Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio | ||
Titolo: | Legge di bilancio 2017 - Sezione I - Normativa - A.C. 4127-bis | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 510 | ||
Data: | 03/11/2016 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | V-Bilancio, Tesoro e programmazione |
Servizio
Studi
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Dossier n. 395/Sezione I - Normativa
Servizio del
Bilancio
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Servizio
Studi
Dipartimento Bilancio
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Progetti
di legge n. 510/Sezione I - Normativa
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ID0026_S1.docx
I N D I C E
Titolo
I – Risultati differenziali
Articolo
1 (Risultati differenziali del bilancio
dello Stato)
Titolo
II – Misure per la crescita
Capo
I – Interventi fiscali per la crescita
Articolo
2, commi 3-6 (Credito di imposta per le
strutture ricettive)
Articolo
4 (Credito d’imposta per
ricerca e sviluppo)
Articolo
7 (Trasferimenti immobiliari nell'ambito
di vendite giudiziarie)
Articolo
8 (Deducibilità canoni di
noleggio a lungo termine)
Articolo
9 (Riduzione canone RAI)
Articolo
10 (Blocco aliquote regionali e comunali)
Articolo
11 (Abolizione IRPEF per IAP e CD)
Articolo
12 (Esclusione delle SGR dall’addizionale IRES del 3,5 per cento)
Capo
II – Misure per gli investimenti
Articolo
16 (Perdite fiscali di start-up
partecipate da società quotate)
Articolo
17 (Investimenti in start-up da parte dell'INAIL)
Articolo
18, commi 1-10 (Agevolazioni per investimenti a lungo termine)
Articolo
18, commi 11-25 (Piani individuali di risparmio a lungo termine - PIR)
Articolo
19 (Fondazione Human Technopole)
Articolo
20 (Efficientamento ANAS S.p.A. -
STRALCIATO)
Articolo
22 (Misure per l’attrazione degli
investimenti)
Articolo
23 (Premio di produttività e welfare
aziendale)
Articolo
24 (Riduzione aliquota contributiva
iscritti gestione separata I.N.P.S.)
Articolo
25 (APE - Assegno pensionistico a garanzia pensionistica e APE sociale)
Articolo
27 (Rendita integrativa temporanea anticipata - RITA)
Articolo
28 (Abolizione penalizzazioni)
Articolo
29 (Cumulo dei periodi assicurativi)
Articolo
30 (Lavoratori precoci)
Articolo
32 (No tax area pensionati)
Articolo
33 (Soggetti salvaguardati dall’incremento dei requisiti pensionistici)
Articolo
34 (Trasformazione a tempo parziale dei
rapporti di lavoro)
Articolo
35 (Fondi di solidarietà bilaterali)
Articolo
36 (Norme sulla contribuzione studentesca
universitaria)
Articolo
37 (Finanziamento del fondo integrativo
statale per la concessione delle borse di studio)
Articolo
38
(Borse di studio nazionali per il
merito e la mobilità)
Articolo
39 (Orientamento pre-universitario,
sostegno didattico e tutorato)
Articolo
40 (Erogazioni liberali in favore degli
Istituti Tecnici Superiori)
Articolo
41 (Interventi di finanziamento e sviluppo delle attività di ricerca)
Articolo
42 (Esonero contributivo alternanza scuola-lavoro)
Articoli
43-45 (Fondo per il finanziamento dei
dipartimenti universitari di eccellenza)
Capo
VI – Misure in favore dell’agricoltura
Titolo
III – Misure per la famiglia
Capo
I – Misure per la famiglia
Articolo
47 (Fondo sostegno natalità)
Articolo
48, comma 1 (Premio alla nascita)
Articolo
48, comma 2 (Congedo obbligatorio per il padre lavoratore)
Articolo
49 (Buono nido e rifinanziamento voucher asili nido)
Articolo
50 (Pari opportunità)
Titolo
IV – Misure per l’emergenza sismica
Articolo
51 (Ricostruzione privata e pubblica)
Titolo
V – Politiche invariate
Articolo
52, commi 1-2 e 4-5 (Fondo per il
pubblico impiego)
Articoli
52, comma 3 e 53 (Incremento
dell’organico dell’autonomia)
Articolo
54 (Proroga dell’impiego del personale
militare appartenente alle Forze armate)
Articolo
57 (Svolgimento del Vertice G7)
Titolo
VI – Misure a sostegno del Servizio sanitario nazionale
Articolo
58, comma 9 (Piani di rientro per alcuni
enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale)
Articolo
59, commi 1-12 (Governance farmaceutica)
Titolo
VII – Misure di razionalizzazione della spesa pubblica
Articolo
60, commi 1-7 (Misure di efficientamento della spesa per acquisti)
Articolo
61, comma 1 (Misure di efficientamento della spesa dei Ministeri)
Articolo
61, comma 2 (Accantonamento di ricavi derivanti dalla dismissione d’immobili
all’estero)
Articolo
61, commi 3 e 4 (Introiti derivanti dall’aumento della
tariffa dei diritti consolari)
Articolo
61, comma 5 (Riduzione sgravio contributivo per le imprese armatrici)
Titolo
VIII – Enti territoriali
Articolo
63 (Fondi a favore degli enti territoriali)
Articolo
64, comma 1 (Modalità di determinazione
delle riduzioni finanziarie da applicare ai comuni)
Articolo
64, comma 2 (Contributi al Comune di
Lecce - STRALCIATO)
Articolo
64, commi 3-8 (Fondo di solidarietà comunale)
Articolo
64, comma 10 (Acquisizione di informazioni sui fabbisogni standard)
Articolo
65, commi 1-20 (Nuovo pareggio di
bilancio enti territoriali)
Articolo
65, commi 21 e 22 (Pareggio di bilancio
autonomie speciali)
Articolo
66, commi 1-8 (Recepimento dell’Accordo
fra il Governo e la Regione siciliana)
Articolo
66, commi 9 e 10 (Regione Valle d’Aosta)
Articolo
66, commi 11 e 12 (Regione Friuli-Venezia
Giulia)
Articolo
66, commi 13-15 (Oneri gestione commissariale della regione
Piemonte )
Articolo
66, commi 16-18 (Utilizzo di risorse
residue per il pagamento di debiti contratti dalla PA)
Articolo
66, commi 19 e 20 (Estensione al 2020 del
concorso alla finanza pubblica delle Regioni)
Articolo
66, comma 21 (Modifica procedimento di riparto del contributo per minori entrate
IRAP)
Articolo
66, commi 22-24 (Regolazione anticipazioni di tesoreria per
la Sanità)
Articolo
66, comma 25 (Disposizioni in materia di rilevazioni SIOPE)
Titolo
IX – Disposizioni in materia di entrate
Articolo
67 (Misure antielusive e di contrasto all’evasione)
Articolo
71 (IVA sulle variazioni dell’imponibile
o dell’imposta)
Articolo
73 (Gara Superenalotto)
Titolo
X – Disposizioni ulteriori
Articolo
74, commi 1-4 (Centri di servizio per il volontariato finanziati dalle Fondazioni
bancarie)
Articolo
74, comma 5 (Partecipazione italiana a
iniziative internazionali)
Articolo
74, commi 7 e 8 (Commissario
straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale)
Articolo
74, commi 9 e 10 (Cultura e lingua
italiana all'estero)
Articolo
74, commi 11 e 12 (Progetto
Ryder Cup 2022 - STRALCIATI)
Articolo
74, comma 13 (Credito sportivo -
STRALCIATO)
Articolo
74, comma 14 (Centro METEO - STRALCIATO)
Articolo
74, comma 15 (Riorganizzazione di Soprintendenze speciali - STRALCIATO)
Articolo
76 (Norme interpretative sul Fondo di risoluzione nazionale -
STRALCIATO)
Articolo
77 (Piano strategico nazionale della mobilità sostenibile)
Titolo
XI – Fondi ed ulteriori disposizioni finanziarie
Articolo
79 (Fondo per l’Africa)
Articolo
80 (Fondo Corpi di polizia e dei Vigili del fuoco)
Articolo
82 (Rifinanziamento bonus cultura 18enni)
Articolo
85 (Eliminazione aumenti accise ed IVA
per l’anno 2017)
Articolo
86 (Collaborazione volontaria)
Approvazione
degli stati di previsione
Articoli
88-104 (Approvazione degli stati di
previsione)
Articolo
105 (Entrata in vigore)
Con la recente riforma operata dalla legge n.163 del 2016 sulla legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009, i contenuti della legge di bilancio e della legge di stabilità vengono ora ricompresi in un unico provvedimento, costituito dalla nuova legge di bilancio, riferita ad un periodo triennale ed articolata in due sezioni, secondo quanto dispone il nuovo articolo 21 della legge di contabilità. La prima sezione svolge essenzialmente le funzioni dell’ex disegno di legge di stabilità; la seconda sezione assolve, nella sostanza, quelle del disegno di legge di bilancio.
Nella riallocazione tra le due Sezioni delle informazioni prima recate dai due distinti disegni di legge di stabilità e di bilancio, va però considerato che la seconda sezione, pur ricalcando il contenuto del bilancio di previsione finora vigente, viene ad assumere un contenuto sostanziale, potendo ora incidere direttamente - attraverso rimodulazioni ovvero rifinanziamenti, definanziamenti o riprogrammazioni - sugli stanziamenti sia di parte corrente che di parte capitale previsti a legislazione vigente, ed integrando nelle sue poste contabili gli effetti delle disposizioni della prima sezione.
L’integrazione in un unico documento dei contenuti degli ex disegni di legge di bilancio e di stabilità persegue la finalità di incentrare la decisione di bilancio sull’insieme delle entrate e delle spese pubbliche, anziché sulla loro variazione al margine come avveniva finora, portando al centro del dibattito parlamentare le priorità dell’intervento pubblico, considerato nella sua interezza.
La prima sezione - disciplinata dai nuovi commi da 1‑bis a 1‑quinquies dell’articolo 21 della legge n. 196/2009 - contiene le disposizioni in materia di entrata e di spesa aventi ad oggetto misure quantitative destinate a realizzare gli obiettivi programmatici, con effetti finanziari aventi decorrenza nel triennio considerato dal bilancio. Essa riprende sostanzialmente, con alcune modifiche e adattamenti, i contenuti del soppresso articolo 11 della legge n. 196/2009, riguardante la disciplina della legge di stabilità.
Per quanto concerne il contenuto della sezione in esame, tra le novità più rilevanti rispetto all’ex disegno di legge di stabilità va in primo luogo segnalato come essa potrà contenere anche norme di carattere espansivo, ossia di minore entrata o di maggiore spesa, in quanto non è stata riproposta la disposizione che recava l’articolo 11, comma 3, lettera i), della legge n. 196 del 2009, ai sensi della quale la legge di stabilità doveva indicare le sole norme che comportassero aumenti di entrata o riduzioni di spesa.
La mancata indicazione di un vincolo di carattere restrittivo in termini di effetto della prima parte della legge di bilancio deriva dalla circostanza che ai sensi dell’articolo 14 delle legge di attuazione del pareggio di bilancio n.243 del 2012, il nuovo disegno di legge di bilancio soggiace ora ad una regola di “equilibrio” del bilancio dello Stato che consiste in un valore del saldo netto da finanziare coerente con gli obiettivi programmatici di finanza pubblica: obiettivi che com’è noto possono ricomprendere anche situazioni di disavanzo nell’ambito del percorso di raggiungimento dell’ obiettivo di medio termine (Medium Term Objective, MTO). Di conseguenza il nuovo disegno di legge di bilancio non reca più (a differenza di quanto finora per la legge di stabilità) un autonomo prospetto di copertura.
Altra significativa novità può ravvisarsi nella circostanza che alla conferma del divieto già previsto in passato di inserire norme di delega, di carattere ordinamentale o organizzatorio o interventi di natura localistica o microsettoriale, si accompagna ora all’ulteriore divieto (commi 1-ter ed 1-quinquies dell’articolo 21) di inserire norme che dispongono la variazione diretta delle previsioni di entrata o di spesa contenute nella seconda sezione. Le disposizioni contenute nella prima sezione – sottolinea la norma – devono determinare variazioni delle previsioni di bilancio indicate nella seconda sezione soltanto attraverso la modifica delle autorizzazioni legislative sottostanti o dei parametri previsti dalla normativa vigente che determinano l’evoluzione delle entrate e della spesa, ovvero attraverso nuovi interventi. Le disposizioni della prima sezione non possono, cioè, apportare variazioni alle previsioni di bilancio contenute nella seconda sezione attraverso una modifica diretta dell’ammontare degli stanziamenti iscritti nella seconda sezione. Tale modifica è possibile solo incidendo sulle norme o sui parametri stabiliti per legge che determinano l’evoluzione dei suddetti stanziamenti di bilancio.
Nel contenuto proprio della prima sezione sono poi confermate:
§ la determinazione del livello massimo del ricorso al mercato finanziario e del saldo netto da finanziare;
§ la determinazione degli importi dei fondi speciali;
§ la previsione di norme volte a rafforzare il contrasto e la prevenzione dell'evasione fiscale e contributiva;
§ la determinazione dell'importo complessivo massimo destinato, in ciascun anno del triennio di riferimento, al rinnovo dei contratti del pubblico impiego;
§ la previsione di eventuali norme recanti misure correttive degli effetti finanziari delle leggi;
§ la previsione delle norme eventualmente necessarie a garantire il concorso degli enti territoriali agli obiettivi di finanza pubblica.
Da segnalare inoltre come non sono riproposte, quale contenuto della prima sezione, le disposizioni (di cui all’ex articolo 11, comma 3, lettere d), e), f) ed h) della legge n. 196) che prevedevano la determinazione degli importi delle leggi di spesa permanente, la riduzione di autorizzazioni legislative di spesa di parte corrente nonché le variazioni delle leggi che dispongono spese a carattere pluriennale in conto capitale, di cui rispettivamente alle tabelle C, D ed E della legge di stabilità. La mancata riproposizione va ricondotta al fatto che nell’impianto organico della nuova legge di bilancio tali determinazioni sono trasferite nell’ambito della seconda sezione. La nuova disciplina prevede però, contestualmente, che i contenuti delle tabelle devono essere esposti – a fini conoscitivi – in appositi allegati del disegno di legge di bilancio, da aggiornare al passaggio del provvedimento tra i due rami del Parlamento.
Un diverso contenuto caratterizza infine la relazione tecnica, finora prevista per la sola ex legge di stabilità, che viene adesso estesa alla legge di bilancio nel suo complesso. Ciò in quanto l’unificazione dei due disegni di legge in un unico provvedimento e, all’interno di questo, il carattere sostanziale che caratterizza anche la seconda sezione, impone l’obbligo di presentazione della relazione in questione non solo con riferimento alla prima sezione ma anche con riguardo alla seconda sezione, in modo da consentire di valutare l’attendibilità dei criteri utilizzati per l’elaborazione delle previsioni di entrata e di spesa, che rappresentano la base su cui si innesta la parte dispositiva della manovra.
Nella relazione tecnica presentata a corredo del disegno di legge di bilancio sono indicati:
§ la quantificazione degli effetti finanziari derivanti da ciascuna disposizione normativa introdotta nell'ambito della prima sezione;
§ i criteri essenziali utilizzati per la formulazione, sulla base della legislazione vigente, delle previsioni di entrata e di spesa contenute nella seconda sezione;
§ elementi di informazione che diano conto della coerenza del valore programmatico del saldo netto da finanziare o da impiegare con gli obiettivi programmatici contenuti nella Nota di aggiornamento del DEF.
La previsione in base alla quale la relazione
tecnica deve contenere anche elementi di valutazione che diano conto della
suddetta coerenza va messa in
relazione sia con il nuovo vincolo previsto dall’articolo 21, secondo cui le nuove o maggiori spese disposte dalla prima
sezione non possono concorrere a determinare tassi di evoluzione delle spese
incompatibili con gli obiettivi programmatici fissati nel DEF, sia con il fatto
che – come sopra già anticipato - l’articolo 14 della legge n. 243 del 2012 non
prevede una disposizione per la copertura della legge di bilancio, facendo
invece riferimento al vincolo costituito dall’equilibrio di bilancio.
I
contenuti della prima sezione sono inoltre interessati, oltre che dalla
relazione tecnica, da un ulteriore documento riferito alle grandezze economiche
del provvedimento, costituito dalla Nota tecnico-illustrativa, già
prevista dalla legge n.196 del 2009 ma che viene arricchita di contenuti. Essa
deve ora essere allegata al disegno di legge di bilancio con funzione di raccordo,
a fini conoscitivi, tra il provvedimento di bilancio e il conto
economico delle pubbliche amministrazioni. A tal fine la Nota espone i
contenuti e gli effetti sui saldi da parte della manovra, nonché i criteri
utilizzati per la quantificazione degli effetti dei vari interventi, e dovrà
essere aggiornata in relazione alle modifiche apportate dalle Camere al disegno
di legge di bilancio nel corso dell’esame parlamentare.
La seconda sezione - individuata dal nuovo comma 1‑sexies dell’articolo 21 della legge n. 196/2009 – indica le previsioni di entrata e di spesa, espresse in termini di competenza e di cassa, formate sulla base della legislazione vigente, tenuto conto dell'aggiornamento delle previsioni relative alle spese per oneri inderogabili e fabbisogno e delle proposte di variazioni di fattori legislativi.
Tali previsioni vengono inoltre integrate con gli effetti delle variazioni derivanti dalle disposizioni della prima sezione, alle quali viene assicurata una autonoma evidenza contabile (c.d. bilancio integrato).
Rinviandosi per una illustrazione più dettagliata dei nuovi contenuti della seconda sezione rispetto alla ex legge di bilancio alla parte di questo dossier relativa alla sezione medesima, qui ci si limita a segnalare come la principale novità risultante dalla riforma recata dalla legge n. 163/2016 è costituita dal passaggio definitivo (in quanto per alcuni limitati aspetti anticipato dal progressivo ampliamento della flessibilità di bilancio all’interno del previgente testo della legge n. 196/2009) da una concezione formale[1] ad una concezione sostanziale del disegno di legge di bilancio, disponendosi che la seconda sezione possa incidere - attraverso rimodulazioni ovvero rifinanziamenti, definanziamenti o riprogrammazioni - sugli stanziamenti sia di parte corrente che di parte capitale previsti a legislazione vigente (cfr. comma 3 dell’articolo 23 della legge di contabilità), ed integrando nelle sue poste contabili gli effetti delle disposizioni della prima sezione.
In estrema sintesi,
le novità più rilevanti che
concernono i contenuti della seconda sezione rispetto all’ex disegno di legge
di bilancio, riguardano:
§ l’ampliamento dei margini di flessibilità di bilancio sulle dotazioni finanziarie di spesa relative ai fattori legislativi di un medesimo stato di previsione, attraverso:
- la possibilità di effettuare rimodulazioni in via compensativa delle dotazioni finanziarie relative ai fattori legislativi all’interno di ciascuno stato di previsione, senza più il vincolo della compensatività all'interno di uno stesso programma o di una stessa missione (c.d. rimodulazione verticale);
- la previsione di una ulteriore fattispecie di rimodulazione delle leggi di spesa (c.d. rimodulazione orizzontale) che consente l’adeguamento delle relative dotazioni finanziarie di competenza e di cassa a quanto previsto nel piano finanziario dei pagamenti (Cronoprogramma);
§ l’introduzione
della possibilità di apportare
variazioni, con la seconda sezione, alle dotazioni finanziarie di spesa
previste a legislazione vigente relative ai fattori legislativi, per un periodo temporale anche pluriennale,
con operazioni che precedentemente erano riservate alla legge di stabilità,
attraverso le tabelle C, D e E[2].
§ la più puntuale articolazione della spesa di ciascun programma tra oneri inderogabili, fattori legislativi e spese di adeguamento al fabbisogno, come meglio si preciserà nella parte del presente dossier sulla seconda sezione.
Sulla base del nuovo quadro legislativo qui sinteticamente accennato, la previsione di spesa per ciascun programma - che, si rammenta, costituisce l’unità di voto in sede parlamentare - si forma secondo una sequenza che, partendo dal dato contabile a legislazione vigente, può essere modificato prima dalle rimodulazioni compensative per fattori legislativi e cronoprogramma e poi dalle variazioni alle dotazioni finanziarie relative ai fattori legislativi, formandosi in tal modo il dato contabile di spesa risultante dalla seconda sezione; su questo va quindi inserito l’effetto finanziario determinato sul programma dalle eventuali modifiche risultanti dalla prima sezione, formandosi in tal modo il dato di bilancio “integrato”, cioè comprensivo di entrambe le sezioni, che costituirà l’unità di voto.
In termini analoghi si procede per l’unità di voto parlamentare delle entrate - vale a dire la tipologia delle stesse – per la quale, al dato contabile risultante dalla seconda sezione, formato sulla base della legislazione vigente, vanno inseriti gli effetti finanziari derivanti dalla prima sezione, determinandosi così il dato “integrato” delle due sezioni.
Articolo 1
(Risultati differenziali del bilancio
dello Stato)
L’articolo 1 fissa per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019 i livelli massimi del saldo netto da finanziare e del ricorso al mercato finanziario in termini di competenza e cassa.
Secondo quanto disposto dall’articolo 21, comma 1-ter, lettera a), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, tali livelli sono indicati nell'allegato n. 1 annesso al disegno di legge, e sono determinati in coerenza con gli obiettivi programmatici del saldo del conto consolidato delle amministrazioni pubbliche.
Rispetto al dettato dell’ex articolo 11, comma 3, lett. a), della legge di contabilità - che prevedeva la determinazione dei livelli massimi dei suddetti saldi solo in termini di competenza, con specifica indicazione delle eventuali regolazioni pregresse - viene eliminato il riferimento alle regolazioni contabili e debitorie pregresse, incluse nel valore del saldo ma delle quali viene ora data separata evidenza nel prospetto di raccordo tra il bilancio dello Stato e il conto della P.A. contenuto nella nota tecnico-illustrativa, di cui al nuovo comma 12‑quater dell’articolo 21 della legge n. 196.
I livelli del ricorso al mercato si intendono al netto delle operazioni effettuate al fine di rimborsare prima della scadenza o di ristrutturare passività preesistenti con ammortamento a carico dello Stato.
Tabella 1 - Risultati differenziali
(importi in milioni di euro)
|
2017 |
2018 |
2019 |
Livello massimo del saldo netto da
finanziare in termini di competenza |
- 38.601 |
-27.249 |
-8.628 |
Livello massimo del saldo netto da
finanziare in termini di cassa |
-102.627 |
-77.490 |
-57.246 |
Livello massimo del ricorso al mercato in
termini di competenza |
293.097 |
254.485 |
249.527 |
Livello massimo del ricorso al mercato in
termini di cassa |
356.551 |
304.132 |
297.551 |
Si rammenta che il saldo netto da finanziare è pari alla differenza tra le entrate finali e le spese finali iscritte nel bilancio dello Stato, cioè la differenza tra il totale delle entrate e delle spese al netto delle operazioni di accensione e rimborso prestiti. Quanto al ricorso al mercato, questo rappresenta la differenza tra le entrate finali e il totale delle spese. Esso indica la misura in cui occorre fare ricorso al debito per far fronte alle spese che si prevede effettuare nell’anno e che non sono coperte dalle entrate finali: tale importo coincide, pertanto, con l’accensione dei prestiti.
Come espone la tabella, il valore del saldo netto da finanziare di cassa è consistentemente superiore a quello di competenza. Tale circostanza, riscontrabile di norma in sede di bilancio previsionale, deriva dalla diversa composizione dei due livelli, in quanto il saldo di competenza fa riferimento alla differenza tra entrate finali e spese finali di competenza – vale a dire impegni ed accertamenti – mentre le componenti del saldo di cassa vengono quantificate tenendo conto delle relative masse acquisibili (incassi) e spendibili (pagamenti): nella cassa, in altri termini, unitamente agli stanziamenti di competenza si valuta anche l’ammontare dei residui attivi e, soprattutto, passivi.
Il maggior livello del saldo di cassa determina un analogo differenziale sul risultato del ricorso al mercato in termini di cassa rispetto a quello di competenza, atteso che il ricorso al mercato corrisponde alla somma del saldo netto da finanziare e del rimborso dei prestiti.
Come precisato espressamente nell’Allegato 1 all’articolo in esame, gli importi del saldo netto da finanziare, che oltre alle voci delle regolazioni contabili e debitorie ed agli effetti della manovra includono anche gli effetti del decreto-legge fiscale n. 193/2016[3], sono inferiori ai livelli programmatici di tale saldo indicati nella Nota di aggiornamento, - come poi previsti nelle risoluzioni parlamentari di approvazione della Nota medesima - nella quale gli stessi, riferiti per il 2017 ad un livello di indebitamento netto del 2,4 per cento di Pil, risultavano cifrati, in termini di competenza, in 40,5 miliardi nel 2017 e poi in 28,1 e 9,7 miliardi per il 2018 ed il 2019. I valori ora indicati nell’articolo 1 in esame, che incorporano sia gli effetti della manovra contenuta nel disegno di legge di bilancio che quelli del D.L. n. 193/2016 medesimo, fanno invece riferimento ad un obiettivo di indebitamento per il 2017 inferiore di 0,1 punti di Pil, che si colloca ora al 2,3 per cento.
Per il 2017 il limite massimo del saldo netto da finanziare è pertanto previsto pari a circa 38,6 miliardi in termini di competenza ed a circa 102,6 miliardi in termini di cassa.
Tali limiti sono poi indicati, rispettivamente in competenza ed in cassa, in circa 27,2 miliardi e 77,5 miliardi nel 2018 ed in circa 8,6 e 57,2 miliardi nel 2019.
Tutti i suddetti valori corrispondono a quanto risultante dal disegno di legge di bilancio in esame per il triennio considerato[4], nel quale gli importi iscritti nel bilancio “integrato” per ciascun anno sono egualmente costruiti ricomprendendovi i risultati derivanti dalla manovra di bilancio e dal decreto fiscale.
Per quanto riguarda il ricorso al mercato, per l’anno 2017 è fissato un livello massimo, in termini di competenza, pari a circa 293 miliardi, e pari a circa 356,5 miliardi in termini di cassa.
I suddetti livelli sono poi determinati rispettivamente in competenza ed in cassa in circa 254,5 miliardi e 304,1 miliardi nel 2018 ed in circa 249,5 e 297,5 miliardi nel 2019.
Articolo 2,
commi 1-2
(Detrazioni
fiscali per ristrutturazione edilizia, riqualificazione antisismica, energetica
e acquisto mobili)
L’articolo 2, commi 1-2, dispone la proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2017, della misura della detrazione al 65 per cento per le spese relative ad interventi di riqualificazione energetica degli edifici (c.d. ecobonus).
Per gli interventi di riqualificazione energetica relativi a parti comuni degli edifici condominiali o che interessino tutte le unità immobiliari del singolo condominio, la misura della detrazione al 65 per cento è prorogata di cinque anni, fino al 31 dicembre 2021. La misura della detrazione è ulteriormente aumentata nel caso di interventi che interessino l’involucro dell’edificio (70 per cento) e di interventi finalizzati a migliorare la prestazione energetica invernale e estiva e che conseguano determinati standard (75 per cento). Le detrazioni sono calcolate su un ammontare complessivo delle spese non superiore a 40.000 euro moltiplicato per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio. Per tali interventi i condomini possono cedere la detrazione ai fornitori che hanno effettuato gli interventi nonché a soggetti privati, con la possibilità che il credito sia successivamente cedibile. Rimane esclusa la cessione ad istituti di credito ed intermediari finanziari. Tali detrazioni sono usufruibili anche dagli IACP, comunque denominati, per gli interventi realizzati su immobili di loro proprietà adibiti ad edilizia residenziale pubblica.
Si dispone la proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2017, della misura della detrazione al 50 per cento per gli interventi di ristrutturazione edilizia.
Con riferimento agli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche a decorrere dal 1° gennaio 2017 fino al 31 dicembre 2021 viene prevista una detrazione del 50 per cento, ripartita in cinque quote annuali di pari importo nell’anno di sostenimento delle spese e in quelli successivi. Tale beneficio si applica non solo agli edifici ricadenti nelle zone sismiche ad alta pericolosità (zone 1 e 2), ma anche agli edifici situati nella zona sismica 3 (in cui possono verificarsi forti terremoti ma rari). Qualora dalla realizzazione degli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche derivi una riduzione del rischio sismico che determini il passaggio ad una classe di rischio inferiore, la detrazione di imposta spetta nella misura del 70 per cento della spesa sostenuta. Ove dall’intervento derivi il passaggio a due classi di rischio inferiori, la detrazione spetta nella misura dell’80 per cento.
Qualora gli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche siano realizzati sulle parti comuni di edifici condominiali, le detrazioni di imposta spettano, rispettivamente, nella misura del 75 per cento (passaggio di una classe di rischio inferiore) e dell’85 per cento (passaggio di due classi). Le detrazioni si applicano su un ammontare delle spese non superiore a 96.000 euro moltiplicato per il numero delle unità immobiliari di ciascun edificio. Per tali interventi, analogamente a quanto previsto per gli interventi per le riqualificazioni energetiche di parti comuni degli edifici condominiali, a decorrere al 1° gennaio 2017, in luogo della detrazione i soggetti beneficiari possono optare per la cessione del corrispondente credito ai fornitori che hanno effettuato gli interventi nonché a soggetti privati, con la possibilità che il credito sia successivamente cedibile. Anche in questo caso, è esclusa la cessione ad istituti di credito ed intermediari finanziari. Tra le spese detraibili per la realizzazione degli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche, a decorrere dal 1° gennaio 2017, rientrano anche le spese effettuate per la classificazione e verifica sismica degli immobili.
Le nuove detrazioni previste per le misure antisismiche degli edifici non sono cumulabili con agevolazioni già spettanti per le medesime finalità sulla base di norme speciali per interventi in aree colpite da eventi sismici.
Si dispone la proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2017 della detrazione al 50 per cento per le spese relative all'acquisto di mobili. Il limite di 10.000 euro per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici è considerato per gli interventi iniziati nel 2016 al netto delle spese per le quali si è già fruito della detrazione.
Si dispone la proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2017, della misura della detrazione al 65 per cento per le spese relative ad interventi di riqualificazione energetica degli edifici (modifica all’articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 – comma 1, lettera a), n. 1).
Per gli interventi di riqualificazione energetica relativi a parti comuni degli edifici condominiali o che interessino tutte le unità immobiliari del singolo condominio la misura della detrazione al 65 per cento è prorogata di cinque anni, fino al 31 dicembre 2021 (lettera a), n. 2).
Per gli interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali la misura della detrazione è ulteriormente aumentata nel caso di interventi che interessino l’involucro dell’edificio (70 per cento) e di interventi finalizzati a migliorare la prestazione energetica invernale e estiva e che conseguano determinati standard (75 per cento). Le detrazioni sono calcolate su un ammontare complessivo delle spese non superiore a 40.000 euro moltiplicato per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio. Per tali interventi i condomini possono cedere la detrazione ai fornitori che hanno effettuato gli interventi nonché a soggetti privati, con la possibilità che il credito sia successivamente cedibile. Rimane esclusa la cessione ad istituti di credito ed intermediari finanziari. Tali detrazioni sono usufruibili anche dagli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, per gli interventi realizzati su immobili di loro proprietà adibiti ad edilizia residenziale pubblica (lettera a), n. 3).
In particolare la lettera a), n. 3), estende la disciplina agevolativa per la riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali, inserendo all’articolo 14 del decreto-legge n. 63 del 2013 i commi dal 2-quater al 2-septies.
Si prevede l’aumento della detrazione al 70 per cento per le spese sostenute dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2021 per interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali, che interessino l’involucro dell’edificio con un’incidenza superiore al 25 per cento della superficie disperdente lorda dell’edificio medesimo. La detrazione è ulteriormente elevata al 75 per cento per le spese sostenute per gli interventi di riqualificazione energetica relativi alle parti comuni di edifici condominiali finalizzati a migliorare la prestazione energetica invernale e estiva e che conseguano almeno la qualità media di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico del 26 giugno 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 15 luglio 2015 (2-quater).
Con il D.M. 26 giugno 2015 sono state adottate le linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici le quali definiscono il sistema di attestazione della prestazione energetica degli edifici o delle unità immobiliari (APE), comprendente i criteri generali, le metodologie per il calcolo, la classificazione degli edifici, le procedure amministrative, i format, nonché le norme per il monitoraggio e i controlli della regolarità tecnica e amministrativa. Il sistema di attestazione della prestazione energetica degli immobili definito dalle linee guida è volto a favorire una applicazione omogenea su tutto il territorio nazionale che consenta la valutazione e il confronto tra immobili da parte dell’utente finale. L’APE costituisce uno strumento di chiara e immediata comprensione per la valutazione, in relazione alla prestazione energetica dell’immobile, della convenienza economica all’acquisto e alla locazione. Costituisce altresì un efficace strumento per la valutazione della convenienza nella realizzazione di interventi di riqualificazione energetica dell’immobile stesso.
La sussistenza delle condizioni tecniche sopra richieste è asseverata da professionisti abilitati mediante l’attestazione della prestazione energetica degli edifici di cui al citato D.M. del 26 giugno 2015. L’ENEA effettua su tali dichiarazioni controlli, anche a campione. La non veridicità dell’attestazione comporta la decadenza dal beneficio, ferma restando la responsabilità del professionista ai sensi delle disposizioni vigenti (2-quinquies).
Per gli interventi sopra descritti, a decorrere al 1° gennaio 2017, in luogo della detrazione i soggetti beneficiari possono optare per la cessione del corrispondente credito ai fornitori che hanno effettuato gli interventi nonché a soggetti privati, con la possibilità che il credito sia successivamente cedibile. Le modalità attuative dell’opzione sono definite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, da adottare entro sessanta giorni (2-sexies).
Tali detrazioni agevolate sono usufruibili anche dagli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, per interventi realizzati su immobili di loro proprietà adibiti ad edilizia residenziale pubblica (2-septies).
Le agevolazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici sono state introdotte per la prima volta con la legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006, articolo 1, commi da 344 a 349). L’agevolazione consiste nel riconoscimento di detrazioni d’imposta (originariamente del 55 per cento, attualmente del 65 per cento fino al 31 dicembre 2016) delle spese sostenute, da ripartire in rate annuali di pari importo, entro un limite massimo diverso in relazione a ciascuno degli interventi previsti. Si tratta di riduzioni dall’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) e dall’Ires (Imposta sul reddito delle società) concesse per interventi che aumentano il livello di efficienza energetica degli edifici esistenti e che riguardano, in particolare, le spese sostenute per:
§ la riduzione del fabbisogno energetico per il riscaldamento: detrazione massima 100.000 euro;
§ il miglioramento termico dell’edificio (finestre, comprensive di infissi, coibentazioni, pavimenti): detrazione massima 60.000 euro;
§ l’installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda: detrazione massima 60.000 euro;
§ la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto del sistema di distribuzione: detrazione massima 30.000 euro.
Successivamente la normativa in materia è stata più volte modificata con riguardo, in particolare, alle procedure da seguire per avvalersi correttamente delle agevolazioni e alle proroghe della più alta misura agevolata. In particolare il D.L. n. 63 del 2013 (articolo 14), nel prorogare le detrazioni fiscali per interventi di efficienza energetica fino al 31 dicembre 2013, ha elevato la misura al 65 per cento per le spese sostenute dal 6 giugno 2013 (data di entrata in vigore del provvedimento).
La portata dell’agevolazione è stata estesa ai seguenti interventi:
§ sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria: limite massimo di 30.000 euro (articolo 4, comma 4, del D.L. n. 201 del 2011);
§ riqualificazione energetica relativi a parti comuni di edifici condominiali o che interessino tutte le unità immobiliari del singolo condominio (articolo 1, comma 47 della legge n. 190 del 2014);
§ acquisto e posa in opera delle schermature solari, nel limite massimo di detrazione di 60.000 euro (articolo 1, comma 47 della legge n. 190 del 2014);
§ acquisto e posa in opera degli impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili, nel limite massimo di detrazione di 30.000 euro (articolo 1, comma 47 della legge n. 190 del 2014);
§ acquisto, installazione e messa in opera di dispositivi multimediali per il controllo a distanza degli impianti di riscaldamento, di produzione di acqua calda o di climatizzazione delle unità abitative che garantiscano un funzionamento efficiente degli impianti, nonché dotati di specifiche caratteristiche (articolo 1, comma 88, della legge n. 208 del 2015);
§ interventi realizzati dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016 dagli Istituti autonomi per le case popolari su immobili di loro proprietà adibiti ad edilizia residenziale pubblica (articolo 1, comma 87, della legge n. 208 del 2015).
La legge di stabilità per il 2016 ha inoltre previsto per gli interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali le cui spese sono state sostenute nel 2016, la possibilità per i soggetti che si trovano nella no tax area (ovvero pensionati, lavoratori dipendenti e autonomi incapienti) di cedere la detrazione fiscale loro spettante ai fornitori che hanno effettuato i lavori . Le relative modalità attuative sono state definite con il provvedimento dell'Agenzia delle entrate del 22 marzo 2013: la scelta di cedere il credito deve risultare dalla delibera assembleare che approva gli interventi oppure può essere comunicata al condominio che la inoltra ai fornitori. I fornitori, a loro volta, devono comunicare al condominio l'avvenuta accettazione del credito a titolo di pagamento di parte del corrispettivo per i beni ceduti e le attività prestate; il credito potrà essere utilizzato dal soggetto cessionario, in dieci rate annuali, esclusivamente in compensazione di debiti fiscali. Per rendere efficace l'operazione, il condominio è tenuto a trasmettere entro il 31 marzo 2017 un'apposita comunicazione telematica all'Agenzia delle Entrate con il canale Entratel o Fisconline.
Si segnala infine la guida dell’Agenzia delle entrate sulle agevolazioni fiscali per il risparmio energetico (aggiornata a marzo 2016).
In sintesi la normativa al riguardo prevede che:
§ la detrazione dalle imposte sui redditi (Irpef o Ires) è pari al 55 per cento (ora al 65 per cento) delle spese sostenute, entro il limite massimo che varia a seconda della tipologia dell’intervento eseguito;
§ l’agevolazione non è cumulabile con altri benefici fiscali previsti da disposizioni di legge nazionali (come, ad esempio, la detrazione per il recupero del patrimonio edilizio) o altri incentivi riconosciuti dall’Unione europea;
§ non è necessario effettuare alcuna comunicazione preventiva di inizio dei lavori all’Agenzia delle entrate;
§ i contribuenti non titolari di reddito d’impresa devono effettuare il pagamento delle spese sostenute mediante bonifico bancario o postale (i titolari di reddito di impresa sono invece esonerati da tale obbligo e possono provare la spesa con altra idonea documentazione);
§ è previsto l’esonero dalla presentazione della certificazione energetica per la sostituzione di finestre, per gli impianti di climatizzazione invernale e per l’installazione di pannelli solari;
§ al momento del pagamento del bonifico effettuato dal contribuente che intende avvalersi della detrazione, le banche e le Poste Italiane Spa hanno l’obbligo di effettuare una ritenuta a titolo di acconto dell’imposta sul reddito dovuta dall’impresa che effettua i lavori; la legge di stabilità per il 2015 ha elevato la misura della ritenuta dal 4 all’8 per cento;
§ per gli interventi eseguiti dal 2011 è obbligatorio ripartire la detrazione in dieci rate annuali di pari importo (per gli anni 2009 e 2010 andava ripartita in cinque rate);
§ i soggetti che intendono avvalersi della detrazione sono tenuti ad acquisire l'asseverazione di un tecnico abilitato che attesti la rispondenza dell'intervento ai pertinenti requisiti richiesti dal D.M. 19 febbraio 2007 (GU 26 febbraio 2007, n. 47) ed a trasmettere, entro novanta giorni dalla fine dei lavori, all'ENEA copia dell'attestato di certificazione energetica, ovvero di qualificazione energetica, nonché la scheda informativa relativa agli interventi realizzati (di cui all’allegato E del citato D.M.).
Si dispone la proroga di un anno, al 31 dicembre 2017, del termine entro il quale dovranno essere definiti misure ed incentivi selettivi di carattere strutturale, finalizzati a favorire la realizzazione di interventi per il miglioramento, l'adeguamento antisismico e la messa in sicurezza degli edifici esistenti, nonché per l’incremento del loro rendimento energetico e dell’efficienza idrica (modifica all’articolo 15 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 – comma 1, lettera b)).
Il citato articolo 15 prevede che nelle more della riforma di carattere strutturale, per tali interventi si applicano le disposizioni che prevedono le detrazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione energetica e per interventi di ristrutturazione edilizia e per l'acquisto di mobili (articoli 14 e 16 del medesimo decreto-legge n. 63 del 2013).
L’articolo 15 prevede inoltre che nella definizione delle misure e degli incentivi suddetti è compresa l'installazione di impianti di depurazione delle acque da contaminazione di arsenico di tipo domestico, produttivo e agricolo nei comuni dove è stato rilevato il superamento del limite massimo di tolleranza stabilito dall'Organizzazione mondiale della sanità o da norme vigenti, ovvero dove i sindaci o altre autorità locali sono stati costretti ad adottare misure di precauzione o di divieto dell'uso dell'acqua per i diversi impieghi. Nella definizione delle misure di carattere strutturale si deve, inoltre, tener conto dell'opportunità di agevolare ulteriori interventi, quali ad esempio le schermature solari, la microcogenerazione e la micro-trigenerazione per il miglioramento dell'efficienza energetica, nonché interventi per promuovere l'incremento dell'efficienza idrica e per la sostituzione delle coperture di amianto negli edifici.
Si dispone la proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2017, della misura della detrazione al 50 per cento per gli interventi di ristrutturazione edilizia (modifica all’articolo 16 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 – comma 1, lettera c)).
Con riferimento agli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche a decorrere dal 1° gennaio 2017 fino al 31 dicembre 2021 viene prevista una detrazione del 50 per cento, ripartita in cinque quote annuali di pari importo nell’anno di sostenimento delle spese e in quelli successivi. Nel caso in cui gli interventi realizzati in ciascun anno consistano nella mera prosecuzione di interventi iniziati in anni precedenti, ai fini del computo del limite massimo delle spese ammesse a fruire della detrazione (96.000 euro), si tiene conto anche delle spese sostenute negli stessi anni per le quali si è già fruito della detrazione.
A differenza della precedente normativa, tale beneficio si applica non solo agli edifici ricadenti nelle zone sismiche ad alta pericolosità (zone 1 e 2), ma anche agli edifici situati nella zona sismica 3 (in cui possono verificarsi forti terremoti ma rari).
Qualora dalla realizzazione degli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche derivi una riduzione del rischio sismico che determini il passaggio ad una classe di rischio inferiore, la detrazione di imposta spetta nella misura del 70 per cento della spesa sostenuta. Ove dall’intervento derivi il passaggio a due classi di rischio inferiori, la detrazione spetta nella misura dell’80 per cento (nuovi commi da 1-bis a 1-quater dell’articolo 16).
Le linee guida per la classificazione di rischio sismico delle costruzioni, nonché le modalità per la attestazione, da parte di professionisti abilitati, della efficacia degli interventi effettuati devono essere individuati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottarsi entro il 28 febbraio 2017, sentito il Consiglio Superiore dei lavori pubblici.
Qualora gli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche siano realizzati sulle parti comuni di edifici condominiali, le detrazioni di imposta spettano, rispettivamente, nella misura del 75 per cento (passaggio di una classe di rischio inferiore) e dell’85 per cento (passaggio di due classi). Le detrazioni si applicano su un ammontare delle spese non superiore a 96.000 euro moltiplicato per il numero delle unità immobiliari di ciascun edificio.
Per tali interventi, analogamente a quanto previsto per gli interventi per le riqualificazioni energetiche di parti comuni degli edifici condominiali, a decorrere al 1° gennaio 2017, in luogo della detrazione i soggetti beneficiari possono optare per la cessione del corrispondente credito ai fornitori che hanno effettuato gli interventi nonché a soggetti privati, con la possibilità che il credito sia successivamente cedibile. Rimane esclusa la cessione ad istituti di credito ed intermediari finanziari. Le modalità attuative sono definite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, da adottare entro sessanta giorni (nuovo comma 1-quinquies).
Tra le spese detraibili per la realizzazione degli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche, a decorrere dal 1° gennaio 2017, rientrano anche le spese per la classificazione e verifica sismica degli immobili (nuovo comma 1-sexies).
Il comma 2 dell’articolo in esame dispone che le nuove detrazioni previste per le misure antisismiche degli edifici (recate dai commi 1-bis, 1-ter, 1-quater, 1-quinquies e 1-sexies dell’articolo 16) non sono cumulabili con agevolazioni già spettanti per le medesime finalità sulla base di norme speciali per interventi in aree colpite da eventi sismici.
La detrazione fiscale per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio è stata introdotta dall'articolo 1, commi 5 e 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, successivamente modificata e prorogata e, infine, resa stabile dal D.L. n. 201 del 2011 (art. 4, comma 1, lett. c)) che ha inserito nel D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) l’articolo 16-bis. Per le spese sostenute dal 26 giugno 2012 fino al 30 giugno 2013, l'articolo 11, comma 1, del D.L. n. 83 del 2012 ha aumentato la misura della detrazione dal 36 per cento al 50 per cento ed ha innalzato il limite di spesa massima agevolabile da 48.000 a 96.000 euro per unità immobiliare.
L'innalzamento della detrazione al 50 per cento e dell'ammontare di spesa di 96.000 euro è stato successivamente prorogato annualmente (si segnalano, da ultimo, le leggi di stabilità degli ultimi tre anni: (legge n. 147 del 2013, articolo 1, comma 139, lett. d); legge n. 190 del 2014, articolo 1, comma 47, legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 74). Nel corso della conversione del D.L. n. 63 del 2013, inoltre, sono state introdotte due rilevanti novità: una detrazione del 50 per cento per le spese sostenute per l'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+, (per i forni la classe A), nonché delle apparecchiature per le quali sia prevista l'etichetta energetica, finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto di ristrutturazione, per un importo massimo complessivo non superiore a 10.000 euro, da ripartire in dieci quote annuali; una detrazione del 65 per cento delle spese per misure antisismiche su costruzioni che si trovano nelle zone sismiche ad alta pericolosità (zone 1 e 2), se adibite ad abitazione principale o ad attività produttive.
La legge di stabilità per l'anno 2016 ha previsto un credito d'imposta a favore delle persone fisiche che, al di fuori della loro attività di lavoro autonomo, installano sistemi di videosorveglianza o allarme ovvero stipulano contratti con istituti di vigilanza per la prevenzione di attività criminali, nel limite complessivo di spesa di 15 milioni per l'anno 2016 (articolo 1, comma 982, della legge n. 208 del 2015). Tale agevolazione non è stata riproposta.
Da ultimo si evidenzia che l’Agenzia delle entrate ha chiarito che il convivente more uxorio che sostiene le spese di recupero del patrimonio edilizio, nel rispetto delle condizioni previste dal richiamato articolo 16-bis, può fruire della detrazione alla stregua di quanto previsto per i familiari conviventi (risoluzione n. 64/E del 28 luglio 2016). La motivazione di tale posizione si basa sulle nuove regole introdotte dalla legge sulle unioni civili (legge n. 76 del 2016): la disponibilità dell’immobile è insita nella stessa convivenza e non deve trovare titolo in un contratto di comodato.
Si segnala, infine, la guida dell’Agenzia delle entrate sulle ristrutturazioni edilizie (aggiornata ad marzo 2016).
Si dispone la proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2017 della detrazione al 50 per cento per le spese relative all'acquisto di mobili. Il limite di 10.000 euro per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici è considerato per gli interventi iniziati nel 2016 al netto delle spese per le quali si è già fruito della detrazione (articolo 16, nuovo comma 2, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 – comma 1, lettera a), n. 4).
La norma in esame specifica che per gli interventi effettuati nel 2016 ovvero per quelli iniziati nel medesimo anno e proseguiti nel 2017, l’ammontare complessivo massimo di 10.000 euro deve essere calcolato al netto delle spese sostenute nell’anno 2016 per le quali si è fruito della detrazione.
Si ricorda che per usufruire della detrazione in oggetto è indispensabile realizzare una ristrutturazione edilizia e usufruire della relativa detrazione. La norma, infatti, riconosce ai contribuenti che usufruiscono della detrazione per gli interventi di ristrutturazione edilizia una detrazione del 50 per cento per le ulteriori spese, fino ad un ammontare massimo di 10.000 euro, documentate e sostenute per l'acquisto dei seguenti prodotti finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione: mobili; grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+; forni di classe non inferiore ad A. Le spese per l’acquisto di mobili sono calcolate indipendentemente da quelle sostenute per i lavori di ristrutturazione. In altri termini, le spese per l’acquisto di mobili possono anche essere più elevate di quelle per i lavori di ristrutturazione, fermo restando il tetto dei 10.000 euro.
Con la circolare n. 29/E del 18 settembre 2013 l'Agenzia delle entrate, tra l'altro, ha fornito informazioni su modalità di pagamento, diritto alla detrazione, tipologia di mobili interessati e elettrodomestici.
Si segnala che la legge di stabilità per il 2016 ha previsto un’ulteriore ipotesi di detrazione fiscale per l’acquisto esclusivamente di mobili da adibire ad arredo dell’abitazione principale acquistata da giovani coppie, anche di fatto (c.d. bonus mobili giovani coppie). La misura della detrazione è del 50 per cento, da ripartire tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo, per le spese sostenute nel 2016, ma il limite di spesa è aumentato a 16.000 euro (articolo 1, comma 75, della legge n. 208 del 2015). Tale detrazione non è stata prorogata.
Si segnalano le guide dell’Agenzia delle entrate sul bonus mobili ed elettrodomestici (aggiornata ad marzo 2016) e sul bonus mobili giovani coppie (aprile 2016).
Articolo 2, commi 3-6
(Credito di imposta per le strutture
ricettive)
L’articolo 2, commi 3-6, riconosce per ciascuno degli anni 2017 e 2018 il credito di imposta per la riqualificazione delle strutture ricettive turistico alberghiere, già istituito dal D.L. n. 83/2014. L’agevolazione è prevista nella misura del 65 per cento, è estesa anche alle strutture che svolgono attività agrituristica, ed opera a condizione che gli interventi abbiano anche finalità di ristrutturazione edilizia, riqualificazione antisismica o energetica e acquisto mobili.
Il credito di imposta è ripartito in due quote annuali di pari importo - utilizzabile nel periodo di imposta successivo a quello in cui sono realizzati gli interventi - con un limite massimo di spesa pari a 60 milioni di euro nel 2018, 120 milioni di euro nel 2019 e 60 milioni di euro nel 2020.
Con riferimento al credito d’imposta previsto dal D.L. n. 83/2014 per ciascun anno del periodo 2014-2016, viene rideterminato il limite massimo di spesa in misura pari a 41,7 milioni di euro per gli anni 2017 e 2018 e a 16,7 milioni di euro per l'anno 2019.
Il comma
3 riconosce il credito d’imposta previsto
dal D.L. n. 83/2014 (c.d. Tax credit
riqualificazione strutture ricettive turistico alberghiere) anche per i periodi di imposta 2017 e 2018, nella
misura del 65 per cento, a condizione
che gli interventi abbiano anche le finalità di cui al comma 1, ovvero la ristrutturazione edilizia, la riqualificazione
antisismica, la riqualificazione energetica e l’acquisto mobili.
La norma include tra i beneficiari del credito di imposta anche le strutture che svolgono attività agrituristica, come definita dalla legge 20 febbraio 2006, n. 96, e dalle norme regionali vigenti.
La relazione illustrativa afferma che la misura rappresenta anche un ulteriore strumento di sostegno alla ripresa economica dei territori colpiti dal recente sisma, ove sono presenti numerose strutture ricettive (sia alberghi, sia agriturismo), che necessitano di interventi di recupero e ristrutturazione.
Si ricorda che l’articolo 10 del D.L. n. 83/2014 riconosce un credito di imposta al fine di migliorare la qualità dell'offerta ricettiva per accrescere la competitività delle destinazioni turistiche.
Più in particolare, il citato articolo 10, commi 1 e 2, riconosce alle imprese alberghiere esistenti alla data del 1° gennaio 2012 un credito d'imposta nella misura del trenta per cento per le spese sostenute dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016 relative a interventi di ristrutturazione edilizia, ovvero a interventi di eliminazione delle barriere architettoniche, ovvero di incremento dell'efficienza energetica. La misura è estesa ad ulteriori tipologie di spese quali l'acquisto di mobili e componenti d'arredo destinati esclusivamente alle strutture alberghiere, come individuate nello stesso articolo, a condizione che il beneficiario non ceda a terzi né destini a finalità estranee all'esercizio di impresa i beni oggetto degli investimenti prima del secondo periodo d'imposta successivo. Il credito d'imposta è ripartito in tre quote annuali di pari importo. Il credito è riconosciuto alle imprese per spese fino ad un massimo di 200.000 euro nei periodi sopra indicati per gli interventi suddetti e comunque fino all'esaurimento dell'importo massimo di spesa previsto, dal citato articolo 10, al comma 7, pari a 20 milioni di euro per l'anno 2015 e di 50 milioni di euro per gli anni dal 2016 al 2019.
Si consideri che il citato comma 7 destina una quota pari al 10 per cento del limite massimo di spesa ivi previsto per spese relative ad interventi diversi da quelli di ristrutturazione edilizia, rimozione barriere architettoniche ed efficienza energetica, compresi quelli di acquisto di mobili e componenti d'arredo esclusivamente finalizzati alle strutture ricettive oggetto degli interventi di ristrutturazione di cui al comma 2.
Il credito di imposta è riconosciuto nel
rispetto della disciplina europea in materia di aiuti di stato di importanza
minore, cd. “de minimis”.
Per ciò che concerne la disciplina sugli aiuti di Stato, richiamata dall’articolo in commento, l'articolo 108, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) contempla l'obbligo di notificare i progetti diretti ad istituire o modificare aiuti alla Commissione europea al fine di stabilirne la compatibilità con il mercato comune sulla base dei criteri dell'articolo 107, par. 1 TFUE. Alcune categorie di aiuti possono tuttavia essere dispensate dall'obbligo di notifica. Fanno eccezione all'obbligo di notifica alla Commissione UE, oltre alle specifiche categorie di aiuti esentati dalla stessa sulla base dei regolamenti di esenzione, gli aiuti di piccola entità, definiti dalla UE "de minimis", che si presume non incidano sulla concorrenza in modo significativo. Per gli aiuti cd. de minimis, si richiama innanzitutto il Regolamento (UE) n. 1407/2013 che è applicabile alle imprese operanti in tutti i settori, salvo specifiche eccezioni, tra cui la produzione di prodotti agricoli. Il massimale previsto da tale regolamento non ha subito variazioni rispetto al precedente regolamento n. 1698/2006, ed è stato confermato entro il limite di 200.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari. Per gli aiuti cd. de minimis nel settore agricolo opera, invece, il Regolamento (UE) n. 1408/2013.Si tratta di quegli aiuti di piccolo ammontare concessi da uno Stato membro a un'impresa unica agricola - di importo complessivo non superiore a 15.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari - che per la loro esiguità e nel rispetto di date condizioni soggettive ed oggettive non devono essere notificati alla Commissione, in quanto non ritenuti tali da incidere sugli scambi tra gli Stati membri e dunque non suscettibili di provocare un'alterazione dalla concorrenza tra gli operatori economici. Ogni Stato membro ha a disposizione un plafond nazionale che costituisce l'importo cumulativo che può essere corrisposto alle imprese del settore della produzione agricola nell'arco di tre esercizi finanziari; per l'Italia il plafond è pari a 475.080.000 euro (1% del valore della produzione agricola nazionale).
Il comma 4 dell'articolo 10 demanda ad un decreto ministeriale del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del D.Lgs. n. 281/1997, l'adozione delle disposizioni applicative della misura. In attuazione del comma 4 è stato emanato il D.M. 7 maggio 2015 (Disposizioni applicative per l'attribuzione del credito d'imposta alle strutture ricettive turistico-alberghiere).
Si richiama inoltre l’articolo 1, comma 320, della legge di stabilità 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208), che - integrando l’articolo 10 del D.L. n. 83/2014 con due nuovi commi, 2-bis e 2-ter - ha riconosciuto il credito d’imposta anche nel caso in cui la ristrutturazione edilizia comporti un aumento della cubatura complessiva, qualora sia effettuata nel rispetto della normativa vigente (c.d. piano casa: articolo 11 del D.L. n. 112/ 2008) e ha demandato ad un decreto ministeriale l’attuazione della previsione e l’aggiornamento degli standard minimi, uniformi su tutto il territorio nazionale, dei servizi e delle dotazioni per la classificazione delle strutture ricettive e delle imprese turistiche (riproducendo sostanzialmente quanto già previsto nel comma 5 dell’articolo 10 del D.L. n. 83 del 2014).
I dati attuativi della misura dimostrano il buon esito del credito di imposta, che, come chiarito anche dalla Relazione illustrativa, costituisce un valido strumento di incentivo per la riqualificazione delle strutture ricettive esistenti, nonché un concreto sostegno agli investimenti nel settore finalizzato a migliorare la qualità dell’offerta turistica del Paese. In relazione alle spese effettuate nell’anno 2015, infatti, dal 4 al 5 febbraio 2016 sono pervenute al Ministero 3.168 domande, da parte delle imprese ricettive di cui al citato D.M. del 7 maggio 2015, per il riconoscimento del credito d’imposta relativo alle spese sostenute durante l’anno 2015, per un totale di 90.525.113,21 euro su 50.000.000,00 euro messi a disposizione dallo Stato. In attuazione della norma inserita dal citato articolo 1, comma 320, della legge28 dicembre 2015, n. 208, è stato emanato il provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 14 gennaio 2016, pubblicato nel sito Internet dell'Agenzia, il quale definisce le modalità e i termini di fruizione del credito d’imposta e la procedura di controllo automatizzato.
Infine, si ricorda che l’attività agrituristica trova la propria disciplina generale nella legge n. 96/2006, che ha interamente abrogato la previgente normativa (L. n. 730/1985). La legge 96/2006 si configura, pertanto, come “legge quadro”, sulla base dell’art. 117 Cost., che attribuisce alla competenza regionale le materie dell’agricoltura e del turismo. In particolare, l’attività agrituristica è definita dall’articolo 2, comma 1, della legge 20 febbraio 2006, n. 96 come l’attività “di ricezione e ospitalità” esercitata “dagli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l'utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali”. La medesima norma individua, altresì, i requisiti oggettivi dell’attività agrituristica.
Il comma 4 prevede che il credito d’imposta prorogato e modificato dal comma 3 sia ripartito in due quote annuali di pari importo e possa essere utilizzato a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui gli interventi sono stati realizzati, nel limite massimo di:
§ 60 milioni di euro nel 2018;
§ 120 milioni di euro nel 2019;
§ 60 milioni di euro nel 2020.
Il comma 5 dispone che, per quanto non diversamente previsto dai precedenti commi 3 e 4, continuino a trovare applicazione le disposizioni contenute nell'articolo 10 del D.L. n. 83/2014, disponendo, altresì, che, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge in esame, si provveda all'aggiornamento del decreto attuativo della misura in oggetto (D.M. 7 maggio 2015).
Si evidenzia, a tale riguardo, che l’articolo 10, comma 4, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, demanda a un decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, la definizione delle disposizioni applicative della misura, con riferimento, in particolare: a) alle tipologie di strutture alberghiere ammesse al credito d'imposta; b) alle tipologie di interventi ammessi al beneficio; c) alle procedure per l'ammissione delle spese al credito d'imposta, e per il suo riconoscimento e utilizzo; d) alle soglie massime di spesa ammissibile per singola voce di spesa sostenuta; e) alle procedure di recupero nei casi di utilizzo illegittimo del credito d'imposta medesimo. Si ricorda che, in attuazione di quanto sopra previsto, è stato adottato il citato D.M. 7 maggio 2015.
Il comma 6, infine, interviene sul comma 7 dell’articolo 10 del D.L. 83/2014, rideterminando il limite massimo di spesa per la concessione del credito di imposta ivi previsto relativo alle spese per riqualificazione delle imprese turistico alberghiere sostenute nei periodi di imposta dal 2014-2016. In particolare, si prevedono i seguenti nuovi limiti:
§ 41,7 milioni di euro per gli anni 2017 e 2018 (in luogo dei 50 milioni previsti per ciascun anno dalla norma vigente);
§ 16,7 milioni di euro per l'anno 2019 (in luogo dei 50 milioni previsti dalla disciplina vigente).
La relazione tecnica afferma che tenuto conto
degli attuali livelli di fruizione del credito di imposta (come rappresentati
dalla medesima relazione) è possibile operare la corrispondente riduzione dei
limiti massimi complessivi indicati nell’articolo 10, comma 7 del D.L. n.
83/2014.
L’articolo 3 proroga le misure di maggiorazione del 40% degli ammortamenti previste dalla legge di stabilità per il 2016 e istituisce una nuova misura di maggiorazione del 150% degli ammortamenti su beni ad alto contenuto tecnologico (Industria 4.0).
Il comma 1 proroga l’aumento del 40% delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione di beni strumentali introdotto dalla legge di stabilità per il 2016 (art. 1, commi 91-97) a fronte di investimenti in beni materiali strumentali nuovi, nonché per quelli in veicoli utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell'attività dell'impresa. L’agevolazione è prorogata con riferimento alle operazioni effettuate entro il 31 dicembre 2017 ovvero sino al 30 giugno 2018, a condizione che detti investimenti si riferiscano a ordini accettati dal fornitore entro la data del 31 dicembre 2017 e che, entro la medesima data, sia anche avvenuto il pagamento di acconti in misura non inferiore al 20%.
Con particolare riferimento ai veicoli e agli altri mezzi di trasporto, il beneficio è riconosciuto a condizione che essi rivestano un utilizzo strumentale all'attività di impresa (in pratica sono esclusi gli autoveicoli a deduzione limitata).
In generale, al fine di circoscrivere la tipologia di beni che beneficiano della misura è utile soffermarsi sulla nozione di bene materiale "strumentale nuovo". Gli investimenti devono riferirsi a beni caratterizzati dal requisito della strumentalità rispetto all’attività dell’impresa beneficiaria, in sostanza devono essere di uso durevole e atti ad essere impiegati come strumenti di produzione all’interno del processo produttivo dell’impresa (cfr. in tal senso la Circolare 5/E del 19 febbraio 2015). Tali beni devono poi essere contraddistinti dall'attributo della novità, inteso come bene mai utilizzato da altri soggetti. In concreto un bene è definibile come nuovo quando viene acquistato dal produttore o dal rivenditore, da un soggetto diverso dal produttore o dal rivenditore, e il bene non sia mai stato ad alcun titolo utilizzato, né da parte del cedente, né da parte di alcun altro soggetto. Al riguardo si precisa che il requisito della novità è riconosciuto anche al bene esposto in show room e utilizzato dal rivenditore a solo scopo espositivo.
Il comma 2 introduce un nuovo beneficio riconoscendo per i beni materiali strumentali nuovi ad alto contenuto tecnologico atti a favorire i processi di trasformazione tecnologica in chiave Industria 4.0 (inclusi nell'allegato A della legge) una maggiorazione del costo di acquisizione del 150%, consentendo così di ammortizzare un valore pari al 250% del costo di acquisto.
Il comma 3 dispone, nei confronti dei soggetti che beneficiano dell’ammortamento di cui al comma precedente e che investono in beni immateriali strumentali (inclusi nell'allegato B della legge e riportato di seguito, ossia software funzionali a favorire una transizione verso i sopra citati processi tecnologici) la possibilità di procedere a un ammortamento di questi beni con una maggiorazione del 40%.
Il comma 4 stabilisce che, ai fini dell'applicazione della maggiorazione del costo dei beni materiali (comma 2) e immateriali (comma 3) di cui agli allegati A) e B) alla legge di bilancio, l'impresa è tenuta ad acquisire una dichiarazione del legale rappresentante resa ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, ovvero, per gli acquisti di costo unitario superiori a 500.000 euro, una perizia tecnica giurata rilasciata da un ingegnere o da un perito industriale iscritti nei rispettivi albi professionali o da un ente di certificazione accreditato, attestante che il bene possiede caratteristiche tecniche tali da includerlo negli elenchi di cui ai predetti allegati ed è interconnesso al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura. In pratica il bene deve "entrare" attivamente nella catena del valore dell'impresa.
La dichiarazione del legale rappresentante e l'eventuale perizia devono essere acquisite dall'impresa entro il periodo di imposta in cui il bene entra in funzione, ovvero, se successivo, entro il periodo di imposta in cui il bene è interconnesso al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura. Va precisato che, in quest'ultimo caso, l'agevolazione sarà fruita solo a decorrere dal periodo di imposta in cui si realizza il requisito dell'interconnessione.
Il comma 5 prevede che la determinazione degli acconti dovuti per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2017 e per quello successivo è effettuata considerando, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata in assenza delle disposizioni introdotte.
Il comma 6 ribadisce che restano confermate le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 93 e 97, della legge di stabilità 2016, pertanto, sono esclusi dalla possibilità di maggiorare il valore del bene da ammortizzare i beni per i quali il D.M. 31 dicembre 1988 prevede coefficienti di ammortamento inferiori al 6,5 per cento (ammortamento più lungo di 15 esercizi), i fabbricati e le costruzioni e i beni di cui all'allegato 3 annesso alla predetta legge di stabilità; inoltre le maggiorazioni del costo di acquisizione non producono effetti ai fini dell'applicazione degli studi di settore.
L'allegato 3 citato riguarda a titolo di esempio le condutture utilizzate dalle industrie di imbottigliamento di acque minerali naturali o dagli stabilimenti balneari e termali; le condotte utilizzate dalle industrie di produzione e distribuzione di gas naturale; il materiale rotabile, ferroviario e tramviario; gli aerei completi di equipaggiamento.
L’articolo 4 estende di un anno, fino al 31 dicembre 2020, il periodo di tempo nel quale devono essere effettuati gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo da parte delle imprese per poter beneficiare del credito di imposta. A decorrere dal 2017 la misura dell’agevolazione è elevata dal 25 al 50 per cento.
Il credito d’imposta può essere utilizzato anche dalle imprese residenti o dalle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti nel caso di contratti stipulati con imprese residenti o localizzate in altri Stati membri dell’Unione europea, negli Stati aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo ovvero in Stati inclusi nella lista degli Stati con i quali è attuabile lo scambio di informazioni ai sensi delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni.
L’importo massimo annuale del credito d’imposta riconosciuto a ciascun beneficiario è elevato da 5 a 20 milioni di euro.
Sono ammissibili le spese relative a personale impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo, non essendo più richiesta la qualifica di “personale altamente qualificato”.
Le novità introdotte hanno efficacia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso il 31 dicembre 2016.
Si chiarisce, infine, che il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui i costi per le attività in ricerca e sviluppo sono stati sostenuti.
L’articolo 4 interviene sull’articolo 3 del decreto-legge n. 145 del 2013 con le seguenti modifiche.
La lettera a) estende di un anno, fino al 31 dicembre 2020, il periodo di tempo nel quale devono essere effettuati gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo da parte delle imprese per poter beneficiare del credito di imposta. La misura del credito d’imposta è inoltre elevata dal 25 al 50 per cento delle spese incrementali sostenute rispetto alla media dei medesimi investimenti realizzati nei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015.
La lettera b) stabilisce che il credito d’imposta può essere utilizzato anche dalle imprese residenti o dalle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti che eseguono le attività di ricerca e sviluppo nel caso di contratti stipulati con imprese residenti o localizzate in altri Stati membri dell’Unione europea, negli Stati aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo ovvero in Stati inclusi nella lista degli Stati con i quali è attuabile lo scambio di informazioni ai sensi delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni (D.M. n. 220 del 1996).
La lettera c)
eleva l’importo massimo annuale del
credito d’imposta riconosciuto a ciascun beneficiario da 5 a 20 milioni di euro. Rimane la
condizione che siano
sostenute spese per attività di ricerca e sviluppo almeno pari a 30 mila euro.
La lettera d) prevede tra le spese ammissibili ai fini della determinazione del credito d'imposta quelle relative a personale impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo, in luogo della precedente formulazione che richiedeva la qualifica di “personale altamente qualificato” nelle attività di ricerca e sviluppo, in possesso di un titolo di dottore di ricerca, ovvero iscritto ad un ciclo di dottorato presso una università italiana o estera, ovvero in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico come da classificazione Unesco Isced o di cui all’allegato 3 della legge di stabilità.
La lettera e) abroga la norma che prevedeva un incremento della misura al 50 per cento per determinate spese, dal momento che con la norma in esame la misura del 50 per cento è prevista per tutte le spese ammissibili.
La lettera f) chiarisce che il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui i costi per le attività in ricerca e sviluppo sono stati sostenuti.
Il comma 2 stabilisce che le norme introdotte dal comma 1, ad eccezione di quanto previsto alla lettera f), hanno efficacia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso il 31 dicembre 2016.
L'articolo 3 del D.L. n. 145 del 2013 ha istituito un credito di imposta a favore delle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo. In sintesi, la misura prevedeva un credito d'imposta pari al 50 per cento delle spese incrementali sostenute dalle imprese rispetto all'anno precedente, con un'agevolazione massima di 2,5 milioni di euro per impresa ed una spesa minima di 50 mila euro in ricerca e sviluppo per poter accedere all'agevolazione.
La legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014, articolo 1, commi 35 e 36) aveva già modificato tale disciplina in più punti:
§ l'aliquota dell'agevolazione è ridotta dal 50 al 25 per cento. La norma in esame ripristina, a decorrere dal 2017, la misura del 50 per cento (comma 1, lett. a));
§ l'aliquota resta al 50 per cento per le spese relative al personale altamente qualificato impiegato in attività di ricerca e sviluppo e per i contratti di ricerca con università ed enti di ricerca e start-up innovative. La norma in esame, avendo elevato al 50 per cento la misura per tutte le spese, sopprime tale previsione (comma 1, lett. e)); per quanto riguarda le spese ammissibili, inoltre, è ritenuto sufficiente l’impiego di personale in attività di ricerca e sviluppo (comma 1, lett. d));
§ l'importo massimo per impresa è aumentato da 2,5 milioni a 5 milioni di euro per impresa. La norma in esame eleva ulteriormente tale importo a 20 milioni (comma 1, lett. c));
§ la soglia minima di investimenti agevolabili è ridotta da 50 mila a 30 mila euro;
§ per poter beneficiare del credito d'imposta, gli investimenti devono essere effettuati dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 fino a quello in corso al 31 dicembre 2019. La norma in esame prolunga tale periodo fino al 31 dicembre 2020 (comma 1, lett. a));
§ non è previsto un limite di fatturato delle imprese;
§ non sono contemplate le spese rel0ative alla creazione di nuovi brevetti (anche in considerazione della disciplina sul patent box);
§ per la fruizione del credito d'imposta non si applica il generale limite annuale di 250.000 euro;
§ è eliminata la procedura di istanza telematica per usufruire del credito d'imposta;
§ è eliminato il riferimento al limite massimo di stanziamento di euro 600 milioni per il triennio 2014-2016.
Il decreto 27 maggio 2015, del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ha individuato le disposizioni applicative, nonché le modalità di verifica e controllo dell'effettività delle spese sostenute, le cause di decadenza e revoca del beneficio, le modalità di restituzione del credito d'imposta indebitamente fruito.
L'Agenzia delle entrate con la circolare n. 5/E del 2016 ha fornito chiarimenti in merito ai presupposti soggettivi ed oggettivi di accesso al beneficio, alle modalità di calcolo e di utilizzo, nonché in ordine alle ipotesi di cumulo con altre agevolazioni e agli adempimenti necessari per la corretta fruizione del credito di imposta. Il credito d'imposta è cumulabile con altri bonus, tra cui quello relativo agli investimenti in beni strumentali nuovi, previsto dall'articolo 18 del D.L. n. 91/2014. I costi ammissibili al credito di imposta rilevano per l'intero ammontare anche ai fini della determinazione del reddito agevolabile da patent box. Il bonus è concesso in maniera automatica, a seguito dell'effettuazione delle spese agevolate.
Si ricorda che in passato l'articolo 1 del D.L. 70/2011 aveva istituito un credito d'imposta, per gli anni 2011 e 2012, in favore delle imprese che avessero finanziato progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca le quali potessero sviluppare i progetti così finanziati anche in associazione, in consorzio, in joint venture ecc. con altre qualificate strutture di ricerca, anche private, di equivalente livello scientifico.
L’articolo 5 modifica la tassazione dei redditi delle cd. imprese minori, assoggettate alla contabilità semplificata, con sostituzione del vigente principio di competenza con il principio di cassa.
La norma interviene sulla tassazione dei redditi delle cd. imprese minori, assoggettate alla contabilità semplificata, sostituendo il vigente principio di competenza per il computo degli elementi che concorrono a formare l’imponibile con il principio di cassa.
A tal fine, il comma 1 apporta numerose modifiche all’articolo 66 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR.
Attualmente le c.d. imprese minori, ammesse al regime di contabilità semplificata e che non hanno esercitato l’opzione per il regime ordinario, determinano il loro reddito imponibile come differenza tra l'ammontare dei ricavi (elencati analiticamente all’articolo 85 del TUIR) e degli altri proventi (utili, dividendi e interessi, di cui all’articolo 89 TUIR; redditi derivanti da immobili, ai sensi dell’articolo 90 TUIR) conseguiti nel periodo di imposta e l'ammontare delle spese documentate sostenute nel periodo stesso. Tale risultato subisce aumenti e diminuzioni secondo le esistenze e le rimanenze; viene aumentato delle plusvalenze realizzate nel periodo d’imposta e diminuito delle minusvalenze; analoghe operazioni di aumento o diminuzione valgono per le sopravvenienze attive e passive.
Per effetto delle modifiche in esame (comma 1, lettera a) dell’articolo 5), le imprese minori che applicano il regime di contabilità semplificata continuano a calcolare l’imponibile come differenza tra l’ammontare dei ricavi (sempre ai sensi dell’articolo 85 TUIR) e degli altri proventi (utili, dividendi e interessi, di cui all’articolo 89 TUIR) percepiti nel periodo di imposta, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’attività di impresa.
Rispetto al passato, si stabilisce che entrano nel computo dell’imponibile anche i ricavi, di cui all’articolo 57 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR, ovvero il valore normale dei beni destinati al consumo personale o familiare dell'imprenditore.
Continuano a computarsi in aumento i proventi immobiliari (articolo 90, comma 1 TUIR), le plusvalenze (realizzate ai sensi dell’articolo 86 TUIR) e le sopravvenienze attive (articolo 88); sono calcolate in diminuzione minusvalenze e sopravvenienze passive (di cui all’articolo 101 TUIR).
Le nuove norme non computano più le esistenze e le rimanenze.
Il comma 1, lettera b) apporta modifiche al comma 3 dell’articolo 66, al fine di disporre, con riferimento alla determinazione dell’imponibile per le imprese minori, che non trovi più applicazione il principio della competenza nella determinazione dei ricavi che concorrono a formare il reddito imponibile.
Essi dunque vanno computati per cassa.
Viene altresì eliminato il riferimento ai commi
1 e 2 dell’articolo 110 sulla determinazione dei componenti negativi.
L’articolo 109 TUIR dispone (comma 1) che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, ove la legge non disponga diversamente, concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza. Per i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni.
Sono poi specificate le regole per la determinazione dell'esercizio di competenza di alcuni specifici ricavi (comma 2 dell’articolo 109).
L’articolo 110 TUIR indica invece le modalità di computo delle componenti negative (costi), indicando nel dettaglio quali elementi assumere e come calcolarli.
Coerentemente alle modifiche apportate dal n. 1) della lettera b), il successivo n. 2 elimina la disposizione secondo cui, nella determinazione del reddito delle imprese minori, i costi dei contratti a corrispettivi periodici, relativi a spese di competenza di due periodi d’imposta, possono essere dedotti secondo gli ordinari criteri di competenza ovvero con riferimento alla registrazione ai fini IVA dei relativi documenti fiscali, ove l’importo del costo indicato del documento di spesa non sia superiore a 1000 euro (ultimi due periodi dell’articolo 66, comma 3 TUIR).
La disposizione che si intende abrogare dispone in sostanza che, che per i soggetti in regime di contabilità semplificata, i costi concernenti contratti da cui derivano corrispettivi periodici (quali, per esempio, i contratti di locazione, di assistenza contabile, di somministrazione di gas, luce, ecc.), relativi a spese di competenza di due periodi d’imposta e di importo non superiore a 1.000 euro (con riferimento al costo indicato nel documento di spesa, al netto dell’IVA), sono deducibili nell’esercizio in cui ricevono il documento probatorio (solitamente la fattura), anziché alla data di maturazione dei corrispettivi, in deroga ai criteri di cui all’articolo 109, comma 2 lettera b) del TUIR. Tale comma 2, come si è visto, non trova più applicazione per i contribuenti in contabilità semplificata; la computazione per cassa diventa dunque una regola applicabile anche a tale tipologia di provento, non costituendo più un’eccezione.
Il comma 2 reca una disposizione transitoria, prevedendo che il reddito del periodo di imposta in cui si applicano le nuove disposizioni deve essere ridotto dell’importo delle rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente, secondo il principio della competenza.
Il comma
3, con finalità di evitare salti o
duplicazioni di imposizione, disciplina l’ipotesi di passaggio dalle regole specifiche per le imprese minori - ai sensi
dell’articolo 66 TUIR - a un periodo di
imposta soggetto a regime ordinario, e viceversa.
In tal caso i ricavi, i compensi e le spese che hanno già concorso alla formazione del reddito, in base alle regole del regime di determinazione del reddito d’impresa adottato, non assumono rilevanza nella determinazione del reddito degli anni successivi.
Il comma 4 dell’articolo 5 in esame interviene sulla disciplina della base imponibile IRAP delle cd. imprese minori, inserendo a tal fine un comma 1-bis all’articolo 5-bis del D.lgs. n. 446 del 1997 (che si occupa della determinazione del valore della produzione netta, ossia della base imponibile IRAP delle società di persone e delle imprese individuali).
Per i contribuenti che determinano il reddito
ai sensi dell’articolo 66 del TUIR si prevede che i medesimi criteri siano utilizzati per l’individuazione della base imponibile IRAP. Pertanto, anche
ai fini IRAP, rileva il nuovo criterio
di cassa introdotto per le imprese minori ai fini delle imposte sui
redditi; non rilevano, ad esempio, le rimanenze finali.
A tali soggetti si applicano, in quanto
compatibili, le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 in materia di rimanenze
finali e passaggio dal regime semplificato al regime ordinario, e viceversa. (comma 5).
Il comma 6 sostituisce integralmente l’articolo 18 del D.P.R. n. 600 del 1973 in tema di contabilità semplificata delle imprese minori.
Le modifiche al comma 1 sono sostanzialmente volte ad aggiornare i riferimenti normativi ivi previsti.
Il vigente articolo 18 del D.P.R. n. 600 del 1973, al comma 1, prevede che alcuni soggetti (società in nome collettivo, società in accomandita semplice ed equiparate; persone fisiche che esercitano imprese commerciali; enti non commerciali, relativamente alle attività commerciali eventualmente, come individuati dall’articolo 13 del medesimo D.P.R.) tengano una contabilità semplificata rispetto alle regole ordinarie civili e fiscali (di cui agli articoli 14-16 del D.P.R. 600 del 1973) ove i ricavi da essi conseguiti in un anno intero non abbiano superato l'ammontare di 400.000 euro per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi e 700.000 euro per le imprese aventi per oggetto altre attività. Resta salvo, comunque, per i soggetti suindicati (articolo 18, comma 6) il diritto di optare per il regime ordinario di contabilità.
Il regime ordinario, in estrema sintesi, prevede che gli imprenditori siano tenuti alla regolare compilazione delle scritture contabili, del libro giornale e del libro degli inventari, nonché dei registri rilevanti ai fini fiscali (IVA e libri ausiliari).
Il regime semplificato invece esonera le sopra elencate imprese dagli obblighi civilistici di tenuta delle scritture contabili (libro giornale, libro inventari etc.): resta tuttavia presente l’obbligo di compilare le scritture rilevanti ai fini fiscali, ossia i registri IVA ed il registro dei beni ammortizzabili, con opportune integrazioni utili alla determinazione anche dell’imponibile ai fini delle imposte sui redditi.
Di conseguenza (articolo 18, comma 2) i soggetti in contabilità semplificata devono integrare - entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale - nel registro degli acquisti tenuto a fini IVA il valore delle rimanenze. Anche le operazioni non soggette a registrazione a fini IVA devono essere separatamente annotate nei registri IVA, con le modalità e nei termini stabiliti per le operazioni soggette a registrazione. Coloro che effettuano soltanto operazioni non soggette a registrazione devono annotare in apposito registro l'ammontare globale delle entrate e delle uscite relative a tutte le operazioni effettuate nella prima e nella seconda metà di ogni mese ed eseguire nel registro le integrazioni sul valore delle rimanenze.
Per i lavoratori autonomi, il regime di contabilità semplificata è applicabile a prescindere dall’ammontare dei compensi conseguiti nell’anno precedente.
L’articolo 18, al comma 9 chiarisce che per le imprese in contabilità semplificata i ricavi vanno individuati in base al principio di competenza: si assumono come ricavi conseguiti nel periodo di imposta i corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione nel periodo stesso agli effetti dell’IVA e delle operazioni annotate o soggette ad annotazioni anche se non sottoposte a registrazione a fini IVA.
In caso di inizio attività, è necessario ragguagliare ad anno i ricavi presunti (settimo comma dell’articolo 18 come vigente).
Le disposizioni in esame mantengono fermi i vigenti limiti per l’accesso alla contabilità semplificata, aggiornando i riferimenti normativi al TUIR (modifiche al comma 1 dell’articolo 18, con riferimento ai ricavi rilevanti; si tratta dei medesimi considerati rilevanti ai sensi del modificato articolo 66 TUIR, per cui si veda supra). Dal momento che le modifiche all’articolo 66 TUIR sostituiscono il criterio di competenza con quello di cassa, si precisa che – per l’ingresso nel regime semplificato – vengono in considerazione i ricavi conseguiti nell’ultimo anno di applicazione dei criteri di competenza (articolo 109, comma 2 TUIR).
Le modifiche al comma 2 e 3 dell’articolo 18 intendono adattare anche alle scritture contabili l’applicazione del principio di cassa per l’individuazione dei ricavi imponibili. Di conseguenza, sono dettagliate con maggiore precisione le annotazioni e le integrazioni da effettuare nei registri esistenti, ovvero le nuove scritture contabili da tenere per essere ammessi al regime.
Pertanto (novellato comma 2), i soggetti in contabilità semplificata devono annotare cronologicamente, in un apposito registro, i ricavi percepiti indicando, per ciascun incasso: a) il relativo importo; b) le generalità, l’indirizzo e il comune di residenza anagrafica del soggetto che effettua il pagamento; c) gli estremi della fattura o altro documento emesso. In un diverso registro vanno annotate cronologicamente e con riferimento alla data di pagamento (in ossequio al criteri di cassa) le spese sostenute nell’esercizio. Per ciascuna spesa devono essere fornite le generalità del soggetto che effettua il pagamento e gli estremi della fattura o di altro documento emesso.
Ai sensi del novellato comma 3, i diversi componenti positivi e negativi di reddito (rispetto a quelli indicati al comma 2) vanno annotati nei registri obbligatori entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Il nuovo comma 4 chiarisce che i registri IVA sostituiscono i registri di annotazione di ricavi e spese, ove debitamente integrati con la separata annotazione delle operazioni non soggette a registrazione a fini IVA.
In ossequio al principio di cassa, al posto delle singole annotazioni relative ad incassi e pagamenti, nell’ipotesi in cui l’incasso o il pagamento non sia avvenuto nell’anno di registrazione, nei registri deve essere riportato l’importo complessivo dei mancati incassi o pagamenti, con indicazione delle fatture cui le operazioni si riferiscono. In tal caso, i ricavi percepiti e i costi sostenuti devono essere annotati separatamente nei registri stessi, nel periodo di imposta in cui vengono incassati o pagati, indicando il documento contabile già registrato ai fini Iva.
Il novellato comma 5 consente ai contribuenti di esercitare apposita opzione, vincolante per almeno un triennio, per tenere i registri IVA senza operare annotazioni relative ad incassi e pagamenti, fermo restando l’obbligo della separata annotazione delle operazioni non soggette a registrazione IVA. In tal caso, per finalità di semplificazione opera la presunzione legale secondo cui la data di registrazione dei documenti coincida con quella di incasso o pagamento.
I commi 6-10 riproducono il contenuto dei vigenti commi 4-8 dell’articolo 18.
Il novellato comma 11 chiarisce che, ai fini della contabilità semplificata, si assumono come ricavi conseguiti nel periodo di imposta le somme incassate registrate nell’apposito registro (di cui al comma 2, primo periodo), ovvero nel registro IVA appositamente integrato (di cui al comma 4).
Il comma 7 dell’articolo 5 in commento chiarisce la decorrenza delle nuove norme, applicabili a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016. Esse sono attuate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame (31 gennaio 2017).
L’articolo 6 introduce e disciplina il gruppo IVA, esercitando così la facoltà espressamente accordata agli Stati membri dell’Unione europea dalla direttiva 2006/112/CE in materia di imposta sul valore aggiunto.
Si consente di considerare come unico soggetto passivo IVA l’insieme di persone stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi. Le nuove disposizioni sul gruppo IVA si applicano dal 1° gennaio 2018, con concreta operatività dei gruppi medesimi a partire dall’anno successivo.
L’articolo 6 reca la disciplina del gruppo IVA, riconducendola nell’alveo delle norme che istituiscono e disciplinano l’imposta.
Viene a tal fine introdotto un nuovo Titolo V-bis nel D.P.R. n. 633 del 1972, che comprende gli articoli da
70-bis a 70-duodecies.
In sostanza, per effetto delle modifiche in commento viene considerato come un unico soggetto passivo IVA l’insieme di persone (fisiche o giuridiche) stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi, esercitando così la facoltà accordata agli Stati membri dell’Unione europea dall’articolo 11 della direttiva IVA (direttiva 2006/112/CE).
L’articolo 11 della direttiva 2006/112/CE prevede che, per l’applicazione di tale facoltà, sia preventivamente esperito il comitato consultivo dell'imposta sul valore aggiunto. Tale comitato è stato istituito dall’articolo 398 della medesima direttiva con lo scopo di promuovere l’applicazione uniforme delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto; esso ha funzione consultiva, si compone di rappresentanti degli Stati membri e della Commissione ed è presieduto da un rappresentante della Commissione.
L’articolo 70-bis disciplina (comma 1) i requisiti soggettivi per l’accesso alla disciplina di gruppo.
Possono costituire un gruppo IVA i soggetti passivi stabiliti in Italia e che esercitano attività d’impresa, arte o professione, purché ricorrano congiuntamente i vincoli finanziari, economici e organizzativi stabiliti dalla legge (di cui all’articolo 70-ter).
Non possono partecipare a un gruppo IVA (comma 2):
§ le sedi e le stabili organizzazioni situate all’estero;
§ i soggetti la cui azienda sia sottoposta a sequestro giudiziario (ai sensi dell’articolo 670 del codice di procedura civile); in caso di pluralità di aziende, la disposizione opera anche se oggetto di sequestro è una sola di esse;
§ i soggetti assoggettati a una procedura concorsuale;
§ i soggetti posti in liquidazione ordinaria.
Viene chiarito che l’assoggettamento a procedura concorsuale viene considerato tale (comma 3) dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
L’articolo 70-ter (comma 1) chiarisce in primo luogo quando si considera sussistente un vincolo finanziario tra soggetti passivi. Esso sussiste quando, almeno dal 1° luglio dell’anno solare precedente:
a) fra detti soggetti esiste, direttamente o indirettamente, un rapporto di controllo ai sensi delle disposizioni del codice civile;
b) detti soggetti sono controllati, direttamente o indirettamente, dal medesimo soggetto, purché residente nel territorio dello Stato ovvero in uno Stato con il quale l’Italia ha stipulato un accordo che assicura un effettivo scambio di informazioni.
Viene altresì chiarita la sussistenza (comma 2) del vincolo economico, subordinato all’esistenza di almeno una delle forme di cooperazione economica seguenti:
a) svolgimento di un’attività principale dello stesso genere;
b) svolgimento di attività complementari o interdipendenti;
c) svolgimento di attività che avvantaggiano, pienamente o sostanzialmente, uno o più soggetti passivi.
Inoltre, il comma 3 chiarisce che sussiste un vincolo organizzativo fra detti soggetti quando esiste un coordinamento, in via di diritto, ai sensi del codice civile (libro V, titolo V, capo IX del codice civile che disciplina la direzione e il coordinamento di società), o in via di fatto, fra gli organi decisionali degli stessi, ancorché tale coordinamento sia svolto da un altro soggetto.
Viene chiarito che (comma 4), se fra i soggetti passivi ricorre il vincolo finanziario, si presumono sussistenti fra i medesimi anche i vincoli economico e organizzativo, fatta salva la possibilità (comma 5) di dimostrare l’insussistenza del vincolo economico o di quello organizzativo mediante istanza di interpello probatorio, presentata all’Agenzia delle entrate, in base all’articolo 11, comma 1, lettera b), dello Statuto dei contribuenti (legge n. 212 del 2000).
Si rammenta che il D.Lgs. n. 156 del 7 ottobre 2015 ha riformato la disciplina degli interpelli in attuazione della legge 11 marzo 2014, n. 23 (legge di delega fiscale). Tra le forme di interpello ivi disciplinate, l’interpello probatorio (comma 1, lettera b) dello Statuto dei contribuenti) riguarda la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l'adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti dalla legge.
Non sussiste (comma 6) vincolo economico, in ogni caso, per i soggetti per cui il vincolo finanziario discende da partecipazioni acquisite nell'ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione di crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria (di cui all’articolo 113, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi – TUIR). Per dimostrare la sussistenza del vincolo economico è presentata all’Agenzia delle entrate apposita istanza di interpello probatorio.
Ai sensi dell’articolo 70-quater, la costituzione del gruppo IVA viene effettuata previa opzione esercitata da tutti i soggetti passivi che ne fanno parte e per cui sussistano i vincoli di legge, oltre allo stabilimento in Italia.
In caso di mancato esercizio dell’opzione da parte di uno o più dei soggetti di cui al periodo precedente, si dispone il recupero in capo al gruppo del vantaggio fiscale conseguito effettivamente, e il gruppo cessa a partire dall’anno successivo rispetto a quello in cui viene accertato il mancato esercizio dell’opzione, salvo che i predetti soggetti non esercitino l’opzione per partecipare al gruppo medesimo.
Si prevede (comma 2) che l’opzione sia esercitata con presentazione in via telematica, da parte del rappresentante di gruppo, di una apposita dichiarazione (di cui all’articolo 70-duodecies, comma 5), nella quale sono indicati specifici elementi (denominazione; dati identificativi del rappresentante del gruppo IVA e dei soggetti partecipanti al gruppo medesimo; l’attestazione della sussistenza dei vincoli di legge; l’attività o le attività che saranno svolte dal gruppo; l’elezione di domicilio presso il rappresentante di gruppo da parte di ciascun soggetto partecipante al gruppo medesimo; la sottoscrizione dei soggetti interessati e del rappresentante).
L’opzione ha una decorrenza diversa (comma 3) secondo il momento di presentazione dell’istanza (antecedente o successiva al 30 settembre) e, in costanza dei vincoli di legge, è vincolante per un triennio decorrente dall’anno in cui la stessa ha effetto. Trascorso il primo triennio, l’opzione si rinnova automaticamente per ciascun anno successivo, fino a quando non è esercitata la revoca (comma 4).
Il comma 5 disciplina due ipotesi: la prima è quella in cui, nel corso degli anni di validità dell’opzione, il vincolo finanziario venga a sussistere in capo a soggetti passivi in possesso dei requisiti soggettivi per la partecipazione a un gruppo IVA, relativamente ai quali non sussisteva all’atto dell’esercizio dell’opzione (ad esempio, per effetto dell’acquisizione del controllo di diritto in tali soggetti mediante acquisizione della relativa partecipazione da parte di uno dei partecipanti al gruppo IVA); è inoltre disciplinata l’ipotesi in cui, essendo stata presentata istanza di interpello preventivo, ed essendo stata riconosciuta dall’Agenzia delle entrate l’insussistenza del vincolo economico o di quello organizzativo in capo a un dato soggetto (conseguentemente espunto da quelli partecipanti al gruppo IVA), successivamente tali vincoli vengano a integrarsi in capo allo stesso soggetto.
In questi casi, il soggetto in capo al quale vengano a sussistere i predetti vincoli dovrà partecipare al gruppo IVA a partire dall’anno successivo a quello in cui i vincoli stessi vengano a sussistere. In base al secondo periodo del comma 5, dovrà essere presentata la dichiarazione apposita, al fine di specificare l’inclusione nel gruppo IVA del soggetto per cui sono venuti a sussistere il vincolo finanziario ovvero il vincolo economico e/o quello organizzativo. Tale dichiarazione dovrà essere presentata entro il novantesimo giorno successivo a quello in cui tali vincoli vengono a sussistere.
Per effetto dell’esercizio di tale opzione, gli aderenti al gruppo – fintantoché perdura l’opzione – perdono l’autonoma soggettività ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e nasce un nuovo soggetto d’imposta (il gruppo IVA) che agisce come un qualsiasi soggetto passivo, trovando applicazione per lo stesso tutte le disposizioni in materia di IVA, con specifiche disposizioni attuative.
Di conseguenza (articolo 70-quinquies, comma 1) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi infragruppo non sono considerate cessioni di beni e prestazioni di servizi rilevanti ai fini dell’applicazione dell’IVA; le operazioni effettuate da un soggetto del gruppo IVA nei confronti di un soggetto estraneo si considerano effettuate dal gruppo IVA (comma 2). Parallelamente, le operazioni effettuate nei confronti di un soggetto partecipante a un gruppo IVA da un soggetto che non ne fa parte si considerano effettuate nei confronti del gruppo IVA (comma 3). Diritti e obblighi derivanti dall’applicazione delle norme in materia IVA sono, rispettivamente, a carico e a favore del gruppo IVA (comma 4).
Per quanto invece riguarda (articolo 70-sexies) l’eccedenza di imposta detraibile risultante dalla dichiarazione annuale relativa all’anno precedente al primo anno di partecipazione al gruppo IVA, essa non si trasferisce al gruppo medesimo: può essere chiesta a rimborso anche in mancanza delle specifiche condizioni richieste dall’articolo 30 del medesimo D.P.R. n. 633 del 1972, ovvero compensata. La predetta regola non si applica tuttavia per quella parte dell’eccedenza detraibile che è pari ai versamenti IVA effettuati con riferimento a tale precedente anno.
Spetta al rappresentante di gruppo (articolo 70-septies) il compito di adempiere agli obblighi ed esercitare i diritti del gruppo. Esso è individuato ex lege nel soggetto che esercita il controllo di cui all’articolo 70-ter, comma 1, ovvero il vincolo finanziario.
Ove sia impossibilitato ad esercitare l’opzione, è rappresentante di gruppo il soggetto partecipante con volume d’affari o ammontare di ricavi più elevato nel periodo precedente alla costituzione del gruppo medesimo.
Si prevedono forme di subentro nella rappresentanza di gruppo (comma 3) in specifiche ipotesi, senza cessazione degli effetti del gruppo IVA su altri partecipanti.
È responsabilità (articolo 70-octies) del rappresentante di gruppo quella di adempiere agli obblighi connessi all’esercizio dell’opzione.
Si prevede che gli altri soggetti partecipanti al gruppo IVA siano responsabili in solido (comma 2) con il rappresentante di gruppo per le somme che risultano dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni a seguito delle attività di liquidazione e controllo.
Compito del rappresentante (articolo 70-nonies, comma 1) è anche di comunicare la revoca dell’opzione mediante apposita dichiarazione, sottoscritta anche dagli altri soggetti partecipanti.
Detta revoca (comma 2) opera nei riguardi di tutti i soggetti partecipanti al gruppo IVA, con decorrenza diversa secondo la data di presentazione.
Alle opzioni e alle revoche previste in tema di gruppo IVA (comma 3) non si applicano le regole generali in tema di esercizio delle opzioni IVA, contenute nel D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442.
Si chiarisce che, se un soggetto effettua (comma 4) l’esercizio dell’opzione per il gruppo IVA, ciò comporta il venir meno degli effetti delle altre opzioni in materia di imposta sul valore aggiunto esercitate dallo stesso in precedenza, anche se non è decorso il periodo minimo di permanenza nel particolare regime prescelto.
L’articolo 70-decies disciplina i casi di esclusione dalla partecipazione al gruppo IVA.
Se l’opzione per la costituzione del gruppo IVA è esercitata, unitamente a soggetti per cui ricorrano i requisiti di legge, anche da soggetti per cui tali requisiti non ricorrano, la circostanza incide solo su questi ultimi, non privando di effetti l’opzione esercitata dai primi (comma 1).
Il comma 2 enumera le circostanze che possono determinare il venir meno della partecipazione a un gruppo IVA da parte di un soggetto che aveva in precedenza validamente esercitato l’opzione (venir meno del vincolo finanziario; riconoscimento, mediante interpello, del venir meno in capo a tale soggetto del vincolo economico o di quello organizzativo; sequestro giudiziario di un’azienda di tale soggetto; assoggettamento a procedura concorsuale; sottoposizione a liquidazione ordinaria).
Il comma 3 regola i profili temporali della cessazione della partecipazione al gruppo IVA di un dato soggetto. La cessazione si produce di regola, dalla data in cui si verificano gli eventi previsti nel comma 2 e ha effetto per le operazioni effettuate e per gli acquisti e le importazioni annotati a partire da tale data. Se la cessazione della partecipazione consegue al riconoscimento del venir meno del vincolo economico o di quello organizzativo, la cessazione della partecipazione si produce a decorrere dall’anno successivo al venir meno del vincolo.
Il terzo periodo del comma 3 specifica, poi, i criteri di individuazione della data in cui si verifica la cessazione nei casi di sequestro giudiziario, procedure concorsuali e liquidazione ordinaria.
Il comma 4 contempla l’ipotesi in cui venga meno la pluralità dei soggetti partecipanti a un gruppo IVA. In tal caso il gruppo IVA cessa e l’eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione del gruppo IVA non richiesta a rimborso è computata in detrazione dal soggetto partecipante che agiva in qualità di rappresentante di gruppo nelle proprie liquidazioni o nella propria dichiarazione annuale.
Nel comma 5 si disciplinano i profili procedimentali connessi alle ipotesi di esclusione e cessazione: tali fattispecie sono comunicate dal rappresentante di gruppo entro trenta giorni dalla data in cui si è verificato l’evento che ha determinato tale esclusione o cessazione.
L’articolo 70-undecies disciplina l’attività di controllo sul gruppo IVA, disponendo che durante il periodo di validità dell’opzione, i poteri di accertamento e controllo dell’amministrazione finanziaria in materia di imposta sul valore aggiunto sono demandati alle strutture, già esistenti, individuate con il regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate (di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300) nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Le norme individuano (comma 2) quali attività spettano alle predette strutture; inoltre che, ai fini delle attività di controllo, in ipotesi di disconoscimento della validità dell’opzione il recupero dell’imposta avviene nei limiti dell’effettivo vantaggio fiscale conseguito (comma 3).
Si affida (comma 4) a un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate l’individuazione degli specifici adempimenti finalizzati ad assicurare l’efficacia delle attività di controllo.
L’articolo 70-duodecies reca norme volte a disciplinare la partecipazione al gruppo di soggetti per cui operano disposizioni speciali e a prevedere la modulistica per le dichiarazioni e le comunicazioni relative alle vicende che riguardano il gruppo IVA.
Sono applicabili (comma 1) anche al gruppo IVA le modalità e i termini speciali di emissione, numerazione e registrazione delle fatture, nonché di esecuzione delle liquidazioni e dei versamenti periodici stabiliti dai decreti ministeriali emanati in attuazione delle deleghe contenute negli articoli 22, secondo comma, 73 e 74 del D.P.R. n. 633, riguardanti specifici soggetti o alcune attività (tra cui i commercianti al minuto e le operazioni di telecomunicazione, le somministrazioni di acqua, gas, energia elettrica, vapore e teleriscaldamento urbano e la liquidazione dell’IVA di gruppo).
È confermata anche in seno al gruppo IVA l’applicazione (rispettivamente, commi 2 e 3) di alcune vigenti semplificazioni per le banche e le società assicurative.
Il comma 4 si disciplina l’ipotesi della partecipazione al gruppo IVA anche di società di gestione di fondi immobiliari, mentre il comma 5 demanda a un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate l’approvazione del modello per la presentazione delle dichiarazioni relative al gruppo IVA, nonché le modalità e le specifiche tecniche per la trasmissione telematica delle stesse.
Con il comma 6 si demanda a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di natura non regolamentare, la previsione di disposizioni necessarie per l’attuazione delle disposizioni in materia di gruppo IVA contenute nell’introdotto titolo V-bis.
I commi da 2 a 6 dell’articolo 6 in commento modificano altre disposizioni, con finalità di coordinamento rispetto alle nuove norme relative al gruppo IVA.
Come chiarisce al riguardo la relazione illustrativa, scopo di tali norme è quello di evitare che l’irrilevanza delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi tra soggetti partecipanti a un gruppo IVA possa determinare maggiori costi in tema di imposta di bollo o di imposta di registro, dal momento che tali imposte trovano applicazione nei casi di transazioni estranee al campo di applicazione dell’IVA.
In particolare il comma 2 si riferisce all’imposta di bollo. Con una modifica alla Tabella allegata al relativo Testo Unico (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642), si inserisce un articolo 6-bis, ai sensi del quale l’imposta di bollo non è dovuta in relazione alle fatture e agli altri documenti di addebito relativi a operazioni che intervengono tra soggetti partecipanti al medesimo gruppo. L’esenzione è limitata alle operazioni che, se rese nei confronti di terzi estranei al gruppo, sarebbero imponibili a fini IVA, nonché alle cessioni all’esportazione e alle cessioni intracomunitarie.
Il comma 3 dell’articolo 6 in esame apporta modifiche alla disciplina dell’imposta di registro.
La lettera a) modifica, in particolare, l’articolo 5 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. La richiamata norma dispone che le scritture private non autenticate sono soggette a registrazione in caso d’uso se tutte le disposizioni in esse contemplate sono relative a operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto. Per effetto delle modifiche apportate, le scritture private non autenticate relative alle operazioni che intervengono tra due soggetti partecipanti a uno stesso gruppo IVA sono soggette a registrazione solo in caso d’uso (che si considerano, ai fini dell’imposta di registro, come soggette a IVA).
Con le modifiche in esame si apporta anche una ulteriore modifica di coordinamento alla disciplina dell’imposta di registro, includendo tra le operazioni considerate soggette a IVA anche quelle effettuate nel territorio dello Stato ai sensi delle specifiche norme sulla territorialità dell’IVA (articoli da7-bis a 7-sexies del D.P.R. n. 633 del 1972).
Tale disciplina non trova applicazione anche quando, per le predette scritture, la registrazione solo in caso d’uso non troverebbe applicazione se le operazioni anzidette fossero rese nei confronti di terzi estranei al gruppo.
La lettera b) del comma 3 modifica l’articolo 40 del predetto D.P.R. n. 131 del 1986.
Per effetto delle norme in esame, gli atti relativi alle operazioni che intervengono tra due soggetti partecipanti a un gruppo IVA, in caso di registrazione, scontano l’imposta di registro in misura fissa. Tale disciplina non trova applicazione quando per tali atti l’imposta di registro troverebbe applicazione in misura proporzionale, se le operazioni anzidette fossero rese nei confronti di terzi estranei al gruppo.
Con la lettera c) del comma 3 si chiarisce che l’imposta di registro si applica in misura proporzionale per le locazioni di immobili strumentali (di cui all’articolo 10, primo comma, numero 8), del D.P.R. IVA), ancorché siano imponibili IVA, ovvero intervengano tra soggetti partecipanti a un gruppo IVA.
Il comma
4 modifica l’articolo 73, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, in tema
di liquidazione dell’IVA di gruppo.
Si ricorda che ai sensi delle norme vigenti, in presenza dei requisiti di legge, i gruppi societari possono optare per l'applicazione della disciplina prevista dall'articolo 73, comma 3 del D.P.R. n. 633 del 1972 e dal D.M. 13 dicembre 1979, che consente di compensare, nell'ambito del gruppo societario i crediti e i debiti IVA risultanti dalle liquidazioni periodiche e dalle dichiarazioni annuali delle società che lo costituiscono.
Oltre alle modifiche formali e di coordinamento normativo, con le norme in esame si chiarisce che possono accedere a tale procedura – sia come controllante che come controllati – tutti gli enti e le società commerciali (la relazione illustrativa fa riferimento alle società di persone e gli enti soggetti passivi IVA).
Con riferimento al requisito temporale del controllo, si specifica che esso deve verificarsi in presenza di un controllo almeno dal 1° luglio dell’anno precedente a quello di esercizio dell’opzione (e non più dall’inizio dell’anno solare precedente).
Si prevede la possibilità di esercitare l’opzione per tale procedura, da parte dell’ente o società controllante, con la dichiarazione IVA presentata nell’anno solare a decorrere dal quale si intende esercitare l’opzione.
Sono soppressi gli obblighi di presentazione delle dichiarazioni annuali delle società controllate, da parte della controllante, all’ufficio del domicilio fiscale della medesima controllante, allo scopo di rendere coerente il testo con le attuali norme e modalità di dichiarazione e versamento dell’IVA.
Il comma 5 dispone che il Ministro dell’economia e delle finanze con proprio decreto adegua le vigenti disposizioni ministeriali alle modificazioni introdotte alle norme sulla liquidazione di gruppo.
Il comma 6 consente che il regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate (di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300) possa attribuire alle strutture, già esistenti, preposte all’attività di controllo sul gruppo IVA, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, i poteri di accertamento previsti per le imposte sui redditi (di cui agli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600) nei confronti dei soggetti che aderiscono al gruppo IVA.
I commi 7 e 8 disciplinano la decorrenza delle nuove disposizioni.
In particolare sono operative dal 2017 le modifiche recate alla liquidazione IVA di gruppo di cui all’articolo 73, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972. Le norme sul gruppo IVA trovano applicazione a partire dal 1° gennaio 2018, con concreta operatività dei gruppi IVA a partire dal 2019 (comma 7).
La relazione illustrativa chiarisce che tale decorrenza è volta a consentire al Ministero dell’economia e delle finanze di procedere, come precisato dal comma 8, alla consultazione del Comitato consultivo dell’imposta sul valore aggiunto, come previsto dall’articolo 11 della direttiva 2006/112/CE.
Articolo 7
(Trasferimenti immobiliari nell'ambito di
vendite giudiziarie)
L’articolo 7 prevede l’allungamento dei termini di legge per il ritrasferimento obbligatorio degli immobili ceduti alle imprese, in seno a procedure giudiziarie, con imposizione indiretta agevolata.
Proroga al 31 dicembre 2017 l’operatività delle predette agevolazioni, anche con riferimento agli acquirenti non imprenditori in possesso dei requisiti di legge (acquisto “prima casa”).
Le lettere a) e b) di cui al comma 1, allungano i termini previsti dalla legge per il ritrasferimento degli immobili ceduti a imprese, in seno a procedure giudiziarie con imposizione indiretta agevolata.
A tal fine si interviene sulle norme (contenute nell’articolo 16, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 18 del 2016) che prevedono l’applicazione dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro (dunque agevolata) sui trasferimenti di immobili nell’ambito di vendite giudiziarie, se l’acquirente è soggetto che svolge attività d'impresa.
Con le modifiche di cui alla lettera a) si allunga da due a cinque anni il periodo di tempo entro il quale l’acquirente imprenditore che ha usufruito dell’agevolazione è tenuto a ritrasferire i beni immobili oggetto della transazione.
Viene conseguentemente modificato il comma 2 del medesimo articolo 16, che si occupa delle misure sanzionatorie previste nel caso di mancato tempestivo ritrasferimento del bene: in tale ipotesi le imposte sono dovute nella misura ordinaria (9 per cento) e si applica una sanzione amministrativa del 30 per cento oltre agli interessi di mora.
Con le norme in esame, per l’opportuno coordinamento, le sanzioni sono applicate nel caso di mancato ritrasferimento entro il quinquennio (in luogo del biennio).
Si ricorda che, ai sensi del vigente comma 2, dalla scadenza del biennio decorre inoltre il termine per il recupero delle imposte ordinarie da parte dell'amministrazione finanziaria.
In ordine alla formulazione della norma, si osserva che la lettera b) non prevede la sostituzione della parola “biennio” ovunque ricorra. Occorrerebbe chiarire, dunque, se le modifiche proposte incidono sia sull’irrogazione delle sanzioni che sui termini per il recupero delle imposte ordinarie.
Si ricorda in questa sede che il comma 2-bis del medesimo articolo 16 dispone la stessa agevolazione per i trasferimenti immobiliari effettuati nell’ambito di vendite giudiziarie in favore di soggetti che non svolgono attività d'impresa purché ricorrano le condizioni - di cui all’articolo 1, alla nota II-bis) del Testo Unico dell’Imposta di registro, D.P.R. 131 del 1986 - e i requisiti richiesti dalla legge per usufruire dell’agevolazione fiscale “prima casa”.
Con la lettera c) (che modifica il comma 3 dell’articolo 16 del decreto-legge n. 18 del 2016) si allungano di 6 mesi i termini di operatività dell’agevolazione, che si applica ai trasferimenti stipulati entro il 30 giugno 2017, in luogo del 31 dicembre 2016.
La norma modificata si riferisce all’insieme di agevolazioni di cui all’articolo 16, dunque l’operatività delle stesse è prorogata sia nei confronti degli acquirenti imprenditori, sia degli acquirenti non imprenditori che acquistano la “prima casa”.
L’articolo 8 innalza di 1.549,37 euro il limite annuo alla deducibilità fiscale dei canoni per noleggio a lungo termine degli autoveicoli utilizzati da agenti o rappresentanti di commercio.
La disposizione incrementa da 3.615,20 euro a 5.164,57 euro il limite annuo alla deducibilità fiscale dei costi di locazione e di noleggio per le autovetture e gli autocaravan utilizzati da agenti o rappresentanti di commercio. La disposizione sostituisce l'ultimo periodo della lettera b), comma 1, articolo 164, TUIR (DPR 22 dicembre 1986, n. 917), estendendo l'ambito del regime di favore riconosciuto agli agenti o rappresentanti di commercio, in relazione al limite massimo di deducibilità per l'acquisto (fattispecie vigente) e il noleggio a lungo termine di autovetture e autocaravan (ulteriore nuova fattispecie).
L’articolo 164 del TUIR disciplina i limiti di deduzione delle spese e degli altri componenti negativi relativi ad alcuni tipi di mezzi di trasporto utilizzati nell'esercizio di imprese, arti e professioni. Tale disciplina fiscale fu introdotta nel 1997 per limitare fortemente il diritto all'integrale deducibilità dei costi sostenuti. Alla base della norma vi è la presunzione assoluta secondo cui tali mezzi sono sempre utilizzati sia nella sfera aziendale sia in quella privata dell'imprenditore: da qui la limitazione della deducibilità.
La disciplina attuale prevede due ipotesi: quelle in cui le spese sono deducibili dal reddito per intero, individuate dalla lettera a) del comma 1 dell’articolo 164, e quelle di cui alla lettera b) del medesimo comma 1 per le quali, in relazione ai limiti di deducibilità posti dalla stessa lettera b), è ammessa in deduzione solo una percentuale della spesa.
In concreto, la disposizione vigente stabilisce che gli agenti o rappresentanti di commercio possono dedurre dal proprio reddito il costo di acquisizione di autovetture e autocaravan fino a un limite massimo di 25.822,84 euro, soglia del 43% più alta di quella (18.075,99 euro) riconosciuta a coloro che utilizzano la medesima tipologia di bene nell'esercizio di imprese, arti e professioni.
Applicando la medesima percentuale di beneficio, con la modifica in esame, viene innalzato di 1.549,37 euro il limite di deducibilità dei costi di locazione e di noleggio per autovetture e autocaravan. Gli agenti o rappresentanti di commercio possono dunque dedurre dal proprio reddito tali costi fino a un limite massimo di 5.164,57 euro, rispetto alla soglia base di 3.615,20 euro.
L’articolo 9 prevede, per il 2017, la riduzione del canone RAI per uso privato (da 100) a 90 euro.
Si tratta di un’ulteriore riduzione dell’importo del canone, già ridotto -sempre con intervento legislativo - da € 113,50 dovuti per il 2015 a € 100 dovuti per il 2016.
La relazione tecnica evidenzia che, dalle prime informazioni ottenute dagli operatori tramite i quali avviene il versamento del canone, risulta che le nuove modalità di riscossione dello stesso introdotte dalla legge di stabilità 2016 hanno determinato un aumento della platea dei contribuenti che lo pagano.
L’art. 47 del D.Lgs. 177/2005 – che ha ripreso i contenuti dell’art. 18 della L. 112/2004 – disciplinando il finanziamento del servizio pubblico generale radiotelevisivo, ha disposto, in particolare, che entro il mese di novembre di ciascun anno, il Ministro delle comunicazioni, con proprio decreto, stabilisce l'ammontare dei canoni di abbonamento[5] in vigore dal 1° gennaio dell'anno successivo, in misura tale da consentire alla società concessionaria di coprire i costi che prevedibilmente saranno sostenuti in tale anno per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo (co. 3).
In base alla stessa fonte, è fatto divieto alla società concessionaria di utilizzare, direttamente o indirettamente, i ricavi derivanti dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico generale radiotelevisivo.
Ai sensi dell’art. 27, co. 8, primo periodo, della L. 488/1999, inoltre, il canone di abbonamento alla televisione doveva essere attribuito per intero alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, ad eccezione della quota pari all’un per cento già spettante all’Accademia di Santa Cecilia[6].
Negli ultimi anni, tuttavia, sono state previste riduzioni di tale attribuzione: in particolare, l’art. 21, co. 4, del D.L. 66/2014 (L. 89/2014) ha previsto la riduzione di € 150 mln per il 2014 e l’art. 1, co. 292, della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha previsto, dal 2015, la riduzione del 5%.
L’art. 1, co. 152-164, della L. 208/2015 (legge di stabilità 2016) ha poi fissato per il 2016 in € 100,00 (rispetto a € 113,50 dovuti per il 2015) la misura del canone e ha disposto l’addebito dello stesso nella fattura dell’energia elettrica.
Da ultimo, l’art. 1 della L. 198/2016 ha disposto che al nuovo Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, destinato al sostegno dell’editoria e dell’emittenza radiofonica e televisiva locale, affluisce, fra l’altro, quota parte – fino ad un importo massimo di € 100 mln annui per il periodo 2016-2018 – delle eventuali maggiori entrate derivanti dal canone RAI[7].
Sull’argomento
si ricorda che la Corte costituzionale, nel ribadire la legittimità
dell’imposizione del canone radiotelevisivo, aveva chiarito con la sentenza 284/2002, che lo stesso “costituisce in sostanza un’imposta di
scopo, destinato come esso è, quasi per intero (a parte la modesta quota ancora
assegnata all’Accademia nazionale di Santa Cecilia), alla concessionaria del
servizio pubblico radiotelevisivo”.
Articolo 10
(Blocco aliquote regionali e comunali)
L’articolo 10 proroga al 2017 la sospensione dell’efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni comunali per la parte in cui aumentano i tributi e le addizionali attribuite ai medesimi enti.
Conferma, sempre per l’anno 2017, la maggiorazione della TASI già disposta per il 2016, con delibera del consiglio comunale.
L’articolo 10, comma 1, lettera a) proroga al 2017 la sospensione dell’efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni comunali per la parte in cui aumentano i tributi e le addizionali attribuite ai medesimi enti territoriali.
A tal fine viene modificato il comma 26 della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015).
Si ricorda che il predetto comma 26 consente di fare salve dalla sospensione alcune fattispecie specifiche.
In particolare sono escluse dalla sospensione, per il settore sanitario, le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e all’articolo 2, commi 79, 80, 83 e 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191. Le norme citate si riferiscono alle regioni in situazione di disavanzo sanitario, nelle quali viene applicata la maggiorazioni dell’aliquota dell’IRAP, nella misura di 0,15 punti percentuali, e dell’addizionale regionale all’IRPEF, nella misura di 0,30 punti percentuali, quando gli organi preposti al monitoraggio dell’attuazione dei piani di rientro dei deficit sanitari verificano che la regione in disavanzo non ha raggiunto gli obiettivi previsti. Più in particolare, l’art. 2, comma 86, della legge finanziaria per il 2010 (legge 191/2009) prevede che l’accertamento, in sede di verifica annuale da parte del Tavolo per la verifica degli adempimenti e del Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, del mancato raggiungimento da parte della Regione degli obiettivi del piano di rientro, comporta l’incremento nelle misure fisse dello 0,15% dell’aliquota IRAP e dello 0,30% dell’addizionale all’IRPEF. La maggiorazione viene applicata, con le procedure previste dall’articolo 1, comma 174, della legge finanziaria per il 2005 (legge 311/2004).
In merito all’applicazione dell’incremento all’addizionale regionale all’IRPEF su tutti gli scaglioni di reddito, si rinvia ai chiarimenti forniti dal MEF con la Risoluzione n. 5/DF del 15 giugno 2015. Con il comunicato n. 235 del 16 ottobre 2014, il Ministero dell’Economia e delle finanze ha confermato, per l’anno d’imposta 2014, l’applicazione delle maggiorazioni delle aliquote di IRAP e di addizionale regionale IRPEF nel solo Molise. Per l’anno d’imposta 2013, la maggiorazione era stata applicata anche alla Calabria.
È inoltre salva la possibilità di effettuare manovre fiscali incrementative, ai fini dell’accesso alle anticipazioni di liquidità di cui agli articoli 2 e 3, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35. In mancanza di ulteriori precisazioni sul punto, è da presumersi che le manovre fiscali suddette siano da riferire a quanto prevedono, rispettivamente per le regioni e per gli enti del servizio sanitario nazionale, l’articolo 2 comma 3 e l’articolo 3 comma 5 del menzionato D.L. n. 35/2013, nei quali si dispone, con formulazione pressoché identica, che alla erogazione delle somme, nei limiti delle anticipazioni di liquidità assegnate, si provvede, tra l’altro, anche a seguito della predisposizione, da parte regionale, di misure, anche legislative, idonee e congrue di copertura annuale del rimborso dell'anticipazione di liquidità (misure che per gli enti del SSN – viene precisato- dovrebbero essere prioritariamente volte alla riduzione della spesa corrente).
Viene esclusa dal blocco degli aumenti la tassa sui rifiuti (TARI) che, si ricorda, è stata istituita dalla legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 639, della legge n. 147 del 2013) per finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti;
La misura non si applica neppure agli enti locali in predissesto e dissesto, come deliberati ai sensi, rispettivamente, dell’art. 243-bis e degli artt. 246 e seguenti del TUEL (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267).
Infine, come chiarito dalla relazione illustrativa che accompagnava il DDL Stabilità 2015, non rientrano nell’ambito della norma le tariffe di natura patrimoniale (tariffa puntuale, sostitutiva della TARI, di cui al comma 667 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013; canone alternativo alla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche – TOSAP, ossia il canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche COSAP). Per quanto riguarda il canone per l'autorizzazione all'installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP), seppure alternativo all'imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni (ICP DPA), si chiarisce che esso ha natura tributaria e quindi rientra nel blocco delle maggiorazioni.
La lettera b) del comma 1 consente ai comuni di confermare, anche per l’anno 2017, la stessa maggiorazione della TASI già disposta per il 2016, con delibera del consiglio comunale.
A tal fine si aggiunge un periodo al comma 28 della richiamata legge di stabilità 2016.
Si ricorda che il comma 28 aveva tenuto ferma per l’anno 2016, limitatamente agli immobili non esentati da imposta (tra cui le abitazioni principali “di lusso”), la possibilità per i comuni di adottare la maggiorazione dell’aliquota TASI fino allo 0,8 per mille (di cui al comma 677 della legge di Stabilità 2014), nella stessa misura prevista per il 2015, con delibera del consiglio comunale.
Il comma 677 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (come modificato nel tempo) consente al comune di determinare l'aliquota TASI rispettando in ogni caso uno specifico vincolo: la somma delle aliquote della TASI e dell'IMU per ciascuna tipologia di immobile, non deve essere superiore all'aliquota massima consentita dalla legge statale per l'IMU al 31 dicembre 2013, fissata al 10,6 per mille (e ad altre minori aliquote, in relazione alle diverse tipologie di immobile). Inoltre lo stesso comma aveva fissato per il 2014 ed il 2015 il livello massimo di imposizione della TASI al 2,5 per mille.
Negli anni 2014-2015 i comuni sono stati autorizzati a superare i limiti di legge relativi alle aliquote massime di TASI e IMU, per un ammontare complessivamente non superiore allo 0,8 per mille, a specifiche condizioni, ovvero a patto di finanziare detrazioni d'imposta sulle abitazioni principali che generino effetti equivalenti alle detrazioni IMU.
L’articolo 11 prevede l’esenzione ai fini Irpef, per il triennio 2017-2019, dei redditi dominicali e agrari relativi ai terreni dichiarati da coltivatori diretti (CD) e imprenditori agricoli professionali (IAP) iscritti nella previdenza agricola.
La disposizione prevede che, con riferimento agli anni di imposta 2017, 2018 e 2019, non concorrano alla formazione della base imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) e delle relative addizionali i redditi dominicali e agrari relativi a terreni dichiarati dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali (come individuati dall'art. 1, D.Lgs n. 99 del 2004, cfr. infra) iscritti nella previdenza agricola.
L'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 definisce l'imprenditore agricolo professionale come colui che sia in possesso di competenze e conoscenze professionali specifiche e dedichi alle attività agricole almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo, ricavando dalle attività così svolte almeno il 50% del proprio reddito globale. Ai fini del calcolo del reddito globale, vengono esclusi una serie di redditi, tra cui anche le somme percepite in società, associazioni e altri enti operanti nel settore agricolo.
Inoltre, vengono considerati imprenditori agricoli professionali anche le società di persone, di capitali e cooperative che, oltre all’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile, presentino i seguenti requisiti:
§ nel caso di società di persone, che almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale (per la società in accomandita la qualifica è riferita ai soci accomandatari);
§ per le società di capitali o cooperative, che almeno un amministratore che sia anche socio per le società cooperative sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale. La qualifica di imprenditore agricolo professionale può essere apportata da parte dell'amministratore ad una sola società.
I redditi dominicali e i redditi agrari costituiscono, insieme ai redditi dei fabbricati, due delle tre categorie in cui il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (DPR n. 917 del 1986) suddivide i redditi fondiari (cfr. in particolare il capo II del Titolo I, artt. 25-43). L’articolo 25 definisce fondiari i redditi (di seguito: r.) inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono iscritti o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano. Si prescinde dal fatto che il possessore sia residente o meno nel territorio dello Stato. Limitando il campo di analisi alle due categorie oggetto della presente disposizione i r. fondiari sono determinati sulla base delle risultanze catastali e si distinguono per l'appunto in: r. dominicale dei terreni, attribuibile al proprietario del terreno o al titolare di un diritto reale di godimento (artt. 27-31) e r. agrario, attribuibile al soggetto che coltiva il terreno, direttamente o avvalendosi di dipendenti, a prescindere dal fatto che sia il proprietario del terreno, il titolare di un diritto reale di godimento sul terreno medesimo ovvero l’affittuario (artt. 32-35).
Nell'ordinamento fiscale l’esistenza di due diverse tipologie di reddito associata ai terreni è motivata dalla possibilità che, su di essi, sia svolta un’attività agricola e nella conseguente necessità di distinguere il reddito derivante dal possesso dell’immobile (il reddito dominicale) da quello derivante dall’esercizio dell'attività agricola, anche ad opera di un soggetto diverso dal possessore (il r. agrario).
I redditi fondiari sono dunque determinati con un sistema forfetario basato sulle risultanze catastali, oggetto dell’imposizione non è il reddito effettivo del singolo terreno o del singolo fabbricato, ma la astratta e potenziale capacità del bene di produrre un reddito, a prescindere dal suo concreto manifestarsi e dalla sua effettiva entità. Tali redditi concorrono alla formazione del reddito complessivo del possessore a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, indipendentemente dalla loro percezione e in relazione alla durata del possesso.
Articolo 12
(Esclusione
delle SGR dall’addizionale IRES del 3,5 per cento)
L’articolo 12 esclude le società di gestione dei fondi comuni di investimento (SGR) dall’applicazione dell’addizionale IRES del 3,5 per cento, introdotta per gli enti creditizi e finanziari dalla legge di stabilità 2016.
Per gli stessi soggetti è ripristinata la deducibilità degli interessi passivi, ai fini IRES e IRAP, nel misura del 96 per cento del loro ammontare.
La norma in commento modifica le norme della legge di stabilità 2016 che hanno istituito un’addizionale IRES del 3,5 per cento per gli enti creditizi e finanziari e che, nel contempo, hanno concesso l’integrale deducibilità degli interessi passivi, sia ai fini IRES sia ai fini IRAP, precedentemente riconosciuti fiscalmente nella misura del 96 per cento.
Tali norme (commi 65-68 dell’articolo 1 della legge n. 208 del 2015) hanno inteso evitare la svalutazione delle attività per imposte anticipate (Deferred Tax Asset – “DTA”) iscritte in bilancio, che in base ai principi contabili avrebbe dovuto effettuarsi per effetto della riduzione dell’aliquota dell’IRES dal 27,5 al 24 per cento operata con la stessa legge a decorrere dal 2017, con effetti positivi ai fini della determinazione del patrimonio di vigilanza computato in base alle regole di Basilea 3.
Come emerge anche dalla relazione governativa, per le SGR tale addizionale non produce alcun effetto positivo, in quanto, non costituendo i “crediti verso la clientela” una voce rilevante nel bilancio di tali società, le stesse non hanno quella massa di DTA che hanno giustificato l’introduzione dell’addizionale. Al contrario, l’addizionale IRES pone le società di gestione dei fondi comuni d’investimento in una posizione di forte svantaggio competitivo, non solo rispetto agli altri settori produttivi, ivi compreso quello assicurativo (nei confronti dei quali l’aliquota IRES sarà applicata nella misura del 24 per cento), ma anche rispetto alle banche e agli altri intermediari finanziari che potranno beneficiare della integrale deducibilità degli interessi passivi ai fini IRES ed IRAP ai sensi dei commi 67 e 68; diversamente, tale ultima misura ha effetti poco rilevanti per le società di gestione del risparmio (SGR) tenuto conto che gli interessi passivi assumono per esse un valore marginale rispetto ai costi e ricavi tipici rappresentati da commissioni attive e passive connesse alla gestione di patrimoni e alla prestazione di servizi connessi e strumentali.
In particolare, la lettera a) esclude le società di gestione dei fondi comuni d’investimento, di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998 (Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria – TUF), dall’applicazione dell’addizionale IRES del 3,5 per cento disposta dalla legge di stabilità 2016 (comma 65 dell’articolo 1 della legge n. 208 del 2015).
La lettera b) ricomprende anche le società di gestione tra i soggetti per i quali si applica la deducibilità ai fini IRES nei limiti del 96 per cento degli interessi passivi sostenuti (comma 67 dell’articolo 1 della legge n. 208 del 2015).
La lettera c) dispone per le SGR la deducibilità ai fini IRAP nei limiti del 96 per cento degli interessi passivi (comma 68 dell’articolo 1 della legge n. 208 del 2015)
Il riferimento normativo delle società di gestione dovrebbe essere individuato con maggiore precisione, tenendo anche conto che il TUF disciplina la “società di gestione del risparmio (SGR)” definendola la società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia autorizzata a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio.
L’articolo 13 proroga di due anni, fino al 31 dicembre 2018, il termine per la concessione dei finanziamenti agevolati per l’acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese (cd. Nuova Sabatini). Conseguentemente, sono stanziati 28 milioni di euro per l’anno 2017, 84 milioni di euro per l’anno 2018, 112 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2021, 84 milioni di euro per l’anno 2022 e 28 milioni di euro per l’anno 2023 per far fronte agli oneri derivanti dalla concessione dei contributi statali in conto impianti, rapportati agli interessi sui finanziamenti concessi.
Per favorire la transizione del sistema produttivo alla manifattura digitale, sono ammessi alla misura agevolativa gli investimenti in tecnologie, compresi gli investimenti in big data, cloud computing, banda ultralarga, cybersecurity, robotica avanzata e meccatronica, realtà aumentata, manifattura 4D, Radio frequency identification (RFID). Per tali tipologie di investimenti, il contributo statale in conto impianti è maggiorato del 30 per cento rispetto alla misura massima stabilita dalla disciplina vigente. A tali contributi statali in conto impianti “maggiorati” è riservato dunque il 20 per cento delle risorse statali stanziate dall’articolo in esame; quelle non utilizzate alla data del 30 giugno 2018 nell’ambito della riserva, rientrano nella disponibilità della misura.
Si consente infine un incremento dell’importo
massimo dei finanziamenti a valere sul plafond costituito, per la misura in
esame, presso Cassa depositi e prestiti S.p.A., fino a 7 miliardi di euro, dagli attuali 5 miliardi
Il comma 1 proroga dal 31 dicembre 2016 fino al 31 dicembre 2018 il termine per la concessione dei finanziamenti per l’acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese di cui all’articolo 2, comma 2 del D.L. n. 69/2013 (cd. Nuova Sabatini).
Si
osserva che l’articolo 2 del D.L. n. 69/2013 fa specifico riferimento alle micro, piccole e medie imprese[8]. L’articolo in esame, al comma 1 fa invece
riferimento alle sole piccole e medie imprese, mentre, al comma 3, nel
delineare l’ambito applicativo delle disposizioni in esso contenute richiama le
micro piccole e medie imprese.
Sarebbe
opportuno un chiarimento al riguardo.
Lo strumento agevolativo cd. “Nuova Sabatini” - istituito dall’art. 2 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (legge n. 98/2013) è finalizzato a migliorare l’accesso al credito per investimenti produttivi delle piccole e medie imprese.
La misura è rivolta alle micro, piccole e medie imprese operanti in tutti i settori, inclusi agricoltura e pesca, e prevede l’accesso ai finanziamenti e ai contributi a tasso agevolato per gli investimenti (anche mediante operazioni di leasing finanziario) in macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo, nonché per gli investimenti in hardware, software ed in tecnologie digitali (comma 1, art. 2 del D.L. n. 69/2013).
La normativa del 2013 prevede che i finanziamenti in questione siano concessi da parte di banche e società di leasing finanziario, a valere su un plafond di provvista costituito presso la gestione separata di Cassa depositi e prestiti CDP S.p.a. incrementato (comma 243 dell’art.1 della L.190/2014) fino al limite massimo di 5 miliardi di euro. Dunque, il plafond di risorse messo a disposizione da CDP S.p.a. può essere utilizzato dalle banche e dagli intermediari finanziari, aderenti all’apposita convenzione tra MISE ABI e CDP[9], per concedere alle PMI, fino al 31 dicembre 2016, finanziamenti di importo non superiore a 2 milioni di euro a fronte degli investimenti sopra descritti, anche frazionato in più iniziative di acquisto. I finanziamenti possono coprire fino al cento per cento dei costi ammissibili ed hanno una durata massima di cinque anni dalla stipula del contratto (commi 2 e 3 del D.L. n. 69/2013).
Alle PMI è concesso dal MISE, sui finanziamenti ottenuti e in relazione agli investimenti realizzati, un contributo in conto impianti pari all’ammontare degli interessi calcolati nella misura massima e con le modalità stabilite dalla normativa secondaria attuativa della misura: D.M. 27 novembre 2013 e D.M. 25 gennaio 2016 (comma 4). Ai sensi di tale normativa attuativa, il contributo in conto impianti è determinato in misura pari al valore degli interessi calcolati in via convenzionale, su un finanziamento quinquennale e di importo pari all’investimento, al tasso del 2,75%.
Ciascun finanziamento può essere assistito dalla garanzia del “Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese” fino al massimo previsto dalla normativa vigente (80% dell’ammontare del finanziamento), con priorità di accesso ai sensi del D.M. attuativo della previsione (comma 6 del D.L. n. 69/2013).
Con il D.L. n. 3/2015 (Legge n. 33/2015), è stata prevista la possibilità di riconoscere i contributi statali alle PMI anche a fronte di un finanziamento, compreso il leasing finanziario, non necessariamente erogato a valere sul plafond di provvista CDP (articolo 8, comma 1).
Con decreto interministeriale 25 gennaio 2016 è stata conseguentemente ridefinita la disciplina per la concessione ed erogazione del contributo statale in relazione ai predetti finanziamenti, già contenuta nel D.M. 27 novembre 2013. Il 23 marzo 2016 è stata emanata la nuova circolare attuativa. Come rilevano i dati attuativi della misura[10] pubblicati dal MISE nel sito istituzionale e riportati nella relazione tecnica del provvedimento[11] (le risorse complessivamente disponibili a legislazione vigente per la misura in questione sono state interamente impegnate) la Nuova Sabatini rappresenta uno dei principali strumenti di sostegno ai nuovi investimenti della micro piccola e media impresa.
Con riferimento alle risorse statali appostate per la misura in questione, si ricorda che il D.L. n. 69/2013 ha inizialmente previsto uno stanziamento iniziale pari a 7,5 milioni di euro per l'anno 2014, a 21 milioni di euro per l'anno 2015, a 35 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, a 17 milioni di euro per l'anno 2020 e a 6 milioni di euro per l'anno 2021.
Al fine di snellire le procedure connesse alla concessione ed erogazione del contributo, con D.L. n. 91/2014 (articolo 18, comma 9 bis, lett. b)) è stata costituita nell’ambito del Fondo Crescita Sostenibile, un’apposita contabilità speciale n. 5850 denominata “Contributi per investimenti in beni strumentali” nella quale affluiscono le risorse che anno per anno sono impegnate sul capitolo 7489, pg.1 per poi essere erogate alle imprese beneficiari.
Le risorse stanziate dal D.L. n. 69/2013 sono state successivamente incrementate dalla legge di stabilità 2015 (art.1, comma 243), che ha disposto, un incremento di 12 milioni di euro dello stanziamento per il 2015, un incremento di 31,6 milioni di euro di quello per l'anno 2016, di 46,6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018, di 39,1 milioni di euro per l’anno 2019, di 31,3 milioni di euro per l’anno 2020 e di 9,9 milioni di euro per l’anno 2021.
Si evidenzia che le risorse in questione, appostate sul capitolo di Bilancio 7489, pg. 1/MISE sono state oggetto, nel corso del tempo, anche di riduzioni lineari a copertura di norme sul contenimento della spesa.
La tabella E della legge di stabilità 2016, che non ha apportato variazioni alla legislazione vigente, espone uno stanziamento di 61,8 milioni per il 2016, di 76,7 milioni per ciascuno degli anni 2017-2018 e un importo complessivo di 130,2 milioni per il periodo 2019-2021.
Il bilancio a legislazione vigente 2017-2019 espone uno stanziamento di 76,7 milioni per il 2017 e per il 2018 e di 69,2 milioni per il 2019. La Sez. II del DDL in esame non interviene su tali stanziamenti.
Posto l’andamento della misura, la Relazione sulle spese pluriennali e di investimento allegata alla Nota di aggiornamento al DEF 2016 evidenzia che la normativa vigente limita la possibilità di concedere contributi solo su finanziamenti deliberati entro il 31 dicembre 2016, rilevando in merito l’opportunità che con il provvedimento di bilancio 2017-2019 si procrastini la data del 31 dicembre 2016 fino al 31 dicembre 2018, e si disponga un ulteriore stanziamento che possa prolungare l’operatività della misura per tutto il 2018[12].
Conseguentemente alla proroga della fruibilità dei finanziamenti, il comma 2 stanzia l’importo di 28 milioni di euro per l’anno 2017, di 84 milioni di euro per l’anno 2018, di 112 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2021, di 84 milioni di euro per l’anno 2022 e di 28 milioni di euro per l’anno 2023 per far fronte agli oneri derivanti dalla concessione dei contributi statali in conto impianti rapportati agli interessi sui finanziamenti concessi ai sensi dello strumento agevolativo in questione (articolo 2, comma 4 del D.L. n. 69/2013).
Si tratta, in sostanza, di un rifinanziamento della dotazione già prevista a legislazione vigente per i contributi statali in conto impianti dall’articolo 2, commi 4 e 8 del D.L. n. 69/2013 e ss. mod. (per cui si rinvia, supra, alla ricostruzione normativa relativa alle risorse statali appostate per la misura in questione).
Al fine di favorire per la transizione del sistema produttivo alla manifattura digitale e incrementare l’innovazione e l’efficienza del sistema imprenditoriale, il comma 4 ammette ai finanziamenti e ai contributi statali previsti dalla misura agevolativa della “Nuova Sabatini” gli investimenti realizzati dalle micro, piccole, e medie imprese per l’acquisto di macchinari, impianti e attrezzature nuovi di fabbrica aventi come finalità la realizzazione di investimenti in tecnologie, compresi gli investimenti in big data, cloud computing, banda ultralarga, cybersecurity, robotica avanzata e meccatronica, realtà aumentata, manifattura 4D, Radio frequency identification (RFID).
Per tali tipologie di investimenti, il contributo statale in conto impianti di cui al citato articolo 2, comma 4 del D.L. n. 69/2013 è concesso, ai sensi del comma 5, con una maggiorazione del 30 percento rispetto alla misura massima stabilita dalla disciplina (articolo 2, commi 4 e 5 del D.L. n. 69/2013 e relative disposizioni attuative), fermo restando il rispetto delle intensità massime di aiuto previste dalla normativa europea applicabile in materia di aiuti di Stato.
Per far fronte ai contributi statali in conto impianti “maggiorati” di cui al comma 5 a favore degli investimenti per la manifattura digitale di cui al comma 4, il comma 3 riserva ad essi una quota pari al 20 per cento delle risorse statali stanziate dall’articolo in esame, disponendo che le risorse non utilizzate alla data del 30 giugno 2018 nell’ambito della predetta riserva, rientrino nella disponibilità della misura.
Per ciò che concerne la disciplina sugli aiuti di Stato, richiamata dall’articolo in commento, l'articolo 108, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) contempla l'obbligo di notificare i progetti diretti ad istituire o modificare aiuti alla Commissione europea al fine di stabilirne la compatibilità con il mercato comune sulla base dei criteri dell'articolo 107, par. 1 TFUE. Alcune categorie di aiuti possono tuttavia essere dispensate dall'obbligo di notifica[13].
Opera in tali casi il Regolamento di esenzione (UE) n. 651/2014 (General Block Exemption Regulations (GBER), che ha abrogato, con decorrenza dal primo luglio 2014, il precedente regolamento (CE) della Commissione europea 6 agosto 2008, n. 800/2008 ed è applicabile fino al 31 dicembre 2020. Il Regolamento in questione si applica, tra l’altro, alle seguenti categorie di aiuti di Stato: aiuti alle PMI sotto forma di aiuti agli investimenti, aiuti al funzionamento e accesso delle PMI ai finanziamenti. Il regolamento definisce soglie di notifica e intensità di aiuto[14] più alte rispetto al passato.
Fanno poi eccezione all'obbligo di notifica alla Commissione UE, oltre alle specifiche categorie di aiuti esentati dalla stessa sulla base dei regolamenti di esenzione, gli aiuti di piccola entità, definiti dalla UE "de minimis", che si presume non incidano sulla concorrenza in modo significativo. Per gli aiuti cd. de minimis, si richiama innanzitutto il Regolamento (UE) n. 1407/2013 che è applicabile alle imprese operanti in tutti i settori, salvo specifiche eccezioni, tra cui la produzione di prodotti agricoli[15].
Il massimale previsto da tale regolamento non
ha subito variazioni rispetto al precedente regolamento n. 1698/2006, ed è
stato confermato entro il limite di
200.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari.
Per gli aiuti cd. de minimis nel settore agricolo opera, invece, il Regolamento (UE) n. 1408/2013.Si tratta di quegli aiuti di piccolo ammontare concessi da uno Stato membro a un'impresa unica agricola - di importo complessivo non superiore a 15.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari - che per la loro esiguità e nel rispetto di date condizioni soggettive ed oggettive non devono essere notificati alla Commissione, in quanto non ritenuti tali da incidere sugli scambi tra gli Stati membri e dunque non suscettibili di provocare un'alterazione dalla concorrenza tra gli operatori economici. Ogni Stato membro ha a disposizione un plafond nazionale che costituisce l'importo cumulativo che può essere corrisposto alle imprese del settore della produzione agricola nell'arco di tre esercizi finanziari; per l'Italia il plafond è pari a 475.080.000 euro (1% del valore della produzione agricola nazionale).
Il comma 6 consente, in funzione delle richieste di finanziamento a valere sul plafond di provvista costituito presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti S.p.a., un incremento dell’importo massimo dei finanziamenti a valere sul suddetto plafond dagli attuali 5 miliardi fino a 7 miliardi di euro.
Quanto all’utilizzo del plafond, si segnala che a settembre 2016, risultano erogati, sulla base dei dati forniti da CDP, circa 3,2 miliardi di euro, con una disponibilità residua di circa 1,8 miliardi di euro.
Articolo 14
(Estensione
e rafforzamento delle agevolazioni per investimenti
nelle start-up e nelle PMI innovative)
L'articolo 14 rafforza gli incentivi fiscali previsti per i soggetti che investono nel capitale sociale delle start-up innovative e delle PMI innovative.
Si prevede, in primo luogo, che a decorrere dall’anno 2017 l’investimento massimo
detraibile sia aumentato a euro
1.000.000, mentre il termine minimo di mantenimento dell’investimento detraibile è aumentato a tre anni. Inoltre, la
percentuale dell'investimento considerata è aumentata al 30% del totale.
Con il decreto-legge n. 179 del 2012 (cd. decreto Crescita, convertito con modificazioni
dalla legge n. 221/2012), in materia di incentivi fiscali all'investimento in
start-up innovative viene introdotta per la prima volta nell'ordinamento del
nostro Paese la definizione di nuova impresa innovativa, la start-up:
per questo tipo di impresa[16] viene predisposto un quadro di riferimento articolato
e organico a livello nazionale che interviene su materie differenti come la
semplificazione amministrativa, il mercato del lavoro, le agevolazioni fiscali,
il diritto fallimentare. In seguito, sono state apportate alcune modifiche
significative sul fronte delle start-up innovative, di cui sono stati semplificati e
ampliati i requisiti d'accesso, al fine di rendere la normativa più efficace
nell'incoraggiare l'imprenditorialità innovativa. La normativa a favore delle start-up innovative non riguarda un solo settore ma fa
riferimento potenzialmente a tutto il mondo produttivo. I contenuti principali
della nuova normativa sono:
§
Definizione di
start-up. La normativa si riferisce esplicitamente alle "start-up innovative"
per evidenziare che destinataria non è qualsiasi nuova impresa ma quelle il cui
oggetto sociale è legato all'innovazione e alla tecnologia. Per beneficiare
delle misure di sostegno, la start-up deve presentare le seguenti caratteristiche:
essere operativa da non più di 60 mesi; avere la residenza in Italia ovvero
in uno degli Stati membri
dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo (in tali casi purché abbia
una sede produttiva o una filiale in Italia); avere meno di 5 milioni di euro di fatturato; non deve
distribuire utili; avere quale oggetto sociale esclusivo o prevalente
l'innovazione tecnologica; non essere costituita da una fusione o scissione
societaria. Inoltre, la start-up deve
soddisfare almeno uno dei seguenti criteri: sostenere spese in ricerca e
sviluppo in misura pari o superiore al 15 per cento del maggiore importo tra il
costo e il valore della produzione; impiegare personale altamente qualificato
per almeno un terzo della propria forza lavoro ovvero in percentuale uguale o
superiore a due terzi della forza lavoro complessiva di personale in possesso
di laurea magistrale ai sensi dell'art. 4 del D.M. n. 270/2004; essere titolare
o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa ad
una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a
semiconduttori o a una varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti
relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il
Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tali
privative siano direttamente afferenti all'oggetto sociale e all'attività di
impresa.
§
Definizione di
incubatore certificato. L'incubatore certificato
di imprese start-up innovative, è qualificato come una società di
capitali, costituita anche in forma cooperativa, residente in Italia, che offre
servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative ed è in possesso dei seguenti
requisiti: dispone di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter
installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca; dispone di
attrezzature adeguate all'attività delle start-up innovative, quali sistemi di accesso in banda ultralarga alla rete internet, sale riunioni, macchinari
per test, prove o prototipi; è amministrato o diretto da persone di
riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e ha a disposizione
una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente; ha regolari
rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni
pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start-up innovative; ha adeguata e comprovata
esperienza nell'attività di sostegno a start-up
innovative.
§
Sezione
speciale del Registro delle imprese. Le start-up e gli
incubatori certificati devono registrarsi in una sezione speciale del
Registro delle imprese creata ad hoc
presso le Camere di Commercio. Questa registrazione permette di dare
pubblicità, effettuare controlli e garantire il monitoraggio dell'impatto che
la nuova legislazione avrà sulla crescita economica e l'occupazione[17].
§
Abbattimento
degli oneri per l'avvio d'impresa. La start-up ,
a differenza delle altre
aziende, non deve pagare gli oneri di costituzione e registrazione presso le
Camere di Commercio fino al quinto anno dopo l'iscrizione nella sezione
speciale del registro delle imprese (vi è l'esonero dal pagamento dell'imposta
di bollo, dei diritti di segreteria e dal pagamento del diritto annuale dovuto
in favore delle camere di commercio). Inoltre vengono introdotti alcuni
requisiti di forma per l'atto costitutivo e per la domanda di iscrizione nel
registro delle imprese; con D.M. 17 febbraio 2016 sono state definite le linee guida per la redazione
dell'atto costitutivo delle stesse: si tratta del decreto che ha introdotto,
per la prima volta, la possibilità di costituire una start-up senza l'obbligo di
andare dal notaio.
§
Disciplina in
materia di lavoro applicabile alle start-up.
La start-up può assumere personale con contratti a tempo
determinato della durata minima di 6 mesi e massima di 36 mesi. All'interno di
questo arco temporale, i contratti possono essere anche di breve durata e
rinnovati più volte. Dopo 36 mesi, il contratto può essere ulteriormente
rinnovato una sola volta, per un massimo di altri 12 mesi, e quindi fino ad
arrivare complessivamente a 48 mesi. Dopo questo periodo, il collaboratore può
continuare a lavorare in start-up solo con un contratto a tempo indeterminato. Con
il decreto-legge n.
145 del 2013 (convertito in legge 21 febbraio 2014, n. 9) è stata introdotta una disposizione per facilitare i
visti di ingresso e permesso di soggiorno per lavoratori extracomunitari nelle start-up innovative.
§
Credito
d'imposta: è previsto un accesso prioritario
alle agevolazioni per le assunzioni di personale altamente
qualificato nelle start-up innovative e negli incubatori certificati. Il decreto attuativo prevede a favore delle start-up innovative e degli incubatori certificati
un'apposita riserva del valore di 2 milioni a valere sulla dotazione generale a
disposizione di tutte le imprese.
§
Remunerazione
con strumenti finanziari della start-up innovativa
e dell'incubatore certificato. Viene introdotto un regime fiscale e contributivo di
favore per i piani di incentivazione basati sull'assegnazione di azioni, quote
o titoli similari ad amministratori, dipendenti, collaboratori e fornitori
delle imprese start-up innovative e degli incubatori certificati. Il
reddito derivante dall'attribuzione di questi strumenti finanziari o diritti
non concorrerà alla formazione della base imponibile, sia a fini fiscali che
contributivi. In questo modo, viene facilitata la partecipazione diretta al
rischio di impresa, ad esempio attraverso l'assegnazione di stock options
al personale dipendente o ai collaboratori di un'impresa start-up .
§
Raccolta
diffusa di capitali di rischio tramite portali online. Viene introdotta un'apposita disciplina per la raccolta di
capitale di rischio da parte delle imprese start-up
innovative attraverso portali
online, avviando una modalità innovativa di raccolta diffusa di capitale (crowdfunding). Per
quanto riguarda l'accesso al credito, le start-up
potranno usufruire gratis e in modo
semplificato del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese,
anche mediante la previsione di condizioni di favore in termini di copertura e
di importo massimo garantito.
§
Accesso
semplificato, gratuito e diretto per le start-up al Fondo
Centrale di Garanzia, il fondo governativo che facilita l'accesso al
credito attraverso la concessione di garanzie sui prestiti bancari. Gli
incubatori certificati possono beneficiare dello stesso trattamento speciale
riservato alle start-up .
§
Sostegno
all'internazionalizzazione. Vengono incluse anche le imprese start-up innovative operanti in Italia tra quelle
beneficiarie dei servizi messi a disposizione dall'Agenzia ICE per la
promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane e dal
Desk Italia: assistenza in materia normativa, societaria, fiscale, immobiliare,
contrattualistica e creditizia.
§
Introduzione
di incentivi fiscali per investimenti in start-up
provenienti da aziende e privati per gli anni 2013, 2014, 2015 e
2016. Gli incentivi valgono sia in caso di investimenti diretti in start-up , sia in caso di investimenti
indiretti per il tramite di altre società che investono prevalentemente in start-up. L'agevolazione consiste nella
possibilità di detrarre dall'imposta lorda sul reddito delle persone fisiche il
19% dell'importo investito nel capitale sociale di una o più start-up innovative, oppure, se l'investitore è una
società, di dedurre dal reddito il 20% di quanto versato nella start-up. Tali percentuali crescono
rispettivamente al 25 e al 27% se l'azienda prescelta sviluppa e commercializza
esclusivamente prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in
ambito energetico o è a vocazione sociale, cioè se si tratta di imprese che
operano esclusivamente nei settori indicati dall'articolo 2, comma 1 del decreto legislativo 155/2006 (tra gli altri assistenza sociale, educazione, tutela
dell'ambiente, valorizzazione del patrimonio culturale). Le disposizioni sono
state attuate con D.M. 30 gennaio 2014 e con D.M. 25/02/2016: a quest'ultimo rinvia, in quanto applicabile, la
norma in esame, per le modalità applicative delle nuove agevolazioni ivi
previste.
All’articolo 29 del decreto-legge 18 ottobre
2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.
221, si prevedeva che - nel quadriennio 2013/2016 - l'investimento massimo detraibile dall’IRPEF - per le persone fisiche
che avessero riversato somme nel capitale sociale delle predette imprese, sia
per gli investimenti effettuati direttamente che per tramite di organismi di
investimento collettivo del risparmio o di altre società che investono prevalentemente
in start-up innovative - fosse
un'aliquota pari al 19% del totale, non potesse eccedere l'importo di euro
500.000 (in ciascun periodo d'imposta) e dovesse essere mantenuto per almeno
due anni.
Il
comma 1 prevede invece che, a decorrere dall’anno 2017, l’investimento massimo detraibile sia aumentato a euro 1.000.000 per le
somme "di cui al comma 3". Il termine
minimo di mantenimento dell’investimento detraibile è poi aumentato a tre anni.
Al citato articolo 29 si prevedeva anche che
- nel quadriennio 2013/2016 - l'investimento
massimo deducibile dall’IRES - per somme nel capitale sociale delle
predette imprese, sia per gli investimenti effettuati direttamente che per
tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio o di altre
società che investono prevalentemente in start-up
innovative - fosse un'aliquota pari al 20% del totale, non potesse eccedere
l'importo di euro 1.800.000 (in ciascun periodo d'imposta) e dovesse essere
mantenuto per almeno due anni.
Qui il comma 1 si limita a prevedere che il termine minimo di mantenimento dell’investimento detraibile sia aumentato a tre anni. Si prevede poi
che la percentuale dell'investimento considerata (sia ai fini delle detrazioni
che per le deduzioni) sia aumentata al
30% del totale, a decorrere dal 2017:
ciò vale anche per le start-up a
vocazione sociale e per quelle che sviluppano e commercializzano esclusivamente
prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico
(che già godono di una disciplina speciale, per la quale la detrazione è pari
al 25% e la deduzione è pari al 27%).
Benché il comma 2 limiti l'efficacia condizionata ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3 TFUE a due sole fattispecie agevolative introdotte al comma 1 (l'incremento del tetto della detrazione a 1.000.000 euro e l'aumento delle aliquote al 30 per cento del totale dell'investimento), il comma 1 è tutto innestato nell'articolo 29 del decreto-legge n. 179/2012 con la tecnica della novella: pertanto presumibilmente è tutto interessato dal comma 9 della norma citata, secondo cui "l'efficacia della disposizione del presente articolo è subordinata, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, all'autorizzazione della Commissione europea, richiesta a cura del Ministero dello sviluppo economico".
Ai sensi del comma 3, poi, viene meno la limitazione che consentiva alle piccole e medie imprese (PMI) innovative - che operavano sul mercato da più di sette anni dalla loro prima vendita commerciale - di valersi delle agevolazioni fiscali di cui al predetto articolo 29 solo qualora fossero "in grado di presentare un piano di sviluppo di prodotti, servizi o processi nuovi o sensibilmente migliorati rispetto allo stato dell'arte nel settore interessato. Il piano di sviluppo è valutato e approvato da un organismo indipendente di valutazione espressione dell'associazionismo imprenditoriale, ovvero da un organismo pubblico". Pertanto, all’articolo 4 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, la novella introdotta fa sì che le agevolazioni di cui all'articolo 29 citato si applichino a tutte le PMI innovative.
La disciplina
vigente già collega la definizione di “piccole
e medie imprese innovative” all'accesso ad alcune delle semplificazioni,
agevolazioni ed incentivi attualmente riservati alle start-up innovative dalla legislazione vigente. Si tratta di una
definizione che rinvia a quella contenuta nella raccomandazione 2003/361/CE,
ossia le imprese che: occupano meno di 250 persone; il cui fatturato annuo non
supera i 50 milioni di euro; oppure il cui totale di bilancio annuo non supera
i 43 milioni di euro. Occorre poi - per il decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo
2015, n. 33 - che: siano società di capitali, costituite anche in forma
cooperativa; siano residenti in Italia o in uno degli Stati Membri dell’Unione
Europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, purché
abbia una sede produttiva o una filiale in Italia; abbiano l’ultimo bilancio
certificato e l'eventuale bilancio consolidato redatto da un revisore contabile
o da una società di revisione iscritti nel registro dei revisori contabili; non
siano in possesso di azioni quotate su un mercato regolamentato; non siano
iscritte al registro speciale previsto per le start-up innovative e l’incubatore certificato.
Con riguardo
all’individuazione del contenuto
innovativo dell’impresa, è inoltre necessaria la presenza di almeno due dei seguenti requisiti: volume di spesa in ricerca e
sviluppo; personale qualificato; titolarità di privative industriali. Nello
specifico i requisiti richiesti sono:
1) volume di
spesa in ricerca e sviluppo in
misura uguale o superiore al 3 per
cento della maggiore entità fra costo e valore totale della produzione
della PMI innovativa, escluse le spese per l'acquisto e la locazione di beni
immobili. Sono da annoverarsi tra le spese in ricerca e sviluppo: le spese
relative alla sperimentazione, prototipazione e sviluppo del piano industriale,
ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di
personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e
sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione
e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso; Si ricorda
che anche le anche la disciplina delle start-up
innovative prevede, accanto ad alcuni requisiti attinenti alle
caratteristiche generali delle imprese, anche il possesso di almeno due dei tre
requisiti attinenti all’innovatività relativi alla spesa in ricerca e sviluppo,
personale qualificato e titolarità di brevetti. In particolare per le start-up innovative il
volume di spesa (in ricerca, sviluppo ed innovazione) deve esser uguale o superiore al 15 per cento;
2) impiego come
dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o
superiore al quinto della forza lavoro
complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo
un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in
possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca
certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o
all'estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a un terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale;
3) titolarità, anche quali depositarie o
licenziatarie di almeno una privativa
industriale, relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a
una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale
ovvero titolarità dei diritti relativi a programmi per elaboratore (software),
purché tale privativa sia direttamente afferente all'oggetto sociale e
all’attività di impresa. Tale requisito relativo al possesso di brevetti,
marchi, modelli, oltre che in relazione a invenzioni industriali,
biotecnologiche, nuove varietà vegetali, anche a programmi per elaboratore (software) è identico a quello
richiesto alle start-up innovative
(articolo 25, comma 2, lett. h), n. 3) del DL
178/2012).
La clausola di salvaguardia della disciplina
europea, in proposito, è anch'essa variata, non consistendo più "nel
rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dall'articolo 21 del
regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014"[18], bensì “nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dagli Orientamenti
sugli aiuti di Stato destinati a promuovere gli investimenti per il
finanziamento del rischio (2014/C 19/04)”.
Si tratta del documento recante gli indirizzi in base ai quali la Commissione può considerare compatibili con il mercato interno gli aiuti di Stato, destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse. La Commissione ritiene che lo sviluppo del mercato del finanziamento del rischio e il miglioramento dell’accesso a tale mercato da parte delle piccole e medie imprese («PMI»), le piccole imprese a media capitalizzazione e le imprese a media capitalizzazione innovative siano di grande importanza per l’economia dell’Unione nel suo complesso e, pertanto, meritino la declaratoria di compatibilità con la disciplina di cui all’articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Le restanti modifiche sono di coordinamento formale, in conseguenza
dell'abrogazione della norma recante la predetta limitazione.
Articolo 15
(Rifinanziamento degli interventi per l’autoimprenditorialità
e per le start-up innovative)
L’articolo 15 reca, in ordine alle misure agevolative per l'autoimprenditorialità e per le start-up innovative, nuove destinazioni di risorse, sia di fonte nazionale sia discendenti dal PON; si prevede il coinvolgimento di Invitalia, del Ministero dello sviluppo economico e delle Regioni.
Il comma 1 autorizza nel biennio la spesa
di 130 milioni di euro (70 nel 2017 e 60 nel 2018) per il finanziamento delle
iniziative relative all'autoimprenditorialità (di cui al Titolo I, Capo 0I, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185).
Esse costituiscono un complesso di incentivi, destinati
prevalentemente ai giovani ed alle donne, ai fini della costituzione di imprese
di piccola dimensione o ai fini di ampliamenti aziendali: si prevedono mutui
agevolati per gli investimenti, a un tasso pari a zero, della durata massima di
8 anni e di importo non superiore al 75 per cento della spesa ammissibile, ai sensi
e nei limiti della disciplina unionale sugli aiuti d'importanza
minore ("de minimis").
L'articolo 2 (delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e di
politiche attive) della legge 10 dicembre 2014 n. 183
ne prevedeva una razionalizzazione. Il regolamento adottato con decreto 8 luglio 2015, n.
140 del Ministro dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 206 del 5
settembre 2015, individua criteri e modalità di concessione delle agevolazioni
in questione, volte a sostenere nuova imprenditorialità, in tutto il territorio
nazionale, attraverso la creazione di micro e piccole imprese competitive, a
prevalente o totale partecipazione giovanile o femminile: vi si demanda ad un
apposito provvedimento del Direttore Generale per gli incentivi alle imprese
del MiSE la definizione di ulteriori aspetti
rilevanti per l’accesso alle agevolazioni e il funzionamento della misura
agevolativa.
Le
predette risorse sono iscritte nello stato di previsione del MiSE per essere successivamente accreditate su un conto
corrente infruttifero, intestato all’Agenzia
nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.A.
(detta Invitalia) ed all'uopo dedicato.
L’Agenzia
nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa (ex
Sviluppo Italia) S.p.A, è una società per azioni
interamente posseduta dal Ministero dell’economia e delle finanze. Ad essa è attribuito il compito di svolgere funzioni
di coordinamento, riordino, indirizzo e controllo delle attività di promozione
dello sviluppo industriale e dell'occupazione nelle aree depresse del Paese,
nonché di attrazione degli investimenti. Si ricorda che la legge finanziaria
per il 2007 (legge n. 296/2006, articolo 1, commi 460-464), oltre a mutarne la
denominazione, ha operato un riassetto complessivo della società, attribuendo
al Ministro dello sviluppo economico una serie di poteri in riferimento al suo
operato: nell'esercizio di tali poteri, con la Circolare del 9 ottobre 2015 il MiSE ha avallato il
programma "Nuove imprese a tasso zero", che include incentivi che
finanziano progetti d’impresa con spese fino a 1,5 milioni di
euro. Le agevolazioni sono concesse nei limiti del regolamento de minimis e consistono in un finanziamento agevolato
senza interessi (tasso zero) della durata massima di 8 anni,
che può coprire fino al 75% delle spese totali. Le imprese devono
garantire la restante copertura finanziaria e realizzare gli investimenti entro
24 mesi dalla firma del contratto di finanziamento. Lo stanziamento iniziale è
di circa 50 milioni di euro.
Nel
conto infruttifero confluiranno anche un
terzo delle disponibilità finanziarie presenti nel fondo rotativo,
istituito ai sensi dell’articolo 4 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze
30 novembre 2004[19], nonché
i rientri dei finanziamenti erogati
dalla citata Agenzia ai sensi delle disposizioni del Titolo I del decreto
legislativo 21 aprile 2000, n. 185[20].
All'erogazione dei finanziamenti agevolati per
gli interventi per le start-up innovative, ai sensi del comma 2, la dotazione del Fondo per la
crescita sostenibile è incrementata della somma di 50 milioni di euro per l’anno 2017 e di 50 milioni di euro per l’anno 2018: essa andrà destinata al
sostegno alla nascita e allo sviluppo delle predette imprese, di cui al decreto 24 settembre 2014 del Ministero dello
sviluppo economico[21].
Esso destina risorse ai piani di impresa
caratterizzati da un significativo contenuto tecnologico e innovativo, e/o
mirati allo sviluppo di prodotti, servizi o soluzioni nel campo dell’economia digitale,
e/o finalizzati alla valorizzazione economica dei risultati del sistema della
ricerca pubblica e privata. I piani di impresa in questione possono avere ad
oggetto la realizzazione di programmi di investimento e/o il sostenimento dei
costi di esercizio; i programmi di investimento considerati sono quelli aventi
ad oggetto l’acquisizione di: a) impianti, macchinari e attrezzature
tecnologici, ovvero tecnico-scientifici, nuovi di fabbrica, funzionali alla
realizzazione del progetto; b) componenti hardware e software funzionali al
progetto; c) brevetti e licenze; d) certificazioni, know-how e conoscenze
tecniche, anche non brevettate, purché direttamente correlate alle esigenze
produttive e gestionali dell’impresa; e) progettazione, sviluppo, personalizzazione,
collaudo di soluzioni architetturali informatiche e di impianti tecnologici
produttivi, consulenze specialistiche tecnologiche funzionali al progetto di
investimento, nonché relativi interventi correttivi e adeguativi. I costi
d'esercizio finanziabili includono: interessi sui finanziamenti esterni
concessi all’impresa; quote di ammortamento di impianti, macchinari e
attrezzature tecnologici, ovvero tecnico-scientifici, con particolare
riferimento a quelli connessi all’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione, necessari all’attività di impresa, qualora per i medesimi
beni non sia stata richiesta l’agevolazione delle spese di acquisizione; canoni
di leasing ovvero spese di affitto
relativi agli impianti, macchinari e attrezzature; costi salariali relativi al
personale dipendente, nonché costi relativi a collaboratori a qualsiasi titolo
aventi i requisiti di legge; licenze e diritti relativi all’utilizzo di
titoli della proprietà industriale; licenze relative all’utilizzo di software; servizi di incubazione e di
accelerazione di impresa, con particolare riferimento a quelli forniti dagli
incubatori certificati.
Le
citate misure agevolative sono poi oggetto di un'ulteriore facoltà di
finanziamento, accordata dal comma 3
al Ministero dello sviluppo economico ed alle Regioni: nell’anno 2017, 120 milioni aggiuntivi possono essere ricavati (70 per
l'autoimprenditorialità e 50 per le start-up
innovative) dalle risorse del programma operativo nazionale “Imprese e
competitività”, sui Programmi Operativi Regionali e sulla connessa Programmazione
nazionale 2014-2020.
Il PON Imprese e Competitività rende disponibili 45,5 milioni di euro per gli
interventi Smart & Start Italia per la nascita e lo sviluppo di startup
innovative e nuove imprese a tasso zero per il sostegno alla nuova
imprenditorialità. È stato pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 246 del 20 ottobre 2016, il decreto ministeriale 9 agosto 2016 di assegnazione di risorse del Programma operativo
nazionale.
Al fine di coordinare e ottimizzare la predetta destinazione di risorse, il Ministero dello sviluppo economico promuoverà specifici accordi con le Regioni.
L’articolo 16 consente la cessione delle perdite prodotte nei primi tre esercizi di attività di nuove aziende a favore di società quotate che detengano una partecipazione nell’impresa cessionaria pari almeno al 20 per cento.
Il comma 1 permette alle società quotate la possibilità di acquisire le perdite fiscali, utilizzabili in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi entro il limite del reddito imponibile e per l'intero importo (articolo 84 del TUIR), da parte di società start-up partecipate per almeno il 20 per cento.
La cessione può avvenire con le stesse modalità previste per la cessione dei crediti d’imposta, ovvero tramite notifica all'ufficio delle entrate o al centro di servizio presso il quale è stata presentata la dichiarazione dei redditi del cedente, nonché al competente concessionario del servizio della riscossione (articolo 43-bis del D.P.R. n. 602 del 1973).
Sono previste le seguenti condizioni:
§ le azioni della società cessionaria o della società che controlla direttamente o indirettamente la società cessionaria, devono essere negoziate in un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione di uno degli Stati membri dell’Unione europea e degli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo con il quale l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni;
§ il rapporto di partecipazione deve prevedere una percentuale del diritto di voto esercitabile nell’assemblea ordinaria e di partecipazione agli utili non inferiore al 20 per cento;
§ la società cedente non deve svolgere in via prevalente attività immobiliare;
§ la cessione deve riguardare l’intero ammontare delle perdite fiscali.
Il comma 2 elenca le seguenti ulteriori condizioni:
a) la società cedente e la società cessionaria devono avere un esercizio sociale coincidente;
b) il requisito partecipativo del 20 per cento deve sussistere al termine del periodo d’imposta relativamente al quale avviene la cessione delle perdite fiscali;
c) la cessione deve essere perfezionata entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Il comma 3 stabilisce che le perdite oggetto di cessione sono computate dalla società cessionaria in diminuzione del reddito complessivo dello stesso periodo d’imposta e per la differenza nei successivi entro il limite del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza nel reddito imponibile di ciascuno di essi, a condizione che le suddette perdite si riferiscano a una nuova attività produttiva.
Tale disciplina ricalca quanto previsto dall’articolo 84, comma 2, del TUIR (come modificato da ultimo dal decreto-legge n. 98 del 2011), il quale consente di riportare le perdite realizzate nei primi tre periodi d'imposta dalla data di costituzione senza vincoli temporali e per l’intero importo a condizione che esse si riferiscano a una nuova attività produttiva.
Il comma 4 stabilisce l’obbligo per la società cessionaria di remunerare la società cedente del vantaggio fiscale ricevuto, determinato, in ogni caso, mediante applicazione all’ammontare delle perdite acquisite dell’aliquota IRES relativa al periodo d’imposta in cui le perdite sono state conseguite dalla società cedente, entro trenta giorni dal termine per il versamento del saldo relativo allo stesso periodo d’imposta. Le somme percepite o versate tra le società non concorrono alla formazione del reddito imponibile.
Il comma 5 dispone che la società cedente non può optare per i regimi di trasparenza fiscale, consolidato nazionale e mondiale (articoli 115, 117 e 130 del TUIR) in relazione ai periodi d’imposta nei quali ha conseguito le perdite fiscali cedute.
La relazione illustrativa afferma che per stimolare il mercato italiano dei capitali, e in particolare quello borsistico, è necessario favorire gli investimenti in start-up da parte di società quotate. A tal fine la norma attribuisce alle società quotate la possibilità di essere "sponsor" di start-up, consentendo loro di acquistare le perdite fiscali di nuove aziende. La quotazione sul mercato dello "sponsor” garantisce il miglior controllo anti abusi, venendo il giudizio sulla quotata stessa dal mercato finanziario.
Articolo 17
(Investimenti in start-up da parte dell'INAIL)
L’articolo 17 prevede forme di investimento da parte dell'INAIL in favore del settore delle imprese start-up innovative.
In particolare, si prevede che l'INAIL, previa adozione di un apposito regolamento, da sottoporre all’approvazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'economia e delle finanze, possa sottoscrivere quote di fondi comuni di investimento di tipo chiuso[22], dedicati all’attivazione di start-up innovative (come disciplinate dagli artt. da 25 a 32 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, e successive modificazioni), ovvero costituire e partecipare - anche con soggetti pubblici e privati, italiani e stranieri - a start-up di tipo societario, intese all’utilizzazione industriale dei risultati della ricerca ed aventi quale oggetto sociale, esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi di alto valore tecnologico, anche rivolte alla realizzazione di progetti in settori tecnologici altamente strategici. I singoli atti di sottoscrizione di quote dei fondi suddetti o di costituzione e partecipazione alle società summenzionate sono subordinati ad autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze.
Per lo svolgimento delle attività in esame, l'INAIL opera nell'àmbito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 18, commi 1-10
(Agevolazioni
per investimenti a lungo termine)
L’articolo 18, commi 1-10, prevede la detassazione per i redditi derivanti dagli investimenti a lungo termine (almeno 5 anni) nel capitale delle imprese effettuati dalle casse previdenziali o da fondi pensione nel limite del 5 per cento dei loro asset. Contestualmente è soppressa per gli stessi soggetti la disciplina del credito d’imposta per gli investimenti infrastrutturali.
Le operazioni di costituzione, trasformazione, scorporo e concentrazione tra fondi pensione sono assoggettate alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro.
I commi 1 e 2 consentono agli enti di previdenza obbligatoria (Casse di previdenza private) di effettuare investimenti, fino al 5 per cento del loro attivo patrimoniale risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente, in:
a) azioni o quote di imprese residenti fiscalmente in Italia, nella UE o nello Spazio economico europeo;
b) azioni o quote di OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio: ovvero Fondi comuni di investimento, Società di investimento a capitale variabile - Sicav, Società di investimento a capitale fisso - Sicaf, Fondi di investimento alternativi - FIA) residenti fiscalmente in Italia, nella UE o nello Spazio economico europeo che investono prevalentemente negli strumenti finanziati indicati dalla lettera a).
La relazione governativa precisa che il predetto limite del 5 per cento ha valore limitatamente all’applicabilità delle disposizioni in commento, non ponendo alcun vincolo quantitativo alle attività di investimento che le casse previdenziali possono effettuare.
Si osserva al riguardo che la precisazione che il limite del 5 per cento ha valore limitatamente all’applicabilità dell’agevolazione in esame dovrebbe essere resa esplicita nel testo della norma.
Si evidenzia, inoltre, che a differenza di quanto affermato nella relazione, non è precisato nella norma il requisito della stabile organizzazione nel territorio italiano delle imprese residenti nella Ue o nel See
Il comma 3 stabilisce che i redditi generati dai suddetti investimenti sono esenti da imposizione, sempre che non si tratti di plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate (ovvero quelle che rappresentano una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento ovvero una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni – articolo 67, comma 1, lett. c) del TUIR).
Il comma 4 prevede che gli strumenti finanziari oggetto di investimento qualificato ai sensi del comma 1 siano detenuti per almeno cinque anni. In caso di cessione prima dei cinque anni, i redditi realizzati attraverso la cessione e quelli percepiti durante il periodo minimo di investimento sono soggetti ad imposizione secondo le regole ordinarie, unitamente agli interessi, senza applicazione di sanzioni, ed il relativo versamento va effettuato entro il giorno 16 del secondo mese successivo alla cessione. In caso di rimborso o scadenza dei titoli oggetto di investimento prima dei cinque anni, le somme conseguite vanno reinvestite negli strumenti finanziari individuati dal comma 2 entro 90 giorni.
Il comma 5 consente alle forme di previdenza complementare (fondi pensione) di destinare somme, fino al 5 per cento dell’attivo patrimoniale risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente, negli investimenti qualificati indicati nel comma 2. Gli strumenti finanziari oggetto di investimento qualificato devono essere detenuti per almeno cinque anni (comma 6).
Il comma 7 prevede che i redditi generati dai suddetti investimenti sono esenti e pertanto non sono soggetti all’imposta sostitutiva del 20 per cento (prevista dall’articolo 17 del D.Lgs. n. 252 del 2005) sempre che non si tratti di plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate. Ai fini della formazione delle prestazioni pensionistiche erogate dai fondi pensione, i redditi derivanti dai predetti investimenti incrementano la parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta. In caso di cessione degli strumenti finanziari oggetto di investimento prima dei cinque anni i redditi realizzati attraverso la cessione e quelli che non hanno concorso alla formazione della predetta base imponibile ai sensi del periodo precedente durante il periodo minimo di investimento, sono soggetti ad imposta sostitutiva del 20 per cento, senza applicazione di sanzioni, ed il relativo versamento, unitamente agli interessi, va effettuato entro il giorno 16 del secondo mese successivo alla cessione. In caso di rimborso o scadenza degli strumenti finanziari oggetto di investimento prima del quinquennio, il controvalore conseguito deve essere reinvestito in strumenti finanziari individuati dal comma 2 entro 90 giorni dal rimborso.
Il comma 8 prevede che la ritenuta sui dividendi (articolo 27 del D.P.R. n. 600 del 1973) e l’imposta sostitutiva sugli utili derivanti da azioni in deposito accentrato preso la Monte Titoli S.p.A. (27-ter del D.P.R. n. 600 del 1973) non si applicano agli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo derivanti dagli investimenti qualificati di cui al comma 2 fino al 5 per cento dell’attivo patrimoniale risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente detenuti per cinque anni.
A tal fine il soggetto non residente beneficiario effettivo degli utili deve produrre una dichiarazione dalla quale risultino i dati identificativi del soggetto medesimo e la sussistenza di tutte le condizioni alle quali è subordinata l’agevolazione in esame, nonché l’impegno a detenere gli strumenti finanziari oggetto dell’investimento qualificato per il periodo di tempo richiesto dalla legge. Il predetto soggetto non residente deve fornire, altresì, copia dei prospetti contabili che consentano di verificare l’osservanza delle predette condizioni. I soggetti indicati ai predetti articoli 27 e 27-ter che corrispondono utili ai fondi pensione sono obbligati a comunicare annualmente all’Amministrazione finanziaria i dati relativi alle operazioni compiute nell’anno precedente.
Il comma 9 dispone la soppressione del credito d’imposta per le casse previdenziali e i fondi pensione per investimenti infrastrutturali, introdotto dalla legge di stabilità per il 2015 (articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, commi da 91 a 94).
La legge di stabilità per il 2015 ha introdotto, a decorrere dal 2015, due crediti d’imposta a favore degli enti di previdenza obbligatoria e dei fondi pensione, rispettivamente nella misura del 6 e del 9 per cento, a condizione che i proventi assoggettati alle ritenute e imposte sostitutive siano investiti in attività di carattere finanziario a medio o lungo termine individuate con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze (legge n. 190 del 2014, articolo 1, commi 91-95).
Tali agevolazioni hanno inteso compensare l'incremento dell’aliquota impositiva sui redditi di natura finanziaria, dall'11,5 al 20 per cento per gli investimenti dei fondi pensione (commi 621 e 622) e dal 20 al 26 per le casse di previdenza private (D.L. n. 66 del 2014).
Il D.M. 19 giugno 2015 ha regolamentato le condizioni, i termini e le modalità di applicazione della medesima, individuando in particolare le tipologie di “attività di carattere finanziario a medio o lungo termine” per le quali è possibile beneficiare dell’agevolazione:
§ azioni o quote di società ed enti, residenti fiscalmente, in Italia o in uno degli Stati membri UE o in Stati aderenti all'accordo sullo spazio economico europeo, operanti prevalentemente nella elaborazione o realizzazione di progetti relativi a settori infrastrutturali turistici, culturali, ambientali, idrici, stradali, ferroviari, portuali, aeroportuali, sanitari, immobiliari pubblici non residenziali, delle telecomunicazioni, compresi quelle digitali, e della produzione e trasporto di energia;
§ azioni o quote di OICR di durata non inferiore ai cinque anni che investono prevalentemente in strumenti finanziari emessi da società non quotate nei mercati regolamentati che svolgono attività diverse da quella bancaria, finanziaria o assicurativa e in crediti a medio e lungo termine a favore di tali società, residenti, fiscalmente, in Italia o in uno degli Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'accordo sullo spazio economico europeo.
Con risoluzione n. 92/E del 2016, l'Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti in merito ai criteri per l’individuazione degli investimenti che danno diritto ai crediti d’imposta previsti a favore degli enti di previdenza obbligatoria e delle forme di previdenza complementare.
Il comma 10 stabilisce che le operazioni di costituzione, trasformazione, scorporo e concentrazione tra fondi pensione sono soggette alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro (nuovo comma 9-bis, dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 252 del 2005).
Articolo 18, commi 11-25
(Piani
individuali di risparmio a lungo termine - PIR)
L’articolo 18, commi 11-25, stabilisce un regime di esenzione fiscale per i redditi di capitale e i redditi diversi percepiti da persone fisiche residenti in Italia, al di fuori dello svolgimento di attività di impresa commerciale, derivanti dagli investimenti effettuati in piani di risparmio a lungo termine. I piani individuali di risparmio (c.d. PIR) per beneficiare dell’esenzione devono essere detenuti per almeno 5 anni e devono investire nel capitale di imprese italiane e europee, con una riserva per le Pmi, nei limiti di 30mila euro all’anno e di 150mila euro nel quinquennio. I piani di risparmio devono essere gestiti dagli intermediari finanziari e dalle imprese di assicurazione i quali devono investire le somme assicurando la diversificazione del portafoglio.
Il comma 11 esenta da imposizione i redditi di capitale e i redditi diversi di natura finanziaria derivanti dagli investimenti effettuati da persone fisiche residenti in Italia, al di fuori dello svolgimento di attività di impresa commerciale, in un piano di risparmio a lungo termine.
In particolare, sono esenti i redditi di capitale (art. 44 del TUIR) e i redditi diversi (art. 67, comma 1, dalla lett. c-bis alla lett. c-quinquies del TUIR) di natura finanziaria derivanti dagli investimenti effettuati da persone fisiche, al di fuori dello svolgimento di attività di impresa commerciale, in un piano di risparmio a lungo termine.
Per beneficiare dell’esenzione non deve trattarsi di plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate (ovvero quelle che rappresentano una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento ovvero una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni - articolo 67, comma 1, lett. c) del TUIR). Nell’ambito delle partecipazioni qualificate si deve tener conto anche delle percentuali di partecipazione o di diritti di voto possedute dai familiari della persona fisica (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado) e delle società o enti da loro direttamente o indirettamente controllati (società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell'assemblea ordinaria: numeri 1 e 2 dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile).
Il comma 12 contiene la definizione di piano di risparmio a lungo termine: tali piani si costituiscono mediante la destinazione di somme o valori con lo scopo di effettuare investimenti qualificati (indicati nel comma 13) mediante l’apertura di un rapporto di custodia o di amministrazione, anche fiduciaria, o di gestione di portafogli o di altro stabile rapporto, con opzione per l’applicazione del regime del risparmio amministrato, o di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, instaurato con operatori professionali.
Gli operatori professionali presso i quali possono essere costituiti i PIR sono gli intermediari abilitati e le imprese di assicurazioni residenti, ovvero soggetti non residenti che operano in Italia tramite stabile organizzazione o in regime di libera prestazione di servizi con nomina in Italia di un rappresentate fiscale scelto tra i predetti soggetti residenti. Il conferimento di valori nel piano è considerato cessione a titolo oneroso e l’intermediario applica l’imposta secondo le modalità indicate dalla norma che disciplina l’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva su ciascuna plusvalenza o altro reddito diverso realizzato (articolo 6 del D.Lgs. n. 461 del 1997).
La relazione governativa sottolinea che la sussistenza di un rapporto stabile e continuativo con l’intermediario consente l’attribuzione della responsabilità della gestione degli aspetti fiscali connessi con il PIR all’operatore professionale presso il quale il PIR è costituito. Tale attribuzione appare necessaria alla luce della rischiosità degli investimenti che possono essere oggetto del piano e per le esigenze di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria connesse con la concessione di un’esenzione, pertanto, nel caso di investimenti effettuati mediante PIR deve trovare applicazione il regime del risparmio amministrato di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461. L’esistenza di uno stabile rapporto è riscontrabile, anche in assenza di un formale contratto di custodia o amministrazione, ad es. un “deposito virtuale” o una “rubrica fondi”, o quando si tratti di titoli, quote o certificati che non possono formare oggetto di autonoma circolazione senza l’intervento dell’intermediario, ad es. nel caso di titoli non cartolarizzati.
Il comma 13 prevede che in ciascun anno solare di durata del piano, per almeno i due terzi dell’anno stesso, le somme o i valori destinati nel piano di risparmio a lungo termine devono essere investiti per almeno il 70 per cento del valore complessivo in strumenti finanziari, anche non negoziati nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione, emessi o stipulati con imprese che svolgono attività diverse da quella immobiliare, fiscalmente residenti in Italia o in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo con stabili organizzazioni in Italia. La predetta quota del 70 per cento deve essere investita per almeno il 30 per cento del valore complessivo in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB di Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati.
Il FTSE MIB è il principale indice di benchmark dei mercati azionari italiani: raccoglie circa l’80 per cento della capitalizzazione di mercato interna ed è composto da società di primaria importanza e a liquidità elevata nei diversi settori industriali italiani.
Al fine di individuare le società che svolgono attività diversa da quella immobiliare, senza possibilità di prova contraria, si considera impresa che svolge attività immobiliare quella il cui patrimonio è prevalentemente costituito da beni immobili diversi da quelli alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l’attività di impresa, dagli impianti e dai fabbricati utilizzati direttamente nell’esercizio di impresa, e che si considerano direttamente utilizzati nell’esercizio di impresa gli immobili concessi in locazione finanziaria e i terreni su cui l’impresa svolge l’attività agricola.
Il comma 14 dispone che non più del 10 per cento delle somme o valori destinati nel piano può essere investito in strumenti finanziari emessi o stipulati con lo stesso soggetto, o con altra società appartenente al medesimo gruppo, oppure in depositi e conti correnti.
Il comma 15 prevede che le somme conferite nel piano possano essere investite anche in quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) residenti nel territorio dello Stato o in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo che investono per almeno il 70 per cento dell’attivo in strumenti finanziari indicati nel comma 13 e che rispettano le condizioni poste al comma 14.
Il comma 16 stabilisce che le somme o valori destinate nel piano non possono essere investite in strumenti finanziari emessi o stipulati con soggetti residenti in Stati o territori diversi da quelli che consentono un adeguato scambio di informazioni.
Il comma 17 richiede che gli strumenti finanziari in cui è investito il piano siano detenuti per almeno cinque anni. In caso di cessione prima dei cinque anni i redditi realizzati attraverso la cessione e quelli percepiti durante il periodo minimo di investimento del piano sono soggetti ad imposizione secondo le regole ordinarie, unitamente agli interessi, senza applicazione di sanzioni: il relativo versamento deve essere effettuato dai soggetti gestori entro il giorno 16 del secondo mese successivo alla cessione. I soggetti gestori recuperano le imposte dovute attraverso adeguati disinvestimenti o chiedendone la provvista al titolare. In caso di rimborso degli strumenti finanziari oggetto di investimento prima del quinquennio, il controvalore conseguito deve essere reinvestito negli strumenti finanziari ammessi entro 30 giorni dal rimborso.
Il comma 18 stabilisce che il mancato rispetto dei limiti di investimento (previsti dai commi 13, 14 e 15) comporta la decadenza dal beneficio fiscale relativamente ai redditi degli strumenti finanziari detenuti nel piano stesso, diversi da quelli investiti nel medesimo piano nel rispetto delle suddette condizioni per il periodo di tempo indicato al comma 17, e l’obbligo di corrispondere le imposte non pagate, unitamente agli interessi, senza applicazione di sanzioni, secondo quanto previsto al comma 17.
Il comma 19 prevede che le ritenute alla fonte e le imposte sostitutive eventualmente applicate e non dovute, fanno sorgere in capo al titolare del piano il diritto a ricevere una somma corrispondente. I soggetti gestori provvedono al pagamento della predetta somma, computandola in diminuzione dal versamento delle ritenute e delle imposte dovute dai medesimi soggetti. Ai fini del predetto computo non si applicano né il limite annuale di 250.000 euro per l’utilizzo dei crediti di imposta (articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), né il limite massimo di compensabilità di crediti di imposta e contributi pari a 700.000 euro (articolo 34, della legge 23 dicembre 2000, n. 388).
Il comma 20 prevede che le minusvalenze, le perdite e i differenziali negativi realizzati mediante la cessione o il rimborso degli strumenti finanziari detenuti nel piano sono deducibili dalle plusvalenze, differenziali positivi o proventi realizzati nelle operazioni successive poste in essere nell’ambito del piano stesso sottoposte a tassazione secondo quanto stabilito ai precedenti commi 17 e 18 a partire dal medesimo periodo d’imposta e non oltre il quarto. Alla chiusura del piano le minusvalenze, le perdite e i differenziali negativi possono essere portati in deduzione non oltre il quarto periodo d’imposta successivo a quello del realizzo nell’ambito di un altro rapporto, di cui sia titolare la medesima persona fisica, con opzione per il regime del risparmio amministrato, ovvero possono essere portati in deduzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze e dagli altri redditi dei periodi d'imposta successivi ma non oltre il quarto, a condizione che sia indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta nel quale le minusvalenze e le perdite sono state realizzate (articolo 68, comma 5, del TUIR).
Il comma 21 stabilisce, inoltre, che, in caso di strumenti finanziari appartenenti alla stessa categoria, si considerano ceduti prima gli strumenti acquistati per primi, e che si considera come costo d’acquisto il costo medio ponderato dell’anno di acquisto.
Il comma 22 prevede che il trasferimento di un piano di risparmio a lungo termine da un intermediario ad un altro non rileva ai fini del computo del periodo minimo di detenzione.
Il comma 23 prevede che ciascuna persona fisica non può aprire più di un piano di risparmio a lungo termine e che ciascun piano di risparmio a lungo termine non può avere più di un titolare. L’intermediario o l’impresa di assicurazioni presso il quale è costituito il piano, all’atto dell’incarico, devono acquisire un’autocertificazione, da parte del titolare, con la quale lo stesso dichiara di non essere titolare di un altro piano di risparmio a lungo termine.
Il comma 24 dispone che l’intermediario o l’impresa di assicurazioni presso il quale è costituito il piano di risparmio deve tenere separata evidenza delle somme destinate nel piano in anni differenti.
Il comma 25 prevede l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni per il trasferimento mortis causa degli strumenti finanziari detenuti nel piano.
La relazione governativa afferma che l’intervento normativo in esame nasce dall’esigenza di prevedere un significativo incentivo fiscale finalizzato a canalizzare il risparmio delle famiglie verso gli investimenti produttivi in modo stabile e duraturo, facilitando la crescita del sistema imprenditoriale italiano. L’obiettivo è, in particolare, quello di indirizzare il risparmio delle famiglie, attualmente concentrato sulla liquidità, verso gli strumenti finanziari di imprese industriali e commerciali italiane ed europee radicate sul territorio italiano per le quali maggiore è il fabbisogno di risorse finanziarie e insufficiente è l’approvvigionamento mediante il canale bancario.
Per veicolare il suddetto risparmio verso investimenti produttivi in modo professionale è previsto il coinvolgimento degli intermediari finanziari e delle imprese di assicurazione come soggetti deputati alla gestione della fiscalità degli investimenti stessi. Ciò permette anche una diversificazione del portafoglio tale da contenere il rischio insito nello stesso ad un livello adeguato alle esigenze del cliente retail mediante l’utilizzo di qualsiasi tipo di strumento finanziario. Il particolare profilo di investimento del cliente retail non consente, infatti, una eccessiva esposizione al rischio insito in investimenti meno liquidi.
Il bilanciamento tra gli obiettivi di politica economica e quelli di tutela del risparmiatore viene realizzata subordinando l’incentivo fiscale alla creazione di un “contenitore” fiscale, denominato piano, idoneo ad accogliere tutti gli strumenti finanziari esistenti sul mercato retail purché l’insieme di tali strumenti sia posseduto per un determinato periodo di tempo e sia “assemblato” seguendo criteri predeterminati. In particolare viene previsto che almeno una parte delle risorse investite sia destinato a società italiane ed europee con stabile organizzazione in Italia diverse da quelle rilevanti ai fini del FTSE MIB o altri indici equivalenti. Il riferimento a tali indici ha lo scopo di focalizzare l’agevolazione fiscale sul risparmio che confluisce negli strumenti finanziari meno liquidi.
Articolo 19
(Fondazione Human Technopole)
L’articolo 19 istituisce una nuova Fondazione per la creazione di un’infrastruttura di interesse nazionale, a carattere scientifico e di ricerca applicata alle scienze per la vita, diretta a realizzare uno specifico progetto denominato “Human Technopole”, all’interno dell’area Expo Milano 2015.
Il comma 1 dispone l’istituzione di una Fondazione per la creazione di una infrastruttura scientifica e di ricerca, di interesse nazionale, a carattere multidisciplinare ed integrato nei settori della salute, della genomica, dell’alimentazione e della scienza dei dati e delle decisioni, volta altresì alla realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca denominato “Human Technopole” (di seguito HT).
La finalità specificamente prevista è quella di incrementare gli investimenti pubblici e privati nei settori della ricerca applicata alla prevenzione e alla salute.
In proposito la norma cita la fonte normativa del progetto, l’art. 5 del D.L. 185/2015 (L. 9/2016), ed il relativo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M. 16 settembre 2016) di approvazione del progetto esecutivo[23].
Si ricorda che l’art. 5, comma 2, del citato DL. 185/2015 ha previsto, per il 2015, l’attribuzione all'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di un primo contributo di 80 milioni di euro, finalizzato alla realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca, utilizzando parte delle aree in uso a EXPO S.p.a. (da riadattare, se necessario), sentiti gli enti territoriali e le principali istituzioni scientifiche interessate. Peraltro, il comma 1 del predetto art. 5 ha autorizzato la spesa di 50 milioni di euro per il 2015, diretta all’attuazione di iniziative che prevedono la partecipazione dello Stato nell’attività di valorizzazione delle aree in uso alla Società Expo S.p.a., anche mediante partecipazione al capitale della società proprietaria delle stesse.
Si ricorda come la disposizione dell’articolo 5 del citato D.L. 185/2015, al comma 1, faccia genericamente riferimento ad “iniziative relative alla partecipazione dello Stato nell'attività di valorizzazione delle aree in uso alla Società Expo S.p.A.”.
La norma precisa che, per il raggiungimento dei propri scopi, la Fondazione instaura rapporti con omologhi enti ed organismi in Italia e all’estero.
Si dispone, inoltre, che membri fondatori siano il Ministero dell’economia e delle finanze ed il Ministero dell’istruzione, dell’università e delle ricerca, ai quali viene attribuita la vigilanza sulla Fondazione (comma 2).
In proposito si ricorda che il soggetto incaricato della realizzazione del progetto, l’IIT, è un organismo pubblico già sottoposto alla vigilanza del MEF e del MIUR. Peraltro, nella conclusione alla determinazione e relazione della Corte dei conti del 17 novembre 2015, n.108 sull'esercizio finanziario 2014 dell'IIT, così si sottolinea: “Sebbene ente di diritto privato, la struttura ordinamentale dell’IIT ha una decisa configurazione pubblicistica in ragione degli obiettivi perseguiti e di una dotazione finanziaria derivante prevalentemente dai contributi dello Stato”.
Il comma 3 stabilisce la predisposizione, da parte del Comitato di coordinamento già previsto al D.P.C.M. del 16 settembre 2016, di uno schema di statuto della Fondazione, da approvare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del MEF, di concerto con il MIUR.
Al riguardo si segnala che il citato D.P.C.M., all’art. 2, co. 2, istituisce presso l’IIT, a valere sulle risorse destinate al progetto HT, un Comitato di coordinamento per l’avvio del medesimo progetto composto da 2 soggetti designati, rispettivamente, dal MEF e dal MIUR; da 3 scienziati di reputazione internazionale indicati di comune accordo dagli stessi Ministeri; dai rettori delle università pubbliche di Milano; dal presidente dell’Istituto superiore di sanità; dal presidente del CNR; dal presidente e dal direttore scientifico dello stesso IIT.
Lo statuto dovrà stabilire la denominazione della Fondazione e disciplinare, tra gli altri compiti, la partecipazione alla Fondazione di altri enti pubblici e privati, oltre alle modalità con cui tali soggetti possono partecipare finanziariamente al progetto scientifico HT.
Durante un’audizione del 20 ottobre scorso presso le Commissioni riunite 7a e 12a del Senato (v. Resoconto del 20/10/2016), il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha, in particolare, sottolineato che a fine agosto 2016 è stato approvato il piano scientifico e finanziario del progetto e a settembre è stato firmato il decreto che ha autorizzato, ai sensi del sopra citato art. 5 del D.L. 185/2015 i primi 80 milioni di euro per la prima fase di realizzazione, in aggiunta al primo finanziamento di 50 milioni di euro.
In base
alla documentazione depositata al Senato da rappresentanti dell’IIT per l’esame
assegnato alle Commissioni riunite 7a e 12a dell’Affare
n. 827 relativo alla questione in corso d’esame,
il nuovo polo di didattica, ricerca e innovazione, denominato
“Italia 2040 Human Technopole”
(v. qui i documenti
acquisiti nell’ultima seduta n. 398 del 26 Ottobre 2016),
sarà costituito, tra l’altro, insieme alle Università pubbliche milanesi, al
Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), all’Istituto superiore di sanità
(ISS), nell’area dell’Expo Milano 2015. Come osservato in sede di esame
dell’Affare n. 287 al Senato, il progetto HT non risulta inserito nel Programma
nazionale della ricerca (PNR).
A costituire il patrimonio della Fondazione (comma 4) saranno gli apporti dei Ministeri fondatori, oltre che risorse aggiuntive provenienti da ulteriori apporti dello Stato e da soggetti pubblici e privati. Si prevede in proposito che le attività previste possono essere finanziate, oltre che con mezzi propri della Fondazione, anche con i contributi di enti pubblici e di privati. La Fondazione potrà inoltre ricevere in comodato beni immobili rientranti nel demanio e nel patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato.
Viene anche prevista la possibilità di affidamento in comodato di beni di particolare valore artistico e storico alla Fondazione da parte dell’amministrazione competente, d’intesa con il MiBACT. In proposito, rimane fermo il regime giuridico dei beni demaniali affidati, previsto agli articoli 823 e 829, primo comma, del c.c. (rispettivamente in materia inalienabilità dei beni del demanio pubblico e passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato).
Si ricorda che l’art. 822 c.c.
elenca, tra gli immobili che appartengono al demanio pubblico, gli immobili
riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi
in materia. Al riguardo, la dottrina prevalente parla di “demanio culturale”,
suggerendo la necessità che intervenga un atto di riconoscimento dell’interesse
culturale (v. qui l’approfondimento sul sito del MiBACT) per la riconducibilità
dei beni al particolare tipo di demanio, sia se si tratti di immobili statali o
territoriali, ovvero di immobili appartenenti a privati; in ogni caso, tale
riconoscimento presuppone la inalienabilità del bene medesimo, e pertanto esso
non potrà formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei
limiti stabiliti dalle leggi in materia. In proposito, l’art. 12 del codice dei
beni culturali (D.Lgs. 42/2004) disciplina la
verifica dell’interesse culturale di un determinato bene, che comunque deve
avvenire sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero
per i beni culturali, al fine di assicurare uniformità di valutazione.
La Fondazione, per lo svolgimento dei propri compiti, può avvalersi di personale, anche delle qualifiche dirigenziali, messo appositamente a disposizione su richiesta della stessa, secondo le norme previste dai rispettivi ordinamenti, da enti ed altri soggetti individuati ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della L. 196/2009.
Si tratta in particolare degli enti ed istituzioni che rientrano nel perimetro della pubblica amministrazione, rientranti soggetti nell'elenco ISTAT.
La Fondazione può avvalersi, inoltre, della collaborazione di esperti e di società di consulenza nazionali ed estere, ovvero di università e di istituti universitari e di ricerca (comma 5).
Il comma 6 fissa l’autorizzazione di spesa per la
costituzione della fondazione e per la realizzazione del progetto HT, da erogare
in base allo stato di avanzamento
del progetto, pari a 10 milioni di euro
nel 2017, 114,3 milioni per il
2018, 136,5 milioni per il 2019, 112,1 milioni per il 2020, 122,1 milioni per
il 2021, 133,6 milioni per il 2022, 140,3 milioni a decorrere dal 2023.
Viene inoltre prevista una clausola di neutralità fiscale per tutti gli atti connessi alle operazioni di costituzione della Fondazione e di conferimento e devoluzione alla stessa, che sono pertanto esclusi da ogni tributo e diritto (comma 7).
Infine, si stabilisce che i criteri e le
modalità da prevedere in attuazione delle disposizioni in esame, compresa la
disciplina dei rapporti con l’Istituto
Italiano di Tecnologia (IIT)
riferiti al progetto HT, oltre che il trasferimento alla Fondazione delle risorse residue di cui al sopra
richiamato art. 5, comma 2, del DL. 185/2015 (v. ante) sono
stabiliti con D.P.C.M., su proposta del MEF, di concerto con il MIUR (comma 8).
Articolo 20
(Efficientamento ANAS S.p.A. - STRALCIATO)
L’articolo
20 è stato
stralciato ai sensi dell’articolo 120,
comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, in quanto recante
disposizioni estranee all’oggetto del disegno di legge di bilancio.
Articolo 21
(Fondo da ripartire per il finanziamento
degli investimenti
e lo sviluppo infrastrutturale del Paese)
L’articolo 21 istituisce un Fondo per il finanziamento di investimenti in materia di infrastrutture e trasporti, difesa del suolo e dissesto idrogeologico, ricerca, prevenzione del rischio sismico, attività industriali ad alta tecnologia e sostegno alle esportazioni, nonché edilizia pubblica.
Il comma 1 prevede l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero
dell'economia e delle finanze, di un Fondo con una dotazione di 1.900
milioni di euro per l’anno 2017, 3.150 milioni per l’anno 2018, 3.500 milioni
per l’anno 2019 e 3.000 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al
2032.
Il Fondo generalmente è destinato a finanziare interventi nei seguenti settori:
§ trasporti e viabilità;
I
Fondi con le più ingenti risorse finanziarie destinate al settore dei trasporti
diversi da quello stradale, - a legislazione vigente – hanno come destinazione
principale trasferimenti e sono fondamentalmente riferiti al trasporto
ferroviario. Sono in particolare rilevanti, nello stato di previsione del
Ministero dell'economia e delle finanze, la Missione 8 del programma 13,
Sostegno allo sviluppo del trasporto, con
una dotazione per il 2017 pari a 3.737,18 milioni di euro destinati
all'erogazione di somme a favore di
Ferrovie dello Stato S.p.A. per investimenti sulla rete tradizionale e
per il sistema alta velocità, nonché a trasferimenti correnti per i contratti
di servizio per il trasporto passeggeri e merci e alle spese per il concorso
statale al pagamento degli interessi derivanti da mutui dei comuni per la
ricostruzione dei sistemi ferroviari passanti. Si ricorda che gli investimenti
sulla rete ferroviaria sono regolati (anche ai sensi di quanto previsto dal
decreto legislativo n. 112 del 2015) sulla base di un contratto di programma,
di durata quinquennale, articolato in una parte servizi (nella quale sono
disciplinate le spese relative alle manutenzioni, sia ordinarie che
straordinarie, oltre ad ulteriori spese quali quelle attinenti alla safety e alla security del trasporto ferroviario) e in
una parte investimenti.
L’altro programma di riferimento è il 13.6
destinato allo "Sviluppo e sicurezza della mobilità
locale" (MIT), con una dotazione per il 2017 di 5.622,78 milioni di euro,
al quale afferiscono le risorse destinate a finanziare il Fondo per il
trasporto pubblico locale, gestite dalle regioni.
§ infrastrutture;
La disposizione fa generico riferimento agli investimenti in infrastrutture. In tale ambito, merita ricordare che il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016), in attuazione della legge delega n. 11 del 2016, ha previsto l'abrogazione dei commi da 1 a 5 della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cd. "legge obiettivo") e della disciplina speciale che ha regolato la progettazione, l'approvazione dei progetti e la realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale (contenuta nel decreto legislativo n. 163 del 2006). Il nuovo Codice provvede a definire una nuova disciplina per la programmazione e il finanziamento delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese (artt. 200-203). Sono individuati due strumenti per la pianificazione e la programmazione: il piano generale dei trasporti e della logistica e i documenti pluriennali di pianificazione (DPP). Per una disamina delle disposizioni in materia di infrastrutture strategiche adottate nel corso della legislatura si rinvia al relativo tema.
Si ricorda, inoltre, che il regolamento di cui al D.P.R. n. 194 del 2016 (pubblicato nella G.U. del 27 ottobre 2016) reca norme per la semplificazione e l'accelerazione di procedimenti amministrativi necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione di rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto sul territorio o di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull'economia o sull'occupazione.
§ ricerca;
§ difesa del suolo e dissesto idrogeologico;
Le norme adottate nel corso della legislatura hanno riguardato, da un lato, la disciplina della governance, il coordinamento e la gestione degli interventi, dall’altro, le risorse finanziarie. È stata istituita la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico con funzioni di coordinamento in ordine alla programmazione, progettazione e realizzazione di tali interventi. La tabella E della legge di stabilità per il 2016 (L. 208/2015) ha disposto un rifinanziamento di 1.950 milioni di euro (50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017, 150 milioni di euro per il 2018 e 1.700 milioni di euro per gli anni 2019 e successivi) dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 111, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013), utilizzata per la copertura delle esigenze della programmazione antecedente al 2015 nonché della nuova programmazione 2015-2020.
§ edilizia pubblica, compresa quella scolastica;
§ attività industriali ad alta tecnologia e sostegno alle esportazioni;
La disposizione fa generico riferimento ad interventi in attività industriali ad alta tecnologia e sostegno alle esportazioni. Si ricorda che lo scorso 5 ottobre, nell’ambito dell’audizione del Ministro dello Sviluppo economico sulle linee programmatiche del dicastero, svolta dinanzi alle Commissioni congiunte 10ª Senato - X Camera, sono stati esposti gli obiettivi di politica industriale, volti a dare attuazione al Piano nazionale Industria 4.0, presentato il 21 settembre 2016, che prevede investimenti innovativi per incentivare lo sviluppo e l’adozione di tecnologie abilitanti, attraverso investimenti privati su tecnologie e beni Industria 4.0, l’aumento della spesa privata in Ricerca, Sviluppo e Innovazione e il rafforzamento della finanza a supporto di Industria 4.0, Venture Capital e start-up. Le politiche industriali maggiormente focalizzate su settori altamente tecnologici opereranno nel settore spaziale e in materia di life sciences. Con riguardo all’internazionalizzazione delle imprese, il Ministro ha altresì evidenziato gli obiettivi e le correlate iniziative da assumere a supporto del Made in Italy, delle esportazioni, incluse quelle nei settori ad alto potenziale, e dell’e-commerce. In ambito parlamentare, si evidenzia l’attività conoscitiva condotta dalla X Commissione Attività produttive della Camera sul tema “Industria 4.0”, nell’ambito dell’indagine conoscitiva conclusa il 30 giugno 2016, i cui risultati (Doc. XVII, n. 16) rappresentano, sostanzialmente, la base da cui sono state sviluppate le proposte contenute nel citato Piano governativo.
§ informatizzazione dell’amministrazione giudiziaria;
Le risorse stanziate per l’informatizzazione dei servizi
della giustizia si ricollegano essenzialmente all’avvio del processo telematico
che ha, per ora, trovato principale attuazione nel settore civile.
Un Piano straordinario per la digitalizzazione della
giustizia da attuare entro 18 mesi era stato presentato nel marzo 2011. Tale
intervento si inquadrava nel Piano e-Gov 2012 che
individua nella digitalizzazione della Giustizia un obiettivo prioritario. Le
risorse stanziate (rilasciate per stadi di avanzamento) ammontavano a 50
milioni di euro messi a disposizione dal Ministro per la Pubblica
Amministrazione e l’Innovazione, tramite il Dipartimento per la
digitalizzazione e l’innovazione tecnologica.
Nel bilancio 2016 - nella nota integrativa al bilancio
del Ministero della giustizia – venivano indicate risorse per 22,5 mln nel 2016
per l’accelerazione del processo telematico, 17,8 mln nel 2017 e 16,4 mln nel
2018. Nello stesso bilancio 2016, sul cap. 1536 (Fondo interventi strategici
finalizzati al recupero efficienza sistema giudiziario e al completamento del
processo telematico) erano previsti complessivi 76,6 mln.
L’atto di indirizzo del Ministro della giustizia per
il 2017 indica, tra le priorità politiche, la diffusione dei progetti di
innovazione per gli uffici giudiziari. In tale ambito si prevede di attingere
in modo organico dalle risorse provenienti dai fondi europei per il finanziamento, tra l’altro,
dell’estensione del processo civile telematico agli uffici del giudice di pace
e dello sviluppo del processo penale telematico.
Nel bilancio 2017, sul cap. 1536, sono stanziati
complessivi 81,5 mln per il 2017, 82,5 mln per il 2018 e 82,5 mln per il 2019.
La nota integrativa indica i seguenti stanziamenti per il processo telematico:
- processo civile telematico, 10,9 mln nel 2017, 8 mln
nel 2018 e 4,5 mln nel 2019;
- processo penale telematico, 9,9 mln nel 2017, 10 mln
nel 2018 e 7,2 mln nel 2019;
- infrastrutture per il processo telematico, 8,1 mln nel
2017, 8 mln nel 2018 e 8,1 mln nel 2019.
Nell’attuale legislatura, in relazione al processo
civile, la legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012, art. 1, comma 19) - per
l'adeguamento dei sistemi informativi hardware e software presso gli uffici
giudiziari, per il potenziamento delle reti di trasmissione dati, per la
manutenzione dei relativi servizi nonché per gli oneri connessi alla formazione
del personale di magistratura, amministrativo e tecnico - ha autorizzato la
spesa di 1,32 mln di euro per l'anno 2012, di 5 mln. per il 2013 e di 3,6 mln.
a decorrere dall'anno 2014. L’onere è finanziato con quota parte delle maggiori
entrate derivanti dall’aumento del contributo unificato nel processo civile
previsto dall’art. 28, comma 2, della legge di stabilità 2012 (Legge. n. 183
del 2011).
Per quanto riguarda la digitalizzazione del processo
amministrativo e del processo contabile, rispettivamente, l’art. 13 del Codice
del processo amministrativo (D.Lgs. 104/2010) e
l’art. 20-bis del D.L. n. 179/2012,
non hanno previsto specifici stanziamenti, stabilendo che si dovesse provvedere
nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a
legislazione vigente. Analogamente, per l’attuazione del processo tributario
telematico, prevista dal D.L. n. 98/2011 (art. 39, comma 8) e già operativo in
alcune regioni, non risultano previste specifiche risorse.
§ prevenzione del rischio sismico
Per una disamina delle principali norme vigenti in
materia di prevenzione sismica, si rinvia al relativo paragrafo del tema web terremoti. In tale ambito, si ricorda
che l’articolo 11 del D.L. 39/2009 ha
istituito il Fondo per la prevenzione del rischio sismico. L’VIII Commissione (Ambiente) della Camera sta
svolgendo un'indagine conoscitiva sulle politiche di prevenzione antisismica e
sui modelli di ricostruzione a seguito degli eventi sismici del 24 agosto 2016.
L’operatività del Fondo sarà disciplinata con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con i Ministri interessati, in relazione ai programmi presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato. Con tali decreti devono essere individuati gli interventi da finanziare e i relativi importi.
La norma prevede, inoltre, che i predetti provvedimenti devono indicare le modalità di utilizzo dei contributi, sulla base di criteri di economicità e contenimento della spesa, anche attraverso operazioni finanziarie con oneri di ammortamento a carico del bilancio dello Stato, con la Banca europea per gli investimenti (BEI), con la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB), con la Cassa depositi e prestiti S.p.A. e con i soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività bancaria, compatibilmente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica.
Si segnala come tale modalità di utilizzo dei contributi, che ne prevede l’impiego anche con ricorso ad operazioni con diverse tipologie di soggetti finanziatori, sia già stata prevista in altre disposizioni legislative, quali in particolare:
§ il recente decreto-legge n. 189 del 2016 (A.S. 2567, in corso d’esame) sul sisma dello scorso mese di agosto, il cui articolo 14 prevede che il commissario straordinario possa stipulare appositi mutui (di durata massima venticinquennale) con oneri di ammortamento a carico del bilancio dello Stato - pagati agli istituti finanziatori direttamente dallo Stato- con i medesimi soggetti finanziatori previsti dall’articolo 21 in esame;
§ l’articolo 10 del decreto-legge n.104 del 2013 (L. n. 128/2013) ove, anche in tal caso, si fa riferimento ai soggetti finanziatori previsti dall’articolo 21 in questione, e si dispone il pagamento diretto ai soggetti medesimi da parte dello Stato.
I criteri e le modalità di erogazione sono definiti, ai sensi del comma 11, da provvedimenti adottati dal commissario straordinario, d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze
Il comma
2 dispone
che gli interventi finanziati con le
risorse del Fondo siano monitorati
ai sensi del decreto legislativo n. 229 del 2011.
Si ricorda che il citato decreto ha dato attuazione all’art. 30, comma 9, lettere e), f) e g), della L. n. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica), che ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi, al fine di garantire la razionalizzazione, la trasparenza, l'efficienza e l'efficacia delle procedure di spesa relative ai finanziamenti in conto capitale destinati alla realizzazione di opere pubbliche.
Il decreto legislativo si applica a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, della L. n. 196/2009, e ai soggetti destinatari di finanziamenti a carico del bilancio dello Stato finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche (art. 1, comma 1). Il decreto introduce nuovi obblighi informativi, e opera anche un coordinamento con gli adempimenti previsti dal Codice dei contratti pubblici in merito alla trasmissione dei dati all’autorità di vigilanza. E' prevista l’istituzione, presso ciascuna amministrazione, di un sistema gestionale informatizzato contenente tutte le informazioni inerenti l’intero processo realizzativo dell’opera, con obbligo, tra l’altro, di subordinare l’erogazione dei finanziamenti pubblici all’effettivo adempimento degli obblighi di comunicazione ivi previsti. La definizione dei contenuti informativi minimi del sistema informativo in argomento è demandata ad un apposito decreto del Ministero dell’economia e delle finanze (art. 5), che è stato emanato in data 26 febbraio 2013 e pubblicato nella G.U. 5 marzo 2013, n. 54.
Il decreto prevede che le amministrazioni provvedano a comunicare i dati, con cadenza almeno trimestrale, alla banca dati istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze – Ragioneria Generale dello Stato, ai sensi dell'art. 13 della L. n. 196/2009, denominata «banca dati delle amministrazioni pubbliche».
L’art. 4 del D.Lgs. n. 229/2011 disciplina poi il definanziamento per mancato avvio dell'opera.
L’articolo 22 prevede una serie di agevolazioni fiscali e finanziarie volte ad attrarre investimenti esteri in Italia, introducendo una specifica disciplina, all’interno delle norme in materia di immigrazione, volta a facilitare l’ingresso in Italia di potenziali beneficiari di norme finanziarie di favore con l’obiettivo di attrarre investitori nel territorio dello Stato.
Inoltre, la disposizione interviene anche sugli incentivi per il rientro in Italia di docenti e ricercatori residenti all’estero, rendendo strutturale la misura che consente di abbattere, per un determinato periodo di tempo, la base imponibile a fini IRPEF e IRAP in favore dei predetti soggetti.
Viene esteso ai lavoratori autonomi l’abbattimento della base imponibile IRPEF attualmente spettante ai lavoratori altamente qualificati o specializzati che rientrano in Italia, innalzando anche la misura dell’agevolazione.
La normativa introduce un’imposta sostitutiva forfettaria sui redditi prodotti all’estero: le persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia possono optare per l’applicazione di una imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero, calcolata forfettariamente, a specifiche condizioni.
Le forme di agevolazione nella trattazione delle domande di visto d’ingresso e di permesso di soggiorno applicabili a chi trasferisce la propria residenza fiscale in Italia verranno definite da un decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministro dell’interno, il compito di individuare, al fine di favorire l’ingresso di significativi investimenti in Italia, anche preordinati ad accrescere i livelli occupazionali.
I medesimi Ministri (Ministro degli affari esteri di concerto con il Ministro dell’interno) provvederanno ad individuare, con apposito decreto, forme di agevolazione nella trattazione delle domande di visto di ingresso e di permesso di soggiorno connesse con start-up innovative, con iniziative d’investimento, di formazione avanzata, di ricerca o di mecenatismo, da realizzare anche in partenariato con imprese, università, enti di ricerca ed altri soggetti pubblici o privati italiani.
Il comma 1 introduce una specifica
disciplina, all’interno delle norme in materia di immigrazione, volta a
facilitare l’ingresso in Italia di
potenziali investitori.
A tal fine viene inserito l’articolo 26-bis nel testo unico immigrazione, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998 che consente l’ingresso e il soggiorno nello Stato per periodi superiori a tre mesi, al di fuori delle quote di cui all’articolo 3, comma 4, agli stranieri che intendono effettuare:
a) un
investimento di almeno 2 milioni di euro in titoli emessi dal governo italiano,
da mantenere per almeno 2 anni;
b) un investimento di almeno 1 milione di euro in strumenti rappresentativi del capitale di una società costituita e operante in Italia, mantenuto anche esso per almeno 2 anni;
c) una donazione a carattere filantropico di almeno 1 milione di euro a sostegno di un progetto di pubblico interesse, nei settori della cultura, istruzione, gestione dell’immigrazione, ricerca scientifica, recupero di beni culturali e paesaggistici.
Si osserva che non risulta alcuna definizione
normativa circa il carattere filantropico di una donazione.
Sono
richieste le seguenti, ulteriori condizioni per i soggetti predetti. Essi
devono:
1) dimostrare di essere titolari e beneficiari effettivi degli importi corrispondenti agli investimenti o donazioni di cui alle lettere a), b) e c), importo che deve essere in ciascun caso disponibile e trasferibile in Italia;
2) presentare una dichiarazione scritta in cui si impegnano a utilizzare i fondi predetti per effettuare un investimento o una donazione filantropica, secondo i criteri delle richiamate lettere a), b) e c), entro tre mesi dalla data di ingresso in Italia;
3) dimostrare di avere risorse sufficienti, in aggiunta rispetto ai fondi di cui sono titolari e beneficiari (di cui al numero 1) e in misura almeno superiore al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, per il proprio mantenimento durante il soggiorno in Italia.
In proposito è opportuno ricordare che in Italia l'immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all'Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro.
In particolare, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso una serie di strumenti, tra cui il decreto annuale sui flussi, che determina la quota di ingressi per lavoro subordinato e autonomo consentita nell'anno di riferimento (art. 3, comma 4, T.U.).
Il T.U. immigrazione, prevede accanto a questa procedura ordinaria, la possibilità di assumere al di fuori delle quote fissate dal decreto flussi, e attraverso procedure semplificate, lavoratori appartenenti a specifiche categorie, tra cui: dirigenti; professori universitari; traduttori ed interpreti; artisti e personale artistico e tecnico per spettacoli; sportivi professionisti; giornalisti corrispondenti; infermieri professionali (art. 27).
Successivamente, in attuazione della normativa comunitaria, sono state introdotte specifiche agevolazioni in ordine all'ingresso e al soggiorno di alcune categorie di stranieri quali:
§ volontari (art. 27-bis, introdotto dal D.Lgs. 154/2007 recante attuazione della direttiva 2004/114/UE, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di Paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato);
§ ricercatori (art. 27-ter introdotto dal D.Lgs. 17/2008 recante attuazione della direttiva 2005/71/UE relativa ad una procedura specificamente concepita per l'ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica);
§ lavoratori altamente qualificati destinatari della c.d. Carta blu UE (art. 24-quater introdotto dal D.Lgs. 108/2012 recante attuazione della direttiva 2009/50/UE sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati);
§ dirigenti, lavoratori specializzati e lavoratori in formazione, nell'ambito di trasferimenti intra-societari (art. 24-quinquies introdotto dallo schema di D.Lgs. recante attuazione della direttiva 2014/66/UE).
Il comma
2 dell’articolo 26-bis demanda
l’individuazione della procedura per l’accertamento dei predetti requisiti (su
richiesta dello straniero) ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico,
di concerto con il Ministro dell’interno e il Ministro degli affari esteri e
della cooperazione internazionale, da emanarsi entro 90 giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge. Inoltre stabilisce che lo straniero
debba presentare i seguenti documenti:
a) copia del documento di viaggio in corso di validità con scadenza superiore di almeno tre mesi a quella del visto richiesto;
b) documentazione comprovante la disponibilità della somma minima necessaria ad effettuare investimenti e donazioni (di cui al comma 1, lettera c), numero 1) dell’articolo 26-bis), e che la somma in questione può essere trasferita in Italia;
c) certificazione della provenienza lecita dei medesimi fondi;
d) dichiarazione scritta contenente l’impegno a utilizzare i fondi per lo scopo di legge (effettuare un investimento o una donazione filantropica, di cui al comma 1, numero 2), che contenga una descrizione dettagliata delle caratteristiche e del destinatario/destinatari dell’investimento o donazione.
Ai
sensi del comma 3 si prevede che l’autorità amministrativa individuata
con le disposizioni attuative delle norme in esame (di cui al comma 1: rectius comma 2),
all’esito di una valutazione positiva della documentazione ricevuta, trasmette
il nulla osta alla rappresentanza diplomatica o consolare competente per
territorio che, compiuti gli accertamenti di rito, rilascia il visto di
ingresso per investitori con l’espressa indicazione “visto investitori”.
Le norme in esame non affidano esplicitamente
alle disposizioni attuative, di cui al comma 2, il compito di individuare
un’autorità amministrativa cui spetta, tra l’altro, la valutazione della
documentazione inviata e gli oneri di comunicazione con altri organi ed
amministrazioni. Si valuti dunque la possibilità di prevedere espressamente, al
richiamato comma 2, che le disposizioni attuative dell’introdotto articolo 26-bis individuino
con precisione la predetta autorità e ne delineino puntualmente i compiti.
Il comma
4 dispone il rilascio, al titolare del visto per investitori, di un permesso di
soggiorno biennale conforme alla normativa nazionale, recante la dicitura “per
investitori” e revocabile anche prima della scadenza quando l’autorità
amministrativa competente (individuata con il decreto di cui al comma 3: rectius comma 2)
comunica alla questura che lo straniero non ha effettuato l’investimento o la
donazione entro tre mesi dalla data di ingresso in Italia.
Per quello che appare un mero errore
materiale, le norme in commento rinviano al comma 3 dell’articolo 26-bis – in
luogo del comma 2 – per l’individuazione del decreto con cui è disciplinata la
procedura in esame.
Si
dispone (comma 5) che il permesso di soggiorno “per investitori” è rinnovabile
per periodi ulteriori di tre anni, previa valutazione positiva, da parte
dell’autorità amministrativa competente, della documentazione comprovante che
la somma da destinare a investimenti o donazioni filantropiche è stata
interamente impiegata entro tre mesi dalla data di ingresso in Italia e che
risulta ancora investita negli strumenti finanziari individuati dalla legge.
Per il rinnovo
del permesso di soggiorno (comma 6), l’autorità amministrativa
competente, all’esito di una valutazione positiva della documentazione
ricevuta, trasmette il nulla osta alla questura della provincia in cui il
richiedente dimora che provvede al rinnovo del permesso di soggiorno.
Infine
(comma 7), secondo le ordinarie regole relative all’immigrazione, - ai sensi
dell’articolo 29, comma 4 del Testo Unico - è consentito l’ingresso, al seguito
dello straniero detentore del visto per investitori, dei familiari con cui è
consentito il ricongiungimento ai sensi dello stesso dell’articolo 29 T.U. Ad
essi è rilasciato un visto per motivi familiari ai sensi dell’articolo 30 T.U.
Il T.U. immigrazione prevede la possibilità di esercitare il diritto all’unità familiare attraverso l’istituto del ricongiungimento dei familiari residenti all’Estero, dietro richiesta dello straniero già soggiornante nel nostro Paese e previa disponibilità di un alloggio, di un reddito minimo annuo non inferiore all’assegno sociale e di una assicurazione sanitaria.
È, inoltre, possibile, ai sensi dell’articolo 29, comma 4, l’ingresso del familiare al seguito di uno straniero con idoneo titolo di soggiorno o di visto di ingresso, a condizione che ricorrano i requisiti di disponibilità di cui sopra (alloggio, reddito e assicurazione sanitaria).
Il comma 2 modifica la vigente disciplina degli incentivi per il rientro in Italia di ricercatori e docenti residenti all’estero, rendendo strutturale la misura che consente, per un determinato periodo di tempo, di abbattere la base imponibile a fini IRPEF e IRAP.
Tale norma, introdotta originariamente dall’articolo 3 del decreto-legge n. 269 del 2003 è stata da ultimo riproposta dall’articolo 44 del decreto-legge n. 78 del 2010, da ultimo modificato per effetto dell’articolo 1, comma 14, della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014).
L’articolo 44 richiamato prevede un’agevolazione fiscale, operante ai fini IRPEF e IRAP, per incentivare i ricercatori e i docenti residenti all’estero ad esercitare in Italia la loro attività. Essa consiste nell’esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo, a fini IRPEF (e dalla base imponibile IRAP, ai sensi del comma 2), del novanta per cento degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che, in possesso di titolo di studio universitario o equiparato e non occasionalmente residenti all'estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all'estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi e che, a partire dal 31 maggio 2010 (data di entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010) ed entro i sette anni solari successivi, vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato. Tali emolumenti non concorrono altresì alla formazione del valore della produzione netta dell'imposta regionale sulle attività produttive. Ai sensi del comma 3 del predetto articolo 44, le disposizioni agevolative trovano applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2011, nel periodo d'imposta in cui il ricercatore diviene fiscalmente residente nel territorio dello Stato e nei tre periodi d'imposta successivi, sempre che permanga la residenza fiscale in Italia.
Il comma 2 dell’articolo 22 in commento elimina dall’articolo 44, comma 1, il riferimento ai sette anni successivi al 31 maggio 2010, in relazione al trasferimento in Italia dei potenziali destinatari dell’agevolazione. Di conseguenza, per effetto delle modifiche in esame, le norme di favore trovano applicazione a tutti i docenti e ricercatori trasferitisi dopo il 31 maggio 2010, senza termine finale.
Resta fermo il carattere temporaneo dell’agevolazione: l’abbattimento di base imponibile si riferisce al periodo d'imposta in cui il ricercatore diviene fiscalmente residente nel territorio dello Stato e ai tre periodi successivi.
Il comma 3 intende estendere l’ambito applicativo e la misura delle agevolazioni, di carattere temporaneo, che spettano ai lavoratori altamente qualificati o specializzati che rientrano in Italia secondo l’articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015.
Il richiamato articolo 16 del D.lgs. n. 147 del 2015, modificato dalla legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 259 della legge n. 208 del 2015), ha inteso ridisciplinare la materia del rientro dei lavoratori all’estero. In particolare, le norme hanno introdotto una agevolazione temporanea per i lavoratori che rivestono ruoli direttivi, ovvero sono in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione e che, non essendo stati residenti in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti e impegnandosi a permanere in Italia per almeno due anni, trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato. Per questi soggetti il reddito di lavoro dipendente prodotto concorre alla formazione del reddito complessivo IRPEF nella misura del settanta per cento del suo ammontare. L'attività lavorativa va prestata prevalentemente nel territorio italiano, deve essere svolta presso un'impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa. L’agevolazione si applica a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato e per i quattro periodi successivi.
Le medesime norme hanno chiarito che i lavoratori rientrati in Italia beneficiando della parziale detassazione IRPEF disposta della legge 30 dicembre 2010, n. 238, entro il 31 dicembre 2015, hanno potuto optare per l’applicazione, con le modalità definite con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate da emanarsi entro il 1° aprile 2016 (tre mesi dall’entrata in vigore della norma in esame), nel periodo in corso al 31 dicembre 2016 e per quello successivo, tra:
§ il regime disposto dalla legge n. 238/2010, nei limiti e alle condizioni indicati dalla legge stessa; l’agevolazione consiste nella parziale detassazione IRPEF dei redditi di lavoro dipendente, autonomo o d'impresa; tali redditi concorrono alla base imponibile nella misura, rispettivamente, del 20 per cento per le lavoratrici e del 30 per cento per i lavoratori (con detassazione rispettivamente dell’ottanta e del settanta per cento);
§ in alternativa, il regime previsto dall’articolo 16 del D.Lgs. 147/2015, che dispone, in presenza dei requisiti di legge, di sottoporre il reddito di lavoro dipendente a IRPEF per il settanta per cento del suo ammontare (con detassazione del 30 per cento).
Le modalità di esercizio dell’opzione sono state regolate dal Provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 29 marzo 2016.
Le norme attuative dell’articolo 16 sono contenute nel Decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 26 maggio 2016.
Più in dettaglio, il comma 3, lettera a) n. 1 modifica il comma 1 dell’articolo 16, al fine di ammettere alla detassazione parziale anche i redditi di lavoro autonomo.
Con le modifiche di cui al n. 2 della lettera a) viene inoltre innalzato dal trenta al
cinquanta per cento l’ammontare di
reddito esente da IRPEF.
La lettera b) del comma 1 - introducendo il comma 1-bis all’articolo 16 - chiarisce che, ai fini dell’accesso alle agevolazioni, non si applicano ai lavoratori autonomi alcune condizioni attualmente previste dalla legge per l’accesso all’agevolazione (di cui al comma 1, lettere b) e d) dell’articolo 16), e cioè:
§ che l'attività lavorativa sia svolta in forza di un rapporto di lavoro instaurato con un’impresa residente;
§ che i lavoratori rivestano specifici ruoli direttivi o siano in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione definiti dalle norme secondarie.
Con la lettera c) viene inserita, alla fine del comma 2, una norma che estende l’agevolazione anche ai cittadini di Stati, diversi da quelli appartenenti all'Unione europea, con i quali sia in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, in possesso di un titolo di laurea che hanno svolto continuativamente un'attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall'Italia negli ultimi ventiquattro mesi, ovvero che hanno svolto continuativamente un'attività di studio fuori dall'Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
La relazione illustrativa chiarisce che la disposizione introdotta intende evitare discriminazioni ed ampliare il novero dei soggetti beneficiari.
Il comma 4 dell’articolo 22 stabilisce la decorrenza delle norme così introdotte.
In particolare, le norme che ampliano
l’ammontare del reddito detassato e le norme che estendono le agevolazioni ai
cittadini extra UE (comma 3, lettera a), n.
2 e lettera c)) si applicano a decorrere
dal periodo d’imposta in corso al 1°
gennaio 2017.
Si prevede inoltre che l’innalzamento al cinquanta per cento della quota di reddito esente da IRPEF (comma 3, lettera a), n. 2) si applichi, per i periodi d’imposta dal 2017 al 2020, anche ai lavoratori dipendenti che nell’anno 2016 hanno trasferito la residenza nel territorio dello Stato (ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, TUIR, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986), e ai soggetti che, nel medesimo anno 2016 hanno esercitato l’opzione ai sensi del comma 4 dell’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147.
In sostanza, per le annualità 2017-2020 viene esentato da IRPEF il cinquanta per cento del reddito dei lavoratori dipendenti che hanno acquisito la residenza in Italia nel 2016 e quello dei soggetti, destinatari della legge n. 238 del 2010, che nell’anno 2016 hanno scelto invece di applicare il nuovo regime del predetto articolo 16.
Tali categorie di soggetti, per effetto delle
norme proposte, per i rimanenti quattro
anni dell’agevolazione (atteso che già nel 2016 hanno fruito della
riduzione dell’imponibile per il trenta per cento) hanno diritto a una riduzione dell’imponibile in misura più
elevata (cinquanta per cento).
I commi da 5 a 7 e da 10 a 12 dell’articolo 22 introducono un’imposta sostitutiva forfettaria sui redditi prodotti all’estero.
In particolare il comma 5 – introducendo un articolo 24-bis nel Testo unico delle imposte sui redditi - TUIR, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 - consente alle persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia di optare per l’applicazione di una imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero, a specifiche condizioni.
Destinatari della norma (comma 1 del nuovo articolo 24-bis) sono le persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia ai sensi dell’articolo 2, comma 2 TUIR. Esse non devono essere state residenti in Italia in almeno nove dei dieci periodi d’imposta che precedono l’inizio del periodo di validità dell’opzione. L’imposta sostitutiva colpisce i redditi prodotti all’estero, individuati ai sensi dell’articolo 165, comma 2 del TUIR, norma che rinvia ai criteri di cui all’articolo 23 TUIR.
In assenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni, il reddito si considera prodotto all’estero sulla base di criteri reciproci rispetto a quelli previsti dal menzionato articolo 23 del TUIR, che individua i redditi prodotti nel territorio dello Stato in relazione alle diverse tipologie.
L’imposta sostitutiva non si applica alle plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate (di cui all’articolo 67, comma 1, lettera c) TUIR), realizzate nei primi cinque periodi d’imposta di validità dell’opzione. Esse rimangono comunque soggette al regime ordinario di imposizione (di cui all’articolo 68, comma 3 TUIR: esse concorrono alla formazione del reddito, al netto delle relative minusvalenze, nella misura del 49,72% secondo quanto disposto dal D.M. 2 aprile 2008).
Il comma 2 del nuovo articolo 24-bis del TUIR fissa la misura dell’imposta sostitutiva, calcolata in via forfettaria, a prescindere dall’importo dei redditi percepiti, nella misura di 100.000 euro per ciascun periodo d’imposta in cui è valida la predetta opzione.
L’importo è ridotto a 25.000 euro per ciascun periodo d’imposta per ciascuno dei familiari (di cui al comma 6) a cui il soggetto passivo può chiedere di estendere l’applicazione dell’imposta sostitutiva.
L’imposta è versata in un’unica soluzione entro la data prevista per il versamento del saldo delle imposte sui redditi. Per l’accertamento, la riscossione, il contenzioso e le sanzioni si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Essa non è deducibile da nessuna altra imposta o contributo.
Il comma 3 disciplina la procedura per l’esercizio dell’opzione. L’opzione può infatti essere esercitata dopo aver ottenuto risposta favorevole a specifica istanza di interpello probatorio, presentata all’Agenzia delle entrate, in base all’articolo 11, comma 1, lettera b), dello Statuto dei contribuenti (legge n. 212 del 2000).
Si rammenta che il D.Lgs. n. 156 del 7 ottobre 2015 ha riformato la disciplina degli interpelli in attuazione della legge 11 marzo 2014, n. 23 (legge di delega fiscale).
Tra le forme di interpello ivi disciplinate, l’interpello probatorio (comma 1, lettera b) dello Statuto dei contribuenti) riguarda la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l'adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti dalla legge.
L’opzione va esercitata entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui viene trasferita la residenza in Italia; è efficace a decorrere da tale periodo d’imposta.
Nell’opzione deve essere indicata la giurisdizione o le giurisdizioni dell’ultima residenza fiscale prima dell’esercizio di validità dell’opzione. L’Agenzia delle entrate trasmette tali informazioni, attraverso gli idonei strumenti di cooperazione amministrativa, alle autorità fiscali delle giurisdizioni indicate come luogo di ultima residenza fiscale prima dell’esercizio di validità dell’opzione.
Ai sensi del comma 4 l’opzione è revocabile; comunque cessa di produrre effetti decorsi quindici anni dal primo periodo d’imposta di validità.
Gli effetti dell’opzione cessano in ogni caso in ipotesi di omesso o parziale versamento, in tutto o in parte, dell’imposta sostitutiva, nella misura e nei termini previsti dalle vigenti disposizioni di legge, fatti salvi gli effetti prodotti nei periodi d’imposta precedenti. La revoca o la decadenza dal regime precludono l’esercizio di una nuova opzione.
Il comma 5 dell’articolo 24-bis consente di scegliere, per sé o per i propri familiari, di non avvalersi dell’applicazione dell’imposta sostitutiva con riferimento ai redditi prodotti in uno o più Stati o territori esteri, dandone specifica indicazione in sede di esercizio dell’opzione, ovvero con successiva modifica della stessa.
Soltanto in tal caso, per i redditi prodotti nei suddetti Stati o territori esteri espressamente indicati si applica il regime ordinario e compete il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero. Ai fini dell’individuazione dello Stato o territorio estero in cui sono prodotti i redditi, si applicano i criteri di cui al già menzionato articolo 23 TUIR.
Ai sensi dell’articolo 24-bis, comma 6, il beneficiario dell’opzione può chiedere che essa venga estesa, nel corso di tutto il periodo di validità, a uno o più familiari individuati dall’articolo 433 del codice civile: si tratta dei soggetti obbligati a prestare gli alimenti nei casi disposti dal codice civile, ossia il coniuge, i figli anche adottivi (in loro mancanza, i discendenti prossimi), i genitori (in loro mancanza, gli ascendenti prossimi) e gli adottanti, i generi e le nuore, il suocero e la suocera, i fratelli e le sorelle germani o unilaterali.
Per usufruire dell’imposta sostitutiva i familiari si devono trovare nelle medesime condizioni poste dal comma 1 dell’articolo 24-bis in esame: devono avere trasferito la propria residenza fiscale in Italia, ma non devono essere state residenti fiscalmente nello Stato per un periodo almeno pari a nove periodi di imposta nel corso dei dieci precedenti l’inizio del periodo di validità dell’opzione.
In tale ipotesi, il soggetto che esercita l’opzione indica la giurisdizione o le giurisdizioni in cui i familiari a cui si estende il regime avevano l’ultima residenza prima dell’esercizio di validità dell’opzione. L’estensione dell’opzione può essere revocata in relazione ad uno o più familiari. La revoca dall’opzione o la decadenza dal regime del soggetto che esercita l’opzione si estendono anche ai familiari.
Tuttavia, la decadenza dal regime di uno o più dei familiari per omesso o parziale versamento dell’imposta sostitutiva loro riferita non comporta decadenza dal regime per le persone fisiche che hanno esercitato l’opzione in prima persona.
Il comma 6 dell’articolo in esame reca alcune disposizioni applicative del nuovo regime. In particolare, i soggetti che esercitano l’opzione per l’imposta sostitutiva sui redditi esteri per i periodi d’imposta di validità dell’opzione ivi prevista:
§ non sono tenuti agli obblighi di dichiarazione di attività e investimenti esteri (cui all’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167);
§ sono esenti dall’imposta sul valore degli immobili situati all'estero - IVIE e dall’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio - IVAFE, rispettivamente previste dall’articolo 19, commi 13 e 18, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201.
Analoghe agevolazioni si applicano ai familiari cui è estesa l’opzione (ai sensi del comma 6 dell’articolo 24-bis).
Il comma
7 chiarisce che gli effetti dell’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva sui redditi prodotti
all’estero non sono cumulabili con
gli incentivi per il rientro in Italia di ricercatori residenti all’estero (di
cui all’articolo 44 del decreto-legge n. 78 del 2010), né con le agevolazioni
per il rientro dei lavoratori qualificati (articolo 16 del decreto legislativo
14 settembre 2015, n. 147), per i quali si veda più approfonditamente supra.
Il comma 10 demanda ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, le modalità applicative per l’esercizio, la modifica o la revoca dell’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero.
Con il comma 11 si prevede che, per le successioni aperte e le donazioni effettuate nei periodi d’imposta di validità dell’opzione prevista dall’articolo 24-bis TUIR, introdotto dalle norme in esame, l’imposta sulle successioni e donazioni sia dovuta limitatamente ai beni e diritti esistenti nello Stato al momento della successione o della donazione.
Il nuovo regime (comma 12) si applica ai redditi relativi all’anno d’imposta 2017 (dunque a partire dagli adempimenti dichiarativi per l’anno successivo).
Il comma 8 dell’articolo 22 affida a un decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministro dell’interno, il compito di individuare forme di agevolazione nella trattazione delle domande di visto di ingresso e di permesso di soggiorno applicabili a chi trasferisce la propria residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’introdotto articolo 24-bis TUIR, al fine di favorire l'ingresso di significativi investimenti in Italia, anche preordinati ad accrescere i livelli occupazionali.
Il comma 9 affida a un decreto dei medesimi ministeri (Ministro degli affari esteri di concerto con il Ministro dell’interno), nel rispetto della normativa vigente nazionale ed europea, l’individuazione di forme di agevolazione nella trattazione delle domande di visto di ingresso e di permesso di soggiorno connesse con start-up innovative, con iniziative d'investimento, di formazione avanzata, di ricerca o di mecenatismo, da realizzare anche in partenariato con imprese, università, enti di ricerca ed altri soggetti pubblici o privati italiani.
Articolo 23
(Premio di produttività e welfare
aziendale)
L’articolo 23, al comma 1 reca, in primo luogo, alcune modifiche alla disciplina tributaria specifica per gli emolumenti retributivi dei lavoratori dipendenti privati di ammontare variabile e la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili, nonché per le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa. In secondo luogo, il comma 1 reca norme su alcuni valori, somme o servizi, percepiti o goduti dal dipendente, per sua scelta, in sostituzione, totale o parziale, delle somme oggetto del suddetto regime tributario agevolato - cosiddetto welfare aziendale -. Sempre in tema di welfare aziendale, i commi 2 e 3 concernono l'esclusione di alcune fattispecie dalla base imponibile IRPEF del lavoratore dipendente.
Il comma 1 reca alcune novelle alla disciplina tributaria specifica - attualmente stabilita dall'art. 1, commi da 182 a 189, della L. 28 dicembre 2015, n. 208, e dal D.M. 25 marzo 2016 - per gli emolumenti retributivi dei lavoratori dipendenti privati di ammontare variabile e la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili, nonché per le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.
Si ricorda che tale regime tributario (fatta in ogni caso salva l'ipotesi di espressa rinunzia al medesimo da parte del lavoratore) consiste in un'imposta sostitutiva dell'IRPEF e delle relative addizionali regionali e comunali, pari al 10%, e concerne esclusivamente le somme ed i valori suddetti corrisposti in esecuzione di contratti collettivi territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o di contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali delle suddette associazioni ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
Le novelle di cui alla lettere a) ed e) del comma 1 elevano i limiti di importo complessivo dell'imponibile ammesso al regime tributario in oggetto. Gli attuali limiti - pari a 2.000 euro lordi, ovvero a 2.500 euro lordi per le imprese che coinvolgano pariteticamente i lavoratori nell'organizzazione del lavoro - sono elevati, rispettivamente, a 3.000 ed a 4.000 euro (lordi).
La novella di cui alla lettera d) amplia l'àmbito soggettivo dei lavoratori dipendenti privati ammessi al regime in esame. Secondo la norma vigente, vi rientrano i titolari di reddito da lavoro dipendente privato di importo non superiore, nell’anno precedente quello di percezione, a 50.000 euro; la novella eleva quest'ultimo parametro a 80.000 euro.
La novella di cui alla lettera b) specifica che i valori e servizi percepiti o goduti dal dipendente - relativi a uso promiscuo di veicoli, concessione di prestiti, fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato, servizi gratuiti di trasporto ferroviario - e considerati, in base alle norme fiscali ivi richiamate, come reddito da lavoro dipendente ai fini IRPEF rientrano nell'imposizione IRPEF ordinaria anche qualora il dipendente fruisca dei medesimi valori o servizi in sostituzione (totale o parziale) delle somme oggetto del suddetto regime tributario agevolato.
La novella di cui alla lettera c) prevede che alcuni valori, somme o servizi, qualora siano percepiti o goduti dal dipendente, per sua scelta, in sostituzione, totale o parziale, delle somme oggetto del suddetto regime tributario agevolato, siano esclusi da ogni forma di imposizione tributaria (sia ordinaria sia agevolata). Tali fattispecie sono le seguenti: i contributi alle forme pensionistiche complementari, anche se versati in eccedenza rispetto ai relativi limiti di deducibilità (ai fini IRPEF) dal reddito da lavoro dipendente (tali contributi eccedenti, inoltre, non concorrono a formare la parte imponibile della prestazione complementare, in deroga alle norme generali ivi richiamate[24]); i contributi di assistenza sanitaria (destinati ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale), anche se versati in eccedenza rispetto ai relativi limiti di esenzione dall'IRPEF; il valore di azioni offerte alla generalità dei dipendenti, anche se ricevute per un importo complessivo superiore (nel periodo d'imposta) a quello escluso (in base alla relativa norma generale) dal reddito da lavoro dipendente ai fini IRPEF[25].
Il successivo comma 2 esclude dalla base imponibile IRPEF i contributi ed i premi versati dal datore di lavoro, in favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti, per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o il rischio di gravi patologie.
Riguardo alla prima tipologia di rischio, con
il richiamo normativo posto dal comma 2,
si fa riferimento alle seguenti prestazioni: prestazioni sociali a rilevanza
sanitaria, da garantire alle persone non autosufficienti, al fine di favorire
l'autonomia e la permanenza a domicilio, con particolare riguardo
all'assistenza tutelare, all'aiuto personale nello svolgimento delle attività
quotidiane, all'aiuto domestico familiare, alla promozione di attività di
socializzazione volta a favorire stili di vita attivi, nonché prestazioni della
medesima natura da garantire presso le strutture residenziali e
semi-residenziali per le persone non autosufficienti non assistibili a
domicilio, incluse quelle di ospitalità alberghiera; prestazioni sanitarie a
rilevanza sociale, correlate alla natura del bisogno, da garantire alle persone
non autosufficienti in ambito domiciliare, semi-residenziale e residenziale,
articolate in base all'intensità, complessità e durata dell'assistenza.
Il comma 3 pone una norma di interpretazione autentica - avente, quindi, effetto retroattivo - relativa alla nozione, ai fini dell'esenzione dall'IRPEF, delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro, volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti ed ai familiari[26] per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto. Si chiarisce che rientrano in tale nozione anche le opere ed i servizi riconosciuti dal datore in conformità a disposizioni di contratti di lavoro nazionali o territoriali (oltre che di contratti aziendali) ovvero di accordo interconfederale.
L’articolo 24 riduce a regime l’aliquota contributiva dovuta dai lavoratori autonomi (titolari di posizione fiscale ai fini dell'Imposta sul Valore Aggiunto) iscritti alla gestione separata INPS (di cui all'articolo 2, comma 26, della L. 335/1995) in misura pari al 25%. Per effetto di tale riduzione, l’aliquota risulta essere minore di quattro punti percentuali (25% in luogo del 29%), per il 2017, e di otto punti percentuali (25% in luogo del 33%) a decorrere dal 2018[27].
Attualmente la disciplina in materia per il quadriennio 2014-2017 (prevista dall’articolo 10-bis del D.L. 192/2014) prevede che l’aliquota contributiva (di cui all'articolo 1, comma 79, della L. 247/2007) per i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS, non iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria, né pensionati, sia pari al 27% per il biennio 2014-2015, al 28% per il 2016 e al 29% per il 2017. A decorrere dal 2018, l’articolo 2, comma 57, della L. 92/2012, ha stabilito un’aliquota pari al 33%.
L’articolo 25 introduce, in via sperimentale dal 1° maggio 2017 al 31 dicembre 2018, l’Anticipo finanziario a garanzia pensionistica (cd. APE) e una indennità, a favore di determinate categorie di soggetti in condizioni di disagio sociale, spettante fino alla maturazione dei requisiti pensionistici (c.d. APE sociale).
L’APE consiste in un prestito concesso da un soggetto finanziatore e coperto da una polizza assicurativa obbligatoria per il rischio di premorienza corrisposto, a quote mensili per dodici mensilità, a un soggetto in possesso di specifici requisiti, da restituire a partire dalla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia con rate di ammortamento mensili per una durata di venti anni.
L’APE è prevista in via sperimentale dal 1° maggio 2017 al 31 dicembre 2018; entro tale data il Governo verifica i risultati della sperimentazione ai fini di una sua eventuale prosecuzione.
Possono accedere all’APE i soggetti in possesso dei seguenti requisiti (comma 2):
§ soggetti iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria (AGO), alle forme sostitutive ed esclusive della medesima e alla gestione separata (di cui all’articolo 2, comma 26, della legge n.335/1995);
§ età anagrafica minima di 63 anni;
§ maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi;
§ anzianità contributiva di 20 anni;
§ pensione pari almeno a 1,4 volte il trattamento minimo (al netto della rata di ammortamento dell’APE);
§ non essere già titolare di un trattamento pensionistico diretto.
Il soggetto richiedente presenta[28] domanda all’INPS di certificazione del diritto all’Ape[29]. L’INPS verifica il possesso dei requisiti, certifica il diritto e comunica al soggetto richiedente l’importo minimo e massimo dell’Ape ottenibile (comma 3).
Una volta ottenuta dall’INPS la certificazione del diritto, il soggetto presenta, utilizzando appositi modelli, domanda di Ape e di pensione (da liquidarsi al raggiungimento dei requisiti di legge), indicando il finanziatore e l’impresa assicurativa (per la copertura del rischio di premorienza).
La domanda di Ape e di pensione non sono revocabili (fatto salvo il diritto di recesso)[30].
I finanziatori e le imprese assicurative sono scelti tra quelli che aderiscono agli accordi-quadro da stipularsi tra il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e, rispettivamente, l’Associazione Bancaria Italiana e l’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici ed altre imprese assicurative primarie.
Con gli accordi-quadro sono definiti anche il tasso di interesse e la misura del premio assicurativo (comma 9)
Le informazioni precontrattuali e contrattuali (previste dalla legislazione vigente) sono fornite ai soggetti richiedenti dall’INPS per conto del finanziatore e dell’impresa assicurativa (sulla base della documentazione da questi fornita).
L’attività svolta dall’INPS non costituisce esercizio di agenzia in attività finanziaria, né di mediazione creditizia, né di intermediazione assicurativa (comma 4).
L’entità minima e massima dell’Ape richiedibile sono determinate con successivo DPCM, mentre la durata minima è di 6 mesi.
Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del titolo VI del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia[31] (relative alla trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti), il prestito costituisce credito ai consumatori se di importo non superiore ai 75.000 euro.
Ai fini della normativa antiriciclaggio[32], l'operazione di finanziamento è sottoposta a obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela (definiti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Comitato di sicurezza finanziaria), tenuto conto della natura del prodotto e di ogni altra circostanza riferibile al profilo di rischio connesso all'operazione di finanziamento.
Le comunicazioni periodiche al soggetto finanziato e assicurato, anche in deroga a quanto previsto dalla legge, sono definite con successivo D.P.C.M. (comma 5).
L’istituto finanziatore trasmette all’INPS e al soggetto richiedente il contratto di prestito o l’eventuale comunicazione di reiezione dello stesso.
Per il perfezionamento del contratto di finanziamento e della polizza assicurativa del rischio di premorienza l’identificazione del soggetto richiedente è effettuata dall’INPS (anche avvalendosi di collaboratori esterni in convenzione[33]) con il sistema SPID[34].
In caso di concessione del prestito, dalla data di perfezionamento del contratto decorre il termine per l’esercizio del diritto di recesso[35], a condizione che il richiedente abbia ricevuto dall’INPS tutte le informazioni precontrattuali e contrattuali previste ai sensi di legge.
In caso di reiezione della richiesta (o di recesso da parte del soggetto richiedente), la domanda di pensione è priva di effetti.
Il prestito decorre entro 30 giorni lavorativi dal predetto perfezionamento.
Le somme erogate dall’INPS nell’ambito del prestito non concorrono a formare il reddito ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. A fronte degli interessi sul finanziamento e dei premi assicurativi per la copertura del rischio di premorienza corrisposti al soggetto erogatore, è riconosciuto un credito di imposta annuo nella misura massima del 50 per cento dell’importo pari a un ventesimo degli interessi e dei premi assicurativi complessivamente pattuiti nei relativi contratti. Tale credito d'imposta non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi ed è riconosciuto dall’INPS per l’intero importo rapportato a mese a partire dal primo pagamento del trattamento di pensione. L'INPS recupera il credito rivalendosi sulle ritenute da versare mensilmente all'Erario nella sua qualità di sostituto d'imposta.
All’APE si applica la disciplina dell’imposta sostitutiva sulle operazioni di finanziamento, di cui gli articoli da 15 a 22 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 (comma 12) [36].
L'INPS trattiene a partire dalla prima pensione mensile l'importo della rata per il rimborso del finanziamento e lo riversa al finanziatore tempestivamente (e comunque non oltre 180 giorni dalla data di scadenza della medesima rata) (comma 6).
Gli effetti della trattenuta non rilevano ai fini del riconoscimento di prestazioni assistenziali e previdenziali sottoposte alla prova dei mezzi (comma 13).
I datori di lavoro del settore privato del richiedente, gli enti bilaterali o i fondi di solidarietà possono, con il consenso del richiedente, incrementare il montante contributivo individuale maturato, versando all’INPS, in unica soluzione al momento della richiesta dell’APE, un contributo non inferiore, per ciascun anno (o sua frazione) di anticipo rispetto alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, all’importo determinato dalla normativa in materia di prosecuzione volontaria[37].
Il comma 8 istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un apposito Fondo di garanzia per l’accesso all’APE, con una dotazione iniziale pari a 70 milioni di euro per il 2017.
Esso è alimentato dalle disponibilità del Fondo di garanzia per l’accesso ai finanziamenti per i datori di lavoro con meno di 50 dipendenti che non intendano erogare immediatamente in busta paga le quote di TFR maturando con risorse proprie, istituito dall’articolo 1, comma 32 della legge 29 dicembre 2014, n. 190[38]. Dette disponibilità sono pertanto versate all’entrata del bilancio dello Stato per il corrispondente importo di 70 milioni di euro nell’anno 2017 ed, a tale scopo, viene istituito un apposito conto corrente presso la tesoreria dello Stato.
Il fondo è ulteriormente alimentato con le commissioni di accesso al fondo che a tal fine sono versate all'entrata del bilancio dello Stato – sul conto corrente sopradetto - per la successiva riassegnazione al Fondo.
La garanzia del Fondo copre l’80 per cento del finanziamento dell’anticipo finanziario di cui al comma 1 e dei relativi interessi e, precisa la norma , è “a prima richiesta, esplicita, incondizionata, irrevocabile e onerosa”. Essa è a sua volta assistita, con riguardo agli interventi da effettuare, dalla ulteriore garanzia dello Stato, che ne ha le medesime caratteristiche, quale “garanzia di ultima istanza”[39]. Il finanziamento è altresì assistito automaticamente dal privilegio di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile[40], ed il Fondo di garanzia è surrogato di diritto alla banca, per l’importo pagato, nel privilegio medesimo.
Il comma 8 in esame dispone altresì che:
§ la garanzia dello Stato è elencata nell’allegato allo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, di cui all’articolo 31 della legge n.196/2009;
§ il finanziamento e le formalità a esso connesse nell’intero svolgimento del rapporto sono esenti dall’imposta di registro, dall’imposta di bollo, e da ogni altra imposta indiretta, nonché da ogni altro tributo o diritto.
La gestione del Fondo è affidata all’INPS sulla base di apposita convenzione (comma 11).
Si prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, (di concerto con
il Ministro dell’economia delle finanze e con il Ministro del lavoro e delle
politiche sociali), da adottare entro 60
giorni dalla data di entrata in vigore della legge, vengano definite le ulteriori modalità di attuazione della
disciplina dell’Ape.
In particolare, la disciplina attuativa dovrà definire:
§ ulteriori criteri, condizioni e adempimenti per l’accesso al finanziamento;
§ criteri, condizioni e modalità di funzionamento del Fondo di garanzia e di garanzia di ultima istanza dello Stato;
§ i modelli per la presentazione della domanda di Ape;
§ le modalità di estinzione anticipata dell’Ape;
§ la misura minima e massima dell’Ape;
§ le comunicazioni periodiche da inviare al soggetto finanziato e assicurato, anche in deroga alla normativa vigente.
L’APE sociale consiste in una indennità, corrisposta fino al conseguimento dei requisiti pensionistici, a favore di soggetti che si trovino in particolari condizioni.
L’APE sociale è prevista in via sperimentale dal 1° maggio 2017 al 31 dicembre 2018; entro tale data il Governo verifica i risultati della sperimentazione ai fini di una sua eventuale prosecuzione.
Soggetti beneficiari e requisiti
Possono accedere all’APE sociale i soggetti in possesso dei seguenti requisiti (comma 14):
§ età anagrafica minima di 63 anni;
§ soggetti in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento (anche collettivo) dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale[41] che abbiano concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi e siano in possesso di un anzianità contributiva di almeno 30 anni;
§ soggetti che assistono da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave[42] in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio1992, n. 104 e sono in possesso di un anzianità contributiva di almeno 30 anni;
§ soggetti che hanno una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74% (accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile) e sono in possesso di un anzianità contributiva di almeno 30 anni;
§ lavoratori dipendenti al momento della decorrenza dell’APE sociale, che svolgono specifiche attività lavorative “gravose”[43] da almeno sei anni in via continuativa, per le quali è richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltoso e rischioso il loro svolgimento, e sono in possesso di un anzianità contributiva di almeno 36 anni.
L’erogazione dell’APE sociale è esclusa nei seguenti casi (commi 15, 17 e 18):
§ mancata cessazione dell’attività lavorativa;
§ titolarità di un trattamento pensionistico diretto;
§ soggetti beneficiari di trattamenti di sostegno al reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria;
§ soggetti titolari di assegno di disoccupazione (ASDI)[44];
§ soggetti che beneficiano di indennizzo per cessazione di attività commerciale[45];
§ raggiungimento dei requisiti per il pensionamento anticipato;
L’indennità è comunque compatibile con la
percezione di redditi da lavoro nei
limiti di 8.000 euro annui.
§ Si evidenzia la necessità di coordinare le disposizioni che subordinano la concessione dell’indennità alla “cessazione dell’attività lavorativa” (comma 15) e, allo stesso tempo, ne prevedono la compatibilità con la percezione di redditi da lavoro entro il limite di 8.000 euro annui (comma 18).
L’indennità è pari all’importo della rata mensile della pensione calcolata al momento dell’accesso alla prestazione.
L’indennità non può in ogni caso superare l’importo massimo mensile di 1.500 euro.
L’importo dell’indennità non è soggetto a rivalutazione.
L’indennità è erogata mensilmente su dodici mensilità all’anno.
§ Per i dipendenti pubblici[46] che cessano l’attività lavorativa e richiedono l’APE sociale si prevede che i termini di pagamento delle indennità di fine servizio (comunque denominate)[47] iniziano a decorrere dal raggiungimento del requisito anagrafico previsto per il pensionamento di vecchiaia[48] (comma 19).
Il beneficio dell’indennità è riconosciuto, a domanda, entro i seguenti limiti annuali di spesa (comma 21):
§ 300 milioni di euro per l'anno 2017;
§ 609 milioni di euro per l'anno 2018;
§ 647 milioni di euro per l'anno 2019;
§ 462 milioni di euro per l’anno 2020;
§ 280 milioni di euro per l’anno 2021;
§ 83 milioni di euro per l’anno 2022;
§ 8 milioni di euro per l’anno 2023.
Qualora dal monitoraggio delle domande presentate ed accolte emerga il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, rispetto alle risorse finanziarie disponibili, la decorrenza della indennità è differita, con criteri di priorità (da definire con successivo DPCM) in ragione della maturazione dei requisiti (e, a parità di requisiti, in ragione della data di presentazione della domanda), al fine di garantire un numero di accessi all’indennità non superiore al numero programmato in relazione alle predette risorse finanziarie.
Si prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, (di concerto con
il Ministro dell’economia delle finanze e con il Ministro del lavoro e delle
politiche sociali), da adottare entro 60
giorni dalla data di entrata in vigore della legge, vengano definite le modalità di attuazione della disciplina dell’Ape
sociale (comma 20).
In particolare, la disciplina attuativa dovrà definire:
§ la determinazione delle caratteristiche specifiche delle attività lavorative di cui al comma 14 lettera d);
§ le procedure accertative delle condizioni per l’accesso al beneficio e la documentazione da presentare;
§ le disposizioni attuative di quanto previsto dai commi da 14 a 21, con particolare riferimento:
- all’attività di monitoraggio ai fini del contenimento della spesa entro i limiti annualmente previsti e alla individuazione dei criteri di priorità per la selezione delle domande;
- e alla procedura di cui al comma 21, da effettuarsi con il procedimento di cui all'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241;
- alla disciplina del procedimento accertativo anche in relazione alla documentazione da presentare per accedere all’indennità;
- alle comunicazioni che l'ente previdenziale erogatore dell’indennità fornisce all'interessato in esito alla presentazione della domanda di accesso al beneficio;
- alla predisposizione di criteri da seguire nell'espletamento dell'attività di verifica ispettiva da parte del personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché degli enti che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria;
- alle modalità di utilizzo, da parte dell'ente previdenziale, delle informazioni relative alla dimensione e all'assetto organizzativo dell'azienda e alle tipologie di lavorazioni aziendali, anche come risultanti dall'analisi dei dati amministrativi in possesso degli enti previdenziali, ivi compresi quelli assicuratori nei confronti degli infortuni sul lavoro;
- alle forme e modalità di collaborazione tra enti che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria, con particolare riferimento allo scambio di dati ed elementi conoscitivi in ordine alle tipologie di lavoratori interessati.
Tabella 2 - Principali modalità di pensionamento anticipato nella normativa vigente
TIPOLOGIA |
DESTINATARI |
FONTE
NORMATIVA |
Pensione
anticipata |
L'accesso al trattamento pensionistico è consentito con un'anzianità contributiva,
attualmente, di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le
donne. Eventuali pensionamenti prima dei 62 anni sono soggetti a
penalizzazioni (escluse fino al 2017) |
Art. 24, c. 10.
D.L. 201/2011 Art. 6, c. 2-quater, D.L. 216/2011 Art. 1, c. 113, L. 190/2014 |
Pensione anticipata contributiva |
Ai lavoratori con riferimento ai quali il primo
accredito contributivo decorre successivamente al 1° gennaio 1996, l'accesso
al trattamento pensionistico è consentito a 63 anni e 7 mesi, con almeno 20
anni di contribuzione effettiva, a condizione che l'ammontare mensile della
prima rata di pensione risulti non inferiore a 2,8 volte l'importo mensile
dell'assegno sociale (circa 1.255 euro al mese per il 2016) |
Art. 24, c. 11,
D.L. 201/2011 |
Part time
agevolato |
Nel settore privato è possibile concordare la
trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro
subordinato, con una riduzione dell’orario di lavoro compresa tra il 40 e il
60 per cento, per i dipendenti che maturino il diritto alla pensione entro il
31 dicembre 2018, con copertura pensionistica figurativa per la quota di
retribuzione perduta e con la corresponsione al dipendente, da parte del datore
di lavoro, di una somma pari alla contribuzione pensionistica che sarebbe
stata a carico di quest'ultimo (relativa alla prestazione lavorativa non
effettuata) |
Art. 1, c. 284, L. 208/2015 |
Opzione
donna |
Misura sperimentale (fino a tutto il 2016) che
prevede la possibilità per le lavoratrici dipendenti che hanno maturato,
entro il 31 dicembre 2015 (anche qualora la decorrenza del trattamento così
liquidato non sia possibile entro il 31 dicembre 2015), 35 anni di contributi
e 57 anni e 3 mesi di età (58 anni e 3 mesi per le lavoratrici autonome) di accedere anticipatamente al trattamento
pensionistico, a condizione che optino per il sistema di calcolo contributivo
integrale. |
Art. 1, c. 9, L.
234/2004 Art. 1, c. 281, L.
208/2015 |
Regime agevolato dipendenti settore privato |
Nel settore
privato, possono accedere al trattamento pensionistico, ad importo pieno: -
all’età di 64
anni e 7 mesi entro luglio 2017 i lavoratori con almeno 35 anni di
contributi, maturati entro il 31 dicembre 2012 (purché abbiano perfezionato
“quota 96” quale somma tra età anagrafica e contributiva in presenza di
un’età anagrafica minima di 60 anni); -
all’età di 64
anni e 7 mesi entro luglio 2017 le lavoratrici con almeno 20 anni di
contributi e 60 anni di età entro il 31 dicembre 2012 |
Art. 24, c. 15-bis, D.L. 201/2011 |
Lavori
usuranti |
I lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente
faticose e pesanti (c.d. lavori usuranti), con almeno 35 anni di anzianità
contributiva, ferma restando la possibilità di accedere alla pensione anticipata,
possono accedere (a determinate condizioni) al pensionamento attraverso il
sistema delle “quote” (“quota 97”, quale somma tra età anagrafica e
contributiva, dal 2013, requisito soggetto all’adeguamento alla speranza di
vita) |
Art. 1, D.Lgs. 67/2011 Art. 24, c. 17,
D.L. 201/2011 |
Lavoratori
esposti all’amianto |
Ai lavoratori esposti all’amianto si applica: -
una
maggiorazione dell’1,5% ai periodi di prestazione lavorativa nelle miniere e
nelle cave di amianto; -
una
maggiorazione dell’1,5% al periodo di esposizione all’amianto, nel caso di
contrazione di malattia professionale; -
una
maggiorazione dell’1,25% (dell’1,5% fino a tutto il 2016 per i lavoratori
collocati in mobilità e con esposizione oltre 10 anni in presenza di
determinate condizioni) all’intero periodo di esposizione all’amianto, purché
di durata superiore a 10 anni, ai soli fini della determinazione dell'importo
(e non della maturazione del diritto di accesso) delle prestazioni
pensionistiche. Inoltre, con almeno 30 anni di contribuzione, è
riconosciuta, a determinate condizioni, una maggiorazione dell'anzianità
assicurativa e contributiva pari al periodo necessario per la maturazione del
requisito dei 35 anni e, in ogni caso, non superiore al periodo compreso tra
la data di risoluzione del rapporto e quella del compimento di 60 anni, se
uomini, o 55 anni, se donne. La disposizione è stata prorogata per il triennio
2016-2018 a favore dei lavoratori ammalati con patologia asbesto-correlata
accertata e riconosciuta |
Art. 13, c. 2, 6,
7 e 8, L. 257/1992 Art. 47, c. 1,
D.L. 269/2003 Art. 1, c.
115-117, L. 190/2014 Art. 10, c. 12-viciesbis, D.L. 192/2014 Art. 1, c. 274-279, L. 208/2015 |
Isopensione |
Nei casi di
eccedenza di personale (con accordi tra datori di lavoro che impieghino
mediamente più di 15 dipendenti e le organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative), il lavoratore può ricevere, a condizione che raggiunga i
requisiti minimi per il pensionamento (di vecchiaia o anticipato) nei 4 anni
successivi, una prestazione (a carico del datore di lavoro) di importo pari
al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti. |
Art. 4, c. 1,
L. 92/2012 |
Fondi di solidarietà |
Nei casi di riduzione o sospensione dell'attività
lavorativa i fondi di solidarietà bilaterali possono prevedere un assegno
straordinario per il sostegno al reddito, riconosciuto nel quadro dei
processi di agevolazione all'esodo, a lavoratori che raggiungano i requisiti
previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi 5 anni
(7 anni limitatamente a biennio 2016-17); |
Art. 26, c. 9, lett. b), D.Lgs. 148/2015; Art. 12, c. 1, D.L. 59/2016 |
Contratti solidarietà espansivi (cd. staffetta
generazionale) |
Ai lavoratori delle imprese nelle quali siano stati
stipulati contratti di solidarietà espansivi, che abbiano una età inferiore
(di non più di 24 mesi) a quella prevista per la pensione di vecchiaia e
abbiano maturato i requisiti minimi di contribuzione per la pensione di
vecchiaia, spetta, a determinate condizioni, il trattamento di pensione nel
caso in cui abbiano accettato di svolgere una prestazione di lavoro di durata
non superiore alla metà dell'orario di lavoro praticato prima della riduzione
convenuta nel contratto di solidarietà. |
Art. 41, c. 5-6, D.Lgs.
148/2015 |
L’articolo 26 ridetermina, dal 2017, l’importo e le modalità di fruizione della cd. “quattordicesima”, cioè della somma aggiuntiva introdotta (dal 2007) al fine di incrementare i trattamenti pensionistici di importo più basso.
La norma interviene sulla disciplina della cd.
“quattordicesima”, somma introdotta
dal 2007 per incrementare i trattamenti pensionistici di importo più basso
(articolo 5, commi 1-4, del D.L. 81/2007). In particolare, vengono rideterminati (dal 2017)
l’importo della somma ed i requisiti reddituali richiesti per la fruizione della stessa, la quale viene
erogata non più solamente se il soggetto interessato possieda un reddito
complessivo individuale non superiore a 1,5 volte il trattamento minimo annuo
I.N.P.S. (pari, per il 2016, a 501,89 euro), ma anche, con importi diversi, nei
casi in cui il soggetto possieda redditi superiori a 1,5 volte - e fino al
limite di 2 volte - il trattamento minimo INPS.
A
tal fine:
§ viene
sostituita la Tabella A (allegata al medesimo D.L. 81/2007) che determina le
modalità di fruizione della somma in base ai requisiti richiesti (comma 1, lettera a));
§ si precisa (comma 1, lettera b)) che
la somma spetti, nel caso in cui si possieda un reddito complessivo individuale
non superiore a 1,5 volte il
richiamato trattamento minimo annuo, in misura pari:
- a 437
euro annui per i pensionati ex
lavoratori dipendenti con anzianità contributiva fino a 15 anni e per gli ex autonomi che abbiano versato i
contributi fino a 18 anni;
- a 546 euro annui per i pensionati ex lavoratori dipendenti con anzianità contributiva tra i 15 e i 25 anni e per gli ex lavoratori autonomi dai 18 ai 28 anni di contributi versati;
- a
655 euro annui per i pensionati ex lavoratori dipendenti con più di 25
anni di contributi e i pensionati ex
lavoratori autonomi con più di 28 anni di contributi versati;
§ si precisa (comma 1, lettera b)) che
la somma, nel caso in cui si possieda un reddito complessivo individuale annuo
INPS compreso tra 1,5 volte e 2 volte
il trattamento minimo annuo, spetti (ferma restando la cd. clausola di
salvaguardia, vedi infra) in misura
pari a quanto attualmente previsto per il 2016 (a parità di requisiti), e cioè:
- a 336
euro annui per i pensionati ex
lavoratori dipendenti con anzianità contributiva fino a 15 anni e per gli ex autonomi che abbiano versato i
contributi fino a 18 anni;
- a 420 euro annui per i pensionati ex lavoratori dipendenti con anzianità contributiva tra i 15 e i 25 anni e per gli ex lavoratori autonomi dai 18 ai 28 anni di contributi versati;
- a
504 euro annui per i pensionati ex lavoratori dipendenti con più di 25
anni di contributi e i pensionati ex
lavoratori autonomi con più di 28 anni di contributi versati;
§ si ridefinisce la cd. clausola di
salvaguardia (comma 1, lettera c)), cioè il limite reddituale (al
netto dei trattamenti di famiglia) entro il quale la somma viene concessa
interamente e oltre il quale l'aumento viene corrisposto in misura pari alla differenza tra la somma aggiuntiva e la cifra
eccedente il limite stesso. Più specificamente, nel confermare che il beneficio
venga concesso interamente fino ad un limite di reddito pari a 1,5 volte il richiamato
trattamento minimo, si dispone che lo stesso beneficio sia corrisposto (sia nel
caso che il reddito complessivo individuale annuo risulti superiore a 1,5
volte, sia nel caso in cui sia compreso tra 1, 5 e 2 volte) in misura pari alla
differenza tra la somma aggiuntiva e la cifra eccedente il limite stesso
maggiorato.
La cd. “quattordicesima” è una somma aggiuntiva introdotta a decorrere dal 2007, al fine di incrementare i trattamenti pensionistici più bassi, dall'articolo 5, commi da 1 a 4, del D.L. 81/2007, e collegata a determinate condizioni reddituali personali, ed erogata ai pensionati ultrasessantaquattrenni, titolari di uno o più trattamenti pensionistici a carico dell’assicurazione generale obbligatoria (A.G.O.) e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell’assicurazione medesima.
La fruizione è determinata con le modalità indicate nella Tabella A allegata al medesimo D.L. 81/2007, in funzione dell'anzianità contributiva complessiva accreditata nella gestione di appartenenza a carico della quale è liquidato il trattamento principale, ed è condizionata da specifici requisiti reddituali, diversi per ciascun anno. La “quattordicesima” viene erogata sulla base del solo reddito personale, che per il 2016 deve essere inferiore a quanto viene riportato nei requisiti reddituali richiesti. Più specificamente, si considerano nel computo i redditi assoggettabili all'IRPEF, nonché i redditi esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte o ad imposta sostitutiva, compresi i redditi conseguiti all'estero o in Italia presso Enti ed organismi internazionali. Sono invece, per espressa previsione normativa, esclusi: i trattamenti di famiglia comunque denominati; le indennità di accompagnamento; il reddito della casa di abitazione; i trattamenti di fine rapporto comunque denominati; le competenze arretrate sottoposte a tassazione separata. Sono altresì da non considerare i redditi: delle pensioni di guerra; delle indennità per i ciechi parziali e dell'indennità di comunicazione per i sordi prelinguali; dell'indennizzo previsto dalla L. 210 del 25 febbraio 1992 in favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati; della somma di 154,94 euro di importo aggiuntivo previsto dalla L. 388/2000 per espressa previsione normativa; dei sussidi economici che i comuni ed altri Enti erogano agli anziani per bisogni strettamente connessi a situazioni contingenti e che non abbiano caratteristica di continuità.
I requisiti anagrafici e contributivi per il diritto alla prestazione e gli importi della prestazione sono stati illustrati con circolare I.N.P.S. n. 119 dell'8 ottobre 2007 (e con successive circolari e messaggi). Con il messaggio INPS 27 giugno 2016, n. 2831, sono stati individuati i requisiti anagrafici e contributivi, nonché i limiti reddituali per il 2016 ai quali rapportare il reddito personale (che ovviamente deve essere inferiore a questi) valevoli ai fini dell’erogazione della “quattordicesima”.
Più specificamente:
§ per i pensionati ex lavoratori dipendenti con anzianità contributiva fino a 15 anni e per gli ex autonomi che abbiano versato i contributi fino a 18 anni, l’importo della “quattordicesima” è pari ai 336 euro (limite massimo reddituale pari a 10.122,86 euro);
§ per i pensionati ex lavoratori dipendenti con anzianità contributiva tra i 15 e i 25 anni e per i pensionati ex lavoratori autonomi con anzianità contributiva dai 18 ai 28 anni di contributi versati, l’importo della “quattordicesima” è pari a 420 euro (limite massimo reddituale pari a 10.206,86 euro);
§ per i pensionati lavoratori ex dipendenti con più di 25 anni di contributi e i pensionati ex lavoratori autonomi con più di 28 anni di contributi versati, l’importo della “quattordicesima” è pari a 504 euro (limite massimo reddituale pari a 10.290,86 euro).
Il beneficio è concesso interamente fino ad un limite di reddito pari a 1,5 volte il trattamento minimo del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti; oltre tale importo l'aumento è corrisposto in misura pari alla differenza tra la somma aggiuntiva e la cifra eccedente il limite stesso (cd. clausola di salvaguardia).
Per il 2016, l’importo minimo mensile è pari 501,89 euro, quindi il totale del reddito da non superare per la fruizione della “quattordicesima” è di 9.786,86 euro (cioè 752,83 euro mensili per 13 mensilità).
L’articolo 27 introduce, in via sperimentale dal 1° maggio 2017 al 31 dicembre 2018, la possibilità di erogazione anticipata delle prestazioni della previdenza complementare (c.d. RITA), in relazione al montante richiesto e fino al conseguimento dei requisiti pensionistici previsti nel regime obbligatorio, in favore dei soggetti, cessati dal lavoro, in possesso dei requisiti per l’accesso all’APE.
L’articolo introduce la possibilità di erogazione anticipata delle prestazioni della previdenza complementare (con esclusione di quelle in regime di prestazione definita) in relazione al montante accumulato richiesto e fino al conseguimento dei requisiti pensionistici del regime obbligatorio.
La possibilità di richiedere la rendita integrativa temporanea anticipata (cd. RITA) è riservata ai soggetti, cessati dal lavoro, in possesso dei requisiti per l’accesso all’APE, certificati dall’INPS.
Ai
sensi dell’articolo 25 (v. retro)
possono accedere all’APE i soggetti in
possesso dei seguenti requisiti:
§ soggetti iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria (AGO), alle forme sostitutive ed esclusive della medesima e alla gestione separata (di cui all’articolo 2, comma 26, della legge n.335/1995);
§ età anagrafica minima di 63 anni;
§ maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi;
§ anzianità contributiva di 20 anni;
§ pensione pari almeno a 1,4 volte il trattamento minimo (al netto della rata di ammortamento dell’APE);
§ non essere già titolare di un trattamento pensionistico diretto.
Il
soggetto richiedente presenta domanda all’INPS, il quale verifica il possesso
dei requisiti per l’accesso all’APE e ne certifica il diritto.
La prestazione consiste nell’erogazione frazionata, in forma di rendita temporanea fino alla maturazione dei requisiti pensionistici, del montante accumulato richiesto.
La parte imponibile della rendita, determinata secondo le disposizioni vigenti nei periodi di maturazione della prestazione pensionistica complementare, è assoggettata alla ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento, ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali. A tal fine, se la data di iscrizione alla forma di previdenza complementare è anteriore al 1° gennaio 2007, gli anni di iscrizione prima del 2007 sono computati fino a un massimo di 15.
Le somme erogate a titolo di rendita integrativa temporanea anticipata sono imputate, ai fini della determinazione del relativo imponibile, prioritariamente agli importi della prestazione medesima maturati fino al 31 dicembre 2000 e, per la parte eccedente, prima a quelli maturati dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2006 e, successivamente, a quelli maturati dal 1° gennaio 2007.
Per i dipendenti pubblici che cessano l’attività lavorativa e richiedono la RITA si prevede che i termini di pagamento del trattamento di fine rapporto e di fine servizio iniziano a decorrere dal raggiungimento del requisito anagrafico previsto per il pensionamento di vecchiaia.
L’articolo 28 esclude a regime la riduzione percentuale (cd. penalizzazione) per i trattamenti pensionistici anticipati decorrenti dal 1º gennaio 2018.
La disposizione prevede l’esclusione, a
regime, dell’applicazione della riduzione percentuale (cd. penalizzazione) prevista
dalla “riforma Fornero” (di cui all’articolo 24, comma 10, del D.L. n.
201/2011) sui trattamenti pensionistici anticipati decorrenti dal 1º gennaio
2018.
L’articolo 24, comma 10, del D.L. n. 201/2011 (c.d. riforma Fornero), ha stabilito che l’accesso alla pensione anticipata (ossia in assenza dei nuovi requisiti anagrafici introdotti dalla riforma per il pensionamento di vecchiaia), a decorrere dal 1° gennaio 2012, è consentito esclusivamente se risulta maturata un'anzianità contributiva (con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti nell'anno 2015) di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne[49]. Sulla quota di trattamento relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente il 1° gennaio 2012, è applicata una riduzione percentuale pari ad 1 punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni fino a 60 anni, elevata a 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto ai 60 anni.
Dopo la riforma del 2011, sulla materia è intervenuta, dapprima, la legge di Stabilità 2015 (art. 1, c. 113, L. 190/2014) che ha escluso l’applicazione della penalizzazione per i soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017. Successivamente, la legge di Stabilità 2016 (art. 1, c. 229, L. 208/2015) ha specificato che la suddetta deroga si applica - con effetto sui ratei di pensione decorrenti dal 1° gennaio 2016 - anche per i trattamenti pensionistici liquidati prima del 1° gennaio 2015 (data di entrata in vigore della deroga base suddetta).
Articolo 29
(Cumulo dei periodi assicurativi)
L’articolo 29, al comma 1 modifica i requisiti per l'accesso al cosiddetto cumulo dei periodi assicurativi (ai fini pensionistici). Il comma 2 concerne i termini di pagamento dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, dei dipendenti pubblici che si avvalgano del medesimo istituto del cumulo. I commi 3 e 4 recano norme transitorie - in considerazione delle novelle di cui al comma 1 - per i soggetti che avessero presentato domanda di ricongiunzione o di totalizzazione.
Il comma 1 opera una revisione dei requisiti per l'accesso al cosiddetto cumulo dei periodi assicurativi (ai fini pensionistici)[50].
In base a tale istituto, i soggetti che abbiano contributi (relativi a periodi non coincidenti) in diverse forme pensionistiche obbligatorie di base (inerenti ai lavoratori dipendenti o ai lavoratori autonomi e parasubordinati iscritti in regimi INPS) possono cumulare gratuitamente i medesimi, in alternativa agli istituti della ricongiunzione (eventualmente onerosa) o della totalizzazione; si ricorda che nella totalizzazione (anch'essa gratuita) i periodi contributivi dànno luogo a quote di trattamento pensionistico calcolate secondo il sistema contributivo, mentre nell'istituto del cumulo ogni quota di trattamento è determinata mediante i criteri di calcolo inerenti (secondo la rispettiva disciplina) alla corrispondente quota di anzianità contributiva.
La novella di cui alla lettera a) del comma 1 sopprime la condizione (ai fini dell'accesso al cumulo) che il soggetto non sia in possesso dei requisiti per il diritto al trattamento pensionistico.
La novella di cui alla lettera b) introduce la possibilità di accesso al cumulo in favore dei soggetti che abbiano conseguito il requisito di anzianità contributiva (per la pensione) indipendente dall'età anagrafica, requisito attualmente pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini ed a 41 anni e 10 mesi per le donne. Restano ferme le altre fattispecie di accesso all'istituto del cumulo (costituite dal possesso del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia e del relativo requisito contributivo ovvero dal possesso dei requisiti dei trattamenti per inabilità o per i superstiti di assicurato deceduto).
Il comma 2 disciplina i termini di pagamento dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, dei dipendenti pubblici che si avvalgano del medesimo istituto del cumulo. Si prevede che i termini di pagamento previsti dalla disciplina generale in materia (ivi richiamata) inizino a decorrere solo al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia.
Appare opportuno chiarire se la norma di cui al comma 2 abbia effetto retroattivo, considerato che anche la disciplina attuale[51] consente alcuni casi (trattamenti per inabilità o per i superstiti di assicurato) di ricorso al cumulo prima del compimento dei requisiti anagrafici suddetti. Potrebbe inoltre essere ritenuto opportuno valutare, ai fini in esame, il caso in cui, pur non computando gli effetti del cumulo, il soggetto maturi egualmente, prima del compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia, il requisito di anzianità contributiva (per la pensione) indipendente dall'età anagrafica.
I commi 3 e 4 recano norme transitorie - in considerazione delle novelle di cui al comma 1 - per i soggetti che avessero presentato domanda di ricongiunzione o di totalizzazione e i cui procedimenti non si siano ancora perfezionati, al fine di consentire l'accesso alternativo all'istituto del cumulo (sempre che sussistano i relativi requisiti) e di garantire il recupero delle somme eventualmente versate dal soggetto (nel caso di domanda di ricongiunzione).
Si
segnala che, al contrario che nel comma
4 (relativo alle domande di totalizzazione), nel comma 3, concernente le domande di ricongiunzione, non si esplicita
se la norma transitoria riguardi esclusivamente le domande presentate prima
dell'entrata in vigore della presente legge.
Nel settore pubblico, fino all’emanazione del DPCM 20 dicembre 1999, che ha introdotto per i nuovi assunti il trattamento di fine rapporto, veniva liquidata l’indennità premio di fine servizio ai dipendenti degli enti locali e l’indennità di buonuscita ai dipendenti statali. I trattamenti di fine servizio si differenziano dal TFR sia per le modalità di calcolo della prestazione (calcolata sull’ultima retribuzione), sia per il suo finanziamento che è caratterizzato anche da una contribuzione del lavoratore alla quale si aggiunge quella dell’amministrazione statale o dell’ente locale.
L’articolo 12, commi 7 e 8, del D.L. 78/2010, ha disposto che dal 31 maggio 2010, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche specificamente individuate, il riconoscimento dell’indennità premio di fine servizio, dell’indennità di buonuscita, del TFR e di ogni altra indennità equipollente corrisposta una tantum comunque denominata, spettante in seguito a cessazione di servizio, venga erogata:
• in un unico importo annuale, qualora l'ammontare complessivo, al lordo delle trattenute fiscali, sia complessivamente pari o inferiore a 50.000 euro;
• in due importi annuali, qualora l'ammontare sia complessivamente superiore a 50.000 euro ma inferiore a 100.000 euro. In tal caso, il primo importo erogato sarà pari a 50.000 euro, il secondo sarà pari all'ammontare residuo;
• in tre importi annuali, qualora l'ammontare sia pari o superiore a 100.000 euro. In tal caso, il primo importo erogato rata sarà pari a 50.000 euro, il secondo a 50.000 euro ed il terzo all'ammontare residuo.
Resta fermo quanto previsto dalla normativa vigente in relazione alla determinazione della prima scadenza utile per il riconoscimento dei trattamenti di fine servizio di cui al precedente comma, ovvero del primo importo annuale, con conseguente riconoscimento del secondo e del terzo importo dopo, rispettivamente, 12 e 24 mesi dal riconoscimento del primo importo.
Merita inoltre ricordare che l’articolo 3, comma 2, del D.L. 79/1997, ha stabilito che alla liquidazione dei TFS, comunque denominati per i dipendenti pubblici, loro superstiti o aventi causa, che ne abbiano titolo, l'ente erogatore provvede decorsi 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell'amministrazione, decorsi 12 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro. Alla corresponsione agli aventi diritto l'ente provvede entro i successivi 3 mesi, decorsi i quali sono dovuti gli interessi.
Articolo 30
(Lavoratori precoci)
L'articolo 30 introduce, in favore di alcune categorie di soggetti, una riduzione del requisito di anzianità contributiva (per la pensione) indipendente dall'età anagrafica. I beneficiari sono costituiti dai soggetti che abbiano almeno 12 mesi di contribuzione per periodi di lavoro effettivo precedenti il compimento del diciannovesimo anno di età, siano iscritti ad una forma di previdenza obbligatoria di base da una data precedente il 1° gennaio 1996 e si trovino in una delle fattispecie ivi individuate.
Il comma 1 prevede, in favore di alcune categorie di soggetti, una riduzione a 41 anni del requisito di anzianità contributiva (per la pensione) indipendente dall'età anagrafica, requisito attualmente pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini ed a 41 anni e 10 mesi per le donne.
La riduzione opera a decorrere dal 1° maggio 2017.
I beneficiari sono costituiti dai soggetti che abbiano almeno 12 mesi di contribuzione per periodi di lavoro effettivo precedenti il compimento del diciannovesimo anno di età, si trovino in specifiche fattispecie e siano iscritti ad una forma di previdenza obbligatoria di base da una data precedente il 1° gennaio 1996 (quest'ultima condizione deriva dal richiamo ai soli soggetti di cui all'art. 1, commi 12 e 13, della L. 8 agosto 1995, n. 335[52]). Le suddette fattispecie specifiche sono le seguenti (individuate dalle lettere da a) a d) del comma 1):
§ stato di disoccupazione, a séguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o (nell'ambito della procedura di conciliazione di cui all'art. 7 della L. 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni) risoluzione consensuale, sempre che la relativa prestazione per la disoccupazione sia cessata integralmente da almeno tre mesi;
§ svolgimento di assistenza, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, in favore del coniuge o di un parente di primo grado convivente, con handicap in situazione di gravità[53];
§ riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, pari o superiore al 74 per cento;
§ svolgimento, al momento del pensionamento, da almeno sei anni in via continuativa, in qualità di lavoratore dipendente, nell'àmbito delle professioni indicate nell’allegato E, di attività lavorative per le quali sia richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltosa e rischiosa la loro effettuazione in modo continuativo (la determinazione delle caratteristiche specifiche di tali attività lavorative è demandata al decreto di cui al comma 4);
§ soddisfacimento delle nozioni di lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, poste, ai fini pensionistici, dall’art. 1, commi da 1 a 3, del D.Lgs. 21 aprile 2011, n. 67, come modificato dal successivo articolo 31 del presente disegno di legge (cfr., in materia di trattamenti pensionistici per tali lavoratori, la scheda relativa a tale articolo).
Il requisito ridotto in esame - pari, come detto, a 41 anni - è soggetto ad adeguamento in base agli incrementi della speranza di vita, secondo il meccanismo generale di adeguamento dei requisiti anagrafici per i trattamenti pensionistici (comma 2). Di conseguenza[54], il requisito è soggetto ad adeguamento - con decorrenza dal 2019 e, successivamente, con cadenza biennale - mediante decreto direttoriale del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (mentre l'adeguamento per il triennio 2016-2018 e quelli ancora precedenti sono esclusi, ai sensi dell'alinea del comma 1).
Il comma 3 disciplina i termini di pagamento dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, dei dipendenti pubblici che si avvalgano del requisito ridotto in esame. Si prevede che i termini di pagamento previsti dalla disciplina generale in materia (ivi richiamata) inizino a decorrere solo al compimento dei precedenti requisiti per il trattamento pensionistico.
Il comma
4 demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro 60 giorni dalla data
di entrata in vigore della presente legge, le modalità di attuazione delle
disposizioni in esame, tra cui l'individuazione di criteri di priorità; questi
ultimi rilevano, ai sensi del comma 5,
qualora dal monitoraggio delle domande emerga uno scostamento, anche in via
prospettica, rispetto ai limiti di spesa ivi stabiliti - pari a 360 milioni di
euro per il 2017, 550 milioni per il 2018, 570 milioni per il 2019 e 590 milioni
annui a decorrere dal 2020 -. In quest'ultimo caso, la decorrenza dei
trattamenti in oggetto è differita, in base ai suddetti criteri di priorità e,
a parità degli stessi, in ragione della data di presentazione della domanda,
secondo la procedura della conferenza di servizi[55] (alla
quale fa riferimento il comma 4, lettera
c)).
Il trattamento pensionistico liquidato in base al requisito ridotto in esame non è cumulabile con redditi da lavoro, subordinato o autonomo, per un periodo di tempo corrispondente alla differenza tra il requisito ordinario (per il conseguimento del trattamento a prescindere dall'età anagrafica) e l'anzianità contributiva al momento del pensionamento (comma 6).
Appare opportuno
valutare la congruità (rispetto alle norme generali in materia) della
permanenza del divieto di svolgere attività lavorativa per i casi in cui, prima
del conseguimento del suddetto requisito ordinario, il soggetto abbia maturato
il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia.
Il presente beneficio del requisito ridotto non è cumulabile con altre maggiorazioni contributive previste per le attività di lavoro in oggetto, ad esclusione della maggiorazione stabilita in favore degli invalidi[56] e dei sordomuti dall'art. 80, comma 3, della L. 23 dicembre 2000, n. 388.
L’articolo
31 contiene alcune misure volte ad agevolare
ulteriormente l'accesso al pensionamento
anticipato dei lavoratori che
svolgono lavori usuranti.
Più nel dettaglio, a partire dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, nei confronti dei richiamati lavoratori, si prevede (comma 1):
§ che non vengano più applicate le disposizioni in materia di decorrenze annuali per il godimento del trattamento pensionistico (c.d. finestre)[57] (lett. a));
§ una attenuazione delle condizioni legislativamente previste per l’accesso al trattamento pensionistico anticipato, anticipando al 2017 (in luogo del 2018) la messa a regime della disciplina relativa ai requisiti che devono essere presenti nel corso della carriera lavorativa. Infatti, per l’accesso al suddetto trattamento pensionistico anticipato, si richiede che le attività usuranti siano state svolte per un periodo di tempo pari, alternativamente (lett. b)):
- ad almeno 7 anni negli ultimi 10 anni (rispetto alla normativa vigente si prevede che ai fini della suddetta durata non venga più compreso l'anno di maturazione dei requisiti e che il limite non venga più riferito solamente alle pensioni aventi decorrenza entro il 31 dicembre 2017) (n. 1);
- ad almeno la metà della vita lavorativa complessiva (rispetto alla normativa vigente tale limite non viene più riferito solamente alle pensioni aventi decorrenza dal 1° gennaio 2018) (n. 2).
§ in via transitoria, che per gli anni 2019, 2021, 2023 e 2025 non si proceda all’adeguamento alla speranza di vita dei requisiti richiesti per l’accesso alla pensione anticipata (vedi infra, box di approfondimento - adeguamento che proprio dal 2019 si avrà ogni biennio anziché ogni triennio (lett. c)).
In conseguenza di quanto sopra esposto, si prevede un incremento sia del fondo per il pensionamento anticipato in favore degli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti (84,5 milioni di euro per il 2017, 86,3 per il 2018, 124,5 per il 2019, 126,6 per il 2020, 123,8 per il 2021, 144,4 per il 2022, 145,2 per il 2023, 151,8 per il 2024, 155,4 per il 2025 e 170,5 annui a decorrere dal 2026) sia, in misura corrispondente, degli oneri previsti dall’articolo 7 del D.Lgs. 67/2011 per l’attuazione delle misure per l’accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni usuranti (comma 2).
Per una corretta applicazione di quanto previsto dall’articolo in esame, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento sono apportate le necessarie modifiche al D.M. 20 settembre 2011, che disciplina le modalità di accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti (comma 3).
Per completezza, si segnala che altre disposizioni in materia di pensionamento dei lavoratori che svolgono attività usuranti sono contenute nell’articolo 30 (vedi relativa scheda di lettura).
La normativa che disciplina l’accesso al trattamento pensionistico dei soggetti che hanno svolto attività lavorative usuranti è contenuta nel D.Lgs. 67/2011, così come sostanzialmente modificato dall’art. 24, c. 17, del D.L. 201/2011 (cd. riforma Fornero).
Per quanto riguarda, innanzitutto, la platea dei soggetti beneficiari, il decreto dispone che possano usufruire del pensionamento anticipato quattro diverse categorie di soggetti, ossia: i lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti (di cui all’articolo 2 del D.M. 19 maggio 1999); i lavoratori subordinati notturni (come definiti dal D.Lgs. n. 66/2003); i lavoratori addetti alla cd. “linea catena” che, nell’ambito di un processo produttivo in serie, svolgano lavori caratterizzati dalla ripetizione costante dello stesso ciclo lavorativo su parti staccate di un prodotto finale; i conducenti di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto di persone.
Le condizioni per l’accesso al beneficio pensionistico sono che le attività usuranti vengano svolte al momento dell’accesso al pensionamento e che siano state svolte per una certa durata nel corso della carriera lavorativa, ossia, nella fase transitoria, fino al 2017, per un minimo di 7 anni negli ultimi 10 anni di attività lavorativa, mentre a regime, dal 2018, per un arco di tempo almeno pari alla metà dell’intera vita lavorativa.
Dal 2013 i suddetti lavoratori che hanno almeno 35 anni di anzianità contributiva possono accedere (a determinate condizioni) al pensionamento anticipato attraverso il sistema delle quote, più precisamente a quota 97 quale somma tra età anagrafica e contributiva (e non più con il riconoscimento dell’anticipo di 3 anni come previsto prima della “riforma Fornero”), requisito soggetto all’adeguamento alla speranza di vita.
Per quanto concerne i profili finanziari, l’articolo 7, comma 1, del D.Lgs. 67/2011 aveva (inizialmente) coperto gli oneri finanziari con le risorse del Fondo per il pensionamento anticipato in favore degli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti (istituito con l’articolo 1, comma 3, lettera f), della L.247/2007), per somme pari a 312 milioni di euro per il 2011, 350 milioni di euro per il 2012 , 383 milioni di euro per il 2013 e 2014 e 233 milioni di euro a decorrere dal 2015.
Successivamente, il Fondo è stato rideterminato da una serie di interventi, e cioè:
§ l’articolo 1, comma 721, della L. 190/2014 ha ridotto di 150 milioni di euro (passando così da una dotazione, nel 2014, pari a 383 milioni di euro ad una dotazioni pari a 233 milioni di euro annui), lo stanziamento del Fondo;
§ l’articolo 1, comma 289, della L. 208/2015 ha previsto (ai fini del concorso alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'elevamento della cosiddetta no tax area per i pensionati ha disposto) una riduzione del Fondo in misura pari a 140 milioni di euro per il 2017, 110 milioni per il 2018, 76 milioni per il 2019 e 30 milioni per il 2020;
§ l’articolo 1, comma 300, della L. 208/2015, che (per la copertura degli oneri finanziari derivanti dai precedenti commi 298 e 299 (relativi, rispettivamente, alla soppressione del divieto di cumulo di riscatto, ai fini pensionistici, dei periodi - non coincidenti - del corso legale di laurea e di quelli corrispondenti al congedo parentale, collocati temporalmente al di fuori del rapporto di lavoro, e l’estensione della deroga all'applicazione di alcune riduzioni percentuali dei trattamenti pensionistici liquidati prima del 1° gennaio 2015) ha ridotto il Fondo di 15,1 milioni di euro per il 2016, 15,4 milioni di euro per il 2017, 15,8 milioni di euro per il 2018, 16,2 milioni di euro per il 2019, 16,5 milioni di euro per il 2020, 16,9 milioni di euro per il 2021, 17,2 milioni di euro per il 2022, 17,7 milioni di euro per il 2023, 18 milioni di euro per il 2024 e 18,4 milioni di euro a decorrere dal 2025;
§ l’articolo 1, comma 304, della L. 208/2015, che (per incrementare il Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, per il 2016, di 250 milioni di euro, da destinare al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga), ha ridotto il Fondo per una somma pari a 150 milioni di euro.
Articolo 32
(No tax area
pensionati)
L’articolo 32 stabilisce una disciplina uniforme per le detrazioni dall'imposta lorda IRPEF spettanti con riferimento ai redditi da pensione (cosiddetta no tax area per i pensionati), estendendo ai soggetti di età inferiore a 75 anni la misura delle detrazioni già prevista per gli altri soggetti.
Quest'ultima misura è pari a[58]:
§ 1.880 euro, se il reddito complessivo non supera 8.000 euro (l'ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 713 euro);
§ 1.297 euro, aumentata del prodotto tra 583 euro e l’importo corrispondente al rapporto tra 15.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 7.000 euro, qualora l’ammontare del reddito complessivo sia superiore a 8.000 euro e pari o inferiore a 15.000 euro;
§ una quota proporzionale - rispetto ad una base di calcolo pari a 1.297 euro - corrispondente al rapporto tra l'importo di 55.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l'importo di 40.000 euro, qualora l’ammontare del reddito complessivo sia superiore a 15.000 euro e pari o inferiore a 55.000 euro.
Resta fermo che per i casi di reddito
complessivo superiore a 55.000 euro non spettano le detrazioni in esame.
Nella disciplina
attualmente vigente, per i soggetti di età inferiore a 75 anni, la misura della
detrazione è pari a:
§ 1.783 euro, se il reddito complessivo non supera 7.750 euro (l'ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 690 euro);
§ 1.255 euro, aumentata del prodotto tra 528 euro e l’importo corrispondente al rapporto tra 15.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 7.250 euro, qualora l’ammontare del reddito complessivo sia superiore a 7.750 euro e pari o inferiore a 15.000 euro;
§
una quota proporzionale - rispetto ad una base
di calcolo pari a 1.255 euro - corrispondente al rapporto tra l'importo di
55.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l'importo di 40.000 euro,
qualora l’ammontare del reddito complessivo sia superiore a 15.000 euro e pari
o inferiore a 55.000 euro.
L’articolo 33 reca l’ottavo intervento di salvaguardia in relazione ai nuovi requisiti introdotti dalla riforma pensionistica del 2011 (c.d. Riforma Fornero), con il quale si garantisce l’accesso al trattamento previdenziale con i vecchi requisiti ad un massimo di ulteriori 27.700 soggetti. Per effetto di tali disposizioni il limite massimo numerico di soggetti salvaguardati viene stabilito a poco più di 200.000.
La disposizione reca l’ottavo intervento di salvaguardia in relazione ai nuovi requisiti introdotti dalla riforma pensionistica (articolo 24 del D.L. 201/2011- c.d. Riforma Fornero), con il quale si garantisce l’accesso al trattamento previdenziale con i vecchi requisiti ad un massimo di ulteriori 27.700 soggetti, incrementando i contingenti di categorie già oggetto di precedenti salvaguardie (che vengono considerate concluse), attraverso il prolungamento del termine - da 36 a 84 mesi successivi all’entrata in vigore della riforma pensionistica - entro il quale i soggetti devono maturare i vecchi requisiti.
Per effetto di tali disposizioni il limite
massimo numerico di soggetti salvaguardati viene stabilito a poco più di 200.000.
Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa allegata al provvedimento, tale intervento ha lo scopo “di portare a conclusione tale programma di gradualità nel processo di innalzamento dei requisiti di accesso al pensionamento implementato nel limite di risorse programmate”.
È inoltre previsto che le eventuali risorse che dovessero residuare dall’apposita autorizzazione di spesa della salvaguardia in esame concorrono alla copertura dei maggiori oneri derivanti dalle misure pensionistiche contenute nel disegno di legge in esame, con conseguente soppressione dell’apposito Fondo istituito (dall’articolo 1, comma 235, della L. 228/2012) per finanziare gli interventi in favore delle categorie di lavoratori salvaguardati. Qualora, a seguito del monitoraggio effettuato, dovessero essere accertate, anche in via prospettica, economie rispetto ai limiti di spesa indicati, gli importi confluiscono nel Fondo sociale per occupazione e formazione (comma 9).
Più specificamente, viene previsto che i requisiti per l’accesso al sistema previdenziale vigenti prima della riforma pensionistica continuino ad applicarsi a specifiche categorie di lavoratori, nei limiti di determinati contingenti (comma 3):
§ nel limite di 8.000 soggetti, ai lavoratori collocati in mobilità o in trattamento speciale edile a seguito di accordi governativi o non governativi, stipulati entro il 31 dicembre 2011, o nel caso di lavoratori provenienti da aziende cessate o interessate dall’attivazione, precedente alla data di licenziamento, delle vigenti procedure concorsuali (quali il fallimento, il concordato preventivo, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione straordinaria o l’amministrazione straordinaria speciale, a condizione di esibire la documentazione attestante la data di avvio della procedura concorsuale), anche in mancanza dei predetti accordi, cessati dall’attività lavorativa entro il 31 dicembre 2012 e che perfezionano, entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità o del trattamento speciale edile, ovvero, anche mediante il versamento di contributi volontari, entro 36 mesi dalla fine dello stesso periodo, i requisiti vigenti prima della data di entrata in vigore della riforma pensionistica. Per quanto concerne, specificamente, i versamenti volontari, questi possono riguardare (anche in deroga alle disposizioni dell'articolo 6, comma 1, D.Lgs. 184/1997) anche periodi eccedenti i 6 mesi precedenti la domanda di autorizzazione stessa; il versamento può comunque essere effettuato solo con riferimento ai 36 mesi successivi al termine di fruizione dell'indennità di mobilità o del trattamento speciale edile (in tal caso, ai sensi del successivo comma 4, per i lavoratori già autorizzati ai versamenti volontari antecedentemente al 1° gennaio 2017 e per i quali siano decorsi i termini di pagamento, è prevista la riapertura, a domanda, dei termini per i versamenti relativi ai 36 mesi successivi alla fine della fruizione dell’indennità di mobilità). Eventuali periodi di sospensione dell’indennità di mobilità (intervenuti entro il 1° gennaio 2017) per svolgere attività di lavoro subordinato, a tempo parziale, a tempo determinato, ovvero di lavoro parasubordinato, mantenendo l’iscrizione nella lista, si considerano rilevanti ai fini del prolungamento del periodo di fruizione dell’indennità stessa e non comportano l’esclusione dall’accesso alle salvaguardie (lettera a));
§ nel limite di 9.200 soggetti, ai lavoratori prosecutori volontari con almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile al 6 dicembre 2011, anche se abbiano svolto, successivamente al 4 dicembre 2011, qualsiasi attività non riconducibile a lavoro dipendente a tempo indeterminato, che maturino i requisiti previdenziali secondo la disciplina vigente prima della riforma pensionistica entro 84 mesi dalla sua entrata in vigore (lettera b));
§ nel limite di 1.200 soggetti, ai lavoratori prosecutori volontari non in possesso al 6 dicembre 2011 di almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile, e a condizione che abbiano almeno un contributo accreditato derivante da effettiva attività lavorativa nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2007 e il 30 novembre 2013 e che alla data del 30 novembre 2013 non svolgano attività lavorativa riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, che maturino i requisiti previdenziali secondo la disciplina vigente prima della riforma pensionistica entro 84 mesi dalla sua entrata in vigore (lettera c));
§ nel limite di 7.800 soggetti, ai lavoratori titolari di accordi individuali o collettivi e i lavoratori con risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro che maturano i requisiti previdenziali secondo la disciplina vigente prima della riforma pensionistica entro 84 mesi dalla sua entrata in vigore (lettera d));
§ nel limite di 700 soggetti, ai lavoratori in congedo per assistere figli con disabilità grave nel corso del 2011, i quali maturino i requisiti previdenziali secondo la disciplina vigente prima della riforma pensionistica entro 84 mesi dalla sua entrata in vigore (lettera e));
§ nel limite di 800 soggetti, ai lavoratori con contratto di lavoro a tempo determinato e ai lavoratori in somministrazione con contratto a tempo determinato (con esclusione dei lavoratori del settore agricolo e dei lavoratori stagionali), cessati dal lavoro tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2011, non rioccupati a tempo indeterminato, i quali maturino i requisiti previdenziali secondo la disciplina vigente prima della riforma pensionistica entro 72 mesi dalla sua entrata in vigore (lettera f)).
Si prevede che i soggetti interessati
presentino le istanze, a pena di
decadenza, entro il 1° marzo 2017,
secondo le procedure previste, per ciascuna categoria di soggetti, dai
precedenti provvedimenti di salvaguardia[59]. Si
dispone, inoltre, che l’I.N.P.S. provveda al monitoraggio delle domande
(pubblicando, sul proprio sito internet, i dati raccolti), non prendendo in
considerazione ulteriori domande di pensionamento nel caso di raggiungimento
dei limiti numerici e dei limiti di spesa stabiliti. E’ altresì prevista una relazione annuale al Parlamento, da
presentare entro il 30 settembre di ogni anno, sulla base dei dati rilevati dall’I.N.P.S.
nell’ambito della propria attività di monitoraggio (commi 5 e 6). Nel caso in cui l’attività di monitoraggio accertasse
economie rispetto ai limiti di spesa indicati (vedi infra), le risorse confluiscono nel Fondo sociale per occupazione e
formazione (comma 9).
Per quanto concerne i profili finanziari dell’intervento (definiti dai commi 1, 2, 7 e 8), gli oneri programmati per le prime sette salvaguardie, secondo quanto riportato nella relazione tecnica allegata al provvedimento, pari (in termini cumulati) a 11,42 miliardi di euro, per un limite massimo di 172.466 soggetti, passerebbero quindi (in termini cumulati, considerando anche l’ottava salvaguardia) a 10,79 miliardi, per un limite massimo di 164.795 soggetti.
In particolare, ai fini della quantificazione degli oneri dell’intervento e della relativa copertura finanziaria, considerando il carattere conclusivo dell’intervento, sono rideterminati sia gli importi delle risorse destinate alle salvaguardie, sia il limite numerico massimo di soggetti salvaguardati, pari a 137.095 soggetti (rispetto ai 146.166 attualmente previsti); in relazione a ciò, si incrementa l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 235, primo periodo, della L. 228/2012 (comma 1).
Inoltre, in considerazione del limitato utilizzo della cd. seconda salvaguardia (articolo 22, comma 1, lettera a), del D.L. 95/2012, vedi infra), nonché della scadenza dei termini decadenziali di comunicazione degli elenchi nominativi dei lavoratori da licenziare (anche sulla base delle eccedenze)[60], viene rideterminato il limite numerico massimo di soggetti interessati dalla medesima salvaguardia, che quindi passa da 35.000 a 19.741 soggetti (comma 2)
Inoltre, prevedendo che i nuovi benefici siano riconosciuti nel limite di 27.700 soggetti e nel limite massimo di 134 milioni per il 2017, 295 milioni per il 2018, 346 milioni per il 2019, 303 milioni per il 2020, 230 milioni per il 2021, 143 milioni per il 2022, 54 milioni per il 2023, 11 milioni per il 2024 e 3 milioni per il 2025, si provvede al corrispondente incremento degli importi previsti all’articolo 1, comma 235, quarto periodo, della L. 228/2012 (ossia delle economie aventi carattere pluriennale destinate ad alimentare l’apposito fondo), rideterminando il limite numerico massimo dei contingenti di lavoratori interessati a 164.795 soggetti, nonché alla copertura degli oneri a valere sull’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 235, primo periodo, della L. 228/2012 (ossia riducendo la dotazione dell’apposito fondo) (commi 7 e 8).
La questione degli “esodati” trae origine dalla riforma pensionistica realizzata del Governo Monti (articolo 24 del D.L. 201/2011, c.d. riforma Fornero), che a decorrere dal 2012 ha sensibilmente incrementato i requisiti anagrafici e contributivi per l'accesso al pensionamento. La riforma, in particolare, ha portato a 66 anni il limite anagrafico per il pensionamento di vecchiaia; velocizzato il processo di adeguamento dell'età pensionabile delle donne nel settore privato (66 anni dal 2018); per quanto concerne il pensionamento anticipato, abolito il previgente sistema delle quote, con un considerevole aumento dei requisiti contributivi (42 anni per gli uomini e 41 anni per le donne) e l'introduzione di penalizzazioni economiche per chi comunque accede alla pensione prima dei 62 anni.
Al fine di salvaguardare le aspettative dei soggetti prossimi al raggiungimento dei requisiti pensionistici, la riforma ha dettato una disciplina transitoria, individuando alcune categorie di lavoratori ai quali continua ad applicarsi la normativa previgente, preordinando allo scopo specifiche risorse finanziarie. Tale platea comprende, in particolare, i lavoratori che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2011; i lavoratori collocati in mobilità sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011 (data di entrata in vigore della riforma) e che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità; i lavoratori titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore alla data del 4 dicembre 2011, nonché lavoratori per i quali sia stato previsto da accordi collettivi stipulati entro la data del 4 dicembre 2011 il diritto di accesso ai predetti fondi di solidarietà; i lavoratori che, antecedentemente alla data del 4 dicembre 2011, siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione; i lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 si trovino in esonero dal servizio; i lavoratori che alla data del 31 ottobre 2011 sono in congedo per assistere figli con disabilità grave, a condizione che maturino, entro ventiquattro mesi dalla data di inizio del predetto congedo, il requisito di anzianità contributiva di 40 anni.
L'insufficienza delle norme transitorie contenute nella legge di riforma, resasi evidente nei mesi successivi alla sua entrata in vigore (mesi che hanno visto crescere la protesta dei lavoratori che si sarebbero venuti a trovare senza stipendio e senza pensione), ha indotto il Governo e il Parlamento a rivedere la platea dei soggetti ammessi al pensionamento secondo la normativa previgente, estendendola a più riprese.
Sono stati fin qui effettuati sette interventi di salvaguardia:
§ prima salvaguardia: l'articolo 6, comma 2-ter, del D.L. 216/2011 ha ricompreso anche i lavoratori il cui rapporto di lavoro si fosse risolto, in base ad accordi individuali, sottoscritti in data antecedente a quella di entrata in vigore della legge di riforma o in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale, purché in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, in base alla previgente disciplina pensionistica, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento entro un periodo non superiore a 24 mesi dalla data di entrata in vigore della riforma. l'articolo 6, comma 2-septies, dello stesso provvedimento, ha disposto che la normativa previgente continuasse ad applicarsi anche ai lavoratori che alla data del 31 ottobre 2011 risultassero essere in congedo per assistere figli con disabilità grave, a condizione che maturassero, entro 24 mesi dalla data di inizio del congedo, in presenza di un requisito di anzianità contributiva non inferiore a quaranta anni;
§ seconda salvaguardia: l'articolo 22 del D.L. 95/2012 (c.d. "spending review") ha ulteriormente incrementato la platea dei soggetti salvaguardati, rientranti in alcune categorie (lavoratori collocati in mobilità o in mobilità lunga, sulla base di appositi accordi stipulati dalle imprese in sede governativa anteriormente al 31 dicembre 2011; lavoratori che, alla data del 4 dicembre 2011, non erano titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore; prosecutori volontari autorizzati antecedentemente il 4 dicembre 2011; lavoratori con accordi individuali o collettivi di incentivazione all’esodo il cui rapporto di lavoro si sia risolto entro il 31 dicembre 2011 e che siano in possesso di specifici requisiti) ricomprendendovi altri 55.000 lavoratori (successivamente ridotto a 35.000 e ulteriormente ridotto dal provvedimento in esame 19.741);
§ terza salvaguardia: l'articolo 1, commi 231-237, della L. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013), ha stabilito che le disposizioni previgenti alla legge di riforma continuino a trovare applicazione anche nei confronti di ulteriori categorie di lavoratori (lavoratori cessati dal rapporto di lavoro entro il 30 settembre 2012 e collocati in mobilità - ordinaria o in deroga - a seguito di accordi, governativi o non governativi, stipulati entro il 31 dicembre 2011 e che avessero perfezionato i requisiti utili al trattamento pensionistico entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità o durante il periodo di godimento dell'indennità di mobilità in deroga, e in ogni caso entro il 31 dicembre 2014; lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011, a condizione che perfezionassero i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il 36° mese dalla data di entrata in vigore del D.L. 201/2011 e in possesso di specifici requisiti contributivi; lavoratori che avessero risolto il rapporto di lavoro entro il 30 giugno 2012, in ragione di accordi individuali o in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale entro il 31 dicembre 2011, ancorché avessero svolto, dopo la cessazione, qualsiasi attività non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato purché non superassero specifici limiti reddituali; lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria entro il 4 dicembre 2011 e collocati in mobilità ordinaria alla predetta data, i quali, in quanto fruitori della relativa indennità, dovessero attendere il termine della fruizione stessa per poter effettuare il versamento volontario, a condizione che perfezionassero specifici requisiti. Le modalità di attuazione sono contenute nel DM 22 aprile, e le relative istruzioni operative sono contenute nella C.M. 5 giugno 2013, n. 19;
§ quarta salvaguardia: gli articoli 11 e 11-bis del D.L. 102/2013 hanno recato nuove disposizioni. In particolare, l'articolo 11 ha stabilito che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima dell'entrata in vigore della cd. riforma Fornero, trovassero applicazione anche nei confronti dei lavoratori il cui rapporto di lavoro fosse cessato entro il 31 dicembre 2011 a seguito di risoluzione unilaterale. Il beneficio è stato riconosciuto nel limite di 6.500 soggetti. Il successivo articolo 11-bis ampliato ulteriormente la platea dei cd. esodati, ricomprendendovi anche 2.500 lavoratori i quali nel 2011 erano in congedo per assistere a familiari con handicap grave o fruivano di permessi giornalieri retribuiti per assistenza a coniuge parente o affine con handicap grave, i quali maturino i requisiti pensionistici entro 36 mesi dall'entrata in vigore del D.L. 201/2011;
§ quinta salvaguardia: l'articolo 1, comma 191, della L. 147/2013 ha previsto un ulteriore contingente di soggetti, pari a 6.000 unità (già interessato da provvedimenti precedenti), per i quali trova applicazione la disciplina pensionistica previgente il D.L. 201/2011 (lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011, a condizione che perfezionino i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il 36° mese dalla data di entrata in vigore del D.L. 201/2011 con almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data di entrata in vigore del D.L. 201/2011, ancorché abbiano svolto, successivamente alla medesima data del 4 dicembre 2011, attività lavorativa retribuita, comunque non riconducibile al rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, entro il limite di 7.500 euro annui) Il successivo comma 194 ha ulteriormente esteso la platea di tali lavoratori, includendovi un massimo di ulteriori 17.000 lavoratori, esclusi dai precedenti interventi di salvaguardia, a condizione che perfezionino i requisiti pensionistici entro il 7 dicembre 2014, appartenenti alle seguenti categorie: prosecutori volontari autorizzati al 4 dicembre 2011 con un contributo accreditato o accreditabile al 6 dicembre 2011 e che, dopo il 4 dicembre 2011, abbiano svolto attività lavorativa non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato; lavoratori con accordi individuali o collettivi cessati dall'attività lavorativa entro il 30 giugno 2012 e che abbiano svolto, dopo tale data, attività lavorativa non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato; lavoratori con accordi individuali o collettivi cessati dall'attività lavorativa dopo il 30 giugno 2012 e fino al 31 dicembre 2012 e che abbiano svolto, dopo la data di cessazione, attività lavorativa non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato; lavoratori con risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro di lavoro tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2008 che abbiano svolto dopo la cessazione attività non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (si includono anche i lavoratori con risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro di lavoro tra il 1° gennaio 2009 e il 31 dicembre 2011 che abbiano svolto dopo la cessazione attività non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, con un reddito annuo lordo complessivo superiore a euro 7.500); lavoratori in mobilità ordinaria che maturino il requisito pensionistico ante L. 214/2011 dopo la data di fine mobilità e entro sei mesi dalla stessa; soggetti autorizzati al versamento dei contributi volontari entro il 4 dicembre 2011 senza accreditamento di contributi effettivi alla stessa data;
§ sesta salvaguardia: la L. 147/2014 ha assicurato l'accesso al sistema previdenziale, secondo la disciplina antecedente alla riforma, ad un contingente di 32.100 lavoratori, prolungando di un anno (da 36 a 48 mesi successivi all'entrata in vigore delle riforma) il termine entro il quale le categorie di lavoratori già individuate nelle precedenti salvaguardie (prosecutori volontari; lavoratori cessati sulla base di accordi individuali o collettivi; lavoratori in mobilità; lavoratori il cui rapporto di lavoro sia stato risolto unilateralmente) dovevano maturare i requisiti pensionistici al fine di accedere al sistema previdenziale con i requisiti antecedenti alla legge Fornero. A tali categorie si aggiunge, inoltre, quella dei lavoratori cessati che erano titolari di un contratto a tempo determinato. Per la copertura degli oneri il provvedimento attinge, in buona misura, alle risorse stanziate per le precedenti salvaguardie e in parte non utilizzate (in quanto le effettive richieste di pensionamento si sono rivelate inferiori alle attese), con conseguente riduzione delle platee ivi previste. In particolare, la riduzione delle precedenti platee è pari a 24.000 lavoratori, con un saldo attivo di 8.100 lavoratori (32.100 previsti complessivamente a cui vanno sottratti 24.000 lavoratori derivanti dalla riduzione delle platee previste da precedenti salvaguardie);
§ settima salvaguardia: la L. 208/2015 ha garantito l'accesso al trattamento previdenziale con i vecchi requisiti a un massimo di ulteriori 26.300 soggetti, sia individuando nuove categorie di soggetti beneficiari, sia incrementando i contingenti di categorie già oggetto di precedenti salvaguardie, attraverso il prolungamento del termine (da 36 a 60 mesi successivi all'entrata in vigore della riforma pensionistica) entro il quale i soggetti devono maturare i vecchi requisiti. Più specificamente, si prevede che i requisiti per l'accesso al sistema previdenziale vigenti prima della riforma pensionistica continuino ad applicarsi a specifiche categorie di lavoratori (lavoratori collocati in mobilità o in trattamento speciale edile; lavoratori provenienti da aziende cessate o interessate dall'attivazione delle vigenti procedure concorsuali; prosecutori volontari; lavoratori titolari di accordi individuali o collettivi; lavoratori con risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro; lavoratori in congedo per assistere figli con disabilità grave; lavoratori con contratto di lavoro a tempo determinato e lavoratori in somministrazione con contratto a tempo determinato - con esclusione dei lavoratori del settore agricolo e dei lavoratori stagionali) nei limiti di determinati contingenti.
Per effetto dei ripetuti interventi di salvaguardia adottati fin qui del legislatore la copertura previdenziale riguarda una platea complessiva di 172.466 lavoratori.
Articolo 34
(Trasformazione a tempo parziale dei
rapporti di lavoro)
L’articolo 34 riduce il limite massimo di spesa previsto per la specifica disciplina transitoria[61], relativa ad una fattispecie di trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro subordinato, pubblico o privato, con copertura pensionistica figurativa per la quota di retribuzione perduta e con la corresponsione al dipendente, da parte del datore di lavoro, di una somma pari alla contribuzione pensionistica che sarebbe stata a carico di quest'ultimo (relativa alla prestazione lavorativa non effettuata).
Si ricorda che l'istituto è subordinato al possesso, da parte del dipendente, di determinati requisiti anagrafici e contributivi e ad ulteriori condizioni, relative al contenuto dell'accordo, e che il summenzionato importo, corrisposto dal datore di lavoro, non concorre alla formazione del reddito da lavoro dipendente e non è assoggettato a contribuzione previdenziale. L'accoglimento della domanda di trasformazione, da parte dell'INPS, è altresì subordinato al rispetto di limiti complessivi di spesa.
Nella disciplina finora vigente, questi ultimi sono pari a 60 milioni di euro per il 2016, 120 milioni per il 2017 e 60 milioni per il 2018. La presente novella riduce a 20 milioni per il 2017 ed a 10 milioni per il 2018 tali limiti. Le conseguenti economie di spesa restano acquisite al bilancio dello Stato; si ricorda che la copertura degli stanziamenti in oggetto è reperita mediante ricorso alle entrate contributive dell'INPS destinate in via ordinaria, per il 50 per cento, al finanziamento delle attività dell'Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL) e, per il restante 50 per cento, al finanziamento del Fondo sociale per occupazione e formazione[62] - ricorso che resta attivato secondo le misure integrali originarie, in quanto le economie di spesa restano acquisite al bilancio dello Stato.
Secondo la relazione tecnica, allegata al disegno di legge in esame, il ridimensionamento dell’autorizzazione di spesa "è effettuato coerentemente con gli elementi di monitoraggio disponibili per la misura in esame e garantendo al contempo elementi di prudenzialità".
Più in
dettaglio, ai fini dell'applicazione dell'istituto in esame:
§ il dipendente, pubblico o privato, titolare di un rapporto a tempo pieno e indeterminato, deve maturare entro il 31 dicembre 2018 il requisito anagrafico per il diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia ed aver già maturato (al momento della trasformazione del rapporto) i requisiti minimi di contribuzione per il diritto al medesimo trattamento;
§ l'accordo per la trasformazione del rapporto deve riguardare un periodo di tempo non superiore a quello intercorrente tra la data di accesso al beneficio in esame e la data di maturazione del suddetto requisito anagrafico;
§ la riduzione dell'orario di lavoro deve essere pari ad una misura compresa tra il 40 per cento e il 60 per cento[63].
Articolo 35
(Fondi di solidarietà bilaterali)
L’articolo 35 reca alcune norme in materia di fondi di solidarietà bilaterali. In tale àmbito, i commi 1 e 4 concernono specificamente i fondi relativi al personale del credito e a quello del credito cooperativo, mentre i commi 2 e 3 fanno riferimento ai settori interessati da provvedimenti legislativi relativi a processi di adeguamento o di riforma.
Il comma 1 prevede, in via transitoria, la possibilità che, mediante modifiche dei relativi atti istitutivi, i fondi di solidarietà bilaterali relativi al personale del credito e a quello del credito cooperativo contemplino l'assegno straordinario per il sostegno al reddito (riconosciuto nel quadro dei processi di agevolazione all'esodo) in favore di lavoratori che raggiungano i requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi sette anni, anziché nei successivi cinque anni (come consentito dalla norma generale sui fondi bilaterali). La possibilità in oggetto è ammessa per il periodo 2016-2019 - per il fondo relativo al personale del credito, essa è già ammessa per gli anni 2016 e 2017, ai sensi dell'art. 12 del D.L. 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 giugno 2016, n. 119 -. Le modifiche in oggetto della disciplina dei due fondi devono essere adottate secondo la procedura di cui al presente comma 1.
Il comma 4, sempre con riferimento ai due suddetti fondi di solidarietà bilaterali, consente che, per il periodo 2017-2019, essi corrispondano ai lavoratori che raggiungano i requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi sette anni l'importo relativo al riscatto o alla ricongiunzione di periodi contributivi precedenti l'accesso al fondo di solidarietà. Tale beneficio è subordinato al previo versamento, a carico del datore di lavoro ed in favore del fondo, delle relative somme nonché all'adozione (secondo la procedura di cui al medesimo comma 4) delle conseguenti modifiche della disciplina dei due fondi.
I commi 2 e 3 consentono una riduzione del contributo straordinario relativo ai citati assegni straordinari per il sostegno al reddito (nell'àmbito dei fondi di solidarietà bilaterali che contemplino tale istituto), con riferimento ai settori che siano interessati da provvedimenti legislativi relativi a processi di adeguamento o di riforma per aumentarne la stabilità e rafforzarne la patrimonializzazione, limitatamente alle imprese o gruppi di imprese coinvolti in processi di ristrutturazione o fusione e fino al 31 dicembre 2019.
Si ricorda che, in base alla norma generale, il contributo straordinario in oggetto (a carico del datore di lavoro) è pari al fabbisogno di copertura dell'assegno straordinario e della contribuzione correlata. Ai sensi dei commi 2 e 3, il contributo, su domanda, è ridotto di un importo pari, per gli assegni aventi decorrenza iniziale nel 2017, all'85% della somma costituita dall'applicazione ipotetica della misura del trattamento generale di disoccupazione (NASpI) e della relativa contribuzione figurativa, calcolate (con riferimento al singolo lavoratore) secondo le relative norme generali, e, per gli assegni aventi decorrenza iniziale nel 2018 o nel 2019, al 50% della medesima base di calcolo. La riduzione è ammessa entro un limite massimo complessivo di 25.000 accessi, nel triennio in oggetto, all'assegno straordinario e, in ogni caso, nel limite di 174 milioni di euro per il 2017, 224 milioni per il 2018, 139 milioni per il 2019, 87 milioni per il 2020 e 24 milioni per il 2021. La copertura finanziaria delle conseguenti minori risorse viene posta a carico dell'INPS, il quale provvede altresì al monitoraggio delle domande presentate al fine di garantire il rispetto dei limiti annuali di spesa e del limite numerico suddetti.
Articolo 36
(Norme sulla contribuzione studentesca
universitaria)
L’articolo 36 contiene una ridefinizione della disciplina in materia di contributi corrisposti dagli studenti iscritti ai corsi di laurea e di laurea magistrale delle università statali, con l’istituzione di un contributo annuale onnicomprensivo.
Per gli studenti dei corsi di laurea e dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, si prevede l’istituzione della c.d. “no tax area” per quanti appartengono ad un nucleo familiare con ISEE fino a 13.000 euro e conseguentemente si prevede un incremento delle risorse del Fondo di finanziamento ordinario (FFO).
L’articolo 36 specifica – rispetto al quadro normativo vigente – che il contributo annuale versato dagli studenti dei corsi di laurea e di laurea magistrale all’università statale cui sono iscritti, per la copertura dei costi dei servizi didattici, scientifici e amministrativi, è onnicomprensivo e, in particolare, comprende anche i contributi per attività sportive. Il contributo può essere differenziato per i diversi corsi di laurea (e di laurea magistrale).
Al comma
1, dopo la locuzione “tra i diversi corsi di laurea” occorre aggiungere la
locuzione “e di laurea magistrale”.
Pertanto, le università statali non possono istituire – fatti salvi i contributi per i servizi prestati su richiesta dello studente per esigenze individuali, nonché le imposte erariali – ulteriori tasse o contributi a carico degli studenti, fino al rilascio del titolo finale di studio.
Si intenderebbe, dunque, che il contributo onnicomprensivo annuale assorba, per gli studenti dei corsi di laurea e di laurea magistrale, anche la attuale tassa di iscrizione.
Occorrerebbe
chiarire se tale tassa di iscrizione resterà ferma per gli studenti iscritti ai
corsi di specializzazione. Inoltre, occorrerebbe abrogare le disposizioni del D.P.R.
306/1997 il cui contenuto è superato – come evidenzia anche la relazione tecnica
– dalla nuova disciplina.
La disciplina della contribuzione studentesca
è attualmente recata dal D.P.R. 306/1997 e dall’art. 9 del D.Lgs.
n. 68/2012.
In base al D.P.R. n. 306/1997 - come modificato
dall’art. 7, co. 42, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012) - gli studenti dei corsi di
laurea, di laurea magistrale (e di specializzazione) contribuiscono alla
copertura del costo dei servizi offerti dalle università mediante il pagamento
dei contributi universitari e della tassa di iscrizione determinata annualmente (art. 2)[64].
Ai sensi
dell’art. 1, co. 1, lett. e), la somma dei contributi
universitari e della tassa di iscrizione costituisce la “contribuzione
studentesca”.
I contributi universitari sono determinati
autonomamente dalle università, in relazione ad obiettivi di adeguamento della
didattica e dei servizi per gli studenti, nonché sulla base della
specificità del percorso formativo. In particolare, le università graduano l'importo dei contributi
universitari per gli studenti iscritti ai corsi di laurea secondo criteri di equità e solidarietà, in relazione alle
condizioni economiche dell'iscritto, utilizzando metodologie adeguate a
garantire un'effettiva progressività,
anche allo scopo di tutelare gli studenti di più disagiata condizione
economica.
La contribuzione studentesca non può eccedere il 20% dell’importo del
finanziamento ordinario dello Stato, a valere sul FFO (art. 5, co. 1).
Non concorrono al raggiungimento di tale limite il gettito della tassa di
iscrizione e dei contributi universitari per le scuole di specializzazione (art.
4), nonché i contributi
versati dagli studenti iscritti oltre la durata normale dei “corsi di studio di
primo e di secondo livello”, ossia dei corsi di laurea e di laurea magistrale (art. 5, co. 1-bis).
L’art. 9 del D.Lgs. 68/2012 – rilegificando
aspetti precedentemente disciplinati con gli artt. 7 e 8 del DPCM 9 aprile 2001
– ha disposto, a sua volta, in particolare, che, ai fini della graduazione
dell'importo dei contributi dovuti per la frequenza ai corsi di livello
universitario, le università statali e le istituzioni AFAM valutano la
condizione economica degli iscritti, anche tenuto conto della situazione
economica del territorio in cui ha sede l'università, e possono tenere conto
dei differenziali di costo di formazione riconducibili alle diverse aree
disciplinari.
L’esonero totale dal
pagamento della tassa di iscrizione e dei contributi è concesso agli
studenti in possesso dei requisiti per l’accesso alle borse di studio
(requisiti che devono essere definiti, ai sensi dell’art. 7, co. 7, con un
decreto interministeriale non ancora intervenuto), agli studenti disabili con
un’invalidità pari almeno al 66%, agli studenti stranieri beneficiari di borsa
di studio erogata dal Governo italiano nell’ambito dei programmi di
cooperazione allo sviluppo e degli accordi intergovernativi culturali e
scientifici, agli studenti costretti a interrompere gli studi a causa di
infermità gravi e prolungate (per il periodo di infermità), agli studenti che
intendono ricongiungere la carriera dopo un periodo di interruzione.
Le università statali e le
istituzioni AFAM, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, possono
disporre autonomamente ulteriori esoneri, totali o parziali, dal pagamento
della tassa di iscrizione e dei contributi universitari, tenuto conto della
condizione economica degli studenti, in favore di studenti diversamente abili
con invalidità inferiore al 66%, di studenti che concludono gli studi entro i
termini previsti dai rispettivi ordinamenti con regolarità nell’acquisizione
dei crediti previsti dal piano di studi, o di studenti che svolgono una
documentata attività lavorativa.
Restano, invece, ferme le norme in materia di imposta di bollo, di esonero e di graduazione dei contributi di cui al citato art. 9 del D.Lgs. 68/2012 (che si aggiungeranno, dunque, agli esoneri e ai limiti massimi previsti dall’articolo in esame), nonché “le norme sulla tassa regionale per il diritto allo studio, di cui all’articolo 18 del medesimo decreto”.
La disciplina della tassa
regionale per il diritto allo studio è recata dall’art. 3, co. 20-23, della
L. 549/1995, come modificata, con riferimento ai soli importi (indicati
nel co. 21), dall’art. 18, co. 8, dello stesso D.Lgs.
68/2012.
In base alla normativa
vigente, gli studenti universitari sono tenuti al pagamento della tassa
regionale per il diritto allo studio universitario, il cui importo è determinato
dalle regioni (o dalle province autonome), a partire dalla misura minima,
rapportata alla condizione economica, di € 120 ed entro il limite massimo di €
200 (da aggiornare annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato):
ove non si proceda a tale determinazione, la tassa è dovuta nella misura di €
140. Le regioni (e le province autonome) concedono l'esonero parziale
o totale dal pagamento della tassa agli studenti capaci e meritevoli privi
di mezzi; sono comunque esonerati dal pagamento gli studenti beneficiari delle
borse di studio e dei prestiti d'onore, nonché gli studenti risultati idonei
nelle graduatorie per l'ottenimento di tali benefici. Il gettito della tassa è
interamente devoluto alla erogazione delle borse di studio e dei prestiti
d'onore.
Alla luce della ricostruzione normativa esposta,
occorre dunque chiarire quale parte della disciplina relativa alla tassa
regionale per il diritto allo studio si intenda fare salva.
Con riferimento alla tassa regionale per il diritto allo studio, si specifica, inoltre, che la stessa deve essere pagata da tutti gli studenti, ad eccezione di coloro che “ne sono esonerati ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68” (e non anche degli studenti che rientrano nella c.d “no tax area”).
Si
segnala che, come già visto, l’art. 9 del D.Lgs. n. 68/2012
non disciplina l’esonero dal pagamento della tassa regionale per il diritto
allo studio, che, invece, è disciplinato dall’art. 3, co. 20-23, della L. n. 549/1995.
Per completezza, si evidenzia che un ulteriore caso di esonero dal pagamento della tassa regionale per il diritto allo studio è previsto dall’art. 38 per gli studenti che fruiscono delle (nuove) borse nazionali per il merito e la mobilità.
Sono esonerati dal pagamento del contributo onnicomprensivo annuale – oltre a coloro che rientrano nelle fattispecie considerate dall’art. 9 del D.Lgs. 68/2012 – gli studenti che soddisfano congiuntamente i seguenti requisiti:
§ appartengono ad un nucleo familiare il cui Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) sia inferiore o uguale a 13.000 euro.
Per le modalità di calcolo dell’ISEE, si fa riferimento all’art. 8 del D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159.
Occorre valutare se non si debba fare
riferimento anche all’art. 2-sexies del D.L. 42/2016 (L. 89/2016) che, nelle more
dell'adozione delle modifiche al DPCM 159/2013, volte a recepire le sentenze
del Consiglio di Stato, sezione IV, nn. 00841, 00842 e 00838 del 2016,
ha introdotto una disciplina transitoria per il calcolo dell’ISEE, citando
esplicitamente anche le prestazioni per il diritto allo studio universitario;
§ sono iscritti all’università di appartenenza da un numero di anni accademici inferiore o uguale alla durata normale del corso di laurea o laurea magistrale a ciclo unico.
Sono dunque esclusi dall’esonero gli iscritti ai corsi di laurea magistrale (non a ciclo unico);
§ nel caso di iscrizione al secondo anno accademico, hanno conseguito almeno 10 crediti formativi universitari (CFU) entro il 10 agosto del primo anno; nel caso di iscrizione ad anni successivi, hanno conseguito almeno 25 CFU nei dodici mesi antecedenti il 10 agosto dell’anno accademico precedente la relativa iscrizione.
Si evidenzia che gli iscritti al primo anno dei corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico non potranno, ovviamente, soddisfare congiuntamente le tre condizioni.
Se,
dunque, si intende applicare la nuova disciplina anche agli iscritti al primo
anno dei corsi indicati, occorre intervenire sulla formulazione del testo.
Ulteriori disposizioni fissano i criteri per la determinazione dell’importo massimo del contributo onnicomprensivo annuale per determinate categorie di studenti, fino ad un ISEE di 25.000 euro.
La relazione tecnica evidenzia che allo
stato sono circa 478.000 gli studenti con ISEE inferiore a 25.000 euro che non
sono esonerati dalla contribuzione studentesca ai sensi della normativa sul
diritto allo studio.
In particolare:
a) per gli studenti che appartengono ad un nucleo familiare il cui ISEE è compreso tra 13.001 euro e 25.000 euro, e che soddisfano i requisiti di cui alle lett. b) e c), il contributo non può superare l’8% della quota di ISEE eccedente 13.000 euro[65];
b) per gli studenti che appartengono ad un nucleo familiare il cui ISEE sia inferiore o uguale a 13.000 euro, e che soddisfano solo il requisito di cui alla lett. c), il contributo è pari a 200 euro;
c) per gli studenti che appartengono ad un nucleo familiare il cui ISEE è compreso tra 13.001 euro e 25.000 euro, e che soddisfano solo il requisito di cui alla lett. c), il contributo non può superare quello determinato ai sensi del primo punto, aumentato del 50%, con un valore minimo di 200 euro[66].
Si
segnala che, in considerazione del fatto che la relazione tecnica evidenzia che le università saranno libere di
determinare il contributo per gli iscritti ai corsi di laurea magistrale (non a
ciclo unico), occorre inserire il riferimento ai corsi di laurea e di laurea
magistrale a ciclo unico anche nell’alinea del co 4. Infatti, per le ultime due
categorie indicate letteralmente non è richiesto il requisito di cui al co. 4, lett. b).
I limiti degli importi ISEE per usufruire dell’esonero o delle riduzioni sono aggiornati – a decorrere dall’a.a. 2020/21 – ogni tre anni, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, a seguito del monitoraggio dell’attuazione e dell’efficacia delle disposizioni introdotte.
L’importo del contributo onnicomprensivo annuale – che, come già detto, può essere anche differenziato tra i diversi corsi di studio – è stabilito nel regolamento in materia di contribuzione studentesca che ciascuna università statale approva nel rispetto dei criteri di equità, gradualità e progressività.
Il regolamento può disporre, nel rispetto del principio di equilibrio di bilancio di ciascuna università statale, eventuali ulteriori casi di esonero o graduazione del contributo per specifiche categorie di studenti, individuate in relazione alla carriera universitaria o alla particolare situazione personale e stabilisce, altresì, le modalità di versamento del contributo in una o più rate e le maggiorazioni dovute per i ritardati pagamenti.
In sede di prima
applicazione, il regolamento è approvato entro il 31 marzo 2017 ed entra in vigore a decorrere dall’a.a. 2017/2018. In caso di mancato
rispetto del termine, si applica comunque la nuova disciplina sugli esoneri e
le riduzioni.
Nel caso di studenti con nazionalità di paesi non appartenenti alla UE e residenti all’estero, per i quali risulti inapplicabile il calcolo dell’ISEE ai sensi dell’art. 8, co. 5, del DPCM 159/2013, l’importo del contributo onnicomprensivo annuale è stabilito dalle singole università, anche in deroga ai criteri individuati dalla nuova disciplina.
L’art. 8, co. 5, del DPCM 159/2013 stabilisce che la condizione economica
degli studenti stranieri o degli studenti italiani residenti all'estero viene
definita attraverso l'Indicatore della situazione economica equivalente
all'estero, calcolato come la somma dei redditi percepiti all'estero e del
20% dei patrimoni posseduti all'estero.
In conseguenza della nuova disciplina sugli esoneri dal pagamento dei contributi universitari, il Fondo per il finanziamento ordinario (FFO) delle università statali (art. 5 della L. 537/1993, cap. 1694 dello stato di previsione del MIUR) è incrementato di 40 milioni di euro per il 2017 e di 85 milioni di euro annui dal 2018.
A decorrere dal 2017, con riferimento all’a.a. 2016/17, tali risorse sono ripartite tra le università statali, in proporzione al numero degli studenti esonerati dal pagamento di ogni contribuzione ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. 68/2012, cui si aggiunge, dal 2018, il numero degli studenti esonerati dal pagamento del contributo onnicomprensivo annuale, moltiplicati per il costo standard per studente in corso di ateneo[67].
Dunque, il numero di studenti che beneficiano delle riduzioni parziali del contributo onnicomprensivo non influisce sulla ripartizione delle risorse incrementali del FFO.
Le nuove disposizioni non si applicano alle università non statali, alle università telematiche, alle istituzioni universitarie ad ordinamento speciale, nonché all’università degli studi di Trento[68].
Le Istituzioni statali dell’alta formazione
artistica, musicale e coreutica (AFAM)
adeguano i propri regolamenti in
materia di contribuzione studentesca entro il 31 marzo 2017. In caso di mancato adeguamento, si applicano
comunque le disposizioni sull’esonero dal pagamento o di riduzione del
contributo onnicomprensivo annuale previste dall’articolo in commento.
Analogamente a quanto avviene per le università statali, il MIUR, nella ripartizione del “fondo annuale di dotazione” tra le istituzioni AFAM, tiene conto degli studenti esonerati dal pagamento di ogni contribuzione, e di quelli esonerati dal pagamento del contributo onnicomprensivo annuale.
Con l’espressione “fondo di dotazione” si intende fare riferimento, verosimilmente, alle risorse destinate al funzionamento amministrativo e didattico delle istituzioni AFAM (allocate sul cap. 1673/pg.5 dello stato di previsione del MIUR)[69].
Anche, in questo caso, il numero di studenti che beneficiano delle riduzioni parziali del contributo onnicomprensivo non influisce sulla ripartizione delle risorse destinate a tali istituzioni.
Articolo 37
(Finanziamento del fondo integrativo
statale per la
concessione delle borse di studio)
L’articolo 37 incrementa, a decorrere dal 2017, di € 50 mln il fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio.
Prevede, inoltre, la razionalizzazione da parte di ciascuna Regione dell’organizzazione degli enti erogatori dei servizi per il diritto allo studio mediante l’istituzione di un unico ente erogatore dei medesimi servizi.
Infine, dispone l’emanazione di un decreto ministeriale per determinare i fabbisogni finanziari regionali, ai fini dell’assegnazione del fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio in misura proporzionale a tale fabbisogno.
Si incrementa, a decorrere dal 2017, di € 50 mln il fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio, iscritto nello stato di previsione del MIUR, al fine di sostenere l'accesso dei giovani all'università, e in particolare dei giovani provenienti da famiglie meno abbienti.
Il fondo è stato istituito dall’articolo 18, comma 1, lett. a), del d.lgs. 68/2012 ed è stato da ultimo incrementato dall’articolo 1, comma 254, della legge di stabilità 2016 (L. 208/2015).
Il fondo è allocato nel cap. 1710 dello stato di previsione del MIUR (Tabella n. 7), annesso al disegno di legge. Il relativo stanziamento, a legislazione vigente, è pari a € 166,8 mln e, per effetto dell’incremento disposto, sarà pari a € 216,8 mln per il 2017.
La relazione tecnica evidenzia, al riguardo, che con l’incremento delle risorse si stima un incremento di 15.201 borse (10,9%) che pertanto diventerebbero 154.571. Conseguentemente, il numero degli idonei non beneficiari in rapporto a tutti gli idonei si ridurrebbe dagli attuali 49.242 (26,11%) a 34.041 (18,05%).
Si prevede, inoltre, che, ai fini dell’accesso alle risorse appartenenti al predetto fondo, ciascuna regione razionalizza l’organizzazione degli enti erogatori dei servizi per il diritto allo studio mediante la istituzione, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di un unico ente erogatore dei medesimi servizi. Sono comunque fatti salvi i modelli di sperimentazione di cui all’articolo 12 del D.Lgs. 68/2012.
Tale disposizione costituisce principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.
L’articolo 12 del D.Lgs. 68/2012 prevede, al comma 1, che il MIUR, sentito il MEF, promuove accordi di programma e protocolli di intese, anche con l’attribuzione di specifiche risorse nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, per favorire il raccordo tra le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, le università, le istituzioni per l'alta formazione artistica, musicale e coreutica e le diverse istituzioni che concorrono al successo formativo degli studenti e potenziare la gamma di servizi e interventi posti in essere dalle predette istituzioni nell'ambito della propria autonomia statutaria.
I commi da 2 a 4 riguardano la possibilità di sperimentare nuovi modelli nella gestione degli interventi per la qualità e l’efficienza del sistema universitario.
In particolare, in base al comma 2, al fine sopra indicato, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca può stipulare protocolli e intese sperimentali con le regioni e le province autonome, sentiti il CNSU, il CNAM e la CRUI, anche con l’attribuzione di specifiche risorse nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio.
Il comma 3 dispone che i risultati dei protocolli e degli accordi sono sottoposti a verifica e valutazione da parte del MIUR. A tal fine, i soggetti gestori predispongono ogni anno una relazione sui risultati della sperimentazione, sui benefici concretamente apportati dalle strategie integrative adottate rispetto al regime ordinario delle prestazioni oggetto del d.lgs. 68/2012 e sulle eventuali linee correttive da attivare.
Il comma 4, infine, dispone che i risultati delle sperimentazioni sono pubblicati sul sito del MIUR e precisa che essi sono consultabili da tutti i soggetti che concorrono all’attuazione del diritto allo studio.
L’articolo 117, terzo comma, della Costituzione attribuisce la materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario alla competenza legislativa concorrente Stato-Regioni. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, una disposizione statale di principio, adottata in materia di legislazione concorrente, quale quella del «coordinamento della finanza pubblica», può incidere su una o più materie di competenza regionale, anche di tipo residuale e determinare una – sia pure parziale – compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le competenze legislative e amministrative delle Regioni (Corte cost., sent. 44/2014, § 6).
Per
costante orientamento della giurisprudenza della Corte costituzionale, norme
statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono
qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla
seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi
di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento
complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che
non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (ex plurimis, sentenze n. 237 del 2009; n. 289 e n. 120 del 2008) (Corte cost., sent. 44/2014 citata, § 21).
Si prevede, altresì, che le risorse destinate alla concessione delle borse di studio sono direttamente attribuite al bilancio dell’ente regionale erogatore dei servizi per il diritto allo studio e che, allo scopo di consentire che l’assegnazione del fondo integrativo statale avvenga, in attuazione della relativa norma istitutiva (il già ricordato articolo 18, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 68/2012), in misura proporzionale al fabbisogno finanziario delle regioni, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con proprio decreto emanato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, determina i fabbisogni finanziari regionali, previo parere della Conferenza permanente Stato-Regioni, che si esprime entro venti giorni dalla data di trasmissione; decorso tale termine il decreto può essere comunque adottato. Il predetto DM di determinazione dei fabbisogni finanziari regionali è adottato nelle more dell’emanazione del decreto di cui all’articolo 7, comma 7, del d.lgs. 68/2012.
L’articolo 7 del D.Lgs. 68/2012 definisce i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) con riferimento alla borsa di studio e all’assistenza sanitaria, disponendo, peraltro, per la definizione dell’importo della borsa di studio, l’intervento di decreti ministeriali.
Infatti il richiamato comma 7 dispone che l'importo della borsa di studio è determinato con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sentito il Consiglio nazionale degli studenti universitari. L’intervento doveva avvenire entro un anno dalla data di entrata in vigore dello stesso del D.Lgs. 68/2012, sulla base di quanto previsto ai commi 2 e 3. Con il medesimo decreto sono definiti i criteri e le modalità di riparto del fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio. Il decreto è aggiornato con cadenza triennale. Con il medesimo decreto sono altresì definiti i requisiti di eleggibilità per l'accesso alle borse di studio di cui all'articolo 8.
L’articolo 38 prevede l’assegnazione annuale di almeno 400 borse di studio nazionali per il merito e la mobilità, ciascuna del valore di € 15.000 annui, da assegnare a studenti, sulla base di requisiti di merito e di reddito, al fine di favorirne l’iscrizione ai corsi di laurea o di laurea magistrale a ciclo unico nelle università statali o ai corsi di diploma accademico di primo livello nelle istituzioni statali dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, anche aventi sede differente da quella di residenza del nucleo familiare.
Il
nuovo strumento sembra tener luogo del Piano nazionale per il merito e la
mobilità degli studenti universitari capaci, meritevoli e privi di mezzi che,
in base all’art. 59 del D.L. 69/2013 (L. 98/2013), doveva essere emanato ogni
tre anni.
Si
dispone che, dal 1° gennaio 2017, la
Fondazione per il merito di cui all’art. 9, co. 3, del D.L. 70/2011 (L.
106/2011) – che finora non è stata costituita – assume la nuova denominazione
di “Fondazione Articolo 34”,
evidentemente con riferimento all’art. 34 della Costituzione, che prevede, per
quanto qui interessa, che i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi,
hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e che la Repubblica
rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed
altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Si
dispone, altresì, che la nuova denominazione sostituisce la precedente in tutti
i provvedimenti legislativi e regolamentari, ove presente e, in particolare,
nel citato D.L. 70/2011.
A fini di chiarezza normativa, occorrerebbe
novellare esplicitamente l’art. 9, co. 3, del D.L. 70/2011.
L’art.
9, co. 3-16, del D.L. 70/2011 (L. 106/2011) ha previsto l’istituzione della
Fondazione per il merito per la realizzazione degli obiettivi di pubblico
interesse del Fondo per il merito degli studenti universitari - di cui all’art.
4 della L. 240/2010[70] - e per promuovere la cultura del merito e la
qualità degli apprendimenti nel sistema scolastico e universitario[71].
I membri fondatori sono il MIUR e il MEF, ai quali è stata attribuita la vigilanza sulla stessa Fondazione. Lo statuto della Fondazione deve disciplinare, tra l’altro, la partecipazione alla Fondazione di altri enti pubblici e privati, nonché le modalità con le quali tali soggetti possono partecipare finanziariamente allo sviluppo del Fondo per il merito.
Alla Fondazione sono stati affidati, tra l’altro, la gestione del Fondo per il merito, il coordinamento operativo della somministrazione delle prove nazionali standard per l’accesso al fondo e, ai soli fini del perseguimento degli scopi e degli obiettivi indicati dall’art. 4 della L. 240/2010, la possibilità di concedere finanziamenti e rilasciare garanzie in favore degli studenti dei corsi di laurea e laurea magistrale.
Il patrimonio della Fondazione è costituito da apporti del MIUR e del MEF, ulteriori apporti dello Stato, risorse provenienti da altri soggetti pubblici e privati. Inoltre, la Fondazione può avere accesso, fra l’altro, alle risorse di programmi cofinanziati dai Fondi strutturali europei.
Lo stesso art. 9, per il 2011, ha autorizzato la spesa di € 9 mln quale dotazione del Fondo per il merito e di € 1 mln a favore della costituzione del fondo di dotazione della Fondazione, nonché la spesa di € 1 mln a favore della stessa Fondazione a decorrere dal 2012.
Dalla deliberazione della Corte dei conti n. 19/2013 del 19 dicembre 2013 risultava che l'iter istitutivo della Fondazione per il merito non era ancora giunto a compimento.
Da ultimo, la tab. D della L. 208/2015 (legge di stabilità 2016) aveva disposto il definanziamento permanente delle risorse destinate alla Fondazione per il merito, che erano state appostate sul cap. 1649 dello stato di previsione del MIUR.
Si
dispone, inoltre, in ordine alla governance della Fondazione. In particolare, si prevede che
i componenti dell’organo di
amministrazione – di cui non viene
indicato il numero –, nonché il suo Presidente,
sono nominati con DPCM, su proposta
del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministro
dell’economia e delle finanze.
Infine,
si prevede che la Fondazione definisce anche i criteri e le metodologie per
l’assegnazione delle borse di studio
nazionali per il merito e la mobilità.
Allo
scopo, si novellano i commi 4 e 6 dell’art. 9 del D.L. 70/2011.
Ai fini della proposta relativa al Presidente
e ai membri dell’organo di amministrazione della Fondazione, sembrerebbe
opportuno prevedere il concerto fra i due Ministri citati.
Per il finanziamento delle borse
di studio per il merito e la mobilità, sono attribuiti alla Fondazione € 6 mln per il 2017, € 13 mln per il 2018 ed € 20 mln dal 2019, mentre per il finanziamento dell’organizzazione
e delle attività della stessa Fondazione sono attribuiti € 2 mln per il 2017 ed € 1 mln dal 2018.
Entro
il 30 aprile di ogni anno, la
Fondazione bandisce almeno 400 borse di
studio nazionali, ciascuna del valore di € 15.000 annui, destinate a studenti capaci, meritevoli e privi di
mezzi, finalizzate a favorirne l’iscrizione a corsi di laurea, o di laurea
magistrale a ciclo unico nelle università statali, o a corsi di diploma
accademico di primo livello nelle istituzioni statali dell’alta formazione
artistica, musicale e coreutica (AFAM), anche aventi sede diversa da quella
della residenza anagrafica del nucleo familiare dello studente.
Trattandosi di un intervento di sostegno del
diritto allo studio, occorrerebbe valutare l’intesa con la Conferenza Stato-regioni
ai fini dell’adozione del bando.
L’art. 3 del D.Lgs. 68/2012, nel prevedere un sistema integrato di strumenti e servizi per la garanzia del diritto allo studio, al quale partecipano, nell’ambito delle rispettive competenze, diversi soggetti, ha disposto che, ferma restando la competenza esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, le regioni a statuto ordinario esercitano la competenza esclusiva in materia di diritto allo studio, disciplinando e attivando gli interventi per il concreto esercizio di tale diritto, mentre le università e le istituzioni AFAM, nei limiti delle proprie risorse, organizzano i propri servizi – compresi quelli di orientamento e tutorato – al fine di realizzare il successo formativo degli studi e promuovono attività culturali, sportive e ricreative, nonché interscambi tra studenti di università italiane e straniere.
Sono
ammessi a partecipare al bando gli studenti iscritti all’ultimo anno della
scuola secondaria di II grado che soddisfano congiuntamente i seguenti requisiti di reddito e di merito:
§ possesso,
alla data di emanazione del bando, di un Indicatore della situazione economica
equivalente (ISEE) - calcolato ai
sensi dell’art. 8 del DPCM 159/2013 - inferiore o uguale a € 20.000. Il valore ISEE può essere aggiornato con cadenza
triennale con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, a seguito del monitoraggio dell’attuazione e dell’efficacia
dell’istituto introdotto con l’articolo in commento;
Occorre valutare se non si debba fare
riferimento anche all’art. 2-sexies del D.L. n. 42/2016 (L. n. 89/2016) che,
nelle more dell'adozione delle modifiche al D.P.C.M. n. 159/2013, volte a
recepire le sentenze del Consiglio di Stato, sezione IV, nn.
00841, 00842 e 00838 del 2016,
ha introdotto una disciplina transitoria per il calcolo dell’ISEE, citando
esplicitamente anche le prestazioni per il diritto allo studio universitario.
§ medie dei voti relativi a tutte le materie ottenuti negli scrutini finali del terzo e quarto anno del percorso di istruzione secondaria di secondo grado, nonché negli scrutini intermedi del quinto anno, purché effettuati entro la data di scadenza del bando, uguali o superiori a 8/10;
§ punteggi riportati nelle prove di italiano e matematica somministrate dall’INVALSI ricadenti nel primo quartile (evidentemente, in ordine decrescente) dei risultati della regione ove ha sede la scuola frequentata.
Al riguardo, si ricorda che l’art. 1, co. 5, del D.L.
147/2007 (L. 176/2007) ha previsto che, a decorrere dall'a.s.
2007-2008, il Ministro dell’istruzione fissa, con direttiva annuale, gli
obiettivi della valutazione esterna condotta dal Servizio nazionale di
valutazione in relazione al sistema scolastico e ai livelli di apprendimento
degli studenti, per effettuare verifiche
periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti, di norma, alle classi II e V della
scuola primaria, I e III della scuola secondaria di I grado e II e V della scuola secondaria di II grado.
Su tale base, la Direttiva 85/2012 del Ministro dell’istruzione, dell’università e della
ricerca aveva disposto che nel corso del triennio scolastico 2012/13 – 2014/15
le rilevazioni nazionali degli apprendimenti previste dalla norma citata
avrebbero riguardato anche le classi V della scuola secondaria di II grado.
Tuttavia, come si evince dalla nota INVALSI prot. 9021 del
26 settembre 2016, per l’a.s. 2016/2017 la rilevazione INVALSI
riguarderà gli stessi livelli scolastici già coinvolti nelle rilevazioni del
precedente a.s. e, per quanto qui interessa, sarà
rivolta, per italiano e matematica, (solo) alle classi II del percorso di istruzione secondaria di secondo grado.
Dunque, ai fini dell’assegnazione delle borse
di studio nazionali per il merito e la mobilità, potrebbe determinarsi che si
debba fare riferimento ai risultati conseguiti nel corso del II anno di scuola
secondaria di II grado.
Si
valuti se, effettivamente, è questo l’intendimento.
Inoltre,
sono ammessi a partecipare al bando, in numero non superiore a due per ogni istituzione scolastica,
gli studenti che soddisfano le condizioni relative ad ISEE e punteggi riportati
nelle prove INVALSI, ma che, pur non soddisfacendo la condizione relativa alle
medie riportate negli scrutini indicati, sono qualificati dal dirigente
scolastico, su proposta del collegio dei docenti, come eccezionalmente meritevoli. La qualificazione deve essere motivata.
I
candidati ammessi a partecipare sono valutati sulla base dei criteri indicati
nel bando, riferiti ai requisiti sopra esposti e alla motivazione del giudizio
di merito eccezionale. In particolare, nella fissazione dei criteri, i valori
delle medie riportate negli scrutini indicati sono rapportati ai valori delle
stesse medie registrate nelle scuole della medesima provincia, come calcolate
dall’INVALSI.
All’esito
della valutazione, i candidati sono inclusi in un’unica graduatoria nazionale di merito.
Le
borse di studio sono assegnate,
nell’ordine della graduatoria, entro il
31 agosto di ogni anno e sono corrisposte allo studente in rate semestrali, previa verifica del
rispetto di alcune condizioni.
In
particolare, la prima rata è
corrisposta al momento della comunicazione (evidentemente,
alla Fondazione) dell’avvenuta immatricolazione
ad uno dei corsi di studio sopra indicati, fermo restando il superamento delle
prove di ammissione, ove previste. La seconda
rata è corrisposta entro il 31 marzo
dell’anno successivo.
Negli anni accademici successivi, le borse di
studio sono confermate, per tutta la durata normale del corso di studio, a
condizione che lo studente abbia conseguito, entro il 10 agosto di ogni a.a., tutti i crediti
formativi (CFU) degli a.a. precedenti e almeno 40 CFU
dell’a.a. in corso, con una media dei voti non
inferiore a 28/30 e nessun voto inferiore a 24/30.
Le due
rate sono corrisposte, rispettivamente, entro il 30 settembre ed entro il 31
marzo dell’anno successivo.
Al comma 10, dopo la locuzione “corso di
laurea” occorre aggiungere la locuzione “o corso di laurea magistrale a ciclo
unico, o corso di diploma accademico di I livello”.
Lo
studente che percepisce la borsa di studio nazionale per il merito e la
mobilità è esonerato dal pagamento
della tassa regionale per il diritto
allo studio (per la quale si richiama l’art. 18 del D.Lgs.
n. 68/2012), nonché delle tasse e
dei contributi previsti dalle università statali, o dalle istituzioni AFAM,
ferma restando la disciplina dell’imposta
di bollo. Inoltre, le borse di studio in questione sono esenti dall'imposta
sul reddito delle persone fisiche (art. 4, L. 476/1984).
Si ricorda che l’art. 36 del testo in
commento prevede l’istituzione, a decorrere dall’a.a.
2017/2018, di un “contributo onnicomprensivo annuale” (che ricomprende tasse e
contributi universitari attuali, ad eccezione della tassa regionale per il
diritto allo studio e dell’imposta di bollo).
Con riguardo alla tassa regionale per il diritto
allo studio, si ricorda che la relativa disciplina è recata dall’art. 3,
co. 20-23, della L. 549/1995, come modificata, con riferimento ai soli importi
(indicati nel co. 21), dall’art. 18, co. 8, dello stesso d.lgs. 68/2012 (v.
ampiamente, scheda art. 36).
Le
borse di studio per il merito e la mobilità sono incompatibili con altre borse di studio, ad eccezione di quelle per
i soggiorni di studio all’estero. Inoltre, sono incompatibili con tutti gli
strumenti e i servizi per il diritto allo studio di cui al d.lgs. 68/2012,
nonché con l’ammissione a istituti universitari ad ordinamento speciale o altre strutture universitarie che offrano
gratuitamente vitto e alloggio. Lo studente borsista, tuttavia, può chiedere di
usufruire dei servizi offerti dagli enti regionali per il diritto allo studio,
al costo stabilito dai medesimi enti.
Nelle more del raggiungimento della piena operatività della Fondazione,
si prevede l’istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con D.P.C.M., di una Cabina di regia composta da 3 membri, designati, rispettivamente,
dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Ministro dell’economia e delle
finanze e dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
La Cabina di regia deve attivare le procedure per l’emanazione del
bando e procedere all’assegnazione delle borse di studio e al versamento delle
rate agli studenti.
Il D.P.C.M. definisce le modalità operative e organizzative della
Cabina di regia, nonché il supporto amministrativo e tecnico alle attività
della stessa, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
La Cabina di regia decade automaticamente dalle sue funzioni al momento
della nomina dell’organo di amministrazione della Fondazione e del
raggiungimento della piena operatività della stessa.
Si segnala che, mentre al co.
2, lett. a), si fa riferimento a l’”organo” di
amministrazione”, al co. 16 si fa riferimento agli “organi” di amministrazione.
L'art. 59 del D.L. 69/2013 (L. 98/2013) ha previsto l'erogazione di borse di mobilità - cumulabili con le borse assegnate ai sensi del d.lgs. 68/2012 - a favore di studenti meritevoli che intendessero iscriversi nell'a.a. 2013/2014 a corsi di laurea o di laurea magistrale a ciclo unico in un'università statale o non statale (con esclusione delle università telematiche) con sede in una regione diversa da quella di residenza.
Per avere accesso al beneficio era necessario aver conseguito in Italia, nell'a.s. 2012/2013, un diploma di istruzione secondaria di secondo grado con votazione almeno pari a 95/100. Sono stati poi individuati ulteriori criteri di merito, economici e logistici, per l'inserimento nella graduatoria di ammissione al beneficio. Il mantenimento del diritto alla corresponsione della borsa di studio per gli anni accademici successivi al primo era subordinato, oltre che alla permanenza del requisito della residenza fuori sede, esclusivamente a requisiti di merito.
Le somme stanziate, provenienti dalle risorse già impegnate negli anni 2011 e 2012 e non ancora pagate finalizzate a interventi del Fondo per il merito degli studenti universitari, ammontavano a € 5 mln annui per il 2013 e il 2014 e a € 7 mln per il 2015, da iscrivere sul Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti (che, si ricorda, in base all'art. 60, co. 1, del medesimo D.L. 69/2013, è confluito, a decorrere dal 2014, nel Fondo per il finanziamento ordinario delle università e nel contributo statale per le università non statali legalmente riconosciute).
È stato, infine, previsto che, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, doveva essere adottato un Piano nazionale per il merito e la mobilità degli studenti universitari capaci, meritevoli e privi di mezzi, che definisse la tipologia degli interventi e i criteri di individuazione dei beneficiari. Il Piano doveva essere triennale e poteva essere aggiornato annualmente anche in relazione alle risorse disponibili. Le risorse stanziate per l'attuazione del Piano dovevano essere determinate annualmente con la legge di stabilità.
L'importo delle borse, le modalità di presentazione delle domande da parte degli studenti, nonché ulteriori criteri per la formazione della graduatoria dei candidati, sono stati definiti con DM 4 settembre 2013, n. 755.
Il bando ha fissato il termine del 26 settembre 2013 per la presentazione della domanda e ha indicato che la graduatoria riportante i punteggi totali sarebbe stata accessibile ai soli candidati, entro il 30 settembre 2013, nell'area riservata del portale www.universitaly.it.
L'importo della borsa di mobilità è stato definito in 5.000 euro annui. Sono stati, inoltre, definiti i punti da attribuire, ai fini della formazione della graduatoria, sia con riferimento al punteggio riportato nell'esame di Stato (al massimo, 4 punti), sia con riferimento all'Indicatore della situazione economica equivalente (al massimo, 6 punti).
Il 3 ottobre 2013 il MIUR ha comunicato che erano state presentate 4.160 domande: 2.902 di studenti che volevano immatricolarsi in un corso triennale, 530 per lauree magistrali a ciclo unico di 5 anni, 728 per lauree magistrali a ciclo unico di 6 anni. Il 71% dei richiedenti proveniva dalle regioni del sud e dalle isole, il 13% dal centro e il 16% dal nord. Nello stesso comunicato erano presenti ulteriori dati e una tabella.
Nella Relazione della Corte dei conti sul Rendiconto 2015 (v. pag. 198) si legge che al primo bando "ha fatto seguito l'erogazione in favore degli atenei delle tre annualità previste".
L’articolo 39 prevede lo sviluppo di iniziative volte a sostenere gli studenti nella scelta del percorso universitario o accademico, attraverso attività di orientamento, e durante il percorso universitario, attraverso attività di tutorato, e conseguentemente, incrementa il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO).
Una
prima previsione dell’articolo 39 attiene all’organizzazione di specifici corsi di orientamento pre-universitari
o pre-accademici, da parte delle università e delle
istituzioni AFAM, da svolgere durante gli ultimi due anni di corso della
scuola secondaria di secondo grado, o tra il conseguimento del diploma e
l’immatricolazione, in collaborazione con le scuole e senza interferenze con
l’attività scolastica ordinaria.
I corsi
sono organizzati in attuazione di quanto già previsto dall’art. 6 della L. n. 341/1990
- in base al quale gli stessi corsi, gestiti
dalle università anche in collaborazione con le scuole secondarie superiori,
devono essere previsti negli statuti - , nonché dell’art. 3 del D.Lgs. n. 21/2008, recante proprio la disciplina dei
percorsi di orientamento all'istruzione universitaria e all'alta formazione
artistica, musicale e coreutica.
Preliminarmente, si ricorda che, in base all’art. 2 del D.Lgs. n. 21/2008, la realizzazione dei percorsi di orientamento è affidata (direttamente) agli istituti di istruzione secondaria superiore statali e paritari che, a tal fine, assicurano il raccordo con le università, anche consorziate tra loro, e le istituzioni AFAM. In base allo stesso art. 2, università e istituzioni AFAM potenziano quanto già realizzato attraverso le pre-iscrizioni o nell'ambito dei progetti o convenzioni in essere ed individuano nei propri regolamenti specifiche iniziative, delineandone l'attuazione attraverso piani pluriennali di intervento. Per la progettazione, realizzazione e valutazione dei percorsi e delle iniziative indicate, scuole, università e istituzioni AFAM stipulano specifiche convenzioni, aperte alla partecipazione di altre istituzioni, enti, associazioni, imprese, rappresentanze del mondo del lavoro e delle professioni, tra cui le associazioni iscritte al Forum delle associazioni studentesche maggiormente rappresentative, camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e agenzie per il lavoro.
I corsi
devono essere organizzati sulla base degli obiettivi indicati dal co. 1
dell’art. 3 del D.Lgs. n. 21/2008, ai sensi del quale
gli stessi devono mirare prioritariamente a dare allo studente l’opportunità,
fra l’altro, di:
§ conoscere temi, problemi e procedimenti caratteristici in diversi campi del sapere, anche per aree disciplinari e ambiti professionali che non rientrano direttamente nei curricoli scolastici, al fine di individuare interessi e predisposizioni specifiche e favorire scelte consapevoli in relazione ad un proprio progetto personale;
§ conoscere i settori del lavoro e il collegamento fra questi e le tipologie dei corsi di studio universitari;
§ disporre di adeguata documentazione sui percorsi e le sedi di studio, nonché sui servizi agli studenti nella formazione post-secondaria;
§ autovalutare, verificare e consolidare le proprie conoscenze in relazione alla preparazione richiesta per i diversi corsi di studio;
§ partecipare a laboratori finalizzati a valorizzare, anche con esperienze sul campo, le discipline tecnico-scientifiche.
In materia, si ricorda che l’estensione delle iniziative di orientamento anche al IV anno del percorso di istruzione nella scuola secondaria di secondo grado (oltre che all’ultimo anno di corso della scuola secondaria di primo grado) è stata operata con l’art. 8 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) che ha autorizzato una spesa di € 1,6 mln di euro nel 2013 ed € 5 mln annui a decorrere dal 2014. A seguito di tali previsioni, il MIUR ha avviato la campagna “Io scelgo, io studio”, attivando uno specifico sito, e il 21 febbraio 2014 ha emanato le Linee guida nazionali per l’orientamento permanente.
Da ultimo, l’art. 1, co. 7, lett. s), della L. 107/2015 ha inserito tra gli obiettivi del potenziamento dell’offerta formativa la definizione di un sistema di orientamento. Ulteriori riferimenti all’orientamento sono presenti, inoltre, in particolare, nei co. 29[72], 32[73], 33[74], 40[75] del medesimo art. 1.
Una
seconda previsione recata dall’art. 39 attiene all’organizzazione di attività
di tutorato nelle università (e non anche nelle istituzioni AFAM).
In
particolare, dispone che le università organizzano tali attività, riservate a studenti iscritti al primo e al secondo
anno di un corso di laurea o di laurea magistrale a ciclo unico,
che abbiano riscontrato ostacoli formativi iniziali.
A tal
fine, richiama l’art. 13 della L. 341/1990.
L’art. 13 citato
dispone che le università istituiscono il tutorato con regolamento, sotto la
responsabilità dei consigli delle strutture didattiche. Il tutorato è
finalizzato ad orientare ed assistere gli studenti lungo tutto il corso degli studi, a renderli attivamente partecipi del
processo formativo, a rimuovere gli ostacoli ad una proficua frequenza dei
corsi, anche attraverso iniziative rapportate alle necessità, alle attitudini
ed alle esigenze dei singoli.
Dispone, infine,
che i servizi di tutorato collaborano con gli organismi di sostegno al diritto
allo studio e con le rappresentanze degli studenti.
Prevede,
altresì, che le attività di tutorato sono realizzate anche con la collaborazione a tempo parziale di studenti
dei corsi di studio (sia degli stessi anni di corso, sia degli anni superiori),
ai sensi e con le modalità indicate dall’art. 11 del D.Lgs.
n. 68/2012 che, a tal fine, viene novellato, inserendo esplicitamente il
riferimento a tale collaborazione fra quelle che devono essere disciplinate dai
regolamenti delle università, delle istituzioni AFAM, nonché degli enti
regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano erogatori dei
servizi per il diritto allo studio.
Si
sancisce così, a livello legislativo, una previsione che è già contenuta in
alcuni regolamenti universitari inerenti il tutorato[76].
Al riguardo, si ricorda che, in base all’art. 11 del D.Lgs. n. 68/2012, l’assegnazione delle collaborazioni degli studenti avviene nei limiti delle risorse disponibili nel bilancio delle università e delle istituzioni AFAM, sulla base di graduatorie formulate secondo criteri di merito e condizione economica.
La prestazione richiesta allo studente per le collaborazioni – secondo un orario che può variare in relazione al tipo di attività svolta ed è determinato da università e istituzioni AFAM, ma non può superare 200 ore per ciascun anno accademico - comporta un corrispettivo, esente da imposte, entro il limite di € 3.500 annui, non configura in alcun modo un rapporto di lavoro subordinato e non dà luogo ad alcuna valutazione ai fini dei pubblici concorsi.
Si valuti l’opportunità di chiarire perché,
mentre a seguito della novella dell’art. 11 del D.Lgs.
n. 68/2012 anche le istituzioni AFAM potranno regolamentare la collaborazione
dei propri studenti ad iniziative di tutorato, non si faccia, invece, ad esse
riferimento nella previsione generale relativa all’organizzazione delle stesse
iniziative.
Per il
perseguimento delle finalità sopra indicate, la norma in commento dispone
l’incremento del (solo) Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO, allocato sul cap. 1649 dello stato di previsione del MIUR) di € 5 mln dal 2017. L’importo è ripartito
annualmente fra le università tenendo conto delle attività organizzate dalle
stesse e dei risultati raggiunti.
L’articolo 40 introduce la possibilità di detrarre o dedurre le erogazioni liberali in favore degli Istituti Tecnici Superiori (ITS).
Il presente articolo rende detraibili per le persone fisiche o deducibili dal reddito d’impresa le erogazioni liberali in favore degli Istituti Tecnici Superiori di cui al D.P.C.M. 25 gennaio 2008.
A seguito della riorganizzazione del sistema dell’istruzione e
formazione tecnica superiore (IFTS) - istituito con l’art. 69 della L. 144/1999
e costituente un sistema di formazione
terziaria non universitaria – operato, sulla base di quanto previsto
dall’art. 1, co. 631, della L. 296/2006, con il D.P.C.M. 25 gennaio 2008, sono state previste tre tipologie di intervento:
percorsi di IFTS, poli tecnico-professionali e ITS (già citati dall’art. 13 del D.L. 7/2007 -L. 40/2007).
In particolare, il D.P.C.M. 25 gennaio 2008 ha previsto che gli ITS possono essere costituiti se
previsti nei piani territoriali adottati ogni triennio dalle regioni
nell’ambito della programmazione dell’offerta formativa di loro competenza.
Essi realizzano percorsi, di regola, di durata biennale, per un totale di 1800/2000 ore (per particolari
figure, possono avere una durata superiore, nel limite massimo di sei
semestri), e sono volti al conseguimento di un diploma di tecnico superiore riferito alle seguenti aree
tecnologiche: efficienza energetica, mobilità sostenibile, nuove tecnologie
della vita, nuove tecnologie per il made
in Italy, tecnologie innovative per i beni e le
attività culturali, tecnologie della informazione e della comunicazione.
Sulla disciplina
degli ITS è intervenuto, da ultimo, l’art. 1, co. 45-52 della L. 107/2015, con
previsioni relative, fra l’altro, a: titoli di studio necessari per l’accesso
ai percorsi degli stessi, introduzione, dal 2016, di un meccanismo premiale per
l’assegnazione di parte delle risorse finanziarie; semplificazione delle
procedure per lo svolgimento delle prove conclusive dei percorsi; disponibilità
di un patrimonio minimo per il riconoscimento della personalità giuridica;
criteri per il riconoscimento dei crediti acquisiti a conclusione dei percorsi
ai fini dell’accesso ai corsi di laurea; possibilità di attivare corsi in
filiere diverse, da parte di un ITS, purché abbia un patrimonio non inferiore a
€ 100.000.
Attualmente, gli
ITS sono 91. Qui maggiori informazioni.
A tal fine, si estende, anzitutto, alle erogazioni liberali a favore degli ITS la detrazione pari al 19 per cento già prevista per le erogazioni a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari senza scopo di lucro appartenenti al sistema nazionale di istruzione[77] nonché a favore delle istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM)[78] e delle università, finalizzate all'innovazione tecnologica, all'edilizia scolastica e universitaria e all'ampliamento dell'offerta formativa. Allo scopo, si novella l’art. 15, co. 1, lett. i-octies), del D.P.R. 917/1986.
A legislazione
vigente, la detrazione spetta a condizione che il versamento di tali erogazioni
sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante gli altri sistemi
di pagamento tracciabili.
Inoltre, si introducono gli ITS nell’ambito dei soggetti a favore dei quali le erogazioni liberali nel limite del 2 per cento del reddito d'impresa dichiarato e comunque nella misura massima di 70.000 euro annui, finalizzate all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica e all’ampliamento dell’offerta formativa, sono deducibili. Allo scopo, si novella l’art. 100, co. 2, lett. o-bis), del medesimo DPR 917/1986, che a legislazione vigente riguarda solo le erogazioni a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado appartenenti al sistema nazionale di istruzione.
Anche in tale caso, a legislazione vigente, il versamento deve essere eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento tracciabili.
L’articolo 41 istituisce, nel Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali, una sezione denominata “Fondo per il finanziamento delle attività base di ricerca”, destinata a incentivare l’attività base di ricerca dei professori di seconda fascia e dei ricercatori delle università statali.
Prevede inoltre, l’incremento del Fondo ordinario per gli enti di ricerca vigilati dal MIUR (FOE), destinato al sostegno delle Attività di ricerca a valenza internazionale.
La
norma prevede che, a decorrere dal 2017, nel Fondo per il finanziamento
ordinario delle università statali (FFO, allocato sul cap. 1694 dello stato di previsione del MIUR) è istituita una
apposita sezione denominata “Fondo per il finanziamento delle attività base di
ricerca”, destinata al finanziamento annuale delle attività base di ricerca dei
professori di seconda fascia e dei ricercatori, entrambi in servizio a tempo
pieno nelle università statali, con uno stanziamento di € 45 mln annui.
L’importo
annuale del finanziamento individuale
è pari a € 3.000. Pertanto, potranno
essere finanziate, complessivamente, fino a 15.000 domande.
Preliminarmente
si evidenzia che, testualmente, il co. 3
contiene le cause di esclusione
riferibili ai soli ricercatori (e
non anche ai professori di seconda fascia), mentre, in base al co. 6, le stesse si riferiscono anche
ai professori di seconda fascia.
È, dunque, necessario, un coordinamento.
Non possono accedere al finanziamento i ricercatori – nonché, ai
sensi del comma 6, i professori di seconda fascia - che:
§ alla data di presentazione della domanda, sono in regime di impegno a tempo definito[79];
§ sono collocati in aspettativa;
§ sono stati assunti in base alle procedure di chiamata diretta a valere sul Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta, di cui all’art. 1, co. 207-212, della L. 208/2015 (legge di stabilità 2016);
Si segnala la necessità di completare il riferimento normativo indicato, sostituendo la locuzione “al comma 207” con la locuzione “ai commi da 207 a 2012”.
§ fruiscono di finanziamenti pubblici, comunque denominati, nazionali, europei o internazionali. In particolare, si fa riferimento esplicito ai finanziamenti provenienti dall’European Research Council (ERC), e a quelli provenienti dal “Fondo per gli investimenti della ricerca di base (FIRB)” e dai Progetti di rilevante interesse nazionale (PRIN).
Al riguardo, si ricorda che le risorse del Fondo per gli investimenti della ricerca di base (FIRB)[80] e le risorse annuali per i progetti di ricerca di interesse nazionale delle università (PRIN)[81] sono confluite, ai sensi dell’art. 1, co. 870, della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007), nel Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST).
Successivamente, peraltro, l’art. 63, co.1, lett. a), del D.L. 83/2012 (L. 134/2012) ha disposto l’abrogazione delle disposizioni che avevano istituito il FIRB.
In virtù del quadro normativo vigente, nonché
in considerazione della previsione generale di esclusione di quanti fruiscano
di “finanziamenti pubblici, nazionali, europei e internazionali, comunque
denominati”, occorre sopprimere almeno il riferimento ai finanziamenti
provenienti dal “Fondo per gli investimenti nella ricerca di base” (FIRB).
Entro
il 31 luglio di ogni anno l’Agenzia
nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) predispone, per ciascun settore
scientifico-disciplinare[82], l’elenco
dei professori di seconda fascia e dei ricercatori che possono chiedere il
finanziamento annuale delle proprie attività base di ricerca.
L’elenco
è predisposto verificando, anzitutto, la presenza dei presupposti indicati.
Inoltre,
in ciascun elenco deve essere inclusa, compatibilmente con le risorse
disponibili:
§ una quota pari al 20% dei professori di seconda fascia (in servizio a tempo pieno, come risulta dalla relazione tecnica) nelle università statali. La quota indicata è costituita dai professori di seconda fascia la cui produzione scientifica individuale, negli ultimi 5 anni, sia almeno pari ad un indicatore della produzione scientifica dei professori di seconda fascia, calcolato dall’ANVUR per ciascun settore scientifico-disciplinare, sulla base dei dati disponibili per l’ultimo triennio;
§ una
quota pari al 60% dei ricercatori (in
servizio a tempo pieno, come risulta dalla relazione tecnica) nelle università
statali. La quota indicata è costituita da tutti i ricercatori la cui
produzione scientifica individuale, negli ultimi 5 anni, sia almeno pari ad un indicatore della produzione scientifica dei
ricercatori, calcolato dall’ANVUR per ciascun settore scientifico-disciplinare,
sulla base dei dati disponibili per l’ultimo triennio.
Al riguardo, poiché la selezione avviene
sulla base del valore minimo stabilito dall’ANVUR per l’indicatore della
produzione scientifica delle due categorie, occorrerebbe chiarire in che modo
si possano assicurare le quote percentuali indicate (che non sono indicate come
quote massime).
Inoltre, occorrerebbe chiarire se le stesse
percentuali devono essere calcolate per ciascun settore
scientifico-disciplinare, ovvero per il complesso degli stessi settori.
I
ricercatori e i professori di seconda fascia inclusi negli elenchi possono
presentare la domanda rivolta ad
ottenere il finanziamento annuale entro
il 30 settembre di ogni anno, esclusivamente tramite l’apposita procedura
telematica accessibile dal sito dell’ANVUR.
Il MIUR
trasferisce ad ogni università il finanziamento spettante ai ricercatori
e ai professori di seconda fascia entro
il 30 novembre di ogni anno.
Al fine
di favorire lo sviluppo di attività di ricerca nelle università statali e
valorizzare le attività di supporto allo svolgimento delle stesse, si prevede
che:
§ gli atti e i contratti stipulati dalle università statali, volti a conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione (art. 7, co. 6, D.Lgs. n. 165/2001), non sono più soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti (art. 3, co. 1, lett. f-bis), della L. n. 20/1994).
Si ricorda che, in base all’art. 7, co. 6, del D.Lgs. n. 165/2001, per esigenze cui non possono far fronte
con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire
incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale
o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata
specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:
- l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;
- l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
- la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
- devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
Si ricorda, inoltre, che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 172 del 2010, nel riconoscere l’inapplicabilità delle predette disposizioni sul controllo preventivo della Corte dei conti agli atti delle regioni e degli enti locali, ha precisato che l’ambito soggettivo delle Amministrazioni i cui atti sono sottoposti a tale controllo non può che essere quello delle Amministrazioni centrali dello Stato.
§ le università statali sono esentate dai limiti di spesa per missioni – a prescindere dalla provenienza delle risorse utilizzate – e per attività di formazione, previsti per le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione. A tal fine, si novella l’art. 6, co. 12, quarto periodo, e co. 13, ultimo periodo, del D.L. n. 78/2010 (L. n. 122/2010).
In base all’art. 6, co. 12, quarto periodo, del D.L.
n. 78/2010 (L. n. 122/2010), il limite di spesa
per missioni applicabile, a decorrere dal 2011, alle amministrazioni
indicate – pari al 50% della spesa sostenuta nel 2009 – non si applica (per
quanto qui interessa) unicamente alla spesa effettuata da università e da enti
di ricerca con risorse derivanti da finanziamenti UE o da soggetti privati o da
finanziamenti pubblici destinati ad attività di ricerca.
In base al co. 13, ultimo periodo, il limite di spesa
per attività di formazione applicabile, a decorrere dal 2011,
alle stesse amministrazioni – pari al 50% della spesa sostenuta nel 2009 – non
si applica all’attività di formazione effettuata dalle Forze armate, dal Corpo
nazionale dei vigili del fuoco e dalle Forze di Polizia tramite i propri
organismi di formazione.
In base al co. 21, tra l’altro, le somme provenienti da tali riduzioni di spesa sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato.
A
fronte delle novità introdotte, peraltro, si dispone la riduzione del Fondo
di finanziamento ordinario delle università di € 12 mln.
La relazione tecnica evidenzia che ciò è finalizzato ad assicurare che non si realizzino nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dal momento che l’importo di 12 milioni di euro corrisponde al versamento effettuato annualmente dalle singole università per le somme dovute ai sensi dell’art. 6, co. 12 e 13, del D.L. n. 78/2010.
Occorrerebbe specificare che si tratta di 12
milioni di euro “annui”.
§ si eleva la percentuale di assunzioni possibili, nel triennio 2015-2017, per determinate categorie di atenei.
In particolare:
- gli atenei che riportino, al 31 dicembre dell'anno precedente, un valore dell'indicatore delle spese di personale pari o superiore all'80% o un importo delle spese di personale e degli oneri di ammortamento superiore all'82% delle entrate costituite dai contributi statali per il funzionamento e delle tasse, soprattasse e contributi universitari (di cui all'art. 5, co. 1, del D.Lgs. 49/2012), al netto delle spese per fitti passivi, possono procedere all'assunzione di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato con oneri a carico del proprio bilancio per una spesa media annua non superiore al 50% (invece del vigente 30%) di quella relativa al personale cessato dal servizio nell'anno precedente;
- gli atenei che riportino, al 31 dicembre dell'anno precedente, valori inferiori a quelli sopra indicati possono procedere all'assunzione di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato, con oneri a carico del proprio bilancio, per una spesa media annua non superiore al 50% (invece del vigente 30%) di quella relativa al personale cessato dal servizio nell'anno precedente, maggiorata di un importo pari al 20% del margine ricompreso tra l'82% delle entrate sopra indicate, al netto delle spese per fitti passivi, e la somma delle spese di personale e degli oneri di ammortamento annuo a carico del bilancio di ateneo complessivamente sostenuti al 31 dicembre dell'anno precedente.
Ai
fini indicati, si modifica l’art. 1, co. 1, lett. a) e b),
del D.P.C.M. 31 dicembre 2014, che,
in attuazione dell’art. 7, co. 6, del d.lgs. 49/2012, ha dettato disposizioni
per il rispetto dei limiti delle spese di personale e delle spese di indebitamento
da parte delle università per il triennio 2015-2017.
Si
interviene, così, con norma primaria, in un ambito attualmente disciplinato con
fonte non legislativa.
In materia, si ricorda che l’art.
7 del D.Lgs. 49/2012 ha individuato, limitatamente all’anno 2012, le combinazioni dei livelli degli
indicatori di spesa per il personale e di spesa per indebitamento rilevanti,
per ciascun ateneo, per la determinazione,
tra l’altro, della misura delle assunzioni
di personale a tempo indeterminato e del conferimento di contratti di
ricerca a tempo determinato (co. 1), rimettendo ad un D.P.C.M., da emanare con
cadenza triennale, entro il mese di dicembre antecedente al successivo triennio
di programmazione, la definizione della disciplina applicabile agli anni
successivi (co. 6).
In seguito, l’art. 14, co. 3, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012),
introducendo il co. 13-bis nell’art. 66 del D.L. n. 112/2008 (L. 133/2008), ha fissato le misure percentuali
di turn-over valide con riferimento al “sistema” delle università nel suo complesso[83] e ha previsto che
all’attribuzione del contingente di assunzioni spettante a ciascun ateneo si provvede con decreto
del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, “tenuto
conto di quanto previsto dall’art. 7 del d.lgs. 49/2012”.
Ancora in
seguito, peraltro, l’art. 1, co. 9, del D.L. 150/2013 (L. 15/2014) ha prorogato
al 30 giugno 2014 il termine per l’adozione del D.P.C.M. con il quale ridefinire, per il triennio 2014-2016, la
disciplina per l’individuazione della misura delle assunzioni per ciascun ateneo.
Il D.P.C.M. è poi, di fatto, intervenuto il 31 dicembre 2014 con
riferimento al triennio 2015-2017[84].
Le
somme destinate dal MIUR, a qualsiasi titolo, al finanziamento delle attività
di ricerca non sono soggette ad esecuzione
forzata e gli atti di sequestro e di pignoramento afferenti ai fondi
previsti dall’articolo in commento sono nulli, con nullità rilevabile
d’ufficio.
La posizione delle pubbliche amministrazioni soggette ad esecuzione forzata non è, pacificamente, diversa da quella di ogni altro debitore essendo possibile anche nei loro confronti l’azione esecutiva finalizzata all’espropriazione.
Tuttavia, una deroga in tal senso e quindi l’impignorabilità di somme delle pubbliche amministrazioni è stata ritenuta, in specifiche ipotesi, costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale (sentenza n. 138 del 1981) ove si tratti di somme destinate - da apposita disposizione di legge o da un provvedimento amministrativo che trovi nella legge fondamento - ad un pubblico servizio, ovvero all'espletamento di esso, o di soddisfacimento di specifiche finalità pubbliche, nel senso di creare un diretto collegamento tra quelle entrate e determinati servizi pubblici o specifici fini pubblici.
Soltanto in presenza del citato vincolo di destinazione le somme ed i crediti della PA diventano patrimonio indisponibile in quanto finalizzate all’attuazione dell’interesse pubblico e al regolare svolgimento dell’attività amministrativa (ex pluribus, Corte Cost. sent. n. 350/1998; Cass., Sez. Unite. 13/7/1979, n. 4071).
Deroghe alla disciplina sull’esecuzione forzata sono state in passato già disposte dal legislatore (in particolare: art. 1, co. 5 e 5-bis, del D.L. 9/1993, art. 1 del D.L. 313/1994, art. 14, co. 3, del D.L. 669/1996, art. 6, co. 5, del D.L. 35/2013).
Dal 2017,
si prevede l’ incremento di € 25 mln del Fondo ordinario per gli
enti e le istituzioni di ricerca vigilati dal MIUR (FOE), da destinare al
sostegno delle “Attività di ricerca a valenza internazionale”.
Al riguardo si ricorda che i contributi ai 12 enti di ricerca vigilati dal MIUR sono determinati come somma di due addendi, ossia assegnazioni ordinarie e contributi straordinari. Tra i contributi straordinari sono incluse le somme per Attività di ricerca a valenza internazionale che, nel D.M. 631/2016, con il quale si è proceduto al riparto del FOE per il 2016, sono pari a € 515,8 mln.
L’articolo 42 introduce un esonero contributivo a favore dei datori di lavoro privati che assumono a tempo indeterminato studenti che abbiano svolto attività di alternanza scuola-lavoro o periodi di apprendistato presso il medesimo datore di lavoro.
Il presente articolo prevede, per il solo
settore privato, uno sgravio
contributivo per le nuove assunzioni con contratti di lavoro dipendente a tempo
indeterminato, anche in apprendistato[85],
decorrenti dal 1° gennaio 2017 al 31
dicembre 2018.
Lo sgravio contributivo consiste (comma 1) nell’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro (ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche e con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL), nel limite massimo di un importo di esonero pari a 3.250 euro su base annua, per un periodo massimo di trentasei mesi.
Il suddetto beneficio contributivo spetta, a
domanda e nei limiti di spesa di cui al comma 2 (vedi infra), entro 6 mesi
dall’acquisizione del titolo di studio, per l’assunzione di studenti che
abbiano svolto presso il medesimo datore di lavoro:
§ attività di alternanza scuola-lavoro pari, alternativamente, almeno al:
- 30 per cento delle ore di alternanza previste ai sensi dell’art. 1, c. 33, L. 107/2015 (secondo cui i percorsi di alternanza scuola-lavoro sono attuati, negli istituti tecnici e professionali, per una durata complessiva, nel secondo biennio e nell'ultimo anno del percorso di studi, di almeno 400 ore e, nei licei, per una durata complessiva di almeno 200 ore nel triennio);
- 30 per cento del monte orario previsto per le attività di alternanza all’interno dei percorsi di istruzione e formazione professionale (per i quali, ai sensi dell’art. 17 del Capo III del D.Lgs. 226/2005, viene richiesto un orario complessivo obbligatorio di almeno 990 ore annue);
- 30 per cento del monte ore previsto per le attività di alternanza realizzata nell’ambito dei percorsi realizzati dagli Istituti tecnici superiori che, ai sensi dell’art. 7 del Capo II del D.P.C.M. del 25 gennaio 2008, in generale, hanno la durata di quattro semestri, per un totale di 1800/2000 ore;
- 30 per cento del monte ore previsto dai rispettivi ordinamenti per le attività di alternanza nei percorsi universitari.
§ periodi di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore, il certificato di specializzazione tecnica superiore o periodi di apprendistato in alta formazione.
È previsto il monitoraggio da parte dell’INPS (con le
risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente) del
numero di contratti incentivati e delle conseguenti minori entrate
contributive, attraverso l’invio di relazioni mensili al Ministero del lavoro e
delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze (comma 1). Inoltre, si prevede che il
Governo, entro il 31 dicembre 2018, proceda alla verifica dei risultati
conseguenti all’introduzione dell’esonero contributivo, al fine di una sua
eventuale prosecuzione (comma 3).
Sono previsti
dei limiti massimi di spesa per il
riconoscimento del suddetto beneficio contributivo (di 7,4 milioni di euro per il
2017, 40,8 per il 2018, di 86,9 per il 2019, di 84,0 per il 2020, di 50,7 per il
2021 e di 4,3 per il 2022). Se dal monitoraggio delle domande presentate ed
accolte, risultino scostamenti (anche in via prospettica) del numero di domande
rispetto alle risorse finanziarie così determinate, l'INPS non prende in esame
ulteriori domande per l’accesso al beneficio (comma 2).
Relativamente al
programma operativo nazionale "Per la Scuola -
competenze e ambienti per l'apprendimento" del periodo di programmazione 2014/2020, al
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, viene riconosciuta la possibilità di condurre i controlli
previsti dal Regolamento (UE) n. 1303/2013 (che disciplina l’utilizzo dei Fondi
strutturali europei) avvalendosi dei propri revisori dei conti (ossia, ex art. 1, c. 616, della L. 296/2006, due
revisori chiamati a riscontrare la regolarità amministrativa e contabile presso
le istituzioni scolastiche statali)[86]. Tale
facoltà deve essere esercitata nel rispetto del principio della separazione
delle funzioni previsto dalla normativa comunitaria che disciplina l'intervento
dei Fondi strutturali (di cui al
richiamato Regolamento (UE) 1303/2013 (comma 4).
Si segnala che il contenuto del comma 4 non appare
riconducibile alla rubrica dell’articolo, che sarebbe opportuno quindi integrare.
La legge
n.107/2015 (c.d. Buona scuola) ha previsto il rafforzamento del collegamento
fra scuola e lavoro, attraverso l'introduzione di una durata minima dei
percorsi di alternanza negli ultimi 3 anni di scuola secondaria di secondo
grado (almeno 400 ore negli istituti tecnici e professionali e almeno 200 ore
nei licei) e l'adozione della Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in
alternanza scuola-lavoro, riconoscendo allo studente, tra l'altro, la
possibilità di esprimere una valutazione sull'efficacia e sulla coerenza
dell'esperienza in azienda con il proprio indirizzo di studio. Ha, altresì,
previsto la costituzione presso le Camere di commercio, del registro nazionale
per l'alternanza scuola- lavoro (art. 1, co. 33-44).
Inoltre, è stata
prevista la possibilità, per le scuole, di dotarsi di laboratori territoriali
per l'occupabilità (art. 1, co. 60)
Il 7 settembre 2015 il MIUR ha comunicato la firma del decreto che stanzia 45 milioni per l'attivazione dei laboratori territoriali per l'occupabilità. Si tratta del DM 4 settembre 2015, n. 657. Qui l'avviso pubblico per l'acquisizione di manifestazioni di interesse da parte delle istituzioni scolastiche. Il 1° luglio 2016 ha comunicato che sono stati finanziati 58 laboratori territoriali - che saranno operativi entro dicembre - su 151 ammessi alla valutazione (rispetto agli oltre 500 progetti presentati alla scadenza del bando). Qui la graduatoria. Fra le proposte presentate, ristoranti "digitali" nei quali studiare come ottimizzare il servizio utilizzando strumenti innovativi, officine tecnologiche, poli per la robotica e la meccanica aperti agli studenti e anche ai giovani NEET.
L'8 ottobre 2015, invece, il MIUR ha inviato alle
scuole la Guida
operativa per l'attivazione dei percorsi di alternanza
scuola-lavoro.
In precedenza,
il D.L. 104/2013 ha previsto che i percorsi di orientamento - che, dall'a.s. 2013/2014, sono avviati a partire dal quarto anno
nelle scuole secondarie di secondo grado, nonché nell'ultimo anno delle scuole
secondarie di primo grado (art. 8) - comprendono, fra l'altro, misure per far
conoscere il valore educativo e formativo del lavoro, anche attraverso giornate
di formazione in azienda, agli studenti della scuola secondaria di secondo
grado, con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali (art.
8-bis, co. 1). Inoltre, aveva previsto un programma sperimentale per il
triennio 2014-2016, per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda
degli studenti degli ultimi due anni della scuola secondaria di secondo grado,
che contemplava la conclusione di contratti di apprendistato (art. 8-bis, co.
2). Era stato conseguentemente emanato il DI 473 del
17 giugno 2014 e l'8
settembre 2014 sul sito del MIUR era stata data notizia dell'avvio della fase
di sperimentazione del programma di formazione in alternanza scuola-lavoro per
studenti del quarto e quinto anno degli Istituti tecnici ad indirizzo
Tecnologico messo a punto da MIUR, Ministero del Lavoro, regioni,
organizzazioni sindacali ed Enel.
Successivamente,
il d.lgs. 81/2015, dettando una disciplina organica dell'apprendistato, ha
abrogato l'art. 8-bis, co. 2, del D.L. 104/2013, facendo salvi, fino alla loro
conclusione, i programmi sperimentali per lo svolgimento di periodi di
formazione in azienda già attivati.
Ancora in
precedenza, l'art. 2, co. 14, del D.L. 76/2013 (L. 99/2013) aveva previsto
tirocini formativi da destinare agli studenti delle quarte classi delle scuole
secondarie di secondo grado, con priorità per quelli degli istituti tecnici e
degli istituti professionali. Tale previsione è stata abrogata dall'art. 2,
co.1, e dall'all. 1 del D.Lgs.
10/2016.
Si ricorda,
infine, che l’art. 43, c. 5, del D.Lgs. 81/2015
(attuativo della legge delega in materia di lavoro 183/2014, cd. Jobs act)
dispone che possono essere, altresì, stipulati contratti di apprendistato, di
durata non superiore a quattro anni, rivolti ai giovani iscritti a partire dal
secondo anno dei percorsi di istruzione secondaria superiore, per
l'acquisizione, oltre che del diploma di istruzione secondaria superiore, di
ulteriori competenze tecnico professionali rispetto a quelle previste dai
vigenti regolamenti scolastici, utili anche ai fini del conseguimento del
certificato di specializzazione tecnica superiore. Possono essere, inoltre,
stipulati contratti di apprendistato, di durata non superiore a due anni, per i
giovani che frequentano il corso annuale integrativo che si conclude con
l'esame di Stato. Per quanto concerne altri strumenti volti a rafforzare il
collegamento fra scuola e lavoro, si rimanda al sito http://www.sistemaduale.lavoro.gov.it/Pagine/default.aspx
Si ricorda che vi sono altri sgravi contributivi previsti dalla normativa vigente per il settore privato, i quali però non sono riconosciuti per i contratti di apprendistato (così come per il lavoro domestico).
Infatti, per il 2015, l'articolo 1, comma 118, della L. 190/2014 (Stabilità 2015) ha introdotto uno sgravio per i contratti a tempo indeterminato relativi a nuove assunzioni decorrenti dal 1° gennaio 2015 e stipulati entro il 31 dicembre 2015 e consistente nell'esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro (ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche e con esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL), nel limite massimo di un importo di esonero pari a 8.060 euro su base annua, per un periodo massimo di trentasei mesi. Il beneficio si applica con misure, condizioni e modalità di finanziamento specifiche nel settore agricolo, ai sensi dei commi 119 e 120 del citato art. 1 della L. n. 190.
Per il 2016, l'articolo 1, commi da 178 a 181, della L. 208/2015 (Stabilità 2016) prevede, per il settore privato, la proroga dello sgravio contributivo per i contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato relativi alle assunzioni effettuate nel corso del 2016 consistente nell'esonero dal versamento del 40% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (con esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nel limite di 3.250 euro su base annua, per un massimo di 24 mesi. Anche in questo caso, particolari disposizioni concernono il settore agricolo (commi 179 e 180).
Per entrambi i richiamati esoneri contributivi, per il 2015 e per il 2016, sono previsti specifici casi di esclusione e di incumulabilità con altri benefici.
Nell'ambito delle misure riferite al Mezzogiorno, l’art. 1, c. 109 e 110, della L. 208/2015 estende il suddetto esonero contributivo previsto per il 2016 dalla medesima L. 208/2015 alle assunzioni a tempo indeterminato dell'anno 2017 realizzate dai datori di lavoro privati operanti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna. L'estensione dell'incentivo è tuttavia condizionata alla ricognizione delle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione (PAC), non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati, da effettuarsi entro il 31 marzo 2016 e all’emanazione, all’esito della ricognizione, di un D.P.C.M. che stabilisce l’ammontare delle risorse disponibili e l’utilizzo delle stesse per l’estensione del suddetto beneficio (che non risulta ancora adottato). È prevista una maggiorazione della percentuale di decontribuzione per l'assunzione di donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi.
Articoli 43-45
(Fondo per il finanziamento dei
dipartimenti universitari di eccellenza)
Gli articoli da 43 a 45 istituiscono, a decorrere dal 2018, nel Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali (FFO), una sezione destinata a finanziare i dipartimenti universitari di eccellenza, sulla base dei risultati della Valutazione della qualità della ricerca (VQR) effettuata dall’ANVUR e della valutazione dei progetti dipartimentali di sviluppo, presentati dalle università.
Il Fondo per il finanziamento dei dipartimenti universitari
di eccellenza
La nuova sezione del FFO – che ha una dotazione
annua di 271 milioni di euro, a
decorrere dal 2018 – è volta ad
incentivare, con un finanziamento
quinquennale, l’attività dei dipartimenti universitari che si
caratterizzano per l’eccellenza nella qualità
della ricerca e nella progettualità
scientifica, organizzativa e didattica, nonché con riferimento alle
finalità di ricerca di Industria 4.0.
Nelle istituzioni universitarie statali ad
ordinamento speciale il riferimento compiuto ai dipartimenti, si intende
sostituito con il riferimento alle classi[87].
Le somme eventualmente non utilizzate confluiscono, nello stesso esercizio finanziario,
nel FFO.
Il procedimento per l’attribuzione del finanziamento
Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, si procede alla nomina della Commissione incaricata della valutazione delle domande presentate dalle università, che si compone di 7 membri, di cui:
§ 2 designati dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di cui, uno con funzioni di presidente;
§ 4 designati dallo stesso Ministro nell’ambito di 2 rose, ciascuna con 3 soggetti, indicate rispettivamente dall’ANVUR e dal Comitato Nazionale dei Garanti della Ricerca[88];
§ 1 indicato dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il decreto di nomina della Commissione è
emanato, per il quinquennio 2018-2022,
entro il 30 aprile 2017 e, a regime, entro il 31 dicembre del quarto
anno di erogazione del (precedente) finanziamento.
Per la partecipazione alle riunioni della Commissione non sono dovuti compensi, gettoni di presenza o altri emolumenti comunque denominati. Eventuali rimborsi relativi a spese di missione sono posti a carico delle risorse finanziarie del MIUR disponibili a legislazione vigente.
Anche le attività di supporto alla Commissione da parte della competente Direzione generale del MIUR si svolgono nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Entro la stessa data indicata per il decreto di nomina della Commissione (dunque, entro il 30 aprile 2017 per il quinquennio 2018-2022 e, a regime, entro il 31 dicembre del quarto anno di erogazione del precedente finanziamento) il MIUR richiede all’ANVUR, sulla base dei risultati ottenuti nell’ultima VQR dai docenti appartenenti a ciascun dipartimento, la definizione di un apposito Indicatore Standardizzato della Performance Dipartimentale (ISPD), che tenga conto della posizione dei dipartimenti nell’ambito della distribuzione nazionale della VQR, nei rispettivi settori scientifici disciplinari, nonché l’attribuzione ad ogni dipartimento del relativo indice.
La VQR 2004-2010 – il cui progetto è stato formalizzato con DM 15 luglio 2011 – è stata avviata dall'ANVUR con bando del 7 novembre 2011 ed è stata articolata sulle 14 aree disciplinari individuate dal D.M. 4 ottobre 2000, n. 175[89] (poi divenute 16, nel corso della valutazione dei prodotti della ricerca effettuata dai Gruppi di esperti, per la suddivisione delle aree 8 e 11 in due sub-aree).
La valutazione riguardava obbligatoriamente le università e gli enti pubblici di ricerca vigilati dal MIUR, e consentiva ad altri enti di ricerca di sottoporsi volontariamente alla valutazione con una partecipazione ai costi.
Per le università, la VQR aveva, tra i suoi compiti, anche quello di fornire agli atenei una graduatoria dei dipartimenti universitari che potesse essere utilizzata come informazione e in piena autonomia dagli organi decisionali delle strutture per la distribuzione interna delle risorse.
I soggetti valutati sono stati ricercatori, assistenti, professori associati e professori ordinari (a tempo indeterminato e a tempo determinato).
Il rapporto finale della VQR 2004-2010 è stato presentato dall'ANVUR nel giugno 2013. Successivamente, a seguito di varie segnalazioni, i risultati della valutazione sono stati aggiornati, secondo quanto indicato dall'ANVUR nella news del 30 gennaio 2014.
Con riferimento alla VQR 2011–2014, il 27 giugno 2015 è stato emanato il DM 458/2015, recante le linee guida, il cui art. 2, in particolare, ha disposto che il processo di valutazione sarebbe stato avviato con l'emissione di apposito bando del Presidente dell'ANVUR e si sarebbe dovuto concludere con la pubblicazione dei risultati entro il termine del 31 ottobre 2016.
Il bando è stato approvato dal Consiglio Direttivo dell’ANVUR il 30 luglio 2015, e modificato il 3 settembre 2015 e l’11 novembre 2015.
Qui una sintesi sulle caratteristiche della VQR 2011-2014.
Successivamente, il MIUR compila la graduatoria per ISPD decrescente dei singoli dipartimenti, e la rende pubblica sul proprio sito internet.
Per il primo
quinquennio, tali operazioni devono
concludersi entro la stessa data del
30 aprile 2017.
Occorre
disallineare la data prevista per la richiesta all’ANVUR e la data prevista per
la disponibilità della prima graduatoria.
Per quanto riguarda la disciplina a regime, invece, non è indicato il termine entro cui deve essere pubblicata la graduatoria dei dipartimenti in base ai risultati della VQR.
Al
riguardo, occorrerebbe valutare la possibilità di indicare il termine stesso.
La domanda
per ottenere il finanziamento può essere presentata, esclusivamente tramite
l’apposita procedura telematica accessibile dal sito del MIUR, dalle università
statali cui afferiscono i dipartimenti collocati nelle prime 350 posizioni della graduatoria.
Il numero massimo di domande ammissibili per dipartimenti appartenenti alla stessa università statale è pari a 15. Nel caso in cui i dipartimenti in posizione utile di graduatoria siano più di 15, l’università procede ad una selezione, motivando la scelta in ragione dell’ISPD attribuito e di ulteriori criteri che possono essere stabiliti dal singolo ateneo.
La domanda contiene un progetto dipartimentale di sviluppo, avente durata quinquennale, e relativo a:
§ obiettivi di carattere scientifico;
§ utilizzo del finanziamento per il reclutamento di professori e ricercatori (ex artt. 18 e 24, L. 240/2010, e art. 1, co. 9, L. 230/2005), nonché di personale tecnico ed amministrativo;
§ premialità (ex art. 9, L. 240/2010: v. infra);
§ investimento
in infrastrutture per la ricerca;
§ svolgimento di attività didattiche di elevata qualificazione;
§ presenza di eventuali cofinanziamenti attribuiti al progetto.
Per ciascun dipartimento, può essere presentata domanda per una sola delle 14 aree disciplinari. Qualora, al medesimo dipartimento afferiscono docenti appartenenti a più aree disciplinari, il progetto dipartimentale di sviluppo deve dare preminenza all’area disciplinare che ha ottenuto, all’esito dell’ultima VQR, i migliori risultati.
Per il primo quinquennio, il termine finale per la presentazione delle domande è fissato al 31 luglio 2017.
Non è,
invece, indicato il termine iniziale per la presentazione delle domande.
A regime, invece, le domande possono essere presentate dal 1° maggio al 31 luglio del quinto anno di erogazione del (precedente) finanziamento.
Il numero complessivo dei dipartimenti che possono ottenere il finanziamento è pari a 180, di cui non meno di 5 e non più di 20 per ogni area disciplinare.
La suddivisione del numero dei dipartimenti finanziati per ogni area disciplinare è stabilita con il medesimo decreto ministeriale di nomina della Commissione valutatrice, tenuto conto della numerosità della singola area disciplinare – in termini di dipartimenti ad essa riferibili – e di criteri che hanno come obiettivo la crescita e il miglioramento di particolari aree della ricerca scientifica e tecnologica italiana.
La valutazione delle domande si articola in due fasi.
Nella prima fase, la Commissione procede a valutare i progetti dipartimentali di sviluppo presentati da ciascuna università in relazione solo al dipartimento collocato nella posizione migliore in graduatoria. In caso di esito positivo, il dipartimento consegue il finanziamento, fermo restando il rispetto dei “limiti massimi delle risorse finanziarie assegnate a ciascuna delle 14 aree disciplinari”.
Si
evidenzia che, in base all’art. 44, co. 7, il decreto ministeriale provvede
alla suddivisione per area disciplinare del “numero dei dipartimenti
finanziati” e non delle risorse.
Nella seconda fase, la commissione, tenuto conto del numero dei dipartimenti già ammessi al finanziamento nella prima fase, valuta le rimanenti domande assegnando ad ognuna un punteggio da 1 a 100. In particolare, fino a 70 punti sono attribuiti in base all’ISPD, mentre fino a 30 punti sono attribuiti al progetto dipartimentale di sviluppo, in relazione a coerenza e fattibilità dello stesso progetto. I dipartimenti sono poi suddivisi in base all’area disciplinare di appartenenza. Il finanziamento è assegnato ai dipartimenti che, nei limiti del numero complessivo (rimanente) stabilito per ciascuna area, sono utilmente posizionati in graduatoria.
L’elenco dei dipartimenti assegnatari del finanziamento è pubblicato dalla Commissione sul sito dell’ANVUR (e non anche del MIUR).
Per il primo quinquennio, ciò avviene entro il 31 dicembre 2017; a regime, entro il 31 dicembre del quinto anno di erogazione del (precedente) finanziamento.
Entro il 31 marzo di ognuno dei cinque anni successivi alla pubblicazione del predetto elenco, il MIUR trasferisce il finanziamento alle università cui appartengono i dipartimenti, con vincolo di utilizzo a favore dei medesimi dipartimenti assegnatari.
In caso di mutamento di denominazione del dipartimento assegnatario o della sua cessazione, l’erogazione del finanziamento è interrotta.
L’importo annuo del finanziamento per ciascun dipartimento assegnatario dipende innanzitutto dalla consistenza dell’organico del dipartimento, rapportata alla consistenza organica a livello nazionale.
Più nello specifico, l’importo annuale base – pari a 1.350.000
euro – è attribuito ai dipartimenti
risultati assegnatari del finanziamento che si trovano nel terzo quintile[90];
Lo stesso importo:
§ è ridotto del 20% per i dipartimenti assegnatari che si trovano nel primo quintile;
§ è ridotto del 10% per i dipartimenti assegnatari che si trovano nel secondo quintile;
§ è aumentato del 10% per i dipartimenti assegnatari che si trovano nel quarto quintile;
§ è aumentato del 20% per i dipartimenti assegnatari che si trovano nel quinto quintile[91].
All’art.
45, co. 2, occorre verificare, in tutti i capoversi, se il riferimento corretto
non sia all’art. 44, co. 11. Infatti, il riferimento all’art. 44, co. 10,
escluderebbe i dipartimenti ai quali il finanziamento sia stato assegnato ai
sensi dello stesso art. 44, co. 9.
Per i dipartimenti appartenenti alle aree disciplinari da 1 a 9, l’importo è aumentato di 250.000 euro, da utilizzare esclusivamente per investimenti in infrastrutture per la ricerca.
L’importo complessivo del finanziamento quinquennale è assoggettato a determinati vincoli di utilizzo.
Si
segnala che nell’alinea dell’art. 45, co. 4, nel riferirsi all’’importo complessivo del finanziamento
quinquennale, si richiama sia l’art. 43 (nel quale è indicato proprio lo
stanziamento annuale complessivo del Fondo), sia il comma 1 dello stesso art.
45 che, come si è visto, non include, per l’importo annuale del finanziamento
dipartimentale, né gli incrementi né i decrementi previsti dai co. 2 e 3 dello
stesso art. 45.
Innanzitutto, si dispone che non più del 70% dell’importo complessivo del finanziamento può essere utilizzato per il reclutamento di professori e di ricercatori, nonché di personale tecnico e amministrativo, “tenuto conto di quanto previsto all’articolo 18, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240”.
L’art. 18, co.
3, della L. 240/2010 prevede che gli oneri derivanti dalla chiamata di
professori e dalla stipula di contratti per ricercatore possono essere a carico
totale di altri soggetti pubblici e di soggetti privati, previa stipula di
convenzioni di importo non inferiore al
costo quindicennale per i posti di professore
di ruolo e di ricercatore di tipo B
(ovvero di importo e durata non inferiore a quella del contratto per i posti di
ricercatore di tipo A) (v. infra).
Al riguardo, la relazione tecnica evidenzia che il
riferimento è al principio che dovrà essere tenuto in considerazione dagli
atenei per calcolare il numero di docenti da reclutare con il finanziamento
attribuito, ossia la garanzia della copertura
del costo quindicennale del posto. Dunque, il finanziamento attribuito nei
5 anni dovrà essere diviso per il costo stipendiale dei 15 anni della figura
che si vuole reclutare (professore o ricercatore di tipo B).
Inoltre, fermo restando tale primo vincolo, si stabilisce che il finanziamento deve essere impiegato:
§ per almeno il 25%, per le chiamate di professori esterni all’università cui appartiene il dipartimento, ai sensi dell’art. 18, co. 4, della L. 240/2010;
La norma citata prevede che ciascuna università
statale, nell'ambito della programmazione triennale, vincola le risorse
corrispondenti ad almeno un quinto
dei posti disponibili di professore di ruolo alla chiamata di coloro che nell'ultimo triennio non hanno prestato servizio,
o non sono stati titolari di assegni di ricerca ovvero iscritti a corsi universitari
nell'università stessa.
§ per almeno il 25%, per il reclutamento di ricercatori di tipo B.
L’art. 24, co. 3, della L. 240/2010 ha individuato due
tipologie di contratti di ricerca a tempo determinato. La prima (lett. a))
consiste in contratti di durata triennale, prorogabili per due anni, per una
sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca
svolte. La seconda (lett. b))
è riservata a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), oppure, per almeno tre anni anche
non consecutivi, di assegni di ricerca o di borse post-dottorato, oppure di
contratti, assegni o borse analoghi in università straniere – nonché a
candidati che hanno usufruito per almeno 3 anni di contratti a tempo
determinato stipulati in base all’art. 1, co. 14, della L. 230/2005 – e
consiste in contratti triennali non
rinnovabili.
Il co. 5 dello stesso art. 24 prevede che nel terzo
anno di questa seconda tipologia di contratto l’università, nell’ambito delle
risorse disponibili per la programmazione, valuta il titolare del contratto che
abbia conseguito l’abilitazione scientifica nazionale, ai fini della chiamata
nel ruolo di professore associato. Se la valutazione ha esito positivo, il
titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato come professore associato.
§ per le chiamate dirette di professori (ex art. 1, co. 9, L. 230/2005). Per tale tipologia, non è definita una quota minima.
L’art. 1, co. 9, della L. 230/2005 – come da ultimo
modificato dall’art. 1, co. 209, della L. 208/2015 - dispone che le università,
nell’ambito delle relative disponibilità di bilancio, possono procedere alla
copertura di posti di professore ordinario e associato e di ricercatore
mediante chiamata diretta di:
- studiosi impegnati all’estero da almeno un triennio in attività di ricerca o insegnamento universitario, che ricoprano una posizione accademica equipollente in istituzioni universitarie estere;
-
studiosi che abbiano già svolto per chiamata
diretta autorizzata dal MIUR, nell’ambito del “programma di rientro dei cervelli”, un periodo di almeno tre anni di ricerca e di docenza nelle
università italiane e conseguito risultati scientifici congrui rispetto al
posto per il quale ne viene proposta la chiamata;
- studiosi che siano risultati vincitori nell’ambito di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione, finanziati dall’Unione europea o dallo stesso MIUR[92];
- studiosi italiani e stranieri di elevato e riconosciuto merito scientifico, previamente selezionati mediante procedure nazionali (il riferimento è proprio alle procedure di cui ai commi 208-212 della L. 208/2015, c.d. “Cattedre Natta”).
Le università possono procedere, altresì, alla copertura
dei posti di professore ordinario mediante chiamata diretta di studiosi di chiara fama.
A tali fini, le università formulano specifiche
proposte al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, che
concede o rifiuta il nulla osta alla nomina, previo parere – ad eccezione del
caso di chiamate di studiosi che siano risultati vincitori di uno dei programmi
di ricerca di alta qualificazione effettuate entro tre anni dalla vincita del
programma e di chiamate di studiosi di elevato e riconosciuto merito
scientifico previamente selezionati attraverso le procedure nazionali – della
commissione nominata per l’espletamento delle procedure di abilitazione
scientifica nazionale.
Il rettore, con proprio decreto, dispone la nomina
determinando la relativa classe di stipendio sulla base delle eventuale
anzianità di servizio e di valutazioni di merito.
Entro il 31 gennaio dell’ultimo anno di erogazione del (precedente) finanziamento l’Università deve presentare alla Commissione incaricata della valutazione, per ogni dipartimento, una relazione contenente il rendiconto dell’utilizzazione delle risorse e i risultati ottenuti rispetto ai contenuti individuati nel progetto.
Entro tre mesi dalla presentazione della relazione, la Commissione esprime il proprio motivato giudizio circa la corrispondenza tra utilizzo delle risorse e obiettivi del progetto, nonché il rispetto dei vincoli di utilizzo di cui sopra.
In caso di giudizio negativo, l’Università non può presentare, per il quinquennio successivo, la domanda di finanziamento per lo stesso dipartimento.
Si
segnala che nell’art. 45, co. 6 si fa riferimento al finanziamento di cui al co.
1 che, tuttavia, non considera le riduzioni e gli aumenti di cui al co. 2,
nonché la maggiorazione di cui al co. 3.
Disposizioni
specifiche inerenti la VQR
Si stabilisce che la VQR – che interviene, come già previsto a legislazione vigente, con cadenza quinquennale (art. 60, co. 01, del D.L. 69/2013 –L. 98/2013) – è effettuata dall’ANVUR sulla base di un apposito decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca – che deve essere emanato entro il 31 marzo dell’anno successivo al quinquennio oggetto di valutazione – che individua le linee-guida e le risorse economiche necessarie al suo svolgimento. Si stabilisce, inoltre, che la VQR si deve concludere entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di emanazione del DM.
A tal fine, si novella l’art. 3, co. 1, del Regolamento concernente la struttura e il funzionamento dell’ANVUR, di cui al D.P.R. 76/2010, che elenca i compiti affidati all’Agenzia.
Tra i compiti
esplicitamente affidati all’ANVUR dall’art. 3, co. 1, del D.P.R. 76/2010
rientrano attualmente:
§ la valutazione della qualità dei processi, i risultati e i prodotti delle attività di gestione, formazione, ricerca, ivi compreso il trasferimento tecnologico delle università e degli enti di ricerca, anche con riferimento alle singole strutture dei predetti enti. Tali valutazioni si concludono entro un periodo di 5 anni;
§ la valutazione dell'efficienza e dell'efficacia dei programmi pubblici di finanziamento e di incentivazione delle attività didattiche, di ricerca e di innovazione;
§ lo svolgimento, su richiesta del Ministro e compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, di ulteriori attività di valutazione, nonché di definizione di standard, di parametri e di normativa tecnica.
La disciplina del Fondo di ateneo per la premialità
Si modifica la disciplina inerente il Fondo di ateneo per la premialità, previsto dall’art. 9 della L. 240/2010, estendendo la possibilità di concedere compensi aggiuntivi al personale docente e al personale tecnico amministrativo anche al caso in cui tale personale contribuisca all’acquisizione di finanziamenti pubblici, ed eliminando il divieto di concedere tali compensi aggiuntivi a valere sulle risorse del Fondo derivanti da finanziamenti pubblici.
In base all’art.
9 della L. 240/2010, il Fondo di ateneo per la premialità
di professori e ricercatori è alimentato innanzitutto con le somme relative
agli scatti stipendiali non attribuite a causa di valutazione negativa.
Sono previsti
anche altri possibili canali per alimentare il Fondo: il MIUR può attribuire
ulteriori somme ad ogni università, in proporzione alla valutazione dei risultati
effettuata dall’ANVUR; inoltre, ogni ateneo può integrare il Fondo con una
quota dei proventi delle attività svolte in conto terzi o con finanziamenti
pubblici o privati. In tal caso, l’ateneo può prevedere compensi aggiuntivi per il personale docente e tecnico
amministrativo che contribuisce all’acquisizione di commesse conto terzi o di
finanziamenti privati, nei limiti delle risorse che non
derivano da finanziamenti pubblici.
L’articolo 46 riconosce un esonero contributivo triennale (da riconoscersi nel limite massimo delle norme europee sugli aiuti de minimis) per coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, con età inferiore a 40 anni, che si iscrivono per la prima volta alla previdenza agricola nel periodo 1° gennaio – 31 dicembre 2017.
L’articolo riconosce (al comma 1) un esonero contributivo ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali, con età inferiore a 40 anni, con riferimento alle nuove iscrizioni nella previdenza agricola effettuate tra il 1° gennaio 2017 e il 31 dicembre 2017.
L’esonero (che consiste nella dispensa dal versamento del 100% dell'accredito contributivo presso l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, e che non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente) è riconosciuto, ferma restando l'aliquota di computo[93] delle prestazioni pensionistiche, per un periodo massimo di 36 mesi, decorsi i quali viene riconosciuto in una percentuale minore per ulteriori complessivi 24 mesi (per la precisione nel limite del 66% per i successivi 12 mesi e nel limite del 50% per un periodo massimo di ulteriori 12 mesi).
Sono escluse dall’esonero le nuove iscrizioni relative a coltivatori diretti e a imprenditori agricoli professionali che nell’anno 2016 siano risultati già iscritti nella previdenza agricola.
Si prevede, infine, il monitoraggio dell’I.N.P.S. del numero delle nuove iscrizioni e delle conseguenti minori entrate contributive, inviando relazioni mensili al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze.
Per coltivatore diretto s’intende il piccolo imprenditore agricolo che si dedica direttamente e abitualmente alla manuale coltivazione dei terreni, in qualità di proprietario, affittuario, usufruttuario, enfiteuta, e/o all’allevamento del bestiame ed attività connesse (articoli 1 e 2 della L. 1047/57). Le attività devono essere svolte con abitualità e prevalenza per impegno lavorativo e reddito ricavato. Il requisito della abitualità sussiste quando l'attività sia svolta in modo esclusivo o prevalente (cioè quella che, ai sensi dell’articolo 2 della L. 9/63, occupi il lavoratore per il maggior periodo di tempo nell'anno e costituisca la maggior fonte di reddito).
È imprenditore agricolo professionale (IAP) colui che (ai sensi dell’articolo 1 del D.Lgs. 99/2004), in possesso di specifiche conoscenze e competenze professionali, dedichi alle attività agricole di cui all' articolo 2135 c.c. (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse), direttamente o in qualità di socio di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro[94].
Si ricorda, inoltre, che possono acquisire la qualifica di imprenditore agricolo professionale i soci delle società di persone e cooperative (comprese quelle di lavoro) e gli amministratori delle società di capitali nel caso in cui l'attività svolta sia contraddistinta dalla presenza dei requisiti di conoscenze e competenze professionali, tempo lavoro e reddito richiamati.
Inoltre, le società di persone, cooperative e di capitali (anche a scopo consortile) sono considerate imprenditori agricoli professionali qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l'esercizio esclusivo delle richiamate attività agricole e siano in possesso di specifici requisiti.
Sono infine riconosciute all'imprenditore agricolo professionale persona fisica (se iscritto nella gestione previdenziale ed assistenziale) le agevolazioni tributarie in materia di imposizione indiretta e creditizie stabilite dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto.
Il successivo comma 2 prevede che le richiamate disposizioni si applichino nei limiti previsti dai regolamenti (UE) 1407/2013 e 1408/2013, concernenti i cosiddetti aiuti de minimis da parte degli Stati membri.
Gli aiuti cd. de minimis nel settore agricolo sono regolati, in particolare, dal reg. (UE) 18 dicembre 2013, n. 1408/2013.
Si tratta di quegli aiuti di importo complessivo non superiore a 15.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari che per la loro esiguità e nel rispetto di date condizioni soggettive ed oggettive non devono essere notificati alla Commissione, in quanto non ritenuti tali da incidere sugli scambi tra gli Stati membri e dunque non suscettibili di provocare un'alterazione dalla concorrenza tra gli operatori economici. Tale importo è di gran lunga inferiore a quello fissato (200.000 euro) nel regolamento UE n. 1407/2013, sugli aiuti de minimis (nel periodo di programmazione 2014-2020) alla generalità delle imprese esercenti attività diverse da:
a) pesca e acquacoltura;
b) produzione primaria dei prodotti agricoli;
c) trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli nei casi seguenti:
d) qualora l'importo dell'aiuto sia fissato in base al prezzo o al quantitativo di tali prodotti acquistati da produttori primari o immessi sul mercato dalle imprese interessate;
e) qualora l'aiuto sia subordinato al fatto di venire parzialmente o interamente trasferito a produttori primari;
f) aiuti per attività connesse all'esportazione verso paesi terzi o Stati membri, ossia aiuti direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l'attività d'esportazione;
g) aiuti subordinati all'impiego di prodotti nazionali rispetto a quelli d'importazione.
L’articolo 47 istituisce, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il “Fondo di sostegno alla natalità”, con una dotazione di 14 milioni di euro per il 2017, 24 milioni di euro per il 2018, 23 milioni di euro per l’anno 2019, 13 milioni di euro per l’anno 2020 e 6 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2021. Si tratta di un fondo rotativo diretto a favorire l’accesso al credito delle famiglie con uno o più figli, nati o adottati, mediante il rilascio di garanzie dirette, anche fideiussorie, alle banche e agli intermediari finanziari.
Viene demandato ad un decreto del Ministro con
delega in materia di politiche per la famiglia, di concerto con il Ministro
dell’Economia e delle Finanze, la definizione dei criteri e delle modalità di
organizzazione e di funzionamento del Fondo, nonché di rilascio e di
operatività delle garanzie.
Va osservato che non viene stabilito alcun termine per l’emanazione del decreto finalizzato a disciplinare il funzionamento del Fondo.
Va
ricordato che il decreto legge n. 185/2008 (convertito, con modificazioni dalla legge
n. 2/2009), all’articolo 4, comma 1 e 1-bis, aveva istituito presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo di credito per i nuovi nati,
finalizzato al rilascio di garanzie dirette, anche fideiussorie, alle banche ed
agli intermediari finanziari. L'art. 12 della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012) lo ha rinnovato
fino al 2014. Successivamente il comma 201 della legge di stabilità per il
2014 (legge
n. 147/2013), ha istituito, per l’anno 2014 un Fondo per i nuovi nati presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, per contribuire alle spese per il
sostegno di bambini nuovi nati o adottati appartenenti a famiglie a basso
reddito, facendo confluire in esso le risorse disponibili (quantificate dal
Governo in circa 22 milioni di euro) nel Fondo per il credito per i nuovi nati
sopracitato e contestualmente soppresso.
Il comma 1 dell’articolo 48 attribuisce un premio alla nascita di 800 euro che può essere chiesto dalla futura madre all’INPS al compimento del settimo mese di gravidanza.
L’articolo 48, al comma 1, riconosce, a decorrere dal 1° gennaio 2017, un premio alla nascita, o all’adozione di minore pari ad 800 euro, corrisposto, in unica soluzione dall’INPS. Il premio è corrisposto a domanda della futura madre, e può essere richiesto al compimento del settimo mese di gravidanza o all’atto dell’adozione. Esso non concorre alla formazione del reddito complessivo di cui all’articolo 8 del D.P.R. n. 917/1986 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi).
A tale proposito va ricordato che i commi da 125 a 129 della legge di
stabilità per il 2015 (1, comma 125 della legge di stabilità per il 2015 ) prevedono, per ogni figlio nato o adottato dal 1°
gennaio 2015 fino al 31 dicembre 2017, un assegno di importo annuo di 960 euro
erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione.
Tale assegno – che non concorre alla formazione del reddito complessivo
ai sensi dell’articolo 8 del Testo unico delle imposte sui redditi - è
corrisposto fino al compimento del terzo anno d’età ovvero del terzo anno di
ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione per i figli di cittadini
italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea o di cittadini
extracomunitari con permesso di soggiorno, residenti in Italia.
Per la corresponsione del beneficio economico si richiede tuttavia la
condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente sia
in condizione economica corrispondente a un valore dell’indicatore della
situazione economica equivalente (ISEE) non superiore a 25.000 euro annui,
stabilito ai sensi del D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159.
L’importo dell’assegno di 960 euro annui è raddoppiato quando il nucleo
familiare di appartenenza del genitore richiedente è in una condizione
economica corrispondente a un valore dell’indicatore ISEE non superiore ai
7.000 euro annui.
L’assegno è corrisposto, a domanda, dall’INPS, che provvede alle relative attività con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente
L’articolo 48, comma 2, proroga per il 2017 il congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente.
La disposizione proroga per il 2017 il congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente (già previsto in via sperimentale per gli anni 2013-2015 e prorogato sperimentalmente per il 2016). Il congedo deve essere goduto entro i cinque mesi dalla nascita del figlio e la sua durata è elevata da 1 a 2 giorni (analogamente a quanto già disposto per il 2016) fruibili anche in via non continuativa.
Al suddetto congedo si applica la disciplina dettata dal D.M. 22 dicembre 2012 che ha definito i criteri di accesso e le modalità di utilizzo delle misure sperimentali operanti per gli anni 2013-2015[95].
Gli oneri derivanti dalla proroga contenuta nella disposizione in esame sono valutati in 20 milioni di euro a cui si provvede mediante corrispondente riduzione per il medesimo anno 2017 del Fondo sociale per occupazione e formazione.
Il congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente è stato introdotto, in via sperimentale per gli anni 2013-2015, dall’art. 4, c. 24, lett. a), della L. 92/2012. Tale disposizione prevede che il padre, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno, in aggiunta al periodo di astensione obbligatoria della madre. Successivamente, tale misura è stata prorogata sperimentalmente per il 2016 dall’art. 1, c. 205, della L. 208/2015 (Stabilità 2016) che ha elevato la sua durata a 2 giorni, fruibili anche in via non continuativa.
L’articolo
49 istituisce, a partire dal 2017, un buono per l’iscrizione in asili nido
pubblici o privati, di 1.000 euro annui
per i nuovi nati dal 2016.
Proroga per gli anni 2017 e 2018 del contributo economico (cd. voucher asili nido) riconosciuto alla madre lavoratrice, anche autonoma, in sostituzione (anche parziale) del congedo parentale.
Il comma 1 stabilisce a regime, a decorrere dal 2017, l’erogazione di un buono per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido, pari a 1.000 euro su base annua, corrisposti in 11 mensilità – perciò circa 90,9 euro mensili-, effettuata da parte dell’INPS al genitore che ne faccia richiesta presentando documentazione idonea a dimostrare l’iscrizione in strutture pubbliche o private.
Il buono è riferito ai nuovi nati dal 2016 e potrà essere percepito per un massimo di un triennio, visto che si riferisce alla platea dei bambini da 0 a 3 anni.
La norma si configura come tetto massimo di spesa per lo Stato, pari a 144 milioni di euro per il 2017, 250 milioni per il 2018 e 300 milioni per il 2019, per poi proseguire a regime con l’autorizzazione di complessivi 330 milioni di euro annui a decorrere dal 2020.
Le
modalità di attuazione di questa previsione saranno stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri,
su proposta del Ministro con delega in materia di politiche per la famiglia, di
concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro
dell'economia e delle finanze. Il decreto dovrà essere emanato entro trenta
giorni dalla data di entrata in vigore (a far data, quindi, dal 1° gennaio
2017) della presente legge di bilancio.
L’Istituto
nazionale per la previdenza sociale è tenuto a provvedere al monitoraggio dei maggiori oneri
derivanti dalla misura mediante invio di relazioni mensili alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al
Ministero dell'economia e delle finanze. Pertanto, se in sede di attuazione
della misura, si verifichino o stiano per verificarsi scostamenti, anche in via
prospettica, rispetto al limite di spesa programmato, l'Istituto è tenuto a non
prendere in considerazione ulteriori domande finalizzate ad usufruire del
beneficio.
Viene peraltro esclusa la cumulabilità del beneficio con un’altra misura agevolativa già prevista dalla normativa vigente, vale a dire la detrazione fiscale per le spese documentate di iscrizione in asili nido sostenute dai genitori.
Si tratta di una detrazione fiscale del 19% sul totale delle spese annue documentate, sostenute fino ad un massimo di 632 euro; pertanto, la detrazione massima è pari a 120 euro per ciascuna dichiarazione dei redditi nel triennio di usufruibilità del beneficio. La detrazione è stata inizialmente disposta dall’art. 1, co. 335 della legge finanziaria 2006, successivamente prorogata con riferimento ai successivi periodi di imposta 2007 e 2008, rispettivamente, dall’art. 1, co. 400 della legge finanziaria 2007 (L. 296/2006) e dall’art. 1, co. 201 della legge finanziaria 2008 (L. 244/2007), e da ultimo prorogata per i periodi d’imposta successivi al 2008 dall’art. 2, co. 6, della legge finanziaria 2009 (L. 203/2008).
Infine,
si dispone che il buono in esame non può essere fruito contestualmente al
beneficio di cui ai successivi commi 2 e 3 (v. infra) che contengono
misure specificamente dirette al sostegno
della genitorialità.
Per una ricostruzione delle misure vigenti a sostegno della genitorialità con particolare riferimento all’art. 4, co. 24, della L. 92/2012 si fa rinvio al box successivo.
I commi
2 e 3 dispongono la proroga per il 2017 e 2018 della facoltà riconosciuta
alla madre lavoratrice, anche autonoma, di richiedere un contributo economico
(cd. voucher asili nido o baby-sitting) in sostituzione, anche
parziale, del congedo parentale.
Più nel dettaglio, il comma 2 dispone la
proroga per il 2017 e 2018 delle norme (già stabilite, in via sperimentale, per
gli anni 2013-2015 e prorogate, in via sperimentale, per il 2016) relative alla
possibilità, per la madre lavoratrice dipendente (pubblica o privata), o
iscritta alla gestione separata, di richiedere (al termine del periodo di
congedo di maternità, per gli 11 mesi successivi e in sostituzione, anche
parziale, del congedo parentale) un contributo economico da impiegare per il
servizio di baby-sitting o per i
servizi per l'infanzia (erogati da soggetti pubblici o da soggetti privati
accreditati). Tale beneficio è riconosciuto nel limite di spesa di 40 milioni
per ciascuno degli anni 2017 e 2018, ferme restando le relative disposizioni
attuative (vedi infra box di
approfondimento).
La medesima proroga, per i medesimi anni, è
disposta dal comma 3 anche nei confronti delle lavoratrici autonome o imprenditrici,
alle quali la suddetta facoltà di richiedere il cd. voucher baby-sitting o l’utilizzo di servizi per l’infanzia è stata
riconosciuta, per la prima volta e sperimentalmente per il 2016, dalla legge di
Stabilità 2016 (vedi infra box di
approfondimento). Tale beneficio è riconosciuto nel limite di spesa di 10
milioni per ciascuno degli anni 2017 e 2018, ferme restando le relative
disposizioni attuative.
L'articolo 4, comma 24, lettera b), della legge 92/2012 ha introdotto in via sperimentale, per il triennio 2013-2015, la possibilità per la madre lavoratrice di richiedere, al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, voucher per l'acquisto di servizi di baby-sitting, ovvero un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, da utilizzare negli undici mesi successivi al congedo obbligatorio, per un massimo di sei mesi. La richiesta può essere presentata anche dalla lavoratrice che abbia usufruito in parte del congedo parentale.
I criteri di accesso e le modalità di utilizzo del contributo, per quanto riguarda le madri lavoratrici (pubbliche o private) o iscritte alla gestione separata, sono disciplinati dal D.M. 28 ottobre 2014 il quale riconosce un contributo, pari ad un importo massimo di 600 euro mensili, per un periodo complessivo non superiore a sei mesi (tre mesi se iscritta alla gestione separata e in misura riproporzionata se part-time); il contributo per il servizio di baby-sitting viene erogato attraverso il sistema dei buoni lavoro, mentre nel caso di fruizione della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, il beneficio consiste in un pagamento diretto alla struttura prescelta, fino a concorrenza del predetto importo massimo di 600 euro mensili (dietro esibizione da parte della struttura della richiesta di pagamento corredata della documentazione attestante l'effettiva fruizione del servizio). La fruizione del beneficio comporta una corrispondente riduzione del periodo di congedo parentale.
La legge di stabilità 2016 (legge 208/2015), al comma 282, ha prorogato per il 2016 le norme sopra illustrate. Anche per il 2016, il contributo è corrisposto nell'ambito di un limite di spesa, pari a 20 milioni di euro. Il comma 283 estende l'applicazione sperimentale di cui al precedente comma 282 alle madri lavoratrici autonome o imprenditrici, nel limite di spesa di 2 milioni di euro (per l'anno 2016), demandando ad un decreto (di natura non regolamentare) la definizione dei criteri di accesso e delle modalità di utilizzo del beneficio per le nuove categorie interessate (sul punto si veda il D.M. 1° settembre 2016 ).
L’articolo 50 prevede la possibilità
di destinare ulteriori risorse per il
2017, nel limite massimo di 20 milioni di euro, al finanziamento delle
iniziative per l’attuazione delle politiche
delle pari opportunità e non discriminazione, a valere
sulle
risorse dei pertinenti programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali 2014/2020.
Le risorse si aggiungono a quelle già stanziate nella sezione II del bilancio destinate alle medesime iniziative.
Si segnala, in proposito, che rispetto agli stanziamenti di competenza a legislazione vigente nel 2017, la sezione II del bilancio opera un rifinanziamento di 39,6 milioni di euro del capitolo 2108, dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (tabella 2), relativo alle somme da corrispondere alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche delle pari opportunità (c.d. Fondo pari opportunità).
Il predetto capitolo è al contempo definanziato di circa 580 mila euro per il 2018 e di circa 503 mila euro nel 2019.
Nel complesso, le previsioni del bilancio integrato per la promozione e la garanzia delle pari opportunità sono pari a 60,1 milioni di euro per il 2017, 19,7 milioni per il 2018 e di 17,1 milioni di euro per il 2019.
L’articolo 51 definisce lo stanziamento delle risorse per gli interventi di ricostruzione privata e pubblica nei territori colpiti dagli eventi sismici del 24 agosto 2016. Definisce la possibilità che le Regioni colpite destinino, nell’ambito dei pertinenti programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2014/2020, ulteriori risorse, incluso il cofinanziamento nazionale, per un importo pari a 300 milioni di euro.
Il comma 1 stanzia le risorse per gli interventi di riparazione, ricostruzione e assistenza alle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto 2016 e per la ripresa economica nei territori interessati.
Relativamente ai territori interessati da tali eventi sismici, l’articolo 1 del decreto legge 17 ottobre 2016, n. 189 (A.S. 2567), in corso di esame parlamentare, ha individuato l’ambito di applicazione del provvedimento che include non solo i comuni elencati nell’allegato 1, ma anche altri comuni in cui si siano verificati danni causati dal sisma qualora venga dimostrato il nesso di causalità diretto tra i danni ivi verificatisi e gli eventi sismici del 24 agosto 2016, comprovato da apposita perizia giurata.
A tale fine, si autorizza la spesa di:
§ 100 milioni di euro per l’anno 2017 e 200 milioni di euro annui
dall’anno 2018 all’anno 2047, per la concessione del credito d’imposta
maturato in relazione all’accesso ai finanziamenti agevolati, di durata venticinquennale,
previsti per la ricostruzione privata (lettera a);
Si ricorda che
l’articolo 5 del predetto decreto-legge elenca i criteri che, una volta
definiti dal Commissario, dovranno essere applicati al processo di
ricostruzione, nonché per il monitoraggio sull’utilizzo delle risorse. Vengono
ivi individuate le tipologie di intervento e danno conseguenti agli eventi
sismici, che possono beneficiare di contributi fino alla copertura integrale
delle spese occorrenti. Si disciplina la concessione e la fruizione dei
finanziamenti agevolati, che rappresentano la modalità con cui sono erogati i
contributi destinati ad interventi di carattere “non direttamente
assistenziale” (cioè destinati alla riparazione/ricostruzione di edifici, al
rimborso di danni a beni/prodotti delle attività economiche e alla
delocalizzazione di imprese). La norma in questione rinvia, al comma 9, alla
legge di bilancio la determinazione dell'importo complessivo degli stanziamenti
da autorizzare in relazione alla quantificazione dei danni e delle risorse
necessarie.
§ 200 milioni di euro per l’anno 2017, 300 milioni di euro per l’anno
2018, 350 milioni di euro per
l’anno 2019 e 150 milioni di euro per l’anno
2020 per la concessione dei contributi per la ricostruzione pubblica (lettera
b).
L’articolo 14
del citato decreto-legge disciplina la procedura per la programmazione, la
progettazione e la realizzazione degli interventi per la ricostruzione, la
riparazione e il ripristino degli edifici pubblici, nonché sui beni del
patrimonio culturale, demandando a provvedimenti del commissario straordinario
- che provvede anche a mezzo di ordinanze - la disciplina dei finanziamenti. Si
prevede che i contributi, nonché le spese per l’assistenza alla popolazione,
siano erogati in via diretta; ai fini dell’erogazione in via diretta dei
contributi il commissario straordinario può essere autorizzato, con decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze, a stipulare appositi mutui di durata
massima venticinquennale, sulla base di criteri di economicità e di contenimento
della spesa, con oneri di ammortamento a carico del bilancio dello Stato, con
la Banca europea per gli investimenti, con la Banca di sviluppo del Consiglio
d’Europa, con la Cassa depositi e prestiti S.p.A. e con i soggetti autorizzati
all’esercizio dell’attività bancaria. In tal caso, le rate di ammortamento dei
mutui attivati sono pagate agli istituti finanziatori direttamente dallo Stato.
Criteri e modalità di erogazione sono definiti da provvedimenti adottati dal
Commissario straordinario, d’intesa con il Ministero dell’economia e delle
finanze, e si prevede il monitoraggio sui finanziamenti concessi.
Il comma 2 prevede, per le Regioni colpite dal sisma, la facoltà di destinare, nell’ambito dei pertinenti programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali 2014/2020 e per il conseguimento delle finalità dagli stessi previste, ulteriori risorse, incluso il cofinanziamento nazionale, per un importo pari a 300 milioni di euro, anche a valere su quelle aggiuntive destinate dall’Unione Europea all’Italia ai sensi dell’articolo 92, paragrafo 3, del Regolamento UE 1303/2013 sui fondi strutturali europei. Si prevede che ciò avvenga in coerenza con la programmazione del Commissario per la ricostruzione.
Con il decreto
del Presidente della Repubblica 9 settembre 2016, Vasco Errani è stato nominato
Commissario straordinario del Governo per la ricostruzione nei territori dei
comuni delle regioni di Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria interessati dall'evento
sismico del 24 agosto 2016 (comunicato pubblicato sulla G.U.). Si segnala che con Delibera
del Consiglio dei ministri 27 ottobre 2016 è stata operata l'estensione degli
effetti della dichiarazione dello stato di emergenza adottata con delibera del
25 agosto 2016, in conseguenza degli ulteriori eccezionali eventi sismici che
il giorno 26 ottobre 2016 hanno colpito il territorio delle Regioni Abruzzo,
Lazio, Marche e Umbria.
L’articolo 2 del
citato decreto legge n. 189 elenca le funzioni attribuite al Commissario
straordinario volte, tra l’altro, ad operare una ricognizione e determinare, di
concerto con le Regioni e con il Ministero dei beni e delle attività culturali
e del turismo, secondo criteri omogenei, il quadro complessivo dei danni e
stimare il relativo fabbisogno finanziario, definendo altresì la programmazione
delle risorse nei limiti di quelle assegnate.
L'articolo 92,
comma 3 del Regolamento 1303/2013 prevede che gli stanziamenti a titolo dell'obiettivo
"investimenti a favore della crescita" siano riesaminati dalla
Commissione europea entro il 2016 in sede di adeguamento tecnico per il 2017
condotto sulla base del Regolamento 1311/2013 relativo al Quadro finanziario
pluriennale per il 2014-2020. La metodologia di assegnazione degli stanziamenti
avverrà secondo le modalità previste dall'Allegato VII del Regolamento
1303/2013 in particolare quelle concernenti le regioni ammissibili
all'obiettivo "Investimenti per la crescita", gli Stati membri
ammissibili al Fondo di coesione e a copertura della cooperazione territoriale
europea, il finanziamento supplementare per le regioni ultraperiferiche.
Tali metodologie saranno applicate sulla base dei dati statistici recenti e,
per gli stati soggetti a massimale, del raffronto tra i PIL nazionali cumulati
per gli anni 2014-2015 e i PIL nazionali cumulati per lo stesso periodo stimato
nel 2012. L'effetto netto totale degli adeguamenti, sia positivo, sia negativo,
non può superare 4 000 000 000 euro. A seguito dell'adeguamento tecnico la Commissione adotta una decisione, mediante
atti di esecuzione, volta a definire una ripartizione annua rivista delle risorse
globali per ogni singolo Stato membro.
I fondi strutturali rappresentano il principale strumento finanziario della politica di coesione dell'Unione europea, finalizzata a rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale concorrendo così alla realizzazione della Strategia 2020 dell’Unione europea. Alla politica di coesione per il periodo 2014-2020 è destinato un terzo delle risorse previste nel bilancio complessivo dell’Unione europea, pari ad un investimento di 351,8 miliardi di euro cui si aggiungono i contributi nazionali e gli altri investimenti privati, per un impatto quantificabile in circa 450 miliardi di euro.
Con la riforma intervenuta per il ciclo di programmazione 2014-2020, la politica di coesione si articola:
§ in un Quadro strategico comune per tutti i fondi strutturali e di investimento, detti Fondi ESI (Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo sociale europeo, Fondo di coesione, Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca) che tradurrà gli obiettivi di Europa 2020 in priorità di investimento;
§ in Accordi di partenariato che, basandosi sul Quadro strategico comune, stabiliscono per ogni Stato Membro le priorità di investimento, l’allocazione delle risorse nazionali e dell’Unione Europea tra i settori e i programmi prioritari, e il coordinamento tra i fondi a livello nazionale;
§ in Programmi operativi nazionali (PON) e regionali (POR), che traducono i documenti strategici in concrete priorità d’investimento corredate da obiettivi chiari e misurabili.
Per quanto concerne l'Italia e il ciclo di programmazione 2014-2020, l'Accordo di Partenariato, in cui si definisce la strategia per un uso ottimale dei Fondi europei, prevede l'investimento di 32,2 miliardi di euro cui si aggiungono 10,4 miliardi di euro per lo sviluppo rurale e 537 milioni di euro per il settore marittimo e della pesca.
Accanto ai fondi comunitari lo Stato dispone per la politica di coesione di un Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) che contribuisce al finanziamento degli interventi con 39 miliardi di euro.
Articolo 52,
commi 1-2 e 4-5
(Fondo per il pubblico impiego)
L'articolo 52, commi 1-2 e 4-5 reca un duplice ordine di previsioni.
Un primo ordine di disposizioni concerne l'istituzione di un Fondo per finanziare in particolare (comma 2): la contrattazione collettiva entro la pubblica amministrazione; nuove assunzioni presso le amministrazioni dello Stato; l'attribuzione di risorse al personale dei Corpi di polizia, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e delle Forze armate.
Un secondo ordine di disposizioni (comma 3) concerne l'istituzione di un Fondo destinato all'incremento dell'organico dell'autonomia (su cui si veda infra la scheda riferita agli articoli 52, comma 3, e 53).
Per tale duplice finalità, è complessivamente stanziata la somma di 1,92 miliardi di euro per il 2017 e 2,63 miliardi di euro a decorrere dal 2018. In tale ambito, la dotazione del Fondo per le finalità di cui al citato comma 2 è pari a 1,48 miliardi per il 2017 e a 1,93 miliardi a decorrere dal 2018, da ripartire con D.P.C.M..
Il comma
1 dispone lo stanziamento complessivo destinato alle finalità indicate ai
commi 2, 3, 4 e 5, di 1,92 miliardi di
euro per il 2017 e di 2,63 miliardi
di euro a decorrere dal 2018.
Il comma
2 prevede l'istituzione di un Fondo (presso lo stato di previsione del Ministero
dell'economia e finanze, nel quale non sono incluse le risorse destinate
all’incremento dell’organico dell’autonomia di cui al comma 3) per finanziare
vicende contrattuali e nuove assunzioni presso talune amministrazioni
pubbliche.
La dotazione del Fondo è pari a:
§ 1,48
miliardi per il 2017;
§ 1,93
miliardi a decorrere dal 2018.
Il Fondo è ripartito con uno (o più) decreti
del Presidente del Consiglio (su proposta del Ministro per la semplificazione e
la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze).
Il Fondo è istituito con una triplice finalità
(ai sensi del comma 2, lettere a), b) e c)):
§ la
copertura (ma la disposizione recita:
"la determinazione") degli "oneri aggiuntivi" (rispetto
ai 300 milioni di euro già stanziati dall’ultima legge di stabilità[96]) per
la contrattazione collettiva relativa al triennio 2016-2018 nonché per "i
miglioramenti economici" del personale dipendente dalle amministrazioni
statali in regime di diritto pubblico.
Il 'blocco' della contrattazione collettiva, nonché il 'congelamento' dei trattamenti retributivi), disposti dal decreto-legge n. 78 del 2010 ed in seguito prorogati, sono stati caducati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 2015, per illegittimità sopravvenuta, con effetto dalla pubblicazione della sentenza (dunque non retroattivo, rimanendo così salvi gli effetti economici fino a quel momento della normativa travolta.
Oggetto della censura della Corte costituzionale è stata non la misura in sé di contenimento della spesa pubblica bensì il suo protrarsi "così prolungato nel tempo da rendere evidente la violazione della libertà sindacale" sancita dall'articolo 39, primo comma della Costituzione.
Secondo
la Corte "la contrattazione deve potersi
esprimere nella sua pienezza su ogni aspetto riguardante la determinazione
delle condizioni di lavoro, che attengono immancabilmente anche alla parte
qualificante dei profili economici". Ebbene, "in ragione di una
vocazione [per effetto del concatenarsi di proroghe] che mira a rendere
strutturale il regime del 'blocco', si fa sempre più evidente che lo stesso si
pone di per sé in contrasto con il principio di libertà sindacale sancito
dall’art. 39, primo comma, Cost.". "Il
reiterato protrarsi della sospensione delle procedure di contrattazione
economica altera la dinamica negoziale in un settore che al contratto
collettivo assegna un ruolo centrale", coinvolgente "una complessa
trama di valori costituzionali (artt. 2, 3, 36, 39 e 97 Cost.)".
Non la sospensione in sé ma il suo tramutarsi in misura strutturale ha segnato
lo sconfinamento "in un bilanciamento irragionevole tra libertà sindacale
(art. 39, primo comma, Cost.), indissolubilmente
connessa con altri valori di rilievo costituzionale e già vincolata da limiti
normativi e da controlli contabili penetranti (artt. 47 e 48 del d.lgs. n. 165
del 2001), ed esigenze di razionale distribuzione delle risorse e controllo
della spesa, all’interno di una coerente programmazione finanziaria (art. 81,
primo comma, Cost.)".
La sentenza della Corte costituzionale ha dato impulso allo 'sblocco' della contrattazione collettiva. La legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) ha indi previsto per il triennio 2016-2018 che gli oneri a valere sul bilancio statale per la contrattazione collettiva ammontassero a 300 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016. Così l’articolo 1, comma 466 della citata legge n. 208/2015.
La disposizione in esame del disegno di legge fa menzione di "oneri aggiuntivi", appunto rispetto a quelli così quantificati dalla legge di stabilità 2016. In breve, si amplia la capienza delle risorse disponibili per la contrattazione collettiva.
E tali maggiori risorse si prevede (mediante apposita novella alla citata disposizione della legge di stabilità 2016) siano altresì destinate ai miglioramenti economici del personale dipendente delle amministrazioni statali in regime di diritto pubblico.
Com’è noto, la c.d. privatizzazione del pubblico impiego (disposta dal decreto legislativo n. 29 del 1993, indi da quello oggi vigente n. 165 del 2001, secondo cui la disciplina del rapporto di lavoro ed impiego presso le pubbliche amministrazioni è ormai 'attratto' all'ambito privatistico, con un contratto di lavoro disciplinato dalle norme del codice civile) non ha investito alcune categorie di pubblici dipendenti. Sono (ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2001): "magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia" nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività in materia di risparmio, funzione creditizia e valutaria, tutela del risparmio, valore immobiliare e tutela della concorrenza e del mercato. Sono inoltre disciplinati dai rispettivi ordinamenti il personale del Corpo dei Vigili del fuoco (con esclusione del personale volontario), il personale della carriera dirigenziale penitenziaria, i professori e i ricercatori universitari (nelle more della specifica disciplina organica ed in conformità ai principi della autonomia universitaria). Queste le amministrazioni statali in regime di diritto pubblico.
§ “definizione” del finanziamento - per il
2017 e dal 2018 - di assunzioni a tempo indeterminato presso le amministrazioni
dello Stato (inclusi i Corpi di polizia, il Corpo nazionale dei vigili del
fuoco, le agenzie, anche fiscali, gli enti pubblici non economici e gli enti
pubblici di cui all'articolo 70, comma 4 del decreto legislativo n. 165 del
2001)[97]. Per
siffatte assunzioni sono tenute in conto le specifiche richieste volte a
fronteggiare "indifferibili esigenze di servizio di particolare rilevanza
ed urgenza in relazione agli effettivi fabbisogni". Le assunzioni sono
autorizzate (dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione,
di concerto con il Ministro dell'economia) entro le vacanze di organico, al
netto della copertura di posti vacanti in organico mediante passaggio diretto
di personale appartenente ad altra amministrazione, e nel rispetto delle
previsioni poste dal decreto-legge n. 101 del 2013 ("Disposizioni urgenti
per il perseguimento degli obiettivi di razionalizzazione nelle amministrazioni
pubbliche) all'articolo 4.
Tra le previsioni
poste dall'articolo 4 del decreto-legge n. 101 del 2013, può valere ricordare
quella secondo cui per tali amministrazioni l'autorizzazione all'avvio di nuove
procedure concorsuali è subordinata: all'avvenuta immissione in servizio, nella
stessa amministrazione, di tutti i vincitori collocati nelle proprie
graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato
per qualsiasi qualifica, salve comprovate non temporanee necessità organizzative
adeguatamente motivate; all'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei
collocati nelle proprie graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1° gennaio
2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di
equivalenza; al previo svolgimento di una ricognizione circa situazioni di
soprannumero o comunque eccedenze di personale.
§ “definizione” dell’incremento - dal 2017
- del finanziamento previsto a legislazione vigente, per dare attuazione alle
previsioni della legge-delega n. 124 del
2015 di revisione della disciplina in materia di reclutamento, stato
giuridico e progressione in carriera del personale delle forze di polizia e di
ottimizzazione dell’efficacia delle funzioni
del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nonché della legge n. 244 del 2012 per il riordino dei
ruoli del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate. Ovvero -
alternativamente - finanziamento della proroga (per il solo anno 2017) del contributo straordinario previsto dalla
legge n. 208 del 2015 all'articolo 1, comma 972. I destinatari sono le Forze di
polizia, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, le Forze armate.
Per intendere il
contenuto della previsione normativa, si rende necessario sciogliere i
riferimenti normativi in essa contenuti. La disposizione prevede infatti che
una parte del neo istituito Fondo sia destinata a dare attuazione all'articolo
8, comma 1, lettera a), punti 1) e 4)
della legge n. 124 del 2015 nonché all'articolo 1, comma 5 della legge n. 244
del 2012; oppure a finanziare la proroga (per il 2017) del contributo
straordinario previsto dall'articolo di cui all'articolo 1, comma 972 della
legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016). Quest'ultima disposizione, cui
quella in esame rinvia, prevede che "nelle more dell'attuazione della
delega sulla revisione dei ruoli delle Forze di polizia, del Corpo nazionale
dei vigili del fuoco e delle Forze armate e per il riconoscimento dell'impegno
profuso al fine di fronteggiare le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale,
per l'anno 2016 al personale appartenente ai corpi di polizia, al Corpo
nazionale dei vigili del fuoco e alle forze armate non destinatario di un
trattamento retributivo dirigenziale è riconosciuto un contributo straordinario
pari a 960 euro su base annua, da corrispondere in quote di pari importo a
partire dalla prima retribuzione utile e in relazione al periodo di servizio
prestato nel corso dell'anno 2016. Il contributo non ha natura retributiva, non
concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini dell'imposta sul
reddito delle persone fisiche e dell'imposta regionale sulle attività
produttive e non è assoggettato a contribuzione previdenziale e assistenziale
[...]. Per le finalità di cui al presente comma è autorizzata la spesa di 510,5
milioni di euro per l'anno 2016".
In base alla disposizione in commento, tale
contributo straordinario di 960 euro annui per il personale testè
richiamato potrà essere dunque prorogato al 2017, in alternativa (la
ripartizione dei contributi del Fondo è, come previsto al comma 2, operata con
uno o più D.P.C.M.) all’attuazione degli interventi prevista dalla legge di
riorganizzazione della p.a. n. 124 del 2015 (delega al Governo per la
riorganizzazione degli ordinamenti delle Forze di polizia e del Corpo nazionale
dei vigili del fuoco) e dalla legge n. 244 del 2012 (riordino dei ruoli del
personale delle Forze di polizia e delle Forze armate).
Si ricorda, a tal fine, che il termine per
l’attuazione della delega di cui all’articolo 8 della legge n. 124 del 2015, originariamente
fissato al 28 agosto 2016, è stato prorogato al 28 febbraio 2017 dall’art. 1
del D.L. n. 67/2016 (conv. L. 131/2016).
In particolare, è richiamato, della legge n. 124 del
2015, l'articolo 8, comma 1, lettera a),
nei suoi punti 1 e 4.
Tale previsione delega il Governo alla riorganizzazione complessiva degli
ordinamenti del personale di tutte le Forze di polizia (ossia Polizia di Stato,
Polizia penitenziaria e Corpo forestale, a ordinamento civile, e Carabinieri e
Guardia di finanza, a ordinamento militare), secondo i criteri indicati. Ed è
investito anche il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Il punto n. 1 della legge delega –
richiamato espressamente dalla norma in commento - indica (quale criterio) la
revisione generale della disciplina in materia di reclutamento, di stato
giuridico e di progressione di carriera, prevedendo l'eventuale unificazione,
soppressione ovvero istituzione di ruoli, gradi e qualifiche di ruoli così come
la rideterminazione delle relative dotazioni organiche, comprese quelle
complessive di ciascuna Forza di polizia, in ragione delle esigenze di
funzionalità e della consistenza effettiva alla data di entrata in vigore della
presente legge, ferme restando le facoltà assunzionali
previste alla medesima data, nonché assicurando il mantenimento della
sostanziale equiordinazione del personale delle Forze
di polizia e dei connessi trattamenti economici, anche in relazione alle
occorrenti disposizioni transitorie, fermi restando le peculiarità
ordinamentali e funzionali del personale di ciascuna Forza di polizia.
Il punto n. 4, oltre a prevedere che il personale tecnico del Corpo forestale dello Stato svolga altresì le funzioni di ispettore fitosanitario (di cui all'articolo 34 del decreto legislativo n. 214 del 2005), pone come criteri il riordino dei corpi di polizia provinciale, in linea con la legge n. 56 del 2014 (escludendo in ogni caso la confluenza nelle Forze di polizia); l'ottimizzazione dell'efficacia delle funzioni del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, mediante modifiche al decreto legislativo n. 139 del 2006 (recante riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell'articolo 11 della legge n. 229 del 2003), in relazione alle funzioni e ai compiti del personale permanente e volontario del medesimo Corpo (e conseguente revisione del decreto legislativo n. 217 del 2005, recante ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma della legge n. 252 del 2004), anche con soppressione e modifica dei ruoli e delle qualifiche esistenti ed eventuale istituzione di nuovi appositi ruoli e qualifiche, con conseguente rideterminazione delle relative dotazioni organiche e utilizzo (previa verifica da parte del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, di una quota parte dei risparmi di spesa di natura permanente, non superiore al 50 per cento, derivanti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco dall'attuazione della delega).
Si ricorda che della delega di cui all’articolo 8,
comma 1, lettera a) è stata finora data parziale attuazione con il decreto
legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante Disposizioni in materia di
razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale
dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a) della legge
124/2015.
Unitamente
a queste disposizioni della legge n. 124 del 2015, è richiamata la legge n. 244 del 2012 (di delega al
Governo per la revisione dello strumento militare nazionale), all'articolo 1, comma 5.
Tale richiamata disposizione - nella parte inserita
dalla legge di conversione n. 9 del 2016 del DL 185/2015 recante Misure urgenti
per interventi nel territorio - prevede
che una quota parte (non superiore al 50 per cento) dei risparmi di spesa di
parte corrente di natura permanente, conseguenti alla revisione dello strumento
militare nazionale, sia utilizzata per adottare, entro il 1º luglio 2017,
ulteriori disposizioni integrative al fine di assicurare la sostanziale equiordinazione di Forze di polizia e Forze armate quanto a
carriere, attribuzioni e trattamenti economici (con esclusione dei dirigenti
civili e militari e del personale di leva), secondo quanto previsto dalla legge n. 216 del 1992
(articolo 2, comma 1 ed articolo 3, comma 3) e nel rispetto dei criteri
direttivi di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), della legge
n. 124 del 2014, già sopra ricordato.
Il comma 4 demanda al decreto del Presidente del Consiglio sopra richiamato
(comma 2) l'aggiornamento dei criteri di determinazione degli oneri per la contrattazione collettiva
nazionale per il triennio 2016-2018 del personale dipendente da
amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall’amministrazione
statale da porre a carico dei rispettivi bilanci - criteri già posti dal D.P.C.M.18 aprile 2016.
Il D.P.C.M. 18 aprile 2016 era tenuto (ai sensi dall'articolo 1, comma 469 della legge n. 208 del 2015) a muovere in coerenza con quanto stabilito, per il personale delle amministrazione dello Stato, dal comma 466 della medesima legge, che ha previsto, per il triennio 2016-2018, un onere a carico del bilancio statale pari a 300 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016, a fronte di un 'monte salari' al netto dell’indennità di vacanza contrattuale nelle misure vigenti a decorrere dal 2010 (nell'importo a regime dal 1° luglio 2010) di circa 75 miliardi di euro complessivi, per tutto il personale delle amministrazioni interessate).
Pertanto il D.P.C.M. 18 aprile 2016 ha determinato gli oneri, a decorrere dal 2016, per l’intero triennio 2016-2018, per ciascuna delle amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici interessati, nella misura dello 0,4 per cento del 'monte salari' utile ai fini contrattuali e costituito dalle voci retributive a titolo di trattamento economico principale e accessorio rilevate dai più recenti dati inviati in sede di conto annuale al ministero dell’economia e delle finanze, al netto della spesa per l’indennità di vacanza contrattuale nei valori vigenti a decorrere dall’anno 2010. Gli importi come sopra quantificati maggiorati degli oneri contributivi ai fini previdenziali e dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), si aggiungono, a decorrere dall’anno 2016, a quelli già determinati per il pagamento della predetta indennità di vacanza contrattuale.
Per il
personale 'non contrattualizzato' ossia in regime di diritto pubblico, resta
fermo (mediante rinvio all'articolo 24, commi 1 e 4 della legge n. 448 del
1998) che gli stipendi, l'indennità integrativa speciale e gli assegni fissi e
continuativi sono adeguati di diritto annualmente in ragione degli incrementi
medi, calcolati dall'ISTAT, conseguiti nell'anno precedente dalle categorie di
pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive, ivi compresa
l'indennità integrativa speciale, e che siffatta previsione si applica anche al
personale di magistratura ed agli avvocati e procuratori dello Stato ai fini
del calcolo dell'adeguamento triennale, tenendo conto degli incrementi medi pro
capite del trattamento economico complessivo, comprensivo di quello
accessorio e variabile, delle altre categorie del pubblico impiego.
Il comma 5 infine
novella la disposizione vigente della legge di stabilità 2016 (il citato
articolo 1, comma 466 della legge n. 208 del 2015) relativa al finanziamento
della contrattazione collettiva nazionale per il triennio 2016-2018 a
carico del bilancio dello Stato.
La novella è duplice.
Inserisce tra gli oneri
oggetto della copertura finanziaria "i miglioramenti economici del
personale dipendente delle amministrazioni statali in regime di diritto
pubblico".
Sopprime la quantificazione
(entro i 300 milioni previsti da quell'altra disposizione) circoscritta a 74 milioni di euro per il personale delle Forze armate
e dei Corpi di polizia e 7 milioni di euro per il restante personale statale in
regime di diritto pubblico.
Articoli 52, comma 3 e 53
(Incremento dell’organico dell’autonomia)
Gli articoli 52, commi 3 e 53, istituiscono nello stato di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca di un nuovo Fondo destinato all’incremento dell’organico (docente) dell’autonomia.
In particolare, le risorse allocate nel nuovo Fondo, pari a € 140 mln per il 2017 ed € 400 mln dal 2018, incrementano il limite di spesa fissato dall’art. 1, co. 201, della L. 107/2015.
In base all’art. 1, co. 201, della L. 107/2015, a decorrere dall'a.s. 2015/2016, la dotazione organica complessiva di personale docente delle istituzioni scolastiche statali è incrementata nel limite di € 544,18 mln nel 2015, € 1.828,13 mln nel 2016, € 1.839,22 mln nel 2017, € 1.878,56 mln nel 2018, € 1.915,91 mln nel 2019, € 1.971,34 mln nel 2020, € 2.012,32 mln nel 2021, € 2.053,60 mln nel 2022, € 2.095,20 mln nel 2023, € 2.134,04 mln nel 2024 e € 2.169,63 mln annui a decorrere dal 2025.
Il Fondo è ripartito con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
L’incremento dell’organico dell’autonomia avviene in misura corrispondente ad una quota di posti derivanti dall’accorpamento degli spezzoni di orario aggregabili, fino a formare una cattedra o un posto interi, anche fra più scuole. Tale quota è sottratta in misura numericamente pari dall’ulteriore contingente di posti non facenti parte dell’organico dell’autonomia (né disponibili – a legislazione vigente -, per il personale a tempo indeterminato, per operazioni di mobilità o assunzioni in ruolo) costituita annualmente per far fronte ad esigenze di personale ulteriori rispetto a quelle soddisfatte dall'organico dell'autonomia (c.d. “organico di fatto”: art. 1, co. 69, L. 107/2015).
La relazione tecnica specifica, al
riguardo, che il decreto interministeriale, tenuto conto della spesa annuale di
personale, delle progressioni economiche di carriera, nonché degli arretrati e
delle ricostruzioni di carriera in favore del medesimo personale immesso in
ruolo, individuerà il numero di posti di organico di fatto che confluiranno
nell’organico dell’autonomia e la distribuzione dei neoassunti tra ciascun
grado di istruzione.
In base all’art. 1, co. 63 e 64, della L. 107/2015, l’organico dell’autonomia è costituito dai posti comuni, posti per il sostegno e posti per il potenziamento dell'offerta formativa[98] ed è determinato su base regionale, a decorrere dall'a.s. 2016/2017 e con cadenza triennale, con decreti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentita la Conferenza unificata.
A sua volta, l’art. 1, co. 69, della stessa L. 107/2015, ha disposto che, per far fronte ad esigenze di personale ulteriori rispetto a quelle soddisfatte dall'organico dell'autonomia, nel caso di rilevazione delle inderogabili necessità (legate all'aumento effettivo del numero degli alunni rispetto alle previsioni) previste dal D.P.R. n. 81/2009, a decorrere dall'a.s. 2016/2017, ad esclusione dei posti di sostegno in deroga, è costituito annualmente con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, un ulteriore contingente di posti non facenti parte dell’organico dell’autonomia (né disponibili, per il personale a tempo indeterminato, per operazioni di mobilità o assunzioni in ruolo). Alla copertura di tali posti – nei limiti delle risorse annualmente disponibili nello stato di previsione del MIUR e fermi restando gli obiettivi di conseguimento di economie previsti dall’art. 64, co. 6, del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) - si provvede a valere sulle graduatorie di personale aspirante alla stipula di contratti a tempo determinato o mediante l’impiego di personale a tempo indeterminato con provvedimenti aventi efficacia limitatamente ad un solo anno scolastico.
Con nota 29 aprile 2016, AOODGPER 11729, il MIUR ha trasmesso ai Direttori generali degli Uffici scolastici regionali lo schema di decreto, da inviare per il prescritto concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, recante disposizioni, per il triennio 2016/2019, in ordine alle dotazioni di organico del personale docente, alla relativa quantificazione a livello nazionale e regionale, ai criteri di ripartizione da adottare con riferimento alle diverse realtà provinciali e alle singole istituzioni scolastiche.
In base alle tabelle allegate allo schema, delle 746.418 cattedre previste per il prossimo triennio, 601.126 sono posti comuni, 96.480 sono posti per il sostegno e 48.812 sono posti per il potenziamento.
Relativamente ai posti comuni in relazione agli ordini e gradi di scuola, per la scuola dell’infanzia sono previsti 81.771 posti, per la scuola primaria 196.707 posti, per la scuola secondaria di primo grado 131.033 posti, per la scuola secondaria di secondo grado 191.615 posti.
Per quanto riguarda il sostegno, 90.034 sono posti comuni, 6.446 sono posti di potenziamento.
I numeri indicati sono stati confermati nel D.I. 625 del 5 agosto 2016.
L’organico di fatto per l’a.s. 2016/2017 è stato, invece, definito con il D.I. 581/2016 in misura pari a 30.626 posti.
Restano ferme le previsioni in materia di formazione e costituzione delle classi e di utilizzazione del personale previste dal D.P.R. n. 81/2009 e quelle relative alle classi di concorso previste dal D.P.R. n. 19/2016, in virtù della necessità di mantenimento delle economie di spesa richieste dall’art. 64 del D.L. n. 112/2008 (L. n. 133/2008).
L’articolo 54 proroga fino al 31 dicembre 2017 e limitatamente a 7.050 unità l'operatività del piano di impiego, concernente l’utilizzo di un contingente di personale militare appartenente alle Forze armate per il controllo del territorio in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia.
Scopo
della disposizione è quello di garantire la prosecuzione degli interventi delle
forze armate nelle attività di vigilanza
a siti e obiettivi sensibili (commi 74 e 75 dell’articolo 24 del decreto
legge n. 78 del 2009) anche in relazione
alle straordinarie esigenze di prevenzione e di contrasto della criminalità e
del terrorismo, nonché alle ulteriori esigenze connesse allo svolgimento del
prossimo G7 e di prevenzione dei
fenomeni di criminalità organizzata e ambientale nella regione Campania (articolo 3, comma 2 del decreto-legge n. 136 del
2013).
Per quanto concerne le disposizioni di carattere ordinamentale applicabili al personale militare impiegato nelle richiamate attività, l’articolo in esame rinvia alle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 7-bis del decreto legge n. 92 del 2008 in base alle quali:
1. il personale militare è posto a disposizione dei prefetti interessati
(comma 1);
2.
il piano di impiego del personale delle Forze armate è adottato con decreto del Ministro
dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa, sentito il Comitato
nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica integrato dal Capo di stato
maggiore della difesa e previa informazione al Presidente del Consiglio dei
Ministri. Il Ministro dell’interno riferisce in proposito alle competenti
Commissioni parlamentari (comma 2);
3.
nel
corso delle operazioni i militari delle Forze armate agiscono con le funzioni
di agenti di pubblica sicurezza.
In relazione al richiamato piano di impiego si ricorda che il decreto legge n. 92/2008 ha autorizzato il ricorso alle Forze armate per lo svolgimento di compiti di sorveglianza e vigilanza del territorio. In particolare, è stato previsto che, in relazione a specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, al fine di assicurare un maggior controllo del territorio in talune zone del Paese, è consentito impiegare personale militare delle forze armate utilizzando preferibilmente i Carabinieri impegnati in compiti militari o, comunque, volontari specificamente addestrati per i compiti da svolgere. Il Piano per l'impiego delle Forze armate nel controllo del territorio è stato adottato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa, il 29 luglio 2008 ed è operativo dal 4 agosto 2008. Il Piano riguardava inizialmente un contingente massimo di 3.000 unità con una durata massima di sei mesi, rinnovabile per una sola volta. Il D.L. n. 151/2008 ha, successivamente, autorizzato, fino al 31 dicembre 2008, l’impiego di un ulteriore contingente massimo di 500 militari delle forze armate da destinare a quelle aree del Paese dove, in relazione a specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, risultava necessario assicurare un più efficace controllo del territorio.
Il piano è stato
successivamente prorogato:
1. fino al 31 dicembre 2014 dal comma 264 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013;
2. fino al 31 marzo 2015 dal comma 4 dell’articolo 5 del decreto legge n. 192 del 2014 (c.d. “mille proroghe”);
3. fino al 30 giugno 2015 dall’articolo 5 del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7,
4. fino al 31 dicembre 2015 dall’articolo 5-bis del decreto legge n. 78 del 2015 (c.d. “enti territoriali”);
5. fino al 31 dicembre 2016 dall’ articolo 1, commi 251 e 252 della legge 208 del 2015 (legge di stabilità 2016).
Per quanto concerne la quantificazione degli
oneri relativi all’impiego del richiamato contingente l’articolo in esame autorizza
la spesa di 123 milioni di euro per
l’anno 2017 con specifica destinazione di euro :
§ 120.536.797 per il personale delle forze armate utilizzato nel piano di impiego operativo (comma 74 dell’articolo 24 del decreto legge n. 78 del 2009);
§ 2.463.203 per il personale delle forze di polizia che concorrono, unitamente alle Forze armate, nel controllo del territorio (comma 75 dell’articolo 24 del decreto legge n. 78 del 2009).
In relazione alla richiamata autorizzazione di spesa la relazione tecnica allegata al provvedimento specifica che “per la quantificazione degli oneri sono stati utilizzati i criteri presi a base di riferimento per le precedenti disposizioni di proroga dei suddetti interventi. In particolare, per il personale militare è prevista l'attribuzione di una indennità onnicomprensiva commisurata all'indennità di ordine pubblico prevista per il personale delle Forze di Polizia, nell'importo pari, rispettivamente, a 26 euro per i militari impiegati fuori dalla sede di servizio e 13 euro per i militari impiegati nella sede di servizio. Inoltre, per tutti i militari è previsto un limite individuale medio mensile di 14,5 ore di compenso per lavoro straordinario effettivamente reso, eccedenti i vigenti limiti individuali massimi stabiliti per le esigenze dell'Amministrazione di appartenenza utilizzando un costo medio orario di 12 euro in considerazione della categoria di personale impiegato. A tali oneri si aggiungono, quali spese di funzionamento, spese per viveri, per alloggio dei militari impiegati fuori sede, per servizi generali, per equipaggiamento/vestiario, per l'impiego di automezzi nonché, per il personale che viene inviato fuori dalla sede di servizio, spese una tantum per la corresponsione dell'indennità di marcia/indennità di missione durante i trasferimenti”.
Per
quanto riguarda i costi del personale delle Forze di Polizia impiegato
congiuntamente con quello militare nei servizi di vigilanza la relazione
illustrativa precisa che “gli stessi derivano unicamente dal pagamento
dell'indennità onnicomprensiva ove non sia riconosciuta l'indennità di ordine
pubblico, ai sensi del citato articolo 24, comma 75, del D.L. 78/2009”.
L'articolo 55 prevede la soppressione, a decorrere dal 1° gennaio 2017, dell'incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco.
La disposizione, al fine di sostenere le prospettive di crescita del settore aereo e di ridurre gli oneri a carico dei passeggeri, sopprime, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’addizionale comunale sui diritti di imbarco. Tale addizionale era stata prevista dall'articolo 13, comma 23, del decreto-legge n. 145 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2014. Le relative risorse erano destinate al cosiddetto Fondo volo.
Si ricorda che,
a partire dal 1965, è stato istituito presso l'Istituto Nazionale della
Previdenza Sociale (INPS) il Fondo di previdenza per il personale di volo
dipendente dalle aziende di navigazione aerea (cosiddetto Fondo volo).
È iscritto al
Fondo:
§ il personale addetto al comando, alla guida e al pilotaggio di aeromobili (comandanti e piloti);
§ il personale addetto al controllo degli apparati e degli impianti di bordo (tecnici di volo);
§ il personale addetto ai servizi complementari di bordo (assistenti di volo).
Il
Ministero del lavoro e delle politiche sociali dovrà provvedere a compensare la
riduzione di entrate che deriveranno all’INPS dalla predetta soppressione. A
tal fine l’articolo in questione prevede l’iscrizione, nello stato di
previsione del Ministero stesso, di risorse
pari a 184 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2017 al 2018.
Articolo 56
(Disposizioni per il decoro degli edifici
scolastici e per lo
svolgimento dei servizi di pulizia e ausiliari negli stessi)
L’articolo 56 stanzia ulteriori € 128 mln per il 2107 per la prosecuzione
del piano straordinario per il ripristino del decoro e della funzionalità degli
edifici scolastici (c.d. programma #scuole
belle) e interviene con un’ulteriore proroga in materia di svolgimento dei
servizi di pulizia e ausiliari negli stessi edifici.
Per la prosecuzione, fino al 31 agosto 2017, del piano straordinario
per il ripristino del decoro e della funzionalità degli edifici scolastici
(c.d. programma #scuole belle), sia
nei territori in cui è stata attivata, o è scaduta, la Convenzione-quadro
CONSIP per l’affidamento dei servizi di pulizia e altri servizi ausiliari, sia
in quelli in cui la stessa Convenzione non è ancora stata attivata, sono
stanziati ulteriori € 128 mln per il
2017.
A legislazione vigente, il programma indicato si conclude il 30 novembre 2016, con le risorse stanziate, fino a tale data, dall’art. 1, co. 1, del D.L. n. 42/2016 (L. n. 89/2016), che ora viene novellato.
In considerazione del fatto che le risorse stanziate a legislazione vigente – sulla base dell’accordo sottoscritto l’8 marzo 2016 presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – sono riferite al periodo fino al 30 novembre 2016, e che la disposizione in esame, mentre proroga il programma dal 1° dicembre 2016 al 31 agosto 2017, reca una nuova autorizzazione di spesa che entrerà in vigore a partire dal 1° gennaio 2017, occorrerebbe chiarire se e come lo stesso programma potrà proseguire nel mese di dicembre 2016.
Il programma “Scuole belle” è stato elaborato a
seguito dell’accordo sottoscritto il 28
marzo 2014 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Tale
accordo prevedeva, al fine di avviare a definitiva soluzione la problematica occupazionale conseguente alle
riduzioni degli affidamenti derivanti dalle espletate gare CONSIP e
riguardante i lavoratori ex LSU e quelli appartenenti alle ditte dei c.d.
“appalti storici”[99], che il MIUR – nell’ambito del più ampio programma
per l’edilizia scolastica facente capo alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri – avrebbe utilizzato risorse complessive pari a 450 milioni di euro, a decorrere dall’1.7.2014 e fino al 30.3.2016,
da impiegare per lo svolgimento, da parte del personale adibito alla pulizia
nelle scuole, di ulteriori attività consistenti in interventi di ripristino del decoro e della funzionalità degli immobili
adibiti ad edifici scolastici.
L’accordo
prevedeva, inoltre, che il MIUR avrebbe individuato gli istituti scolastici
capofila per l’acquisto dei nuovi servizi e che l’importo complessivo degli
ordini integrativi di fornitura sarebbe stato pari a 150 milioni di euro per il
2014 e a 300 milioni di euro per il
2015 e i primi 3 mesi del 2016.
Il D.L. 58/2014 (L. 87/2014) ha, poi,
introdotto una disciplina normativa
specifica per la realizzazione degli interventi in questione.
In particolare,
l’art. 2, co. 2-bis, come modificato dall’art. 1, co. 353, lett.
c), della L. 190/2014, ha disposto
che, nei territori ove non è stata
ancora attivata la convenzione-quadro Consip, le
istituzioni scolastiche ed educative statali effettuano gli interventi di
mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili scolastici
acquistando il relativo servizio dai medesimi raggruppamenti e imprese che
assicuravano i servizi di pulizia ed altri ausiliari alla data del 30 aprile
2014, alle condizioni tecniche previste dalla convenzione Consip
ed alle condizioni economiche pari all'importo del prezzo medio di
aggiudicazione per ciascuna area omogenea nelle regioni in cui era attiva la
convenzione.
Il co. 2-bis.1, inserito dall’art. 1, co.
353, lett. d),
della L. 190/2014 e modificato, da ultimo, con l’art. 1, co. 2, lett. b), del
D.L. 42/2016 (L. 89/2016), ha disposto che nei territori ove è già stata attivata la convenzione-quadro Consip, ovvero
la stessa sia scaduta, le istituzioni scolastiche ed educative statali
effettuano gli interventi di mantenimento del decoro e della funzionalità degli
immobili scolastici mediante ricorso alla stessa convenzione.
Per quanto concerne il finanziamento del programma,
si ricorda che le risorse previste per coprire le esigenze del periodo
dall’1.7.2014 al 30.11.2016 sono state stanziate, negli importi annuali pari a € 150 mln per il 2014, € 240 mln per il
2015 ed € 124 mln fino al 31.11.2016, come di seguito illustrato:
§ con
la delibera CIPE 21 del 30 giugno 2014 erano
stati previsti € 110 mln per il 2014, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la
coesione - programmazione 2007-2013. La delibera medesima considerava,
tuttavia, che, per la citata assegnazione di € 110 mln, apposita norma di legge
avrebbe potuto individuare una copertura finanziaria alternativa.
Nella successiva seduta del 1° agosto 2014, il CIPE prendeva atto che per il
finanziamento di € 110 mln era stata individuata una nuova copertura finanziaria, alternativa rispetto all’assegnazione
a carico del FSC, e che pertanto, la relativa delibera non avrebbe avuto corso.
Tale copertura è stata operata dal MIUR,
mediante il D.M. 559 del 15 luglio 2014, che
ha destinato alle finalità del piano in questione l’importo di € 110 mln a valere sul Fondo per il
funzionamento delle istituzioni scolastiche, dettando altresì i criteri per
il riparto di tale somma a livello provinciale;
§ ulteriori
€ 40 mln per il 2014 sono
stati assegnati dal CIPE a carico del Fondo sviluppo e coesione 2007-2013, con
la delibera 22 del 30 giugno 2014,
punto 4, a valere sugli importi residui di una precedente assegnazione a favore
del Ministero (€ 100 mln) disposta con la delibera n. 6/2012 per la costruzione di nuovi edifici
scolastici[100];
§ l’art. 1, co. 353, della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015),
inserendo il co. 2-ter nell’art. 2
del D.L. 58/2014, ha poi autorizzato la spesa di ulteriori € 130 mln per il 2015[101]. Le
risorse sono state ripartite con D.M. 117 del 20 febbraio 2015;
§ l’art. 1 del D.L. 154/2015 (L. 189/2015) – dando seguito (parzialmente) all’accordo sottoscritto presso la Presidenza del Consiglio il 30 luglio 2015, che aveva confermato l’impegno del Governo a garantire le risorse finanziarie necessarie al completamento del programma “Scuole belle”, con lo stanziamento degli ulteriori 170 milioni di euro necessari alla copertura del periodo 1° luglio 2015-31 marzo 2016, prevedendo, altresì, che la Presidenza del Consiglio si impegnava a convocare entro il 2015 un tavolo di verifica per esaminare le problematiche sociali e occupazionali più generali concernenti i lavoratori ex LSU e “appalti storici [102] - ha attivato € 110 mln, di cui 100 per il 2015 e 10 per il 2016, in aggiunta a 10 mln che il MIUR aveva già reperito, nel mese di agosto, all’interno del proprio bilancio 2015[103] e ripartito con il D.M. 596 del 7 agosto 2015. In particolare, il D.L. 154/2015 ha disposto:
- una nuova autorizzazione legislativa di spesa, pari a € 50 mln per il 2015, i cui oneri finanziari sono stati coperti mediante una corrispondente riduzione delle risorse del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione. La ripartizione, effettuata con D.M. 937 dell’11 dicembre 2015, ha riguardato peraltro l’importo di € 40,9 mln, posto che € 9,1 mln circa sono stati utilizzati, in linea con quanto previsto nel citato Accordo governativo del 30 luglio 2015 ed illustrato nel preambolo dello stesso D.M., a garantire le risorse necessarie a coprire gli oneri delle richieste di cassa integrazione guadagni in deroga presentate dalle aziende che impiegano i lavoratori adibiti ai progetti di manutenzione del decoro degli immobili adibiti ad istituzioni scolastiche;
- l’immediato
utilizzo di risorse, pari a € 50 mln per il 2015 e a € 10 mln per il
2016, “già assegnate dal CIPE nella seduta del 6 agosto 2015” a valere
sul Fondo per lo sviluppo e la coesione
– programmazione 2014-2020 (FSC) per la prosecuzione degli interventi relativi
al programma.
Si tratta delle risorse assegnate dal CIPE con delibera 73/2015,
registrata dalla Corte dei conti il 2 ottobre 2015, ossia il giorno successivo
a quello di entrata in vigore del D.L. 154/2015, e pubblicata nella GU n. 243
del 19 ottobre 2015.
La
somma di € 50 mln per il 2015 è stata ripartita con DM 803 del 7
ottobre 2015;
§ i residui € 50 mln fino al 31.3.2016 sono stati reperiti a valere su risorse provenienti dal bilancio del MIUR (€ 30 mln) e dal bilancio del MEF (€ 20 mln), come indicato nel preambolo della citata delibera CIPE 73/2015[104]. Tali risorse, unitamente ai 10 milioni di euro stanziati per il 2016 a valere sul FSC 2014-2020 dalla Delibera CIPE 73/2015, sono stati ripartiti con il DM 33 del 27 gennaio 2016;
§ ulteriori
€ 64 mln per il periodo 1.4.2016-30.11.2016 sono stati
stanziati con il D.L. 42/2016 (L.
89/2016), a valere su risorse MIUR
(utilizzo delle economie di cui all’art. 58, co. 6, del D.L. 69/2013 -L.
98/2013 e riduzione del Fondo per il funzionamento delle scuole). Con tale
stanziamento si è dato seguito ad nuovo accordo
sottoscritto l’8 marzo 2016 presso
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il quale il Governo aveva,
altresì, dato la disponibilità ad accogliere richieste di cassa integrazione in
deroga da parte delle aziende durante il periodo di sospensione delle attività
didattiche e le aziende si erano impegnate a revocare le procedure di
licenziamento collettivo avviate. Inoltre, la Presidenza del Consiglio dei
Ministri si era nuovamente impegnata a convocare, entro il mese di maggio 2016,
un tavolo di verifica al fine di esaminare le problematiche sociali e
occupazionali, con lo scopo di individuare una possibile soluzione di
prospettiva[105]. Le
risorse sono state ripartite con DM 297
del 5 maggio 2016 e con DM 605
del 1° agosto 2016.
Tabella
3 - Finanziamento Programma
"Scuole Belle"
(milioni di euro)
|
Autorizzazioni legislative |
MIUR |
MEF |
CIPE |
Tot. |
|
2014 |
|
|
110 mln |
|
40 mln |
150 |
2015 |
130 mln |
50 mln |
10 mln |
|
50 mln |
240 |
2016 |
|
64 mln Art. 1, D.L. 42/2016 (a valere su risorse MIUR) |
30 mln[106] |
20 mln |
10 mln |
124 |
|
130 |
114 |
150 |
20 |
100 |
514 |
Svolgimento dei servizi di pulizia e
ausiliari negli istituti scolastici
Per
consentire idonee condizioni igienico-sanitarie negli edifici scolastici nell’a.s. 2016/2017, si proroga (dal 31 dicembre 2016) al 31 agosto 2017 il termine entro il
quale, nelle regioni ove non è ancora attiva, ovvero sia stata sospesa o sia
scaduta, la convenzione-quadro Consip per
l'affidamento dei servizi di pulizia e altri servizi ausiliari, le istituzioni
scolastiche ed educative provvedono all'acquisto degli stessi servizi dai
medesimi raggruppamenti e imprese che li assicuravano alla data del 31 marzo
2014.
A tal
fine, si novella ulteriormente l’art. 2, co. 1,
del D.L. 58/2014 (L. 87/2014).
Attualmente, con
riferimento alla convenzione-quadro CONSIP - che è stata attivata il 22
novembre 2013 e, in base alle informazioni
disponibili sul sito dedicato, scadrà il 26 maggio 2018, continua a
risultare non affidato il lotto n. 6 -
regione Campania (Province di Napoli e Salerno). Risulta scaduto il 6 giugno 2016 il lotto n. 5 – regione Lazio (Province di
Frosinone e Latina) e sospeso, dal
1° aprile 2015, il lotto n. 7 – regione Campania (Province di Caserta,
Benevento ed Avellino).
Qui maggiori informazioni.
In
materia, si ricorda che il 19 aprile 2016 è stata annunciata all’Assemblea
della Camera la segnalazione adottata dall’Autorità
nazionale anticorruzione il 2 marzo 2016 (delibera 376/2016), ai
sensi dell'art. 6, co. 7, lett. e) ed f), del D.Lgs. 163/2006, concernente le disposizioni normative che
prevedono l'affidamento dei servizi di pulizia, dei servizi ausiliari e degli
interventi di mantenimento del decoro e delle funzionalità degli immobili
adibiti a sede delle istituzioni scolastiche e educative, mediante il ricorso
all'istituto giuridico della proroga.
In particolare,
l’Autorità ha sottolineato l’opportunità di avviare una riflessione sulla
coerenza dell’assetto normativo che consegue alle varie proroghe con le regole
europee e nazionali vigenti in materia di appalti, alla luce del principio
della inderogabilità delle procedure ordinarie di scelta del contraente. Ciò,
al fine di escludere che le scelte
adottate possano avere un notevole effetto distorsivo sul mercato dei contratti
pubblici. Al riguardo, l’Autorità ha evidenziato che questo rischio cresce in
presenza di tre elementi: la rilevanza economica del valore contrattuale dei
servizi affidati in deroga alle ordinarie procedure di scelta del contraente;
il dilatarsi dell’arco temporale nel quale gli atti normativi producono
effetti; l’ampia estensione territoriale del fenomeno.
Ha ricordato,
altresì, che “il segnale che conferma tale anomalia è il provvedimento finale
del procedimento 1787 – gare CONSIP servizi di pulizia nelle scuole pubbliche”,
deliberato in data 22 dicembre 2015, n. 25802, con cui l’Autorità garante della
concorrenza e del mercato (AGCM) ha accertato l’esistenza di un’intesa
restrittiva della concorrenza, che ha condizionato l’esito della gara di
rilievo comunitario bandita da Consip nel 2012.
Secondo l’AGCM, tramite questa intesa, le quattro imprese coinvolte – due delle
quali sono i maggiori incumbent
– hanno annullato, di fatto, la dinamica concorrenziale nello svolgimento della
gara, per spartirsi i lotti e aggiudicarsene il massimo numero consentito”.
Inoltre,
l’Autorità ha messo in evidenza i possibili
effetti distorsivi delle proroghe sull’economicità delle commesse pubbliche,
in quanto le proroghe vincolano le stazioni appaltanti a fruire di prestazioni
contrattuali non necessariamente in linea con le migliori condizioni economiche
che il mercato può offrire.
Ulteriori
effetti negativi riguardano l’assenza di stimoli per le imprese aggiudicatarie
ad investire in ricerca e sviluppo per rendersi competitive nel mercato e il
disincentivo alla nascita di nuove iniziative imprenditoriali derivante dalla
percezione di un mercato “chiuso”.
L’articolo 57 istituisce un fondo, con risorse per 45 milioni di euro per l’anno 2017, per la realizzazione d’interventi relativi all’organizzazione e allo svolgimento del vertice tra i sette maggiori Paesi industrializzati (G7).
La norma autorizza la spesa di 45 milioni per il 2017, finalizzata agli interventi per l’organizzazione e lo svolgimento del vertice G7 a livello di Capi di Stato e di Governo, previsto a Taormina nell’ambito della Presidenza italiana del Gruppo dei sette maggiori Paesi industrializzati.
Le risorse confluiscono in un fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, da trasferire alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tra gli interventi finanziati, la norma menziona specificamente gli adeguamenti infrastrutturali e le esigenze di sicurezza.
L’articolo 58, commi 1-3, definisce l’Infrastruttura nazionale necessaria a garantire l’interoperabilità dei Fascicoli sanitari elettronici (FSE).
L’Agenzia per l’Italia digitale (AgID) cura la progettazione dell’infrastruttura nazionale necessaria a garantire l’interoperabilità dei FSE in accordo con il Ministero della salute e il Ministero dell’economia e delle finanze, con le regioni e le province autonome.
La realizzazione dell’infrastruttura nazionale per l’interoperabilità dei FSE è gestita dal Ministero dell’economia e delle finanze attraverso l’utilizzo del Sistema Tessera sanitaria.
È previsto l’istituto del commissariamento qualora una regione non rispetti i termini per la realizzazione del FSE.
Si dispone un’autorizzazione di spesa di 2,5 milioni di euro, a decorrere dal 2017, per la progettazione e la realizzazione dell’infrastruttura nazionale per interoperabilità dei FSE.
L’articolo 12
del decreto legge 179/2012 ha istituito il Fascicolo Sanitario Elettronico
(FSE), inteso come l'insieme dei dati e documenti digitali di tipo sanitario e
sociosanitario generati da eventi clinici presenti e trascorsi, riguardanti
l'assistito. Il FSE è istituito dalle regioni e dalle province autonome, nel
rispetto della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali,
con le finalità elencate al comma 2 dell’art. 12. Le successive modifiche
introdotte con il decreto legge 69/2013 hanno fissato il termine per
l’attivazione del FSE presso le regioni e le province autonome al 30 giugno
2015.
Al fine di
accelerare il processo di predisposizione delle piattaforme di FSE regionali,
nel dicembre 2013 è stato istituito un Tavolo Tecnico, coordinato dall’AgID e dal Ministero della salute, nel quale sono stati
coinvolti attivamente i rappresentanti delle regioni, del Ministero
dell’economia e delle finanze, il CNR e il CISIS, per analizzare gli aspetti
tecnici, normativi e procedurali e disegnare gli scenari di riferimento nella
progettazione dell’intervento.
Il primo
risultato del Tavolo Tecnico è rappresentato dalle Linee guida per la presentazione dei piani di progetto
regionali per il FSE, mentre il prosieguo delle attività ha riguardato la
definizione dei processi per l’interoperabilità interregionale e l’elaborazione
delle relative specifiche tecnico-funzionali.
Successivamente
il Regolamento operativo del FSE (D.p.c.m. 178/2015) ha definito le regole con le quali le regioni hanno
dovuto predisporre il proprio sistema di Fascicolo Sanitario Elettronico in
linea con le tempistiche di realizzazione del progetto indicate dal decreto
legge 179/2012.
Si ricorda che
l’architettura di una piattaforma regionale di FSE comprende in generale due
componenti principali: la prima riguarda i documenti e i dati prodotti dalle
strutture sanitarie e la seconda l’indicizzazione di tali documenti e/o dati. In
tale architettura, i documenti e dati sanitari sono memorizzati nei repository siti
presso le strutture sanitarie. La titolarità del documento/dato è di chi
produce il documento/dato stesso, mentre l’indice regionale conserva i metadati
inerenti ai documenti e dati prodotti (quali la tipologia del documento,
l’autore del documento, il paziente al quale il documento si riferisce, il
riferimento al repository
che conserva il documento, ecc.). L’interoperabilità con le altre piattaforme
tecnologiche regionali viene garantita dai servizi di interoperabilità.
L’AgID e il Ministero della salute hanno presentato il primo
rilascio dell’infrastruttura per l’interoperabilità del Fascicolo Sanitario
Elettronico (FSE) nel dicembre 2015.
Da gennaio 2016,
a partire dalle Regioni che hanno già sviluppato il fascicolo regionale, il
processo di implementazione è entrato nella sua fase operativa rendendo i
fascicoli interoperabili su tutto il territorio nazionale. In questa prima fase
l’infrastruttura ha previsto due set di servizi principali, il primo in grado
di assicurare i servizi di ricerca e recupero dei documenti oltre alla
comunicazione dei metadati, e il secondo contenente servizi a valore aggiunto
sviluppati sulla base delle richieste regionali.
Le Regioni, per
collegarsi all’infrastruttura, hanno dovuto manifestare l’adesione al piano di
test coordinando con AgID i test di avvio.
Con un comunicato del 2 agosto 2016, l’AgID ha reso noto che si
è concluso positivamente il processo di integrazione dei servizi di
interoperabilità messi a disposizione delle regioni sull’infrastruttura
nazionale necessaria a garantire l’interoperabilità dei FSE con il servizio di
identificazione degli assistiti attraverso il sistema Tessera Sanitaria.
L’intervento legislativo viene attuato modificando l’articolo 12 del decreto-legge n. 179/2012.
Queste le misure previste dal comma 1:
§ viene modificato il comma 15 dell’articolo 12 con la finalità di evidenziare l’opportunità, per le regioni e le province autonome, di utilizzare l’infrastruttura per l’interoperabilità la cui realizzazione è curata dal Ministero dell’economia e delle finanze attraverso l’uso del Sistema Tessera Sanitaria (comma 1, lettera a);
Il
comma 15 dell’articolo 12 dispone che le regioni e le province autonome,
possono, nel principio dell'ottimizzazione e razionalizzazione della spesa
informatica, anche mediante la definizione di appositi accordi di
collaborazione, realizzare infrastrutture tecnologiche per il FSE condivise a
livello sovra-regionale, ovvero avvalersi, anche mediante riuso, delle
infrastrutture tecnologiche per il FSE a tale fine già realizzate da altre
regioni o dei servizi da queste erogate, ovvero, - come modificato dall’articolo
in esame - “utilizzare l’infrastruttura nazionale per l’interoperabilità, da
rendere conforme ai criteri stabiliti dai decreti di cui al comma 7”. Sul punto
si osserva che, in luogo del rinvio ai decreti di cui al comma 7 dell’articolo
12, la norma ora in esame avrebbe potuto rinviare, per maggiore chiarezza, al
D.P.C.M. 178/2015 recante il Regolamento del FSE.
§ viene sostituito (comma 1, lettera b) il comma 15-ter dell’articolo 12, disponendo quanto segue: ferme restando le funzioni del Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale, sulla base delle esigenze avanzate dalle regioni e dalle province autonome nell’ambito dei rispettivi piani, l’AgID diviene responsabile, in accordo con il Ministero della salute e il Ministero dell’economia e delle finanze, con le regioni e le province autonome, della progettazione dell’infrastruttura nazionale necessaria a garantire l’interoperabilità dei FSE, la cui realizzazione è curata dal Ministero dell’economia e delle finanze attraverso l’utilizzo dell’infrastruttura del Sistema Tessera sanitaria.
Dovranno pertanto essere garantiti:
1) l’interoperabilità dei FSE e dei dossier farmaceutici regionali;
Ai sensi del già citato
Regolamento operativo del FSE (D.P.C.M. 178/2015) il dossier farmaceutico è
la parte specifica del FSE che viene istituita per favorire la qualità, il
monitoraggio e l’appropriatezza nella dispensazione dei medicinali e l’aderenza
alla terapia ai fini della sicurezza del paziente. Il dossier farmaceutico è
aggiornato a cura della farmacia che effettua la dispensazione;
2) l’identificazione dell’assistito, attraverso l’allineamento con l’Anagrafe Nazionale degli Assistiti (ANA) istituita nell’ambito del Sistema Tessera Sanitaria ai sensi dell’articolo 62-ter del D.Lgs. 82/ 2005. Nelle more della realizzazione dell’ANA, l’identificazione dell’assistito viene assicurata attraverso l’allineamento con l’elenco degli assistiti gestito dal Sistema Tessera Sanitaria;
3) per le regioni e le province autonome che, entro il 31 marzo 2017, comunicano al Ministero dell’economia e delle finanze e al Ministero della salute di volersi avvalere dell’infrastruttura nazionale ai sensi del comma 15 (circa il comma 15 vedi infra quanto detto sul comma 1, lettera a) dell’articolo in esame) dovrà inoltre essere garantita l’interconnessione dei soggetti finalizzata alla trasmissione telematica dei dati oggetto di trattamento - ad esclusione dei dati risultanti negli archivi del medesimo Sistema Tessera Sanitaria - necessaria per la successiva alimentazione e consultazione del FSE da parte delle stesse regioni e province autonome. Le modalità saranno stabilite da un decreto del Ministero economia e finanze di concerto con il Ministero della salute;
In relazione alla formulazione del punto 3),
relativa alla “interconnessione dei soggetti di cui al presente articolo per la
trasmissione telematica dei dati di cui ai decreti attuativi del comma 7, ad
esclusione dei dati di cui al comma 15-septies” appare necessario un
chiarimento circa i “soggetti” ai quali
la norma intende riferirsi e ai “dati” di cui ai decreti attuativi del
comma 7, probabilmente da attribuirsi a
quelli di cui al D.P.C.M. 178/2015. Si valuti pertanto l’opportunità, ai
fini di una univoca applicabilità della norma, di procedere ad una formulazione
più precisa, in cui i rinvii operati siano chiari, puntuali e non soggetti a
diverse interpretazioni.
4) dal 30 aprile 2017 la gestione delle codifiche che rappresentano le informazioni contenute nei documenti sanitari e socio-sanitari che costituiscono il FSE. Le modalità della gestione delle codifiche, rese disponibili dalle Amministrazioni ed enti che le detengono, sarà disciplinata con decreto Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute;
§ viene modificato (comma 1, lettera c) il comma 15-quater dell’articolo 12 prevedendo che anche il Ministero dell’economia e delle finanze operi con gli altri due soggetti previsti a legislazione vigente, ovvero AgID e Ministero della salute, nella procedura di valutazione ed approvazione, entro il termine di sessanta giorni, dei piani di progetto presentati dalle regioni e dalle province autonome per la realizzazione del FSE, verificandone la conformità a quanto stabilito dal Regolamento FSE (D.P.C.M. 178/2015) e condizionandone l'approvazione alla piena fruibilità a livello nazionale dei dati regionali. Inoltre, il Ministero dell’economia e delle finanze dovrà affiancare AgID e il Ministero della salute nel monitoraggio dei piani di progetto regionali per la realizzazione del FSE (sul punto si rinvia alla pagina Fascicolo sanitario elettronico). L’articolo 15-quater dispone inoltre che la realizzazione del FSE sia compresa tra gli adempimenti cui sono tenute le regioni e le province autonome per l'accesso al finanziamento integrativo a carico del Ssn (di cui all’art. 1, comma 173, della legge 30 dicembre 2004, n. 311) da verificare da parte del Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei LEA - con previsione introdotta dalla norma in esame -, congiuntamente con il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali.
§ vengono aggiunti (comma 1, lettera d) dopo il comma 15-quinquies dell’articolo 12, i commi 15-sexies e 15-septies. L’aggiunto comma 15-sexies introduce l’istituto del commissariamento per le regioni inadempienti. Più in particolare, qualora una regione, sulla base della valutazione del Comitato LEA e del Tavolo degli adempimenti, non abbia adempiuto nei termini previsti dal comma 15-quater (per il comma 15-quater si rinvia a quanto illustrato al punto precedente), il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita l’AgID, diffida la regione ad adempiere entro i successivi 30 giorni. Qualora, sulla base delle valutazioni operate dai Tavoli tecnici, la regione non abbia adempiuto, il Presidente della regione, nei successivi 30 giorni, in qualità di commissario ad acta, adotta gli atti necessari all’adempimento e ne dà comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai Tavoli tecnici.
In
relazione alla diffida da inoltrare alla regione inadempiente per il mancato
rispetto dei termini posti dall’art. 15-quater, si rileva la genericità della formulazione della norma e
l’opportunità di esplicitare più chiaramente i mancati adempimenti a cui la
stessa norma intende riferirsi.
L’aggiunto comma 15-septies dispone che il Sistema Tessera Sanitaria, entro il 30 aprile 2017, renda disponibili ai FSE e ai dossier farmaceutici regionali, attraverso l’infrastruttura nazionale per l’interoperabilità, i dati risultanti negli archivi del medesimo Sistema Tessera Sanitaria relativi alle esenzioni dell’assistito, alle prescrizioni e prestazioni erogate di farmaceutica e specialistica a carico del Ssn, certificati di malattia telematici, prestazioni di assistenza protesica, termale e integrativa.
Il comma 2 autorizza la spesa di 2,5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017 per l’attuazione di quanto disposto dal comma 15-ter dell’articolo 12 del decreto legge 179/2012, come modificato dal comma 1, lettera c) della norma in esame, vale a dire per la progettazione e la realizzazione della infrastruttura nazionale per l’interoperabilità del FSE.
Contestualmente, il comma 3 dell’articolo in esame dispone la riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 12, comma 15-quinquies, del decreto-legge n. 179/2012 relativa al rilascio, entro il 31 dicembre 2015, dell’infrastruttura per l’interoperabilità del FSE. L’autorizzazione di spesa, pari a 10 milioni di euro, è ridotta di 5 milioni di euro per il 2017, di 4,92 milioni di euro per il 2018 e di 5 milioni di euro annui a decorrere dal 2019.
L’articolo 58, commi 4-8, introduce misure sperimentali per il 2017 per migliorare e riqualificare il Servizio sanitario regionale, mediante incremento della quota premiale del finanziamento del SSN per le regioni che presentano apposito programma, integrativo dell’eventuale Piano di rientro.
Il comma 4 stabilisce, a livello sperimentale
per il solo anno 2017, l’incremento dello 0,1% della “quota premiale” già prevista all’art. 2, co. 68, lett. c), della finanziaria 2010 (L. 191/2009).
L’art. 2, comma 68, ha
previsto (per il triennio 2010-2012) l’erogazione alle regioni, in via
anticipata, del finanziamento ordinario del SSN per una quota fissata al 97%
della parte indistinta del fondo sanitario stabilita dalle intese annuali
sancite in Conferenza Stato-regioni. Per le regioni “virtuose” che abbiano
adempiuto, nel triennio precedente al 2010, agli obblighi della normativa
vigente previsti in materia di riduzione della spesa sanitaria –segnatamente
per il personale-, l’anticipazione è elevata ad almeno il 98% (l’ulteriore maggior livello
dell’anticipazione può essere corrisposto compatibilmente con gli obblighi di
finanza pubblica).
La lett.
c) del comma 68, tuttavia, stabilisce un accantonamento delle predette
anticipazioni del 97 e 98 per cento, pari, rispettivamente, al 3 e al 2 per
cento, il cui successivo sblocco – che ne consente l’erogazione - è
condizionato alla verifica positiva degli adempimenti cui le regioni sono
chiamate per il loro concorso alla riduzione della spesa sanitaria. In
particolare, l’erogazione è consentita all’esito positivo della verifica che
dimostri che la regione abbia attuato le misure correttive richiamate dai commi
71-74 (misure di riduzione del personale sanitario) e dai commi 92-97 (accordi
sui Piani di rientro) del medesimo articolo 2 della legge finanziaria 2010.
Le disposizioni contenute al
comma 68 sono state rese permanenti, a decorrere dal 2013, dall’art. 15, comma
24, del DL. 95/2012, cd. decreto spending review (L. 135/2012).
La
misura, diretta a promuovere e conseguire una maggiore efficienza ed efficacia
dei servizi sanitari regionali, in coerenza con gli obiettivi di crescita e di
sviluppo del Servizio sanitario nazionale, pertanto, mantiene ferma la normativa vigente in materia
di anticipazione delle risorse ordinarie del finanziamento del SSN e di
disciplina dei Piani di rientro regionali prevista ai commi da 77 a 97,
dell’articolo 2, della citata legge finanziaria per il 2010.
Si ricorda che i piani di rientro sono
finalizzati a verificare la qualità delle prestazioni sanitarie ed a
raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali.
Le regioni in piano
di rientro attualmente sono
otto (Piemonte, Abruzzo, Lazio, Molise Campania, Puglia, Calabria, Sicilia), di
cui quattro commissariate (Campania, Lazio, Molise e Calabria).
Per le regioni con elevati disavanzi sanitari,
la legge 191/2009
(legge finanziaria per il 2010), come previsto dal Patto per la salute 2010-2012,
ha stabilito nuove regole per i Piani di rientro
e per il commissariamento delle regioni.
Oltre a ridurre al 5% il livello di
squilibrio economico (in precedenza fissato al 7%), per la presentazione
del Piano di rientro regionale, ha infatti modificato la procedura per la
predisposizione e l'approvazione del Piano, nonché il procedimento di diffida della regione e della nomina di commissari ad acta (per
approfondimenti si rinvia al tema della spending review in campo sanitario - piani di rientro e di riqualificazione degli enti
del Servizio sanitario nazionale).
Con riferimento alla formulazione del testo,
si osserva che non appare chiaro l’utilizzo della definizione di “quota di premialità” riferita al meccanismo di anticipazione del
finanziamento sanitario regionale condizionata agli adempimenti regionali per
la riduzione della spesa sanitaria di cui al co. 68, art. 2, della legge
finanziaria 2010, essendo l’accesso alle forme premiali per il sistema
sanitario regionale più propriamente riferibile alla disciplina di cui al comma
67-bis del medesimo articolo.
Il comma 4 stabilisce, inoltre, a livello
sperimentale per il solo anno 2017, la possibilità per ogni regione di proporre
un programma di miglioramento e riqualificazione di determinate aree del
servizio sanitario regionale (SSR). Tale programma può essere proposto al Comitato permanente per l’erogazione dei LEA, anche sulla base delle valutazioni operate
dal Comitato stesso in ordine all’erogazione dei livelli e di assistenza e
tenuto conto delle valutazioni del “sistema di garanzia”.
Il
citato Comitato, previsto all’articolo 9 dell’Intesa
in Conferenza Stato- regioni del 23 marzo 2005 (Rep. Atti n. 2271),
si avvale del supporto tecnico dell'Agenzia per i Servizi
Sanitari Regionali (A.Ge.Nas)
ed opera sulla base delle informazioni
desumibili dal sistema di monitoraggio e garanzia di cui al DM 12 dicembre 2001, nonché
dei flussi informativi afferenti al Nuovo Sistema
Informativo Sanitario.
La
norma richiama infatti “il sistema di garanzia”, come definito all’articolo
9 del D.Lgs. 56/2000,
in materia di procedure di monitoraggio dell'assistenza
sanitaria, che comprende, tra l’altro, un insieme minimo di indicatori e
parametri di riferimento, regole e convenzioni per la rilevazione, la
validazione e l'elaborazione delle informazioni e dei dati statistici necessari
per l'applicazione del medesimo, nonché le procedure per la pubblicizzazione
periodica dei risultati dell'attività di monitoraggio e per l'individuazione
delle regioni che non rispettano o non convergono verso i predetti parametri,
anche prevedendo limiti di accettabilità entro intervalli di oscillazione dei
valori di riferimento.
I
programmi sopra definiti hanno una durata
annuale e devono essere presentati entro 2 mesi dall’approvazione della
presente legge di bilancio 2017 ed approvati dal Comitato LEA entro i
successivi 30 giorni (comma 5).
Inoltre,
dispone circa il contenuto dei programmi: essi devono individuare aree prioritarie d’intervento specifiche di ciascun contesto
regionale, definendo i relativi indicatori di valutazione.
Se la
regione è sottoposta a Piano di rientro, tali programmi sono integrativi,
ove necessario, del programma operativo di prosecuzione del Piano di rientro.
In merito alla loro approvazione, la norma specifica che occorre il vaglio
congiunto da parte del Comitato LEA assieme al Tavolo di verifica degli
adempimenti di cui all’articolo 12 dell’Intesa Stato, regioni e province
autonome del 23 marzo 2005.
I
programmi, più in dettaglio (comma 6),
devono contenere, in particolare:
§ le modalità e la tempistica per la verifica della realizzazione degli obiettivi indicati;
§ le forme di monitoraggio degli obiettivi intermedi e finali; l’attività di monitoraggio deve essere effettuata da parte del Comitato LEA, che al tal fine, per le sole regioni in piano di rientro, dovrà operare congiuntamente con il Tavolo adempimenti (v. ante).
Viene
inoltre disposto (comma 7) che
l’incremento sperimentale della “premialità” per
l’anno 2017 previsto al comma 4 dovrà essere ripartito con modalità
disciplinate con accordo in Conferenza Stato-regioni e province autonome, entro
il 31 gennaio 2017; la disciplina ivi prevista riguarderà altresì l’accesso
alle forme premiali in attuazione dei citati programmi.
In proposito appare opportuno un chiarimento
circa il necessario coordinamento con la disciplina relativa all’accesso alle
forme premiali già prevista dalla vigente normativa al co. 67-bis dell’art. 2 della legge di stabilità
2010 (v. ante).
Il
comma 7 dispone inoltre che, nel caso in cui non venga presentato il programma
ovvero si riscontri una verifica negativa dell’attuazione annuale dello stesso
programma, la regione interessata subirà la perdita permanente del diritto di accesso alla quota prevista.
In proposito non appare chiara
l’interpretazione da dare al carattere “permanente” della perdita del diritto
di accesso alle forme premiali previste, considerato che le misure sopra
indicate non risultano strutturali in quanto definite in via sperimentale per
il solo anno 2017.
Le
somme eventualmente rese disponibili dal periodo precedente sono integralmente riattribuite alle restanti regioni in maniera proporzionale
all’accesso previsto.
Su
queste nuove attività sperimentali, il Comitato LEA è chiamato a presentare
un’apposita relazione (comma 8).
Articolo 58, comma 9
(Piani di rientro per alcuni enti ed
aziende
del Servizio sanitario nazionale)
L’articolo 58, comma 9, modifica la nozione di disavanzo (riducendone i parametri), ai fini dell'individuazione dei casi in cui sussista l'obbligo di adozione e di attuazione di un piano di rientro per le aziende ospedaliere o ospedaliero-universitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e gli altri enti pubblici che eroghino prestazioni di ricovero e cura
Il comma 9 modifica la disciplina[107] sull'obbligo di adozione e di attuazione di un piano di rientro per le aziende ospedaliere o ospedaliero-universitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e gli altri enti pubblici che eroghino prestazioni di ricovero e cura, qualora presentino un determinato disavanzo o un mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure.
La novella concerne la nozione della suddetta fattispecie del disavanzo.
Nella formulazione vigente, si fa riferimento alla sussistenza di un disavanzo tra i costi ed i ricavi (derivanti dalla remunerazione delle attività da parte del Servizio sanitario regionale) pari o superiore al 10% dei medesimi ricavi o pari, in valore assoluto, ad almeno 10 milioni di euro. La novella sostituisce il parametro del 10% con quello del 5% e riduce da 10 a 5 milioni il parametro in valori assoluti.
L’articolo 58, commi 10-12, ridetermina, in diminuzione, il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato, che viene portato a 113.000 milioni di euro per il 2017 e a 114.000 milioni di euro per il 2018.
Per il 2019 il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato è stabilito in 115.000 milioni di euro.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano assicurano gli effetti finanziari risultanti dalla rideterminazione del livello di finanziamento mediante la sottoscrizioni di singoli Accordi con lo Stato, da stipularsi entro il 31 gennaio 2017. Per la Regione Trentino- Alto Adige e per le Province autonome di Trento e di Bolzano si rinvia all’Accordo 15 ottobre 2014. Decorso il termine del 31 gennaio 2017, il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, entro i successivi trenta giorni, con proprio decreto, attua quanto previsto per gli anni 2017 e successivi dall’Intesa dell’11 febbraio 2016.
Una quota parte del Fabbisogno sanitario nazionale standard, pari a un miliardo, viene vincolata al finanziamento di specifici Fondi rivolti alla spesa farmaceutica - medicinali innovativi, innovativi oncologici e vaccini – e alla stabilizzazione del personale Ssn.
Più in particolare, il comma 10 ridetermina in diminuzione, rispetto a quanto convenuto con l’Intesa 11 febbraio 2016, il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato, che viene portato a 113.000 milioni di euro per il 2017 e a 114.000 milioni di euro per il 2018.
Nell’Intesa sancita in Conferenza Stato-regioni l’11 febbraio 2016 gli importi indicati erano 113.063 milioni di euro per il 2017 e 114.998 milioni di euro per il 2018 (per un maggiore approfondimento si rinvia a: La programmazione economico-finanziaria per il 2014-2016 e la previsione del fabbisogno sanitario 2017 e 2018).
Per il 2019 il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato è stabilito in 115.000 milioni di euro.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano assicurano gli effetti finanziari risultanti dalla rideterminazione del livello di finanziamento mediante la sottoscrizioni di singoli Accordi con lo Stato, da stipularsi entro il 31 gennaio 2017.
Per quanto riguarda la quota di risparmio di pertinenza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, si ricorda che, in ragione del fatto che il finanziamento del Ssn è calcolato su base nazionale (in quanto destinato a funzioni soggette al rispetto dei livelli essenziali di assistenza), a fronte di una riduzione del finanziamento erariale per il comparto delle regioni a statuto ordinario, è previsto che anche le autonomie speciali realizzino un risparmio. D’altra parte, le regioni a statuto speciale, ad eccezione della Sicilia, provvedono al finanziamento del Ssn con risorse provenienti interamente dal proprio bilancio e senza alcun onere a carico dello Stato. Pertanto, il risparmio delle autonomie viene stabilito con singoli Accordi con lo Stato.
Per la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e Bolzano, l’applicazione di quanto precedentemente stabilito avviene nel rispetto dell’Accordo sottoscritto il 15 ottobre 2014 tra il Governo e i tre enti territoriali, recepito dall’art. 1, commi da 406 a 413 della legge di stabilità 2015.
I commi da 406 a 413 della legge di stabilità 2015 (legge 190/2014) recepiscono l'accordo siglato il 15 ottobre 2014 (c.d Patto di Garanzia), con il quale sono stati ridefiniti i rapporti finanziari tra lo Stato, la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Le norme modificano l’ordinamento finanziario dei tre enti, secondo le procedure concordate previste dall’articolo 104 dello statuto (D.P.R. n. 670/1972). Per quanto qui interessa, con l’accordo in questione è stato definito, tra l’altro, il concorso agli obiettivi di finanza pubblica dei tre enti, sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto per gli anni dal 2014 al 2022.
Il comma 12 chiarisce che, decorso il termine del 31 gennaio 2017, all’esito degli Accordi sottoscritti con riferimento al contributo previsto dall’Intesa dell’11 febbraio 2016, il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, entro i successivi trenta giorni, con proprio decreto, attua quanto previsto per gli anni 2017 e successivi dall’Intesa del febbraio 2016 al fine di conseguire l’obiettivo di finanza pubblica per il settore sanitario.
La riduzione del FSN per gli anni 2017 e 2018, come recentemente stabilito nell'Intesa dell'11 febbraio 2016, è stata determinata dal contributo richiesto alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano dal comma 680, art. 1, della legge di stabilità per il 2016 (L. 208/2015) per una quota-parte pari a 3.980 milioni di euro per il 2017 e 5.480 milioni per ciascuno degli anni 2018 e 2019. La norma della stabilità 2016 prevede che siano le regioni stesse, in sede di autocoordinamento, ad individuare le modalità di realizzazione del contributo, vale a dire gli ambiti di spesa da tagliare e i relativi importi – per il complesso delle regioni e per ciascuna di esse, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza. L’accordo tra le regioni deve poi essere recepito con intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni entro il 31 gennaio di ciascun anno. In caso di mancata intesa, il Governo procede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi entro 20 giorni dalla scadenza dei termini dell’Intesa, tenendo anche conto del PIL e della popolazione residente. Per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, la norma della stabilità 2016 stabilisce che, fermo restando il concorso complessivo, il contributo di ciascuna autonomia speciale deve essere determinato con intesa con la stessa Regione o Provincia autonoma. Per la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano l’applicazione delle sopradescritte norme deve avvenire nel rispetto dell’accordo sottoscritto tra i tre enti e lo Stato il 15 ottobre 2014 e recepito con la legge di stabilità 2015 ai commi da 406 a 413.
L’Intesa del febbraio 2016 stabilisce pertanto le modalità di conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti dall’articolo 1, comma 680, della stabilità 2016, per un importo pari a 3.500 milioni di euro per il 2017 e 5.000 milioni di euro a decorrere dal 2018, rinviando la definizione del riparto del contributo residuo pari a 480 milioni di euro alle successive Intese in Conferenza Stato-regioni da definire entro il 31 gennaio di ogni anno.
Ai fini del raggiungimento di tale contributo – 3.500 per il 2017 e 5.000 milioni di euro dal 2018 – ripartito tra le regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, il Fabbisogno sanitario nazionale standard è rideterminato dall’Intesa del febbraio 2016 in 113.063 milioni per il 2017 e 114.998 milioni di euro per il 2018.
Il comma 11 vincola, a decorrere dal 2017, una quota del livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato, pari a 1.000 milioni di euro, alle seguenti misure: Fondo per il concorso al rimborso alle regioni per l'acquisto dei medicinali innovativi; Fondo per il concorso al rimborso alle regioni per l'acquisto dei medicinali oncologici innovativi; Concorso al rimborso alle regioni per l'acquisto vaccini ricompresi nel Nuovo Piano Nazionale Vaccini (NPNV); Concorso al rimborso alle regioni per gli oneri derivanti dai processi di assunzione e stabilizzazione del personale del Ssn.
L’articolo 59, commi 1-12, revisiona parzialmente la governance farmaceutica.
La percentuale di incidenza della spesa farmaceutica sul Fondo sanitario nazionale rimane fissata al 14,85 per cento, ma cambiano le percentuali delle sue componenti: la farmaceutica territoriale, che assume la denominazione di “tetto della spesa farmaceutica convenzionata”, scende dall’11,35 al 7,96 per cento mentre la farmaceutica ospedaliera ora comprensiva della spesa per i farmaci acquistati in distribuzione diretta e per conto, denominata “tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti”, sale dal 3,5 al 6,89 per cento.
Si prevede l’istituzione di due Fondi, con una dotazione di 500 milioni ciascuno a valere sul Fondo sanitario nazionale, dedicati rispettivamente ai medicinali innovativi e agli oncologici innovativi. La spesa per l'acquisto dei farmaci innovativi e dei farmaci oncologici innovativi concorre al raggiungimento del tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti (spesa farmaceutica ospedaliera) per l'ammontare eccedente annualmente l'importo di ciascuno dei fondi.
È possibile una definizione infine, con determina dell’AIFA entro il 31 marzo 2017, dei criteri per la classificazione dei farmaci innovativi e a innovatività condizionata e dei farmaci oncologici innovativi. Permanenza del requisito di innovatività per un massimo di 36 mesi.
Introducono nuove norme sulla sostituibilità dei farmaci biologici con i loro biosimilari e sull’acquisto dei farmaci biologici a brevetto scaduto, dirette alla razionalizzazione della spesa farmaceutica associata ad una maggiore disponibilità di terapie.
E infine prevede una specifica finalizzazione
per l’acquisto dei vaccini ricompresi nel Nuovo
Piano Nazionale Vaccini.
In considerazione di quanto previsto dall’articolo 21, comma 1, del decreto-legge n. 113/2016 e di quanto convenuto nell'Intesa del 2 luglio 2015, fermi restando gli equilibri di finanza pubblica previsti a legislazione vigente, il comma 1 chiarisce che al governo del settore farmaceutico si applicano i commi da 2 a 11 dell’articolo in esame.
L’articolo 21
del decreto legge 113/2016 “Misure di governo della spesa farmaceutica e di efficientamento dell'azione dell'Agenzia italiana del
farmaco” ha previsto una revisione del sistema di governo della spesa
farmaceutica, da compiersi entro il 31 dicembre 2016, in coerenza con l'Intesa del 2 luglio 2015, sancita in sede di Conferenza Stato-regioni.
Si ricorda che,
dal 2015, in conseguenza del contributo delle regioni alla finanza pubblica,
l’ammontare delle risorse destinate alla sanità è stato rideterminato. Più
precisamente, l’Intesa del 26 febbraio 2015 ha previsto
una riduzione delle risorse destinate al Ssn
pari a 2.352 milioni di euro (2.000 milioni di euro per le regioni a statuto
ordinario; 352 per le autonomie speciali). Il taglio di spese correnti, benché
l’Intesa è riferita al 2015, è poi divenuto di natura permanente. L’Intesa del 2 luglio 2015 ha individuato gli ambiti sui quali operare un efficientamento della spesa sanitaria con conseguente
rideterminazione del livello del finanziamento del Ssn.
Per quanto
riguarda la farmaceutica territoriale ed ospedaliera, l’Intesa del luglio 2015
prevede:
§ l’introduzione dell'elenco dei prezzi di riferimento
relativi al rimborso massimo da parte del Ssn di
medicinali terapeuticamente assimilabili;
§ la riforma della disciplina di definizione del prezzo
dei medicinali biotecnologici dopo la scadenza brevettuale;
§ l’introduzione di disciplina della revisione dei
prezzi di medicinali soggetti a procedure di rimborsabilità condizionata (payment-by-result, risk- cost-sharing, success fee);
§ l’istituzione presso il Ministero della salute di un
Tavolo di lavoro composto da rappresentanti dei Ministeri della salute, dello
sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, delle Regioni e di AIFA
che, tenuto conto dell'andamento della spesa farmaceutica dell'anno 2015,
inclusa quella per i farmaci innovativi, predisponga entro il 30 settembre 2015
una proposta di revisione delle norme relative il governo della spesa
farmaceutica, ivi incluse quelle relative il meccanismo di pay-back. La proposta avrebbe dovuto essere oggetto di apposito
Accordo tra lo Stato e le regioni da approvare entro il 10 ottobre 2015.
Il 5 maggio 2016
la Conferenza delle regioni ha licenziato un Documento sulla governance
farmaceutica di cui al Tavolo per la revisione della disciplina sul governo della
spesa farmaceutica. Al fine di riportare la spesa farmaceutica entro i limiti
di compatibilità con il finanziamento del Fondo sanitario nazionale, le regioni
sottolineano la necessità di ridefinire nuovi tetti di spesa e di adottare
misure strutturali, tali da liberare risorse per far fronte ai nuovi bisogni
assistenziali in campo farmaceutico. Tali misure strutturali possono essere
così riassunte:
§ introduzione della procedura di contrattazione
prezzo/volume (con il prezzo che cala all'aumentare dei pazienti trattati) per
le categorie di farmaci soggette a: ampliamento delle indicazioni di
registrazione (farmaci off-label); a fenomeni di combo therapy (schemi terapeutici che
associano più farmaci ad alto costo, da cui il raddoppio della spesa); al
prolungamento delle terapie per stabilizzazione del paziente;
§ rivisitazione dei registri AIFA con particolare
riferimento alla ridefinizione di "risultato terapeutico" e alla
"fruibilità" da parte delle regioni dei dati clinici ivi contenuti;
§ adozione di criteri scientifici per l'attribuzione e
la revisione del requisito dell'innovatività terapeutica e la ridefinizione dei
prezzi dei farmaci sulla base di tale attribuzione;
§ interventi sulle "liste di trasparenza AIFA"
che limitino la differenza di prezzo a carico del cittadino fra il prodotto
brand e il prezzo di riferimento del farmaco equivalente al fine di ridurre
sensibilmente la spesa a carico del cittadino;
§ intercambiabilità dei farmaci biosimilari
con i corrispondenti originatori;
§ introduzione, nel mercato farmaceutico, di elementi di
concorrenzialità fra le aziende produttrici attraverso la determinazione dei
prezzi con procedure selettiva ad evidenza pubblica nonché attraverso la
individuazione, da parte di AIFA, su tutte le categorie di farmaci,
dell'esistenza dell'equivalenza terapeutica totale, parziale o assenza di
equivalenza in modo tale di poter consentire alle regioni l'espletamento di
gare in equivalenza terapeutica;
§ revisione della delibera CIPE 3/2001 (Individuazione
dei criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci) tesa
all'implementazione dei dossier con studi di costo-efficacia (CEA) e studi di
impatto sul budget (BIA);
§ revisione della normativa relativa ai farmaci
classificati come C(nn) – ovvero farmaci inseriti in
apposita sezione, dedicata ai farmaci non ancora valutati ai fini della
rimborsabilità - e ai farmaci inseriti negli elenchi della legge 648/1996
(farmaci compassionevoli);
§ superamento dell'attuale sistema basato su due tetti
di spesa, ovvero la spesa farmaceutica territoriale costituita dalla spesa
farmaceutica convenzionata e dalla spesa derivante dalla distribuzione diretta
e per conto dei farmaci di fascia "A" e il tetto della spesa
farmaceutica ospedaliera;
§ ridefinizione delle procedure di contabilizzazione del
payback per
garantire la certezza dei rimborsi.
Il comma 2 ridetermina, a decorrere dal 2017, il tetto della spesa farmaceutica ospedaliera - al lordo della spesa per i farmaci di classe A in distribuzione diretta e distribuzione per conto -, nella misura del 6,89 per cento. Conseguentemente il tetto della spesa farmaceutica ospedaliera assume la denominazione di “tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti”. Per gli effetti disposti dal comma 2, il comma 3 ridetermina nella misura del 7,96 per cento il tetto della spesa farmaceutica territoriale che assume la denominazione di “tetto della spesa farmaceutica convenzionata”.
La spesa
farmaceutica, nelle sue componenti territoriale ed ospedaliera, rappresenta
percentualmente il 14,85 per cento delle risorse che lo Stato annualmente
impegna per la sanità.
A legislazione
vigente, la spesa farmaceutica territoriale indica l'insieme della spesa
riferibile ai farmaci rimborsabili di fascia A (i farmaci essenziali e quelli
per le malattie croniche, interamente rimborsati dal SSN, distribuiti
attraverso le farmacie pubbliche e private convenzionate) a cui si aggiunge la
spesa sostenuta dalle regioni per i consumi di medicinali di fascia A erogati
tramite distribuzione diretta (intesa come la distribuzione, per il tramite
delle strutture ospedaliere e dei presidi delle aziende sanitarie locali, di
medicinali agli assistiti per la somministrazione presso il proprio domicilio)
e/o per conto (attraverso le farmacie pubbliche e private convenzionate). Ai
sensi dell'articolo 5 del decreto legge 159/2007, la base di calcolo per la
determinazione della spesa farmaceutica territoriale è costituita dal
finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre ordinariamente lo
Stato, inclusi gli obiettivi di piano e le risorse vincolate di spettanza
regionale, al netto delle somme erogate per il finanziamento di attività non
rendicontate dalle aziende sanitarie. Dal 2008 al 2014, il tetto di spesa per
l'assistenza farmaceutica territoriale è passato dal 14% all'11,35% del
finanziamento complessivo ordinario del SSN.
La spesa
farmaceutica ospedaliera è stata recentemente rimodulata dall'articolo 15,
commi da 4 a 11, del decreto legge 95/2012, che ne ha precisato la definizione e i suoi
componenti. A legislazione vigente, la spesa farmaceutica ospedaliera indica la
spesa riferibile ai medicinali di fascia H (farmaci di esclusivo uso
ospedaliero) acquistati o resi disponibili all'impiego da parte delle strutture
sanitarie direttamente gestite dal SSN, ad eccezione dei medicinali dispensati
in distribuzione diretta. Dal 2008 al 2014, il tetto di spesa per l'assistenza
farmaceutica ospedaliera è passato da 2,4 a 3,5 punti percentuali del
finanziamento complessivo ordinario del SSN.
Pertanto, a
legislazione vigente il tetto della spesa farmaceutica nazionale è fissato al
14,85: l'11,35% della farmaceutica territoriale + il 3,5% della farmaceutica
ospedaliera.
I monitoraggi
della spesa farmaceutica (vedi Aifa, Monitoraggio della spesa farmaceutica territoriale
2013-2015 e Aifa, Monitoraggio della spesa farmaceutica ospedaliera
2013-2015) hanno mostrato
una crescita esponenziale della spesa farmaceutica ospedaliera e una tenuta,
rispetto al tetto dell’11,35%, della farmaceutica territoriale. Tendenze
ampiamente comprensibili per l’impatto che hanno avuto sulla ospedaliera i
costi legati ai farmaci innovativi (e fra questi i farmaci contro l’epatite C)
e ai farmaci oncologici di nuova generazione.
Nella seduta del 26 luglio 2016, la Camera ha approvato una serie di mozioni relative
a: contrattazione del prezzo dei farmaci, soprattutto dei farmaci innovativi
utilizzati nella cura dell'epatite C; regime di rimborsabilità dei farmaci;
governo della spesa farmaceutica, territoriale ed ospedaliera; meccanismo del pay-back.
A decorrere dal 1° gennaio 2017, il comma 4 istituisce, nello stato di previsione del Ministero della salute, un Fondo per il concorso al rimborso alle regioni per l'acquisto dei medicinali innovativi con una dotazione di 500 milioni di euro annui. Il Fondo è finanziato:
§ mediante utilizzo delle risorse di cui all’articolo 58, comma 11, per: 325 milioni di euro per il 2017, 223 milioni di euro per il 2018, 164 milioni di euro a decorrere dal 2019. L’articolo 58, comma 11, vincola 1.000 milioni delle risorse del fabbisogno sanitario nazionale standard (Fondo sanitario nazionale) alla dotazione finanziaria di quattro Fondi, fra i quali anche quello in esame;
§ mediante utilizzo delle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale per: 175 milioni di euro per il 2017; 277 milioni di euro per il 2018; 336 milioni di euro a decorrere dal 2019. Le risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 662/1996, fanno parte delle risorse destinate dallo Stato al finanziamento del Ssn.
Nel tentativo di
fronteggiare la spesa collegata all'innovazione terapeutica, la legge di
stabilità 2015 (legge 190/2014, art. 1, co. 593-598) ha
istituito presso il Ministero della salute, per il biennio 2015-2016, un Fondo per
il rimborso alle regioni per l'acquisto di medicinali innovativi, con uno
stanziamento pari a 500 milioni di euro per ciascuno degli anni di riferimento.
Le risorse per il 2015 erano costituite da:
a) un contributo statale,
pari a 100 milioni di euro derivanti da una riduzione di pari importo del Fondo
per interventi strutturali di politica economica (FISPE); b) 400 milioni di
euro a valere sulle risorse del Fondo sanitario nazionale nella componente
destinata alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario
nazionale (PSN).
Le risorse per il 2016, pari
a 500 milioni di euro, sono tutte a valere sul Fondo sanitario nazionale.
Il decreto 9 ottobre 2015 ha disciplinato le modalità
operative di erogazione delle risorse stanziate del Fondo per l'acquisto di
medicinali innovativi. Il riparto è stato calcolato in proporzione alla spesa
sostenuta dalle regioni medesime per l'acquisto dei medicinali innovativi.
L'allegato A del decreto ha fornito l'elenco dei farmaci innovativi a cui si
riferiscono i rimborsi e la relativa scadenza dei benefici economici collegati
all'attribuzione dell'innovatività. Per il 2016 i farmaci innovativi inclusi al
rimborso tramite il Fondo finalizzato sono cinque medicinali indicati per
l'epatite C cronica e uno per la fibrosi cistica.
Per ulteriori informazioni
si rinvia all’approfondimento Farmaci innovativi
e istituzione di un Fondo dedicato e
Farmaci
innovativi.
A decorrere dall’1 gennaio 2017, il comma 5 istituisce, nello stato di previsione del Ministero della salute, un Fondo per il concorso al rimborso alle regioni per l'acquisto dei medicinali oncologici innovativi con una dotazione di 500 milioni di euro annui mediante utilizzo delle risorse, pari a un miliardo a valere sul finanziamento del Ssn, di cui all’articolo 58, comma 11 (vedi supra)[108].
Il comma 6 prevede che, con determina del direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), da adottarsi entro il 31 marzo 2017, siano stabiliti i criteri per la classificazione dei farmaci innovativi e a innovatività condizionata e dei farmaci oncologici innovativi. La medesima determina dovrà anche definire le modalità per la valutazione degli effetti dei predetti farmaci ai fini della permanenza del requisito di innovatività e le modalità per la eventuale riduzione del prezzo di rimborso a carico del Ssn. Nelle more dell’adozione della determina, e comunque, entro e non oltre il 31 marzo 2017, i farmaci innovativi e i farmaci oncologici innovativi che possono essere acquistati usufruendo delle risorse dei Fondi di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo in esame sono quelli già individuati da AIFA. Come disposto dal successivo comma 8 i farmaci innovativi e a innovatività condizionata e i farmaci oncologici innovativi sono soggetti a monitoraggio dei registri AIFA.
Molti dei farmaci
innovativi, e fra questi soprattutto i farmaci oncologici ed antivirali, sono
utilizzati nelle strutture ospedaliere, e pertanto sono medicinali di fascia H
acquistati, o resi disponibili all'impiego, da parte delle strutture sanitarie
direttamente gestite dal SSN.
La definizione dell'innovazione terapeutica è stata, negli anni, fonte
di continui dibattiti. L’Aifa ha predisposto un modello per graduare l’innovatività
terapeutica di un nuovo farmaco e i criteri di valutazione, che ha determinato tramite
l’applicazione di uno specifico algoritmo che combina i punteggi relativi ai
trattamenti già preesistenti con gli effetti terapeutici. Sulla sezione del sito Aifa dedicata all’innovazione terapeutica sono presenti alcuni esempi di applicazione del modello
e vengono inoltre descritti gli ambiti per l’ammissione condizionata alla rimborsabilità di farmaci con innovatività
terapeutica potenziale.
Si ricorda che la Conferenza
delle regioni e delle province autonome nel Parere sul programma di
attività dell’Agenzia Italiana del Farmaco. anni 2014 e 2015 chiede che “In
considerazione del consistente incremento della spesa conseguente alla
introduzione dei farmaci innovativi si ritiene che le valutazioni che verranno
effettuate da AIFA debbano prevedere il coinvolgimento di rappresentanti
regionali, in particolare per quanto concerne l’adozione dell’Algoritmo della
innovatività”.
Il comma 7 dispone che il requisito di innovatività permanga per un periodo massimo di 36 mesi.
Il comma 9 dispone che le somme dei Fondi per l’acquisto, rispettivamente, dei medicinali innovativi e dei medicinali oncologici innovativi , di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo in esame, sono versate in favore delle regioni in proporzione alla spesa sostenuta dalle regioni medesime per l'acquisto di tali medicinali, secondo le modalità individuate con apposito decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni.
Il comma 10 specifica che la spesa per l'acquisto dei farmaci innovativi e dei farmaci oncologici innovativi concorre al raggiungimento del tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti ( spesa farmaceutica ospedaliera) per l'ammontare eccedente annualmente l'importo di ciascuno dei fondi di cui ai commi 4 e 5 (la dotazione di ciascuno dei fondi è pari a 500 milioni di euro).
Il comma 11 introduce le seguenti novità,
aggiungendo il comma 11-quater all’art. 15 del D.L. n. 95/2012 (L. n. 135/2012):
§ l’esistenza
di un rapporto di biosimilarità tra un farmaco biosimilare
e il suo biologico di riferimento sussiste solo se accertata dalla European Medicine Agency (EMA) – agenzia UE responsabile della valutazione
scientifica dei medicinali sviluppati dalle case farmaceutiche; pertanto, non è consentita la sostituibilità automatica tra biologico
di riferimento e un suo biosimilare né tra biosimilari (v. box);
§ nelle procedure
pubbliche di acquisto non possono essere posti in gara nel medesimo lotto
principi attivi differenti, anche se aventi le stesse indicazioni terapeutiche.
La norma, più in dettaglio, prevede l’applicazione di disposizioni specifiche, finalizzate alla razionalizzazione della spesa per l’acquisto di farmaci biologici a brevetto scaduto e per i quali siano già presenti sul mercato i relativi farmaci biosimilari:
§ l’utilizzo di accordi quadro nelle procedure pubbliche di acquisto; tali accordi
quadro devono coinvolgere tutti gli operatori economici titolari di medicinali
a base del medesimo principio attivo. Per tale motivo, le centrali regionali
d’acquisto sono chiamate a predisporre un lotto
unico per la costituzione del quale si devono considerare:
- lo specifico principio attivo (ATC di V
livello);
ATC
è l'acronimo di "Anatomical Therapeutic
Chemical Classification
System", un sistema di classificazione anatomico terapeutico e chimico
usato per la classificazione sistematica dei farmaci dall'Organizzazione
Mondiale della Sanità. Questo sistema di classificazione è di tipo
alfa-numerico e suddivide i farmaci in base ad uno schema costituito da 5
livelli gerarchici, di cui il V rappresenta il sottogruppo chimico specifico
per ogni singola sostanza chimica.
- stessa via di somministrazione;
- stesso dosaggio.
Viene infine stabilito che la base d’asta
dell’accordo quadro dovrà essere il prezzo
massimo di cessione al SSN del farmaco biologico di riferimento (lett. a));
§ i pazienti devono essere trattati, con uno
dei primi tre farmaci nella graduatoria dell’accordo quadro classificati
secondo il criterio del minor prezzo
o dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, al fine di garantire un’effettiva razionalizzazione della
spesa, associata ad un’ampia disponibilità delle terapie. Il medico è comunque
libero di prescrivere, senza obbligo di motivazione, il farmaco tra quelli
inclusi nella procedura di cui alla lettera a), ritenuto idoneo a garantire la continuità terapeutica ai pazienti (lett. b));
§ in caso di scadenza del brevetto o
del certificato di protezione complementare di un farmaco biologico durante il
periodo di validità del contratto di fornitura, nel rispetto di quanto
prescritto dalle precedenti lettere a) e b), l’ente appaltante, entro 30 giorni
dal momento dell’immissione in commercio di uno o più farmaci biosimilari contenenti il medesimo principio attivo, apre
il confronto concorrenziale tra
questi e il farmaco originatore di riferimento (lett. c));
§ valgono le
procedure previste dal codice degli
appalti per l’ente appaltante, nel momento in cui deve erogare ai centri prescrittori i prodotti aggiudicati (lett. d));
§ viene prevista una salvaguardia per il Servizio sanitario nazionale dagli eventuali oneri economici aggiuntivi, nel caso di
mancato rispetto delle disposizioni in esame, e pertanto gli stessi non
potranno essere posti a carico del SSN, se le procedure sopra descritte non
dovessero essere rispettate (lett. e));
Un farmaco biosimilare (vale a dire simile a un medicinale biologico che contiene molecole già presenti nell’organismo umano - qui il tema di approfondimento) è un prodotto che contiene un principio attivo che, dal punto di vista chimico, non è identico al farmaco biologico da cui deriva (cd. “originator”), ma le cui differenze chimiche non necessariamente ne modificano l’efficacia clinica. Per questo, una maggiore disponibilità di farmaci biosimilari rappresenta un vantaggio per il SSN, in quanto, da una parte, si offre una maggiore possibilità di scelta al medico prescrittore e, dall’altra, si crea un mercato competitivo nel prezzo e, di conseguenza, un allargamento della base di accesso dei pazienti e delle opportunità terapeutiche idonee.
Innanzitutto occorre specificare il parallelismo tra produzione di farmaci biologici e biosimilari, e produzione di farmaci a molecola sintetica e dei loro equivalenti, da cui deriva che non è possibile applicare le stesse regole per farmaci biosimilari e farmaci equivalenti, in particolare con riferimento alla sostituibilità automatica.
Occorre in ogni caso una precisa regolamentazione relativa alla sostituibilità tra i farmaci, vale a dire la possibilità di somministrare o dispensare lo stesso farmaco al posto di un altro prodotto clinicamente simile senza il consenso del medico prescrittore (diverso è invece il caso di un farmaco “intercambiabile” che può essere somministrato o dispensato, ad esempio da parte di un farmacista ospedaliero, al posto di un prodotto simile, esclusivamente, però, previo consenso del medico).
L’EMA, a differenza del Food & Drug Administration negli USA (FDA), lascia ai singoli Stati i criteri di definizione della sostituzione (e indirettamente della intercambiabilità) sia essa automatica o meno. In Italia la prima norma statale che fa riferimento esplicito ai farmaci biosimilari è rappresentata da dal D.Lgs. n. 219/2006 (in attuazione della direttiva 2001/83/CE, codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, e della direttiva 2003/94/CE relativa alle linee direttrici delle buone prassi di fabbricazione relative ai medicinali per uso umano, anche in fase di sperimentazione) , nel quale si sottolinea la necessità di condurre studi pre-clinici e clinici per dimostrare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci biologici e biosimilari al fine di ottenere l’autorizzazione per la loro entrata nei mercati.
Nel position paper di Federsanità ANCI del dicembre 2015, si ricorda che le diverse regioni, negli scorsi anni, hanno emanato direttive a favore dell’indicazione del principio attivo come riferimento anche per le gare di acquisto dei farmaci biologici. Tali iniziative regionali sono state possibili, peraltro, anche per un contesto giuridico favorevole consolidato da due sentenze del Consiglio di Stato del 2009 e del 2011, che consentono, grazie allo stato delle conoscenze, di utilizzare biosimilari e originatori come equivalenti con la cautela, una volta iniziato il trattamento, di proseguire con lo stesso prodotto.
I criteri scientifici e normativi adottati
dalle regioni, messi a confronto nella tabella riportata nel sopra citato position paper
(qui il
link), delineano il quadro attuale che consiste,
sostanzialmente: a) nella non sostituibilità automatica; b) nella garanzia
della continuità terapeutica; c) nel principio di equivalenza terapeutica con
bandi di gara a lotto unico; d) nel fatto che i medici sono tenuti a
prescrivere il lotto vincitore nei casi di pazienti naïve (vale a dire non
curati prima con farmaci biologici) dovendo motivare per iscritto le eccezioni.
Ad oggi si rileva pertanto che tutte le gare effettuate con il sistema del
lotto unico, ossia con un raffronto concorrenziale tra farmaci biologici
originari e farmaci biosimilari, sono state
dichiarate legittime dalla giurisprudenza del TAR e del Consiglio di Stato, per
l’opportunità di un maggiore confronto concorrenziale garantito dalla
partecipazione alle gare anche dei produttori di farmaci biosimilari.
Il comma 12 dispone che a decorrere dal 2017, nell’ambito del finanziamento del Servizio sanitario nazionale sia prevista una specifica finalizzazione per il concorso al rimborso alle regioni per l’acquisto dei vaccini ricompresi nel Nuovo Piano Nazionale Vaccini (NPNV) di cui all’Intesa del 7 settembre 2016 sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA). Le risorse, pari a 100 milioni di euro per il 2017, 127 milioni per il 2018 e 186 milioni a decorrere dal 2019, sono ripartite fra le regioni sulla base dei criteri individuati con Intesa da sancire in Conferenza Stato-regioni entro il 31 gennaio 2017.
L’art. 4 dell’Intesa del 7 settembre 2016 sullo schema di D.P.C.M. di aggiornamento dei Lea impegna le regioni e le province autonome a garantire il raggiungimento delle coperture per le nuove vaccinazioni introdotte dall’allegato 1 al citato schema di decreto di aggiornamento dei LEA, con la gradualità indicata dall’allegato B dell’Intesa stessa. Più nello specifico, il Piano nazionale delle vaccinazioni (PNPV) 2016-2018 prevede che nuove vaccinazioni vengano offerte gratuitamente alla popolazione per fascia d’età e contiene capitoli dedicati agli interventi vaccinali destinati a particolari categorie a rischio (per patologia, per esposizione professionale, per eventi occasionali): meningo B e Rotarivirus (1 ° anno di vita); varicella 1° dose (2° anno di vita); varicella 2° dose (5-6 anni); HPV nei maschi 11enni, IPV meningo tetravalente ACWY135 (adolescenti); Pneumococco e Zoster (anziani).
Si ricorda che la legge di stabilità 2016 (commi da 553 a 564 della legge 208/2016) ha quantificato l’impatto economico-finanziario dell’aggiornamento dei LEA in 800 milioni di euro, nei quali venivano ricompresi i costi legati all’applicazione del nuovo Calendario vaccinale.
L’articolo 59, comma 13, nell’ambito del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, prevede una specifica finalizzazione per gli oneri derivanti dal processo di assunzione e di stabilizzazione del personale del Ssn.
Nel rispetto di quanto previsto dall’art. 1, comma 541, della stabilità 2016 (legge n. 208/2015), a decorrere dal 2017, nell’ambito del finanziamento del Servizio sanitario nazionale (Ssn) è prevista una specifica finalizzazione per il concorso al rimborso alle regioni per gli oneri derivanti dal processo di assunzione e di stabilizzazione del personale del Ssn da espletare ai sensi delle disposizioni del primo e secondo periodo dell’art. 1, comma 543, della legge di stabilità 2016. Le risorse, pari a 75 milioni di euro per il 2017 e a 150 milioni di euro a decorrere dal 2018, sono ripartite a favore delle regioni sulla base dei criteri individuati con Intesa in sede di Conferenza Stato-regioni.
L’art. 1 comma 541 della stabilità 2016 (legge
208/2016) dispone che, entro il 29 febbraio 2016, le regioni e le province
autonome, ove non abbiano ancora adempiuto, adottino il Decreto 70/2015 sugli
standard dell'assistenza ospedaliera relativamente alla programmata riduzione della
dotazione dei posti letto ospedalieri, accreditati ed effettivamente a carico
del Servizio sanitario regionale, nonché i relativi provvedimenti attuativi, e
che, entro il medesimo termine del 29 febbraio 2016, definiscano un piano
concernente il fabbisogno di personale, contenente l’esposizione delle modalità
organizzative del personale, tale da garantire il rispetto delle norme vigenti
(che hanno recepito quelle dell’UE) in materia di articolazione dell’orario di
lavoro, attraverso una più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili. I primi due periodi del successivo comma 543 stabiliscono che gli enti e le aziende del Ssn indichino, entro il 31 dicembre 2016, e concludano,
entro il 31 dicembre 2017, procedure concorsuali straordinarie - in deroga ai
vigenti limiti per le procedure concorsuali riservate per l'assunzione di
personale precario del comparto sanità - per l’assunzione di personale medico,
tecnico professionale e infermieristico, necessario a far fronte alle eventuali
esigenze assunzionali emerse in relazione alle
valutazioni operate nel piano di fabbisogno del personale. I bandi di concorso
in esame possono prevedere una quota di riserva, non superiore al 50 per cento
dei posti disponibili, in favore del personale medico, tecnico-professionale ed
infermieristico, in servizio al 1° gennaio 2016, che abbia maturato alla data
di pubblicazione del bando almeno tre anni di servizio, anche non continuativi,
negli ultimi cinque anni, con contratti a tempo determinato, con contratti di
collaborazione coordinata e continuativa o con altre forme di rapporto di
lavoro flessibile con i medesimi enti.
Articolo 60,
commi 1-7
(Misure
di efficientamento
della spesa per acquisti)
L’articolo 60, commi 1-7, prevede il perfezionamento delle misure di efficientamento della spesa per acquisti nella pubblica amministrazione tramite:
§ individuazione di nuovi strumenti di acquisto centralizzato sulla base di uno studio svolto dal MEF, tramite Consip;
§ sperimentazione su due ministeri e due categorie merceologiche in cui il MEF procede come acquirente unico;
§ estensione del Programma di razionalizzazione degli acquisti per i beni e servizi di particolare rilevanza strategica.
I commi 1 e 2 prevedono un’analisi volta ad individuare nuovi strumenti di acquisto centralizzato di beni e correlati servizi da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, tramite Consip, nell’ambito del Programma di razionalizzazione degli acquisti.
La norma cita esplicitamente modelli organizzativi che prevedano l’acquisizione di beni durevoli e la concessione dell’utilizzo degli stessi da parte delle amministrazioni o dei soggetti pubblici interessati.
Tale analisi non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
La relazione illustrativa evidenzia come la disposizione dia seguito alle linee d’azione tracciate nel Def, che individua nel rafforzamento dell’acquisizione centralizzata un tassello fondamentale per sostenere la revisione della spesa tramite il recupero dell’efficienza nei processi e nei costi d’acquisto (inclusi gli oneri amministrativi connessi all’espletamento delle procedure di approvvigionamento) e una maggiore tracciabilità, trasparenza e semplificazione dell’azione amministrativa.
I commi da 3 a 6 riguardano l’avvio di una sperimentazione finalizzata al miglioramento dell’efficienza dell’acquisizione centralizzata, in cui il MEF procede come acquirente unico, limitatamente a due merceologie (energia elettrica e servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto) e due amministrazioni centrali (lo stesso MEF e il Ministero dell’Interno, oltre alle loro rispettive articolazioni territoriali).
Le modalità di attuazione, i tempi e le strutture ministeriali coinvolte nella sperimentazioni saranno definite con decreto del Ministro dell’economia, mentre con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia, sentiti i Ministri interessati, potranno essere individuate altre amministrazioni e categorie merceologiche a cui applicare la sperimentazione. La sperimentazione non dovrà comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il comma 7 rinforza il procedimento di acquisizione centralizzata per i beni e servizi informatici (ICT), in particolare quelli la cui acquisizione riveste particolare rilevanza strategica.
La norma interviene sulle disposizioni in materia contenute nella legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208/2015):
a) precisando, al comma 512, che le P.A. interessate provvedono ai propri approvvigionamenti esclusivamente tramite gli strumenti di acquisto e di negoziazione di Consip S.p.A. o dei soggetti aggregatori;
b) inserendo il comma 514-bis, che estende il ricorso a Consip per i beni e servizi ICT la cui acquisizione riveste particolare rilevanza strategica secondo quanto indicato nel Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione. Per tali beni, le amministrazioni statali, centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali di previdenza ed assistenza sociale pubblici e le agenzie fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 ricorrono a Consip S.p.A., nell’ambito del Programma di razionalizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione del Ministero dell’economia e delle Finanze. A tal fine Consip S.p.A., può anche supportare tali amministrazioni nell’individuazione di specifici interventi di semplificazione, innovazione e riduzione dei costi dei processi amministrativi. Per queste attività è previsto un incremento delle dotazioni che finanziano il Programma di razionalizzazione degli acquisti del Ministero dell’economia e delle finanze di 3 milioni di euro per l’anno 2017 e di 7 milioni di euro a decorrere dal 2018.
Si ricorda che il Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione deve essere redatto da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale (Agid), ed approvato dal Presidente del consiglio dei ministri o dal Ministro delegato, come previsto all’art.1, comma 513, della legge di stabilità per il 2016. Il Piano Triennale contiene, per ciascuna amministrazione o categoria di amministrazioni, l’elenco dei beni e servizi informatici e di connettività e dei relativi costi, suddivisi in spese da sostenere per innovazione e spese per la gestione corrente, individuando altresì i beni e servizi la cui acquisizione riveste particolare rilevanza strategica. Nelle more della definizione del Piano, che entrerà a regime dal 2017, è stata emanata una circolare sulle modalità transitorie di acquisizione di beni e servizi ICT.
c) integrando il comma 515 in modo da escludere le acquisizioni di particolare rilevanza strategica dagli obiettivi di risparmi annuali di spesa del triennio 2016-2018 previsti dalla stessa legge di stabilità per il 2016.
La legge di stabilità 2016 all’art.1, commi 512-517, prevede un obiettivo di risparmio della spesa annuale della pubblica amministrazione, da raggiungere alla fine del triennio 2016-2018, pari al 50 per cento della spesa annuale media per la gestione corrente del solo settore informatico, relativa al triennio 2013-2015.
Articolo 60, commi 8-11
(Acquisizioni di beni e servizi in forma
centralizzata,
gestione dei magazzini e logistica distributiva)
L’articolo 60, commi da 8 a 10, riguarda la disciplina sull'obbligo, a carico delle pubbliche amministrazioni, di procedere ad acquisizioni di beni e di servizi in forma centralizzata. Le novelle concernono casi in cui non sia possibile il ricorso a tale forma e la costituzione di un Comitato guida, ai fini dell'indicazione di linee guida in materia. Il comma 11 prevede la conclusione di un accordo, in sede di Conferenza permanente tra lo Stato, le regioni e le province autonome, relativo a linee di indirizzo e standard per la gestione dei magazzini e la logistica distributiva.
La novella di cui al comma 9 integra la disciplina sull'obbligo di ricorrere a Consip S.p.A. o ad altri soggetti aggregatori (iscritti[109] nell'apposito elenco[110]) per le acquisizioni di beni e servizi, posto a carico delle amministrazioni statali centrali e periferiche (ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie) nonché delle regioni, degli altri enti territoriali e locali[111] e degli enti del Servizio sanitario nazionale.
Si ricorda che l'obbligo sussiste per le categorie di beni e servizi e per i casi di superamento delle soglie stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali, sentita l'Autorità nazionale anticorruzione, entro il 31 dicembre di ogni anno.
In base alla novella di cui al comma 9, le amministrazioni pubbliche sottoposte al suddetto obbligo possono procedere, in caso di motivata urgenza, qualora non siano disponibili i relativi contratti di Consip S.p.A. o degli altri soggetti aggregatori, allo svolgimento di autonome procedure di acquisto, dirette alla stipulazione di contratti aventi durata e misura strettamente necessaria. L’Autorità nazionale anticorruzione rilascia il codice identificativo per la gara (consentita ai sensi della novella in commento)[112].
La novella di cui al comma 8 istituisce - nell'ambito del Tavolo tecnico dei soggetti aggregatori[113] - un Comitato guida, costituito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, emanato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali. Il Comitato, oltre ai cómpiti previsti dal medesimo decreto, fornisce, attraverso linee guida, indicazioni utili per lo sviluppo delle migliori pratiche, con riferimento alle procedure inerenti ai contratti centralizzati in oggetto, ivi inclusa la determinazione delle fasce di valori da porre a base d’asta. La Consip S.p.A. e gli altri soggetti aggregatori trasmettono al Comitato, nel caso di non allineamento alle linee guida suddette, una preventiva comunicazione motivata, sulla quale il Comitato può esprimere proprie osservazioni.
Il comma 10 prevede che nella definizione, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, dei criteri di riparto del "Fondo per l'aggregazione degli acquisti di beni e di servizi destinato al finanziamento delle attività svolte dai soggetti aggregatori" si tenga conto anche dell’allineamento, da parte dei medesimi, alle indicazioni fornite dal Comitato guida.
Il comma
11 demanda ad un accordo, da sancirsi in sede di Conferenza permanente tra
lo Stato, le regioni e le province autonome entro il 28 febbraio 2017, la
definizione delle attività da porre in essere per pervenire all'individuazione
di linee di indirizzo per l’efficientamento e di
standard, con riferimento ai magazzini e alla logistica distributiva. Sembrerebbe opportuno chiarire l'àmbito
delle pubbliche amministrazioni a cui faccia
riferimento il presente comma 11,
anche al fine di valutare se la sede della Conferenza unificata
Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali possa essere più
appropriata rispetto alla Conferenza suddetta.
Articolo 61, comma 1
(Misure
di efficientamento della spesa dei Ministeri)
L’articolo 61, comma 1 definisce le modalità attraverso le quali la Presidenza del Consiglio e i Ministeri concorrono alla manovra di finanza pubblica per il triennio 2017-2019, prevedendo la possibilità che le riduzioni di spesa disposte con il disegno di legge di bilancio possano essere rimodulate nell’ambito di ciascun Ministero, fermi restando i risparmi di spesa da realizzare in termini di indebitamento netto della P.A..
La rimodulazione viene attuata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
Con il disegno di legge in esame si prevede che le Amministrazioni centrali dello Stato e la Presidenza del Consiglio dei Ministri contribuiscano alla manovra di finanza pubblica per il triennio 2017-2019 attraverso misure disposte - in gran parte nella seconda sezione - con il disegno di legge medesimo.
L’entità dei risparmi, in termini di riduzioni della spesa ovvero aumenti di entrata, è definita nella relazione tecnica, per un ammontare complessivo, in termini di indebitamento netto, pari a 728,4 milioni nel 2017, 708,9 milioni nel 2018 e 713,2 milioni nel 2019. A decorrere dal 2020 l’entità dei risparmi previsti per il 2019 è da considerarsi permanente.
Considerata l’entità delle misure di contenimento della spesa apportate con il disegno di legge di bilancio in esame, al fine di assicurare la necessaria flessibilità gestionale nel corso dell’esercizio 2017, il comma 1 dell’articolo 61 prevede la possibilità di rimodulare le riduzioni di spesa apportate a titolo di concorso dei Ministeri agli obiettivi di finanza pubblica, nell’ambito dei propri stati di previsione della spesa e fermi restando i risparmi da conseguire.
In relazione alla quantificazione della spending review, la relazione tecnica riporta nel dettaglio il contributo al miglioramento dei saldi da parte di ciascun Ministero e della Presidenza del Consiglio, sia in termini di saldo netto da finanziarie che di indebitamento netto, in una tabella riepilogativa, di seguito riportata con alcuni elementi integrativi della stessa. Tale contributo è stato realizzato attraverso misure di risparmio di spesa o di aumento di entrata che derivano sia dalle disposizioni della Sezione I che dai definanziamenti di spesa previsti nella Sezione II.
Si ricorda che con la riforma della legge di contabilità sono state apportate rilevanti innovazioni alle disposizioni che disciplinano la formazione e la variazione delle dotazioni finanziarie dei programmi di spesa del bilancio di previsione. Innanzitutto, gli obiettivi di spesa di ciascun Dicastero, riferiti al triennio, vengono ora definiti con apposito D.P.C.M., previa deliberazione del Consiglio dei ministri, entro il 31 maggio di ciascun anno, ai sensi del nuovo articolo 22-bis, comma 1 (introdotto nella legge di contabilità dall'articolo 4 del D.Lgs. n. 90/2016).
I Ministri, in sede di formulazione degli schemi degli stati di previsione della seconda sezione, indicano le risorse necessarie per il raggiungimento degli obiettivi triennali, anche mediante proposte di rimodulazione delle stesse risorse, e formulano le proprie proposte di modifica della legislazione vigente utili per il conseguimento dell’obiettivo di risparmio definito per ciascuna Amministrazione.
Nella relazione tecnica si evidenzia che, nelle more della prima attuazione di tale innovazione, il MEF ha condiviso l’obiettivo di risparmio e i criteri di valutazione delle proposte formulate da ciascuna Amministrazione attraverso apposite interlocuzioni a livello di vertice politico.
Come emerge dai conteggi riepilogativi elaborati nelle ultime righe della tabella, la quasi totalità degli effetti migliorativi deriva dalla Sezione II del disegno di legge di bilancio, ovvero da definanziamenti di leggi di spesa operati sui singoli stati di previsione, come emerge dagli allegati conoscitivi ex articolo 23, comma 3, lettera b) della legge di contabilità.
I risparmi derivanti dalla Sezione I del disegno di legge di bilancio, riguardano il Ministero degli affari esteri, e sono riconducibili alle disposizioni di cui ai commi da 2 a 4 dell’articolo 61 in esame, e il Ministero delle politiche agricole, derivanti dalle misure di cui al comma 5 del medesimo articolo 61, cui si rinvia.
La quota di risparmi di spesa che concerne la spesa corrente risulta crescente nel triennio, passando dall’82 per cento nel 2017 al 92 per cento del biennio successivo.
Tabella 4 - Ammontare dei risparmi conseguiti per ciascun Ministero
(Milioni di euro)
Effetti migliorativi per i Ministeri |
Saldo netto da finanziare |
Indebitamento netto |
||||||
|
e/s |
sezione |
2017 |
2018 |
2019 |
2017 |
2018 |
2019 |
Presidenza del Consiglio Ministri |
s |
II |
8 |
10,4 |
10 |
8 |
10,4 |
10 |
Economia e finanze |
|
|
490,2 |
475,6 |
477,5 |
488,6 |
477,3 |
480,9 |
di cui |
e |
II |
|
|
|
-0,1 |
-0,1 |
-0,1 |
|
s |
II |
490,2 |
475,6 |
477,5 |
488,7 |
477,4 |
481 |
Sviluppo economico |
s |
II |
40 |
40 |
40 |
40 |
40 |
40 |
Lavoro |
s |
II |
4 |
5 |
5 |
4 |
5 |
5 |
Giustizia |
s |
II |
15,1 |
13,9 |
1,8 |
12,6 |
13,3 |
4,8 |
Esteri |
|
|
35,5 |
29,5 |
35,5 |
35,5 |
29,5 |
35,5 |
di cui |
e |
I |
20 |
20 |
26 |
4 |
4 |
10 |
|
s |
I |
|
|
|
16 |
16 |
16 |
|
s |
II |
15,5 |
9,5 |
9,5 |
15,5 |
9,5 |
9,5 |
Istruzione |
s |
II |
11,9 |
2,9 |
2,6 |
11,9 |
2,9 |
2,6 |
Interno |
|
|
27,4 |
26 |
24,4 |
24 |
22,8 |
24,4 |
di cui |
e |
II |
|
|
|
-3,4 |
-3,2 |
0 |
|
s |
II |
27,4 |
26 |
24,4 |
27,4 |
26 |
24,4 |
Ambiente |
s |
II |
4 |
5 |
5 |
4 |
5 |
5 |
Trasporti |
s |
II |
10,2 |
10,8 |
15,5 |
8,2 |
11,3 |
17 |
Difesa |
s |
II |
74,9 |
74,8 |
71,4 |
74,9 |
74,8 |
71,4 |
Politiche agricole |
|
|
5,2 |
5,2 |
5,2 |
5,2 |
5,2 |
5,2 |
di cui |
e |
I |
|
|
|
0,9 |
0,9 |
0,9 |
|
s |
I |
0,9 |
0,9 |
0,9 |
|
|
|
|
s |
II |
4,3 |
4,3 |
4,3 |
4,3 |
4,3 |
4,3 |
Beni culturali e turismo |
s |
II |
5,5 |
5,3 |
5,5 |
5,5 |
5,3 |
5,5 |
Salute |
s |
II |
6 |
6 |
6 |
6 |
6 |
6 |
Totale
complessivo |
|
|
737,9 |
710,4 |
705,3 |
728,4 |
708,9 |
713,2 |
di cui |
|
|
|
|
|
|
|
|
Da maggiori entrate |
|
|
20 |
20 |
26 |
1,4 |
1,6 |
10,8 |
Da minori spese |
|
|
717,9 |
690,4 |
679,3 |
727 |
707,2 |
702.4 |
Spesa corrente |
|
|
591,2 |
630 |
623,4 |
590,3 |
929,1 |
622,5 |
Spesa in conto capitale |
|
|
126,7 |
60,4 |
55,9 |
136,7 |
78,2 |
79,9 |
Da Sezione I |
|
|
20,9 |
20,9 |
26,9 |
20,9 |
20,9 |
26,9 |
Da Sezione II |
|
|
717 |
689,5 |
678,5 |
707,5 |
687,9 |
686,4 |
e= entrata; s= spesa.
Gli importi negativi delle entrate del MEF e del
Ministero dell’interno sono correlati a riduzioni di spesa relative a capitoli
di bilancio che hanno natura di redditi da lavoro dipendente e ai quali sono
associati effetti fiscali e contributivi.
L’articolo 61, comma 2 consente una maggiore entrata di 16 milioni per ciascun anno del triennio 2017-2019 derivante dalla vendita di immobili all’estero.
La norma in commento modifica il comma 624 dell’articolo 1 della legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208/2015), nei termini seguenti:
§ la lettera a) dispone l’incremento di somme che rimangono acquisite all’entrata del bilancio dello Stato portandole all’ammontare di 26 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018 ed estendendone l’acquisizione anche al 2019, nella misura di 16 milioni; l’incremento è pertanto pari a 16 milioni per ciascuna delle annualità del triennio.
Il comma 624
della legge di stabilità 2016 dispone che le maggiori entrate realizzate nel
triennio 2016-2018 da dismissioni immobiliari operate dal MAECI, in attuazione
dei commi 1311 e 1312 dell’art. 1 della legge finanziaria per il 2007,
rimangono acquisite all’entrata del bilancio dello Stato nella misura di 20
milioni di euro per il 2016 e di 10 milioni per ciascun anno 2017 e 2018. A
seguito della disapplicazione ad esse delle disposizioni del successivo comma
1314 tali somme non possono essere impiegate per rifinanziare la legge n.
477/1998 finalizzata a ristrutturazione e restauro degli immobili del demanio
italiano all’estero.
Si ricorda che il comma 1311 dell’art. 1 della
legge finanziaria 2007 prevede che il MAECI si avvale dell’Agenzia del demanio
per l’elaborazione di un piano di razionalizzazione del patrimonio immobiliare
dello Stato ubicato all’estero. Il comma 1312 prevede che il Ministro
degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sulla base di tale
piano, individua con proprio decreto gli immobili da dismettere, anche per il
tramite dell’Agenzia del demanio.
Il comma 1314 - del quale il comma 624 prevede
la non applicazione limitatamente alle entrate di 20 milioni per il 2016 e 10
milioni per il 2017 e il 2018 - stabilisce che, compatibilmente con gli
obiettivi di bilancio presentati in sede europea, il Ministro dell’economia e
delle finanze, con proprio decreto, possa destinare una quota non minore del 30
per cento dei proventi delle operazioni di dismissione previste dal precedente
comma 1312 al rifinanziamento della legge n. 477 del 1998, finalizzata alla
ristrutturazione, restauro e manutenzione straordinaria degli immobili del
demanio italiano ubicati all’estero.
§ la lettera b) novella il testo del comma 624 aggiungendovi la previsione che, nelle more del versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme individuate dalla lettera a), il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad accantonare e rendere indisponibile nello stato di previsione del MAECI la somma di 26 milioni di euro per ciascuna annualità 2017 e 2018, nonché la somma di 16 milioni per il 2019, al netto di quanto effettivamente versato in ciascuna annualità del triennio.
L’accantonamento è posto a valere sul
finanziamento annuale all’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo,
iscritto in appositi capitoli dello stato di previsione del MAECI, previsto
dall’art. 18, comma 2, lett. c) della legge n. 125/2014 (Disciplina generale sulla cooperazione
internazionale per lo sviluppo).
Lo stanziamento annuale
rappresenta uno dei cinque canali di finanziamento dell’Agenzia italiana per
la cooperazione allo sviluppo, istituita dalla legge n. 125/2014. Gli altri
canali sono costituiti dalle risorse finanziarie trasferite da altre
amministrazioni, dagli introiti derivanti da convenzioni con soggetti pubblici
o privati, da donazioni, lasciti e liberalità e dal 20 per cento della quota di
diretta gestione statale dell’otto per mille (art. 47, comma 2 della legge n.
222/1985).
L’articolo 61, comma 3, rende permanente, a decorrere da quest’esercizio finanziario, l’acquisizione all’entrata del bilancio dello Stato degli introiti, pari a 6 milioni annui, derivanti dall’aumento della tariffa dei diritti consolari, mentre il comma 4 dispone che rimangano parimenti acquisiti all’entrata del bilancio dello Stato i maggiori introiti, rispetto all’esercizio finanziario 2014, pari a 4 milioni di euro, derivanti da tale aumento.
Il comma 3 novella il comma 623 dell’articolo 1 della legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208/2015) e rende permanente a decorrere dall’anno 2016, l’acquisizione all’entrata del bilancio dello Stato della somma annua di 6 milioni, derivante dall’incremento della tariffa dei diritti consolari disposta dal precedente comma 621.
Il vigente comma 623 dell’articolo 1 della legge di stabilità per il 2016 limita al solo triennio 2016-2018 l’acquisizione all’entrata in oggetto. Il comma, inoltre, dispone la non applicazione delle disposizioni del comma 568 dell’articolo 1 e del comma 58 dell’articolo 2, rispettivamente della legge finanziaria per il 2007 e della legge finanziaria per il 2008.
Il comma 568 ha previsto la parziale destinazione, nel limite di 10 milioni di euro annui, delle maggiori entrate provenienti dalla tariffa consolare al funzionamento e alla razionalizzazione delle sedi all’estero del Ministero.
Il comma 58, riferendosi al comma 568, ha previsto un maggior limite di 40 milioni di euro per le medesime entrate, da porre a disposizione degli uffici all’estero, previa confluenza nel fondo a suo tempo previsto dal comma 39 dell’articolo 3 della legge finanziaria 2004 all’interno dello stato di previsione del Ministero degli affari esteri, da ripartire per eventuali maggiori esigenze per consumi intermedi.
Il comma
4 dispone invece che rimangano acquisiti all’entrata del bilancio dello
Stato i maggiori introiti rispetto all’esercizio finanziario 2014, accertati e
riscossi dalla rete consolare, pari a 4
milioni a decorrere dal 2017, derivanti dall’aumento delle tariffe consolari.
Tali tariffe sono riportate nella tabella allegata al decreto legislativo n. 71/2011, a suo tempo modificata dall’articolo 41-bis comma 1 del DL n. 83/2012.
Il comma 4, inoltre, disapplica, analogamente a
quanto previsto dal precedente comma 3, i già richiamati commi 568 della legge finanziaria per il 2007 e 58 della
legge finanziaria per il 2008, disponendo, altresì, la non applicazione del
comma 2 del citato articolo 41-bis,
il quale riassegna al MAECI - con esclusione dei diritti per il rilascio del
passaporto elettronico - le maggiori entrate derivanti dall’incremento della
tariffa consolare disposto dal comma 1.
Analogamente
a quanto previsto nella lettera b)
del comma 2 dell’articolo 61 in commento, nelle more del versamento all’entrata
del bilancio dello Stato della somma di 4 milioni, il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad
accantonare e rendere indisponibile, a decorrere dal 2017, nello stato di
previsione del MAECI, una somma equivalente, al netto di quanto versato in
ciascun anno dal 2017, a valere sul già ricordato finanziamento annuale
all’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.
L’articolo 61, comma 5, prevede la riduzione dal 2017 dello sgravio contributivo per le imprese armatrici con riferimento al personale componente gli equipaggi.
Il comma 5 prevede una riduzione dello sgravio contributivo totale previsto per le imprese armatoriali e per il loro personale dipendente imbarcato (di cui all’articolo 6 del D.L. n. 457/1997), che, a decorrere dal 2017, viene corrisposto nel limite del 48,7%.
L’articolo 6 del D.L. 457/1997 ha stabilito (al comma 1) la concessione, alle imprese armatoriali, per le navi iscritte al Registro internazionale, di un esonero totale dagli oneri contributivi (sia gli oneri previdenziali ed assistenziali direttamente a carico dell'impresa, sia la parte che le stesse imprese versano per conto del lavoratore dipendente) per il personale italiano o comunitario imbarcato a decorrere dal 1° gennaio 1998. L’esonero opera anche nei confronti del richiamato personale. Allo stesso tempo, è stata disposta la concessione (sotto determinate condizioni), alle stesse imprese, di un contributo pari all'importo complessivo delle ritenute a titolo di acconto operate nel 1997 nei confronti della gente di mare, nel rispetto di specifici limiti (comma 2).
Dal momento che lo sgravio in esame è disciplinato dal solo comma 1 del richiamato articolo 6 del D.L. n. 457/1997, si valuti l’opportunità di riferire espressamente la disposizione unicamente a tale comma.
Articolo 62
(Esecuzione forzata in caso di contenzioso seriale
e disposizioni in materia di videoconferenza - STRALCIATO)
L’articolo 62 è stato stralciato, ai sensi dell’articolo 120, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, in quanto recante disposizioni estranee all’oggetto del disegno di legge di bilancio.
Articolo 63
(Fondi a favore degli enti territoriali)
L’articolo 63 prevede l’istituzione di due fondi, nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze, destinati al finanziamento di interventi a favore degli enti territoriali.
In particolare, il comma 1 prevede l’istituzione nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze del fondo denominato “Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi a favore degli Enti territoriali solo in termini di saldo netto da finanziare”.
Il Fondo è alimentato con le risorse iscritte in conto residui che risultino non erogate alla data di entrata in vigore della legge di bilancio in esame, autorizzate per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione e non utilizzate dalle regioni a tal fine, e con le somme disponibili sulla contabilità speciale istituita dall’articolo 45, comma 2, del D.L. n. 66/2014, per le operazioni di ristrutturazione del debito delle regioni, non utilizzate dalle regioni alla data del 31 dicembre 2016.
Nel complesso, secondo quanto indicato nella Relazione tecnica, dovrebbe trattarsi di circa 1.992,4 milioni di euro, di cui:
a) 623,7 milioni dalle somme in conto residui non utilizzate dalla regione Campania per la copertura del piano di rientro dal disavanzo nel settore del trasporto pubblico locale, ai sensi del comma 13 dell’articolo 11 del D.L. n. 76/2013, a valere sull’importo già attribuito alla regione medesima come anticipazione per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione (1.452,6 milioni di euro);
b) 207,6 milioni dalle risorse in conto residui autorizzate per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, ai sensi dell’articolo 2 del D.L. n. 35/2013 e dell’articolo 8 del D.L. n. 78/2015, e non utilizzate dalle regioni a tal fine;
c) 491,1 milioni dalle risorse in conto residui, autorizzate per il pagamento dei debiti del Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi dell’articolo 3 del D.L. n. 35/2013 e relativi rifinanziamenti, e non utilizzate a tal fine dalle regioni;
d) 670 milioni dalle somme disponibili sulla contabilità speciale istituita dall’articolo 45, comma 2, del D.L. n. 66/2014 per le operazioni di ristrutturazione del debito delle regioni, non utilizzate alla data del 31 dicembre 2016.
L’articolo 45 citato, si ricorda, disciplina la
ristrutturazione di parte del debito delle regioni, con una conseguente
riduzione dell’onere annuale destinato al pagamento dello stesso, con
riferimento a due tipologie di operazioni di indebitamento: a) mutui contratti con il Ministero dell’economia
e delle finanze, direttamente o per il tramite della Cassa Depositi e Prestiti
S.p.A., con
vita residua pari o superiore a 5 anni e importo del debito residuo da
ammortizzare superiore a 20 milioni di euro; in questi casi la scadenza
viene allungata fino a trent'anni da ammortizzare con rate costanti ad
interessi pari a quelli dei BTP con durata finanziaria più vicina al nuovo
mutuo; b) titoli
obbligazionari regionali con vita residua pari o superiore a 5 anni e valore
nominale dei titoli pari o superiore a 250 milioni di euro; in questi casi la
regione finanzia il riacquisto dei titoli utilizzando il ricavato di un mutuo
concesso dal MEF e con contestuale cancellazione dei derivati insistenti su di
essi. In questo modo, il debito delle regioni verso il mercato verrebbe
sostituito con un debito delle stesse verso il Tesoro.
L’articolo 1, comma 700, della legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014) ha inoltre autorizzato, per le operazioni suddette, l’apertura di una apposita contabilità speciale presso il Ministero dell’economia e delle finanze.
Le suddette risorse sono versate all’entrata del bilancio dello Stato nell’anno 2017 per essere riassegnate al Fondo.
Tale Fondo, come dice la sua denominazione, è costituito solo in termini di saldo netto da finanziare, determinando pertanto oneri solo su tale saldo. Per la compensazione degli effetti in termini di indebitamento netto, il comma prevede che ciascun ente territoriale che beneficia del fondo è tenuto, ai sensi dell’articolo 9, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, a conseguire un valore positivo del saldo di pareggio, di cui al comma 4 dell’articolo 65, in misura pari alla quota del fondo assegnata all’ente stesso (comma 2).
Il comma 5 dell’articolo 9 L. n. 243/2012 prevede che con legge dello Stato, sulla base di criteri analoghi a quelli previsti per le amministrazioni statali e tenendo conto di parametri di virtuosità, si possono prevedere, oltre al rispetto dell’equilibrio di bilancio, ulteriori obblighi – quali quello stabilito con l’articolo 63 in esame - a carico degli enti territoriali ai fini del concorso degli stessi al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.
Il comma 3 dispone la costituzione di un ulteriore fondo nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze, denominato “Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi a favore degli Enti territoriali”, con una dotazione di 969,6 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2026, di 93, milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2027 al 2046 e di 925 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2047.
L’individuazione dei beneficiari, nonché le finalità, i criteri e le modalità di riparto di entrambi i fondi sono rimessi a decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro il 31 gennaio 2017 previa intesa in Conferenza Unificata (comma 4).
Il comma 5 dispone l’entrata in vigore delle disposizioni dell’articolo in esame il giorno stesso della pubblicazione in Gazzetta ufficiale della legge di bilancio.
Articolo 64, comma 1
(Modalità di determinazione delle
riduzioni finanziarie da applicare ai comuni)
L’articolo 64, comma 1, modifica la disciplina vigente riguardante la determinazione
delle riduzioni del Fondo sperimentale di riequilibrio, del fondo perequativo,
nonché dei trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e
della Regione Sardegna, prevedendo che il decreto del Ministro dell’interno con
cui è disposta tale determinazione sia adottato d’intesa con la Conferenza
Stato-città ed autonomie locali (fatto salvo il caso di inerzia di quest’ultima).
Il comma
1 modifica l’articolo
16, comma 6, quarto periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, stabilendo
che le riduzioni del fondo sperimentale di riequilibrio (come determinato ai
sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23), del fondo
perequativo (come determinato ai sensi dell'articolo 13 del medesimo decreto
legislativo n. 23 del 2011), nonché dei trasferimenti erariali dovuti ai comuni
della Regione Siciliana e della Regione Sardegna a decorrere dall'anno 2013 siano determinate con decreto del Ministero dell'interno, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed
autonomie locali. Qualora quest’ultima intesa non sia sancita entro 45
giorni dalla data di prima iscrizione all’ordine del giorno della
Conferenza Stato-città ed autonomie locali della proposta di riparto delle richiamate
riduzioni, il decreto ministeriale può comunque essere adottato,
ripartendo le riduzioni in proporzione
alla media delle spese sostenute per consumi intermedi nel triennio 2010-2012, come
desunte dal SIOPE, fermo restando che la riduzione per abitante di ciascun ente
non può assumere valore superiore al 250 per cento della media costituita dal
rapporto fra riduzioni calcolate sulla base dei dati SIOPE 2010-2012 e la
popolazione residente di tutti i comuni, relativamente a ciascuna classe
demografica di cui all'articolo 156 del testo unico degli enti locali (di cui
al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267).
Rispetto alla disposizione vigente, che demanda ad un decreto di natura non
regolamentare del Ministro dell’interno le riduzioni dei richiamati fondi
statali, il comma 1:
§ espunge il riferimento alla natura non regolamentare del decreto del Ministro dell’interno (in proposito si segnala che, probabilmente per un difetto di coordinamento con la disposizione, nella relazione illustrativa al disegno di legge di bilancio permane il riferimento alla natura “non regolamentare” del decreto ministeriale) ;
§ demanda ad intesa in Conferenza Stato-città ed autonomie locali la determinazione delle riduzioni, prima rimesse unilateralmente al decreto del Ministro dell’interno;
§ il Ministro dell’interno può prescindere dall’intesa solo in caso di inerzia della Conferenza Stato-città ed autonomie locali (ovvero qualora non si pervenga ad un’intesa entro 45 giorni dalla data di iscrizione all’ordine del giorno della medesima Conferenza della proposta di riparto).
Le
modifiche che il comma 1 intende introdurre al procedimento per la
determinazione delle anzidette riduzioni risulta
in linea con quanto statuito dalla Corte costituzionale. Come si legge
nella reazione illustrativa, la disposizione in commento “si pone l’obiettivo
di recepire quanto stabilito nella sentenza
della Corte costituzionale n. 129/2016”.
Nello specifico,
con detta sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità
dell’art. 16, comma 6, del decreto-legge n.95 del 2012 nella parte in cui
prevede la riduzione del Fondo sperimentale di riequilibrio senza alcuna forma
di coinvolgimento degli enti interessati ed in assenza di un termine per
l’adozione del decreto ministeriale.
Secondo la suprema
Corte, che richiama in proposito le sentenze n. 65 e n. 1 del 2016, n. 88 e n.
36 del 2014, n. 376 del 2003, non è in discussione che “le politiche statali di
riduzione delle spese pubbliche possano incidere anche sull’autonomia
finanziaria degli enti territoriali”; né possono considerarsi illegittime le
clausole di chiusura che consentano allo Stato di poter comunque giungere alla
determinazione delle riduzioni dei trasferimenti, anche in via unilaterale, al
fine di assicurare che l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica sia
raggiunto pur nella inerzia degli enti territoriali (ex multis, sentenze n. 82 e 19 del 2015).
Tuttavia, secondo la Corte costituzionale, “tale incidenza [sull’autonomia
finanziaria degli enti] deve, in linea di massima, essere mitigata attraverso
la garanzia del loro coinvolgimento nella fase di distribuzione del sacrificio
e nella decisione sulle relative dimensioni quantitative, e non può essere tale
da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione
(sentenze n. 10 del 2016, n. 188 del 2015 e n. 241 del 2012)”.
Articolo 64, comma 2
(Contributi al Comune di Lecce -
STRALCIATO)
Il comma 2 dell'articolo 64 è stato stralciato ai sensi dell’articolo 120, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, in quanto recante disposizioni estranee all’oggetto del disegno di legge di bilancio.
L’articolo 64, commi 3-8, disciplina l’alimentazione e il riparto del Fondo di solidarietà comunale, che costituisce il fondo per il finanziamento dei comuni anche con finalità di perequazione, alimentato con quota parte del gettito IMU di spettanza dei comuni stessi, da applicare a decorrere dall’anno 2017.
Le disposizioni provvedono, in particolare:
§ a quantificare la dotazione annuale del Fondo a partire dal 2017, fermo restando la quota parte dell’imposta municipale propria, di spettanza dei comuni, che in esso confluisce annualmente (comma 4);
§
a ridefinire i criteri di ripartizione del Fondo medesimo (comma 5);
§
ad aumentare
progressivamente negli anni la
percentuale del Fondo da redistribuire secondo logiche di tipo perequativo,
sulla base della differenza tra le capacità
fiscali e i fabbisogni standard,
prevedendo altresì un correttivo
statistico per contenere il differenziale di risorse, rispetto a quelle
storiche di riferimento, che potrebbe derivare dal meccanismo stesso della
perequazione (commi 5-6);
§
ad anticipare il termine per l’emanazione del decreto
di riparto del Fondo, fissandolo al 31 ottobre dell’anno precedente (comma 7).
In relazione a quanto sopra detto, il comma 3 interviene a limitare all’anno 2016 l’applicazione della disciplina vigente del Fondo di solidarietà comunale, recata dai commi da 380 a 380-octies dell’art. 1 della legge n. 228/2012, a tale fine introducendo il comma 380-nonies.
La ripartizione delle risorse del Fondo spettanti ai comuni per il 2016 ha peraltro già avuto seguito con il D.P.C.M. 18 maggio 2016.
Il comma 4 quantifica la dotazione del Fondo di solidarietà comunale a decorrere dall’anno 2017 in 6.197,2 milioni di euro. Tale dotazione è in parte assicurata attraverso il versamento di una quota dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni, che resta fissata, come per il 2016, nell’importo di 2.768,8 milioni di euro, eventualmente variata della quota derivante dalla regolazione dei rapporti finanziari connessi con la metodologia di riparto tra i comuni interessati del Fondo stesso.
Come ribadito nella Relazione tecnica, l’ammontare complessivo del Fondo resta determinato nel medesimo importo attribuito ai comuni nell’anno 2016, in attuazione del citato D.P.C.M. 18 maggio 2016.
Si ricorda che il Fondo di solidarietà comunale è stato istituito – in sostituzione del Fondo sperimentale di riequilibrio comunale previsto dal D.Lgs. n. 23/2013 di attuazione del federalismo municipale - dall’articolo 1, comma 380, della legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012) in ragione della nuova disciplina dell’imposta municipale propria (IMU), introdotta dalla legge medesima, che ha attribuito ai comuni l’intero gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato. La dotazione annuale del Fondo, definita per legge, è in parte assicurata attraverso una quota dell'imposta municipale propria (IMU), di spettanza dei comuni, che in esso confluisce annualmente.
Sulla disciplina del Fondo - recata dai commi da 380 a 380-octies dell’art. 1 della legge n. 228/2012 - è da ultimo intervenuta la legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208/2015, art. 1, co. 17), che ne ha integrato la dotazione annuale, di 3.767,4 milioni di euro a decorrere dal 2016, quale ristoro del minor gettito derivante ai comuni dal nuovo regime di esenzioni disposte dalla legge medesima per l’IMU e la TASI per gli immobili adibiti ad abitazione principale (art. 1, commi da 10 a 16, 53 e 54). Di conseguenza, è stata ridotta da 4.717,9 a 2.768,8 milioni di euro la quota parte di IMU che, a partire dal 2016, viene annualmente versata dai comuni all’entrata del bilancio dello Stato nei singoli esercizi per finanziare il fondo medesimo. Nell’ambito della dotazione del Fondo, è stata altresì prevista la costituzione di un accantonamento di 80 milioni di euro a decorrere dal 2016, da destinare ai soli comuni per i quali il riparto della suddetta quota incrementale del Fondo non assicura il ristoro di un importo equivalente del gettito della TASI sull’abitazione principale stimato ad aliquota di base.
Nel disegno di legge di bilancio per il 2017, il Fondo - istituito nello stato di previsione del Ministero dell'interno (cap. 1365) – presenta una dotazione pari a 6.347,1 milioni per gli anni 2017, 6.347,2 milioni per il 2018 e 6.346,9 milioni per il 2019.
Il comma 5 indica i criteri di ripartizione del Fondo di solidarietà, confermando sostanzialmente quelli attualmente vigenti. In particolare, il comma prevede che il Fondo sia ripartito:
a) per 3.767,45 milioni di euro tra i comuni interessati sulla base del gettito effettivo IMU e TASI relativo all'anno 2015, come derivante dall’applicazione del nuovo sistema di esenzione introdotto dalla legge di stabilità per il 2016. Tale criterio di riparto riguarda la quota incrementale del Fondo assegnata, nell’importo sopra detto, a decorrere dal 2016 dalla legge n. 208/2015, a ristoro del minor gettito derivante ai comuni delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna dalle esenzioni suddette. Già per l’anno 2016, tale quota è stata ripartita secondo le medesime modalità.
b) nell’importo massimo di 80 milioni di euro, tra i comuni per i quali il riparto dell'importo incrementale di cui sopra non assicura il ristoro di un importo equivalente al gettito della TASI sull'abitazione principale stimato ad aliquota di base. Si tratta di un accantonamento di risorse costituito, a partire dal 2016, dalla legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 17, lett. f)[114], legge n. 208/2015), destinato specificatamente ai comuni che necessitano di compensazioni degli introiti derivanti dalla TASI. Esso pertanto viene ripartito in modo da garantire a ciascuno dei comuni interessati l'equivalente del gettito della TASI sull'abitazione principale stimato ad aliquota di base;
c) per 1.885,6 milioni ai comuni delle Regioni a statuto ordinario, dei quali quota parte da distribuirsi secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, come approvati dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard entro il 30 settembre dell'anno precedente.
d) La norma prevede un aumento progressivo negli anni della percentuale di risorse da distribuire con i criteri perequativi. Tale percentuale, già fissata al 40 per cento per l'anno 2017 e al 55 per cento per l'anno 2018 dalla legge di stabilità dello scorso anno, e qui confermata, viene portata al 70 per cento per l'anno 2019, all’85 per cento per l'anno 2020 e al 100 per cento a decorrere dall'anno 2021. Ai fini dell’applicazione dei criteri perequativi, viene rideterminato, rispetto allo scorso anno, l'ammontare complessivo della capacità fiscale perequabile dei comuni delle regioni a statuto ordinario, nella misura del 50 per cento dell'ammontare complessivo della capacità fiscale da perequare (in luogo del 45,8 per cento applicato negli scorsi due anni).
e) La restante quota è, invece, distribuita assicurando a ciascun comune un importo pari all’ammontare algebrico della medesima componente del fondo di solidarietà comunale dell’anno precedente, eventualmente rettificata, variato in misura corrispondente alla variazione della quota di fondo non ripartita secondo i criteri di cui al primo periodo;
f) per 464,1 milioni ai comuni delle Regioni Siciliana e Sardegna. Tale importo è ripartito assicurando a ciascun comune una somma pari all’ammontare algebrico del medesimo fondo di solidarietà comunale dell’anno precedente, eventualmente rettificato, variata in misura corrispondente alla variazione del fondo di solidarietà comunale complessivo.
Gli importi di cui alle lettere c) e d) possono essere eventualmente incrementati della quota di cui alla lettera b) non distribuita (relativa all’accantonamento di 80 milioni) e della quota dell’imposta municipale propria di spettanza dei comuni connessa alla regolazione dei rapporti finanziari.
Il comma 6 disciplina un correttivo statistico finalizzato a contenere il differenziale di risorse, rispetto a quelle storiche di riferimento, che potrebbe derivare ai comuni dall’applicazione del meccanismo della perequazione.
Il correttivo si applica nel caso in cui i criteri perequativi di riparto determinino una variazione, in aumento e in diminuzione, delle risorse attribuite a ciascun comune rispetto alle risorse di riferimento, tra un anno e l’altro, superiore all’8 per cento.
La previsione di accantonamenti percentuali via via crescenti nell’ambito del Fondo di solidarietà comunale, da ripartirsi tra i comuni secondo logiche di tipo perequativo, è finalizzata a consentire il passaggio graduale dal principio della spesa storica ad una distribuzione delle risorse basata su fabbisogni e capacità fiscali.
Tuttavia, già in sede di riparto del Fondo per l’anno 2016, era emersa l’opportunità di introdurre un meccanismo correttivo nell’attribuzione delle risorse secondo i principi della perequazione (cfr. l’Accordo del 24 marzo 2016, in sede di Conferenza Stato-Città e autonomie locali), in favore dei comuni che in sede di prima assegnazione avevano registrato un differenziale negativo tra la dotazione standard del Fondo di solidarietà comunale e la dotazione storica del Fondo in percentuale delle risorse complessive di riferimento inferiore o uguale al 2%.
La possibilità di applicare tale correttivo è stata prevista, per l’anno 2016, dall’articolo 1, comma 3, del D.L. 24 giugno 2016, n. 113.
Ai fini dell’applicazione del correttivo, nell’ambito del fondo di solidarietà comunale è costituito un accantonamento alimentato dai comuni che registrano un incremento delle risorse complessive rispetto all’anno precedente superiore all’8 per cento. I predetti enti contribuiscono in modo proporzionale all’accantonamento, nel limite complessivo delle risorse necessarie per ridurre le variazioni negative dei comuni con una perdita superiore all’8 per cento. Il predetto accantonamento è ripartito proporzionalmente tra i comuni che registrano una riduzione delle risorse complessive, rispetto all’anno precedente, superiore all’8 per cento nei limiti delle risorse accantonate.
Ai fini della valutazione dello scostamento dell’8 per cento, la norma
precisa che le risorse di riferimento sono definite dai gettiti IMU e TASI,
entrambi valutati ad aliquota di base, e dalla dotazione netta del fondo di
solidarietà comunale. Per il calcolo delle risorse storiche di riferimento, la
dotazione netta del fondo di solidarietà è calcolata considerando pari a zero
la percentuale di applicazione della differenza tra capacità fiscali e
fabbisogni standard.
Infine, è anticipato al 31 ottobre dell’anno precedente a quello di riferimento il termine per l’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di riparto del Fondo di solidarietà (rispetto al 30 novembre attualmente indicato), previo accordo da sancire in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali entro il 15 ottobre (comma 7).
In caso di mancato accordo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è comunque emanato entro il 15 novembre.
Con il medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, può essere previsto un accantonamento sul Fondo di solidarietà comunale nell’importo massimo di 15 milioni di euro, da destinare a eventuali conguagli a singoli comuni derivanti da rettifiche dei valori utilizzati ai fini del riparto del fondo. Le rettifiche decorrono dall’anno di riferimento del fondo di solidarietà comunale cui si riferiscono (comma 8).
L’articolo 64, comma 9, prevede il differimento del termine per la deliberazione del bilancio di previsione degli enti locali per l’esercizio 2017, alla data del 28 febbraio 2017.
Si ricorda che il termine per la deliberazione del bilancio di previsione è ordinariamente fissato al 31 dicembre di ogni anno, ai sensi dell’articolo 151, comma 1, del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al D.Lgs. n. 267/2000.
Tale articolo prevede peraltro la possibilità di differire tale termine, in presenza di motivate esigenze, con decreto del Ministro dell’interno, da adottare d’intesa con il Ministro dell’economia, previo parere della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali. Questa disposizione, che si configura, sostanzialmente, come una norma di delegificazione, è stata adottata proprio al fine di evitare l’intervento legislativo. Tali disposizioni, tuttavia, non sembrerebbero aver determinato una generale rilegificazione della materia, in quanto si riferiscono espressamente a determinati esercizi finanziari[115].
Per l’anno 2016, infatti, il termine per la deliberazione del bilancio di previsione degli enti locali è stato differito con D.M. Interno 28 ottobre 2015 al 31 marzo 2016 e poi con il D.M. Interno 1 marzo 2016 al 30 aprile per i comuni e al 31 luglio 2016 per le città metropolitane e le province.
L’articolo 64, comma 10 interviene sul procedimento di determinazione dei fabbisogni standard ai fini di una semplificazione della procedura di acquisizione dei relativi dati presso gli enti locali.
Il comma in esame modifica a tale scopo in più parti la disciplina procedurale prevista dall’articolo 5 del decreto legislativo n.216 del 2010,[116] con un intervento che è volto a semplificare la stessa, oltre che ad adeguarla ad alcuni cambiamenti del contesto normativo di riferimento nel frattempo intervenuti.
Con riguardo all’intervento di semplificazione, esso è operato in particolare eliminando l’attuale strumento di acquisizione dei dati nei confronti degli enti locali costituito dalla predisposizione da parte della Sose di “questionari”, ora sostituiti dalla predisposizione di “appositi sistemi di rilevazione di informazioni funzionali” che, ad una prima valutazione, potrebbero presentare una maggior agilità di risposta da parte degli enti interessati, oltre ad essere modulabili nel corso del tempo al variare delle necessità informative.
Viene inoltre eliminato l’obbligo attualmente previsto della sottoscrizione delle informazioni rilasciate dall’ente locale da parte sia del legale rappresentate che del responsabile economico dell’ente, prevedendosi ora semplicemente che l’ente medesimo restituisca per via telematica le informazioni ad esso richieste.
È poi aumentata l’accessibilità e la diffusione dei dati raccolti ed elaborati dalla Sose, prevedendosi che essi confluiscano, oltre che nella banca dati prevista dall’articolo 5 della legge n. 42/2009[117], anche nella banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all' articolo 13 della legge di contabilità n.196/2009 e che siano, altresì, pubblicati nel sito www.opencivitas.it, il quale consente ai cittadini ed agli Enti locali di accedere ai dati monitorati e alle elaborazioni relative, ai sensi degli articoli 50 e 52 del codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005). L’invio delle informazioni, di cui alla precedente lettera c), rappresenta una espressa adozione di una licenza di cui all’articolo 2, comma 1, lettere e) ed h), del D.Lgs. n. 36/2002 sul riutilizzo dei dati del servizio pubblico.
Tali norme del D.Lgs. 36/2002 definiscono riutilizzo l'uso del dato di cui è titolare una pubblica amministrazione o un organismo di diritto pubblico, da parte di persone fisiche o giuridiche, a fini commerciali o non commerciali diversi dallo scopo iniziale per il quale il documento che lo rappresenta è stato prodotto. La licenza per il riutilizzo costituisce il contratto o altro strumento negoziale, redatto ove possibile in forma elettronica, nel quale sono definite le modalità di riutilizzo dei documenti delle pubbliche amministrazioni o degli organismi di diritto pubblico.
Con riguardo all’intervento di adeguamento normativo dell’articolo 5 del D.Lgs. 216/2010 in questione, esso ha carattere sostanzialmente manutentivo dell’articolo, ed è riconducibile a tre diverse modifiche:
§ la sostituzione, ovunque ricorrano, delle parole “Società per gli studi di settore-Sose S.p.A.”, con “Società Soluzioni per il sistema economico – Sose S.p.A”, attesa la nuova denominazione assunta dalla società in questione;
§ la sostituzione, ovunque ricorrano, della parole “Comuni e Province” con “enti locali”: ciò presumibilmente in riferimento ai mutamenti normativi che da tempo stanno interessando le province, anche in relazione ai quali il procedimento di determinazione dei fabbisogni standard, al momento concluso per i comuni, è ancora in corso per l’ente provincia;
§ la precisazione, alla lettera e) del comma 5, che la “Commissione tecnica” ivi prevista è la “Commissione tecnica per i fabbisogni standard” istituita dall’articolo 1, comma 29, della legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015). Ciò in quanto la semplice locuzione “Commissione tecnica” prevista in tale comma fa riferimento alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale prevista dall’articolo 4 della legge n. 42/2009, che ora risulta soppressa dalla legge di stabilità suddetta e sostituita, per l’appunto, con la Commissione per i fabbisogni standard (commi 29 e 34 dell’articolo 1 L. n .208/2015).
Articolo 65, commi 1-20
(Nuovo pareggio di bilancio enti
territoriali)
L’articolo 65, commi da 1 a 20 introduce le nuove regole del pareggio di bilancio per gli enti territoriali ai fini del loro concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. L’intervento consegue alle modifiche recentemente operate sulla disciplina dell’equilibrio di bilancio di regioni ed enti locali contenuta nella legge n.243/2012 di attuazione del principio del pareggio di bilancio. In sostanza, mediante i commi in esame vengono messe a regime, con alcune significative modifiche, le regole sul pareggio già introdotte, alcune per il solo 2016, con la legge di stabilità 2016, che vengono pertanto contestualmente soppresse. Sono inoltre disciplinati gli obblighi in capo ai predetti enti al fine del monitoraggio degli adempimenti e un articolato sistema sanzionatorio/premiale da applicare, rispettivamente, in caso di mancato conseguimento del saldo non negativo tra entrate finali e spese finali e in caso di rispetto del saldo a determinate condizioni.
Il comma 1 dispone, a decorrere dall'anno 2017, la cessazione dell'applicazione dei commi da 709 a 712 e da 719 a 734, dell'articolo 1, della legge n. 208 del 2015, concernente il conseguimento del pareggio del bilancio per gli enti locali e le regioni ovvero del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali. Restano fermi gli adempimenti degli enti territoriali relativi al monitoraggio e alla certificazione del saldo di cui all'articolo 1, comma 710 della legge n. 208 del 2015, nonché l'applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo comma 710. Sono, altresì, fatti salvi gli effetti connessi all'applicazione nell’anno 2016 dei patti di solidarietà di cui ai commi da 728 a 732 dell'articolo 1 della legge, n. 208 del 2015 ovvero delle misure di flessibilità della regola del pareggio di bilancio in ambito regionale e nazionale.
Il comma 2 abroga l'ultimo periodo del comma 721 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 nella parte in cui dispone la non erogazione da parte del Ministero dell'interno delle risorse o trasferimenti sospesi, per effetto della mancata trasmissione da parte dell'ente locale della certificazione concernente la verifica dell'obiettivo di saldo, qualora l'attestazione sia trasmessa decorsi sessanta giorni dal termine stabilito per l'approvazione del rendiconto della gestione.
Il comma 3 stabilisce che le disposizioni di cui ai commi da 1 a 22 dell’articolo 65 in esame costituiscono, per le regioni, i comuni, le province, le città metropolitane e le province autonome di Trento e di Bolzano, principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.
Il comma 4, per gli enti indicati al precedente comma 3, definisce, a decorrere dall'anno 2017, il concorso al conseguimento dei saldi di finanza pubblica. Tale concorso consiste nel conseguire, sia in fase previsionale che di rendiconto, un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della legge n. 243 del 2012.
Si tratta del medesimo saldo previsto dal comma 710 della legge di stabilità 2016, che viene però ora riferito, nel comma 4 in esame, all’articolo 9 della legge n.243/2012, che a seguito delle modifiche ad essa apportate dalla legge n. 164/2016 riporta ora anche esso tale saldo
Si ricorda che in base al testo dell’articolo 9, comma 1 vigente quando era stato introdotto il suddetto comma 710, per regioni ed enti locali si prevedevano quattro diversi saldi, vale a dire un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali, nonché un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti
Il successivo comma 1-bis del medesimo articolo 9, anche esso richiamato dal comma 4 in esame, specifica quali sono le entrate finali e le spese finali da considerare ai fini del predetto saldo. Si tratta dei titoli 1, 2, 3, 4 e 5 delle entrate dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo n. 118 del 2011 e per le spese dei titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio.
I titoli delle entrate dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo n. 118 del 2011 sono i seguenti: TITOLO 1: Entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa; TITOLO 2: Trasferimenti correnti; TITOLO 3: Entrate extratributarie; TITOLO 4: Entrate in conto capitale; TITOLO 5: Entrate da riduzione di attività finanziarie.
I titoli delle spese dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo n. 18 del 2011 sono i seguenti: TITOLO 1: Spese correnti; TITOLO 2: Spese in conto capitale; TITOLO 3: Spese per incremento di attività finanziarie.
Per gli anni 2017-2019 il medesimo comma 4 prevede che nelle entrate e nelle spese finali in termini di competenza è considerato il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa al netto della quota rinveniente dal ricorso all’indebitamento. A decorrere dall'esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali. Non rileva la quota del fondo pluriennale vincolato di entrata che finanzia gli impegni cancellati definitivamente dopo l’approvazione del rendiconto dell’anno precedente. La distinzione tra i due diversi periodi temporali, triennale il primo ed a regime il secondo, è in linea con quanto previsto dal comma 1-bis, dell'articolo 9, della legge n. 243 del 2012 che prevede una fase transitoria per gli anni 2017-2019, durante la quale spetta alla legge di bilancio, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale, disporre l'introduzione del fondo pluriennale vincolato nel calcolo del saldo. L'inclusione definitiva nel saldo del citato fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali, è stabilita a decorrere dall'esercizio 2020.
Il fondo pluriennale vincolato è un saldo finanziario, costituito da risorse già accertate destinate al finanziamento di obbligazioni passive dell'ente già impegnate, ma esigibili in esercizi successivi a quello in cui è accertata l'entrata. Si tratta, più precisamente, di un saldo finanziario che garantisce la copertura di spese imputate agli esercizi successivi a quello in corso, che nasce dall’esigenza di applicare il principio della competenza finanziaria potenziata, di cui all’allegato 1 del D.Lgs. n. 118/2011, e rendere evidente la distanza temporale intercorrente tra l’acquisizione dei finanziamenti e l’effettivo impiego di tali risorse.
Il fondo pluriennale vincolato è alimentato solo da entrate correnti vincolate e da entrate destinate al finanziamento di investimenti, accertate e imputate agli esercizi precedenti a quelli di imputazione delle relative spese. Le risorse del fondo sono destinate prevalentemente a spese in conto capitale, ma possono essere destinate a garantire la copertura di spese correnti, ad esempio quelle impegnate a fronte di entrate derivanti da trasferimenti correnti vincolati, esigibili in esercizi precedenti a quelli in cui è esigibile la corrispondente spesa.
Esso – va sottolineato - risulta immediatamente utilizzabile a seguito dell'accertamento delle entrate che lo finanziano, consentendo in tal modo di poter procedere all'impegno delle spese esigibili nell'esercizio in corso (la cui copertura è costituita dalle entrate accertate nel medesimo esercizio finanziario), e all'impegno delle spese esigibili negli esercizi successivi (la cui copertura è effettuata dal fondo).
In altre parole, il principio della competenza potenziata prevede che il fondo pluriennale vincolato sia uno strumento di rappresentazione della programmazione e previsione delle spese pubbliche territoriali, sia correnti sia di investimento, che evidenzi con trasparenza e attendibilità il procedimento di impiego delle risorse acquisite dall’ente che richiedono un periodo di tempo ultrannuale per il loro effettivo impiego ed utilizzo per le finalità programmate e previste. In particolare, la programmazione e la previsione delle opere pubbliche è fondata sul Programma triennale delle opere pubbliche e relativo elenco annuale di cui alla vigente normativa che prevedono, tra l’altro, la formulazione del cronoprogramma (previsione dei SAL) relativo agli interventi di investimento programmati.
La
considerazione del Fondo pluriennale vincolato ai fini della determinazione
dell’equilibrio complessivo fra entrate finali e spese finali in termini di
competenza determina, in sostanza, una politica
espansiva per gli enti che vi fanno ricorso, con oneri in termini di
indebitamento netto.
In base a quanto
affermato dalla relazione tecnica allegata al presente provvedimento
l'inclusione del Fondo pluriennale vincolato fra le poste utili al
conseguimento del pareggio di bilancio determina oneri in termini di
indebitamento netto e fabbisogno per gli anni 2017, 2018 e 2019 pari,
rispettivamente, a 304 milioni di euro, 296 milioni di euro e 302 milioni di
euro.
Il comma 5 precisa che le risorse accantonate nel fondo pluriennale di spesa dell’esercizio 2015 in applicazione del punto 5.4 del principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria di cui all'allegato 4/2 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, per finanziare le spese contenute nei quadri economici relative a investimenti per lavori pubblici e quelle per procedure di affidamento già attivate, se non utilizzate possono essere conservate nel fondo pluriennale vincolato di spesa dell’esercizio 2016 anziché confluire nel risultato di amministrazione. Perché ciò sia possibile occorre che l'ente finanzi opere per le quali disponga del progetto esecutivo degli investimenti redatto e validato in conformità alla vigente normativa, completo del cronoprogramma di spesa e a condizione che il bilancio di previsione 2017 – 2019 sia approvato entro il 31 gennaio 2017. Tali risorse confluiscono nel risultato di amministrazione se entro l’esercizio 2017 non sono assunti i relativi impegni di spesa.
Si ricorda che
il principio contabile 5.4 concernente la contabilità finanziaria di cui al
decreto legislativo n. 118 del 2011 stabilisce che nel caso in cui non vi sia
aggiudicazione definitiva, entro l’anno successivo, le risorse accertate cui il
fondo pluriennale si riferisce confluiscono nell’avanzo di amministrazione
vincolato per la riprogrammazione dell’intervento in c/capitale ed il fondo
pluriennale deve essere ridotto di pari importo.
I commi da 6 a 12 disciplinano gli adempimenti
cui sono tenuti gli enti territoriali al fine del monitoraggio del rispetto dell'obiettivo del pareggio di bilancio.
Il comma 6 dispone che al bilancio di
previsione sia allegato il prospetto dimostrativo del rispetto del saldo di cui
al comma 4, previsto nell’allegato n. 9 del decreto legislativo 23 giugno 2011,
n. 118, vigente alla data dell’approvazione di tale documento contabile. A tal
fine, il prospetto allegato al bilancio di previsione non considera gli
stanziamenti non finanziati dall’avanzo di amministrazione del fondo crediti di
dubbia esigibilità e dei fondi spese e rischi futuri concernenti accantonamenti
destinati a confluire nel risultato di amministrazione.
Il
prospetto è aggiornato dal Ministero dell’economia e delle finanze –
Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato - a seguito di successivi
interventi normativi volti a modificare le regole vigenti di riferimento,
dandone comunicazione alla Commissione per l’armonizzazione degli enti
territoriali. Entro 60 giorni dall’aggiornamento, il Consiglio dell'ente
territoriale approva le necessarie variazioni al bilancio di previsione.
Il medesimo comma dispone inoltre che nel corso dell’esercizio, ai fini della verifica del rispetto del saldo, il prospetto dimostrativo è allegato alle variazioni di bilancio approvate dal Consiglio e alle variazioni: a) approvate dalla Giunta riguardanti il fondo pluriennale vincolato, effettuate entro i termini di approvazione del rendiconto; b) effettuate dai responsabili della spesa o, in assenza di disciplina, dal responsabile finanziario, relative a variazioni di bilancio fra gli stanziamenti riguardanti il fondo pluriennale vincolato e gli stanziamenti correlati, in termini di competenza e di cassa, se relativa al Fondo pluriennale vincolato non rilevante ai fini del saldo di cui al comma 4; c) effettuate dai responsabili della spesa o, in assenza di disciplina, dal responsabile finanziario, in caso di variazioni di esigibilità della spesa, e relative a stanziamenti riferiti a operazioni di indebitamento già autorizzate e perfezionate, contabilizzate secondo l'andamento della correlata spesa, e le variazioni a stanziamenti correlati ai contributi a rendicontazione; d) approvate dalla Giunta per l'istituzione di nuove tipologie di bilancio, per l'iscrizione di entrate derivanti da assegnazioni vincolate a scopi specifici, per l'iscrizione delle relative spese, quando queste siano tassativamente regolate dalla legislazione in vigore, nonché per l'utilizzo della quota accantonata del risultato di amministrazione riguardante i residui; e) effettuate dai dirigenti responsabili della spesa o, in assenza di disciplina, dal responsabile finanziario della regione riguardanti la reiscrizione di economie di spesa e il fondo pluriennale vincolato.
Il comma 7 dispone che gli enti
territoriali trasmettano alla Ragioneria generale dello Stato le informazioni
riguardanti le risultanze del saldo di cui al comma 4, con tempi e modalità
definiti con decreti del predetto Ministero sentite, rispettivamente, la
Conferenza Stato-città ed autonomie locali e la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano.
Il comma 8 stabilisce che ciascun ente, ai
fini della verifica del rispetto
dell’obiettivo di saldo, debba inviare alla Ragioneria generale dello
Stato, entro il termine perentorio del
31 marzo dell'anno successivo a
quello di riferimento una certificazione dei risultati conseguiti, firmata dal
rappresentante legale, dal responsabile del servizio finanziario e dall'organo
di revisione economico-finanziaria. La mancata
trasmissione della certificazione entro il termine perentorio del 31 marzo
costituisce inadempimento all’obbligo
del pareggio di bilancio. Nel caso in cui la certificazione, sebbene in
ritardo, sia trasmessa entro il successivo 30 aprile e attesti il conseguimento
dell’obiettivo di saldo di cui al comma 4, si applicano, nei dodici mesi
successivi al ritardato invio, le sole disposizioni in materia di divieto di
assunzione di personale di cui al comma 13, lettera e), limitatamente alle
assunzioni di personale a tempo indeterminato.
Il comma 9 attribuisce all' organo di revisione
economico-finanziaria, decorsi trenta giorni dal termine stabilito per
l'approvazione del rendiconto di gestione, in caso di mancata trasmissione da parte
dell'ente locale della certificazione, il compito, in qualità di commissario ad acta,
pena la decadenza dal ruolo di revisore, di assicurare l'assolvimento dell'adempimento e trasmettere la
predetta certificazione entro i successivi trenta giorni. Nel caso in cui la
certificazione sia trasmessa dal commissario ad acta entro sessanta giorni dal termine stabilito per
l'approvazione del rendiconto di gestione e attesti il conseguimento
dell’obiettivo di saldo di cui al comma 4, si applicano le disposizioni in
materia di divieto di assunzione di personale e di riduzione delle indennità
degli organi politici, di cui al comma 13, lettere e) ed f). Sino alla data di
trasmissione da parte del commissario ad
acta, le erogazioni di risorse o trasferimenti da parte del Ministero
dell'interno relative all’anno successivo a quello di riferimento sono sospese
e, a tal fine, il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato provvede a
trasmettere apposita comunicazione al predetto Ministero.
Il comma 10, relativamente alle Regioni e alle Province autonome, dispone che decorsi trenta giorni dal termine
stabilito per l'approvazione del rendiconto di gestione, in caso di mancata
trasmissione della certificazione si procede al blocco di qualsiasi prelievo dai
conti della tesoreria statale sino a quando la certificazione non è acquisita.
Il comma 11 impone la corrispondenza tra i
dati contabili rilevanti ai fini del conseguimento del saldo di cui al comma 4
e le risultanze del rendiconto di gestione. Nel caso in cui la certificazione
trasmessa sia difforme dalle risultanze del rendiconto di gestione, gli enti
sono tenuti ad inviare una nuova certificazione a rettifica della precedente,
entro il termine perentorio di sessanta giorni dall'approvazione del rendiconto
e, comunque, non oltre il 30 giugno del medesimo anno per gli enti locali e il
30 settembre per le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
Il comma 12 dispone che decorsi i termini
del 30 giugno e del 30 settembre previsti dal comma 11, gli enti sono comunque
tenuti ad inviare una nuova certificazione, a rettifica della precedente, solo nel
caso in cui essi rilevino, rispetto a quanto già certificato, un peggioramento
del proprio posizionamento rispetto all'obiettivo di saldo di cui al comma 4.
Il comma 13, in linea con quanto previsto
dall'articolo 9, comma 4, della legge n. 243 del 2012, stabilisce una serie di sanzioni in caso di mancato conseguimento
del saldo di cui al comma 4. In particolare:
a) l’ente locale è assoggettato ad una riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo di solidarietà comunale in misura pari all’importo corrispondente allo scostamento registrato. Le province della Regione siciliana e della regione Sardegna sono assoggettate alla riduzione dei trasferimenti erariali nella misura indicata al primo periodo. Gli enti locali delle regioni Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano sono assoggettati ad una riduzione dei trasferimenti correnti erogati dalle medesime regioni o province autonome in misura pari all'importo corrispondente allo scostamento registrato. Le suddette riduzioni, in linea con quanto previsto dall'articolo 9, comma 2, della legge n. 243 del 2012 devono essere recuperate nel triennio successivo a quello di inadempienza in quote costanti per ciascun anno. In caso di incapienza, per uno o più anni del triennio di riferimento, gli enti locali sono tenuti a versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue di ciascuna quota annuale, entro l'anno di competenza delle medesime quote. In caso di mancato versamento delle predette somme residue nell’anno successivo, il recupero è operato con le procedure di cui ai commi 128 e 129 dell’articolo 1 della legge di stabilità 24 dicembre 2012, n. 228, a valere su qualunque assegnazione finanziaria dovuta dal Ministero dell'interno e, in caso di incapienza, a trattenere le relative somme, per i comuni interessati, all'atto del pagamento agli stessi dell'imposta municipale propria e, per le province, all'atto del riversamento alle medesime dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori;
b) nel triennio successivo la regione o la Provincia autonoma inadempiente è tenuta a versare all'entrata del bilancio statale, l'importo corrispondente ad un terzo dello scostamento registrato. Il versamento va effettuato entro il 31 maggio di ciascun anno del triennio successivo a quello dell'inadempienza. In caso di mancato versamento si procede al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti aperti presso la tesoreria statale;
c) nell'anno successivo a quello di inadempienza l’ente non può impegnare spese correnti, per le regioni al netto delle spese per la sanità, in misura superiore all’importo dei corrispondenti impegni effettuati nell’anno precedente ridotti dell'1 per cento. La sanzione si applica con riferimento agli impegni riguardanti le funzioni esercitate in entrambi gli esercizi. A tal fine, l’importo degli impegni correnti dell’anno precedente e quello dell’anno in cui si applica la sanzione sono determinati al netto di quelli connessi a funzioni non esercitate in entrambi gli esercizi, nonché al netto degli impegni relativi ai versamenti al bilancio dello Stato effettuati come contributo alla finanza pubblica;
d) nell'anno successivo a quello di inadempienza l’ente non può ricorrere all’indebitamento per gli investimenti. Per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, restano esclusi i mutui già autorizzati e non ancora contratti. I mutui e i prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni creditizie o finanziarie per il finanziamento degli investimenti o le aperture di linee di credito devono essere corredati da apposita attestazione da cui risulti il conseguimento dell’obiettivo di cui al comma 4. L’istituto finanziatore o l’intermediario finanziario non può procedere al finanziamento o al collocamento del prestito in assenza della predetta attestazione;
e) nell'anno successivo a quello di inadempienza l’ente non può procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. È fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione. Le regioni, le città metropolitane e i comuni possono comunque procedere ad assunzioni di personale a tempo determinato, con contratti di durata massima fino al 31 dicembre del medesimo esercizio, necessari a garantire l’esercizio delle funzioni di protezione civile, di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale nel rispetto del limite di spesa di cui al primo periodo del comma 28 dell’articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, ovvero nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009;
f) nell'anno successivo a quello di inadempienza il presidente, il sindaco e i componenti della giunta in carica nell'esercizio in cui è avvenuta la violazione sono tenuti a versare al bilancio dell'ente il 30 per cento delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza spettanti nell'esercizio della violazione.
In relazione al sistema sanzionatorio si rammenta la disciplina generale, riferita a tutti gli enti territoriali, contenuta nell'articolo 9 della legge n. 243/2012, nel quale, ai commi da 2 a 5 si dispone che:
qualora, in sede di rendiconto di gestione, un ente registri un valore negativo dei saldi rilevanti ai fini dell’equilibrio di bilancio, lo stesso dovrà adottare misure di correzione tali da assicurarne il recupero entro il triennio successivo, in quote costanti, salvo che lo Stato possa prevedere forme di recupero differenti;
l’individuazione dei premi e delle sanzioni da applicare nei confronti degli enti territoriali in caso di mancato conseguimento dell’equilibrio di bilancio è rinviata alla legge dello Stato che deve attenersi ai seguenti principi:
proporzionalità fra premi e sanzioni;
proporzionalità fra sanzioni e violazioni;
destinazione dei proventi delle sanzioni a favore dei premi agli enti del medesimo comparto che hanno rispettato i propri obiettivi;
al fine di assicurare il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, viene fatta salva la possibilità di prevedere con legge dello Stato ulteriori obblighi per gli enti territoriali in materia di concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.
Il comma 14 introduce una gradualità nell'applicazione delle sanzioni prevedendo nel caso in
cui il mancato conseguimento del saldo di cui al comma 4 sia inferiore al 3 per
cento degli accertamenti delle entrate finali dell’esercizio del mancato
conseguimento del saldo, nell'anno successivo a quello dell'inadempienza la
sanzione: 1) di cui al comma 13,
lettera c), riferita al limite alle spese correnti, è applicata imponendo agli
impegni di parte corrente, per le regioni al netto della sanità, un limite pari
all'importo dei corrispondenti impegni dell'anno precedente; 2) di cui al comma 13, lettera e), relativa al divieto di
assunzione, è applicata solo per assunzioni di personale a tempo indeterminato;
3) di cui al comma 13, lettera f), riferita
alle indennità degli organi politici, è applicata dal presidente, dal sindaco e
dai componenti della giunta in carica nell'esercizio in cui è avvenuta la
violazione versando al bilancio dell’ente il 10 per cento delle indennità di funzione
e dei gettoni di presenza spettanti nell’esercizio della violazione e non più
il 30 per cento.
Resta
ferma l’applicazione delle restanti sanzioni di cui al comma 13.
I commi 15 e 16 prevedono che qualora il mancato conseguimento del saldo sia accertato dalla Corte dei conti
nell'anno seguente a quello cui la violazione si riferisce, le sanzioni a
carico dell'ente si applicano nell'anno successivo a quello della comunicazione
del mancato conseguimento del saldo alla Ragioneria generale dello Stato. A tal
fine si dispone l'obbligo in capo agli
enti cui la Corte dei conti ha accertato il mancato conseguimento del saldo di
comunicare l'inadempienza entro trenta giorni dall'accertamento della
violazione mediante l'invio di una nuova certificazione alla Ragioneria
generale medesima.
Il comma 17 dispone, a decorrere dall'anno 2018, un sistema
premiale in favore degli enti
territoriali che oltre al conseguimento del saldo di cui al comma 4 conseguono
una serie di risultati. Gli incentivi sono di due tipi: una premialità
monetaria e un alleggerimento dei vincoli alla spesa del personale. In particolare:
a) alle regioni che rispettano il saldo di cui al comma 4 e che conseguono un saldo finale di cassa non negativo fra le entrate e le spese finali, sono assegnate, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, entro il 30 luglio di ciascun anno, le eventuali risorse incassate dal bilancio dello Stato alla data del 30 giugno e consistenti nel versamento di un importo corrispondente a un terzo dello scostamento registrato, ai sensi del comma 13, lettera b), del presente articolo. Tali risorse sono destinate alla realizzazione di investimenti. L'ammontare delle risorse per ciascuna regione è determinato d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Le regioni che conseguono il saldo finale di cassa non negativo sono tenute a trasmettere al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, le informazioni concernenti il monitoraggio al 31 dicembre del saldo di cui al comma 4 e la certificazione dei relativi risultati, in termini di competenza e in termini di cassa, secondo le modalità previste dal decreto di cui al comma 7. Ai fini del saldo di cassa rileva l'anticipazione erogata dalla tesoreria statale nel corso dell'esercizio per il finanziamento della sanità registrata nell'apposita voce delle partite di giro, al netto delle relative regolazioni contabili imputate contabilmente al medesimo esercizio;
b) alle città metropolitane, alle province ed ai comuni, che rispettano il saldo di cui al comma 4 e che conseguono un saldo finale di cassa non negativo fra le entrate finali e le spese finali, sono assegnate, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, entro il 30 luglio di ciascun anno, le eventuali risorse derivanti dalla riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo di solidarietà comunale e dai versamenti e recuperi, effettivamente incassati, di cui al comma 13, lettere a), del presente articolo, per essere destinate alla realizzazione di investimenti. L'ammontare delle risorse per ciascuna città metropolitana, provincia e comune è determinato d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Le città metropolitane, le province e i comuni che conseguono il saldo finale di cassa non negativo, trasmettono, al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, le informazioni concernenti il monitoraggio al 31 dicembre del saldo di cui al comma 4 e la certificazione dei relativi risultati, in termini di competenza e in termini di cassa, secondo le modalità previste dal decreto di cui al comma 7;
c) le
regioni e le città metropolitane che
rispettano il saldo non negativo di
cui al comma 4 senza superarlo di oltre
l'1 per cento, ovvero lasciando spazi finanziari inutilizzati inferiori
all’1 per cento degli accertamenti delle entrate finali dell’esercizio nel
quale è rispettato il medesimo saldo, possono nell’anno successivo innalzare
la spesa per rapporti di lavoro flessibile
(diversi dal rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato) di cui
all’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, del 10 per
cento della spesa sostenibile ai sensi del predetto comma 28;
Si ricorda che
il comma 28, dell'articolo 9, del decreto-legge n. 78 del 2010 prevede, sia
pure con diverse eccezioni, che tali enti possano avvalersi di personale a
tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione
coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta
per le stesse finalità nell'anno 2009.
d) i comuni che rispettano il saldo non negativo di cui al comma 4 senza superarlo dell'1 per cento, ovvero lasciando spazi finanziari inutilizzati inferiori all’1 per cento degli accertamenti delle entrate finali dell’esercizio nel quale è rispettato il medesimo saldo, innalzano nell’anno successivo la percentuale della spesa per assunzioni a tempo indeterminato dal 25 per cento di quella relativa al medesimo personale cessato nell'anno precedente (turnover), stabilita al primo periodo del comma 228 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, al 75 per cento qualora il rapporto dipendenti-popolazione dell’anno precedente sia inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica degli enti deficitari o dissestati, come definito triennalmente con il decreto del Ministro dell’interno di cui all’articolo 263, comma 2, del testo unico degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Si segnala che l'ultimo decreto emanato ai sensi dell'articolo
263, comma 2, del TUEL è il D.M. 24/07/2014 che per il triennio 2014-2016 ha
individuato la media nazionale per classe demografica della consistenza delle
dotazioni organiche per comuni e province ed i rapporti medi
dipendenti-popolazione per classe demografica, validi per gli enti in
condizione di dissesto.
Il comma 18 stabilisce la nullità dei contratti di servizio e
degli altri atti posti in essere dagli enti che si configurano elusivi delle
regole del pareggio di bilancio di cui ai commi da 1 a 22 della presente
disposizione.
Il comma 19 attribuisce alle sezioni
giurisdizionali regionali della Corte
dei conti in sede di accertamento circa l'osservanza delle regole di cui ai
commi da 1 a 22, il potere di irrogare
sanzioni agli amministratori qualora
emerga l'artificioso rispetto delle regole conseguito mediante una non corretta
applicazione dei principi contabili di cui al decreto legislativo 23 giugno
2011, n. 118 o altre forme elusive. Nei confronti degli amministratori che
hanno posto in essere atti elusivi delle predette regole, è prevista la
condanna ad una sanzione pecuniaria fino ad un massimo di dieci volte
l’indennità di carica percepita al momento di commissione dell’elusione e, al
responsabile amministrativo individuato dalla sezione giurisdizionale regionale
della Corte dei conti, una sanzione pecuniaria fino a tre mensilità del
trattamento retributivo, al netto degli oneri fiscali e previdenziali. I
predetti importi sono acquisiti al bilancio dell'ente.
Il comma 20 dispone che il Ministro
dell'economia e delle finanze, sentite la Conferenza Stato-città ed autonomie
locali e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, qualora risultino, anche sulla base
dei dati del monitoraggio di cui al comma 7, andamenti di spesa degli enti non
coerenti con gli impegni finanziari assunti con l’Unione europea, proponga
adeguate misure di contenimento della predetta spesa.
Articolo 65, commi 21 e 22
(Pareggio di bilancio autonomie speciali)
L’articolo 65, commi 21-22, prevede che alla regione Friuli-Venezia Giulia, alla regione Trentino-Alto Adige ed alle Province autonome di Bolzano e di Trento continuino ad applicarsi le regole del patto di stabilità come modulato nei singoli accordi tra il Governo e ciascuna autonomia (comma 21); alla regione Valle d’Aosta, invece, si applicano le norme sul pareggio di bilancio a decorrere dal 2017 (comma 22).
Il comma 21 riguarda la Regione Friuli-Venezia Giulia, la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Bolzano e di Trento a cui non si applica ancora la disciplina del pareggio di bilancio. I suddetti enti sono tenuti al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica attraverso le regole del patto di stabilità interno, modulato secondo quanto concordato tra Stato e singola regione (o provincia autonoma).
La norma esplicita che non si applicano le norme concernenti le sanzioni e le misure premiali, stabilite rispettivamente dal commi 13 e dal comma 17 dell’articolo 65 in esame; continuano, invece, ad applicarsi le regole del patto di stabilità dettate dalla legge di stabilità 2013.
Per la Regione Friuli-Venezia Giulia la disciplina della riduzione del debito pubblico è ancora basata sul contenimento della spesa complessiva, espressa in competenza eurocompatibile. La disciplina generale - comprese le norme sul monitoraggio degli adempimenti e dei risultati e le sanzioni in caso di inadempienza - è contenuta nella legge di stabilità 2013 (legge 228/2012, art. 1, comma 454 e seguenti). Gli obiettivi della regione Friuli-Venezia Giulia, vale a dire il limite alle spese complessive sono stati determinati dalla legge di stabilità 2015, ai commi 517-521 dell’unico articolo e recepiscono il protocollo d'intesa tra Stato e Regione sottoscritto il 30 ottobre 2014, in materia finanziaria. In particolare il comma 517 stabilisce l'obiettivo programmatico della regione per l'esercizio 2014, nonché gli obiettivi per ciascuno degli anni del triennio 2015-2017, pari a 4.797,6 milioni di euro per il 2015, 4.807,6 milioni di euro per il 2016, 4.797,6 milioni di euro per il 2017.
Per la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Bolzano e di Trento la disciplina del concorso agli obiettivi di finanza pubblica è contenuta nell'articolo 79 dello statuto (DPR 670/1972), come modificato da ultimo dalla legge di stabilità 2015 (L. 190/2014, art. 1, comma 407, lettera e)) in attuazione dell’accordo tra lo Stato, la Regione e le Province autonome sottoscritto il 15 ottobre 2014. Per i tre enti il pareggio di bilancio si applicherà a decorrere dal 2018. Fino a quella data continuano ad applicarsi le norme contenute nella legge di stabilità 2013 che stabiliscono le modalità di determinazione dell’obiettivo del patto di stabilità, basato sul conseguimento del saldo programmatico calcolato in termini di competenza mista, nonché il monitoraggio, la certificazione e le sanzioni (rispettivamente comma 455 e commi 460, 461 e 462 della legge 228/2012).
Quanto all’obiettivo specifico per ciascun anno del triennio dal 2015 al 2017, esso è stabilito dal comma 408 della legge di stabilità 2015 (L. 190/2014):
§ per la Regione Trentino-Alto Adige in un saldo positivo pari a 34,27 milioni di euro;
§ per la Provincia autonoma di Trento in un saldo negativo pari a 78,13 milioni di euro;
§ per la Provincia autonoma di Bolzano in un saldo positivo pari a 127,47 milioni di euro.
La norma in esame specifica che ai fini del saldo di competenza mista previsto per i tre enti, il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, è considerato al netto della quota proveniente dal ricorso all’indebitamento, in analogia con quanto stabilito al comma 4 sulla modalità di determinazione dell’obiettivo del pareggio di bilancio.
Il comma 22 riguarda la Regione Valle d’Aosta, a cui fino all’anno 2016 si sono applicate le regole sopra citate del patto di stabilità, secondo quanto stabilito negli accordi tra Stato e Regione.
In particolare, l’accordo sottoscritto tra il Ministero dell’economia e delle finanze e la regione Valle d’Aosta il 21 luglio 2015 ha determinato, tra l’altro, gli obiettivi programmatici del patto di stabilità per il 2014 e per il 2015. Per l’anno 2015 il livello di spese in termini di competenza eurocompatibile è stato determinato in 701,242 milioni di euro; con un l’ampliamento, rispetto il 2014, di 60 milioni del tetto di spesa. Dal tetto di spesa così determinato sono escluse le spese relative alle nuove funzioni assunte dalla regione in materia di sanità penitenziaria, la spesa relativa alla ristrutturazione del presidio ospedaliero di Aosta e le spese correlate a trasferimenti dello Stato agli enti locali in seguito a modifiche delle norme di finanza locale.
La norma in esame stabilisce ora che alla Regione non si applicano le regole del patto di stabilità interno dettate, come ricordato sopra, dalla legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012, art. 1 comma 454 e seguenti); la regione Valle d’Aosta ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica dovrà osservare, a decorrere dal 2017, le norme sul pareggio di bilancio, dettate, da ultimo dall’articolo 65, commi 1- 20 del disegno di legge in esame.
Si ricorda infine che la disciplina del pareggio di bilancio si applica alla Regione Sardegna, a decorrere dall’anno 2015 (secondo quanto stabilito prima dal decreto-legge n. 133/2014, art. 42, commi 9-13, poi dal comma 478-bis della legge di stabilità 2015) ed alla Regione siciliana a decorrere dall’anno 2016 in attuazione dell’accordo sottoscritto con lo Stato il 20 giugno 2016 e recepito dall’articolo 11 del decreto-legge n. 113/2016.
Articolo 65, commi 23-42
(Assegnazione di spazi finanziari agli
enti locali
ed alle regioni per investimenti)
L’articolo 65, commi da 23 a 42, assegna agli enti locali spazi finanziari fino a complessivi 700 milioni annui ed alle regioni fino a complessivi 500 milioni annui per l’effettuazione di spese di investimento, disciplinando nel contempo la procedura di concessione degli stessi ed i requisiti necessari per l’ottenimento delle risorse stanziate da parte degli enti richiedenti.
Il comma 23 assegna agli enti locali spazi finanziari per il triennio 2017-2019 nel limite complessivo di 700 milioni annui, di cui 300 milioni di euro destinati ad interventi di edilizia scolastica. Gli spazi in questione sono assegnati nell’ambito dei patti nazionali, previsti dall’articolo10, comma 4, della legge n. 243/2012[118].
Tali patti – si rammenta - costituiscono uno strumento di flessibilità di livello nazionale introdotto con il comma 732 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), aggiuntivo rispetto a quelli già previsti a livello regionale (disciplinati, da ultimo, dal comma 728 della legge n. 208/2011). Il meccanismo si basa, come per il patto regionale orizzontale, sulla cessione di spazi finanziari da parte degli enti locali che prevedono di conseguire un differenziale positivo rispetto al saldo non negativo previsto dalla normativa nazionale - la cui entità va comunicata al Ministero dell'economia entro il termine del 15 giugno - a vantaggio di quelli che, invece, prevedono di conseguire, nel medesimo anno di riferimento, un differenziale negativo rispetto al saldo prefissato. Lo scopo è quello di consentire a tali ultimi enti l'utilizzo di maggiori spazi finanziari per effettuare maggiori spese esclusivamente per sostenere impegni di spesa in conto capitale. Come per il patto orizzontale regionale, le amministrazioni che hanno ceduto o acquisito spazi finanziari ottengono nel biennio successivo, rispettivamente, un alleggerimento o un peggioramento del proprio obiettivo di saldo, commisurato alla metà del valore dello spazio acquisito (nel caso di richiesta) o attribuito (nel caso di cessione). Qualora l'entità delle richieste pervenute dagli enti che necessitano di sostenere spese di conto capitale superi l'ammontare degli spazi finanziari resi disponibili dagli altri, l'attribuzione è effettuata in misura proporzionale ai maggiori spazi finanziari richiesti.
Peraltro, all’evidente fine di favorire la realizzazione di investimenti prioritariamente attraverso l’utilizzo, da parte degli enti interessati, delle risorse proprie derivanti dai risultati di amministrazione degli esercizi precedenti e dal ricorso al debito, viene previsto che gli spazi in questione non possano essere richiesti qualora le operazioni di investimento mediante il ricorso all’indebitamento e all’utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti, possano essere effettuate dagli enti medesimi nel rispetto del proprio equilibrio di bilancio: vale a dire, ai sensi dell’articolo 9 della citata legge n. 243/2016, ove l’ente consegua sia in fase di revisione che di rendiconto un “saldo non negativo” in termini di competenza tra entrate e spese (comma 24).
Tale disposizione – come anche rileva la relazione illustrativa- mira a favorire gli investimenti degli enti locali virtuosi, quelli cioè che non riescono ad utilizzare gli avanzi di amministrazione rispettando nel contempo il saldo di equilibrio di bilancio, a causa dei limitati importi iscritti nel fondo crediti di dubbia esigibilità: circostanza questa rinvenibile presso quegli enti che iscrivono in bilancio entrate in gran parte di effettiva esigibilità.
Il Fondo crediti di dubbia esigibilità, previsto dall’articolo 167 del TUERL (D.Lgs. n.267/2000), costituisce una delle principali novità introdotte ad opera della nuova disciplina dell’armonizzazione contabile di cui al D.Lgs. n.118 del 2011 ed ha la finalità di assicurare che gli enti locali utilizzino, in termini di spesa, solo le risorse aventi un alto tasso di riscuotibilità. Al fondo è quindi affidata la funzione di rettificare tutte quelle risorse non effettivamente esigibili nel corso dell'anno, mediante il conferimento ad esso di un accantonamento il cui ammontare è determinato in considerazione dell'importo degli stanziamenti di entrata di dubbia e difficile esazione: tale accantonamento non è oggetto di impegno e genera un'economia di bilancio che confluisce nel risultato di amministrazione come quota accantonata.
Analoga finalità sussiste nei confronti delle regioni virtuose, sulla base di quanto dispone in termini analoghi al comma in esame il successivo comma 34 (vedi ultra).
La procedura di concessione si articola quanto agli spazi riferibili all’edilizia scolastica, secondo le seguenti fasi:
§ gli enti locali comunicano gli spazi finanziari di cui necessitano per l’edilizia scolastica entro il 20 gennaio di ciascun anno ( 20 febbraio per il 2017), alla Struttura di missione per il coordinamento degli interventi di edilizia scolastica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri;
§ ai fini dell’attribuzione degli spazi la Struttura medesima, sulla base di alcuni criteri prioritari indicati nelle norme in esame comunica, entro il 5 febbraio di ciascun anno (5 marzo per il 2017), alla Ragioneria generale dello Stato, gli spazi finanziari da attribuire a ciascun ente locale (commi da 25 a 27).
I suddetti criteri attengono ad interventi di edilizia scolastica già avviati e per i quali sono stati attribuiti spazi finanziari nell’anno 2016 ai sensi del D.P.C.M. 27 aprile 2016[119], ad interventi di nuova costruzione di edifici scolastici già avviati ed ad ulteriori tipologie di interventi il cui iter di realizzazione sia ancora da perfezionare;
Quanto agli interventi diversi dall’edilizia scolastica la procedura di concessione – sostanzialmente identica alla precedente – prevede che:
§ entro il termine del 20 gennaio di ciascun anno (20 febbraio per il 2017) gli enti locali comunicano gli spazi finanziari di cui necessitano per gli investimenti al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, fornendo, quanto alla quota di spazi non riferita all’edilizia scolastica le informazioni relative al fondo di cassa al 31 dicembre dell’anno precedente ed all’avanzo di amministrazione[120], al netto della quota accantonata del Fondo crediti di dubbia esigibilità, risultante dal rendiconto (o dal preconsuntivo) dell’anno precedente,
§ entro il 15 febbraio di ciascun anno (15 marzo nel 2017) con decreto del Ministero dell’economia è determinato l’ammontare dello spazio finanziario attribuito a ciascun ente locale tenendo conto dei seguenti criteri di ordine di priorità nell’assegnazione degli spazi: a) interventi di edilizia scolastica non soddisfatti dagli spazi finanziari concessi ai sensi dei commi da 25 a 27; b) investimenti finalizzati all’adeguamento sismico degli immobili; c) investimenti finalizzati alla prevenzione del rischio idrogeologico. Per queste ultime due tipologie, gli investimenti devono risultare finanziati con avanzo di amministrazione, per i quali gli enti dispongono del progetto e del cronoprogramma della spesa;
§ ferme restando le suddette priorità, in presenza di richieste che superino l’ammontare degli spazi disponibili, l’attribuzione è effettuata a favore degli enti che presentano la maggiore incidenza del fondo di cassa rispetto all’avanzo di amministrazione (commi 28-31).
Una procedura in buona parte analoga a quella ora illustrata per gli enti locali trova applicazione anche nei confronti delle regioni e province autonome di Trento e Bolzano, nei cui confronti il comma 33 assegna, anche in tal caso nell’ambito dei patti nazionali di cui s’è detto in precedenza, spazi finanziari nel limite complessivo di 500 milioni per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019.
Stabilito poi, al comma 34, che gli enti suddetti non possano richiedere spazi qualora le operazioni di investimento mediante il ricorso a risorse proprie, vale a dire con riferimento all’indebitamento e all’utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti, possano essere effettuate dagli enti medesimi nel rispetto del proprio equilibrio di bilancio – rinviandosi su tale aspetto al commento sul precedente comma 24 -, si dispone (comma 35) il termine annuale del 20 gennaio (20 febbraio nel 2017) per la comunicazione alla Ragioneria generale dello Stato degli spazi finanziari di cui necessitano, completa delle informazioni relative al fondo di cassa al 31 dicembre dell’anno precedente ed all’avanzo di amministrazione, al netto della quota accantonata del Fondo crediti di dubbia esigibilità, risultante dal rendiconto (o dal preconsuntivo) dell’anno precedente.
Entro il 15 febbraio di ogni anno (15 marzo nel 2017) con decreto del Ministero dell’economia vengono attribuiti gli spazi finanziari agli enti interessati, secondo il seguente ordine prioritario: a) investimenti finalizzati all’adeguamento antisismico degli immobili, e b) investimenti finalizzati alla prevenzione del rischio idrogeologico, in entrambi i casi finanziati con avanzo di amministrazione, per i quali gli enti dispongono del progetto e del cronoprogramma della spesa (commi 36 e 37).
Anche per le regioni e province autonome, come prima stabilito per gli enti locali, in presenza di richieste che superino l’ammontare degli spazi disponibili, l’attribuzione è effettuata a favore degli enti che presentano la maggiore incidenza del fondo di cassa rispetto all’avanzo di amministrazione (comma 38).
Gli ultimi tre commi dell’articolo 70 in esame recano norme di contenuto prevalentemente sanzionatorio che interessano la procedura di assegnazione degli spazi finanziari in esame, disponendo:
§ che alle regioni e province autonome che non sanciscono l’intesa regionale disciplinata dal D.P.C.M. previsto dall’articolo 10, comma 5, della legge n. 243/2012 si applicano, nell’esercizio della mancata intesa, le sanzioni sul divieto di assunzione di personale previste alla lettera e) del comma 13 dell’articolo in esame, nonché sul limite all’assunzione di impegni per spese correnti di cui alla lettera c) dello stesso comma 13.
Si segnala che il D.P.C.M. suddetto (non ancora intervenuto), che dovrà disciplinare le modalità di attuazione dell’articolo 10 della legge 243, è da adottare “d’intesa con la Conferenza Unificata”[121] e non sembra pertanto prevedere espressamente una “intesa regionale”. Le intese regionali sono invece previste dal comma 3 del medesimo articolo, e per questo profilo, atteso che il decreto suddetto disciplinerà le modalità attuative dell’intero articolo, potrebbe rinvenirsi in ciò il riferimento all’intesa regionale recato dal comma 40 in commento. Sul punto appare necessario un chiarimento;
§ che qualora gli spazi finanziari concessi ai sensi delle intese e dei patti regionali o nazionali non siano totalmente utilizzati, l’ente territoriale non può beneficiare di spazi finanziari nell’esercizio successivo;
§ che ove l’ente territoriale beneficiario degli spazi finanziari non effettui la trasmissione delle informazioni richieste dal D.P.C.M. di cui sopra, lo stesso non può procedere ad assunzioni di personale ad alcun titolo.
Articolo 66, commi 1-8
(Recepimento dell’Accordo fra il Governo
e la Regione siciliana)
L’articolo 66, commi da 1 a 8, dà applicazione normativa ai contenuti dell’accordo tra il Governo e la Regione siciliana in materia finanziaria sottoscritto il 20 giugno 2016: è definito il saldo obiettivo ai fini del pareggio di bilancio (comma 1); sono disciplinate la verifica e le sanzioni in caso di inadempienza delle misure di riduzione della spesa regionale (commi 2-4); sono estese agli enti locali siciliani le norme sulla raccolta dei dati per la definizione dei fabbisogni standard (comma 5); è rideterminata la misura della compartecipazione regionale all’IRPEF per il 2017 e a decorrere dal 2018 (commi 6 e 7); è determinato in quota fissa quanto dovuto dalla Regione allo Stato per il regime IVA cd. “split payment” nel caso questo sia ancora in vigore nel 2018 (comma 8).
L’accordo del 20 giugno 2016 tra il Governo e la Regione siciliana ridefinisce i rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione al fine di superare lo stato di grave sofferenza finanziaria del bilancio regionale. I contenuti principali dell’accordo riguardano il concorso della regione agli obiettivi di finanza pubblica, le misure per la riduzione della spesa corrente regionale e la rideterminazione della misura della compartecipazione regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF). L’accordo, inoltre, risolve il contenzioso costituzionale pendente in materia finanziaria tra Stato e Regione.
Il comma 1 recepisce quanto stabilito dall’accordo sul concorso della regione siciliana agli obiettivi di finanza pubblica che, a partire dal 2016, segue le regole del pareggio di bilancio.
Secondo quanto stabilito dalla norma in esame la Regione, in relazione all’anno 2017, deve ottenere un saldo positivo non inferiore a 577,5 milioni di euro e a decorrere dal 2018, un saldo non negativo calcolato con le regole del pareggio di bilancio dettate dal comma 4 dell’articolo 65 del testo in esame.
Sull’applicazione del pareggio di bilancio alla Regione siciliana a decorrere dal 2016, l’accordo stabilisce che per gli esercizi 2016 e 2017 il saldo obiettivo dovrà essere pari rispettivamente a 227,88 e a 577,51 milioni di euro, al fine di bilanciare le maggiori entrate attribuite con l’accordo medesimo attraverso la ridefinizione della compartecipazione all'IRPEF (stabilita ora dal comma 6 delle norme in esame). A decorrere dal 2018, invece, la regione dovrà garantire il pareggio di bilancio inteso come saldo non negativo, in termini di competenza, tra entrate finali e spese finali. La disciplina del pareggio di bilancio si applica ovviamente nel suo complesso, compresa la disciplina sanzionatoria in caso di inadempienza e sostituisce la precedente normativa del concorso agli obiettivi di finanza pubblica della Regione siciliana, basata invece sul contenimento della spesa complessiva attraverso il patto di stabilità.
Si ricorda a riguardo che le regole del concorso agli obiettivi di finanza pubblica per la Regione siciliana, anche per quanto concerne la riduzione del debito pubblico, fino al 2015 è stata basata sul contenimento della spesa complessiva, espressa in competenza eurocompatibile. La disciplina generale è contenuta nella legge di stabilità 2013 (legge 228/2012, art. 1, comma 454) e gli obiettivi specifici del patto di stabilità sono determinati dall’art. 42, comma 5, del decreto legge 133/2014, che recepisce l’accordo del 9 giugno 2014 tra lo Stato e la Regione sul patto di stabilità 2013. Questa disciplina non è perciò più applicabile.
Si ricorda infine che l’articolo 11, comma 4 del decreto legge 113/2016 ha recepito i contenuti dell’accordo in relazione all’anno 2016 ed ha stabilito l’obiettivo richiesto alla Regione per il 2016, in un saldo positivo pari a 227,88 milioni di euro, calcolato secondo le regole del pareggio di bilancio.
I commi 2-4 riguardano le misure di riduzione della spesa regionale che la Regione si è impegnata a realizzare, nonché le procedure di verifica delle stesse e le eventuali sanzioni in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi.
Con il citato accordo (punti 2 e 3) la regione si è infatti impegnata ad attuare riduzioni strutturali della spesa corrente in misura non inferiore al 3 per cento annuo dal 2017 al 2020, attraverso provvedimenti legislativi e/o amministrativi di razionalizzazione delle spese concernente i servizi pubblici locali, il pubblico impiego regionale, la riorganizzazione della struttura amministrativa della regione, l’aggregazione e la centralizzazione delle committenze, la dirigenza pubblica, la semplificazione ed efficientemente del procedimento disciplinare (in caso specialmente di falsa presenza in servizio), la semplificazione del procedimento amministrativo e, in recepimento della legge 56/2014, la riduzione dei costi della politica e la riorganizzazione delle funzioni degli enti locali.
Con il comma 2 della norma in esame viene stabilito che la Regione provvede a realizzare misure di razionalizzazione della spesa corrente – attraverso la riduzione degli impegni di parte corrente - non inferiori al 3 per cento annuo, per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020. La norma specifica che nel caso in cui in un anno la riduzione sia maggiore, la parte eccedente può essere portata in diminuzione della riduzione dell’anno successivo; in ogni caso la riduzione non può essere inferiore al 2 per cento annuo. Come stabilito nell'accordo, la riduzione deve essere considerata al netto delle seguenti voci di spesa: la spesa sanitaria, le spese correttive e compensative relative a regolazioni contabili, il concorso della regione alla finanza pubblica e gli oneri per i rinnovi dei contratti collettivi nazionali per il pubblico impiego (nei limiti fissati dalla legge di bilancio).
Il comma 3 stabilisce che la riduzione della spesa è realizzata attraverso le misure di risparmio individuate nell'accordo (elencate a seguire). Il Ministero dell’economia e delle finanze provvederà a verificare annualmente, previa certificazione regionale, il rispetto dei saldi di bilancio richiesti alla regione (determinati nel comma 1) e sempre annualmente la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica provvederà a verificare il rispetto delle misure regionali elencate al punto 3 del predetto Accordo.
In particolare le misure di risparmio concordate sono le seguenti:
a) recepimento della legislazione nazionale concernente i servizi pubblici locali di interesse economico generale;
b) riduzione dei costi del pubblico impiego regionale;
c) riorganizzazione della struttura amministrativa della regione, il rafforzamento della gestione unitaria dei servizi strumentali
d) razionalizzazione dell'utilizzo degli spazi occupati dagli uffici pubblici;
e) riduzione dei centri di costo attraverso l’aggregazione e la centralizzazione delle committenze;
f) recepimento dei principi in materia di dirigenza pubblica;
g) semplificazione ed efficientemente del procedimento disciplinare (in caso specialmente di falsa presenza in servizio), attuazione di specifiche misure contro l'assenteismo dei pubblici dipendenti;
h) recepimento ed attuazione delle norme in materia di semplificazione del procedimento amministrativo;
i) completo recepimento della legge 56/2014 in tema, principalmente, di riduzione dei costi della politica, riorganizzazione delle funzioni degli enti locali, valorizzazione delle Città metropolitane e incentivazione alle unioni di comuni.
In caso di non raggiungimento dell’obiettivo annuale di risparmio, il comma 4 della norma in esame, come già concordato al punto 4 dell'accordo, dispone che il Ministero dell’economia e delle finanze sia autorizzato a trattenere il corrispettivo importo a valere sulle somme a qualsiasi titolo spettanti alla regione.
Il comma 5 riguarda l’estensione agli enti locali della Regione siciliana delle disposizioni relative alla raccolta dei dati inerenti al processo di definizione dei fabbisogni standard (procedimento disciplinato dagli artt. 4 e 5 del D.Lgs. n. 216/2010).
La norma in esame stabilisce che la regione ha
l'obbligo di porre in essere le azioni necessarie affinché gli enti locali
della regione si prestino alle rilevazioni in materia
di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard effettuate dalla SOSE
S.p.A., anche ai sensi di quanto stabilito dall'art. 8 della legge regionale
siciliana n. 9 del 2015 che prevede appunto la determinazione, da parte
regionale e con il concorso delle autonomie locali, dei fabbisogni standard di
comuni e dei liberi Consorzi comunali relativamente alle funzioni fondamentali
degli stessi enti.
L'obbligo della regione è stabilito dalla norma nelle more della definizione delle procedure di determinazione dei fabbisogni standard secondo le modalità ‘pattizie’ previste dall’art. 27 della legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale (e richiamate dall’art. 31, comma 3 del D.Lgs. 68/2011).
Si ricorda che il D.Lgs. 68/2011 in attuazione della delega sul federalismo fiscale conferita al Governo dalla legge 42/2009, ha dettato norme in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. L’articolo 31, comma 3, stabilisce che, con le procedure ‘pattizie’ previste dall'articolo 27, della legge 42/2009 (vale a dire in accordo con ciascuna autonomia), è estesa agli enti locali delle regioni a statuto speciale l'applicazione delle disposizioni relative alla raccolta dei dati, inerenti al processo di definizione dei fabbisogni standard (disciplinato dagli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n. 216 del 2010), da far confluire nelle banche dati informative.
I commi 6 e 7 recepiscono quanto concordato in materia di determinazione della misura della compartecipazione regionale all’imposta sul reddito della persone fisiche (IRPEF) spettante alla Regione siciliana, in relazione all’anno 2017 e, a regime, a decorrere dal 2018.
Con l'accordo del 20 giugno 2016, le parti hanno convenuto che il gettito dell’IRPEF di spettanza regionale venga calcolato sulla base del ‘maturato’ e non del riscosso come avvenuto fino ad oggi. La differenza sostanziale delle due modalità di calcolo fa sì che la misura della compartecipazione possa essere rideterminata a ribasso rispetto ai 10 decimi attualmente spettanti e portare comunque alla regione un maggiore introito. La quota della compartecipazione è così fissata in 5,62 decimi per il 2016, 6,74 decimi per il 2017 e 7,10 decimi a decorrere dal 2018. Le parti si sono impegnate inoltre a considerare la possibilità di una revisione di quanto concordato entro il 31 dicembre 2018, secondo le procedure pattizie stabilite dall’articolo 43 dello statuto. Con le medesime procedure, la Commissione paritetica Stato-Regione, provvede comunque ad apportare le modifiche necessarie alle norme di attuazione che disciplinano le compartecipazioni ai tributi erariali.
Si ricorda che l’ordinamento finanziario della Regione siciliana è contenuto, oltre che agli articoli 32-41 dello statuto (R.D.Lgs. n. 455/1946), principalmente nelle norme di attuazione dello statuto adottate con D.P.R. n. 1074/1965.
Ai sensi della disciplina vigente è attribuito alla Regione siciliana il gettito di tutti i tributi erariali riscossi nell'ambito del suo territorio, ad eccezione delle imposte di produzione (ora, accise) e dei proventi del monopolio dei tabacchi e del lotto.
Per la Regione siciliana la modifica delle norme di attuazione, anche in materia finanziaria, non può che avvenire con la procedura ‘ordinaria’, secondo quanto stabilisce lo statuto (articolo 43) attraverso l’adozione di atti – ora decreti legislativi – che si formano completamente al di fuori del Parlamento, sulla base del testo predisposto dalla Commissione paritetica Stato-Regione.
Nello statuto siciliano, infatti, non è prevista la possibilità – presente invece negli statuti delle altre autonomie speciali – di apportare modifiche alle norme statutarie concernenti la finanza regionale con legge ordinaria (su proposta del Governo, della Regione e di ciascun parlamentare), in 'accordo' con la regione interessata.
Nelle more dell’adozione delle norme di attuazione, il Governo si è impegnato a dare attuazione alle modifiche della misura del gettito IRPEF spettante alla regione a partire dall’esercizio finanziario 2016, attraverso provvedimenti normativi.
Per il 2016, è infatti intervenuto l’articolo 11, commi 1-3, del decreto legge n. 113/2016, che attribuisce alla Regione siciliana, a titolo di acconto sulla compartecipazione da attribuire alla Regione per l’anno 2016, una somma di circa 500 milioni di euro, corrispondenti ai 5,61 decimi dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), al netto di quanto già attribuito (comma 1). Oltre a provvedere alla copertura in termini di saldo netto da finanziare (comma 2), la norma detta disposizioni per assicurare la neutralità finanziaria – in riferimento alle pubbliche amministrazioni – sia in termini di fabbisogno (comma 3), sia in termini di indebitamento netto (comma 4).
Il comma 6 in esame provvede ora ad attribuire alla Regione, un importo pari a 6,74 decimi per l’anno 2017 e pari a 7,10 decimi a decorrere dall’anno 2018 dell'IRPEF, determinata con riferimento al gettito maturato nel territorio regionale. La norma precisa che quanto stabilito è il contenuto della norma di attuazione approvata dalla Commissione paritetica il 3 ottobre 2016.
Il comma 7 autorizza il Ministero dell’economia e delle finanze ad effettuare, con proprio decreto, le conseguenti variazioni di bilancio.
La relazione tecnica elenca le voci che compongono la quota IRPEF di spettanza regionale, secondo la nuova modalità di calcolo:
§ imposta netta risultante dalle dichiarazioni dei redditi e dei sostituti di imposta, nonché dalle dichiarazioni sostitutive presentate dai contribuenti con domicilio fiscale nel territorio regionale;
§ imposta sui redditi a tassazione separata delle persone fisiche con domicilio fiscale nel territorio regionale;
§ somme riscosse a seguito delle attività di accertamento e controllo effettuate dalle amministrazioni finanziarie statali e regionali nei confronti dei contribuenti con domicilio fiscale nel territorio regionale.
Secondo i dati esposti nella relazione tecnica, le aliquote fissate dalle norme in esame, calcolate secondo la nuova modalità, comportano un incremento della compartecipazione della regione pari a 1.400 milioni di euro per il 2017 e circa 1.685 milioni di euro a decorrere dal 2018, con corrispondenti oneri in termini di fabbisogno e di indebitamento netto. Per quanto concerne l’indebitamento netto, gli effetti negativi della variazione dell’aliquota, sono compensati dal saldo richiesto alla regione ai fini del pareggio di bilancio (e stabilito dal comma 1 della norma in esame): un saldo positivo pari a 577,512 milioni di euro per il 2017 e un saldo non negativo a decorrere dal 2018.
Il comma 8 recepisce quanto stabilito dall’accordo in merito ad un regime particolare di versamento dell’imposta sul valore aggiunto, imposta erariale per la quale alla Regione siciliana, secondo quanto stabilito dalle norme statutarie (D.P.R. n. 1074/1965), spetta l’intero gettito riscosso nel territorio regionale.
In riferimento al regime particolare di versamento dell’IVA per le operazioni effettuate nei confronti della P.A. denominato split payment, viene stabilito che a decorrere dal 2018 – qualora sia ancora in vigore tale regime - la Regione è tenuta a versare al bilancio dello Stato la somma di 285 milioni di euro annui. La norma precisa che il versamento deve avvenire entro il 30 ottobre di ciascun anno. In sostanza viene predeterminato in quota fissa quanto dovuto dalla Regione allo Stato. In caso di mancato versamento, il Ministero dell’economia e delle finanze è autorizzato a trattenere l’importo corrispondente a valere sulle somme a qualsiasi titolo spettanti alla Regione.
Il meccanismo della scissione dei pagamenti dell’imposta sul valore aggiunto, split payment, è una speciale modalità di versamento IVA per le operazioni effettuate nei confronti di enti pubblici che non risultano debitori d’imposta che è stato introdotto dalla legge di stabilità 2015 (comma 629, lettera b), L. 190/2014) ed è in vigore dal 1° gennaio 2015. Tale meccanismo prevede che al fornitore del bene o del servizio viene erogato il solo importo del corrispettivo pagato dalla P.A., al netto dell’IVA indicata in fattura; l’imposta è quindi sottratta alla disponibilità del fornitore e acquisita direttamente dall’Erario.
Articolo 66, commi 9 e 10
(Regione Valle d’Aosta)
L’articolo 66, con il comma 9, disapplica, nei confronti della Regione Valle d’Aosta, le norme sul concorso alla riduzione del fabbisogno sanitario attraverso accantonamenti da parte dello Stato di quote dei tributi erariali spettanti alla regione; sono perciò restituite le somme trattenute dallo Stato, per gli anni dal 2012 al 2015. Con il comma 10 è attribuito alla Regione l'importo complessivo di 448,8 milioni di euro a compensazione definitiva della perdita di gettito subita dalla Regione in conseguenza della diversa determinazione dell’accisa sull’energia elettrica e sugli alcolici.
In particolare, il comma 9 stabilisce la restituzione alla Regione Valle d'Aosta delle somme che lo Stato aveva trattenuto a titolo di concorso della Regione stessa alla riduzione del fabbisogno sanitario per gli anni dal 2012 al 2015 secondo quanto stabilito dall’articolo 15, comma 22, del decreto-legge 95/2012 e dall’articolo 1, comma 132, della legge 228/2012. La norma stabilisce altresì la non applicazione degli accantonamenti previsti dalla suddetta normativa a decorrere dall’anno 2017.
Le norme citate hanno stabilito una riduzione del fabbisogno del servizio sanitario nazionale e del correlato finanziamento, previsto dalla legislazione vigente. In particolare l'articolo 15, comma 22, del decreto legge 95/2012 ha stabilito una riduzione di 900 milioni di euro per l'anno 2012, di 1.800 milioni per l'anno 2013, di 2.000 milioni per l'anno 2014 e 2.100 milioni a decorrere dall'anno 2015. L'articolo 1, comma 132, della legge 228/2012 stabilisce una ulteriore riduzione di 600 milioni di euro per l'anno 2013 e di 1.000 milioni a decorrere dal 2014. I tagli suddetti sono stati poi ripartiti tra le Regioni e le Province autonome con Intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.
Al riguardo, si rammenta che il finanziamento del Servizio sanitario nazionale è calcolato su base nazionale, in quanto destinato a funzioni soggette al rispetto dei livelli essenziali di assistenza. Per tale motivo anche le Regioni a statuto speciale (tranne la Sicilia) e le Province autonome che finanziano la sanità con risorse provenienti interamente dal proprio bilancio e senza alcun onere a carico dello Stato, sono tenute a realizzare la propria quota di risparmio. Stante il diverso regime di finanziamento della sanità, a fronte di una riduzione del finanziamento erariale per il comparto delle Regioni a statuto ordinario, le modalità del contributo alla riduzione del finanziamento della sanità delle autonomie speciali deve essere stabilito con le procedure pattizie previste dagli statuti, vale a dire con singoli accordi tra lo Stato e ciascuna autonomia.
Entrambe le norme citate hanno stabilito che, in attesa delle definizione delle procedure pattizie o degli accordi, l'importo del concorso alla riduzione del fabbisogno sanitario, è annualmente accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.
La regione Valle d'Aosta, che finanzia interamente il Servizio sanitario nazionale nel suo territorio senza oneri a carico del bilancio dello Stato (ai sensi dell’articolo 34, comma 3 della legge n. 724/1994), ha impugnato le suddette norme e con sentenza n. 125 del 2015 la Corte costituzionale ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale nella parte in cui si applicano alla Regione Valle d'Aosta, per violazione del principio di leale collaborazione, in quanto le norme incidono in modo unilaterale nell'ordinamento finanziario della Regione.
La Corte censura le norme che consentono la realizzazione del concorso alla riduzione del fabbisogno sanitario, attraverso gli accantonamenti a valere sulle quote di tributi erariali, in quanto configurano una modifica unilaterale all’ordinamento finanziario della regione. Nel caso in esame, inoltre, non può nemmeno essere invocata la potestà legislativa statale in materia di coordinamento della finanza pubblica in quanto «lo Stato, quando non concorre al finanziamento della spesa sanitaria, “neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario” (sentenza n. 341 del 2009)» (sentenza n. 133 del 2010; nello stesso senso, successivamente, sentenze n. 115 e n. 187 del 2012). » Secondo la Corte il meccanismo dell'accantonamento «costituisce una mera riallocazione di risorse all’interno del bilancio consolidato delle pubbliche amministrazioni: infatti alla riduzione complessiva del fabbisogno del Servizio sanitario nazionale le autonomie speciali – ad esclusione della Regione siciliana – partecipano […] attraverso un conferimento di risorse, mentre le Regioni a statuto ordinario e la stessa Regione siciliana subiscono, per effetto della stessa norma, la riduzione pro quota del finanziamento attinto dal bilancio dello Stato mediante il tradizionale trasferimento di fondi » (Considerato in diritto, punto 5.1.).
La relazione tecnica allegata al disegno di legge in esame quantifica gli effetti negativi sui saldi di finanza pubblica pari a 26,638 milioni di euro per l'anno 2017 e 6,602 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018.
Il comma 10 provvede a compensare definitivamente la Regione Valle d’Aosta della perdita di gettito subita dalla Regione negli anni 2011-2014 causata dalla diversa determinazione dell’accisa sull’energia elettrica e sugli alcolici (imposte che spettano alla regione rispettivamente per l’intero gettito e per i 9 decimi). L’Accordo sottoscritto il 21 luglio 2015 tra il Governo e la Regione ha, tra l’altro, definito i rapporti finanziari pendenti dovuti alla perdita di gettito.
In attuazione di tale accordo, è attribuito alla regione l’importo complessivo di 448,8 milioni di euro, che verrà corrisposto con le seguenti modalità:
§ 74,8 milioni di euro per l’anno 2017;
§ 65,8 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2022;
§ 45 milioni di euro per l’anno 2023.
A parziale compensazione della perdita di gettito e sempre in attuazione dell’Accordo del 21 luglio 2015, sono state attribuite alla Regione le seguente somme:
§ 50 milioni di euro per l’anno 2016, attribuiti con il comma 686 della legge di stabilità 2016 (L. 208/2015);
§ 70 milioni di euro, attribuiti dall’art. 12 del decreto legge 113/2016.
Si rammenta che la accisa sull'energia elettrica spetta alla regione per l'intero gettito, mentre l’accisa sugli alcolici, spetta per i nove decimi. La misura delle due compartecipazioni è stabilita, insieme a tutti gli altri tributi erariali spettanti alla Regione, all'articolo 4 della legge n. 690 del 1981, recante le norme principali dell'ordinamento finanziario della Regione Valle d'Aosta. Si ricorda, infine, che i tributi erariali nel caso della Regione Valle d'Aosta sono ancora riscossi dallo Stato che provvede poi a ‘devolvere’ alla regione la quota spettante.
Si ricorda inoltre che il citato accordo riguarda la definizione del patto di stabilità interno per il 2014 e 2015 per la regione e gli enti locali del suo territorio e la definizione dei rapporti finanziari concernenti il subentro della regione allo Stato nei rapporti attivi e passivi con Trenitalia S.p.A. per i servizi di trasporto ferroviari locali in ambito regionale, nonché la definizione dei contenziosi pendenti tra Stato e Regione.
I contenuti principali dell’accordo sono stati recepiti dall’art. 8-bis del D.L. n. 78/2015 che, tra l’altro, stabilisce un trasferimento alla Regione di 120 milioni di euro per il 2015 erogato sia – senza che però la norma ne determini le rispettive suddivisioni – in relazione al subentro della regione allo Stato nella gestione del servizio ferroviario regionale sia a ristoro della perdita di gettito subita dalla regione a seguito delle modifiche alle accise sull'energia elettrica e sugli alcolici.
La quota parte dell’importo di 120 milioni è aggiuntiva rispetto a quanto già stabilito dalla legge di stabilità 2015 (legge 190/2014 articolo 1, comma 525) che ha disposto un trasferimento di 70 milioni annui, a decorrere dal 2015, per la perdita di gettito derivante dalle modifiche alle accise predette.
L’articolo 7 dell’accordo rinviava ad altra intesa la regolazione definitiva della perdita di gettito subita dalla Regione in conseguenza della rideterminazione delle suddette accise per il periodo 2011-2014.
Articolo 66, commi 11 e 12
(Regione Friuli-Venezia Giulia)
L’articolo 66, commi 11 e 12, stabilisce la necessità dell’intesa per la quantificazione delle spettanze della Regione Friuli-Venezia Giulia (per i comuni del proprio territorio) e dello Stato in relazione alle variazioni di gettito conseguenti le modifiche dell’imposizione locale immobiliare (IMU), sia in relazione agli anni 2012-2015, per i quali lo Stato ha già operato l’accantonamento di somme (comma11), sia per gli anni 2016-2020, per i quali occorre concordare misure alternative all’accantonamento. Nelle more della definizione dell’intesa, inoltre, quantifica ‘provvisoriamente’ e ‘salvo conguaglio’ le spettanze dello Stato in 72 milioni di euro annui (comma 12).
Il comma 11 stabilisce che il Ministero dell’economia e delle finanze e la regione Friuli-Venezia Giulia sono tenuti a raggiungere un’intesa - entro il 30 giugno 2017 – con la quale verificare e definire la misura degli accantonamenti effettuati dallo Stato per gli anni dal 2012 al 2015 in ragione del maggior gettito risultante dalle modifiche apportate alla fiscalità territoriale (IMU) rispetto all’anno 2010, secondo quanto stabilito dalla legge di stabilità 2014 (articolo 1, commi 711, 712 e 729).
Le citate norme della legge di stabilità 2014, riguardano la determinazione delle spettanze della Regione (per i comuni del proprio territorio) e dello Stato in relazione alle variazioni di gettito conseguenti le modifiche intervenute nella fiscalità territoriale, in particolare nella imposizione locale immobiliare (IMU). Si tratta in sostanza della determinazione dell'accantonamento a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali spettanti alla regione, stabilito prima dal comma 17 dell'art. 13 DL 201/2011 e confermato dal comma 729 della legge 147/2013, che lo Stato opera nei confronti della regione Friuli-Venezia Giulia per il presunto maggior gettito risultante dalle modifiche apportate alla fiscalità territoriale.
Si ricorda in premessa che la regione Friuli-Venezia Giulia (come anche la regione Valle d’Aosta e le Province autonome di Trento e di Bolzano) ha competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, secondo quanto disposto dallo statuto. La competenza riguarda tutti gli aspetti dell'ordinamento - circoscrizioni territoriali, conferimento di funzioni, sistema elettorale - ed anche la finanza locale. Una specifica norma di attuazione dello statuto (D.Lgs. 9/1997), ha disciplinato la finanza locale nel senso che è la regione a provvedere interamente alla finanza degli enti locali del proprio territorio con risorse del proprio bilancio e senza alcun onere da parte dello Stato.
Per i Comuni ubicati nel territorio delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome che provvedono alla finanza locale con risorse del proprio bilancio, l’art. 13, comma 17, del decreto legge 201/2011 ha previsto che l’acquisizione al bilancio dello Stato del maggior gettito stimato dell’IMU avvenga attraverso le procedure ‘pattizie’ previste dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, e che fino all’emanazione delle norme di attuazione richiamate dal citato art. 27, un importo pari a detto maggior gettito venga accantonato a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Successivamente l’art. 1, comma 729, della legge n. 147 del 2013 ha di fatto consolidato la prescrizione del citato art. 13, comma 17, nei territori delle citate autonomie speciali.
Le norme contenute ai commi 711 e 712 riguardano anch'esse la determinazione del suddetto accantonamento. Il comma 711 stabilisce la diminuzione dell'accantonamento per compensare il minor gettito derivante dalle agevolazioni concernenti l'IMU in materia di terreni agricoli e fabbricati rurali, per un importo complessivo pari a 5,8 milioni di euro, in relazione ai comuni delle Regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle Province autonome di Trento e di Bolzano. Il comma 712, sempre ai fini della determinazione del suddetto accantonamento, stabilisce che non si tiene conto del minor gettito da imposta municipale propria derivante dalle modifiche introdotte dalla legge di stabilità 2014.
A seguito del ricorso delle regione Friuli Venezia Giulia, la Corte costituzionale con sentenza n. 188 del 2016 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dei commi 711, 712 e 729 della legge 147/2013 nella parte in cui si applicano alla Regione Friuli-Venezia Giulia. Le norme sono dichiarate illegittime in quanto contrastano con i principi statutari della necessità dell'accordo e del contradditorio con la regione per le modifiche concernenti le entrate erariali della regione, nonché con il principio di leale collaborazione.
Le norme censurate, sostiene la Corte, non rispondono ai requisiti che renderebbero legittimo l’accantonamento: non configurano l'accantonamento come istituto provvisorio suscettibile di rideterminazione; non è stato rispettato il principio di neutralità degli effetti della riforma nell'ambito delle relazioni finanziarie tra Stato e Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia; non è prevista l'ostensibilità dei dati analitici di composizione del gettito, necessari per compiere le operazioni di conguaglio, stabilizzare e mettere a regime le entrate fiscali della Regione e dei propri enti locali.
Quanto agli effetti dalla pronuncia di illegittimità costituzionale la stessa Corte afferma che l’accantonamento, in base al principio dell'equilibrio dinamico del bilancio, «verrà meno a far data dalla pubblicazione della sentenza, fermo restando tuttavia che per i decorsi esercizi gli accantonamenti effettuati in via preventiva dovranno essere conciliati con i dati del gettito fiscale accertato, restituendo alla Regione ricorrente le somme trattenute in eccedenza».
Lo Stato dovrà perciò procedere, «in contraddittorio con la Regione, alle necessarie compensazioni per il periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del primo accantonamento (esercizio 2012), assicurandone la relativa copertura finanziaria nell'esercizio di effettuazione di tale compensazione».
Con la prescritta intesa, stabilisce il comma 12, dovranno essere determinate anche le modalità alternative di concorso della regione Friuli Venezia Giulia per gli anni dal 2016 al 2020, vale a dire gli anni per i quali non è stato operato l’accantonamento a seguito della citata sentenza della Corte costituzionale.
La norma quantifica ‘provvisoriamente’ e ‘salvo conguaglio’ il maggior gettito comunale connesso alle modifiche intervenute rispetto all’anno 2010 in materia di imposizione locale immobiliare in 72 milioni di euro annui e stabilisce che, nelle more della definizione dell’intesa, il Ministero dell’economia e delle finanze è autorizzato a recuperare tale somma con corrispondente riduzione delle somme a qualsiasi titolo spettanti alla Regione.
I commi da 13 a 15 dell’articolo 66 intervengono sugli oneri posti a carico della regione Piemonte nei confronti della gestione commissariale istituita dalla legge di stabilità 2015 per il pagamento dei debiti pregressi della regione medesima, ridefinendo in diminuzione il profilo complessivo dell’onere per riallinearlo alla effettiva misura dello stesso che si è andata nel frattempo determinando.
I commi in esame intervengono sulle misure recate dai commi da 452 a 458 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2015 (L. n. 190/2014) che in riferimento alla situazione di criticità finanziaria della Regione Piemonte hanno disposto l’istituzione di un Commissario straordinario del Governo per il tempestivo pagamento dei debiti pregressi della regione, e la contestuale apertura di una apposita contabilità speciale.
Si tratta di situazione che, in breve sintesi, deriva da una delibera della Corte dei conti (n. 237 del 10 ottobre 2014) di parifica solo parziale del rendiconto 2013 della Regione con contestuale impugnazione presso la Corte costituzionale delle leggi regionali n. 16 e 19 del 2013, con le quali la regione medesima ha utilizzato, come fonti di finanziamento del pregresso disavanzo d’amministrazione e di alcune nuove spese in materia sanitaria, le risorse messe a disposizione dallo Stato: risorse attivate con quattro specifici contratti intercorsi con il Ministero dell’economia, per il pagamento dei debiti pregressi delle amministrazioni pubbliche ai sensi del decreto-legge n. 35/2015, ed ammontanti complessivamente a circa 2,55 miliardi. In esito all’impugnazione del giudice contabile, la Corte costituzionale con sentenza n. 181 del 2015 ha sancito l’illegittimità costituzionale delle leggi regionali in questione
In presenza di tale situazione, i commi 452-455 della L. n. 190/2014, oltre alla istituzione dell’organo straordinario, hanno disposto che lo stesso assuma, con bilancio separato da quello regionale: a) i debiti commerciali della regione al 31 dicembre 2013, destinati ad essere pagati con le risorse ancora non erogate, per un importo non superiore alle risorse assegnate alla regione medesima a valere sul "Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili", istituito dall'articolo 1, comma 10 del suddetto decreto-legge n. 35 per il pagamento dei debiti delle regioni e degli enti del Servizio sanitario nazionale; b) il debito contratto per l’acquisizione, nei confronti del bilancio statale, delle anticipazioni di liquidità per far fronte ai pagamenti dei debiti di cui sopra, diversi da quelli sanitari, nonché, eventualmente, anche quello contratto per il pagamento dei debiti sanitari.
Per procedere al pagamento dei debiti in tal modo posti a carico della gestione il Commissario straordinario viene quindi autorizzato a contrarre – con ammortamento sulla gestione medesima - le anticipazioni di liquidità già assegnate alla regione dallo Stato ma non ancora erogate.
Per il concorso
agli oneri della gestione la Regione
ha costituito un apposito fondo di spesa corrente (comma 456, primo
periodo) dotato di 56 milioni nel
2015 e di 126 milioni annui dal 2016
al 2045. Come precisato
espressamente in tale comma, le relative risorse derivano dagli effetti
positivi sul disavanzo regionale derivanti dal trasferimento dei debiti alla
gestione commissariale. In caso di
assunzione anche dei debiti sanitari, tale fondo
è incrementato di 95 milioni nel 2015 e di 96,5 milioni annui dal 2016 al 2045
(comma 456 secondo periodo). Per far fronte al pagamento degli oneri
derivanti dall’incremento medesimo, il Commissario dovrà operare mediante variazione in aumento delle aliquote fiscali regionali.
Il fondo in questione ammonta pertanto complessivamente a 151 milioni nel 2015 e 222,5 milioni a decorrere dal 2016 fino al 2045. Tale ammontare è commisurato all’importo della rata presunta di ammortamento delle anticipazioni assunte dalla gestione commissariale.
Con riferimento a tali importi, il comma 13 in esame prevede la ridefinizione, in diminuzione, del complessivo ammontare del fondo in questione (annualità 2016 e seguenti), al fine di riallineare il contributo della Regione agli effettivi oneri di ammortamento delle anticipazioni di liquidità ricevute ai sensi degli articoli 2 e 3 del D.L. n. 35 del 2013 sopra citati. A tal fine il comma:
§ ingloba nel primo periodo del comma 456 gli importi previsti nel secondo periodo dello stesso – essendo pertanto intervenuta l’assunzione da parte del Commissario dei debiti sanitari, prevista come eventuale nella norma – che pertanto assommano ora a 151 milioni nel 2015 e 222,5 milioni a decorrere dal 2016;
§ diminuisce dai 222,5 milioni ora previsti a 218,3 milioni gli oneri per ciascuno degli anni dal 2017 al 2045, derivandone un onere annuo, precisa il comma 14, di 4,2 milioni per gli anni medesimi.
Ciò in quanto, secondo quanto osservato dalla relazione illustrativa della norma, tale contributo si è di fatto rivelato superiore all’effettivo importo delle rate di ammortamento delle anticipazioni di liquidità.
Per quanto concerne il comma 15, questo interviene sul comma 458, che attualmente prevede, al primo periodo, che la gestione commissariale termini quando risultino pagati tutti debiti posti a suo carico. A tale periodo viene aggiunta una ulteriore disposizione, prevendo che oltre ai debiti suddetti risulti pagata anche l’ultima rata di ammortamento di tutte le anticipazioni di liquidità (che, si rammenta, interverrà nel 2045).
Vengono inoltre aggiunti due ulteriori periodi nei quali si dispone che qualora, alla data del 31 dicembre 2016, residuino risorse sulla contabilità speciale intestata al Commissario straordinario derivanti dai contributi versati dalla Regione Piemonte allo stesso Commissario per il concorso agli oneri assunti dalla gestione commissariale, le risorse residue siano trasferite al bilancio della regione Piemonte. A valere sulle relative entrate, la regione deve conseguire un valore positivo del saldo di competenza di cui all’articolo 9 della legge n. 243/2012, anziché, come prevede tale articolo, un saldo “non negativo” (vale a dire di pareggio).
Articolo 66, commi 16-18
(Utilizzo di risorse residue per il
pagamento
di debiti contratti dalla PA)
L’articolo 66, commi 16-18, dispone che le Regioni che hanno ottenuto anticipazioni per il pagamento dei debiti pregressi maturati entro il 31 dicembre 2013 per importi superiori rispetto ai pagamenti effettivamente effettuati, possono utilizzare le risorse eccedenti per il pagamento dei debiti in essere alla data del 31 dicembre 2014 (comma 16). Le amministrazioni sono tenute a trasmettere formale certificazione dell’avvenuto pagamento dei debiti, nonché delle relative registrazioni contabili entro il 28 febbraio 2017 ad apposito Tavolo tecnico, già istituito presso il Ministero dell’economia (comma 17).
Le risorse, ricevute a titolo di anticipazione, non rendicontate entro il 31 marzo 2017, devono essere restituite allo Stato entro il successivo 30 giugno (comma 18).
Il comma 16 stabilisce che, qualora il pagamento dei debiti in essere alla data del 31 dicembre 2013 sia inferiore rispetto alle anticipazioni di liquidità ricevute a tal fine dalle Regioni che hanno attivato la procedura prevista dall’articolo 2 del decreto-legge n. 35, del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 64 del 2013, le risorse eccedenti possono essere utilizzate dalle medesime Regioni per il pagamento dei debiti in essere alla data del 31 dicembre 2014, secondo quanto disposto dall’articolo 8, comma 1, del decreto-legge n.78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n.125 del 2015. Quest’ultima disposizione specifica che, nell’ambito dei debiti per i quali è attivabile l’anticipo di liquidità, debbono essere considerati anche i debiti fuori bilancio formalmente riconosciuti come tali successivamente al 31 dicembre 2014, a condizione che entro tale data fossero in possesso dei requisiti per il riconoscimento in bilancio.
Né la relazione illustrativa al disegno di legge, né la relazione tecnica danno conto delle ragioni della mancata inclusione, fra i beneficiari della disposizione di cui al comma in commento, delle Province autonome, alle quali l’articolo 2 del decreto-legge n.35 del 2013 consente di accedere (alla stessa stregua delle Regioni ordinarie e delle Regioni a statuto speciale) alle anticipazioni per il pagamento dei debiti pregressi.
Si ricorda che
il decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 ("Disposizioni urgenti per il
pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il
riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di
versamento di tributi degli enti locali"), collegato alla manovra
finanziaria per il 2013, rappresenta il principale strumento con cui il Governo
ha inteso affrontare il fenomeno dei ritardi nei pagamenti dei debiti scaduti della
pubblica amministrazione. Il provvedimento istituisce un Fondo (denominato
“Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed
esigibili”, ai sensi dell’art.1, comma 10, del decreto-legge n.35 del 2013 –
d’ora innanzi “Fondo anticipazione liquidità”), articolato in tre sezioni
(riguardanti debiti, rispettivamente, di: enti locali, Regioni ad eccezione dei
debiti sanitari; enti del servizio sanitario nazionale) e finalizzato a
concedere anticipazioni alle amministrazioni territoriali per il pagamento dei
debiti in essere alla data del 31 dicembre 2012. Appare opportuno segnalare che
sulla disciplina si sono registrati successivi interventi volti a rifinanziare detto
Fondo e ad ampliare la tipologia di debiti rimborsabili. In proposito, si
vedano in particolare il decreto-legge n.102 del 2013, il decreto-legge n.66
del 2014 e il decreto-legge n.78 del 2015.
Secondo
quanto riportato nel sito internet del
Ministero dell’economia e delle finanze riguardo ai debiti maturati entro il 31
dicembre 2013, le Regioni e le Province autonome hanno avuto a disposizione
risorse pari a 27.187 milioni di euro (rispetto ad uno stanziamento complessivo
di 33.189 milioni), con cui sono stati soddisfatti crediti per un importo pari
a 23.312 milioni.
Ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge n.35 del 2013, le regioni e le province autonome che non sono in grado di far fronte ai pagamenti dei debiti in essere al 31 dicembre 2012, diversi dai debiti degli enti del servizio sanitario nazionale (che sono disciplinati all’articolo 3), chiedono al Ministero dell'economia e delle finanze, entro il 30 aprile 2013, l'anticipazione di somme da destinare al pagamento della richiamata tipologia di debito, a valere sulle risorse della relativa sezione del citato Fondo.
L’articolo 8, comma 1, del decreto-legge n.78 del 2015 (“Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali”), nell’ambito della finalità di favorire il rispetto dei tempi di pagamento dei debiti contratti dalla pubblica amministrazione, incrementa le risorse della sezione del Fondo anticipazione liquidità riguardante i debiti di regioni e province autonome diversi da quelli sanitari, per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro, al fine di far fronte ai pagamenti da parte dei medesimi enti territoriali dei debiti in essere alla data del 31 dicembre 2014, nonché dei debiti fuori bilancio che presentavano i requisiti per il riconoscimento alla data del 31 dicembre 2014, anche se riconosciuti in bilancio in data successiva.
L’articolo 8 dispone altresì che per le predette finalità sono utilizzate le somme iscritte in conto residui delle rimanenti sezioni del citato Fondo, rispettivamente per 108 milioni di euro della sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti degli enti locali e per 1.892 milioni di euro della sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti degli enti del Servizio Sanitario Nazionale. Inoltre, il predetto importo è ulteriormente incrementabile delle ulteriori eventuali risorse disponibili ed inutilizzate della sezione del Fondo da ultimo richiamata (ovvero quella destinata ai debiti degli enti del Servizio Sanitario Nazionale).
Ai sensi del comma 17, le amministrazioni interessate sono tenute a fornire - entro il 28 febbraio 2017 - formale certificazione dell’avvenuto pagamento dei rispettivi debiti di cui al comma 16 (pertanto dei debiti in essere alla data del 31 dicembre 2014, inclusi i debiti fuori bilancio con i requisiti per il riconoscimento entro la medesima data, sebbene riconosciuti in bilancio solo successivamente), nonché delle relative registrazioni contabili al Tavolo tecnico, istituito ai sensi dell’art.2, comma 4, del citato decreto-legge n. 35 del 2013.
L’articolo 2, comma 4, del decreto-legge n.35 del 2013 istituisce un organismo (denominato “Tavolo”) presso il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato al quale è attribuita la funzione di verifica degli adempimenti cui è subordinata l’anticipazione delle somme del Fondo anticipazione liquidità. Questi ultimi sono contemplati al comma 4 del medesimo articolo 4. Al Tavolo spetta, in breve, verificare:
§ l’idoneità e la congruità delle misure, predisposte dalle regioni, per la copertura annuale del rimborso dell'anticipazione di liquidità (inclusivo degli interessi);
§ l’avvenuta presentazione di un piano di pagamento dei debiti in essere alla data del 31 dicembre 2012 (comprensivi di interessi dovuti);
§ l’avvenuta sottoscrizione di apposito contratto tra il Dipartimento del Tesoro e la regione interessata, recante modalità di erogazione e di restituzione delle somme (secondo un criterio che preveda una durata non superiore a 30 anni e il riconoscimento di interessi per gli importi oggetto di anticipazione), nonché modalità di recupero e interessi moratori nel caso in cui la regione non adempia nei termini prescritti al versamento delle rate di ammortamento.
Il predetto Tavolo è coordinato dal Ragioniere generale dello Stato ed è composto dal Capo Dipartimento degli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Direttore generale del Dipartimento del Tesoro, dal Segretario della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, dal Segretario della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome. Ciascuno dei componenti può essere sostituito da un delegato.
Rispetto
alla disciplina vigente (articolo 2, comma 5, del decreto-legge n.35 del 2013)
che già poneva in capo all’amministrazione interessata un obbligo di fornire
formale certificazione al Tavolo dell’avvenuto pagamento e dell’effettuazione
delle relative registrazioni contabili, il comma 17 in commento pone un termine
entro cui deve essere effettuato analogo adempimento riferito al pagamento dei debiti
maturati entro il 31 dicembre 2014.
Il comma 18 stabilisce che le somme
ricevute a titolo di anticipazione di liquidità per il pagamento dei debiti in
essere alle date del 31 dicembre 2013 e del 31 dicembre 2014 debbano essere rendicontate
entro il 31 marzo 2017 e che in caso di mancata ottemperanza a tale obbligo
esse “costituiscono oggetto di estinzione anticipata entro la data del 30
giugno 2017, da parte delle regioni e province autonome”.
Il
comma introduce un termine entro cui le amministrazioni territoriali che
richiedono anticipazioni di liquidità per il pagamento dei debiti pregressi sono
tenute ad adempiere all’obbligo di rendicontazione degli impieghi delle
anticipazioni stesse. Come conseguenza della mancata rendicontazione, si
determina un obbligo da parte delle amministrazioni interessate al rimborso
delle anticipazioni ottenute (per la parte non rendicontata) entro il 30 giugno
2017, con un anticipo della scadenza prevista dal contratto fra il Dipartimento
del Tesoro e le medesime amministrazioni (sottoscritto ai sensi dell’articolo
2, comma 3, lettera c)). Occorre in
proposito rammentare che la disposizione in commento appare in linea con quanto
previsto ai sensi dell’articolo 2, comma 5, secondo cui le risorse ottenute a
titolo di anticipazione devono essere, all’atto di erogazione delle stesse,
destinate all’immediata estinzione dei debiti recati nel piano di pagamento
definito dall’ente interessato.
Articolo 66, commi 19 e 20
(Estensione al 2020 del concorso alla
finanza pubblica delle Regioni)
L’articolo 66, commi 19-20, estende al 2020 i due contributi alla finanza pubblica già previsti sino al 2019, uno a carico delle Regioni a statuto ordinario (comma 19) e l’altro a carico dell’intero comparto delle Regioni (incluse le Regioni a statuto speciale) e delle Province autonome; viene inoltre prevista un’integrazione della disciplina relativa alla definizione degli ambiti di spesa e degli importi a carico di ciascun ente territoriale (comma 20).
Il comma 19 protrae al 2020 il periodo
temporale di vigenza dell’obbligo per le regioni
a statuto ordinario - recato all’articolo 46, comma 6, primo e terzo
periodo, del decreto-legge n.66 del 2014) - di assicurare un contributo alla
finanza pubblica.
Ai
sensi dell’articolo 46, comma 6, primo comma, del decreto-legge n.66 del
2014, le regioni a statuto ordinario
sono tenute ad assicurare un contributo alla finanza pubblica pari a 500
milioni di euro per l'anno 2014 e di 750 milioni di euro per ciascuno degli
anni dal 2015 al 2019 (con il comma 19 in commento il termine è esteso al
2020).
Il medesimo art.
46, comma 6, demanda la definizione degli ambiti di spesa e degli importi di ciascuna
regione alle regioni medesime – in sede di auto coordinamento – , che formulano
a tal fine una proposta da recepire con intesa che la Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano è chiamata a sancire entro il 31 maggio 2014, con riferimento all'anno
2014, ed entro il 30 settembre 2014, con riferimento agli anni 2015 e seguenti.
Per gli anni dal
2016 al 2019 si stabilisce che detta intesa debba essere sancita entro il 31
gennaio di ciascun anno (si veda il combinato disposto dei commi 680 e 682
dell’art.1 della legge n.208 del 2015).
Considerato che il comma 19 estende al 2020
il periodo di vigenza dell’obbligo di assicurare un contributo alla finanza
pubblica (ai sensi dell’articolo 46, comma 6, periodi primo e terzo), si
potrebbe valutare in proposito la possibilità di estendere al 2020 l’ambito di
applicabilità del combinato disposto di cui all’art 1, commi 680 e 682, della
legge n.208 del 2015.
Qualora non si
pervenga alla predetta intesa entro i prescritti termini, entro i successivi 20
giorni, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottarsi,
previa deliberazione del Consiglio dei ministri, i richiamati importi sono
assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti alle singole regioni. A tal fine il
D.P.C.M. è chiamato a tener anche conto del Pil e
della popolazione residente e a rideterminare i livelli di finanziamento degli
ambiti individuati e le modalità di acquisizione delle risorse da parte dello
Stato.
Ai
sensi dell’articolo 46, comma 6, terzo periodo, introdotto dalla legge di
stabilità per il 2015 (art.1, comma 398, della legge n.190 del 2014), si
prevede un contributo aggiuntivo per le Regioni a statuto ordinario per gli
anni 2015-2018, pari a 3.452 milioni di euro annui. Con l’articolo 1, comma
681, della legge di stabilità per il 2016, il periodo è stato esteso al 2019 e
ora, con il comma 19 in commento, il medesimo periodo è esteso al 2020.
Anche in questo
caso, per la definizione degli ambiti di spesa e degli importi, nel rispetto
dei livelli essenziali di assistenza, il rinvio è ad una proposta delle regioni
stesse – “in sede di auto coordinamento” (il riferimento indiretto è all’esame
presso la Conferenza delle Regioni) – da recepire con intesa sancita dalla
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio 2015.
Per gli anni dal
2016 al 2019 si stabilisce che detta intesa debba essere sancita entro il 31
gennaio di ciascun anno (si veda il combinato disposto dei commi 680 e 682
dell’art.1 della legge n.208 del 2015).
A seguito della
predetta intesa sono rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti
individuati e le modalità di acquisizione delle risorse da parte dello Stato. Anche
in questo caso di mancato raggiungimento dell’intesa entro il prescritto
termine, la definizione degli ambiti di spesa e degli importi dei contributi
delle singole regioni è demandata al Dpcm.
Il comma 20 introduce le seguenti
modifiche all’articolo 1, comma 680, della legge di stabilità per il 2016
(legge n.208 del 2015), che detta la disciplina riguardante il contributo che
le regioni e le province autonome sono tenute ad assicurare alla finanza pubblica:
§ estende al 2020 l’obbligo per le regioni e le province autonome di assicurare il contributo alla finanza pubblica stabilito all’art.1, comma 680, della legge n.208 del 2015, e ivi quantificato in 5.480 milioni di euro.
Ai sensi del richiamato comma 680, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano assicurano un contributo alla finanza
pubblica pari a 3.980 milioni di euro per l'anno 2017 e a 5.480 milioni di euro
per ciascuno degli anni 2018 e 2019 (con il comma 20 in esame il termine è
esteso al 2020), in ambiti di spesa e per importi proposti, nel rispetto dei
livelli essenziali di assistenza, definiti dalle regioni stesse in sede di auto
coordinamento, da recepire con intesa che la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano
è chiamata a sancire entro il 31 gennaio di ciascun anno.
Si rammenta che il comma 680 introduce una disciplina
recante obiettivi unitari, in termini di contributo alla finanza pubblica, che
non distinguono fra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario,
come invece previsto dai pregressi interventi normativi.
§ specifica che la rideterminazione dei livelli di finanziamento degli ambiti individuati e delle modalità di acquisizione delle risorse da parte dello Stato effettuata con Dpcm (nel caso in cui non si pervenga, entro il prescritto termine, ad un’intesa in sede di Conferenza delle regioni sulle modalità con cui le regioni e le province autonome assicurano il previsto contributo alla finanza pubblica), possa prevedere anche versamenti da parte delle regioni interessate.
Si ricorda al riguardo che il secondo periodo del
comma 680 stabilisce che, qualora entro il 31 gennaio di ciascun anno non si
pervenga ad un’intesa in sede di Conferenza delle regioni, con D.P.C.M., da
adottare, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, entro venti giorni
dalla medesima data, i richiamati importi sono assegnati ad ambiti di spesa ed
attribuiti alle singole regioni e province autonome (a tal fine tenendo anche
conto della popolazione residente e del PIL) e sono rideterminati i livelli di
finanziamento degli ambiti individuati e le modalità di acquisizione delle
risorse da parte dello Stato (che, ai sensi della modifica recata al comma 20
in commento, possono prevedere anche versamenti da parte delle regioni
interessate), considerando anche le risorse destinate al finanziamento corrente
del Servizio sanitario nazionale.
Per
quanto concerne il contributo alla finanza pubblica di ciascuna Regione a statuto speciale e Provincia
autonoma, è importante richiamare l’attenzione sulla circostanza che esso è
determinato previa intesa con ciascuno dei richiamati enti.
Il
citato comma 680 stabilisce infatti, al terzo periodo che, fermo restando il
concorso complessivo, il contributo di ciascuna autonomia speciale dovrà essere
determinato con intesa con la stessa Regione o Provincia autonoma.
Tale
strumento negoziale risulta imprescindibile poiché l’ordinamento finanziario
delle regioni e delle province autonome è stabilito dalle disposizioni
statutarie (di rango, come noto, costituzionale) e da quelle attuative di
queste ultime (che non possono essere derogate da una legge ordinaria, se non
previa intesa).
Con il
citato comma 680, al quarto periodo, viene altresì precisato che alle regioni e
province autonome di Trento e di Bolzano spetta comunque di assicurare il
finanziamento dei livelli essenziali di assistenza nonostante la
rideterminazione (cioè riduzione) dello stesso ai sensi delle disposizioni
vigenti (al riguardo sono richiamati, oltre il medesimo comma 680 e i commi
seguenti, l'articolo 1, commi da 400 a 417, della legge 23 dicembre 2014, n.
190).
Riguardo alla regione
Trentino-Alto Adige e alle province autonome di Trento e di Bolzano, l'applicazione
delle disposizioni di cui al comma 680 avviene nel rispetto dell'Accordo
sottoscritto tra il Governo e i predetti enti in data 15 ottobre 2014, e
recepito con legge 23 dicembre 2014, n. 190, con il concorso agli obiettivi di
finanza pubblica previsto dai commi da 406 a 413 dell'articolo 1 della medesima
legge.
La misura dei due contributi alla finanza pubblica richiesti alle regioni ed alle province autonome e prorogati al 2020 dai commi 19 e 20 in esame, ammonta a complessivi 7.682 milioni di euro, come risulta anche dalla relazione tecnica. Dal totale dei contributi di cui sopra, la cui somma ammonterebbe a 9.682 milioni di euro, va infatti sottratta la cifra corrispondente al risparmio realizzato in modo permanente con il taglio per 2.000 milioni di euro del finanziamento del Servizio sanitario nazionale (stabilito dagli articoli da 9-bis a 9-septies del decreto-legge 78/2015, in attuazione dell’Intesa in Conferenza Stato-Regioni del 25 febbraio 2015).
Per quanto
concerne il contributo alla finanza pubblica richiesto alle regioni dalla legge di stabilità 2016 (legge
208/2015), si ricorda che con l’intesa
in sede di Conferenza Stato-Regioni dell’11
febbraio 2016, il Governo e le Regioni hanno concordato:
§ le modalità di realizzazione del contributo richiesto alle Regioni a statuto ordinario per il 2016, secondo quanto stabilito dai commi 682 e 688 della legge di stabilità 2016 (L. 208/2015), pari a complessivi 2.208,60 milioni di euro, sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto;
§ le modalità di conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica richiesti al complesso delle Regioni e delle Province autonome dal comma 680 della legge di stabilità 2016 per un importo pari a 3.500 milioni di euro per l’anno 2017 e per un importo pari a 5.000 milioni di euro a decorrere dal 2018; lasciando la rimanente quota di 480 milioni di euro a successive intese.
L’articolo 66, comma 21, dispone che spetta alle Regioni e alle Province autonome la presentazione della proposta di riparto del contributo, assegnato loro per compensare le minori entrate derivanti dalle agevolazioni Irap, alla Conferenza permanente Stato-Regioni, per la successiva approvazione definitiva.
Il comma 21 modifica il comma 13-duodecies dell’articolo 8 del
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge
6 agosto 2015, n. 125, riguardante l’attribuzione alle regioni e alle province
autonome di una quota, a decorrere dal 2016, mediante riparto del Ministero
dell’economia e delle finanze, al fine di compensare le minori entrate
derivanti dalle agevolazioni Irap (consistenti nella deduzione del costo del
lavoro dipendente dall’imponibile dell’imposta) di cui all’articolo 1, comma 20,
della legge n. 190 del 2014.
In
particolare, la nuova formulazione del secondo periodo del comma 13-duodecies:
§ esplicita che il richiamato riparto del contributo fra le regioni e le province autonome è effettuato sulla base di una specifica proposta formulata dalle regioni e province autonome in sede di auto-coordinamento (anche tenendo conto di apposite elaborazioni del dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia), da approvare mediante intesa in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
§ stabilisce che detto riparto debba essere approvato, con cadenza annuale, entro il 30 settembre di ogni anno.
Rispetto
al testo vigente, viene così specificato che l’iniziativa del riparto spetta
alle regioni e alle province autonome e che esso debba essere approvato con
cadenza annuale.
Il testo vigente
del citato comma 13-duodecies non fa
alcun cenno al soggetto titolare della proposta da presentare in Conferenza
Stato-regioni. Esso stabilisce che il riparto del citato contributo avviene
sulla base di apposite elaborazioni fornite dal Dipartimento delle finanze del Ministero
dell'economia con l’approvazione - entro il 30 settembre 2015 - in sede di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano.
Si ricorda che
il primo periodo dell'art. 8, comma 13-duodecies,
del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
125 del 2015, attribuisce una quota pari a 326.942.000 euro per l'anno 2015 e a
384.673.000 euro a decorrere dall'anno 2016 - nell'ambito delle risorse già
iscritte in bilancio al capitolo 2862 di cui al programma
"Federalismo" relativo alla missione "Relazioni finanziarie con
le autonomie territoriali" dello stato di previsione del Ministero
dell'economia e delle finanze, mediante iscrizione su apposito capitolo di
spesa del medesimo stato di previsione - alle regioni e alle province autonome,
al fine di compensare le minori entrate per effetto della manovrabilità
disposta dalle stesse, applicata alla minore base imponibile derivante dalla
misura di cui al comma 20 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
Si segnala
infine che il piano di riparto del contributo di cui all’articolo 8, comma 13-duodecies, del decreto-legge n.78 del
2015 per l’anno 2016 è stato approvato nella riunione della Conferenza
Stato-regioni del 20 ottobre scorso.
L’articolo 66, commi 22-24, stabilisce che le anticipazioni di tesoreria, relative agli esercizi finanziari sino al 2013, concesse alle Regioni a statuto ordinario al fine di assicurare il finanziamento della spesa sanitaria, sono definitivamente trasferite alle regioni, a determinate condizioni ed entro certi limiti (comma 22). Alle sistemazioni contabili derivanti dall'applicazione di tale disposizione provvede, per lo Stato, il Ministro dell'economia e delle finanze, riportando le relative registrazioni nel rendiconto generale dello Stato per l'esercizio 2016 (comma 23). Le Regioni provvedono alle stesse sistemazioni contabili, le quali sono escluse dal computo ai fini del saldo richiesto dalla disciplina del pareggio di bilancio (comma 24).
Il comma 22 prevede che le anticipazioni di tesoreria concesse
alle Regioni a statuto ordinario,
relativamente agli esercizi 2013 e precedenti, dall'art. 77-quater del decreto-legge n. 112 del 2008
al fine di assicurare mensilmente il finanziamento della spesa sanitaria, si
intendano definitivamente trasferite alle Regioni, nei limiti dell'importo dei
residui passivi perenti relativi a trasferimenti per la compartecipazione IVA
iscritti nel conto del patrimonio al 31 dicembre 2016, e a condizione che le
stesse anticipazioni non siano regolate - alla data di entrata in vigore del
provvedimento in esame - a valere sulle somme della compartecipazione all'IVA
assegnate alle Regioni per i medesimi esercizi.
Si ricorda che
l'art. 77-quater del decreto-legge n.
112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008,
disciplina le modalità di trasferimento alle Regioni delle risorse destinate
alla sanità. È stabilito (al comma 2), in proposito, che le somme affluite sui
conti correnti di tesoreria centrale intestati alle regioni e alle province
autonome a titolo di IRAP e di addizionale regionale all’IRPEF sono interamente
versate (entro il quinto giorno del mese lavorativo successivo) presso il
tesoriere regionale o provinciale. Eventuali eccedenze in termini di maggior gettito
rispetto alle previsioni ai fini del finanziamento del Servizio sanitario
nazionale sono riversate allo Stato in sede di conguaglio. Quanto all’IVA, nelle
more del riparto della quota di compartecipazione regionale relativa a tale
imposta, alle Regioni a statuto ordinario viene corrisposto un importo definito
in base all'ultimo riparto effettuato, previo accantonamento di un importo corrispondente
alla quota di finanziamento indistinto del fabbisogno sanitario, la cui
erogazione è condizionata alla verifica degli adempimenti regionali (comma 4).
Nei casi in cui
le somme trasferite a titolo di gettito IRAP, addizionale regionale IRPEF e
compartecipazione IVA (e, con riferimento alla Sicilia, ai sensi del comma 5
dell’articolo 77-quater) non siano
idonee a coprire il finanziamento della spesa sanitaria delle singole regioni,
sono previste anticipazioni di tesoreria su base mensile in favore delle
Regioni a statuto ordinario e della Regione siciliana. Dette anticipazioni sono
accreditate, ai sensi del comma 3 dell’articolo 77-quater, sulle contabilità speciali infruttifere al netto delle
somme trasferite a titolo di gettito delle richiamate imposte spettanti alle
regioni e si dispone in ordine al recupero, in caso di necessità, di tali anticipazioni.
La disciplina dettata al comma 3, secondo periodo (aggiunto dall'art. 11, comma
3, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 122 del 2010), intende garantire che tale recupero non venga comunque
effettuato a valere sui proventi derivanti da manovre eventualmente disposte
dalla Regione con riferimento ai tributi IRAP e all’addizionale regionale
all’IRPEF.
Si ricorda,
infine, che l'art. 20, comma 2, del decreto-legge n. 113 del 2016, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 160 del 2016, in deroga all'art. 77-quater, comma 4, ha autorizzato - nelle
more della determinazione della compartecipazione regionale all’IVA - per il
2016, l’erogazione alle Regioni delle quote di compartecipazione all'IVA
relative al finanziamento del Servizio sanitario nazionale degli esercizi 2014
e 2015 (ad esclusione della quota premiale) non ancora trasferite alle stesse Regioni
a titolo di anticipazioni di tesoreria.
Il comma 23 dispone che il Ministro dell'economia e delle finanze provveda, con proprio decreto, con riferimento allo Stato, alle sistemazioni contabili derivanti dall'applicazione della disposizione di cui al comma 22 e che le relative registrazioni siano riportate nel rendiconto generale dello Stato per l'esercizio 2016.
Il comma 24 dispone che le Regioni provvedano alle sistemazioni contabili derivanti dall'applicazione della disposizione di cui al comma 22, registrandole nelle scritture contabili dell'esercizio 2016. Dette sistemazioni contabili non rilevano ai fini del saldo di cui all'art. 1, comma 710, della legge n. 208 del 2015, vale a dire del saldo richiesto alle regioni dalla disciplina del pareggio di bilancio.
Si ricorda che
il richiamato comma 710 prevede che le Regioni, i Comuni, le Province, le Città
metropolitane e le Province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini del
concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica, devono conseguire un
saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese
finali. La disciplina del pareggio di bilancio è ora dettata dall’articolo 65,
commi 1-20 del disegno di legge in esame.
L’articolo 66, comma 25, stabilisce che le amministrazioni pubbliche sono tenute ad ordinare incassi e pagamenti al proprio tesoriere o cassiere utilizzando esclusivamente ordinativi informatici emessi secondo lo standard definito dall'Agenzia per l'Italia digitale (Agid) e trasmessi per il tramite dell'infrastruttura SIOPE (Sistema informativo delle operazioni degli enti pubblici). Modalità e tempi di attuazione saranno stabiliti con successivi decreti del Ministero dell'economia e delle finanze, sentite la Conferenza unificata e l'Agid.
Il comma 25 inserisce, dopo il comma 8
dell'art. 14 della legge n. 196 del 2009, i commi 8-bis e 8-ter, con i quali,
rispettivamente, si prevede che:
§ al fine di favorire il monitoraggio del ciclo
completo delle entrate e delle spese, le amministrazioni pubbliche debbano
ordinare incassi e pagamenti al proprio tesoriere o cassiere, utilizzando
esclusivamente ordinativi informatici emessi secondo lo standard definito dall'Agid e trasmessi
per il tramite dell'infrastruttura SIOPE, e che i tesorieri e i cassieri possano
accettare soltanto disposizioni di pagamento emesse e trasmesse nei predetti
modi. Le
modalità di trasmissione degli ordinativi informatici da parte dei tesorieri
delle amministrazioni pubbliche all'infrastruttura SIOPE sono definite da
apposite "regole di colloquio", stabilite congiuntamente con Agid e disponibili sul sito del Ministero dell'economia e
delle finanze-Dipartimento della Ragioneria geenerale
dello Stato, nelle Sezioni dedicate al SIOPE;
§ a successivi decreti del Ministero
dell'economia e delle finanze, adottati acquisito il parere della Conferenza
unificata e dell'Agid, viene demandata la definizione
delle modalità e dei tempi di attuazione delle disposizioni di cui comma 8-bis.
Come
segnala la relazione illustrativa al disegno di legge, le novità riguardanti le
modalità di acquisizione dei dati sono finalizzate a consentire al sistema
SIOPE “di evolvere per permettere di tracciare tutte le fasi del ciclo passivo dall’impegno
e/o dall’ordine fino all’estinzione del debito”.
Quanto alla trasmissione,
da parte delle amministrazioni pubbliche alla banca dati SIOPE, delle
informazioni relative a incassi e pagamenti effettuati, si ricorda che l'art.
14, comma 7, della legge n. 196 del 2009 dispone che le amministrazioni
pubbliche, fatta eccezione per gli enti di previdenza, trasmettono
quotidianamente alla banca dati SIOPE, tramite i propri tesorieri o cassieri, i
dati concernenti tutti gli incassi e i pagamenti effettuati, codificati con
criteri uniformi su tutto il territorio nazionale. I tesorieri e i cassieri non
possono accettare disposizioni di pagamento prive della codificazione uniforme.
Per quanto riguarda gli enti di previdenza, il comma 7 dello stesso art. 14
prevede che essi trasmettano mensilmente al Dipartimento della Ragioneria generale dello
Stato i dati concernenti tutti gli incassi e i pagamenti effettuati, codificati
con criteri uniformi sul territorio nazionale.
L’articolo 67 prevede il rafforzamento della tracciabilità dei prodotti sottoposti ad accisa, allo scopo di contrastare l’evasione della predetta imposta.
Si prevede l’introduzione di requisiti soggettivi ed oggettivi più stringenti per la gestione dei depositi fiscali, con particolare riferimento agli impianti commerciali gestiti in tale regime.
La disposizione prevede, infine, l’indicazione
del codice fiscale del cliente su
scontrini e fatture, a richiesta, finalizzata all’istituzione dal 2018 di una lotteria nazionale sui medesimi documenti.
Il comma 1 apporta numerose modifiche alla disciplina delle accise, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, Testo Unico Accise – TUA, al fine di rafforzare la tracciabilità dei prodotti sottoposti a tali imposte.
La lettera a) del comma 1 inserisce un comma 15-bis all’articolo 6 TUA, norma che disciplina le modalità di circolazione dei beni in sospensione d’accisa (ovvero prima che sia effettuato il versamento dell’imposta).
Tale norma dispone che le autobotti e le bettoline utilizzate per il trasporto di prodotti sottoposti ad accisa in regime sospensivo siano munite di sistemi di tracciamento della posizione e di misurazione delle quantità scaricate. Si affida a una determinazione del Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli il compito di fissare termini e modalità di applicazione della predetta disposizione.
La lettera b) del comma 1 inserisce un periodo al termine dell’articolo 8, comma 1 TUA, che contiene la disciplina dei cd. destinatari registrati.
In sintesi, il destinatario registrato è la persona fisica o giuridica, diversa dal titolare di deposito fiscale, autorizzata dall'Amministrazione finanziaria a ricevere, nell'esercizio della sua attività economica, prodotti sottoposti ad accisa in regime sospensivo, provenienti da un altro Stato membro o dal territorio dello Stato. L’articolo 8 TUA disciplina l’autorizzazione, gli obblighi, gli adempimenti e le specifiche norme applicabili a tale soggetto in relazione ai prodotti ricevuti.
Per effetto delle modifiche in commento, si specifica che l’autorizzazione viene rilasciata in considerazione dell’attività svolta dal soggetto presso il proprio deposito. Si precisa inoltre che i prodotti sottoposti ad accisa ricevuti in regime sospensivo devono essere separatamente detenuti e contabilizzati rispetto a quelli assoggettati ad accisa ricevuti nel medesimo deposito.
La lettera c) del comma 1 inserisce un periodo al termine dell’articolo 12, comma 1, TUA, che disciplina le modalità di deposito e circolazione di prodotti assoggettati ad accisa. La predetta norma, salve le disposizioni stabilite per i singoli prodotti, in linea generale dispone che i prodotti assoggettati ad accisa sono custoditi e contabilizzati secondo le modalità stabilite e circolano con un apposito documento di accompagnamento.
Con le modifiche in esame, anche le autobotti e le bettoline utilizzate per il trasporto di prodotti assoggettati ad accisa devono essere munite di sistemi di tracciamento della posizione e di misurazione delle quantità scaricate (come previsto dall’introdotto articolo 6, comma 15-bis del TUA, vedi lettera a) del comma in esame).
La lettera d) del comma 1 modifica l’articolo 18, comma 1, TUA, che reca la disciplina dei controlli e dei presidi dell’amministrazione finanziaria in materia di accisa.
In particolare, con le modifiche in esame si chiarisce che l'amministrazione finanziaria nella propria attività di verifica e controllo può applicare bolli e suggelli agli apparecchi ed ai meccanismi, non solo a quelli presenti nei depositi fiscali e presso i destinatari registrati, ma anche presso gli altri impianti soggetti a denuncia; può anche ordinare l'attuazione delle opere e delle misure necessarie per la tutela degli interessi fiscali, ivi compresa l'installazione di strumenti di misura, anche a spese degli altri soggetti obbligati alla denuncia, oltre che del titolare di deposito fiscale o del destinatario registrato.
La lettera
e) sostituisce integralmente l’articolo 23 del TUA, relativo alla
disciplina della gestione dei depositi fiscali.
Si rammenta che la disciplina del deposito fiscale è contenuta nel Testo Unico Accise. Esso è definito come l’impianto in cui vengono fabbricate, trasformate, detenute, ricevute o spedite merci sottoposte ad accisa, in regime di sospensione dei diritti di accisa, alle condizioni stabilite dall’amministrazione finanziaria (articolo 1, comma 2, lettera e), TUA).
Il depositario autorizzato è il soggetto titolare e responsabile della gestione del deposito fiscale (articolo 1, comma 2, lettera f), TUA).
L’articolo 5 TUA stabilisce che il regime del deposito fiscale viene sottoposto ad autorizzazione dall’Amministrazione finanziaria, mentre il relativo esercizio è subordinato al rilascio di una licenza (che segue le disposizioni di cui all’articolo 63 TUA). A ciascun deposito è inoltre attribuito un codice di accisa e il depositario è obbligato, fatte salve le disposizioni stabilite per i singoli prodotti, a prestare cauzione nella misura del 10 per cento dell’imposta che grava sulla quantità massima di prodotti che possono essere detenuti nel deposito fiscale, in relazione alla capacità di stoccaggio dei serbatoi utilizzabili. Sono esonerate dall’obbligo di prestazione della cauzione le Amministrazione dello Stato e degli enti pubblici e le aziende municipalizzate. L’Amministrazione finanziaria ha facoltà di esonerare dal predetto obbligo le ditte affidabili e di notoria solvibilità. L’esonero può essere revocato in qualsiasi momento.
Il depositario è altresì obbligato a conformarsi alle prescrizioni stabilite per l’esercizio della vigilanza sul deposito fiscale, a tenere una contabilità dei prodotti detenuti e movimentati nel deposito fiscale e a presentare i prodotti ad ogni richiesta sottoponendosi a controlli o accertamenti.
I depositi fiscali si intendono compresi nel circuito doganale e sono assoggettati a vigilanza finanziaria; la vigilanza finanziaria deve assicurare, tenendo conto dell’operatività dell’impianto, la tutela fiscale anche attraverso controlli successivi.
Fatte salve le disposizioni stabilite per i depositi fiscali dei singoli prodotti, l’inosservanza degli obblighi stabiliti dalla legge - indipendentemente dall’esercizio dell’azione penale per le violazioni che costituiscono reato - comporta la revoca della licenza fiscale di esercizio.
In materia di oli minerali e g.p.l., il vigente articolo 23 del TUA stabilisce che le raffinerie e gli altri stabilimenti di produzione dove si ottengono oli minerali ed altri prodotti sottoposti ad accisa operano in regime di deposito fiscale. La gestione in regime di deposito fiscale può essere autorizzata per i depositi a fini commerciali di oli minerali di capacità superiore a 3000 metri cubi, per i depositi di gas di petrolio liquefatto di capacità superiore a 50 metri cubi e per i depositi di prodotti petroliferi di capacità inferiore, quando risponde ad effettive necessità operative e di approvvigionamento dell’impianto.
La nuova disposizione conferma il regime del deposito fiscale - ope legis - per le raffinerie e per gli altri stabilimenti di produzione di prodotti energetici allorché vengano realizzati (articolo 23, novellato comma 1):
a) i prodotti energetici per i quali il testo unico delle accise prevede uno specifico livello di tassazione;
b) anche gli altri prodotti energetici, se destinati ad essere impiegati come carburanti o combustibili;
c) qualsiasi altro prodotto destinato ad essere utilizzato come carburante o qualsiasi altro idrocarburo destinato ad essere utilizzato come combustibile.
Resta fermo che l’esercizio degli impianti è subordinato al rilascio della licenza fiscale (novellato articolo 23, comma 2).
Resta inoltre confermata la possibilità, per i depositi commerciali, di essere autorizzati ad operare in regime di deposito fiscale, con modalità più stringenti rispetto alle norme attuali.
Come chiarisce la relazione illustrativa, le modifiche tengono conto delle innovazioni introdotte dall’articolo 57 del decreto-legge n. 5 del 2012, che ha ricondotto in capo al Ministero dello sviluppo economico la competenza al rilascio delle autorizzazioni degli impianti individuati come strategici, annoverando tra questi i depositi di prodotti energetici, escluso il g.p.l., aventi una capacità non inferiore a 10.000 mc. e i depositi di g.p.l. di capacità non inferiore a 200 tonnellate vale a dire 400 mc.
Il novellato comma 3 dell’articolo 23 tiene ferma la necessità che, per i predetti depositi, l’autorizzazione venga rilasciata ove sussistano necessità operative e di approvvigionamento dell’impianto stesso.
Viene differenziato il trattamento per gli impianti
di capacità inferiore, per i quali l’autorizzazione ad operare in regime di
deposito fiscale è subordinata anche ad
una delle seguenti, ulteriori condizioni oggettive (novellato comma 4 dell’articolo 23):
a) il deposito effettua forniture di prodotto in esenzione da accisa o ad accisa agevolata o trasferimenti di prodotti energetici in regime sospensivo verso Paesi dell'Unione europea ovvero esportazioni verso Paesi extra UE, in misura complessiva pari ad almeno il 30 per cento del totale delle estrazioni di un biennio;
b) il deposito è propaggine di un deposito fiscale ubicato nelle immediate vicinanze appartenente allo stesso gruppo societario o, se di diversa titolarità, è stabilmente destinato ad operare al servizio del predetto deposito.
Il nuovo comma 5 conferma che anche l’esercizio in regime di deposito fiscale dei depositi a fini commerciali è subordinato al rilascio della licenza fiscale.
Il novellato comma 6 disciplina le cause ostative di natura soggettiva che impediscono il rilascio dell’autorizzazione ad operare in regime di deposito fiscale, per i depositi commerciali di prodotti energetici.
In particolare, l’autorizzazione è negata ai soggetti nei cui confronti, nel quinquennio antecedente la richiesta, sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna (ai sensi dell'articolo 648 del codice di procedura penale), ovvero sentenza definitiva di applicazione della pena su richiesta (articolo 444 c.p.p.) per reati di natura tributaria, finanziaria e fallimentare e per i delitti non colposi commessi contro la pubblica amministrazione, contro l’ordine pubblico, contro la fede pubblica, contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio e contro il patrimonio (previsti dai Titoli II, V, VII, VIII e XIII del Libro secondo del codice penale), per i quali sia prevista la pena della reclusione.
L’autorizzazione è negata anche ai soggetti nei confronti dei quali siano in corso procedure concorsuali (ovvero siano state definite nell'ultimo quinquennio), nonché ai soggetti che abbiano commesso violazioni gravi e ripetute, per loro natura od entità, alle norme in tema di accisa, IVA e tributi doganali, in relazione alle quali siano state contestate sanzioni amministrative nell'ultimo quinquennio.
Il novellato comma 7 disciplina i casi di sospensione dell'istruttoria per il rilascio dell'autorizzazione.
Essa rimane sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del procedimento penale, qualora nei confronti del soggetto istante sia stato emesso (articolo 424 c.p.p.) un decreto che dispone il giudizio per uno dei reati indicati nel già menzionato comma 6.
Il novellato comma 8 prevede i casi di sospensione dell'autorizzazione da parte dell'Autorità giudiziaria.
Essa può essere richiesta dall'Agenzia delle dogane nei confronti del depositario autorizzato per il quale sia stato emesso decreto che dispone il giudizio per reati di natura tributaria, finanziaria e fallimentare. L'autorizzazione è in ogni caso sospesa dall'Agenzia laddove venga pronunciata nei confronti del depositario autorizzato sentenza di condanna non definitiva, con applicazione della pena della reclusione, per reati di natura tributaria, finanziaria e fallimentare. Il provvedimento di sospensione ha effetto fino alla emissione della sentenza irrevocabile.
Si valuti
se occorra precisare i presupposti per l’esercizio della facoltà di sospensione
da parte dell’autorità giudiziaria, se tale sospensione possa essere
considerata una misura di carattere cautelare, sebbene non prevista dal codice
di procedura penale e se a tal fine debba essere previsto un termine massimo di
efficacia. Si osserva inoltre che l’obbligo di sospensione da parte
dell’Agenzia consegue a una sentenza di condanna non definitiva.
Il comma 9, come modificato, disciplina la revoca dell'autorizzazione all’esercizio in deposito fiscale degli impianti commerciali.
Essa opera nel caso di sentenza irrevocabile di condanna o di sentenza definitiva di applicazione della pena su richiesta per i reati di natura tributaria, finanziaria e fallimentare, per i quali sia prevista la pena della reclusione.
Il comma 10 riguarda invece le ipotesi di negazione, sospensione o revoca della licenza all’esercente il deposito fiscale.
In particolare la licenza è negata, sospesa, e revocata allorché ricorrano rispettivamente le condizioni di cui ai già commentati commi 6, 8 e 9 (con riferimento alle ipotesi di negazione, sospensione e revoca dell’autorizzazione); analogamente, l'istruttoria per il rilascio è sospesa allorché ricorrano le condizioni di cui al comma 7.
Il comma 11 disciplina l’ipotesi in cui i gestori dei depositi sono persone giuridiche e società; in tal caso l'autorizzazione e la licenza sono negate, revocate o sospese, ovvero il procedimento per il rilascio delle stesse è sospeso, allorché le situazioni di cui ai già visti commi da 6 a l0 ricorrano, alle condizioni ivi previste, con riferimento a persone che ne rivestono ruoli apicali (funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, nonché a persone che ne esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo).
Ai sensi del novellato comma 12 dell’articolo 23, spetta all'Agenzia delle dogane e dei monopoli il compito di verificare la permanenza delle condizioni previste per la gestione di impianti commerciali in regime di deposito fiscale. Nel caso esse non possano ritenersi sussistenti, l'autorizzazione viene sospesa fino a quando non ne sia comprovato il ripristino entro il termine di un anno, alla scadenza del quale viene revocata. Contestualmente all'emissione del provvedimento di sospensione di cui al periodo precedente, viene rilasciata, su richiesta dell'esercente il deposito, la licenza all’esercizio del deposito.
Il novellato comma 13 conferma la facoltà dell’Agenzia di prescrivere nei depositi fiscali l’installazione di appositi strumenti di misura e di adottare sistemi di verifica e controllo utilizzando tecniche telematiche ed informatiche. Ai sensi del nuovo comma 14, l’Agenzia può procedere, negli stabilimenti di produzione o nei depositi dotati di un idoneo sistema di controllo informatizzato della produzione, detenzione o movimentazione dei prodotti, all’accertamento e alla liquidazione dell’imposta avvalendosi di dati rilevati dal predetto sistema.
Il novellato comma 15 conferma il divieto di detenere, nei recinti dei depositi fiscali, prodotti energetici per i quali sono previste specifiche aliquote, ad accisa assolta. Si consente che i prodotti già immessi in consumo (comma 16) possano essere reintrodotti in deposito fiscale qualora debbano essere sottoposti a miscelazione.
Infine, il comma 17 conferma la vigente esclusione dalle predette norme di alcuni prodotti energetici: gas naturale (codici NC 2711 Il 00 e 2711 21 00), carbone (codice NC 2701), lignite (codice NC 2702) e coke (codice NC 2704).
Il comma 2 dell’articolo 67 in commento reca la decorrenza delle modifiche apportate in tema di deposito fiscale. Esse hanno effetto a decorrere dal terzo anno successivo a quello di entrata in vigore della presente legge (dunque dall’anno 2020).
I commi da 3 a 7 dell’articolo 67 prevedono l’inserimento nello scontrino fiscale e nella ricevuta del codice fiscale del cliente, previa richiesta, in considerazione dell’istituzione di una lotteria nazionale collegata agli scontrini o alle ricevute fiscali.
Ai sensi del comma 3, in particolare (con una modifica all'articolo 3 del D.P.R. n. 696 del 1996) si prevede che l’esercente deve inserire nello scontrino o nella ricevuta il numero di codice fiscale del cliente, previa richiesta da parte di quest’ultimo. La richiesta deve essere contestuale al momento dell’acquisto: il cliente non può chiedere l’inserimento del proprio numero di codice dopo l’effettuazione dell’operazione (comma 6, secondo periodo).
I commi 4 e 5, rispettivamente,
demandano a provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle entrate l’adozione
di disposizioni attuative e
stabiliscono la decorrenza delle nuove
norme al 1° gennaio 2018.
Il comma 6 prevede, dalla medesima data del 1° gennaio 2018, l’introduzione di una lotteria nazionale cui possono partecipare esclusivamente le persone fisiche che risiedono in Italia e che effettuano l’acquisto di beni o servizi fuori dall’esercizio di attività di impresa, arte o professione. L’acquisto deve obbligatoriamente avvenire presso commercianti al minuto (o che esercitano attività assimilate) che abbiano optato per la trasmissione telematica dei corrispettivi (ai sensi del D.Lgs. n. 127 del 2015), nonché presso gli stessi commercianti ovvero tutti i soggetti passivi IVA, laddove l’acquisto sia documentato con fattura, i cui dati siano trasmessi telematicamente all’Agenzia delle entrate (comma 7).
Articolo 68
(Imposta sul reddito d’impresa – IRI e
razionalizzazione
dell’Aiuto alla crescita economica – ACE)
L’articolo 68 reca la disciplina della nuova imposta sul reddito d’impresa (IRI) - da calcolare sugli utili trattenuti presso l’impresa - per gli imprenditori individuali e le società in nome collettivo ed in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria. L’opzione per l’applicazione dell’IRI si effettua in sede di dichiarazione dei redditi, ha durata di cinque periodi di imposta ed è rinnovabile. In tale ipotesi, su detti redditi opera la sostituzione delle aliquote progressive IRPEF con l’aliquota unica IRI, pari all’aliquota IRES (24 per cento dal 2017).
Contestualmente viene modificata la disciplina in materia di aiuto alla crescita economica (ACE) per razionalizzarne l’ambito applicativo. Tra le modifiche apportate dalle norme in esame si segnala, al fine di tener conto del corrente andamento dei tassi di interesse, la diminuzione dell’aliquota percentuale utilizzata per il calcolo del rendimento nozionale del nuovo capitale proprio. A decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018, detta aliquota viene stabilita nella misura del 2,7 per cento, mentre per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2017 è fissata al 2,3 per cento.
Si estende l’applicazione dell’ACE alle persone fisiche, alle società in nome collettivo ed a quelle in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria.
Obiettivo delle norme in esame è di incentivare il reinvestimento degli utili all’interno delle piccole e medie imprese, al fine di agevolare la crescita e lo sviluppo delle attività produttive. In tale ottica, quindi, la tassazione sarà quella ordinaria allorquando gli utili prodotti o precedentemente reinvestiti saranno prelevati dall’imprenditore individuale o distribuiti dalle società beneficiarie del nuovo regime agevolativo.
Nella relazione illustrativa si legge che la revisione dell’imposizione così illustrata va nella direzione dell’uniformità di trattamento con le società di capitali, rendendo più neutrale il sistema tributario rispetto alla forma giuridica; inoltre si favorisce la patrimonializzazione delle piccole imprese.
Si ricorda, al riguardo, che una riforma in tal senso della tassazione del reddito d’impresa era prevista dall’articolo 11, comma 1, lettera a) della legge di delega per la riforma fiscale (legge n. 23 del 2014). Il termine per l’esercizio della delega è infatti scaduto il 27 giugno 2015 senza che tali previsioni siano state attuate. Il richiamato articolo 11 delegava il Governo ad emanare norme volte all’assimilazione al regime IRES dell’imposizione sui redditi d’impresa, compresi quelli prodotti in forma associata, dai soggetti passivi IRPEF, assoggettandoli a un’imposta sul reddito imprenditoriale – IRI con un’aliquota proporzionale allineata all’IRES. Le somme prelevate dall’imprenditore e dai soci avrebbero concorso alla formazione del reddito complessivo ai fini IRPEF dell’imprenditore e dei soci e sarebbero state deducibili dalla predetta imposta sul reddito imprenditoriale.
Il comma 1 dell’articolo 68 novella in più parti il Testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR):
§ con una prima modifica contenuta nella lettera a), si novella l’articolo 23, comma 1, lettera g) del TUIR al fine di coordinarlo con le nuove disposizioni in materia di imposta sul reddito d’impresa (IRI);
§ con la seconda modifica contenuta nella lettera b), si disciplina la nuova imposta sul reddito d’impresa (IRI) mediante inserimento del nuovo articolo 55-bis del TUIR. Il nuovo articolo prevede che:
- il reddito d’impresa degli imprenditori individuali e delle società in nome collettivo ed in accomandita semplice, in regime di contabilità ordinaria, è escluso dalla formazione del reddito complessivo ed è assoggettato a tassazione separata (a titolo di IRI) con l’aliquota prevista dall’articolo 77 del TUIR (Ires), che, a decorrere dal 1° gennaio 2017, è fissata al 24% (articolo 1, comma 61 della L. n. 28/12/2015, n. 208). Dal reddito d’impresa sono ammesse in deduzione le somme prelevate, a carico dell’utile di esercizio e delle riserve di utili, nei limiti del reddito del periodo d’imposta e dei periodi d’imposta precedenti assoggettati a tassazione separata al netto delle perdite residue computabili in diminuzione dei redditi dei periodi d’imposta successivi, a favore dell’imprenditore, dei collaboratori familiari o dei soci (comma 1).
La contabilità ordinaria, obbligatoria per i soggetti in questione se superano determinati limiti di ricavi (400.000 euro per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi, ovvero 700.000 euro per le imprese aventi per oggetto altre attività), prevede la tenuta dei seguenti libri contabili:
§ libro giornale: contiene l’annotazione di tutte le operazioni in ordine cronologico;
§ libro inventari: dove si riporta la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore;
§ registri IVA: composti dal registro delle fatture emesse (o dei corrispettivi) e dal registro degli acquisti;
§ registro dei beni ammortizzabili: evidenzia i beni a fecondità ripetuta;
§ scritture ausiliarie: conti di mastri e scritture di magazzino.
- in deroga al vigente regime fiscale (articolo 8, comma 3 del TUIR) delle perdite derivanti dall’esercizio di imprese commerciali e di quelle derivanti dalla partecipazione in società in nome collettivo e in accomandita semplice, le perdite maturate nei periodi d’imposta di applicazione delle disposizioni relative all’IRI sono computate in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi per l’intero importo che trova capienza in essi. Nel caso di società in nome collettivo e in accomandata semplice tali perdite sono imputate a ciascun socio proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili (comma 2);
- la tassazione sarà quella ordinaria allorquando gli utili prodotti o precedentemente reinvestiti e assoggettati alla tassazione separata dell’IRI saranno prelevati dall’imprenditore individuale o distribuiti dalla società di persone (comma 3);
- gli imprenditori e le società di persone potranno optare per l’applicazione della nuova IRI a prescindere da qualsiasi parametro dimensionale e quindi il nuovo regime è fruibile anche da soggetti che, per loro natura, sono ammessi al regime di contabilità semplificata; l’opzione ha durata pari a cinque periodi di imposta ed è rinnovabile e deve essere esercitata nella dichiarazione dei redditi (comma 4);
- per gli imprenditori individuali e per le società in nome collettivo ed in accomandita semplice non si applica la disposizione contenuta nell’articolo 5 del TUIR limitatamente all’imputazione per trasparenza ed alla tassazione del reddito indipendentemente dalla sua percezione (comma 5);
- le nuove disposizioni non si applicano alle somme prelevate a carico delle riserve formate con utili di periodi precedenti a quelli di applicazione dell’IRI (comma 6).
Con la modifica contenuta nella lettera c), si novella l’articolo 116 del TUIR in materia di trasparenza fiscale delle società a ristretta base proprietaria; in particolare viene eliminato il riferimento alla sola trasparenza fiscale quale regime opzionale per dette società e viene quindi esteso ad esse il regime fiscale contenuto nel presente articolo 55-bis, che disciplina la nuova IRI. Si specifica che gli utili di esercizio e le riserve di utili derivanti dalle partecipazioni nelle società che optano per l’IRI si considerano equiparati alle somme di cui al precedente comma 3 del nuovo articolo 55-bis; pertanto tali tipologie di redditi perdono la natura di redditi di capitale e concorrono invece alla formazione del reddito del percettore quale reddito d’impresa.
La tassazione per trasparenza fiscale, consiste nella possibilità di imputare ai soci il reddito prodotto dalle società di capitali in proporzione alla quota di partecipazione di ogni socio agli utili, indipendentemente dalla percezione degli stessi. L’opzione per il regime della trasparenza può aversi in due casi:
§ trasparenza ex art. 115 del TUIR che riguarda le società di capitali interamente partecipate da altre società di capitali;
§ trasparenza ex art. 116 del TUIR concernente l’opzione da parte delle società a responsabilità limitata costituite da persone fisiche, a ristretta base societaria con volume di ricavi dichiarati nell’anno precedente non superiore al limite previsto per l’applicazione degli studi di settore (euro 5.164.569) il cui capitale sia interamente posseduto da soci persone fisiche di numero non superiore a 10 (20 in caso di società cooperative a responsabilità limitata). L’opzione può esser esercitata da tutte le società e comunicata all’Amministrazione finanziaria entro il primo dei tre esercizi di opzione.
Optando per tale regime si hanno i seguenti effetti.
§ in capo alla società non si verifica alcuna tassazione IRES in quanto il reddito è assoggettato a tassazione in capo ai soci;
§ i soci dovranno dichiarare il reddito di propria spettanza anche se non è stato effettivamente percepito.
L’opzione per il regime o il suo rinnovo è irrevocabile per tre esercizi e va esercitata sia dalla società partecipata sia dai soci, è rinnovabile ed ha effetto dall’inizio dell’anno nel quale è manifestata.
Il comma
2 dispone che, per i soggetti che optano per il regime dell’IRI, il
contributo annuo dovuto alle gestioni dei contributi e delle prestazioni
previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali –
titolari, coadiuvanti e coadiutori – è determinato senza tener conto delle
nuove disposizioni in materia di IRI.
Anche il comma 3 novella in più parti il TUIR; in particolare:
§ con la modifica contenuta nella lettera a) si inserisce un nuovo periodo dopo il primo periodo del comma 3 dell’articolo 84, in materia di utilizzo delle perdite nei casi di trasferimento del controllo aziendale. In tale ambito, a particolari condizioni, si esclude il riporto delle perdite nel caso in cui la maggioranza delle partecipazioni venga acquisita da terzi ed inoltre, entro un determinato periodo di tempo (due periodi successivi o anteriori rispetto al trasferimento), si modifichi l’attività effettivamente esercitata. La modifica in argomento estende la limitazione dell’utilizzo delle perdite anche alle eccedenze oggetto di riporto in avanti, di cui al comma 4 dell’articolo 96 del TUIR, relativamente agli interessi indeducibili, nonché alle eccedenze del rendimento nozionale posto a base del calcolo della deduzione dal reddito a titolo di aiuto alla crescita economica (ACE);
Con l’articolo 1 del DL 201/2011 è stato introdotto, con effetto dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2011, un trattamento fiscale agevolato (ACE: aiuto alla crescita economica) alle imprese il cui capitale proprio viene incrementato mediante conferimenti in denaro e accantonamenti di utili a riserva. Tale regime agevolato introduce una deduzione dal reddito delle società di capitale, di persone e delle ditte individuali in contabilità ordinaria, commisurata al rendimento nozionale del capitale proprio. Per gli esercizi 2011/2013 il rendimento nozionale è fissato al 3%; per potenziare gli effetti della deduzione ACE l’articolo 1, commi 137 e 138 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha previsto un innalzamento del rendimento portandolo per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 al 4%, per il periodo in corso al 31 dicembre 2015 al 4,5% e per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016 al 4,75%.
§ con la modifica contenuta nella lettera b) si sostituisce il secondo periodo del comma 4‑ter dell’articolo 88 in materia di sopravvenienze attive. In particolare si prevede nell’ambito delle procedure che disciplinano la crisi dell’impresa che la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva non solo per la parte di deduzione che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84 del TUIR, ma anche per l’eccedenza relativa all’ACE e per gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati indeducibili di cui al comma 4 dell’articolo 96 del TUIR;
§ con la modifica contenuta nella lettera c) si sostituisce il quinto periodo del comma 7 dell’articolo 172 del TUIR; in materia di fusione di società per tener conto - nel caso della portabilità in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante, delle perdite delle società che partecipano alla fusione - delle citate modifiche apportate in materia di ACE;
Secondo le vigenti disposizioni il passaggio alla società incorporante o risultante dalla fusione delle quote di interessi passivi (ai sensi del comma 4 dell’articolo 96) non dedotte nei periodi antecedenti dalle società partecipanti alla fusione è limitato, subordinandolo di fatto alle stesse condizioni previste per il recupero delle perdite di cui al comma 7 in argomento. La modifica interviene per dichiarare la limitazione del passaggio alla società incorporante o risultate dalla fusione, delle eventuali eccedenze di ACE, in quanto a legislazione vigente tale portabilità è ammessa.
§ con la modifica contenuta nella lettera d) si aggiunge al comma 10 dell’articolo 173 del TUIR - in materia di scissione di società – il riferimento agli interessi indeducibili di cui al comma 4 dell’articolo 96, nonché l’eccedenza relativa all’ACE, al fine di coordinare la vigente disciplina con le nuove disposizioni finora viste (lettera c));
Nello specifico il regime fiscale vigente prevede per la scissione il rinvio alle disposizioni contenute nel citato articolo 172, comma 7 (peraltro novellato come precedentemente evidenziato) in materia di fusione di società al fine di rendere omogenea la disciplina nell’ambito delle operazioni straordinarie di gestione.
§ con la modifica contenuta nella lettera e) si estendono le novelle disposte con le precedenti lettere c) e d) anche alle fusioni, scissioni conferimenti di attivo, scambi di azioni concernenti società di Stati membri diversi. Si integrano le vigenti disposizioni contenute nell’articolo 181, comma 1 in materia di perdite fiscali che fanno rinvio alla citata disciplina prevista per i casi di fusione di cui al comma 7 dell’articolo 172, come modificato dalla lettera c) del presente comma, al fine di tener conto della disciplina concernente gli interessi indeducibili di cui al comma 4 dell’articolo 96 del TUIR e l’eccedenza relativa all’ACE.
Il comma 4 modifica in più parti il citato articolo 1 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di ACE:
§ con la modifica contenuta nella lettera a) si elimina la disposizione che prevede, con rinvio al comma 3 del medesimo articolo 1 del decreto-legge 201/2011, che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (a decorrere dal settimo periodo di imposta) sia determinata l’aliquota percentuale per il calcolo del rendimento nozionale del nuovo capitale;
§ con la modifica contenuta nella lettera b) si abroga il vigente comma 2‑bis, che disciplina la variazione in aumento del capitale proprio per le società le cui azioni sono quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione di Stati membri dell’Unione europea (UE) o aderenti allo Spazio economico europeo (SEE). La disciplina qui abrogata si riferisce al c.d. regime di super-ACE, rivolto alle società quotate, regime che non ha avuto concreta esecuzione perché soggetto all’acquisizione preventiva dell’autorizzazione della Commissione europea.
§ con la modifica contenuta nella lettera c) si definisce, dall’ottavo periodo di imposta, l’aliquota del 2,7% utilizzata per il calcolo del rendimento nozionale del nuovo capitale proprio ai fini dell’ACE; sono invece confermate le aliquote previste in via transitoria per i periodi di imposta in corso al 31 dicembre 2014 e fino al 31 dicembre 2016, mentre per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2017 l’aliquota si riduce al 2,3%;
§ con la modifica contenuta nella lettera d) si aggiunge il comma 6‑bis con cui si prevede, per i soggetti diversi dalla banche e dalle imprese di assicurazione, che la variazione in aumento del capitale proprio non ha effetto fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010;
§ con la modifica contenuta nella lettera e) si sostituisce il comma 7 al fine di consentire automaticamente l’applicazione dell’ACE alle persone fisiche, alle società in nome collettivo ed a quelle in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria, senza che a ciò vi si provveda con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, così come invece previsto a legislazione vigente.
Il comma 5 dispone, in deroga allo statuto del contribuente, che le disposizioni di cui al comma 4 del presente articolo, lettere d) ed e) si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2015, pertanto dal 2016.
Il comma
6 dispone che per i soggetti persone fisiche, società in nome collettivo ed
in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria rileva, come incremento
del capitale proprio (ai fini del
calcolo del rendimento nozionale per la definizione dell’ACE), la differenza tra il patrimonio netto al 31 dicembre 2015 ed il patrimonio netto al 31
dicembre 2010.
Il comma 7 definisce le modalità di determinazione dell’acconto per l’anno d’imposta 2017; ai fini dell’imposta sul reddito delle società il calcolo dell’acconto è effettuato considerando, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni di cui al comma 4 in argomento.
Articolo 69
(Proroga della rideterminazione del
valore dei terreni e delle partecipazioni, nonché rivalutazione dei beni di
impresa)
L'articolo 69 proroga i termini per la rivalutazione di quote e terreni da parte delle persone fisiche, confermando l’aliquota dell'8 per cento in relazione alla relativa imposta sostitutiva. Si prevede poi, a favore delle società di capitali e degli enti residenti sottoposti a IRES, la possibilità di effettuare la rivalutazione dei beni d’impresa e delle partecipazioni risultanti dal bilancio dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2015, attraverso il pagamento di un'imposta sostitutiva con aliquota del sedici per cento per i beni ammortizzabili e del dodici per cento per i beni non ammortizzabili; per l'affrancamento del saldo attivo della rivalutazione è fissata un'imposta sostitutiva del dieci per cento.
Il comma 1 riapre i termini per la rivalutazione contabile di terreni agricoli ed edificabili e partecipazioni in società non quotate, introdotta dalla legge finanziaria 2002 e successivamente prorogata nel tempo.
I termini sono
stati da ultimo prorogati dalla legge di stabilità per il 2016, articolo 1,
comma 887.
In particolare, la norma consente di rivalutare anche i terreni e le partecipazioni posseduti al 1° gennaio 2017; il termine di versamento dell’imposta sostitutiva è fissato conseguentemente al 30 giugno 2017 (nel caso di opzione per la rata unica; altrimenti, come già previsto in passato, in tre rate annuali di pari importo); la perizia di stima dovrà essere redatta ed asseverata, al massimo, entro il medesimo temine del 30 giugno 2017.
Più in dettaglio, la disposizione in esame novella l’articolo 2, comma 2, del D.L. n. 282 del 2002, volto ad introdurre la prima riapertura dei termini previsti dagli articoli 5 e 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 riferiti, rispettivamente, al possesso di partecipazioni e di terreni. I richiamati articoli 5 e 7 della legge n. 448 del 2001 hanno introdotto la facoltà di rivalutare i terreni (sia agricoli sia edificabili) e le partecipazioni in società non quotate possedute da persone fisiche e società semplici, agli effetti della determinazione delle plusvalenze, mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva da applicare sul maggior valore attribuito ai cespiti.
Il comma 2 fissa le aliquote di cui agli articoli 5, comma 2, e 7, comma 2, della legge n. 448 del 2001 in misura pari all'8 per cento.
Il citato
articolo 5, comma 2, prevedeva un'aliquota del 4 per cento per le
partecipazioni qualificate e del 2 per cento per quelle non qualificate;
l'articolo 7, comma 2, indicava per l'imposta sostitutiva del 4 per cento per
la rivalutazione di terreni.
Un innalzamento
dell’aliquota era stato disposto dal comma 888 della richiamata legge di
stabilità 2016 il quale ha previsto, in relazione alle partecipazioni non quotate
e ai terreni, che le aliquote delle imposte sostitutive di cui al predetto articolo
5, comma 2 fossero pari all'8 per cento, e l'aliquota di cui all'articolo 7,
comma 2, della medesima legge fosse raddoppiata.
Il comma 3 prevede che i soggetti indicati nell'articolo 73, comma 1, lettere a) e b), del TUIR (società di capitali residenti, enti e trust residenti che esercitano attività commerciali) che non adottano i princìpi contabili internazionali nella redazione del bilancio possono rivalutare i beni d’impresa e le partecipazioni, ad esclusione degli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività di impresa, risultanti dal bilancio in corso al 31 dicembre 2015.
La rivalutazione opera in deroga all'articolo 2426 del codice civile (che individua i criteri di valutazione di tali beni a fini civilistici) e ad ogni altra disposizione di legge vigente in materia.
La rivalutazione va eseguita nel bilancio o rendiconto dell'esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015 e per il quale il termine di approvazione scada successivamente alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame. Essa deve riguardare tutti i beni appartenenti alla stessa categoria omogenea e va annotata nell'inventario e nella nota integrativa (comma 4).
Il comma 5 prevede il pagamento di una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell'IRAP e di eventuali addizionali nella misura del dieci per cento al fine dell'affrancamento, in tutto o in parte, del saldo attivo della rivalutazione.
Il comma 6 stabilisce che la rivalutazione avvenga mediante versamento di un'imposta sostitutiva del sedici per cento per i beni ammortizzabili e del dodici per cento per i beni non ammortizzabili, calcolato sul maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione; tali imposte sono sostitutive delle imposte sui redditi, dell'IRAP e di eventuali addizionali. La valenza fiscale della procedura di rivalutazione opera a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita.
Nel caso in cui i beni rivalutati, prima dell'inizio del quarto esercizio successivo a quello in cui la rivalutazione è stata effettuata, siano ceduti a titolo oneroso, assegnati ai soci, destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa ovvero al consumo personale o familiare dell'imprenditore, ai fini della determinazione di plusvalenze (o minusvalenze) si ha riguardo al costo del bene prima della rivalutazione (comma 7).
Le modalità di versamento delle imposte sostitutive sono fissate dal comma 8, che prevede in particolare il versamento in un'unica rata entro il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita. È prevista la possibilità di compensare detti importi ai sensi della vigente normativa.
Il comma 9 rimanda, in quanto compatibili, alle precedenti disposizioni in materia di rivalutazione: si tratta degli articoli 11, 13, 14 e 15 della legge n. 342/2000, n. 342, dei decreti del Ministro delle finanze n. 162/2001, n. 162, e del Ministro dell'economia e delle finanze n. 86/2001, nonché dei commi 475, 477 e 478 dell’articolo 1 della legge n. 311/2004.
Si ricorda che gli articoli da 10 a 16 della legge n. 342 del 2000 hanno concesso alle imprese la facoltà di effettuare la rivalutazione dei beni risultanti in bilancio attraverso il pagamento di un’imposta sostitutiva sul maggior valore iscritto.
In particolare, ai sensi dell’articolo 10, potevano essere oggetto di rivalutazione i beni mobili e immobili e le partecipazioni in società controllate o collegate che risultassero iscritte tra le immobilizzazioni nel bilancio chiuso entro il 31 dicembre 2002. Risultavano esclusi, invece, i beni alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa (c.d. “beni-merce”).
Con riferimento al profilo soggettivo, le disposizioni richiamate interessavano le società di capitali, gli enti commerciali, gli enti non commerciali, le imprese individuali, le società di persone, con la sola esclusione delle società semplici, nonché le società, gli enti e le persone fisiche non residenti che esercitano attività commerciali nel territorio dello Stato mediante una stabile organizzazione (articoli 10 e 15).
La rivalutazione, secondo quanto disposto dall’articolo 11, poteva essere eseguita nell’esercizio successivo a quello indicato all'articolo 10, per il quale il termine di approvazione del bilancio scadesse successivamente alla data di entrata in vigore della legge. Inoltre, al fine di evitare sopravvalutazioni, venivano disposti criteri per la determinazione del nuovo valore attribuito al bene oggetto di rivalutazione.
L’articolo 12 prevedeva che sui maggiori valori emersi fosse applicata un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP, nella misura, rispettivamente, del 19 per cento per i beni ammortizzabili e del 15 per cento per quelli non ammortizzabili. L’imposta sostitutiva poteva essere versata in tre rate annuali di pari importo, anche mediante compensazione, ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997.
Il maggior valore attribuito ai beni con la rivalutazione, in base all’articolo 12, comma 3, era comunque riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, a decorrere dall’esercizio in cui la rivalutazione era stata effettuata.
Ai sensi dell'articolo 13, il saldo attivo risultante dalla rivalutazione doveva essere destinato ad incremento di capitale sociale oppure iscritto in un'apposita riserva in sospensione d’imposta, la cui denominazione doveva contenere il riferimento alle disposizioni relative alla rivalutazione eseguita. La finalità della norma consiste nell'escludere la possibilità che le somme relative alla rivalutazione, incrementative del patrimonio netto dell’impresa, vengano utilizzate senza essere adeguatamente tassate: il medesimo articolo 13 dispone infatti che nel caso in cui tali riserve siano distribuite ai soci, le somme versate, incrementate dell’imposta sostitutiva pagata, concorrono a formare sia il reddito imponibile della società sia quello dei soci; a tal fine è riconosciuto un credito d’imposta pari all’importo dell’imposta sostitutiva pagata. Se, invece, la riserva è utilizzata per la copertura di perdite, non si può far luogo a distribuzione di utili se prima non viene reintegrata la riserva medesima.
L'articolo 14 consentiva l'applicazione delle disposizioni dell’articolo 12 e della relativa imposta sostitutiva, per ottenere il riconoscimento fiscale dei maggiori valori dei beni iscritti nel bilancio o rendiconto, anche singolarmente considerati, divergenti da quelli fiscali a qualsiasi titolo (c.d. riallineamento). In entrambi i casi (rivalutazione o riallineamento), ai sensi dell’articolo 14, l’importo corrispondente ai maggiori valori era imputato ad una riserva in sospensione di imposta.
L’articolo 16, infine, rimetteva a un decreto ministeriale la determinazione delle modalità di attuazione delle disposizioni contenute negli articoli da 10 a 15. A ciò si è provveduto con i decreti del Ministro delle finanze 13 aprile 2001, n. 162, e 19 aprile 2002, n. 86.
I commi 475, 477 e 478 dell’articolo 1 della legge n. 311/2014 (legge finanziaria 2005) disciplinano il versamento di una imposta sostitutiva sulle riserve e i fondi in sospensione di imposta e sui saldi attivi di rivalutazione.
Il comma 475 in particolare prevede che le riserve e i fondi, assoggettati all'imposta sostitutiva, non concorrono a formare il reddito imponibile dell'impresa ovvero della società e dell'ente e in caso di distribuzione dei citati saldi attivi non spetta il credito d'imposta. Ai sensi del comma 477 l'imposta sostitutiva è indeducibile e può essere imputata, in tutto o in parte, alle riserve iscritte in bilancio o rendiconto; per la liquidazione, l'accertamento, la riscossione, i rimborsi, le sanzioni e il contenzioso si applicano le disposizioni previste per le imposte sui redditi (comma 478).
In base al comma 10, limitatamente ai beni immobili, i maggiori valori iscritti in bilancio ai sensi dell'articolo 14 della legge 21 novembre 2000, n. 342, in materia di riconoscimento fiscale di tali valori, si considerano riconosciuti con effetto dal periodo di imposta in corso alla data del 1° dicembre 2018.
Il comma 11 stabilisce infine che le previsioni dell’articolo 14, comma 1, della legge n. 342/2000, sul riconoscimento fiscale di maggiori valori iscritti in bilancio, si applicano anche ai soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali anche con riferimento alle partecipazioni, in società ed enti, costituenti immobilizzazioni finanziarie ai sensi dell’articolo 85, comma 3-bis, del TUIR.
Il comma 3-bis citato prevede che, per i soggetti
che redigono il bilancio in base ai princìpi contabili internazionali, si
considerano immobilizzazioni finanziarie gli strumenti finanziari diversi da
quelli detenuti per la negoziazione. Per tali soggetti, per l’importo
corrispondente ai maggiori valori oggetto di riallineamento, al netto
dell’imposta sostitutiva, è vincolata una riserva in sospensione di imposta ai
fini fiscali che può essere affrancata secondo le modalità precedentemente
descritte.
Articolo 70
(Assegnazione o cessione di beni ai soci.
Estromissione di immobili dal patrimonio dell’impresa)
L'articolo 70 prevede la riapertura (al 30 settembre 2017) dei termini per l’assegnazione o cessione di taluni beni ai soci e per l’estromissione dei beni immobili dal patrimonio dell’impresa da parte dell’imprenditore individuale.
Il comma 1 consente l'applicazione delle disposizioni in tema di regime agevolato per cessioni e assegnazioni di beni ai soci, previste dalla legge di stabilità 2016 (articolo 1, commi da 115 a 120, legge n. 208 del 2015) anche alle assegnazioni, trasformazioni e cessioni poste in essere successivamente al 30 settembre 2016 ed entro il 30 settembre 2017.
I relativi versamenti rateali dell'imposta sostitutiva sono effettuati, rispettivamente, entro il 30 novembre 2017 ed entro il 16 giugno 2018.
Le agevolazioni fiscali temporanee per le cessioni o assegnazioni, da parte delle società di beni immobili e di beni mobili registrati ai soci.
I commi da 115 a 120 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016 hanno introdotto apposite agevolazioni fiscali temporanee per le cessioni o assegnazioni, da parte delle società - ivi incluse le cd. società non operative - di beni immobili e di beni mobili registrati ai soci: a queste operazioni si applica un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP ed è ridotta l’imposta di registro. Analoghe agevolazioni sono previste per le relative trasformazioni societarie.
L'assegnazione dei beni costituisce, insieme all'attribuzione di denaro, lo strumento col quale la società effettua la distribuzione di utili o la restituzione di capitale. Con tali norme in esame veniva riproposta la misura in passato già prevista dall’articolo 29 della legge 23 dicembre 1997, n. 449, come successivamente integrato dall'articolo 13 della legge 18 febbraio 1999, n. 28. Sulle questioni applicative era intervenuta la Circolare n. 112/E del 21 maggio 1999 del Ministero delle finanze, cui si farà riferimento in seguito.
Le società non operative (disciplinate dalla legge 724 del 1994 e dal decreto-legge n. 138 del 2011) o “società di comodo” sono quelle non preposte a svolgere un’attività economica o commerciale, ma soltanto a gestire un patrimonio mobiliare o immobiliare. L’ordinamento tributario prevede una disciplina di contrasto di tali società, con fini antielusivi: tra l’altro, ad esse si applica una maggiorazione di 10,5 punti percentuali dell’aliquota IRES. Tale maggiorazione si applica anche alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per cinque periodi d'imposta consecutivi (cd. società in perdita sistematica, su cui è poi intervenuto il D.Lgs. n. 175 del 2014). La riforma delle società di comodo, prevista dalla legge delega sulla riforma fiscale, non è stata attuata.
Il comma 115 individuava i destinatari di tale agevolazione, ovvero le società in nome collettivo, in accomandita semplice, a responsabilità limitata, per azioni e in accomandita per azioni che abbiano assegnato o ceduto ai soci beni immobili o beni mobili registrati, non strumentali all’attività di impresa.
L’agevolazione riguarda anche le società che hanno per oggetto esclusivo o principale la gestione dei predetti beni e che entro il 30 settembre 2016 si sono trasformate in società semplici.
L’agevolazione si applicava alle seguenti condizioni:
§ le cessioni o assegnazioni devono essere avvenute entro lo scorso 30 settembre 2016;
§ tutti i soci cessionari o assegnatari dovevano risultare iscritti nel libro dei soci, ove prescritto, alla data del 30 settembre 2015, ovvero dovevano essere iscritti entro il 31 gennaio 2016 (trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità 2016), in forza di titolo di trasferimento avente data certa anteriore al 1° ottobre 2015.
Il comma 116 individua in primo luogo la base imponibile cui applicare l’imposta sostitutiva, costituita dalla differenza tra il valore normale dei beni assegnati o, in caso di trasformazione, quello dei beni posseduti all’atto della trasformazione, e il loro costo fiscalmente riconosciuto.
L’imposta sostitutiva (che si applica in luogo delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive – IRAP) ha un’aliquota dell’8 per cento. Essa è elevata al 10,5 per cento per le società considerate non operative in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento della assegnazione, cessione o trasformazione.
L’aliquota è del 13 per cento sulle riserve in sospensione d’imposta, annullate per effetto dell'assegnazione dei beni ai soci, e quelle delle società che si trasformano.
Le riserve e i fondi in sospensione d’imposta sono poste patrimoniali costituite in occasione di particolari situazioni, in genere previste da norme speciali (ad esempio nel caso di rivalutazioni di beni d’impresa), che ne rinviano l’imposizione ad un momento successivo, generalmente coincidente con la distribuzione di detti fondi e riserve o con il verificarsi di uno dei presupposti che comportano il venir meno del regime di sospensione.
Il comma 117 chiarisce i criteri di determinazione del valore normale, necessario per la determinazione della base imponibile.
Per gli immobili, su richiesta della società e nel rispetto delle condizioni prescritte, il valore normale può essere determinato in misura pari a quello risultante dall’applicazione all’ammontare delle rendite risultanti in catasto dei moltiplicatori determinati con i criteri e le modalità previsti dalle norme in tema di imposta di registro.
Si tratta in particolare dei moltiplicatori contemplati dall’articolo 52, quarto comma, primo periodo del testo unico sull’imposta di registro, D.P.R. n. 131 del 1986, ossia 75 per i terreni e 100 per i fabbricati.
Nel caso di cessione, il corrispettivo della stessa, ove inferiore al valore normale del bene - determinato ai sensi delle regole generali del TUIR o, in alternativa, con l’applicazione dei moltiplicatori - è computato in misura non inferiore ad uno dei due valori (valore normale o valore catastale).
Nel silenzio delle norme in esame, il valore normale per i beni mobili iscritti in pubblici registri sembra doversi individuare in base alle ordinarie disposizioni dell’articolo 9 TUIR (cfr. anche la citata circolare n. 112/E del 1999).
Il valore normale è il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi.
Per quanto riguarda il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute dai soci delle società trasformate, il comma 118 prescrive che esso sia aumentato della differenza assoggettata ad imposta sostitutiva.
Nei confronti dei soci assegnatari non si applicano le disposizioni sul trattamento fiscale degli utili di cui al comma 1, secondo periodo e dal 5 all'8 del menzionato articolo 47, relativi alla presunzione di distribuzione degli utili di esercizio, nonché in tema di distribuzione di beni ai soci e trattamento fiscale di dette assegnazioni.
Si chiarisce inoltre che il valore normale dei beni ricevuti, al netto dei debiti accollati, riduce il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute.
Per quanto concerne il costo fiscalmente riconosciuto del bene assegnato, la citata circolare n. 112/E del 1999 rimandava, relativamente ai beni plusvalenti, ai criteri previsti dall'art. 76, comma 1, lettera b), del Tuir (ora articolo 110), norma secondo cui si comprendono nel costo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali; la circolare chiariva che tale costo andava computato al netto degli ammortamenti fiscalmente dedotti.
Per quanto invece riguarda i cd. “beni merce” (beni che in caso di cessione danno luogo a ricavi), ove non siano valutati dalla società in base al metodo del "costo specifico", il costo fiscalmente riconosciuto era determinato con criteri corrispondenti a quelli stabiliti per la determinazione del costo del venduto, facendo quindi riferimento ad una situazione di magazzino, relativa ai beni assegnati, redatta alla data di assegnazione.
Ai sensi del comma 119, per le assegnazioni e cessioni di beni agevolate, se soggette all’imposta di registro in misura proporzionale, le aliquote di tale imposta sono ridotte alla metà e le imposte ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa (200 euro).
Per quanto riguarda il versamento dell’imposta sostitutiva, essa doveva avvenire, ai sensi del comma 120, in due rate: la prima, che comportava il versamento del 60 per cento dell’imposta sostitutiva, entro il 30 novembre 2016 e la seconda entro il 16 giugno 2017, secondo le norme generali sui versamenti (di cui al decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241).
Per quanto riguarda la riscossione, i rimborsi ed il contenzioso si applicano le disposizioni previste per le imposte sui redditi.
Il comma 2 prevede la possibilità di applicare un’imposta sostitutiva anche alle esclusioni dal patrimonio dell'impresa dei beni posseduti alla data del 31 ottobre 2016, purché tali esclusioni siano poste in essere dal 1° gennaio 2017 al 31 maggio 2017.
Il comma 121
della legge di stabilità 2016 dispone l’applicazione - opzionale - per gli
imprenditori individuali di un’imposta
sostitutiva di IRPEF e IRAP, con aliquota dell’8 per cento, sugli immobili
strumentali posseduti alla data del 31 ottobre 2015. Il pagamento dell’imposta
consente di escludere tali beni dal patrimonio dell'impresa, con effetto dal
primo periodo d'imposta in corso alla data del 1° gennaio 2016.
Più in
dettaglio, l'imprenditore individuale che alla data del 31 ottobre 2015
possedeva beni immobili strumentali poteva, entro il 31 maggio 2016, optare per
l'esclusione dei beni stessi dal patrimonio dell'impresa, con effetto dal
periodo di imposta in corso alla data del 1° gennaio 2016.
L’esclusione
implicava il pagamento di una imposta sostitutiva di IRPEF e IRAP, con aliquota
dell'8 per cento, applicata sulla differenza tra il valore normale di tali beni
ed il relativo valore fiscalmente riconosciuto.
A tale
disposizione si si applicavano, in quanto compatibili, le disposizioni dei
dianzi illustrati commi 115 a 120 che hanno introdotto le agevolazioni fiscali
temporanee per le cessioni o assegnazioni, da parte delle società - ivi incluse
le cd. società non operative - di beni immobili e di beni mobili registrati ai
soci; a queste operazioni si applica un’imposta sostitutiva delle imposte sui
redditi e dell’IRAP ed è ridotta l’imposta di registro. Analoghe agevolazioni
era previste per le relative trasformazioni societarie.
Per quanto attiene ai versamenti rateali dell'imposta sostitutiva di cui al dianzi citato comma 121, questi sono effettuati, rispettivamente, entro il 30 novembre 2017 e il 16 giugno 2018. Per i soggetti che si avvalgono della presente disposizione gli effetti della estromissione decorrono dal 1° gennaio 2017.
Articolo 71
(IVA sulle variazioni dell’imponibile o
dell’imposta)
L’articolo 71 ripristina la regola secondo cui l’emissione di una nota di credito IVA, nonché l’esercizio del relativo diritto alla detrazione dell’imposta corrispondente alle variazioni in diminuzione, possono essere effettuati, nel caso di mancato pagamento connesso a procedure concorsuali, solo una volta che dette procedure si siano concluse infruttuosamente.
L’articolo interviene sulla disciplina delle variazioni dell’imponibile IVA o dell’imposta stessa, al fine di ripristinare la regola secondo cui l’emissione di nota di credito IVA e, dunque, la possibilità di portare in detrazione l’IVA corrispondente alle variazioni in diminuzione, in caso di mancato pagamento connesso a procedure concorsuali, può avvenire solo una volta che dette procedure si sono concluse infruttuosamente.
Si rammenta che la disciplina relativa alle note di credito IVA, contenuta nell’articolo 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, è stata da ultimo modificata dalla legge di stabilità 2016 (articolo 1, commi 126 e 127 della legge n. 208 del 2015), allo scopo di anticipare al momento di apertura di una procedura concorsuale la possibilità di emettere una nota di credito e, dunque, portare in detrazione l’IVA corrispondente alle variazioni in diminuzione, in caso di mancato pagamento connesso a procedure concorsuali, anziché doverne attendere l’infruttuosa conclusione, in luogo di dover attendere l’infruttuoso esito delle medesime procedure per l’esercizio del relativo diritto.
Le norme introdotte dovrebbero trovare applicazione ai casi in cui il cessionario o committente sia assoggettato a una procedura concorsuale successivamente al 31 dicembre 2016 (in particolare, l’anticipo della detrazione alla data della procedura concorsuale e quelle relative alla disapplicazione dell’obbligo di registrare la variazione per la controparte contrattuale, nel caso di procedure concorsuali).
Per effetto delle modifiche operate dalle norme in esame (articolo 71, comma 1, lettera a)) viene modificato il comma 2 dell’articolo 26, al fine di chiarire che l’emissione della nota di credito e dunque dell’esercizio del diritto alla detrazione è condizionato all’infruttuosità delle procedure concorsuali, da cui deriva la variazione in diminuzione dell’imponibile.
Più in dettaglio, il vigente comma 2 consente al cedente del bene o al prestatore del servizio di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione dell’imponibile, se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura viene meno - in tutto o in parte - o se ne riduce l’ammontare imponibile successivamente alla registrazione, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, ovvero in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.
Con le modifiche in commento, si chiarisce che il diritto alla detrazione dell’imposta per variazione dell’imponibile trova applicazione anche nel caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, a causa di:
§ procedure concorsuali o esecutive individuali rimaste infruttuose;
§ accordo di ristrutturazione dei debiti, omologato con decreto ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, legge fallimentare;
§ piano di risanamento e di riequilibrio, pubblicato nel registro delle imprese e attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), della legge fallimentare.
Il comma 1, lettera b) elimina dal comma 8 dell’articolo il riferimento al comma 4, in conseguenza dell’abrogazione di quest’ultimo con la lettera d) (per cui si veda infra).
Analoga finalità di coordinamento è perseguita dalla successiva lettera c) del comma 1, che elimina dal comma 12 il riferimento al comma 4.
Il comma 1, lettera d) abroga le seguenti disposizioni:
§ comma 4 dell’articolo 26, che fissa il momento in cui è consentita l’emissione di note di accredito IVA all’assoggettamento a una procedura concorsuale, ovvero al decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti, ovvero alla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano di risanamento e di riequilibrio e, per le procedure individuali, all’eventuale infruttuoso svolgimento;
§ comma 6 dell’articolo 26, che consente di applicare la disciplina delle variazioni IVA in aumento, se - dopo gli eventi che possono comportare la variazione in diminuzione (procedure concorsuali, accordo di ristrutturazione, piano di risanamento o procedure esecutive individuali infruttuose) - il corrispettivo è totalmente o parzialmente pagato. In tal caso, il diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione in aumento si trasferisce sul cessionario o committente che abbia assolto all’obbligo di variazione;
§ comma 11 dell’articolo 26, ai sensi del quale il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo, ovvero del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, coerentemente alla ratio delle modifiche apportate dalla legge di stabilità 2016;
§ il secondo periodo del comma 5, che esonera il cessionario o il committente dall’obbligo di registrare la variazione nel caso di procedure concorsuali, accordi di ristrutturazione o piani di risanamento.
Articolo 72
(Autorizzazione
al cambio di tecnologia dei diritti d’uso
delle frequenze in banda 900 e 1800 Mhz)
L’articolo 72 prevede il rinnovo dei diritti d’uso delle frequenze della telefonia mobile GSM (banda 900 Mhz) e UMTS (1800 Mhz) in scadenza, con autorizzazione al cambio di tecnologia e il rinnovo fino al 2029 con pagamento in un’unica soluzione, entro il 30 settembre 2017, dei contributi per il loro utilizzo, maggiorati del 30 per cento.
La norma in commento prevede che i diritti d’uso delle frequenze assegnate alla telefonia mobile GSM in banda 900 Mhz (cioè lo standard internazionale aperto di telefonia cellulare detto “2G”) e a quelle UMTS in banda 1800 Mhz (la telefonia cellulare 3G, evoluzione del GSM), che sono in scadenza al 30 giugno 2018, possano, su domanda dei titolari, essere oggetto di revisione delle condizioni tecniche, nonché di “proroga” con decorrenza dal 1° luglio 2017, nel rispetto del principio di neutralità tecnologica (comma 1).
La finalità dichiarata dalla norma è di favorire
lo sviluppo dei servizi e delle tecnologie di tipo a larga banda e di garantire
una maggiore efficienza nell’uso dello spettro radio. Si ricorda che la
tecnologia 4G o LTE può funzionare su diverse bande di frequenza: gli 800 Mhz, in precedenza occupata dai canali televisivi e
liberata con il passaggio al digitale terrestre, la banda 900 Mhz attualmente occupata dal GSM, la banda 1800 Mhz attualmente occupata dall’UMTS e la banda 2600 Mhz. Nella Relazione illustrativa si cita inoltre
espressamente l’interesse a livello politico europeo per il passaggio alla
tecnologia 5G entro il 2020 o prima. Il “refarming" consiste nella riassegnazione di bande di
frequenze dello spettro radio a tecnologie diverse e può realizzarsi attraverso
la liberazione dei canali attualmente utilizzati in tecnologia GSM per fare
posto alle tecnologie di generazione successiva. In Italia le frequenze
utilizzate attualmente per le connettività 4G-LTE sono le
seguenti: 800MHz(B20), 1800MHz(B3) e 2600MHz(B7), quest’ultima utilizzata
principalmente nelle aree urbane. Per approfondimenti si veda sub il box relativo al Piano
Nazionale di Ripartizione delle Frequenze (PNRF).
Il comma 2, prevede in particolare che i titolari dei diritti d’uso di tali frequenze (attualmente di Telecom, Vodafone, Wind-Tre) possano richiedere l’autorizzazione al cambio della tecnologia sull’intera banda ad essi attribuita, con decorrenza 1° luglio 2017 e contestualmente, richiedere la proroga, sostanzialmente un rinnovo, fino al 31 dicembre 2029, alle nuove condizioni tecniche, della durata dei relativi diritti d’uso.
Si ricorda che la gara per l’assegnazione delle frequenze UMTS si è svolta ad ottobre 2000 a seguito della deliberazione del Comitato dei Ministri del 25 luglio 2000, che ha approvato il Disciplinare di gara. La gara si è conclusa il 27 ottobre 2000 con l’aggiudicazione delle licenze UMTS a TIM, Omnitel, Wind, Ipse e Andala, ad un prezzo oscillante tra il valore minimo di 4.680 miliardi di lire e quello massimo di 4.740 miliardi di lire. Il rilascio delle cinque licenze è stata deliberato dall’AGCOM in data 10 gennaio 2001. Il bando prevedeva l'assegnazione a ciascuno dei vincitori, con decorrenza 1° gennaio 2002 (per la durata di 15 anni), di 2x10 Mhz dello spettro simmetrico e 5 Mhz dello spettro asimmetrico. Con Delibera n. 1/01/CONS, l’AGCOM ha formalmente adottato il provvedimento di assegnazione delle frequenze nominali, stabilendo le porzioni di spettro per ciascun aggiudicatario e il relativo ordine di assegnazione secondo la seguente sequenza per lo spettro simmetrico: Ipse, TIM, Wind, Andala e Omnitel.
Con Delibera n. 233/14/CONS l’AGCOM ha poi indetto nel 2014 una consultazione pubblica sulla richiesta di prolungamento dal 2015 al 2018 della durata dei diritti d'uso GSM in banda 900 e 1800 MHz degli operatori Telecom Italia S.p.A. e Vodafone Omnitel NV. A conclusione del procedimento, l’AGCOM ha dato al MISE parere favorevole sul prolungamento al 30 giugno 2018 di tali diritti.
Circa le modalità per la richiesta ed i relativi costi per l’utilizzo delle frequenze, si prevede la presentazione di un’unica istanza entro il 15 febbraio 2017, ai sensi dell’articolo 25, comma 6, del codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259/2003), corredata da un dettagliato piano tecnico finanziario. Si prevede inoltre (comma 3) il pagamento anticipato ed in un’unica soluzione dei contributi per i diritti d’uso delle frequenze, di cui all’articolo 35 del medesimo decreto legislativo, da effettuarsi entro e non oltre il 30 settembre 2017.
La misura dei contributi, rapportati alla quantità di banda e alla durata, è data dal canone di affitto delle frequenze, fissato dalle delibere 541/08/CONS e 282/11/CONS dell’AGCOM, ma maggiorato del 30 per cento e sarà attualizzato al tasso di rendimento del BTP decennale registrato alla data dell’ultima asta dei BTP antecedente alla data di presentazione dell’istanza (comma 4).
Con la delibera n. 541/08/CONS del 17 settembre 2008, l’AGCOM ha dettato le “Procedure e regole per l’assegnazione e l’utilizzo delle bande di frequenze a 900 e a 2100 MHz da parte dei sistemi di comunicazione elettronica” A seguito di questa delibera è anche stato liberato dalle utilizzazioni GSM il blocco di frequenze da 2x5 MHz : 1750-1755/1845-1850 MHz. Con la successiva Delibera 282/11 l’AGCOM ha dettato le procedure e regole per l'assegnazione e l'utilizzo delle frequenze disponibili in banda 800, 1800, 2000 e 2600 Mhz per sistemi terrestri di comunicazione elettronica e sulle ulteriori norme per favorire una effettiva concorrenza nell'uso delle altre frequenze mobili a 900, 1800 e 2100 Mhz, che ha visto tra l’altro lo sblocco di ulteriori porzioni di banda, rendendo così complessivamente disponibili per un piano di assegnazione 5 blocchi accoppiati ciascuno da 2x5 MHz, corrispondenti alle porzioni 1.715-1.735/1.810-1.830 MHz e 1750-1755/1845-1850 MHz .
Si ricorda che l'AGCOM ha il compito di disciplinare l'accesso alle risorse scarse, mediante la definizione delle modalità per limitare l'accesso alle frequenze, dell'appropriata procedura di gara e delle correlate condizioni pro competitive. Tale attività viene normalmente svolta dopo una consultazione pubblica. L'effettuazione della procedura ed il rilascio dei titoli autorizzatori (diritti d'uso delle frequenze) spetta invece al MISE.
Il MISE provvederà quindi, nel caso di accoglimento dell’istanza, a rilasciare i nuovi diritti d’uso con decorrenza dal 1° luglio 2017 e scadenza al 31 dicembre 2029 con recupero degli eventuali importi già versati e dovuti per il primo semestre del 2017 (comma 5). Fino al 30 giugno 2018 i gestori radiomobili autorizzati al cambio della tecnologia saranno comunque tenuti al rispetto degli obblighi di cui alla rispettive licenze GSM ed in considerazione di tale onere i contributi di cui al comma 3 sono decurtati di un importo pari al 30 per cento in misura proporzionale alla percentuale di banda utilizzata sul territorio nazionale con tecnologia GSM fino a tale data (comma 6)
Si prevede invece lo svolgimento di una gara pubblica entro il 30 giugno 2017 per i diritti d'uso delle frequenze per i
quali il Ministero non riceva istanze o
per le quali non vengano concesse proroghe (comma 7). Per questi si prevede l’assegnazione entro il 31
ottobre 2017, secondo i criteri che saranno definiti entro il 31 marzo 2017
dall’AGCOM, con importo minimo di base
d'asta, pari ad almeno il valore dei contributi previsto al comma 3, ulteriormente maggiorato del 10 %.
Il comma 8 quantifica i maggiori introiti previsti per il 2017 da tali norme, in 2.010 milioni di euro.
Per garantire la realizzazione integrale di tali introiti, si prevede che per i diritti d’uso delle frequenze per le quali il MISE non riceva istanze o non conceda proroghe, il MEF provveda entro il 15 aprile 2017 ad accantonare e rendere indisponibili le corrispondenti somme, con le modalità di cui all'articolo 17, comma 12-bis, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
Analogamente, qualora, a seguito degli esiti della gara, comunicati tempestivamente dal Ministero dello sviluppo economico, gli introiti non dovessero realizzarsi in tutto o in parte, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze si provvederà alla riduzione degli stanziamenti accantonati in misura corrispondente per assicurare la copertura delle minori entrate accertate per il 2017. Nel caso la riduzione degli stanziamenti possa recare pregiudizio alla funzionalità e all’operatività delle amministrazioni interessate il Ministro dell'economia e delle finanze provvederà, ai sensi dell’articolo 17, comma 13, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, ad assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, assumendo tempestivamente le conseguenti iniziative legislative.
Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause dello scostamento e all'adozione delle misure previste dal comma 8.
Il Ministero dello Sviluppo Economico, che ha il compito della gestione del Piano nazionale di ripartizione delle frequenze, con cui le bande di frequenza sono attribuite ai vari servizi e destinate alle diverse utilizzazioni, ha approvato con DM 27 maggio 2015 il nuovo Piano Nazionale di Ripartizione delle Frequenze (PNRF), che regola l'utilizzo dello spettro radioelettrico in Italia per tutte le bande di frequenze comprese tra 0 e 3000 GHz (in Tabella 1 sono sintetizzati i principali utilizzi). Il Piano contiene:
§ l'attribuzione delle bande di frequenze ai diversi servizi;
§ l'indicazione, per ciascun servizio e nell'ambito delle singole bande, dell'autorità governativa preposta alla gestione delle frequenze, nonché le principali utilizzazioni civili;
§ la verifica dell'efficiente utilizzazione dello spettro, al fine di liberare risorse per il settore televisivo e di gestire gli eventuali contenziosi con i Paesi frontalieri.
Il PNRF recepisce nella legislazione nazionale il Regolamento delle radiocomunicazioni dell'UIT (organismo dell'ONU), come previsto anche dal testo unico della radiotelevisione (d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177), che costituisce un Trattato internazionale vincolante per i Paesi membri, nonché gli atti finali delle "Conferenze mondiali delle radiocomunicazioni" (WRC), in particolare quella tenutasi a Ginevra nel 2012 (WRC12). Vengono inoltre recepiti i provvedimenti obbligatori approvati dalla Unione Europea e (su base volontaria) quelli della CEPT (Conferenza Europea delle Poste e Telecomunicazioni).
Le reti di seconda generazione (2G) sono nate nel 1991 come un insieme di standard che regolavano la telefonia mobile, senza particolare attenzione alla trasmissione dati. La terza generazione (3G) si è concentrata su videochiamate e Internet e TV in mobilità. Le reti 4G sono progettate per migliorare aspetti come la telefonia via IP (VoIP), le videoconferenze e il cloud computing, oltre che i video in streaming e il gioco online. La quarta generazione di tecnologia mobile (detta anche LTE) è in fase di implementazione dal 2010, mentre si sta già lavorando per definire la nuova tecnologia 5G, destinata ad integrare il 4G, ma senza sostituirlo, a partire dal 2020 e che dovrebbe consentire l’ulteriore sviluppo delle velocità e dei servizi di connessione nella prospettiva anche dell’Internet of Things (IoT).
La connettività senza fili richiede l’accesso allo spettro nelle bande al di sotto di 1 GHz, in quanto consentono di assicurare allo stesso tempo copertura ampia e velocità elevate. Nel novembre 2015 si è tenuta la Conferenza mondiale WR15, che ha portato a termine i negoziati internazionali per l’uso della “banda dei 700 MHz”, che comprende le frequenze da 694 a 790 MHz, stabilendo che dovrebbe essere assegnata alla banda larga senza fili (broadband mobile), anziché al digitale terrestre. Intorno al 2020-2021 gli operatori italiani potrebbero essere chiamati ad una nuova gara, già svoltasi in Francia ed in Germania, per l’assegnazione delle frequenze a 700 Mhz per consentire il passaggio alla nuova tecnologia 5G.
Tabella
5 – PNRF - quadro sintetico
di alcuni utilizzi del servizio mobile e della radiodiffusione.
Banda di frequenze (MHz)* |
Servizio |
Utilizzo |
87,5-108 |
Radiodiffusione |
Radiodiffusione sonora in FM |
470-608 |
Radiodiffusione |
Radiodiffusione televisiva |
608-614 |
Radiodiffusione e Radioastronomia |
Radiodiffusione televisiva |
614-790 |
Radiodiffusione |
Radiodiffusione televisiva |
790-862 (“banda 800 Mhz”) |
Mobile |
Servizi di comunicazioni elettroniche terrestri
(telefoni cellulari); IMT (Sistema di telecomunicazioni mobili
internazionale) |
876-915; 1715-1785 |
Mobile |
Telefonia
cellulare GSM (Europa) |
1980-2010 |
Mobile |
Telefonia Mobile via satellite Mss
2Ghz |
2510-2600 2630-2690 |
Mobile |
Servizi di comunicazioni elettroniche terrestri
(telefoni cellulari); IMT |
3.500-3.800 |
Fisso |
Reti fisse numeriche -Servizi di comunicazioni
elettroniche terrestri a banda larga e ultralarga (c.d.
Banda C x Fixed Wireless Access e LTE)- MFCN (Reti
di comunicazioni fisso/mobile); ESV (Stazioni terrene installate a bordo di
imbarcazioni) |
L’articolo 73 reca disposizioni per la procedura a evidenza pubblica per concedere la gestione dei giochi numerici a totalizzatore (SuperEnalotto e Superstar, SiVinceTutto SuperEnalotto, Vinci per la Vita-Win for Life e Eurojackpot)
Nel mese di giugno 2018 verrà a scadenza la concessione per la gestione dei giochi numerici a totalizzatore nazionale, e giochi complementari e opzionali, attribuita a decorrere dal 29 giugno 2009 alla Società Sisal Spa, sulla base di quanto previsto dall'art. 1, commi 90 e 91, della legge n. 296/2006. Considerata la scadenza della concessione, le relative procedure di gara dovranno essere espletate nel corso dell'anno 2017.
La concessione in essere comprende le seguenti tipologie di gioco: SuperEnalotto e il gioco accessorio Superstar; SiVinceTutto SuperEnalotto; Vinci per la Vita-Win for Life; Eurojackpot.
Il comma 1 reca le disposizioni per la procedura ad evidenza pubblica relativa ai giochi numerici a totalizzatore aggiudicata dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, sulla falsariga di quella relativa alla concessione in scadenza, disciplinata dalla legge finanziaria per il 2007. Viene stabilito che la gestione delle predette attività sia affidata a uno o più soggetti con pregresse esperienze nella gestione o raccolta di gioco ovvero in possesso di capacità tecnico-infrastrutturali non inferiore a quella richiesta dal capitolato tecnico, con sede legale in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, muniti di idonei requisiti di affidabilità tecnica ed economica, scelti mediante procedura di selezione aperta, competitiva e non discriminatoria.
Si stabilisce che la procedura in parola sia indetta alle seguenti condizioni essenziali:
a. durata della concessione di nove anni, non rinnovabile;
b. selezione basata sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa e, quanto alla componente prezzo, base d'asta, per le offerte al rialzo, di 100 milioni di euro;
c. versamento del prezzo indicato nell'offerta del concorrente risultato primo in graduatoria, nella misura del 50% all'atto dell'aggiudicazione e della quota residua all'atto dell'effettiva assunzione del servizio del gioco da parte dell'aggiudicatario;
d. aggio per il concessionario pari al 5% della raccolta con offerta al ribasso;
e. espressa previsione, negli atti di gara, di tutte le pratiche o rapporti negoziali oggetto della concessione (ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 sulla trasparenza nelle procedure di affidamento);
f. facoltà per il concessionario aggiudicatario, di utilizzare la rete di telecomunicazioni per prestazioni, dirette o indirette, di servizi diversi dalla raccolta del gioco, previa autorizzazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli in ragione della loro compatibilità con la raccolta stessa;
g. obbligo di aggiornamento tecnologico del sistema della rete e dei terminali di gioco secondo standard qualitativi che garantiscano la massima sicurezza ed affidabilità, secondo il piano d'investimento, che costituisce parte dell'offerta tecnica;
h. obbligo per il concessionario di versamento annuale all'erario delle somme comunque eventualmente non investite secondo il piano d’investimento e delle somme addebitate in violazione delle previsioni dei bandi di gara.
Il comma 2 prevede che al fine di rendere effettiva l'assunzione del servizio del gioco da parte dell'aggiudicatario, con riferimento alla devoluzione della rete allo Stato (prevista dall'articolo 1, comma 90, lettera e), della legge 27 dicembre 2006, n, 296), l'Agenzia delle dogane e dei monopoli può disporre il passaggio diretto dei diritto d'uso della rete tra il concessionario uscente e l'aggiudicatario, fermo restando che il diritto d'uso avrà termine alla scadenza della nuova concessione.
La citata lettera e) prevede che le modalità di affidamento in concessione della gestione dei giochi numeri a totalizzatore nazionale debba avvenire in modo che sia rispettata la coerenza della soluzione concessoria individuata con la finalità della progressiva costituzione della rete unitaria dei giochi pubblici, anche attraverso la devoluzione allo Stato, alla scadenza della concessione, di una rete di almeno 15.000 punti di vendita non coincidenti con quelli dei concessionari della raccolta del gioco del Lotto.
L’articolo 74, commi 1-4, prevede la concessione per il 2017 di un credito di imposta pari al 100 per cento delle risorse aggiuntive che le Fondazioni di origine bancaria vorranno volontariamente destinare a favore del sistema dei Centri di servizio per il volontariato, sino ad un massimo complessivo di 10 milioni di euro.
Il comma 1 riconosce alle Fondazioni bancarie per l’anno 2017 un contributo, sotto forma di credito d’imposta pari al 100 per cento dei versamenti volontari effettuati, nell’ambito della propria attività istituzionale, in favore dei fondi speciali istituiti presso le Regioni per finanziare i centri di servizio a disposizione delle organizzazioni del volontariato.
Si ricorda che le fondazioni di origine bancaria, nate nell'ambito del processo di privatizzazione delle banche pubbliche (c.d. legge Amato, n. 218 del 1990), sono soggetti non profit, privati e autonomi, che perseguono scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico. Attualmente le fondazioni sono 88 e dispongono di ingenti patrimoni che devono investire in attività diversificate, prudenti e fruttifere; dagli utili derivanti dalla buona gestione di questi investimenti traggono le risorse per sostenere attività d'interesse collettivo sulla base della legge (D.Lgs. n. 153 del 1999) e del loro statuto. Tra i settori d’intervento in cui le fondazioni destinano il loro reddito si segnala il volontariato.
Il Ministero dell'economia e delle finanze (autorità di vigilanza sulle fondazioni di origine bancaria) e l'ACRI (l’organizzazione associativa delle fondazioni bancarie) il 23 aprile 2015 hanno sottoscritto un Protocollo d'intesa che definisce in modo più analitico della legge i parametri di riferimento cui le fondazioni conformano i comportamenti, con l'obiettivo di migliorare le pratiche operative e rendere più solida la governance. Tra i principi contenuti nel protocollo vi è la diversificazione degli investimenti, un divieto generale di indebitamento, un limite di quattro anni, rinnovabile una sola volta, per gli organi di amministrazione e controllo. E’ garantita la trasparenza mediante pubblicazione sui rispettivi siti web di bilanci, informazioni sugli appalti, bandi per le erogazioni, procedure attraverso le quali si possono avanzare richieste di sostegno finanziario e criteri di selezione delle iniziative.
L’istituzione dei Centri di servizio per il volontariato, prevista dall’art. 15 della legge-quadro sul volontariato (L. n. 266/1991) con le modalità attuative stabilite dal D.M. 8 ottobre 1997, dispone l’obbligo, in capo alle fondazioni bancarie, di prevedere nei propri statuti la destinazione di una quota dei propri proventi alla costituzione di fondi speciali presso le regioni, diretti ad istituire, attraverso gli enti locali, centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato, allo scopo di qualificarne l’attività.
In particolare, i compiti dei Centri di servizio sono indicati dall’art. 4 del D.M. 8 ottobre 1997, tra i quali si segnalano: attività di consulenza ed assistenza qualificata a favore delle organizzazioni di volontariato iscritte e non iscritte nei registri regionali, promozione di iniziative di formazione e informazione sull’attività di volontariato locale e nazionale.
Si segnala che la legge di riforma del terzo settore (L. 106/2016) prevede una delega al Governo per la revisione sia del sistema dei centri di servizio per il volontariato (art. 5, co. 1, lett. e)), sia per la programmazione e il controllo delle attività e della gestione dei medesimi centri (art. 5, co. 1, lett. f)).
Il comma 2 dispone un limite complessivo di 10 milioni al contributo.
Si demanda all’ACRI (l’organizzazione associativa delle fondazioni bancarie) di raccogliere gli impegni di ciascuna fondazione a versare il contributo. Al fine di consentire la fruizione del credito d’imposta, l’ACRI trasmette all’Agenzia delle entrate l’elenco delle fondazioni finanziatrici per le quali sia stata riscontrata la corretta delibera d’impegno in ordine cronologico di presentazione. Il riconoscimento del credito d’imposta viene comunicato ad ogni fondazione finanziatrice e per conoscenza all'ACRI, dall’Agenzia delle entrate.
Il comma 3 prevede che il credito d’imposta può essere utilizzato esclusivamente in compensazione a decorrere dal periodo d'imposta nel quale lo stesso è stato riconosciuto (articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997). Le fondazioni bancarie possono cedere il credito d'imposta a intermediari bancari, finanziari e assicurativi, nel rispetto della disciplina civilistica (articoli 1260 e seguenti del c.c.) e previa adeguata dimostrazione dell'effettività del diritto al credito medesimo. La cessione del credito d'imposta è esente dall'imposta di registro. Al credito d'imposta non si applicano né il limite annuale di 250.000 euro per l’utilizzo dei crediti di imposta (articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), né il limite massimo di compensabilità di crediti di imposta e contributi pari a 700.000 euro (articolo 34, della legge 23 dicembre 2000, n. 388).
Il comma
4 demanda ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il compito di
definire le disposizioni applicative necessarie, ivi comprese le procedure per
la concessione del contributo nel rispetto del limite di spesa stabilito.
Articolo 74,
comma 5
(Partecipazione italiana a iniziative
internazionali)
L’articolo 74, comma 5, reca l’autorizzazione di spesa triennale per la partecipazione italiana a centri di ricerca europei ed internazionali e ad altre iniziative internazionali.
Il comma 5 autorizza la spesa di 10 milioni di euro per gli anni 2017 e 2018 e di 20 milioni di euro annui a decorrere dal 2019 per la partecipazione a centri di ricerca europei e internazionali e ad altre iniziative internazionali.
L’Italia partecipa a programmi di ricerca promossi da organismi europei ed internazionali quali, tra gli altri OCSE, UNESCO, NATO, CERN, IAEA; l’Italia partecipa inoltre alle iniziative di ricerca promosse dall’UE ed in particolare dalla Commissione europea come Orizzonte 2020, nonché ad ulteriori iniziative internazionali promosse, anche a livello informale, dalle istituzioni dell’UE, e dalle banche e dai fondi di sviluppo internazionali, (tra cui a titolo di esempio, si possono citare l’Eurogruppo, G7/G8, G20, ASEM, Financial stability forum, Club di Parigi).
Articolo 74, comma 6
(Modifiche alle disposizioni per il
completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del gruppo ILVA
- STRALCIATO)
L’articolo 74, comma 6, è stato stralciato ai sensi dell’articolo 120, comma 2 del Regolamento della Camera dei deputati, in quanto recante disposizioni estranee al disegno di legge di bilancio.
I commi 7 e 8 dell’articolo 74 autorizzano la spesa di 31 milioni di euro complessivi per il biennio 2017-2018 per il supporto alle attività del Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale. Inoltre, prevedono la possibilità di finanziare tali attività con ulteriori 9 milioni di euro a valere sui fondi strutturali 2014/2020.
Il comma 7 reca una autorizzazione di spesa in favore dell’attività svolte dal Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale pari a 11 milioni di euro, per l’anno 2017, e a 20 milioni di euro, per il 2018. Tali risorse sono trasferite al bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri con autonoma evidenza contabile.
Si ricorda, in proposito, che la Presidenza del Consiglio è dotata di
autonomia contabile e di bilancio. Il bilancio preventivo è definito con
D.P.C.M. (così come il rendiconto) nell’ambito degli stanziamenti annualmente
disposti sullo stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze (D.Lgs. N. 303/1999, art. 8).
Inoltre,
il comma 8 prevede che, in aggiunta a questo stanziamento,
possono concorrere al finanziamento delle medesime iniziative del Commissario
ulteriori risorse pari al massimo a 9
milioni di euro. A questo ulteriore stanziamento si fa fronte con le
risorse dei relativi programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali
2014/2020.
Come specificato nella relazione tecnica, tali ulteriori risorse non comportano una modifica dei saldi di finanza pubblica, in quanto le relative spese sono già previste nei programmi dell’Unione europea a legislazione vigente.
L'articolo 63 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179 (con cui sono state apportate modifiche ad integrazioni al CAD, in attuazione della legge di riforma della P.A. n. 124/2015) ha previsto la possibilità, per il Presidente del Consiglio dei ministri, in sede di prima attuazione del medesimo decreto legislativo, di nominare, per un periodo non superiore a tre anni, con proprio decreto, un Commissario straordinario per l'attuazione dell'Agenda digitale.
Al Commissario sono attribuite, in primo luogo, funzioni di coordinamento operativo dei soggetti pubblici, anche in forma societaria operanti nel settore delle tecnologie dell'informatica e della comunicazione e rilevanti per l'attuazione degli obiettivi di cui all'Agenda digitale italiana, anche in coerenza con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea. Inoltre, per la realizzazione delle azioni, iniziative ed opere essenziali, connesse e strumentali all'attuazione dell'Agenda digitale italiana, anche in coerenza con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea, al Commissario sono affidati poteri di impulso e di coordinamento nei confronti delle pubbliche amministrazioni cui competono tali adempimenti, ivi inclusa l'Agenzia per l'Italia digitale, nonché un potere sostitutivo.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha quindi nominato, con D.P.C.M. 16 settembre 2016, il dott. Diego Piacentini Commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'Agenda digitale, L'incarico ha la durata di due anni a decorrere dalla data del DPCM.
Oltre a quelli richiamati, i compiti ed i poteri del Commissario straordinario sono, in sintesi, i seguenti:
§ emanare regole tecniche e linee guida, nonché sottoscrivere protocolli di intesa e convenzioni;
§ corrispondere e richiedere dati, documenti e informazioni strumentali all'esercizio della propria attività e dei propri poteri a tutte le amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, agli enti pubblici e alle società a partecipazione pubblica;
§ avvalersi della collaborazione delle società a partecipazione pubblica operanti nel settore delle tecnologie dell'informatica e della comunicazioni;
§ disporre e coordinare, con proprio provvedimento, l'utilizzo delle risorse finanziarie, umane e strumentali già disponibili presso i soggetti competenti per la realizzazione dei progetti strategici individuati dal Presidente del Consiglio dei ministri;
§ rappresentare il Presidente del Consiglio dei ministri nelle sedi istituzionali internazionali nelle quali si discute di innovazione tecnologica, Agenda digitale europea e governance di Internet e partecipare, in ambito internazionale, agli incontri preparatori dei vertici istituzionali.
A supporto dell’attività del Commissario di Governo è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri una struttura denominata Team per la Trasformazione Digitale.
Si ricorda che l'Agenda Digitale Italiana costituisce l'insieme di azioni e norme per lo sviluppo delle tecnologie, dell'innovazione e dell'economia digitale.
Il citato D.Lgs. 179/2016, che ha istituito la figura del Commissario per l’agenda digitale, ha riformato complessivamente la governance in materia di digitalizzazione, modificando anche la disciplina dell’Agenzia per l’Italia digitale (AgID), ora recata dal nuovo testo del Codice dell’amministrazione digitale (CAD) all’art. 14-bis.
Il nuovo art. 14-bis del CAD prevede, in primo luogo, che
l'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID) sia preposta
alla realizzazione degli obiettivi dell'Agenda Digitale Italiana, in coerenza
con gli indirizzi dettati dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal
Ministro delegato, e con l'Agenda digitale europea. AgID,
in particolare, promuove l'innovazione digitale nel Paese e l'utilizzo delle
tecnologie digitali nell'organizzazione della pubblica amministrazione e nel
rapporto tra questa, i cittadini e le imprese, nel rispetto dei principi di
legalità, imparzialità e trasparenza e secondo criteri di efficienza,
economicità ed efficacia. Essa presta la propria collaborazione alle
istituzioni dell'Unione europea e svolge i compiti necessari per l'adempimento
degli obblighi internazionali assunti dallo Stato nelle materie di competenza.
Per quanto riguarda il richiamo ai programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali 2014/2020, per le risorse aggiuntive fino a 9 milioni di euro, si ricorda che, a seguito della riforma intervenuta per il ciclo di programmazione 2014-2020, la politica di coesione si attua attraverso:
§ un Quadro strategico comune per tutti i fondi strutturali e di investimento, detti Fondi SIE (Fondo europeo di sviluppo regionale; Fondo sociale europeo; Fondo di coesione; Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale; Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca) che tradurrà gli obiettivi di Europa 2020 in priorità di investimento;
§ Accordi di partenariato, i quali, basandosi sul Quadro strategico comune, stabiliscono per ogni Stato Membro le priorità di investimento, l’allocazione delle risorse nazionali e dell’Unione Europea tra i settori e i programmi prioritari, e il coordinamento tra i fondi a livello nazionale;
§ Programmi operativi nazionali (PON) e regionali (POR), che traducono i documenti strategici in concrete priorità d’investimento corredate da obiettivi chiari e misurabili.
Articolo 74, commi 9 e 10
(Cultura e lingua italiana all'estero)
L’articolo 74, commi 9 e 10, istituisce un fondo allocato sul bilancio del MAECI per il potenziamento della promozione della cultura e della lingua italiana all’estero.
Il comma 9 prevede l’istituzione di un fondo ad hoc per la promozione della cultura e della lingua italiana all’estero, allocato nello stato di previsione del MAECI, con una dotazione finanziaria di 20 milioni di euro per l’anno 2017, di 30 milioni di euro per l’anno 2018 e di 50 milioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020.
Il comma 10 prevede che con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dei Beni Culturali e del Turismo, siano individuati gli interventi da finanziare a valere su tale fondo.
La
promozione della lingua e cultura italiana all’estero è affidata ad una rete
estesa: 83 Istituti italiani di cultura (Iic), oltre
135 istituzioni scolastiche italiane all’estero, 146 enti gestori e 176 lettori
di ruolo. È una rete che arriva a coprire 250 città nel mondo. Ruolo di rilievo
nella promozione della lingua italiana nel mondo è svolto anche dalla Società
Dante Alighieri. Il MAECI, in un contesto di risorse ridotte, ha deciso recentemente
di centralizzare in un unico Ufficio promozione della lingua della DG Sistema
Paese le competenze prima disperse tra varie direzioni.
Nell'ottica
di promuovere anche il potenziale economico della lingua italiana e di farne un
volano per l’occupazione, l’export e la creazione di valore, il MAECI ha
promosso gli Stati Generali della lingua italiana. La seconda edizione degli
Stati Generali della lingua italiana si è svolta il 17 e 18 ottobre 2016 a
Firenze, dedicando particolare attenzione alle sinergia tra diffusione della
lingua e l'economia per alcuni settori, come i marchi, la moda e il design. In
tale occasione è stato anche lanciato il nuovo Portale
della Lingua italiana, ospitato sul sito del Ministero degli affari
Esteri e della cooperazione internazionale.
I commi
11 e 12 dell’articolo 74 sono stati stralciati ai sensi dell’articolo 120,
comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, in quanto recante
disposizioni estranee all’oggetto del disegno di legge di bilancio.
Articolo 74, comma 13
(Credito sportivo - STRALCIATO)
L’articolo 74, comma 13, è stato stralciato ai sensi dell’articolo 120, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, in quanto recante disposizioni estranee all’oggetto del disegno di legge di bilancio.
Il comma 14 dell’articolo 74 è stato stralciato ai sensi dell’articolo 120, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, in quanto recante disposizioni estranee all’oggetto del disegno di legge di bilancio.
Il comma
15 dell’articolo 74 è stato stralciato ai sensi dell’articolo 120, comma 2,
del Regolamento della Camera dei deputati, in quanto appare di carattere organizzatorio.
I commi da
16 a 35 dell’articolo 74 sono stati stralciati ai sensi dell’articolo 120,
comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, in quanto recanti
disposizioni estranee all’oggetto del disegno di legge di bilancio.
Il comma 36 dell’articolo 74 prevede che gli enti previdenziali possono destinare una quota delle loro risorse finanziarie all’acquisto di immobili anche di proprietà di amministrazioni pubbliche adibiti o da adibire ad ufficio in locazione passiva da parte di amministrazioni pubbliche. Le spese per gli interventi necessari alla rifunzionalizzazione degli immobili sono a carico degli enti previdenziali, mentre i progetti sono elaborati dall’Agenzia del demanio.
L’articolo 8, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010, integrato dalla norma in esame, prevede per gli enti previdenziali la possibilità di destinare una quota parte delle proprie risorse finanziare all’acquisto di immobili già condotti in locazione passiva dalle amministrazioni pubbliche, secondo specifiche indicazioni fornite dall’Agenzia del demanio mediante un apposito piano di razionalizzazione. Le modalità di attuazione della norma sono demandate ad un apposito decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica (D.M. 10.6.2011).
La norma in commento prevede che gli enti previdenziali possano destinare tali risorse anche all’acquisto di immobili di proprietà delle amministrazioni pubbliche, come individuate dall’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (ossia quelle inserite nell’elenco delle amministrazioni pubbliche ricadenti del conto economico consolidato dello Stato elaborato dall’ISTAT), da adibire ad uffici delle amministrazioni pubbliche, previa realizzazione, ove del caso, a cura e spese dei medesimi enti, degli interventi e delle opere necessari alla rifunzionalizzazione degli immobili stessi.
La relazione governativa afferma che, in sostanza, la norma è finalizzata a rendere possibile l’acquisto di immobili di proprietà delle amministrazioni pubbliche da parte di INAIL. L’intervento normativo, in assenza di risorse finanziarie dell’Agenzia del Demanio destinabili allo scopo, consentirebbe di utilizzare le risorse di INAIL per la rifunzionalizzazione degli immobili pubblici da locare alle Amministrazioni pubbliche, dietro pagamento di un canone ad altro soggetto pubblico (INAIL). In definitiva, le operazioni a cui la proposta mira a dare soluzione sono quelle legate alla creazione di poli logistici che consentono la concentrazione di un unico immobile di più uffici pubblici (cd. federal building) presenti nel territorio in modo da razionalizzare gli spazi nonché l’erogazione di servizi e consentire risparmi in termini di spese di gestione.
Si precisa espressamente che gli immobili di proprietà di amministrazioni pubbliche oggetto di acquisto da parte degli enti previdenziali non devono essere già concessi in locazione a terzi.
Ai contratti di locazione che riguardano gli immobili acquistati ai sensi della norma in esame non si applicano le riduzioni del canone previste dall’art. 3 decreto-legge n. 95 del 2012.
Il decreto-legge n. 95 del 2012 ha disposto, a decorrere dal 1° gennaio 2015, la riduzione del 15 per cento del canone di locazione passiva delle pubbliche amministrazioni e delle autorità indipendenti per gli immobili in uso istituzionale. Il D.L. n. 66 del 2014 ha anticipato di sei mesi, al 1° luglio 2014, il termine di decorrenza della norma. Per il triennio 2012-2014 è stato disposto, inoltre, il blocco degli adeguamenti Istat relativamente ai canoni dovuti dagli stessi soggetti. Il blocco degli adeguamenti Istat è stato quindi esteso anche agli anni 2015 e 2016 (articolo 10, comma 7, del D.L. n. 192 del 2014 e articolo 10, comma 6, del D.L. n. 210 del 2015).
Le pubbliche amministrazioni devono pubblicare sui propri siti internet le informazioni identificative degli immobili posseduti, nonché i canoni di locazione o di affitto versati o percepiti (art. 30 del D.Lgs. n. 33 del 2013).
L'articolo 24 del D.L. n. 66 del 2014 ha previsto un nuovo piano di razionalizzazione nazionale per assicurare, oltre al rispetto del parametro metri quadrati per addetto (tra 20 e 25 metri quadri), un complessivo efficientamento della presenza territoriale, attraverso l'utilizzo degli immobili pubblici disponibili e la riduzione delle locazioni passive, in modo da garantire per ciascuna amministrazione dal 2016 una riduzione rispetto al 2014 di almeno il 50 per cento della spesa per locazioni e di almeno il 30 per cento degli spazi utilizzati (sono esclusi i presidi di pubblica sicurezza, di soccorso pubblico e le carceri). Le amministrazioni pubbliche, qualora richiedano immobili per i loro fabbisogni allocativi, sono tenute a svolgere le proprie indagini di mercato prioritariamente all'interno del novero di immobili in proprietà pubblica presenti sull'apposito applicativo informatico messo a disposizione dall'Agenzia del demanio.
Oltre alle comunicazioni previste dal comma 222, della legge n. 191 del 2009 relative agli immobili da esse utilizzate, le amministrazioni devono comunicare all'Agenzia del demanio i dati e le informazioni relativi ai costi per l'uso degli edifici utilizzati, di proprietà dello Stato e di terzi. Con provvedimenti direttoriali dell'Agenzia del demanio sono elaborati degli indicatori di performance in termini di costo d'uso per addetto sulla base dei dati e delle informazioni fornite dalle predette Amministrazioni dello Stato le quali, entro due anni dalla pubblicazione del relativo provvedimento sul sito internet dell'Agenzia del demanio, sono tenute ad adeguarsi ai migliori indicatori di performance ivi riportati (novità introdotte dalla legge n. 147 del 2013, articolo 1, comma 387). In caso di inadempimento degli obblighi prescritti, l'Agenzia del demanio ne effettua la segnalazione alla Corte dei conti per gli atti di rispettiva competenza (art. 24 del D.L. n. 66 del 2014).
Articolo 75
(Strategia nazionale per la valorizzazione dei beni e delle
aziende confiscate alla criminalità organizzata)
L’articolo 75 prevede l’adozione, da parte dell’Agenzia nazionale, di una strategia nazionale per la valorizzazione dei beni e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata, con specifico incremento, per il 2019, del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, nella misura di 3 milioni di euro, e del Fondo per la crescita sostenibile, nella misura di 7 milioni di euro, attraverso il rifinanziamento dell’autorizzazione di spesa prevista dalla legge di stabilità 2016.
La norma in commento attribuisce all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata il compito di predisporre, entro 120 giorni, la strategia nazionale per la valorizzazione dei beni e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata (comma 1).
Tale strategia, elaborata in collaborazione con il Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio, in coerenza con le indicazioni contenute nel Piano nazionale di riforma contenuto nel DEF 2015 e 2016, dovrà essere sottoposta all’approvazione del CIPE, sentita la Conferenza Stato-Regioni.
Come evidenziato anche dalla Relazione illustrativa, nei documenti di economia e finanza del 2015 e del 2016 (Sezione III – Piano nazionale di riforma) è stata prevista l’adozione di tale strategia, finalizzata al miglioramento della capacità di gestione istituzionale e amministrativa, all’adozione delle buone pratiche fino ad allora realizzate, alla transizione verso la legalità delle aziende confiscate.
Sono poi disciplinate le attività dei titolari di programmi cofinanziati da fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020, in coerenza con la strategia nazionale approvata dal CIPE. Tali soggetti dovranno pianificare specifiche azioni per la valorizzazione dei beni e delle aziende e, a tal fine, dovranno seguire le modalità di cui all’articolo 1, comma 194, della legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015).
IL comma 194 si limita peraltro solo a stabilire che nell'ambito dei programmi cofinanziati dall'Unione europea per il periodo 2014/2020 e degli interventi complementari alla programmazione dell'Unione europea indicati nella delibera CIPE n. 10/2015 a titolarità delle amministrazioni regionali, gli enti interessati possono pianificare, di concerto con l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, specifiche azioni rivolte all'efficace valorizzazione dei predetti beni.
L’Agenzia nazionale, entro il 30 settembre di ogni anno, presenterà al CIPE una relazione annuale sull’attuazione della strategia nazionale, nella quale darà evidenza dei risultati conseguiti e dell’utilizzo delle relative risorse assegnate.
È poi previsto che il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese e il Fondo per la crescita sostenibile - già destinatari di risorse, ai sensi del comma 196 della citata L. n. 208/2015, specificamente finalizzate alle aziende confiscate - possano essere incrementati con ulteriori risorse previste dai Programmi Operativi Nazionali e Regionali (PON e POR) attuativi dei fondi di investimento europei cofinanziati dalla Commissione europea 2014/2020, dai programmi operativi complementari di cui alla delibera CIPE 10/2015, nonché dal Fondo sviluppo e coesione attraverso i Piani operativi e i Patti per il Sud, previa verifica di coerenza con priorità e obiettivi riportati in tali strumenti.
La norma sembra riferirsi al complesso delle risorse destinate alla politica di coesione, comprensive delle risorse comunitarie assegnate all’Italia a titolo dei due Fondi strutturali per la politica di coesione 2014-2020 - Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e al Fondo sociale europeo (FSE) - pari a circa 32,2 miliardi euro, cui si affiancano le risorse provenienti dal cofinanziamento nazionale, a carico del Fondo di rotazione di cui alla legge n. 183 del 1987, nell’importo di oltre 24,5 miliardi di euro, di cui 7,4 miliardi destinati dalla programmazione complementare con la delibera Cipe n. 10/2015. , nonché le risorse del Fondo Sviluppo e Coesione, il cui rifinanziamento per il periodo 2014-2020 è previsto (dall’art. 1, commi 6-10, legge n. 147/2013) nell’importo complessivo di 54,8 miliardi di euro, la cui programmazione attraverso i piani operativi e i Patti per il sud è stata definita con delibera CIPE di agosto 2016.
Andrebbe
chiarito, peraltro, se la norma intenda far riferimento al complesso delle
risorse destinate alla politica di coesione ovvero soltanto a quelle che,
nell’ambito dei programmi operativi attuativi dei Fondi strutturali o dei piani
operativi e Patti per il Sud del Fondo Sviluppo e Coesione, sia espressamente
destinato alle finalità di cui alla norma in esame (sicurezza, legalità ecc.).
Si ricorda che l’articolo 1, comma 195, della legge di stabilità 2016 (L. 208/2015), autorizza la spesa di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2016-2018, al fine di assicurare alle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata: la continuità del credito bancario e l’accesso al medesimo; il sostegno agli investimenti e agli oneri necessari per gli interventi di ristrutturazione aziendale; la tutela dei livelli occupazionali; la promozione di misure di emersione del lavoro irregolare; la tutela della salute e della sicurezza del lavoro; il sostegno ad alcune tipologie di cooperative. Il supporto ha luogo nell’ambito dei procedimenti penali per una serie di gravi delitti e in procedimenti di applicazione di misure di prevenzione patrimoniali.
Ai sensi del comma 196, i dieci milioni di euro complessivamente stanziati per ciascun anno del triennio 2016-2018 confluiscono direttamente:
§ nella misura di 3 milioni di euro annui, in un'apposita sezione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (art. 2, co. 100, lett. a), della L. 662/1996), destinata alla concessione di garanzie per operazioni finanziarie erogate in favore di imprese, di qualunque dimensione, sequestrate o confiscate alla criminalità organizzata, come individuate dal comma 195, ovvero di imprese che rilevano i complessi aziendali di quelle sequestrate o confiscate alla criminalità organizzata, come individuate dal comma 195);
§ nella misura di 7 milioni di euro annui, in un'apposita sezione del Fondo per la crescita sostenibile, di cui all’art. 23 del D.L. 83/2012 per l'erogazione di finanziamenti agevolati in favore delle medesime imprese.
Si ricorda che ulteriori risorse a favore del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese e del Fondo per la crescita sostenibile sono previste dal Programma operativo nazionale “Imprese e competitività 2014-2010”, a titolarità del Ministero dello Sviluppo economico, approvato dalla Commissione europea il 23 giugno 2015 e successivamente modificato il 24 novembre 2015, il quale intende sostenere un processo di riposizionamento competitivo del sistema produttivo del Mezzogiorno, nell’ottica di una politica industriale sul riequilibrio territoriale e sulla convergenza Mezzogiorno-Centro-Nord.
Per garantire il sostegno alle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata, il comma 2 provvede poi a rifinanziare direttamente, nella misura di 10 milioni di euro per l’anno 2019, l’autorizzazione di spesa già prevista dalla legge di stabilità 2016 nel sopra citato articolo 1, comma 195, disponendo che l’incremento confluisca nelle apposite sezioni dei Fondi sopra richiamati, con le modalità e i medesimi criteri di ripartizione indicati nel sopra citato articolo 1, comma 196, e dunque:
§ per 3 milioni di euro in un'apposita sezione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, destinata alla concessione di garanzie per operazioni finanziarie erogate in favore di imprese, di qualunque dimensione, sequestrate o confiscate alla criminalità organizzata, come individuate dal comma 195, ovvero di imprese che rilevano i complessi aziendali di quelle sequestrate o confiscate alla criminalità organizzata, come individuate dal comma 195;
§ per 7 milioni di euro in un'apposita sezione del Fondo per la crescita sostenibile, di cui all’articolo 23 del D.L. n. 83/2012 per l'erogazione di finanziamenti agevolati in favore delle medesime imprese.
Si ricorda che il disegno di legge S. 2134, già approvato dalla Camera e attualmente all’esame del Senato, nel modificare in più parti il codice antimafia, interviene anche (art. 25) sui compiti, l’organizzazione e le funzioni dell’Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
L’art. 2, co. 100, lett. a) della legge finanziaria per il 1997 (legge n. 662 del 1996) ha istituito un fondo di garanzia costituito presso il Mediocredito Centrale Spa allo scopo di garantire una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese. Con l’intervento del fondo, l’impresa non ha un contributo in denaro, ma ha la concreta possibilità di ottenere finanziamenti senza garanzie aggiuntive (e quindi senza costi di fidejussioni o polizze assicurative) sugli importi garantiti dal Fondo stesso.
Dal punto di vista operativo, il Fondo rilascia garanzie alle banche (garanzia diretta) e a consorzi di garanzia collettiva fidi - Confidi (controgaranzia) o altro fondo di garanzia allo scopo di agevolare l’accesso al credito delle PMI.
L’articolo 15 della legge n. 266/1997 ha disciplinato - contestualmente ad una razionalizzazione dei fondi pubblici di garanzia al tempo esistenti le cui risorse sono confluite in quelle originarie del Fondo di garanzia PMI - le modalità operative di quest’ultimo Fondo, individuando i soggetti che possono concedere la relativa garanzia, a fronte di finanziamenti a PMI, compresa la locazione finanziaria, e di partecipazioni, temporanee e di minoranza, al capitale delle piccole e medie imprese. La garanzia del fondo è estesa a quella prestata dai fondi di garanzia gestiti dai consorzi di garanzia collettiva fidi (Confidi) e dagli intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del TUB.
L'articolo 39 del D.L. n. 201/2011 ha operato una sostanziale riforma dello strumento, disponendo che con D.M. non regolamentare venisse fissata: la misura della copertura degli interventi di garanzia e controgaranzia, nonché la misura della copertura massima delle perdite in relazione alle tipologie di operazioni finanziarie, categorie di imprese beneficiarie finali, settori economici di appartenenza e aree geografiche (comma 1); per ogni operazione finanziaria ammessa all'intervento del Fondo, la misura dell'accantonamento minimo, a titolo di coefficiente di rischio (comma 2). Inoltre, è stato elevato l'importo massimo garantito per singola impresa dal Fondo a 2,5 milioni di euro per le tipologie di operazioni finanziarie, le categorie di imprese beneficiarie finali, le aree geografiche e i settori economici di appartenenza individuati con D.M. non regolamentare, disponendo che una quota non inferiore al 50 per cento delle disponibilità finanziarie del Fondo sia riservata ad interventi non superiori a cinquecentomila euro d'importo massimo garantito per singola impresa. Il comma 7-bis dell’articolo 39 riserva una quota delle disponibilità finanziarie del Fondo di garanzia ad interventi di garanzia in favore del microcredito di cui all’articolo 111 del TUB, da destinare alla micro imprenditorialità. In attuazione delle previsioni suddette, è stato adottato il D.M. 26 giugno 2012, successivamente modificato dal D.M. 27 dicembre 2013. Il D.M. 24 aprile 2013 ha fissato le modalità di concessione della garanzia del Fondo su portafogli di finanziamenti erogati a PMI.
Le risorse del Fondo di garanzia per le PMI sono iscritte al bilancio dello Stato (capitolo 7342/pg.20/MISE) per essere successivamente riassegnate alla contabilità speciale (conto corrente di Tesoreria n. 223034) intestata al gestore del Fondo (Mediocredito Centrale Spa .
Si ricorda che la legge di stabilità 2016 (legge n. 208/2015) ha disposto una riserva di almeno il 20 per cento delle risorse disponibili del Fondo alle imprese e agli investimenti localizzati nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna.
Al fine di favorire la crescita sostenibile e la creazione di nuova occupazione, l'art. 23 del D.L. n. 83/2012 ha ridenominato il “Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica” (art. 14, legge n. 46/1982), istituito presso il Ministero dello Sviluppo economico, in “Fondo per la crescita sostenibile”, facendovi confluire una serie di risorse stanziate da interventi autorizzativi di spesa, contestualmente abrogati.
Con l’istituzione del Fondo in questione è stata dunque operata una razionalizzazione del sistema di agevolazione alle imprese.
Il Fondo è destinato al finanziamento di programmi e interventi con un impatto significativo in ambito nazionale sulla competitività dell'apparato produttivo, con particolare riguardo ad una serie di finalità:
§ la promozione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione di rilevanza strategica per il rilancio della competitività del sistema produttivo, anche tramite il consolidamento dei centri e delle strutture di ricerca e sviluppo delle imprese
§ il rafforzamento della struttura produttiva, il riutilizzo di impianti produttivi e il rilancio di aree che versano in situazioni di crisi complessa di rilevanza nazionale tramite la sottoscrizione di accordi di programma (tra cui quelli di cui alla legge n. 181/1989)
§ la promozione della presenza internazionale delle imprese e l'attrazione di investimenti dall'estero, anche in raccordo con le azioni che saranno attivate dall'ICE - Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane.
Il Fondo per la crescita sostenibile opera come fondo rotativo, infatti il comma 8 dell’articolo 23 dispone che i provvedimenti di revoca a valere sui finanziamenti del Fondo affluiscano all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati nel medesimo importo alla contabilità speciale del Fondo stesso, operativa per l'erogazione di finanziamenti agevolati (contabilità n. 1201). Il Fondo, peraltro, si alimenta anche con i rientri dei finanziamenti già erogati.
Il D.M. 8 marzo 2013 ha definito priorità,
forme e intensità massime di aiuto concedibili dal Fondo. In particolare sono
state individuate specifiche tipologie di interventi: sostegno dei progetti di
ricerca e sviluppo; rafforzamento della struttura produttiva del Paese;
internazionalizzazione delle imprese e attrazione di investimenti dall’estero;
progetti speciali per la riqualificazione competitiva di specifiche aree
tecnologiche-produttive strategiche per la competitività del Paese.
L’articolo 76 è stato stralciato ai sensi dell’articolo 120, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, in quanto recante disposizioni estranee all’oggetto del disegno di legge di bilancio.
Articolo 77
(Piano strategico nazionale della mobilità
sostenibile)
L’articolo 77 istituisce un piano strategico della mobilità sostenibile, incrementando le risorse attribuite al Fondo finalizzato all'acquisto, alla riqualificazione elettrica o al noleggio dei mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale ed estendendo le finalità del Fondo stesso.
L’articolo istituisce un Piano strategico nazionale della mobilità sostenibile destinato al rinnovo del parco autobus dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, alla promozione e al miglioramento della qualità dell’aria con tecnologie innovative, in attuazione degli accordi internazionali nonché degli orientamenti e della normativa comunitaria.
Il Piano è approvato entro il 30 giugno 2017 con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro per l’ambiente la tutela del territorio e del mare (comma 3).
Gli autobus destinati al trasporto pubblico locale e regionale, come risulta dalla Relazione sullo stato del trasporto pubblico locale (anno 2015), predisposta dall’Osservatorio sul trasporto pubblico locale e presentata alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica il 5 gennaio 2016, presentano un’anzianità media nazionale al 31 dicembre 2014 pari a 12,88 anni (con notevoli differenze tra le regioni: si va dai 15,69 anni della Basilicata ai 6,17 anni della Valle d’Aosta).
Nella relazione si evidenzia una progressiva diminuzione, nel corso degli anni, nelle immatricolazioni di nuovi mezzi (dai 3.758 autobus immatricolati nel 2005, si scende ai 1.208 autobus immatricolati nel 2014). La significativa obsolescenza del parco bus comporta anche che siano in circolazione un numero molto basso di bus a basse emissioni (solo l’1% degli autobus appartiene alla classe euro 6 e poco meno di un quarto appartiene alla classe euro 5, mentre il 60% dei bus è riconducibile alla classe euro 3 o inferiore). Inoltre, con riferimento agli autobus immatricolati nel 2014, l’81,2% dei mezzi ha un’alimentazione diesel, il 18,3% a gas e lo 0,5% dei mezzi ha alimentazione diversa. Nella relazione si auspica che si creino le condizioni per un rinnovamento del parco in parte attraverso la sostituzione degli autobus con nuovi veicoli a trazione elettrica in parte anche attraverso la riconversione dei veicoli stessi mediante l’inserimento di motori elettrici in autobus tradizionali.
Sono state pertanto assunte diverse iniziative normative volte a favorire il rinnovamento del parco bus. Si ricorda in primo luogo che il comma 9 dell’articolo 18, dello schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2014/94/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi (A.G. 337, attualmente all’esame delle Camere) impone alle pubbliche amministrazioni centrali, alle regioni, agli enti locali e ai gestori di servizi di pubblica utilità da essi controllati, situate nelle province ad alto inquinamento, di acquistare, al momento della sostituzione del rispettivo parco auto, autobus e mezzi della raccolta dei rifiuti urbani, almeno il 25% di veicoli a GNC e GNL e di veicoli elettrici. Il mancato rispetto di tale percentuale determina la nullità della gara pubblica. Inoltre lo schema di decreto legislativo recante testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale (A.G. 308), sempre allo scopo di favorire il rinnovamento del parco autobus e della qualità dell’aria, prevede all’articolo 22, comma 1, che i contratti di servizio stipulati successivamente al 31 dicembre 2017 non possono prevedere la circolazione di veicoli a motore adibiti al trasporto pubblico regionale e locale alimentati a benzina o gasolio con caratteristiche antinquinamento EURO 0 e 1.
Infine il comma 5 dell’articolo 22 prevede che a decorrere dal 31 dicembre 2016, i contratti di servizio che le regioni e gli enti locali sottoscrivono per lo svolgimento dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale prevedono, a carico delle imprese, l'onere per il mantenimento e per il rinnovo del materiale rotabile. I predetti contratti di servizio prevedono inoltre la predisposizione da parte delle aziende contraenti di un Piano economico finanziario (PEF) che dimostri un impiego di risorse per il rinnovo del materiale rotabile, mediante nuovi acquisti, locazioni a lungo termine, leasing, nonché per investimenti in nuove tecnologie, non inferiore al dieci per cento del corrispettivo contrattuale.
Per il perseguimento degli obiettivi del Piano è incrementata la dotazione del Fondo finalizzato all'acquisto, alla riqualificazione elettrica o al noleggio dei mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale, istituito dall’articolo 1, comma 866, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) per l’anno 2019 di 200 milioni di euro e per gli anni dal 2020 al 2033, di 250 milioni di euro per ciascun anno.
L’applicazione delle disposizioni concernenti il Fondo istituito dal comma 866 della legge n. 208/2015 è stata differita al 1° gennaio 2017 dal decreto-legge n. 210 del 2015.
Nel Fondo confluiscono, previa intesa con le Regioni, le risorse disponibili di cui all’articolo 1, comma 83, della legge di stabilità 2014 (147/2013) - che ha stanziato 300 milioni per il 2014 e 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016 destinate all'acquisto di materiale rotabile su gomma e di materiale rotabile ferroviario, nonché di vaporetti e ferry-boat- e l’85 per cento degli eventuali maggiori risparmi derivanti dall’esclusione dall'agevolazione sulle accise sul gasoli per veicoli euro 2, prevista dal comma 645 della medesima legge n. 208/2015.
Sono inoltre assegnati, ai sensi dell’articolo 1, comma 866, citato 210 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, 130 milioni di euro per l'anno 2021 e 90 milioni di euro per l'anno 2022.
Per la promozione dello sviluppo e della diffusione di autobus ad alimentazione alternativa, il Fondo può essere destinato anche al finanziamento delle relative infrastrutture tecnologiche di supporto.
È attualmente all’esame delle Camere l’A.G. 337
concernente lo schema di decreto legislativo di
attuazione della direttiva 2014/94/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 22 ottobre 2014, sulla realizzazione di un'infrastruttura per i
combustibili alternativi. In tale provvedimento si prevede la predisposizione
di un Quadro Strategico Nazionale
(allegato al medesimo schema) nell’ambito del quale sono definiti gli obiettivi
nazionali per lo sviluppo delle infrastrutture indicando, come previsto dalla
direttiva, le misure necessarie per
assicurare che essi siano raggiunti. L’articolo 3,
comma 7, prevede in particolare che, a sostegno della realizzazione degli
obiettivi previsti nel quadro strategico, si pongano in essere iniziative per
promuovere la realizzazione dell'infrastruttura per i combustibili alternativi
nei servizi di trasporto pubblico.
Nell’ambito del Piano strategico si prevede un programma di interventi finalizzati a sostenere il riposizionamento competitivo delle imprese produttrici di beni e servizi nella filiera dei mezzi di trasporto pubblico su gomma e dei sistemi intelligenti per il trasporto, attraverso il sostegno agli investimenti produttivi finalizzati alla transizione verso forme produttive più moderne e sostenibili, con particolare riferimento alla ricerca e sviluppo di modalità di alimentazione alternativa, per il quale è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro per l’anno 2017 e 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019 (comma 1, ultimo periodo).
Tali interventi sono disciplinati con decreto del Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanarsi entro il 31 dicembre 2017 (comma 3, ultimo periodo).
Secondo la relazione sullo stato del trasporto pubblico locale (anno 2015), che fa riferimento a dati dell’ANFIA (Associazione nazionale filiera industria automobilistica), il mercato degli autobus è andato ridimensionandosi di anno in anno a causa della crisi economica. Nel 2014 la produzione domestica di autobus si è ridotta a 1/5 di quella del 2007, che era già la metà di quella del 2000. Nel 1° semestre 2015 sono stati tuttavia prodotti 479 autobus contro 87 dello stesso semestre 2014, i volumi riguardano soprattutto il segmento dei minibus prodotti dal costruttore nazionale. E’ per converso in aumento il numero di autobus immatricolati all’estero e poi immatricolati per la prima volta in Italia (301 autobus, 108 dei quali sono autobus usati, immatricolati all’estero prima del 2006).
Sempre in tale ambito si segnala che l’articolo 22, comma 2, dello schema di decreto legislativo recante testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale (A.G. 308) stabilisce che i contratti di servizio stipulati successivamente al 31 dicembre 2017 prevedono, che i veicoli per il trasporto pubblico locale, devono essere dotati di sistemi elettronici per il conteggio dei passeggeri, ai fini della determinazione delle matrici origine/destinazione, e che le flotte automobilistiche utilizzate per i servizi di trasporto pubblico regionale e locale e di sistemi satellitari per il monitoraggio elettronico del servizio. Inoltre, il comma 4 del medesimo articolo 22 prevede che i comuni, in sede di definizione dei Piani urbani del traffico individuano specifiche modalità per la diffusione di nuove tecnologie previste dal Piano nazionale di azione sui sistemi di trasporto intelligenti (ITS) di cui all'articolo 8 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179.
Il Ministero dello sviluppo economico d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti può immediatamente stipulare convenzioni con l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti – INVITALIA nonché con dipartimenti universitari specializzati sulla mobilità sostenibile per analisi e studi in ordine a costi/benefici degli interventi previsti e ai fabbisogni territoriali, al fine di predisporre il Piano strategico e il programma di interventi sopra descritti avvalendosi delle risorse di cui all’ultimo periodo del comma 1 della presente disposizione (comma 2).
L’articolo
78 incrementa il contributo per le scuole paritarie che accolgono alunni
con disabilità e introduce un contributo specifico per le scuole materne
paritarie.
Inoltre, aumenta l’importo massimo per studente per il quale è possibile usufruire della detrazione IRPEF del 19%.
Infine, posticipa all’a.s. 2019/2020 la soppressione di disposizioni che intendono eliminare alcune possibilità per docenti e dirigenti scolastici di essere collocati fuori ruolo.
Preliminarmente
si evidenzia che occorre adeguare la rubrica – che fa riferimento solo a
“Scuole paritarie e materne” ai diversi contenuti dell’articolo.
Si incrementa (da € 12,2 mln annui) a € 24,24 mln annui, a decorrere dal 2017, il limite di spesa fissato per il contributo da corrispondere alle scuole paritarie che accolgono alunni con disabilità e si prevede che i criteri e le modalità di ripartizione del contributo - che tengono conto, per ciascuna scuola, del numero di alunni con disabilità frequentanti e della percentuale di tali alunni rispetto al numero complessivo di alunni - sono stabiliti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
Ai fini indicati, si novella l’art. 1-quinquies del D.L. 42/2016 (L. 89/2016).
Nel corso della
discussione sul ddl di conversione del D.L. 42/2016 (L. 89/2016), il rappresentante del Governo aveva fatto presente che con la previsione di un contributo specifico da
corrispondere alle scuole paritarie che accolgono alunni con disabilità si
intendeva “rimediare all'impedimento registratosi di fatto alla libera scelta
da parte delle famiglie con figli disabili rispetto alla tipologia di istituto
scolastico cui iscrivere i propri figli”.
Aveva fatto presente, altresì, che le istituzioni scolastiche paritarie, comprese
le comunali, contavano percentualmente la metà degli alunni affetti da
disabilità delle scuole statali e che, quindi, i fondi disponibili non
risultavano sufficienti ad assicurare la libertà di scelta delle famiglie. Aveva
anche comunicato che dei circa 12.000 disabili circa 3.200 sono iscritti alle
scuole paritarie pubbliche, con riferimento al settore dell'infanzia, mentre i
restanti presso le paritarie private, per tutti gli altri gradi di istruzione.
La L. 62/2000 ha inteso dare attuazione all’art. 33 della Costituzione – che, al terzo comma, ha sancito il diritto dei privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato, e, al quarto comma, ha affidato alla legge ordinaria il compito di fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, assicurando ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali –, stabilendo che il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali.
In particolare, l’art. 1, co. 3, ha disposto che le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap.
Il co. 4, ha, inoltre, fissato i requisiti in base ai quali le scuole non statali sono riconosciute, a domanda, scuole paritarie (e, pertanto, sono abilitate al rilascio di titoli di studio aventi valore legale). Tra questi, in particolare, per quanto qui più interessa: disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche conformi alle norme vigenti (lett. b)); iscrizione alla scuola per tutti gli studenti che ne facciano richiesta, purché in possesso di adeguato titolo di studio (lett. d)); applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio (lett. e)).
Nello
specifico, il co. 14 ha autorizzato uno stanziamento di £ 7 mld
annui (circa € 3,6 mln) a sostegno delle
scuole che accolgono alunni con handicap. In relazione a tale stanziamento, il Consiglio
di Stato, Adunanza della Sezione II, 20.12.2000, n. 1178/2000, ha chiarito che la relativa autorizzazione di
spesa si riferisce alle scuole statali e
paritarie insieme.
Per le scuole primarie paritarie convenzionate
(ai sensi dell’art. 1-bis, co. 6, del
D.L. 250/2005-L. 27/2006), il DPR 23/2008, dopo aver disposto che con la
stipula della convenzione l'amministrazione scolastica si obbliga a corrispondere all'ente gestore della scuola paritaria
convenzionata un contributo annuo,
la cui misura è fissata con decreto ministeriale (art. 2, co. 3), ha previsto,
per quanto qui più specificamente interessa, che lo stesso contributo viene assegnato
avuto riguardo, oltre che al numero di classi con una composizione minima di
dieci alunni ciascuna, al numero di ore di sostegno per gli alunni disabili previste dal piano
educativo individualizzato e al numero di ore di insegnamento integrativo necessarie
per alunni in difficoltà di
apprendimento su progetto aggiuntivo (art. 4, co. 1).
Con
riferimento ai criteri per
l’assegnazione dei contributi statali alle scuole paritarie, si ricorda che
l’art. 1, co. 636, della L. 296/2006 ne ha demandato la
definizione a un decreto annuale del Ministro della pubblica
istruzione, stabilendo che gli stessi sono attribuiti, in via prioritaria, alle
strutture che svolgono il servizio scolastico senza fini di lucro e che
l’ordine di concessione è: scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di primo
e secondo grado.
Da ultimo, per l’a.s. 2015/2016 è intervenuto il DM n. 367 del 3 giugno 2016, i cui artt. 2, 3 e 4 hanno stabilito che lo stanziamento è ripartito con D.D.G. tra gli USR (e la regione autonoma per la Valle d’Aosta) sulla base della consistenza numerica delle scuole paritarie, delle classi o sezioni e degli alunni, e che conseguentemente i direttori generali degli USR predispongono un piano regionale di erogazione dei contributi. Inoltre, l’art. 9 ha disposto che alle scuole paritarie di ogni ordine e grado che accolgono alunni diversamente abili, iscritti e frequentanti, è assegnato un contributo annuale per ogni alunno certificato – che può essere differenziato per i diversi gradi di istruzione –, determinato a livello regionale sulla base dei dati comunicati, previa acquisizione delle certificazioni e verifica della loro rispondenza ai parametri previsti dalla legge. Non rientrano nel computo gli alunni diversamente abili nelle scuole primarie paritarie convenzionate, di cui al D.P.R. n. 23/2008.
Si assegna alle scuole materne paritarie un contributo – definito aggiuntivo – di € 25 mln per il 2017.
Le modalità e i criteri di ripartizione sono
definiti con decreto del Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in
vigore della legge.
Al
riguardo, occorre valutare se
la previsione normativa – che non prevede
neanche un coinvolgimento della Conferenza Stato- regioni – possa qualificarsi
come uno stanziamento statale
vincolato.
Si ricorda, infatti, che la competenza amministrativa relativa ai
contributi alle scuole non statali è stata attribuita alle regioni dall’art.
138, co. 1, lett. e),
del d.lgs. 112/1998 e che, su questa base, la Corte costituzionale, con sentenza 50/2008, ha dichiarato incostituzionale, per violazione
dell'autonomia legislativa e finanziaria delle regioni, l’art. 1, co. 635, della L. finanziaria 2007 (L. n. 296/2006) che, al fine di dare il
necessario sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell'ambito
del sistema nazionale di istruzione, aveva disposto che, a decorrere dal 2007,
gli stanziamenti, iscritti nelle UPB «Scuole non statali», erano incrementati
complessivamente di 100 milioni di euro, da
destinare prioritariamente alle scuole dell'infanzia.
In tale sentenza
la Corte ha ricordato che: "Non sono (...) consentiti finanziamenti a
destinazione vincolata in materie di competenza regionale residuale ovvero
concorrente, in quanto ciò si risolverebbe in uno strumento indiretto, ma
pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni
e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi
governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli
ambiti materiali di propria competenza (sentenza n. 423 del 2004; nello stesso
senso, tra le altre, sentenze nn. 77 e 51 del
2005)." La Corte aveva già avuto modo di sottolineare che il settore dei
contributi relativi alle scuole paritarie «incide sulla materia della
“istruzione” attribuita alla competenza legislativa concorrente (art. 117,
terzo comma, della Costituzione)» (sentenza n. 423 del 2004, punto 8.2. del
Considerato in diritto). Pertanto il co. 635 dell'art. 1 della L. finanziaria
2007, "nella parte in cui prevede un finanziamento vincolato in un ambito
materiale di spettanza regionale, si pone in contrasto con gli artt. 117,
quarto comma, e 119 della Costituzione". La Corte ha tuttavia aggiunto
che: "La natura delle prestazioni contemplate dalla norma censurata, le
quali ineriscono a diritti fondamentali dei destinatari, impone, però, che si
garantisca continuità nella erogazione delle risorse finanziarie. Ne consegue
che devono rimanere «salvi gli eventuali procedimenti di spesa in corso, anche
se non esauriti» (così anche la citata sentenza n. 423 del 2004)."
Si aumenta (da € 400 euro) a € 640 per il 2016, € 750 per il 2017 e € 800 dal 2018 l’importo massimo – per alunno o studente – per il quale è possibile usufruire della detrazione IRPEF del 19%, relativamente alle spese sostenute per la frequenza delle scuole paritarie dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, nonché delle scuole secondarie (anche statali) di secondo grado.
A tal fine, si novella l’art. 15, co. 1, lett. e-bis), del D.P.R. n. 917/1986 (testo unico delle imposte sui redditi).
Si ricorda che,
come riepilogato nella Nota Prot. 2076 del 23
febbraio 2016, concernente i limiti di reddito per l’esonero dal pagamento dalle
tasse scolastiche per l’a.s. 2016/2017, le tasse
scolastiche (di cui all’art. 200, co. 1, del d.lgs. 297/1994) sono dovute solo
per il quarto e quinto anno degli
istituti di istruzione secondaria di secondo grado[122].
Dunque, mentre il riferimento alle scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione presente nella lett. e-bis) prima citata - introdotta dall’art. 1, co. 151, lett. b), della L. 107/2015 - riguarda solo le scuole paritarie, il riferimento alla scuola secondaria di secondo grado riguarda – seppure per importi minimi – anche gli ultimi due anni delle scuole statali.
La relazione tecnica evidenzia che gli
alunni che nell’a.s. 2013/2014 hanno frequentato una
scuola paritaria sono circa 994 mila.
Si
posticipa ulteriormente (dall’a.s. 2017/2018) all’a.s. 2019/2020 la soppressione
delle disposizioni (art. 26, co. 8, secondo e terzo periodo, L. 448/1998)
che prevedono la possibilità di collocare fuori
ruolo docenti e dirigenti scolastici per assegnazioni presso enti che
operano nel campo delle tossicodipendenze, della formazione e della ricerca
educativa e didattica, nonché associazioni professionali del personale direttivo
e docente ed enti cooperativi da esse promossi.
A tal
fine, si novella l’art. 1, co. 330, della L. 190/2014.
L’art. 1, co. 330, della L.
190/2014 (L. di stabilità 2015) aveva originariamente previsto la
soppressione, a decorrere dall’a.s. 2016/2017, del secondo e del terzo periodo
dell’art. 26, co. 8, della L. 448/1998, i quali – in base alle modifiche
apportate, da ultimo, dall’art. 1, co. 57, lett. a) e b),
della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013) – dispongono che possono essere
assegnati docenti e dirigenti scolastici:
§ fino a 100 unità presso gli enti e le associazioni che svolgono attività di prevenzione del disagio psico-sociale, assistenza, cura, riabilitazione e reinserimento di tossicodipendenti, iscritti negli albi regionali e provinciali di cui all’art. 116 del D.P.R. 309/1990;
§ fino a 50 unità presso associazioni professionali del personale direttivo e docente ed enti cooperativi da esse promossi, nonché presso enti che operano nel campo della formazione e della ricerca educativa e didattica.
Successivamente,
l’art. 1, co. 223, della L. 208/2015 – novellando l’art. 1, co.
330, della L. 190/2014 – ha posticipato all’a.s.
2017/2018 la soppressione delle disposizioni.
Per completezza, si ricorda che tutte le assegnazioni previste
dall’art. 26, co. 8, della L. 448/1998 –
incluse, dunque, quelle disposte ai sensi del primo periodo del comma per
compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica – comportano il collocamento in posizione di fuori ruolo.
Il periodo trascorso in tale posizione è valido a tutti gli effetti come
servizio di istituto nella scuola. All'atto del rientro in ruolo i docenti e i
dirigenti scolastici riacquistano la sede nella quale erano titolari al momento
del collocamento fuori ruolo se il periodo di servizio prestato nella predetta
posizione non è durato oltre un quinquennio. In caso di durata superiore, essi
sono assegnati con priorità ad una sede disponibile da loro scelta.
Si rammenta, altresì, che il co.
9 dello stesso art. 26 dispone che le associazioni professionali del
personale direttivo e docente e gli enti cooperativi da esse promossi, nonché
gli enti e le istituzioni che svolgono, per loro finalità istituzionale,
impegni nel campo della formazione possono
chiedere contributi in sostituzione del personale assegnato, nel limite
massimo delle economie di spesa realizzate per effetto della riduzione delle
assegnazioni stesse. Le modalità attuative di tale disposto sono state definite
con D.M. 100 del 31 marzo 2000.
L’articolo 79 istituisce un fondo allocato sul bilancio del MAECI per interventi straordinari di dialogo con i Paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratorie. Si prevede una dotazione di 200 milioni di euro per il 2017.
Il
Governo italiano in occasione della Conferenza ministeriale Italia-Africa del
18 maggio 2016 a Roma ha esplicitato i contorni della strategia italiana per l'Africa.
L'Africa
rappresenta un continente di opportunità,
ma pone numerose sfide: quella della crescita demografica, di governare
i flussi migratori, la sfida energetica, le crisi di sicurezza. A queste sfide
occorre rispondere con una strategia di lungo periodo, in linea con quanto
indicato dall'UE a La Valletta.
Come
chiarito dal Presidente Mattarella
in occasione della Conferenza Italia-Africa, il fenomeno migratorio va
affrontato "con un approccio multidimensionale" che tenga insieme la
gestione dell'emergenza e la rimozione delle cause dei flussi migratori.
L’approccio proposto dal nostro Paese
prevede: strumenti immediati per contenere i flussi; strumenti di medio-lungo
periodo per lo sviluppo e gli investimenti nei paesi africani, allo scopo di
affrontare in un quadro di partnership
il fenomeno delle migratorio.
Il
Governo italiano è impegnato a rafforzare le intese sui rimpatri e per crearle
dove ancora non sono in vigore, innanzitutto in Nigeria e Costa d'Avorio, in Senegal e Niger.
Il Piano d'azione dell'UE della Valletta,
adottata al termine dell'omonimo Vertice, tenutosi l'11 e 12 novembre 2015, si
pone un insieme ambizioso di obiettivi: affrontare le cause profonde della
migrazione adoperandosi per contribuire alla creazione di pace, stabilità e sviluppo
economico; migliorare il lavoro di promozione e organizzazione di canali di
migrazione legale; rafforzare la protezione dei migranti e dei richiedenti
asilo, in particolare dei gruppi vulnerabili; contrastare in maniera più
efficace lo sfruttamento e il traffico di migranti; collaborare più
strettamente per migliorare la cooperazione in materia di rimpatrio e di
riammissione. Anche l'UE a La Valletta
ha lanciato un "Fondo fiduciario
d'emergenza dell'UE per la stabilità e la lotta contro le cause
profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in
Africa", con una dotazione di 1,8 miliardi di euro provenienti dagli
strumenti di finanziamento a carico del bilancio dell'UE, nonché dai contributi
degli Stati membri e di altri donatori.
L'Italia
tramite il Migration Compact ha
inteso contribuire alla politica migratoria dell'UE avendo come obiettivi la
focalizzazione delle risorse e degli strumenti esistenti in direzione dei paesi
prioritari (in primis, dunque, i Paesi africani di origine e transito) e un
miglioramento degli strumenti di governance: aggiornamento
e potenziamento dell'Approccio globale in materia di migrazione e mobilità,
sviluppo delle linee tracciate dal Piano d'azione della Valletta, dall'Accordo
UE-Turchia e dai dialoghi che l'UE sta promuovendo a livello regionale (Processi
di Khartoum e Rabat in particolare).
Per quanto riguarda i principali strumenti dell'UE di dialogo regionale, il processo di Rabat, lanciato in occasione della prima conferenza interministeriale UE-Africa su migrazione e sviluppo tenutasi nel luglio 2006, riunisce i governi di 55 paesi europei e africani (Africa settentrionale, occidentale e centrale) insieme alla Commissione europea e alla Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS), e mira a intensificare il dialogo e la cooperazione tra Paesi d'origine, di transito e di destinazione lungo la rotta migratoria dell'Africa occidentale.
Il processo
di Khartoum (iniziativa UE-Corno
d'Africa in materia di rotte migratorie) è stato lanciato durante
il semestre di presidenza italiana dell'Unione, nel novembre 2014, sulla
falsariga del processo di Rabat, e coinvolge i paesi d'origine e transito del
Corno d'Africa (Sudan, Sud Sudan, Etiopia, Eritrea, Somalia, Gibuti e Kenia) e i principali Paesi di transito mediterranei
(Egitto, Libia e Tunisia). A guidarlo, un comitato direttivo composto da cinque
Stati membri dell'UE (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Malta) e cinque
Paesi partner (Egitto, Eritrea, Etiopia, Sud Sudan e Sudan), nonché dalla
Commissione europea, dal SEAE e dalla Commissione dell'Unione africana.
Si
segnala, infine, che nello stato di previsione del MAECI, tra le priorità
politiche indicate dal Ministro Gentiloni per il 2017
all'Amministrazione degli Affari esteri, figura quella dei flussi
migratori. A tale riguardo si legge: “La Farnesina dovrà contribuire, anche
attivando il necessario raccordo tra le amministrazioni nazionali interessate,
all’identificazione e introduzione di strumenti per la gestione di breve, medio
e lungo termine dei fenomeni migratori, da cui in parte dipendono stabilità
sociale e sostenibilità del progetto europeo, in un’ottica di contenimento dei
flussi e integrazione dei migranti. In sede europea andrà data priorità ai
seguiti delle proposte italiane del migration
compact per un nuovo partenariato con
l’Africa, mentre a livello multilaterale andranno promossi i principi della
salvaguardia della vita umana, della lotta al traffico di esseri umani e della
protezione dei migranti più vulnerabili, quali donne e minori. La nostra azione
politico-diplomatica volta a promuovere stabilità in Africa e Medio Oriente
dovrà accompagnarsi nei Paesi di origine e transito a una rinnovata azione di
cooperazione allo sviluppo e a rinnovate prospettive di riammissione dei
migranti irregolari”.
L’articolo 80 dispone uno stanziamento di 70 milioni di euro per il 2017 e di 180 milioni per il periodo 2018-2030 per l’acquisto e l’ammodernamento dei mezzi strumentali in uso alle Forze di polizia e al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, istituendo a tal fine un apposito fondo.
L’articolo 80 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un fondo con una dotazione finanziaria di 70 milioni di euro per il 2017 e di 180 milioni per il periodo 2018-2030 per l’acquisto e l’ammodernamento dei mezzi strumentali in uso alle Forze di polizia (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza e Polizia penitenziaria) e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
All’acquisto di tali mezzi si può procedere, come specificato dalla disposizione in commento, anche attraverso l’utilizzo di meccanismi di centralizzazione degli acquisti tramite Consip S.p.a. e leasing finanziario.
Si ricorda che Consip S.p.A. è la società con capitale interamente posseduto dal Ministero dell’economia e finanze, che costituisce la struttura di servizio di riferimento per gli acquisti centralizzati di beni e servizi della P.A.. La Società Consip e le Centrali regionali di acquisto della P.A. sono i soggetti competenti a stipulare - anche mediante il ricorso a strumenti e procedure informatiche - convenzioni quadro, con le quali l'impresa fornitrice di beni e servizi si impegna ad accettare ordinativi di fornitura deliberati dalle pubbliche amministrazioni, sino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione ed ai prezzi e condizioni ivi previsti. Le amministrazioni pubbliche, in via generale, possono ricorrere alle convenzioni-quadro, ovvero sono obbligate a fare ricorso ai parametri prezzo-qualità da tali convenzioni fissati (articolo 1, commi 449-458 della legge finanziaria 2007).
Si ricorda che nelle linee d’azione tracciate nel DEF il rafforzamento dell’acquisizione centralizzata costituisce un tassello fondamentale per sostenere la revisione della spesa tramite il recupero dell’efficienza nei processi e nei costi d’acquisto (inclusi gli oneri amministrativi connessi all’espletamento delle procedure di approvvigionamento) e una maggiore tracciabilità, trasparenza e semplificazione dell’azione amministrativa.
Le amministrazioni in concreto destinatarie delle somme sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze in relazione alle richieste del Ministro dell’interno (per Polizia di Stato e Vigili del fuoco), del Ministro della difesa (per i Carabinieri) e del Ministro della giustizia (per la Polizia penitenziaria). Tale decreto dovrà essere emanato entro 60 giorni dalla entrata in vigore della legge.
Una norma analoga è contenuta, per il 2016, nella legge di stabilità 2016 (L. 208/2015, art. 1, comma 967), che ha istituito il Fondo per l'ammodernamento delle dotazioni strumentali e delle attrezzature anche di protezione personale in uso alle forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (presso il MEF) con una dotazione finanziaria di 50 milioni di euro per il 2016, il cui riparto è effettuato, con DPCM, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti i Ministri dell'interno, della difesa e della giustizia. La disposizione autorizza, inoltre, la spesa di 10 milioni per il 2016, per il rinnovo e l'adeguamento della dotazione dei giubbotti anti-proiettile della Polizia di Stato. La corrispondente copertura è reperita a valere sul Fondo di riserva istituito nello stato di previsione del MEF, per le esigenze indifferibili che si manifestino in corso di gestione.
In precedenza, risultano altri interventi finalizzati all’adeguamento dei mezzi delle forze del comparto sicurezza.
Si richiama, in particolare, il D.L. 119/2014 (art. 8, comma 1) che ha stanziato in favore della Polizia di Stato 8 milioni di euro per l'anno 2014, 36 milioni di euro per l'anno 2015 e 44 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2021, per l'acquisto di automezzi e di equipaggiamenti, anche speciali, nonché per interventi di manutenzione straordinaria e adattamento di strutture e impianti.
Al Corpo dei vigili del fuoco sono stati destinati 2 milioni di euro per l'anno 2014, 4 milioni di euro per l'anno 2015 e 6 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2021, per l'acquisto di automezzi per il soccorso urgente.
Il medesimo provvedimento prevedeva l’assegnazione, previa valutazione di convenienza, alle forze del comparto della pubblica sicurezza le automobili di proprietà delle amministrazioni pubbliche statali dismesse o da dismettere (art. 8, comma 1-ter).
Relativamente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, si ricordano, oltre al citato D.L. 119/2014, i seguenti interventi in ordine al potenziamento dei mezzi strumentali da ultimo adottati:
§ il D.L. 113/2016, che ha autorizzato una spesa di 10 milioni per l’ammodernamento dei mezzi e dei dispositivi di protezione individuale del Corpo dei vigili del fuoco per ciascuno anno dal 2016 al 2018, attraverso una corrispondente riduzione del fondo speciale di conto capitale iscritto nell’ambito dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, utilizzando parzialmente l’apposito accantonamento relativo al Ministero dell’interno (art. 6-bis, commi 3 e 4);
§ il D.L. 189/2016, di cui è in corso di esame parlamentare la legge di conversione, che autorizza la spesa di 5 milioni di euro per l’anno 2016 e 45 milioni per l’anno 2017 per le seguenti finalità: ripristinare l’integrità del parco mezzi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; garantire l’attività di raccolta e trasporto del materiale derivante dal crollo degli edifici colpiti dall’evento sismico; assicurare lo svolgimento dell’attività di rimozione e trasporto delle macerie (art. 51, comma 4).
L’articolo 81 prevede la riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE) di 4.260 milioni di euro per l'anno 2017, di 4.185,5 milioni di euro per l'anno 2018, di 3.270 milioni di euro per l'anno 2019 e di 2.970 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020.
Incrementa inoltre il Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione di 300 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017.
Il comma 1 dispone la riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica di 4.260 milioni di euro per l'anno 2017, di 4.185,5 milioni di euro per l'anno 2018, di 3.270 milioni di euro per l'anno 2019 e di 2.970 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020.
Con la norma in esame si porta in riduzione del Fondo la quota di rifinanziamento del Fondo medesimo autorizzata dall’articolo 15, comma 1, del D.L. n. 193/2016 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili) attualmente in corso di esame presso la V Commissione della Camera (A.C. 4110), le cui disposizioni vengono contabilizzate nel disegno di legge di bilancio, nell’ambito della seconda sezione. La disposizione è volta in sostanza a sterilizzare sul disegno di legge di bilancio l’ammontare di risorse rinvenienti dal decreto legge, atteso che le stesse concorrono alla copertura della manovra.
Per quanto concerne la dotazione finanziaria del Fondo, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze (cap. 3075), si sottolinea altresì che il FISPE - che presentava una dotazione a legislazione vigente di 123,3 milioni per il 2017, di 293 milioni per il 2018 e di 387,6 milioni per il 2019 – è stato rifinanziato nella seconda sezione di 80 milioni di euro per il 2017 e di 100 milioni per il 2018.
Nel disegno di legge di bilancio, il Fondo presenta ora, a seguito delle suesposte variazioni, una dotazione pari a 203,3 milioni per il 2017, 393 milioni per il 2018 e a 387,6 milioni per il 2019.
Si ricorda che il Fondo ISPE è stato istituito dall'articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282 del 2004 al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo viene utilizzato in modo flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di interventi legislativi recanti oneri finanziari.
Il comma 2 rifinanzia di 300 milioni di euro a decorrere dal 2017 il Fondo istituito per far fronte ad esigenze indifferibili che si dovessero manifestare nel corso della gestione.
Per quanto concerne la dotazione finanziaria del Fondo, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze (cap. 3076), si sottolinea altresì che tale fondo - che presentava una dotazione a legislazione vigente di 985,5 milioni per il 2017, 519,2 milioni per il 2018 e di 22,6 milioni per il 2019 – è stato definanziato nella seconda sezione per complessivi 965,5 milioni di euro per il 2017, di 499,2 milioni per il 2018 e di 12,6 per il 2019.
Nel disegno di legge di bilancio, il Fondo presenta ora, a seguito delle suesposte variazioni, una dotazione pari a 320 milioni per il 2017 e per il 2018 e di 310 milioni per il 2019.
Il Fondo per esigenze indifferibili in corso della gestione è stato istituto dall’articolo 1, comma 200, della legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190/2014), con la dotazione di 27 milioni di euro per l'anno 2015 e di 25 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016, presso il Ministero dell’economia e finanze (cap. 3076). Esso è ripartito annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.
La dotazione del Fondo è stata successivamente incrementata dall’articolo 16, comma 11, del D.L. n. 83/2015, il quale destina a tale Fondo le maggiori entrate derivanti dalle modifiche alla disciplina fiscale delle svalutazioni e delle perdite su crediti degli enti creditizi e finanziari e delle imprese di assicurazione ai fini delle imposte dirette. Tali entrate sono valutate nell’ordine di 137 milioni per il 2016, 107 milioni per il 2017, 505 milioni per il 2018, 130 milioni per il 2020, 451 milioni per il 2021, 360 milioni per il 2022, 245 milioni per il 2023, 230 milioni per il 2024 e 189 milioni di euro annui a decorrere dal 2025.
Articolo 82
(Rifinanziamento bonus cultura 18enni)
L’articolo 82 assegna la Card cultura per i giovani, introdotta dalla legge di stabilità 2016, anche ai soggetti che compiono diciotto anni nel 2017.
La norma dispone l’assegnazione della Card cultura per i giovani - introdotta dall’articolo 1, comma 979, della legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) - anche ai soggetti che compiono diciotto anni nel 2017. Restano fermi i termini ivi previsti, i relativi criteri e le relative modalità attuative disciplinate ai sensi dell’ultimo periodo del predetto comma 979 nei limiti degli stanziamenti iscritti in bilancio nella sezione seconda del disegno di legge in esame.
Si ricorda che il comma 979 della legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) - come modificato dall’articolo 2-quinquies del D.L. 42/2016 (L. 89/2016) - ha previsto che a tutti i residenti nel territorio nazionale, in possesso, ove previsto, di permesso di soggiorno in corso di validità, i quali compiono diciotto anni di età nel 2016, è assegnata una Carta elettronica, dell'importo nominale massimo di euro 500, che può essere utilizzata per ingressi a teatro, cinema, musei, mostre e (altri) eventi culturali, spettacoli dal vivo, nonché per l’acquisto di libri e per l’accesso a monumenti, gallerie e aree archeologiche e parchi naturali.
I criteri e le modalità di attribuzione e utilizzo della Carta, nonché l’importo da assegnare, sono stati disciplinati con il DPCM 15 settembre 2016, n. 187.
Le somme assegnate non costituiscono reddito imponibile e non rilevano ai fini del computo dell’ISEE.
Il comma 980 ha autorizzato la spesa di € 290 mln per il 2016 per l’assegnazione della Carta.
Le risorse sono iscritte nel cap. 1430 dello stato di previsione del MIBACT (Tabella n. 13), annesso al disegno di legge.
La relazione tecnica precisa che è previsto un rifinanziamento di € 290 mln per il 2017.
L’articolo 83 incrementa da 500 milioni a un miliardo di euro il limite annuale di anticipazioni di cassa a carico del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, per interventi nel quadro dei fondi strutturali
La disposizione modifica l'art. 1, comma 243, primo periodo della legge 27 dicembre 2013, n. 147, incrementando da 500 milioni a un miliardo di euro il limite annuale di anticipazioni a carico del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie.
Tali anticipazioni, come esplicitato dal citato art. 1, comma 243, riguardano le quote comunitarie e di cofinanziamento nazionale dei programmi a titolarità delle Amministrazioni centrali dello Stato cofinanziati dall'Unione europea con i fondi strutturali, il FEASR (Fondo europeo per lo sviluppo rurale) e il FEAMP (Fondo europeo per la pesca), nonché dei programmi complementari rispetto ai programmi cofinanziati dai fondi strutturali, inseriti nell'ambito della programmazione strategica definita con l'Accordo di partenariato 2014/2020 siglato con le autorità dell'Unione europea. Le risorse così anticipate (come recita il citato comma 243) "sono reintegrate al Fondo a valere sulle quote di cofinanziamento nazionale riconosciute per lo stesso programma a seguito delle relative rendicontazioni di spesa. Per i programmi complementari, le anticipazioni sono reintegrate al Fondo a valere sulle quote riconosciute per ciascun programma a seguito delle relative rendicontazioni di spesa".
Si
ricorda che il Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie
è stato istituito dall'art. 5 della legge n. 183/87, nell'ambito della ragioneria Generale dello
Stato, con funzioni di gestione finanziaria, monitoraggio e controllo degli
interventi UE.
Il
Fondo di rotazione consente prioritariamente di:
§ assicurare la copertura finanziaria degli
oneri di parte nazionale previsti nei Programmi e nelle Azioni di politica
comunitaria;
§ trasferire alle Amministrazioni e organismi
responsabili le risorse comunitarie e il cofinanziamento statale, gestire i
flussi finanziari Italia-UE e l'attuazione dei relativi interventi;
§ effettuare i pagamenti ai beneficiari finali
o ai destinatari ultimi per le Amministrazioni centrali, titolari di Programmi
operativi nazionali (PON), che - non disponendo di propri capitoli del Bilancio
dello Stato - si avvalgono del Fondo di rotazione quale intermediario
finanziario;
§ monitorare e controllare l'attuazione
finanziaria degli Interventi.
Per la gestione del predetto Fondo di
rotazione, il decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 1988 n. 396 ha
istituito, nell'ambito della Ragioneria Generale dello Stato, una apposita
struttura: l'Ispettorato Generale per l'amministrazione del Fondo di rotazione
per l'attuazione delle politiche comunitarie (I.G.FO.R.), avente gestione
autonoma fuori del bilancio dello Stato, ai sensi della legge n. 1041/1971.
L’articolo 84 introduce la facoltà di destinare le risorse relative ai programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali e di investimento europei per il periodo 2014-2020, nel limite massimo di 280 milioni di euro, alle attività di trattenimento, accoglienza, inclusione e integrazione degli immigrati, oltre quelle già stanziate nella sezione II del bilancio.
Con
riguardo alla formulazione della norma si segnala l’opportunità di precisare,
quanto ai programmi operativi dalla stessa considerati, che il riferimento
andrebbe effettuato “pertinenti” programmi operativi, come previsto nelle
formulazioni riscontrabili nelle analoghe disposizioni recate dagli articoli
50, 74,comma 8 e 75, comma 1, del disegno di legge in esame.
Si segnala, in proposito, che rispetto agli stanziamenti di competenza a legislazione vigente nel 2017, la sezione II del bilancio opera un rifinanziamento di 320 milioni di euro per il 2017 per le attività di trattenimento ed accoglienza degli immigrati (cap. 2351/2 dello stato di previsione del Ministero dell’interno – tabella 8).
Le previsioni di spesa a legislazione vigente per la missione n. 27 "Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti" ammontano a circa 2.864 milioni.
Come specificato
nella relazione illustrativa la missione 27 (con contenuto invariato rispetto
al bilancio 2016) registra un incremento, rispetto alle previsioni 2016, di
circa il 22 per cento, "determinato da maggiori risorse stanziate per il
funzionamento delle commissioni per il riconoscimento del diritto di asilo e
per l’accoglienza dei migranti, a fronte del prolungarsi dell’emergenza nel
Mediterraneo".
Si ricorda che con i più recenti interventi normativi, tra cui figurano le disposizioni oggetto dell'articolo 12 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, recante misure urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili (ossia l'incremento di 600 milioni delle risorse destinate all'attivazione, alla locazione e alla gestione dei centri di accoglienza di stranieri irregolari, nonché 100 milioni quale concorso dello Stato agli oneri sostenuti dai Comuni impegnati nell'accoglienza di richiedenti protezione internazionale).
La disposizione fa menzione dei fondi strutturali europei.
Tali fondi rappresentano il principale strumento finanziario della politica di coesione dell'Unione europea, finalizzata a rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale concorrendo così alla realizzazione della Strategia 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva dell’Unione europea.
Alla politica di coesione per il periodo 2014-2020 è destinato un terzo delle risorse previste nel bilancio complessivo dell’Unione europea, per un investimento di 351,8 miliardi di euro (cui si aggiungono i contributi nazionali e gli altri investimenti privati, per un impatto quantificabile in circa 450 miliardi di euro).
Con la riforma intervenuta per il ciclo di programmazione 2014-2020, la politica di coesione si articola in:
§ un Quadro strategico comune per tutti i fondi strutturali e di investimento, detti Fondi SIE (Fondo europeo di sviluppo regionale; Fondo sociale europeo; Fondo di coesione; Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale; Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca) che tradurrà gli obiettivi di Europa 2020 in priorità di investimento;
§ Accordi di partenariato, i quali, basandosi sul Quadro strategico comune, stabiliscono per ogni Stato Membro le priorità di investimento, l’allocazione delle risorse nazionali e dell’Unione Europea tra i settori e i programmi prioritari, e il coordinamento tra i fondi a livello nazionale;
§ Programmi operativi nazionali (PON) e regionali (POR), che traducono i documenti strategici in concrete priorità d’investimento corredate da obiettivi chiari e misurabili.
Più nel dettaglio, il Fondo europeo di Sviluppo regionale (FESR) mira a consolidare la coesione economica e sociale regionale, investendo nei settori che favoriscono la crescita al fine di migliorare la competitività, creare posti di lavoro e correggere gli squilibri fra le Regioni.
Alcune misure relative ai migranti, come la riduzione del loro isolamento geografico e scolastico, possono rientrare nella competenza di tale Fondo (come anche il recupero delle aree urbane svantaggiate).
Il Fondo Sociale Europeo (FSE) è dedicato alla crescita della competitività nonché a consolidare e migliorare gli attuali livelli di occupazione, qualità del lavoro e coesione sociale.
Misure di inclusione sociale e di sostegno del mercato del lavoro a favore anche dei migranti rientrano nella competenza di tale Fondo.
Peraltro la Commissione europea si è detta disponibile a modifiche dei programmi finanziati tramite i Fondi strutturali e di investimento europei SIE, per far fronte alle crisi connesse ai flussi migratori (con investimenti in circostanze straordinarie, per interventi quali ospedali mobili, punti di crisi, misure sanitarie e approvvigionamento idrico, ampliamento dei centri di accoglienza, e altro: cfr. l'informativa "Attuare la politica d'investimento dell'Ue. Impatto e benefici dei Fondi strutturali e di investimento europei", Inforegio 2015 n. 55, p. 21).
Per quanto concerne l'Italia e il ciclo di programmazione 2014-2020, l'Accordo di Partenariato, in cui si definisce la strategia per un uso ottimale dei Fondi europei, prevede l'investimento di 32,2 miliardi di euro (cui si aggiungono 10,4 miliardi di euro per lo sviluppo rurale e 537 milioni di euro per il settore marittimo e della pesca).
Accanto ai fondi comunitari lo Stato dispone per la politica di coesione di un Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC), che contribuisce al finanziamento degli interventi con 39 miliardi di euro.
La Programmazione comunitaria 2014-2020 prevede in Italia la realizzazione di 74 Programmi operativi cofinanziati a valere sui quattro Fondi Strutturali e di Investimento europei.
In particolare, saranno cofinanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dal Fondo di sviluppo europeo: 39 Programmi operativi regionali; 12 Programmi operativi Nazionali.
Dal Fondo
europeo agricolo per lo sviluppo rurale saranno cofinanziati: 21 Piani
di sviluppo rurale (PSR); 2 Programmi
nazionali. Dal Fondo europeo per gli affari
marittimi e la pesca sarà cofinanziato 1 Programma operativo nazionale.
Per integrare la ricognizione sopra accennata sul versante dell'Unione europea, può valere ricordare come il finanziamento nel settore degli affari interni abbia assunto (per il settennato di programmazione 2014-2020) una nuova configurazione, a 'due pilastri'. Ossia: il Fondo di sicurezza interna; il Fondo asilo, migrazione e integrazione.
Benché anche il primo di questi Fondi abbia una sua proiezione sulla materia della immigrazione (giacché vi rientra il controllo e la protezione dei confini esterni e una politica comunitaria riguardo ai visti), è beninteso il Fondo asilo, migrazione ed integrazione ad assumere la maggiore rilevanza.
Suo atto istitutivo è stato il Regolamento (UE) n. 516/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014.
Si tratta di un Fondo di 3,137 miliardi di euro (dei quali 2,752 miliardi per i programmi nazionali degli Stati Membri, 385 milioni per aiuti d’emergenza, per la rete europea per l’immigrazione e l’aiuto tecnico della Commissione europea).
Il Fondo migrazione e asilo 'copre' i
molteplici aspetti delle politiche comuni europee in materia di flussi
migratori, di gestione integrata della migrazione e di asilo. A tal fine esso
finanza azioni in materia di: sistemi di accoglienza e asilo (la priorità sarebbe lo sviluppo del sistema
europeo comune di asilo); integrazione dei cittadini di Paesi
terzi e migrazione legale; rimpatrio (inteso quale strumento per contrastare
l’immigrazione illegale, dunque con attenzione al carattere durevole del
rimpatrio e alla riammissione effettiva nei Paesi di origine e di transito).
Tra gli obiettivi del Fondo vi è quello di migliorare la solidarietà e la ripartizione delle responsabilità fra gli Stati membri, specie quelli più esposti ai flussi migratori e di richiedenti asilo.
La maggior parte dei finanziamenti (più dell'80 per cento) è previsto
siano erogati secondo la gestione
condivisa, cioè in cooperazione con gli Stati membri.
I finanziamenti sono attribuiti ai singoli Stati su una duplice base:
§
una
somma fissa, calcolata sulla base di criteri oggettivi (ad es., numero
delle domande di asilo, numero di decisioni positive che riconoscono la
protezione internazionale, numero dei rifugiati reinsediati, numero dei
cittadini di Paesi terzi residenti, decisioni di rimpatrio assunte e rimpatri
effettuati, ecc.), erogata all'inizio della programmazione per assicurare
continuità dei finanziamenti e possibilità per gli Stati di programmare
adeguatamente.
§ una somma flessibile, in aggiunta alla somma fissa, e variabile a seconda della volontà del singolo Stato di finanziare, attraverso il suo programma nazionale, azioni che rispondono a specifiche priorità stabilite a livello UE a seguito di un dialogo politico con gli Stati membri. Questa somma sarà erogata in due fasi: una all'inizio del programma pluriennale e una nel 2017, per rispondere a eventuali mutamenti nei flussi migratori e nei bisogni degli Stati membri.
La rimanente parte dei fondi sarà invece gestita a livello centrale europeo, onde finanziare azioni transnazionali.
Quanto ai recenti sviluppi normativi in Italia in materia di migranti, può rammentarsi il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, il quale ha ridefinito il sistema dei centri di accoglienza in Italia (in attuazione della direttiva 2013/33 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale).
In particolare, l’articolo 8 di quel decreto legislativo delinea un sistema di accoglienza – basato sulla leale collaborazione tra i livelli di governo interessati – articolato in due fasi: «prima accoglienza», assicurata nelle strutture di cui agli articoli 9 e 11 (strutture temporanee), nonché di quelle allestite in occasione della «emergenza Puglia» nel 1995; «seconda accoglienza» disposta nelle strutture di cui all’articolo 14 (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati- SPRAR) ovvero, in caso di insufficienza, ancora una volta ricorrendo in via residuale alle strutture temporanee.
Il decreto legislativo prefigura strutture dislocate tendenzialmente a livello regionale o interregionale onde realizzare un sistema capillare di centri di accoglienza per richiedenti asilo. In esse dovrebbero confluire i cittadini di Paesi terzi – già registrati e sottoposti alle procedure di foto-segnalamento – per consentire loro di compilare il cd. «modello C3» (formalizzazione della domanda di protezione internazionale) e quindi passare alle strutture di seconda accoglienza.
Ai sensi dell'articolo 9 i centri possono essere gestiti da enti locali, anche associati, unioni o consorzi di Comuni, enti pubblici o enti privati che operano nel settore dell’assistenza dei richiedenti asilo o agli immigrati o nel settore dell’assistenza sociale.
Quanto al sistema di accoglienza italiano a lungo termine, vale a dire la seconda fase dell’accoglienza, esso è basato principalmente sul modello SPRAR. Esso fa capo al Ministero dell’interno – che dirama periodicamente il bando – ma vi giocano un ruolo significativo le autorità locali (la rete SPRAR si basa su domande di contributo da parte degli enti locali per la realizzazione dei progetti di accoglienza), che vi partecipano presentando progetti secondo criteri stabiliti da un decreto del medesimo ministero.
La
capacità di accoglienza SPRAR è stata progressivamente incrementata nel tempo, passando
dai 3.000 posti nel 2012, ai 9.400 nel 2013, ai 19.600 nel 2014, fino ai 22.000
nel 2015.
Con il decreto del ministro dell'Interno del 7
agosto 2015 è stato adottato un avviso pubblico sulle modalità di presentazione
delle domande di contributo da parte degli enti locali che prestano o intendono
prestare, nel biennio 2016-2017, servizi di accoglienza in favore di
richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria, per 10.000
posti.
Secondo
dati forniti dal Ministero dell'interno, per il periodo 2014-2016 sono stati
finanziati 20.744 posti, in 382 enti locali attuatori per 434 progetti.
Infine, secondo i dati del Ministero dell'interno, dal 1° gennaio al 27 ottobre 2016 sono sbarcati in Italia 158.205 migranti, con un incremento del 13% circa rispetto allo stesso periodo nel 2015 (139.936 migranti sbarcati). Nel 2014, fino al 27 ottobre erano sbarcati 152.330 migranti.
L’articolo 85 rinvia al 2018 gli aumenti IVA introdotti dalla legge di stabilità 2015 e sopprime gli aumenti di accise introdotti dalla legge di stabilità 2014 (clausole di salvaguardia).
L’articolo 85 interviene (comma 1) sulla clausola di salvaguardia introdotta dalla legge di stabilità, sostanzialmente rinviando al 2018 gli aumenti IVA già previsti per il 2017.
Si ricorda che i commi 718 e 719 della legge di stabilità 2015 hanno introdotto una nuova clausola di salvaguardia a tutela dei saldi di finanza pubblica, volta ad incrementare le aliquote IVA ordinaria e ridotta rispettivamente di 2,5 e 2 punti percentuali e le accise su benzina e gasolio in misura tale da determinare maggiori entrate non inferiori a 700 milioni di euro a decorrere dal 2018.
Già la legge di stabilità 2016 aveva rinviato di un anno gli aumenti citati: per effetto di tali modifiche, a decorrere dal 1° gennaio 2017 l’aliquota IVA del 10 per cento sarebbe incrementata di tre punti percentuali, vale a dire dal 10 al 13 per cento; l'aliquota IVA del 22 per cento aumenterebbe di due punti percentuali (dal 22 al 24 per cento), mentre dal 1° gennaio 2018 vi sarebbe l’aumento di un ulteriore punto percentuale (dal 24 al 25 per cento); è stato invece soppresso l’ulteriore aumento di 0,5 punti percentuali dal 1° gennaio 2018. Sono state inoltre ridotte della metà - da 700 a 350 milioni di euro - le maggiori entrate previste a decorrere dal 2018 mediante aumento dell’aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché dell'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante.
Viene a tal fine modificato il citato comma 718 della legge di stabilità 2015 in più punti:
§ con una prima modifica alla lettera a), l’aumento dell'aliquota IVA del 10 per cento di tre punti percentuali (dal 10 al 13 per cento) a decorrere dal 1° gennaio 2017 è posticipato al 2018;
§ con una modifica alla lettera b), l’aumento dell'aliquota IVA del 22 per cento di due punti percentuali a decorrere dal 1° gennaio 2017 è posticipato al 1° gennaio 2018, anno in cui si somma con l’aumento di un ulteriore punto percentuale già previsto a legislazione vigente (cioè dal 22 al 25 per cento); è inoltre introdotto un nuovo aumento di 0,9 punti percentuali dal 1° gennaio 2019 (cioè fino al 25,9 per cento).
Tabella
6 - Effetti finanziari a
legislazione vigente
|
2017 |
2018 |
2019 |
Aliquota Iva 10% al 13% |
6.957 |
6.957 |
6.957 |
Aliquota Iva 22% al 24 % |
8.176 |
8.176 |
8.176 |
Aliquota Iva 24% al 25% |
0 |
4.088 |
4.088 |
Incremento accise |
0 |
350 |
350 |
TOTALE
CLAUSOLE |
15.133 |
19.571 |
19.571 |
(in milioni
di euro)
Tabella
7 - Effetti finanziari
della nuova clausola
|
2017 |
2018 |
2019 |
Aliquota Iva 10% al 13% |
0 |
6.957 |
6.957 |
Aliquota Iva 22% al 25 % |
0 |
12.264 |
12.264 |
Aliquota
Iva al 25,9% |
0 |
0 |
3.679 |
Incremento accise |
0 |
350 |
350 |
TOTALE
CLAUSOLE |
0 |
19.571 |
23.250 |
(in milioni
di euro)
L’effetto differenziale tra gli effetti della clausola modificata dalla legge di stabilità 2016, rispetto alla nuova clausola è il seguente (in milioni di euro):
2017: -15.133
2018: 0
2019: +3.679
Il comma 2 elimina l'aumento dell'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché dell'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante, in misura tale da determinare maggiori entrate nette non inferiori a 220 milioni per il 2017 e a 199 milioni per il 2018 già previsto dalla legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del 2013), articolo 1, comma 626, il quale viene abrogato.
L’articolo 86 quantifica in 1.600 milioni di euro per il 2017 le maggiori entrate derivanti dalla riapertura dei termini per la collaborazione volontaria in materia fiscale.
L’articolo 86, al comma 1, quantifica in 1.600 milioni di euro, per il 2017, le maggiori entrate derivanti dalla riapertura dei termini per la collaborazione volontaria in materia fiscale, operata dall’articolo 7 del decreto-legge n. 193 del 2016.
L’articolo 7 del decreto-legge n. 193 del 2016, all’esame della Camera dei deputati al momento di redazione del presente lavoro, tramite l'introduzione dell'articolo 5-octies al decreto-legge n. 167 del 1990 riapre i termini per esperire la procedura di voluntary disclosure, in una finestra temporale che va dal 24 ottobre 2016 (data di entrata in vigore del provvedimento in esame) al 31 luglio 2017.
Essa trova applicazione sia per l'emersione di attività estere, sia per le violazioni dichiarative relative a imposte erariali. Le violazioni sanabili sono quelle commesse fino al 30 settembre 2016 (comma 1, lettera a), del nuovo articolo 5-octies del decreto-legge n. 167 del 1990).
Analogamente alle norme varate nel 2014, le disposizioni prevedono lo slittamento dei termini di decadenza per l'accertamento delle imposte sui redditi e dell'IVA, nonché di contestazione delle sanzioni (comma 1, lettera b), del nuovo articolo 5-octies).
Per le attività e gli investimenti esteri oggetto della nuova procedura è possibile usufruire di un esonero dagli obblighi dichiarativi, limitatamente al 2016 e per la frazione del periodo d'imposta antecedente la data di presentazione dell'istanza di collaborazione volontaria, purché tali informazioni siano analiticamente illustrate nella relazione di accompagnamento all'istanza di voluntary disclosure e purché si versi in unica soluzione (entro il 30 settembre 2017) quanto dovuto a titolo di imposte, interessi e sanzioni (comma 1, lettera c), del nuovo articolo 5-octies).
Si chiarisce la non punibilità delle condotte di autoriciclaggio se commesse in relazione a specifici delitti tributari fino al versamento delle somme dovute per accedere alla procedura (comma 1, lettera d), del nuovo articolo 5-octies). Rispetto alla voluntary disclosure disciplinata nel 2014, si prevede una diversa procedura: il contribuente provvede spontaneamente a versare in unica soluzione (entro il 30 settembre 2017) o in un massimo di tre rate (di cui la prima entro il 30 settembre 2017), il quantum dovuto a titolo di imposte, ritenute, contributi, interessi e sanzioni. La procedura antecedente contemplava, invece, la presentazione di una apposita richiesta all'Amministrazione finanziaria e la fornitura della relativa documentazione; l'Agenzia delle entrate avrebbe poi provveduto ad emettere avviso di accertamento, ovvero ad invitare il contribuente all'adesione spontanea.
Il versamento delle somme dovute comporta i medesimi effetti previsti dalla precedente voluntary disclosure, sia sotto il profilo penale, sia con riferimento al versante sanzionatorio amministrativo (non punibilità per alcuni reati e riduzione delle sanzioni). Gli effetti favorevoli penali e sanzionatori decorrono dal versamento in unica soluzione o della terza rata. L'Agenzia delle entrate comunica l'avvenuto perfezionamento della procedura di collaborazione volontaria (comma 1, lettera e), del nuovo articolo 5-octies).
Le norme disciplinano poi le conseguenze per il mancato o insufficiente versamento delle somme dovute entro i termini di legge: in tal caso, l'Agenzia può esperire le procedure dell'adesione all'invito a comparire, secondo le norme vigenti prima del 31 dicembre 2015 (abrogate dalla legge di stabilità 2015 nell'alveo della complessiva riforma del ravvedimento operoso) (comma 1, lettera f), del nuovo articolo 5-octies).
Con riferimento alle conseguenze sanzionatorie del mancato o insufficiente versamento spontaneo, le norme differenziano il trattamento riservato al mancato versamento da quello previsto per il versamento insufficiente; inoltre, per il caso di insufficiente versamento, sono previste conseguenze diverse secondo lo scostamento dal quantum dovuto (comma 1, lettera g), del nuovo articolo 5-octies).
Sono previste agevolazioni sanzionatorie e procedurali (eliminazione del raddoppio dei termini di accertamento) in specifiche ipotesi di stipula o di entrata in vigore di trattati internazionali volti all'effettivo scambio di informazioni fiscali (comma 1, lettera h) e comma 2, del nuovo articolo 5-octies).
Si disciplina una nuova ipotesi di reato, attribuendo rilevanza penale alle condotte di chiunque, fraudolentemente, si avvalga della procedura di collaborazione volontaria per far emergere attività finanziarie e patrimoniali o contanti provenienti da reati diversi da quelli per cui la voluntary preclude la punibilità (comma 1, lettera i), del nuovo articolo 5-octies).
Analogamente a quanto disposto dalla legge n. 186 del 2014, la procedura si estende ai soggetti non destinatari degli obblighi di monitoraggio fiscale autori di violazioni dichiarative per attività detenute in Italia, ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive, dell'IRAP e dell'IVA, nonché alle violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d'imposta. Disposizioni specifiche sono previste nel caso in cui la collaborazione volontaria sia esperita con riferimento a contanti o valori al portatore (comma 3 del nuovo articolo 5-octies).
Il comma 2 dell’articolo 7 dispone che le norme attuative siano adottate entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione.
Sono infine introdotte (comma 3) disposizioni in tema di potenziamento dell'attività di accertamento fiscale da parte degli enti locali.
I commi 2 e 3, con disposizioni che riprendono parzialmente alcune norme dell’articolo 17 della legge di legge di contabilità pubblica n.196/2009, anche richiamando espressamente il comma 13 dello stesso, disciplinano le specifiche conseguenze dell’eventuale scostamento tra gettito quantificato ai sensi del comma 1 e gettito atteso.
In particolare, il comma 2 dispone che, se dal monitoraggio effettuato sulla base delle istanze presentate alla data del 31 luglio 2017 risulti che il gettito atteso dai conseguenti versamenti non consenta la realizzazione integrale dell’importo di 1,6 miliardi quantificato al comma l, la compensazione dell'eventuale differenza deve essere effettuata mediante riduzione degli stanziamenti iscritti negli stati di previsione della spesa disposta, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri da adottarsi entro il 31 agosto 2017.
Lo schema di decreto di cui al periodo precedente è trasmesso alle Camere per l'espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, da rendere entro il termine di sette giorni dalla data della trasmissione. Qualora le Commissioni non si esprimano entro il termine di cui al precedente periodo, i decreti possono essere adottati in via definitiva.
Ai sensi del successivo comma 3, ove gli scostamenti non siano compensabili nel corso dell'esercizio con le predette misure, il Ministro dell'economia e delle finanze, qualora riscontri che dalla mancata integrale compensazione derivi un pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, provvede - ai sensi del citato articolo 17, comma 13, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 - ad assumere, entro il 30 settembre 2017, le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione.
Si stabilisce infine (comma 4) che il Ministro dell'economia e delle finanze riferisca senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause dello scostamento e all'adozione delle misure di compensazione .
Si può rilevare come la procedura in questione determina in sostanza una clausola di salvaguardia riferita alle previsioni di entrata e, per questo verso, pur riprendendo alcune delle disposizioni dettate dai commi da 12 a 13 dell’articolo17 della legge di contabilità riguardo alle disposizioni i cui oneri eccedono le previsioni, se ne differenzia necessariamente, - seppur in sostanziale coerenza con i suddetti commi dell’articolo 17 - atteso che la clausola in esame è operata sul lato non della spesa ma dell’entrata.
L’articolo 87 dispone in ordine all’entità dei fondi speciali, ossia gli strumenti contabili mediante i quali si determinano le disponibilità per la copertura finanziaria dei provvedimenti legislativi che si prevede possano essere approvati nel corso degli esercizi finanziari compresi nel bilancio pluriennale.
Nel disegno di legge in esame gli importi della Tabella A (fondo speciale di parte corrente) ammontano complessivamente a 212 milioni per il 2017, a 332,2 milioni per il 2018 e a 329,9 milioni annui a decorrere dal 2019. Per quanto riguarda la Tabella B (conto capitale), il disegno di legge prevede importi pari a 478,6 milioni per il 2017, a 574,6 milioni per il 2018 e a 584,6 milioni annui a decorrere dal 2019.
(importi in
migliaia)
Tabella A |
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a
legislazione vigente |
112.036.930 |
132.219.192 |
129.949.192 |
Disegno di
legge di bilancio |
212.036.930 |
332.219.192 |
329.949.192 |
Cap. 6856 dello stato di previsione del
MEF
(importi in migliaia)
Tabella B |
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a
legislazione vigente |
328.601.000 |
324.601.000 |
284.601.000 |
Disegno di
legge di bilancio |
478.601.000 |
574.601.000 |
584.601.000 |
Cap. 9001 dello stato di previsione del MEF
L'articolo 21,
comma 1-ter, lett. d), della legge di contabilità (legge n. 196 del 2009) inserisce tra i contenuti della prima sezione del
disegno di legge di bilancio la
determinazione degli importi
dei fondi speciali e le relative tabelle. Precedentemente la
determinazione degli importi dei fondi speciali in apposite Tabelle della legge
di stabilità era prevista dall'articolo 11, comma 3, lettera c), della legge n.
196, abrogato dalla legge n. 163 del 2016. Tali modifiche non hanno comunque
innovato il contenuto della normativa vigente.
Con il comma in esame si provvede a determinare gli importi da iscrivere nei fondi speciali per ciascun anno, determinati nelle misure indicate per la parte corrente nella Tabella A e per quella in conto capitale nella Tabella B allegate al disegno di legge di stabilità, ripartite per Ministeri. In sede di relazione illustrativa al disegno di legge di stabilità sono indicate le finalizzazioni, vale a dire i provvedimenti per i quali viene preordinata la copertura. Ulteriori finalizzazioni possono essere specificate nel corso dell’esame parlamentare, con riferimento ad emendamenti che incrementano la dotazione dei fondi speciali. In ogni caso le finalizzazioni non hanno efficacia giuridica vincolante. Attraverso i fondi speciali viene quindi delineata la proiezione finanziaria triennale della futura legislazione di spesa che il Governo intende presentare al Parlamento.
Nelle tabelle seguenti sono riportati, suddivisi per Ministero, gli importi degli accantonamenti di parte corrente e di conto capitale nel disegno di legge di bilancio (A.C. n. 4127). Si riportano altresì le finalizzazioni indicate nella relazione illustrativa del disegno di legge in esame.
Si
segnala, peraltro, che gli elenchi numeri 3 e allegati allo stato di previsione
del Ministero dell'economia e delle finanze, (A.C. 4127 - Tomo III) riproducono
gli stanziamenti previsti, rispettivamente, dalla Tabelle A e B e non gli
importi a legislazione vigente per i singoli Dicasteri, ove sussistenti, come
nelle annualità precedenti. Tali dati sono stati successivamente forniti dalla
RGS su richiesta degli Uffici parlamentari.
Tabella A - Fondo speciale di parte
corrente
(importi in
euro)
Ministero dell'economia e delle finanze
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
39.924.319 |
59.337.319 |
59.067.319 |
Disegno di legge di bilancio |
88.924.319 |
189.337.319 |
174.067.319 |
Finalizzazioni:
§ Disposizioni in materia di donazione del corpo post mortem ai fini di studio e di ricerca scientifica (A.C. 100 - A.S. 1534);
§ Disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali (A.C. 750 - A.S. 1629);
§ Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (A.C. 3139 - A.S. 1261-B);
§ Distacco del comune di Sappada dalla regione Veneto e relativa aggregazione alla regione Friuli-Venezia Giulia (A.S. 951);
§ Disposizioni per la promozione e la disciplina del commercio equo e solidale (A.C. 75- A.S. 2272)
§ Interventi diversi.
Ministero dello sviluppo economico
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
4.000.000 |
4.000.000 |
4.000.000 |
Disegno di legge di bilancio |
4.000.000 |
4.000.000 |
4.000.000 |
Finalizzazioni: risorse destinate alla copertura finanziaria dell’Accordo
Italia - EURATOM per la gestione di rifiuti radioattivi.
Ministero del lavoro e politiche sociali
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
5.000.000 |
5.000.000 |
5.000.000 |
Disegno di legge di bilancio |
5.000.000 |
5.000.000 |
5.000.000 |
Finalizzazioni:
§ Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato (A.C. 2233);
§ Interventi diversi.
Ministero della giustizia
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
1.300.952 |
871.794 |
871.794 |
Disegno di legge di bilancio |
11.300.952 |
10.871.794 |
10.871794 |
Finalizzazioni:
§ Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza (A.C. 3671, oggetto di stralcio: 3671-BIS, "Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza"; 3671-TER "Delega al Governo in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza");
§ Interventi diversi.
Ministero degli affari esteri e della cooperazione
internazionale
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
35.981.299 |
35.979.719 |
35.979.719 |
Disegno di legge di bilancio |
55.981.299 |
65.979.719 |
75.979.719 |
Finalizzazioni: ratifiche di accordi internazionali.
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
10.470.500 |
10.470.500 |
8.470.500 |
Disegno di legge di bilancio |
10.470.500 |
10.470.500 |
8.470.500 |
Finalizzazioni:
§ Interventi per il sostegno della formazione e della ricerca nelle scienze geologiche (A.C. 1533 - AS 1892);
§ Interventi diversi.
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
5.000.000 |
5.000.000 |
5.000.000 |
Disegno di legge di bilancio |
10.000.000 |
15.000.000 |
15.000.000 |
Finalizzazioni:
§ Legge annuale per il mercato e la concorrenza (A.C. 3012- A.S. 2085);
§ Interventi diversi.
Ministero delle politiche agricole, alimentari e
forestali
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
0 |
0 |
0 |
Disegno di legge di bilancio |
10.000.000 |
10.000.000 |
10.000.000 |
Finalizzazioni: interventi diversi.
Ministero dei beni e delle attività culturali e del
turismo
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
0 |
0 |
0 |
Disegno di legge di bilancio |
5.000.000 |
10.000.000 |
15.000.000 |
Finalizzazioni: interventi diversi.
Ministero della salute
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
11.359.860 |
11.559.860 |
11.559.860 |
Disegno di legge di bilancio |
11.359.860 |
11.559.860 |
11.559.860 |
Finalizzazioni:
§ Oneri relativi all’emergenza biologica a livello nazionale;
§ Interventi diversi.
Tabella B - Fondo speciale di conto
capitale
(importi in
migliaia)
Ministero
dell'economia e delle finanze
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
222.100.000 |
208.100.000 |
208.100.000 |
Disegno di legge di bilancio |
282.100.000 |
278.100.000 |
278.100.000 |
Finalizzazioni:
§ Disciplina del cinema e dell'audiovisivo (A.S. 2287 - A.C. 4080);
§ Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti e dei territori montani e rurali nonché deleghe al Governo per la riforma del sistema di governo delle medesime aree e per l'introduzione di sistemi di remunerazione dei servizi ambientali (AC 65e A.C. 2284, approvati in testo unificato - A.S. 2541);
§ Disposizioni in materia di criteri di priorità per l’esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi (A.C. 1994 - A.S. 580-B),
§ Potenziamento e ammodernamento della Guardia di finanza
§ Interventi diversi.
Ministero dello
sviluppo economico
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
20.000.000 |
30.000.000 |
30.000.000 |
Disegno di legge di bilancio |
30.000.000 |
50.000.000 |
50.000.000 |
Finalizzazioni: interventi diversi.
Ministero del lavoro
e politiche sociali
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
32.753.000 |
32.753.000 |
32.753.000 |
Disegno di legge di bilancio |
32.753.000 |
32.753.000 |
32.753.000 |
Finalizzazioni:
§ Disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali (A.C. 750 - A.S. 1629)
§ Stabilizzazione dei lavoratori impiegati ASU nella città di Napoli.
Ministero della
giustizia
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
0 |
0 |
0 |
Disegno di legge di bilancio |
20.000.000 |
30.000.000 |
40.000.000 |
Finalizzazioni: Interventi per la manutenzione delle strutture
giudiziarie e penitenziarie.
Ministero
dell'istruzione, dell'università e della ricerca
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
0 |
0 |
0 |
Disegno di legge di bilancio |
10.000.000 |
20.000.000 |
30.000.000 |
Finalizzazioni: interventi diversi.
Ministero
dell'interno
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
0 |
0 |
0 |
Disegno di legge di bilancio |
10.000.000 |
30.000.000 |
40.000.000 |
Finalizzazioni:
§ Potenziamento dei sistemi informativi per il contrasto del terrorismo internazionale;
§ Interventi diversi.
Ministero dell' dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
50.748.000 |
50.748.000 |
10.748.000 |
Disegno di legge di bilancio |
60.748.000 |
80.748.000 |
50.748.000 |
Finalizzazioni:
§ Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di Parigi collegato alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato a Parigi il 12 dicembre 2015 (A.C. 4079; A.S. 2568; approvato definitivamente, non ancora pubblicato al momento della redazione della presente scheda);
§ Interventi di bonifica e ripristino dei siti inquinati;
§ Interventi per la difesa del suolo;
§ Interventi
a favore della difesa del suolo e per Interventi diversi.
Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
0 |
0 |
0 |
Disegno di legge di bilancio |
20.000.000 |
30.000.000 |
40.000.000 |
Finalizzazioni: interventi diversi.
Ministero della
salute
|
2017 |
2018 |
2019 |
Bilancio a legislazione vigente |
3.000.000 |
3.000.000 |
3.000.000 |
Disegno di legge di bilancio |
13.000.000 |
23.000.000 |
23.000.000 |
Finalizzazioni:
§ Somme destinate all’Agenzia europea per i medicinali (EMA);
§ Interventi diversi.
Gli articoli 88-104 recano l’approvazione dei singoli stati di previsione dell’entrata e della spesa, recando per ciascuno di essi anche altre disposizioni formali aventi carattere gestionale, riprodotte annualmente.
Per l’analisi dei singoli stati di previsione si rinvia al Dossier sul Disegno di legge di bilancio 2017, Sezione II – Contabile.
La legge di stabilità entra in vigore il 1° gennaio 2017, ove non diversamente previsto.
Una diversa entrata in vigore è stabilita dall’articolo 63 (Fondi a favore degli enti territoriali) per il quale l’entrata in vigore è fissata al giorno stesso della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
[1] La natura formale del bilancio discendeva dal previgente terzo comma dell’articolo 81 della Costituzione, a norma del quale, si rammenta, con la legge di bilancio “non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese”. Con la mancata riproposizione di tale norma del nuovo testo dell’articolo 81 introdotto dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 si è determinato il passaggio da una concezione formale ad una concezione sostanziale della legge di bilancio.
[2] Tali tabelle prevedevano, rispettivamente, la determinazione degli importi delle leggi di spesa permanente, la riduzione di autorizzazioni legislative di spesa di parte corrente nonché le variazioni delle leggi che dispongono spese a carattere pluriennale in conto capitale.
[3] In corso d’esame presso la Camera (A.C. 4110).
[4] Cfr. relazione illustrativa al disegno di legge di bilancio integrato, Tavola 2.
[5] La
disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni e alla televisione è stata
introdotta dal R.D.L. 246/1938 (L. 880/1938).
[6] Ai
sensi della L. 13 giugno 1935, n. 1184, come modificato dal d.lgs.lgt. 8 febbraio 1946, n. 56.
[7] A tal fine, l’art. 10, co. 1, ha novellato l’art. 1, co. 160, lett. b), della L. 208/2015, che aveva destinato fino a € 50 mln annui provenienti dal canone RAI al Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, contestualmente istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, destinato (solo) all’emittenza radiofonica e televisiva in ambito locale.
[8] Si ricorda che la micro impresa - definita dalla Raccomandazione della Commissione 2003/361/CE del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese - è quella che ha meno di 10 dipendenti e un fatturato o bilancio (un prospetto delle attività e delle passività di una società) annuo inferiore ai 2 milioni di euro. Nella citata raccomandazione viene fornita anche una definizione di piccola impresa (meno di 50 dipendenti e un fatturato o bilancio annuo inferiore a 10 milioni di euro) e di media impresa (meno di 250 dipendenti e un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro o un bilancio inferiore a 43 milioni di euro). Le PMI che soddisfano i diversi criteri possono beneficiare sia di programmi comunitari e nazionali di sostegno alle imprese, come i finanziamenti per la ricerca, la competitività e l’innovazione, che altrimenti non sarebbero concessi in base alle norme sugli aiuti di Stato dell’UE sia di un minor numero di requisiti o costi ridotti per ottemperare alla legislazione dell’UE.
[9] In attuazione della norma, in data 14 febbraio 2014 è stata stipulata tra il Ministero dello Sviluppo Economico, Associazione Bancaria Italiana e CDP una Convenzione che disciplina le condizioni, i criteri e le modalità di utilizzo da parte delle banche del plafond di provvista CDP.
[10] Con decreto direttoriale del 02 settembre 2016 è stata disposta, a partire dal giorno successivo, la chiusura dello sportello per la presentazione delle domande di accesso ai contributi statali, a causa dell’esaurimento delle risorse finanziarie disponibili.
[11] Cfr. anche la Relazione sulle spese pluriennali e di investimento allegata alla Nota di aggiornamento al DEF 2016.
[12] La citata Relazione espone un’analisi previsionale dalla quale emerge un fabbisogno complessivo di ulteriori 212 milioni di euro complessivi nel periodo 2017-2023. L’analisi è stata condotta sulla base dell’attuale trend di impiego delle risorse e stimando, per effetto della più generale politica di stimolo degli investimenti messa in atto dal Governo (maxiammortamento), un incremento realistico di circa il 20% , anche in ragione dei nuovi soggetti finanziatori non più “vincolati” alla provvista finanziaria di CDP.
[13] Ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3 del TFUE i progetti (nazionali) diretti a istituire o modificare aiuti sono comunicati alla Commissione europea in tempo utile perché essa presenti le sue osservazioni. Se la Commissione ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato interno a norma dell'articolo 107 TFUE, la Commissione inizia senza indugio la procedura prevista dal paragrafo 2 dello stesso articolo 108. Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale. Ai sensi del paragrafo 4 dell'articolo 108 del TFUE, la Commissione può adottare regolamenti concernenti le categorie di aiuti di Stato per le quali il Consiglio ha stabilito, conformemente all'articolo 109 TFUE, che possono essere dispensate dalla procedura di notifica.
[14] L’intensità di auto è importo lordo dell'aiuto espresso come percentuale dei costi ammissibili, al lordo di imposte o altri oneri
[15] L'articolo 1 del Regolamento UE n. 1407/2013, fissa il campo di applicazione disponendo che esso si applichi agli aiuti concessi alle imprese di qualsiasi settore, ad eccezione dei seguenti aiuti:
a) aiuti concessi a imprese operanti nel settore della pesca e dell'acquacoltura di cui al regolamento (CE) n. 104/2000 del Consiglio;
b) aiuti concessi a imprese operanti nel settore della produzione primaria dei prodotti agricoli;
c) aiuti concessi a imprese operanti nel settore della trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli nei casi seguenti:
i) qualora l'importo dell'aiuto sia fissato in base al prezzo o al quantitativo di tali prodotti acquistati da produttori primari o immessi sul mercato dalle imprese interessate,
ii) qualora l'aiuto sia subordinato al fatto di venire parzialmente o interamente trasferito a produttori primari;
d) aiuti per attività connesse all'esportazione verso paesi terzi o Stati membri, ossia aiuti direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l'attività d'esportazione;
e) aiuti subordinati all'impiego di prodotti nazionali rispetto a quelli d'importazione.
[16] Dal punto di
vista settoriale, la gran parte delle start-up
innovative (oltre l'80%) opera nel settore dei servizi privati alle famiglie e
alle imprese. Se si escludono i comparti del turismo e del commercio, emerge che
il 76% delle start-up italiane
fornisce servizi alle imprese. In particolare, le attività nettamente
prevalenti sono quelle relative alla consulenza informatica e alla produzione
di software (circa il 42% del totale start-up).
Seguono le attività di ricerca scientifica e sviluppo e le attività
professionali e tecniche (28%). Solo il 18% delle start-up innovative opera nei settori dell'industria manifatturiera
e delle costruzioni; infine il commercio incide soltanto per il 4% del totale.
All'interno del manifatturiero prevalgono le fabbricazioni di computer e
prodotti di elettronica e ottica, di macchinari ed apparecchiature e di
apparecchiature elettriche ed apparecchiature per uso domestico non elettriche.
[17] A fine dicembre 2015 il numero di start-up innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese, è pari a 5.143, in aumento di 439 unità rispetto alla fine di settembre (+9,3%). Le start-up rappresentano lo 0,33% del milione e mezzo di società di capitali italiane. Il capitale sociale delle start-up è pari complessivamente a poco più di 258 milioni di euro, che corrisponde in media a quasi 50 mila euro a impresa (il capitale medio è rimasto stabile rispetto al trimestre precedente).
[18] Tale
regolamento dichiarava alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato
interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato. In particolare,
l’articolo 21 riguarda le condizioni di compatibilità dei regimi di aiuti al
finanziamento del rischio a favore delle PMI.
[19] L’articolo 4
citato è relativo all’istituzione di un apposito fondo rotativo per la gestione
dei mutui agevolati concessi ad Invitalia, ai sensi
dell’articolo 23 del decreto legislativo n. 185/2000, con il compito di
provvedere alla selezione ed erogazione delle agevolazioni ivi previste a
favore dell’autoimprenditorialità e dell’autoimpiego; si rammenta che le misure relative all'autoimpiego (di cui al medesimo D.Lgs. n. 185 del 2000, ma al titolo II non richiamato dalla norma in commento) rappresentano un complesso di incentivi, destinati
prevalentemente ai soggetti privi di occupazione residenti nelle aree depresse,
ai fini della creazione di attività di lavoro autonomo o della costituzione di
microimprese o della creazione di iniziative di autoimpiego in forma di franchising.
[20] I rientri quindi potrebbero anche derivare da esiti patologici delle misure previste dal capo III del medesimo titolo I del citato decreto legislativo n. 185/2000: si tratta delle iniziative dirette a sostenere in tutto il territorio nazionale le imprese agricole a prevalente o totale partecipazione giovanile, a favorire il ricambio generazionale in agricoltura e a sostenerne lo sviluppo attraverso migliori condizioni per l'accesso al credito.
[21] In
riferimento agli impieghi del Fondo per la crescita sostenibile, si rammenta
che, già a partire dal D.M. 20 giugno 2013, essi hanno finanziato interventi,
volti al sostegno di progetti di ricerca e sviluppo - finalizzati alla
realizzazione di nuovi prodotti, processi o servizi o al significativo
miglioramento di prodotti, processi o servizi esistenti - di rilevanza
strategica per il sistema produttivo e, in particolare, per la competitività delle
piccole e medie imprese. In questo quadro, il MiSe ha
emanato decreti di concessione di agevolazioni per programmi di sviluppo
sperimentale, comprendenti eventualmente anche attività non preponderanti di
ricerca industriale, attuati da imprese start-up.
[22] Nei fondi comuni di investimento di tipo chiuso il rimborso delle quote è ammesso solo in periodi predeterminati (cfr. l'art. 1, comma 1, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni).
[23] Il D.P.C.M. dispone l’approvazione di un progetto esecutivo, allegato al decreto, che si presenta come un Masterplan redatto in lingua inglese, riferito a differenti e distinti piani di intervento. L’articolo 2, co. 1 del decreto dispone che l’IIT deve provvedere, entro trenta giorni dalla data del medesimo decreto (16 settembre 2016), ad avviare il progetto e a rendere operativo un “apposito ente” indicato in premessa, da costituire entro 24 mesi dalla medesima data.
[24] Secondo queste ultime, non concorrono a formare la parte imponibile i redditi già assoggettati ad imposta.
[25] Si ricorda che, ai fini di quest'esenzione, le azioni non devono essere riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro né comunque essere cedute prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla percezione.
[26] Per la nozione di familiari, cfr. l'art. 12 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.
[27] Secondo quanto riportato nella relazione tecnica allegata al provvedimento, la valutazione è stata effettuata (sulla base di elementi amministrativi forniti dall’I.N.P.S.) sulla base di una stima di 277.000 iscritti per il 2017 con reddito medio annuo pari a 16.300 euro.
[28] La domanda può essere presentata direttamente o tramite un intermediario autorizzato ai sensi della legge n.152/2001, ossia istituti di patronato e di assistenza sociale.
[29] La domanda deve essere presentata attraverso l’uso dell’identità digitale SPID di secondo livello, ai sensi del DPCM 24 ottobre 2014 (recante “Definizione delle caratteristiche del sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese (SPID), nonché dei tempi e delle modalità di adozione del sistema SPID da parte delle pubbliche amministrazioni e delle imprese”).
[30] Sul diritto di recesso v.oltre (comma 6).
[31] Decreto legislativo n.385/1993.
[32] Decreto legislativo n.231/2007, recante “Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione”.
[33] Ai sensi dell’articolo 30, comma 8, del decreto legislativo n.231/2007, il quale prevede che “Nel caso di rapporti continuativi relativi all'erogazione di credito al consumo, di leasing, di emissione di moneta elettronica o di altre tipologie operative indicate dalla Banca d'Italia, l'identificazione può essere effettuata da collaboratori esterni legati all'intermediario da apposita convenzione, nella quale siano specificati gli obblighi previsti dal presente decreto e ne siano conformemente regolate le modalità di adempimento”.
[34] Il sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale è disciplinato dal DPCM 24 ottobre 2014 (recante “Definizione delle caratteristiche del sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese (SPID), nonché dei tempi e delle modalità di adozione del sistema SPID da parte delle pubbliche amministrazioni e delle imprese”).
[35] Il diritto di recesso è disciplinato dall’articolo 125-ter del decreto legislativo n.385/1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) e dall’articolo 67-duodecies del decreto legislativo n.206/2005 (Codice del consumo). Il primo prevede che “Il consumatore può recedere dal contratto di credito entro quattordici giorni; il termine decorre dalla conclusione del contratto o, se successivo, dal momento in cui il consumatore riceve tutte le condizioni e le informazioni (previste ai sensi dell'articolo 125-bis, comma )”. Il secondo prevede che “Il consumatore dispone di un termine di quattordici giorni per recedere dal contratto senza penali e senza dover indicare il motivo. […] Il termine durante il quale può essere esercitato il diritto di recesso decorre alternativamente: a) dalla data della conclusione del contratto, tranne nel caso delle assicurazioni sulla vita, per le quali il termine comincia a decorrere dal momento in cui al consumatore è comunicato che il contratto è stato concluso; b) dalla data in cui il consumatore riceve le condizioni contrattuali e le informazioni di cui all'articolo 67-undecies, se tale data è successiva a quella di cui alla lettera a).
[36] In estrema
sintesi, l’esercizio dell’opzione per l’imposta sostitutiva sui finanziamenti –
che si applica ordinariamente nella misura ordinaria dello 0.25% dell’importo del
finanziamento - consente, alle condizioni di legge, l’esenzione dagli altri
tributi indiretti (imposta di registro, imposta di bollo, imposta ipotecaria,
etc.) che sarebbero altrimenti applicabili ai singoli atti posti in essere per
effettuare le medesime operazioni di finanziamento, ivi comprese le garanzie.
[37] La disposizione richiama l’articolo 7 del decreto legislativo n.184/1997, il quale prevede che l'importo del contributo volontario è pari all'aliquota di finanziamento, prevista per la contribuzione obbligatoria alla gestione pensionistica, applicata all'importo medio della retribuzione imponibile percepita nell'anno di contribuzione precedente la data della domanda. L'importo minimo di retribuzione sulla quale sono commisurati i contributi volontari non può essere inferiore alla retribuzione settimanale (determinata ai sensi dell'articolo 7, comma 1, del decreto-legge n. 463/1983). L'importo del contributo volontario minimo dovuto da tutte le categorie di prosecutori volontari non può essere inferiore a quello stabilito per i lavoratori dipendenti comuni. Per le categorie tenute al versamento di contributi volontari mensili, tale importo è ragguagliato a mese.
[38] L’individuazione dei criteri, delle condizioni e delle modalità di funzionamento del Fondo di garanzia per l’accesso ai finanziamenti e della Garanzia dello Stato come prestatore di ultima istanza è contenuta nel DPCM 20 febbraio 2015, n. 29.
[39] La garanzia di ultima istanza costituisce una fattispecie già prevista anche in altre norme, quale ad esempio quella relativa al fondo di garanzia per le PMI di cui all’articolo 11, co.4 del D.L. n.185/2008.
[40] Si tratta del privilegio generale sulle retribuzioni dovute ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori.
[41] Risoluzione consensuale avvenuta nell'ambito della procedura di conciliazione di cui all'art. 7 della L. 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni
[42] L’handicap in situazione di gravità è definito dall’articolo 3, comma 3, della legge n.104/1992, ove si prevede che “Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici”.
[43] Le professioni (indicate nell’apposito Allegato cui la norma rinvia) sono le seguenti:
A. Operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici
B. Conduttori di gru, di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni
C. Conciatori di pelli e di pellicce
D. Conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante
E. Conduttori di mezzi pesanti e camion
F. Professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni.
G. Addetti all'assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza
H. Professori di scuola pre–primaria
I. Facchini, addetti allo spostamento merci ed assimilati
J. Personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia
K. Operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti.
Il comma 20 prevede, poi, che con successivo DPCM si proceda alla determinazione delle caratteristiche specifiche di tali attività lavorative.
[44] L’ASDI è disciplinato dall’articolo 16 del decreto legislativo n. 22/2015.
[45] L’indennizzo per cessazione di attività commerciale è stato istituito dal decreto legislativo n. 207/1996. L’indennizzo spetta in caso di cessazione definitiva dell'attività commerciale ai soggetti che esercitano, in qualità di titolari o coadiutori, attività commerciale al minuto in sede fissa, anche abbinata ad attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, ovvero che esercitano attività commerciale su aree pubbliche
[46] I dipendenti cui la disposizione fa riferimento sono quelli di tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’ARAN e le Agenzie istituite dal D.Lgs. 300/1999 (di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n.165/2001), nonché i dipendenti degli enti di cui all’articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001 (ente EUR; enti autonomi lirici ed istituzioni concertistiche assimilate; Agenzia spaziale italiana; Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura; ENEA; Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale e Registro aeronautico italiano (RAI); CONI; CNEL; E.N.A.C.) e il personale degli enti pubblici di ricerca.
[47] Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), disciplinato dall’art. 2120 c.c., è un elemento della retribuzione la cui erogazione è differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro, riconosciuto ai dipendenti del settore privato e, ai sensi del D.P.C.M.20 dicembre 1999, anche ai dipendenti pubblici assunti dopo il 31 dicembre 2000 (ad eccezione delle categorie cosiddette “non contrattualizzate”). Si ricorda, in proposito, che fino all’emanazione del DPCM 20 dicembre 1999, che ha introdotto per i nuovi assunti il TFR, veniva liquidata l’indennità premio di fine servizio ai dipendenti degli enti locali e l’indennità di buonuscita ai dipendenti statali. I dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato prima del 31 dicembre 2000 possono optare per il TFR aderendo, contestualmente, ad un fondo di previdenza complementare. I Trattamenti di Fine Servizio si differenziano dal TFR sia per le modalità di calcolo della prestazione (calcolata sull’ultima retribuzione), sia per il loro finanziamento, caratterizzato anche da una contribuzione del lavoratore alla quale si aggiunge quella dell’amministrazione statale o dell’ente locale. Questi versano la somma totale dovuta, per poi riprendere (rivalendosi) la parte obbligatoria dovuta dal dipendente. Merita infine ricordare che l’articolo 1, commi 484 e 485, della L. 147/2013 ha modificato la disciplina sui termini temporali della rateizzazione dell’erogazione dei trattamenti di fine servizio (TFS) o di fine rapporto (TFR), comunque denominati, dei dipendenti pubblici, con effetto sui soggetti che maturino i requisiti per il pensionamento a decorrere dal 1° gennaio 2014, riducendo, in particolare, l’importo oggetto della rateizzazione.
[48] L’articolo 24, comma 6, del D.L. 201/2011 ha ridefinito i requisiti anagrafici per il pensionamento di vecchiaia a decorrere dal 1° gennaio 2012, disponendo l'innalzamento a 66 anni (al quale vanno aggiunti gli indici di speranza di vita, pari, nel 2016, a 7 mesi) del limite minimo per accedere alla pensione di vecchiaia (sia per i lavoratori dipendenti sia per quelli autonomi), nonché l'anticipazione della disciplina a regime dell'innalzamento progressivo dell'età anagrafica delle lavoratrici dipendenti private al 2018 (in luogo del 2026).
[49] Si fa presente che anche su tali requisiti opera la norma di cui all’art. 12 del D.L. 78/2010 che prevede l’adeguamento all’incremento della speranza di vita; tali adeguamenti saranno aggiornati con cadenza biennale (non più triennale) dal 1° gennaio 2019, per effetto di quanto disposto dall’art. 24, c. 13, del D.L. 201/2011:
[50] La disciplina finora vigente è posta dall'art. 1, commi da 239 a 248, della L. 24 dicembre 2012, n. 228.
[51] Cfr. il citato comma 239 dell'art. 1 della L. n. 228 del 2012.
[52] Si ricorda che, per i soggetti il cui primo accredito contributivo decorra successivamente al 1° gennaio 1996, il trattamento pensionistico può essere conseguito al compimento di un requisito anagrafico (attualmente pari a 63 anni e 7 mesi) meno elevato rispetto a quello generale, purché sussistano le condizioni di cui all'art. 24, comma 11, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214.
[53] La disposizione fa rinvio alla nozione di handicap grave di cui all'art. 3, comma 3, della L. 5 febbraio 1992, n. 104.
[54] Cfr. il comma 13 del citato art. 24 del D.L. n. 201 del 2011.
[55] Procedura di cui all'art. 14 della L. 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
[56] Invalidi ai quali sia stata riconosciuta un'invalidità superiore al 74 per cento o ascritta alle prime quattro categorie della tabella A allegata al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, di cui al D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni.
[57] Attraverso la soppressione dell’art. 24, c. 17-bis, del D.L. 201/2011 ove si prevede l’applicazione ai lavoratori che svolgono lavori usuranti, i quali maturano i requisiti per il pensionamento dal 1° gennaio 2012, delle cd. finestre mobili, secondo cui la prima decorrenza utile per godere del trattamento pensionistico è fissata (art. 12, c. 2, D.L. 78/2010:
- trascorsi 12 mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti, per coloro per i quali le pensioni sono liquidate a carico delle forme di previdenza dei lavoratori dipendenti;
- trascorsi 18 mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti, per coloro per i quali le pensioni sono a carico delle gestioni per gli artigiani, i commercianti e i coltivatori diretti nonché della gestione separata.
[58] Il beneficio non è cumulabile con le detrazioni spettanti per i redditi da lavoro dipendente e per alcune delle categorie di redditi assimilati al lavoro dipendente.
[59] Procedure stabilite, da ultimo, dal D.M. 14 febbraio 2014 (G.U. n.89 del 16 aprile 2014).
[60] Di cui all’articolo 3 del D.M. 8 ottobre 2012 ( pubblicato nella G.U. n. 17 del 21 gennaio 2013) e al medesimo articolo 22, comma 1, lettera a), del D.L. 95/2012.
[61] Di cui all'art. 1, comma 284, della L. 28 dicembre 2015, n. 208, e successive modificazioni, ed al D.M. 7 aprile 2016.
[62] Riguardo alle entrate contributive in oggetto, cfr. l'art. 5 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150, e successive modificazioni.
[63] Si ricorda, inoltre, che il citato comma 284 dell'art. 1 della L. n. 208, e successive modificazioni, mediante il richiamo dell'art. 41, comma 6, del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, esclude che la trasformazione a tempo parziale possa determinare un incremento della base di calcolo della quota di trattamento pensionistico liquidata secondo il cosiddetto metodo retributivo.
[64] Per l’a.a. 2016/2017, il DM 29 marzo 2016, n. 201 ha definito l’importo minimo della tassa di iscrizione in € 201,58.
[65] Ad esempio, nel caso di uno studente con ISEE pari a 14.000 euro, il contributo non può superare 80 euro; nel caso di uno studente con ISEE pari a 25.000 euro, il contributo non può superare 960 euro.
[66] Ad esempio, nel caso di uno studente con ISEE pari a 14.000 euro,
il contributo non può superare 200 euro; nel caso di uno studente con ISEE pari
a 25.000 euro, il contributo non può superare 1.440 euro.
[67] L’art. 8 del D.Lgs. 42/2012 definisce il costo standard unitario di
formazione per studente in corso come il costo di riferimento attribuito al
singolo studente iscritto entro la durata normale del corso di studio,
determinato tenuto conto della tipologia di corso di studi, delle dimensioni
dell'ateneo e dei differenti contesti economici, territoriali e
infrastrutturali in cui opera l'università. Per il triennio 2014-2016, il costo
standard per studente in corso è stato definito con DI 9 dicembre 2014, n. 893.
[68] Le funzioni amministrative e legislative statali in materia di Università degli studi di Trento sono state delegate alla provincia autonoma di Trento dall’art. 2, co. 122, della L. 191/2009. I contenuti della delega sono stati specificati con il d.lgs. 142/2011.
[69] I criteri per la ripartizione delle risorse destinate al funzionamento delle istituzioni AFAM per l'anno 2016 sono stati stabiliti con DM 20 giugno 2016, n. 488.
[70] L’art. 4 della L. 240/2010 ha istituito presso il MIUR un nuovo fondo per la promozione dell’eccellenza e del merito fra gli studenti universitari dei corsi di laurea e di laurea magistrale, destinato a erogare premi di studio, fornire buoni studio e garantire la solvibilità dei finanziamenti concessi dagli istituti di credito. Gli interventi sono cumulabili con le borse di studio. I beneficiari delle provvidenze sono individuati mediante prove nazionali standard per gli iscritti al primo anno per la prima volta e mediante criteri nazionali standard di valutazione per gli iscritti agli anni successivi al primo.
[71] Peraltro, lo stesso art. 9 non reca contenuti che attengono ad eventuali funzioni della Fondazione nell’ambito del sistema scolastico.
[72] Il dirigente scolastico, di concerto con gli organi collegiali, può individuare percorsi formativi e iniziative diretti all'orientamento.
[73] Le attività e i progetti di orientamento scolastico nonché di accesso al lavoro sono sviluppati con modalità idonee a sostenere anche le eventuali difficoltà e problematiche proprie degli studenti di origine straniera.
[74] Con riferimento alle attività di alternanza scuola-lavoro.
[75] Convenzioni con enti pubblici e privati finalizzate a favorire l'orientamento scolastico e universitario dello studente.
[76] A titolo di
esempio, si vedano l’art. 5 del regolamento dell’università di Torino e l’art. 7 del regolamento dell’università di Pavia.
[77] In base all’art. 1, co. 1, della L. 62/2000, il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali.
[78] In base all’art. 2, co. 1, della L. 508/1999, le Accademie di belle arti, l'Accademia nazionale di arte drammatica e gli Istituti superiori per le industrie artistiche, nonché, con la trasformazione in Istituti superiori di studi musicali e coreutici, i Conservatori di musica, l'Accademia nazionale di danza e gli Istituti musicali pareggiati costituiscono il sistema dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale. Qui l’elenco delle Istituzioni AFAM.
[79] In base all’art. 6, co. 1, della L. 240/2010, il regime di impegno dei professori e dei ricercatori è a tempo pieno (1.500 ore) o a tempo definito (750 ore).
[80] Il FIRB, di cui
all’art. 104 della L. 388/2000 (legge finanziaria 2001), era stato istituito
presso il MIUR, a decorrere dall'esercizio 2001, al fine di favorire
l'accrescimento delle competenze scientifiche del Paese e di potenziarne la
capacità competitiva a livello internazionale.
[81] I Programmi di
ricerca di rilevante interesse nazionale (PRIN) prevedono proposte di ricerca
libere e autonome, nell’ambito delle 14 aree disciplinari di cui al D.M. 175 del 4 ottobre 2000. Il MIUR cofinanzia gli stessi, attraverso la
pubblicazione di un bando a ricerca libera. Con D.D. 4 novembre 2015, n. 2488, modificato con D.D. 14 dicembre 2015, n. 3265, è stato emanato il bando PRIN 2015.
[82] In base all’art. 15 della L. 240/2010, i settori concorsuali per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale possono essere articolati in settori scientifico-disciplinari. I settori concorsuali sono stati rideterminati, da ultimo, con D.M. 30 ottobre 2015 n. 855, rettificato, relativamente all’all. D, con D.M. 22 giugno 2016, n. 494.
[83] A seguito delle modifiche da ultimo apportate dall’art. 1, co. 460, della L. 147/2013, si tratta del contingente corrispondente ad una spesa pari al 50% per il 2014 e il 2015, al 60% per il 2016, all’80% per il 2017 e al 100% dal 2018, di quella relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell’anno precedente. Successivamente, l’art. 1, co. 346, della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) e l’art. 1, co. 251, della L. 208/2015 (legge di stabilità 2016), hanno introdotto previsioni finalizzate a facilitare, in determinate condizioni, la stipula di contratti a tempo determinato relativi a ricercatori.
[84] Criteri e contingente assunzionale delle singole università statali per l’anno 2015 sono stati definiti con D.M. 21 luglio 2015 n. 503 e, per l’anno 2016, con D.M. 5 agosto 2016, n. 619.
[85] Con esclusione dei contratti di lavoro domestico e quelli relativi agli operai del settore agricolo.
[86] I controlli in questione sono quelli previsti dall’art. 125, par. 5, del richiamato Regolamento (UE) 1303/2013, secondo cui, nell’ambito delle funzioni dell'autorità di gestione (responsabile della gestione del programma operativo nazionale conformemente al principio della sana gestione finanziaria), la stessa procede, tra l’altro, alle verifiche amministrative rispetto a ciascuna domanda di rimborso presentata dai beneficiari e alle verifiche sul posto delle operazioni.
[87] Si veda, a titolo di esempio, lo Statuto della Scuola superiore di studi universitari e di perfezionamento Sant’Anna di Pisa.
[88] Da ultimo, la designazione dei componenti del Comitato Nazionale dei Garanti della Ricerca - previsto dall’art. 21 della L. 240/2010 - è stata operata con DM 3 novembre 2015, n. 861.
[89] Si tratta di: Area 01 - Scienze matematiche e informatiche; Area 02 - Scienze fisiche; Area 03 - Scienze chimiche; Area 04 - Scienze della terra; Area 05 - Scienze biologiche; Area 06 - Scienze mediche; Area 07 - Scienze agrarie e veterinarie; Area 08 - Ingegneria civile e Architettura; Area 09 - Ingegneria industriale e dell'informazione; Area 10 - Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche; Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche; Area 12 - Scienze giuridiche; Area 13 - Scienze economiche e statistiche; Area 14 - Scienze politiche e sociali.
[90] In statistica, i quantili sono le n parti uguali in cui si suddivide l’intera distribuzione di frequenza, dopo aver ordinato i valori. Quando la distribuzione si suddivide in 4 parti uguali, si parla di quartili; in 5 parti uguali, si parla di quintili; in 10 parti uguali, si parla di decili; in 100 parti uguali, si parla di percentili.
[91] La relazione tecnica evidenzia che detti aumenti e riduzioni non comportano incrementi alla stima della spesa complessiva fatta sull’importo base, in quanto il numero dei dipartimenti che riceve una maggiorazione (del 10% o del 20%) è identico al numero di dipartimenti che riceve una decurtazione della stessa entità.
[92] I programmi di ricerca di alta qualificazione, finanziati dall’UE
o dal MIUR, sono stati individuati, da ultimo, con DM 28
dicembre 2015.
[93] Nel sistema contributivo di calcolo della pensione è la quota della retribuzione pensionabile che è considerata accantonata ai fini della determinazione dell'ammontare della pensione. In generale, per i lavoratori dipendenti è stata fissata al 33%, per i lavoratori autonomi al 27%.
[94] Sono escluse dal computo del reddito globale da lavoro le pensioni di ogni genere, gli assegni ad esse equiparati, le indennità e le somme percepite per l'espletamento di cariche pubbliche, ovvero in associazioni ed altri enti operanti nel settore agricolo.
[95] In base a quanto disposto dal D.M. 22 dicembre 2012, il congedo obbligatorio è fruibile dal padre anche durante il congedo di maternità della madre lavoratrice, in aggiunta ad esso (mentre la fruizione del congedo facoltativo di uno o due giorni, che può avvenire anche contemporaneamente all'astensione della madre, è condizionata alla scelta della madre lavoratrice di non fruire di altrettanti giorni del proprio congedo di maternità). Inoltre, l’istituto del congedo obbligatorio (come quello facoltativo) si applica anche in caso di adozione o affidamento ed è riconosciuto anche al padre che fruisce del congedo di paternità
[96] Articolo 1, comma 466, legge n.208/2015.
[97] Gli enti di cui all’art. 70, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001 sono: ente EUR; enti autonomi lirici ed istituzioni concertistiche assimilate; Agenzia spaziale italiana; Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura; Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell'energia nucleare e delle energie alternative (ENEA); Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale e Registro aeronautico italiano (RAI); CONI; Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL); Ente nazionale per l'aviazione civile (E.N.A.C.).
[98] In base allo stesso art. 1, co. 5, (tutti) i docenti dell’organico dell’autonomia contribuiscono alla realizzazione dell’offerta formativa attraverso le attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento.
[99] Al riguardo si ricorda che l’art. 8 della L.
124/1999 ha disposto il trasferimento alle dipendenze dello Stato del personale
ATA, già dipendente degli enti locali, in servizio nelle scuole statali. Alla
disposizione è stata data attuazione con il D.I. 23 luglio 1999, in base al cui
art. 9, considerato che le funzioni ausiliarie e di pulizia erano svolte, in
alcuni comuni o province, a mezzo di contratti di servizio con aziende di varia
natura (c.d. “appalti storici”), ovvero erano svolte da personale ex LSU
(lavoratori socialmente utili), lo Stato è subentrato anche nei contratti e
nelle convenzioni stipulati dagli enti locali. A seguito dell'apertura di una
procedura di infrazione da parte della Commissione europea nel 2002, che
contestava l'affidamento dei relativi servizi senza procedure di gara, è stata
poi prevista l'indizione di bandi di gara europei. In particolare, l’art. 1, co. 449, della L. 296/2006 ha disposto che tutte le
amministrazioni statali centrali e periferiche, compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le
istituzioni educative e le istituzioni universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi di beni e servizi utilizzando le
convenzioni-quadro CONSIP. L’art. 58, co. 5, del D.L. 69/2013 (L. 98/2013)
ha poi disposto, a decorrere dall’a.s. 2013/2014, un
tetto alla spesa per l’acquisto di servizi esternalizzati (v., più ampiamente, infra): da tali previsioni sono
scaturiti alcuni problemi occupazionali.
[100] L’importo è stato trasferito dal Fondo
sviluppo e coesione al MIUR (cap. 7105) con
il D.M. 86958 del 2014.
[101] Al relativo onere si è provveduto, in base al
comma 354, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi
strutturali di politica economica.
[102] In particolare, l’accordo prevedeva che le
risorse necessarie per la copertura degli eventuali periodi di cassa
integrazione guadagni in deroga sarebbero state decurtate dallo stanziamento
complessivo di 170 milioni di euro, con conseguente riduzione del numero degli
interventi di manutenzione previsti per il secondo semestre 2015 e per il primo
trimestre 2016.
[103] Come peraltro precisato nel preambolo della Delibera CIPE n. 73/2015.
[104] Nel preambolo della delibera 73/2015, si illustra come dell’importo complessivo pari a 170 milioni di euro, necessario alla data del 6 agosto 2015 al completamento del Piano “Scuole belle”, è prevista una copertura finanziaria, per l'anno 2015, rispettivamente a carico del MIUR per € 10 mln e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per € 50 mln (D.L. 154/2015); e, per l'anno 2016, rispettivamente a carico del MIUR per € 30 mln e del MEF per € 20 mln. I residui € 60 mln di fabbisogno sono stati posti a carico, dal disposto della delibera 73 medesima, del FSC della programmazione 2014-2020 nella misura di € 50 mln per il 2015 e di € 10 mln per il 2016.
[105] La relazione tecnica all’A.S. 2299 precisava che l’autorizzazione di spesa di € 64 mln si riferiva ai periodi dal 1° maggio al 15 giugno 2016 e dal 16 settembre al 30 novembre 2016.
Evidenziava, infatti, che:
-
sebbene l’accordo
del 30 luglio 2015 prevedesse la prosecuzione del progetto fino al 31 marzo
2016, in realtà le aziende avrebbero portato a compimento nel mese di aprile
2016 gli interventi previsti (iniziati, con un mese di ritardo, ad agosto 2015)
a valere sulle risorse già presenti nei pertinenti capitoli di bilancio del
MIUR;
- il periodo di sospensione dell’attività didattica, durante il quale il Governo si è impegnato ad accogliere richieste di cassa integrazione in deroga, poteva essere ipotizzato dal 16 giugno al 15 settembre 2016 ed era coperto nell’ambito delle risorse previste a legislazione vigente per il finanziamento degli ammortizzatori in deroga per il 2016.
[106] Secondo informazioni fornite dal MIUR, la quota MIUR è stata coperta, in sede di previsione di bilancio, mediante riduzione per € 10 mln delle economie sui servizi di pulizia di cui all’art. 58, co. 6 del DL 69/2013 e per € 20 mln mediante riduzione del fondo funzionamento scuole (in particolare, la quota ex L. 440/1997).”
[107] Posta dall'art. 1, commi da 524 a 534, della L. 28 dicembre 2015, n. 208.
[108] La dotazione del Fondo per l'acquisto dei medicinali oncologici innovativi, pari a 500 milioni, e quella , dello stesso importo di 500 milioni, riferibile al Fondo per l'acquisto dei medicinali innovati, sono entrambe iscritte nello stato di previsione del Ministero della salute, al cap. 3010 Fondo per il concorso al rimborso alle regioni per l'acquisto dei medicinali particolari, per un totale di 1.000 milioni di euro annui a regime.
[109] Secondo la disciplina di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 9 del D.L. 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2014, n. 89, e successive modificazioni.
[110] L'elenco è tenuto presso l’Autorità nazionale anticorruzione.
[111] Ivi compresi i consorzi ed associazioni dei suddetti enti.
[112] Si ricorda che, per i casi summenzionati di divieto di ricorso a gare autonome, l’Autorità nazionale anticorruzione non può rilasciare il codice identificativo.
[113] Di cui al comma 2 dell'art. 9 del citato D.L. n. 66 del 2014, e successive modificazioni.
[114] Che ha introdotto il comma 380-sexies nell’art. 1 della legge n. 228/2012.
[115] Da ultimo, si ricorda, quello relativo al
bilancio di previsione per il 2013, per la cui deliberazione il termine è stato
differito una prima volta al 30 giugno, ad opera dell’articolo 1, comma 381,
della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013), successivamente al 30
settembre dall’articolo 10, comma 4-quater,
del decreto legge n. 35/2013 e, infine, al 30 novembre 2013, dall’articolo 8,
comma 1, del D.L. n. 102/2013.
[116] Recante disposizioni in materia di determinazione dei costi e fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province.
[117] Si tratta di una banca dati istituita presso la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio.
[118] Recante disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione.
[119] Si tratta del c.d. decreto “sbloccascuola”
http://www.governo.it/sites/governo.it/files/DPCM_20160427.pdf
[120] Il risultato di amministrazione, (l'articolo 187 del Dlgs 267/2000) è costituito da fondi liberi, fondi vincolati, fondi destinati agli investimenti e fondi accantonati. Esso può determinarsi sommando quello dell'anno precedente con il risultato della gestione di competenza (accertamenti meno impegni) e con il risultato della gestione dei residui (residui passivi cancellati, meno residui attivi cancellati, più i maggiori residui attivi accertati) e va conteggiato al netto del Fondo pluriennale vincolato. Quest’ultimo, a sua volta, è un saldo finanziario (rilevante principalmente nelle spese di conto capitale, dove l’acquisizione dei mezzi di copertura può precedere anche di molto la copertura dell’investimento) costituito da entrate già accertate destinate al finanziamento di obbligazioni dell’ente già contratte ma esigibili in esercizi successivi, ed è pertanto finalizzato a garantire la copertura degli impegni imputati ad esercizi futuri.
[121] Di cui agli articoli 8 e 9 del D.Lgs. n.281/1997.
[122] In particolare,
le tasse erariali (la cui misura è
stata determinata dal DPCM 18 maggio 1990) sono costituite da: tassa di iscrizione (€ 6,04), esigibile “una
tantum”, all’atto dell’iscrizione al quarto anno; tassa di frequenza (€ 15,13);
tassa per esami di idoneità, integrativi, di licenza, di maturità e di
abilitazione (€ 12,09), tassa di rilascio dei relativi diplomi (€ 15,13).