Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari | ||
Titolo: | Legge europea 2015-2016 - A.C. 3821-A - Elementi per l'esame in Assemblea | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 401 Progressivo: 3 | ||
Data: | 24/06/2016 | ||
Altri riferimenti: |
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originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.
I N D I C E
INTRODUZIONE 3
Schede di lettura
§ Articolo 1 (Disposizioni in materia
di qualità e trasparenza della filiera degli oli d'oliva vergini. Caso EU Pilot
4632/13/AGRI) 11
§ Articolo 2 (Disposizioni relative
all'etichettatura del miele. Caso EU Pilot 7400/15/AGRI) 13
§ Articolo 3 (Attuazione della
rettifica della direttiva 2007/47/CE in materia di immissione in commercio dei
dispositivi medici) 15
§ Articolo 4 (Disciplina
sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n.
1297/2014, che modifica il regolamento (CE) n. 1272/2008 in materia di
classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele) 17
§ Articolo 5 (Disposizioni relative
alle Società Organismi di Attestazione. Procedura di infrazione 2013/4212) 19
§ Articolo 6 (Disposizioni in materia
di tassazione delle vincite da gioco. Esecuzione della sentenza della Corte di
giustizia dell'Unione europea 22 ottobre 2014 nelle cause riunite C-344/13 e
C-367/13. Caso EU Pilot 5571/13/TAXU) 23
§ Articolo 7 (Disposizioni in materia
di obbligazioni alimentari, in materia matrimoniale e in materia di
responsabilità genitoriale. Accesso e utilizzo delle informazioni da parte
dell’autorità centrale) 27
§ Articolo 8 (Disposizioni in materia
di titolo esecutivo europeo) 31
§ Articolo 9 (Norme di adeguamento
per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nelle cause transfrontaliere
in materia di obbligazioni alimentari e sottrazione internazionale di minori) 33
§ Articolo 10 (Permesso di soggiorno
individuale per minori stranieri) 37
§ Articolo 11 (Diritto all’indennizzo
in favore delle vittime di reati intenzionali violenti. Procedura di infrazione
2011/4147) 41
§ Articolo 12 (Condizioni per
l’accesso all’indennizzo) 49
§ Articolo 13 (Domanda di indennizzo) 51
§ Articolo 14 (Fondo per l’indennizzo
in favore delle vittime) 53
§ Articolo 15 (Modifiche alle leggi
22 dicembre 1999, n. 512, e 23 febbraio 1999, n. 44) 55
§ Articolo 16 (Disposizioni
finanziarie) 57
§ Articolo 17 (Iscrizione nel
Registro internazionale italiano di navi in regime di temporanea dismissione di
bandiera comunitaria) 59
§ Articolo 18 (Disposizioni
sanzionatorie per i gestori delle infrastrutture, per le imprese ferroviarie e
per gli operatori del settore nei casi di inosservanza delle norme e delle
raccomandazioni dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie) 61
§ Articolo 19 (Disposizioni relative
alla tassazione dei veicoli di studenti europei in Italia. Caso EU Pilot
7192/14/TAXU) 67
§ Articolo 20 (Esenzioni a favore dei
veicoli per il trasporto di merci temporaneamente importate dall'Albania in
esecuzione dell'accordo di stabilizzazione e di associazione con l'Unione europea) 69
§ Articolo 21 (Modifiche alle
aliquote IVA applicabili al basilico, al rosmarino e alla salvia freschi
destinati all’alimentazione. Caso EU Pilot 7292/15/TAXU) 71
§ Articolo 22 (Modifiche all'aliquota
IVA applicabile ai preparati per risotto. Caso EU Pilot 7293/15/TAXU) 75
§ Articolo 23 (Disposizioni in
materia di consorzi agrari. Procedura di cooperazione n. 11/2010 per aiuti di
Stato esistenti ai sensi dell’articolo 17 del regolamento (CE) n. 659/1999) 77
§ Articolo 24 (Modifiche al regime di
determinazione della base imponibile per alcune imprese marittime. Decisione C
(2015) 2457 del 13 aprile 2015. Delega
al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di
incentivi in favore delle imprese marittime) 81
§ Articolo 25 (Attuazione della
decisione 2009/917/GAI del Consiglio, del 30 novembre 2009, sull’uso
dell’informatica nel settore doganale) 89
§ Articolo 26 (Disposizioni di
attuazione della direttiva 2014/86/UE e della direttiva (UE) 2015/121
concernenti il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di
Stati membri diversi. Procedura di infrazione 2016/0106) 91
§ Articolo 27 (Modifiche alla legge
16 marzo 2001, n. 88, in materia di investimenti nelle imprese marittime.
Procedura aiuti di Stato n. SA 38919) 97
§ Articolo 28 (Attuazione della
direttiva (UE) 2015/2060 del Consiglio, del 10 novembre 2015, che abroga la
direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto
forma di pagamenti di interessi) 103
§ Articolo 29 (Modifiche al
trattamento fiscale delle attività di raccolta dei tartufi. Caso EU Pilot
8123/15/TAXU) 107
§ Articolo 30 (Disposizioni in
materia di diritti dei lavoratori a seguito di subentro di un nuovo
appaltatore. Caso EU Pilot 7622/15/EMPL) 111
§ Articolo 31 (Disposizioni relative alla protezione della fauna
selvatica omeoterma e al prelievo venatorio. Caso EU Pilot 6955/14/ENVI) 113
§ Articolo 32 (Disposizioni relative
allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio. Caso EU Pilot 7334/15/CLIM) 117
§ Articolo 33 (Disposizioni per la
corretta attuazione del terzo pacchetto energia. Procedura di infrazione
2014/2286) 123
§ Articolo 34 (Modifiche all'articolo
19 della legge 24 dicembre 2012, n. 234) 127
§ Articolo 35 (Modifiche alla legge
24 dicembre 2012, n. 234, in materia di aiuti di Stato) 129
§ Articolo 36 (Disposizioni in
materia di finanziamento del Garante per la protezione dei dati personali
nonché in materia di funzionamento dell’Arbitro per le controversie finanziarie
presso la Consob) 135
§ Articolo 37 (Clausola di invarianza
finanziaria) 139
Il disegno di legge recante "Disposizioni per l'adempimento degli
obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge
europea 2015-2016", approvato dal Senato (C. 3821)
è stato trasmesso alla Camera dei deputati l’11 maggio 2016.
L’esame presso
le Commissioni permanenti, avviato il 25 maggio, si è concluso il 22 giugno senza modificazioni, né integrazioni al testo già approvato dal Senato.
Nella seduta del
22 giugno 2016, la XIV Commissione Politiche dell’Unione europea ha conferito
al relatore il mandato a riferire in senso favorevole all'Assemblea sul testo
del disegno di legge, come approvato dal Senato; contestualmente è stata
annunciata la presentazione di una relazione di minoranza sul provvedimento.
Il disegno di
legge all’esame dell’Assemblea della Camera (C. 3821-A)
si compone di 37 articoli (suddivisi
in 9 capi), le cui disposizioni sono finalizzate a definire 4 procedure di infrazione, 10 casi di pre-contenzioso (EU Pilot), una procedura di cooperazione in
materia di aiuti di Stato e una
procedura di aiuti di Stato. Il provvedimento provvede inoltre
all’attuazione di 3 direttive e di una decisione GAI.
Il disegno di
legge originariamente presentato dal Governo il 3 febbraio 2016 (S. 2228),
è stato approvato dal Senato, con
modificazioni, nella seduta del 10 maggio 2016; il testo originario
conteneva 22 articoli, volti alla
definizione di 2 procedure di infrazione,
di 9 casi di EU Pilot e di una procedura di cooperazione in materia di aiuti di Stato
esistenti.
Il disegno di legge europea 2015-2016
modifica o integra alcune disposizioni vigenti dell’ordinamento nazionale per
adeguarne i contenuti al diritto europeo e interviene, in particolare, nei
seguenti settori:
Le principali modifiche al disegno di legge originariamente
presentato dal Governo (S. 2228) - introdotte dal Senato- hanno riguardato:
ü la modifica del titolo, che fa ora riferimento
all’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia
all’Unione europea per il biennio
2015-2016;
ü lo
stralcio dell’articolo 3[1] contenente disposizioni relative
all'indicazione del Paese d'origine sull'etichettatura
degli alimenti (Caso EU pilot 5938/13/SNCO), che ora costituiscono un
autonomo disegno di legge A.S. 2228-bis;
ü la modificazione testuale di otto articoli presenti nel disegno di legge; in particolare: articolo 1 (Qualità e trasparenza della filiera degli oli di
oliva vergini - Caso EU Pilot 4632/13/AGRI); articolo 6 (Disposizioni in materia di tassazione delle vincite da
gioco - Caso EU Pilot 5571/13/TAXU); articolo
7 (Disposizioni in materia di obbligazioni alimentari, in materia
matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale); articolo 18 (Disposizioni sanzionatorie per i gestori delle
infrastrutture e per le imprese ferroviarie); articolo 21 (Aliquote IVA applicabili al basilico, al rosmarino e
alla salvia freschi destinati all'alimentazione - Caso EU Pilot 7292/15/TAXU); articolo 24 (Determinazione della base
imponibile per alcune imprese marittime - tonnage
tax)); articolo 33 (Terzo
pacchetto energia - Procedura di infrazione 2014/2286); e, articolo 35 (Procedura aiuti di Stato).
ü l’inserimento
di 16 nuovi articoli relativi alle
seguenti materie:
La legge europea
La legge europea è
- assieme alla legge di delegazione europea - uno dei due strumenti predisposti
dalla legge 24
dicembre 2012, n. 234 ("Norme generali sulla partecipazione dell'Italia
alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione
europea") al fine di adeguare
periodicamente l'ordinamento nazionale a quello dell'Unione europea.
L'articolo 29,
comma 5, della legge vincola il Governo alla presentazione alle Camere su base
annuale di un disegno di legge dal titolo "Disposizioni per l'adempimento
degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione
europea", completato dall'indicazione "Legge europea" seguita
dall'anno di riferimento.
Non è stabilito un
termine preciso per la presentazione del disegno di legge europea. Al contrario
l'articolo 29, comma 4, prevede che il disegno di legge di delegazione europea
sia presentato entro il 28 febbraio di ogni anno.
L'articolo 30, par.
3, dettaglia come segue il contenuto della legge europea:
a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni
statali vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall'appartenenza
dell'Italia all'Unione europea;
b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni
statali vigenti oggetto di procedure d'infrazione avviate dalla Commissione
europea nei confronti della Repubblica italiana o di sentenze della Corte di
giustizia dell'Unione europea;
c) disposizioni necessarie per dare attuazione a, o per
assicurare l'applicazione di, atti dell'Unione europea;
d) disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati
internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea;
e) disposizioni emanate nell'esercizio del potere
sostitutivo esercitabile ex articolo
117, comma 5, della Costituzione per l'attuazione ed esecuzione degli accordi
internazionali e degli atti dell'Unione europea al livello regionale e delle
province autonome di Trento e Bolzano in caso di inadempienza degli enti
competenti. Peraltro l'articolo 41 detta principi e limiti cui è sottoposto
tale potere sostitutivo.
Vengono,
dunque, inserite nel disegno di legge europea, in linea generale, norme volte a
prevenire l'apertura - o a permettere la chiusura - di procedure di infrazione
nonché, in base ad una interpretazione estensiva del disposto legislativo,
anche norme volte a permettere l'archiviazione dei casi EU Pilot (su cui infra).
La legge di
delegazione europea contiene invece, in estrema sintesi, disposizioni per il
conferimento al Governo di deleghe legislative per il recepimento degli atti
dell'Unione europea (ad esempio direttive dell'Unione o decisioni quadro) che
richiedono trasposizione negli ordinamenti nazionali (articolo 30, comma 2).
Sugli
schemi di disegno di legge europea e di delegazione europea è previsto, ai
sensi dell'articolo 29, comma 6, il parere della Conferenza Stato-regioni. La
presentazione alle Camere ha luogo comunque ove il parere medesimo non sia
adottato entro venti giorni dalla richiesta.
Le
procedure di infrazione sono disciplinate dagli articoli 258-260 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea
(TFUE).
L'articolo
258 disciplina le fattispecie in cui la Commissione europea - incaricata
dall'articolo 17 del Trattato sull'Unione europea di vigilare sull'applicazione
del diritto dell'Unione - ritenga che vi sia stata una violazione del diritto
UE ad opera di uno Stato membro.
La
procedura prevede preliminarmente una fase pre-contenziosa, durante la quale la
Commissione indirizza allo Stato membro interessato:
1)
una lettera di messa in mora,
atto di apertura formale della procedura di infrazione. La Direzione generale
competente in materia vi identifica la violazione contestata e pone un termine
entro il quale lo Stato può comunicare osservazioni ed argomentazioni di
risposta;
2)
un parere motivato, nel caso in
cui non pervenga alcuna risposta o quest'ultima sia considerata
insoddisfacente. Nel parere si constata la sussistenza della violazione e si
invita lo Stato, entro un termine preciso, ad adottare le misure necessarie.
Nel
caso in cui lo Stato non si conformi al parere della Commissione può aprirsi la
fase contenziosa vera e propria (articolo 258, par. 2), che ha luogo di fronte
alla Corte di giustizia. In caso di accertamento, con sentenza, che
effettivamente vi è stata un'infrazione del diritto dell'Unione, lo Stato
membro interessato dovrà prendere tutti i provvedimenti necessari per dare
esecuzione alla sentenza. Qualora ciò non avvenga, la Commissione ha la facoltà
di adire nuovamente la Corte di giustizia, chiedendo l'applicazione di una
sanzione pecuniaria (articolo 260, paragrafo 2).
Si segnala
inoltre che dall'aprile 2008 è attivo "EU Pilot", un sistema di comunicazione tra Commissione
europea e Stati membri - basato su un sito Internet - che permette la
condivisione informale di informazioni e fornisce agli Stati membri la
possibilità di risolvere eventuali infrazioni senza ricorrere alla procedura
formale di contestazione prevista dai Trattati.
Qualora la
Commissione europea - di propria iniziativa o su segnalazione esterna - ritenga
opportuno verificare che il diritto dell'Unione sia applicato in maniera
corretta, può inviare una richiesta alle autorità nazionali dello Stato
interessato attraverso EU Pilot. Lo Stato membro dispone di un periodo di dieci
settimane per rispondere e la Commissione, dal canto suo, effettua una
valutazione nelle dieci settimane successive.
Nel caso in cui
la risposta ricevuta non sia considerata soddisfacente, la Commissione ha
facoltà di dare inizio alle procedure di infrazione regolate dai Trattati.
Statistiche
della Commissione europea, aggiornate a dicembre 2014, riportano un tasso di
risoluzione dei casi EU Pilot - in termini di casi chiusi a seguito di risposte
soddisfacenti dei Governi nazionali - pari al 75 per cento.
Si
evidenzia che la legge europea e la legge di delegazione europea non sono gli
unici strumenti per assicurare l'adempimento degli obblighi derivanti
dall'appartenenza all'UE.
L'articolo
37 della legge n. 234 del 2012 specifica, infatti, che "il Presidente del
Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari europei può proporre al
Consiglio dei ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, diversi
dalla legge di delegazione europea e dalla legge europea, necessari a fronte di
atti normativi dell'Unione europea o di sentenze della Corte di giustizia
dell'Unione europea ovvero dell'avvio di procedure di infrazione nei confronti
dell'Italia che comportano obblighi statali di adeguamento, qualora il termine
per provvedervi risulti anteriore alla data presunta di entrata in vigore della
legge di delegazione europea o della legge europea relativa all'anno di
riferimento". Qualora si rilevi necessario ricorrere a tali ulteriori provvedimenti,
"il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con
il Parlamento assume le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame
parlamentare" (art. 37, comma 2).
Infine,
l'articolo 38 della legge n. 234 del 2012, rubricato Attuazione di singoli atti normativi dell'Unione europea, prevede
che "in casi di particolare importanza politica, economica e sociale,
tenuto conto anche di eventuali atti parlamentari di indirizzo, il Presidente
del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto
con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati,
presenta alle Camere un apposito disegno di legge recante le disposizioni
occorrenti per dare attuazione o assicurare l'applicazione di un atto normativo
emanato dagli organi dell'Unione europea riguardante le materie di competenza
legislativa statale".
L’articolo 1 modifica la legge
13 gennaio 2013, n. 9 (Norme sulla qualità e la
trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini) onde risolvere il caso EU
Pilot 4632/13/AGRI, con particolare riferimento all'evidenza cromatica
dell'indicazione di origine delle miscele degli oli d'oliva e alla previsione
di un termine minimo di conservazione degli oli d'oliva.
Le
contestazioni della Commissione europea toccavano in particolare due punti
della legge n. 9/2013:
1. Il
disposto di cui all'art. 1, comma 4,
come modificato dall'articolo 18 della legge
n. 161/2014 (legge europea 2013-bis), laddove si prevede che
l'indicazione d'origine delle miscele di oli d'oliva originari di più di uno
Stato membro dell'Unione europea o di un paese terzo debba essere stampata
"con diversa e più evidente
rilevanza cromatica rispetto allo sfondo, alle altre indicazioni ed alla
denominazione di vendita". A giudizio della Commissione, l'indicazione d'origine in un colore
diverso rispetto a quello delle altre indicazioni, anziché garantire
condizioni eque di concorrenza per l'industria e fornire un'informazione più
completa ai consumatori, risulta
discriminatoria nei confronti delle restanti indicazioni e contraria alle
regole armonizzate in materia di leggibilità, dettate dal regolamento
(UE) n. 1169/2011 (relativo alla fornitura di
informazioni sugli alimenti ai consumatori), e in particolare dall'art. 13;
2.
Il disposto di cui all'art. 7,
comma 1, laddove si fissa in 18 mesi
dalla data di imbottigliamento il termine minimo di conservazione entro il
quale gli oli di oliva vergini conservano le loro proprietà specifiche in
adeguate condizioni di trattamento. La Commissione ritiene infatti
indimostrata una correlazione diretta tra la qualità dell'olio e la durata di
conservazione. La disposizione di cui all'art. 7, comma 1, è inoltre ritenuta
contraria al regolamento (UE) n. 1169/2011 in quanto esso non prevede alcuna
disposizione di ordine generale in merito al periodo entro il quale l'olio
d'oliva conserva le sue proprietà e deve essere preferibilmente consumato,
demandando agli operatori del settore alimentare la responsabilità di scegliere
la data di durata minima.
Il comma 1, lettera a), dell'art. 1 interviene sull'articolo 1, comma 4 della legge
n. 9/2013, nel senso di prevedere che l'indicazione dell'origine delle miscele
di oli d'oliva originari di più di uno Stato membro dell'Unione europea o di un
paese terzo sia stampata in modo da
essere visibile, chiaramente leggibile e indelebile e non possa essere in
nessun modo nascosta, oscurata, limitata o separata da altre indicazioni
scritte o grafiche o da altri elementi suscettibili di interferire. Viene
così espunto ogni riferimento a una diversa rilevanza cromatica
dell'indicazione d'origine stessa, optando per un dettato conforme a quello
dell'art. 13 del regolamento (UE) n. 1169/2011.
Il comma 1, lettera b),
interviene invece sull'art. 7, comma 1, della legge
n. 9/2013 nel senso di ribadire l'obbligo di indicare in etichetta la
previsione di un termine minimo di conservazione, specificando la dicitura da
utilizzare.
Il comma 1, lettera c) modifica infine il comma 3 dell'art. 7
della legge n. 9/2013, rimettendo alla responsabilità
dei produttori la individuazione
effettiva del termine minimo di conservazione.
La disposizione
prevede, inoltre, che la dicitura vada preceduta dalla indicazione della campagna di raccolta, qualora il 100 per cento
degli oli provenga da tale raccolta; la previsione dell'indicazione della
campagna di raccolta non si applica
agli oli di oliva vergini prodotti ovvero commercializzati in un altro Stato
membro dell'Unione europea o in Turchia, né ai prodotti fabbricati in uno Stato
membro dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA), parte contraente
dell'Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE).
Infine, ferma restando l'applicazione delle sanzioni
già previste dalla normativa vigente a carico di altri operatori, si dispone la
sanzione amministrativa da 2000 a 8.000 euro, accompagnata dalla confisca
del prodotto, in caso di mancata indicazione in etichetta di un termine
minimo di conservazione per l'olio d'oliva.
Articolo
2
(Disposizioni relative all'etichettatura
del miele. Caso EU Pilot 7400/15/AGRI)
L’articolo 2 modifica l'articolo 3 del decreto legislativo 21 maggio
2004, n. 179
(di attuazione della direttiva 2001/110/CE concernente la produzione e
commercializzazione del miele) onde risolvere il caso EU Pilot 7400/15/AGRI,
originato da alcuni sequestri amministrativi di confezioni di mieli
commercializzati in Italia ma provenienti da altri Stati membri, sulla cui etichetta
era indicata la generica nomenclatura "miscela di mieli originari e non
originari della CE", al posto dell'indicazione analitica dei singoli Paesi
d'origine in cui il miele era stato raccolto.
La
Commissione, senza contestare la liceità della scelta del legislatore italiano,
volta a privilegiare l'indicazione analitica dei singoli Paesi di provenienza
dei mieli, ha chiesto un intervento legislativo volto a chiarire come tale indicazione non sia obbligatoria
in caso di (miscele di) mieli prodotti in altri Stati membri e immessi sul
mercato nel rispetto della direttiva 2001/110/CE. Si ricorda infatti che
l'art. 2 della direttiva recita: "Il
paese o i paesi d'origine in cui il miele è stato raccolto devono essere
indicati sull'etichetta. Tuttavia, se il miele è originario di più Stati membri
o paesi terzi, l'indicazione può essere sostituita da una delle seguenti, a
seconda del caso: "miscela di mieli originari della CE"; "miscela di mieli non originari della
CE"; "miscela di mieli originari e non originari della CE".
Pertanto
l'art. 2, senza modificare l'impostazione del decreto legislativo n. 179/2004,
aggiunge all'art. 3 un nuovo comma 4-bis, volto a escludere dall'obbligo
di indicazione analitica dei Paesi di provenienza, di cui al comma 2, lettera f), del medesimo articolo: "i
mieli prodotti e confezionati in altri Stati membri nel rispetto delle
definizioni e delle norme della direttiva 2001/110/CE".
Articolo 3
(Attuazione della rettifica della
direttiva 2007/47/CE in materia di immissione in commercio dei dispositivi
medici)
L'articolo 3 - inserito dal Senato - reca
due novelle di normative di recepimento di direttive europee in materia di
dispositivi medici. Le novelle si limitano a sostituire la locuzione
"costi/benefici" con il riferimento al rapporto
"rischi/benefici", a seguito di un'omologa rettifica, pubblicata
sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 30 settembre 2015 (L 253) e
concernente la direttiva 2007/47/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 5 settembre 2007 (tale direttiva modifica due direttive
precedenti in materia di dispositivi medici, oltre che una direttiva in materia
di biocidi).
Articolo 4
(Disciplina sanzionatoria per la
violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1297/2014, che modifica
il regolamento (CE) n. 1272/2008 in materia di classificazione, etichettatura e
imballaggio delle sostanze e delle miscele)
L’articolo 4, inserito dal Senato, inserisce
il comma 2-bis all'articolo 8 del decreto
legislativo 27 ottobre 2011, n. 186,
estendendo la sanzione amministrativa pecuniaria del suo comma 2 (somma da
10.000 euro a 60.000 euro a carico di chiunque utilizza imballaggi contenenti
una sostanza o una miscela pericolosa che non ottemperano ovvero ottemperano in
modo errato o parziale alle prescrizioni previste dall'articolo 35, paragrafi 1
e 2, del regolamento in materia di etichettatura e imballaggio) anche a chi
viola le disposizioni di cui all'articolo 1 del regolamento
(UE) n. 1297/2014.
Si
tratta di un adeguamento all'evoluzione della normativa europea, che ha
introdotto requisiti aggiuntivi con un apposito allegato, tra l'altro con
riferimento al detergente liquido per bucato destinato ai consumatori contenuto
in un imballaggio solubile monouso.
L’articolo 5 elimina l’obbligo per le Società
Organismi di Attestazione (SOA) che accertano i requisiti degli appaltatori di
lavori pubblici di avere la sede legale in Italia, mantenendo per esse il solo
obbligo di avere una sede nel territorio della Repubblica.
Si mira così a
superare la procedura di infrazione
2013/4212 avviata dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia per
aver imposto alle SOA l'obbligo di avere la propria sede legale nel territorio
della Repubblica ai sensi dell'articolo 64, comma 1, del decreto
del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010.
In precedenza
era stato aperto il caso EU Pilot n. 3412/12/MARK, ma la risposta fornita dalle
autorità italiane non era stata ritenuta soddisfacente dalla Commissione, la
quale osserva che l’articolo 56 del TFUE vieta le restrizioni
alla libera prestazioni di servizi e che la direttiva 2006/123/CE[2]
(articolo 16, paragrafo 2, lettera a) vieta agli Stati membri di obbligare i
prestatori ad essere stabiliti nel loro territorio.
Sulla questione
si è pronunciata la Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione)
alla quale si era rivolto il Consiglio di stato italiano con un rinvio
pregiudiziale sull’interpretazione delle richiamate disposizioni del TFUE e
della direttiva 2006/163/CE circa le disposizioni italiane che impongono alle
SOA di avere la sede legale in Italia. La Corte, nella causa
C-593/13, ha stabilito
che l’articolo 51 del TFUE, il quale prevede eccezioni al diritto di
stabilimento, non si applica alle attività di attestazione esercitate dalle
SOA, poiché queste non esercitano pubblici poteri, in quanto la loro attività è
definita in tutti i suoi aspetti dal quadro normativo nazionale italiano. La
Corte, inoltre, ha interpretato l’articolo 14 della direttiva 2006/123/CE nel
senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale è
imposto alle SOA l'obbligo di avere la sede legale nel territorio nazionale.
Il comma 1 stabilisce che le Società
Organismi di Attestazione (SOA), disciplinate dal regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, e dall’articolo 84 del decreto legislativo 18 aprile 2016,
n. 50,
devono avere una sede nel territorio della Repubblica.
Il comma 2 novella l’articolo 64 del citato
decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, sopprimendo la
disposizione che impone alle SOA di avere la sede legale nel territorio della
Repubblica.
Il
testo della norma come riformulato in sede di coordinamento del testo approvato
dal Senato reca il riferimento normativo sia al decreto del Presidente della
Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, sia al decreto legislativo 18 aprile 2016, n.
50[3], di recente entrato in vigore,
recante il c.d. nuovo codice degli appalti, in particolare all’articolo 84
dello stesso.
Si
segnala, al riguardo, che il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre
2010, n. 207 risulta in via di abrogazione nel quadro delineato dal nuovo
codice degli appalti. L'articolo 217, lettera u), n. 1, del decreto legislativo
n. 50 del 2016, ne ha disposto, infatti, in via generale, l'abrogazione
"dalla data di entrata in vigore degli atti attuativi del presente codice,
i quali operano la ricognizione delle disposizioni del decreto del Presidente
della repubblica n. 207 del 2010 da esse sostituite"[4].
Il
decreto legislativo n. 50 del 2016 ha dato attuazione a tre direttive europee: 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti
di concessione, 2014/24/UE sugli appalti pubblici e 2014/25/UE sulle procedure d'appalto degli
enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei
servizi postali. Inoltre, in attuazione della delega contenuta nella legge 28
gennaio 2016, n. 11, tale
testo normativo ha altresì effettuato un riordino globale della disciplina
vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture.
L'articolo 217
ha contestualmente abrogato il decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 ("Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione
delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE") e il relativo regolamento di
attuazione ed esecuzione (decreto
del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207).
Le società
organismi di attestazione sono state disciplinate ex novo dall'articolo 84 del citato decreto legislativo n. 50 del
2016. Si tratta di organismi di diritto privato (comma 1) che attestano, a
favore dei soggetti esecutori (a qualsiasi titolo) di lavori pubblici di
importo pari o superiore a 150.000 euro, il possesso dei seguenti requisiti di
qualificazione (comma 4):
1)
l'assenza
dei motivi di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a
procedure di appalto o concessione;
2)
il
possesso dei requisiti di capacità economica, finanziaria, tecnica e
professionale elencati all'articolo 83 del medesimo decreto[5];
3)
il
possesso di certificazione di sistemi di qualità conformi alle norme europee
della serie UNI EN ISO 9000 e alla vigente normativa nazionale;
4)
il
possesso di certificazione del rating
di impresa, rilasciata dall'ANAC, basato - ai sensi del comma 10 dell'articolo
83 del medesimo decreto legislativo n. 50 del 2016 - su indici qualitativi e
quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti
definitivi che esprimono la capacità strutturale e di affidabilità
dell'impresa.
Sul piano della disciplina
transitoria, si rileva, inoltre, come ai sensi dell'articolo 216, comma 14, del
nuovo codice degli appalti, recante disposizioni transitorie e di
coordinamento, si prevede poi che fino all'adozione delle linee guida indicate
all'articolo 83, comma 2, del medesimo testo, continuano ad applicarsi, in
quanto compatibili, le disposizioni di cui alla Parte II, Titolo III, nonché
gli allegati e le parti di allegati ivi richiamate, del decreto del Presidente
della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207. In tale titolo III risulta ricompreso
anche l'articolo
64, in materia di requisiti generali e di indipendenza delle SOA, che risulta
oggetto di novella da parte del disegno di legge europea in esame.
Si
ricorda che, in base all'articolo 83, comma 2, del nuovo codice, si prevede
l'adozione di linee guida dell'ANAC,
entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente codice, previo
parere delle competenti Commissioni parlamentari, con cui sono disciplinati,
nel rispetto dei principi di cui al codice stesso e anche al fine di favorire
l'accesso da parte delle microimprese e delle piccole e medie imprese, una
serie di materie, tra le quali il
sistema di qualificazione. Si fa presente, al riguardo, che in materia di
SOA sono stati pubblicati Comunicati dell'ANAC: in particolare il Comunicato del 31 maggio 2016, relativo a ‘Criticità rappresentate dalle SOA in
conseguenza dell’entrata in vigore del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.
50’, ed il Comunicato del 8 giugno 2016, relativo a ‘Modalità di rilascio delle
certificazioni di lavori svolti da concessionari di servizi pubblici’,
disponibili sul sito dell'Autorità.
In relazione alla formulazione della disposizione in
esame, si segnala come, ai fini della tenuta organica dell'intervento
normativo, il comma 1, recando una norma
di carattere generale in materia di SOA,
troverebbe più opportuna collocazione nella relativa disciplina di
settore, in particolare quale novella legislativa alla stessa, considerato
anche che la novella recata dal comma 2 della disposizione in esame interviene
su una disciplina comunque in via di superamento nel quadro delineato dal nuovo
codice degli appalti.
Articolo
6
(Disposizioni in materia di tassazione
delle vincite da gioco. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia
dell'Unione europea 22 ottobre 2014 nelle cause riunite C-344/13 e C-367/13.
Caso EU Pilot 5571/13/TAXU)
L'articolo 6 prevede che le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate in Italia o
negli altri Stati membri dell'Unione europea o nello Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per
l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta. La norma provvede inoltre
alla relativa copertura finanziaria derivante dalla nuova esenzione prevista
per le vincite realizzate negli Stati europei.
Viene così
adeguata all'ordinamento dell'Unione europea, in attuazione di una sentenza
della Corte di giustizia del 22 ottobre 2014, la
disciplina italiana sulla tassazione
delle vincite corrisposte da case da gioco. La normativa italiana
attualmente prevede una differenza di trattamento fiscale a seconda che le
vincite di gioco siano state ottenute in Italia o in un altro Stato membro; la
Corte ha ritenuto tale normativa incompatibile con il principio di libera
circolazione dei servizi.
Nella versione
in vigore, il comma 1 dell'articolo 69 del Testo unico delle imposte sui
redditi (DPR 22 dicembre 1986, n. 917) prevede che i premi e le vincite
derivanti da lotterie, concorsi a premio, giochi e scommesse organizzati per il
pubblico, derivanti da prove di abilità o dalla sorte, nonché attribuiti in
riconoscimento di particolari meriti artistici, scientifici o sociali,
costituiscano reddito per l'intero periodo di imposta, senza alcuna deduzione.
Tali proventi sono considerati quali redditi diversi (articolo 67, comma 1,
lettera d), del TUIR).
Il comma 1
dell’articolo 30 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, in materia di accertamento,
assoggetta i premi di importo maggiore a 50.000 lire (ca. 25,82 euro) ad una
ritenuta alla fonte a titolo di imposta. Il comma 2 stabilisce l'ammontare
della ritenuta nel 10 per cento per i
premi delle lotterie, tombole o simili e nel 20 per cento sui premi dei
giochi svolti in occasione di spettacoli radio-televisivi, competizioni o
manifestazioni di qualsiasi altro genere. Tuttavia, ai sensi del comma 7, la ritenuta sulle vincite corrisposte dalle
case da gioco autorizzate (in Italia) è compresa nell'imposta sugli spettacoli
di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre
1972, n. 640. Le case da gioco tenute al pagamento dell’imposta sugli
spettacoli sono escluse dall’obbligo di rivalsa dell’imposta nei confronti
degli spettatori, dei partecipanti e degli scommettitori.
La Commissione europea aveva segnalato
alle Autorità italiane la possibile violazione
del principio di libera circolazione dei servizi di cui all'articolo 56 del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea nel settembre 2013. Era stata
allora aperta la procedura EU-Pilot 5571/13/TAXU.
Il 22 ottobre 2014 una sentenza della
Terza sezione della Corte di giustizia, determinata da due ricorsi individuali
(casi C-344/13 e C-367/13), ha stabilito l'incompatibilità delle norme citate con
l'ordinamento dell'Unione europea. La sentenza ha stabilito
inequivocabilmente che gli articoli 52 e 56 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea devono essere interpretati nel senso che la normativa di
uno Stato membro non può assoggettare all'imposta sul reddito le vincite da
giochi d'azzardo realizzate in case da gioco situate in altri Stati membri ed
esonerare invece dall'imposta redditi simili allorché provengono da case da
gioco situate nel territorio nazionale di tale Stato. Né nel caso di specie la
disparità di trattamento è stata ritenuta giustificabile per motivi di ordine,
sicurezza o sanità pubblica, come previsto dall'articolo 52 del TFUE.
Al fine di dare attuazione
nell'ordinamento nazionale alla sentenza della Corte, il Governo aveva in un
primo momento ipotizzato di inserire una norma di adeguamento nello schema di
decreto legislativo volto a dare attuazione all'articolo 14 della legge 11
marzo 2014, n. 23.
L'articolo 14
della legge 11 marzo 2014, n. 23 ("Delega al Governo recante disposizioni
per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita")
conteneva una delega al Governo per riordinare tutte le norme in vigore in
materia di giochi pubblici mediante l'adozione di un "Codice delle
disposizioni sui giochi". Si rammenta che il termine per l'attuazione della delega è scaduto il 27 giugno 2015 lasciando
inattuato l’articolo 14.
L'articolo
6,
comma 1, del disegno di legge in
esame modifica il comma 1 dell'articolo 69 del Tuir, stabilendo che, fatto
salvo quanto previsto dal successivo comma 1-bis, i premi e le vincite costituiscono reddito per l'intero
ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione. Il nuovo comma 1-bis dispone un’esenzione
per le vincite corrisposte da case
da gioco autorizzate nello Stato italiano e negli altri Stati membri
dell'Unione europea o nello Spazio economico europeo: tali proventi non
concorrono a formare il reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di
imposta.
Il comma
2, conseguentemente, abroga il citato comma 7 dell'articolo 30 del DPR 29
n. 600 del 1973, il quale prevede che la ritenuta sulle vincite corrisposte
dalle case da gioco autorizzate è compresa nell'imposta sugli spettacoli.
I commi 1 e 2
sono stati modificati nel corso dell’esame in sede referente. Il comma 1 è stato integrato prevedendo l’esenzione
fiscale anche per le vincite incassate nelle case da gioco italiane: la mancata
previsione avrebbe determinato infatti una situazione opposta a quella attuale.
Al comma 2 è stata soppressa una modifica al comma 4 dell’articolo 30 del
D.P.R. n. 600 del 1973 in tema di ritenuta sulle vincite.
Il comma
3 provvede alla copertura degli oneri derivanti dall'attuazione
dell'articolo mediante destinazione di quota parte delle maggiori entrate
derivanti dall'applicazione della disposizione di cui all'articolo 16 del
disegno di legge in esame, che innalza l’aliquota IVA dei preparati per risotti
dal 4 al 10 per cento.
Il comma
4 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con
propri decreti, le variazioni di bilancio necessarie.
Articolo
7
(Disposizioni in materia di obbligazioni
alimentari, in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale.
Accesso e utilizzo delle informazioni da parte dell’autorità centrale)
L’articolo 7 consente al
Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della
Giustizia - in quanto autorità centrale per la cooperazione prevista da atti
europei e internazionali relativi all’adempimento di obblighi alimentari - l’accesso, attraverso l’assistenza di
altre pubbliche amministrazioni, alle
informazioni contenute in banche dati pubbliche e relative alla situazione economica di soggetti obbligati
al pagamento di alimenti in favore di familiari. Tali informazioni potranno
poi, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, essere trasmesse
all’ufficiale giudiziario che procede in via esecutiva per riscuotere i crediti
alimentari.
La
disposizione, in primo luogo (comma 1),
ribadisce con fonte primaria quanto
già attualmente riconosciuto per via amministrativa, ovvero che il Dipartimento per la giustizia minorile e di
comunità del Ministero della Giustizia è l’autorità centrale del nostro Paese per la cooperazione prevista dagli atti europei e internazionali relativi
all’adempimento degli obblighi alimentari; per questo attualmente l’Ufficio II
del Dipartimento della giustizia minorile è denominato Recupero internazionale di crediti alimentari.
Gli atti
europei e internazionali richiamati dall’art. 7 sono i seguenti:
- regolamento
CE n. 4/2009, relativo alla competenza, alla legge
applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla
cooperazione in materia di obbligazioni alimentari
(art. 49). Il Regolamento mira ad agevolare il pagamento dei crediti alimentari
in situazioni transfrontaliere; si applica ai crediti alimentari derivanti da
rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o affinità. Nella categoria
rientrano: l’assegno di mantenimento dei figli; l’assegno di mantenimento a
favore del coniuge a seguito di separazione; l’assegno divorzile; gli alimenti
derivanti dall’obbligo di aiutare nel bisogno i membri della propria famiglia;
- regolamento
CE n. 2201/2003, relativo alla competenza, al
riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni
in materia matrimoniale e in materia di
responsabilità genitoriale (art. 53);
- Convenzione
dell’Aia del 23 novembre 2007, sul recupero internazionale di alimenti nei
confronti dei figli minori e di altri membri della famiglia (art. 4).
La natura self executing dei regolamenti ha reso
necessaria l'adozione di disposizioni per l'acquisizione delle informazioni
prescritte.
Come si evince
dalla pagina internet dell’Ufficio II - Recupero
internazionale di crediti alimentari - del Capo Dipartimento della giustizia
minorile e di comunità, sulla base del regolamento CE del 2009 e della
Convenzione dell’Aja del 2007, l’autorità centrale è il punto di riferimento
tanto delle procedure attive – nelle
quali soggetti residenti in Italia si rivolgono all’autorità nazionale perché
si faccia tramite di richieste di recupero crediti presso altre autorità estere
– sia delle procedure passive –
nelle quali l’autorità centrale di uno Stato estero si rivolge all’autorità
italiana per recuperare in Italia somme in nome di cittadini europei o
stranieri.
Più articolato
è il ruolo del Dipartimento in base al regolamento CE del 2003 sulla
sottrazione internazionale dei minori, in base al quale l’Ufficio trasmette
alle competenti autorità centrali estere e riceve dalle medesime gli atti delle
procedure per sottrazione internazionale
di minore; raccoglie e fornisce informazioni sulla situazione di specifici
minori, sui procedimenti eventualmente in corso e, reciprocamente, chiede alle
autorità centrali degli altri Stati membri, anche su richiesta del titolare
della responsabilità genitoriale o dell’autorità giudiziaria italiana,
informazioni sulla situazione di specifici minori residenti all’estero;
facilita la comunicazione tra le autorità giudiziarie del proprio e degli altri
Stati.
A seguito
della designazione del Dipartimento come autorità centrale, riconoscimento
confermato anche dal recente regolamento
di riorganizzazione del Ministero della Giustizia (D.P.C.M. 15 giugno 2015,
n. 84, art. 7), l’articolo 7 del disegno di legge europea stabilisce che il
Dipartimento si avvale dei servizi
minorili dell’amministrazione della giustizia (comma 1, primo periodo).
Si osserva che il primo periodo della disposizione
in commento non pare produrre innovazioni nell’ordinamento, in quanto opera una
mera ricognizione della normativa vigente.
Si ricorda,
infatti, che attualmente, dal dipartimento per la Giustizia minorile dipendono
i 12 Centri per la Giustizia Minorile (CGM), che operano sul territorio
attraverso i Servizi Minorili della Giustizia (art. 8, d.lgs. n. 272/1989[6]).
Il secondo
periodo del comma 1 consente al
Dipartimento di rivolgersi agli “organi della pubblica amministrazione” e a
“tutti gli enti i cui scopi corrispondono alle funzioni che gli derivano dalle
convenzioni e dai regolamenti”, per chiedere assistenza.
Il terzo
periodo del comma 1 consente al
Dipartimento l’accesso alle banche dati dei suddetti enti e amministrazioni.
Si valuti la possibilità di chiarire quali siano gli
enti e le amministrazioni cui si fa riferimento; non sarebbe altrimenti
precisato in quale modo venga stabilita la corrispondenza tra gli scopi degli
enti e le funzioni di cooperazione assegnate al Dipartimento. Né è precisato se
si intenda fare riferimento esclusivamente a enti pubblici.
Infine, si osserva che il secondo periodo prevede
solo la possibilità per il Dipartimento di chiedere assistenza, senza
introdurre un obbligo espresso di cooperazione tra amministrazioni pubbliche.
L’ultimo
periodo del comma 1 esclude
dall’applicazione di questa disposizione - e dunque dall’accesso del
Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità - le informazioni
contenute nel Centro di elaborazione dei
dati del ministero dell’interno, relative alla tutela dell'ordine, della
sicurezza pubblica e di prevenzione e repressione della criminalità.
A tali dati,
infatti, in base all’art. 9 della legge n. 121 del 1981[7] possono accedere, oltre
all’autorità giudiziaria, solo gli ufficiali di polizia giudiziaria
appartenenti alle forze di polizia, gli ufficiali di pubblica sicurezza ed i
funzionari dei servizi di sicurezza, nonché agli agenti di polizia giudiziaria
delle forze di polizia debitamente autorizzati. Di tali dati è inoltre vietata
ogni utilizzazione per finalità diverse dalla tutela della sicurezza pubblica
nonché ogni forma di circolazione nell’ambito della pubblica amministrazione.
Il comma 2 consente la trasmissione delle informazioni
acquisite attraverso l’accesso alle banche dati all’ufficiale giudiziario competente nel procedimento di esecuzione forzata. La trasmissione
delle informazioni è subordinata all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
La
disposizione richiama l’art. 492-bis
del codice di procedura civile (inserito recentemente, dal decreto-legge n. 132
del 2014), relativo alla ricerca con
modalità telematiche dei beni da pignorare.
In caso di
incapienza del debitore, la ricerca con modalità telematiche dei beni da
pignorare avviene su istanza del creditore, e previa espressa autorizzazione
del presidente del tribunale.
L'ufficiale
giudiziario può accedere, mediante collegamento telematico diretto, alle banche
dati delle pubbliche amministrazioni o che le stesse possono consultare,
inclusi l'anagrafe tributaria e le banche dati degli enti previdenziali, al
fine di acquisire tutte le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose
e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti
intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro
committenti.
Qualora la
ricerca - che deve essere documentata in un unico processo verbale indicante
anche le banche dati verificate - dovesse avere esito positivo, l'ufficiale
giudiziario si comporta diversamente a seconda dell'ubicazione dei beni
rinvenuti.
In ordine alla formulazione del testo, si evidenzia
che “i soggetti interessati di cui al comma 1” sarebbero alla lettera le
amministrazioni pubbliche e gli enti. La disposizione, invece, pare volersi
riferire ai soggetti tenuti all’obbligo alimentare, la cui situazione economica
è rilevante nell’ambito delle procedure per il recupero del credito alimentare.
Si osserva inoltre che già a legislazione vigente,
previa autorizzazione del Presidente del tribunale, l’ufficiale giudiziario ha
accesso alle banche dati pubbliche e può procedere così alla ricerca telematica
dei beni da pignorare. Si valutino pertanto gli effetti dell’attribuzione del
nuovo ruolo di tramite in capo al Dipartimento per la giustizia minorile e di
comunità.
Documenti
all’esame delle istituzioni dell’UE
Si ricorda che
nel Programma di lavoro della Commissione europea per il 2016 (in particolare nell’allegato
relativo alle proposte REFIT[8]) si
prevede, tra le nuove iniziative da intraprendere nel 2016, la riforma del
Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo
alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia
matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il
regolamento (CE) n. 1347/2000 (cosiddetto Bruxelles II-bis). La Commissione
europea aveva lanciato tra il 15 aprile 2014 e il 18 luglio 2014 una
consultazione pubblica sul funzionamento del citato regolamento.
Articolo
8
(Disposizioni in materia di titolo
esecutivo europeo)
L’articolo 8, inserito dal Senato, interviene sulle procedure di esecuzione forzata da eseguire in un altro
Stato membro dell’Unione europea.
Si ricorda che
il Regolamento
(CE) n. 805/2004 del Parlamento europeo e del
Consiglio, ha istituito il titolo
esecutivo europeo per i crediti non contestati. Il titolo esecutivo europeo
è un certificato che consente che le decisioni giudiziarie, le transazioni
giudiziarie e gli atti pubblici relativi a crediti non contestati, possano
essere riconosciuti ed eseguiti automaticamente, in un altro Stato membro,
senza procedimento intermedio.
Un credito si
considera non contestato se:
· il
debitore l'ha espressamente riconosciuto mediante una dichiarazione o mediante
una transazione approvata dal giudice o conclusa dinanzi al giudice nel corso
di un procedimento giudiziario; o
· il
debitore non l'ha mai contestato nel corso del procedimento giudiziario; o
· il
debitore non è comparso o non si è fatto rappresentare in un'udienza relativa a
un determinato credito pur avendo contestato inizialmente il credito stesso nel
corso del procedimento; o
· il
debitore l'ha espressamente riconosciuto in un atto pubblico.
La decisione
relativa a un credito non contestato è certificata come titolo esecutivo
europeo dallo Stato membro che ha pronunciato la decisione (Stato membro
d'origine). La certificazione avviene in base a un certificato standard. Se la
certificazione riguarda solo parte della decisione, si parlerà allora di
"titolo esecutivo parziale".
Il diritto
applicabile alla procedura di esecuzione è quello dello Stato membro in cui
viene richiesta l'esecuzione della decisione (Stato membro di esecuzione). Il
creditore è tenuto a fornire alle autorità competenti dell'esecuzione:
·
una copia della decisione;
·
una copia del certificato di
titolo esecutivo europeo;
·
se del caso, una trascrizione del
certificato di titolo esecutivo europeo o una sua traduzione nella lingua
ufficiale dello Stato membro dell'esecuzione oppure in un'altra lingua che
abbia dichiarato di accettare.
In
particolare, la disposizione demanda all’autorità
che ha formato l’atto pubblico al quale deve essere data esecuzione, la competenza a rilasciare ogni ulteriore documentazione (attestati,
certificati o estratti) che sia necessaria per l’esecuzione in altro Stato (comma 1).
L’articolo 8
precisa che laddove l’autorità che ha formato l’atto pubblico sia stata poi
soppressa o sostituita, la competenza al rilascio di tale documentazione è
attribuita all’autorità subentrante (comma
2).
Articolo
9
(Norme di adeguamento per l’ammissione al
patrocinio a spese dello Stato nelle cause transfrontaliere in materia di
obbligazioni alimentari e sottrazione internazionale di minori)
L’articolo 9 estende la disciplina sull’accesso al patrocinio a spese dello Stato,
prevista per le controversie
transfrontaliere in ambito UE, ai procedimenti
per l’esecuzione di obbligazioni alimentari (comma 1) e riconosce il
diritto al gratuito patrocinio a tutti
coloro che presentano domande inerenti alla sottrazione internazionale di
minori (comma 2). Le domande per l’accesso al patrocinio, presentate
attraverso il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del
Ministero della giustizia, dovranno essere rivolte al consiglio dell’ordine
degli avvocati del luogo nel quale l’obbligo alimentare deve essere eseguito
(comma 3).
In
particolare, il comma 1 estende la disciplina del gratuito
patrocinio, già prevista decreto
legislativo n. 116 del 2005 per le parti di controversie
transfrontaliere nell’Unione europea dal d.lgs. n. 116/2005, a coloro che
chiedano, attraverso gli strumenti della cooperazione internazionale introdotti
dalla Convenzione dell’Aja del 2007, l’esecuzione
- anche al di fuori dei confini UE - di obbligazioni alimentari.
Si ricorda,
infatti, che il decreto legislativo n. 116 del 2005[9] ha disciplinato l’accesso al
gratuito patrocinio nelle controversie transfrontaliere nell’ambito dell’Unione
europea, delineando i presupposti reddituali (e soprattutto consentendo di
derogarvi quando vi sia un forte squilibrio tra il costo della vita dello Stato
di residenza e quello del foro) e individuando una serie di attività, anche di
natura precontenziosa, coperte dall’istituto (consulenza legale, spese di
interpretazione e traduzione, spese di viaggio). Tale normativa –
significativamente più favorevole rispetto alla disciplina generale del TU
spese di giustizia (D.P.R. n. 115 del 2002) - viene ora estesa anche a
controversie esterne all’UE, se si tratta di domande di adempimento di
obbligazioni alimentari previste dalla Convenzione.
La Convenzione dell’Aia del 23 novembre 2007
è entrata in vigore per l’Italia il 1° agosto 2014 in forza della ratifica da
parte dell’Unione Europea; ha dunque effetto vincolante per tutti gli Stati
membri (fatta eccezione per la Danimarca) e si applica alle dispute
internazionali relative a soggetti residenti in Stati aderenti alla Convenzione
ma esterni allo spazio europeo. Ad oggi si tratta di Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Norvegia, Ucraina. Tra i
firmatari che non hanno ancora proceduto alla ratifica ci sono anche gli Stati
Uniti.
In base alla
Convenzione, chiunque risieda stabilmente nel territorio italiano può
rivolgersi all’autorità centrale italiana – Dipartimento per la giustizia
minorile e di comunità del Ministero della Giustizia - per ottenere assistenza
ai fini della presentazione delle domande giudiziarie proponibili attraverso il
sistema di cooperazione istituito dalla Convenzione. Tali domande possono
riguardare:
- obbligazioni
alimentari derivanti da un rapporto di filiazione nei confronti di una persona
di età inferiore a anni 21,
-
riconoscimento e/o esecuzione di una decisione in materia di obbligazioni
alimentari tra coniugi ed ex coniugi nei casi in cui la domanda sia presentata
congiuntamente ad una richiesta di alimenti per “figli” minori di anni 21.
Come
evidenziato dalla relazione illustrativa,
il disegno di legge «mira a superare la significativa disparità di trattamento,
sotto il profilo del patrocinio a spese dello Stato, che si verifica quando
domande di cooperazione ai sensi della Convenzione dell’Aia del 2007, di
identico contenuto, provengono da uno Stato membro dell'Unione europea o da uno
Stato terzo: nella prima ipotesi, infatti, si applica il regime di cui al
decreto legislativo n. 116 del 2005 (che ha recepito la direttiva 2003/8/CE);
nel secondo caso, invece, si applica il regime di cui al decreto del Presidente
della Repubblica n. 115 del 2002».
Il comma 1
precisa che il gratuito patrocinio dovrà essere riconosciuto in base ai
presupposti del decreto
legislativo n. 116/2005, ma facendo salve le disposizioni di maggior favore previste
dalla Convenzione agli articoli da 14 a 17.
In
particolare, l’art. 14 della Convenzione vincola gli Stati a riconoscere agli
istanti almeno le stesse condizioni di accesso fissate per l'assistenza legale
gratuita nelle cause equivalenti. L’art. 15 prevede la concessione del gratuito patrocinio, a prescindere dai limiti di
reddito, per le domande relative a obbligazioni alimentari derivanti da un
rapporto di filiazione nei confronti di una persona infra ventunenne, a
meno che lo Stato non abbia dichiarato di voler subordinare l’assistenza legale
gratuita alla valutazione delle risorse del figlio (art. 16).
Il comma 2 riconosce ope legis il patrocinio a spese dello Stato in caso
di domande relative alla sottrazione
internazionale dei minori, inoltrate all’autorità centrale italiana –
Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della
Giustizia - in base alla Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980. In questo
caso, dunque, diversamente dal comma 1, il legislatore non estende l’applicazione
di una disciplina sul gratuito patrocinio ma afferma il diritto all’accesso al
patrocinio a prescindere da limiti
reddituali.
Si ricorda che
per effetto della designazione quale Autorità Centrale ai sensi della Convenzione dell’Aia del 25 ottobre 1980,
il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità:
- riceve le
istanze presentate tramite le autorità centrali estere per il ritorno nello
Stato di residenza abituale di minori condotti o trattenuti illecitamente in
Italia e le istanze per l’organizzazione o tutela dei diritti di visita nei
confronti di minori residenti abitualmente in Italia, le istruisce
preliminarmente e le trasmette alla competente autorità giudiziaria italiana
(c.d. istanze passive);
- riceve le
istanze per il ritorno in Italia di minori condotti o trattenuti illecitamente
all’estero e le istanze per l’organizzazione o tutela dei diritti di visita nei
confronti di minori residenti abitualmente in un altro Stato, le istruisce
preliminarmente e le invia alla competente autorità centrale estera (c.d.
istanze attive);
- informa e
fornisce attività di supporto alle parti istanti residenti in Italia nel corso
delle procedure avviate;
- informa e
coopera con le autorità centrali estere;
- cura i
rapporti con le autorità giudiziarie nazionali ed estere;
- cura i
rapporti con le autorità di polizia;
- propone e
favorisce la mediazione fra le parti ai fini della risoluzione pacifica delle
controversie familiari.
Come
evidenziato dalla relazione illustrativa
del disegno di legge, questa previsione si rende necessaria per attuare quanto richiesto dalla Convenzione
del 1980, che vincola ciascuno Stato aderente ad assicurare ai soggetti
istanti, vittime di sottrazioni internazionali, l'assistenza di avvocati nelle
relative procedure che si svolgono sul proprio territorio, senza spese a carico
dei richiedenti, anche qualora non siano applicabili le norme sul patrocino a
spese dello Stato. La relazione illustrativa, «al fine di comprendere la
gravità del problema», fa altresì presente che l’attuale mancata attuazione di
questo profilo della Convenzione è stato rimproverato al nostro Paese dalla
Svizzera, che ha conseguentemente stabilito «per il principio di reciprocità,
di non dare l'assistenza legale agli italiani che si rivolgono all’autorità
centrale svizzera».
Il comma 3 stabilisce che le domande di
accesso al patrocinio a spese dello Stato, presentate attraverso il
Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, e relative al
riconoscimento o al riconoscimento e dichiarazione di esecutività di una
decisione relativa al recupero di alimenti (in
base all’art. 56, par. 1, lett. a) del regolamento (CE) 4/2009 e all’identico
art. 10, par. 1, lett. a) della Convenzione del 2007), debbano essere
trasmesse al consiglio dell’ordine degli
avvocati del luogo di esecuzione della decisione.
La relazione illustrativa motiva questa
disposizione con l’esigenza di «superare le difformi interpretazioni date dai
consigli dei diversi distretti. (Alcuni, infatti, sostenevano che dovesse
ritenersi competente il consiglio dell'ordine del capoluogo del distretto)».
I commi 4 e 5 attengono alla copertura finanziaria dell’art. 9, i cui
oneri sono calcolati in 189.200 euro annui, a decorrere dal 2016.
La copertura è
assicurata attraverso la corrispondente riduzione del Fondo per il recepimento
della normativa europea (art. 41-bis, legge n. 234 del 2012); se dovessero
verificarsi rilevanti scostamenti rispetto alla suddetta previsione di spesa,
il Ministro dell’economia, sentito il Ministro della Giustizia, potrà coprire
l’onere attingendo alle spese rimodulabili di parte corrente del Ministero
della Giustizia (Missione Giustizia – Programma Giustizia civile e penale).
Articolo
10
(Permesso di soggiorno individuale per
minori stranieri)
L'articolo 10, inserito dal Senato, reca
modifiche al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286
("Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero"), nonché al Decreto del Presidente della Repubblica Decreto del Presidente della
Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 ("Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286"), al fine di dare piena attuazione al regolamento (CE) n. 380/2008, del 18 aprile 2008, che modifica il regolamento (CE) n. 1030/2002, che istituisce un modello uniforme per i
permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di Paesi terzi.
La finalità è quella di evitare rilievi e censure relativamente al
mancato adeguamento dei permessi di soggiorno al nuovo modello europeo.
In
particolare, il comma 1, lettera a) sostituisce il comma 1 dell'articolo 31 del decreto legislativo n.
286/1998, prevedendo che, al figlio minore dello straniero con questi
convivente e regolarmente soggiornante, venga rilasciato "un permesso di
soggiorno per motivi familiari valido fino al compimento della maggiore
età" ovvero "un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo
periodo"[10].
Il minore fino
al quattordicesimo anno di età non dovrà dunque essere iscritto, come
nell'attuale versione della norma, nel permesso di soggiorno o nella carta di
soggiorno di uno o di entrambi i genitori.
La direttiva 2003/109/CE del Consiglio,
del 25 novembre 2003, relativa allo status
dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo ha armonizzato
le legislazioni degli Stati membri al fine di istituire un trattamento
paritario per i cittadini di Paesi terzi che siano residenti di lungo periodo.
Il 10 febbraio 2016, la Commissione ha
avviato procedimenti di infrazione contro Italia,
Grecia, Francia, Lettonia e
Slovenia per mancata comunicazione delle misure di recepimento integrale
della direttiva 2011/51/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 20111, che ha modificato la direttiva 2003/109/CE del Consiglio per estenderne l'ambito di
applicazione ai beneficiari di protezione internazionale[11].
Come conseguenza delle modifiche apportate all'articolo 31,
comma 1:
il
comma 1, lettera b), abroga il comma 2 dell'articolo 31, che prevedeva che al
minore venisse rilasciato, solo al compimento del quattordicesimo anno di età,
"un permesso di soggiorno per motivi familiari validi fino al compimento
della maggiore età", ovvero "una carta di soggiorno";
il
comma 1, lettera c), prevede che le parole "le disposizioni di cui
all'articolo 31, commi 1 e 2", di cui all'articolo 32, comma 1, vengano
sostituite da "le disposizioni di cui all'articolo 31, comma 1".
Il
comma 2 interviene a modificare
l'articolo 28, comma 1, lettera a), (sui permessi di soggiorno per gli
stranieri per i quali sono vietati l'espulsione o il respingimento) del Decreto del Presidente della Repubblica n.
394/1999, prevedendo la
soppressione delle parole "salvo l'iscrizione del minore degli anni
quattordici nel permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario stranieri
regolarmente soggiornanti in Italia", con riferimento al rilascio da parte
del questore del permesso di soggiorno nel caso in cui la legge disponga il
divieto di espulsione.
Il comma 3 stabilisce che, una volta
entrata in vigore la legge europea 2015-2016, al momento del rinnovo del
permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario, al minore di anni
quattordici già iscritto nel permesso di soggiorno del genitore o
dell'affidatario venga rilasciato il permesso di soggiorno di cui sopra.
Il comma 4 autorizza, infine, la spesa di 3,3 milioni di euro per
l'anno 2016 al fine di rimborsare i costi di produzione sostenuti dall'Istituto
poligrafico e Zecca dello Stato nel periodo di sperimentazione del permesso di
soggiorno elettronico rilasciato ai minori di anni quattordici già iscritti nel
permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario (di cui al comma 3). Tale
periodo è compreso fra il dicembre 2013 e l'entrata in vigore del presente
articolo.
L'onere previsto verrà finanziato
mediante una corrispondente riduzione della dotazione del Fondo per il
recepimento della normativa europea di cui all'articolo 41-bis della
legge 24 dicembre 2012, n. 234.
L'art. 41 bis
autorizza, infatti, la spesa di 10 milioni di euro per l'anno 2015 e di
50 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016, al fine di consentire il
tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi imposti dalla
normativa europea, nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi
medesimi e in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati
alle competenti amministrazioni, istituendo nello stato di previsione del
Ministero dell'economia e delle finanze un apposito fondo.
Articolo
11
(Diritto all’indennizzo in favore delle
vittime di reati intenzionali violenti. Procedura di infrazione 2011/4147)
L’articolo 11,
inserito dal Senato, statuisce, in
attuazione della direttiva 2004/80/CE, in ordine al diritto all’indennizzo
in favore delle vittime di reati intenzionali violenti.
Più in particolare il comma 1 della disposizione riconosce,
facendo salve le provvidenze in favore delle vittime di determinati reati
previste da altre disposizioni di legge, ove più favorevoli[12],
il diritto all'indennizzo a carico dello Stato alla vittima di un reato doloso
commesso con violenza alla persona e comunque del reato di intermediazione
illecita e sfruttamento del lavoro (il cd. caporalato) di cui all'articolo 603-bis
c.p., ad eccezione dei reati di percosse e di lesioni di cui
rispettivamente agli articoli 581 e 582 c.p., salvo che ricorrano le
circostanze aggravanti previste dall'articolo 583 c.p.[13].
Ai
sensi del comma 2 l'indennizzo è
concesso per la rifusione delle spese mediche e assistenziali, salvo che per i
fatti di violenza sessuale e di omicidio, in favore delle cui vittime
l'indennizzo è comunque elargito anche in assenza di spese mediche e
assistenziali.
Il comma 3 demanda ad un successivo
decreto interministeriale (decreto del Ministro dell'interno e del Ministro
della giustizia, da adottarsi di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze) la determinazione degli importi dell'indennizzo, comunque nei limiti
delle disponibilità del Fondo di cui all’articolo 14 del disegno di legge in
esame, garantendo un maggior ristoro alle vittime dei reati di violenza
sessuale e di omicidio.
La direttiva
del Consiglio 2004/80/CE, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle
vittime di reato, mira, nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia
penale, a tutelare i diritti delle vittime della criminalità nell'Unione e a
facilitare il loro accesso alla giustizia.
L’elaborazione
di norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità era stata
sollecitata nel Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, cui era
seguita la decisione quadro del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa
alla posizione della vittima del procedimento penale. In particolare, la
decisione quadro (oggi sostituita dalla direttiva 2012/29/UE) mira a
garantire alle vittime una migliore tutela giuridica e una migliore difesa dei
loro interessi, indipendentemente dallo Stato membro in cui si trovino.
Inoltre, la decisione quadro prevede disposizioni volte a fornire assistenza
alle vittime prima e dopo il procedimento penale al fine di attenuare le
conseguenze del reato.
È
appena il caso di notare come l'obbligo di prevedere una forma di ristoro per
le vittime dei reati violenti già avesse trovato fondamento, a livello di
"Grande Europa", nella Convenzione
europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti, siglata a Strasburgo il 24 novembre 1983[14]
e, con riguardo all'ordinamento comunitario, nella sentenza della Corte di
giustizia relativa al caso Cowan[15].
La
direttiva 2004/80 la cui adozione è stata sollecitata dal Consiglio europeo nel
25 e 26 marzo 2004 - anche in seguito all’attentato terroristico di Madrid
dell'11 marzo 2004 – si propone di garantire alle vittime di un reato
intenzionale violento un risarcimento equo ed adeguato per i danni subiti,
a prescindere dal luogo, all'interno dell'Unione europea ma diverso da quello
di residenza, in cui simili eventi si siano verificati.
La
direttiva contiene disposizioni relative all'accesso al risarcimento in casi
transfrontalieri, nonché una disposizione volta a garantire che gli Stati
membri introducano le pertinenti disposizioni nazionali per assicurare un
risarcimento appropriato alle vittime di reati intenzionali violenti commessi
nei rispettivi territori. In particolare, gli articoli da 1 a 3 della
direttiva dispongono che la vittima del reato possa presentare domanda di indennizzo nello Stato di
residenza, anche se il reato è stato commesso in un diverso Stato membro;
spetterà comunque allo Stato ove il reato si è consumato corrispondere
l’indennizzo. A tal fine, gli Stati, limitando allo stretto necessario le
formalità amministrative, dovranno designare le autorità competenti per
ricevere le domande - c.d. autorità di
assistenza - e deciderne l’esito - c.d. autorità di decisione. L’autorità di assistenza ha il compito di
informare gli interessati della possibilità di richiedere un indennizzo, di
ricevere le domande e trasmetterle all’autorità di decisione (articoli 4-6),
che può disporre l’audizione del richiedente (articolo 9) al fine di
pervenire alla decisione (articolo 10). L’indennizzo verrà quindi
corrisposto in base alle normative nazionali. A tal fine, l’articolo 12 della
direttiva impegna gli Stati membri a porre in essere – laddove non l’abbiano
già fatto – sistemi di indennizzo delle vittime di reati internazionali
violenti commessi nei rispettivi territori, mentre l’articolo 17 fa
salve le normative nazionali già vigenti, che assicurino disposizioni più
favorevoli a vantaggio delle vittime di reato. Gli articoli da 13 a 16 della
direttiva contengono disposizioni di attuazione, relative ai dati da comunicare
alla Commissione, ai formulari per l’elaborazione delle domande di indennizzo
ed alle strutture di coordinamento centrali. Ai sensi dell’articolo 18,
gli Stati membri dovevano recepire la direttiva entro il 1º gennaio 2006.
Tutti gli Stati membri dovevano inoltre provvedere nelle rispettive normative
nazionali, entro il 1º luglio 2005, un sistema di risarcimento delle vittime di
reati internazionali violenti commessi nei loro territori. Il diritto
all’indennizzo della vittima da reato previsto dalla direttiva dovrebbe operare
sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle
vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori.
Il decreto legislativo n. 204 del 2007 ha introdotto
nell'ordinamento norme volte a dare attuazione alla citata direttiva
2004/80/CE del Consiglio, relativa all'indennizzo delle vittime dei reati.
Più nel dettaglio, nel merito, l'articolo 1, individua la prima
ipotesi rientrante nell'ambito di operatività del provvedimento, riguardante il
caso in cui venga commesso un reato in uno Stato membro diverso dall’Italia
(che preveda per quel reato il diritto a forme di indennizzo) e la vittima sia
una persona stabilmente residente nel nostro Paese. In tale ipotesi, la Procura
generale della Repubblica presso la Corte d’appello competente per territorio
(in relazione alla residenza della vittima) è individuata come Autorità di
assistenza e fornisce all’interessato tutte le informazioni necessarie ad attivare
il suo diritto all’indennizzo. In particolare, dà le notizie relative al
sistema indennitario vigente nello Stato membro, fornisce i moduli per
presentare la domanda, garantendo assistenza ed informazione per la
compilazione e la documentazione richiesta, trasmette direttamente all’autorità
competente dello Stato membro (Autorità di decisione) la domanda di
risarcimento; in caso di necessità di ulteriori informazioni e di integrazione
documentale, fornisce la necessaria assistenza garantendo – a richiesta
dell’interessato - l’inoltro degli atti integrativi all’autorità straniera. Si
prevede, inoltre, che in caso di richiesta di audizione della vittima o altre
persone (testimoni o periti) da parte dell’autorità di decisione dello Stato
membro, la Procura generale, come Autorità di assistenza, debba rendere
possibile l’audizione (in particolare in videoconferenza) secondo le regole di
procedura vigenti nel Paese del commesso reato. Se, al contrario, l’autorità di
decisione dello Stato membro richiede l’audizione per il tramite della Procura,
questa provvede all’audizione trasmettendone poi il verbale. Il successivo articolo
2 disciplina, invece, l'ipotesi inversa, ovvero il caso in cui da un reato
commesso nel territorio italiano sia rimasta vittima una persona stabilmente
residente in altro Stato membro della UE e sempre che per tale reato la legge
italiana preveda una qualche forma di "risarcimento" a carico dello
Stato.
In
tal caso, la domanda di elargizione può essere avanzata tramite l’Autorità di
assistenza dello Stato membro dell’Unione di residenza dell’interessato.
L’autorità italiana che, in base alla legislazione speciale, risulta competente
per l’erogazione dell’elargizione (Autorità di decisione), comunica senza
ritardo l’avvenuta ricezione della domanda, gli elementi informativi utili
all’identificazione del funzionario o dell’organo che istruisce la pratica,
nonché un’indicazione sui tempi per la decisione. Come nella situazione di cui
all’articolo 1 del provvedimento, anche qui è prevista la possibilità per
l’Autorità di decisione italiana di richiedere l’audizione della vittima, anche
per teleconferenza, sia chiedendo la collaborazione dell’autorità di assistenza
straniera sia chiedendo di procedere essa stessa all’audizione. Si prevede,
infine, che l’Autorità di decisione italiana debba, senza ritardo, comunicare
l’esito della domanda di elargizione sia all’interessato che all’Autorità di
assistenza. L'articolo 3 definisce il regime linguistico delle
comunicazioni che intercorrono tra le rispettive autorità di assistenza, mentre
il successivo articolo 4 prevede che i moduli di domanda e l'eventuale
altra documentazione relativa alla domanda d’indennizzo trasmessi tra le
rispettive autorità nazionali siano esenti da autenticazione o da qualsiasi formalità
equivalente. L’articolo 5 individua nel Ministero della giustizia il Punto
centrale di contatto per l’Italia ai sensi dell’articolo 16 della direttiva
e l'articolo 6 definisce l'ambito di applicazione temporale del
provvedimento, riguardante le procedure per l’erogazione di indennizzi relativi
ai reati commessi successivamente al 30 giugno 2005. L’articolo 7 stabilisce
che lo svolgimento delle attività delle autorità nazionali di assistenza
(Procure generali presso le Corti d’appello) e di decisione (quelle individuate
dalle stesse leggi speciali) nonché quelle del Ministero della giustizia come Punto
centrale di contatto siano disciplinate da un regolamento interministeriale
da emanare entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto in esame. L’articolo
8 riguarda la copertura finanziaria del provvedimento.
L’Italia
ha provveduto a dare attuazione alla
direttiva con il decreto legislativo n. 204 del 2007[16], su impulso della
procedura di infrazione avviata dalla Commissione nei confronti del nostro
Paese per la mancata adozione, dopo il 1° gennaio 2006 di qualsivoglia misura
di attuazione e conclusasi con una sentenza di condanna (Corte di Giustizia,
sentenza 29 novembre 2007, causa C-112/07, Commissione c. Italia).
Le
misure previste dal provvedimento sono state ritenute però non del tutto
adeguate dalla Commissione europea. Il decreto legislativo del 2007, infatti,
se da un lato, ha trasposto in maniera corretta la direttiva nella parte
concernente l’istituzione del sistema di cooperazione per l’accesso
all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, individuando le competenti
autorità di assistenza e di decisione, creando un punto centrale di contatto presso
il Ministero della giustizia e disciplinando il regime linguistico applicabile,
dall'altro, non ha proceduto alla istituzione di un comprensivo sistema
nazionale di indennizzo delle vittime di reato, ritenendo adeguati i sistemi di
indennizzo e risarcimento contemplati già dall'ordinamento per alcune tipologie
di reato (quali quelli di stampo mafioso o terroristico). La Commissione
quindi, considerando solo parziale la trasposizione della direttiva ad opera
del decreto legislativo n. 204 - nella parte in cui non estende
il sistema nazionale d’indennizzo a qualunque fattispecie di reato
qualificabile -, ha ritenuto di adire nuovamente la Corte di giustizia (causa C-601/14[17]) al fine di
ottenere una ulteriore pronuncia di accertamento della violazione da parte
dello Stato italiano, seppur in merito, in questo caso, alla non corretta
trasposizione non dell’intera direttiva, bensì del solo articolo 12 paragrafo
2.
Gli articoli
della Sezione II del Capo III del disegno di legge in esame mirano proprio a
far fronte alle contestazioni della Commissione oggetto della nuova procedura
di infrazione (2011/4147).
I contrasti giurisprudenziali a livello
nazionale
La questione relativa alla parziale
trasposizione della direttiva 2004/80/CE è emersa anche a livello nazionale:
alcune vittime di reati commessi in Italia hanno, infatti, agito in giudizio
contro lo Stato al fine di vederlo condannare al risarcimento del danno arrecato
loro a causa dell’inadempienza agli obblighi comunitari, e in particolare della
mancata istituzione di un efficace sistema d’indennizzo.
Si registrano due divergenti
orientamenti giurisprudenziali quanto alla possibilità di ottenere un simile
risarcimento in casi concernenti cittadini residenti in Italia e vittime di
reati commessi sul territorio italiano, ovvero in assenza di un elemento di
transnazionalità.
Il primo di questi orientamenti origina
dalla sentenza del Tribunale di Torino del 4 maggio 2010 (confermata nella
sostanza dalla sentenza della Corte d’appello di Torino del 23 gennaio 2012, n.
106), concernente l’azione di risarcimento intentata contro lo Stato italiano
da una cittadina rumena residente in Italia, vittima di violenza sessuale, che
non era stata in grado di ottenere un risarcimento dagli autori del reato,
resisi latitanti. Il Tribunale di Torino ha ritenuto che dall’articolo 12,
paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE discenda un vero e proprio obbligo per
l’Italia di istituire "un meccanismo di compensation tale da
garantire una copertura risarcitoria rivolta a tutti i cittadini europei
vittime di reati violenti intenzionali" (enfasi aggiunta). La mancata
trasposizione di tale norma aveva dunque comportato un pregiudizio in capo alla
parte attrice, in quanto essa non aveva potuto beneficiare di alcun indennizzo.
Di conseguenza, lo Stato italiano veniva condannato al risarcimento del danno
dovuto al mancato corretto recepimento della direttiva
(si veda, fra le ultime, la sentenza del
Tribunale di Milano del 26 agosto 2014, n. 10441).
Un secondo e opposto orientamento è
stato invece inaugurato dalla sentenza del Tribunale di Trieste del 5 dicembre
2013, vertente su un caso analogo a quello appena illustrato, in cui la vittima
di reato, non indennizzata dal suo autore, era di nazionalità italiana e
residente in Italia. In questa occasione, infatti, il giudice ha ritenuto che
la direttiva 2004/80/CE intenda regolare unicamente le situazioni
transfrontaliere, ovvero qualora il reato sia consumato in uno Stato membro
diverso da quello di residenza della vittima. Il giudice faceva in particolare
riferimento al passaggio della sentenza del 12 luglio 2012, causa
C-79/11, in cui la Corte di giustizia aveva affermato
che la direttiva 2004/80/CE «[…] è diretta a rendere più agevole per le vittime
della criminalità intenzionale violenta l’accesso al risarcimento nelle
situazioni transfrontaliere», mentre essa non troverebbe applicazione in caso
di «reati commessi […] in un contesto puramente nazionale» (punto 37, enfasi
aggiunta). Poiché, come anticipato, la ricorrente dinnanzi al Tribunale di
Trieste (come del resto l’attrice nell’azione decisa da quello di Torino) era
residente in Italia ed era stata vittima di un reato in Italia, il giudice
concludeva che, in «palese difetto dell’elemento della transnazionalità», non
era possibile riconoscere alcun diritto all’indennizzo sulla base della
direttiva 2004/80/CE. Di conseguenza, la mancata trasposizione della direttiva
da parte dello Stato italiano sotto il profilo specifico della creazione di un
sistema effettivo di indennizzo per tutti i reati intenzionali violenti non
poteva aver arrecato alcun danno alla ricorrente. Questo secondo orientamento
sembra inoltre essere stato ulteriormente avallato da una successiva pronuncia
della Corte di giustizia, emessa sulla base di un rinvio pregiudiziale da parte
del Tribunale di Firenze (ordinanza del 30
gennaio 2014, causa C 122/13). La Corte, dichiarando la sua
manifesta incompetenza a rispondere alla questione posta dal giudice a quo,
ha infatti precisato che un caso concernente un reato commesso nel medesimo
Stato membro di residenza della vittima "non rientra nell’ambito di
applicazione della direttiva 2004/80, bensì solo del diritto nazionale"
(punto 13).
Articolo
12
(Condizioni per l’accesso all’indennizzo)
L’articolo
12 inserito dal Senato delinea le condizioni
per l’accesso all’indennizzo.
Più nel dettaglio l’indennizzo è
corrisposto alle seguenti condizioni:
a) che la vittima sia titolare di un
reddito annuo, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a quello
previsto per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
In base a quanto previsto dal Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia, D.p.R 30 maggio 2002, n. 115, come aggiornato dall’ultimo decreto 7
maggio 2015 - Adeguamento dei limiti di reddito per l'ammissione al patrocinio
a spese dello Stato (pubblicato in GU n.186 del 12 agosto 2015) -
per essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato è necessario che il
richiedente sia titolare di un reddito annuo imponibile, risultante dall'ultima
dichiarazione, non superiore a euro 11.528,41. Se l'interessato convive con il
coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi
conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso
l'istante. Si tiene conto del
solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della
personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in
conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui
conviventi.
b) che la vittima abbia già esperito
infruttuosamente l'azione esecutiva nei confronti dell'autore del reato per
ottenere il risarcimento del danno dal soggetto obbligato in forza di sentenza
di condanna irrevocabile o di una condanna a titolo di provvisionale, salvo che
l'autore del reato sia rimasto ignoto;
Si deve
ricordare come, secondo il diritto processuale penale italiano, mentre il
risarcimento si riferisce alla violazione di specifici diritti soggettivi
determinata da una condotta illecita, l'indennizzo si configura esclusivamente
quale contributo di solidarietà per alleviare le conseguenze dell'azione
illecita, facendo così venire in rilievo il danno nella sua unica dimensione
oggettiva.
c) che la vittima non abbia
concorso, anche colposamente, alla commissione del reato ovvero di reati
connessi al medesimo, ai sensi dell'articolo 12 del codice di procedura penale[18];
d) che la vittima non sia stata
condannata con sentenza definitiva ovvero, alla data di presentazione della
domanda, non sia sottoposta a procedimento penale per uno dei reati di cui
all'articolo 407, comma 2, lettera a)[19],
del codice di procedura penale e per reati commessi in violazione delle norme
per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto;
e) che la vittima non abbia
percepito, per lo stesso fatto, somme erogate a qualunque titolo da soggetti
pubblici o privati.
Articolo
13
(Domanda di indennizzo)
L’articolo 13 inserito dal Senato
delinea la procedura per la presentazione della domanda di indennizzo.
La domanda deve essere presentata
dall'interessato o dagli aventi diritto in caso di morte della vittima del
reato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale e, a pena di
inammissibilità, nel termine di sessanta giorni dalla decisione che ha definito
il giudizio per essere ignoto l'autore del reato o dall'ultimo atto dell'azione
esecutiva infruttuosamente esperita.
La domanda deve essere corredata da una
serie di atti e documenti. In particolare alla domanda devono essere allegati:
a) copia della sentenza di condanna per
uno dei reati di cui all'articolo 11 ovvero del provvedimento decisorio che
definisce il giudizio per essere rimasto ignoto l'autore del reato;
È opportuno
osservare come l'obbligo di allegare copia della sentenza di condanna ovvero
del provvedimento decisorio che definisce il giudizio contro ignoti sembra
escludere la possibilità di ottenere il ristoro in altre frequenti situazioni
processuali, per le quali la vittima di reato non può vedere soddisfatto il
proprio diritto all'indennizzo dei danni derivati dal reato. In particolare un
caso è rappresentato dalle varie ipotesi di improcedibilità originaria
(mancanza o vizi delle condizioni di procedibilità o punibilità) o sopravvenuta
(intervento di cause di non punibilità che non incidano sull'accertamento di
merito relativo ai fatti oggetto dell'imputazione) per le quali il procedimento
o il processo si concludono con provvedimento che ha accertato il non doversi
procedere nei confronti dell'indagato o dell'imputato. Può essere ricondotta a
tale ipotesi il non infrequente caso del procedimento o del processo annullato
per vizi procedurali con la conseguente maturazione del termine di prescrizione
del reato.
b) documentazione attestante
l'infruttuoso esperimento dell'azione esecutiva per il risarcimento del danno
nei confronti dell'autore del reato;
c) dichiarazione sostitutiva
sull'assenza delle condizioni ostative di cui all'articolo 12, comma 1, lettere
d) ed e)[20];
d) certificazione medica attestante
le spese sostenute per prestazioni sanitarie oppure certificato di morte della
vittima del reato.
Articolo
14
(Fondo per l’indennizzo in favore delle
vittime)
L’articolo
14, inserito dal Senato, rinomina il
Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso,
delle richieste estorsive e dell'usura come “Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo
mafioso, delle richieste estorsive, dell'usura e dei reati intenzionali violenti”, attribuendo ad esso anche la
copertura degli indennizzi delle vittime dei reati di cui all’articolo 11 del
disegno di legge in esame (comma 1).
Il decreto-legge
n. 225 del 2010, come convertito dalla legge n.
10 del 2011, all'articolo 2, comma 6-sexies,
ha unificato nel Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati
di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura i preesistenti Fondi:
Fondo di solidarietà alle vittime delle richieste estorsive e dell’usura,
istituito con D.P.R. n. 455 del 1999, con cui è stata attuata l’unificazione
dei preesistenti Fondo di Solidarietà per le vittime dell’usura e Fondo di
solidarietà per le vittime delle richieste estorsive, disciplinati
rispettivamente dalle leggi n. 108 del 1996 e n. 44 del 1999; Fondo di
rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, istituito
con legge n. 512 del 1999[21].
Per far fronte alle ulteriori
competenze, il disegno di legge stanzia in favore del Fondo un contributo
statale da corrispondersi a partire dal 2016 con cadenza annuale pari a 2.600.000
euro (comma 2).
Nel caso in cui le risorse stanziate
dovessero risultare insufficienti nell'anno di riferimento a soddisfare gli
aventi diritto, la disposizione prevede la possibilità per gli stessi di
accedere al Fondo in quota proporzionale e di integrare le somme non percepite
dal Fondo medesimo negli anni successivi, senza interessi, rivalutazioni ed
oneri aggiuntivi (comma 4).
La disposizione, al comma 3, riconosce il diritto di surroga del Fondo, quanto alle
somme corrisposte a titolo di indennizzo agli aventi diritto, nei diritti della
parte civile o dell'attore verso il soggetto condannato al risarcimento del
danno.
Ai sensi del comma 5 trovano applicazione, in quanto compatibili, le
disposizioni relative al procedimento di accesso al Fondo per il conseguimento
dei benefici spettanti alle vittime dei reati di tipo mafioso di cui al titolo
II del regolamento recante la disciplina del Fondo di rotazione per la
solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e
dell'usura, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 60 del 2014.
La disposizione demanda inoltre ad un successivo regolamento, da emanarsi ai
sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei
mesi dall'entrata in vigore della presente legge, l’adozione delle necessarie
modifiche al citato d.P.R.
Articolo
15
(Modifiche alle leggi 22 dicembre 1999,
n. 512, e 23 febbraio 1999, n. 44)
L’articolo 15, inserito dal Senato, reca
modifiche alla disciplina del Fondo di
rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, di cui
alla legge 22 dicembre 1999, n. 512,
e alle disposizioni relative al Fondo di
solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura, di cui
alle legge 23 febbraio 1999, n. 44.
In particolare, viene integrata la
denominazione e la composizione dei
Comitati di solidarietà previsti dai citati Fondi, nonché modificate le condizioni ostative all’accesso al
Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura.
Più
nel dettaglio il comma 1 interviene
sulla legge n. 512 del 1999, in
primo luogo sull’articolo 3, aggiungendo alla nomenclatura del Comitato di
solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso anche il riferimento ai
reati intenzionali violenti (lettera a)), e modificandone la
composizione, attraverso la previsione di due rappresentanti del Ministero
della giustizia (lettera b)).
Inoltre,
la lettera c) interviene sulle condizioni ostative all’accesso
al fondo di cui all'articolo 4, comma 3, impedendo l’accesso anche nel
caso in cui risultino escluse le condizioni di cui all'articolo 1, comma 2,
lettera b), della
legge 20 ottobre 1990, n. 302[22]. Il comma 3 stabilisce che tale ultima disposizione trova applicazione
anche con riguardo alle istanze non ancora definite all’entrata in vigore della
presente legge.
Il comma 2 della disposizione in esame interviene,
invece, sulla legge n. 44 del 1999 (articolo
19) integrando la composizione del
Comitato di solidarietà per le vittime dell'estorsione e dell'usura anche con
un rappresentante del Ministero della giustizia.
Articolo
16
(Disposizioni finanziarie)
L’articolo
16, inserito dal Senato, reca la copertura finanziaria, prevedendo per l'attuazione
delle disposizioni relative al Fondo - di cui all’articolo 14 del disegno di
legge - un’autorizzazione di spesa di euro 2.600.000 a decorrere dall'anno 2016
cui si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo
speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2015 -
2017, nell'ambito del programma "Fondi di riserva e speciali" della
missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero
dell'economia e delle finanze per l'anno 2015, allo scopo parzialmente
utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia.
Il Ministro dell'economia e delle
finanze è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le occorrenti
variazioni di bilancio.
Articolo
17
(Iscrizione nel Registro internazionale
italiano di navi in regime di temporanea dismissione di bandiera comunitaria)
L’articolo 17 consente l’iscrizione nel registro internazionale
italiano delle navi in regime di
temporanea dismissione di bandiera anche per le navi che appartengono a soggetti comunitari.
Si modifica a
tal fine l’articolo 1 del D.L.
n. 457 del 1997, che ha istituito il “Registro internazionale”: si tratta del
registro nel quale sono iscritte le navi
adibite esclusivamente a traffici commerciali internazionali.
Il Registro
internazionale, in base al citato comma 2, è diviso in tre sezioni nelle quali
sono iscritte, su specifica autorizzazione del Ministero dei trasporti e della
navigazione:
a)
le navi che appartengono a soggetti italiani o di altri Paesi dell'Unione
europea;
b)
le navi che appartengono a soggetti non comunitari;
c)
le navi che appartengono a soggetti non
comunitari, in regime di sospensione da un registro straniero non
comunitario, ai sensi del comma secondo dell'articolo 145 del codice della
navigazione, a seguito di locazione a
scafo nudo (in cui l’oggetto del
contratto è solo la nave con le sue pertinenze, senza quindi i contratti di
arruolamento del personale e e dei beni necessari al viaggio) a soggetti
giuridici italiani o di altri Paesi dell'Unione europea.
La
disposizione in commento modifica in
particolare la lettera c) del comma 2 aggiungendo all’elenco anche le
navi che appartengano a soggetti comunitari, e che siano in regime di sospensione da un registro,
specificando altresì che tale registro, oltre che non comunitario, possa anche essere comunitario.
L’intervento è
pertanto volto, come segnalato anche nella relazione illustrativa, ad evitare possibili discriminazioni tra navi di bandiera extracomunitaria e navi di bandiera comunitaria a scapito
di queste ultime.
Si ricorda che
l'autorizzazione del MIT è
rilasciata tenuto conto degli appositi contratti collettivi sottoscritti dalle
organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore e
che non possono comunque essere iscritte nel Registro internazionale le navi da
guerra, le navi di Stato in servizio non commerciale, le navi da pesca e le
unità da diporto. Le navi iscritte nel Registro internazionale non possono
inoltre effettuare servizi di cabotaggio per i quali è operante la riserva di
cui all'articolo 224 del codice della navigazione, salvo che per le navi da
carico di oltre 650 tonnellate di stazza lorda e nei limiti di un viaggio di
cabotaggio mensile, quando il viaggio di cabotaggio segua o preceda un viaggio
in provenienza o diretto verso un altro Stato , se si osservano i criteri di
cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c). Tali navi possono
effettuare servizi di cabotaggio nel limite massimo di sei viaggi mensili, o
viaggi, ciascuno con percorrenza superiore alle cento miglia marine se
osservano i criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), e comma
1 -bis .
Si ricorda
inoltre che il D.Lgs
n. 344 del 2003 ha introdotto un regime agevolato
di determinazione forfetaria del reddito per le imprese marittime (c.d. Tonnage tax) che si applica al reddito
derivante dall’utilizzo in traffico internazionale delle navi, con un
tonnellaggio superiore alle 100 tonnellate di stazza netta, iscritte nel
Registro internazionale.
Si segnala che
l’articolo 24 del disegno di legge in commento interviene sulla c.d. Tonnage
Tax (cfr. la relativa scheda).
Si ricorda
infine che l’art. 3 della legge
n. 172 del 2003 (Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto
e del turismo nautico), consente anche l’iscrizione nel Registro
delle navi con scafo di lunghezza superiore a 24 metri e comunque di stazza
lorda non superiore alle 1.000 tonnellate, adibite in navigazione
internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche.
L’art. 60 del
D.L. n. 1 del 2012 ha inoltre previsto che sia consentito alle navi da diporto non battenti bandiera
nazionale o comunitaria di permanere stabilmente in ambito nazionale senza
dover procedere alla dismissione di bandiera ed alla conseguente iscrizione nei
registri nazionali.
Sul tema della
nautica da diporto è stata recentemente approvata la legge 7 ottobre 2015, n. 167, di delega di riforma del codice della nautica da
diporto che prevede, tra l’altro, che si proceda alla semplificazione della
procedura amministrativa per la dismissione di bandiera per le unità da
diporto.
Articolo
18
(Disposizioni sanzionatorie per i gestori
delle infrastrutture, per le imprese ferroviarie e per gli operatori del
settore nei casi di inosservanza delle norme e delle raccomandazioni
dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie)
L’articolo 18, introduce sanzioni nei casi di inosservanza delle prescrizioni
dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF) da parte
delle imprese ferroviarie, dei gestori delle infrastrutture e degli operatori
di settore.
Il comma 1, stabilisce in particolare
l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie da 5.000 a 20.000 euro per
gli operatori ferroviari nel caso di inosservanza di prescrizioni dell'ANSF
relative a:
a) gestione della circolazione
ferroviaria, funzionamento e manutenzione degli
elementi del sistema ferroviario;
b) requisiti e qualificazione del
personale impiegato nella sicurezza della
circolazione ferroviaria;
c) certificati di sicurezza
richiesti alle imprese per l’accesso all’infrastruttura ferroviaria e le autorizzazioni di sicurezza richieste
ai gestori dell’infrastruttura.
Il comma 2 dispone, sempre per gli
operatori ferroviari, che nel caso di inosservanza da parte degli operatori ferroviari degli obblighi di
fornire assistenza tecnica, informazione e documentazione, la sanzione
amministrativa pecuniaria va da 1.000 a 4.000 €.
Per l’accertamento e l’irrogazione delle
sanzioni da parte dell’Agenzia, il comma
3 prevede che si applichino le disposizioni della legge n. 689 del 1981 (capo I, sezione I e II) e che a tal fine
l’Agenzia possa stipulare un’apposita convenzione con il Dipartimento Pubblica
sicurezza del Ministero dell’Interno.
La legge
24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale, norma fondamentale in tema di illeciti
amministrativi, stabilisce che la sanzione
amministrativa pecuniaria consiste "nel pagamento di una somma di
denaro non inferiore a 6 euro e non superiore a 10.329 euro", tranne che
per le sanzioni proporzionali, che non hanno limite massimo; nel determinarne
l'ammontare, l'autorità amministrativa deve valutare la gravità della
violazione, l'attività svolta dall'autore per eliminare o attenuarne le
conseguenze, le sue condizioni economiche e la sua personalità (artt. 10 e 11).
L'applicazione
della sanzione avviene secondo il seguente schema:
- accertamento, contestazione-notifica al
trasgressore;
- pagamento in misura ridotta o inoltro
di memoria difensiva all'autorità amministrativa;
-
archiviazione o emanazione di ordinanza
ingiunzione di pagamento da parte dell'autorità amministrativa;
- eventuale opposizione all'ordinanza ingiunzione
davanti all'autorità giudiziaria (giudice di pace o tribunale);
- accoglimento
dell'opposizione, anche parziale, o rigetto (sentenza ricorribile per
cassazione);
- eventuale
esecuzione forzata per la riscossione delle somme.
Dal punto di
vista procedimentale, occorre innanzitutto che la sanzione sia accertata dagli organi di controllo
competenti o dalla polizia giudiziaria (art. 13). La violazione dev'essere
immediatamente contestata o comunque
notificata al trasgressore entro 90 giorni (art. 14); entro i successivi 60
giorni l'autore può conciliare pagando una somma
ridotta pari alla terza parte del massimo previsto o pari al doppio del
minimo (cd. oblazione amministrativa o pagamento in misura ridotta, art. 16).
In caso contrario, egli può, entro 30 giorni, presentare scritti difensivi
all'autorità competente; quest'ultima, dopo aver esaminato i documenti e le
eventuali memorie presentate, se ritiene sussistere la violazione contestata
determina l'ammontare della sanzione con ordinanza motivata e ne ingiunge il
pagamento (cd. ordinanza-ingiunzione, art. 18).
Entro 30
giorni dalla sua notificazione l'interessato può presentare opposizione all'ordinanza ingiunzione
(che, salvo eccezioni, non sospende il pagamento), inoltrando ricorso al
giudice di pace (art. 22, 22-bis); fatte salve le diverse competenze stabilite
da disposizioni di legge, l'opposizione si propone, invece, davanti al
tribunale ratione materiae (materia
di lavoro, edilizia, urbanistica ecc.) o per motivi di valore o di natura della
sanzione (sanzione superiore nel massimo a 15.493 euro o applicazione di
sanzione non pecuniaria, sola o congiunta a quest'ultima, fatta eccezione per
violazioni previste da specifiche leggi speciali): l'esecuzione
dell'ingiunzione non viene sospesa e il giudizio che con esso si instaura si
può concludere o con un'ordinanza di convalida del provvedimento o con sentenza
di annullamento o modifica del provvedimento. Il giudice ha piena facoltà
sull'atto, potendo o annullarlo o modificarlo, sia per vizi di legittimità che
di merito.
In caso di
condizioni economiche disagiate del trasgressore, l'autorità che ha applicato
la sanzione può concedere la rateazione
del pagamento (art. 26)
Decorso il
termine fissato dall'ordinanza ingiunzione, in assenza del pagamento,
l'autorità che ha emesso il provvedimento procede alla riscossione delle somme
dovute con esecuzione forzata in
base alle norme previste per l'esazione delle imposte dirette (art. 27). Il
termine di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie è di 5 anni
dal giorno della commessa violazione (art. 28).
Nel caso di
pregiudizio alla sicurezza del sistema ferroviario viene consentito all’Agenzia
di adottare misure cautelari di sospensione totale o parziale dell’efficacia
del titolo o inibire la circolazione dei veicoli o l’utilizzo del personale
fino alla cessazione delle condizioni che hanno arrecato il pregiudizio.
Il comma 4, prevede che il personale dell’ANSF incaricato degli
accertamenti assuma la qualifica di pubblico
ufficiale nell’esercizio di tali funzioni. Il comma prevede altresì la clausola di invarianza finanziaria, in
base alla quale modifica avvenga senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nell'ambito delle risorse
umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente.
Anche per le
procedure conseguenti all’accertamento delle violazioni , le impugnazioni e la tutela giurisdizionale
e per la riscossione delle sanzioni
i commi 5 e 6 rinviano
all’applicazione della legge n. 689/1981. I proventi delle sanzioni sono
devoluti allo Stato (comma 7).
Si ricorda che
l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie è stata istituita
dall’articolo 4 del D.Lgs. 10 ottobre 2007, n. 162, in attuazione della direttiva 2004/49/UE,
con compiti di garanzia della sicurezza
del sistema ferroviario nazionale. I DPR n. 34/2009 e n. 35/2009,
rispettivamente recano lo statuto e il regolamento di organizzazione dell'Agenzia
nazionale per la sicurezza delle ferrovie. Essa ha sede a Firenze ed è dotata di personalità giuridica ed è indipendente, sul piano organizzativo,
giuridico e decisionale, da qualsiasi impresa ferroviaria, gestore
dell'infrastruttura, soggetto richiedente la certificazione ed ente appaltante.
E’ sottoposta alla vigilanza del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Tra i compiti
dell’Agenzia ricordiamo:
· la
definizione del quadro normativo in materia di sicurezza, l’emanazione delle
norme tecniche e degli standard di sicurezza e la vigilanza sulla loro
applicazione;
· l’autorizzazione
alla messa in servizio del materiale rotabile e dei sottosistemi di natura
strutturale costitutivi del sistema ferroviario;
· l’istituzione
e l’aggiornamento del registro di immatricolazione nazionale del materiale
rotabile autorizzato ad essere messo in servizio;
· il
compimento di studi, ricerche e approfondimenti in materia di sicurezza del
trasporto ferroviario;
· la
formulazione di direttive e raccomandazioni in materia di sicurezza, nei
confronti dei gestori delle infrastrutture e delle imprese ferroviarie;
· la
collaborazione con l'Agenzia ferroviaria europea, per lo sviluppo di obiettivi
e di metodi comuni di sicurezza per consentire una progressiva armonizzazione
delle norme nazionali.
In base all’
art. 12 l'Agenzia nazionale per la
sicurezza delle ferrovie, provvede
affinché gli standard e le norme
nazionali di sicurezza siano pubblicate in un linguaggio chiaro e accessibile
agli interessati e messe a disposizione di tutti i gestori dell'infrastruttura,
delle imprese ferroviarie, di chiunque richieda un certificato di sicurezza e
di chiunque richieda un'autorizzazione di sicurezza. Il D.L. n. 69 del 2013 (art.
24, comma 3-bis), modificando l'articolo 12 del decreto
legislativo n. 162 del 2007 (attuazione alle direttive 2004/49/CE e 2004/51/CE
sulla sicurezza e lo sviluppo delle ferrovie comunitarie), ha previsto in
particolare che le modifiche apportate
dall’Agenzia agli standard ed alle norme di sicurezza nazionali non possano prescrivere livelli di
sicurezza diversi da quelli minimi definiti dagli obiettivi minimi di sicurezza
CST se non sono accompagnate da una stima dei sovra costi necessari e da
una analisi di sostenibilità economica e finanziaria per il gestore dell'infrastruttura e per le imprese ferroviarie,
corredata da stime ragionevoli anche in termini di relativi tempi di
attuazione.
Sono organi
dell'Agenzia:
· il
direttore, nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previa
deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti. Dura in carica tre anni;
· il
comitato direttivo, composto dal direttore, che lo presiede, e da
quattro dirigenti dei principali settori di attività dell'Agenzia. I membri del
comitato, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su
proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, durano in carica
tre anni; i componenti del Comitato direttivo sono stati nominati con DPCM 12 febbraio 2014;
· il
collegio dei revisori dei conti, costituito dal presidente, da due
componenti effettivi e da due supplenti, che durano in carica tre anni e che
sono rinnovabili una sola volta. I componenti del collegio sono nominati con
decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, su designazione,
limitatamente al presidente, del Ministro dell'economia e delle finanze.
L’ANSF
predispone un Rapporto annuale al
Parlamento sulla sicurezza delle ferrovie italiane e sull’attività svolta
dall’Agenzia, in base all’art. 7, comma 4 del d.lgs. n. 162/2007. A gennaio
2015 è stato presentato il Rapporto relativo all’anno 2013 (DOC
CLXXX, n. 2).
Documenti
all’esame delle istituzioni dell’UE
E’ stata di
recente approvata la direttiva
(UE) 2016/798 che fissa il nuovo quadro normativo comune per la sicurezza
ferroviaria, modificando la precedente
direttiva 2004/49/CE.
L’intervento
normativo era previsto nell’ambito del quarto pacchetto ferroviario, presentato
nel 2013 con l’obiettivo di eliminare gli ostacoli di carattere tecnico,
amministrativo e giuridico che ancora si frappongono al completamento dello spazio ferroviario europeo unico.
Le modifiche
intervengono tra l’altro per:
chiarire il ruolo e le responsabilità degli attori
della catena ferroviaria;
introdurre un certificato di sicurezza unico per
rendere il sistema ferroviario più efficace ed efficiente grazie alla riduzione
degli oneri amministrativi a carico delle imprese ferroviarie;
riconoscere un
nuovo ruolo alle autorità nazionali di
sicurezza e ridistribuire le
responsabilità tra tali autorità e l’Agenzia ferroviaria europea;
definire principi
comuni per la gestione della sicurezza;
dettare specifiche disposizioni in materia di
indagini sugli incidenti ferroviari.
Articolo
19
(Disposizioni relative alla tassazione
dei veicoli di studenti europei in Italia. Caso EU Pilot 7192/14/TAXU)
L'articolo 19 modifica il Testo unico
delle leggi sulle tasse automobilistiche (decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953, n. 39)
al fine di renderlo compatibile con la direttiva 83/182/CEE. Gli studenti vengono esentati da imposte e
tasse per l'utilizzo in Italia di veicoli immatricolati nello Stato dell’Unione
europea o dello Spazio economico europeo in cui risiedono abitualmente, a
condizione che con lo Stato medesimo sussista un adeguato scambio di
informazioni.
La direttiva
del Consiglio del 28 marzo 1983 prevede franchigie al regime fiscale per
l'importazione temporanea, in provenienza da uno Stato membro, di alcuni mezzi
di trasporto ad uso privato o professionale. Si vogliono così rimuovere
ostacoli alla libera circolazione dei residenti all'interno dell'Unione.
A titolo di esempio, la direttiva si applica ad autoveicoli a motore
(compresi i rimorchi), roulottes da
campeggio, imbarcazioni da diporto ed aerei da turismo (articolo 1).
L'articolo 5
("Casi particolari di importazione temporanea di veicoli da turismo")
disciplina espressamente la fattispecie dei veicoli utilizzati da studenti e
immatricolati nello Stato membro in cui gli studenti medesimi risiedono
normalmente. L'importazione temporanea nello Stato membro in cui essi
soggiornano al solo scopo di proseguirvi gli studi comporta l'applicazione di
una franchigia sia dalle imposte sui consumi che dalla tassa sulla circolazione
degli autoveicoli.
La Corte di giustizia dell'Unione
europea (caso C-249/84) ha, inoltre,
affermato che l'applicazione della franchigia è indipendente dall'eventuale
circostanza che lo studente sia coniugato con un cittadino dello Stato membro
in cui egli compie gli studi.
Il Capo III
("Delle esenzioni", articoli 17-20) del Testo unico delle leggi sulle
tasse automobilistiche non contiene alcun riferimento al caso degli studenti
dell'Unione europea che utilizzano in Italia un veicolo immatricolato nello
Stato membro in cui risiedono abitualmente. È prevista una generica esenzione
dal pagamento della tassa di circolazione di durata trimestrale per autoveicoli
in importazione temporanea, subordinata alla condizione della reciprocità di
trattamento (articolo 18). Decorso tale periodo di franchigia, la possibilità
di circolazione è condizionata, per soli ulteriori nove mesi, al pagamento di
un importo pari ad un dodicesimo della tassa annuale per ciascun mese di
soggiorno (articolo 8, comma 1).
La Commissione
europea ha segnalato al Governo italiano l'incompatibilità della normativa
italiana con quella dell'Unione, aprendo il caso EU Pilot 7192/14/TAXU.
L'articolo 19
del disegno di legge in esame propone dunque la modifica di alcune norme del
decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953, n. 39, proprio al fine
di evitare l'apertura di una procedura formale di infrazione a carico
dell'Italia.
Si propongono,
in particolare, le seguenti modifiche al testo unico delle leggi sulle tasse
automobilistiche:
1)
l'esclusione dalla clausola di
reciprocità di cui all'articolo 8 per i veicoli immatricolati in uno Stato
membro dell'Unione europea o aderente all'Accordo sullo spazio economico
europeo (SEE) "con il quale sussiste un adeguato scambio di
informazioni" (comma 1, lettera a), n. 1). Come infatti sottolineato
dal Governo nella relazione illustrativa del testo governativo originariamente
presentato presso il Senato della Repubblica (A.S. 2228), "l'applicazione
di tale condizione non appare legittima (...) poiché in contrasto con gli
obiettivi di promuovere la libera circolazione delle persone e delle merci
all'interno dell'Unione e di prevenire casi di doppia imposizione";
2)
l'esenzione esplicita dal
pagamento della tassa automobilistica, per l'intero periodo del corso di studi
svolto in Italia, del veicolo da turismo utilizzato da uno studente che lo
abbia immatricolato nello Stato membro dell'Unione europea o aderente
all'Accordo sullo spazio economico europeo (SEE), con cui sussista un adeguato
scambio di informazioni, in cui egli risieda abitualmente (comma 1, lettera a), n. 2);
3)
la puntualizzazione,
nell'articolo 18 (esenzione trimestrale per autoveicoli in temporanea
importazione), che la condizione di reciprocità di trattamento non è
applicabile agli Stati membri dell'Unione europea e aderenti all'Accordo sullo
Spazio economico europeo con cui sussiste un adeguato scambio di informazioni (comma 1, lettera b)).
Articolo
20
(Esenzioni a favore dei veicoli per il
trasporto di merci temporaneamente importate dall'Albania in esecuzione
dell'accordo di stabilizzazione e di associazione con l'Unione europea)
L'articolo 20 dispone la cancellazione del diritto fisso e della
tassa di circolazione per gli autotrasportatori albanesi. Tali oneri sono
infatti considerati incompatibili con l'Accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità
europee ed i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Albania,
dall'altra, concluso a Lussemburgo il 12 giugno 2006, e ratificato in Italia
con legge
7 gennaio 2008, n. 10.
L'articolo 59 dell'Accordo di stabilizzazione e di
associazione disciplina la prestazione dei servizi di trasporto tra l'Unione europea e l'Albania, con
riferimento sia ai trasporti terrestri
che a quelli marittimi internazionali.
Con particolare riferimento ai trasporti terrestri, si afferma la volontà di
garantire "un traffico di transito stradale illimitato attraverso
l'Albania e la Comunità intesa globalmente, l'effettiva applicazione del
principio di non discriminazione e la progressiva armonizzazione della normativa
albanese in materia di trasporti con quella della Comunità".
Le norme
applicabili alle relazioni tra le parti sono dettagliate nel Protocollo 5,
interamente dedicato alla promozione della cooperazione nei trasporti
terrestri, con particolare riferimento al traffico di transito. In particolare,
l'articolo 13 pone il principio del carattere non discriminatorio di imposte,
pedaggi e altri oneri applicati ai veicoli stradali delle Parti contraenti
(par. 1).
Il
mantenimento degli oneri italiani vigenti potrebbe presentare profili di
incompatibilità con gli accordi tra Albania ed Unione europea. Nella relazione
illustrativa del disegno di legge governativo originariamente presentato (S.
2228), il Governo fa riferimento a richieste
formali di chiarimento indirizzate dalla Commissione europea all'Italia, che
potrebbero sfociare nell'apertura di una procedura di infrazione.
Il diritto fisso per gli autoveicoli e i
rimorchi adibiti al trasporto di cose, importati temporaneamente in Italia ed
appartenenti a persone residenti stabilmente all'estero, è stato istituito
dalla legge 28
dicembre 1959, n. 1146.
Il comma 1 del testo in esame apporta
alcune modifiche alla legge
7 gennaio 2008, n. 10, con cui è stato ratificato ed è
stata data esecuzione in Italia al citato accordo di stabilizzazione e
associazione tra Albania ed Unione europea.
In particolare
vengono aggiunte le seguenti disposizioni:
1)
un nuovo
articolo 2-bis, in virtù del quale il
Ministero dell'economia e delle finanze potrà, con propri decreti, esentare
dalle tasse automobilistiche e dal diritto fisso i trattori stradali, gli
autocarri ed i relativi rimorchi adibiti a trasporti internazionali di cose.
L'esenzione opererà per i veicoli importati temporaneamente dall'Albania ed
appartenenti a persone stabilmente residenti in quel paese (comma 1, lettera a).
Per
l'adozione dei decreti il comma 2
dell'articolo 20 pone il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore del disegno di legge in esame;
L'introduzione
di tali esenzioni è compatibile con l'articolo 2 della citata legge 28 dicembre
1959, n. 1146, la quale prevede che "in esecuzione di accordi intervenuti
con altri Governi, o di convenzioni internazionali oppure quando sussista
reciprocità di trattamento tributario o per esigenze dei traffici, possono
essere concesse esenzioni o riduzioni dal pagamento del diritto fisso (...) con
decreto del Ministro per le finanze d'intesa con quello per i trasporti".
L'articolo 2
della legge 12 dicembre 1973, n. 820 (Modificazioni in
materia di tasse automobilistiche), prevede a sua volta che "in esecuzione
di accordi intervenuti con altri Stati o di convenzioni internazionali oppure
quando sussista reciprocità di trattamento tributario o per esigenze dei
traffici, con decreto del Ministro per le finanze, possono essere concesse
esenzioni o riduzioni dal pagamento delle tasse automobilistiche (...) a favore
degli autoveicoli e rimorchi appartenenti a persone residenti stabilmente
all'estero e temporaneamente importati in Italia".
La relazione illustrativa del citato A.S. 2228
specificava anche che "l'adozione dei decreti agevolativi in questione
(...) permette di eliminare una distorsione dei traffici commerciali segnalata
dall'autorità portuale di Ancona consistente nel fatto che gli
autotrasportatori albanesi preferiscano transitare per il porto di Trieste ove
in base ad un decreto del 1960 non è dovuto il diritto fisso di
importazione".
2)
un nuovo
comma 1-bis all'articolo 3 per la
copertura finanziaria delle minori entrate derivanti dall'abolizione delle
tasse automobilistiche e del diritto fisso (comma 1, lettera b)). Il relativo onere è stato valutato
dal Governo in euro 3.398.072,52 annui a decorrere dal 2016. Per farvi fronte,
si dispone la corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di
politica economica.
Il Fondo per
interventi strutturali di politica economica è stato istituito dal decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, recante "Disposizioni urgenti in materia di
finanza pubblica", convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre
2004, n. 307. L'articolo 10, comma 5, ne prevede l’istituzione nello stato di
previsione del Ministero dell'economia e delle finanze "al fine di
agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante
interventi volti alla riduzione della pressione fiscale".
L'articolo 21, modificato durante l’esame
al Senato, innalza dal 4 al 5 per
cento l'aliquota IVA applicabile alle cessioni
di basilico, rosmarino e salvia freschi, destinati all'alimentazione. Viene ridotta
dal 10 al 5 per cento l’aliquota
applicabile alla cessione di piante
allo stato vegetativo di basilico,
rosmarino e salvia. Viene altresì ridotta
dal 22 al 5 per cento l’IVA sull’origano a rametti o sgranato.
Nella
formulazione originaria della norma proposta, le modifiche all’aliquota
riguardavano solo la cessione di basilico, rosmarino e salvia freschi,
destinati all’alimentazione, con un innalzamento della tassazione dal 4 al 10
per cento.
L’innalzamento
dell’aliquota al 5 per cento è finalizzata alla chiusura del caso EU Pilot 7292/15/TAXU, nell'ambito del
quale la Commissione europea ha rilevato l'incompatibilità con l'ordinamento
dell'Unione europea del numero 12-bis)
della tabella A, parte II, allegata al decreto
del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
In base a tale disposizione, alle cessioni in questione viene applicata
l'aliquota super-ridotta del 4 per cento, in violazione dell'articolo 110 della
direttiva 2006/112/CE, che consente di mantenere le aliquote inferiori al 5 per
cento per le sole operazioni che al 1º gennaio 1991 già godevano di tale
beneficio.
La violazione
è stata rilevata alla luce della circostanza che il numero 12-bis) è stato introdotto in data
successiva al 1º gennaio 1991, in particolare con l'articolo 6, comma 7,
lettera b), della legge 13 maggio
1999, n. 133.
Pertanto,
al fine di evitare l'apertura di una procedura d'infrazione, il comma 1 dell’articolo in commento in
primo luogo abroga il numero 12-bis) della tabella A, parte II,
allegata al DPR n. 633 del 1972 (lettera
a)).
La
lettera b) del comma 1 inserisce un
nuovo n. 1-bis) nella tabella A,
parte II-bis allegata al medesimo
decreto, che reca l’elenco dei beni e servizi assoggettati ad aliquota IVA
ridotta al 5 per cento.
In
tal modo, tra i beni sottoposti alla predetta aliquota del 5 per cento sono ricompresi
il basilico, il rosmarino e la
salvia freschi, destinati
all'alimentazione (attualmente sottoposti ad aliquota del 4 per cento),
destinati all'alimentazione nonché
le piante allo stato vegetativo di basilico, rosmarino e salvia (attualmente
sottoposte ad aliquota del dieci per cento, cfr. infra).
E’
introdotto nel novero dei beni
sottoposti ad aliquota IVA del 5 per
cento anche l’origano a rametti o
sgranato, attualmente sottoposto ad aliquota IVA ordinaria (22 per cento).
In merito alla
Tabella A, parte II-bis del D.P.R. n.
633 del 1972, si ricorda che essa è stata istituita dalla legge di stabilità
2016 (articolo 1, commi 960-963 della legge
n. 208 del 2015) che ha contestualmente fissato
una nuova aliquota ridotta dell’IVA al 5 per cento, assoggettandovi le
prestazioni socio-sanitarie ed educative rese da cooperative sociali e loro
consorzi, in precedenza sottoposte ad aliquota del 4 per cento.
Più in
dettaglio il comma 960,
modificando l’articolo 16 del DPR n. 633 del 1972, oltre a confermare
l'aliquota ordinaria dell'imposta nella misura del 22 per cento, ha fissato le
aliquote ridotte nel quattro, cinque e dieci per cento con riferimento alle
operazioni aventi per oggetto i beni e servizi elencati, rispettivamente, nella
parte II, nella parte II-bis e nella
parte III della tabella A, salvo quanto previsto dall'articolo 34, in tema di
regime speciale per i produttori agricoli.
La
lettera c) del comma 1
prevede l’abrogazione del numero 38-bis) della tabella A, parte III, allegata
allo stesso decreto, che sottopone le cessioni di piante di basilico, rosmarino
e salvia all’aliquota del 10 per cento.
Le aliquote IVA
L’IVA è
un’imposta completamente armonizzata a livello di Unione europea, disciplinata
dalla direttiva
2006/112/CE (direttiva IVA), che ha istituito il
Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto. In materia di aliquote,
l’articolo 97 della direttiva stabilisce che l’aliquota normale d’imposta
fissata da ciascun Paese membro non può essere, fino al 31 dicembre 2015, inferiore
al 15 per cento. Tale aliquota viene fissata da ciascuno Stato membro ad una
percentuale della base imponibile che è identica per le cessioni di beni e per
le prestazioni di servizi (articolo 96).
Gli
articoli 98 e 99 consentono agli Stati membri la facoltà di applicare una o due aliquote ridotte. Tale
facoltà è ammessa esclusivamente per le cessioni di beni e le prestazioni di
servizi delle categorie individuate nell’allegato III della direttiva. Le
aliquote ridotte non si applicano ai servizi forniti per via elettronica. In
ogni caso, la misura dell’aliquota ridotta non
può essere inferiore al 5 per cento.
Unica eccezione al limite minimo
dell'aliquota al 5 per cento è prevista dall'art. 110 della direttiva, in base
al quale gli Stati membri che al 1° gennaio 1991 applicavano aliquote ridotte
inferiori al minimo prescritto sono autorizzati a mantenerle se le stesse sono
conformi alla legislazione comunitaria e sono state adottate per ragioni di
interesse sociale ben definite e a favore dei consumatori finali.
In Italia, le aliquote IVA sono
disciplinate dall’articolo 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante
l’istituzione e la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto. Nel dettaglio,
accanto all’aliquota normale (pari al 22 per cento) si prevede un’aliquota
ridotta del 10 per cento (che può essere modificata in aumento o in diminuzione
per tutti i beni interessati) e un’aliquota
“super-ridotta” del 4 per cento (che non può essere modificata in quanto
oggetto di deroga specifica al momento della emanazione della prima direttiva
IVA) per le operazioni aventi per oggetto i beni e i servizi elencati nella
Tabella A allegata al citato D.P.R. n. 633. In particolare, nella parte III
della Tabella A vi è l’elenco dettagliato dei beni e dei servizi assoggettati
ad aliquota del 10 per cento. La parte II della Tabella A reca invece l’elenco
dettagliato dei beni e dei servizi assoggettati ad aliquota del 4 per cento.
Come
ricordato sopra, la legge di stabilità 2016 ha istituito (comma 960) una nuova aliquota ridotta dell’IVA pari 5 per cento, compatibile con il
diritto dell’Unione europea
La Corte di Giustizia dell'Unione europea
ha elaborato un orientamento
estremamente restrittivo circa la possibilità per gli Stati di estendere
l'ambito di applicazione delle aliquote super-ridotte a fattispecie non
contemplate al 1° gennaio 1991 (caso C-462/05, Commissione c. Portogallo; caso
C-240/05, Eurodental; caso C-169/00,
Commissione c. Finlandia). La Corte ha inoltre affermato che uno Stato che
abbia deciso di escludere determinate operazioni dall'aliquota Iva
super-ridotta, riconducendole alle aliquote ordinarie o ridotte, non può più
applicare a queste operazioni l'aliquota super-ridotta, pena la violazione del
diritto comunitario (caso C-119/11, Commissione c. Francia; caso C-462/05,
Commissione c. Portogallo; caso C-414/97, Commissione c. Spagna; caso C-74/91,
Commissione c. Germania).
Gli
Stati membri possono, a determinate condizioni, essere autorizzati ad
introdurre misure di deroga per semplificare la riscossione dell'IVA o evitare
frodi o evasioni fiscali ovvero, previa consultazione del comitato IVA, ad
applicare un'aliquota ridotta alle forniture di gas naturale, energia elettrica
o teleriscaldamento (articolo 102). Nel secondo considerando della direttiva
2009/47/CE – che ha ampliato l’ambito delle cessioni di beni e delle
prestazioni di servizi che possono essere assoggettate ad aliquota ridotta - si
chiarisce che l’applicazione di aliquote ridotte ai servizi prestati localmente
non pone problemi per il buon funzionamento del mercato interno e può, in
presenza di determinate condizioni, produrre effetti positivi in termini di
creazione di occupazione e di lotta all’economia sommersa.
Il comma 2 quantifica gli oneri derivanti dalle norme introdotte
in 135.000 euro a decorrere
dall'anno 2016, disponendo che si provveda provvede mediante corrispondente
riduzione del Fondo per il recepimento
della normativa europea, disciplinato dall'articolo 41-bis della
legge 24 dicembre 2012, n. 234.
Procedure di
contenzioso
La
Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 7292/15/TAXU, contesta all’Italia la violazione
dell'articolo 110 della direttiva
2006/112/CE, in base al quale gli Stati membri possono mantenere aliquote
ridotte, inferiori all'aliquota minima del 5%, se esse erano già applicate al 1° gennaio 1991.
Ad avviso
della Commissione, la violazione consisterebbe nell’aver introdotto il 13 maggio 1999, con l'aggiunta del
numero 12-bis alla tabella A, parte II, allegata al DPR 633/72, un’aliquota IVA super ridotta del 4% per basilico, rosmarino e salvia freschi,
destinati all'alimentazione (art. 6, comma 7, lettera b) della legge
13 maggio 1999, n. 133. "Disposizioni in materia
di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale").
La modifica
introdotta dal Governo è dunque volta a sanare la violazione contestata,
abrogando l’aliquota super ridotta per le piante aromatiche sopra richiamate e assoggettandole
all’aliquota del 5%.
Articolo
22
(Modifiche all'aliquota IVA applicabile
ai preparati per risotto. Caso EU Pilot 7293/15/TAXU)
L'articolo 22 innalza dal 4 al 10 per
cento l'aliquota IVA applicabile
alle cessioni di preparazioni alimentari a base di riso (cosiddetti preparati per risotti) classificate
alla voce 21.07.02 della Tariffa doganale comune in vigore al 31 dicembre 1987,
attualmente alla voce 1904.9010 della Nomenclatura combinata vigente.
La norma è
finalizzata alla chiusura del caso EU
Pilot 7293/15/TAXU, nell'ambito del quale la Commissione europea ha
rilevato l'incompatibilità con l'ordinamento dell'Unione europea del numero 9)
della tabella A, parte II, allegata al decreto
del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633,
nella parte in cui prevede l'applicazione dell'aliquota super-ridotta del 4 per
cento ai prodotti in questione, ciò in violazione dell'articolo 110 della direttiva
2006/112/CE, che consente di mantenere le aliquote
inferiori al 5 per cento per le sole operazioni che al 1º gennaio 1991 già
godevano di tale beneficio.
La violazione
è stata rilevata alla luce della circostanza che il numero 9) sopra citato è
stato modificato, per prevedere l'applicazione di detta aliquota, in data
successiva al 1º gennaio 1991; in particolare, tale modifica è stata approvata
con l'articolo 4, comma 3, lettera a), del decreto-legge
2 ottobre 1995, n. 415, convertito, con modificazioni,
dalla legge
29 novembre 1995, n. 507.
Pertanto,
al fine di evitare l'apertura di una procedura d'infrazione, il comma 1 dell’articolo in commento prevede l'abrogazione della voce “ex 21.07.02”
introdotta al numero 9) della tabella A, parte II, allegata al DPR n. 633 del
1972, che consentiva l’applicazione dell’aliquota al 4 per cento ai preparati
per risotto.
A
seguito di tale abrogazione i prodotti in questione saranno assoggettati all'aliquota ridotta del 10 per cento per
effetto di quanto previsto al numero 80) della tabella A, parte III, allegata
al DPR n. 633 del 1972, che contempla le «preparazioni alimentari non nominate
né comprese altrove (v.d. ex 21.07)».
Si
segnala infine che l’articolo 6, comma 3, del disegno di legge in esame sulla
tassazione delle vincite da gioco provvede alla copertura dei relativi oneri
mediante destinazione di quota parte delle maggiori entrate derivanti
dall'applicazione della disposizione in commento.
Per una
descrizione dettagliata della disciplina delle aliquote IVA, come delineata dalla direttiva
2006/112/CE (direttiva IVA), si rinvia alla scheda
di lettura dell’articolo 21.
Procedure di
contenzioso
La
Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 7293/15/TAXU, contesta all’Italia la violazione
dell'articolo 110 della direttiva
2006/112/CE, in base al quale gli Stati membri possono mantenere aliquote
ridotte, inferiori all'aliquota minima del 5%, se esse erano già applicate al 1° gennaio 1991.
Secondo la
Commissione, l’Italia avrebbe violato la disposizione richiamata avendo
introdotto, con l’art. 4, comma 3, lettera a),
del decreto legge 2 ottobre 1995, n. 415 (convertito nella legge
29 novembre 1995, n. 507), un’aliquota IVA super ridotta del 4% applicabile alle cessioni di
preparazioni alimentari a base di riso (cd. “preparati per risotti”).
La modifica
introdotta dal Governo è dunque volta a sanare la violazione contestata,
abrogando l’aliquota super ridotta per i preparati per risotti e
assoggettandoli all’aliquota del 10%.
Articolo
23
(Disposizioni in materia di consorzi
agrari. Procedura di cooperazione n. 11/2010 per aiuti di Stato esistenti ai sensi
dell’articolo 17 del regolamento (CE) n. 659/1999)
L'articolo 23 è volto a sanare la
procedura di cooperazione in materia di aiuti di Stato n. 11/2010 riguardante
la concessione di presunti aiuti ai
consorzi agrari in Italia, nell'ambito della quale la Commissione europea
ha stabilito che le agevolazioni fiscali
di cui godono i consorzi agrari in virtù del riconoscimento operato, a
determinate condizioni, dall'articolo 9 della legge
23 luglio 2009, n. 99, quali società cooperative a
mutualità prevalente, costituiscono un
aiuto di Stato esistente.
Si rammenta
che, per le società cooperative a mutualità prevalente (purché aventi le
caratteristiche dell'articolo 2511 e seguenti del codice
civile, come modificati dalla riforma del
diritto societario del 2003) le imposte sui redditi si applicano solo su una
quota di utili netti annuali. In particolare (articolo 1, comma 460, della legge
n. 311 del 2004, come modificato dal D.L. 138
del 2011):
- per le
cooperative di consumo, la quota è del 65%;
- per le
cooperative agricole e della piccola pesca, la quota è del 20%
- per le altre
cooperative a mutualità prevalente, la quota è del 40%.
A tali quote
va aggiunto, per tutte le cooperative senza distinzione legata alla condizione
di prevalenza ovvero al settore di attività, un'ulteriore quota del 3%,
derivante dall'assoggettamento ad Ires del 10 % delle somme destinate alla
riserva minima obbligatoria delle cooperative, ossia il 30% degli utili annuali
(articolo 6, comma 1, del D.L. n. 63 del 2002, modificato dal D.L. 138 del
2011; in precedenza vi era una esenzione totale delle somme destinate alla
riserva minima obbligatoria).
L'articolo 9 della legge 23 luglio 2009, n.
99 ha consentito la costituzione dei consorzi agrari in società cooperative a mutualità prevalente ai sensi delle
disposizioni del codice civile citate, indipendentemente dal rispetto dei
criteri per la definizione della prevalenza stabiliti dall’articolo 2513,
qualora prevedano nei propri statuti: a)
il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all'interesse massimo
dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al
capitale effettivamente versato; b)
il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai
soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo
previsto per i dividendi; c) il
divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori; d) l'obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società,
dell'intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale sociale e i
dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo
sviluppo della cooperazione (articolo 2514).
Si ricorda che
ai sensi dell’articolo 2512 sono società cooperative a mutualità prevalente, in
ragione del tipo di scambio mutualistico, quelle che: 1) svolgono la loro
attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o
servizi; 2) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività,
delle prestazioni lavorative dei soci; 3) si avvalgono prevalentemente, nello
svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei
soci. Le società cooperative a mutualità prevalente si iscrivono in un apposito
albo, presso il quale depositano annualmente i propri bilanci.
La
Commissione europea non ha ritenuto che ricorrano le deroghe previste dall'articolo
107 del TFUE e, in particolare, dei paragrafi 2 e 3,
lettere a), c), d), e, per tale ragione, ha dato avvio alla procedura di
cooperazione n. 11/2010, a norma dell'articolo 17 del regolamento
(CE) n. 659/1999 del Consiglio, intesa alla
revisione del regime di aiuti a favore dei consorzi agrari.
L’articolo
107, paragrafo 1 del TFUE stabilisce che salvo deroghe contemplate dal
trattati, sono incompatibili con il
mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri,
gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto
qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o
minaccino di falsare la concorrenza. Una misura nazionale costituisce pertanto
un aiuto di Stato quando è finanziata dallo Stato ovvero mediante risorse
statali, e selettiva, incide sugli scambi tra Stati membri e comporta un
pregiudizio alla concorrenza.
La Commissione
ha ritenuto che la norma in commento norma presenta elementi che alterano il
modello cooperativo mutualistico, soprattutto in virtù del fatto che più del 50
per cento della cifra d’affari o delle attività del consorzio agrario può
essere generata o essere svolta con soggetti che non sono membri dello stesso,
senza far venire meno l’applicazione del regime fiscale preferenziale riservato
alle cooperative a mutualità prevalente. Ad avviso della Commissione, quindi, i
consorzi agrari sembrano trovarsi in una situazione giuridica e fattuale
analoga a quella di altre società che svolgono attività economiche simili.
All'esito
della predetta procedura di cooperazione, le Autorità italiane si sono
impegnate alla revisione del precedente regime attraverso l'elaborazione della
proposta normativa in esame.
In
particolare, il comma 1
dell’articolo in commento è volto a modificare l'articolo 1, comma 460, della
legge n. 311 del 2004, portando dal 40 per cento al 50 per cento la quota di
utili netti annuali soggetta a tassazione per i consorzi agrari di cui
all'articolo 9 della legge 23 luglio 2009, n. 99.
Tale
percentuale corrisponderebbe sostanzialmente all’aiuto concedibile ai consorzi
agrari nei limiti del de minimis.
Il
comma 2 stabilisce che le modifiche
al regime fiscale dei consorzi agrari citate si applicano a decorrere dal
periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014.
Procedure di
contenzioso
L’articolo
23 riguarda il regime fiscale dei consorzi agrari, che l’articolo 9 della legge
n.99/2009
classifica come cooperative a mutualità prevalente a prescindere dal
soddisfacimento dei requisiti della mutualità prevalente stabiliti
dall’articolo 2513 del codice civile italiano.
L’agevolazione
fiscale di cui al citato articolo 9, ad avviso della Commissione europea, configura un aiuto di Stato, ai sensi
dell’articolo 107, paragrafo 1, del TFUE. La Commissione europea ha, pertanto,
avviato la procedura di cooperazione, di cui all’articolo 17 del regolamento
(CE) n.659/1999
del Consiglio, intesa alla revisione del regime in questione.
L’articolo
23 del disegno di legge in esame è volto a risolvere le problematiche inerenti
agli aiuti di Stato rilevate dalla Commissione europea. Peraltro, la soluzione
individuata dal Governo non agisce direttamente sulla modifica dell’articolo 9
della legge n. 99/1999, ma delinea un percorso alternativo.
Nel
prendere atto che il trattamento fiscale in questione è stato configurato quale
aiuto di Stato esistente, il Governo ha proposto ai servizi della Commissione
europea di considerare l’ipotesi che il beneficio
massimo per i consorzi agrari, derivante dal differenziale rispetto alla quota
assoggettata a tassazione ordinaria, sia limitato
all’importo complessivo del regime “de
minimis”, che non costituisce aiuto di Stato.
In
particolare le autorità italiane, tenuto conto della variabilità del reddito
dei consorzi agrari, hanno sottoposto ai servizi della Commissione la proposta
di incrementare la quota assoggettata a
tassazione ordinaria per i consorzi agrari dall’attuale 43% al 53% e di attivare un sistema di monitoraggio per
verificare che il beneficio a favore dei consorzi agrari rimanga al di sotto
dell’importo complessivo del regime “de
minimis”.
Articolo
24
(Modifiche al regime di determinazione
della base imponibile per alcune imprese marittime. Decisione C (2015) 2457 del
13 aprile 2015. Delega al Governo per
il riordino delle disposizioni legislative in materia di incentivi in favore
delle imprese marittime)
L’articolo 24, modificato al Senato, novella il regime forfetario di determinazione della base imponibile per
alcune imprese marittime (c.d. tonnage
tax) disciplinato dal capo VI del titolo II del TUIR. I commi da 11 a
15, introdotti al Senato, recano una delega
al Governo ad adottare un decreto
legislativo di riordino degli incentivi fiscali, previdenziali e contributivi
in favore delle imprese marittime.
Il regime forfetario, introdotto con il D.Lgs. n. 344
del 2003
per una durata di dieci anni, è stato giudicato compatibile con il mercato interno dalla Commissione europea (decisione n.
114/2004).
Il Governo italiano ha deciso di prorogare
per ulteriori dieci anni il regime della tonnage tax e pertanto ne
ha notificato la richiesta alla Commissione, la quale ha approvato la richiesta
con la decisione C
(2015) del 13 aprile 2015.
A seguito
dell’interlocuzione con la Commissione europea, sono state predisposte le modifiche di seguito indicate al regime
d’imposta sul tonnellaggio per il trasporto marittimo. In particolare è fissato
a 5 anni il periodo minimo che deve intercorrere tra l’uscita dal regime
d’imposta sul tonnellaggio e la possibilità di esservi riammessi. In secondo
luogo, si intende rafforzare la normativa sulla tassazione delle plusvalenze
relative a navi acquistate prima dell’entrata nel regime di imposta sul
tonnellaggio. Infine è prevista la possibilità di regolarizzare il mancato
pagamento di somme dovute per obblighi formativi del personale, il quale, in
alternativa all’imbarco di cadetti, costituisce una condizione per la
permanenza nel regime agevolato.
Si ricorda che
gli articoli da 155 a 161 del TUIR (D.P.R.
n. 917 del 1986), inseriti dal D.Lgs. n. 344 del
2003, recano la disciplina (opzionale) per la determinazione della base
imponibile di alcune imprese marittime (cd. tonnage
tax). L'opzione consente la determinazione
forfetaria della base imponibile delle
navi, secondo quanto previsto dal D.M. 23 giugno 2005, che reca le relative
disposizioni applicative. Tale regime
si caratterizza per essere opzionale
(durata 10 anni) e commisurato al
tonnellaggio delle navi. L’obiettivo della normativa è di salvaguardare il
settore del trasporto marittimo in Italia e promuovere il rimpatrio da parte
degli armatori nazionali delle navi battenti bandiere di comodo.
Con la
circolare 21 dicembre 2007, n. 72, l'Agenzia delle entrate ha chiarito, tra
l'altro, i requisiti oggettivi che
una nave deve avere per poter
beneficiare dell'agevolazione sul reddito:
§ iscrizione
nel registro delle navi adibite alla navigazione internazionale, cd. registro
internazionale, di cui al decreto legge 30 dicembre 1997, n. 457;
§ utilizzo
in traffico internazionale;
§ tonnellaggio
superiore a cento tonnellate di stazza netta;
§ destinazione
a determinate attività di trasporto;
§ navi
armate direttamente, oppure noleggiate dall’impresa marittima, a condizione che
il tonnellaggio delle navi prese a noleggio non sia superiore al 50 per cento
di quello complessivamente utilizzato.
Il regime
forfetario permette di calcolare l'importo giornaliero del reddito: il calcolo
di quello annuo avviene quindi semplicemente moltiplicando l'importo
giornaliero per i giorni di effettivo utilizzo della nave, escludendo quindi i
periodi di manutenzione e di riparazione sia ordinaria che straordinaria,
nonché quelli di disarmo temporaneo dello scafo. Dall’imponibile forfetario non
è ammessa alcuna deduzione.
In base alle
norme contenute nel decreto legislativo sulle semplificazioni fiscali, D.Lgs.
n. 175/2014, l’opzione per tale regime va
comunicata all’Agenzia delle Entrate al momento della presentazione delle
dichiarazioni dei redditi e dell’Irap relative al periodo di imposta a partire
dal quale si vuole esercitare o rinnovare l'opzione o confermare l’adesione.
Il comma 1, lettera a), amplia il periodo di
tempo minimo che deve intercorrere tra
l’uscita dal regime e la possibilità di esservi riammessi. La normativa vigente prevede l’opzione per la tonnage tax è irrevocabile per 10 anni e
può essere rinnovata (art. 155 del TUIR). Qualora, per qualsiasi motivo, venga
meno l'efficacia dell'opzione esercitata, il nuovo esercizio della stessa non
può avvenire prima del decorso del decennio originariamente previsto (articolo
157 del TUIR).
Con la
modifica in esame si aggiunge che, nel caso di uscita dal regime, deve comunque
decorrere un periodo di 5 anni per
potervi rientrare. In sostanza, la norma opera solo se la causa di decadenza si
verifica dopo il quinto periodo d’imposta di permanenza nel regime.
Il comma 1, lettera b), numero 1), modifica il regime
di determinazione della plusvalenza da assoggettare a tassazione nel caso di vendita di una nave, in
regime di tonnage tax, già posseduta in periodi antecedenti a
quello di ingresso in detto regime (articolo 158, comma 1, del TUIR).
La norma
vigente prevede, in tal caso, che la differenza tra il ricavato della vendita,
al netto dei costi imputabili direttamente, e il residuo valore fiscale
esistente al momento dell’entrata nel regime d’imposta sul tonnellaggio sono
tassati secondo le norme ordinarie relative all’imposta sul reddito delle
società.
Con la
modifica in esame, al fine di stabilire i debiti di imposta al momento della
vendita della nave, si prevede un confronto
tra il valore normale della nave al momento dell’entrata nel regime di imposta
sul tonnellaggio e il valore fiscale al momento dell’entrata nello stesso
regime d’imposta.
In particolare
la plusvalenza da assoggettare a tassazione sarà pari al minore importo tra la
plusvalenza latente (lorda), data dalla differenza tra il valore normale
della nave e il costo non ammortizzato della stessa rilevati nell’ultimo giorno
dell’esercizio precedente a quello in cui l’opzione per il regime è esercitata,
e la plusvalenza realizzata all’atto
della cessione della nave. A tali fini, la plusvalenza realizzata è determinata
ai sensi dell'articolo 86 del TUIR (plusvalenze patrimoniali): il costo non
ammortizzato è calcolato in base alle risultanze del prospetto della dichiarazione
dei redditi (valore fiscale) che deve essere redatto nel rispetto della
normativa regolamentare vigente (articolo 8 del D.M. 23 giugno 2005).
Si prevede,
inoltre, che l’importo della plusvalenza realizzata non può, in ogni caso,
essere inferiore a quello corrispondente alla differenza tra la plusvalenza
latente (lorda) e i redditi determinati con riferimento alla nave oggetto di
cessione in ciascun periodo di permanenza della stessa nel regime di tonnage tax (plusvalenza latente netta).
In sostanza, l'importo da assoggettare a tassazione è sempre pari alla
plusvalenza latente lorda se questa è inferiore alla plusvalenza realizzata. In
caso contrario, soggetta a tassazione è la plusvalenza realizzata, ma l'importo
imponibile non può, in tale caso, risultare inferiore alla plusvalenza latente
netta.
Tale
disciplina comporta che non possano emergere minusvalenze conseguenti alla
cessione di una nave nel corso della vigenza del regime della tonnage tax.
La relazione
governativa riferisce che tali modifiche si sono rese necessarie in quanto la
Commissione, tenuto conto del meccanismo di determinazione della plusvalenza da
assoggettare a tassazione previsto dall'articolo 158, comma 1, del TUIR nella
versione precedente, ha rilevato la sussistenza di un aiuto aggiuntivo rispetto
al regime di tonnage tax ed ha
pertanto richiesto di modificare detto meccanismo assoggettando a tassazione la
plusvalenza latente lorda, posto che quest'ultima potrebbe essersi formata
anche a causa di ammortamenti dedotti in eccedenza rispetto alla vita utile
della nave. Tuttavia, ha considerato possibile che tale aiuto aggiuntivo possa
essere ridotto dei redditi assoggettati a tassazione in regime di tonnage tax, in relazione alla stessa
nave, nel rispetto di quanto consentito dal capitolo 11 degli Orientamenti
comunitari in materia di aiuti di Stato ai trasporti marittimi di cui alla
Comunicazione C(2004) 43 della Commissione, in
base al quale l'azzeramento delle imposte, tasse e contributi costituisce il
livello massimo di aiuto autorizzato.
Il Governo ha
ritenuto di accogliere le indicazioni della Commissione europea, pur non rinunciando
alla tassazione della plusvalenza realizzata che funge ora da parametro di
confronto rispetto alla plusvalenza latente lorda.
La scelta,
invece, di assoggettare a tassazione la plusvalenza latente lorda, se inferiore
alla plusvalenza realizzata, muove dalla ulteriore opportunità di uniformare,
per certi aspetti, il trattamento fiscale previsto per le cessioni di navi
possedute prima dell’ingresso in regime di tonnage
tax con quello previsto dal primo periodo del comma 1 dell’articolo 158 del
TUIR per le cessioni di navi acquistate in regime di tonnage tax, in relazione alle quali la plusvalenza/minusvalenza è
assorbita dalla determinazione forfetaria del reddito ai sensi dell’articolo
156 del TUIR. È apparso opportuno, infatti, considerare che nell'ipotesi
descritta la parte della plusvalenza realizzata che eccede l’importo di quella
latente lorda possa essere considerata anch’essa assorbita nell'importo
determinato forfettariamente fino alla cessione della nave.
La relazione
precisa, infine, che per le navi oggetto di cessione e già di proprietà
dell’utilizzatore in periodi d’imposta in cui non era efficace l’opzione per il
regime della tonnage tax, qualora
dalla vendita dovesse realizzarsi una minusvalenza, l’importo da assoggettare a
tassazione in applicazione delle suddette modifiche sarà pari alla plusvalenza
latente lorda diminuita dei redditi relativi alla stessa nave, determinati in
regime di tonnage tax, fino a
concorrenza della stessa plusvalenza latente lorda. Ne deriva che il risultato
non potrà mai essere negativo. Le nuove regole, pertanto, non consentono la
deduzione di eventuali minusvalenze.
Il comma 1, lettera b), numero 2), reca modifiche formali dirette a coordinare il
comma 2 dell’articolo 158 del TUIR con le disposizioni modificate del comma 1.
Il comma 2 individua la decorrenza delle modifiche apportate
dal comma 1, lettera a). Si prevede,
in particolare, che la norma che dispone il periodo minimo di 5 anni per
rientrare nel regime della tonnage tax
si applica soltanto con riferimento alle cause di decadenza dal regime che si
verificheranno a decorrere dal periodo
d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della disposizione in
esame.
Nel caso in
cui le cause di decadenza si siano verificate in un periodo d’imposta precedente
a quello in corso alla predetta data, l’opzione per il regime di tonnage tax potrà essere nuovamente
esercitata una volta decorso il decennio originariamente previsto, secondo
quanto disposto dall’articolo 157, comma 5, del TUIR, nella versione previgente.
Il comma 3 individua la decorrenza delle
modifiche di cui al comma 1, lettera b).
Si prevede, in particolare, che il nuovo
regime di determinazione della
plusvalenza derivante dalla cessione della nave (già di proprietà
dell’utilizzatore prima dell’opzione) trova applicazione solo per le opzioni
per il regime della tonnage tax
esercitate a partire dal periodo
d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della disposizione in
esame. Si precisa, inoltre, che non costituisce un nuovo esercizio dell’opzione
il rinnovo di quelle esercitate precedentemente al periodo d’imposta in corso a
detta data.
Nel caso, invece, di rinnovo
delle opzioni per la tonnage tax esercitate nei periodi di imposta
precedenti a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge in
esame, il comma 4 stabilisce che la
plusvalenza derivante dalla cessione della nave (già di proprietà
dell’utilizzatore in assenza dell’opzione) deve essere calcolata ai sensi
dell’articolo 86 del TUIR (plusvalenza
realizzata): il costo non ammortizzato è determinato secondo i valori
fiscali individuati sulla base delle disposizioni vigenti in assenza
dell’esercizio dell’opzione per la tonnage
tax (nuovo art. 158, comma 1, terzo periodo). Tale disposizione trova
applicazione anche nell’ipotesi di cessione di navi che costituiscano un
complesso aziendale, ovvero nel caso in cui rappresentino l’80 per cento del
valore dell’azienda a lordo dei debiti finanziari (articolo 158, comma 3, del
TUIR).
La relazione
tecnica al riguardo segnala che tale modalità di definizione determinerà l’azzeramento dell’ammontare delle
minusvalenze e nel contempo potrebbe comportare un aumento delle
plusvalenze con conseguente incidenza sull’importo del reddito imponibile.
Il comma 5 prevede che
per le opzioni esercitate
precedentemente al periodo d’imposta in corso alla data di entrata in
vigore della disposizione in esame, continuano
ad applicarsi, fino al rinnovo delle stesse, le disposizioni di cui
all’articolo 158 del TUIR, nel testo
vigente prima della data di entrata in vigore della legge in esame.
Il vigente
articolo 158 prevede che qualora la vendita di una o più navi soggette al
regime della tonnage tax riguardi
un'unità già in proprietà dell'utilizzatore in un periodo d'imposta precedente
a quello di prima applicazione del regime, all'imponibile determinato ai sensi
del regime della tonnage tax dovrà
aggiungersi la differenza (plusvalenza o minusvalenza) tra il corrispettivo conseguito,
al netto degli oneri di diretta imputazione, ed il costo non ammortizzato
dell'ultimo esercizio antecedente a quello di prima applicazione del regime di
determinazione forfetaria dell'imponibile.
I commi da 6 a 10 intervengono sulla
disciplina della modalità indiretta
dell’obbligo formativo (versamento a istituzioni formative), connesso al
regime della tonnage tax.
Si ricorda che l’articolo 157 del TUIR individua due ipotesi che comportano la perdita di efficacia dell’opzione:
- locazione a scafo nudo (senza
equipaggio e forniture tecniche) della maggior parte delle navi per la maggior
parte dei giorni di utilizzazione;
- mancato rispetto dell’obbligo di
formazione dei cadetti: tale obbligo è assolto, alternativamente, con l’imbarco
di un allievo ufficiale per ciascuna delle navi rientranti nell’opzione, ovvero
mediante il versamento di un importo annuo versato a favore del Fondo nazionale
marittimi o di poli formativi accreditati dalle regioni. Il D.M. 17 dicembre
2008 ha determinato il contributo in 22.732 euro su base annua, 62 euro su base
giornaliera, da aggiornare annualmente in base agli indici annuali ISTAT di
variazione dei prezzi.
Il comma 6 prevede che non si determina
l’automatica decadenza dal regime di tonnage
tax nel caso in cui l’importo formativo non versato risulti di entità
inferiore alla soglia del 10 per cento dell’importo dovuto e comunque inferiore
alla soglia di 10.000 euro. Sull’importo dell’omesso versamento si applica la
sanzione del 50 per cento.
Il comma 7 disciplina una procedura di
regolarizzazione dell’omesso versamento per l’obbligo formativo. Entro un anno
dalla scadenza prevista è possibile regolarizzare l’omesso versamento, totale o
parziale, dell’importo formativo dovuto con l’aggiunta delle sanzioni (20 per
cento) e degli interessi legali. Tale “ravvedimento” è precluso nel caso in cui
le violazioni siano già accertate da parte degli uffici finanziari.
Il comma 8 prevede l’emanazione di un decreto del Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e
delle finanze, per definire le modalità attuative dei due commi precedenti.
Il comma 9 chiarisce che le norme
introdotte dai commi dal 6 all’8 si applicano ai versamenti dovuti a decorrere
dalla data di entrata in vigore della legge in esame.
Il comma 10 prevede un regime transitorio per gli omessi o
tardivi versamenti per l’obbligo formativo che risultano alla data di entrata
in vigore della legge in esame: essi possono essere regolarizzati entro novanta
giorni con le modalità che saranno previste dal decreto ministeriale di cui al
comma 8.
Si ricorda, infine, che la legge di
stabilità 2015 (legge n. 190 del
2014,
articolo 1, comma 725), con una norma di interpretativa, prevede che ai fini
dell’effettuazione della ritenuta sui
compensi corrisposti a non residenti prevista dall’articolo 25, comma 4,
del TUIR non trova applicazione, per la sussistenza del requisito della
territorialità, quanto previsto dall’articolo 4 del Codice della navigazione,
secondo cui i vettori marittimi ed aerei italiani che si trovino in luogo non
soggetto ad alcuna sovranità statuale, si ritengono in territorio italiano. In
sostanza, la norma sembra escludere i
vettori in questione dalla predetta ritenuta. La disapplicazione della
norma illustrata consentirebbe inoltre alle predette navi di accedere al regime
agevolato della tonnage tax, il quale prevede, tra i requisiti di accesso,
l’utilizzo in traffico internazionale.
I commi da 11 a 15, introdotti al Senato,
recano una delega al Governo ad adottare un decreto
legislativo di riordino degli incentivi
fiscali, previdenziali e contributivi in favore delle imprese marittime.
Il termine per l’esercizio della delega è
fissato al 31 luglio 2016.
La finalità
dichiarata della delega è la definizione di un sistema maggiormente competitivo
che incentivi gli investimenti nel settore marittimo e favorisca la crescita
dell'occupazione e la salvaguardia della flotta nazionale, nel rispetto dei
princìpi fondamentali dell'Unione europea e delle disposizioni comunitarie
sugli aiuti di Stato e sulla concorrenza.
I princìpi e criteri direttivi di delega,
definiti nel comma 12, sono i
seguenti:
semplificazione
e accelerazione dei procedimenti amministrativi
per l'accesso e la fruizione dei benefìci fiscali da parte delle imprese
e dei lavoratori di settore;
per le navi traghetto Ro-Ro (traghetti adibiti al trasporto merci) e Ro-Ro/pax (traghetti adibiti al
trasporto merci e persone) adibite a
traffici commerciali tra porti appartenenti al territorio nazionale,
continentale e insulare, anche a seguito o in precedenza di un viaggio
proveniente da o diretto verso un altro Stato, attribuzione dei benefìci fiscali e degli sgravi contributivi alle
sole imprese che imbarchino sulle stesse esclusivamente personale italiano o
comunitario.
Andrebbe valutato se
l’attribuzione dei benefici alle solo imprese che imbarchino esclusivamente
personale italiano o comunitario sia coerente con i principi dell’Unione
europea e costituzionali, in particolare con il principio di ragionevolezza
posto che si limita la possibilità delle imprese a godere dei benefici fiscali
qualora queste imbarchino lavoratori extracomunitari.
Per quanto
riguarda le agevolazioni si tratta di quelle per le navi iscritte nel Registro
internazionale delle navi, previste dagli articoli 4 (credito d’imposta) e 6
(sgravi contributivi) del decreto-legge n. 457/1997 e dell'articolo 157 TUIR;
semplificazione
e riordino della normativa di settore,
assicurandone la coerenza logica e sistematica.
Il comma 13 prevede che il decreto
legislativo sia adottato su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, acquisito
il parere delle Commissioni parlamentari
competenti anche per i profili finanziari, da esprimere entro trenta giorni dalla data di
trasmissione del relativo schema, decorsi i quali il decreto legislativo può
essere comunque emanato. Si prevede la clausola di “slittamento” in base alla
quale se il termine per l'espressione dei pareri parlamentari scade nei trenta
giorni che precedono la scadenza del termine di cui al comma 11 o
successivamente, quest'ultimo è prorogato di tre mesi.
Il comma 14 prevede la possibilità del
Governo di adottare disposizioni
integrative e correttive del decreto legislativo entro i ventiquattro mesi
successivi alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, sempre nel
rispetto dei princìpi e criteri direttivi e con la procedura di cui al comma
13.
Il comma 15 reca la clausola di neutralità finanziaria, prevedendo che
dall'attuazione della delega non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica. Le amministrazioni interessate dovranno provvedere con le
risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Si
prevede infine, in conformità all'articolo
17, comma 2, della legge n. 196/2009, che qualora il decreto legislativo
determini nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio
interno, il decreto stesso sia emanato solo successivamente o contestualmente
alla data di entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le
occorrenti risorse finanziarie.
Articolo
25
(Attuazione della decisione 2009/917/GAI
del Consiglio, del 30 novembre 2009, sull’uso dell’informatica nel settore
doganale)
L’articolo 25 designa l’Agenzia delle dogane e dei monopoli
quale amministrazione doganale
competente, responsabile a livello nazionale del sistema informativo doganale, in attuazione della Decisione
2009/917/GAI del Consiglio del 30 novembre 2009,
sull’uso dell’informatica nel settore doganale, che ha sostituito la
Convenzione sull’uso dell’informatica nel settore doganale del 26 luglio 1995
(c.d. “Convenzione SID”). L’accesso diretto ai dati inseriti nel sistema
informativo doganale è riservato, oltre che all’Agenzia delle dogane e dei
monopoli, in qualità di amministrazione doganale responsabile a livello
nazionale, anche al Corpo della Guardia
di Finanza, in qualità di forza di polizia economica e finanziaria.
Il Sistema
Informativo Doganale o SID (Customs
Information System - CIS) è stato istituito dalla c.d.
Convenzione SID del 1995 per facilitare lo scambio di informazioni cercando di
rinforzare e migliorare la cooperazione fra le dogane. Il SID costituisce, sostanzialmente, una banca dati centrale
collegata ad ogni Stato membro, ove sono inserite diverse informazioni relative
a dati analiticamente indicati della Convenzione stessa, utili allo scopo di
facilitare la prevenzione, la ricerca ed il perseguimento di gravi infrazioni
alle leggi nazionali.
L’articolo 10
della citata Convenzione attribuiva a ciascun Stato Membro la designazione
dell’amministrazione doganale, responsabile del sistema informativo doganale.
Tale Convenzione è stata ratificata nell’ordinamento nazionale con legge
30 luglio 1998, n. 291. L’articolo 3 della citata legge
n. 291/1998, rinviava ad un successivo decreto ministeriale per la designazione
dell’amministrazione doganale responsabile del sistema informativo doganale. In
attuazione della predetta disposizione, con decreto ministeriale 23 febbraio
2007, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli è stata individuata quale autorità
responsabile a livello nazionale del suddetto sistema informativo doganale.
La Convenzione
del 1995 è stata sostituita, a decorrere dal 27 maggio 2011, dalla Decisione 2009/917/GAI
del Consiglio del 30 novembre 2009 sull'uso dell'informatica nel settore
doganale, poiché la suddetta Convenzione non risultava sufficiente a conseguire
gli obiettivi di prevenzione, la ricerca e il perseguimento di gravi infrazioni
alle leggi nazionali. Le istituzioni comunitarie hanno pertanto deciso
l'ampliamento dell'accessibilità di tale sistema anche a Europol (l’Ufficio europeo di polizia) ed Eurojust (l’Unità europea di cooperazione giudiziaria), secondo le
modalità dettate dalla nuova Decisione.
La decisione
n. 2009/917/GAI, all’articolo 10, rimanda agli Stati Membri l’individuazione
dell’amministrazione doganale competente, responsabile a livello nazionale del
sistema informativo doganale. Il paragrafo 2 dell’articolo 10 prevede, inoltre,
che l’amministrazione doganale competente è responsabile del corretto
funzionamento del sistema informativo doganale nello Stato membro e adotta le
misure necessarie per garantire l’osservanza della stessa decisione.
Il comma 1 dell’articolo in esame, designa
l’Agenzia delle dogane e dei monopoli
quale amministrazione doganale
competente, responsabile a livello nazionale del sistema informativo
doganale.
Il comma 2 prevede che l’accesso diretto ai dati inseriti nel
sistema informativo doganale è riservato,
ai sensi dell’articolo 7 della citata decisione n. 2009/917/GAI, all’Agenzia delle dogane e dei monopoli,
in qualità di amministrazione doganale responsabile a livello nazionale, nonché
al Corpo della Guardia di Finanza,
in qualità di forza di polizia economica e finanziaria a norma del decreto
legislativo 19 marzo 2001, n. 68, il quale attribuisce a tale corpo compiti di
prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni anche in materia di diritti
doganali, di confine e altre risorse proprie nonché di uscite del bilancio
dell’Unione europea.
Articolo
26
(Disposizioni di attuazione della
direttiva 2014/86/UE e della direttiva (UE) 2015/121 concernenti il regime
fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi.
Procedura di infrazione 2016/0106)
L’articolo 26, inserito dal Senato,
intende porre fine alla procedura di infrazione avviata tra l’altro per il
mancato recepimento della direttiva
2014/86/UE in tema di regime fiscale delle società
madri e figlie di Stati membri diversi. Si intende altresì recepire
nell’ordinamento nazionale la direttiva
(UE) 2015/121, avente ad oggetto il trattamento
fiscale di dette società.
Si rammenta
che i termini di recepimento delle predette direttive sono scaduti il 31 dicembre 2015. Come si vedrà più
diffusamente oltre, la Commissione UE, con la lettera del 26 gennaio 2016 ha
comunicato l’emissione di un provvedimento di messa in mora dell’Italia, per il
mancato tempestivo recepimento della direttiva 2014/86/UE (procedura di infrazione 2016/0106).
In
particolare, il comma 1 dell’articolo
in commento modifica la vigente disciplina delle imposte sui redditi (contenuta
nel relativo Testo Unico e nelle disposizioni speciali) al fine di evitare vantaggi fiscali per i gruppi di società madri e figlie di Stati
membri diversi, rispetto ai gruppi di società di uno stesso Stato membro, derivanti da incongruenze nel trattamento
fiscale degli utili distribuiti nelle
legislazioni degli Stati membri. Si dispone quindi che le suddette società
non beneficino dell'esenzione fiscale sugli utili distribuiti, nella misura in
cui tali utili siano deducibili per la società figlia. Con il comma 2 si intende rendere applicabile la clausola generale antiabuso
contenuta nello Statuto del contribuente anche alla tassazione delle società
madri e figlie. Il comma 3 dell’articolo
prevede che le norme così introdotte si applichino alle remunerazioni
corrisposte dal 1º gennaio 2016.
La direttiva 2014/86/UE ha modificato
alcune parti della direttiva 2011/96/UE,
che disciplina il regime fiscale applicabile alle società madri e figlie
di Stati membri diversi. Le norme del 2011 avevano esentato dalle ritenute alla
fonte i dividendi e le altre distribuzioni di utili versati dalle società
figlie alle proprie società madri, eliminando così la doppia imposizione di
tali redditi a livello di società madre.
Tuttavia, il
legislatore europeo è intervenuto nel 2014 per evitare che si creassero, in tal
modo, situazioni di doppia non imposizione. In particolare, si è
inteso evitare che si generassero vantaggi
fiscali involontari per i gruppi di
società madri e figlie di Stati
membri diversi, rispetto ai gruppi di società di uno stesso Stato membro,
derivanti da incongruenze nel
trattamento fiscale delle distribuzioni di utili tra Stati membri. A tal
fine la direttiva 2014/86/UE prescrive che lo Stato membro della società madre e lo Stato membro della sua stabile organizzazione devono evitare alle
suddette società di beneficiare dell'esenzione
fiscale applicata agli utili distribuiti, nella misura in cui tali utili siano deducibili per la società figlia.
In
particolare, il comma 1 dell’articolo
26 apporta modifiche all’articolo 89 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi
– TUIR (DPR
n. 917 del 1986), che disciplina il trattamento
dei dividendi ed interessi per i soggetti sottoposti a IRES, aggiungendovi i commi
3-bis e 3-ter.
Si rammenta
preliminarmente che, in relazione agli utili
percepiti da soggetti IRES, l’articolo 89, comma 2 del TUIR prevede
l'esclusione dalla formazione del reddito della società o dell'ente del 95 per cento degli utili distribuiti da
società ed enti commerciali residenti.
Le società ed
enti commerciali residenti sottoposti a IRES possono godere di tale esenzione
anche se gli utili percepiti non siano stati assoggettati ad imposta dalla
società distributrice; la norma si applica infatti a tutti gli utili
distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione, da società ed
enti commerciali residenti. E’ dunque assoggettato a tassazione solo il 5 per
cento di detti utili.
Ai sensi del
nuovo comma 3-bis, la predetta
esclusione da tassazione si applica anche:
ad
alcune specifiche remunerazioni su titoli, strumenti finanziari e contratti,
limitatamente al 95 per cento della
quota non deducibile (ai sensi dell’articolo 109 TUIR), individuate
dall’articolo 109, comma 9, lettere a)
e b) del TUIR.
Si tratta in particolare delle remunerazioni dovute su titoli e strumenti
finanziari, comunque denominati (di cui all'articolo 44 TUIR, che individua
i redditi di capitale), per la quota che direttamente o indirettamente comporti
la partecipazione ai risultati economici
della società emittente o di altre
società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati
emessi, nonché delle remunerazioni
derivanti da contratti di associazione
in partecipazione e dai contratti di
cointeressenza ad utili e perdite d’impresa
(di cui all'articolo 2554 del codice civile), allorché sia previsto un apporto
diverso da quello di opere e servizi;
alle
remunerazioni delle partecipazioni
al capitale o al patrimonio e a quelle dei titoli e degli strumenti finanziari
del citato articolo 44 provenienti da soggetti aventi specifici requisiti di
legge.
Si tratta in particolare dei soggetti
individuati dall’introdotto comma 3-ter
dell’articolo 89, ovvero le società che rivestano le forme individuate dall’UE (in
particolare, dall'Allegato I, parte
A, della citata direttiva 2011/96/UE).
Condizione per
l’applicazione dell’esclusione è che nella società sia detenuta una
partecipazione diretta nel capitale non
inferiore al 10 per cento, ininterrottamente per almeno un anno. Inoltre
essa:
1. deve risiedere,
ai fini fiscali, in uno Stato membro dell'Unione europea, senza essere
considerata, ai sensi di una convenzione in materia di doppia imposizione sui
redditi con uno Stato terzo, residente al di fuori dell'Unione europea;
2. deve essere
soggetta, nello Stato di residenza, senza possibilità di fruire di regimi di
opzione o di esonero che non siano territorialmente o temporalmente limitati, a
una delle imposte sulle società
elencate nell'Allegato I, parte B, della citata direttiva o a qualsiasi altra
imposta sostitutiva delle stesse.
Il comma 2 dell’articolo in commento
modifica in più parti l’articolo 27-bis del DPR 29 settembre 1973, n.
600, che disciplina il rimborso della ritenuta sui dividendi distribuiti a
soggetti non residenti.
Si ricorda
che, ai sensi del richiamato articolo 27-bis,
comma 1, le società che
detengono una partecipazione diretta
non inferiore al 20 per cento del
capitale della società che distribuisce gli utili hanno diritto al rimborso delle ritenute sugli utili
(disciplinate dell'articolo 27) alle seguenti condizioni:
a) se rivestono
una delle forme riconosciute dall’allegato della direttiva n. 435/90/CEE
(direttiva rifusa nella più volte citata direttiva 2011/96/UE in tema di
tassazione di società madri e figlie; il riferimento sembra dunque doversi
intendere effettuato all’Allegato I, parte A della direttive del 2011);
b) risiedono, ai
fini fiscali, in uno Stato membro dell'Unione europea, senza essere
considerate, ai sensi di una Convenzione in materia di doppia imposizione sui
redditi con uno Stato terzo, residenti al di fuori dell'Unione europea;
c) sono
soggette, nello Stato di residenza, senza fruire di regimi di opzione o di
esonero che non siano territorialmente o temporalmente limitati, ad una delle
imposte indicate nella predetta normativa UE;
d) la
partecipazione è detenuta ininterrottamente per almeno un anno.
Le norme in esame
(comma 2, lettera a)) in primo luogo sostituiscono il vigente comma 1-bis dell’articolo 27-bis.
Per effetto
delle modifiche, l’esclusione dalla
ritenuta sui dividendi viene estesa anche alle remunerazioni
individuate dall’introdotto articolo 89,
comma 3-bis del TUIR, in misura
corrispondente alla quota non deducibile nella determinazione del reddito della
società erogante e purché la remunerazione
sia erogata a società con i requisiti indicati nel comma 1 dell’articolo
27-bis, sopra illustrato.
Il comma 1-bis, nella formulazione vigente, estende
l’esclusione ad alcuni redditi di capitale individuati all'articolo 44 TUIR,
purché la remunerazione e gli utili siano erogati a società aventi i requisiti
già illustrati (comma 1 dell’articolo 27-bis)
che detengono una partecipazione diretta non inferiore al 20 per cento del
capitale della società che, rispettivamente, la corrisponde o li distribuisce.
Il comma 2, lettera b) dell’articolo in
esame sostituisce il comma 5 dell’articolo 27-bis.
Il vigente
comma 5 reca norme applicative dell’intero articolo 27-bis: in particolare esso
trova applicazione per le società, aventi le specifiche caratteristiche di cui
al già illustrato comma 1, controllate direttamente o indirettamente da uno o
più soggetti non residenti in Stati della Comunità europea, a condizione che
dimostrino di non detenere la partecipazione allo scopo esclusivo o principale
di beneficiare del regime in esame.
Tale modifica
è volta ad attuare la direttiva
(UE) 2015/121
del Consiglio, del 27 gennaio 2015.
La richiamata
direttiva del 2015 ha modificato la citata direttiva 2011/96/UE allo scopo di
evitare eventuali abusi connessi al regime fiscale di favore introdotto per le
società madri/figlie.
E’ stata
quindi inserita una clausola minima
comune antiabuso nella direttiva 2011/96/UE per contrastare una
costruzione, o una serie di costruzioni giuridico-economiche non genuine, ossia
che non rispecchiano la realtà economica.
La normativa
UE (articolo 2 della direttiva (UE) 2015/121) prescrive dunque che i benefici
derivanti dalla tassazione UE delle società madri e figlie non si applichino a una costruzione
o a una serie di costruzioni poste in essere allo scopo principale - o a
uno degli scopi principali - di ottenere
un vantaggio fiscale in contrasto con l'oggetto o la finalità della
direttiva 2011/96/UE.
In
particolare, una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non
genuina nella misura in cui non è stata posta in essere per valide ragioni commerciali che riflettono
la realtà economica.
Il modificato comma 5 dell’articolo 27-bis dispone quindi l’applicazione
delle nuove norme in tema di abuso del
diritto, di cui all'articolo 10-bis dello Statuto del contribuente (legge
27 luglio 2000, n. 212), introdotte in attuazione della
delega fiscale dall’articolo 1 del D.Lgs. n. 218 del 2015.
In sintesi, il
richiamato articolo 10-bis disciplina
l’abuso del diritto e l’elusione fiscale, unificati in un
unico concetto che riguarda tutti i tributi, imposte sui redditi e imposte
indirette, fatta salva la speciale disciplina vigente in
materia doganale. In sostanza, in
ottemperanza alla Raccomandazione
2012/772/UE sulla pianificazione fiscale
aggressiva, si introduce una norma generale
antiabuso.
L’abuso del
diritto si configura in presenza di:
-
una o più operazioni prive di sostanza economica;
-
il rispetto formale delle norme fiscali;
-
la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito che
costituisce l’effetto essenziale dell’operazione (commi 1 e 2).
Il comma 3 prevede che le norme introdotte
si applichino alle remunerazioni
corrisposte dal 1º gennaio 2016.
Procedure di contenzioso
Il
27 gennaio 2016 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione
2016/0106) per mancato recepimento della direttiva
2014/86/UE, recante modifica della direttiva
2011/96/UE, concernente il regime fiscale comune
applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi.
Il termine per il recepimento della
direttiva scadeva il 31 dicembre 2015.
Articolo
27
(Modifiche alla legge 16 marzo 2001, n.
88, in materia di investimenti nelle imprese marittime. Procedura aiuti di
Stato n. SA 38919)
L'articolo 27 dispone la soppressione
degli articoli 2 e 3 della legge
16 marzo 2001, n. 88, in materia di investimenti nelle imprese marittime.
La disposizione è volta a sanare la
procedura in materia di aiuti di Stato n. SA 38919.
L'articolo 2 della legge n. 88 del 2001,
di cui si dispone la soppressione, reca disposizioni in materia di
incentivazione degli investimenti nelle imprese marittime. In particolare, esso
prevede che ai soggetti aventi i requisiti di cui all'articolo 143 del codice della
navigazione
è riconosciuto, con riferimento agli investimenti ivi indicati e nei limiti
degli stanziamenti previsti, un credito d'imposta nella misura massima
corrispondente al massimale previsto dall'articolo 3, paragrafo 1, del regolamento (CE)
n. 1540/98 del Consiglio del 29 giugno 1998, in relazione al prezzo
effettivamente pagato per i lavori relativi alle unità ivi indicate (articolo
2, comma 1).
Si tratta, al riguardo, dei contratti di
costruzione e trasformazione navale stipulati dal 1° gennaio 1999 al 31
dicembre 2000 come previsto dall'articolo 2 della legge 28
dicembre 1999, n. 522,
recante misure di sostegno all'industria cantieristica ed armatoriale ed alla
ricerca applicata nel settore navale, ove si indica la concessione di
contributi in misura non superiore rispettivamente al 9 per cento ed al 4,5 per
cento del valore contrattuale prima dell'aiuto; la disposizione in parola fa a
sua volta riferimento, per definire l'ambito applicativo, alle unità navali di
cui all'articolo 2 del decreto-legge n.
564 del 1993
aventi autonoma propulsione, con esclusione dei galleggianti, delle altre
strutture e mezzi nautici indicati nello stesso decreto-legge. In particolare,
ai sensi del citato decreto-legge n. 564 del 1993, recante provvedimenti a
favore dell'industria navalmeccanica e della ricerca nel settore navale,
l'indicazione è a lavori di costruzione di unità a scafo metallico o realizzate
con materiali a tecnologia avanzata per tali categorie: a) navi mercantili di
stazza lorda internazionale non inferiore alle 400 tonnellate o alle 150
tonnellate, se trattasi di navi passeggeri aventi a pieno carico ed alla
massima potenza continuativa una velocità non inferiore ai 30 nodi; b)
rimorchiatori e spintori con apparato motore di potenza non inferiore a 365 kW
(500 cavalli vapore); c) draghe semoventi ed altre navi per lavori in mare di
stazza lorda non inferiore a 400 tonnellate, ad esclusione delle piattaforme di
trivellazione. La normativa del decreto-legge escludeva espressamente dal campo
di applicazione le navi militari, le unità da diporto e quelle abilitate
esclusivamente al servizio marittimo dei porti e delle rade, nonché le unità da
pesca commesse da armatori nazionali che non rientrino nei programmi di cui ai
piani nazionali della pesca marittima e dell'acquacoltura nelle acque marine e
salmastre e nei programmi comunitari di orientamento della flotta peschereccia,
nonché i lavori di costruzione e trasformazione navale effettuati per conto
dello Stato.
Si ricorda, inoltre, che rispondono ai
requisiti di nazionalità ai sensi dell'articolo 143 codice della navigazione le
navi che: a) appartengano per una quota superiore a dodici carati a persone
fisiche, giuridiche o enti italiani o di altri Paesi dell'Unione europea; b) di
nuova costruzione o provenienti da un registro straniero non comunitario,
appartenenti a persone fisiche, giuridiche o enti stranieri non comunitari i
quali assumano direttamente l'esercizio della nave attraverso una stabile
organizzazione sul territorio nazionale con gestione demandata a persona fisica
o giuridica di nazionalità italiana o di altri Paesi dell'Unione europea,
domiciliata nel luogo di iscrizione della nave, che assuma ogni responsabilità
per il suo esercizio nei confronti delle autorità amministrative e dei terzi,
con dichiarazione da rendersi presso l'ufficio di iscrizione della nave, secondo
le norme previste per la dichiarazione di armatore.
La norma di
cui si dispone la soppressione prevede che il credito d'imposta in questione
non concorre alla formazione del reddito imponibile e può essere computato in
compensazione ai sensi del decreto
legislativo 9 luglio 1997, n. 241[23],
in proporzione alle quote dell'investimento effettivamente pagate nel periodo
di imposta sulla base dello stato di avanzamento dei lavori (articolo 2, comma
2, legge n. 88 del 2001). La norma ha previsto (articolo 2, comma 3) un limite
d'impegno quindicennale di lire 17.000 milioni annue a decorrere dall'anno
2001.
Il citato Regolamento
europeo n. 1540/98
ha dettato norme in materia di aiuti
alla costruzione navale, prevedendo, all'articolo 3, fino al 31 dicembre
2000, un regime di compatibilità con il mercato comune per gli aiuti alla
produzione a favore di contratti di costruzione e trasformazione di navi,
escludendo interventi a favore della riparazione navale, a condizione che
l'importo totale dell'aiuto accordato ad un singolo contratto non superasse, in
equivalente sovvenzione, un massimale comune espresso in percentuale del valore
contrattuale prima dell'aiuto. Si prevedeva, al riguardo, che per i contratti
di costruzione navale con valore contrattuale prima dell'aiuto superiore ai 10
milioni di ecu il massimale fosse del 9 per cento, negli altri casi del 4,5 per
cento. Il massimale di aiuto applicabile al contratto era costituito dal
massimale vigente alla data della firma del contratto definitivo. La normativa europea
ha specificato la non applicazione tuttavia alle navi consegnate dopo più di
tre anni dalla data della firma del contratto definitivo, specificando in tal
caso come massimale applicabile al contratto quello in vigore tre anni prima
della consegna della nave. In base alla normativa europea, la concessione di
aiuti per casi individuali in applicazione di un regime approvato non
richiedeva una notifica preventiva né l'autorizzazione della Commissione, salvi
i casi di concorrenza tra diversi Stati membri per un particolare contratto,
ove la Commissione richiedeva la notifica preventiva delle relative proposte di
aiuto su richiesta di qualunque Stato membro.
L'articolo 3 della legge n. 88 del 2001,
altresì oggetto di soppressione, reca disposizioni in materia di modalità
d'intervento sui finanziamenti, prevedendo altresì misure di sostegno al finanziamento a favore delle imprese
armatoriali che effettuano gli investimenti previsti dalla normativa in
questione. In particolare, in base alla norma, il Ministero dei trasporti e
della navigazione può altresì concedere un contributo pari all'abbattimento,
entro il limite massimo del 3,80 per cento annuo, del tasso d'interesse
commerciale di riferimento (CIRR) in relazione ad un piano d'ammortamento della
durata di dodici anni calcolato sull'80 per cento del prezzo dei lavori di
costruzione o trasformazione dell'unità (articolo 3, comma 1, legge n. 88 del
2001).
Si prevede che il contributo sia
corrisposto anche durante i lavori, previa presentazione di idonea fidejussione
bancaria o assicurativa, in rate semestrali costanti posticipate per la durata
di dodici anni decorrenti dal 1º marzo o dal 1º settembre di ciascun anno
(articolo 3, comma 2); inoltre, si prevede "nel rispetto delle
disposizioni comunitarie vigenti in materia e nei limiti degli stanziamenti già
autorizzati da leggi vigenti" che le operazioni di cui alla disposizione
sono ammissibili all'intervento del Fondo centrale di garanzia per il credito
navale (articolo 3, comma 3).
Il Fondo
centrale di garanzia per il credito navale è stato istituito dalla legge n. 261 del
1997,
recante norme per il rifinanziamento delle leggi di sostegno all'industria
cantieristica ed armatoriale ed attuazione delle disposizioni comunitarie di
settore. La normativa ne disciplina gestione e funzionamento per le finalità di
copertura dei rischi derivanti dalla mancata restituzione del capitale e dalla
mancata corresponsione dei relativi interessi ed altri accessori connessi o
dipendenti dai finanziamenti nel settore ivi previsto. Le condizioni e le
modalità dell'intervento del Fondo centrale di garanzia per il credito navale
sono state poi disposte con il D.M. 17 dicembre
1999, n. 539.
L'articolo 3 in parola prevedeva una
originaria autorizzazione di spesa, fissata quale limite d'impegno dodecennale,
in lire 72.000 milioni annue a decorrere dall'anno 2001, successivamente modificata
da diverse disposizioni legislative.
In particolare, ai sensi dell'articolo 4,
comma 209, della legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004), si è
previsto, per gli interventi di sostegno alla costruzione e trasformazione
navale di cui all'articolo 3 della legge n. 88 del 2001, uno stanziamento di 10
milioni di euro per ciascuno degli anni 2004, 2005 e 2006. La Corte
costituzionale, con sentenza 10-18 febbraio 2005, n. 77, ha dichiarato
l'illegittimità del presente comma.
Inoltre, con il decreto-legge,
n. 4 del 2006,
recante misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della
pubblica amministrazione, si è disposto, all'articolo 34-octies, il
rifinanziamento della legge 16 marzo 2001, n. 88. In particolare, per la
prosecuzione degli interventi in materia di investimenti navali, di cui
all'articolo 3 della legge 16 marzo 2001, n. 88, approvati dalla Commissione
europea con decisione SG (2001)D/285716 del 1º febbraio 2001, da realizzare
sulla base dell'avanzamento dei lavori raggiunto alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto, è stata autorizzata per
ciascuno degli anni 2006 e 2007 la spesa di 19 milioni di euro e la spesa di 10
milioni di euro per 5 anni a decorrere dall'anno 2008.
Con legge n. 244 del
24 dicembre 2007
(legge finanziaria 2008), all'articolo 2,
comma 205,
si è prevista, per il completamento degli interventi di cui all'articolo 3
della legge 16 marzo 2001, n. 88, una autorizzazione di spesa di 8,8 milioni di
euro per l'anno 2008.
Si segnalano, in materia, ulteriori
disposizioni finanziarie, recate con legge finanziaria per il 2014 (legge n. 147 del
2013),
ove si prevedeva, tra l'altro, al fine di garantire la prosecuzione degli
interventi di cui all'articolo 3 della legge n. 88 del 2001, in favore degli
investimenti delle imprese marittime, già approvati dalla Commissione europea
con decisione notificata con nota SG (2001) D/285716 del 1° febbraio 2001,
l'autorizzazione di spesa per un contributo ventennale di 5 milioni di euro a
decorrere dall'esercizio 2014 (articolo 1, comma 38, secondo periodo, legge n.
147 del 2013). La disposizione in parola ha previsto, inoltre, il finanziamento
di programmi di ricerca e sviluppo nonché per progetti innovativi di prodotti e
di processi nel campo navale avviati negli anni 2012 e 2013 ai sensi della
disciplina europea degli aiuti di Stato alla costruzione navale n. 2011/C3
64/06, in vigore dal 1° gennaio 2012, autorizzando un contributo ventennale di
5 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014, poi rideterminato ai sensi
dell'art. 17, comma 1, lett. f), del decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185
(articolo 1, comma 38, legge n. 147 del 2013). Di seguito, la legge finanziaria
2015 (legge n. 190 del
2014,
articolo 1, comma 218 e Allegato 5) ha previsto, nell'ambito della voce
Infrastrutture e trasporti, in relazione all'autorizzazione di spesa di cui
alla citata legge n. 147 del 2013 una riduzione (in migliaia di euro) di
4.639,2 per il 2015, 4.694,2 per il 2016 e 4.680,5 per il 2017 rispetto alle
autorizzazioni di spesa già previste dall'articolo 1, comma 38, citato.
Sull'impiego dei fondi di cui ai commi 37 e 38 della citata legge n. 147 del
2013, si prevede l'espressione del parere delle competenti Commissioni
parlamentari, ai sensi dell'articolo 536, comma 3, lettera b), del codice
dell'ordinamento militare, di cui al decreto
legislativo 15 marzo 2010, n. 66.
Si segnala, infine, che l'art. 1, comma 634,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è intervenuto in materia, modificando
il citato comma 38, sopprimendo, a decorrere dal 1° gennaio 2016, il secondo
periodo citato, recante l'autorizzazione di spesa per gli interventi di cui
all'articolo 3 della legge n. 88 del 2001.
In
relazione al regime italiano di sostegno alle imprese marittime, la Commissione
europea ha rilevato che il regolamento (CE) n. 1540/98, su cui tale regime di
aiuti era originariamente basato, ha stabilito come data finale per la
concessione degli aiuti il 31 dicembre del 2000, ed è scaduto il 31 dicembre 2003.
La
Commissione ha quindi ritenuto che il
regime delineato in Italia dagli articoli 2 e 3 della legge n. 88 del 2001, in
materia di aiuti al funzionamento dell'industria della costruzione navale, non è più compatibile con il mercato comune,
richiedendo all'Italia l'abrogazione di tali disposizioni quale base giuridica
del regime di aiuti.
Procedure di contenzioso
L’articolo
27 riguarda la procedura per aiuti di
Stato n. SA 38919 in materia di aiuti alle imprese marittime ai sensi del
Regolamento del Consiglio (CE) n. 1540/98.
Il caso SA 38919
è stato aperto ex officio dalla
Commissione europea, dopo la chiusura del caso SA 38403 in materia di proroga e
modifica del regime di aiuti alla costruzione navale, a seguito delle
considerazioni già espresse dai servizi europei sull'utilizzo dei fondi
nell'ambito del regime delle misure in favore degli investimenti delle imprese
marittime. Si tratta del regime che era stato precedentemente approvato dalla
Commissione (Aiuto n. 502/2000) in relazione
al caso SA 11334, e successivamente modificato (Aiuto n. 34/2004) nel caso SA
16994. Tale regime prevedeva due tipi di aiuti nel settore delle imprese
marittime: un credito d'imposta per l'acquirente di una nave pari al massimo al
9 per cento del prezzo effettivamente pagato; una sovvenzione semestrale
costante per dodici anni.
La
Commissione ha rilevato che il regolamento (CE) n. 1540/98, su cui il regime
era originariamente basato, ha stabilito come data finale per la concessione
degli aiuti il 31 dicembre del 2000, ed è
scaduto il 31 dicembre 2003.
Espressamente,
il considerando del Regolamento, nonché l'articolo 3, punto 1, dello stesso
Regolamento, indicano un regime di compatibilità con il mercato comune per gli
aiuti alla produzione a favore di contratti di costruzione e trasformazione di
navi fino al 31 dicembre 2000, prevedendo l'eliminazione graduale degli aiuti
al funzionamento, nella tempistica indicata.
La
Commissione europea ha quindi ritenuto che il
regime delineato in Italia dagli articoli 2 e 3 della legge n. 88 del 2001,
in materia di aiuti al funzionamento dell'industria della costruzione navale, non è più compatibile con il mercato
comune.
Già con
richiesta all'Italia del 2014, la Commissione muoveva rilievi circa le modalità
nell'uso di tali misure di sostegno, nonché sulle relative tempistiche di
concessione degli aiuti, in quanto quasi per la totalità queste risultavano
successive alle decisioni della Commissione sopra richiamate, chiedendo formali
informazioni al riguardo e rilevando la necessità da parte dell'Italia di
chiarire il calendario per l'abolizione
degli atti nazionali in materia, ove ancora in vigore. Nel richiedere tali
puntuali informazioni, la Commissione preannunciava, in mancanza di queste,
un'ingiunzione ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 3, del Regolamento del
Consiglio n. 659/1999,
recante regole dettagliate per l'applicazione dell'articolo 93 del Trattato
sull'Unione europea e una procedura di investigazione formale.
Inoltre, nel
gennaio 2015, la Commissione europea ha rilevato che, in caso le autorità
italiane non si impegnassero ad abolire tale regime di aiuti, di cui agli
articoli 2 e 3 della legge n. 88 del 2001, la Commissione europea avrebbe
formalmente avviato l'adozione di misure ai sensi dell'articolo 18 del Regolamento CE n. 659/1999, con
avvio di un procedimento di indagine formale. Di seguito, nel gennaio 2016, la
Commissione chiedeva all'Italia di fornire il testo delle previsioni abrogative
ove assunte, richiamando l'impegno assunto dalle autorità italiane ad abolire
il regime di aiuti in oggetto di cui agli articoli 2 e 3 della legge n. 88 del
2001, e qualsiasi altra disposizione attuativa del regime.
Si ricorda che
l'articolo 18 del Regolamento CE n.
659/1999 dispone che, se la Commissione, alla luce delle informazioni
fornite dallo Stato membro conclude che il regime di aiuti esistente non è,
ovvero non è più, compatibile con il mercato comune, emette una raccomandazione
in cui propone opportune misure allo
Stato membro interessato. La raccomandazione può in particolare proporre: a) modificazioni sostanziali del regime
di aiuti; b) l'introduzione di
obblighi procedurali o c) l'abolizione del regime di aiuti.
Articolo
28
(Attuazione della direttiva (UE)
2015/2060 del Consiglio, del 10 novembre 2015, che abroga la direttiva
2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di
pagamenti di interessi)
L’articolo 28, inserito dal Senato, intende attuare la direttiva
(UE) 2015/2060,
che ha abrogato la direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di
interessi.
La richiamata direttiva
2003/48/CE intendeva garantire che i redditi da
risparmio, corrisposti sotto forma di interessi
in uno Stato membro a beneficiari effettivi persone fisiche residenti in un
altro Stato membro, fossero soggetti a un'imposizione
effettiva secondo la legislazione nazionale di quest'ultimo Stato membro,
per eliminare le distorsioni dei movimenti di capitali fra Stati membri
incompatibili con il mercato interno. L’ambito di applicazione della direttiva
riguardava l’imposizione sui redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di
interessi su crediti; essa era applicata agli interessi pagati da un “agente
pagatore”, ovvero un operatore economico (ad esempio un istituto finanziario,
una banca o un fondo di investimento) che pagasse interessi ad un beneficiario
effettivo o attribuisse il pagamento di interessi a un beneficiario effettivo
residente nel territorio dell’UE. Qualsiasi entità stabilita in un paese
dell’UE che effettuasse un pagamento di interessi al beneficiario o attribuisse
tale pagamento di interessi direttamente a favore del beneficiario era
considerata un “agente pagatore”, nel significato inteso dalla direttiva.
La direttiva
2003/48/CE aveva inoltre posto alcuni specifici obblighi informativi: ove il beneficiario fosse residente in un
paese dell’UE diverso da quello in cui fosse stabilito l’agente pagatore, si
imponeva a quest’ultimo di comunicare all’autorità competente del paese di
stabilimento alcune informazioni minime, come l’identità e la residenza del
beneficiario, il nome o la denominazione e l’indirizzo dell’agente pagatore, il
numero di conto del beneficiario o, in assenza di tale riferimento,
l’identificazione del credito che producesse gli interessi, nonché informazioni
relative al pagamento di interessi.
Inoltre la direttiva imponeva
all’autorità competente del paese dell’UE dell’agente pagatore di comunicare le
informazioni minime, almeno una volta all’anno, all’autorità competente del
paese dell’UE di residenza del beneficiario effettivo.
Sul tema dello
scambio di informazioni è poi
intervenuta la direttiva 2011/16/UE
che ha previsto uno scambio automatico
obbligatorio di determinate informazioni tra gli Stati membri, con graduale
estensione del suo ambito d'applicazione a nuove
categorie di reddito e di capitale, ai fini della lotta contro la frode e
l'evasione fiscale transfrontaliere. In Italia,
la direttiva 2011/16/UE è stata recepita con il D.lgs. 4 marzo 2014, n. 29.
Successivamente la direttiva 2014/107/UE ha modificato la normativa del 2011 per
estendere lo scambio automatico obbligatorio di informazioni a una più ampia gamma di redditi, secondo lo standard globale pubblicato dal Consiglio dell'OCSE nel luglio 2014; in
particolare si prevede, per l’autorità competente di uno Stato membro, di
comunicare all’autorità competente di qualsiasi altro Stato membro informazioni
con riferimento a dividendi, plusvalenze, altri redditi finanziari e saldi dei
conti correnti. La direttiva 2014/107/UE, il cui ambito di applicazione è
generalmente più ampio di quello della direttiva 2003/48/CE, disponeva che, in
caso di sovrapposizione, dovesse prevalere la direttiva 2014/107/UE e che in alcuni casi residui si continuasse ad
applicare unicamente la direttiva 2003/48/CE. Ciò si traduceva nell’esistenza
di due standard di informativa
all'interno dell'Unione, con vantaggi reputati dalle Autorità europee come
modesti rispetto ai costi derivanti dal doppio standard.
Con il decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze del 28 dicembre 2015 è stata data attuazione - oltre all’accordo FATCA con gli Stati Uniti sullo
scambio di informazioni fiscal-finanziarie (ratificato con legge 18 giugno
2015, n. 95) - anche alla predetta direttiva
2014/107/UE.
Di conseguenza
la direttiva 2015/2060 ha abrogato
la direttiva 2003/48/CE, per evitare
doppi obblighi di informativa e ridurre i costi sia per le autorità fiscali che
per gli operatori economici, con alcune
eccezioni temporanee necessarie per tutelare i diritti acquisiti e con
specifiche disposizioni rivolte ai regimi fiscali vigenti in Austria.
Il legislatore
europeo ha dunque predisposto delle specifiche modalità per consentire,
nonostante l'abrogazione della direttiva 2003/48/CE, che le informazioni
raccolte da agenti pagatori, da operatori economici e dagli Stati membri
anteriormente alla data di abrogazione siano trattate e trasferite come
previsto inizialmente, e che gli obblighi che sorgono anteriormente a tale data
siano soddisfatti. Inoltre, in relazione alla ritenuta alla fonte applicata nel
periodo transitorio di cui alla direttiva 2003/48/CE, al fine di tutelare i diritti acquisiti dei beneficiari
effettivi, gli Stati membri devono continuare ad accordare crediti o rimborsi
come previsto inizialmente e rilasciare, su richiesta, certificati che
consentano di garantire che non sia applicata la ritenuta alla fonte.
Di
conseguenza, il comma 1 abroga il decreto
legislativo 18 aprile 2005, n. 84, col quale è
stata attuata la direttiva 2003/48/CE, a decorrere dal 1° gennaio 2016.
Ai sensi del comma 2 fino al 30 aprile 2016 si applicano le seguenti norme, contenute
nell’articolo 1, rispettivamente ai commi 1 e 3, del D.lgs. n. 84 del 2005:
-
le banche, le società di
intermediazione mobiliare, le Poste italiane S.p.a., le società di gestione del
risparmio, le società finanziarie e le società fiduciarie, residenti nel
territorio dello Stato, comunicano
all'Agenzia delle entrate le informazioni relative agli interessi pagati o
il cui pagamento è attribuito direttamente a persone fisiche residenti in un
altro Stato membro, che ne siano beneficiarie effettive; a tal fine le persone
fisiche sono considerate beneficiarie degli interessi se ricevono i pagamenti
in qualità di beneficiario finale. Le suddette comunicazioni sono, altresì,
effettuate da ogni altro soggetto, anche persona fisica, residente nel
territorio dello Stato, che per ragioni professionali o commerciali paga o
attribuisce il pagamento di interessi alle persone fisiche indicate nel primo
periodo. Gli stessi obblighi si applicano alle stabili organizzazioni in Italia
di soggetti non residenti;
-
le predette comunicazioni sono effettuate, all'atto della riscossione,
anche dalle entità alle quali sono
pagati o è attribuito un pagamento di interessi a vantaggio del beneficiario
effettivo, se residenti nel territorio dello Stato se diverse da:
a) una
persona giuridica;
b) un
soggetto i cui redditi sono tassati secondo i criteri di determinazione del reddito
di impresa;
c) un
organismo di investimento collettivo in valori mobiliari.
Ai sensi del comma 3, continuano ad applicarsi, per
le informazioni relative all’anno 2015 le
norme (di cui all’articolo 6 del D.lgs. n. 84 del 2005) che obbligano i suindicati soggetti pagatori (di cui all'articolo
1, commi 1 e 3) a comunicare al fisco alcuni elementi informativi (indicati all'articolo 5), con le modalità e i
termini stabiliti dal provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate
dell’8 luglio 2005.
Sono oggetto
di comunicazione:
-
l'identità e la residenza del
beneficiario effettivo;
-
la denominazione e l'indirizzo
del soggetto che effettua la comunicazione;
-
il numero di conto del
beneficiario effettivo o, in assenza di tale riferimento, gli elementi che
consentono l'identificazione del credito che produce gli interessi;
-
gli elementi informativi relativi
al pagamento di interessi, determinati con specifiche modalità differenziate ex lege.
Il comma 4 chiarisce che le comunicazioni di informazioni relative ai pagamenti di interessi effettuati nell’anno 2015 devono essere effettuate entro il 30 giugno 2016, ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 18
aprile 2005, n. 84.
Ai sensi del comma 5, fino al 31 dicembre 2016 si applicano gli obblighi di rilascio dei certificati di cui all’articolo 9, comma 1, del D.lgs.
n. 84 del 2005.
Si tratta dei
certificati, rilasciati dall’Agenzia delle entrate con validità di tre anni, al
beneficiario effettivo residente nel territorio dello Stato, che può chiedere
la non applicazione della ritenuta alla
fonte sugli interessi prelevati da
Lussemburgo e Austria (autorizzati a ciò dalla direttiva 2003/48/CE).
Infine, il comma 6 prevede che le norme sul credito d’imposta spettante per
l’applicazione della ritenuta prelevata
da Austria e Lussemburgo, disciplinato dall’articolo 10 del D.lgs. n. 84
del 2005, continui ad applicarsi con
riguardo alla ritenuta alla fonte
applicata nel 2016 e negli anni precedenti.
L’articolo 10,
per eliminare la doppia imposizione che potrebbe derivare dall'applicazione
della ritenuta alla fonte prelevata da Austria e Lussemburgo alle condizioni
previste dalla normativa UE (di cui all'articolo 11 della direttiva 2003/48/CE)
prevede che, se gli interessi percepiti dal beneficiario effettivo residente
nel territorio dello Stato sono stati assoggettati alla suddetta ritenuta, sia
riconosciuto al beneficiario medesimo un credito d'imposta, determinato con le
modalità previste per il credito d’imposta per redditi prodotti all’estero
dall'articolo 165 del TUIR. Se la ritenuta è superiore al credito d'imposta,
ovvero nel caso in cui non sia applicabile il citato articolo 165, il
beneficiario effettivo può chiedere il rimborso o chiedere la compensazione
mediante F24.
Articolo
29
(Modifiche al trattamento fiscale delle
attività di raccolta dei tartufi. Caso EU Pilot 8123/15/TAXU)
L’articolo 29, inserito dal Senato, interviene
sul trattamento fiscale delle attività di raccolta dei tartufi, sottoponendo a ritenuta i compensi corrisposti ai raccoglitori occasionali di tartufi e
assoggettando i tartufi all’aliquota IVA del 10 per cento.
Si ricorda che
l’articolo 1, comma 109, della legge
30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) ha
previsto, nei confronti dei soggetti che effettuano nell'esercizio d'impresa
acquisti di tartufi da raccoglitori dilettanti e occasionali non muniti di
partita IVA, l'obbligo di emettere autofattura
e di versare all'erario, senza diritto alla detrazione, l'IVA
concernente le operazioni autofatturate.
Dall'altro
lato, le medesime disposizioni hanno consentito agli acquirenti di non dover
indicare nell'autofattura le generalità del raccoglitore/cedente, che non è
titolare di obblighi contabili.
I cessionari
sono inoltre obbligati a comunicare annualmente alle regioni di appartenenza la
quantità del prodotto commercializzato e la provenienza territoriale dello
stesso, sulla base delle risultanze contabili. I cessionari sono obbligati a
certificare al momento della vendita la provenienza del prodotto, la data di
raccolta e quella di commercializzazione.
In
particolare, il comma 1
dell’articolo 29 abroga il primo e il secondo periodo del descritto comma 109, eliminando quindi l’obbligo di autofatturazione per gli acquirenti di tartufi da
raccoglitori dilettanti od occasionali non muniti di partita IVA (lettera a)).
Viene inoltre eliminato il riferimento al raccoglitore dilettante al terzo periodo del comma
109, ferma restando la disposizione
che esenta il cedente raccoglitore occasionale non munito di
partita IVA da obblighi contabili
(lettera b)).
Il comma 2 inserisce il nuovo articolo 25-quater nel decreto IVA (DPR
n. 600 del 1973), volto a sottoporre a ritenuta i compensi corrisposti ai raccoglitori occasionali di tartufi.
Ai sensi del comma
1 del nuovo articolo 25-quater, gli
acquirenti nell’esercizio d’impresa applicano ai compensi corrisposti ai
raccoglitori occasionali di tartufi non identificati ai fini dell’imposta sul
valore aggiunto una ritenuta a titolo
d’imposta, con obbligo di rivalsa.
La ritenuta si
applica all’aliquota fissata dall’articolo 11 del TUIR (DPR
n. 917 del 1986) per il primo scaglione di
reddito - pari al 23 per cento - ed è
commisurata all’ammontare dei corrispettivi pagati ridotto del 22 per cento a titolo di deduzione forfetaria delle
spese di produzione del reddito.
Il comma 3 dell’articolo in commento inserisce i tartufi nella tabella A, parte III, allegata al
decreto IVA, relativa ai beni e servizi soggetti all'aliquota del 10 per cento; il nuovo
numero 20-bis) comprende “tartufi
freschi, refrigerati o presentati immersi in acqua salata, solforata o
addizionata di altre sostanze atte ad assicurarne temporaneamente la conservazione,
ma non specialmente preparati per il consumo immediato”; conseguentemente, è soppressa l’esclusione del tartufo ai
numeri 21 e 70 riguardanti gli ortaggi e le piante mangerecce.
Il comma 4 prevede che le nuove
disposizioni si applicano alle operazioni effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2017.
Ai sensi del comma 5, alle minori entrate, valutate in 2.660.000 euro per l'anno 2017, in
1.960.000 euro per l'anno 2018 e in 2.200.000 euro a decorrere dall'anno 2019,
si provvede mediante riduzione del Fondo
per il recepimento della normativa europea (art. 41-bis della legge n. 234 del 2012) .
Procedure di contenzioso
Nell’ambito
della procedura EU Pilot 8123/15/TAXU,
avviata a dicembre 2015, la Commissione europea intende valutare la conformità al
diritto UE del regime IVA applicabile in Italia all'acquisto di tartufi presso raccoglitori dilettanti od occasionali,
introdotto con l’articolo 1, comma 109, della legge 30 dicembre 2004 (legge
finanziaria del 2005).
In base a tale
disposizione, i soggetti che nell'esercizio di impresa acquistano tartufi da
raccoglitori dilettanti od occasionali non muniti di partita IVA sono tenuti ad
emettere autofattura con le modalità e nei termini di cui all'articolo 21 del
DPR 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni. I soggetti acquirenti
omettono l'indicazione nell'autofattura delle generalità del cedente e sono
tenuti a versare all'erario, senza
diritto di detrazione, gli importi dell'IVA relativi alle autofatture.
D’altro canto, la cessione di tartufo non
obbliga il cedente raccoglitore
dilettante od occasionale non munito di partita IVA ad alcun obbligo contabile.
I rilievi della Commissione europea
riguardano tre profili:
·
in primo luogo, il cedente, ossia
un "raccoglitore dilettante od occasionale non munito di partita
IVA", non è un soggetto passivo
ai fini dell'IVA e pertanto la
cessione non dovrebbe rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva
2006/112/CE (cd. direttiva IVA). La misura in questione violerebbe quindi
l'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della citata direttiva, il quale
stabilisce che sono soggette all'IVA le cessioni di beni effettuate a titolo
oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in
quanto tale;
·
la negazione del diritto a detrazione dell'IVA sarebbe in contrasto
con l'articolo 1, paragrafo 2, secondo comma della direttiva IVA, in base al
quale "l'IVA, calcolata sul
prezzo del bene o del servizio all'aliquota applicabile al bene o servizio in
questione, è esigibile previa detrazione
dell'ammontare dell'imposta che ha gravato direttamente sul costo dei diversi
elementi costitutivi del prezzo";
·
non
esisterebbe un quadro merceologico e fiscale del tartufo
nella legislazione italiana, anche se il prodotto è considerato coltivabile
secondo la legge 16 dicembre 1985, n. 752, che ne disciplina la raccolta e la
commercializzazione. Il tartufo sarebbe esplicitamente escluso dai prodotti agricoli elencati nella tabella
A allegata al citato DPR n. 633/1972, con la conseguenza di essere escluso dal regime speciale per i
produttori agricoli. La Commissione europea vorrebbe sapere in quale modo
le autorità italiane spiegano questa esclusione.
Articolo
30
(Disposizioni in materia di diritti dei
lavoratori a seguito di subentro di un nuovo appaltatore. Caso EU Pilot
7622/15/EMPL)
L'articolo 30, inserito dal Senato, riformula
l'articolo 29, comma 3, del D.Lgs. 10
settembre 2003, n. 276, secondo cui l'acquisizione, a seguito di subentro di un nuovo appaltatore ed in
forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del
contratto d'appalto, del personale già impiegato nell'appalto non costituisce trasferimento d'azienda
o di parte d'azienda. Con la novella si specifica che l'esclusione della natura
di trasferimento d'azienda (o di parte d'azienda) è subordinata alla sussistenza di elementi di discontinuità che
determinino una specifica identità di
impresa ed alla condizione che
il nuovo appaltatore sia dotato di propria
struttura organizzativa ed operativa.
Si ricorda che la norma oggetto della
presente novella è già stata interpretata dalla giurisprudenza, anche della
Corte di cassazione, nel senso che la medesima non esclude che, qualora
ricorrano i presupposti, il subentro di un nuovo appaltatore costituisca un
trasferimento d'azienda o di parte d'azienda.
La Commissione
europea (Caso EU Pilot 7622/15/EMPL),
ai fini della valutazione della compatibilità della norma con la disciplina
dell'Unione europea, ha reputato insufficiente quest'ordine di considerazioni,
ritenendo (secondo il loro esame delle sentenze della Corte di cassazione) che
l'interpretazione della norma escluda la configurazione del subentro
nell'appalto come trasferimento d'azienda o di parte d'azienda in tutti i casi
in cui il medesimo subentro non sia accompagnato (oltre che dal passaggio del
personale) da un trasferimento di beni di "non trascurabile entità".
Si ricorda, in ogni caso, che la
giurisprudenza della Corte di cassazione riconosce la sussistenza del
trasferimento d'azienda (o di parte d'azienda) anche "nel caso in cui la
cessione abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti dotati di
particolari competenze che siano stabilmente coordinati ed organizzati tra
loro, così da rendere le loro attività interagenti ed idonee a tradursi in beni
e servizi ben individuabili"[24].
Secondo i
servizi della Commissione, per la motivazione sopra ricordata, la norma
violerebbe la direttiva
2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001,
"concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di
imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti".
Si ricorda che dall'inquadramento di una
fattispecie come trasferimento di azienda (o di parte di essa) - trasferimento
che può consistere anche in un usufrutto o in un affitto - consegue la tutela
sul mantenimento dei diritti dei lavoratori, di cui all'art. 2112 del codice
civile.
L’articolo
31 introduce l’obbligo per ciascun cacciatore di
annotare, subito dopo l'abbattimento, sul proprio tesserino venatorio la fauna selvatica stanziale e migratoria
abbattuta, a tal fine modificando l’articolo 12 della legge 11
febbraio 1992, n. 157
recante “Norme per la protezione della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”.
Secondo la relazione illustrativa allegata
al disegno di legge la disposizione in commento è finalizzata alla chiusura di
una parte del caso EU Pilot 6955/14/ENVI,
avviato dalla Commissione europea nell'ottobre del 2014, con una richiesta di
informazioni sull'attività di monitoraggio del prelievo venatorio in Italia e
sull'impatto che tale prelievo esercita, in particolare con riferimento alle
specie in cattivo stato di conservazione.
L’articolo
12 della legge n. 157/1992 prevede che l'attività
venatoria possa essere esercitata: dai maggiorenni; muniti di licenza di
porto di fucile per uso di caccia; con polizza assicurativa per la
responsabilità civile verso terzi, derivante dall'uso delle armi o degli arnesi
utili all'attività venatoria, nonché con polizza assicurativa per infortuni
correlata all'esercizio dell'attività venatoria.
La licenza di porto di fucile per uso di
caccia ha validità su tutto il
territorio nazionale e consente l'esercizio venatorio nel rispetto della legge
157/1992 e delle norme emanate dalle regioni.
Al comma 12 si prevede che per
l'esercizio dell'attività venatoria è necessario, altresì, il possesso di un
apposito tesserino rilasciato dalla
regione di residenza, ove sono indicate le specifiche norme inerenti il
calendario regionale, nonché le forme di esercizio dell’attività venatoria
previste al comma 5 (con l'arco o con il falco, vagante in zona Alpi, da
appostamento fisso e nell'insieme delle altre forme di attività venatoria
consentite dalla legge n. 157 e praticate nel rimanente territorio destinato
all'attività venatoria programmata) e gli ambiti territoriali di caccia ove è
consentita l'attività venatoria.
Per l'esercizio della caccia in regioni
diverse da quella di residenza è necessario che, a cura di quest'ultima,
vengano apposte sul predetto tesserino le indicazioni sopramenzionate.
Procedure di
contenzioso
Nell’ambito
del sistema EU Pilot, la Commissione europea ha inviato all’Italia una
richiesta di chiarimenti sulla non
corretta applicazione di alcune disposizioni della direttiva
2009/147/CE
concernente la
conservazione degli uccelli selvatici (caso EU Pilot 6955/14/ENVI).
In
particolare, le attività venatorie praticate
in diverse regioni italiane non sarebbero compatibili con la normativa
dell’UE dal momento che alcune specie di
uccelli selvatici sarebbero cacciate in fase di migrazione pre-nuziale e diverse specie di uccelli in cattivo stato
di conservazione sarebbero cacciate in assenza di piani di gestione o di
conservazione.
L’articolo
7 della direttiva 2009/147/CE stabilisce, infatti, che alcune specie di uccelli
(indicate all’allegato II alla direttiva) possano essere oggetto di atti di
caccia nel quadro della legislazione nazionale. Gli Stati membri devono,
tuttavia, fare in modo che la caccia di queste specie non pregiudichi le azioni
di conservazione intraprese nella loro area di distribuzione. Essi provvedono
in particolare a che le specie alle quali si applica la legislazione sulla
caccia non siano cacciate durante il periodo della nidificazione né durante le
varie fasi della riproduzione e della dipendenza degli uccelli né, per quanto
riguarda le specie migratrici, durante il ritorno al luogo di nidificazione.
Per quanto riguarda le specie in cattivo stato di conservazione, nella Guida
alla disciplina della caccia nell’ambito della direttiva sulla conservazione
degli uccelli selvatici, la Commissione europea
raccomanda che la caccia sia autorizzata nell’ambito di un piano di gestione
adeguato, che preveda anche la conservazione degli habitat nonché altre misure
in grado di rallentare e di invertire la tendenza al declino della specie in
questione.
Per
quanto riguarda la caccia in fase di migrazione
pre-nuziale, a seguito dei rilievi della Commissione europea e su
sollecitazione del Governo, alcune
regioni hanno modificato il calendario venatorio, anticipando la chiusura
della caccia al 20 gennaio invece che al 31 gennaio al fine di rispettare le
date indicate nel documento Key
Concepts[25]
per la riproduzione e la migrazione prenuziale delle specie in oggetto. Nei
confronti delle regioni che non hanno ritenuto di modificare i calendari
venatori 2014/2015, il Governo ha
esercitato i poteri sostitutivi, anticipando la chiusura della caccia;
tuttavia, le regioni hanno comunicato di non volersi uniformare a tale
decisione e di voler continuare ad autorizzare la caccia fino al 31 gennaio,
rilevando la necessità di un aggiornamento del Key concepts sulla base di dati scientifici più attendibili e più aggiornati.
Sulla
base di tali elementi, la Commissione
europea, pur apprezzando l'esercizio del potere sostitutivo straordinario
da parte del Governo, ritiene
preferibile un intervento normativo che modifichi l’articolo 18 della legge n.
157/1992, fissando al 20 gennaio
invece che al 31 gennaio la chiusura della caccia per le specie in questione.
Benché
in un primo momento fosse stato preannunciato l’inserimento di tale intervento
normativo nel disegno di legge europea 2015, il 15 gennaio 2016 il Consiglio
dei Ministri ha invece preferito deliberare, anche per il calendario venatorio
2015/2016, l'esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti delle regioni
Toscana, Calabria, Liguria, Marche, Puglia, Lombardia e Umbria, disponendo la
modifica del loro calendario venatorio sulla base dei rilievi della Commissione
europea.
Per
quanto riguarda la caccia delle specie
in cattivo stato di conservazione, secondo la Commissione europea le
informazioni fornite dal Governo italiano avrebbero confermato che 19 specie sono
cacciate in assenza di piani di gestione
e che il prelievo venatorio cosi come disciplinato dalla regioni non consente
la raccolta di dati sui carnieri realizzati né altri dati per consentire di
valutarne la consistenza. Su tale argomento la Commissione europea condivide i
principi e le restrizioni proposti nella sua Guida alla stesura dei calendari
venatori dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e ricerca
ambientale), che peraltro ha espresso in più casi parere contrario ai calendari
venatori sottoposti dalle regioni. La
soluzione proposta dalla Commissione europea è quella di rendere vincolanti i
pareri dell’ISPRA sui calendari venatori regionali, in particolare per
quanto riguarda le specie in cattivo stato di conservazione. Di contrario avviso
il Governo, perché così facendo si attribuirebbe ad un organo tecnico
scientifico indipendente, a sostegno di un’amministrazione pubblica, un potere
decisionale non compatibile con la sua natura giuridica. Il Governo ha invece sollecitato l’ISPRA a produrre piani di gestione
per le specie in questione.
Un’ulteriore
criticità rilevata dalla Commissione
europea riguarda la diversa
regolamentazione applicata dalle regioni per l’annotazione dei capi abbattuti
nel tesserino venatorio, a seconda che si tratti di specie stanziali
(annotazione prevista subito dopo l’abbattimento) o di specie migratorie
(annotazione prevista alla fine della giornata di caccia). La Commissione
europea ritiene che tale differenziazione (come avrebbe rilevato anche l’ISPRA)
renda più difficili le operazioni di controllo e riduca l’affidabilità dei dati
raccolti. Pertanto ha richiesto di modificare il testo della legge n. 157/92,
prevedendo per tutte le specie l’annotazione dopo l’abbattimento, e di
raccogliere in maniera tempestiva e completa tutti i dati sui carnieri
realizzati. Su tale aspetto il Governo ha convenuto con la richiesta della
Commissione europea, da un lato inserendo con il presente articolo la modifica
proposta, e dall’altro sollecitando le regioni a trasmettere i dati.
In
considerazione dei rilievi avanzati dalla Commissione europea, la modifica
introdotta dal Governo interviene a risolvere soltanto una parte del caso EU
Pilot in questione.
Articolo
32
(Disposizioni relative allo stoccaggio
geologico di biossido di carbonio. Caso EU Pilot 7334/15/CLIM)
L’articolo 32 modifica in più punti la
disciplina recata dal decreto
legislativo 14 settembre 2011, n. 162, di
attuazione della direttiva 2009/31/CE, in materia di stoccaggio geologico del biossido di carbonio, al fine di superare
i rilievi avanzati dalla Commissione europea nell’ambito del caso EU Pilot
7334/15/CLIM.
Condizioni per
il rilascio dell’autorizzazione allo stoccaggio di biossido di carbonio
La lettera a)
del comma 1 dell’articolo in
commento introduce due modifiche all’articolo 14 del decreto legislativo n. 162 del 2011, che detta le condizioni per il rilascio e il trasferimento delle autorizzazioni
allo stoccaggio geologico del biossido
di carbonio (CO2).
La prima
modifica è disposta dal punto 1)
della lettera a) che aggiunge la nuova lettera
g-bis) all’articolo 14, al fine
di prevedere una ulteriore condizione in
merito al rilascio dell'autorizzazione allo stoccaggio.
In
particolare, la nuova condizione stabilisce che, in caso di più siti di stoccaggio nella stessa unità idraulica, le potenziali interazioni di pressione
siano tali che tutti i siti rispettino simultaneamente le prescrizioni del
medesimo decreto legislativo n. 162 del 2011.
Tale modifica
è conseguente al mancato recepimento del punto 1), lettera c), dell’articolo 8
della direttiva
2009/31/CE, che elenca le condizioni per il
rilascio delle autorizzazioni allo stoccaggio di biossido di carbonio, e che,
nel caso specifico, prevede, in caso di più siti di stoccaggio nella stessa
unità idraulica, che le potenziali interazioni di pressione siano tali che
entrambi i siti possono rispettare simultaneamente le prescrizioni della
direttiva medesima.
Si osserva che, mentre il testo della direttiva
prevede la possibilità che i siti rispettino simultaneamente la direttiva
medesima, la nuova lettera g-bis) sembra richiedere tale rispetto in termini
di obbligo e non di facoltà. Andrebbe, pertanto, valutato se la nuova
formulazione configuri un adeguamento della disciplina nazionale in termini più
restrittivi rispetto a quanto previsto dalla normativa europea.
Nel documento
elaborato dall’Ufficio legislativo del Ministero dell’ambiente di risposta alle
informazioni supplementari richieste dalla Commissione europea è riportata una
formulazione della norma di recepimento nazionale, che riproduce testualmente
il testo della direttiva.
Si ricorda,
inoltre, che, ai sensi dell’articolo 3 del D.Lgs. n. 162/2011(che riprende
l’articolo 3, punto 3 e punto 7, della Direttiva 2009/31/CE) è sito di stoccaggio l'insieme del volume
della formazione geologica utilizzata ai fini dello stoccaggio geologico di CO2,
della sua proiezione in superficie, nonché degli impianti di superficie e di
iniezione connessi (lettera c)); mentre è unità
idraulica: uno spazio poroso
collegato idraulicamente in cui la trasmissione della pressione può essere
misurata e che è delimitato da barriere di flusso, quali faglie, duomi salini,
limiti litologici, ovvero dalla chiusura stratigrafica o dall'affioramento
della formazione.
L’articolo 14, comma 1, del D.Lgs n. 162 del 2011
specifica che l'autorizzazione allo
stoccaggio di biossido di carbonio è rilasciata ove sussistano le seguenti condizioni:
a) siano stati
espletati gli adempimenti previsti nel procedimento unico di cui all'articolo
12 per il rilascio dell'autorizzazione, ed acquisito il parere del Comitato;
b) siano
rispettate tutte le disposizioni del presente decreto e degli altri atti
normativi pertinenti in materia autorizzativa;
c) il gestore
sia finanziariamente solido, affidabile, disponga delle competenze tecniche
necessarie ai fini della gestione e del controllo del sito e siano previsti
programmi di formazione e sviluppo tecnici e professionali del gestore e di
tutto il personale;
d) sia
garantito, in considerazione del vincolo di ubicazione, che la costruzione e la
gestione del sito di stoccaggio di CO2 non rechino danno al benessere della
collettività e agli interessi privati prevalenti;
e) siano
esclusi effetti negativi a danno di concessioni minerarie esistenti o di
giacimenti minerari;
f) sia
garantita la sicurezza a lungo termine del sito di stoccaggio di CO2;
g) siano
previste misure che evitino danni ai beni della collettività.
La seconda
modifica recata dal punto 2) della lettera a) aggiunge il comma 1-bis) all’articolo 14, al fine di prevedere
che per ciascuna unità idraulica può essere rilasciata un’unica
autorizzazione.
La relazione
illustrativa al disegno di legge ascrive a motivi di sicurezza l’introduzione
del comma in esame, in analogia a quanto previsto
dalla normativa mineraria che disciplina la produzione di idrocarburi e lo
stoccaggio di gas naturale in sotterraneo[26].
Nel citato
documento elaborato dall’Ufficio legislativo del Ministero dell’ambiente di
risposta alle informazioni supplementari richieste dalla Commissione europea si
precisa che la disposizione di cui al comma 1-bis è stata introdotta al fine di prevedere che per ogni unità idraulica l’autorizzazione
allo stoccaggio può essere rilasciata ad un solo operatore.
Si ricorda che
l’articolo 6 della Direttiva 2009/31/CE
dispone che gli Stati membri provvedono affinché la gestione dei siti di
stoccaggio avvenga solo previo rilascio di un'autorizzazione allo stoccaggio,
affinché vi sia un unico gestore per
ogni sito di stoccaggio e affinché sul sito non siano consentiti utilizzi
incompatibili.
Come
chiariscono gli stessi lavori preparatori della direttiva
in questione “Più siti di stoccaggio
possono collocarsi in una struttura denominata unità idraulica. L'unità idraulica si estende nello spazio
oltre un "complesso di stoccaggio". All'interno di una siffatta
struttura sono possibili interazioni notevoli tra azioni parallele di
iniezione. Per tale motivo le autorizzazioni allo stoccaggio dovrebbero essere
concesse ad un solo gestore alla volta.
In attuazione
della Direttiva, il D.Lgs. n.162/2011 definisce autorizzazione allo stoccaggio: un atto emanato a norma del decreto
legislativo stesso, che attribuisce in concessione lo stoccaggio geologico di
CO2 in un sito di stoccaggio e che
specifica le condizioni alle quali lo stoccaggio può aver luogo.
Si osserva che la compatibilità della disposizione
in commento, che non sembra configurarsi come una modifica in risposta ai
chiarimenti avanzati dalla Commissione europea, andrebbe valutata alla luce di
quanto prevede l’articolo 6 della direttiva 2009/31/CE.
Riesame e
aggiornamento dell’autorizzazione allo stoccaggio di biossido di carbonio
La lettera b)
del comma 1 dell’articolo in
commento aggiunge il comma 2-bis), all’articolo 17 del D. Lgs n.
162 del 2011, che disciplina i casi per la modifica, il riesame, l’aggiornamento,
la revoca e decadenza dell'autorizzazione allo stoccaggio di biossido di
carbonio (CO2).
Il nuovo comma 2-bis) stabilisce - riproducendo testualmente
la formulazione dell’articolo 11, paragrafo
3, lettere d) e e) della direttiva 2009/31 - che il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la regione
territorialmente interessata, anche su parere del Comitato, riesamina ed eventualmente aggiorna l’autorizzazione allo
stoccaggio nei seguenti casi:
a) qualora
risulti necessario in base ai più recenti
risultati scientifici e progressi tecnologici;
b) cinque anni dopo il rilascio dell’autorizzazione e, in seguito, ogni dieci anni, fatte salve le disposizioni
di cui alla predetta lettera a) e alle lettere da a) a d) del comma 3
dell’articolo 17.
L’aggiunta del
nuovo comma 2-bis), all’articolo 17
del D. Lgs n. 162 del 2011, è necessaria al fine di garantire la completa
trasposizione dell’articolo 11, paragrafo 3, lettere d) ed e), della direttiva
2009/31/CE, come rilevato dalla Commissione europea nel caso EU Pilot.
L’articolo 17, comma 3, del D. lgs n. 162 del 2011
disciplina i casi di decadenza dell’autorizzazione allo stoccaggio di
biossido di carbonio. In particolare, il Ministero dello sviluppo economico,
sentita la regione territorialmente interessata, anche su proposta del
Comitato, dichiara la decadenza, previa diffida, del soggetto titolare
dell'autorizzazione allo stoccaggio nei seguenti casi:
a) qualora il
soggetto autorizzato si sia reso inadempiente alle prescrizioni previste
dall'autorizzazione;
b) se le
comunicazioni di cui all'articolo 20 o le ispezioni effettuate a norma
dell'articolo 21 mettono in evidenza il mancato rispetto delle condizioni
fissate nelle autorizzazioni o rischi di fuoriuscite o di irregolarità
significative;
c) in caso di
violazione dell'articolo 14, comma 3, del decreto legislativo medesimo (cioè
nel caso di trasferimento ad altro soggetto dell'autorizzazione allo stoccaggio
senza la prevista autorizzazione preventiva dell’autorità competente);
d) in caso di
mancata presentazione della relazione di cui all'articolo 20.
L’articolo 11, paragrafo 3,
della direttiva 2009/31 prevede che l'autorità competente riesamina ed eventualmente
aggiorna o, al limite, revoca l'autorizzazione allo stoccaggio:
a) se riceve
comunicazione o è messa a conoscenza di qualsiasi fuoriuscita o irregolarità
importante ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1;
b) se le
comunicazioni di cui all'articolo 14 o le ispezioni ambientali effettuate a
norma dell'articolo 15 mettono in evidenza il mancato rispetto delle condizioni
fissate nelle autorizzazioni o rischi di fuoriuscite o di irregolarità
importanti;
c) se è a
conoscenza di altre inadempienze del gestore rispetto alle condizioni
dell'autorizzazione;
d) qualora
risulti necessario in base ai più recenti risultati scientifici e progressi
tecnologici; ovvero
e) fatte salve
le lettere da a) a d), cinque anni dopo il rilascio dell'autorizzazione e in
seguito ogni dieci anni.
Attività
sottoposte a vigilanza e controllo
La
lettera c) del comma 1
dell’articolo in commento modifica
l’articolo 21 del D. Lgs. n. 162 del
2011, che prevede la disciplina per la vigilanza e il controllo di tutte le
attività di esplorazione, realizzazione degli impianti, iniezione di biossido
di carbonio (CO2) e gestione dei siti, regolate ai sensi del decreto
legislativo medesimo, attraverso lo svolgimento di ispezioni periodiche ed
occasionali.
La lettera c)
in esame aggiunge un nuovo periodo
al comma 6 dell’articolo 21, che
detta la tempistica per le ispezioni periodiche in materia di stoccaggio
geologico del biossido di carbonio.
In
particolare, il nuovo periodo specifica che le suddette ispezioni periodiche
riguardano le strutture di iniezione e monitoraggio e tutta la serie di effetti
significativi del complesso di stoccaggio sull’ambiente e sulla salute umana.
Il comma 6 dell’articolo 21 del D.lgs. n.
162 del 2011 stabilisce, in materia di ispezioni
periodiche, che le medesime ispezioni siano effettuate di norma almeno una
volta all'anno, in base a quanto previsto dal piano annuale comunicato al
gestore entro il 31 gennaio dal Comitato, fino a tre anni dopo la chiusura e
almeno ogni cinque anni fino a quando non avvenga il trasferimento di
responsabilità di cui all'articolo 24.
L’aggiunta del nuovo periodo al comma 6
dell’articolo 21 si rende necessaria al fine di garantire la completa
trasposizione dell’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2009/31/CE che in
materia di ispezioni periodiche
specifica che le medesime ispezioni riguardano le strutture di iniezione e
monitoraggio e tutta la serie di effetti significativi del complesso di
stoccaggio sull'ambiente e sulla salute umana.
Si ricorda,
infine, che sempre a seguito dei rilievi avanzati nell’ambito del caso EU Pilot
7334/15/CLIM, l’articolo 24 della legge n. 115 del 2015 (legge Europea 2014) è
intervenuto con modifiche in merito a diverse disposizioni del D.lgs. n. 162
del 2011.
Nell’ambito
del sistema EU Pilot, la Commissione europea ha inviato all’Italia una richiesta di chiarimenti in merito al
recepimento di alcune disposizioni della direttiva 2009/31/CE relativa allo
stoccaggio geologico del biossido di carbonio (caso EU Pilot 7334/15/CLIM).
In
particolare la Commissione europea rileva che nel decreto legislativo n.
162/2011 che dà attuazione alla direttiva, non
sono state trasposte le seguenti disposizioni:
·
articolo
8, punto 1, lettera c). Sulla base di tale
disposizione, l’autorizzazione allo stoccaggio viene rilasciata soltanto se sia
stato accertato che in
caso di più siti di stoccaggio nella stessa unità idraulica, le potenziali
interazioni di pressione sono tali che entrambi i siti possono rispettare
simultaneamente le prescrizioni della direttiva;
·
articolo 11, paragrafo 3, lettere d) e e). Il paragrafo 3 dell’articolo 11 prevede che
l’autorità competente riesamina, ed eventualmente, aggiorna o revoca
l’autorizzazione, tra l’altro, se risulti necessario in base ai più recenti
risultati scientifici e progressi tecnologici (lettera d) o cinque anni dopo il
rilascio e in seguito ogni dieci anni (lettera e));
·
articolo 15, paragrafo 3, seconda frase, in cui si stabilisce che le ispezioni riguardano
le strutture di iniezione e monitoraggio e tutta la serie di effetti
significativi del complesso di stoccaggio sull’ambiente e sulla salute umana.
Riconoscendo la fondatezza dei rilievi avanzati
dalla Commissione europea, l’intervento del Governo è volto a modificare il
decreto legislativo nel senso richiesto.
Articolo
33
(Disposizioni per la corretta attuazione
del terzo pacchetto energia. Procedura di infrazione 2014/2286)
L’articolo
33 reca adattamenti alla
normativa nazionale vigente sul «terzo
pacchetto energia», di cui al decreto
legislativo n. 93 del 2011, al fine di consentire l'archiviazione della
procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea.
Nonostante le modifiche al decreto
legislativo n. 93 del 2011 - introdotte con l’articolo 26 della legge europea
2014 (legge n. 115 del
2015)
- il Governo rende noto - nella relazione introduttiva al disegno di legge - che
"in ragione di più recenti colloqui con i servizi della Commissione
europea" è emersa l’esigenza di apportare ulteriori adattamenti alla
normativa nazionale vigente sul «terzo pacchetto energia», al fine di
assicurare la definitiva chiusura della procedura di infrazione 2014/2286.
Si tratta di una procedura che, allo
stadio, versa in situazione di messa in mora ex articolo 258 TFUE: la
Commissione lamenta ancora il non
corretto recepimento nell’ordinamento italiano di alcune disposizioni della direttiva 2009/72/CE e della direttiva 2009/73/CE, recanti norme comuni per il mercato interno
rispettivamente dell’energia elettrica e del gas naturale.
L’articolo 33 mira, pertanto, ad
apportare ulteriori modifiche al suddetto decreto legislativo.
In particolare, il comma 1, lettera a),
modificando l’articolo 37 del D.Lgs. n. 93/2011, ritorna sulla delimitazione di competenze tra
l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) e il
Ministero dello sviluppo economico nella definizione delle condizioni di accesso alle infrastrutture transfrontaliere.
L'obbligo introdotto dalla
direttiva 2003/54/CE per gli Stati membri - di istituire regolatori dotati di
competenze specifiche - è stato infatti declinato dalle direttive 2009/72/CE e
2009/73/CE nel senso di salvaguardare il valore dell'indipendenza e della
discrezionalità degli organi regolatori, rispetto alla pubblica amministrazione
alle dipendenze dell'Esecutivo nazionale. Per i considerando 33 e 29, rispettivamente, "l’esperienza (...)
dimostra che l’efficacia degli interventi dei regolatori è spesso limitata dal
fatto che essi non sono sufficientemente indipendenti rispetto alla pubblica
amministrazione e che non sono dotati delle competenze e del potere
discrezionale necessari". Pertanto, il potere di indirizzo, che il Ministero
dello sviluppo economico può esercitare sull’AEEGSI, è ora delimitato alla sola
necessità di assicurare il rispetto di atti e di accordi internazionali
stipulati tra l’Italia e altri Stati terzi, diversi da quelli appartenenti
all'Unione. Il Governo ritiene, infatti, che in tale ambito non operi la
primazia del diritto dell'Unione[27], il quale invece (secondo i
poteri di armonizzazione della materia conferiti all'Unione) prevale quando si
tratti di atti e accordi internazionali stipulati con altri Stati membri
dell’Unione.
Il comma
1, lettera b), affronta la questione dell’affidamento della gestione delle nuove linee elettriche di
interconnessione con i sistemi elettrici di altri Stati membri; ciò allo
scopo di prevenire l'effetto - su società diverse da Terna - di scoraggiamento
allo sviluppo di interconnettori, mediante una modifica all’articolo 39 del
decreto legislativo n. 93 del 2011.
Rispetto al testo del Governo, la norma è stata modificata dal Senato,
per cui la possibilità - per i soggetti che realizzano linee di
interconnessione con altri Stati membri - è subordinata alla loro
certificazione quali gestori della linea stessa. Vi provvede l'Autorità di
settore, secondo le procedure vigenti (alle quali è stato aggiunto un
riferimento a quelle per il caso in cui il richiedente sia controllato da
soggetti di un paese terzo), in rapporto di notifica e di informazione con la
Commissione dell'Unione europea. Ciò avverrebbe limitatamente al periodo di
durata dell’esenzione dall’obbligo di accesso a terzi: l’articolo 17 del
regolamento (CE) n. 714/2009, recante condizioni di accesso alla rete per gli
scambi transfrontalieri di energia elettrica, prevede infatti che le autorità
di regolamentazione possano, su richiesta, esentare gli interconnettori per
corrente continua per un periodo limitato, alle condizioni ivi previste. In sede
referente s'è aggiunta una clausola di salvaguardia dell'obbligo per tali
imprese di rispettare tutte le condizioni affinché il gestore del sistema
elettrico di trasmissione nazionale possa effettuare la gestione in sicurezza
di tutte le porzioni della rete elettrica di trasmissione nazionale (che è di
sua competenza, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1999,
n. 79); analogo obbligo vale nei confronti del gestore del sistema elettrico
nazionale dello Stato membro confinante interessato dalla interconnessione.
La lettera
c) del comma 1 modifica l’articolo 45 del decreto legislativo n. 93
del 2011, che nell'attuale versione appare caratterizzato da una tipicità
limitata in ordine ai regolamenti delegati od atti di attuazione del diritto
dell’Unione, tale da non garantire che essi siano assistiti da sanzione in caso di violazione.
In effetti, mentre le violazioni di
obblighi riconducibili a deliberazioni dell’autorità di regolamentazione -
adottate ai sensi della legge n. 481 del 1995 - sono puntualmente elencate, ai
fini dell'esercizio del potere sanzionatorio in capo all’autorità nazionale di
regolazione, la Commissione europea non riscontrava l'esistenza di analogo
potere anche per le violazioni dell’articolo 20 (Comunicazione di informazioni e riservatezza) e dell’allegato I (Gestione e assegnazione della capacità
disponibile di trasmissione sulle linee di interconnessione tra sistemi
nazionali) del regolamento (CE) n. 714/2009 e degli articoli 13 (Tariffe per l’accesso alle reti), 20 (Registrazione delle informazioni da parte
dei gestori dei sistemi) e 21 (Regole
sul bilanciamento e oneri di sbilancio) e dell’allegato I (Orientamenti SU) del regolamento (CE) n.
715/2009.
La versione proposta con la novella
dell’articolo 45, comma 1, del decreto legislativo n. 93 del 2011, tipizza le ulteriori violazioni assistite
da sanzione; ciò sanerebbe la lacuna, che avrebbe potuto dare luogo a
violazione dell'articolo 22, par. 1 del regolamento (CE) n. 714/2009, secondo
cui "(...) gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di
violazione delle disposizioni del presente regolamento e adottano ogni
provvedimento necessario per assicurare l’applicazione delle sanzioni stesse.
(...)".
Il comma
2 interviene a sanare una
sovrapposizione tra due istituti diversi, quello della "vulnerabilità" del cliente (di cui all’articolo 22,
comma 2, del decreto legislativo n. 164 del 2000, già modificato dall’articolo
7, comma 2, del decreto legislativo n. 93 del 2011) e quella di cliente protetto nel settore del gas,
di cui all'articolo 2 del Regolamento n. 994/2010.
La Commissione europea, in particolare,
ha ricordato che l'articolo 3 paragrafo 3 della direttiva richiede che la
vulnerabilità tuteli con misure appropriate i clienti finali nelle zone
isolate, esemplificandole nella considerazione della povertà energetica e nel
divieto di interruzione delle forniture; al contrario, l’eccessiva ampiezza
dell’attuale definizione di cliente vulnerabile prevista dal citato articolo
22, comma 2, del decreto legislativo n. 164 del 2000, che ricomprenderebbe
anche soggetti che non necessitano di particolare protezione.
Il Governo, nella relazione introduttiva
del disegno di legge, ha ricostruito le due categorie come insiemi in cui la
minore - i clienti protetti, il cui disagio economico è tutelato da apposite
norme che destinano loro misure di sostegno economico (cosiddetto bonus gas)[28] - è ricompresa nella
maggiore (i clienti vulnerabili) ma non la esaurisce: "nell’ordinamento
italiano, infatti, il concetto di vulnerabilità dei clienti del mercato del gas
è stato piuttosto inteso nel senso del divieto di interruzione delle forniture
in momenti critici per il sistema nazionale del gas".
Alla luce della richiesta europea,
comunque, il comma 2 sostituisce
all'articolo 22, comma 2 citato l'attributo "vulnerabili" con
"protetti" e, con un nuovo comma 2-bis, introduce una definizione di clienti vulnerabili ai sensi
della direttiva 2009/73/CE: si tratta dei clienti domestici di cui all’articolo
1, comma 375, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, come identificati dal
decreto del Ministro dello sviluppo economico 28 dicembre 2007, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 41 del 18 febbraio 2008. Per essi vige l’obbligo
di assicurare, col più alto livello di sicurezza possibile, le forniture di gas
naturale anche in zone isolate, in momenti critici o in situazioni di emergenza
del sistema del gas naturale.
Si rammenta che l'articolo 33 del disegno di legge
recante Legge annuale per il mercato e la
concorrenza (S. 2085), in corso di esame al Senato, demanda ad un decreto
del MiSE, sentita l’AEEGSI, da adottarsi entro 180 giorni, la revisione della disciplina
del bonus elettrico e del bonus gas per i clienti
economicamente svantaggiati e per quelli che versano in gravi condizioni di
salute, tali da richiedere l’utilizzo di apparecchiature alimentate ad energia
elettrica, necessarie per il loro mantenimento in vita. Tale decreto
disciplinerà le modalità di erogazione dei benefici economici individuali -
anche alternative rispetto alla compensazione della spesa - individuando una
corresponsione congiunta delle misure di sostegno alla spesa per energia
elettrica e gas; esso rimodulerà l’entità degli stessi benefici, tenendo conto
dell’ISEE.
Infine, si ricorda che il 7
giugno scorso
la viceministra dello sviluppo economico Teresa Bellanova è intervenuta presso
la Commissione attività produttive della Camera relativamente alla procedura di
infrazione n. 2014/2286. La viceministra si è soffermata sulle interlocuzioni
intercorse con la Commissione europea e sui singoli punti dell’intervento
legislativo correttivo in esame, rilevando come - attraverso questi - il
Governo ritenga opportuno apportare al decreto legislativo n. 93/2011 le
modifiche che la Commissione suggerisce, al fine di facilitare la più rapida
chiusura della procedura.
Articolo 34
(Modifiche all'articolo 19 della legge 24
dicembre 2012, n. 234)
L’articolo 34 interviene in merito alla figura del Segretario del CIAE (Comitato
interministeriale per gli affari europei), modificando l'articolo 19, commi 1, 4 e 5 della legge
24 dicembre 2012, n. 234, in modo da ovviare a un difetto di coordinamento con l'articolo
2, comma 9-bis, della stessa legge.
Il comma 9-bis, introdotto dall'art. 29, comma 1, lettera a) della legge europea 2014 (legge 29 luglio
2015, n. 115),
recita testualmente: "Il Segretario
del CIAE è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro per gli affari europei, ai sensi dell'articolo 19 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e
dell'articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni,
tra persone di elevata professionalità e di comprovata esperienza".
Le modifiche
all'art. 19 sono pertanto tese a
sostituire i termini "direttore della Segreteria del CIAE" e
"responsabile della Segreteria del CIAE" con il termine
"Segretario del CIAE", onde chiarire che a quest'ultimo saranno
demandati i seguenti compiti:
-
presiedere il Comitato tecnico di
valutazione degli atti dell'Unione europea (art. 19, comma 1);
-
presiedere i gruppi di lavoro
incaricati di preparare i lavori del Comitato stesso (art. 19, comma 4);
-
convocare le riunioni del Comitato stesso (art. 19,
comma 5).
Articolo
35
(Modifiche alla legge 24 dicembre 2012,
n. 234, in materia di aiuti di Stato)
L'articolo 35 apporta modifiche al Capo
VIII ("Aiuti di Stato", articoli 44-52) della legge
24 dicembre 2012, n. 234, recante "Norme generali
sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della
normativa e delle politiche dell'Unione europea".
Come è noto,
sono incompatibili con l'ordinamento dell'Unione europea, nella misura in cui
incidano sugli scambi tra gli Stati membri, "gli aiuti concessi dagli
Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo
talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la
concorrenza" (articolo 107 del Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea, TFUE).
L'articolo 108 incarica la Commissione di
procedere "con gli Stati membri" all'esame permanente dei regimi di
aiuti esistenti e di proporre le misure richieste "dal graduale sviluppo o
dal funzionamento del mercato interno" (paragrafo 1).
Il paragrafo 2
regola l'ipotesi di avvenuta concessione di aiuti di Stato incompatibili con il
mercato interno oppure attuati in modo abusivo. In tal caso, la Commissione
europea, dopo avere intimato agli Stati interessati di presentare le proprie
osservazioni, adotta una decisione per la soppressione o modifica dell'aiuto
entro un termine prestabilito (comma 1). In caso di inosservanza, è possibile
ricorrere alla Corte di giustizia (comma 2)[29].
Il paragrafo 3
istituisce l'obbligo per gli Stati membri di comunicare alla Commissione, in
tempo utile perché essa possa presentare osservazioni, progetti diretti a
istituire o modificare aiuti. A seguito della notifica, è avviata una procedura
di indagine preliminare. Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione
alle misure notificate prima di una decisione finale.
Ai sensi dell'articolo 109 del TFUE il Consiglio, su
proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può
stabilire regolamenti utili ai fini dell'applicazione degli articoli 107 e 108
e, in particolare, dell'articolo 108, paragrafo 3.
Proprio in
virtù di questa norma è stato recentemente adottato il regolamento
(UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015[30].
Si tratta di un testo di codificazione, che ha riunito cioè in un unico testo
legislativo vari atti normativi sulla medesima materia, succedutisi nel tempo,
contestualmente abrogandoli. Tra i testi abrogati vi è il regolamento (CE)
n. 659/1999[31] del Consiglio,
del 22 marzo 1999.
Il regolamento (UE) 2015/1689 regola in
dettaglio le procedure relative agli
aiuti notificati, dettando norme tra l'altro relative alle procedure relative
agli aiuti notificati (Capo II), illegali (Capo III), attuati in modo abusivo
(Capo V) ed esistenti (Capo VI).
Il comma 1 modifica la disciplina per la notifica alla Commissione
europea di eventuali misure di concessione di aiuti di Stato alle imprese.
La comunicazione diretta da parte delle singole Amministrazioni interessate,
accompagnata da una mera informativa al Dipartimento
per le politiche europee, viene sostituita con una procedura centralizzata in base alla quale le misure con le quali le Amministrazioni centrali e territoriali
intendono concedere aiuti di Stato alle imprese sono trasmesse al detto Dipartimento, a cui è affidato il compito
di verificare, in tempi certi, la
completezza della documentazione contenuta nella notifica. Il successivo
inoltro della notifica alla Commissione europea è poi effettuato conformemente
alla normativa europea.
L'articolo 45, comma 1, della legge 24
dicembre 2012, n. 234,
nella versione vigente, prevede invece che le amministrazioni - centrali o
locali - notifichino di regola in prima persona alla Commissione europea
progetti volti a istituire o a modificare aiuti di Stato, trasmettendo
contestualmente una scheda sintetica della misura notificata alla Presidenza
del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche europee.
Solo per le informative in merito a
presunti aiuti di Stato non notificati il comma 2 prevede il tramite della
Presidenza del Consiglio.
Nella relazione illustrativa del
disegno di legge si
affermava che la disomogeneità delle procedure di notifica ha determinato un
notevole rallentamento dei tempi di risposta della Commissione europea.
Per questo motivo il comma 1, lettera a), dell'articolo 35 in esame riformula il comma 1
dell'articolo 45 della legge n. 234 del 2012 ed aggiunge un nuovo comma 1-bis.
Il nuovo comma 1 modifica la procedura
di notifica mediante la previsione di una "cabina
di regia" unica che garantisca la completezza delle informazioni da
trasmettere alla Commissione europea. È quindi stabilito che tutte le
amministrazioni, centrali o territoriali, che intendano concedere aiuti di
Stato soggetti a notifica ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del TFUE,
"predispongono la notifica secondo le modalità prescritte dalla normativa
europea e la trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento
delle politiche europee attraverso il sistema di notificazione
elettronica". Per espressa previsione normativa, l'esame svolto dal
Dipartimento per le politiche europee ha funzione esclusiva di verificare la
completezza della documentazione. L'esame dovrà, inoltre, essere concluso entro
tempi certi, stabiliti nel decreto attuativo disciplinato dalla successiva
lettera b).
Per i soli aiuti nei settori agricolo,
forestale, della pesca e delle zone rurali la completezza della documentazione
contenuta nella notifica è verificata direttamente dall'Amministrazione
competente per materia (nuovo comma 1-bis).
Il comma
1, lettera b), rimanda le
modalità di attuazione dell'articolo 45 novellato ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare di
concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione
internazionale. A seguito dell'esame in Commissione, è stato introdotto anche
il necessario concerto del Ministro dello sviluppo economico. È, inoltre,
prevista l' acquisizione del parere della Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Per la sua
adozione è previsto il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore del disegno di legge in esame.
Per espressa statuizione del comma 1,
lettera a), questo decreto dovrà
altresì fissare i termini entro i quali il Dipartimento per le politiche
europee effettuerà l'esame della completezza della documentazione.
I
commi da 2 a 4 introducono modifiche alla legge n. 234 del 2012 volte a
disciplinare le azioni di recupero di
aiuti di Stato rivelatisi illegali, in quanto non compatibili con il
mercato interno, a seguito di una decisione della Commissione europea. Tali
modifiche - per effetto del disposto del comma
4 - sarebbero destinate a trovare applicazione alle decisioni di recupero
notificate a decorrere dal 1° gennaio 2015.
La fattispecie del recupero degli aiuti
di Stato dichiarati illegali dalla Commissione europea è regolata dall'articolo
16 del regolamento (UE)
2015/1589.
La Commissione (comma 1) adotta una
"decisione di recupero", con cui impone allo Stato membro interessato
di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l'aiuto dal beneficiario,
con l'aggiunta (comma 2) di interessi calcolati sulla base di un tasso
adeguato, stabilito dalla Commissione medesima. Ai sensi del comma 3, il
recupero va effettuato di regola "senza indugio secondo le procedure
previste dalla legge dello Stato membro interessato".
Si evidenzia la clausola di salvaguardia
contenuta nel comma 1, ultimo paragrafo, ai sensi della quale "la
Commissione non impone il recupero dell'aiuto qualora ciò sia in contrasto con
un principio generale di diritto dell'Unione".
In Italia l'articolo 48 della legge n.
234 del 2012 incarica, al comma 1, la società Equitalia SpA di effettuare la
riscossione degli importi dovuti per effetto delle decisioni della Commissione
europea. La competenza di Equitalia sussiste "a prescindere dalla forma
dell'aiuto e dal soggetto che lo ha concesso".
Il comma
2 modifica in più punti il citato articolo 48 della legge n. 234 del 2012.
La
lettera a) abroga l'inciso in
virtù del quale la competenza di
Equitalia è limitata alle decisioni della Commissione europea adottate in
data successiva all'entrata in vigore della legge n. 234 del 2012.
La lettera
b), riscrive integralmente il
comma 2 sulle procedure per l'individuazione
dei soggetti tenuti alla restituzione dell'aiuto, l'accertamento degli
importi dovuti e la determinazione di termini e modalità di pagamento. Si
afferma la competenza:
1) del Ministro
competente per materia, che, con proprio decreto, entro quarantacinque giorni
dalla notifica della decisione di recupero, individua i soggetti tenuti alla
restituzione dell’aiuto, accerta gli importi dovuti e determina le modalità e i
termini del pagamento;
2) qualora vi siano
più Amministrazioni competenti, di un Commissario straordinario, che, con
proprio provvedimento da adottarsi entro 45 giorni dal decreto di nomina,
individua i soggetti tenuti alla restituzione dell’aiuto, accerta gli importi
dovuti e determina le modalità e i termini del pagamento. Il Commissario è
nominato entro quindici giorni dalla data di notifica della decisione con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che definisce altresì le
modalità di attuazione della decisione di recupero.
Il Commissario
viene individuato all'interno delle Amministrazioni che hanno concesso gli
aiuti oggetto della decisione - le quali devono fornirgli ogni elemento
necessario alla corretta esecuzione - o di quelle territorialmente interessate.
Egli svolge le attività connesse all'incarico conferito avvalendosi delle
risorse umane, finanziarie e strumentali delle Amministrazioni competenti a
legislazione vigente e non riceve alcun compenso personale.
Viene
specificato che il decreto del Ministro competente ed il provvedimento del
Commissario straordinario "costituiscono titoli esecutivi nei confronti
degli obbligati". Analoga natura viene riconosciuta ai provvedimenti degli
enti territoriali descritti al comma 3.
La lettera c)
modifica il comma 3 dell'articolo 48, che disciplina l'ipotesi in cui
la decisione di recupero sia rivolta ad enti diversi dallo Stato. In quel caso,
le regioni, le provincie autonome o gli enti territoriali competenti dovranno
adottare "il provvedimento per l'individuazione dei soggetti tenuti alla
restituzione dell'aiuto, l'accertamento degli importi dovuti e la
determinazione delle modalità e dei termini di pagamento"
Infine, il comma 3 effettua un intervento di coordinamento normativo, sostituendo - ovunque ricorrano nel Capo
VIII della legge 24 dicembre 2012, n. 234 - i riferimenti al citato regolamento (CE)
n. 659/1999
del Consiglio, del 22 marzo 1999, con quelli al regolamento di codificazione
vigente (regolamento (UE)
2015/1589).
Articolo
36
(Disposizioni in materia di finanziamento
del Garante per la protezione dei dati personali nonché in materia di
funzionamento dell’Arbitro per le controversie finanziarie presso la Consob)
L’articolo 36, inserito dal Senato, al comma 1 incrementa di 12 milioni di euro, a decorrere dal 2017, il fondo
per le spese di funzionamento del Garante della privacy.
I commi 2 e 3 autorizzano la Consob ad assumere un massimo di 15
unità di personale per lo svolgimento dei compiti connessi all’attuazione
della disciplina europea e nazionale in tema di risoluzione alternativa delle controversie
dei consumatori in materia
finanziaria e, in particolare, per far fronte alle esigenze connesse
all’istituzione dell’apposito organismo, l’Arbitro
per le Controversie Finanziarie - ACF.
In
particolare, la disposizione di cui al comma
1 motiva l’incremento delle risorse a disposizione dell’ufficio del Garante
per la protezione dei dati personali con l’esigenza di assicurare il
«regolare svolgimento dei poteri di controllo ad esso affidati dalla normativa
dell’Unione europea».
Si ricorda che
l’articolo 30 della legge n. 234 del 2012, al comma 3, nel delineare il
contenuto tipico della legge europea, fa riferimento, tra l’altro, a
«disposizioni necessarie per dare attuazione o per assicurare l'applicazione di
atti dell'Unione europea» (lett. c)).
L’incremento
opera in relazione al fondo previsto dall’art. 156 (Ruolo organico e personale) del Codice della privacy (decreto
legislativo n. 196 del 2003), iscritto nello stato di
previsione del Ministero dell’economia (cap. 1733), nel quale, negli ultimi
esercizi, si sono registrati i seguenti stanziamenti,
sostanzialmente confermati dal bilancio di previsione per il triennio
2016-2018:
Anno |
Stanziamento |
Fonte |
2012 |
10,9 |
Rendiconto |
2013 |
10,7 |
Rendiconto |
2014 |
10,0 |
Rendiconto |
2015 |
7,1 |
Legge di
assestamento |
2016 |
9,3 |
Legge di
bilancio |
2017 |
10,0 |
Legge di
bilancio |
2018 |
9,9 |
Legge di
bilancio |
Al maggior
onere corrisponde la riduzione corrispondente della autorizzazione di spesa
prevista dall’articolo 41-bis comma 1
della legge 234 del 2012.
L’art. 41-bis
(Fondo per il recepimento della normativa europea) stabilisce al comma
1 che, al fine di consentire il tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno
agli obblighi imposti dalla normativa europea, nei soli limiti occorrenti per
l'adempimento degli obblighi medesimi e in quanto non sia possibile farvi
fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, è autorizzata
la spesa di 10 milioni di euro per l'anno 2015 e di 50 milioni di euro annui a
decorrere dall'anno 2016.
Per tali
finalità, il comma 2 istituisce nello stato di previsione del Ministero
dell'economia e delle finanze un fondo, con una dotazione di 10 milioni di euro
per l'anno 2015 e di 50 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016,
destinato alle sole spese derivanti dagli adempimenti di cui al medesimo comma
1.
La
disposizione in esame deve essere valutata alla luce del nuovo regolamento generale sulla protezione dei dati personali (Regolamento
UE 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo
alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati
personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la
direttiva 95/46/CE), pubblicato il 4 maggio 2016 - ed
applicabile dal 25 maggio 2018 -, per quanto riguarda l’obbligo in capo agli
Stati membri di provvedere affinché ogni
autorità di controllo sia dotata
delle risorse umane, tecniche e finanziarie,
dei locali e delle infrastrutture necessari per l'effettivo adempimento dei
suoi compiti e l'esercizio dei propri poteri, compresi quelli nell'ambito
dell'assistenza reciproca, della cooperazione e della partecipazione al
comitato europeo per la protezione dei dati.
I commi 2 e 3 dell’articolo 36
autorizzano la Consob ad assumere un massimo di 15 unità di personale, per lo
svolgimento dei compiti connessi all’attuazione della disciplina europea e
nazionale in tema di risoluzione
alternativa delle controversie dei
consumatori in materia finanziaria.
Più in
dettaglio, il comma 2 autorizza le
predette assunzioni per dare piena attuazione
agli obblighi discendenti dalla predetta direttiva 2013/11/UE
e dalla normativa nazionale di recepimento in materia di risoluzione alternativa delle controversie
dei consumatori, secondo cui gli Stati membri agevolano l'accesso alle relative procedure, assicurando il
regolare svolgimento dei compiti affidati all’Arbitro
per le Controversie Finanziarie - ACF.
Si tratta dell'organismo di risoluzione
giudiziale delle controversie di individuato
dall'articolo 2, commi 5-bis e 5-ter del D.lgs. n. 179 del
2007.
I richiamati commi 5-bis e 5-ter sono stati introdotti dal decreto
legislativo n. 130 del 2015, col
quale è stata attuata nell’ordinamento italiano la richiamata direttiva
2013/11/UE in tema di risoluzione stragiudiziale delle controversie dei
consumatori. Le norme introdotte prescrivono che i soggetti vigilati dalla
Consob aderiscano a sistemi di risoluzione
stragiudiziale delle controversie con gli investitori diversi dai clienti professionali. In caso di mancata
adesione, si prevede che siano applicate sanzioni sia alle società e agli enti
coinvolti, sia alle persone fisiche consulenti finanziari (di cui all'articolo
18-bis del D.lgs. n. 58 del 1998,
Testo Unico Finanziario - TUF).
Le norme primarie hanno demandato a un
regolamento Consob l’individuazione dei criteri di svolgimento delle predette
procedure di risoluzione delle controversie e i criteri di composizione
dell'organo decidente, in modo che risulti assicurata l'imparzialità dello
stesso e la rappresentatività dei soggetti interessati. Detto regolamento, espletate le dovute
procedure di consultazione, è stato emanato
il 6 maggio 2016: in tal modo si
istituisce e si disciplina l’Arbitro per
le Controversie Finanziarie - ACF. L’Arbitro
si occupa delle controversie fra investitori e intermediari relative alla
violazione da parte di questi ultimi degli obblighi di diligenza, correttezza,
informazione e trasparenza previsti nei confronti degli investitori, incluse le
controversie transfrontaliere e le controversie online dei consumatori (oggetto
del Regolamento (UE) n. 524/2013). Sono escluse dalla competenza dell’Arbitro
le controversie su somme di denaro aventi un importo superiore a 500.000 euro.
Al richiamato
scopo di assicurare la funzionalità dell’Arbitro, la Consob procede mediante selezione pubblica, nel
limite di spesa di 625.000 euro per
l'anno 2016 e di 1.250.000 euro
annui a decorrere dall'anno 2017, ad assumere, con corrispondente
incremento massimo di 15 unità della
relativa dotazione della pianta organica (per mantenere elevati
livelli di vigilanza), di personale
che, per i titoli professionali o di
servizio posseduti, risulti idoneo all'immediato svolgimento dei compiti
connessi alle esigenze legate alla risoluzione stragiudiziale delle
controversie dei consumatori in materia finanziaria.
Il comma 3 reca la copertura finanziaria degli interventi suddetti, cui si provvede
mediante utilizzo delle risorse
disponibili a legislazione vigente nel bilancio della Consob, già destinate a finalità assunzionali.
Articolo
37
(Clausola di invarianza finanziaria)
L'articolo 37 prevede il divieto di far
derivare, dall'attuazione del presente disegno di legge, nuovi a maggiori oneri
a carico della finanza pubblica. Ne deriva l'obbligo, per le Amministrazioni
interessate dalle singole disposizioni, di provvedere agli adempimenti previsti
con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione
vigente.
Un'eccezione
esplicita è prevista per gli articoli 6,
9, 10, 16, 20, 21, 29 e 36, i quali prevedono una clausola di copertura autonoma, illustrata nelle schede dedicate
agli articoli medesimi.
[1] Per il contenuto dell’articolo 3 del disegno di legge A.S. 2228-A, si rinvia al dossier “Legge europea 2015-2016” (Progetti di Legge - n. 401/1).
[2] Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12
dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno.
[3] Attuazione delle direttive
2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di
concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti
erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi
postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
[4] Solo per il numero limitato di
disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010
elencate nell'articolo 217, lettera u),
n. 2, l'abrogazione decorre dall'entrata in vigore del decreto legislativo n.
50 del 2016.
[5] In
estrema sintesi, tali requisiti possono essere di idoneità professionale (ad
esempio, iscrizione nel registro della Camera di commercio, industria,
artigianato e agricoltura), di capacità economica e finanziaria (fatturato
minimo annuo, informazioni sui conti annuali e un livello adeguato di copertura
assicurativa) e di capacità tecniche e professionali (ad esempio risorse umane
e tecniche ed esperienza necessaria a garantire un adeguato standard di qualità).
[6] D.Lgs. 28/07/1989, n. 272, Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.
[7]
Legge 1 aprile 1981, n.
121, Nuovo ordinamento
dell'Amministrazione della pubblica sicurezza.
[8] REFIT è il programma della Commissione
europea per il controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della
regolamentazione; il suo obiettivo è rendere la legislazione dell’UE più
semplice e ridurre i costi della regolamentazione senza compromettere gli
obiettivi strategici.
[9] D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 116, Attuazione della direttiva 2003/8/CE intesa
a migliorare l'accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere
attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese
dello Stato in tali controversie.
[10] Di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 286/1999, ai sensi del quale "lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato da almeno cinque anni, titolare di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi, il quale dimostri di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari, può richiedere al questore il rilascio della carta di soggiorno per sé, per il coniuge e per i figli minori conviventi". Tale carta di soggiorno è a tempo indeterminato.
[11]
Le necessarie misure di
recepimento dovevano essere comunicate entro il 20 maggio 2013. Lettere di
costituzione in mora sono state inviate nel luglio 2013 e la Commissione ha
ricevuto risposte con informazioni sulle misure adottate. Tuttavia, la
valutazione ha concluso che gli Stati membri non hanno comunicato tutte le
misure necessarie al recepimento della direttiva.
[12] Le leggi speciali che disciplinano la
concessione, a carico dello Stato, di indennizzi a favore delle vittime di
determinate forme di reati intenzionali violenti sono le seguenti:
– legge del 13 agosto 1980, n. 466 – recante norme in
ordine a speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di
cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche (articoli 3 e 4);
– legge del 20 ottobre 1990, n. 302 – recante norme a
favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articoli 1
e da 3 a 5);
– decreto legge del 31 dicembre 1991, n. 419 – recante
istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive,
convertito dalla legge del 18 febbraio 1992, n. 172 (articolo 1);
– legge dell’8 agosto 1995, n. 340 – recante norme per
l’estensione dei benefici di cui agli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990,
ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica (articolo 1 – che
richiama gli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990);
– legge del 7 marzo 1996, n. 108 – recante disposizioni
in materia di usura (articoli 14 e 15);
– legge del 31 marzo 1998, n. 70 – recante benefici per le
vittime della cosiddetta «banda della Uno bianca» (articolo 1 – che richiama
gli articoli 1 e 4 della legge n. 302/1990);
– legge del 23 novembre 1998, n. 407 – recante nuove
norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità
organizzata (articolo 2);
– legge del 23 febbraio 1999, n. 44 – recante
disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste
estorsive e dell’usura (articoli 3 e da 6 a 8);
– decreto del Presidente della Repubblica del 28 luglio
1999, n. 510 – regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del
terrorismo e della criminalità organizzata (articolo 1);
– legge del 22 dicembre 1999, n. 512 – recante
istituzione del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di
tipo mafioso (articolo 4);
– decreto legge del 4 febbraio 2003, n. 13 – recante
disposizioni urgenti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità
organizzata, convertito con modificazioni dalla legge n. 56/2003;
– legge dell’11 agosto 2003, n. 228 – recante misure
contro la tratta di persone, che istituisce il Fondo per le misure anti‑tratta
e uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati previsti dagli
articoli 600 e 601 del codice penale, come modificata dall’articolo 6 del
decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 24;
– decreto legge del 28 novembre 2003, n. 337 – recante
disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati
terroristici all’estero, convertito con modificazioni dalla legge n. 369/2003
(articolo 1);
– legge del 3 agosto 2004, n. 206 – recante nuove norme
in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice (articolo
1);
– legge del 23 dicembre 2005, n. 266 – (legge finanziaria
2006), che, al suo articolo 1, paragrafi da 563 a 565, contiene disposizioni
che prevedono la corresponsione di aiuti alle vittime del dovere, ai soggetti
equiparati e ai loro familiari;
– legge del 20 febbraio 2006, n. 91 – recante norme in
favore dei familiari superstiti degli aviatori italiani vittime dell’eccidio
avvenuto a Kindu l’11 novembre 1961;
– decreto del Presidente della Repubblica del 7 luglio
2006, n. 243 – regolamento concernente termini e modalità di corresponsione
delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati;
– decreto legge del 12 novembre 2010, n. 187 – recante
misure urgenti in materia di sicurezza, convertito con modificazioni dalla
legge n. 217/2010, tra cui, a norma del suo articolo 2-bis, l’istituzione di un «Fondo
di solidarietà civile» a favore delle vittime di reati commessi in occasione o
a causa di manifestazioni sportive ovvero di manifestazioni di diversa natura.
[13] Articolo 583 - Circostanze
aggravanti - La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a
sette anni: 1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita
della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle
ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; 2) se il fatto
produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo. La lesione personale è
gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto
deriva: 1) una malattia certamente o probabilmente insanabile; 2) la perdita di
un senso; 3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto
inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacità di
procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella; 4) la
deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso.
[14] Come risulta chiaramente dal rapporto esplicativo (punto 11) che accompagna la
Convenzione, essa persegue essenzialmente due obiettivi ben distinti, anche se
complementari. In primo luogo, essa punta a garantire un’armonizzazione delle
differenti norme nazionali in materia di indennizzo delle vittime di reato. A
tal fine, le disposizioni del primo titolo della Convenzione impongono agli
Stati aderenti di tenere indenne ogni vittima (o, se deceduta, le persone a suo
carico) che abbia subìto gravi pregiudizi al corpo o alla salute causati
direttamente da un reato violento intenzionale. Tale indennizzo, a carico dello
Stato laddove non possa essere garantito dall’autore del reato, deve essere
riconosciuto ad ogni cittadino di uno Stato parte alla Convenzione, nonché ai
cittadini di uno Stato membro del Consiglio d’Europa residenti permanentemente nello
Stato sul cui territorio il reato è stato commesso. Inoltre, vengono fissati
principi uniformi per quanto riguarda l’individuazione delle voci di danno
indennizzabili. In secondo luogo, la Convenzione intende porre in essere
opportuni meccanismi di cooperazione fra Stati al fine di assicurare una sua
efficace applicazione in situazioni transfrontaliere, ovvero in casi in cui una
vittima residente in un dato Stato parte richieda un indennizzo ad un diverso
Stato parte in ragione di un reato ivi commesso. A tal proposito, le disposizioni
del secondo titolo prevedono in particolare la designazione in ogni Stato parte
di un’autorità centrale incaricata di ricevere le domande d’assistenza
provenienti da altri Stati e di darvi seguito (articolo 12). Attualmente, la
Convenzione è stata ratificata da 26 Stati firmatari, tra i quali non figura l’Italia.
[15]
Con la sentenza
2 febbraio 1989 nella causa 186/87, Cowan, la Corte affermò che il
principio di libera circolazione delle persone destinatarie di servizi
all’interno della Comunità ostava ad una legislazione penale come quella
francese, che negava ogni indennizzo ad una vittima di reato avente
cittadinanza di un diverso Stato membro (nel caso di specie inglese) e non
residente in Francia. Infatti, allorché «il diritto comunitario garantisce la
libertà per le persone fisiche di recarsi in un altro Stato membro, la tutela
dell’integrità personale in detto Stato membro costituisce, alla stessa stregua
dei cittadini e dei soggetti che vi risiedano, il corollario della libertà di
circolazione» (punto 17); la Corte concluse perciò che il principio di non discriminazione
in base alla nazionalità «deve essere interpretato nel senso che uno Stato
membro, per quanto riguarda i soggetti cui il diritto comunitario garantisce la
libertà di recarsi in detto Stato, non può subordinare la concessione di un
indennizzo statale, volto alla riparazione del danno subito sul suo territorio
dalla vittima di un’aggressione che le abbia cagionato una lesione personale»,
alle condizioni indicate (punto 20).
[16]
Il decreto legislativo n.
204 è stato adottato sulla base della delega contenuta nella legge
comunitaria 2005 (L. 25 gennaio 2006, n. 29).
[17] Lo scorso 12 aprile sono state
depositate le conclusioni dell'Avvocato generale.
[18]
Art. 12 - Casi di
connessione 1. Si ha connessione di procedimenti: a) se il reato
per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso
o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte
indipendenti hanno determinato l'evento; b) se una persona è imputata di più
reati commessi con una sola azione
od omissione
ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso;
c) se dei reati per
cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli
altri [o in occasione di questi ovvero per conseguirne o assicurarne al
colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità].
[19] Articolo 407 c.p.p. … omissis …
a) i delitti appresso indicati:
1) delitti di cui agli articoli 285, 286, 416bis e 422 del codice penale, 291-ter,
limitatamente alle ipotesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del
comma 2, e 291quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43;
2) delitti consumati o tentati di
cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello stesso Codice penale;
3) delitti commessi avvalendosi
delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del Codice penale ovvero al fine
di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo;
4) delitti commessi per finalità
di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la
legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque
anni o nel massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, e 306, secondo comma, del codice
penale;
5) delitti di illegale
fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione
e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra
o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da
sparo, escluse quelle previste dall'articolo 2, comma terzo, della legge 18
aprile 1975, n. 110;
6) delitti di cui agli articoli
73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, e
74 del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9
ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni;
7) delitto di cui all'articolo 416 del codice penale nei casi in
cui è obbligatorio l'arresto in flagranza;
7-bis) dei delitti previsti dagli articoli 600, 600-bis, comma 1, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-bis nelle ipotesi aggravate previste dall'articolo 609-ter, 609-quater, 609-octies del codice penale, nonché dei delitti previsti
dall’articolo 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25
luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.
[20] d) che la vittima non sia stata
condannata con sentenza definitiva ovvero, alla data di presentazione della
domanda, non sia sottoposta a procedimento penale per uno dei reati di cui
all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale e per
reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in
materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; e) che la vittima non
abbia percepito, per lo stesso fatto, somme erogate a qualunque titolo da
soggetti pubblici o privati.
[21]
In attuazione di quanto
disposto dal presente comma, si veda il D.P.R. 19 febbraio 2014, n. 60.
[22]
…omissis… b) il soggetto
leso risulti essere, del tutto estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali,
salvo che si dimostri l'accidentalità del suo coinvolgimento passivo
nell'azione criminosa lesiva, ovvero risulti che il medesimo, al tempo
dell'evento, si era già dissociato o comunque estraniato dagli ambienti e dai
rapporti delinquenziali cui partecipava.
[23] Norme di semplificazione degli
adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e
dell'imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di
gestione delle dichiarazioni, Pubblicato nella Gazz. Uff 28 luglio 1997, n.
174.
[24]
Cfr. Corte di cassazione,
sezione lavoro, n. 7121, del 12 aprile 2016.
[25]
Tale
documento stabilisce i riferimenti scientifici rispetto alle date di inizio
della migrazione pre-nuziale e della riproduzione e alle date di fine di
quest’ultima per ciascuna specie in ciascuno Stato membro. La necessità di tali
informazioni discende da una sentenza della Corte di giustizia (causa 435/92) che ha stabilito che il divieto di
caccia va interpretato nel senso di una completa protezione, ovvero il regime
di protezione non va applicato ad una maggioranza degli uccelli ma all’intera
popolazione.
[26] Si ricorda che per stoccaggio di
gas naturale si intende il deposito in strutture del sottosuolo del gas
naturale prelevato dalla rete di trasporto nazionale e successivamente
reimmesso nella rete in funzione delle richieste del mercato. La legge 26
aprile 1974, n. 170, come modificata dal decreto legislativo n. 164/2000, reca
la disciplina dello stoccaggio di gas
naturale in giacimenti di idrocarburi, come modificata dal decreto legislativo n. 164/2000. Il
Decreto Ministeriale 21 gennaio 2011 disciplina le Modalità di conferimento della concessione di stoccaggio di gas naturale in
sotterraneo e relativo disciplinare tipo. Si richiama, in particolare, la Circolare Interministeriale 21 ottobre 2009
che reca gli Indirizzi per l’applicazione agli stoccaggi sotterranei di gas
naturale in giacimenti o unità geologiche profonde del decreto legislativo 17
agosto 1999, n.334, in materia di controllo dei pericoli di incidenti
rilevanti.
[27] Sulla disapplicazione
delle norme nazionali divergenti dal diritto prodotto dall'Unione (olim Comunità) europea: Corte di
Giustizia, 5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend en Loos; Corte di Giustizia,
15 luglio 1964, causa 6/64, Costa contro Enel; Corte di Giustizia, 16 giugno
1966, causa Lutticke; Corte di Giustizia, 21 giugno 1974, causa Reyners; Corte
di Giustizia, 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale
Handelsgesellschaft; Corte di Giustizia, 9 marzo 1978, causa 106/77,
Simmenthal; Corte di Giustizia, 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli
Costanzo.
[28] Si tratta, in pratica, di uno sconto
sulla bolletta, per assicurare un risparmio sulla spesa per l'energia alle
famiglie in condizione di disagio economico e fisico e alle famiglie numerose,
previsto dall'articolo 1, comma 375, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e
all'articolo 3, commi 9 e 9-bis, del decreto-legge 29 novembre 2008, n.
185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. Si
ricorda che, attualmente, l'importo del bonus viene scontato direttamente sulla
bolletta, non in un'unica soluzione, ma suddiviso nelle diverse bollette
corrispondenti ai consumi dei 12 mesi successivi alla presentazione della
domanda.
[29] Si evidenzia che con una
decisione politica il Consiglio dell'Unione europea, deliberando all'unanimità
su richiesta di uno Stato membro, può decidere la compatibilità con il mercato
interno di un aiuto istituito o da istituirsi ad opera dello Stato medesimo.
Tale decisione può ricorrere in "circostanze eccezionali" (articolo
108, paragrafo 2, comma 3).
[30]
Regolamento (UE) 2015/1589 del
Consiglio del 13 luglio 2015 recante modalità di applicazione dell'articolo 108
del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (codificazione).
[31]
Regolamento (CE) N. 659/1999 del Consiglio, del 22
marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo 108 del trattato sul
funzionamento dell’unione Europea.