Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari | ||
Titolo: | Legge di delegazione europea 2015 - A.C. 3540-A | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 393 Progressivo: 2 | ||
Data: | 15/04/2016 | ||
Organi della Camera: | XIV - Politiche dell'Unione europea |
Servizio Studi
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Premessa
Il 18 gennaio 2016
il Governo ha presentato alla Camera dei deputati il disegno di legge C. 3540 recante Delega al Governo per il
recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione
europea - Legge di delegazione europea 2015.
L’esame in sede referente del disegno di
legge presso la XIV Commissione Politiche dell’Unione europea è stato avviato
nella seduta dell’11 febbraio 2016 e si è concluso il 12 aprile 2016, con
l’approvazione di emendamenti ed articoli aggiuntivi
A seguito delle modifiche e integrazioni
apportate nel corso dell'esame in
Commissione, il testo del disegno di legge sottoposto all'esame
dell'Assemblea (C.
3540-A) si compone di 19 articoli riferiti a specifiche materie e di due allegati contenenti,
rispettivamente, 2 direttive (Allegato A) e 10 direttive
(Allegato B), da recepire con decreto legislativo[1].
L’articolato del
disegno di legge di delegazione europea 2015 reca disposizioni di delega riguardanti il recepimento di 13 direttive europee, di 1 raccomandazione CERS (Comitato europeo per il rischio sistemico) e di 1 decisione
quadro, nonché l’adeguamento della normativa nazionale a 12 regolamenti europei. Il Governo è
stato inoltre autorizzato al
recepimento di 1 direttiva in via
regolamentare[2].
Nell’ambito
dell’esame parlamentare, sono state apportate significative integrazioni al contenuto originario del
disegno di legge governativo attraverso l’introduzione di principi e criteri specifici di delega e l’inserimento di ulteriori direttive e atti dell’Unione europea per il recepimento nell’ordinamento
nazionale.
In particolare, in materia
ambientale, sono stati fissati principi e criteri specifici di delega
per il recepimento, nell’ordinamento italiano, di tre direttive: la direttiva (UE) 2015/720 relativa alla
riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero (art. 3-bis), già inserita nel disegno di legge
originario (All. B, n. 5); la direttiva
(UE) 2015/1513 relativa alla qualità della benzina e dei combustibili
diesel (art. 14-bis e All. B, n. 7) e
la direttiva (UE) 2015/2193 sulle
emissioni in atmosfera di inquinanti originati da impianti di combustione medi
(art. 14-ter e All. B, n. 8),
entrambe inserite ex novo
nell’allegato B.
In ambito
fiscale e finanziario, oltre alla soppressione dell’articolo 12
relativo alla direttiva 2014/17/UE
sui contratti di credito ai consumatori su beni immobili residenziali[3],
sono state inserite nell’allegato B - e ricadono quindi nella disposizione di
delega di cui all’articolo 1, comma 1 - due nuove direttive: la direttiva
2015/2376 relativa allo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale (All. B, n. 9) e la direttiva 2016/97 riguardante la
distribuzione assicurativa (All. B, n. 10).
Nel settore della giustizia,
è stata conferita al Governo la delega per l’attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI relativa
alla lotta contro la corruzione nel settore privato (art. 14-quinquies).
In tema di cultura,
sono stati fissati principi e criteri specifici di delega con riguardo al
recepimento della direttiva 2014/26/UE
sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla
concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per
l’uso online nel mercato interno
(art. 14-sexies), già inserita nel
disegno di legge originario (All. B, n. 1).
Inoltre, è stata
inserita nell’Allegato A (n. 2) la direttiva
(CE) 2009/156 in materia di polizia sanitaria e di importazioni di equidi
in provenienza dai paesi terzi, che ricade, pertanto, nella disposizione di
delega di cui all’articolo 1, comma 1 del disegno di legge.
Infine, il Governo
è stato autorizzato, ai sensi dell’articolo 35 della legge n. 234 del 2012, a recepire
- in via regolamentare - la direttiva
2014/90/UE sull’equipaggiamento marittimo (art. 14-quater)[4].
La legge di delegazione
europea La legge di delegazione
europea è uno dei due strumenti di adeguamento all’ordinamento dell’Unione
europea introdotti dalla legge 24
dicembre 2012, n. 234, che ha attuato una riforma organica delle norme
che regolano la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione
della normativa e delle politiche dell’Unione europea. In base all’articolo 29 della legge n. 234 del
2012, infatti, la legge comunitaria annuale (prevista dalla legge n. 11 del
2005) è stata sostituita da due distinti provvedimenti: · la legge di delegazione europea, il cui contenuto è limitato alle
disposizioni di delega necessarie per il recepimento delle direttive e degli
altri atti dell’Unione europea · la legge europea, che contiene norme di diretta attuazione volte a
garantire l’adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo,
con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa
europea. · Il comma 3 dell’articolo 29 prevede che
il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari
europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri
Ministri interessati, presenta alle
Camere, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un disegno di legge di delegazione europea, con
l’indicazione dell'anno di riferimento.
Il termine previsto per la presentazione
del disegno di legge di delegazione europea è entro il 28 febbraio di ogni anno. Il contenuto
del disegno di legge di delegazione europea è stabilito all’articolo 30, comma 2 della legge n.
234 del 2012. In particolare, essa prevede: a)
disposizioni per il conferimento al Governo di
delega legislativa volta esclusivamente all'attuazione delle direttive
europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale,
esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente
riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei; b)
disposizioni per il conferimento al Governo di
delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali
vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità
dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all'Italia dalla
Commissione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per
inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea; c)
disposizioni che autorizzano il Governo a
recepire le direttive in via regolamentare; d)
delega legislativa al Governo per la disciplina
sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea; e)
delega legislativa al Governo limitata a quanto
necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente
applicabili contenute in regolamenti europei; f)
disposizioni che, nelle materie di competenza
legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al
Governo per l'emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per
la violazione delle disposizioni dell'Unione europea recepite dalle regioni e
dalle province autonome; g)
disposizioni che individuano i principi
fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome
esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare
l'applicazione di atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'art. 117,
terzo comma, della Costituzione; h)
disposizioni che, nell'ambito del conferimento
della delega legislativa per il recepimento o l'attuazione degli atti di cui
alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi unici per
il riordino e per l'armonizzazione di normative di settore, nel rispetto
delle competenze delle regioni e delle province autonome; i)
delega legislativa al Governo per l'adozione di
disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati. Nell’esercizio delle deleghe legislative
conferite, il Governo è tenuto al rispetto dei principi e criteri generali
di delega, nonché degli specifici
principi e criteri direttivi aggiuntivi
eventualmente stabiliti dalla legge di delegazione europea, come previsto
all’articolo 32 della legge n. 234
del 2012. Ai sensi dell’articolo 29, comma 7, della legge n. 234 del 2012, il Governo
deve inoltre dare conto[5]
dell’eventuale omesso inserimento
delle direttive il cui termine di recepimento è scaduto o scade nel periodo
di riferimento, considerati i tempi previsti per l’esercizio della delega, e
fornire dati sullo stato delle procedure
di infrazione, l’elenco delle direttive recepite o da recepire in via amministrativa, l’elenco delle
direttive recepite con regolamento e l’elenco dei
provvedimenti con i quali le singole regioni
e province autonome hanno provveduto a recepire direttive nelle materie
di loro competenza. |
Nelle seguenti
tabelle sono elencate le 14 direttive europee inserite nel disegno
di legge di delegazione 2015 (C.
3540-A), distinte in base all’anno
di emanazione e al termine per il
recepimento:
direttive per anno di emanazione
Direttive |
Anno di
emanazione |
Totale (14)
|
§ 2009/156/UE |
2009 |
1 |
§ 2011/91/UE |
2011 |
1 |
§ 2014/26/UE § 2014/90/UE § 2014/92/UE |
2014 |
3 |
§ (UE) 2015/565 § (UE) 2015/637 § (UE) 2015/652 § (UE) 2015/720 § (UE) 2015/849 § (UE) 2015/1513 § (UE) 2015/2193 § (UE) 2015/2376 |
2015 |
8 |
§ (UE) 2016/97 |
2016 |
1 |
direttive per termine di recepimento
Direttive |
Termine di recepimento |
Totale (14) |
§ 2009/156/UE § 2011/91/UE |
Senza termine espresso |
2 |
§ 2014/26/UE |
10 aprile 2016 (scaduto) |
1 |
§ 2014/90/UE § 2014/92/UE § (UE) 2015/565 § (UE) 2015/720 § (UE) 2015/2376 |
Tra il 1° settembre e il
31 dicembre 2016 |
5 |
§ (UE) 2015/652 § (UE) 2015/849 § (UE) 2015/1513 § (UE) 2015/2193 |
Tra il 1° gennaio e il 31
dicembre 2017 |
4 |
§ (UE) 2015/637 § (UE) 2016/97 |
Dopo il 1° gennaio 2018 |
2 |
Ai sensi dell’articolo 32,
comma 1 della legge n. 234 del 2012, il disegno
di legge di delegazione europea 2015 stabilisce - con riferimento ad alcuni
atti dell’Unione europea - specifici
principi e criteri direttivi cui il
Governo deve attenersi nell’esercizio della delega, in aggiunta a quelli
contenuti nelle direttive da attuare e a quelli generali di delega, richiamati
alle lettere da a) a i) del citato comma 1.
In particolare, sono stati
introdotti principi e criteri direttivi specifici
di delega riferiti ai seguenti atti:
8 Direttive:
· (UE) 2015/720 sulla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero (articolo 3-bis);
· 2011/91/UE sull’etichettatura dei prodotti alimentari (articolo 4);
·
(UE) 2015/637 sulle misure di coordinamento e
cooperazione per facilitare la tutela
consolare dei cittadini dell’Unione non rappresentati nei Paesi terzi (articolo
5);
·
2014/92/UE sulla comparabilità delle spese
relative al conto di pagamento, sul
trasferimento del conto di pagamento e sull’accesso al conto di pagamento con
caratteristiche base (articolo 13);
· (UE) 2015/849 sulla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio (articolo 14);
· (UE) 2015/1513 sulla qualità della benzina e dei combustibili diesel (articolo 14-bis);
· (UE) 2015/2193 sulla limitazione delle emissioni da impianti di combustione medi (articolo 14-ter);
· 2014/26/UE sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e le licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno (articolo 14-sexies);
12 Regolamenti europei:
·
n. 1143/2014 volto a prevenire e gestire
l’introduzione e la diffusione delle specie
esotiche invasive (articolo 3);
·
n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai
consumatori (articolo 4);
· n. 428/2009 che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell'intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso; n. 599/2014 che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell'intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso; n. 1382/2014 che modifica il regolamento (CE) n. 428/2009; n. 1236/2005 relativo al commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti; n. 1352/2011 della Commissione, del 20 dicembre 2011, recante modifica del regolamento (CE) n. 1236/2005 del Consiglio relativo al commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti (articolo 6);
·
n. 1025/2012 sulla normazione europea (articolo 7);
·
n. 305/2011 che fissa condizioni armonizzate per
la commercializzazione dei prodotti da
costruzione (articolo 8);
·
2015/751 relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su
carta (articolo 10);
·
2015/760 relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine (articolo 11);
·
2015/847 riguardante i dati informativi che
accompagnano i trasferimenti di fondi
(articolo 14).
1 raccomandazione CERS:
· CERS/2011/3 relativa al mandato macroprudenziale delle autorità nazionali (articolo 9)
1 decisione quadro:
· Decisione quadro 2003/568/GAI relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato (articolo 14-quinquies).
Le leggi di delegazione europea riferite agli anni 2013 e 2014
Si ricorda che,
successivamente all’entrata in vigore della legge n. 234 del 2012, sono state
approvate 3 leggi di delegazione europea, di cui 2
riferite all’anno 2013 e una all’anno 2014.
La legge di delegazione europea 2013 (L. 6 agosto 2013, n. 96) è composta
da 13 articoli e tre allegati, ed ha conferito al Governo deleghe legislative
per il recepimento di 40 direttive, il coordinamento della
normativa nazionale alle rettifiche di 5
direttive e l’adeguamento a 2 regolamenti
(UE).
La legge di delegazione europea 2013 - secondo semestre (L. 15 ottobre
2014, n. 154), consta di 9 articoli e due
allegati e conferisce al Governo deleghe legislative per il recepimento di 19 direttive, l’attuazione di 2 decisioni quadro, l'adeguamento a un regolamento (UE) e l'adozione di un testo unico.
Da ultimo, la legge di delegazione europea 2014 (L. 9
luglio 2015, n. 114), che consta di 21
articoli e due allegati, reca disposizioni di delega per il recepimento di 58 direttive europee, per l'adeguamento
della normativa nazionale a 6
regolamenti (UE), nonché per l'attuazione di 10 decisioni quadro.
Di seguito si riportano i
dati sullo stato di attuazione delle
tre leggi di delegazione europea, aggiornati
al 13 aprile 2016.
La legge di delegazione europea 2013 risulta quasi interamente
attuata: sono stati emanati 34 decreti legislativi volti al recepimento di 35
direttive (1 dell’Allegato A e 34 dell’Allegato B) ed è stata adeguata la
normativa nazionale a 2 regolamenti (con un decreto legislativo). Tutte le 8
direttive dell’allegato B con principi e criteri direttivi specifici contenuti
nell’articolato sono state attuate.
Anche la legge di delegazione europea 2013 - secondo
semestre risulta quasi interamente attuata: sono stati emanati 18 decreti
legislativi per il recepimento di 16 direttive e l’attuazione di 2 decisioni
quadro.
Infine, la più recente legge di delegazione europea 2014
risulta parzialmente attuata: sono stati emanati 25 decreti legislativi per il
recepimento di 17 direttive e 7 decisioni quadro ed è stata adeguata la
normativa nazionale a 2 regolamenti (con 2 decreti legislativi). Sono stati
inoltre trasmessi al Parlamento per il parere 15 schemi di decreti legislativi,
riferiti a 12 direttive (10 pareri espressi) e 3 decisioni quadro (3 pareri
espressi). I decreti legislativi fin qui emanati concernono l’attuazione
dell’unica direttiva inclusa nell’allegato A, di 15 direttive elencate
nell’allegato B (5 di queste con principi e criteri direttivi specifici di
delega) nonché della direttiva prevista dall’articolo 6. Secondo quanto
indicato nella relazione illustrativa del disegno di legge di delegazione
europea 2015, l’ordinamento nazionale è conforme alla direttiva 2014/57/UE
(abusi di mercato), inserita nell’allegato B della legge di delegazione europea
2014 e recante principi e criteri direttivi specifici di delega.
Il presente dossier contiene
le schede di lettura riferite ai
singoli articoli del disegno di
legge di delegazione europea 2015, come modificati nel corso dell'esame in Commissione (C.
3540-A) e una descrizione delle direttive europee elencate negli
allegati A e B.
Articolo 1
(Delega al Governo per l'attuazione di
direttive europee)
Il comma 1 dell’articolo 1 reca la delega al Governo per l’attuazione delle direttive elencate negli allegati A e B.
L’allegato A del disegno di legge di delegazione europea 2015 contiene due direttive: 1) Direttiva (UE) 2015/565 sulle prescrizioni tecniche relative alla codifica di tessuti e cellule umani; 2) Direttiva (CE) n. 2009/156 in materia di polizia sanitaria e importazioni di equidi in provenienza dai paesi terzi.
In allegato B sono elencate dieci direttive, in merito alle quali le Camere saranno chiamate ad esprimere parere parlamentare sul decreto legislativo di recepimento: 1) Direttiva 2014/26/UE sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno; 2) Direttiva 2014/92/UE sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento; 3) Direttiva (UE) 2015/637 sulla tutela consolare dei cittadini UE non rappresentati nei paesi terzi; 4) Direttiva (UE) 2015/652 che stabilisce i metodi di calcolo e gli obblighi di comunicazione ai sensi della direttiva 98/70/CE relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel; 5) Direttiva (UE) 2015/720 sulla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero; 6) Direttiva (UE) 2015/849 sulla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo; 7) Direttiva (UE) 2015/1513 sulla qualità della benzina e del combustibile diesel; 8) Direttiva (UE) 2015/2193 sulla limitazione delle emissioni da impianti di combustione medi; 9) Direttiva 2015/2376/UE sullo scambio di informazioni nel settore fiscale; 10) Direttiva 2016/97/UE sulla distribuzione assicurativa.
Per quanto riguarda i termini, le procedure, i princìpi e i criteri direttivi della delega, il citato comma 1 rinvia alle disposizioni previste dagli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.
L’articolo 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012 dispone,
analogamente a quanto previsto in precedenza per le leggi comunitarie annuali,
che il termine per l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge
di delegazione europea sia di quattro
mesi antecedenti il termine di recepimento indicato in ciascuna delle
direttive[6].
Per le direttive il cui
termine così determinato sia già scaduto alla data di entrata in vigore della
legge di delegazione europea, o scada nei tre mesi successivi, la delega deve
essere esercitata entro tre mesi dalla
data di entrata in vigore della legge stessa.
Per le direttive che non prevedono un termine di
recepimento, il termine per l’esercizio della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di
delegazione europea.
L’articolo 31, comma 5, della legge n. 234 del 2012 prevede inoltre che il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in base alla delega conferita con la legge di delegazione entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa.
Per l’attuazione del diritto dell’Unione europea, l’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 detta i seguenti princìpi e criteri direttivi generali di delega:
a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti;
b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso il riassetto e la semplificazione normativi;
c) gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (c.d. gold plating);
d) ove necessario, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi;
e) al recepimento di direttive o di altri atti che modificano precedenti direttive o di atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione;
f) nella redazione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;
g) quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, l’efficacia e la trasparenza dell’azione amministrativa, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti territoriali;
h) le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi vengono attuate con un unico decreto legislativo, compatibilmente con i diversi termini di recepimento;
i) è sempre assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.
Il comma 2 dell’articolo 1 prevede che gli schemi di decreto legislativo recanti attuazione delle direttive incluse nell’allegato B siano sottoposti al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Tale procedura è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.
La disposizione richiama lo
schema procedurale disciplinato in via generale dall’articolo 31, comma 3,
della legge 234 del 2012. Essa prevede che gli schemi di decreto legislativo, una volta acquisiti gli altri pareri
previsti dalla legge, siano trasmessi alle Camere per l’espressione del parere
e che, decorsi quaranta giorni dalla
data di trasmissione, i decreti siano emanati anche in mancanza del parere.
Qualora il termine fissato
per l’espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono
il termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la
delega è prorogato di tre mesi. Si
intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un
adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi
delle indicazioni emerse in sede parlamentare.
Il comma 9 del medesimo
articolo 31 prevede altresì che ove il Governo non intenda conformarsi ai
pareri espressi dagli organi parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi,
ritrasmette i testi alle Camere, con le sue osservazioni e con eventuali
modificazioni. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti
sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.
Il comma 3
dell’articolo in esame dispone che eventuali
spese non contemplate dalla legislazione vigente che non riguardano
l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali, possono essere previste nei decreti
legislativi attuativi delle direttive di cui agli allegati A e B
esclusivamente nei limiti necessari per l’adempimento degli obblighi di
attuazione dei medesimi provvedimenti.
Alla copertura degli oneri recati da tali spese eventualmente previste nei decreti legislativi attuativi, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, qualora non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del Fondo per il recepimento della normativa europea, di cui all’articolo 41-bis della legge n. 234/2012.
Il Fondo per il recepimento della normativa europea è stato istituito
dalla legge 29 luglio 2015, n. 115 (Legge europea 2014) attraverso
l’introduzione dell'articolo 41-bis della legge 234/2012, al fine di consentire
il tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi imposti dalla
normativa europea, nei soli limiti occorrenti per l'adempimento di tali
obblighi e soltanto in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già
assegnati alle competenti amministrazioni dalla legislazione vigente.
Il Fondo è istituito nello
stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, nell’ambito
dalla Missione 3 (L'Italia nell'Europa e
nel mondo), al Programma 3.1 (Partecipazione
italiana alle politiche di bilancio in ambito UE), Capitolo 2815, con una dotazione iniziale di 10 milioni di euro per
il 2015 e di 50 milioni annui a partire dal 2016.
Il comma 810 dell’articolo
unico della legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) prevede che la dotazione di tale Fondo sia
ulteriormente incrementata di 50 milioni di euro per l'anno 2016 e di 100
milioni di euro annui per il periodo 2017-2020. Il successivo comma 813 dispone
che tale incremento sia finalizzato al pagamento degli oneri derivanti
dall'esecuzione delle sentenze di condanna inflitte dalla Corte di giustizia
dell'Unione europea a carico dell'Italia.
Per effetto di tali modifiche, il capitolo 2815 evidenzia una dotazione
complessiva di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018.
Lo stesso comma 3 prevede inoltre che, in caso di incapienza del Fondo per il recepimento della normativa europea, i decreti legislativi attuativi delle direttive dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009).
Il comma 2 dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 ha introdotto specifiche disposizioni relative alla copertura degli oneri recati dall’attuazione di deleghe legislative. In particolare, è espressamente sancito il principio in base al quale le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti[7].
A tal fine, si dispone, in primo luogo, che ciascuno schema di decreto sia corredato di una relazione tecnica, predisposta ai sensi del successivo comma 3, che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo provvedimento ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. In secondo luogo, la norma dispone che l’individuazione dei mezzi di copertura deve in ogni caso precedere l’entrata in vigore dei decreti medesimi, subordinando l’emanazione dei decreti legislativi alla previa entrata in vigore degli atti legislativi recanti lo stanziamento delle relative risorse finanziarie.
E’ altresì previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti anche per i profili finanziari sugli schemi dei decreti legislativi in questione, come richiesto dall'articolo 31, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, che disciplina le procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea.
In particolare, il citato comma 4 dell’articolo 31 prevede che gli schemi dei decreti legislativi recanti recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009). Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d'informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.
Articolo 2
(Delega
al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione
europea)
L'articolo 2 conferisce al Governo, ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 234 del 2012, una delega biennale per l'emanazione di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da direttive attuate in via regolamentare o amministrativa e per le violazioni di regolamenti dell'Unione europea, pubblicati alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea 2015, per i quali non sono già previste sanzioni.
La necessità della disposizione, analoga a quella contenuta nelle precedenti leggi di delegazione europea, discende dal fatto che, sia nel caso dell’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa, sia nel caso di regolamenti dell’Unione europea (che, come è noto, non richiedono leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale), la disciplina sanzionatoria deve essere prevista da una fonte normativa interna di rango primario atta ad introdurre norme di natura penale o amministrativa nell’ordinamento nazionale, ove si ravvisi l'esigenza di reprimere eventuali trasgressioni dei precetti contenuti nei sopra richiamati atti normativi.
La finalità
dell’articolo è pertanto quella di consentire al Governo, fatte salve le norme
penali vigenti, di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse
in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative dell’Unione
europea, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con
cui tali disposizioni vengono trasposte nell’ordinamento interno.
L’articolo 33 della legge n. 234 del 2012 individua la delega stessa
come contenuto proprio della legge di delegazione europea. Il comma 3 dell’art.
33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base all'art. 14 della legge
n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per
gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti
per materia. Il comma 2 del richiamato
articolo 33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base
all'articolo 14 della legge n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del
Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia,
di concerto con i Ministri competenti per materia.
La tipologia e la scelta
delle sanzioni deve essere effettuata, oltre che secondo i princìpi e i criteri
direttivi generali indicati all’articolo 32, comma 1, lettera d), della legge
n. 234 del 2012, secondo quelli specifici eventualmente indicati nella legge di
delegazione europea. La citata lettera d) dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012 indica i principi e criteri di delega per l’adozione della disciplina sanzionatoria corrispondente.
In particolare, al di fuori
dei casi previsti dalla norme penali vigenti, sono previste sanzioni penali, nei limiti,
rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre
anni, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano
o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi è
prevista la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che
espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto
congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di
particolare gravità. In luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere anche
previste le sanzioni alternative di
cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo n. 274 del 2000, e la
relativa competenza del giudice di pace. Tali sanzioni consistono nell’obbligo
di permanenza domiciliare, nel divieto di accesso a luoghi determinati e nello
svolgimento di lavori di pubblica utilità (su richiesta dell’imputato). È altresì
prevista la sanzione amministrativa
del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000
euro per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da
quelli sopra indicati. L’entità delle
sanzioni è determinata tenendo conto della diversa potenzialità lesiva
dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di
specifiche qualità personali del colpevole, con particolare riguardo a quelle
che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché
del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla
persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare
l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste
inoltre le sanzioni amministrative
accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della
privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti
dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti
dal codice penale. Sempre al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria
delle cose utilizzate per commettere l'illecito amministrativo o il reato
previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti
dall'articolo 240, commi 3 e 4, del codice penale e dall'articolo 20 della
legge n. 689 del 1981. Entro i limiti di pena indicati sono previste sanzioni
anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi
vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto a quelle
previste nei decreti legislativi. Infine, nelle materie di cui all'articolo
117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono
determinate dalle regioni.
Sugli schemi di decreto legislativo adottati in virtù della delega conferita dal presente articolo è prevista l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, secondo le modalità previste dal comma 3 del citato articolo 33
L’articolo 3 reca la delega per l’adozione di uno o più decreti legislativi per l’attuazione nell’ordinamento del regolamento (UE) n.1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive. Il termine per l’adozione dei provvedimenti è di dodici mesi[8] dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le procedure previste all’articolo 31 della legge 234/2012.
Nella relazione illustrativa si fa presente che per l’attuazione delle disposizioni del regolamento, in vigore dal 1°gennaio 2015, è necessario introdurre una specifica disciplina nazionale per individuare le autorità competenti allo svolgimento delle attività previste consistenti nel rilascio di autorizzazioni, nei controlli doganali, nell’elaborazione delle valutazioni di rischio, nell’adozione di misure di emergenza, nella stesura di piani di azione sui vettori nonché nella definizione di disposizioni procedurali.
Inoltre, il regolamento n. 1143 prevede che gli Stati membri introducano sanzioni penali e amministrative, proporzionate e dissuasive per le violazioni delle disposizioni in esso contenute.
I principi e i criteri direttivi specifici da seguire sono indicati nel comma 2, dove si fa riferimento, oltre a quelli valevoli per tutti gli atti di attuazione della normativa europea, contenuti nell’articolo 32 della legge 234/2012, anche alla:
- individuazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare come autorità nazionale competente designata per i rapporti con la Commissione europea, relativamente: all’attuazione del regolamento; al coordinamento delle attività necessarie; nonché al rilascio delle autorizzazioni previste agli articoli 8 e 9 del regolamento in esame (lettera a))
- individuazione dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) come ente specifico di supporto al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nelle attività previste nel regolamento (UE) 1143/2014 (lettera b);
- previsione di sanzioni penali e amministrative per la violazione delle disposizioni del regolamento, nel rispetto dei principi e criteri direttivi indicati all’articolo 2 del disegno di legge in esame(lettera c));
- destinazione di quota parte dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal decreto legislativo all’attuazione delle misure di eradicazione e di gestione di cui agli articoli 17 e 19 del regolamento, nei limiti del 50 per cento dell’importo complessivo (lettera d)).
Il Governo ha un termine ulteriore di 24 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo previsto al comma 1 per l’emanazione delle disposizioni correttive e integrative del stesso decreto legislativo, seguendo la procedure prevista al comma 2.
Il comma 4, infine, dispone che dall’attuazione dell’articolo 3 in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, mentre le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti qui previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibile a legislazione vigente.
Si ricorda che in materia di specie alloctone, la legge n. 157 del 1992, recante le norme
per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio,
prevede che la relativa gestione è finalizzata, ove possibile, all'eradicazione
o, comunque, al controllo delle popolazioni (art. 2, comma 2-bis, come inserito dall’art. 11, comma
12 del D.L. 91 del 2014).
Da tale previsione sono
escluse le specie individuate con decreto
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 19
gennaio 2015.
In particolare, l’articolo 1
del decreto definisce cosa debba intendersi per
specie autoctona (quella
naturalmente presente in una determinata area geografica senza l'intervento
diretto dell'uomo), specie alloctona
(che non appartiene alla fauna o alla flora originaria di una determinata area
geografica, ma vi è giunta per l'intervento diretto dell'uomo), e specie parautoctona (la specie animale o
vegetale che, pur non essendo originaria di una determinata area geografica, vi
sia giunta per intervento diretto dell'uomo anteriormente al 1500 D.C.).
Si ricorda, inoltre, che la legge 28 dicembre 2015, n. 221, recante
disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento
dell’uso eccessivo di risorse naturali- c.d. collegato ambientale, prevede
all’art. 7 che le talpe, i ratti, i topi propriamente detti, le nutrie e le
specie arvicole, pur escluse dall’ambito della legge n. 157 del 1992, vengano
ricomprese nelle specie alloctone per le quali può essere prevista
l’eradicazione o il controllo della popolazione.
Per approfondire tale
materia, nel sito del Ministero dell’Ambiente, sono presenti i seguenti
documenti: le specie esotiche invasive, e la strategia nazionale per la biodiversità, che fa riferimento tra l’altro alle specie
alloctone, e riportiamo inoltre il database
comunitario di informazione sulle
specie aliene presenti in Europa.
Regolamento
(UE) n. 1143/2014
Il regolamento n. 1143/2014,
entrato in vigore il 1° gennaio
2015, stabilisce le norme atte a
prevenire, ridurre al minimo e mitigare gli effetti negativi sulla biodiversità
causati dall'introduzione e dalla diffusione, sia deliberata che accidentale,
delle specie esotiche invasive
all'interno dell'Unione.
La specie esotica invasiva è
definita (articolo 3) come quella
specie per cui si è rilevato che l'introduzione o la diffusione:
- minaccia la biodiversità e i servizi ecosistemici collegati;
- o ha effetti negativi su di essi;
- se di rilevanza dell’Unione europea, presenta effetti negativi
considerati tali da richiedere un intervento concertato.
L’elenco delle specie esotiche invasive di rilevanza
dell’Unione viene stabilito dalla Commissione, anche sulla base di
richieste dei singoli Stati membri, tramite atti di esecuzione e viene
aggiornato almeno ogni sei anni.
L’inclusione delle specie esotiche invasive nell’elenco (articolo 4) avviene se esse risultano, in
base alle prove scientifiche
disponibili:
- estranee al territorio dell'Unione;
- capaci di diffondersi nell'ambiente in una regione biogeografica
condivisa da più di due Stati membri o una sottoregione marina;
- come anche di produrre probabilmente un effetto negativo
significativo sulla biodiversità e tali da generare conseguenze negative sulla
salute umana o l'economia.
In tali casi, sulla base di una valutazione dei rischi effettuata in
relazione all'attuale e potenziale delle specie esotiche invasive, si rende
necessario un intervento concertato
a livello di Unione per prevenirne l'introduzione, l'insediamento o la
diffusione. L'iscrizione nell'elenco dell'Unione porterà probabilmente a
prevenire, ridurre al minimo o mitigare efficacemente il loro effetto negativo.
Entro il 2 gennaio 2017 (articolo 6),
ogni Stato membro con regioni ultraperiferiche adotta per ciascuna di tali
regioni un elenco delle specie esotiche invasive di rilevanza che poi viene
comunicato alla Commissione e agli altri Stati membri.
Sul piano delle restrizioni,
l’articolo 7 prevede che le specie
esotiche invasive di rilevanza dell’Unione non possano essere:
- deliberatamente portate, né fatte transitare sotto sorveglianza
doganale, nel territorio interessato;
- tenute o allevate, anche in confinamento, trasportate verso, da e
all'interno dell'Unione, tranne se il trasporto verso strutture avviene nel
contesto della loro eradicazione;
- immesse sul mercato, utilizzate o scambiate; poste in condizione di
riprodursi o rilasciate nell'ambiente.
In particolari condizioni, gli Stati membri possono instaurare un
regime di autorizzazione per attività di
ricerca o conservazione ex situ in relazione alle specie
esotiche invasive di rilevanza dell’Unione e se l'utilizzo di prodotti derivati
da specie esotiche invasive di rilevanza unionale sia inevitabile per far
progredire la salute umana; gli Stati membri possono includere nel loro regime
di autorizzazione anche la produzione scientifica e il conseguente uso medico (articolo 8). In casi eccezionali, per
motivi di interesse generale imperativo gli Stati membri possono rilasciare
autorizzazioni che consentono a istituti di svolgere attività diverse da quelle
di ricerca (articolo 9). E’ prevista
la possibilità di adottare misure di
emergenza (articolo 10) nella
forma delle restrizione previste all'articolo 7, laddove lo Stato membro
comprovi la presenza o l'imminente rischio di introduzione nel proprio
territorio di una specie esotica invasiva che non figura nell'elenco
dell'Unione ma che le autorità competenti ritengono, in base a prove
scientifiche preliminari, estranee al territorio dell'Unione capaci di
insidiare la popolazione vitale ei diffondersi nell’ambiente e di produrre un
effetto negativo.
Entro 18 mesi dall'adozione dell'elenco delle specie esotiche
invasive dell'Unione (articolo 13), è prevista l’identificazione dei vettori tramite i
quali le specie invasive sono accidentalmente introdotte e si diffondono,
individuando quelli che richiedono azioni
prioritarie («vettori prioritari») in ragione della quantità delle specie
che entrano nell'Unione attraverso tali vettori o dell'entità dei potenziali
danni da esse causati. Entro tre anni dall'adozione dell'elenco dell'Unione, ai
fini del trattamento dei vettori prioritari, ogni Stato membro elabora e attua
uno o più piani d'azione contenenti i calendari degli interventi e le misure da
adottarsi.
Entro 18 mesi dall'adozione dell'elenco dell'Unione, gli Stati membri
istituiscono un sistema di sorveglianza
delle specie esotiche invasive di rilevanza unionale (articolo 14), che raccoglie e registra i dati sulla frequenza
nell'ambiente delle specie esotiche invasive. Il sistema di sorveglianza copre
il territorio, comprese le acque marine territoriali, degli Stati membri per
determinare la presenza e la distribuzione delle specie esotiche invasive di
rilevanza unionale, dinamico nel rilevare rapidamente la comparsa di nuove
specie esotiche invasive. Esso si basa sulle disposizioni in materia di
valutazione e monitoraggio previste dal diritto dell'Unione o da accordi
internazionali e tiene conto delle caratteristiche e dell'impatto
transfrontaliero rilevanti.
E’ prevista entro il 2 gennaio 2016 la disponibilità da parte degli
Stati membri di strutture pienamente
operative preposte ad eseguire i controlli ufficiali necessari a prevenire
l'introduzione deliberata nell'Unione di specie esotiche invasive di rilevanza
unionale (articolo 15).
Attraverso il sistema di sorveglianza e le informazioni raccolte nei
controlli ufficiali per confermare il rilevamento precoce dell'introduzione o
della presenza di specie esotiche invasive di rilevanza unionale, gli Stati
membri notificano alla Commissione e informano gli Stati membri di tale
rilevamento precoce nei casi in cui avviene la comparsa sul proprio territorio
delle specie che figurano nell’elenco dell’Unione o la ricomparsa nei casi in
cui era stata constatata l'eradicazione (articolo
16). Dopo tale rilevamento ed entro tre mesi dalla trasmissione della
notifica alla Commissione, gli Stati membri applicano le misure di
eradicazione, comunicandole alla Commissione e informandone gli altri Stati
membri, ai fini di una eliminazione completa e permanente della popolazione
della specie esotica invasiva in questione.
Entro 18 mesi dall'iscrizione di una specie esotica invasiva
nell'elenco dell'Unione, gli Stati membri predispongono misure di gestione efficaci (articolo
19) per le specie esotiche invasive di rilevanza unionale di cui gli Stati
membri hanno constatato l'ampia diffusione nel proprio territorio al fine di
renderne minimi gli effetti sulla biodiversità, i servizi ecosistemici
collegati e se del caso la salute umana e sull'economia. Tali misure consistono
in interventi fisici, chimici o biologici, letali o non letali, volti
all'eradicazione, al controllo numerico o al contenimento della popolazione di
una specie esotica invasiva. Gli Stati membri adottano poi misure di ripristino appropriate (articolo 20) per favorire la ricostituzione di un ecosistema
degradato, danneggiato o distrutto da specie esotiche invasive di rilevanza
unionale, sempre sulla base di un'analisi costi/benefici che dimostri
l’efficacia rispetto ai costi di dette misure. Le misure di ripristino
includono quelle volte al riadattamento dell’ecosistema così come la
prevenzione dalla reinvasione dopo una campagna di eradicazione. L’articolo 22 prevede l’impegno da parte
degli Stati membri per garantire uno stretto
coordinamento con tutti gli Stati membri interessati, anche con gli Stati
terzi. Per agevolare questo coordinamento la Commissione può intervenire su
richiesta degli Stati membri interessati.
L’articolo 23 fa salva la
possibilità per gli Stati membri di mantenere o adottare norme nazionali più severe per prevenire l'introduzione,
l'insediamento e la diffusione di specie esotiche invasive, compatibili con il
Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e notificate alla Commissione
conformemente al diritto dell'Unione.
Nel termine del 1° giugno 2019
ed ogni sei anni (articolo 24) gli Stati membri aggiornano la Commissione
sui sistemi di sorveglianza e i controlli ufficiali, la distribuzione delle
specie esotiche invasive di rilevanza unionale e le informazioni su quelle di
rilevanza nazionale, nonché sui piani di azione
Entro il 1° giugno 2021 la
Commissione riesamina l'applicazione del regolamento in esame e degli strumenti
in esso previsti: dall'elenco dell'Unione, ai piani d'azione, dal sistema di
sorveglianza ai controlli doganali, all'obbligo di eradicazione, come agli
obblighi di gestione. Di questo riesame presenta una relazione al Parlamento
europeo e al Consiglio con proposte legislative per la modifica del regolamento
n. 1143, comprese le modifiche all'elenco dell'Unione.
La Commissione instaura progressivamente un sistema informativo di supporto necessario ad agevolare
l'applicazione del regolamento che entro il 2 gennaio 2016 prevede un meccanismo di supporto di dati che
collega i sistemi esistenti di dati sulle specie esotiche invasive, con
particolare attenzione alle informazioni sulle specie esotiche invasive di
rilevanza unionale, in modo da facilitare la rendicontazione (articolo 25). Questo sistema, entro il
2 gennaio 2019, diviene un meccanismo per lo scambio di informazioni su altri
aspetti dell'applicazione del regolamento n. 1143, che può anche includere
informazioni su specie esotiche invasive di rilevanza nazionale, vettori,
valutazione dei rischi e misure di gestione e di eradicazione.
L'articolo 3-bis - introdotto a seguito dell'esame in Commissione - stabilisce criteri direttivi specifici per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015.
La direttiva (UE) 2015/720 modifica la direttiva 94/62/CE inserendovi misure specifiche per le borse di plastica in materiale
leggero, allo scopo di limitarne l'utilizzo e ridurre l'impatto negativo
sull'ambiente.
La prima modifica è volta ad
inserire alcune definizioni. La seconda inserisce l'obbligo per gli Stati
membri di adottare le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una
riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero.
La terza modifica prevede che
entro il 27 maggio 2017 la Commissione europea elabori norme di esecuzione
sulle etichette e i marchi per l'identificazione delle borse biodegradabili e
compostabili.
Il termine per il recepimento è stato fissato al 27 novembre 2016.
II comma 1 introduce una delega al Governo per l'adozione di un decreto legislativo di attuazione della direttiva (UE) 2015/720, da adottarsi entro 60 giorni dall'entrata in vigore del provvedimento in esame su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e sotto il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Si valuti
l’opportunità di una riformulazione del comma 1 nella parte in cui la
disposizione fa riferimento alla proposta del Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare e al coordinamento della Presidenza del
Consiglio dei ministri, al fine di allineare il testo alla procedura di
emanazione dei decreti legislativi che contempla la proposta del Ministro e la
deliberazione del Consiglio dei ministri.
Nell'esercizio della delega il Governo è tenuto a seguire prioritariamente i principi e criteri direttivi specifici introdotti dalla disposizione, oltre a quelli previsti dall'art. 1, comma 1, del disegno di legge in esame "in quanto compatibili". Si tratta in particolare di:
1) la garanzia del mantenimento del medesimo livello di tutela ambientale assicurato dalla legislazione già adottata in materia, prevedendo il divieto di commercializzazione, le tipologie di sacchi in plastica commercializzabili e gli spessori già stabiliti (comma 2, lettera a);
2) il divieto di fornitura a titolo gratuito dei sacchi in plastica ammessi al commercio (comma 2, lettera b);
3) la progressiva riduzione della commercializzazione dei sacchi in plastica forniti a fini di igiene o come imballaggio primario per alimenti sfusi diversi da quelli compostabili e realizzati, in tutto o in parte, con materia prima rinnovabile (comma 2, lettera c);
4) l'abrogazione espressa, a decorrere dall'entrata in vigore del decreto legislativo, della disciplina vigente (comma 2, lettera d), ovvero:
- commi 1129, 1130 e 1131 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni (legge finanziaria 2007). Il comma 1129 ha istituito, a decorrere dall'anno 2007, un programma sperimentale nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l'asporto delle merci non biodegradabili; il comma 1130 poneva la prospettiva del divieto di commercializzazione di tutti i sacchi non biodegradabili; il comma 1131 assicurava la copertura finanziaria dei primi due commi a valere sul bilancio del Ministero dell'ambiente;
- articolo 2 del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2 ("Disposizioni in materia di commercializzazione di sacchi per asporto merci nel rispetto dell'ambiente"), che ha previsto la proroga del termine di divieto definitivo di commercializzazione degli shopper non biodegradabili, limitatamente ad alcune tipologie di sacchi indicati dalla norma, fino all'emanazione - entro il 31 dicembre 2012 - di un decreto interministeriale di natura non regolamentare. Il comma 4 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 2 del 2012 ha introdotto sanzioni amministrative pecuniarie, nelle ipotesi di inosservanza del divieto di commercializzazione di sacchi non conformi a quanto prescritto, rese applicabili dall'articolo 11, comma 2-bis, del decreto-legge n. 91 del 2014;
5) prevedere una campagna di informazione dei consumatori diretta ad aumentare la consapevolezza del pubblico in merito agli impatti sull'ambiente delle borse di plastica e liberarsi dall'idea ancora diffusa che la plastica sia un materiale innocuo e poco costoso, in questo modo favorendo il raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell'utilizzo di borse di plastica (comma 2, lettera e).
Si richiamano al
riguardo gli obiettivi di utilizzo nazionali di cui all'articolo 4, par. 1-bis, della direttiva 94/62/CE (introdotto dall'art. 1, par. 2, della direttiva (UE)
2015/720).
L'art. 4, comma
1-bis, prevede che gli Stati membri
adottino le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione
sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. Tali misure
possono comprendere il ricorso a obiettivi di riduzione a livello nazionale, il
mantenimento o l'introduzione di strumenti economici nonché restrizioni alla
commercializzazione proporzionate e non discriminatorie, per le sole borse di
plastica con uno spessore inferiore a 50 micron. Esse possono includere una
delle seguenti opzioni o entrambe:
a) l'adozione di misure atte ad assicurare che il livello
di utilizzo annuale non superi le 90 buste di plastica di materiale leggero pro capite entro fine 2019 e 40 entro
fine 2025 o obiettivi equivalenti in peso;
b) l'adozione di strumenti con cui assicurare che, entro
fine 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite
gratuitamente nei punti di vendita di merci o prodotti.
In entrambi i casi è espressamente prevista (art. 4, par. 1-bis, comma 4, lettere a) e b)) la possibilità di escludere le borse di plastica in materiale ultraleggero.
6) prevedere
programmi di sensibilizzazione per i
consumatori in generale e programmi educativi per i bambini diretti alla
riduzione dell'utilizzo di borse di plastica (comma 2, lettera f).
Il comma 3, infine, specifica che dall'attuazione delle norme sopra citate non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono ai relativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Si segnala che è in corso la procedura di infrazione n. 2011/4030, avviata per la eccepita incompatibilità con il diritto UE del divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili per asporto di merci, introdotto nell’ordinamento italiano dalla legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007) a decorrere dal 1° gennaio 2011.
In data 30 novembre 2012, la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di costituzione in mora complementare, che segue alla precedente costituzione in mora, inviata il 7 aprile 2011.
Nella lettera di costituzione in mora, la Commissione
europea ha contestato all’Italia l’introduzione del divieto di
commercializzazione in Italia in assenza
della previa notifica alla Commissione. Le autorità italiane hanno fatto
presente di avere inviato il 5 aprile 2011 ai servizi della Commissione un disegno di legge volto a meglio definire la
portata del divieto che, sulla base della formulazione originaria della
norma, non era mai stato applicato.
Successivamente, le autorità italiane hanno trasmesso
il testo dell’articolo 2 del DL n. 2/2012 che prevedeva una sospensione del divieto di
commercializzazione limitata ad alcune tipologie, giudicata tuttavia una
misura non proporzionata dalla Commissione.
In occasione della costituzione in mora complementare, la Commissione, in primo luogo, ha confermato i motivi di contrarietà al diritto dell’Unione europea, ovvero la violazione dell’obbligo di notifica recato dalle direttive 94/62/CE (articolo 16) e 98/34/CE (articolo 8) e già rilevato con la costituzione in mora.
Infatti, la
notifica relativa al disegno di legge correttivo della legge n. 296/2006
(notifica 2011/174/I), in assenza di
sospensione del divieto di commercializzazione, non ha sanato il vizio della mancata notifica preventiva del
divieto introdotto dalla citata legge n. 296/2006. Inoltre, non risulta notificata neanche la modifica
introdotta dal testo approvato dell’articolo 2 del DL n. 2/2012, in base
alla quale i sacchi non conformi alla
norma armonizzata UNI EN 13432:2002 devono contenere una determinata
percentuale di plastica riciclata. In tal modo, ad avviso della Commissione
europea, l’Italia ha violato l’articolo
8 della direttiva 98/34/CE che impone agli Stati membri di notificare nuovamente il progetto di regola
tecnica qualora siano apportate modifiche importanti che ne alterino il
campo di applicazione, che aggiungano requisiti o che rendano più rigorosi i
requisiti previsti.
In secondo luogo, con la costituzione in mora complementare, la Commissione ha esteso l’oggetto della procedura di infrazione alla violazione dell’articolo 18 della direttiva 94/62/CE, che reca il divieto per gli Stati membri di ostacolare l’immissione sul mercato di imballaggi conformi alle disposizioni della direttiva.
Più in particolare, l’articolo 9 della direttiva
obbliga gli Stati membri a provvedere a che siano immessi sul mercato solo gli imballaggi conformi ai requisiti
essenziali definiti dalla direttiva. Viceversa, la direttiva non consente di vietare la
commercializzazione di imballaggi non biodegradabili, come invece disposto
dalla normativa italiana.
Pertanto, il divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili per asporto merci introdotto dalla legge n. 296/2006 a decorrere dal 1° gennaio 2011 viola l’articolo 18 della direttiva 94/62/CE.
Anche la sospensione del divieto limitatamente ad alcune tipologie di sacchetti di plastica con determinate caratteristiche, non rientranti tra i requisiti essenziali definiti dalla direttiva, non è conforme al diritto europeo in quanto la direttiva medesima non consente agli Stati membri di condizionare la commerciabilità degli imballaggi né alla conformità a norme autorizzate (come la UNI EN 13432:2002 prevista dal DL n. 2/2012) né a requisiti di spessore minimo né alla presenza di una percentuale minima di plastica riciclata nella composizione degli imballaggi.
Al riguardo, si richiama come, nell'audizione svolta dal Ministro dell'ambiente il 18 febbraio 2015 presso la Commissione VIII della Camera, si sia fatto riferimento alla nuova Direttiva europea in materia di buste in plastica, in merito alla possibilità per gli Stati membri di introdurre divieti di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili, in relazione ai profili relativi alla definizione della procedura in oggetto.
Risulta, inoltre, che il divieto di commercializzazione vigente in Italia per le borse di plastica non biodegradabili abbia portato la Commissione europea ad ipotizzare una violazione della normativa comunitaria e ad inviare una richiesta di informazioni al Governo tramite il sistema "EU Pilot"[9].
In particolare, nell’ambito del Caso EU Pilot 8311/16/GROW, avviato nel febbraio 2016, sono stati chiesti
chiarimenti in merito alle summenzionate misure nazionali, con riferimento all’adeguatezza agli obiettivi perseguiti,
alla giustificazione e alla proporzionalità sotto il profilo della
libera circolazione delle merci nel mercato interno, al fine di valutare se tali
misure possano ritenersi giustificate da motivi
di interesse generale, ai sensi dell'articolo 36 del Trattato sul
Funzionamento dell'Unione europea (TFUE).
La direttiva 2015/720/UE, infatti (art. 1-bis, commi 1 e 2), consente misure di restrizioni alla commercializzazione, proporzionate e non discriminatorie, solo per le "borse di plastica in materiale leggero". Queste ultime sono definite, ai sensi del punto 1-quater) della direttiva 94/62/CE, come "borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron".
In Italia, invece, vige un divieto di
commercializzazione delle borse "non biodegradabili" (articolo 1,
commi 1129 e 1130, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), dicitura che può
comprendere anche tipologie diverse da quelle previste nella normativa
dell'Unione.
L’articolo 4, comma 1 delega il Governo ad emanare decreti legislativi - secondo la procedura ordinaria di cui alla legge n. 234/2012, all'uopo adeguata[10] dal comma 2 - per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni stabilite dalla normativa europea in materia di etichettatura e informazione sugli alimenti ai consumatori.
I principali riferimenti nella normativa europea in materia sono il Regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che ha modificato regolamenti e direttive preesistenti, e la direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/91/UE, relativa alle diciture o marche che consentono di identificare la partita alla quale appartiene una derrata alimentare. A livello nazionale, il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 concerne l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari: esso reca la disciplina nazionale in tema di etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari, di attuazione delle direttive comunitarie 89/395/CEE[11], abrogata e sostituita dalla direttiva 2000/13/CE[12], e 89/396/CEE[13].
La legge n. 234 del 2012 detta anche i principi generali per l'esercizio della delega, ma il comma 3 del presente articolo vi aggiunge principi e criteri specifici.
In particolare, la lettera a) dispone la previsione obbligatoria della sede dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento, in riferimento alle sole produzioni nazionali di alimenti. L'elemento teleologico enunciato è sia quello informativo per il consumatore, in termini di correttezza e completezza[14] (tant'è vero che la possibilità di supplire all'etichettatura mediante diciture, marchi o codici deve comunque consentire di risalire in modo agevole alla sede o indirizzo dello stabilimento), sia quello di un'efficace tutela della salute[15] da parte degli organi di controllo. La relazione governativa ricorda che si tratta di misure sottoposte comunque ad apposita procedura autorizzatoria europea e che, in ogni caso, esse non attengono a profili contenziosi in atto su altre parti del medesimo decreto n. 109.
Quanto alla lettera b), vi si prevede, fatte salve le sanzioni vigenti[16],
la revisione della disciplina delle stesse, accentrandone la competenza nel
Dipartimento dell'ispettorato centrale della tutela delle qualità e della
repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari del MiPAAF. La relazione
governativa specifica che l'accertamento della violazione continua ad essere
decentrato presso i vari soggetti pubblici competenti (in via diretta o
delegata), ma il Dipartimento uniformerà a livello statale l'irrogazione delle
sanzioni, evitando le difformità interregionali attualmente lamentate.
Il comma 4 contiene la consueta delega
all'emanazione, entro 24 mesi dal primo decreto, dei decreti recanti
disposizioni correttive o integrative, mentre il comma 5 reca la clausola di invarianza
degli oneri sia finanziari che amministrativi, pur nella consapevolezza della
indeterminatezza della ricaduta delle nuove norme. A questo scopo è richiamata
la disciplina della legge di contabilità e finanza pubblica, nella parte in cui
prevede che, in sede di conferimento della delega, la
complessità della materia trattata non renda possibile procedere
alla determinazione degli effetti
finanziari derivanti dai
decreti legislativi: in tal caso, la quantificazione degli stessi è
effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti legislativi[17].
I decreti legislativi dai quali
derivano nuovi o
maggiori oneri - che non trovino compensazione al loro
interno - sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore
dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti
risorse finanziarie.
Regolamento
(UE) n. 1169/2011
Il regolamento
(UE) n. 1169/2011, del 25
ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai
consumatori, si propone i seguenti obiettivi:
- l'introduzione di un unico strumento che disciplini principi e
requisiti per le disposizioni orizzontali sull'etichettatura generale e
nutrizionale;
- l'inserimento di disposizioni specifiche sulla responsabilità in seno
alla catena alimentare riguardo alla presenza e all'esattezza dell'informazione
alimentare;
- la fissazione di criteri misurabili su alcuni elementi della
leggibilità delle etichette apposte ai prodotti alimentari;
- il chiarimento delle norme riguardanti l'indicazione del paese
d'origine o del luogo di provenienza;
- l'introduzione di indicazioni nutrizionali obbligatorie nella parte
principale del campo visivo della maggior parte degli alimenti trasformati.
A tal fine, il regolamento interviene
in modo incisivo sulla legislazione preesistente, provvedendo:
- a modificare i regolamenti (CE) n. 1924/2006,
relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti
alimentari, e n. 1925/2006, sull'aggiunta di vitamine e minerali e di
talune altre sostanze agli alimenti;
- ad abrogare la direttiva 87/250/CEE (relativa all'indicazione del
titolo alcolometrico volumico nell'etichettatura di bevande alcoliche destinate
al consumatore finale); la direttiva 90/496/CEE (relativa all'etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari); la direttiva 1999/10/CE (che introduce deroghe a disposizioni previgenti per quanto riguarda
l'etichettatura dei prodotti alimentari); le direttive 2002/67
(etichettatura dei generi alimentari contenenti chinino e dei prodotti
alimentari contenenti caffeina) e 2008/5/CE
(relativa alla specificazione sull'etichetta di alcuni prodotti alimentari di
altre indicazioni obbligatorie oltre a quelle previste dalla direttiva 2000/13)
e il regolamento (CE) n. 608/2004 (relativo all'etichettatura di prodotti e ingredienti
alimentari addizionati di fitosteroli, esteri di fitosterolo, fitostanoli e/o
esteri di fitostanolo.
Dopo un Capo I che fissa
disposizioni generali, individuando oggetto e campo di applicazione del
regolamento, il Capo II identifica,
all'art. 4, i principi che devono disciplinare le informazioni obbligatorie
sugli alimenti, e segnatamente:
- informazioni sull'identità e la composizione, le proprietà o altre
caratteristiche dell'alimento;
- informazioni sulla protezione della salute dei consumatori e sull'uso
sicuro dell'alimento;
- informazioni sulle caratteristiche nutrizionali che consentano ai
consumatori, compresi quelli che devono seguire un regime alimentare speciale,
di effettuare scelte consapevoli.
Il Capo III individua e
specifica i requisiti generali relativi all'informazione sugli alimenti e le
responsabilità degli operatori nel settore alimentare - cui spetta assicurare e
verificare la conformità ai requisiti previsti dalla legislazione, nell'ambito
delle imprese che controllano.
Il Capo IV disciplina le
informazioni obbligatorie sugli alimenti, fornendo, tra l'altro, un elenco
delle indicazioni obbligatorie (art. 9), e individuando le indicazioni
obbligatorie complementari per tipi o categorie specifici di alimenti (art.
10), per poi dettare disposizioni più particolareggiate su un ampio ventaglio
di occorrenze (tra le altre, i casi per cui è ammissibile omettere l'elenco
degli ingredienti - art. 19; l'etichettatura di sostanze o prodotti che provocano
allergie o intolleranze - art. 21; il termine minimo di conservazione, la data
di scadenza e la data di congelamento - art. 24; l'indicazione del paese
d'origine o del luogo di provenienza - art. 26).
Il Capo V affronta la
materia delle informazioni volontarie sugli alimenti, elencando i requisiti che
esse debbono soddisfare.
Il Capo VI, relativo alle
disposizioni nazionali, stabilisce, all'art. 38, che, "quanto alle materie
espressamente armonizzate dal presente regolamento, gli Stati membri non possono
adottare né mantenere disposizioni nazionali salvo se il diritto dell'Unione lo
autorizza", mentre possono farlo per le materie non specificamente
armonizzate, purché le disposizioni in questione "non vietino, ostacolino
o limitino la libera circolazione delle merci conformi al presente
regolamento".
Iter
di approvazione
Il regolamento n. 1169/2011 deriva da una proposta presentata dalla
Commissione europea il 30 gennaio 2008 (COM (2008) 40),
sulla quale né il Senato, né la Camera dei deputati hanno approvato atti di
indirizzo.
Il regolamento è stato approvato in seconda lettura, grazie a un non
semplice compromesso tra i due legislatori dell'Unione.
Direttiva
2011/91/UE
La direttiva 2011/91/UE, relativa alle diciture o
marche che consentono di identificare
la partita alla quale appartiene una derrata
alimentare - a differenza del
regolamento n. 1169/2011 - si propone il mero scopo di avviare la codificazione e di semplificare la
normativa dell'Unione in materia, sostituendo e incorporando una serie di atti
(direttiva 89/396/CEE; direttiva 91/238/CEE; direttiva 92/11/CE).
In risposta a un'esigenza di semplificazione della normativa
dell'Unione, infatti, i servizi della Commissione europea sono chiamati a
procedere alla
codificazione di tutti gli atti
dopo non oltre dieci modifiche, potendo altresì codificare i testi di loro
competenza anche a intervalli più brevi, al fine di garantire la chiarezza e la
comprensione immediata delle disposizioni.
In sede di codificazione non è possibile apportare alcuna modificazione
di carattere sostanziale agli atti che vengono incorporati, ed è necessario
limitarsi ai cambiamenti minimi richiesti per ragioni di coordinamento e
leggibilità.
La direttiva 2011/91/UE deriva da una proposta presentata dalla Commissione
europea il 28 settembre 2010 (COM (2010) 506).
Il 24 novembre 2010 la 14a Commissione permanente del Senato
ha approvato una risoluzione (Doc. XVIII-bis
n. 25), nella quale si esprimeva
parere favorevole per quanto concerneva la conformità del provvedimento al
principio di sussidiarietà.
Articolo 5
(Principio e criterio direttivo per
l’attuazione della direttiva (UE) 2015/637 del Consiglio, del 20 aprile 2015,
sulle misure di coordinamento e cooperazione per facilitare la tutela consolare
dei cittadini dell’Unione non rappresentati nei Paesi terzi e che abroga la
decisione 95/553/CE)
L’articolo 5, comma 1, detta un principio e criterio direttivo aggiuntivo rispetto ai principi e criteri direttivi generali richiamati dall’articolo 1, comma 1 del disegno di legge di delegazione europea 2015: conseguentemente il Governo, nell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva (UE) 2015/637 del Consiglio - sulle misure di coordinamento e cooperazione per facilitare la tutela consolare dei cittadini dell’Unione non rappresentati nei paesi terzi -, dovrà altresì prevedere che la promessa di restituzione dei costi sottoscritta dal cittadino italiano innanzi all’autorità consolare di un altro Stato membro della Unione europea alle condizioni previste dall’articolo 14 della direttiva 2015/637, abbia efficacia di titolo esecutivo in relazione alle somme di danaro, determinate o determinabili, contenute in detta promessa di restituzione.
La relazione introduttiva
allo schema di disegno di legge illustra come la previsione dell’efficacia di
titolo esecutivo della promessa di restituzione di somme di denaro,
sottoscritta da un cittadino italiano innanzi all’autorità diplomatica o
consolare di un altro Stato membro in un paese terzo, costituisca l’estensione di quanto già previsto per i
prestiti con promessa di restituzione erogati da uffici consolari italiani a
nostri connazionali in base al comma 2 dell’articolo 24 del decreto
legislativo 3 febbraio 2011, n. 71, recante ordinamento e funzioni degli uffici
consolari.
Direttiva (UE) 2015/637
La direttiva (UE) 2015/637 - adottata il 20 aprile 2015, e che, tra l’altro, ha
abrogato la precedente decisione 95/553/CE, nella stessa materia ma di minore
portata -, ha un campo di applicazione piuttosto ampio: si stima infatti che
circa 7 milioni di cittadini europei si trovino a viaggiare o a vivere in paesi
terzi nei quali il loro Stato di appartenenza non è in grado di fornire
assistenza consolare.
La direttiva mira (articolo 1)
a determinare le modalità con le quali cittadini europei bisognosi di assistenza consolare in paesi terzi nei
quali non sono direttamente rappresentati abbiano diritto a godere della
tutela delle ambasciate e dei consolati di altri Stati membri dell’Unione
europea ivi presenti. Tale assistenza può concernere l’espletamento di semplici
pratiche consolari, l’assistenza in caso di incidenti o perfino in caso di
gravi crisi politiche nel paese terzo che consiglino la pronta evacuazione dei
cittadini europei.
Dal punto di vista giuridico la direttiva costituisce l’attuazione di
quanto previsto dagli articoli 20 e 23 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea (TFUE), nonché dall’articolo 46 della Carta dei diritti
fondamentali della UE. Difatti la lettera c)
del comma 2 dell’articolo 20 del TFUE enuncia tra i diritti dei cittadini dell’Unione quello di essere tutelato dalle
autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle medesime
condizioni dei cittadini di detto Stato, qualora si trovino nel territorio di
un paese terzo privo di rappresentanza diplomatica o consolare nazionale.
D’altra parte, l’articolo 23 del TFUE, ribadendo tale diritto dei cittadini
europei, prevede al paragrafo primo che gli Stati membri adottano le
disposizioni necessarie e avviano i negoziati internazionali richiesti per
garantire detta tutela - questa disposizione è stata a suo tempo attuata dalla
citata decisione 95/553/CE. Il secondo paragrafo prevede poi che il Consiglio,
previa consultazione del Parlamento europeo e con procedura legislativa
speciale, possa adottare direttive
sulle misure di coordinamento e cooperazione necessarie per facilitare la
tutela consolare dei cittadini europei non rappresentati in Stati terzi - e la
direttiva 2015/637 costituisce per l’appunto l’attuazione di quest’ultima
previsione.
Per quanto concerne invece la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, l’articolo 46 reitera esattamente quanto previsto dalla
richiamata lettera c), comma 2 dell’articolo 20 del TFUE.
In questo contesto, elemento
essenziale della direttiva 2015/637 è quello di fornire una tutela consolare non discriminatoria,
nel senso che i cittadini di Stati membri dell’Unione europea non rappresentati
nello specifico paese terzo devono poter ottenere tutta l’assistenza che le
ambasciate e consolati europei ivi presenti fornirebbero (articolo 2) ai propri cittadini, tra l’altro, in caso di decesso,
di gravi incidenti o malattia, di arresto o detenzione, dell’esser stati
vittime di reati, di situazioni di emergenza che richiedano aiuto o rimpatrio (articolo 9). La direttiva specifica
inoltre la portata in cui l’assistenza consolare può estendersi (articolo 5) ai familiari di cittadini
dell’Unione europea che abbiano tuttavia la cittadinanza di paesi terzi.
Sono previste procedure di
coordinamento fra i paesi dell’Unione europea in ordine all’assistenza
consolare da prestare: in particolare, il paese di origine del soggetto
interessato sarà comunque (articolo 3)
consultato dallo Stato membro del quale viene richiesta la tutela consolare, e
potrà intervenire in diverse modalità che prescindano dalla presenza in loco (comunicazioni telefoniche,
servizi online). È previsto altresì
che i paesi dell’Unione europea presenti nello specifico paese terzo possano
prendere accordi (articolo 12), resi
pubblici (articolo 7) anche
comunicandoli alla locale delegazione dell’Unione europea (articolo 11), sulle specifiche modalità di prestazione
dell’assistenza consolare a cittadini europei non direttamente rappresentati,
che potranno comprendere anche il trasferimento della pratica (articolo 7) dall’ambasciata di un paese
europeo a quella di un altro. In ogni caso è specialmente garantita la tutela
dei cittadini non rappresentati nelle situazioni di crisi (articoli 13 e 15), con la relativa ripartizione delle
responsabilità.
Anche dal punto di vista
finanziario (articolo 14) i
cittadini europei non rappresentati non verranno assoggettati a pagamenti più
elevati di quelli che gravano in casi analoghi sui cittadini del paese europeo
che presta l’assistenza: se il cittadino tutelato non è in grado di
corrispondere le somme dovute sul posto, gli verrà sottoposto un modulo con cui
si impegna a rimborsare tali costi alle autorità del proprio paese.
E’ prevista (articolo 19)
una relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio
sull’attuazione della direttiva, da presentare entro il 1° maggio 2021, redatta
sulla base delle informazioni ricevute dagli Stati membri.
Il termine per il recepimento della
direttiva negli ordinamenti
nazionali degli Stati membri è fissato al
1° maggio 2018.
Il comma 2 prevede che dall’attuazione dell’articolo 5 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, in quanto le amministrazioni interessate provvedono ai correlativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Il citato articolo 14 della direttiva 2015/637
riporta norme generali in materia di procedure finanziarie collegate alla
prestazione di assistenza consolare a cittadini dell’Unione europea privi di
rappresentanza consolare nazionale in un determinato paese terzo.
In particolare, il comma 1
dell’articolo 14 prevede l’impegno da parte dei cittadini non rappresentati a restituire al loro Stato membro di
cittadinanza il costo della tutela consolare di cui hanno goduto, alle
medesime condizioni dei cittadini dello Stato membro che tale assistenza ha
prestato, utilizzando a tale scopo il modulo riportato nell’allegato I alla
direttiva in commento. Peraltro l’impegno è limitato ai costi che nelle stesse
condizioni sarebbero stati a carico dei cittadini dello Stato membro che presta
l’assistenza.
Il comma 2 prevede che lo
Stato membro che presta assistenza può chiedere allo Stato membro di
appartenenza del cittadino non rappresentato il rimborso dei costi, utilizzando il modulo standard di cui
all’allegato II alla direttiva. Il rimborso dei costi consegue entro un periodo
di tempo ragionevole, non superiore a 12 mesi. Lo Stato membro che ha
rimborsato i costi può esercitare rivalsa sul proprio cittadino in ordine ai
costi medesimi.
Il comma 3, infine, prevede
che in caso di spese giustificate, ma
insolitamente elevate, collegate alla tutela consolare fornita a un
cittadino UE non rappresentato in caso di arresto o detenzione, lo Stato membro
che ha prestato l’assistenza possa del pari chiedere il rimborso allo Stato
membro di cittadinanza del soggetto tutelato, che anche in questo caso
provvederà al rimborso in un periodo di tempo ragionevole non superiore a 12
mesi.
Si ricorda altresì
che i principi e criteri direttivi
generali di delega, di cui all’articolo 1, comma 1 del disegno di legge di
delegazione europea 2015 sono quelli contenuti degli articoli 31 e 32 della legge 234 del 2012, recante norme generali
sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della
normativa e delle politiche dell’Unione europea.
Articolo 6
(Delega al Governo per l’adeguamento
della normativa nazionale alle disposizioni dell’Unione europea e agli accordi
internazionali in materia di prodotti e di tecnologie a duplice uso, di
sanzioni in materia di embarghi commerciali, di commercio di strumenti di
tortura, nonché per ogni tipologia di operazione di esportazione di materiali
proliferanti)
L'articolo
6 reca la delega al Governo per l’adozione, entro dodici mesi dalla data di
entrata in vigore della legge di delegazione europea 2015, di un decreto
legislativo che, nel rispetto dei principi di cui alla legge n. 185 del 1990,
provveda a:
- riordinare e semplificare le procedure di autorizzazione all’esportazione di prodotti e di tecnologie a duplice uso;
- applicare le sanzioni in materia di embarghi commerciali, nonché per ogni tipologia di operazione di esportazione di materiali proliferanti.
La legge n. 185 del 1990 individua in via generale e preventiva alcune
fattispecie di divieto ad esportare
ed importare i materiali d'armamento ed i requisiti indispensabili per poter
operare nel settore e fissa dettagliatamente le modalità e le varie fasi dei
procedimenti autorizzativi, nonché le misure sanzionatorie in caso di
violazione delle norme.
In particolare, la richiamata
normativa vieta l'esportazione,
l'importazione, il transito, il trasferimento intracomunitario di materiale
d'armamento quando queste contrastino
con il principio della Costituzione italiana che ripudia la guerra come
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, con gli impegni
internazionali dell'Italia, con gli accordi concernenti la non proliferazione e
con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il
terrorismo e del mantenimento di buone relazioni con altri Paesi, nonché quando
mancano adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei prodotti per la
difesa.
L'esportazione, il transito,
il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali d'armamento
sono altresì vietati quando il Paese
destinatario è in istato di conflitto armato, in contrasto con l'articolo 51
della Carta delle Nazioni Unite; nel caso sia stato dichiarato l'embargo
totale o parziale delle forniture di armi da parte di organizzazioni
internazionali cui l'Italia aderisce; quando la politica del Paese destinatario
contrasti con i principi dell'articolo 11 della Costituzione; quando il paese
destinatario destini al bilancio militare risorse eccedenti le proprie esigenze
di difesa. La legge in esame consente l'effettuazione delle operazioni relative
ai prodotti per la difesa, solo alle imprese iscritte nel registro delle
imprese del settore della difesa.
Al fine di recepire
nell'ordinamento giuridico italiano il contenuto della Direttiva 2009/43/CE,
nel corso della precedente legislatura è stato emanato il decreto legislativo n. 105 del 2012 -, adottato in base alla delega prevista nella legge
comunitaria 2010, art. 12 -, che ha novellato in più punti la legge 185 del
1990.
In particolare, ai sensi del
nuovo articolo 10-bis il trasferimento di materiali di armamento a destinatari
stabiliti nel territorio dell'Unione europea può essere effettuato solo dai
soggetti iscritti nel registro di cui all'articolo 3 della legge 185 del 1990,
ed è soggetto ad autorizzazione preventiva.
Non è invece richiesta alcuna
autorizzazione per l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero per il suo
attraversamento, se tale trasferimento è stato autorizzato da un altro Stato
membro della Unione europea: l'unico limite risiede nella salvaguardia della
pubblica sicurezza e dell'ordine pubblico.
I fornitori impegnati in tali
trasferimenti intracomunitari utilizzeranno autorizzazioni di trasferimento di
tipo generale, globale o individuale, mentre per la successiva eventuale
esportazione verso destinatari residenti in Stati terzi potranno essere posti
divieti o vincoli, e anche essere richieste garanzie sull'impiego dei materiali
interessati. Non è invece sottoposta a vincoli o divieti l'esportazione di
componenti di materiali di armamento o di parti di ricambio di essi, qualora sia
stata fornita da parte del destinatario una dichiarazione attestante che essi
sono integrati nei propri prodotti, salvo i casi in cui tali trasferimenti
possano nuocere gravemente alla sicurezza nazionale. Si richiede autorizzazione
preventiva anche per le operazioni di intermediazione commerciale di materiali
di armamento che riguardino soggetti iscritti al registro di cui all'articolo 3
della legge 185 del 1990. È inoltre salvaguardata l'applicabilità delle norme
che disciplinano il trasferimento di materiali di armamento classificati.
Il comma 1 dell’articolo in
esame definisce il procedimento di
adozione dell’emanando decreto legislativo richiamando, a tal fine,
l'articolo 31 della legge n. 234 del 2012 che definisce le procedure per
l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di
delegazione europea. Il medesimo comma 1 precisa, altresì, che il decreto
legislativo dovrà essere adottato su
proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dello
sviluppo economico, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della
cooperazione internazionale, dell'interno, della difesa, della giustizia,
dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la
pubblica amministrazione. Si prevede, infine, che sullo schema di decreto
legislativo venga acquisito il parere
delle competenti commissioni parlamentari.
Il richiamato articolo 31 della legge n. 234 del 2012 dispone che il termine per l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea sia di quattro mesi[18] antecedenti il termine di recepimento indicato in ciascuna delle direttive. Per le direttive il cui termine così determinato sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea, o scada nei tre mesi successivi, la delega deve essere esercitata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Per le direttive che non prevedono un termine di recepimento, il termine per l’esercizio della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea. A sua volta il comma 5 dell’art. 31 della legge n. 234 prevede che il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in base alla delega conferita con la legge di delegazione entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa.
Per quanto concerne
i principi e i criteri direttivi che
dovranno essere rispettati dal Governo in sede di attuazione della delega, il comma 2 dell’articolo 6, oltre a
richiamare quelli valevoli per tutti gli atti di attuazione della normativa
europea contenuti nell’articolo 32 della legge n.234 del 2012, indica una serie
di ulteriori principi direttivi
specifici.
In particolare, le lettere a) e b) del comma 2 fanno riferimento alla necessità di
adeguare la normativa nazionale a taluni regolamenti CE/UE concernenti la materia oggetto del presente articolo (prodotti
e tecnologie a duplice uso, sanzioni in materia di embarghi commerciali, esportazione
di materiali proliferanti).
In
relazione ai criteri direttivi indicati nelle richiamate lettere a) e b), si
osserva che i medesimi appaiono formulati in maniera particolarmente generica a
fronte di una relazione illustrativa che, con riferimento a tali disposizioni,
indica nello specifico i diversi profili della normativa nazionale che appare
necessario innovare, modificare e semplificare.
Al riguardo, al fine di evitare possibili
dubbi interpretativi, andrebbe valutata l’opportunità di meglio definire
l’ambito oggettivo di applicabilità dei richiamati criteri direttivi tenuto
peraltro conto che risultano già adottati taluni decreti legislativi volti ad apprestare
adeguata tutela penale alle disposizioni
dei regolamenti richiamati nelle lettere a) e b) (si veda, in particolare, il decreto
legislativo 12 gennaio 2007, n. 11 che reca la disciplina
sanzionatoria per la violazione delle
disposizioni del regolamento CE n. 1236/2005, concernente il commercio di
determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, la
tortura o altri).
Nello specifico il comma
2, lettera a) prescrive che la
delega sia esercitata a fine di adeguare l’ordinamento interno al regolamento (CE) n. 428/2009 del Consiglio, del 5 maggio 2009 che
istituisce un regime comunitario di
controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell’intermediazione e del
transito di prodotti a duplice uso,
per i quali si intendono i prodotti (inclusi il software e le
tecnologie) che possono avere un utilizzo sia
civile sia militare. Rientrano, poi, in tale categoria tutti i beni che
possono avere sia un utilizzo non esplosivo sia un qualche impiego nella
fabbricazione di armi nucleari o di altri congegni esplosivi nucleari.
La medesima lettera
a) richiama poi la necessità di adeguamento della normativa nazionale agli ulteriori regolamenti (UE) n. 599/2014 e n. 1382/2014 - che modificano entrambi il regolamento
(CE) n. 428/2009 - e alle altre disposizioni dell'Unione europea e agli altri accordi
internazionali in materia, già resi esecutivi o che saranno resi esecutivi
entro il termine di esercizio della delega stessa.
In relazione a tale criterio direttivo, nella
parte in cui viene fatto riferimento ad accordi internazionali già resi
esecutivi o che saranno resi esecutivi entro il termine di esercizio della
delega stessa, si valuti l’opportunità, al fine di evitare possibili dubbi
interpretativi, di circoscriverne meglio l’ambito oggettivo di applicazione
della disposizione. Andrebbe,
in particolare, chiarito se la disposizione in esame si riferisca ai soli
accordi di cui è parte l'Italia ovvero anche ad eventuali accordi di cui fosse
parte l'Unione europea nel suo insieme.
Regolamenti (UE) n. 599/2014 e n. 1382/2014
Il regolamento (UE) n. 599/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, ha introdotto una delega di competenza alla Commissione per l'aggiornamento dell'elenco UE dei prodotti soggetti a controlli nell'allegato I ("atti delegati") e l'eliminazione di alcune destinazioni dall'ambito di applicazione delle autorizzazioni generali di esportazione dell'Unione (EUGEA) nell'allegato II in relazione agli embarghi sugli armamenti.
A sua volta il regolamento delegato (UE) n. 1382/2014 della Commissione, del 22 ottobre 2014, ha aggiornato l'elenco UE dei prodotti soggetti a controlli, di cui all'allegato I del regolamento, integrandovi le modifiche concordate nel 2011, nel 2012 e nel 2013 nell'ambito dei regimi multilaterali di controllo delle esportazioni. Le modifiche comprendono l'esenzione dai controlli di alcuni prodotti e cambiamenti della descrizione delle merci e delle definizioni nonché alcuni nuovi controlli, ad esempio in materia di sorveglianza su Internet e software di intrusione.
Il nuovo elenco UE dei prodotti soggetti a controlli, aggiornato e consolidato, è entrato in vigore il 31 dicembre 2014, consentendo in tal modo all'UE di rispettare i propri impegni internazionali in materia di controlli delle esportazioni e
agevolando gli esportatori dell'UE nei casi in cui i parametri di controllo sono stati resi più flessibili.
Per un approfondimento, vedi la Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'attuazione del regolamento (CE) n. 428/2009 (COM/2015/0331 final).
La successiva lettera b) dispone che la delega sia esercitata al fine di adeguare l’ordinamento nazionale anche al regolamento (CE) n.1236/2005 del Consiglio, relativo al commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti e al successivo regolamento di esecuzione (UE) n.1352/2011.
Regolamenti (UE) n. 1236/2005 e n. 1352/2011
Il Regolamento (UE) n. 1236/2005
- entrato in vigore il 30 luglio 2006 - prevede che le autorità nazionali
degli Stati membri (elencate all'allegato I) competenti a decidere in merito a
una domanda di autorizzazione di importazione o di esportazione dovrebbero distinguere,
da un lato, le merci che non hanno altra utilizzazione pratica all'infuori di
infliggere la pena di morte, la tortura e altre pene o trattamenti crudeli,
inumani o degradanti, e dall'altro, le merci che potrebbero essere utilizzate
per fini analoghi, di cui potrebbero autorizzare l'esportazione o
l'importazione secondo criteri rigorosamente definiti. Nell’allegato II sono comprese merci destinate certamente all’esecuzione
di esseri umani (forche, ghigliottine, sedie elettriche, camere a gas) ed alla
contenzione (cinture a scarica elettrica superiore a 10.000 V); nell’allegato III sono invece elencate merci
idonee alla contenzione (sedie e tavoli di contenzione, ceppi e catene, manette
di particolare misura, serrapollici, anche chiodati, dispositivi portatili
antisommossa o di autodifesa a scarica elettrica superiore a 10.000 V, tra cui
manganelli e scudi, ulteriori dispositivi portatili antisommossa, come quelli a
rilascio di sostanze chimiche paralizzanti).
Con il regolamento di esecuzione
(UE) n. 1352/ 2011 - entrato in
vigore il 21 dicembre 2011 - la Commissione europea ha modificato gli allegati II e III del regolamento, in primo luogo per introdurre controlli
all’esportazione mirati a impedire l’uso di determinati prodotti medicinali per la pena di morte (esecuzione tramite
iniezione letale).
L'articolo 17 del
regolamento comunitario rinvia agli
Stati membri l'adozione delle misure
sanzionatorie - che la norma precisa debbano essere “effettive,
proporzionate e dissuasive” - al fine di garantirne un'efficace ed adeguata
applicazione. Come rilevato in precedenza con
il decreto legislativo n. 11 del 2007 si è provveduto ad introdurre nell’ordinamento giuridico italiano la
disciplina sanzionatoria per la
violazione delle disposizioni del Regolamento in esame.
Al fine di assicurare la semplificazione e la
coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa dei prodotti a duplice uso la successiva lettera c) dei criteri di delega impone al Governo
l’obiettivo della unitarietà della disciplina relativa ai richiamati beni, nonché della normativa relativa al
commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di
morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o
degradanti.
Quanto alla razionalizzazione delle procedure per il rilascio delle licenze di esportazione, con
riduzione degli oneri a carico delle imprese, tale obiettivo è indicato alla lettera d) che fa, inoltre, espresso
riferimento alla previsione di sistemi autorizzativi semplificati.
A sua volta il criterio direttivo di cui alla
successiva lettera e) fa riferimento alla necessità di prevedere procedure
adottabili nel caso di divieto di esportazione, per motivi di sicurezza
pubblica o di rispetto dei diritti dell’uomo, dei prodotti a duplice uso non
compresi nell’elenco di cui all’allegato I del citato regolamento (CE)
n.428/2009.
Al
riguardo si valuti l’opportunità di specificare quali sono i prodotti a duplice
uso - non compresi nell’elenco di cui all’allegato I del regolamento (CE) n.
428/2009 - da sottoporre alle procedure di cui alla lettera e).
Per quanto concerne, poi, il regime sanzionatorio applicabile alle violazioni
in materia di prodotti e di tecnologie a duplice uso, del commercio di determinati merci che potrebbero essere utilizzate per la
pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o
degradanti, nonché per ogni tipologia di operazione di esportazione di
materiali proliferanti, il criterio direttivo di cui alla lettera f), oltre a precisare che tali sanzioni devono essere
effettive, proporzionate e dissuasive, stabilisce, altresì, il rispetto dei limiti di pena previsti
dal decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 96.
Pertanto deve ritenersi che
anche le nuove condotte delittuose saranno assistite da sanzioni penali che si
muovono entro i seguenti intervalli edittali:
- operazioni di
esportazione di beni a duplice uso senza la prescritta autorizzazione ovvero
con autorizzazione ottenuta fornendo dichiarazioni o documentazione false:
reclusione da due a sei anni o multa da 25.000 a 250.000 euro;
- operazioni di
esportazione di beni a duplice uso in difformità dagli obblighi prescritti
dalle autorizzazioni: reclusione da due a quattro anni o multa da 15.000 a
150.000 euro;
- mancato adempimento
all'obbligo informativo da parte dell'esportatore di beni a duplice uso non
compresi nell'elenco di cui all'Allegato I: arresto fino a due anni;
- omissione della
comunicazione delle variazioni delle informazioni e dei dati intervenute dopo
la presentazione della domanda, ovvero dell'indicazione sui documenti e
registri commerciali degli elementi di legge, ovvero loro mancata
conservazione: sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 15.000 a
90.000 euro;
- assistenza tecnica
destinata ad essere utilizzata ai fini di perfezionamento, produzione,
manipolazione, funzionamento, manutenzione, deposito, individuazione,
identificazione o disseminazione di armi chimiche, biologiche o nucleari o di
altri congegni esplosivi nucleari o di perfezionamento, produzione,
manutenzione o deposito di missili che possono essere utilizzati come vettori
di tali armi: reclusione da due a quattro anni o multa da 15.000 a 150.000
euro;
- l'assistenza tecnica
riguardante fini militari diversi da quelli di cui sopra e fornita ad uno dei
Paesi di destinazione soggetto ad un embargo sulle armi deciso dal Consiglio
europeo o da una decisione dell'OSCE, o soggetto ad un embargo sulle armi
imposto da una risoluzione vincolante del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite: reclusione fino a due anni o multa da 10.000 a 50.000 euro;
- trasmissione via
internet ovvero attraverso altri mezzi elettronici, fax o telefono - senza
preventiva autorizzazione, ovvero con autorizzazione ottenuta fornendo
dichiarazioni o documentazioni false - di progetti, il design, le formule, il
software e le tecnologie a qualsiasi titolo riferibili allo sviluppo,
produzione o utilizzazione dei beni di cui agli Allegati I e IV del
regolamento: reclusione fino a due anni o multa da 10.000 a 50.000 euro.
Reca, infine, disposizioni di carattere sanzionatorio anche l’ultimo dei criteri
direttivi previsto dalla lettera g) del
comma 2 dell’articolo 6. Tale lettera prevede, infatti, l’adozione di misure
sanzionatorie effettive, proporzionate e dissuasive nei confronti delle violazioni
in materia di misure restrittive (embarghi commerciali), adottate dall'Unione
europea ai
sensi
dell'articolo 215 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
Il comma 3 dell’articolo in esame disciplina la possibilità di decreti
correttivi o integrativi da adottare entro ventiquattro mesi dalla data di
entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, mentre il comma
4 prevede una doppia clausola di invarianza, sia finanziaria
(dall'esercizio della delega non dovrebbero derivare nuovi o maggiori oneri per
la finanza pubblica) che generalmente amministrativa (si provvede
all’adempimento dei nuovi compiti con le risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione vigente).
Il 14 gennaio 2014 la Commissione europea ha presentato una proposta di revisione del regolamento (CE) n. 1236/2005 relativo al commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti.
Il regolamento in vigore prevede
attualmente un regime di controlli all’esportazione mirato a evitare che le
merci esportate dall’Unione vengano impiegate per praticare la tortura o altri
trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti.
Per chiarire gli scopi e le
modalità di questi controlli, è apparso opportuno proporre di inserire nel
regolamento un capitolo specifico sui controlli all’esportazione intesi a
impedire che le merci soggette a controlli siano utilizzate per la pena di
morte e un elenco specifico delle merci soggette a controlli.
Viene inoltre proposto che le attuali restrizioni agli scambi siano integrate da restrizioni sui servizi di intermediazione, assistenza tecnica e transito.
L’articolo 7, comma 1 delega il Governo ad emanare decreti legislativi - secondo la procedura ordinaria di cui alla legge n. 234/2012, all'uopo adeguata[19] - per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1025/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 sulla normazione europea.
Si tratta dell'apparato regolatorio[20] adottato dal Comitato europeo di normazione, dal Comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica o dall'Istituto europeo per le norme di telecomunicazione.
Sul fatto che la norma
tecnica europea vada "resa disponibile per uso pubblico" v. articolo
2, comma 1, lettera l-vicies semel) del decreto
legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni).
A partire dall’attuazione della direttiva 83/189 con legge 21 giugno 1986 n. 317, agli organismi europei a rappresentanza nazionale corrispondono, nel nostro Paese, rispettivamente l’UNI (Ente italiano di unificazione)[21] e il CEI (Comitato elettrotecnico italiano)[22], in entrambi i casi persone giuridiche di diritto privato.
Si rammenta, poi, che in
ambito mondiale è presente l’ISO (International
Organization for Standardization), che si occupa principalmente di
razionalizzare e complementare l’insieme di standard vigenti; la serie di
normative sviluppate dall’ISO prende la denominazione di ISO 9000, che viene
poi approvata dall’organismo di certificazione europeo EN, e a sua volta
tradotta e introdotta nel sistema italiano di certificazione dall’UNI sotto il
nome di UNI EN 29000.
La legge n. 234/2012 detta anche i principi generali per l'esercizio della delega, ma il comma 2 vi aggiunge principi e criteri specifici.
La relazione ricorda
l'impatto che questa materia ha sulla competitività delle imprese[23], sia
in positivo sia in negativo: a causa della proliferazione di organismi e della
loro precaria disponibilità di risorse pubbliche, la partecipazione al processo
di normazione europeo[24] è
messa a repentaglio e, nel contempo, "il ricorso a forme autonome di
finanziamento rischia di far lievitare a livelli insostenibili, in particolare
per le piccole e medie imprese, i costi di messa a disposizione delle imprese e
dei professionisti delle norme UNI e CEI".
In particolare, l'aggiornamento delle disposizioni della
legge n. 317 del 1986 andrà effettuato con adeguamenti al nuovo regolamento
(UE) n. 1025/2012, che contemplino anche abrogazioni espresse e coordinamenti (lettera a));
ciò dovrà comportare anche semplificazioni e coordinamenti di discipline
finanziarie[25]
attinenti ai predetti organismi (lettera
b)), superando le procedure di
riparto e riassegnazione[26];
infine, è prevista una delegificazione
nelle materie non riservate alla legge, con la quale operare anche
l'aggiornamento del decreto[27] del
Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37 (lettera c)).
Il comma 3 contiene la consueta delega
all'emanazione, entro 24 mesi dal primo decreto, dei decreti recanti
disposizioni correttive o integrative, mentre il comma 4 reca la clausola di invarianza degli oneri sia finanziari
che amministrativi.
Regolamento
(UE) n. 1025/2012
Il regolamento (UE) n. 1025/2012 stabilisce norme riguardanti la cooperazione tra gli
organismi europei di normazione, gli organismi nazionali di normazione e la
Commissione europea, l'elaborazione di norme europee o prodotti della
normazione europea - ovvero qualsiasi altra specifica tecnica diversa delle
norme - a sostegno della legislazione e delle politiche dell'Unione, il
riconoscimento delle specifiche tecniche nel settore delle tecnologie
dell'informazione e della comunicazione (di seguito "TIC") e il
finanziamento della normazione europea. Poiché l’obiettivo principale della
normazione consiste nel definire specifiche tecniche e qualitative alle quali i
prodotti e i processi di produzione o i servizi possono conformarsi, il fine
ultimo del Regolamento è quello di ampliare il contributo della normazione
europea ad un migliore funzionamento del mercato interno, nonché alla
promozione della crescita e dell’innovazione.
Più nel dettaglio, per
quanto concerne la cooperazione tra i vari organismi, il Regolamento contiene
misure volte a garantire la trasparenza e il coinvolgimento dei soggetti
interessati. E' previsto, infatti, che ogni organizzazione europea e nazionale
di normazione stabilisca almeno una volta l'anno un proprio programma di lavoro
contenente informazioni sulle norme o prodotti di normazione che intende
adottare, che sarà reso disponibile sul proprio sito web e di cui darà notifica
(articolo 3). I progetti di norme
saranno inviati agli altri organismi di normazione, europei o nazionali, che
potranno inviare osservazioni (articolo
4).
Le organizzazioni
europee di normazione garantiranno un'adeguata rappresentanza e un'effettiva
partecipazione di tutti i soggetti interessati, incluse le PMI, le
organizzazioni ambientaliste e dei consumatori, le imprese, i centri di ricerca
e le università e collaboreranno con le autorità di vigilanza del mercato (articolo 5). Anche gli organismi di
normazione nazionali incoraggeranno l'accesso delle PMI ai processi di
normazione e si scambieranno le migliori prassi finalizzate ad incentivare tale
partecipazione (articolo 6). Gli
Stati membri dovranno favorire la partecipazione delle autorità pubbliche,
comprese le autorità di vigilanza del mercato, alle attività nazionali di
normazione volte all'elaborazione o alla revisione delle norme richieste dalla
Commissione europea ai sensi dell'articolo 10 (articolo 7).
Circa l'elaborazione di
norme o prodotti di normazione europea a sostegno della legislazione e delle
politiche dell'Unione, il Regolamento prevede che ogni anno la Commissione
europea adotti, dopo aver consultato i soggetti interessati e tenendo conto
delle strategie UE in materia di crescita, un programma di lavoro per la
normazione europea indicando le priorità da seguire (articolo 8). La Commissione potrà, inoltre, chiedere a una o più organizzazioni europee di
normazione di elaborare una norma europea o un prodotto della normazione
europea entro una determinata scadenza (articolo
10). Tali norme saranno adottate mediante la procedura di comitato che
prevede la partecipazione di rappresentanti degli Stati membri (articolo 22).
La Commissione, prima di adottare il programma di lavoro, di
approvare le richieste di normazione o gli atti delegati previsti dal
regolamento o prima di adottare una decisione in merito alle specifiche tecniche
delle TIC, istituirà un sistema di comunicazione per i soggetti interessati al
fine di garantire un'idonea consultazione (articolo
12).
Quanto alle specifiche
tecniche delle TIC il Regolamento prevede che la Commissione europea possa
identificare, e successivamente modificare o ritirare, le specifiche che non
sono norme nazionali, europee o internazionali, sulla base delle prescrizioni
contenute nell'allegato II. Le decisioni in merito saranno adottate previa
consultazione della piattaforma multilaterale europea sulla normazione delle
TIC che comprende le organizzazioni europee di normazione, gli Stati membri e i
soggetti interessati (articolo 13). È
inoltre previsto nell’ambito degli appalti pubblici l'utilizzo di norme
elaborate da altre organizzazioni nel settore delle TIC (articolo 14).
Circa il finanziamento
della normazione europea, il Regolamento specifica le attività che possono
beneficiarne. Esse includono, tra
l'altro, l'elaborazione e la revisione
di norme europee necessarie alla legislazione e alle politiche UE e la verifica
della qualità alla corrispondente legislazione nonché lo svolgimento di
attività preliminari alla normazione (articolo
15). Il finanziamento dell'UE può
essere concesso alle organizzazioni europee dei soggetti interessati che
rispondono ai criteri indicati nell'allegato III per una serie di attività tra
cui la realizzazione di attività tecniche e la fornitura di informazioni alle
parti interessate nonché la fornitura di consulenza giuridica o tecnica (articolo 16). Le organizzazioni europee
di soggetti interessati sono, ai sensi dell'allegato III, quelle che rispondono
agli interessi delle PMI, dei consumatori e quelle che rappresentano gli
interessi sociali e ambientali. Il Regolamento definisce poi le varie modalità
di finanziamento, secondo la natura
degli organismi beneficiari e le attività da essi svolte (articolo 17), e stabilisce alcune azioni a tutela degli interessi
finanziari dell'Unione che prevedono l'applicazione, da parte della Commissione
europea, di misure di prevenzione contro le frodi, la corruzione e qualsiasi
altra attività illecita, mediante appositi controlli e il recupero di somme
indebitamente corrisposte (articolo 19).
Per l'aggiornamento del suddetto allegato III nonché dell'allegato I, che indica
le organizzazioni europee di normazione, alla Commissione europea è conferito
potere di adottare atti delegati per un periodo di cinque anni a decorrere dal
1° gennaio 2013 (articolo 20).
Il Regolamento prevede,
infine, una semplificazione della legislazione vigente, disponendo in
particolare una revisione della direttiva 98/34/CE, che prevede una procedura
d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche,
nonché abrogando la decisione del Consiglio 87/95/CEE, relativa alla normalizzazione nel settore
delle TIC e la decisione n. 1673/2006/CE, relativa al finanziamento della
normalizzazione europea.
Iter di approvazione
Il regolamento deriva da una proposta presentata dalla Commissione
europea il 1° giugno 2011 (COM(2011)315),
sulla quale l'Ufficio rapporti con le istituzioni dell'Unione europea del
Senato della Repubblica aveva curato una scheda di valutazione .
Il 28 settembre 2011 la 14a Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) del Senato ha approvato una risoluzione (Doc XVIII-bis n. 47) in cui ha espresso un parere favorevole, constatando tuttavia che la proposta conteneva deleghe a tempo indeterminato per la Commissione europea per l'adozione di atti delegati volti all'aggiornamento di alcuni allegati. Tale previsione non è stata poi mantenuta nel regolamento approvato che, come evidenziato sopra, prevede che l'esercizio dei poteri di delega sia conferito alla Commissione europea per un periodo di cinque anni.
L’articolo 8, modificato durante la fase referente, prevede una delega per l’emanazione di uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 305/2011 che fissa condizioni armonizzate per la commercializzazione dei prodotti da costruzione e che abroga la direttiva 89/106/CEE del Consiglio.
Il Regolamento UE n. 305/2011
è stato pubblicato nella G.U.U.E. 4 aprile 2011, n. L88 ed è entrato in vigore
nel nostro ordinamento il 24 aprile 2011.
Tra i principi e i criteri direttivi specifici di delega previsti dalla disposizione in esame, si segnalano:
· la fissazione dei criteri per la nomina dei rappresentanti italiani all’interno del Comitato permanente per le costruzioni;
· la costituzione di un Comitato nazionale di coordinamento e di raccordo per i prodotti da costruzione;
· la costituzione di un Organismo nazionale per la valutazione tecnica europea (ITAB);
· l’individuazione presso il Ministero dello sviluppo economico del Punto di contatto nazionale;
· l’individuazione del Ministero dello sviluppo economico quale Autorità notificante;
· la possibilità di affidare ad Accredia compiti di valutazione e controllo degli organismi da autorizzare per svolgere compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della costanza della prestazione;
· la previsione di disposizioni in tema di proventi e tariffe;
· la previsione di sanzioni penali o amministrative per le violazioni degli obblighi derivanti dal regolamento.
Si ricorda che tale regolamento ha abrogato la direttiva 89/106/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti i prodotti da costruzione. Più in particolare la direttiva, al fine di eliminare gli ostacoli tecnici agli scambi nel campo dei prodotti da costruzione per migliorarne la libera circolazione in seno al mercato interno, prevedeva la definizione di norme armonizzate per i prodotti da costruzione e il rilascio di benestare tecnici europei. La direttiva in oggetto è stata attuata con il D.P.R 246/93
Il comma 1 prevede che l’esercizio della delega è
effettuata:
· entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge;
· su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell'economia e delle finanze e del Ministro dell'interno;
· acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari;
Il comma 2 prevede che nell'esercizio della delega il Governo è tenuto a seguire i principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012. n. 234 e i princìpi e criteri direttivi specifici, indicati alle lettere da a) a l).
Fissazione dci criteri per la nomina dei rappresentanti dell'Italia in seno al comitato di cui all'articolo 64 del Regolamento ed al gruppo di cui all'articolo 55 del regolamento (lett. a)).
L’articolo 64 del Regolamento in esame prevede che la Commissione è assistita dal comitato permanente per le costruzioni e che gli Stati membri provvedono a che i membri di tale comitato siano in grado di svolgere le proprie funzioni in modo da evitare conflitti di interessi, in particolare per quanto riguarda le procedure di ottenimento della marcatura CE. Tale comitato è composto da esperti designati dagli Stati membri ed è incaricato di fornire assistenza e consulenza alla Commissione sulle questioni correlate all’attuazione e l’applicazione pratica del presente regolamento. L’articolo 14 del D.p.R. 246/93 prevede che i rappresentanti in seno al comitato permanente sono nominati dal Ministro degli affari esteri su designazione rispettivamente del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato (attualmente Ministero dello sviluppo economico) e del Ministro dei lavori pubblici (attualmente Ministero del lavoro, salute e delle politiche sociali). I predetti rappresentanti possono essere assistiti da esperti. Un esperto permanente è designato dal Ministro dell'interno nell'ambito della Direzione generale per la protezione civile e dei servizi antincendio.
L’articolo 55 del Regolamento in esame prevede che la Commissione garantisce che sia istituito un sistema appropriato di coordinamento e di cooperazione tra organismi notificati e che funzioni correttamente sotto forma di gruppo di organismi notificati, inoltre gli Stati membri garantiscono che gli organismi da essi notificati partecipino ai lavori di tale gruppo, direttamente o mediante rappresentanti designati, o assicurano che i rappresentanti degli organismi notificati siano informati;
Costituzione di un Comitato nazionale di coordinamento e di raccordo[28] per i prodotti da costruzione, con compiti di coordinamento delle attività delle amministrazioni competenti nel settore dei prodotti da costruzioni e di determinazione degli indirizzi volti ad assicurare l’uniformità ed il controllo dell'attività di certificazione e prova degli organismi notificati e individuazione delle amministrazioni che hanno il compito di costituirlo (lett. b)).;
Un organismo notificato è istituito a norma del diritto nazionale, ha personalità giuridica ed è un terzo indipendente dall'organizzazione o dal prodotto da costruzione che esso valuta. Inoltre svolge tutti i compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della costanza della prestazione che gli sono assegnati utilizzando i mezzi necessari per eseguire in modo appropriato i compiti tecnici e amministrativi connessi alle attività per le quali è stato notificato e ha accesso a tutte le apparecchiature o impianti necessari. La prestazione di un prodotto da costruzione consiste nel suo comportamento strutturale, più in particolare sono le sue caratteristiche essenziali pertinenti, espresse in termini di livello, classe o mediante descrizione, tale prestazione deve essere costante nel tempo;
Costituzione di un Organismo nazionale per la valutazione tecnica europea (ITAB) quale organismo di valutazione tecnica (TAB) ai sensi dell'articolo 29 del regolamento e fissazione dei relativi princìpi di funzionamento e di organizzazione e individuazione delle amministrazioni che hanno il compito di costituirlo (lett. c))..
L’art. 29 del regolamento in esame prevede che gli Stati membri possono designare TAB, all'interno del proprio territorio, segnatamente per una o più aree di prodotto Gli Stati membri che hanno designato un TAB comunicano agli altri Stati membri e alla Commissione la sua denominazione, il suo indirizzo e le aree di prodotto per le quali è designato. La Commissione rende pubblico per via elettronica l'elenco dei TAB. Si ricorda che in attuazione alla direttiva 89/106/CEE e ai sensi dell’art.5 del D.P.R. 246/93 sono stati designati: il servizio tecnico centrale del Consiglio superiore dei lavori pubblici, con funzioni di organismo portavoce, il Centro studi ed esperienze antincendio (CSEA, attuale direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica del Dip.to VV.F) e l’ICITE (attuale ITC CNR), stabilendo una ripartizione della competenza legata al requisito essenziale prevalente. Il Principio di delega quindi demanda il Governo ad istituire un unico organismo in luogo dei tre attuali.
Individuazione presso il Ministero dello sviluppo economico del Punto di contatto nazionale per i prodotti da costruzione di cui all'articolo 10, paragrafo l, del Regolamento nonché delle modalità di collaborazione delle altre Amministrazioni competenti, anche ai fini del rispetto dei termini chiari di facile comprensione (paragrafo 3 , articolo 10) (lett. d)).
L’articolo 10 del regolamento in esame prevede che gli Stati membri designano i punti di contatto di prodotti da costruzione. I punti di contatto di prodotti da costruzione hanno il compito di fornire, utilizzando termini chiari e facilmente comprensibili, informazioni sulle disposizioni, nel suo territorio, volte a soddisfare i requisiti di base delle opere di costruzione applicabili all'uso previsto di ciascun prodotto da costruzione. I punti di contatto, al fine di facilitare la libera circolazione delle merci, forniscono informazioni sulle disposizioni volte a soddisfare i requisiti di base delle opere applicabili per l'uso previsto di ciascun prodotto da costruzione nel territorio di ciascuno Stato membro. Attualmente esercita le funzioni di Autorità nazionale italiana per l'accreditamento e quelle del Punto di contatto con la Commissione europea, ai sensi dell'articolo 4 comma 2, della legge 23 luglio 2009, n. 99, la direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica, presso il Ministero dello sviluppo economico;
Individuazione del Ministero dello sviluppo economico quale Autorità notificante ai sensi del Capo VII del regolamento (lett. e)).
L’articolo 40 del regolamento in esame prevede che gli Stati membri designano un'autorità notificante, responsabile di organizzare ed eseguire le procedure necessarie per la valutazione e la notifica degli organismi da autorizzare per svolgere compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della costanza della prestazione ai fini del presente regolamento, nonché responsabili del controllo degli organismi notificati, ivi inclusa la loro conformità.
Fissazione dei criteri e delle procedure necessarie per la valutazione, la notifica ed il controllo degli organismi da autorizzare per svolgere compiti di parte terza nel processo di valutazione e verifica della costanza della prestazione, di cui all'articolo 40 del regolamento, anche al fine di prevedere che tali compiti di valutazione e controllo degli organismi possano essere affidati mediante apposite convenzioni all'organismo unico nazionale di accreditamento ai sensi dell'articolo 4 della legge 23 luglio 2009, n. 99 (lett. f)).
Si ricorda che il D.M. 22 dicembre 2009, emanato in attuazione
dell’art.4, L.99 del 2009 prevede la designazione di Accredia quale unico organismo nazionale italiano autorizzato a
svolgere attività di accreditamento e vigilanza del mercato;
Previsione di disposizioni in tema di proventi e tariffe per le attività connesse all'attuazione del regolamento, conformemente al comma 4 dell'articolo 30 della legge 234 del 2012 (lett. g)).
Il comma 4, art.30, L.234/2012 prevede che gli oneri relativi a prestazioni e a controlli da eseguire da parte di uffici pubblici, ai fini dell'attuazione delle disposizioni dell'Unione europea, sono posti a carico dei soggetti interessati, ove ciò non risulti in contrasto con la disciplina dell'Unione europea, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio reso. Le tariffe sono predeterminate e pubbliche;
Previsione di sanzioni penali o amministrative per le violazioni degli obblighi derivanti dal regolamento, conformemente alle previsioni di cui all'articolo 32, comma l, lettera d), e di cui all'articolo 33, commi 2 e 3, della legge n. 234 del 2012, ed individuazione delle procedure per la vigilanza sul mercato dei prodotti da costruzione ai sensi del Capo VIII del regolamento (lett. h));
Il principio e criterio direttivo della lettera h) demanda al Governo la previsione di sanzioni penali o amministrative per la violazione degli obblighi derivanti dal regolamento. Nell’operare la scelta tra il tipo di sanzione, e nel determinarne l’entità, il Governo dovrà tener conto dei principi generali in tema di sanzioni per violazione della disciplina dell’Unione europea, dettati dall’art. 32, comma 1, lett. d) e dall’art. 33, commi 2 e 3, della legge n. 234 del 2012.
Durante la fase referente, la lettera h)
è stata integrata, prevedendo che il Governo .- nel tener conto dei principi
generali in materia di sanzioni - dovrà considerare
anche le attività rispettivamente svolte dagli operatori economici nelle
diverse fasi della filiera e, in particolare, la loro effettiva capacità di incidere sugli aspetti relativi alle
caratteristiche, alla qualità ed alla sicurezza del prodotto.
Si ricorda che l’art. 33 della legge n. 234 del 2012 rimanda, per i principi e criteri direttivi nella fissazione delle sanzioni, al precedente articolo 32. In particolare, il comma 1, lett. d), di questa disposizione stabilisce che il legislatore delegato può prevedere le seguenti sanzioni:
- la sanzione penale di natura contravvenzionale, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In particolare, dovrà essere prevista la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto e la pena congiunta (arresto e ammenda) per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità;
- la sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro, nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi diversi;
- sanzioni penali o sanzioni amministrative accessorie.
Il Governo dovrà altresì disciplinare le procedure per la vigilanza sul mercato dei prodotti da costruzione, come richiesto dal Capo VIII del Regolamento UE.
Si tratta delle disposizioni del regolamento che impongono alle autorità di vigilanza nazionali di valutare i prodotti che potrebbero comportare rischi di mancato rispetto dei requisiti di base delle opere di costruzione, di imporre al produttore di soddisfare i requisiti richiesti, pena il ritiro del prodotto dal mercato e di informare le autorità degli altri Stati circa l’esito delle verifiche.
Analogamente le autorità devono procedere in relazione ai prodotti da costruzione che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza
Anche quando la non conformità è solo formale, le autorità nazionali devono chiedere al produttore di conformarsi, pena il ritiro del prodotto dal mercato.
Abrogazione espressa delle disposizioni di legge o di regolamento incompatibili con il decreto delegato (lett. i)) e salvaguardia della possibilità di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 305/2011 con successivo regolamento governativo, ai sensi dell'articolo 17, comma l, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nelle materie non riservate alla legge e già disciplinate mediante regolamenti (lett. l)).
Il comma 3 prevede che ai componenti del Comitato e dell’Organismo nazionale [(lettere b) e c) del comma 2], non sono corrisposti gettoni. compensi, rimborsi spese o altri emolumenti, comunque denominati, fatta eccezione per i costi di missione, che restano a carico dell'amministrazione di appartenenza.
Il comma 4 prevede che il Governo può emanare disposizioni correttive e integrative del medesimo decreto legislativo entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo.
Il comma 5, infine, prevede la clausola di invarianza finanziaria.
Regolamento
(UE) n. 305/2011
Il
Regolamento in esame è composto di 68 articoli e V allegati. Più in
particolare:
Il
Capo I prevede disposizioni di carattere generale (artt.1-3). L’oggetto del
regolamento consiste nel fissare le condizioni per l'immissione o la messa a
disposizione sul mercato di prodotti da costruzione stabilendo disposizioni
armonizzate per la descrizione della prestazione di tali prodotti in relazione
alle loro caratteristiche essenziali e per l'uso della marcatura CE sui
prodotti in questione. A tal fine vi sono una serie di definizioni tra cui
prodotto da costruzione (qualsiasi prodotto o kit fabbricato e immesso sul
mercato per essere incorporato in modo permanente in opere di costruzione o in
parti di esse e la cui prestazione incide sulla prestazione delle opere di
costruzione rispetto ai requisiti di base delle opere stesse); kit (un prodotto
da costruzione immesso sul mercato da un singolo fabbricante come insieme di
almeno due componenti distinti che devono essere assemblati per essere
installati nelle opere di costruzione); opere di costruzione (gli edifici e le
opere di ingegneria civile); prestazione di un prodotto da costruzione (la
prestazione in relazione alle caratteristiche essenziali pertinenti, espressa
in termini di livello, classe o mediante descrizione). Le caratteristiche
essenziali dei prodotti da costruzione sono stabilite nelle specifiche tecniche
armonizzate in funzione dei requisiti di base delle opere di costruzione.
Il
Capo II riguarda la dichiarazione di prestazione e marcatura
(artt.4-10). Il fabbricante redige una dichiarazione di prestazione all'atto
dell'immissione in commercio quando un prodotto da costruzione rientra
nell'ambito di applicazione di una norma armonizzata o è conforme a una
valutazione tecnica europea rilasciata per il prodotto in questione. Copia
della dichiarazione di prestazione di ciascun prodotto messo a disposizione sul
mercato, in forma cartacea o su supporto elettronico. La marcatura CE è apposta
solo sui prodotti da costruzione per i quali il fabbricante ha redatto una
dichiarazione di prestazione. Gli Stati membri designano i punti di contatto di
prodotti da costruzione al fine di garantire accessibilità alle regole tecniche
nazionali, in modo che le imprese, soprattutto le PMI, possano raccogliere
informazioni affidabili e precise sulla legislazione in vigore nello Stato
membro in cui intendono immettere o rendere disponibili sul mercato i loro
prodotti.
Il Capo III prevede gli obblighi degli operatori economici
(artt.11-16). I fabbricanti redigono una dichiarazione di prestazione
conformemente alle disposizioni contenute nel presente regolamento e appongono
la marcatura CE, inoltre conservano la documentazione tecnica e la
dichiarazione di prestazione per un periodo di dieci anni a decorrere
dall'immissione del prodotto da costruzione sul mercato; infine a seguito di
una richiesta motivata di un'autorità nazionale competente, forniscono a
quest'ultima tutte le informazioni e la documentazione necessarie per
dimostrare la conformità del prodotto. Gli importatori immettono sul mercato
dell'Unione solo i prodotti da costruzione conformi ai requisiti applicabili di
cui al presente regolamento.
A seguito di una richiesta motivata di un'autorità nazionale
competente, forniscono a quest'ultima tutte le informazioni e la documentazione
necessarie per dimostrare la conformità del prodotto. Prima di mettere un
prodotto da costruzione a disposizione sul mercato, i distributori assicurano
che il prodotto, ove richiesto, rechi la marcatura CE e sia accompagnato dai
documenti richiesti dal regolamento nonché da istruzioni e informazioni sulla
sicurezza redatte in una lingua, stabilita dallo Stato membro interessato, che
può essere facilmente compresa dagli utilizzatori. A seguito di una richiesta
motivata di un'autorità nazionale competente, forniscono a quest'ultima tutte
le informazioni e la documentazione necessarie per dimostrare la conformità del
prodotto da costruzione.
Il Capo IV riguarda le specifiche tecniche armonizzate
(artt.17-28). Le norme armonizzate
sono stabilite dagli organismi europei
di normalizzazione in base alle richieste o mandati, formulate dalla Commissione previa consultazione del comitato permanente per le costruzioni. Le
norme armonizzate stabiliscono i metodi ed i criteri per valutare la
prestazione dei prodotti da costruzione in relazione alle loro caratteristiche
essenziali. Gli organismi europei di normalizzazione specificano in norme
armonizzate il controllo della produzione in fabbrica applicabile, che tiene
conto delle particolari condizioni del processo di fabbricazione del prodotto
da costruzione interessato. La norma armonizzata contiene i dettagli tecnici
necessari per applicare il sistema di valutazione e verifica della costanza
della prestazione. La Commissione valuta la conformità delle norme armonizzate
predisposte dagli organismi europei di normalizzazione ai pertinenti mandati e
pubblica nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea l'elenco dei riferimenti
alle norme armonizzate conformi ai pertinenti mandati. In seguito alla
richiesta di valutazione tecnica europea di un fabbricante, l'organizzazione
dei TAB elabora e adotta un documento
per la valutazione europea per qualsiasi prodotto da costruzione che non
rientra o non rientra interamente nell'ambito di applicazione di una norma
armonizzata.
Il Capo V dispone in merito
agli organismi di valutazione tecnici
(artt.29-35).
Gli Stati membri possono designare TAB,
all'interno del proprio territorio, segnatamente per una o più aree di prodotto
e comunicano agli altri Stati membri e alla Commissione la denominazione,
l’indirizzo e le aree di prodotto per le quali ciascun TAB è designato. Inoltre
controllano le attività e la competenza dei TAB da essi designati e li valutano
in relazione ai requisiti prescritti. La Commissione rende pubblico e aggiorna
per via elettronica l'elenco dei TAB, indicando le aree di prodotto per cui sono
designati e adoperandosi per raggiungere il massimo livello possibile di
trasparenza.
Il Capo VI riguarda le Procedure Semplificate (artt.36-38). Le
microimprese che fabbricano prodotti da costruzione che rientrano nell'ambito
di applicazione di una norma armonizzata possono sostituire la determinazione
del prodotto-tipo mediante l'uso di metodi diversi da quelli previsti dalla
norma armonizzata applicabile.
Il Capo VII disciplina le Autorità Notificanti e Organismi Notificati
(artt. 39-55). Gli Stati membri designano un'autorità notificante, responsabile
di organizzare ed eseguire le procedure necessarie per la valutazione e la
notifica degli organismi da autorizzare per svolgere compiti di parte terza nel
processo di valutazione e verifica della costanza della prestazione ai fini del
presente regolamento, nonché responsabile del controllo degli organismi
notificati.
L'autorità notificante è istituita in modo da evitare conflitti
d'interesse con gli organismi notificati. Un organismo notificato è istituito a
norma del diritto nazionale e ha personalità giuridica ed è terzo indipendente
dall'organizzazione o dal prodotto da costruzione che esso valuta.
Il Capo VIII riguarda la vigilanza del mercato e le procedure di salvaguardia
(artt. 56-59). Se le autorità di vigilanza del mercato di uno Stato membro
hanno sufficienti ragioni per credere che un prodotto da costruzione, che
rientra nell'ambito di applicazione di una norma armonizzata o per il quale è
stata rilasciata una valutazione tecnica europea, non soddisfi la prestazione
dichiarata e comporti un rischio in
merito al rispetto dei requisiti di base delle opere di costruzione stabiliti
dal regolamento, esse effettuano una valutazione del prodotto interessato
relativa a tutti i requisiti di cui al presente regolamento e gli operatori
economici interessati cooperano ove necessario con le autorità di vigilanza del
mercato. Inoltre l’autorità di vigilanza, quando un prodotto da costruzione,
pur conforme al regolamento di cui si tratta, presenti rischi in merito al
rispetto dei requisiti di base delle opere di costruzione, alla salute o la sicurezza delle persone o ad altri aspetti di tutela del pubblico interesse, chiede all'operatore economico
interessato di adottare tutte le misure appropriate per assicurare che il
prodotto da costruzione in questione all'atto dell'immissione sul mercato cessi
di presentare tali rischi, di ritirare il prodotto da costruzione dal mercato o
di richiamarlo entro un lasso di tempo ragionevole, che può fissare,
proporzionato alla natura del rischio.
Il Capo IX reca le disposizioni finali (artt. 60-64). La
Commissione ha il potere di adottare atti delegati per un periodo di cinque
anni a decorrere dal 24 aprile 2011. I prodotti da costruzione immessi sul
mercato ai sensi della direttiva 89/106/CEE prima del 1° luglio 2013 sono
ritenuti conformi al presente regolamento.
I
cinque allegati al regolamento si riferiscono rispettivamente a:
I
- requisiti di base delle opere di
costruzione. Le opere di costruzione,
nel complesso e nelle loro singole parti, devono essere adatte all'uso cui sono
destinate, tenendo conto in particolare della salute e della sicurezza delle
persone interessate durante l'intero ciclo di vita delle opere.
II
- procedura per l'adozione del documento per la valutazione europea;
III
- dichiarazione di prestazione;
IV
- aree di prodotto e requisiti degli organismi
di valutazione tecnica;
V
- valutazione e verifica della costanza
della prestazione.
L’articolo 9 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, uno o più decreti legislativi per l'attuazione della Raccomandazione CERS/2011/3 del Comitato europeo per il rischio sistemico del 22 dicembre 2011, relativa al mandato macroprudenziale delle autorità nazionali, in particolare disponendo la creazione di un apposito Comitato per le politiche macroprudenziali, cui partecipino le autorità del settore bancario e finanziario; il Comitato ha specifiche funzioni di indirizzo e raccomandazione, nonché poteri di richiesta di informazioni ad enti pubblici e privati.
Il sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziarie (SEVIF) è stato creato nel corso del 2010 mediante l'istituzione, con appositi regolamenti, di tre nuove autorità di vigilanza europee competenti - rispettivamente - per le banche, i mercati finanziari e le assicurazioni, nonché di un Comitato europeo per il rischio sistemico incaricato della vigilanza macroprudenziale.
Si tratta dei regolamenti (UE) n. 1093/2010, che istituisce l'Autorità bancaria europea (EBA), n. 1094/2010 che istituisce l'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), n. 1095/2010 che istituisce l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), n. 1092/2010 relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario nell’Unione europea e che istituisce il Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS).
La creazione del SEVIF fa seguito alle proposte elaborate da un gruppo di esperti (cd. gruppo “de Larosière”) incaricato dalla Commissione europea, nel novembre 2008, di formulare delle raccomandazioni su come rafforzare i meccanismi di vigilanza europei a fronte della crisi finanziaria.
Il D.Lgs. 30 luglio 2012, n. 130 ha dato attuazione alla direttiva 2010/78/UE relativa ai poteri delle predette autorità.
In particolare, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012 (illustrati nell’introduzione al presente lavoro) il Governo deve, secondo i seguenti principi e criteri direttivi specifici (comma 2):
-
istituire un Comitato per le politiche macroprudenziali,
privo di personalità giuridica, quale autorità
indipendente designata, ai sensi della Raccomandazione CERS/2011/3, per la
conduzione delle politiche macroprudenziali (comma 2, lettera a));
La Sezione B del predetto atto CERS/2011/3 affida agli Stati il compito di designare un’autorità cui spetti la conduzione delle politiche macroprudenziali, sotto forma di un’istituzione unica o di un comitato; quest’ultimo deve essere composto dalle autorità la cui azione abbia un impatto concreto sulla stabilità finanziaria. La legislazione nazionale ha il compito di specificare il processo decisionale dell’organo direttivo dell’autorità macroprudenziale.
-
prevedere che al Comitato partecipino la Banca d'Italia, che lo presiede, la Consob, l'Ivass e la Covip, che
condividono l'obiettivo di salvaguardia della stabilità del sistema finanziario
(comma 2, lettera b));
-
prevedere che
alle sedute del Comitato assista il Ministero dell'economia e delle finanze (comma 2, lettera c));
-
prevedere le
regole di funzionamento e di voto del Comitato nonché i casi in cui le
decisioni sono rese pubbliche (comma 2,
lettera d));
-
prevedere il ruolo guida nelle politiche
macroprudenziali della Banca d'Italia, che svolge le funzioni di segreteria
del Comitato (comma 2, lettera e)), in coerenza con quanto
prescritto dalla Raccomandazione alla Sezione B, punto 3;
-
attribuire al
Comitato le funzioni, i poteri, gli strumenti, i compiti di cooperazione con altre
autorità, nazionali ed europee, previsti dalla Raccomandazione CERS/2011/3 (comma 2, lettera f));
Al riguardo si ricorda che la Sezione B, punto 4 della Raccomandazione affida all’autorità macroprudenziale il mandato di cooperare e scambiare informazioni anche a livello transfrontaliero, in particolare informando il CERS delle azioni intra prese per gestire i rischi sistemici a livello nazionale.
- attribuire al Comitato il potere di indirizzare raccomandazioni alle Autorità in esso rappresentate e inviare comunicazioni al Parlamento e al Govemo, con l’obbligo delle Autorità di motivare l'eventuale mancata attuazione delle stesse (comma 2, lettera g));
- attribuire al Comitato il potere di richiedere alle Autorità tutti i dati e le informazioni necessarie all'esercizio delle sue funzioni (comma 2, lettera h)) in coerenza quanto disposto dalla Raccomandazione;
Al riguardo si rammenta che la Sezione C
della Raccomandazione attribuisce una serie di strumenti (principalmente di
natura informativa e regolamentare) alle autorità designate dagli Stati membri
e/o ai Comitati. Più in dettaglio l’autorità macroprudenziale dovrebbe:
o poter identificare, monitorare e valutare i rischi per la stabilità finanziaria e di attuare le politiche per conseguire il proprio obiettivo, prevenendo e riducendo tali rischi; poter richiedere e ottenere con tempestività tutti i dati e le informazioni nazionali necessari all'esercizio delle sue funzioni, ivi comprese le informazioni provenienti dalle autorità di vigilanza microprudenziale e dalle autorità di vigilanza del mercato dei titoli, nonché le informazioni provenienti da fonti esterne al perimetro regolamentare e, su richiesta motivata e previa adozione di misure adeguate a garantire la riservatezza, informazioni specifiche relative a determinate istituzioni. Ai sensi degli stessi principi, è opportuno che l’autorità macroprudenziale condivida con le autorità di vigilanza microprudenziale i dati e le informazioni necessari all’esercizio delle funzioni di tali autorità;
o poter designare e/o sviluppare gli approcci di sorveglianza per
identificare, in coordinazione o insieme alle autorità di vigilanza
microprudenziale e di vigilanza del mercato dei titoli, le istituzioni e le
strutture finanziarie aventi rilevanza sistemica per lo Stato membro in
questione, e di determinare il perimetro della regolamentazione nazionale o di
formulare delle raccomandazioni in proposito.
- prevedere che il Comitato possa acquisire, tramite le autorità rappresentate nel Comitato stesso in base alle rispettive competenze, le informazioni necessarie per lo svolgimento delle proprie funzioni anche da soggetti privati che svolgono attività economiche rilevanti ai fini della stabilità finanziaria e da soggetti pubblici, secondo quanto previsto dalla Raccomandazione CERS/2011/3 (che, come si è visto, reca una disciplina di tale condivisione di informazioni alla Sezione C). Ove le informazioni non possano essere acquisite tramite dette autorità ai sensi delle rispettive legislazioni di settore, le disposizioni in esame consentono al Comitato di chiederne l'acquisizione alla Banca d'Italia, alla quale sono attribuiti i necessari poteri. Si dispone inoltre che il Comitato condivida con le autorità i dati e le informazioni necessari all'esercizio delle loro funzioni (comma 2, lettera i));
- prevedere che ai soggetti privati che non ottemperano agli obblighi di fornire le informazioni richieste dalle autorità rappresentate nel Comitato, ai sensi delle rispettive legislazioni di settore, siano applicate le sanzioni amministrative pecuniarie previste dalle medesime legislazioni di settore. Negli altri casi, si chiarisce che la Banca d'Italia può irrogare ai soggetti privati che non ottemperano agli obblighi informativi una sanzione amministrativa pecuniaria, tale da assicurare il rispetto dei principi di proporzionalità, dissuasività e adeguatezza, secondo un'articolazione che prevede un minimo non inferiore a euro cinquemila e un massimo non superiore a cinque milioni di euro. Viene chiarito che la Banca d'Italia si può avvalere della Guardia di Finanza per i necessari accertamenti (comma 2, lettera l));
- prevedere che il Comitato presenti annualmente al Governo e al Parlamento una relazione sulla propria attività (comma 2, lettera m)).
Il comma 3 consente al Governo, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo che recepisce la Raccomandazione, con la medesima procedura e nel rispetto dei suindicati principi e criteri direttivi, di emanare disposizioni correttive e integrative del medesimo decreto legislativo.
Il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria.
L’articolo 10 del disegno di legge, modificato in sede referente, individua i princìpi e criteri direttivi specifici per adeguare il quadro normativo vigente al regolamento (UE) n. 751/2015 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta.
Si segnala che la legge di
stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 900), prevede che al
fine di diffondere l’uso dei pagamenti mediante carte di debito o di credito,
in particolare per i pagamenti di importo contenuto (inferiore a 5 euro), entro
il 1° febbraio 2016, il Ministero dell'economia e delle finanze provvede con proprio decreto, di concerto col Ministero dello sviluppo economico,
sentita la Banca d'Italia, ad assicurare
la corretta e integrale applicazione del regolamento (UE) n. 751/2015 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile
2015, esercitando in particolare le opzioni di cui all'articolo 3 del
regolamento stesso.
Pertanto, al fine di adeguare la normativa interna al regolamento europeo relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, il Governo dovrebbe adottare entro il 1° febbraio un decreto ministeriale (al momento non risulta emanato). Con l’approvazione della norma in esame il Governo avrebbe inoltre a disposizione lo strumento del decreto legislativo per attuare la stessa normativa.
Il Regolamento n. 751 del 2015 e la normativa interna
L’8 giugno 2015 è entrato in
vigore il regolamento (UE) 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile
2015, relativo alle commissioni
interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 19 maggio 2015.
Esso stabilisce l'applicazione di massimali
uniformi di commissioni
interbancarie sulle transazioni di pagamento nazionali e transnazionali
effettuate tramite carta in tutto il territorio dell'Unione europea (le c.d. Multilateral
lntercharge Fees, MIF).
Si tratta delle commissioni concordate collettivamente, di norma, tra i
prestatori di servizi di pagamento convenzionatori (o acquirer) e i prestatori di servizi di pagamento emittenti (o issuer) appartenenti al medesimo
circuito di
carte, versate dal prestatore di
servizi di pagamento dell'esercente al prestatore di servizi di pagamento del
titolare della carta, per ciascuna operazione effettuata con una carta presso
un punto vendita dell'esercente. Quando il titolare usa la carta per acquistare
beni o servizi presso un esercente, quest'ultimo paga in effetti al proprio
prestatore di servizi di pagamento una commissione sul servizio commerciale:
parte di detta commissione è trattenuta dalla banca acquirente come suo
margine, una parte – la MIF - è
versata alla banca emittente e una parte spetta all'operatore del sistema (tra
i più noti: Visa e Mastercard). Le MIF rappresentano dunque una consistente
parte delle commissioni addebitate agli esercenti (le c.d. Merchant Service Charges, "MSC") e che questi ultimi
trasmettono ai consumatori, incorporandole nei prezzi al dettaglio di beni e
servizi.
Il regolamento 2015/751 mira ad accrescere il livello di concorrenza e
di integrazione del mercato europeo delle carte di pagamento.
A tal fine, a decorrere dal 9
dicembre 2015 è previsto un limite
all’applicazione di commissioni interbancarie pari allo 0,3% del valore della singola transazione
per le carte di credito e allo 0,2% per le carte di debito e
prepagate. Con riferimento alle carte di debito e prepagate sono inoltre
previste alcune opzioni attivabili a
livello nazionale, che consentono di rispettare il suddetto limite dello 0,2% a
livello di ciascun circuito di carte
di pagamento invece che per singola transazione.
Il regolamento detta inoltre requisiti
tecnici e commerciali uniformi allo scopo di rafforzare l’armonizzazione
del settore e garantire una maggiore sicurezza, efficienza e competitività dei
pagamenti elettronici, a vantaggio di esercenti e consumatori. In questa
prospettiva è, tra l’altro, limitata
la possibilità per gli intermediari di
obbligare gli esercenti ad accettare carte di diversa tipologia e sono
introdotti vincoli per assicurare la separatezza organizzativa e contabile
della governance degli schemi di
carte da quella relativa alla fornitura di servizi di processing, nonché obblighi di trasparenza delle condizioni
applicate all’esercente.
Nella seduta del 10 giugno 2015
l'Assemblea della Camera dei deputati ha
approvato alcune mozioni concernenti iniziative in materia di circolazione del denaro contante. Tra
l'altro, il Governo viene impegnato a dare rapida attuazione al regolamento
sulle commissioni interbancarie, nelle
parti in cui si prevede la facoltà
dello Stato membro di definire alcune misure, con la finalità di equiparare
il costo dei mezzi di pagamento elettronici in Italia alla media dei costi in
essere presso gli altri Stati europei.
Si ricorda che, in particolare (articolo 4 del regolamento) per le operazioni nazionali tramite carta di
credito, gli Stati membri possono stabilire un massimale per operazione
sulle commissioni interbancarie anche inferiore allo 0,3%. Per quanto invece
riguarda le operazioni domestiche con le
carte di debito (ad esempio, le carte PagoBancomat), i singoli Stati
possono, ai sensi dell’articolo 3 del regolamento, definire un massimale per
operazione sulle commissioni a percentuale inferiore allo 0,2 per cento;
possono anche imporre un importo massimo fisso di commissione, qualificandolo
come limite all'importo della commissione risultante dalla percentuale
applicabile. Gli Stati possono in
alternativa consentire di applicare una commissione fissa di 5
centesimi, eventualmente anche in combinazione con quella variabile, purché la
somma delle commissioni interbancarie dello schema di carte di pagamento non
superi mai lo 0,2 % del valore totale annuo delle operazioni nazionali tramite
carta di debito, all'interno di ciascuno schema di carte di pagamento.
Inoltre, fino al 9 dicembre 2020, gli Stati membri possono applicare il
tetto dello 0,2%, calcolato come media annuale ponderata di tutte le
transazioni effettuate con le carte di debito nazionali (articolo 3, paragrafo
3).
Sul fronte interno, il decreto 14 febbraio 2014, n. 51 del MEF, al fine di disincentivare l'uso del contante, ha dettato alcune regole per contenere i costi delle commissioni per i pagamenti elettronici e ha individuato gli obblighi a carico dei soggetti che gestiscono i pagamenti elettronici. Le commissioni devono essere differenziate sulla base dei volumi delle transazioni eseguite con carta presso ciascun esercente ovvero presso gruppi di esercenti unitariamente convenzionati. Inoltre, le commissioni devono essere riviste almeno annualmente, valutandone un abbassamento correlato al volume e al valore delle operazioni di pagamento effettuate presso l'esercente. Per i pagamenti di importo non superiore a trenta euro devono essere applicate commissioni inferiori qualora siano effettuati con terminali evoluti di accettazione multipla (ovvero POS con tecnologie ulteriori rispetto alla banda magnetica e al microchip).
Il decreto non pone tuttavia conseguenze sanzionatorie a carico di chi viola i predetti divieti o le predette norme.
Come detto in precedenza, la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 900), ha attribuito al Ministero dell’economia e delle finanze il compito assicurare la corretta e integrale applicazione del regolamento (UE) n. 751/2015 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2015, esercitando in particolare le opzioni di cui all'articolo 3 del regolamento stesso, con un decreto da emanare entro il 1° febbraio 2016, di concerto col Ministero dello sviluppo economico, sentita la Banca d'Italia. La finalità indicata dalla norma è quella di diffondere l’uso dei pagamenti mediante carte di debito o di credito, in particolare per i pagamenti di importo inferiore a 5 euro (nuovo comma 4-bis all’articolo 15 del decreto-legge n. 179 del 2012).
Il decreto ministeriale deve inoltre prevedere:
a) le modifiche, abrogazioni, integrazioni e semplificazioni alla normativa vigente necessarie a realizzare un pieno coordinamento del regolamento stesso con ogni altra disposizione vigente in materia, in conformità alle definizioni, alla disciplina e alle finalità del regolamento (UE) n. 751/2015;
b) la designazione della Banca d'Italia quale autorità competente per lo svolgimento delle funzioni previste dal regolamento (UE) n. 751/2015 e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato quale autorità competente a verificare il rispetto degli obblighi posti dal medesimo regolamento in materia di pratiche commerciali.
La stessa legge, inoltre, ha introdotto un nuovo comma 4-ter all’articolo 15 del decreto-legge n. 179 del 2012, prevedendo che i prestatori di servizi di pagamento, i gestori di schemi di carte di pagamento e ogni altro soggetto che interviene nell'effettuazione di un pagamento mediante carta applicano le regole e le misure, anche contrattuali, necessarie ad assicurare l'efficace traslazione degli effetti delle disposizioni del decreto di cui al comma 4-bis, tenuto conto della necessità di assicurare trasparenza, chiarezza ed efficienza della struttura delle commissioni e la loro stretta correlazione e proporzionalità ai costi effettivamente sostenuti dai prestatori di servizi di pagamento e dai gestori di circuiti e di schemi di pagamento, nonché di promuovere l'efficienza dei circuiti e degli schemi di riferimento delle carte nel rispetto delle regole di concorrenza e dell'autonomia contrattuale delle parti.
Si prevede, infine, che i decreti ministeriali (sentita la Banca d’Italia) attuativi della norma prevista dal comma 4 del citato articolo 15 (il quale stabilisce l’obbligo per i commercianti e i professionisti di accettare pagamenti mediante carte di debito e di credito) devono disciplinare le modalità, i termini e l'importo delle sanzioni amministrative pecuniarie anche in relazione ai soggetti interessati, anche con riferimento alle fattispecie costituenti illecito e alle relative sanzioni pecuniarie amministrative. Con i medesimi decreti può essere disposta l'estensione degli obblighi a ulteriori strumenti di pagamento elettronici anche con tecnologie mobili.
Il comma 1 anzitutto precisa la forma e le procedure di adeguamento dell’ordinamento nazionale al regolamento n. 751 del 2015. A tal fine si chiarisce che il Governo deve adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le procedure generali di cui all'articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (per cui si rinvia all’introduzione al presente lavoro) ed acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, un decreto legislativo.
Il comma 2 contiene i principi sostanziali di delega. In particolare, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della già richiamata legge n. 234 del 2012 (illustrati nell’introduzione al presente lavoro) il Governo deve attenersi a principi e criteri direttivi specifici, di seguito illustrato.
Ai sensi della lettera a) del comma 2 si devono prevedere, in conformità alle definizioni, alla disciplina e alle finalità del regolamento, le occorrenti modificazioni, integrazioni e abrogazioni alla normativa vigente, anche di derivazione UE, per i settori interessati dalla normativa da attuare.
Scopo di tale intervento alla normativa vigente è di assicurare la corretta e integrale applicazione del regolamento e realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti tra le quali, in particolare, le disposizioni in materia di spese sostenute per la prestazione di servizi di pagamento, contenute nell'articolo 3 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, che ha recepito la direttiva 2007/64/CE.
Il richiamato D.Lgs. n. 11 del 2010 è stato emanato in attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (Payment Services Directive - PSD) ed ha introdotto nell’ordinamento italiano la figura degli istituti di pagamento, intermediari che insieme a banche e Istituti di moneta elettronica (di cui al D.Lgs. n. 45 del 2012, emanato con lo scopo di recepire nell’ordinamento italiano la direttiva 2009/110/CE) effettuano servizi di pagamento (nuovi Titoli V-bis e Titolo V-ter del T.U.B.). Rispetto alla previgente regolamentazione sono state ampliate le possibilità operative degli istituti di moneta elettronica (IMEL): oltre a poter svolgere l'attività di emissione di moneta elettronica, essi possono anche prestare i servizi di pagamento nonché ulteriori attività imprenditoriali (c.d. "IMEL ibridi").
In ambito UE è stata istituita la SEPA, ovvero la Single Euro Payments Area (Area Unica dei Pagamenti in Euro), l'area in cui i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni e gli altri operatori economici possono effettuare e ricevere pagamenti in euro con strumenti diversi dal contante, sia all'interno dei confini nazionali che fra i paesi che ne fanno parte, secondo condizioni di base, diritti ed obblighi uniformi.
In particolare, l’articolo 3 del D.Lgs. n. 11 del 2010 reca norme in tema di addebito delle spese nell’ambito del rapporto tra prestatore di servizi di pagamento e l’utilizzatore di detti servizi, vietando tra l’altro l’addebito di spese sostenute per l'adozione di misure correttive e preventive, salvo le ipotesi esplicitamente disciplinate dalla legge. Si chiarisce il principio dell’accordo tra utilizzatore e prestatore nel caso di applicazione delle spese, in modo da risultare adeguate e coerenti con i costi effettivamente sostenuti da quest'ultimo.
E’ previsto che il prestatore di servizi di pagamento possa concedere al beneficiario di applicare al pagatore una riduzione del prezzo del bene venduto o del servizio prestato per l'utilizzo di un determinato strumento di pagamento compreso nell'ambito d'applicazione del presente decreto.
L’articolo 3, comma 4 stabilisce inoltre che il beneficiario non può applicare spese al pagatore per l'utilizzo di un determinato strumento di pagamento. La Banca d'Italia può stabilire con proprio regolamento deroghe, tenendo conto dell'esigenza di promuovere l'utilizzo degli strumenti di pagamento più efficienti ed affidabili.
In
merito si ricorda inoltre che l’articolo
62 del codice del consumo (D.lgs n. 205 del 2006) prevede, espressamente
richiamando l’articolo 3, comma 4 appena illustrato, che i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all'uso
di determinati strumenti di pagamento,
spese per l'uso di detti strumenti ovvero, nei casi espressamente
stabiliti, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista.
L'istituto di emissione della carta di pagamento riaccredita al consumatore i pagamenti in caso di addebitamento eccedente rispetto al prezzo pattuito ovvero in caso di uso fraudolento della propria carta di pagamento da parte del professionista o di un terzo. L'istituto di emissione della carta di pagamento ha diritto di addebitare al professionista le somme riaccreditate al consumatore.
Al riguardo si ricorda che il 23 dicembre 2015 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la seconda direttiva sui servizi di pagamento - PSD2, direttiva (UE) 2015/2366 del 25 novembre 2015 (entrata in vigore il 13 gennaio 2016; gli Stati membri dovranno recepire la direttiva nella legislazione nazionale entro il 13 gennaio 2018). La direttiva mira a promuovere lo sviluppo di un mercato interno dei pagamenti al dettaglio efficiente, sicuro e competitivo rafforzando la tutela degli utenti dei servizi di pagamento, sostenendo l’innovazione e aumentando il livello di sicurezza dei servizi di pagamento elettronici.
Essa tra l’altro prevede che l’illustrato divieto di applicazione di costi ulteriori (surcharge) sia limitato alle operazioni effettuate con strumenti di pagamento per i quali sono stabiliti massimali sulle MIF (in particolare, le carte di pagamento emesse dai circuiti a 4 parti; per gli altri strumenti di pagamento, viene lasciata agli Stati membri la possibilità di scegliere se vietare/limitare il surcharge). Di conseguenza la relazione illustrativa al provvedimento chiarisce che le modifiche all’articolo 3 consentono di circoscrivere il divieto di surcharge esclusivamente agli strumenti su cui le commissioni MIF sono regolate e così anticipando l’ingresso nell’ordinamento di alcune previsioni della PSD2, come auspicato anche dalla Commissione europea e precisato nel considerando n. 66.
Le lettere b), c) e d) del comma 2, individuano nella Banca d’Italia e nell’Autorità Garante della Concorrenza e del mercato le Autorità competenti a svolgere i compiti e le funzioni individuati dal regolamento n. 751 del 2015.
L’articolo 13 del regolamento consente agli Stati membri di
designare una o più autorità competenti incaricate di assicurare il rispetto
delle disposizioni del regolamento, a cui siano attribuiti poteri di indagine e
di controllo. Compito di dette autorità è di controllare efficacemente la
conformità con il regolamento, anche per contrastare tentativi di elusione da
parte dei prestatori di servizi di pagamento, e di adottare tutte le misure
necessarie per garantire tale conformità.
La lettera b) dispone che, tenuto conto delle competenze definite dall'ordinamento nazionale ed europeo nel comparto disciplinato dal regolamento (UE) n. 751/2015, e fatto salvo quanto previsto alla lettera c) in tema di compiti specifici dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, sia designata la Banca d'Italia quale Autorità competente per lo svolgimento delle funzioni previste dal regolamento medesimo. Essa adotta le proprie decisioni previo parere della citata Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Ai sensi della successiva lettera c) del comma 2, tenuto conto dell'esigenza di prevenire o rimuovere le pratiche commerciali scorrette derivanti dalla violazione degli obblighi posti dal regolamento da attuare, si chiarisce che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato è competente a verificarne il rispetto. Nell'esercizio di tale competenza, l'Autorità garante della concorrenza c del mercato, qualora la pratica sia posta in essere da un soggetto che opera nel settore del credito, adotterà le proprie decisioni previo parere della Banca d' Italia.
Inoltre, ai sensi della lettera d), si dispone che siano attribuiti alle Autorità designate, ove del caso, i già menzionati i poteri di vigilanza e di indagine previsti dal regolamento n. 751/2015 e, ove opportuno, il potere di adottare disposizioni secondarie funzionali a garantire l'efficace applicazione del regolamento avuto riguardo, tra l'altro, all'esigenza di semplificare, ove possibile, gli oneri per i destinatari.
Le lettere e) ed f) si occupano dell’apparato sanzionatorio. In particolare, la lettera e) dispone che il Governo predisponga un apparato di sanzioni amministrative per le violazioni degli obblighi contenuti nel regolamento, ai sensi dell'articolo 14 del regolamento medesimo (il quale si limita a chiarire che gli Stati membri devono porre sanzioni).
Le norme impegnano il Governo a valutare l'opportunità di razionalizzare il sistema sanzionatorio previsto in materia di servizi di pagamento al dettaglio, con particolare riferimento alle sanzioni previste dal già menzionato decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11 che ha recepito la direttiva PSD, nonché quelle previste per le violazioni del regolamento (CE) n. 924/2009 del 16 settembre 2009 e del regolamento (UE) 260/2012 del 14 marzo 2012.
La razionalizzazione può avvenire anche attraverso l'introduzione di una disciplina omogenea rispetto a quella prevista per le violazioni del titolo VI[29] in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti dal Testo Unico Bancario (specificamente dal Titolo VIII, Capi V e VI, del decreto legislativo n. 385 del 1993), specialmente con riferimento ai limiti edittali massimi e minimi ivi previsti.
Si rammenta che l’articolo 32 del D.Lgs. n. 11 del 2010 dispone l’apparato sanzionatorio concernente la disciplina della prestazione dei servizi di pagamento. In sintesi, le norme comminano sanzioni amministrative pecuniarie per la grave inosservanza degli obblighi previsti dalle norme suddette; la sanzione è comminata ai soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione, nonché dei dipendenti dei prestatori di servizi di pagamento. Le predette sanzioni si applicano anche ai soggetti che svolgono funzioni di controllo per la violazione delle norme ivi indicate o per non aver vigilato affinché le stesse fossero osservate da altri (culpa in vigilando). Le sanzioni previste per i dipendenti si applicano anche a coloro che operano nell'organizzazione del prestatore di servizi di pagamento anche sulla base di rapporti diversi dal lavoro subordinato. In caso di reiterazione delle violazioni, ferma l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria, può essere disposta la sospensione dell'attività di prestazione di servizi di pagamento.
Se i servizi sono offerti da prestatori di servizi di pagamento insediati in Italia e da agenti o filiali di prestatori di servizi di pagamento comunitari che operano in regime di libero stabilimento in Italia, le sanzioni sono irrogate dalla Banca d'Italia. Si applicano le norme del Testo Unico Bancario (articolo 145 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385) in materia di procedura per l’irrogazione delle sanzioni.
Il decreto legislativo
n. 135 del 2015 reca la disciplina
sanzionatoria per le violazioni delle disposizioni contenute nelle norme UE
(menzionati regolamenti 924/2009 e 260/2012) relative ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità, e che stabiliscono i requisiti tecnici e commerciali per i
bonifici e gli addebiti diretti in euro. In sintesi, anche per le
violazioni dei predetti regolamenti sui requisiti tecnici di bonifici e
addebiti diretti sono previste sanzioni amministrative pecuniarie; esse però
non sono irrogate nei confronti dei dipendenti o degli organi di direzione e
controllo dei prestatori dei servizi di pagamento - PSP, bensì nei confronti dei PSP medesimi, ovvero nei confronti del gestore o, in assenza di un gestore,
dei partecipanti a un sistema di
pagamento al dettaglio. Anche per tali violazioni, nei casi più
significativi, può essere comminata la sanzione della sospensione
dell’attività.
Si ricorda infine che l’apparato sanzionatorio del Testo Unico Bancario è stato profondamente innovato dal D.lgs. n. 72 del 2015, in attuazione delle disposizioni della direttiva CRD IV (Direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento). Coerentemente all’articolo 65 della Direttiva, si è passati ad un sistema volto a sanzionare in primo luogo l'ente e, solo sulla base di presupposti che saranno individuati dal diritto nazionale anche l'esponente aziendale o la persona fisica responsabile della violazione. Con previsioni ulteriori rispetto alla Direttiva CRD IV, ma nei limiti della legge di delega, il D.Lgs. n. 72 del 2015 ha differenziato i limiti minimo e massimo all’entità della sanzione applicabile alle società o enti (tra un minimo di 30.000 euro e un massimo del 10 per cento del fatturato) ed alle persone fisiche (da 5.000 euro a 5 milioni di euro). Si consente di elevare dette sanzioni fino al doppio dell’ammontare del vantaggio ottenuto, purché tale ammontare sia determinabile. Per le fattispecie connotate da minore effettiva offensività o pericolosità sono stati predisposti strumenti deflativi del contenzioso e di semplificazione dei procedimenti di applicazione della sanzione. Le autorità di vigilanza possono altresì adottare misure alternative, quali l’ordine di cessare o porre rimedio a condotte irregolari, in presenza di specifici presupposti.
Da ultimo, lo schema di decreto legislativo (A.G. 255) contiene norme volte a recepire nel TUF con un unico intervento la disciplina sanzionatoria prevista dalle direttive UCITS V (2014/911UE) e MiFID II (2014/65/UE). Si ricorda, infatti, che a livello europeo si sta cercando di allineare per quanto possibile il regime sanzionatorio contenuto nelle direttive CRD, MiFID, UCITS, AIFMD, Market Abuse e Trasparency, che disciplinano a vario titolo il settore dei servizi finanziari. La revisione di tali direttive procede in modo parallelo.
La lettera f) chiarisce che l'entità delle sanzioni è differenziata secondo il destinatario: la sanzione applicabile alle società o agli enti deve essere compresa tra un minimo di 30 mila euro e un massimo del 10 per cento del fatturato.
Nel corso dell’esame in sede referente è stata espunta la disposizione per cui la sanzione applicabile alle persone fisiche dovesse essere compresa tra un minimo di 5 mila euro e un massimo di 5 milioni di euro.
La lettera g) prescrive l’introduzione di procedure di reclamo e di risoluzione stragiudiziale delle controversie tra beneficiari e prestatori di servizi di pagamento, in conformità a quanto previsto dall'articolo 15 del regolamento (UE) n. 751/2015, anche avvalendosi di procedure e organismi già esistenti
Ai sensi del richiamato articolo 15 del regolamento, gli Stati membri garantiscono e promuovono procedure extragiudiziali di reclamo e di ricorso adeguate ed efficaci o adottano misure equivalenti per la risoluzione delle controversie che insorgano tra i beneficiari e i loro prestatori di servizi di pagamento. A tal fine, gli Stati membri designano organismi esistenti, se del caso, o istituiscono nuovi organismi. Gli organismi sono indipendenti dalle parti.
Si segnala che ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis del D.Lgs. n. 40 del 2010, per le controversie in materia di contratti bancari e finanziari, prima di procedere innanzi all'autorità giudiziaria deve essere esperito il procedimento di risoluzione stragiudiziale delle controversie disciplinato dall'articolo 128-bis del decreto legislativo 1°; settembre 1993, n. 385. In attuazione di tale disposizione, nel 2009 è stato istituito l'Arbitro Bancario Finanziario (ABF). Il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), con Delibera del 29 luglio 2008, ha stabilito i criteri per lo svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie e ha affidato alla Banca d'Italia il compito di curarne l'organizzazione e il funzionamento. In applicazione della Delibera del CICR la Banca d'Italia ha adottato le disposizioni che regolano il funzionamento del sistema stragiudiziale ABF nel suo complesso.
Si ricorda altresì che, ai sensi dell'articolo 40 del D.Lgs. n. 11 del 2010 -per le controversie concernenti i servizi di pagamento, gli utilizzatori di tali servizi possono avvalersi di sistemi, organismi o procedure di risoluzione stragiudiziale; resta in ogni caso fermo il diritto degli utilizzatori di adire la competente autorità giudiziaria. A tal fine i prestatori di servizi di pagamento aderiscono a sistemi, organismi o procedure costituiti ai sensi di norme di legge o con atto di autoregolamentazione delle associazioni di categoria. Le banche, gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento aderiscono ai sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie previsti dal richiamato articolo 128-bis, per le controversie individuate dalle norme attuative del medesimo articolo. Per la risoluzione delle controversie transfrontaliere i sistemi, organismi o procedure di cui ai commi 1 e 2 prevedono forme di collaborazione con quelli istituiti negli altri Stati Membri.
Anche l’articolo 7 del già citato decreto legislativo n. 135 del 2015 (in tema di requisiti tecnici per bonifici e addebiti diretti) consente di risolvere stragiudizialmente le controversie relative ai diritti ed agli obblighi derivanti dai regolamenti n. 260/2012 e n. 924/2009, con applicazione dell'articolo 40 del citato D.Lgs. n. 11 del 2010. Dunque, per le controversie concernenti i servizi di pagamento, gli utilizzatori di tali servizi possono avvalersi di sistemi, organismi o procedure di risoluzione stragiudiziale (ossia il già citato Arbitro Bancario Finanziario - ABF), fermo il diritto degli utilizzatori di adire la competente autorità giudiziaria. A tal fine i prestatori di servizi di pagamento aderiscono a sistemi, organismi o procedure costituiti ai sensi di norme di legge o con atto di autoregolamentazione delle associazioni di categoria. Per la risoluzione delle controversie transfrontaliere i sistemi, organismi o procedure di risoluzione devono prevedere forme di collaborazione con quelli istituiti negli altri Stati Membri.
Si ricorda, da ultimo, che la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 46, allo scopo di assicurare tempestivamente ai risparmiatori e agli investitori una procedura di effettiva tutela stragiudiziale delle controversie, ha rimesso alla Consob la disciplina delle modalità per assicurare l'introduzione di meccanismi di risoluzione stragiudiziale attraverso l'istituzione di un apposito organo i cui componenti sono da essa nominati, a partecipazione obbligatoria, in grado di assicurare la rapida, economica soluzione delle controversie, il contraddittorio tra le parti e l'effettività della tutela in assenza di maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il comma 3 impone
al Governo di assumere entro il 9 giugno
2016 (la disposizione fa riferimento all'articolo 18, paragrafo 2. del
regolamento n. 751/2015) le iniziative necessarie per incentivare la definizione efficiente, sotto il
profilo economico, delle commissioni
interbancarie sulle carte di debito
per le operazioni nazionali, con
l'obiettivo di facilitare l'utilizzo di
tali strumenti in segmenti di mercato connotati da un utilizzo elevato del contante e di ridurre gli oneri connessi alla loro accettazione, e conformemente
all'articolo 3 del regolamento.
Si segnala che l’articolo 18, paragrafo 2 del regolamento reca la decorrenza delle norme introdotte. Esso si applica a decorrere dall'8 giugno 2015 ad eccezione di alcune disposizioni, tra cui l’articolo 3 citato in materia di commissioni interbancarie relative alle carte di debito, il quale si applica dal 9 dicembre 2015. Altre norme trovano applicazione dal 9 giugno 2016: articolo 7 (separazione tra schemi di carte di pagamento e soggetti incaricati del trattamento delle operazioni); articolo 8 (multimarchio in co-badging e scelta del marchio di pagamento o dell'applicazione di pagamento); articolo 9 (applicazione di commissioni differenziate); articolo 10 (regole in materia di obbligo di accettare tutte le carte di uno schema).
Stante la menzione dell’articolo 3, si presume che il termine per assumere le menzionate iniziative in tema di carte di debito sia da riferirsi al termine del 9 dicembre 2015.
Il comma 4 consente al Governo di emanare le eventuali disposizioni correttive e integrative alla normativa delegata, nel termine di ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo che adegua l’ordinamento al regolamento n. 751/2015, con la medesima procedura e nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi sostanziali di cui al comma 2.
Il comma 5 reca
la clausola di invarianza finanziaria.
Articolo 11
(Delega al Governo per l’adeguamento
della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2015/760
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, relativo ai fondi
di investimento europei a lungo termine)
L’articolo 11 detta disposizioni
per l’adeguamento al regolamento (UE) n.
2015/760 relativo ai fondi di
investimento europei (ELTIF) del Testo unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria (TUF) di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
La finalità del regolamento n. 2015/760 è quella di fornire una disciplina uniforme fra gli Stati membri nell’ottica di
“stimolare gli investimenti europei a lungo termine nell’economia reale” (Considerando
n. 4 del regolamento). Gli ELTIF (European
Long Term Investment Funds) sono organismi di investimento collettivo del
risparmio in grado di offrire rendimenti stabili in una prospettiva di lungo
periodo in quelle attività, ascrivibili alla categoria di investimenti
alternativi, che richiedono un impegno a lungo termine degli investitori.
Per investimenti alternativi si intendono le tipologie di investimenti
che non rientrano nella definizione tradizionale di azioni e obbligazioni. Essi
comprendono: immobili, venture capital, private equity, fondi speculativi,
società non quotate, titoli in sofferenza e prodotti di base.
In materia di autorizzazione,
funzionamento e trasparenza dei gestori di fondi di investimento alternativi
(GEFIA) va segnalata la direttiva n. 2011/61/UE del Parlamento europeo e
del Consiglio, recepita nel nostro ordinamento dal decreto legislativo 4 marzo
2014, n. 44,
adottato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 12 della legge 6 agosto 2013, n. 96 (legge di delegazione europea 2013).
L’intervento regolatorio
europeo, diretto a fissare requisiti
uniformi riguardo alle procedure di
autorizzazione, alle tipologie di
investimento e alle condizioni di
funzionamento degli ELTIF, mira innanzitutto ad assicurare il funzionamento
efficiente del mercato interno in tale settore. In altri termini, intende
correggere distorsioni alla concorrenza, dovute alla eterogeneità di normative
nazionali, che si genererebbero, ad esempio, in presenza di discipline
divergenti, fra gli Stati membri, in materia di composizione del portafoglio,
diversificazione e attività ammissibili.
Dall’altro lato, il Regolamento
intende perseguire un livello elevato di tutela degli investitori, prevedendo,
ad esempio, disposizioni che
vietano gli investimenti in attività suscettibili di determinare un conflitto
di interessi, e che impongono regole di trasparenza, come la pubblicazione di
un documento contenente informazioni qualificanti per gli investitori e
condizioni di commercializzazione specifiche.
La disposizione in esame reca
disciplina degli specifici ambiti
che il regolamento europeo demanda alla potestà
legislativa degli Stati membri. Per gli altri aspetti, il Regolamento, in
ragione della sua natura giuridica, contiene disposizioni obbligatorie in tutti
i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri a
decorrere dal termine appositamente previsto dal provvedimento stesso per la
sua applicazione (9 dicembre 2015).
Nello specifico, gli
interventi normativi concernono:
- l’individuazione delle autorità nazionali competenti ad
autorizzare i fondi di investimento europei a lungo termine, ovvero a vietarne
l'operatività qualora, successivamente al rilascio dell’autorizzazione, si
contravvenga alle disposizioni del Regolamento;
- l’attribuzione alle stesse
autorità nazionali di compiti di
vigilanza sul rispetto delle disposizioni contenute nel Regolamento, fermo
restando che il regolamento demanda all’ESMA (European Securities and Markets Authority - Autorità europea degli
strumenti finanziari e dei mercati) la verifica in ordine all’applicazione
uniforme, da parte delle autorità nazionali competenti, della disciplina
europea;
- l’assegnazione alle medesime
autorità dei poteri di indagine e sanzionatori necessari per l’esercizio
delle loro funzioni.
Più precisamente, il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data
di entrata in vigore della legge, su
proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’economia
e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, un decreto legislativo che dia attuazione al regolamento, in conformità
alle procedure di cui all’articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234,
acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Il comma 2 enuclea
i seguenti principi e criteri direttivi
specifici che il Governo è chiamato a rispettare nell’esercizio della
delega legislativa:
a) introdurre modifiche e integrazioni al decreto
legislativo n. 58 del 1998, al fine di individuare
la Banca d’Italia e la Consob quali autorità nazionali ai sensi del
Regolamento europeo, nel rispetto delle rispettive competenze già previste dal
citato testo unico, e al fine di consentire, ove opportuno, il ricorso alla
disciplina secondaria;
b) attribuire alla Banca d’Italia e alla Consob il potere di applicare sanzioni amministrative
pecuniarie efficaci,
dissuasive e proporzionate alla gravità delle
violazioni degli obblighi previsti dal Regolamento, secondo le modalità ed
entro i limiti previsti in materia di disciplina degli intermediari nel testo
unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998;
c) adeguare la normativa vigente, per i settori interessati
dal Regolamento in esame, allo scopo di assicurare il necessario coordinamento
normativo che tenga conto dell’esigenza di garantire un appropriato grado di protezione dell'investitore e di tutela della stabilità finanziaria.
Il comma 3 reca la delega all'adozione,
entro 24 mesi dall’approvazione del decreto legislativo, di disposizioni
correttive o integrative, mentre il comma
4 reca la clausola di invarianza degli oneri a carico della finanza
pubblica, precisando che le amministrazioni interessate dovranno avvalersi
delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione
vigente.
Regolamento (UE) n. 2015/760
Il regolamento (UE) n. 2015/760 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile
2015 relativo ai fondi di investimento europei (ELTIF) mira a stimolare gli
investimenti a lungo termine nell'economia reale, creando fonti europee di
finanziamento ad hoc. Come
specificato nel considerando n. 6, "gli ELTIF rappresentano il primo passo
verso la creazione di un mercato interno integrato per la raccolta di capitali
che possano essere convogliati verso investimenti a lungo termine nell'economia
europea". Potranno essere utilizzati per progetti infrastrutturali di
varia natura (trasporto, energia, ma anche infrastrutture sociali) o per
progetti volti alla crescita delle PMI. Caratteristica degli ELTIF sarà
l'offerta di un flusso costante di proventi. Potranno dunque costituire
opportunità di investimento per soggetti (ad es. amministratori di fondi
pensione, fondazioni, comuni o altri periodicamente confrontati a passività)
interessati alla regolarità del flusso di cassa e a una prospettiva di lungo
periodo.
Tali strumenti contribuiranno auspicabilmente a stimolare la ripresa
economica mediante un'azione volta a favorire gli investimenti europei a lungo
termine nell'economia reale.
Viste le loro caratteristiche, le esigenze a cui vogliono rispondere e
la peculiare utenza a cui sono rivolti, gli ELTIF sono sottoposti a
significativi controlli e la disciplina applicabile permette l'assunzione di
rischi piuttosto limitati.
L'art. 3 specifica che la commercializzazione di un ELTIF nell'Unione
può avere luogo solo previa autorizzazione rilasciata a livello nazionale,
valida per tutti gli Stati membri. L'istanza può essere presentata
esclusivamente dai gestori di Fondi di investimento alternativi (FIA) UE,
autorizzati come tali dalla direttiva 2011/61/UE[30].
L'art. 9 preclude all'ELTIF alcuni tipi di attività, tra cui: la
vendita allo scoperto; l'assunzione di esposizioni dirette o indirette verso
merci, anche mediante strumenti finanziari derivati; la concessione o
l'assunzione di titoli in prestito, operazioni di vendita con patto di
riacquisto o altri accordi equivalenti che incidano su oltre il 10 per cento
delle attività; l'uso di strumenti finanziari derivati. Tra le varie attività
di investimento ammissibili (art. 10) si segnala, in particolare, la
partecipazione diretta o indiretta, attraverso imprese di portafoglio
ammissibili[31], in singole attività reali
per un valore di almeno 10.000.000 euro.
Specifiche norme sono dettate in tema di composizione e
diversificazione del portafoglio: le attività di investimento ammissibili
devono costituire almeno il 70 per cento del capitale. Tra le altre
limitazioni, si ricorda che una percentuale non superiore al 10 per cento del
capitale può essere investita: in strumenti emessi o prestiti erogati ad una
singola impresa di portafoglio ammissibile; direttamente o indirettamente in
una singola attività reale; in quote o azioni di un singolo ELTIF, EuVECA[32] o EuSEF[33] (art. 13).
L'art. 18, par. 1, specifica che, in linea di massima, "gli investitori (...) non possono chiedere il rimborso delle quote o delle azioni detenute prima della fine del ciclo di vita dell'ELTIF". I limitati casi in cui i rimborsi possano avere luogo anticipatamente sono elencati dal par. 2 del medesimo articolo.
Si sottolinea che le azioni e le quote sono pienamente commerciabili in
un mercato secondario e gli investitori possono liberamente trasferire a terzi
quanto da loro detenuto (art. 19).
Gli articoli 23-25 introducono obblighi di trasparenza, disciplinando
il contenuto minimo dei prospetti informativi sulla commercializzazione di
azioni o quote, con particolare riferimento all'informativa sui costi sostenuti
dagli investitori).
La vigilanza sul rispetto delle norme contenute nel regolamento è
condivisa tra autorità nazionali (autorità competente dell'ELTIF e autorità
competente del gestore dell'ELTIF), che possono anche non coincidere, ed
Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) a livello europeo.
Esse "dispongono di tutti i poteri di vigilanza e di indagine necessari
per l'esercizio delle loro funzioni" a norma del regolamento in commento
così come della direttiva 2011/61/UE (art. 33, par. 1). L'art. 35 stabilisce,
per le autorità coinvolte, l'obbligo di collaborare nell'espletamento dei loro
compiti. All'AESFEM l'art. 3, par. 3, c. 2, affida altresì il compito di tenere
un "registro pubblico centrale in cui sono iscritti tutti gli ELTIF
autorizzati dal presente regolamento, il relativo gestore e la relativa
autorità competente".
Iter di approvazione
Il regolamento deriva da una proposta presentata dalla Commissione
europea il 26 giugno 2013 (COM(2013) 462),
sulla quale l'Ufficio rapporti con le istituzioni dell'Unione europea del
Senato della Repubblica aveva curato una scheda di valutazione.
Il 13 febbraio 2014 la 6a Commissione permanente del Senato
(Finanze e tesoro) ha approvato una risoluzione (Doc XVIII, n.
53) in cui
si è espresso parere favorevole,
evidenziando l'opportunità di ampliare la platea delle piccole e medie imprese
che potrebbero essere oggetto di investimento da parte di ELTIF, comprendendovi
le piccole e medie imprese quotate.
Il 5 giugno 2014 l'allora vice Presidente della Commissione europea
Maros Sefcovic ha inviato una risposta, in
cui ha espresso interesse per tale suggerimento.
I rilievi della 6a Commissione permanente del Senato sono, in effetti, stati tenuti in considerazione,
ed accolti, nell'iter di approvazione
della bozza di regolamento.
Infatti mentre l'art. 10 del COM(2013) 462 negava tout court l'ammissibilità all'investimento, da parte dell'ELTIF,
nelle imprese quotate, senza alcuna eccezione, il testo definitivo del
regolamento (UE) 2015/760 ha invece ammesso all'investimento l'impresa di
portafoglio che, non essendo finanziaria, sia "ammessa alla negoziazione
su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione"
e al contempo abbia "una capitalizzazione di mercato inferiore a 500.000
euro" (art. 11, lett. b), punto ii).
L’articolo 12 è stato soppresso nel corso dell’esame in sede referente.
L'originario articolo 12 elencava i principi e i criteri direttivi specifici per l'esercizio della delega legislativa, già conferita dall'articolo 1, comma 1, e dall'allegato B della legge 9 luglio 2015, n. 114 (legge di delegazione europea 2014) per il recepimento alla direttiva 2014/17/UE in materia di protezione dei consumatori e del livello di professionalità dei creditori ed intermediari al credito nel mercato dei mutui per l'acquisto di immobili residenziali.
Si evidenzia che il 21 gennaio 2016 è stato presentato alle Camere per il previsto parere parlamentare lo schema di decreto legislativo recante Attuazione della direttiva 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali (Atto n. 256). Lo schema intende attuare la citata delega contenuta nell'Allegato B, punto 13), della legge di delegazione europea 2014, sulla base dei principi e criteri generali contenuti nella legge stessa. Si segnala il Dossier di documentazione predisposto dai Servizi Studi della Camera e del Senato.
Le Commissioni
parlamentari competenti hanno espresso
i prescritti pareri. Alla Camera dei deputati si sono espresse la
Commissione VI Finanze (favorevole con condizioni e osservazioni
- 9 marzo 2016), la Commissione XIV Politiche dell'Unione Europea (favorevole -
16 febbraio 2016) e la Commissione V Bilancio (favorevole con rilievo - 18
febbraio 2016). Al Senato della Repubblica si sono espresse la 6ª Commissione permanente Finanze e tesoro, (favorevole
condizionato – 9 marzo
2016), la 1ª Commissione permanente Affari Costituzionali (non ostativo – 23
febbraio 2016), la 2ª Commissione permanente Giustizia (non ostativo con
condizioni – 9 marzo 2016) e
la 14ª Commissione permanente Politiche dell'Unione europea (non ostativo con
osservazioni – 17 febbraio
2016).
Il decreto legislativo
non è stato emanato.
L’articolo 13, modificato durante l’esame in sede referente, reca i principi e criteri direttivi specifici per l'attuazione della direttiva 2014/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull'accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base.
Si rammenta che gli articoli 2 e 2-bis del decreto-legge n. 3 del 2015 hanno recepito nell’ordinamento italiano la direttiva in esame, per quanto riguarda l’aspetto della portabilità dei conti di pagamento (vedi oltre); si rinvia al seguito della scheda di lettura per un’illustrazione più diffusa del contenuto di tali disposizioni. Inoltre si segnala che una prima disciplina del conto “di base” è già contenuta all’articolo 12 del decreto-legge n. 201 del 2011.
Direttiva 2014/92/UE
La direttiva 2014/92/UE disciplina la comparabilità
delle spese relative al conto di
pagamento, il trasferimento del
conto di pagamento e l’accesso al
conto di pagamento con caratteristiche di
base.
Il Capo II della direttiva
(articoli 3-8) riguarda i profili di
comparabilità delle spese legate a un conto di pagamento. Si impone agli
Stati di redigere un elenco provvisorio dei servizi più rappresentativi
collegati a un conto di pagamento, che è destinato a convogliare in un elenco
approvato a livello UE, allo scopo di adottare una terminologia standardizzata
per i servizi di pagamento maggiormente rappresentativi e armonizzata a livello
europeo. I prestatori di servizi di pagamento devono fornire ai consumatori le
informazioni precontrattuali attraverso un documento standard, in tempo utile prima di stipulare il contratto relativo
al conto di pagamento, in ordine alle
spese (in apposito documento informativo, ai sensi dell’articolo 4).
Inoltre i prestatori devono fornire gratuitamente almeno una volta all'anno al
consumatore un riepilogo di tutte le
spese (articolo 5) sostenute nonché, se del caso, informazioni con riguardo
ai tassi di interesse per i servizi collegati al conto di pagamento.
Inoltre, i consumatori devono avere accesso gratuitamente ad almeno un
sito Internet per il confronto delle spese addebitate dai prestatori di servizi
di pagamento. Spetta all'ABE –Autorità Bancaria Europea il compito di elaborare
progetti di norme tecniche di regolamentazione, da presentare alla Commissione
per l’approvazione.
Nel Capo III (articoli 9-14) del provvedimento è
contenuta la disciplina dei trasferimenti
di conti di pagamento. Si impone ai prestatori di servizi di pagamento
l’obbligo di offrire ai consumatori una procedura chiara, rapida e sicura per
trasferire i conti di pagamento, compresi i conti di pagamento con
caratteristiche di base. Gli Stati membri hanno la facoltà, in caso di
trasferimento tra prestatori di servizi di pagamento situati entrambi sul loro
territorio, di introdurre o conservare meccanismi diversi da quelli previsti
nella norma europea, se tale circostanza è chiaramente nell’interesse del
consumatore, se non vi sono oneri supplementari e la conclusione del
trasferimento è effettuata secondo la tempistica dettata dalla direttiva. Il
prestatore di servizi di pagamento ricevente è considerato responsabile
dell’avvio e della gestione della procedura per conto del consumatore. Viene
consentito agli Stati membri di utilizzare strumenti supplementari, quali
apposite soluzioni tecniche, che eccedono gli obblighi fissati dalla direttiva.
La direttiva pone specifici obblighi di cooperazione tra prestatori di servizi
di pagamento trasferente e ricevente durante le procedure di trasferimento; si
tratta ad esempio di obblighi informativi, utili a riattivare i pagamenti sul nuovo
conto di pagamento. Dette informazioni non possono andare oltre quanto
necessario per effettuare il trasferimento. Le norme della direttiva proteggono
inoltre i consumatori da perdite finanziarie, compresi le spese e gli
interessi, causate da eventuali errori commessi dai prestatori di servizi di
pagamento interessati dal processo di trasferimento; i consumatori devono
essere sollevati dalle perdite finanziarie derivanti dal pagamento di spese
supplementari, interessi o altri oneri nonché sanzioni pecuniarie, penali o
qualsiasi altro tipo di danno finanziario a causa del ritardo nell’esecuzione
del pagamento. Ai sensi dell’articolo 13, le norme di recepimento nazionali
devono garantire che, nel caso di perdite subite dal consumatore causate
direttamente dal mancato rispetto, da parte di un prestatore di servizi di
pagamento partecipante alla procedura di trasferimento, degli obblighi a lui
imposti, dette perdite siano rimborsate senza indugio dal responsabile della
violazione delle procedure.
Per quanto invece riguarda il Capo
IV della direttiva (articoli 15-20) esso si riferisce alla disciplina dell’accesso ai conti di pagamento, in
particolare quello “di base”. In primo luogo la direttiva sancisce che a tale
materia si applica il principio di non discriminazione: gli Stati devono
assicurare che gli enti creditizi non discriminino i consumatori soggiornanti
legalmente nell'Unione in ragione della cittadinanza o del luogo di residenza o
per qualsiasi altro in relazione alla domanda da parte di tali consumatori di
conto di pagamento o all'accesso al conto nell'Unione. Le condizioni
applicabili alla tenuta di un conto di pagamento con caratteristiche di base
non sono in alcun modo discriminatorie.
Ai consumatori devono essere offerti conti di base da tutti gli enti
creditizi o da un numero di enti creditizi sufficiente a garantirne l'accesso a
tutti i consumatori nel loro territorio e a evitare distorsioni della
concorrenza, comunque non solo da enti creditizi che offrono funzioni
unicamente online. Sono previste norme di tutela nei confronti dei consumatori
soggiornanti legalmente nell'Unione, ivi compresi i consumatori senza fissa
dimora, i richiedenti asilo e i consumatori a cui non è rilasciato il permesso
di soggiorno ma che non possono essere espulsi per motivi di fatto o di
diritto; sono previsti obblighi di risposta (accettazione o diniego) in tempi
brevi e senza ritardo. Inoltre,
l'accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base non deve essere
subordinato all'acquisto di servizi accessori, o di azioni dell'ente
creditizio, salvo che tale condizione valga per tutti i clienti dell'ente
creditizio.
Sono precisati i servizi che deve avere il conto di pagamento con
caratteristiche di base e sono disciplinate le modalità minime di erogazione.
Per quanto riguarda le spese del conto di base, i servizi minimi del conto di
base devono essere offerti a titolo gratuito o per una spesa ragionevole. Le
spese sono definite “ragionevoli” tenendo conto almeno dei livelli di reddito
nazionali e delle spese medie addebitate dagli enti creditizi nello Stato
membro interessato, per i servizi forniti sui conti di pagamento.
In generale, per quanto concerne gli obblighi suesposti e previsti
dalla direttiva, gli Stati sono tenuti a individuare (Capo V della direttiva) le Autorità nazionali incaricate di
garantire l'applicazione e il rispetto della direttiva stessa, dotandole di
poteri di indagine e di intervento; è prevista l’applicazione di meccanismi di
risoluzione stragiudiziale delle controversie. In ordine alle sanzioni (Capo VI, articolo 26), esse sono
definite dagli Stati membri e devono essere effettive, proporzionate e
dissuasive.
Il termine per il recepimento
a livello nazionale della direttiva è fissato al 18 settembre 2016.
L’articolo 13 in commento, come anticipato, reca i principi e i criteri direttivi specifici per l’integrale recepimento della direttiva 2014/92/UE.
In particolare, il comma 1, lettera a) dispone che siano apportate al Testo Unico Bancario – TUB , di cui al D.Lgs. 1 ° settembre 1993, n. 385, le modifiche e le integrazioni al corretto e integrale recepimento della direttiva 2014/92/UE, nonché dei relativi atti delegati adottati dalla Commissione europea. Ove opportuno, si prevede il ricorso alla disciplina secondaria della Banca d'Italia, che emana le disposizioni di attuazione senza necessità di previa deliberazione del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio – CICR.
Ciò appare coerente con quanto previsto dal D.lgs. n. 72 del 2015, che ha riformato il predetto TU bancario nel senso di svincolare i poteri regolamentari della Banca d’Italia dalle delibere del CICR.
Nell’emanazione della disciplina secondaria l’istituto deve tenere conto delle linee guida dell’ABE, ai sensi della direttiva 2014/92/UE (come si è visto, tra i poteri dell’ABE vi sono quelli di individuare le norme tecniche di regolamentazione che devono essere approvate dalla Commissione) e deve assicurare il coordinamento con quanto previsto sul conto di pagamento dal Titolo VI del TUB, che reca la disciplina della trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti coi clienti.
Ai sensi della lettera b) si designa la Banca d'Italia quale autorità amministrativa competente e quale punto di contatto con autorità estere, attribuendo ad essa i relativi poteri di vigilanza e di indagine.
Le lettera c) del comma 1 delega il Governo ad estendere l’apparato sanzionatorio attualmente previsto dal Testo Unico Bancario per le violazioni degli obblighi relativi alla trasparenza, di cui al citato Titolo VI, anche alla violazione degli obblighi stabiliti dalla direttiva 2014/92/UE e dall'articolo 127, comma 01, del Testo Unico Bancario.
Il richiamato comma 01 dispone che le autorità creditizie esercitino i poteri previsti dal Titolo VI avendo riguardo anche alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con la clientela. A questi fini la Banca d'Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, può dettare anche disposizioni in materia di organizzazione e controlli interni.
In particolare, per l’inosservanza delle disposizioni in materia di trasparenza l’articolo 144, comma 1 del TUB dispone che si applichi una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 30.000 fino al 10 per cento del fatturato nei confronti delle banche, degli intermediari finanziari, delle rispettive capogruppo, degli istituti di moneta elettronica, degli istituti di pagamento e dei soggetti ai quali sono state esternalizzate funzioni aziendali essenziali o importanti, nonché di quelli incaricati della revisione legale dei conti.
L’articolo 144 del TUB è stato profondamente innovato dal già richiamato D.Lgs. n. 72 del 2015, in attuazione delle disposizioni della direttiva CRD IV (direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento). Coerentemente all’articolo 65 della direttiva, si è passati ad un sistema volto a sanzionare in primo luogo l'ente e, solo sulla base di presupposti che saranno individuati dal diritto nazionale anche l'esponente aziendale o la persona fisica responsabile della violazione. Con previsioni ulteriori rispetto alla direttiva CRD IV, ma nei limiti della legge di delega, il D.Lgs. n. 72 del 2015 ha differenziato i limiti minimo e massimo all’entità della sanzione applicabile alle società o enti (tra un minimo di 30.000 euro e un massimo del 10 per cento del fatturato, come già illustrato) ed eventualmente alle persone fisiche (da 5.000 euro a 5 milioni di euro). Si consente di elevare dette sanzioni fino al doppio dell’ammontare del vantaggio ottenuto, purché tale ammontare sia determinabile. Per le fattispecie connotate da minore effettiva offensività o pericolosità sono stati predisposti strumenti deflativi del contenzioso e di semplificazione dei procedimenti di applicazione della sanzione. Le autorità di vigilanza possono altresì adottare misure alternative, quali l’ordine di cessare o porre rimedio a condotte irregolari, in presenza di specifici presupposti.
La lettera d) dispone che il Governo si avvalga della facoltà di non applicare, se rilevante, la direttiva 2014/92/UE alla Cassa depositi e prestiti ed alla Banca d’Italia, conformemente all’articolo 1, paragrafo 5 della direttiva.
Le lettere da e) a g) recano i principi e i criteri di delega per la parte della direttiva che riguarda specificamente la comparabilità delle spese relative al conto di pagamento.
Con la lettera e) del comma 1 si consente di includere nel documento informativo sulle spese un indicatore sintetico dei costi complessivi che sintetizza i costi totali annui del conto di pagamento per i consumatori; inoltre il documento informativo è fornito insieme alle altre informazioni precontrattuali richieste dalla vigente disciplina e applicabili al conto di pagamento, al fine di consentire ai consumatori di riceverle in un'unica soluzione.
Ai sensi della successiva lettera f) il riepilogo delle spese previsto dalla direttiva 2014/92/UE deve essere fornito insieme alle altre informazioni oggetto delle comunicazioni periodiche richieste dalla vigente disciplina applicabile al conto di pagamento.
La lettera g) richiede, nel dare attuazione alle previsioni della direttiva 2014/92/UE sui siti internet di confronto, di fare riferimento per quanto possibile alle iniziative private.
Per effetto delle modifiche
apportate in sede referente, le norme di attuazione devono tener conto
dell’entrata in vigore del documento
informativo sulle spese e del riepilogo delle spese previsti,
rispettivamente, agli articoli 4 e 5 della illustrata direttiva 2014/92/UE.
La lettera h) reca i principi e i criteri di delega relativi al trasferimento del conto di pagamento.
In primo luogo (n. l) il Governo, ove opportuno, è delegato a rivedere la disciplina di cui ai citati articoli 2 e 2-bis del decreto legge n. 3 del 2015, che hanno anticipato l’attuazione della direttiva 2014/92/UE, disponendo in particolare che tali norme confluiscano nel Testo Unico Bancario.
Durante l’esame in sede referente è stata eliminata la previsione secondo cui si sarebbe dovuta valutare l'estensione di tale disciplina, con gli opportuni adattamenti, anche ai casi in cui il trasferimento non è richiesto dal consumatore, ma consegue alla cessione di rapporti giuridici da un intermediario a un altro, al fine di favorire l'efficienza del sistema e l'innalzamento della tutela dei consumatori.
Si rammenta in sintesi che il richiamato articolo 2 del decreto-legge n. 3 del 2015 obbliga gli istituti bancari e i prestatori di servizi di pagamento, nel caso di trasferimento di un conto di pagamento, a dare corso al trasferimento con le procedure ed entro i termini predefiniti dalla direttiva n. 2014/92/UE. In particolare, nel caso di mancato rispetto dei termini, si prevede che il cliente sia indennizzato per il ritardo, in misura proporzionale al ritardo stesso e alla disponibilità esistente sul conto di pagamento al momento della richiesta di trasferimento. La disciplina introdotta si applica anche al trasferimento di strumenti finanziari da un conto di deposito titoli ad un altro, con o senza la chiusura del conto di deposito titoli di origine, senza oneri e spese per il consumatore. Sono infine introdotti adempimenti di trasparenza informativa da fornire alla clientela.
E’ demandato a un decreto del MEF, sentita la Banca d’Italia, il compito di definire i criteri di quantificazione del predetto indennizzo nonché le modalità e i termini di adeguamento alle disposizioni in materia di trasparenza informativa alla clientela. Inoltre, i prestatori di servizi di pagamento sono obbligati ad adeguarsi alla normativa introdotta complessivamente dall’articolo 2 entro il termine di due mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in commento. Si segnala al riguardo che il decreto non risulta emanato.
L’articolo 2-bis del medesimo decreto-legge ha introdotto disposizioni volte ad agevolare l'apertura di un conto di pagamento o di un conto corrente transfrontaliero da parte dei consumatori.
In particolare, nel caso di richiesta di trasferimento transfrontaliero di un conto di pagamento/conto corrente verso un istituto bancario o prestatore di servizi di pagamento di uno Stato membro comunitario, l'istituto bancario o il prestatore di servizi di pagamento che riceve la richiesta di trasferimento è tenuto a fornire, nei termini previsti dalla disciplina europea una specifica assistenza che consiste:
- nella fornitura gratuita di un insieme di informazioni (in particolare concernenti gli ordini permanenti di bonifico e gli addebiti diretti). Ciò non comporta, per il nuovo prestatore di servizi di pagamento, alcun obbligo di attivare servizi che non fornisce;
- nel trasferimento dell'eventuale saldo positivo sul conto aperto o detenuto dal cliente presso il nuovo prestatore di servizi di pagamento, purché tale richiesta contenga informazioni complete che consentano l'identificazione del nuovo prestatore di servizi di pagamento e del conto del cliente;
- nella chiusura del conto detenuto dal cliente presso il prestatore originario di servizi.
Durante l’esame in sede referente è stato eliminato il n. 2 della lettera h) ai sensi del quale i prestatori di servizi di pagamento avrebbero dovuto assicurare, su richiesta del consumatore, il reindirizzamento automatico dei bonifici ricevuti sul conto di pagamento di origine verso il conto di pagamento di destinazione per un periodo di 12 mesi dalla ricezione dell’autorizzazione del consumatore.
Ove (n. 3 della lettera h)) il prestatore di servizi di pagamento “trasferente” (ossia dal quale il consumatore si distacca) cessa di accettare i bonifici in entrata e gli addebiti diretti sul conto di pagamento del consumatore, al di fuori dei casi di reindirizzamento automatico, deve informare tempestivamente il pagatore o il beneficiario delle ragioni del rifiuto dell'operazione di pagamento.
Il n. 4 delega il Governo a valutare se introdurre meccanismi di trasferimento alternativi, purché siano nell'interesse dei consumatori, senza oneri supplementari per gli stessi e nel rispetto dei termini previsti dalla direttiva 20 14/92/UE, avvalendosi in tal modo dei poteri consentiti dalla direttiva stessa.
La lettera i) contiene i principi e i criteri
direttivi di delega con riferimento alla
disciplina del conto di pagamento con caratteristiche di
base.
In particolare (lettera i), n. 1) le norme delegate devono obbligare le banche, Poste Italiane S.p.A. e gli altri prestatori di servizi di pagamento - relativamente ai servizi di pagamento che essi già offrono – ad offrire un conto con caratteristiche di base.
Durante l’esame in sede referente è stato eliminato il punto 2, che impegnava il Governo a prevedere la possibilità di estendere il diritto di accesso a un conto di pagamento, tenuto conto delle specifiche circostanze, anche a soggetti diversi dai consumatori.
Ai sensi del n. 3 sono tipizzate le ipotesi in cui i prestatori di servizi di pagamento possono rifiutare legittimamente la richiesta di accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base. In particolare, il rifiuto è legittimo se il consumatore è già titolare in Italia di un conto di pagamento che gli consente di utilizzare i servizi minimi indicati dalla direttiva 2014/92/UE (articolo 17, paragrafo 1), fatto salvo il caso di trasferimento del conto, oppure per motivi di contrasto del riciclaggio e finanziamento del terrorismo.
Ai sensi del menzionato articolo 17, paragrafo 1 della direttiva, il conto di pagamento con caratteristiche di base deve comprendere i seguenti servizi:
a) servizi che permettano di eseguire tutte le operazioni necessarie per l'apertura, la gestione e la chiusura del conto di pagamento;
b) servizi che consentano di depositare fondi sul conto di pagamento;
c) servizi che consentano il prelievo di contante dal conto di pagamento all'interno dell'Unione, allo sportello o ai distributori automatici durante o al di fuori degli orari di apertura dell'ente creditizio;
d) possibilità di eseguire le seguenti operazioni di pagamento nell'Unione:
i) addebiti diretti;
ii) operazioni di pagamento mediante carta di pagamento, ivi compresi i pagamenti online;
iii) bonifici, compresi gli ordini permanenti, ove disponibili, presso terminali e sportelli bancari e tramite le funzioni di banca online dell'ente creditizio.
Al n. 4 si chiarisce che le norme delegate devono prevedere la possibilità di includere, tra i servizi che i prestatori di servizi di pagamento sono tenuti a offrire con il conto di pagamento con caratteristiche di base, anche servizi ulteriori rispetto a quelli previsti dall'articolo 17, paragrafo l, della direttiva 2014/92/UE, tenendo conto delle esigenze dei consumatori a livello nazionale, esclusa la concessione di qualsiasi forma di affidamento.
Il n. 5 della lettera i) chiarisce che per i servizi inclusi nel conto di pagamento con caratteristiche di base, diversi da quelli richiamati dall'articolo 17, paragrafo 5 della direttiva, le norme delegate devono prevedere, ove opportuno, un numero minimo di operazioni comprese nel canone annuo: il canone annuo e il costo delle eventuali operazioni eccedenti devono essere ragionevoli e coerenti con finalità di inclusione finanziaria.
Il richiamato articolo 17, paragrafo 5, stabilisce che per alcuni servizi offerti nel conto di base (servizi che permettano di eseguire tutte le operazioni necessarie per l'apertura, la gestione e la chiusura del conto di pagamento; servizi che consentano di depositare fondi sul conto di pagamento; servizi che consentano il prelievo di contante dal conto di pagamento all'interno dell'Unione, allo sportello o ai distributori automatici durante o al di fuori degli orari di apertura dell'ente creditizio; la possibilità di eseguire operazioni di pagamento mediante carta di pagamento, ivi compresi i pagamenti online), ad eccezione delle operazioni di pagamento mediante carta di credito, gli Stati membri garantiscono che gli enti creditizi non addebitino alcuna spesa al di fuori delle eventuali spese considerate ragionevoli, indipendentemente dal numero di operazioni eseguite sul conto di pagamento.
Ai sensi del n. 6 si delega il Governo ad esercitare la facoltà, prevista dall'articolo 18, paragrafo 4 della direttiva 2014/92/UE, di ammettere l'applicazione di diversi regimi tariffari a seconda del livello di inclusione bancaria del consumatore, individuando fasce socialmente svantaggiate di clientela alle quali il conto è offerto senza spese.
La direttiva richiede che in tali casi gli Stati membri devono assicurare ai i consumatori orientamento e informazioni adeguate sulle opzioni disponibili.
A tal fine, il n. 7 obbliga il Governo a promuovere misure a sostegno dell'educazione finanziaria dci consumatori più vulnerabili, fornendo loro orientamento e assistenza per la gestione responsabile delle loro finanze, informarli circa l'orientamento che le organizzazioni di consumatori e le autorità nazionali possono fornire loro, incoraggiare le iniziative dei prestatori di servizi di pagamento volte a combinare la fornitura di un conto di pagamento con caratteristiche di base con servizi indipendenti di educazione finanziaria.
In ordine al conto corrente di base, si ricorda che sul fronte interno tale strumento è stato già previsto dall’articolo 12, comma 3 e seguenti del decreto-legge n. 201 del 2011. La predetta norma ha stabilito che il MEF, la Banca d'Italia, l'ABI, Poste Italiane S.p.A. e le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento definissero con apposita convenzione le caratteristiche di un conto di base, che le banche, Poste italiane Spa e gli altri prestatori di servizi di pagamento abilitati ad offrire servizi a valere su un conto di pagamento sarebbero stati tenuti a offrire ai consumatori.
La convenzione è stata firmata il 28 marzo 2012: è stato dunque previsto un conto di pagamento pensato per chi ha limitate esigenze di operatività, aperto a tutti, offerto gratuitamente per le fasce svantaggiate (ISEE fino a 7.500 euro) e per i pensionati fino a 1.500 euro al mese. Tale prodotto standard, le cui caratteristiche sono state individuate dalla convenzione (sottoscritta da MEF, Banca d’Italia, ABI, Poste Italiane e Associazione Istituti di pagamento e moneta elettronica) è stato offerto a partire dal 1° giugno 2012.
Si ricorda che la mancata ottemperanza di quanto stabilito dalle norme interne non è sanzionata. In virtù delle norme in commento (lettera c) del comma 1) si prevede invece che il Governo individui disposizioni sanzionatorie per la mancata ottemperanza agli obblighi della direttiva nel suo complesso.
La lettera l) obbliga il Governo a mantenere, ove non in contrasto con la direttiva 2014/92/UE, le vigenti disposizioni più stringenti a tutela dei consumatori; la lettera m) infine reca la delega ad apportare alla normativa vigente le abrogazioni e le modificazioni occorrenti ad assicurare il coordinamento con le norme di attuazione emanate secondo l’articolo in esame.
Il comma 2 contiene la clausola di invarianza finanziaria.
L’articolo 14 contiene i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della “quarta direttiva antiriciclaggio” (direttiva UE 2015/849) e per adeguare la normativa interna alle disposizioni del regolamento UE 2015/847 che completa la normativa antiriciclaggio con riferimento ai dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi.
In sintesi, si intende graduare i controlli e le procedure antiriciclaggio in funzione del rischio. Al Comitato di Sicurezza Finanziaria è attribuito il compito di elaborare l’analisi nazionale del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo e delle strategie per contrastarlo. I soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio devono adottare le conseguenti misure proporzionate al rischio, dotandosi delle procedure sistematiche di valutazione, gestione e controllo dei rischi tipici dell'attività espletata. Determinati soggetti sono esonerati dagli obblighi antiriciclaggio. Sono attribuiti nuovi compiti alle autorità di vigilanza.
Sono previste norme volte ad accrescere la trasparenza di persone giuridiche e trust, in modo da fornire alle autorità strumenti efficaci per la lotta contro il riciclaggio e da permettere la conoscibilità dei dati ai portatori di interessi qualificati (anche diffusi), contemperando gli interessi in campo. Devono essere previste delle sanzioni in caso di inosservanza di tali obblighi di trasparenza.
La direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio del
20 maggio 2015, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a
fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, modifica il regolamento
(UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva
2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva
2006/70/CE della Commissione.
Essa costituisce la quarta direttiva antiriciclaggio, resa necessaria, tra l'altro, ai fini dell'allineamento alle nuove raccomandazioni del GAFI (Gruppo di azione finanziaria internazionale) adottate ed ampliate nel febbraio del 2012.
L’accordo sul testo della quarta direttiva antiriciclaggio è stato raggiunto dal Consiglio dell’Unione Europea con il Parlamento e la Commissione europea nel dicembre 2014 sotto la presidenza italiana. L’articolato è stato successivamente sottoposto alla procedura di formale adozione da parte del Consiglio e del Parlamento europeo.
I principali elementi di riforma al regime vigente sono:
- l'introduzione di un approccio basato sul rischio. Alla Commissione europea è affidato il compito di elaborare una valutazione “sovranazionale” dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo presenti nel mercato interno, tenendo conto dei pareri delle autorità europee di supervisione (EBA, EIOPA, ESMA). La Commissione formulerà su tali basi raccomandazioni agli Stati membri circa le misure da adottare alla luce dei rischi individuati. Agli Stati membri è affidata la valutazione dei rischi a livello nazionale e la definizione di adeguate politiche di mitigazione. A loro volta, i destinatari degli obblighi antiriciclaggio sono chiamati a valutare i rischi cui sono esposti e a dotarsi di presidi commisurati alle proprie caratteristiche;
- un nuovo regime degli obblighi rafforzati e semplificati di adeguata verifica della clientela: in particolare, la direttiva mira ad inasprire le norme sull'obbligo semplificato di adeguata verifica eliminando le esenzioni contemplate dalla terza direttiva antiriciclaggio; è inoltre ampliato il campo di applicazione dell'obbligo rafforzato di adeguata verifica, in modo da includervi sia le persone politicamente esposte che occupano importanti cariche pubbliche a livello nazionale sia quelle che lavorano per organizzazioni internazionali;
- nuove misure allo scopo di conferire maggiore chiarezza e accessibilità alle informazioni sulla titolarità effettiva: l'accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva deve essere conforme alle norme sulla protezione dei dati e può essere soggetto a registrazione online e al pagamento di una tassa;
- l'abolizione della cosiddetta "equivalenza positiva" dei Paesi terzi: in base a tale meccanismo, previsto dalla terza direttiva antiriciclaggio, è attualmente possibile consentire esenzioni dagli obblighi di adeguata verifica rispetto ad operazioni che coinvolgano Paesi terzi giudicati equivalenti agli Stati membri per i loro sistemi antiriciclaggio e/o di lotta al terrorismo;
- la previsione di un ampio spettro di sanzioni amministrative che devono essere adottate dagli Stati membri in caso di violazione degli obblighi fondamentali della direttiva (con particolare riguardo all'obbligo di adeguata verifica della clientela, di conservazione dei documenti, di segnalazione di operazioni sospette e di controlli interni). Le sanzioni e le misure adottate dagli Stati membri devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive;
- l'ampliamento e il rafforzamento della cooperazione tra le Unità di informazione finanziaria - FIU (Financial Intelligence Unit) (in Italia, l’Unità di informazione finanziaria per l’Italia - UIF);
- un nuovo e più razionale quadro funzionale previsto per le Autorità europee di vigilanza (dell'Autorità bancaria europea, dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati).
La quarta direttiva, inoltre, introduce innovative previsioni sulla trasparenza e sull’accesso a informazioni relative alla titolarità effettiva di società e trust; richiama l’applicazione delle regole in tema di trattamento dei dati personali, regolandone i rapporti con le esigenze dell’antiriciclaggio. Sul primo tema, viene prevista l’istituzione, in ogni Paese membro, di registri pubblici centrali con informazioni sulla titolarità effettiva di società, enti e trust, accessibili alle autorità competenti e a chiunque sia in grado di dimostrare un legittimo interesse.
La direttiva (UE) 2015/849 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 5 giugno 2015 ed è entrata in vigore il 25 giugno 2015. Il termine per il suo recepimento da parte degli Stati membri è il 26 giugno 2017.
A fianco della direttiva illustrata è stata adottato il regolamento UE 2015/847 del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi, il quale: amplia il novero delle informazioni a corredo dei trasferimenti di denaro, relative sia all’ordinante sia al beneficiario; conferma che la riconducibilità dei fondi alle parti coinvolte non deve interrompersi in presenza di più trasferimenti successivi; richiama la necessità di assicurare l’applicazione delle misure di congelamento e di segnalazione di operazioni sospette. Il regolamento si applica a decorrere dal 26 giugno 2017.
Dal punto di vista dell’ordinamento interno, si ricorda che la normativa italiana antiriciclaggio è prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2007, il quale ha attuato la direttiva 2005/60/CE (c.d. terza direttiva antiriciclaggio), concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva della Commissione 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.
In via generale si ricorda che il D.Lgs. n. 231 del 2007, nel disciplinare gli obblighi a cui sono tenuti i destinatari della normativa antiriciclaggio, li suddivide in tre categorie:
· adeguata verifica della clientela;
· registrazione e conservazione;
· segnalazione di operazioni sospette.
I destinatari della normativa sono distinti quattro categorie di soggetti: gli intermediari finanziari e altri soggetti esercenti attività finanziaria; i professionisti; i revisori contabili; altri soggetti.
La materia è inoltre disciplinata dalla normativa di carattere secondario, emanata, oltre che dal MEF, dalle Autorità di vigilanza (Banca d'Italia, CONSOB, IVASS, CNN).
Al riguardo si ricorda che la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo, 1, commi 898-899) ha modificato l’articolo 49 del D.Lgs. n. 231 del 2007, innalzando da mille a tremila euro il limite a partire dal quale è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi. La stessa soglia di tremila euro è prevista per le attività svolte dai cambiavalute con i clienti. Per il servizio di rimessa (money transfer) la soglia è invece fissata in mille euro. Non è stata variata la soglia di mille euro per il limite del saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore.
Si segnala che la legge n. 186 del 2014, in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero (c.d. voluntay disclosure) ha introdotto nell’ordinamento nazionale il reato di autoriciclaggio, inserendo nel codice penale l’art. 648-ter.1. Il nuovo reato punisce con la reclusione “chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. Il reato di autoriciclaggio sussiste quando la condotta è posta in essere con modalità tali da ostacolare concretamente l’identificazione dell’origine delittuosa dei proventi del reato presupposto; non è punibile invece la destinazione di tali proventi alla mera utilizzazione o al godimento personale del reo.
Sono previsti aumenti o riduzioni di pena connessi, rispettivamente, al compimento dei fatti nell’esercizio di attività bancaria, finanziaria o professionale e all’aver evitato conseguenze ulteriori della condotta o assicurato le prove del reato e l’individuazione dei proventi del reato presupposto. Il legislatore ha incluso l’autoriciclaggio tra i reati che possono dar luogo alla responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001.
Il decreto-legge n. 153 del 2015 (il quale ha prorogato al 30 novembre 2015 il termine per aderire alla procedura di collaborazione volontaria disciplinata dalla legge 15 dicembre 2014, n. 186) ha previsto che le norme sulla collaborazione volontaria non hanno impatto sull'applicazione delle norme antiriciclaggio contenute nel D.Lgs. n. 231 del 2007, con l'eccezione delle norme che sanzionano il divieto di utilizzo di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia aperti presso Stati esteri (disposizione già anticipata dalla circolare n. 8624 del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze, emanata il 31 gennaio 2014).
Il comma 1 contiene la delega al Governo ad adottare, secondo le procedure indicate dall’articolo 1, comma 1, uno o più decreti legislativi per attuare organicamente la descritta direttiva UE 2015/849 e per adeguare il quadro normativo italiano al regolamento UE 2015/847.
Il comma 2 elenca i principi e i criteri direttivi che dovranno essere seguiti nell’esercizio della delega (successive lettere a)-n)).
Nel procedimento di adozione del decreto delegato dovrà essere sentito il Garante per la protezione dei dati personali.
La lettera a) individua due obiettivi:
· orientare e gestire efficacemente le politiche di contrasto dell’utilizzo del sistema economico e finanziario per fini illegali;
· graduare i controlli e le procedure strumentali in funzione del rischio (seguendo l’approccio basato sul rischio delineato dalla direttiva: si vedano i considerando n. 22 e 23 e gli articoli 4, 8, 30 e 31).
In tale prospettiva sono delineate quattro misure specifiche:
1) al Comitato di Sicurezza Finanziaria è attribuito il compito di elaborare l’analisi nazionale del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo e delle strategie per contrastarlo, tenendo conto della relazione che la Commissione europea effettua sui rischi di riciclaggio e del finanziamento del terrorismo che gravano sul mercato interno e relativi alle attività transfrontaliere (ai sensi dell’articolo 6 della direttiva).
2) gli esiti dell’analisi nazionale del rischio devono essere messi a disposizione, compatibilmente con le prioritarie esigenze di tutela della riservatezza e dell'ordine pubblico, degli organismi di autoregolazione e dei soggetti privati destinatari degli obblighi di collaborazione attiva previsti dall'ordinamento in funzione di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, a supporto del processo di analisi dei rischi gravanti sui settori di rispettiva pertinenza e dell’adozione delle conseguenti misure proporzionate al rischio;
3) le autorità di vigilanza, nella predisposizione degli strumenti e dei presidi finalizzati alla prevenzione e al contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, valutano il rischio gravante sui settori di competenza, anche al fine di supportare i destinatari degli obblighi nell’applicazione di misure di adeguata verifica della clientela efficaci e proporzionati al rischio;
4) i destinatari degli obblighi posti a presidio del sistema di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, devono dotarsi di procedure sistematiche di valutazione, gestione e controllo dei rischi tipici dell'attività espletata, tenuto comunque conto delle dimensioni e della complessità organizzativa dei medesimi destinatari.
Il Comitato di sicurezza finanziaria (CSF) è stato costituito con il decreto-legge 12 ottobre 2001, n. 369 nell'ambito dell'azione per il contrasto del terrorismo internazionale, in coordinamento con i partner internazionali. Successivamente la competenza del CSF è stata estesa alla materia del contrasto al riciclaggio dei proventi di attività criminose ed all’attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale (D.Lgs. n. 109 del 2007 e D.Lgs. n. 231 del 2007)
Il CSF ha il compito di monitorare il funzionamento del sistema di prevenzione e di sanzioni del finanziamento del terrorismo e del riciclaggio. Esso si pone come il punto di raccordo fra tutte le amministrazioni ed enti operanti in questo settore ed è dotato di poteri particolarmente penetranti, come quello di acquisire informazioni in possesso delle amministrazioni in esso rappresentate, anche in deroga al segreto d’ufficio. È presieduto dal Direttore generale del Tesoro, ed è composto da rappresentanti del Ministero dell’economia e delle finanze, del Ministero dell’interno, del Ministero della giustizia, del Ministero affari esteri, della Banca d’Italia, della Consob, dell’ISVAP, dell’UIF, della Guardia di Finanza, della Direzione investigativa antimafia, dell’Arma dei Carabinieri e della Direzione nazionale antimafia. Il CSF è altresì integrato da due rappresentanti designati, rispettivamente, dal Ministero dello sviluppo economico e dall'Agenzia delle Dogane ai fini dello svolgimento dei compiti relativi al contrasto della proliferazione delle armi di distruzione di massa.
Nell’esercizio delle funzioni di analisi e coordinamento in materia di prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario e di quello economico per fini illegali, previste dall’articolo 5 del D.Lgs 231 del 2007, il CSF ha condotto nel 2014 la prima analisi nazionale dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. Tale analisi è stata effettuata in applicazione della Raccomandazione 1 del GAFI-FATF, con l’obiettivo di identificare, analizzare e valutare le minacce di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo, individuando quelle più rilevanti, i metodi di svolgimento di tali attività criminali, le vulnerabilità del sistema nazionale di prevenzione, di investigazione e di repressione di tali fenomeni, e quindi i settori maggiormente esposti a tali rischi. Tutto ciò finalizzato all'elaborazione di linee di intervento per la mitigazione degli stessi e all'adozione di un approccio basato sul rischio all'attività di contrasto al riciclaggio e di finanziamento del terrorismo (AML/CFT: Anti-Money Laundering/Combating the Financing of Terrorism).
La lettera b) prevede la possibilità di aggiornare l'elenco dei soggetti destinatari degli obblighi posti dal sistema di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, al fine di assicurare la proporzionalità e l’efficacia delle misure attuative della direttiva 2015/849 e nel rispetto del richiamato principio dell’approccio basato sul rischio.
La lettera c) prevede la riduzione o la semplificazione degli adempimenti in materia di antiriciclaggio per alcuni soggetti, in presenza di determinate circostanze. Al contrario, sono rafforzati i presidi previsti dalla normativa in materia per altri soggetti.
Più nel dettaglio:
l). Gli operatori economici che esercitano, in modo occasionale o su scala limitata, attività finanziarie implicanti scarso o esiguo rischio di riciclaggio possono essere esonerati dagli obblighi antiriciclaggio previsti dalla direttiva 2015/849 sulla base di una determinazione affidata al Comitato di Sicurezza Finanziaria.
Al riguardo devono ricorrere tutti i criteri elencati con riferimento all’attività finanziaria che deve essere: limitata in termini assoluti e a livello di operazioni; non deve essere l’attività principale, ma accessoria; l’attività principale non deve consistere in un attività creditizia, finanziaria o professionale (revisori, contabili, notai, consulenti in operazioni finanziarie, immobiliari, gioco d’azzardo); può consistere in negoziazione di beni quando il pagamento è effettuato o ricevuto in contanti per un importo pari o superiore a 10.000 euro; l’attività finanziaria deve essere prestata solo ai clienti dell’attività principale.
2). Gli emittenti di moneta elettronica sono esonerati da taluni obblighi di adeguata verifica della clientela con riferimento a specifiche situazioni: qualora si tratti di strumenti di pagamento non ricaricabili ovvero ricaricabili entro ridotte soglie; strumenti di pagamento utilizzati esclusivamente per l'acquisto di beni e servizi e non alimentabili con moneta elettronica anonima.
L'emissione di moneta elettronica (strumento di pagamento elettronico che incorpora un valore monetario equivalente all'ammontare dei fondi ricevuti dal soggetto emittente) è riservata alle banche e agli istituti di moneta elettronica (IMEL), i quali sono soggetti diversi dalle banche che svolgono in via esclusiva l'attività di emissione di moneta elettronica; possono anche svolgere attività connesse e strumentali all'emissione di moneta elettronica e offrire servizi di pagamento. Non possono svolgere l'attività di concessione di crediti, in alcuna forma. L'emittente di moneta elettronica non concede interessi o qualsiasi altro beneficio commisurato alla giacenza della moneta elettronica.
3). Con riferimento agli emittenti di moneta elettronica e ai prestatori di servizi di pagamento di altro Stato membro dell’UE, operanti sul territorio nazionale senza stabile insediamento, si prevede l’obbligo di istituire un punto di contatto centrale in modo da garantire l’efficace adempimento degli obblighi antiriciclaggio. Al riguardo, alla Banca d’Italia è attribuito il compito di adottare una disciplina di attuazione. In tal modo si intende superare le criticità insite nel principio sotteso alla prima direttiva sui servizi di pagamento (cosiddetta PSD1) che, in materia si è dimostrata sostanzialmente inefficace.
Al riguardo si ricorda che il 23 dicembre 2015 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la seconda direttiva sui servizi di pagamento - PSD2, direttiva (UE) 2015/2366 del 25 novembre 2015 (entrata in vigore il 13 gennaio 2016; gli Stati membri dovranno recepire la direttiva nella legislazione nazionale entro il 13 gennaio 2018). La direttiva mira a promuovere lo sviluppo di un mercato interno dei pagamenti al dettaglio efficiente, sicuro e competitivo rafforzando la tutela degli utenti dei servizi di pagamento, sostenendo l’innovazione e aumentando il livello di sicurezza dei servizi di pagamento elettronici.
4). Si prevede di apportare alle disposizioni in materia di adeguata verifica rafforzata di persone politicamente esposte e alla relativa definizione, attualmente vigenti, le modifiche necessarie a garantirne la coerenza e l'adeguamento a quanto prescritto dagli standard internazionali del GAFI e dalla direttiva 2015/849.
Al riguardo, il considerando n. 33 della direttiva afferma che gli obblighi relativi alle persone politicamente esposte hanno natura preventiva e non penale, e non dovrebbero essere interpretate come volte a stigmatizzare tali persone in quanto soggetti coinvolti in attività criminose. Rifiutare un rapporto d'affari con una persona semplicemente in ragione del fatto che questa è politicamente esposta è in contrasto con la lettera e con lo spirito della presente direttiva nonché con le raccomandazioni riviste del GAFI.
5). I soggetti obbligati, nell’identificazione del cliente, possono avvalersi di terzi qualificati, rispettando le prescritte cautele.
La lettera d) contiene previsioni volte ad accrescere la trasparenza di persone giuridiche e trust, in modo da fornire alle autorità strumenti efficaci per la lotta contro il riciclaggio e da permettere la conoscibilità dei dati ai portatori di interessi qualificati (anche diffusi), contemperando gli interessi in campo. Devono essere previste delle sanzioni in caso di inosservanza di tali obblighi di trasparenza.
In particolare, per quanto riguarda le persone giuridiche e gli altri analoghi soggetti diversi dalle persone fisiche (associazioni, fondazioni, comitati) si prevede che essi detengano informazioni complete sulla propria titolarità effettiva. Devono essere previste sanzioni a carico degli organi sociali in caso di inosservanza (punto 1). Tali informazioni devono essere registrate in apposita sezione, ad accesso riservato, del Registro delle imprese e rese disponibili: alle Autorità competenti, alle Autorità preposte al contrasto dell’evasione fiscale (con le modalità che dovranno essere stabilite), ai destinatari degli obblighi di adeguata verifica e ai portatori di legittimi interessi all'accesso (previo espresso accreditamento e sempre che che l'accesso consentito a soggetti estranei al circuito delle autorità competenti e dei destinatari degli obblighi non esponga il titolare effettivo a pericoli) (punto 2).
Con riferimento ai trust (punto 3) si prevede l’obbligo per il trustee di dichiarare di agire in tale veste, qualora instauri un rapporto continuativo o professionale con un soggetto destinatario degli obblighi di adeguata verifica della clientela. Egli, inoltre, deve ottenere e conservare tutte le informazioni sulla titolarità effettiva del trust: ovvero in merito all’identità del fondatore, del trustee, del guardiano, dei beneficiari e delle altre persone fisiche che esercitano il controllo effettivo sul trust. Tali informazioni devono essere prontamente accessibili alle Autorità competenti.
Si ricorda che il trust è un istituto che affonda le sue radici negli ordinamenti di common law e che, secondo il suo schema generale, comporta un trasferimento fiduciario di beni e diritti da un soggetto (settlor) ad un altro (trustee), che li amministra in favore di terzi soggetti (beneficiari) ovvero per un determinato scopo, secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo del trust e secondo i propositi e i desideri del settlor. La struttura del trust può divenire quadrilatera mediante l’inserimento della figura del protector (guardiano), il quale controlla la gestione fiduciaria e vigila sulla fedeltà e sulla diligenza del trustee.
L’effetto principale che il trust produce è rappresentato dalla c.d. “segregazione patrimoniale”: i beni conferiti in trust vanno, infatti, a costituire un patrimonio separato dagli altri beni che compongono il patrimonio del trustee, come anche dal patrimonio del disponente e del beneficiario.
L’Italia ha ratificato la Convenzione de L’Aja del 1985, sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, e l’ha resa esecutiva mediante la legge 16 ottobre 1989, n. 364, entrata in vigore il 1° gennaio 1992. Da quest’ultima data, per conseguenza, il trust è divenuto istituto riconosciuto nel nostro ordinamento.
Con riferimento ai trust produttivi di effetti giuridici rilevanti, a fini fiscali, per l’ordinamento nazionale si prevede che tutte le informazioni sulla titolarità effettiva relative a tutti i soggetti coinvolti siano registrate in apposita sezione del Registro delle imprese e siano rese accessibili alle Autorità competenti e ai soggetti destinatari degli obblighi di adeguata verifica, previo accreditamento (punto 4).
Si osserva che sarebbe
opportuno individuare più chiaramente i trust produttivi di effetti giuridici
rilevanti a fini fiscali per l’ordinamento nazionale.
Si prevede l'individuazione di specifici requisiti di onorabilità e professionalità per i prestatori di servizi relativi a società o trust diversi dai professionisti già soggetti a specifici regimi di autorizzazione o abilitazione per l'esercizio dell'attività (punto 5).
Infine, devono essere individuate specifiche attività di adeguata verifica della clientela relativamente al beneficiario di contratti di assicurazione vita o di altre assicurazioni legate ad investimenti.
La lettera e) introduce il principio della semplificazione degli adempimenti posti a carico dei destinatari della normativa in materia di conservazione dei dati e delle informazioni rilevanti, anche attraverso l’integrazione di banche dati, per l'assolvimento delle finalità di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.
La lettera f) delinea le competenze e le funzioni dell’Unità di informazione finanziaria per l’Italia (UIF), in armonia con quanto previsto dalla direttiva 2015/849.
Il vigente d.lgs. 231/2007 ha istituito presso la Banca d’Italia l’Unità di informazione finanziaria per l’Italia (UIF) con funzioni di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, in conformità a regole e criteri internazionali che prevedono la presenza in ciascuno Stato di una Financial Intelligence Unit (FIU) dotata di piena autonomia operativa e gestionale.
La UIF riceve e acquisisce informazioni riguardanti ipotesi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo principalmente attraverso le segnalazioni di operazioni sospette trasmesse da intermediari finanziari, professionisti e altri operatori; ne effettua l’analisi finanziaria, utilizzando l’insieme delle fonti e dei poteri di cui dispone, e ne valuta la rilevanza ai fini dell’invio ai competenti organi investigativi e giudiziari, per l’eventuale sviluppo dell’azione di repressione.
La normativa stabilisce, a vantaggio della UIF, obblighi di informazione in capo alle autorità di vigilanza, alle amministrazioni e agli ordini professionali. L’Unità e gli organi investigativi e giudiziari collaborano ai fini dell’individuazione e dell’analisi di flussi finanziari anomali. L’Unità partecipa alla rete mondiale delle FIU per scambi informativi essenziali a fronteggiare la dimensione transnazionale del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
La norma in commento
prevede che l’UIF:
- abbia tempestivo accesso alle informazioni finanziarie, amministrative e, previa autorizzazione dell'Autorità giudiziaria procedente, alle informazioni investigative in possesso delle autorità e degli organi competenti necessarie per assolvere i propri compiti in modo adeguato, nel rispetto per le informazioni di investigative dei principi di pertinenza e proporzionalità dei dati e delle notizie trattati rispetto agli scopi per cui sono richiesti;
- cooperi con le FIU di altri Paesi utilizzando l'intera gamma delle fonti informative e dei poteri di cui dispone, scambiando ogni informazione ritenuta utile per il trattamento o l'analisi di informazioni collegate al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo, impiegando canali protetti di comunicazione e tecnologie avanzate per l'incrocio dei dati, subordinando al previo consenso della controparte estera gli utilizzi delle informazioni ricevute per scopi diversi dalle analisi della Unità stessa e fornendo a sua volta il consenso alle controparti estere a simili utilizzi delle informazioni rese a condizione che non siano compromesse indagini in corso;
- individui operazioni che le devono essere comunicate in base a criteri oggettivi, emani indicatori di anomalia e istruzioni per la rilevazione e la segnalazione delle operazioni e definisca modalità di comunicazione al soggetto segnalante degli esiti delle segnalazioni di operazioni sospette, anche sulla base dei flussi di ritorno delle informazioni ricevuti dagli organi investigativi.
La lettera g) prevede di rafforzare gli strumenti di salvaguardia della riservatezza e della sicurezza dei segnalanti, delle segnalazioni di operazioni sospette, dei risultati delle analisi e delle informazioni acquisite anche negli scambi con le FIU. Si intende, inoltre, incoraggiare le segnalazioni di violazioni potenziali o effettive della normativa di prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
La lettera h) contiene - nel rispetto del principio del ne bis in idem e di proporzionalità e dissuasività delle sanzioni irrogate per le violazioni della disciplina attuativa della direttiva – una serie di principi e criteri direttivi diretti a introdurre modifiche al d.lgs. 231 del 2007 (di attuazione della precedente direttiva 2005/60/CE sulla prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione) e a ogni altra disposizione in materia.
Tali modifiche debbono essere volte a:
- introdurre nuove fattispecie incriminatrici solo per le gravi violazioni degli obblighi di adeguata verifica della clientela e di conservazione dei documenti commesse con frode, falsificazione di documenti e violazione del divieto di comunicazione dell’avvenuta segnalazione; il limite massimo delle relative sanzioni dovrà essere compreso tra i 3 anni e i 30.000 di multa (n. 1)
- graduare entità e tipo delle sanzioni amministrative sulla base di specifici parametri (natura del colpevole della violazione - persona fisica o giuridica -, settore di attività, dimensioni e complessità organizzativa degli obbligati) (n. 2);
- prevedere che le sanzioni per violazioni della direttiva commesse dalle persone giuridiche possano essere applicate ai soggetti in posizione apicale dell’ente (n. 3);
- sanzionare in via amministrativa - in misura graduata sulla base di specifici parametri - le gravi, reiterate o plurime violazioni di cui al n. 1 nonchè quelle relative a segnalazioni di operazioni sospette; le relative misure afflittive dovranno consistere: in dichiarazioni pubbliche che individuano il soggetto responsabile della violazione e in ordini di porre ad essa termine; nell’eventuale revoca o sospensione di autorizzazioni da parte dell’autorità di vigilanza; nell’interdizione temporanea, non superiore a 5 anni[34], dalle funzioni per i soggetti in posizione apicale delle persone giuridiche; in specifiche sanzioni amministrative pecuniarie con un minimo edittale non inferiore a 2.500 euro[35] (n. 4)
- prevedere sanzioni amministrative nei confronti di enti creditizi o finanziari per illeciti gravi o reiterati o plurimi delle norme sull’adeguata verifica della clientela, segnalazioni di operazioni sospette, conservazione dei documenti e controlli interni (n. 5);
- prevedere che le violazioni di scarsa offensività commesse da enti creditizi o finanziari siano punite, in alternativa alla sanzione pecuniaria, con una dichiarazione pubblica che individuando il responsabile (persona fisica o giuridica), e la violazione, ordina di porre termine al comportamento illecito (n. 6);
- prevedere che, con regolamento attuativo, le autorità di vigilanza possano disciplinare il procedimento di irrogazione della sanzione, assicurando il contraddittorio e la piena conoscenza degli atti istruttori (n. 7);
- attribuire potere sanzionatorio alla Banca d’Italia per le violazioni al reg. UE/847/2015, riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi (n. 8);
- disciplinare le modalità di pubblicazione dei provvedimento di irrogazione delle sanzioni, nel rispetto dei principi fondamentali della normativa sulla tutela dei dati personali (n. 9);
- prevedere le necessarie modifiche alla disciplina sanzionatoria della normativa interna relativa alla violazione dei regolamenti europei sul contrasto al finanziamento del terrorismo (n. 10).
La lettera i) prevede che, per non recare pregiudizio alle indagini sulla prevenzione e contrasto all’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio di attività illecite e di terrorismo – sentito il Garante dei dati personali - possano essere stabilite limitazioni al diritto di accesso ai dati personali garantito dall’art. 7 del Codice della privacy, il D.Lgs. 196/2003 (si tratta, in particolare, del diritto di avere conferma dell’esistenza di tali dati, di conoscere fini e modalità del trattamento, del diritto di rettifica e cancellazione, del diritto di opposizione al trattamento);
La lettera l) prevede, a fini di contrasto dei fenomeni criminali con particolare riferimento al riciclaggio, l’adozione di una disciplina organica sulle attività di compravendita di oro e oggetti preziosi usati, svolto da operatori non soggetti alla disciplina generale in materia prevista dalla legge n. 7 del 2000 (Nuova disciplina del mercato dell'oro, anche in attuazione della direttiva 98/80/CE del Consiglio, del 12 ottobre 1998). La nuova normativa, volta alla piena tracciabilità e registrazioni delle operazioni di compravendita dell’oro e la rapida acquisizione dei dati da parte delle forze di polizia, dovrà inoltre prevedere uno specifico apparato sanzionatorio;
La lettera m) stabilisce che la disciplina attuativa della direttiva 2015/849 trovi applicazione anche per le attività esercitate online dai soggetti agli obblighi;
La lettera n) prevede che - per il recepimento della direttiva UE 2015/849 - siano apportate le necessarie modifiche alle vigenti disposizioni attuative delle direttive 2005/60/CE e 2006/70/CE (il riferimento è ai decreti legislativi 231/2007 e 207/2009), anche tenendo conto degli standard internazionali del GAFI (il Gruppo d’azione finanziaria internazionale), degli strumenti degli altri organismi attivi nella lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, delle risoluzioni ONU e delle decisioni dell’Unione europea nonchè della necessità di garantire alle autorità pubbliche meccanismi di cooperazione e raccordo nella lotta agli indicati fenomeni illeciti.
La lettera o), inserita nel corso dell’esame parlamentare, prevede l’istituzione presso l’Organismo competente per la gestione degli elenchi degli agenti e dei mediatori (OAM) di un registro informatizzato riguardante gli agenti che prestano esclusivamente servizi di pagamento nel settore dei servizi di rimessa di denaro (money transfer). Il registro, consultabile dagli istituti di pagamento, sarebbe alimentato grazie alle informazioni, fornite dagli stessi intermediari, riguardanti esclusivamente le estinzioni dei rapporti contrattuali con gli agenti per motivi non commerciali. La finalità espressa è quella di assicurare un più efficace e immediato controllo sugli agenti che svolgono tale attività, nel rispetto dei principi e della normativa nazionale e comunitaria in materia di tutela della riservatezza e protezione dei dati personali.
Si ricorda che la normativa vigente (articolo 128-quater, comma 6, del TUB) prevede l’iscrizione in una sezione speciale dell’elenco tenuto dall’OAM degli agenti che prestano esclusivamente i servizi di pagamento su mandato diretto di intermediari nazionali. Con il D.M. n. 256 del 2012 è stato emanato il regolamento concernente le condizioni e i requisiti per l'iscrizione in tale sezione speciale. Si prevede che è agente nei servizi di pagamento il soggetto che promuove e conclude contratti relativi alla prestazione di servizi di pagamento, su mandato diretto di intermediari.
Gli agenti che svolgono la propria attività per conto di istituti di pagamento o di moneta elettronica comunitari sono sottoposti alla disciplina di settore del Paese in cui l'intermediario preponente ha ottenuto l'autorizzazione (home country control). Tali soggetti, pur operanti in Italia, non sono tenuti a iscriversi nella sezione speciale dell’elenco degli agenti in attività finanziaria bensì nel registro pubblico tenuto dalle Autorità del Paese di origine in cui viene data evidenza degli istituti di pagamento autorizzati, dei relativi agenti e delle succursali. Tali agenti devono tuttavia comunicare all’OAM, utilizzando la posta elettronica certificata, le informazioni relative all’avvio dell’operatività sul territorio italiano, ai propri dati aggiornati, alle eventuali variazioni e alla conclusione della propria attività, rispettando i tempi e le modalità di invio stabilite dall’Organismo (articolo 128-quater, comma 7, del TUB).
L'articolo 1, comma 1, lettera n), del D.Lgs. n. 11 del 2010 definisce «rimessa di denaro» il servizio di pagamento dove, senza l’apertura di conti di pagamento a nome del pagatore o del beneficiario, il prestatore di servizi di pagamento riceve i fondi dal pagatore con l’unico scopo di trasferire un ammontare corrispondente al beneficiario o a un altro prestatore di servizi di pagamento che agisce per conto del beneficiario, e/o dove tali fondi sono ricevuti per conto del beneficiario e messi a sua disposizione.
La legge di stabilità 2016, nell’elevare a 3.000 euro il limite a partire dal quale è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore (anche per le attività svolte dai cambiavalute con i clienti) ha mantenuto la soglia di 1.000 euro per il servizio di money transfer (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 898). La relazione governativa affermava al riguardo che il monitoraggio sul sistema finanziario ha evidenziato rispetto a tale canale un elevato rischio di utilizzazione a fini di riciclaggio.
Il comma 3 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Si prevede, inoltre, che in considerazione della complessità della materia trattata e dell’impossibilità di procedere alla determinazione degli eventuali effetti finanziari, per ciascuno schema di decreto legislativo la corrispondente relazione tecnica evidenzia gli effetti sui saldi di finanza pubblica.
Nel caso in cui uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri, che non trovano compensazione nel proprio ambito, si provvede ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Pertanto, in tal caso, le relazioni tecniche degli stessi decreti legislativi devono recare la quantificazioni degli oneri che ne derivano. L’emanazione dei decreti legislativi è subordinata all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
Il richiamato comma 2 dell’articolo 17 della legge di contabilità stabilisce che le leggi di delega comportanti oneri devono recare i mezzi di copertura necessari per l'adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, la quantificazione degli stessi è effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti legislativi. I decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
È all’esame delle istituzioni legislative europee una proposta di direttiva COM(2015)625 sulla lotta contro il terrorismo e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/475/GAI sulla lotta contro il terrorismo
La proposta integra le misure preventive relative al finanziamento del terrorismo previste dalla direttiva 2015/849/UE. La proposta, oltre ad imporre agli Stati membri di perseguire penalmente la fornitura di capitali utilizzati per commettere reati di terrorismo e reati connessi a gruppi terroristici o attività terroristiche, prevede inoltre l'introduzione di una nuova fattispecie di reato consistente nel finanziamento di viaggi all’estero a fini terroristici. Si stabilisce, peraltro, che ai fini della perseguibilità non è necessario che il reato sia effettivamente commesso né che vi sia un collegamento con uno specifico reato di terrorismo o con reati connessi ad attività terroristiche. Il finanziamento del terrorismo costituisce reato anche in assenza di un legame con uno o più atti terroristici specifici.
La II Commissione
(Giustizia) della Camera ha avviato l’esame della proposta il 31 marzo 2016.
Il 17 marzo 2016 le Commissioni
riunite 1ª
(Affari Costituzionali)e 2ª (Giustizia) del Senato hanno
concluso l’esame della proposta, con l’approvazione di una risoluzione (Doc. XVIII, n. 117).
L'articolo 14-bis è stato introdotto a seguito dell'esame in Commissione. Nell'esercizio della delega per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/1513 si prevedono ulteriori principi e criteri direttivi, oltre a quelli enunciati dall'articolo 1, che il Governo dovrà seguire nell'esercizio della delega di attuazione.
Nel corso dell'esame presso
l'VIII Commissione, l'emendamento che ha dato origine all'introduzione
dell'articolo è stato riformulato, specificando che il Governo dovrà inoltre
rispettare i principi e i criteri della direttiva medesima. Essa si basa
infatti sulla sostenibilità dei biocarburanti, sulla promozione e
ricerca di biocarburanti non in concorrenza con il settore alimentare, sul
rispetto del principio della gerarchia dei rifiuti nella produzione di
biocarburanti.
In particolare, si prevedono per il Governo i criteri di:
-
adottare, al fine di sfruttare al massimo le
opportunità di produrre -biocarbouranti dai residui, le medesime definizioni di
residui di processo e di residui da agricoltura, da acquacoltura, da pesca e da
silvicoltura introdotte dalla direttiva 2015/1513/UE (lettera a).
L'articolo 2
della direttiva 98/70/CE, come modificato dalla direttiva 2015/1513/Ue reca le
seguenti definizioni:
·
"residuo
della lavorazione": sostanza diversa dal prodotto o dai prodotti finali
cui mira direttamente il processo di produzione; non costituisce l'obiettivo
primario del processo di produzione, il quale non è stato deliberatamente
modificato per ottenerlo;
·
"processo
dell'agricoltura, dell'acquacoltura, della pesca e delle silvicoltura":
residui generati direttamente dall'agricoltura, dall'acquacoltura, dalla pesca
e dalla silvicoltura; non comprendono residui delle industrie connesse o della
lavorazione.
-
prendere in
considerazione la possibilità di concorrere al raggiungimento degli obblighi di
cui alla direttiva 98/70/CE anche per mezzo dei biocarburanti utilizzabili per
il settore del trasporto aereo civile, come previsto dalle modifiche introdotte
dalla direttiva (UE) 2015/1513, al fine di rispettare gli obblighi della direttiva
98/70/Ce evitando la competizione tra biocarburanti e risorse alimentari (lettera b).
La direttiva
98/70/CE reca le specifiche tecniche da applicare alla benzina, al gasolio e ai
biocarburanti utilizzati nei trasporti su strada e ai gasoli utilizzati per i
motori delle macchine non stradali. All'articolo 7 bis, recante disposizioni in materia di riduzione delle emissioni
di gas a effetto serra, essa
stabilisce che i fornitori di carburanti dovranno ridurre gradualmente le
emissioni prodotte durante il ciclo di vita[36] del
6 % entro il 31 dicembre 2020. Fornisce inoltre obiettivi indicativi
supplementari del 2% fino a giungere ad una riduzione del 10%. La direttiva
2015/1513/UE inserisce all'articolo 7 bis della direttiva 98/70/CE la
possibilità per gli Stati membri di permettere ai fornitori di biocarburanti
utilizzati nel settore dell'aviazione di scegliere se contribuire a tale
obbligo di riduzione, purché tali biocarburanti soddisfino i criteri di
sostenibilità. La direttiva incoraggia inoltre la ricerca e lo sviluppo di
tecnologie per la produzione di biocarburanti avanzati, generati ad esempio da
alghe o da rifiuti, che non sono in competizione diretta con le colture
destinate all'alimentazione umana o animale.
In materia di riduzione di emissioni di gas a
effetto serra, si richiama infine il nuovo Accordo sul
clima adottato dalla COP21[37] di
Parigi nel dicembre 2015 che sancisce impegni volontari di riduzione da parte
dei paesi firmatari in vista dell'obiettivo a lungo termine di mantenere l'aumento della temperatura media globale "ben
al di sotto del 2°" rispetto ai livelli preindustriali, sollecitando gli
sforzi per attestarla all'1,5°.
Al riguardo, in relazione alla dizione di 'prendere in
considerazione la possibilità di concorrere' prevista dal criterio di cui alla
lettera b) della disposizione, si rileva come la formulazione stessa possa
presentare profili di genericità rispetto al tenore di un criterio direttivo di
una norma di delega.
L'articolo 14-ter è stato introdotto a seguito dell'esame in Commissione, ove si è proceduto ad inserire, nell'allegato B di cui al comma 1 dell'articolo 1, il riferimento alla direttiva 2015/2193/UE relativa alla limitazione delle emissioni in atmosfera di alcuni inquinanti originati da impianti di combustione medi.
L'articolo prevede che, nell'esercizio della delega per l'attuazione della direttiva, il Governo altresì provveda al riordino del quadro normativo degli stabilimenti aventi emissioni in atmosfera in cui si colloca la disciplina degli impianti di combustione medi.
La norma pone, al comma 1, i seguenti principi e criteri direttivi specifici, oltre a richiamare la valenza, in quanto compatibili, dei principi e criteri posti dall'articolo 1, comma 1, in base ai quali il Governo è tenuto a:
1) aggiornare la disciplina generale relativa agli stabilimenti che producono emissioni in atmosfera non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale. Si fa specifico riferimento alla modifica ed integrazione delle disposizioni contenute nella parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di installazione ed esercizio, procedure autorizzative, determinazione dei valori limite di emissione, controlli e azioni conseguenti ai controlli (lettera a).
La parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, contiene
disposizioni sulla tutela dell'aria e sulla riduzione delle emissioni in
atmosfera. Essa ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate
dell'inquinamento proveniente dalle installazioni che svolgono alcune attività
specifiche che possono determinare danni ambientali significativi indicate
nell'allegato VIII della Parte II, come modificato dal decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46, recante attuazione della direttiva 2010/75/UE sulle
emissioni industriali. Tra esse le
attività energetiche, le attività di produzione e trasformazione dei metalli,
le attività dell'industria dei prodotti minerale, le attività di trattamento
dei rifiuti, dell'industria chimica e del settore del legno.
Si ricorda che lo stesso decreto legislativo
disciplina (art. 4, comma 4, lettera c), e Titolo III-bis della Parte I) il
rilascio dell'Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA).
2) razionalizzare
le procedure che riguardano l'autorizzazione degli stabilimenti, anche
nell'ottica di garantire un coordinamento con le norme in materia di
autorizzazione unica ambientale (lettera
b);
Le procedure autorizzative sono disciplinate
dall'articolo 269 (parte V) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 che
prevede che per tutti gli stabilimenti che producono
emissioni deve essere richiesta una autorizzazione alle autorità competenti.
Sono esclusi gli stabilimenti di incenerimento e coincenerimento e gli altri
impianti di trattamento termico dei rifiuti (soggetti ad AIA), gli impianti le
cui emissioni sono scarsamente rilevanti ai fini dell'inquinamento
dell'atmosfera (parte I dell'Allegato IV della Parte V) e gli stabilimenti
destinati alla difesa nazionale ed alle emissioni provenienti da sfiati e
ricambi d'aria esclusivamente adibiti alla protezione e alla sicurezza degli
ambienti di lavoro.
Le norme in materia di autorizzazione
unica ambientale sono contenute nell'articolo 23 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, come modificato dalla legge di
conversione 4 aprile 2012, n. 35, che prevede procedure semplificate per le piccole e medie
imprese. Tali disposizioni sono state attuate con il DPR 13 marzo 2013, n. 59 recante il regolamento che disciplina l’autorizzazione unica
ambientale (AUA) e la semplificazione degli adempimenti amministrativi per le
imprese e gli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale;
3) aggiornare
l'Allegato I alla parte V del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152, riducendo i valori limite vigenti di
emissione alla luce delle migliori tecnologie disponibili, con priorità per gli
impianti di combustione e per la classificazione delle sostanze inquinanti (lettera c).
L'Allegato I alla parte V fissa i valori di emissione minimi e massimi con
riferimento a:
a) sostanze inquinanti in generale (parte II);
b) sostanze inquinanti di alcune tipologie di impianti e relative prescrizioni (parte III);
c)
raffinerie e
impianti per la coltivazione degli idrocarburi e dei flussi geotermici (parte
IV);
4) aggiornare il sistema delle sanzioni penali e amministrative previsto dalla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 in modo da assicurare l'effettività, la proporzionalità e la dissuasività delle misure sanzionatorie relative agli stabilimenti non sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale. E' altresì previsto che si tenga conto delle sanzioni previste per violazioni di analoga natura commesse nell'esercizio degli stabilimenti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale, nonché dello specifico impatto emissivo degli stabilimenti da disciplinare (lettera d).
Il titolo
III-bis della parte seconda del
decreto legislativo n. 152/2006 è dedicato alla "autorizzazione integrata
ambientale". Il sistema di sanzioni che vi è delineato consiste in:
1) sanzioni amministrative interdittive (art. 29-decies, comma 1), comminate in caso di
inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie o di esercizio in assenza di
autorizzazione. In questo caso l'Autorità competente può procedere a diffida.
In caso di situazioni di pericolo o di danno per l'ambiente la diffida può
essere accompagnata da contestuale sospensione dell'attività o può essere
disposta la chiusura dell'installazione;
2) sanzioni amministrative pecuniarie (art. 29-quatordecies) in caso di esercizio di
attività in assenza di AIA (comma 1), mancata osservanza delle sue prescrizioni
(commi 2-4), modifica dell'installazione senza autorizzazione (commi 5-6),
mancate comunicazioni alle autorità competenti (commi 7, 8, 10);
3) sanzioni penali: l'art. 29-quatordecies prevede, tra l'altro, la pena dell'arresto: per chi
eserciti l'attività essendo privo dell'AIA o continui l'esercizio dopo l'ordine
di chiusura dell'installazione (comma 1); in caso di grave inosservanza delle
prescrizioni relative all'autorizzazione (comma 4),
4) qualora vengano forniti dati falsificati o alterati
nell'effettuare le comunicazioni dei dati relativi alle misurazioni delle
emissioni (comma 9).
Si
ricorda che l'art. 32, comma 1, lettera d) della legge 24 dicembre 2012, n.
234, detta norme specifiche per l'introduzione di sanzioni penali o
amministrative nella legislazione nazionale di attuazione delle norme UE. Tale
norma stabilisce che le sanzioni penali siano previste, in via alternativa o
congiunta, "solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a
pericolo interessi costituzionalmente protetti". In caso contrario si
ricorre a sanzioni amministrative. Sanzioni accessorie, penali o amministrative,
sono ipotizzabili "ove necessario per assicurare l'osservanza delle
disposizioni contenute nei decreti legislativi".
Si
ricorda, inoltre, la recente approvazione della legge 22 maggio 2015, n. 68, recante disposizioni in materia di delitti contro
l'ambiente.
Il comma 2 specifica che dall'attuazione delle norme sopra citate non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 14-quater
(Attuazione
della direttiva 2014/90/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 luglio
2014 sull’equipaggiamento marittimo e che abroga la direttiva 96/98/CE del Consiglio.)
L’articolo 14-quater, introdotto durante l’esame in Commissione, dispone il recepimento in via regolamentare della direttiva 2014/90/UE sull’equipaggiamento marittimo. Si tratta della direttiva che sostituisce , abrogandola a decorrere dal 18 settembre 2016, le precedente direttiva 96/98/CE sui materiali costituenti equipaggiamento marittimo, che era stata recepita con decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1999, n. 407.
Il termine per il recepimento della direttiva 2014/90/UE è il 18 settembre 2016 e a decorrere da tale data è previsto che si applichino le nuove disposizioni.
L’attuazione in via amministrativa è prevista dall’art. 35, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 quando la direttiva può considerarsi a contenuto non normativo. In questo caso il recepimento può avvenire mediante atto amministrativo generale da parte del Ministro con competenza prevalente nella materia, di concerto con gli altri Ministri interessati.
Per equipaggiamento marittimo si intende qualsiasi equipaggiamento a bordo di una nave che possa essere fornito al momento della costruzione oppure installato successivamente. E’ compresa un'ampia gamma di prodotti, quali le apparecchiature di navigazione, le dotazioni di navi da carico, le attrezzature antincendio, i mezzi di salvataggio, nonché le attrezzature specializzate per scopi ambientali. L'equipaggiamento marittimo rappresenta tra il 40 e l'80 % del valore delle navi di nuova costruzione. L'industria dell'equipaggiamento marittimo è un settore ad alto valore aggiunto, che gode di una posizione leader e di un ruolo di esportatore netto, con elevati livelli di investimento in R&S, e che conta tra le 5.000 e le 6.000 imprese e 300.000 addetti (Fonte: Comitato Economico e Sociale dell’UE 2013)
Le convenzioni internazionali sulla sicurezza marittima impongono agli Stati di bandiera di assicurare che l’equipaggiamento installato a bordo delle navi sia conforme a determinati requisiti di sicurezza per quanto attiene a progettazione, costruzione ed efficienza e di rilasciare i relativi certificati. A tal fine l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) e gli organismi internazionali ed europei di normalizzazione hanno elaborato norme dettagliate di efficienza e di prova per alcuni tipi di equipaggiamento marittimo.
La direttiva 96/98/CE ha quindi stabilito regole comuni per eliminare le differenze nell’applicazione delle norme internazionali mediante una serie di requisiti chiaramente identificati e di procedure uniformi di certificazione. La Commissione europea ha però individuato quattro ambiti in cui la direttiva 96/98/CE sull'equipaggiamento marittimo non ha conseguito pienamente i suoi obiettivi. Tra le parti interessate coinvolte figurano i fabbricanti europei di equipaggiamento marittimo, comprese le PMI, i cantieri navali, i passeggeri e gli equipaggi delle navi, nonché le pubbliche amministrazioni. La Commissione ha quindi proposto la nuova direttiva 2014/90/UE che attribuisce priorità alla regolamentazione internazionale della sicurezza marittima, coerentemente con la dimensione mondiale della navigazione.
Successivamente a questa direttiva, in attesa dell’abrogazione della direttiva 96/98 a prevista per settembre 2016, sono state emanate due direttive di adeguamento a nuove norme tecniche convenzionali internazionali: la direttiva 2014/93/UE della Commissione, adottata in data 18 luglio 2014, che ha aggiornato gli strumenti internazionali di riferimento nonché l'elenco dell'equipaggiamento ed a cui è stata data attuazione in via amministrativa con decreto del MIT 31 luglio 2015 e la direttiva 2015/559 della Commissione, relativa a nuovi componenti di equipaggiamento da includere nell’allegato A alla direttiva 96/98 che possono continuare ad essere commercializzati e utilizzati a bordo delle navi dell'Unione fino al 30 aprile 2018.
La direttiva 2014/90/UE ha l’obiettivo primario di assicurare l'attuazione armonizzata delle norme IMO (Organizzazione marittima internazionale) in materia di equipaggiamento marittimo e garantire il corretto funzionamento del mercato interno dell'equipaggiamento marittimo.
Essa si applica all’equipaggiamento presente o da installare a bordo delle navi UE, per il quale gli strumenti internazionali richiedono l’approvazione da parte dell’amministrazione dello Stato di bandiera, a prescindere dal fatto che la nave si trovi o meno sul territorio dell’Unione nel momento in cui l’equipaggiamento è installato a bordo (art. 3).
L’equipaggiamento marittimo installato a bordo di navi UE viene considerato conforme ai requisiti di progettazione, costruzione ed efficienza degli strumenti internazionali applicabili alla data in cui l’equipaggiamento è installato a bordo. Si prevede quindi l'applicazione automatica delle convenzioni IMO e degli altri strumenti internazionali nella loro versione aggiornata, non richiedendosi quindi più alcuna modifica della direttiva né l'inserimento di elenchi di equipaggiamenti come avviene attualmente con gli allegati A.I e A.II.
La conformità dell’equipaggiamento marittimo è dimostrata unicamente sulla base delle norme di prova e mediante le procedure di valutazione della conformità (art. 4).
La direttiva 2014/90/UE prevede:
a) l'obbligo di conformità degli strumenti con le norme dell'IMO per l'equipaggiamento marittimo da installare a bordo delle navi UE;
b) l’estensione dell'applicazione della direttiva a qualsiasi altro equipaggiamento suscettibile di rientrare nell'ambito di applicazione degli strumenti giuridici dell'Unione;
c) il riconoscimento reciproco tra Stati membri dell'equipaggiamento conforme e l'accettazione di un equipaggiamento equivalente;
d) la libera circolazione dell'equipaggiamento marittimo all'interno dell'UE e l'eliminazione degli ostacoli tecnici agli scambi all'interno del mercato interno;
e) un meccanismo inteso a semplificare e chiarire il recepimento delle modifiche alle norme IMO nelle legislazioni UE e nazionali.
L’apposizione del marchio di conformità (artt. 9, 10 e 11) all’equipaggiamento marittimo da parte del fabbricante o, se del caso, dell’importatore costituisce la garanzia che l’equipaggiamento è conforme e può essere immesso sul mercato per essere installato a bordo di una nave UE. Il marchio di conformità è apposto sul prodotto o sulla sua targhetta segnaletica in modo visibile, leggibile e indelebile e, se del caso, è incluso nel suo software.
Per facilitare la vigilanza del mercato e prevenire la contraffazione di elementi specifici di equipaggiamento marittimo, i fabbricanti possono anche ricorrere a un’etichetta elettronica di forma adeguata e affidabile in sostituzione o a integrazione del marchio di conformità.
I fabbricanti che non hanno sede nel territorio di almeno uno Stato membro sono obbligati a designare, mediante mandato scritto, un proprio rappresentante autorizzato per l’Unione e ad indicare nel mandato il nominativo del rappresentante autorizzato e l’indirizzo al quale può essere contattato (art. 13).
La direttiva 2014/90 disciplina anche la materia dell’accreditamento degli organismi di conformità e della vigilanza del mercato. La direttiva prevede disposizioni per far sì che il marchio di conformità, una volta apposto, rimanga garanzia di sicurezza, mantenendone le norme di applicazione, e per far sì che le autorità nazionali di vigilanza del mercato espletino efficacemente i loro compiti.
Gli Stati membri devono infatti designare un’autorità di notifica responsabile dell’elaborazione e attuazione delle procedure necessarie per la valutazione e la notifica degli organismi di valutazione della conformità e per il controllo degli organismi notificati (art. 18)
L’art. 17 in particolare prevede che
gli Stati membri notifichino alla
Commissione e agli altri Stati membri, per mezzo di un apposito sistema di
informazione, gli organismi autorizzati
ad eseguire compiti di valutazione della
conformità.
Qualora le autorità di vigilanza del mercato di uno Stato membro abbiano sufficienti ragioni per ritenere che un equipaggiamento marittimo presenti un rischio per la sicurezza marittima, la salute o l’ambiente, effettuano una valutazione dell’equipaggiamento interessato e possono chiedere tempestivamente all’operatore economico interessato di adottare tutte le misure correttive del caso o di ritirarlo dal mercato o di richiamarlo (art. 26). E’ prevista infine l’attivazione di una misura UE di salvaguardia di consultazione tra la Commissione e gli Stati membri in caso di opposizione rispetto alla misura adottata dallo Stato membro (artt. 27 e 28).
L’articolo 14-quinquies, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, introdotto nel corso dell’esame in
Commissione, delega il Governo, entro tre mesi dall’entrata in vigore della
legge di delegazione in esame, a dare attuazione alla decisione quadro 2003/568/GAI in tema di lotta alla corruzione nel settore privato.
Analoga delega era già stata prevista dall’art. 28 della legge comunitaria 2007 (legge 25
febbraio 2008, n. 34); il termine di attuazione è scaduto il 21 marzo 2009.
La decisione quadro 2003/568/GAI è volta a
stabilire il principio generale in base al quale devono costituire illeciti
penali all'interno dell'Unione europea e devono essere sanzionati con pene
effettive, proporzionate e dissuasive i comportamenti di corruzione attiva e passiva tenuti nel settore privato; in tale
ambito debbono essere perseguite anche le persone giuridiche private (artt. 4 e 5).
La decisione
quadro impone, quindi, agli Stati membri di procedere alla introduzione nei
propri ordinamenti di sanzioni penali che colpiscano i seguenti comportamenti
illeciti, in quanto condotte intenzionali poste in essere nello svolgimento di
attività professionali svolte nell'ambito di entità a scopo di lucro e senza
scopo di lucro (art. 2):
- promettere, offrire o concedere, direttamente
o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura ad una
persona, per essa stessa o per un terzo, che svolge funzioni direttive o
lavorative di qualsiasi tipo per conto di un'entità del settore privato,
affinché essa compia o ometta di compiere un atto in violazione di un dovere
(par. 1, lett. a); tale fattispecie riguarda la corruzione attiva tra privati;
-sollecitare o ricevere, direttamente o
tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure
accettare la promessa di tale vantaggio, per sé o per un terzo, nello
svolgimento di funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di
un'entità del settore privato, per compiere o per omettere un atto, in
violazione di un dovere (par. 1, lett. b); ); tale ipotesi consiste nella corruzione passiva tra privati;
- istigare e favorire qualcuno a porre in
essere le condotte di cui ai primi due punti (art. 3);
Le sanzioni
penali dovranno essere effettive, proporzionate e dissuasive. Le condotte
indicate dall’articolo 2 debbono essere passibili di pene di durata massima
compresa tra uno e tre anni. Inoltre, una persona fisica collegata a una
determinata attività commerciale e condannata per le condotte previste
dall’articolo 2, deve essere temporaneamente interdetta – perlomeno qualora
occupasse una posizione dirigenziale nell’azienda interessata – dall’esercizio
della specifica attività commerciale o altra comparabile (art. 4).
Come detto, ai
sensi della decisione quadro, gli Stati membri non devono limitarsi a prevedere
la sanzionabilità delle persone fisiche ma anche delle persone giuridiche private, quando i suddetti illeciti sono
commessi a loro beneficio (art. 5): da qualsiasi persona che agisca
individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica, la
quale occupi una posizione dirigente in seno alla persona giuridica, basata a)
sul potere di rappresentanza di detta persona giuridica, o b) sul potere di
prendere decisioni per conto della persona giuridica, o c) sull'esercizio del
controllo in seno a tale persona giuridica, oppure da una persona soggetta
all'autorità della persona giuridica che abbia commesso una delle suddette
condotte a favore della persona giuridica stessa, a causa della carenza di
sorveglianza o controllo da parte di un soggetto che occupi una posizione
direttiva, come definita al punto precedente.
La decisione
quadro prevede sanzioni pecuniarie di
natura penale o non penale ed eventuali ulteriori sanzioni, anche di natura
interdittiva, nei confronti della persona giuridica (art. 6) L’articolo 7 stabilisce
che gli Stati membri adottino le misure necessarie per definire la competenza
sugli illeciti in questione commessi sul proprio territorio (anche solo in
parte), commessi da un suo cittadino in altro Stato membro, commessi a
vantaggio di una persona giuridica la cui sede principale è nel territorio
dello Stato membro. Per coordinamento con la nuova disciplina, è poi abrogata
l’azione comune 98/742/GAI. Il termine di attuazione della decisione (art. 9) è scaduto il 22 luglio 2005.
La corruzione tra privati non è disciplinata dal codice penale ma da
disposizioni di diritto penale previste dal codice civile.
La corrispondente fattispecie (art.
2635 del codice civile), introdotta dalla legge 61 del 2002, è stata più recentemente
riformata dalla cd. legge Severino
(L. 190 del 2012) che ha, tra l’altro, inteso adempiere agli obblighi
internazionali in materia (sia le Convenzioni di Merida e di Strasburgo sulla
corruzione che la citata decisione quadro 2003/568/GAI).
Art. 2635 c.c. (Corruzione tra privati)
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i
direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili
societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della
promessa di denaro o altra utilità, per sè o per altri, compiono od omettono
atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di
fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da
uno a tre anni (primo comma). Si
applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è
commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei
soggetti indicati al primo comma (secondo
comma).
Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel
primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste (terzo comma).
Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di
società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati
dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi
dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.
58, e successive modificazioni (quarto
comma).
Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi
una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi (quinto comma).
I primi due commi dell’art. 2635 c.c. sono riferiti alla corruzione passiva tra privati; il
terzo comma riguarda la corruzione
attiva.
L’adeguamento della normativa italiana del 2012 non è stato ritenuto
soddisfacente a livello europeo in quanto non
recepisce pienamente i contenuti della decisione quadro 2003/568/GAI. In particolare, dopo che
la necessità di un più incisivo intervento in materia del legislatore italiano
era stato sottolineato nelle Raccomandazioni contenute nei rapporti del GRECO
(Gruppo di Stati contro la corruzione) del Consiglio d’Europa del 2 luglio 2009
e del 23 marzo 2012, la prima Relazione della Commissione Europea sulla lotta
alla corruzione (allegato sull’Italia) del 3 febbraio 2014 ha ritenuto che la
nuova disciplina “non affronta tutte le
carenze connesse alla portata del reato di corruzione nel settore privato e al
regime sanzionatorio” (v. ultra, più estesamente).
In particolare, nell’art. 2635 c.c., per quanto concerne la corruzione passiva tra privati (comma
1), diversamente che nella decisione
quadro (art. 2, par. 1, lett. b):
·
si
configura un reato di evento
(bisogna, infatti, che vi sia un nocumento alla società);
·
manca il
riferimento sia all’indebito vantaggio di qualsiasi natura sia alla sollecitazione a riceverlo, per sè o
per altri;
·
la
natura del reato è quella di reato
proprio: lo commettono solo determinati soggetti che rivestono incarichi
apicali preposti alla redazione dei documenti contabili (primo comma) o
comunque soggetti alla direzione o vigilanza dei primi (comma secondo) ma è
omesso il riferimento espresso agli
intermediari per il cui tramite sia sollecitato o ricevuto l’indebito
vantaggio. Peraltro, almeno in alcuni casi, l’intermediazione potrebbe essere
assorbita dal concorso nel reato; si rammenta infatti che l’art. 346-bis c.p.
sul traffico di influenze illecite, introdotto dalla legge 190/2012, prevede
l’illiceità di analoga intermediazione nel settore pubblico “fuori dei casi di
concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter”;
Per quanto riguarda la corruzione attiva tra privati (terzo comma):
·
l’illecito
risulta essere un reato comune; lo commette chi dà o promette denaro o altra
utilità ai soggetti indicati nei primi due commi; sembrerebbe quindi assorbito
l’omesso riferimento agli intermediari come possibili soggetti attivi del
reato, previsto esplicitamente dalla decisione quadro;
· manca il riferimento sia all’indebito
vantaggio di qualsiasi natura sia a possibili terzi quale destinatari dello
stesso.
Inoltre, in base al quinto comma dell’art. 2635 c.c., in entrambe le fattispecie di reato la procedibilità è a querela (salva
l’ipotesi più grave di distorsione della concorrenza).
Inoltre, diversamente da quanto
previsto dall’art. 3 della decisione quadro, l’ordinamento interno non prevede una fattispecie specifica di
istigazione alla corruzione tra privati. La fattispecie generale di
istigazione a delinquere di cui all’art. 414 c.p. presuppone la pubblicità
dell’istigazione.
Sempre con riferimento alle misure sanzionatorie, contrariamente a
quanto previsto dalla decisione quadro (art. 4), a carico delle persone fisiche
condannate per corruzione tra privati l’ordinamento interno non contempla
l’applicazione di sanzioni interdittive
temporanee.
L’art. 6 della decisione quadro prevede poi sanzioni penali, non penali e ulteriori, eventuali misure – anche
interdittive - nei confronti delle persone
giuridiche responsabili dei reati di corruzione tra privati, commessi a
proprio beneficio dai rappresentanti dell’ente stesso.
Il D.Lgs. 231/2001 (Disciplina della responsabilità amministrativa
delle perone giuridiche) prevede che, per una serie di reati espressamente
individuati, possano essere applicate alla persona giuridica - mediante
accertamento giudiziale - oltre a sanzioni interdittive (interdizione dall'esercizio dell'attività, sospensione o revoca delle
autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione
dell'illecito, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, etc.)
anche sanzioni di natura pecuniaria, applicate per quote in un numero non
inferiore a cento né superiore a mille; l'importo di una quota varia da un
minimo di 258 euro ad un massimo di 1.548 euro. Nella commisurazione della
sanzione pecuniaria il giudice determina il numero delle quote, tenendo conto
della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente, nonché
dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per
prevenire la commissione di ulteriori illeciti. L'importo della quota è fissato
sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente allo scopo di
assicurare l'efficacia della sanzione.
L’attuale disciplina sulla responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche per i reati commessi nell’interesse
dell’ente prevede (art. 25-ter D.Lgs.
231/2001) che solo per il delitto di corruzione attiva tra privati
(articolo 2635, terzo comma, c.c.) la sanzione pecuniaria a carico dell’ente
sia compresa tra 200 e 400 quote.
In base all’articolo 14-quinquies in esame, nel dare
attuazione a quanto disposto dalla suddetta decisione quadro, il Governo dovrà
attenersi (comma 1), oltre che ai
principi e ai criteri direttivi generali previsti dalla legge 234 del 2012 (Norme generali sulla partecipazione
dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche
dell'Unione europea), alle disposizioni previste dalla decisione quadro,
“nelle parti in cui non richiedono uno specifico adattamento dell’ordinamento
italiano”. Si chiarisca quali siano le
parti in questione e per quale ragione la delega debba limitarsi ad adeguare
l’ordinamento interno alle parti della decisione quadro che non comportano
obblighi di adattamento.
L’articolo 14-quinquies, comma 1, individua poi una specifica
serie di principi e criteri direttivi.
In relazione al reato di corruzione
attiva tra privati, rispetto a quanto già stabilito dall’art. 2635 c.c., si
dovrà prevedere (n. 1):
· oltre alla dazione e alla promessa, anche l’offerta di denaro o altra utilità, che si
precisa “non dovuti” (il riferimento è verosimilmente all’indebito
vantaggio che l’art. 2, par. 1, della decisione quadro qualifica “di qualsiasi
natura”),
· che l’illecito può essere posto in essere
anche da un intermediario (“per
interposta persona”); anche in questo caso viene attuata la previsione
dell’art. 2, par. 1, della decisione quadro;
· che la dazione, la promessa o l’offerta
possono riguardare soltanto soggetti che svolgono funzioni dirigenziali o di controllo nonché attività lavorativa con
esplicazione di funzioni direttive
presso società ed enti privati; sul
punto, l’art. 2, par. 1, lett. a), della decisione quadro diversamente prevede
anche lo svolgimento di funzioni lavorative “di qualsiasi tipo” (quindi anche
non dirigenziali-direttive) per conto del privato. Si osserva poi che nella decisione quadro il vantaggio indebito può
riguardare direttamente il soggetto corrotto (la persona che lavora nell’ente
privato) ovvero un terzo; nella formulazione adottata con la delega, invece, è
previsto che l’attività corruttiva vada a vantaggio non del corrotto bensì del
corruttore o di altri;
Identiche previsioni dovranno riguardare la corruzione passiva tra privati, con l’ovvia eccezione del
riferimento alla “’offerta” (di denaro o altra utilità) (n. 2).
Si dovrà poi integrare la fattispecie di corruzione passiva in modo da
prevedere che - conformemente a quanto stabilisce la decisione quadro (art. 2,
par. 1, lett. b) - costituisca illecito anche la sollecitazione a ricevere
denaro o altra utilità.
Si
osserva che non è previsto un criterio di delega che chiarisca la natura del
reato (di evento o meno) cioè la necessità (attualmente prevista dall’art.
2635, primo comma, c.c.) del “nocumento” alla società privata ai fini della
consumazione del reato.
Analogamente, non è previsto
alcun criterio relativo alla procedibilità del reato di corruzione tra privati
(che, come ricordato, attualmente è a querela di parte, ad esclusione del caso
dell’ultimo comma dell’art. 2635 c.c).
Un criterio direttivo (n. 3)
- conformemente a quanto previsto dall’art. 3 della decisione quadro -
stabilisce che dovranno essere sanzionate anche le condotte di istigazione alla corruzione (attiva e passiva) tra
privati.
In relazione alle sanzioni
per la corruzione tra privati (n. 4)
viene prevista dal criterio direttivo:
· la pena della reclusione da 6 mesi a 3
anni (previsione conforme all’art. 4, par. 2, della decisione quadro che fissa
la sola pena massima compresa almeno tra 1 e 3 anni);.
· la pena accessoria dell’interdizione temporanea dell’esercizio
dell’attività nei confronti di chi - condannato per corruzione passiva tra
privati o per istigazione a commettere i reati di corruzione tra privati -
svolge funzioni direttive o di controllo in società e enti privati; tale misura
è prevista dall’art. 4, par. 3, della decisione quadro. L’articolo 32-bis del codice penale prevede
l'interdizione temporanea (da un mese a cinque anni, in base all’art. 30) dagli
uffici direttivi delle persone giuridiche, quale conseguenza di ogni condanna alla
reclusione non inferiore a sei mesi per delitti commessi con abuso dei poteri o
violazione dei doveri inerenti all'ufficio. Essa priva il condannato della
capacità di esercitare, durante l'interdizione, l'ufficio di amministratore,
sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione
dei documenti contabili societari, nonché ogni altro ufficio con potere di
rappresentanza della persona giuridica o dell'imprenditore.
Il successivo criterio direttivo (n.
5) è finalizzato all'attuazione degli artt. 5 e 6 della decisione quadro,
ai sensi dei quali ciascuno Stato membro deve adottare le misure necessarie
affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili degli
illeciti di cui sopra commessi a loro beneficio.
Tale criterio prevede che alle
persone giuridiche debbano essere applicati, per la responsabilità amministrativa prevista dal citato D.Lgs 231/2001, conseguente alla corruzione tra privati
commessa nel suo interesse (vedi ante):
· la sanzione pecuniaria tra 200 e 600 quote.
(attualmente è tra 200 e 400);
· le sanzioni amministrative interdittive
di cui all’art. 9 del D.Lgs 231 (l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni
funzionali alla commissione dell'illecito; il divieto di contrattare con la
pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico
servizio; l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e
l'eventuale revoca di quelli già concessi; il divieto di pubblicizzare beni o
servizi). L’applicazione di tali sanzioni - attualmente non previste dalla
d.lgs. 231/2001 in relazione alla corruzione tra privati - è conforme a quanto
stabilisce l’art. 6 della decisione quadro (che richiama, peraltro, le eventuali,
ulteriori misure giudiziarie della sorveglianza da parte del giudice o della
liquidazione dell’ente).
Il comma 2 dell’articolo 14-quinquies prevede il parere delle competenti Commissioni
parlamentari sullo schema di decreto legislativo di recepimento della decisione
quadro.
Infine, il comma 3 concerne l’invarianza finanziaria della nuova
disciplina.
Nell’ambito del più ampio programma inteso a proteggere l'economia
legale europea, in linea con quanto stabilito nella strategia per la sicurezza
interna, la Commissione europea ha adottato, nel giugno 2011, il pacchetto
anticorruzione, composto dai seguenti atti.
Una comunicazione
sulla lotta alla corruzione nell'UE, che delinea gli obiettivi e gli
aspetti pratici della relazione anticorruzione, pubblicata con cadenza biennale
a partire dal 2013, basandosi sui meccanismi di monitoraggio esistenti (del
Consiglio d'Europa, dell'OCSE e delle Nazioni Unite), nonché sul parere di
esperti indipendenti, delle parti interessate e della società civile.
Una decisione della Commissione che stabilisce il meccanismo di relazione anticorruzione dell'Unione europea ed istituisce un gruppo di esperti in materia;
Una relazione sull'attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato;
Una relazione sulle modalità di partecipazione dell'Unione europea in seno al Gruppo di Stati del Consiglio d'Europa contro la corruzione (GRECO).
A ciò ha fatto
seguito, nel febbraio 2014, la pubblicazione, da parte della Commissione
europea, della citata prima relazione sulla lotta alla corruzione nell'Unione europea (vedi
infra), che esamina il fenomeno della corruzione nei 28 Stati membri ed
illustra le misure anticorruzione esistenti, la loro efficacia ed alcune principali tendenze.
Documenti
all’esame delle istituzioni dell’UE
La Commissione europea ha presentato nel febbraio 2014 la prima relazione di analisi della corruzione negli
Stati membri dell’UE
(stimata in 120 miliardi di euro l’anno), al fine di stimolare una riflessione
per un ulteriore miglioramento delle misure adottate per contrastarla.
La relazione
illustra i risultati di un sondaggio sulla percezione generale della diffusione
della corruzione e sulla possibilità effettiva di ricevere richieste di
tangenti, dal quale emerge che in alcuni Stati (Danimarca, Finlandia,
Lussemburgo e Svezia) c’è una limitatissima percezione del fenomeno ed una
scarsa esperienza diretta di corruzione; in altri Paesi (Portogallo, Slovenia,
Spagna e Italia), anche se le tangenti sembrano non diffuse, la corruzione
solleva gravi preoccupazioni anche in ragione dei recenti scandali. Tra i Paesi
con i risultati peggiori per quanto concerne la percezione e l’effettiva
esperienza della corruzione figurano la Croazia, la Repubblica ceca, la
Lituania, la Bulgaria, la Romania e la Grecia. In generale, si riscontra a
livello europeo una forte preoccupazione nei confronti del fenomeno corruttivo,
anche da parte delle imprese (soprattutto quelle di minori dimensioni).
Per quanto riguarda
le misure di contrasto, viene sottolineata l’importanza di un approccio
organico e coordinato a livello centrale; per questo motivo è apprezzata la
scelta di quei Paesi che hanno definito programmi e strategie anticorruzione,
anche per far fronte al crescente clima di sfiducia dell’opinione pubblica ed
alla perdita di credibilità a livello internazionale.
Un primo problema è
rappresentato dalla mancanza a livello di Unione europea di una definizione
armonizzata di “funzionario pubblico” che comprenda i funzionari eletti, al
fine di assicurare la responsabilità penale dei funzionari eletti per i reati
di corruzione (la proposta di direttiva avanzata dalla Commissione ha incontrato
forti ostacoli alla sua approvazione). Un secondo problema riguarda la
trasparenza del finanziamento dei candidati alle elezioni e dei partiti
politici per contrastare il finanziamento illecito ai partiti, il voto di
scambio e altre forme di influenza indebita sull’elettorato.
Molto importanti sono le politiche di prevenzione (norme etiche chiare,
misure di sensibilizzazione, sviluppo di una cultura di integrità nelle varie
organizzazioni, etc). Vanno sviluppati i controlli sia esterni che interni alle
singole amministrazioni, ferma restando l’autonomia dei singoli paesi sulle
strutture (autorità anticorruzione, organi specializzati, forze di polizia,
magistratura, etc) che meglio rispondano alle esigenze di lotta alla
corruzione: essenziale in ogni caso è l’autonomia ed indipendenza di queste
strutture, al fine di poter resistere ad eventuali pressioni, dirette o
indirette.
Utile è anche la diffusione della dichiarazione della situazione
patrimoniale di funzionari titolari di incarichi sensibili, perché essa
contribuisce a consolidare la responsabilità dei funzionari, a garantire una
maggiore trasparenza ed a facilitare l’individuazione di potenziali casi di
arricchimento illecito e le relative indagini. Vanno però rafforzati i
controlli sulla correttezza delle dichiarazioni. Ancora molto arretrata è
invece la situazione riguardante i conflitti di interesse nell’attività
decisionale, nelle assegnazioni dei fondi pubblici e nell’aggiudicazione degli
appalti pubblici, soprattutto per la carenza di sanzioni e di controlli
efficaci.
Insufficiente appare
anche la repressione in sede penale della corruzione: la decisione quadro
2003/568/GAI relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato non è
stata recepita in modo omogeneo, con particolare riferimento alle disposizioni
che qualificano come reato tutti gli elementi della corruzione attiva e
passiva, ed a quelle sulla responsabilità delle persone giuridiche.
Il fenomeno
corruttivo riguarda non solo grandi scandali ma anche la piccola corruzione, molto
diffusa soprattutto a livello locale, dove i controlli sono meno efficaci. I
settori più esposti sono quelli dello sviluppo urbano e delle costruzioni,
della sanità (soprattutto per quel che concerne gli appalti e l’industria
farmaceutica) e l’amministrazione fiscale. Un ruolo molto rilevante è svolto
dalle organizzazioni criminali.
Questione centrale
per combattere la corruzione è la trasparenza nel settore finanziario, essendo
stato riscontrato un chiaro collegamento tra la corruzione e l’occultamento di
beni rubati attraverso società di comodo, fondazioni e trust. Da migliorare
anche gli strumenti per contrastare la corruzione delle imprese all’estero: la
normativa del Regno unito è un modello da seguire.
Tra le altre misure
auspicate dalla relazione ci sono quelle relative alla trasparenza
dell’attività amministrativa, al whistleblower, alla normativa sulle
lobby. Ma una particolare attenzione è dedicata al settore degli appalti
pubblici, dove il peso della corruzione è assai rilevante (con particolare
riferimento ai settori delle costruzioni, dell’energia, dei trasporti, della
difesa e della sanità).
Nell'allegato
sull’Italia si riporta il
dato registrato dalla Corte dei conti secondo il quale i costi diretti totali
della corruzione ammontano a 60 miliardi di euro l’anno (pari a circa il 4% del
PIL). Sono inoltre riportati i risultati del sondaggio realizzato con lo speciale Eurobarometro del
2013 sulla corruzione: il 97% dei
rispondenti italiani (la seconda percentuale dell’Unione in ordine di
grandezza) ritiene che la corruzione sia
un fenomeno dilagante in Italia (contro una media UE del 76%) e il 42% afferma di subire personalmente la corruzione nel quotidiano (contro una media
UE del 26%). Per l’88% dei rispondenti italiani corruzione e raccomandazioni
sono spesso il modo più semplice per accedere a determinati servizi pubblici
(contro una media UE del 73%). Inoltre la mancanza di fiducia nelle istituzioni
pubbliche risulta molto diffusa: secondo i dati raccolti dal sondaggio, le
figure pubbliche verso le quali vi è maggior sfiducia sono i partiti politici,
i politici nazionali, regionali e locali12 e i funzionari responsabili
dell’aggiudicazione degli appalti pubblici e del rilascio delle licenze
edilizie. Viene, poi, messo in evidenza
che l’adozione della legge anticorruzione n. 190 del 2012 (cd. legge Severino, vedi infra) rafforza le politiche di prevenzione mirate a responsabilizzare i pubblici
ufficiali e la classe politica ed a bilanciare l’onere della lotta al fenomeno,
che attualmente ricade quasi esclusivamente sulle forze dell’ordine e sulla
magistratura. La Commissione consiglia anche di estendere i poteri e di
sviluppare la capacità dell’autorità nazionale anticorruzione in modo che possa
reggere saldamente le redini del coordinamento, garantire maggiore trasparenza
degli appalti pubblici ed adoperarsi ulteriormente per colmare le lacune della
lotta anticorruzione nel settore privato. Inoltre, nell’applicazione della
legge anticorruzione, che prevede l’adozione di un piano nazionale triennale ed
obbliga tutti gli organi amministrativi ad adottare strategie d’azione in
materia
Procedure di contenzioso
Il 18 dicembre 2015, la
Commissione europea ha avviato la procedura EU-Pilot n. 8175/15/HOME per omessa comunicazione delle misure nazionali
di recepimento della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio del 22
luglio 2003, relativa alla lotta contro
la corruzione privata.
Secondo la Commissione
l’assenza di qualsiasi comunicazione in riferimento alla citata decisione
quadro costituisce un mancato recepimento
totale. La Commissione ha invitato le autorità italiane a rispondere alla
richiesta EU Pilot entro quattro settimane, e a comunicare le misure nazionali
di recepimento, aggiungendo che, in caso di assenza di una risposta
soddisfacente e di una comunicazione di un completo recepimento, potrà decidere
di avviare una procedura di infrazione
a norma dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Il Governo italiano, nel marzo
2016, ha risposto alla Commissione europea asserendo che la fattispecie della
corruzione nel settore privato è prevista dall’articolo 2635 del codice civile,
ammettendo tuttavia che vi sono alcuni profili
di non piena conformità della normativa interna rispetto alle disposizioni
di cui agli artt. 2 (condotte di corruzione
attiva e passiva nel settore privato) e 5 (responsabilità delle persone giuridiche) della decisione quadro. In
particolare, secondo il Governo:
· sia la corruzione attiva che quella passiva
non sarebbero pienamente allineate alle definizioni contenute nell’articolo 2
della decisione quadro;
· non sarebbe contemplata dal decreto
legislativo n. 231/2001 la responsabilità
delle persone giuridiche in rapporto alla corruzione attiva e passiva.
L’articolo 14- sexies, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, reca principi e criteri direttivi specifici - oltre a quelli generali indicati dall'articolo 1, comma 1 -, per l’esercizio della delega per l'attuazione della direttiva 2014/26/UE, ricompresa nell’allegato B del provvedimento in esame, riguardante la gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e la concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso on line nel mercato interno.
Rinviando, per il contenuto
della direttiva citata, all’apposita scheda (vedi, Allegato B), qui si ricorda
solo che la stessa è scaturita dalla necessità di migliorare il funzionamento degli organismi di gestione collettiva dei
diritti d’autore e dei diritti connessi ed è intervenuta per assicurare garanzie equivalenti in tutta l’Unione
Europea.
Peraltro, la direttiva, nel
coordinare le normative nazionali, fa salva la possibilità che gli Stati membri prevedano standard più rigorosi,
purché compatibili con il diritto dell’Unione.
I principi e criteri
direttivi specifici riguardano esclusivamente la gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi (e
non anche la concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere
musicali per l’uso on line nel mercato interno), e si riferiscono,
complessivamente, alla SIAE e agli altri organismi di gestione collettiva.
Al
riguardo, si ricorda, preliminarmente, che, con riferimento alla tutela del diritto d’autore, l'attività di
intermediazione è stata riservata in via
esclusiva alla Società italiana autori ed editori (SIAE) dall’art. 180 della
L. 633/1941, che disciplina la protezione delle opere dell'ingegno di carattere
creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura,
al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di
espressione (art. 1)[38],
ponendo misure a tutela dei diritti
morali e dei diritti patrimoniali (c.d.
diritti di utilizzazione economica dell'opera)[39]. In
ogni caso, l’esclusività della SIAE non pregiudica la facoltà spettante
all'autore, ai suoi successori o agli aventi causa, di esercitare direttamente
i diritti loro riconosciuti.
La
natura giuridica della SIAE e il regime applicabile alle attività di relativa
competenza sono stati ridefiniti, da ultimo, con L. 2/2008[40].
In
primo luogo, la Società è stata qualificata “ente pubblico economico a base associativa” (mentre la normativa
pregressa le riconosceva la natura di “ente pubblico a base associativa”).
In
materia di funzioni della SIAE, la
L. 2/2008 ha rinviato a quelle indicate nella L. 633/1941 prevedendo, al
contempo, che la stessa esercita le altre funzioni ad essa attribuite dalla
legge e che può effettuare la gestione
di servizi di accertamento e riscossione di imposte, contributi e diritti, anche in regime di convenzione con
pubbliche amministrazioni, regioni, enti locali e altri enti pubblici e privati.
L'attività
della SIAE è disciplinata dalle norme di diritto privato. Tutte le controversie concernenti le attività
dell'ente, incluse le modalità di gestione dei diritti, nonché l'organizzazione
e le procedure di elezione e di funzionamento degli organi sociali, sono
devolute alla giurisdizione ordinaria,
fatte salve le competenze degli organi della giurisdizione tributaria.
La
vigilanza sulla SIAE è esercitata
dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, congiuntamente
con il Presidente del Consiglio dei Ministri e sentito il Ministro
dell'economia e delle finanze per le materie di sua specifica competenza.
Lo Statuto è stato approvato, da
ultimo, con DPCM 9 novembre 2012.
L'attività di amministrazione
e intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore[41] –
già affidata in via esclusiva all’Istituto mutualistico artisti interpreti
esecutori (IMAIE), di cui alla L. 93/1992 –, è divenuta libera a seguito dell’art.
39, co. 2, del D.L. 1/2012 (L.
27/2012)[42].
Ai sensi del co. 3 dello stesso art. 39, i requisiti minimi necessari ai fini di
un razionale e corretto sviluppo del mercato degli intermediari sono stati
definiti con il DPCM 19 dicembre 2012[43], adottato previo parere dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato.
Qui l’elenco delle imprese che intendono svolgere o
svolgono l’attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d’autore
aggiornato al 21 dicembre 2015.
Nell’elenco delle imprese che intendono svolgere o
svolgono l’attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d’autore
vi è anche il nuovo Istituto
mutualistico artisti interpreti esecutori (nuovo IMAIE), istituito con l'art. 7 del D.L. 64/2010 (L. 100/2010), dopo la liquidazione dell’IMAIE[44].
Si
tratta di una associazione con
personalità giuridica di diritto privato, costituita direttamente dagli artisti interpreti esecutori, “al fine di assicurare la realizzazione
degli obiettivi di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 93”, relativi proprio
alla tutela dei diritti degli artisti interpreti o esecutori e all’attività di
difesa e promozione degli interessi collettivi di queste categorie. Più specificamente,
al nuovo IMAIE sono stati trasferiti compiti e
funzioni del vecchio istituto e, in particolare, il compito di incassare e ripartire i compensi fra gli artisti interpreti
esecutori[45].
Lo
Statuto del nuovo IMAIE è stato approvato il 29 settembre 2010 dal Ministero dei beni
e delle attività culturali, d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei
Ministri e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Si
ricorda, infine, che la disciplina dei diritti connessi è stata riordinata,
come previsto dall’art. 7 del D.L. 64/2010, ma tenendo conto della
liberalizzazione introdotta dal citato art. 39, co. 2, del D.L. 1/2012, con decreto interministeriale 17 gennaio 2014[46].
I principi e criteri direttivi specifici
concernono:
- la garanzia di standard di trasparenza idonei (lett. a) e m)).
- Più nello specifico, la lett. a) fa riferimento alla capacità di fornire ai titolari dei diritti una puntuale rendicontazione dell'attività svolta nel loro interesse, mentre la lett. m) concerne la previsione dell'obbligo di pubblicazione sul proprio sito internet dello statuto, delle condizioni di adesione, della tipologia di contratti applicabile, delle tariffe e delle linee di politica generale sulla distribuzione degli importi dovuti ai titolari di diritti, nonché della relazione di trasparenza annuale.
La disposizione riprende i principi di cui agli artt. 18-22 della direttiva.
Inoltre, per gli organismi di gestione collettiva operanti in virtù di specifiche disposizioni di legge, la medesima lett. m) stabilisce il principio dell'obbligo di trasmissione al Parlamento di una relazione annuale sui risultati dell'attività svolta.
La direttiva non
contiene specifiche disposizioni al riguardo.
Con riguardo alla
formulazione del testo, si valuti l’opportunità di unificare il contenuto delle
lett. a) e m), collocando altrove (ad. es. alla lett. d) il riferimento alla
garanzia di idonei standard di efficienza
e rappresentatività, peraltro non
declinati nell’ambito della lett. a).
Inoltre, alla lett. m)
– così come alle lett. c) e i) – è necessario anteporre alle parole “organismi
di gestione collettiva” la parola “altri”.
- Il divieto di imporre ai titolari dei diritti qualsivoglia obbligo che non sia oggettivamente necessario per la gestione e protezione dei loro diritti e interessi (lett. b)).
La disposizione ricalca il principio contenuto nell’art. 4 della direttiva.
- La definizione di requisiti di adesione sulla base di criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori (lett. c)).
La disposizione riprende il principio contenuto nell’art. 6, par. 2, della direttiva.
- La previsione che lo statuto stabilisca adeguati, equilibrati ed efficaci meccanismi di partecipazione dei suoi membri al processo decisionale dell'organismo (lett. d)).
La disposizione riprende quanto previsto dall’art. 6, par. 3, della direttiva.
- La distribuzione regolare e con la necessaria diligenza degli importi dovuti ai titolari dei diritti che hanno loro conferito mandato (lett. e) ed f)).
In particolare, la lett. e) specifica che la
distribuzione deve avvenire entro il
termine di nove mesi a decorrere dalla fine dell'esercizio finanziario nel
corso del quale sono stati incassati i proventi dei diritti.
Si tratta dei principi contenuti nell’art. 13, par. 1, della direttiva.
Il medesimo art. 13 disciplina, altresì, l’utilizzo
degli importi che non sia stato
possibile distribuire a causa di ragioni oggettive, correlate fra l’altro
all’identificazione dei diritti o dei titolari dei diritti.
La lett.
f) precisa che la ripartizione
degli importi deve avvenire “con criteri di economicità”, quanto più possibile su base analitica, in base alle singole utilizzazioni delle opere.
La direttiva non
contiene specifiche disposizioni al riguardo.
Si tratta di una previsione correlata all’obbligo, da parte degli utilizzatori[47], di
produrre alla SIAE ed agli altri organismi di gestione collettiva, nel rispetto
dei tempi richiesti, rapporti periodici
di utilizzo accurati,
predisposti sulla base di un modello, nonché ogni informazione necessaria
relativa alle utilizzazioni oggetto delle licenze o dei contratti.
- In caso di violazione di tale obbligo devono essere previste sanzioni amministrative, ferme restando le azioni civili (lett. g)).
La prima parte della disposizione riprende il
contenuto dell’art. 17 della direttiva. La seconda parte specifica
il principio di cui all’art. 36
della direttiva.
-
La previsione di sistemi efficienti di
risoluzione delle controversie tra gli organismi di gestione collettiva e gli
utilizzatori in ordine alle condizioni di licenza o alle violazioni dei
contratti, alternativi al contenzioso (lett.
h)).
Nell’art. 34 della
direttiva, la possibilità di risoluzione alternativa delle controversie è
riferita, oltre che alle controversie riguardanti gli organismi di gestione
collettiva e gli utilizzatori, anche a quelle concernenti i titolari dei
diritti e i membri di organismi di gestione collettiva.
Come si è visto ante,
la L. 2/2008 prevede, attualmente,
che le controversie relative alle attività della SIAE sono devolute al giudice
ordinario.
Occorrerebbe
chiarire il motivo per cui, a differenza delle altre lettere, nell’ambito della
lett. h), non è citata esplicitamente la SIAE.
- La riforma dell’attività di riscossione, in modo da aumentarne l'efficacia e la diligenza, con particolare riferimento all’attività dei mandatari territoriali (lett. i)).
L’obiettivo riprende il principio contenuto nell’art. 11, par. 2, della direttiva.
Relativamente ai mandatari territoriali, si intende garantire:
- modalità di selezione pubblica trasparenti, sulla scorta di adeguati requisiti di professionalità e onorabilità;
- il rafforzamento dei controlli sul loro operato;
- una distribuzione territoriale equa e proporzionata;
- l’uniforme applicazione delle tariffe stabilite;
- la mancanza di situazioni di potenziale conflitto d'interessi e di cumulo di mandati incompatibili.
La
direttiva non contiene specifiche
disposizioni al riguardo.
Con
riguardo alla SIAE, si ricorda che
questa è presente sul territorio nazionale con
10 Sedi regionali, 29 Filiali e 478 Mandatarie. Le Sedi hanno competenza territoriale regionale o interregionale, e
svolgono, tra l’altro, funzioni di rappresentanza dell’ente e funzioni di
indirizzo, coordinamento e controllo dell’attività svolta dai punti
territoriali, costituiti da Filiali e
Mandatarie, che svolgono funzioni di
sportello e di accertamento con carattere di esclusività nel territorio della
propria circoscrizione. In particolare, i mandatari SIAE (forse meglio
il link diretto: https://www.siae.it/it/chi-siamo/la-siae/lavora-con-noi#collapse4) svolgono
sul territorio assegnato, con autonomia organizzativa e di mezzi, le attività
di sportello per la clientela e per l'utenza SIAE. Effettuano, inoltre,
vigilanza e controllo nei settori dello spettacolo, dell'intrattenimento e in
tutti gli ambiti oggetto delle convenzioni tra SIAE ed Enti pubblici e privati.
Tali attività vengono realizzate previa sottoscrizione di specifico contratto
di mandato, la remunerazione del quale, onnicomprensiva delle spese sostenute
per l’esercizio del mandato, è costituita da provvigioni sugli incassi e da
compensi per gli altri servizi conferiti.
- La previsione di forme di riduzione o esenzione dalla corresponsione dei diritti d'autore e
dei diritti connessi – con remunerazione
dei titolari dei diritti in forma
compensativa da parte della SIAE
–, da riconoscere agli organizzatori di (lett.
l)):
-
spettacoli dal vivo con meno
di 100 partecipanti;
-
spettacoli dal vivo con giovani
esordienti titolari di diritti d'autore o di diritti connessi;
-
eventi o ricorrenze particolari, da individuare con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del
turismo.
La direttiva non contiene specifiche disposizioni al riguardo.
- La
ridefinizione dei requisiti minimi per
le imprese che intendono svolgere attività
di intermediazione dei diritti connessi in
linea con le previsioni della direttiva, nonché con le “esigenze rappresentate
dal mercato” (lett. n))
Si prevede, così, l’intervento di una norma
primaria in un ambito che, in base all’art. 39, co. 3, del D.L. 1/2012, era
stato affidato all’intervento di un DPCM.
Dal punto di vista della formulazione del testo, occorrerebbe citare esplicitamente il DPCM 19 dicembre 2012.
Direttiva (UE)
2015/565
della Commissione, dell’8 aprile 2015,
che modifica la direttiva 2006/86/CE per quanto riguarda determinate
prescrizioni tecniche relative alla codifica di tessuti e cellule umani (termine
di recepimento 29 ottobre 2016)
La direttiva (UE) 2015/565 modifica la direttiva 2006/86/CE[48], con cui la Commissione ha disciplinato alcune prescrizioni tecniche in materia di tessuti e cellule umani, attinenti, tra l'altro, alla codifica, alla lavorazione, alla conservazione, allo stoccaggio ed alla distribuzione. Tali prescrizioni sono state adottate sulla base della direttiva 2004/23/CE[49], la quale ha previsto che tutti i tessuti e le cellule prelevati, lavorati, stoccati o distribuiti sul territorio degli Stati membri debbano essere rintracciabili nel percorso dal donatore al ricevente e viceversa (art. 8) ed ha demandato alla Commissione europea la definizione di alcuni requisiti tecnici ed il loro adeguamento al progresso scientifico e tecnico (art. 28).
In base alle novelle di cui alla presente direttiva (UE) 2015/565, la rintracciabilità dei tessuti e delle cellule avrà luogo (nuovo art. 9 della direttiva 2006/86/CE) "dall'approvvigionamento all'applicazione sull'uomo o allo smaltimento e viceversa", "in particolare grazie alla documentazione e all'uso del codice unico europeo". Quest'ultimo è inteso a garantire l'uniformità dei sistemi di identificazione, già adoperati nei singoli Stati membri ai sensi della direttiva 2006/86/CE, e dovrà essere impiegato per tutti i tessuti e le cellule distribuiti nell'Unione europea a fini di applicazioni sull'uomo (in base al nuovo testo dell'art. 10 della direttiva 2006/86/CE e fatte salve le eccezioni ivi contemplate). Negli altri casi in cui i tessuti e le cellule siano rilasciati per la circolazione, la sequenza di identificazione della donazione è applicata almeno nei documenti di accompagnamento.
L'art. 10-bis e l'Allegato VII della direttiva 2006/86/CE, come novellata dalla direttiva (UE) 2015/565 in esame, stabiliscono nel dettaglio il formato del codice.
Il successivo art. 10-ter - inserito dalle novelle in oggetto - stabilisce (paragrafo 1) le prescrizioni minime che gli istituti dei tessuti, compresi quelli importatori, dovranno osservare, con riferimento all'applicazione del codice unico europeo. Tra esse, si ricordano: l'assegnazione del codice ai tessuti e cellule prima della distribuzione; l'assegnazione di una sequenza di identificazione della donazione dopo l'approvvigionamento dei tessuti e delle cellule o al momento del loro ricevimento da un'organizzazione di approvvigionamento o all'atto dell'importazione da un fornitore di un Paese terzo; l'applicazione del codice sull'etichetta in modo indelebile e permanente.
In base al paragrafo 2 del medesimo art. 10-ter, le autorità competenti degli Stati membri assicurano: l'individuazione delle strutture operanti, mediante l'assegnazione di un numero unico per ogni istituto dei tessuti (accreditato, designato, autorizzato o titolare di licenza); l'assegnazione di numeri unici della donazione; la piena applicazione del codice unico europeo ed il relativo monitoraggio; la convalida e l'aggiornamento dei dati (per il proprio Stato membro) sugli istituti dei tessuti contenuti nel compendio degli istituti dei tessuti dell'UE[50].
Il successivo art. 10-quater
- introdotto dalle novelle di cui alla presente
direttiva (UE) 2015/565 - prevede la predisposizione di una piattaforma informatica ("piattaforma
di codifica dell'UE"), gestita dalla Commissione europea e disponibile al
pubblico prima del 29 ottobre 2016. La piattaforma contiene il compendio degli
istituti dei tessuti dell'UE ed il compendio dei prodotti di tessuti e cellule
dell'UE[51].
L'art. 10-quinquies - anch'esso inserito dalle novelle in oggetto - reca alcune norme transitorie. Si prevede, in particolare, che i tessuti e le cellule già stoccati alla data del 29 ottobre 2016 siano esentati dagli obblighi relativi al codice unico europeo, a condizione che siano rilasciati per la circolazione nell'Unione nei cinque anni successivi a tale data e che ne sia garantita la piena rintracciabilità tramite mezzi alternativi.
Il termine per il recepimento della direttiva (UE) 2015/565 è fissato al 29 ottobre 2016, mentre l'applicazione delle relative norme deve decorrere dal 29 aprile 2017.
In materia di prescrizioni tecniche relative agli esami effettuati su tessuti e cellule umani, si segnala che il 26 febbraio 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura di infrazione 2014/0386) per mancato recepimento della direttiva 2012/39/UE[52]. Il termine previsto per il recepimento era il 17 giugno 2014.
La direttiva 2009/156/CE, senza termine di recepimento, risale al 2009 ed è diretta a prevedere una razionalizzazione della disciplina relativa alla produzione di equidi, favorendo la produttività del settore e stabilendo norme comuni in materia di polizia sanitaria per i movimenti intracomunitari e le importazioni di equidi dai paesi terzi.
Come indicato nei considerando in premessa, questa direttiva opera una codifica della precedente direttiva 90/426/CEE del Consiglio, del 26 giugno 1990, di analogo oggetto che, nel corso del tempo, ha subito diverse e sostanziali modificazioni.
Si sottolinea in
proposito che, in materia di malattie animali trasmissibili e sanità
animale, è stato recentemente approvato il regolamento
2016/429 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che ha
modificato la normativa del settore, abrogando peraltro una serie di direttive
(v. art. 270 del citato regolamento) tra cui la direttiva 2009/156, a decorrere
dal 21 aprile 2021.
In
merito occorre segnalare che il Ministero della salute ha emanato l’ordinanza urgente del 1°
marzo 2013
in materia di identificazione sanitaria degli equidi, pubblicata in G.U n. 85
dell’11 aprile 2013. Con questa ordinanza è stata disposta l’integrazione della
Banca dati nazionale dell’anagrafe zootecnica, mediante un’apposita sezione per
l’identificazione degli equidi ai fini sanitari, con lo scopo di garantire una
maggiore disponibilità dei dati contenuti nell’anagrafe degli equidi ai fini
dell’epidemiosorveglianza. L’urgenza è dovuta peraltro alle recenti emergenze
di carattere sanitario che hanno coinvolto la specie equina, come, tra gli
altri, l’anemia infettiva, l’influenza del Nilo (West Nile disease) e il morbo coitale maligno. Inoltre, l’ordinanza
ha fatto seguito alla raccomandazione della Commissione europea del 19
febbraio 2013 (2013/99/UE) relativa all’applicazione da parte degli Stati membri di un piano
coordinato di controllo per i controlli ufficiali, tra gli altri, di carni
equine destinate al consumo umano al fine di rilevare la presenza di residui di
fenilbutazione, farmaco analgesico e antinfiammatorio
per curare i cavalli sportivi.
L’ordinanza,
con validità di 12 mesi a decorrere dal 12 aprile 2013, giorno successivo alla
sua pubblicazione in gazzetta ufficiale, ha dettato norme sulla identificazione sanitaria degli equidi
da parte del Servizio veterinario dell’ASL competente per territorio e sulla
registrazione delle movimentazioni
temporanee degli equidi. Da ultimo, la predetta ordinanza è stata prorogata
di 12 mesi con l’ordinanza 29 marzo 2016 (GU n. 82 dell’8 aprile 2016).
Per partecipare agli scambi, gli equidi dovrebbero soddisfare taluni requisiti di polizia sanitaria volti sia ad evitare la propagazione di malattie infettive o contagiose, sia a definire le condizioni di benessere degli animali durante il loro trasporto. Pertanto, per garantire il rispetto dei requisiti previsti, si indica l’opportunità di prescrivere il rilascio da parte di un veterinario ufficiale di un certificato sanitario destinato ad accompagnare gli equidi fino al luogo di destinazione. In proposito, si considera non opportuno il rilascio dell’autorizzazione alle importazioni in provenienza da paesi colpiti, o esenti da poco tempo, da malattie infettive e contagiose. Peraltro, la presentazione, al momento dell’importazione degli equidi, di un certificato conforme a un modello comune è considerata quale mezzo efficace di accertamento dell’applicazione della regolamentazione comunitaria.
La direttiva in recepimento, in particolare, fissa le regole per i movimenti di equidi tra gli Stati membri con riferimento all’ispezione, all’identificazione, alla spedizione in provenienza da territori non indenni da peste equina, ai controlli degli Stati membri e degli esperti veterinari della Commissione europea (Capo II, articoli 3-10) e quelle per le importazioni di equidi da paesi terzi (Capo III, articoli 11-19), prevedendo inoltre una possibile regionalizzazione delle misure restrittive per le importazioni da paesi terzi (Capo III, articoli 12-14).
In dettaglio, gli articoli 1 e 2 della direttiva fissano, rispettivamente, l’ambito e le definizioni dei termini contenuti nella direttiva, chiarendo, tra l’altro, che per “azienda” si intende l’azienda agricola o di addestramento, la stalla o, in generale, qualsiasi locale o impianto in cui siano tenuti o allevati abitualmente equidi; questi ultimi sono definiti come animali domestici o selvatici della specie equina – comprese le zebre – o asinina o gli animali derivati dall’incrocio di tali specie.
All’interno del Capo II si sottolinea, in particolare, l’articolo 4 in cui si stabilisce che gli equidi non devono presentare, al momento dell’ispezione, alcun segno clinico di malattia. L’ispezione deve essere effettuata nelle 48 ore precedenti l’imbarco o il carico, con alcune eccezioni per gli equidi registrati che applicano un regime alternativo di controllo, ai sensi dell’art. 6. Si segnala inoltre che l’art. 10 prevede che gli esperti veterinari della Commissione possano procedere a controlli in loco, per assicurare l’applicazione uniforme della direttiva e in collaborazione con le autorità nazionali competenti.
Al Capo III sono contenute, come sopra accennato, norme per l’autorizzazione specifica dell’importazione di equidi. In particolare, l’articolo 12 prevede che l’importazione intracomunitaria è autorizzata unicamente in provenienza da paesi terzi autorizzati in un elenco da stilare o modificare secondo quanto previsto dall’art. 21, par. 2 della stessa direttiva. In base alla procedura ivi prevista, alla luce della situazione sanitaria nel paese terzo interessato e delle garanzie da esso fornite, si può decidere circa il rilascio dell’autorizzazione; vengono inoltre dettati i criteri di cui tenere conto nell’elaborazione e modifica del predetto elenco.
Ai sensi dell’art. 16, in particolare, si stabilisce che gli equidi devono essere identificati in base al sopra citato articolo 4 ed essere scortati da un certificato sanitario compilato da un veterinario ufficiale del paese terzo esportatore.
Il Capo IV, infine, detta alcune disposizioni finali, di raccordo con la normativa vigente.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
In materia non risultano ulteriori documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea.
Direttiva
2014/26/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 26 febbraio 2014, sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei
diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti
su opere musicali per l’uso online nel mercato interno (termine di recepimento 10
aprile 2016); (termine di recepimento 10 aprile 2016)
La direttiva 2014/26/UE origina dalla necessità di migliorare il funzionamento degli organismi di gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi[53], nonché di adeguare il sistema di concessione delle licenze per l’uso on line delle opere musicali all’ubiquità del mondo online, in un’ottica multiterritoriale.
Nello specifico, il considerando 5 evidenzia che esistono notevoli differenze fra le normative nazionali che disciplinano il funzionamento degli organismi di gestione collettiva, in particolare per quanto riguarda la trasparenza e la responsabilità nei confronti dei membri e dei titolari dei diritti, e che i problemi nel funzionamento degli stessi organismi comportano inefficienze nello sfruttamento dei diritti d’autore e dei diritti connessi, a scapito dei loro membri, dei titolari dei diritti e degli utenti.
Anche la raccomandazione 2005/737/CE della Commissione, sulla gestione transfrontaliera collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi nel campo dei servizi musicali online autorizzati – che ha promosso un nuovo quadro di regolamentazione stabilendo, tra l’altro, la possibilità per i titolari dei diritti di scegliere liberamente l’organismo di gestione collettiva, la parità di trattamento delle categorie di titolari di diritti e l’equa distribuzione delle royalty –, ha avuto, come evidenzia il considerando 6, un seguito disomogeneo. La raccomandazione, dunque, non è stata sufficiente a favorire un’ampia diffusione delle licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali online, tanto che nel settore la gestione collettiva dei diritti d’autore su base territoriale resta la norma (considerando 39 e 40).
Pertanto, al fine di proteggere gli interessi dei membri degli organismi di gestione collettiva, dei titolari dei diritti e di terzi, la direttiva interviene per assicurare garanzie equivalenti in tutta l’Unione Europea (considerando 7).
Peraltro, nel coordinare le normative nazionali sull’accesso all’attività di gestione dei diritti d’autore e dei diritti connessi, anche al fine di garantire standard elevati in materia di governance, gestione finanziaria e trasparenza degli organismi di gestione collettiva, da un lato fa salva – nei considerando 8 e 9 - la possibilità che gli Stati membri prevedano standard più rigorosi, purché compatibili con il diritto dell’Unione, dall’altro dispone – nei considerando 15 e 19 - che i titolari dei diritti dovrebbero essere liberi di poter scegliere l’organismo di gestione collettiva o l’entità di gestione indipendente cui affidare la gestione dei propri diritti[54].
La direttiva trae origine
dalla proposta COM(2012)372, con riferimento alla
quale, nel corso della XVI legislatura, la 14^ Commissione del Senato aveva
approvato la risoluzione DOC XVIII-bis, n. 85, con cui, pur nell’ambito
di una valutazione globalmente positiva del provvedimento e dei suoi principi
ispiratori, aveva messo in evidenza taluni elementi potenzialmente
problematici.
In data 28 maggio 2013, la
Commissione europea aveva inviato una lettera di risposta, in cui forniva una serie
di chiarimenti ai rilievi formulati dal Senato.
In particolare, la direttiva contiene disposizioni – Titoli I, II, IV, ad eccezione degli artt. 34, par. 2, e 38, e V – che si applicano a tutti gli organismi di gestione collettiva stabiliti nell’UE, ed altre disposizioni – Titolo III e artt. 34, par. 2, e 38 del Titolo IV – che si applicano unicamente agli organismi di gestione collettiva stabiliti nell’UE che gestiscono diritti d’autore su opere musicali per l’uso online su base multiterritoriale (art. 2).
Più nello specifico, il Titolo II (Organismi di gestione collettiva) dispone che il titolare dei diritti è libero di affidarne la gestione – anche limitata a talune categorie di diritti o di opere – ad un organismo di gestione collettiva di propria scelta, indipendentemente dallo Stato membro di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell’uno o dell’altro (art. 5).
Al
riguardo, il considerando 14
evidenzia che la direttiva non impone agli organismi di gestione collettiva di
adottare una forma giuridica specifica,
ricordando che, nella pratica, tali organismi assumono diverse forme
giuridiche, con riferimento alle quali, in taluni casi, è assente anche
l’elemento della proprietà o del controllo da parte dei titolari di diritti (ad
esempio, nel caso delle fondazioni, che non hanno membri). Tuttavia, chiarisce
che le disposizioni della direttiva si applicano anche a tali organismi e
auspica che gli Stati membri attuino misure adeguate a evitare che la scelta
della forma giuridica permetta di aggirare gli obblighi previsti dalla stessa
direttiva.
I requisiti di adesione all’organismo devono basarsi su criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori. Inoltre, devono essere previsti meccanismi adeguati ed efficaci di partecipazione dei membri al processo decisionale, assicurando una rappresentanza equa ed equilibrata delle diverse categorie (art. 6).
Sotto questo profilo, si prevede che l’assemblea generale dei membri - nella quale tutti i membri esercitano il diritto di voto, salve restrizioni decise dai singoli Stati sulla base dei criteri indicati dalla direttiva[55], stabiliti e applicati in modo equo e proporzionato - deve essere convocata almeno una volta all’anno e deve decidere, fra l’altro, sulle politiche generali riguardanti la distribuzione degli importi dovuti ai titolari dei diritti, l’uso degli importi non distribuibili, gli investimenti, la gestione dei rischi, nonché sull’approvazione di fusioni e alleanze, la costituzione di controllate, l’acquisizione di partecipazioni o diritti in altre entità (art. 8).
Ogni organismo di gestione collettiva dispone di una funzione di sorveglianza, che si occupa di monitorare l’esercizio delle sue attività di gestione e, in particolare, l’attuazione delle decisioni dell’assemblea generale dei membri. Anche nell’organo che svolge la funzione di sorveglianza deve essere assicurata una rappresentanza equa ed equilibrata delle diverse categorie di membri (art. 9)[56].
Disposizioni specifiche sono volte ad evitare o, quantomeno, a rendere pubblici gli eventuali conflitti di interesse (artt. 9 e 10).
Con riferimento alla gestione dei proventi dei diritti, la direttiva prescrive, anzitutto, la separazione, dal punto di vista contabile, fra gli stessi (nonché le entrate derivanti dal loro eventuale investimento) e i proventi derivanti, fra l’altro, da attività proprie dell’organismo di gestione.
Dispone, inoltre, che, qualora gli organismi di gestione collettiva investono i proventi dei diritti, devono agire nel miglior interesse dei titolari degli stessi, garantendo, fra l’altro, la sicurezza, la liquidità e la redditività del portafoglio nel suo insieme (art. 11).
I proventi devono essere distribuiti non oltre nove mesi dalla fine dell’esercizio finanziario nel corso del quale sono stati riscossi, a meno che sussistano ragioni oggettive, collegate, fra l’altro, all’identificazione dei diritti o dei loro titolari.
Gli importi che non sia stato possibile distribuire sono considerati non distribuibili dopo tre anni. L’utilizzo di tali importi è deciso dall’assemblea generale dei membri, fatta salva la possibilità per gli Stati membri di limitarne o determinarne gli usi consentiti, garantendo, tra l’altro, che essi siano utilizzati per finanziare attività sociali, culturali ed educative a beneficio dei titolari dei diritti (art. 13).
Con riguardo alla concessione di licenze sui diritti, la direttiva stabilisce, in particolare, che le condizioni di concessione devono essere basate su criteri oggettivi e non discriminatori. Prevede, altresì, che i titolari dei diritti devono ricevere una remunerazione adeguata e che le tariffe relative all’uso dei diritti devono essere ragionevoli in rapporto, fra l’altro, al valore economico dell’utilizzo dei diritti negoziati, nonché alla natura e alla portata dell’uso delle opere (art. 16).
Infine, la direttiva prevede specifici obblighi di trasparenza e informazione, non solo nei confronti dei titolari dei diritti, fra i quali rientra la predisposizione di una relazione di trasparenza annuale, che è approvata dall’assemblea generale dei membri. La relazione annuale contiene, tra l’altro, i documenti di bilancio e una relazione sulle attività svolte nell’esercizio (artt. 18-22).
Il Titolo III (Concessione di licenze multiterritoriali per i diritti sulle opere musicali online da parte di organismi di gestione collettiva), stabilisce i requisiti che gli organismi di gestione collettiva devono soddisfare per poter concedere licenze multiterritoriali (art. 23).
In primis, essi devono avere capacità sufficienti per trattare per via elettronica, in modo efficiente e trasparente, i dati necessari per la gestione di tali licenze, anche ai fini di identificare il repertorio e controllarne l’uso, fatturare gli utilizzatori, riscuotere i proventi dei diritti e distribuire gli importi dovuti ai titolari degli stessi (art. 24).
Ulteriori prescrizioni riguardano, tra l’altro, la trasparenza e la correttezza delle informazioni sui repertori musicali, nonché la fatturazione ai fornitori di servizi e il pagamento dei titolari dei diritti. Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, si prevede che gli organismi di gestione collettiva distribuiscono gli importi dovuti in modo corretto e immediatamente dopo la dichiarazione dell’uso effettivo delle opere, tranne nei casi in cui ciò non sia possibile per motivi imputabili al fornitore di servizi online (artt. 25-28).
Eventuali accordi di rappresentanza tra diversi organismi di gestione collettiva, in virtù dei quali un organismo incarica un altro organismo di concedere licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali on line del proprio repertorio musicale, non hanno natura esclusiva. Peraltro, un organismo che già concede licenze multiterritoriali per la stessa categoria di diritti su opere musicali online del repertorio di uno o più altri organismi, non può rifiutarsi di stipulare un ulteriore accordo di rappresentanza (artt. 29-30).
I requisiti stabiliti dal Titolo III non si applicano agli organismi di gestione collettiva che concedono licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali online richiesti da un’emittente radiotelevisiva per consentire la diffusione online, in diretta o in differita, di propri programmi televisivi o radiofonici, ovvero di ogni altro materiale ad essi accessorio, pur se trasmesso precedentemente (art. 32).
Al
riguardo, il considerando 48 ricorda
che, di
norma, gli organismi di diffusione
radiotelevisiva operano, per le loro trasmissioni radiofoniche e televisive in
cui si usano opere musicali, in base a una licenza concessa da un organismo di
gestione collettiva, spesso limitata alle attività di diffusione
radiotelevisiva. Al fine di agevolare la diffusione anche online, in diretta e
in differita, dei medesimi programmi radiotelevisivi, è necessario prevedere
una deroga alle norme che si applicano alla concessione multiterritoriale di
una licenza per i diritti su opere musicali online.
Il Titolo IV, nel quale, come ante visto, sono ricompresi gli artt. artt. 34, par. 2, e 38, applicabili solo agli organismi di gestione collettiva che gestiscono diritti d’autore su opere musicali per l’uso online su base multiterritoriale:
§ stabilisce che gli organismi di gestione collettiva individuino procedure efficaci e tempestive per il trattamento dei reclami, anche attraverso procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie (art. 33-35);
§ prescrive il rispetto, da parte degli organismi di gestione collettiva, delle disposizioni di diritto interno adottate in base alla direttiva, attraverso il controllo delle autorità competenti designate dagli Stati membri che, a tal fine, possono imporre sanzioni e adottare misure in caso di inosservanza. Le autorità competenti devono essere notificate alla Commissione entro il termine per il recepimento della direttiva (art. 36);
§ disciplina i meccanismi di cooperazione per lo sviluppo di licenze multiterritoriali, disponendo, in particolare, che le autorità competenti trasmettono alla Commissione UE, entro il 10 ottobre 2017, una relazione sulla situazione e sullo sviluppo delle licenze nel proprio territorio, che contiene anche informazioni sull’applicazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della direttiva (art. 38).
Il Titolo V (Relazioni e disposizioni finali) dispone, in
particolare, che, entro il medesimo
termine per il recepimento della direttiva, gli Stati membri forniscono alla
Commissione UE un elenco degli organismi
di gestione collettiva con sede sul proprio territorio (art. 39).
Inoltre, prevede che entro il 10 aprile 2021 la Commissione valuta l’applicazione della direttiva
e trasmette al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull’applicazione della stessa, che include anche
l’eventuale necessità di una revisione (art.
40).
Infine, istituisce un gruppo di esperti, composto da rappresentanti delle autorità competenti e presieduto da un rappresentante della Commissione, con compiti sostanzialmente consultivi e di studio (art. 41).
Il termine per il recepimento della direttiva da parte dei singoli Stati membri è fissato al 10 aprile 2016.
Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
La Commissione europea nel corso del 2015 ha adottato
alcuni importanti provvedimenti concernenti la materia del diritto d’autore. In particolare, si evidenziano due comunicazioni,
alle quali hanno fatto seguito due proposte legislative:
- la comunicazione COM(2015)192, recante la Strategia per il mercato unico digitale in Europa, che fa riferimento ad una disciplina moderna e più europea del diritto d'autore. Come rilevato dalla Commissione, soprattutto per i programmi audiovisivi resistono le barriere che impediscono l’accesso oltre frontiera ai servizi contenutistici protetti dal diritto d’autore. Il consumatore si trova spesso impossibilitato ad usare oltre frontiera servizi contenutistici (ad esempio, servizi video) acquistati nel paese d’origine. Secondo i dati della Commissione, nell’UE è accessibile oltre frontiera meno del 4 per cento di tutti i contenuti di video a richiesta. A tal fine, la Commissione preannuncia la presentazione di proposte legislative volte ad eliminare le differenze fra i diversi regimi normativi nazionali del diritto d’autore, al fine di ampliare l’accesso online alle opere in tutta l’UE. La Commissione annuncia, inoltre, che procederà anche al riesame della direttiva sulla trasmissione via satellite e via cavo per valutare l’opportunità di estenderla alle trasmissioni online;
- la comunicazione COM(2015)626, che presenta i piani della Commissione relativi al copyright. In particolare, essa identifica tre aree di azione: localizzazione del copyright per migliorare l’accesso e la disponibilità di servizi online nell’UE; deroghe alle regole sul copyright; regole applicabili agli intermediari online.
Nell'ambito della Strategia per il mercato unico digitale,
la Commissione europea ha presentato poi le seguenti proposte legislative:
- la proposta di regolamento COM(2015)627, relativa alla portabilità transfrontaliera dei servizi di contenuti online nel mercato interno, volta a garantire che gli abbonati a servizi di contenuti online nell'Unione europea, quando siano temporaneamente presenti in uno Stato membro diverso da quello di residenza, abbiano accesso a tali servizi e possano fruirne;
- la proposta di direttiva COM(634)2015, riguardante la fornitura di contenuti digitali, che persegue lo scopo di armonizzare determinati aspetti dei contratti di fornitura, con particolare riferimento ai rimedi a tutela del consumatore in caso di difetti del prodotto.
Le misure preannunciate dalla Commissione per la
modernizzazione del diritto d'autore dovrebbero, invece, essere presentate nei
prossimi mesi.
Non risultano procedure di infrazione in atto a carico
dell'Italia.
Direttiva 2014/92/UE
del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 23 luglio 2014, sulla comparabilità delle spese relative al
conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull’accesso al
conto di pagamento con caratteristiche di base (termine di recepimento 18
settembre 2016)
Per la descrizione analitica
del contenuto della direttiva 2014/92/UE, si rinvia alla scheda di lettura
dell’articolo 13 (v. infra) contenente i principi e
criteri direttivi specifici di delega.
Direttiva (UE) 2015/637
del Consiglio, del 20 aprile 2015, sulle
misure di coordinamento e cooperazione per facilitare la tutela consolare dei
cittadini dell’Unione non rappresentati nei Paesi terzi e che abroga la
decisione 95/553/CE (termine di recepimento 1° maggio 2018)
Per la descrizione analitica del contenuto della direttiva (UE) 2015/637, si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 5 (v. infra) contenente i principi e criteri direttivi specifici di delega.
Direttiva (UE) 2015/652
del Consiglio, del
20 aprile 2015, che stabilisce i metodi di calcolo e gli obblighi di
comunicazione ai sensi della direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel (termine di recepimento 21aprile 2018)
La direttiva (UE) 2015/652 stabilisce le modalità per dare attuazione alle prescrizioni della direttiva 98/70/CE che definisce le specifiche tecniche applicabili ai carburanti per i veicoli stradali, le macchine mobili non stradali, i trattori agricoli e forestali e le imbarcazioni da diporto quando non sono in mare.
L'articolo 7-bis della direttiva 98/70/CE contiene misure in materia di riduzione
delle emissioni di gas a effetto serra, stabilendo l'obbligo per gli Stati
membri di designare fornitori di carburante competenti a monitorare e a
segnalare le emissioni di tale prodotte durante il ciclo di vita dovute ai
carburanti e all'energia fornite (paragrafo1). A partire dal 2011 i fornitori
devono inoltre trasmettere con cadenza annuale all'autorità designata dal
rispettivo Stato membro una relazione sull'intensità delle emissioni dei gas a
effetto serra dei combustibili e dell'energia forniti in ciascuno Stato. Essi
dovranno poi ridurre del 6%, con eventuali obiettivi intermedi, l'intensità dei
gas delle emissioni di gas a effetto serra entro il 31 dicembre 2020. Sono
previsti obiettivi supplementari
indicativi fino a giungere ad una riduzione del 10% (paragrafo 2). Inoltre,
l'articolo 8 stabilisce l'obbligo per gli Stati membri di presentare entro il
31 dicembre di ogni anno una comunicazione sui dati nazionali relativi alla
qualità dei combustibili utilizzati per il trasporto stradale nell'anno civile
precedente.
L'articolo 3 della direttiva (UE) 2015/652 reca, in particolare, misure riguardanti il metodo di calcolo che dovrà essere applicato dai fornitori nonché lo standard da utilizzare ai fini della comunicazione dei dati. Tale metodo deve produrre comunicazioni sufficientemente precise da consentire alla Commissione europea di valutare criticamente le prestazioni dei fornitori in merito ai loro obblighi.
Per il metodo di calcolo si rinvia all'allegato I, che specifica quali sono i gas a effetto serra considerati ai fini dello stesso (biossido di carbonio, protossido di azoto e metano) e identifica la formula da applicare. Tale formula, al fine di incentivare ulteriori riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra, tiene conto anche dei risparmi dichiarati per le riduzioni delle emissioni a monte (Upstream Emission Reductions - UER).
Quanto agli obblighi di comunicazione per i fornitori, ossia le PMI, questi saranno ridotti al minimo. I dati saranno trasmessi con cadenza annuale secondo il formato armonizzato indicato nell'allegato IV.
L'articolo 5 della direttiva rimanda all'allegato III per l'ottemperanza degli obblighi di comunicazione di cui all'articolo 8 della direttiva 98/70/CE.
I dati da comunicare, che riflettono le successive modifiche apportate alla direttiva 98/70/CE, includono il tipo di combustibile o energia, il volume o quantità di elettricità, l'intensità delle emissioni di gas a effetto serra, le UER, l'origine e il luogo di acquisto.
Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 21 aprile 2017.
Iter di approvazione
La direttiva deriva da una proposta presentata dalla
Commissione europea il 6 ottobre 2014 (COM(2014)617)
sulla quale né la Camera dei deputati né il Senato hanno approvato atti di
indirizzo.
Il 22 luglio 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione 2015/0307) per mancato recepimento della direttiva 2014/77/UE, recante modifica degli allegati I e II della direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel. Il termine previsto per il recepimento era l’11 giugno 2015.
Direttiva (UE) 2015/720
del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la
riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero (termine di
recepimento 27 novembre 2016);
La direttiva (UE) 2015/720 stabilisce le modalità e gli obiettivi per ridurre il consumo di borse di plastica in materiale leggero. L'articolo 1 contiene le modifiche da apportare a tale scopo alla direttiva 94/62/CE.
La prima modifica è volta ad inserire nella direttiva 94/62/CE alcune definizioni, tra cui quelle di "borse di plastica in materiale leggero" e di "borse di plastica in materiale ultraleggero" identificate come borse di plastica aventi lo spessore rispettivamente di 50 e 15 micron. E' aggiunta anche la definizione di "borse di plastica oxo-degradabili", ovvero borse composte da materie plastiche che contengono additivi che catalizzano la scomposizione della materia plastica in microframmenti.
La seconda modifica inserisce nella direttiva 94/62/CE l'obbligo per gli Stati membri di adottare le misure necessarie atte a conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. Tali misure possono includere obiettivi di riduzione nazionali, restrizioni all'uso o misure finanziarie e possono variare a seconda dell'impatto ambientale che tali borse hanno quando sono recuperate o smaltite, delle loro proprietà di compostabilità, della loro durata o dell'uso specifico previsto. Le misure dovranno includere l'una o entrambe le seguenti opzioni: definire un consumo annuale massimo di 90 borse di plastica in materiale leggero pro capite entro il 31 dicembre 2019 e di 40 entro il 31 dicembre 2025 e garantire che entro il 31 dicembre 2018 le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti. Dal 27 maggio 2018 gli Stati membri, nel fornire alla Commissione europea i dati sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio di cui alla direttiva 94/62/CE, dovranno riferire anche in merito all'utilizzo annuale di borse di plastica in materiale leggero. Inoltre, insieme alla Commissione europea, dovranno incoraggiare campagne d'informazione e di sensibilizzazione, soprattutto nel primo anno successivo al termine fissato per il recepimento della direttiva (UE) 2015/720.
La terza modifica contiene misure specifiche per le borse di plastica biodegradabili e compostabili e prevede che entro il 27 maggio 2017 la Commissione europea elabori norme sulle etichette e i marchi per l'identificazione di tali borse. Tali norme dovranno essere attuate dagli Stati membri al più tardi entro 18 mesi dalla loro adozione.
L'ultima modifica alla direttiva 94/62/CE introduce l'obbligo per la Commissione europea di relazionare al Parlamento europeo e al Consiglio, nei tempi stabiliti, in merito all'impatto ambientale dell'utilizzo delle varie tipologie di borse di plastica (borse in materiale leggero, ultraleggero e borse oxo-degradabili). E' prevista, se opportuno, la possibilità di presentare proposte legislative volte a ridurne il consumo.
Il termine per il recepimento è stato fissato al 27 novembre 2016.
Iter di
approvazione
La direttiva deriva da una proposta presentata dalla
Commissione europea il 4 novembre 2013 (COM(2013)761),
sulla quale il 17 dicembre 2013 la 13a Commissione permanente
(Territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato della Repubblica ha
approvato una risoluzione (Doc XVIII n. 39)
in cui si è espressa in senso favorevole, al contempo suggerendo di escludere
dalla definizione di "borse di plastica in materiale leggero" le
borse di plastica compostabile conformi alla norma armonizzata UNI EN
13432:2002 e di integrare l'obiettivo della riduzione del consumo di borse di
plastica di materiale leggero con quello della sostituzione con borse
riutilizzabili ovvero con borse realizzate in plastica compostabile.
Il 25 marzo 2014 la Commissione europea ha inviato una
risposta
fornendo alcuni chiarimenti circa le osservazioni formulate dalla 13a
Commissione.
Procedure
di contenzioso
In materia di utilizzo di sacchetti di plastica, si ricorda che è tuttora in corso la procedura di infrazione n. 2011/4030, giunta alla fase della messa in mora complementare, avviata per la eccepita incompatibilità con il diritto UE del divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili per asporto di merci, introdotto nell’ordinamento italiano dalla legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) a decorrere dal 1° gennaio 2011.
In particolare, risulterebbe violato l’articolo 18 della direttiva 94/62/CE, che - fino all’entrata in vigore delle modifiche introdotte con la direttiva (UE) 2015/720 - reca il divieto per gli Stati membri di ostacolare l’immissione sul mercato di imballaggi conformi alle disposizioni della direttiva.
Successivamente le autorità italiane hanno trasmesso il testo dell’articolo 2 del DL n. 2/2012 che prevedeva una sospensione del divieto di commercializzazione limitata ad alcune
tipologie, giudicata tuttavia una misura non proporzionata dalla Commissione.
Infatti secondo la Commissione, la sospensione del divieto limitatamente ad alcune tipologie di sacchetti di plastica con determinate caratteristiche, non rientranti tra i requisiti essenziali definiti dalla direttiva, non è conforme al diritto europeo in quanto la direttiva medesima non consente agli Stati membri di condizionare la commerciabilità degli imballaggi né alla conformità a norme autorizzate (come la UNI EN 13432:2002 prevista dal DL n. 2/2012), né a requisiti di spessore minimo, né alla presenza di una percentuale minima di plastica riciclata nella composizione degli imballaggi.
Risulta, inoltre, che la Commissione europea abbia ipotizzato un'ulteriore violazione della normativa comunitaria ed inviato una richiesta di informazioni al Governo tramite il sistema "EU Pilot".
In particolare, nell’ambito
del Caso EU Pilot 8311/16/GROW,
avviato nel febbraio 2016, sono stati chiesti chiarimenti in merito alle
summenzionate misure nazionali, con riferimento all’adeguatezza agli obiettivi perseguiti, alla giustificazione e alla proporzionalità
sotto il profilo della libera circolazione delle merci nel mercato interno, al
fine di valutare se tali misure possano ritenersi giustificate da motivi di interesse generale, ai sensi
dell'articolo 36 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE).
La direttiva 2015/720/UE, infatti (art. 1-bis, commi 1 e 2), consente misure di restrizioni alla commercializzazione, proporzionate e non discriminatorie, solo per le "borse di plastica in materiale leggero". Queste ultime sono definite, ai sensi del punto 1-quater) della direttiva 94/62/CE, come "borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron".
In Italia, invece, vige un divieto di
commercializzazione delle borse "non biodegradabili" (articolo 1,
commi 1129 e 1130, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), dicitura che può
comprendere anche tipologie diverse da quelle previste nella normativa
dell'Unione.
Direttiva (UE) 2015/849
del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 20 maggio 2015, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario
a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica il
regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che
abroga la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la
direttiva 2006/70/CE della Commissione (termine di recepimento 26 giugno 2017)
Per la descrizione analitica del contenuto della direttiva (UE) 2015/849, si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 14 (v. infra) contenente i principi e criteri direttivi specifici di delega.
La direttiva (UE) 2015/1513 del 9
settembre 2015 modifica la direttiva 98/70/CE sulla qualità della benzina e del combustibile
diesel e la direttiva 2009/28/CE sulle energie rinnovabili al fine di avviare
la transizione verso i biocarburanti limitando la possibile incidenza di gas ad
effetto serra di origine antropica dovuti al cambiamento indiretto della
destinazione dei terreni.
Le due direttive in questione hanno posto in capo agli Stati
membri obblighi di:
- ridurre fino al 10% entro il 2020 l'intensità delle emissioni di gas a effetto serra (art. 7-bis, par. 2, direttiva 98/70/CE).
- raggiungere nel 2020, al livello degli Stati membri, una quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto pari al 10% del consumo finale di energia (art. 3, par. 4, direttiva 2009/28/CE).
- Esse, inoltre, hanno fissato criteri di sostenibilità per i biocarburanti e i bioliquidi affinché siano conteggiati ai fini della riduzione dei gas a effetto serra. Poiché è probabile che i biocarburanti contribuiscano in maniera significativa al raggiungimento dei suddetti obiettivi e dato che la loro produzione parte da colture che sfruttano superfici già destinate all'agricoltura, la direttiva (UE) 2015/1513 modifica le due direttive includendo alcune disposizioni volte a fronteggiare l'impatto del cambiamento della destinazione dei terreni. E' fondamentale, infatti, che la produzione di biocarburanti avvenga in maniera sostenibile: l'aumento delle coltivazioni non può avvenire in maniera indiscriminata poiché le emissioni di gas a effetto serra legate al cambiamento di destinazione dei terreni possono annullare, in tutto o in parte, le riduzioni delle emissioni legate all'uso dei carburanti.
La direttiva (UE) 2015/1513 mira quindi a: limitare il
contributo apportato dai biocarburanti convenzionali al raggiungimento degli
obiettivi fissati dalla direttiva 2009/28/CE; incoraggiare una maggiore
penetrazione nel mercato dei biocarburanti avanzati consentendo loro di
contribuire maggiormente agli obiettivi stabiliti dalla direttiva 2009/28/CE
rispetto ai biocarburanti convenzionali; migliorare le prestazioni in termini
di gas a effetto serra dei processi di produzione di biocarburante; migliorare
la comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra obbligando gli Stati
membri e i fornitori di carburante a dare conto delle filiere di produzione dei
biocarburanti, dei volumi e delle emissioni di gas ad effetto serra prodotte
durante il ciclo di vita per unità di energia.
La direttiva tutela gli investimenti già in atto fino al
2020. Dopo tale periodo, i biocarburanti che non consentono una riduzione
sostanziale dei gas a effetto serra e che sono prodotti da colture utilizzate
per la produzione di alimenti e di mangimi (da cereali e da altre colture
amidacee, zuccherine e oleaginose) non dovranno essere sovvenzionati.
Si intende così
preparare la transizione verso i biocarburanti
avanzati e ridurre al minimo le ripercussioni globali sul cambiamento
indiretto della destinazione dei terreni. I biocarburanti avanzati provengono da alghe o da rifiuti e presentano
un rischio limitato di determinare un cambiamento indiretto della destinazione
dei terreni, non essendo in competizione diretta con le colture destinate
all'alimentazione umana o animale.
La direttiva incoraggia quindi il potenziamento delle attività di ricerca, sviluppo e produzione di tali biocarburanti invitando gli Stati membri a promuoverne il consumo nel proprio territorio e a darne conto alla Commissione europea. Nella produzione dei biocarburanti avanzati gli Stati membri dovranno rispettare il principio della gerarchia dei rifiuti, portando avanti la migliore opzione ambientale.
Al fine tra l'altro di dissuadere ulteriori investimenti in impianti con prestazioni ridotte in termini di gas a effetto serra la direttiva determina l'aumento della soglia minima di riduzione (pari ad almeno il 60%) delle emissioni di gas ad effetto serra applicabile a biocarburanti e bioliquidi prodotti nei nuovi impianti a partire dal 5 ottobre 2015.
Per evitare di incentivare l'aumento deliberato della produzione di residui della lavorazione a scapito del prodotto principale, la direttiva introduce anche una definizione di residuo della lavorazione che esclude i residui che derivano da un processo di produzione deliberatamente modificato a tale fine.
Inoltre stabilisce nuovi incentivi per stimolare
l'utilizzo di elettricità da
fonti rinnovabili nel settore dei
trasporti e aumenta i fattori di moltiplicazione per il calcolo del contributo
dell'elettricità da fonti rinnovabili consumata dal trasporto elettrico
(ferroviario e stradale).
- Il termine per il recepimento da parte degli Stati membri è fissato al 10 settembre 2017.
La direttiva trae origine dalla proposta presentata dalla Commissione europea il 17 ottobre 2012 (COM(2012)595)[57], sulla quale la 13a Commissione (territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato della Repubblica ha emesso una risoluzione (DOC XVIII n. 182) in cui si è espressa in senso favorevole formulando alcune osservazioni. La Commissione europea ha risposto il 19 luglio 2013.
Il 25 febbraio 2016 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura di infrazione 2015/0307) per mancato recepimento della direttiva 2014/77/UE, recante modifica degli allegati I e II della direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel. Il termine previsto per il recepimento era l’11 giugno 2015.
La direttiva (UE) 2015/2193 stabilisce norme per il controllo delle emissioni nell'aria di biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx) e polveri, al fine di ridurre le emissioni e i rischi potenziali per la salute umana e per l'ambiente, nonché per il monitoraggio delle emissioni di monossido di carbonio (CO) (art. 1).
Le norme si applicano a impianti di combustione medi, ovvero che abbiano una potenza termica nominale pari o superiore a 1 MW e inferiore a 50 MW (art. 2, par. 1), ma anche ad un eventuale insieme formato da nuovi impianti di combustione medi con potenza termica nominale totale pari o superiore a 50 MW (art. 2, par. 2, e art. 4). Il combustibile utilizzato è ritenuto irrilevante.
I valori limite di emissione sono fissati nell'Allegato II. Possibilità di esenzione (ad esempio per impianti che non funzionano per più di 500 ore operative all'anno) sono disciplinate dall'art. 6.
L'art. 5 stabilisce, in via generale, l'obbligo di autorizzazione o registrazione, a cura degli Stati membri, per ogni nuovo impianto di combustione medio. Per i pre-esistenti il requisito dell'autorizzazione o registrazione decorrerà (art. 5, par. 2):
1) dal 1° gennaio 2024 per gli impianti con potenza termica nominale superiore a 5 MW;
2) dal 1° gennaio 2029 per quelli con potenza termica nominale inferiore o pari a 5 MW.
Anche il monitoraggio delle emissioni rientra tra gli obblighi degli Stati membri (art. 7 ed Allegato III). Questi dovranno organizzare "un sistema efficace, basato su ispezioni ambientali o altre misure, per accertare la conformità ai requisiti della presente direttiva" (art. 8, par. 2) al fine di verificare che i valori delle emissioni monitorate non superino i valori limite fissati nell'Allegato II (art. 8, par. 1).
Un'Autorità competente deve essere individuata, al livello nazionale, in quanto ente responsabile per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva (art. 10).
L'art. 11 pone in capo agli Stati una serie di obblighi di relazione alla Commissione europea sull'attuazione delle norme in esame. Dal canto suo, la Commissione è incaricata (art. 12) di effettuarne, tra il 2020 ed il 2023, un riesame alla luce del progresso tecnologico, di presentare in merito una relazione ed un'eventuale proposta legislativa.
Gli articoli 13-15 permettono alla Commissione europea di adottare atti delegati e atti di esecuzione.
Ai sensi dell'art. 16 gli Stati membri dovranno stabilire le norme relative alle sanzioni - effettive, proporzionate e dissuasive - applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate conformemente alla direttiva.
Il termine per il
recepimento è fissato dall'art. 17 per il 19 dicembre 2017.
Iter di approvazione
La direttiva ha avuto origine da una proposta della Commissione europea, contenuta nel documento COM(2013) 919[58].
L'atto è stato oggetto di esame da parte della 13a Commissione permanente del Senato della Repubblica, la quale ha approvato, il 5 marzo 2014, una risoluzione favorevole, evidenziando l’opportunità di adottare specifiche misure comprensive di azioni, risorse, incentivi fiscali, semplificazione e controlli al fine di permettere un rapido conseguimento degli obiettivi previsti. (documento XVIII, n. 55).
La direttiva (UE) 2015/2376 del Consiglio dell’8 dicembre 2015 interviene sulla materia dello scambio di informazioni nel settore fiscale, in particolare modificando la direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni concernenti i ruling preventivi transfrontalieri e gli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento.
Si ricorda in breve che l'istituto del tax ruling, o interpello, consente al contribuente di richiedere all'amministrazione finanziaria una valutazione sulla disciplina tributaria applicabile, concretamente, ad un fatto, atto o negozio che lo riguarda. Se ne conosce così, a priori, il giudizio e si evitano, a posteriori, le conseguenze sfavorevoli derivanti da un comportamento rischioso. Posto che nel caso di soggetti operanti in più Stati membri dell'UE la pronuncia dell'Amministrazione finanziaria di uno Stato membro può incidere anche su altri Paesi, la direttiva introduce elementi di trasparenza mediante lo scambio automatico obbligatorio, impedendo di trasferire gli utili imponibili in Stati in cui il regime tributario è più favorevole.
La Direttiva 2011/16/UE prevede già lo scambio spontaneo di informazioni tra gli Stati membri, nei casi di ruling fiscali emanati da uno Stato membro.
Con la direttiva 2015/2376 viene introdotta una definizione più ampia di ruling preventivo transfrontaliero e di accordo preventivo sui prezzi di trasferimento, che comprende ulteriori ipotesi, tra cui:
· gli accordi che determinano l’esistenza o l’assenza di una stabile organizzazione;
· gli accordi o le decisioni che determinano l'esistenza o l'assenza di fatti che possono avere un impatto potenziale sulla base imponibile di una stabile organizzazione;
· gli accordi preventivi unilaterali o multilaterali sui prezzi di trasferimento;
· gli accordi che determinano lo status fiscale di entità ibrida in uno Stato membro, legata ad un residente di un’altra giurisdizione;
· gli accordi o le decisioni sulla base di valutazione per l'ammortamento di un bene in uno Stato membro acquistato da una società di un gruppo in un'altra giurisdizione.
Lo scambio automatico obbligatorio di informazioni dovrà comprendere la comunicazione di una serie determinata di informazioni di base, da rendere accessibili a tutti gli Stati membri, sulla base di un apposito formulario tipo da redigere tenendo conto dei lavori svolti in seno al forum dell'OCSE sulle pratiche fiscali dannose.
Sono previsti alcuni accorgimenti: ad esempio, la trasmissione di informazioni non deve comportare la divulgazione di un segreto commerciale, industriale o professionale, di un processo commerciale o la divulgazione di informazioni che sarebbe contraria all'ordine pubblico. Inoltre, per ragioni di certezza del diritto, a condizioni rigorose sono esclusi dallo scambio automatico obbligatorio gli accordi preventivi bilaterali o multilaterali sui prezzi di trasferimento conclusi con paesi terzi, secondo il quadro di trattati internazionali esistenti con tali paesi, qualora le disposizioni di detti trattati non consentano la divulgazione, a un paese terzo che sia parte, delle informazioni ricevute in base al trattato interessato.
E’ previsto che una serie limitata di informazioni di base sia comunicata anche alla Commissione, con la sola finalità di monitorare e valutare l'effettiva applicazione dello scambio automatico obbligatorio di informazioni sui ruling preventivi transfrontalieri e sugli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento.
Il
termine di recepimento scade il 31
dicembre 2016.
La direttiva 2016/97/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 gennaio 2016 sulla distribuzione assicurativa (rifusione) è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 2 febbraio 2016.
La direttiva rifonde e abroga la direttiva 2002/92/CE (IMD1) cambiandone la denominazione da direttiva sull'intermediazione assicurativa a direttiva sulla distribuzione assicurativa (IDD). L'obiettivo principale e l'oggetto della rifusione consistono nell'armonizzare le disposizioni nazionali in materia di distribuzione assicurativa e riassicurativa. Si intende inoltre frenare ulteriormente la frammentazione del mercato UE degli intermediari e dei prodotti assicurativi, stabilire condizioni che favoriscano una concorrenza equa e rafforzare i diritti dei consumatori. Rimane ferma la facoltà degli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più stringenti a tutela dei consumatori, qualora il contesto nazionale lo giustifichi.
La direttiva si applica a tutti i soggetti che distribuiscono prodotti assicurativi e riassicurativi: agenti, mediatori e operatori di «bancassicurazione», imprese di assicurazione, soggetti che gestiscono siti internet di comparazione quando questi consentano di stipulare direttamente o indirettamente un contratto di assicurazione, agenzie di viaggio e autonoleggi (a meno che non siano espressamente esentati).
La nuova direttiva mira altresì a ridurre gli oneri di accesso transfrontaliero e stabilisce un unico sistema di registrazione elettronica per gli intermediari nell'UE.
L'ambito di applicazione della IDD sarà esteso a tutti i canali di distribuzione di prodotti assicurativi, prevedendo anche requisiti proporzionati per i singoli che vendono prodotti assicurativi a titolo accessorio.
La nuova direttiva dovrà essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 23 febbraio 2018.
La direttiva 2016/97/UE si articola in 8 Capi: Ambito di applicazione e definizioni; Requisiti per la registrazione; Libera prestazione di servizi e libertà di stabilimento; Requisiti organizzativi; Obblighi di informazione e norme di comportamento; Requisiti supplementari in relazione ai prodotti di investimento assicurativi; Sanzioni e altre misure; Disposizioni finali.
Essa intende regolamentare la distribuzione dei contratti di assicurazione, compresi i prodotti di investimento assicurativi in maniera allineata rispetto a quanto previsto dalla direttiva 2014/65/UE (MiFID II) con riferimento agli investimenti finanziari.
In relazione agli obblighi di informazione, si prevede che il cliente, prima della stipulazione del contratto, deve essere informato sullo status dei soggetti che vendono i prodotti assicurativi e, in particolare, sul tipo di remunerazione da essi percepito.
Sono previsti degli obblighi specifici per la distribuzione di prodotti di investimento assicurativi, ovverosia quei prodotti assicurativi che presentano una scadenza o un valore di riscatto e tale scadenza o valore di riscatto è esposto, in tutto o in parte, alle fluttuazioni di mercato.
[1] In particolare, l’allegato B elenca le direttive europee per le quali i relativi schemi di atti normativi di recepimento sono da sottoporre al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Negli allegati A e B sono elencate esclusivamente le direttive oggetto della disposizione di delega di cui all’articolo 1, comma 1 del disegno di legge. Non è invece inserita negli allegati la direttiva 2011/91/UE, che è oggetto di autonoma disposizione di delega contenuta all’articolo 4 del disegno di legge.
[2] Direttiva 2014/90/UE sull’equipaggiamento marittimo (art. 14-quater).
[3] L’articolo 12 (soppresso) del
disegno di legge recava principi e criteri direttivi specifici per l’esercizio
della delega legislativa, conferita con la legge di delegazione europea 2014
(legge 9 luglio 2015, n. 114, articolo 1 e allegato B). La delega è stata
esercitata dal Governo con l’Atto n. 256 “Schema di
decreto legislativo recante attuazione
della direttiva 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori
relativi a beni immobili residenziali”, su cui le Commissioni parlamentari
dei due rami del Parlamento hanno espresso i pareri di competenza. Il decreto
legislativo è in corso di pubblicazione.
[4] La precedente direttiva 96/98/CE è stata recepita nell’ordinamento interno in via regolamentare con il D.P.R. 6 ottobre 1999, n. 407 “Regolamento recante norme di attuazione delle direttive 96/98/CE e 98/85/CE relative all'equipaggiamento marittimo”.
[5] Le informazioni fornite dal Governo nella relazione illustrativa al disegno di legge di delegazione europea 2015 (C. 3540) contengono dati aggiornati al 31 dicembre 2014. Con riguardo alle procedure d’infrazione ufficialmente aperte nei confronti dell’Italia, la relazione presenta altresì un aggiornamento alla data del 30 settembre 2015. Quanto alle direttive europee, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea nell’anno 2014, da attuare con decreto ministeriale e non ancora attuate, sono forniti dati ulteriori, aggiornati al 19 agosto 2015.
[6] Il termine è stato esteso da due a quattro mesi dall’articolo 29 della legge n. 115 del 2015 (legge europea 2014).
[7] Si ricorda che il principio di carattere generale enunciato dalla norma risponde a quello da tempo elaborato dalla giurisprudenza costituzionale (v. sentenza n. 226/1976), in base al quale spetta al legislatore delegante disporre in ordine alla copertura della spesa derivante dall’esercizio della delega. La stessa Corte ha tuttavia evidenziato che, “qualora eccezionalmente non fosse possibile, in sede di conferimento della delega, predeterminare rigorosamente in anticipo i mezzi per finanziare le spese che l'attuazione della stessa comporta” è sufficiente che il Governo venga a ciò espressamente delegato, con determinazione di principi e criteri direttivi di delega, anche enunciati sotto forma di clausole di neutralità finanziaria, volti a definire gli equilibri finanziari interni a ciascun provvedimento da adottare nell’esercizio della delega.
[8] Modificato nel corso dell’esame in Commissione; il disegno di legge iniziale (C. 3540) recava il termine di un anno.
[9] "EU Pilot" è attivo dall'aprile 2008. Si tratta di un sistema di comunicazione tra Commissione europea e Stati membri - basato su un sito Internet - che permette la condivisione informale di informazioni e fornisce la possibilità di risolvere eventuali infrazioni senza ricorrere alla procedura formale di contestazione prevista dai Trattati. Qualora la Commissione europea - di propria iniziativa o su segnalazione esterna - ritenga opportuno verificare che il diritto dell'Unione sia applicato in maniera corretta, può inviare una richiesta alle autorità nazionali dello Stato interessato attraverso EU Pilot. Lo Stato membro dispone di un periodo di dieci settimane per rispondere e la Commissione, dal canto suo, effettua una valutazione nelle dieci settimane successive. Nel caso in cui la risposta ricevuta non sia considerata soddisfacente, la Commissione ha facoltà di dare inizio alle procedure di infrazione regolate dai Trattati. Statistiche della Commissione europea, aggiornate a dicembre 2014, riportano un tasso di risoluzione dei casi EU Pilot - in termini di casi chiusi a seguito di risposte soddisfacenti dei Governi nazionali - pari al 75 per cento.
[10] Nell'iniziativa il Presidente del Consiglio dei
Ministri è affiancato dal MiSE, dal MIPAAF e dal Ministero della salute, di
concerto col MEF ed il Ministro della giustizia; il termine è di dodici mesi
dalla data di entrata in vigore della legge. I decreti legislativi sono
adottati previo parere della Conferenza Stato/regioni ed acquisito il parere
delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica; per il resto, si rinvia all'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
[11] Direttiva 14
giugno 1989, n. 89/395/CEE che modifica la direttiva 79/112/CEE relativa al
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura
e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale,
nonché la relativa pubblicità.
[12] L’adeguamento
delle disposizioni interne alla direttiva n. 13 è stato disposto con il D.lgs. 23 giugno 2003, n. 181, che ha introdotto le necessarie modifiche nella forma
di novelle al precedente decreto n. 109.
[13] Direttiva 14
giugno 1989, n. 89/396/CEE relativa alle diciture o marche che consentono di
identificare la partita alla quale appartiene una derrata alimentare. Il
provvedimento è stato abrogato e sostituito dalla Direttiva 13 dicembre 2011,
n. 2011/91/UE di mera codificazione.
[14] Il riferimento alla completezza dell’informazione al
consumatore (lettera a)) è stato
inserito nel corso dell’esame in Commissione.
[15] Si tratta di un
riflesso non sconosciuto al nostro ordinamento, visto che sulla filiera
agroalimentare già all'art. 12 del d.lgs. n. 224 del 2003 era garantita la
consultazione ed informazione pubblica; la norma fu poi richiamata nel decreto
ministeriale 19 gennaio 2005, n. 72 (Prescrizioni
per la valutazione del rischio per l'agrobiodiversità, i sistemi agrari e la
filiera agroalimentare, relativamente alle attività di rilascio deliberato
nell'ambiente di OGM per qualsiasi fine diverso dall'immissione sul mercato),
in attuazione dell'art. 8, comma 6, del predetto d.lgs. n. 224 del 2003.
[16] Il riferimento alla salvaguardia delle fattispecie di
reato vigenti (lettera b)) è stato
inserito nel corso dell’esame in Commissione.
[17] Ciò avverrà
nella relazione tecnica allegata a ciascuno
schema di decreto legislativo: mentre la
legge n. 196 del 2009 prevede che essa deve dare "conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto ovvero dei nuovi o
maggiori oneri da esso derivanti e dei
corrispondenti mezzi di copertura", il comma in commento preferisce
limitarsi a richiedere che essa evidenzi gli effetti dello schema di decreto
"sui saldi di finanza pubblica".
[18] Il termine è stato esteso da due a quattro mesi dall’articolo 29 della legge n. 115 del 2015 (legge europea 2014).
[19] Nell'iniziativa
il Presidente del Consiglio dei Ministri è affiancato dal MiSE, dicastero con
competenza prevalente nella materia; il termine è abbattuto da dodici a sei mesi dalla data di entrata in
vigore della legge. I decreti legislativi sono adottati acquisito il parere
delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica; per il resto, si rinvia all'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
[20] La Commissione per le
politiche europee - nella scorsa legislatura, alla Camera dei deputati -
registrò un intervento del relatore, deputata Castiello, che sosteneva:
"secondo la direttiva 98/34/CE «norma» è la specifica tecnica, la cui
osservanza non è obbligatoria, approvata da un organismo riconosciuto, ed
appartenente ad una delle seguenti categorie: norma internazionale (ISO), norma
europea (EN) norma nazionale (UNI). Dalle norme tecniche si distinguono le
regole tecniche, che definiscono le caratteristiche dei prodotti e dei processi
la cui osservanza è resa obbligatoria per legge. In Italia l'attività di
formazione è svolta dall'UNI (Ente nazionale italiano di unificazione) e dal
CEI (Comitato elettrotecnico italiano) che rappresentano l'Italia presso gli
enti di formazione a livello comunitario (CEN e CENELEC) e a livello
internazionale (ISO). Le norme tecniche assumono carattere cogente se
richiamate nei provvedimenti legislativi; in tal caso occorre che le stesse
siano previamente notificate alla Commissione europea ai sensi della direttiva
98/34/CE". In realtà, la sentenza della Corte di giustizia
dell’Unione europea (C-385/10 del 18 ottobre 2012) - che ha stabilito che la
normativa dell’Unione (articoli 34 e 27 del TFUE) osta a prescrizioni nazionali
che subordinino la commercializzazione di prodotti provenienti da altro Stato
membro all’apposizione della marcatura CE - ha anche disatteso la difesa
italiana in ordine all'obbligo di notifica delle regole tecniche, secondo
quanto disposto dalla direttiva 98/34/CE che - all’articolo 8 - prevede che gli
Stati membri comunichino immediatamente alla Commissione ogni progetto di
regola tecnica. La difesa del Governo italiano si era attestata sulla tesi
secondo cui le disposizioni del decreto legislativo in questione, se
interpretate in combinazione con la legislazione vigente in materia di impianti
e costruzioni, avrebbero configurato disposizioni legislative che si conformano
ad atti comunitari vincolanti che danno luogo all'adozione di specificazioni
tecniche: per disposizioni di tale natura, sulla base dell’articolo 10 della
direttiva 98/34/CE, non si sarebbe applicato l’obbligo di notifica. La
posizione espressa nella messa in mora, da parte della Commissione europea,
invece, era quella secondo cui le disposizioni italiane menzionate, relative ai
requisiti tecnici degli impianti, erano da intendersi a tutti gli effetti come
regola tecnica e avrebbero dovuto esserle notificate.
[21] L'UNI nasce nel 1921 in seno all'AIMA
(Associazione nazionale per gli industriali della meccanica), da cui nel 1928
si distacca assumendo la nuova denominazione. È un'associazione di diritto
privato con personalità giuridica, di cui fanno parte enti pubblici,
associazioni, aziende, istituti tecnici, di istruzione ed economici, 14 enti
federati e persone fisiche. In particolare, fanno parte dell'UNI i Ministeri
interessati e, fra gli enti pubblici, l'ENEA e il CNR. Gli enti federati sono
associazioni di normazione che operano in specifici settori industriali
predisponendo progetti di norme tradotte dall'UNI in norme nazionali. Obiettivi
principali dell'UNI sono: elaborare progetti, adottare e pubblicare norme
nazionali e documenti normativi; promuovere studi, pubblicazioni e altre
iniziative per la diffusione della normazione; collaborare anche con gli altri
enti nazionali di normazione alle attività dell'ISO e del CEN (rispettivamente
enti di normazione internazionale ed europea); promuovere un'attività nazionale
di certificazione; concedere il diritto d'uso del Marchio UNI ai prodotti
conformi alle norme dell'ente; costituire archivi di norme nazionali ed estere.
[22] Il CEI è
l'organismo che si occupa della normazione e della unificazione nel settore
elettrico e elettronico. Opera dal 1909 ed è riconosciuto dallo Stato e
dall'Unione europea. La legge 1° marzo
1968, n. 186, riconosce l'autorità delle norme CEI e stabilisce che
"materiali, macchine, installazioni e impianti elettrici e elettronici
realizzati con tali norme si considerano a regola d'arte". Il CEI è
rappresentante italiano dei principali organismi di normazione e certificazione
internazionali (IEC, CENELEC, CIGRE) e, tramite il CONCIT, partecipa
all'attività dell'ETSI, ente normatore europeo nel settore delle
telecomunicazioni.
[23] Tanto da essere oggetto di riconoscimento anche da
parte dell'Organizzazione mondiale del commercio.
[24] Organizzata nella forma della rappresentanza nazionale
per il CEN (Comitato Europeo di Normalizzazione) e il CENELEC (Comitato Europeo
di normalizzazione elettrotecnica), e nella forma della partecipazione diretta
nell'Istituto europeo per le norme di telecomunicazione (ETSI).
[25] Finora agli enti di normalizzazione risorse pubbliche
erano destinate sotto forma di contributo forfetario: all'UNI (Ente italiano di unificazione) e
al CEI (Comitato elettrotecnico
italiano) il contributo viene concesso a fronte del servizio reso in
ottemperanza alla direttiva 98/34/CE sulla procedura di informazione. Il
contributo è previsto dall’art. 8 della legge 317/1986 modificata dal D.Lgs.
427/2000 (Modifiche ed integrazioni alla legge 21 giugno 1986, n. 317,
concernenti la procedura di informazione nel settore delle norme e
regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società
dell'informazione, in attuazione delle direttive 98/34/CE e 98/48/CE).
[26] Si ricorda, in ordine alla stipula di convenzioni con
l’UNI e il CEI ai fini della trasposizione delle norme tecniche europee per la
salvaguardia della sicurezza, che l’art.
46, comma 3, della legge n. 128/1998 (comunitaria 1995-1997) prevede che, nel caso in cui le
disposizioni vigenti prevedano la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle
norme predette, le somme che devono essere corrisposte all’ente di normazione,
incaricato della trasposizione, siano determinate sulla base di una convenzione
tra l’ente e il Ministero dell’industria (ora dello sviluppo economico).
[27] Regolamento concernente l’attuazione dell’articolo 11-quaterdecies, comma 13, lettera a), della legge n. 248 del 2 dicembre 2005, recante riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici.
[28] Il termine “raccordo” è stato inserito durante l’esame in Commissione.
[29] Il riferimento alle “violazioni del titolo VI” (lettera e)) è stato inserito nel corso dell’esame in Commissione.
[30]
Direttiva
2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2011 sui
gestori di fondi di investimento alternativi, che modifica le direttive
2003/41/CE e 2009/65/CE e i regolamenti (CE) n. 1060/2009 e (UE) n. 1095/2010.
Come specificato dal considerando n. 8 al regolamento (UE) 2015/760, gli ELTIF
sono essi stessi dei fondi di investimenti alternativi dell'UE (FIA UE) ed i
loro gestori sono quindi gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA)
ai sensi di quella direttiva.
[31] Le imprese di portafoglio ammissibile sono definite
dall'art. 11. Si tratta di imprese di portafoglio diverse da un organismo di
investimento collettivo non di natura finanziaria, con una capitalizzazione di
mercato inferiore a 500.000.000 euro e, in linea di massima, stabilita in uno
Stato membro.
[32] Fondi europei di venture
capital, istituiti dal regolamento (UE) n. 345/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2013,
relativo ai fondi europei per il venture capital, per il finanziamento
delle imprese molto piccole, nelle fasi iniziali della propria esistenza
societaria e che mostrano forti potenzialità di crescita ed espansione (start-up).
[33] Fondi europei per l'imprenditoria sociale, istituiti dal regolamento (UE) 346/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2013, relativo ai fondi europei per l’imprenditoria sociale, per il finanziamento delle imprese specializzate nel sociale.
[34] Nel corso dell’esame in Commissione è stato posto il limite temporale
“non superiore a 5 anni” alla interdizione temporanea prevista nel disegno di legge
governativo.
[35] Nel corso dell’esame in Commissione il minimo edittale
è stato aumentato da “2.000” euro a “2.500” euro.
[36] Il ciclo di vita comprende l'attività di estrazione, la lavorazione e la
distribuzione dei carburanti.
[37] Si tratta della ventunesima Conferenza delle parti
(COP21), l'incontro annuale tra paesi firmatari della Convenzione quadro delle
Nazioni unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), siglata a Rio de Janeiro nel
1992
[38] Sono altresì protetti i programmi per elaboratore e le
banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono
una creazione intellettuale dell'autore.
[39] Il testo
originario della L. 633/1941 ha subito numerosi interventi di modifica, anche
in recepimento di direttive comunitarie (tra le altre, si ricordano le
modifiche apportate dal d.lgs. 68/2003, Attuazione della direttiva 2001/29/CE sull'armonizzazione di
taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società
dell'informazione, e dal d.lgs.
140/2006, Attuazione della direttiva
2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale).
[40] In precedenza,
la materia era disciplinata dall’art. 7 del d.lgs. 419/1999, abrogato dalla L.
2/2008.
[41] Si intendono
per diritti connessi quelli
riconosciuti non direttamente all’autore, ma ad altri soggetti comunque
collegati o affini. Si tratta, sostanzialmente, di coloro che offrono l’opera
alla fruizione del pubblico e sono anch’essi titolari di diritti patrimoniali
e, in taluni casi, anche di diritti morali (https://www.siae.it/it/diritto-dautore/diritti-connessi/i-diritti-connessi).
I
diritti connessi sono regolati dal Titolo II della L. 633/1941(artt. 72-101). In particolare, si tratta di: diritti
dei produttori di fonogrammi (Capo I); diritti dei produttori di opere
cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento (Capo
I-bis); diritti audiovisivi sportivi (Capo I-ter); diritti relativi all'emissione
radiofonica e televisiva (Capo II); diritti degli artisti interpreti e degli
artisti esecutori (Capo III); diritti relativi ad opere pubblicate o comunicate
al pubblico per la prima volta successivamente alla estinzione dei diritti
patrimoniali d'autore (Capo III-bis); diritti relativi ad edizioni critiche e
scientifiche di opere di pubblico dominio (Capo III-ter); diritti relativi a
bozzetti di scene teatrali (Capo IV); diritti relativi alle fotografie (Capo
V); diritti relativi alla corrispondenza epistolare ed al ritratto (Capo VI);
diritti relativi ai progetti di lavori dell'ingegneria (Capo VII).
Più
nello specifico, l’art. 80 considera artisti interpreti ed artisti esecutori
gli attori, i cantanti, i musicisti, i ballerini e le altre persone che rappresentano,
cantano, recitano, declamano o eseguono in qualunque modo opere dell’ingegno,
siano esse tutelate o di dominio pubblico. L’art. 82 dispone, inoltre, che sono
compresi nella denominazione di artisti interpreti e di artisti esecutori:
coloro che sostengono nell'opera o composizione drammatica, letteraria o
musicale, una parte di notevole importanza artistica, anche se di artista
esecutore comprimario; i direttori dell'orchestra o del coro; i complessi
orchestrali o corali, a condizione che la parte orchestrale o corale abbia
valore artistico di per sé stante o non di semplice accompagnamento.
[42] La
disposizione è intervenuta allo scopo di favorire la creazione di nuove imprese
nel settore della tutela dei diritti degli artisti interpreti ed esecutori,
mediante lo sviluppo del pluralismo competitivo e consentendo una maggiore
economicità di gestione, nonché l’effettiva partecipazione e il controllo da
parte dei titolari dei diritti. Sull’argomento, si veda, in particolare, la segnalazione al Parlamento A.S. 280 del 4 giugno 2004 dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
[43] GU n. 59 dell’11 marzo 2013.
[44] A seguito
delle particolari criticità emerse con riferimento alla gestione dell’Istituto - evidenziate, in particolare, dalla
relazione del collegio dei revisori dell’ente datata 17 settembre 2008 ed
allegata al decreto di estinzione - con decreto del Prefetto di Roma n. 33961/606/2009 del 30 aprile 2009 l’IMAIE è stato dichiarato estinto per incapacità di raggiungere
gli scopi per i quali era stato costituito. Successivamente, sono stati
nominati tre commissari liquidatori, con poteri di amministrazione ordinaria e
straordinaria, compresa la riscossione e la distribuzione agli aventi diritto
dei compensi maturati e non riscossi prima e nel corso dell’attività
liquidatoria. Più ampiamente, si veda il Dossier del Servizio Studi n. 606 (Tomo I), del 6 marzo
2012, predisposto in occasione
dell’esame del D.L. 1/2012.
[45] L’istituto è
soggetto alla vigilanza congiunta del Dipartimento per l’informazione e
l’editoria della Presidenza del Consiglio, del MIBACT e del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali.
[46] GU n. 52 del 5 maggio 2014.
[47] L’art. 3, lett. k), della direttiva definisce utilizzatore “qualsiasi persona o entità le cui azioni sono subordinate all’autorizzazione dei titolari dei diritti, al compenso dei titolari dei diritti o al pagamento di un indennizzo ai titolari dei diritti e che non agisce in qualità di consumatore”.
[48] Direttiva 2006/86/CE della Commissione, del 24 ottobre 2006 che attua la direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità, la notifica di reazioni ed eventi avversi gravi e determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani.
[49] Direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani.
[50] Ai sensi del nuovo testo dell'art. 2, lett. t), della direttiva 2006/86/CE, per
"compendio degli istituti dei tessuti dell'UE" si intende "il
registro di tutti gli istituti dei tessuti titolari di licenza, autorizzati,
designati o accreditati dall'autorità competente o dalle autorità competenti
degli Stati membri"; i dati da registrare nel compendio sono elencati
nell'Allegato VIII.
[51] Ai sensi del nuovo testo dell'art. 2, lett. u), della direttiva 2006/86/CE, per "compendio dei prodotti di tessuti e cellule dell'UE" si intende "il registro di tutti i tipi di tessuti e di cellule che circolano nell'Unione e i rispettivi codici del prodotto nell'ambito dei (...) sistemi di codifica autorizzati".
[52]
Direttiva 2012/39/UE
della Commissione del 26 novembre 2012 che modifica la direttiva 2006/17/CE per
quanto riguarda determinate prescrizioni tecniche relative agli esami
effettuati su tessuti e cellule umani
[53] Per le definizioni di diritti d’autore e di diritti connessi, si veda la scheda relativa all’art. 19 del ddl.
[54] In base alle definizioni recate dall’art. 3 della direttiva, la differenza fra l’organismo di gestione collettiva e l’entità di gestione indipendente è che, mentre il primo deve soddisfare il criterio di essere detenuto o controllato dai propri membri, ovvero essere organizzato senza fine di lucro (ovvero, entrambi tali criteri), la seconda non è detenuta, né controllata dai titolari dei diritti ed è organizzata con fini di lucro.
[55] Durata dell’adesione, o importi che
un membro ha ricevuto o che gli competano, ovvero entrambi i criteri.
[56] In base al considerando 24 della direttiva, a
seconda della struttura organizzativa dell’organismo di gestione collettiva, la
funzione di sorveglianza può essere esercitata da un organo distinto, o da
tutti o alcuni direttori del consiglio di amministrazione che non esercitano
compiti esecutivi nelle attività dell’organismo di gestione collettiva.
[57] Si veda la Scheda di valutazione elaborata dall'Ufficio dei rapporti con le istituzioni dell'Unione europea del Senato.
[58] Per maggiori dettagli, si rinvia alla Scheda di lettura predisposta in merito dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea del Senato della Repubblica.