/2015.

[17]  Con ordinanza 38/2012 la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità, per carenza di motivazione, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, co. 3, ultimo periodo, della L 240/2010, sollevata dal Tribunale di Torino in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost. La stessa Corte, con successiva ordinanza 99/2013, ha dichiarato la manifesta inammissibilità, per insufficiente descrizione della fattispecie concreta, della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 3, ultimo periodo, sollevata in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione.

[18]   Per completezza, si ricorda che il Presidente della Repubblica, nella lettera al Presidente del Consiglio che ha accompagnato la promulgazione della L. 240/2010, ha sottolineato l’opportunità che l’articolo 26, “nel prevedere l'interpretazione autentica dell'art. 1, comma 1, del decreto legge n. 2 del 2004 sia formulato in termini non equivoci e corrispondenti al consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale” (che ha sempre riconosciuto, nel settore pubblico, il diritto alla ricongiunzione di tutti i servizi prestati ai fini della definizione dei diritti pensionistici: ad es., v. le sentenze 305/1995, 496/2002 e 191/2008).

[19] All’Unire è subentrata l’Agenzia per lo sviluppo del settore ippico-ASSI e successivamente, nel 2012 (con il comma 9 dell’articolo 23-quater del D.L. n. 95 del 2012) l’ASSI (chiamata a svolgere compiti relativi al miglioramento delle razze equine, alla gestione dei libri genealogici, alla programmazione delle corse e dei programmi di allevamento, alla gestione del servizio di diffusione delle riprese televisive delle corse) è stata soppressa e le relative funzioni e risorse ripartite tra il MIPAAF-Dipartimento delle politiche competitive, della qualità agroalimentare, ippiche e della pesca e l’Agenzia delle dogane.

[20]   Convenzione internazionale sugli Standard di addestramento, Certificazione e Tenuta della guardia per i marittimi, 1978.

 

[21] D.Lgs. 27 ottobre 2011, n. 186, Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio di sostanze e miscele, che modifica ed abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e che modifica il regolamento (CE) n. 1907/2006.

[22]   Qui il Piano nazionale dei controlli sui prodotti chimici 2017.

[23] L'articolo 107 del TFUE dichiara incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati sotto qualsiasi forma che - favorendo talune imprese o talune produzioni - falsino o minaccino di falsare la concorrenza. Il paragrafo 3 dell'articolo 107 elenca gli aiuti che "possono considerarsi compatibili con il mercato interno". Tra questi, la lettera c) individua quelli destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse".

[24]   Essa si colloca in parallelismo con la normativa già vigente per le utenze energivore in ambito elettrico, di cui al decreto 5 aprile 2013 (emanato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto col Ministro dello Sviluppo Economico, ai sensi dell’articolo 39, comma 1, del decreto legge 83/12).

[25]   Si rammenta che le linee-guida per la preparazione, esecuzione e valutazione dei progetti e per la definizione dei criteri e delle modalità per il rilascio dei certificati bianchi (di cui agli artt. 6 comma 2° d.m. del 28/12/12 e 7 comma 5 d. lgs. n. 102/2014 e successivi aggiornamenti), disciplinano anche gli obblighi annui di incremento dell’efficienza energetica degli usi finali di energia a carico dei distributori di energia elettrica e di gas. Alla luce di questa normativa, con riguardo alla tipologia di combustibile risparmiate, secondo il Rapporto Annuale sull’Efficienza Energetica 2016 (curato dall’Unità Tecnica Efficienza Energetica dell’ENEA) i TEE (Titoli di Efficienza Energetica) rilasciati nell’anno solare 2015 erano così suddivisi:

•     31% di riduzione dei consumi di energia elettrica (TIPO I).

•     58% di riduzione dei consumi di gas naturale (TIPO II)

•     11% di forme di energia primaria diverse dall’elettricità e dal gas naturale, realizzati nel settore dei trasporti (TIPO III).

[26]   Per maggiori dettagli, si rinvia alla Scheda di valutazione n. 49/2013, curata nel luglio 2013 dall'Ufficio dei rapporti con le istituzioni dell'Unione europea del Senato della Repubblica. 

[27]   Il Consiglio di Stato, nell’adunanza della commissione speciale del 12 novembre 2013 aveva già espresso un giudizio sfavorevole al mantenimento della commissione, della quale sottolineava la non infungibilità. La competenza in materia di rilascio dei certificati di abilitazione era quindi stata attribuita alle prefetture, molte delle quali, però, non potendo disporre in altro modo delle necessarie professionalità tecniche in grado di svolgere tale esame, avevano sospeso il rilascio delle abilitazioni, con notevoli ripercussioni negative sull'attività di manutenzione degli ascensori, nonché situazioni di incertezza normativa.

[28]   Il citato D.P.R. n. 23/2017, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 62 del 15 marzo 2017

[29]   La norma prevedeva che i componenti fossero in possesso di adeguate competenze tecniche e che almeno due di essi, tra cui il presidente, fossero laureati in ingegneria.

[30]   Nel parere n. 1852 del 6 settembre 2016.

[31]   Il D.P.R. n. 23/2017, pertanto, alla luce delle osservazioni espresse dal Consiglio di Stato, non contempla, nella versione definitiva, le disposizioni di cui all’art. 2, co. 1, lett. i), dell’A.G. n. 335 relative alla “rivitalizzazione” della commissione esaminatrice, alla sua composizione e al suo funzionamento.

[32]   Il sottosegretario allo sviluppo economico, in occasione della risposta a un atto di sindacato ispettivo (interrogazione a risposta scritta Crippa 4-06728) presso la X Commissione della Camera dei deputati, aveva già fatto riferimento a un “eventuale intervento normativo risolutivo del problema, ove ritenuto opportuno e necessario”, in occasione delle successive ulteriori modifiche al D.P.R. n. 162/1999.

[33]   Articolo 20- Strumenti di indagine e confisca -1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le persone, le unità o i servizi incaricati delle indagini o dell’azione penale per i reati di cui agli articoli da 3 a 12 dispongano di strumenti di indagine efficaci, quali quelli utilizzati contro la criminalità organizzata o altre forme gravi di criminalità. 2. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le loro autorità competenti congelino o confischino, se del caso, in conformità della direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, i proventi derivati dall’atto di commettere o di contribuire alla commissione di uno dei reati di cui alla presente direttiva e i beni strumentali utilizzati o destinati a essere utilizzati a tal fine.

[34]   Articolo 407 c.p.p.- Termini di durata massima delle indagini preliminari. ...omissis.. 2. La durata massima è tuttavia di due anni se le indagini preliminari riguardano: a) i delitti appresso indicati: 1) delitti di cui agli articoli 285, 286, 416-bis e 422 del codice penale, 291-ter, limitatamente alle ipotesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del comma 2, e 291-quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43; 2) delitti consumati o tentati di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello stesso codice penale; 3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo; 4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma e 306, secondo comma, del codice penale; 5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall'articolo 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110;6) delitti di cui agli articoli 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni;7) delitto di cui all'articolo 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza; 7-bis) dei delitti previsto dagli articoli 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-bis nelle ipotesi aggravate previste dall'articolo 609-ter, 609-quater, 609-octies del codice penale, nonché dei delitti previsti dall'articolo 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni;

      ...omissis...

[35]    L’articolo 4-bis che disciplina la conservazione dei dati di traffico telefonico o telematico, è stato aggiunto in sede di conversione dalla legge 17 aprile 2015, n. 43 ed è stato successivamente modificato dal decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, conv. con modif. dalla l. 25 febbraio 2016, n. 21 che ha prorogato al 30 giugno 2017 il termine di conservazione dei dati relativi al traffico telefonico o telematico per le finalità di accertamento e di repressione dei reati di cui agli artt. 51, co. 3-quater, e 407, co. 2, lett. a), c.p.p.