Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari
Titolo: Legge di delegazione europea 2014 (A.C. 3123) e Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'UE - Anno 2014 (Doc. LXXXVII, n. 3) - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 3123/XVII   DOC LXXXVII, N. 3  
Serie: Progetti di legge    Numero: 307    Progressivo: 1
Data: 29/05/2015
Organi della Camera: XIV - Politiche dell'Unione europea

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

 

 

 

Legge di delegazione europea 2014
(A.C. 3123)

e

Relazione consuntiva sulla partecipazione dell’Italia all’UE - Anno 2014
(Doc. LXXXVII, n. 3)

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 307/1

 

 

 

29 maggio 2015

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari comunitari

( 066760-9409 / * st_affari_comunitari@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§  La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§  Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

 

 

 

 

 

 

 

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INDICE

 

Il disegno di legge di delegazione europea 2014 (A.C. 3123)

Premessa  3

Schede di lettura

§  Articolo 1 (Delega al Governo per l'attuazione di direttive europee) 11

§  Articolo 2 (Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea) 18

§  Articolo 3 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea) 25

§  Articolo 4 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi) 27

§  Articolo 5 (Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2013/50/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, recante modifica della direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, della direttiva 2003/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari, e della direttiva 2007/14/CE della Commissione, che stabilisce le modalità di applicazione di talune disposizioni della direttiva 2004/109/CE) 31

§  Articolo 6 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE) 37

§  Articolo 7 (Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2014/49/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi) 40

§  Articolo 8 (Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio) 45

§  Articolo 9 (Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, anche ai fini dell'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012) 56

§  Articolo 10 (Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2014/91/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, recante modifica della direttiva 2009/65/CE concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), per quanto riguarda le funzioni di depositario, le politiche retributive e le sanzioni) 70

§  Articolo 11 (Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato (direttiva abusi di mercato), anche ai fini dell’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato del regolamento (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione) 74

§  Articolo 12 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 909/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, relativo al miglioramento del regolamento titoli nell'Unione europea e ai depositari centrali di titoli e recante modifica delle direttive 98/26/CE e 2014/65/UE e del regolamento (UE) n. 236/2012, per il completamento dell'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, sugli strumenti derivati OTC, le controparti centrali e i repertori di dati sulle negoziazioni nonché per l'attuazione della direttiva 98/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 1998, concernente il carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento titoli, come modificata dal regolamento (UE) n. 648/2012 e dal regolamento (UE) n. 909/2014) 81

§  Articolo 13 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1286/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati) 88

§  Articolo 14 (Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati) 91

§  Articolo 15 (Criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2013/51/Euratom del Consiglio, del 22 ottobre 2013, che stabilisce requisiti per la tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano) 98

§  Articolo 16 (Criterio direttivo per l'attuazione della direttiva 2013/35/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) 100

§  Articolo 17 (Criterio direttivo per l'attuazione della direttiva 2014/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che modifica la direttiva 2001/110/CE del Consiglio concernente il miele) 103

§  Articolo 18 (Delega al Governo per l'attuazione delle decisioni quadro) 105

§  Articolo 19 (Delega al Governo per l'attuazione della decisione quadro 2009/315/GAI del Consiglio, ,del 26 febbraio 2009, relativa all'organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario) 115

§  Articolo 20 (Delega al Governo per l'attuazione della decisione quadro 2009/316/GAI del Consiglio, del 6 aprile 2009, che istituisce il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS) in applicazione dell’articolo 11 della decisione quadro 2009/315/GAI) 120

§  Articolo 21 (Delega al Governo per l'attuazione della decisione quadro 2008/675/GAI del Consiglio, del 24 luglio 2008, relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell'Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale) 122

Direttiva Allegato A

§  Direttiva n. 2014/111/UE (Direttiva di esecuzione della Commissione, del 17 dicembre 2014, recante modifica della direttiva 2009/15/CE per quanto attiene all'adozione da parte dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO) di taluni codici e relativi emendamenti di alcuni protocolli e convenzioni (termine di recepimento 31 dicembre 2015) 127

Direttive Allegato B

§  Direttiva n. 2010/53/UE (Organi umani destinati ai trapianti) 131

§  Direttiva n. 2012/25/UE (Organi umani destinati ai trapianti) 134

§  Direttiva n. 2013/40/UE (Sanzioni per attacchi contro sistemi di informazione) 135

§  Direttiva n. 2013/48/UE (Diritti nel procedimento penale) 137

§  Direttiva n. 2013/53/UE (Imbarcazioni da diporto) 139

§  Direttiva n. 2013/54/UE (Lavoro marittimo) 141

§  Direttiva n. 2013/55/UE (Qualifiche professionali) 143

§  Direttiva n. 2013/56/UE (Pile e accumulatori contenenti cadmio) 145

§  Direttiva n. 2013/59/Euratom (Esposizione a radiazioni ionizzanti) 150

§  Direttiva n. 2014/17/UE (Contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali) 155

§  Direttiva n. 2014/27/UE (Classificazione, etichettatura e imballaggio sostanze e miscele) 156

§  Direttiva n. 2014/28/UE (Esplosivi per uso civile); Direttiva n. 2014/29 UE (Recipienti semplici a pressione); Direttiva n. 2014/30/UE (Compatibilità elettromagnetica) 157

§  Direttiva n. 2014/31/UE (Strumenti per pesare a funzionamento non automatico) 159

§  Direttiva n. 2014/32/UE (Strumenti di misura) 161

§  Direttiva n. 2014/34/UE (Apparecchi di protezione in atmosfera esplosiva) 163

§  Direttiva n. 2014/35/UE (Materiale elettrico) 166

§  Direttiva n. 2014/36/UE (Ingresso e soggiorno per lavoro stagionale di cittadini di paesi terzi) 168

§  Direttiva n. 2014/41/UE (Ordine europeo di indagine penale) 171

§  Direttiva n. 2014/48/UE (Tassazione redditi risparmio) 174

§  Direttiva n. 2014/50/UE (Diritti pensionistici complementari e mobilità lavoratori) 176

§  Direttiva n. 2014/51/UE (Autorità europee vigilanza (assicurazioni e strumenti finanziari)) 179

§  Direttiva n. 2014/53/UE (Apparecchiature radio) 181

§  Direttiva n. 2014/54/UE (Libera circolazione lavoratori) 183

§  Direttiva n. 2014/55/UE (Fatturazione elettronica negli appalti pubblici) 185

§  Direttiva n. 2014/56/UE (Revisione legale dei conti) 187

§  Direttiva n. 2014/58/UE (Articoli pirotecnici) 193

§  Direttiva n. 2014/60/UE (Restituzione di beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro) 195

§  Direttiva n. 2014/61/UE (Reti comunicazione elettronica) 198

§  Direttiva n. 2014/62/UE (Protezione mediante il diritto penale dell’euro e di altre monete contro la falsificazione) 201

§  Direttiva n. 2014/66/UE (Ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per trasferimento intra-societario) 204

§  Direttiva n. 2014/67/UE (Distacco lavoratori nei servizi) 206

§  Direttiva n. 2014/68/UE (Attrezzature a pressione) 208

§  Direttiva n. 2014/86/UE (Regime fiscale società madri e figlie) 210

§  Direttiva n. 2014/87/UE (Sicurezza impianti nucleari) 212

§  Direttiva n. 2014/89/UE (Pianificazione spazio marittimo) 214

§  Direttiva n. 2014/94/UE (Combustibili alternativi) 217

§  Direttiva n. 2014/95/UE (Comunicazione di informazioni non finanziarie da parte di imprese) 219

§  Direttiva n. 2014/100/UE (Monitoraggio traffico navale) 221

§  Direttiva n. 2014/107/UE (Scambio informazioni nel settore fiscale) 223

§  Direttiva n. 2014/112/UE (Orario di lavoro nel trasporto per vie navigabili) 225

§  Direttiva n. 2015/13/UE (Campo di portata dei contatori dell’acqua) 228

§  Direttiva n. 2015/412/UE (Coltivazione OGM) 229

§  Direttiva n. 2015/413/UE (Scambio informazioni in materia di sicurezza stradale) 232

Direttive Allegato B con criteri specifici di delega

§  Direttiva n. 2013/35/UE (Sicurezza e salute lavoratori (campi elettromagnetici) 239

§  Direttiva n. 2013/50/UE (Negoziazione di strumenti finanziari) 239

§  Direttiva n. 2013/51/UE (Sostanze radioattive presenti nelle acque a consumo umano) 239

§  Direttiva n. 2014/49/UE (Garanzia depositi) 239

§  Direttiva n. 2014/52/UE (Valutazione di impatto ambientale - VIA) 239

§  Direttiva n. 2014/57/UE (Sanzioni penali per abusi di mercato) 239

§  Direttiva n. 2014/59/UE (Risanamento enti creditizi e imprese investimento) 239

§  Direttiva n. 2014/63/UE (Miele) 240

§  Direttiva n. 2014/65/UE (Mercati degli strumenti finanziari) 240

§  Direttiva n. 2014/91/UE (Organismi d’investimento in valori mobiliari (OICVM)) 240

§  Direttiva n. 2014/104/UE (Risarcimento del danno per violazione delle norme sulla concorrenza) 240

Relazione consuntiva sulla partecipazione dell’Italia all’UE - Anno 2014 (Doc. LXXXVII, n. 3)

Nota di sintesi 243

L’impatto della partecipazione della Camera alla fase ascendente dell’Unione europea

§  Spazio di libertà, sicurezza e giustizia (Commissione I e II) 250

§  Politica estera e di sicurezza (Commissione III) 252

§  Politica di sicurezza e difesa comune (Commissione IV) 253

§  Politica economica (Commissione V) 255

§  Ambiente (Commissione VIII) 258

§  Trasporti (Commissione IX) 259

§  Politica industriale e mercato interno (Commissione X) 262

§  Occupazione e affari sociali (XI Commissione) 264

§  Agricoltura e Pesca (XIII Commissione) 269

 

 

 


Il disegno di legge di delegazione europea 2014
(A.C. 3123)

 


Premessa

Il 5 febbraio 2015 il Governo ha presentato al Senato il disegno di legge recante Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2014 (S. 1758).

Il disegno di legge, approvato dal Senato il 14 maggio 2015, è stato trasmesso alla Camera dei deputati il 18 maggio 2015 (C. 3123).

 

La legge di delegazione europea

La legge di delegazione europea è uno dei due strumenti di adeguamento all’ordinamento dell’Unione europea introdotti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234, che ha attuato una riforma organica delle norme che regolano la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.

In base all’articolo 29 della legge n. 234 del 2012, infatti, la legge comunitaria annuale (prevista dalla legge n. 11 del 2005) è sostituita da due distinti provvedimenti:

·  la legge di delegazione europea, il cui contenuto è limitato alle disposizioni di delega necessarie per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell’Unione europea

·  la legge europea, che contiene norme di diretta attuazione volte a garantire l’adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea.

Il comma 3 dell’articolo 29 prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un disegno di legge di delegazione europea, con l’indicazione dell'anno di riferimento.

Il termine previsto per la presentazione del disegno di legge di delegazione europea è entro il 28 febbraio di ogni anno.

Il contenuto del disegno di legge di delegazione europea è stabilito all’articolo 30, comma 2 della legge n. 234 del 2012. In particolare, essa prevede:

a)     disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta esclusivamente all'attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei;

b)     disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all'Italia dalla Commissione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea;

c)     disposizioni che autorizzano il Governo a recepire le direttive in via regolamentare;

d)     delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea;

e)     delega legislativa al Governo limitata a quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente applicabili contenute in regolamenti europei;

f)       disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni dell'Unione europea recepite dalle regioni e dalle province autonome;

g)     disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione;

h)     disposizioni che, nell'ambito del conferimento della delega legislativa per il recepimento o l'attuazione degli atti di cui alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi unici per il riordino e per l'armonizzazione di normative di settore, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome;

i)       delega legislativa al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati.

Nell’esercizio delle deleghe legislative conferite, il Governo è tenuto al rispetto dei principi e criteri generali di delega, nonché degli specifici principi e criteri direttivi aggiuntivi eventualmente stabiliti dalla legge di delegazione europea, come previsto all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012.

Ai sensi dell’articolo 29, comma 7, della legge n. 234 del 2012, il Governo deve inoltre dare conto[1] dell’eventuale omesso inserimento delle direttive il cui termine di recepimento è scaduto o scade nel periodo di riferimento, considerati i tempi previsti per l’esercizio della delega, e fornire dati sullo stato delle procedure di infrazione, l’elenco delle direttive recepite o da recepire in via amministrativa, l’elenco delle direttive recepite con regolamento e l’elenco dei provvedimenti con i quali le singole regioni e province autonome hanno provveduto a recepire direttive nelle materie di loro competenza.

 

Il disegno di legge di delegazione europea 2014, a seguito delle modifiche approvate dal Senato, consta di 21 articoli ed è corredato da due allegati.

Negli allegati A e B che contengono l’elenco delle direttive da recepire con decreto legislativo, sono elencate, rispettivamente, 1 e 56 direttive[2]. Nell’allegato B sono riportate le direttive sui cui schemi di decreto è previsto il parere delle competenti commissioni parlamentari.

Gli articoli del disegno di legge contengono disposizioni di delega per il recepimento di 58 direttive europee, per l’adeguamento della normativa nazionale a 6 regolamenti (UE), nonché per l’attuazione di 10 decisioni quadro.

Si rileva che nel corso dell’esame presso il Senato, il testo originariamente presentato dal Governo è stato modificato e ampliato in modo significativo, con riguardo sia agli articoli contenenti principi e criteri direttivi specifici (da 11 a 21 articoli), sia al numero di direttive e di atti legislativi dell’UE da recepire o da attuare con delega legislativa (da 41 a 58 direttive, da 6 a 10 decisioni quadro, da 3 a 6 i regolamenti).

Con riferimento agli atti inseriti nel disegno di legge, le due tabelle seguenti presentano un quadro delle direttive e delle decisioni quadro, ripartite in base all’anno di adozione.

 

direttive per anno di adozione

Anno

S. 1758

Inserite dal Senato

C. 3123

2010

1

 -

1

2012

1

 -

1

2013

10

 -

10

2014

29

15

 43*

2015

-

3

3

Totale

41

18

58

* la direttiva 2014/26/UE, presente nel testo originario, è stata espunta al Senato

 


 

decisioni quadro per anno di adozione

Anno

S. 1758

Inserite dal  Senato

C. 3123

2002

1

 

1

2003

1

 

1

2005

1

 

1

2008

1

1

2

2009

2

3

5

Totale

6

4

10

 

 

Nella successiva tabella viene presentato un riepilogo delle direttive contenute nel disegno di legge, suddivise in base alla scadenza del termine per il recepimento nell’ordinamento nazionale.

 

direttive per termine di recepimento

Termine

S. 1758

Inserite dal Senato

C. 3123

termine di recepimento scaduto

§  1/1/2013

1

 

1

§  1/1/2015

2

 

2

§  6/5/2015

2

2

4

scadenza termine di recepimento

§  30/6/2015

1

2

3

§  30/9/2015

3

 

3

§  1/1/2016

7

2

9

§  1/7/2016

16

4

19*

§  1/1/2017

4

6

10

§  1/1/2018

2

2

4

§  27/11/2018

3

 

3

Totale

41

18

58

 

* la direttiva 2014/26/UE, presente nel testo originario, è stata espunta al Senato

 

Nell’articolato del disegno di legge sono previsti principi e criteri direttivi specifici - cui il Governo dovrà attenersi nell’esercizio della delega - con riferimento ai seguenti atti:

ü 12 Direttive

§  2014/104/UE sul risarcimento danni per violazione di norme sulla concorrenza (art. 2);

§  2013/50/UE sulla negoziazione di strumenti finanziari (art. 5);

§  2014/40/UE sulla lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco (art. 6);

§  2014/49/UE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (art. 7);

§  2014/59/UE sul risanamento degli enti creditizi e delle imprese investimento (art. 8);

§  2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (art. 9);

§  2014/91/UE sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari - OICVM (art. 10);

§  2014/57/UE sulle sanzioni penali per abusi di mercato (art. 11);

§  2014/52/UE sulla valutazione dell'impatto ambientale di progetti pubblici e privati (art. 14);

§  2013/51/Euratom sull’esposizione alle radiazioni ionizzanti (art. 15);

§  2013/35/UE sulla sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a campi elettromagnetici (art. 16);

§  2014/63/UE concernente il miele (art. 17).

 

ü 6 Regolamenti (UE)

§  n. 1024/2013 in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (art. 4);

§  n. 600/2014 sui mercati degli strumenti finanziari (art. 9);

§  n. 596/2014 relativo agli abusi di mercato (art. 11);

§  n. 909/2014 sul regolamento titoli nell’UE e n. 648/2012 sugli strumenti derivati OTC (art. 12);

§  n. 1286/2014 sui prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (art. 13).

 

ü 3 Decisioni quadro (GAI)

§  2009/315/GAI sugli scambi di informazioni del casellario giudiziario (art. 19);

§  2009/316/GAI sul sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari - ECRIS (art. 20)

§  2008/675/GAI sulla considerazione delle decisioni di condanna in nuovi procedimenti penali (art. 21).

 

Si segnala che su 3 direttive - contenute nell’allegato B - risultano pendenti le seguenti procedure di infrazione per mancato recepimento:

ü il 28 maggio 2014 è stata aperta la procedura di infrazione n. 2014_0287 (attualmente allo stadio di parere motivato) sulla direttiva 2012/25/UE in materia di trapianti, il cui termine è scaduto il 10 aprile 2014.

ü il 29 gennaio 2015 è stata avviata la procedura n. 2015_0066 sulla direttiva 2014/59/UE in materia di risanamento degli enti creditizi e imprese di investimento, il cui termine è scaduto il 31 dicembre 2014. Il 28 maggio 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato.

ü il 27 marzo 2015 è stata aperta la procedura di infrazione n. 2015_0145 (messa in mora) sulla direttiva 2014/68/UE concernente le attrezzature a pressione, essendo scaduto il termine del 28 febbraio 2015.

 

 

Le leggi di delegazione europea riferite all’anno 2013

 

Si ricorda che, successivamente all’entrata in vigore della legge n. 234 del 2012, sono state approvate due leggi di delegazione europea:

-  legge di delegazione europea 2013 (L. 6 agosto 2013, n. 96) composta da 13 articoli e tre allegati, che ha conferito al Governo deleghe legislative per il recepimento di 40 direttive, la rettifica di 5 direttive e l’adeguamento a due regolamenti (UE);

- legge di delegazione europea 2013 - secondo semestre (L. 15 ottobre 2014, n. 154), che consta di 9 articoli e due allegati e conferisce al Governo deleghe legislative per il recepimento di 19 direttive, l’attuazione di 2 decisioni quadro, l'adeguamento a un regolamento (UE) e l'adozione di un testo unico.

Alla data di chiusura del presente dossier, lo stato di attuazione delle deleghe conferite con la legge n. 96/2013 include il recepimento di 33 direttive e la rettifica di una direttiva. Sono attualmente all’esame del Parlamento due schemi di decreto legislativo per il recepimento delle direttive 2012/18/UE (atto del Governo n. 154) e 2012/34/UE (atto del Governo n. 159).

Per quanto riguarda la legge n. 154/2014, sono state finora recepite 3 direttive ed è stata attuata una decisione quadro. Sono stati approvati in via definitiva dal Consiglio dei ministri, e sono in attesa di pubblicazione, tre decreti legislativi su cui le Camere hanno espresso il parere parlamentare.  Attualmente sono all’esame del Parlamento 6 schemi di decreto legislativo per il recepimento di direttive e uno per l’attuazione di decisioni quadro.

 

 

Per una sintesi del contenuto degli articoli e delle direttive elencate negli allegati A e B, si rinvia al dossier del Servizio Studi n. 307 del 29 maggio 2015.

 

 

 


 

Schede di lettura

 


 

Articolo 1
(Delega al Governo per l'attuazione di direttive europee)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 1 reca la delega al Governo per l’attuazione delle direttive elencate negli allegati A e B.

Esso rinvia, per quanto riguarda le procedure, i princìpi e i criteri direttivi della delega, alle disposizioni previste dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234.

 

L’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 detta i seguenti princìpi e criteri direttivi generali di delega per l’attuazione del diritto dell’Unione europea:

a)     le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti;

b)     ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso il riassetto e la semplificazione normativi;

c)     gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (c.d. gold plating);

d)     ove necessario, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi;

e)     al recepimento di direttive o di altri atti che modificano precedenti direttive o di atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione;

f)       nella redazione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

g)     quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, l’efficacia e la trasparenza dell’azione amministrativa, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti territoriali;

h)     le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi vengono attuate con un unico decreto legislativo, compatibilmente con i diversi termini di recepimento;

i)       è sempre assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.

 

Durante l’esame presso il Senato è stato modificato l'elenco delle direttive contenute negli allegati A e B. In particolare:

ü è stata inserita nell’allegato A la direttiva 2014/111/UE della Commissione, del 17 dicembre 2014, recante modifica della direttiva 2009/15/CE per quanto attiene all'adozione da parte dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO) di taluni codici e relativi emendamenti di alcuni protocolli e convenzioni;

ü sono state inserite 17 nuove direttive nell’allegato B;

Le direttive inserite sono le seguenti:

§  2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010 (termine di recepimento 21 marzo 2016);

§  2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato (direttiva abusi di mercato) (termine di recepimento 3 luglio 2016);

§  2014/62/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sulla protezione mediante il diritto penale dell'euro e di altre monete contro la falsificazione e che sostituisce la decisione quadro 2000/383/GAI del Consiglio;

§  2014/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che modifica la direttiva 2001/110/CE del Consiglio concernente il miele (termine di recepimento 24 giugno 2015);

§  2014/68/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di attrezzature a pressione (rifusione) (termine di recepimento 28 febbraio 2015);

§  2014/87/UE del Consiglio, del 8 luglio 2014, che modifica la direttiva 2009/71/Euratom che istituisce un quadro comunitario per la sicurezza nucleare degli impianti nucleari (termine di recepimento 15 agosto 2017);

§  2014/89/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, che istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo (termine di recepimento 19 settembre 2016);

§  2014/91/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014 , recante modifica della direttiva 2009/65/CE concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), per quanto riguarda le funzioni di depositario, le politiche retributive e le sanzioni (termine di recepimento 18 marzo 2016);

§  2014/94/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi (termine di recepimento 18 novembre 2016);

§  2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, recante modifica della direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni (termine di recepimento 6 dicembre 2016);

§  2014/100/UE della Commissione, del 28 ottobre 2014, recante modifica della direttiva 2002/59/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione (termine di recepimento 18 novembre 2015);

§  2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea (termine di recepimento 27 dicembre 2016);

§  2014/107/UE del Consiglio, del 9 dicembre 2014, recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale (termine di recepimento 31 dicembre 2015);

§  2014/112/UE del Consiglio, del 19 dicembre 2014, che attua l'accordo europeo concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro nel trasporto per vie navigabili interne, concluso tra la European Barge Union (EBU), l'Organizzazione europea dei capitani (ESO) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) (termine di recepimento 31 dicembre 2016);

§  2015/13/UE direttiva delegata della Commissione, del 31 ottobre 2014, che modifica l'allegato III della direttiva 2014/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda il campo di portata dei contatori dell'acqua (termine di recepimento 19 aprile 2016);

§  2015/412/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 11 marzo 2015, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio (senza termine di recepimento).

§  2015/413/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell' 11 marzo 2015 , intesa ad agevolare lo scambio transfrontaliero di informazioni sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale (termine di recepimento 6 maggio 2015);

ü è stata spostata dall'allegato A all'allegato B la direttiva 2013/53/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, relativa alle imbarcazioni da diporto e alle moto d'acqua e che abroga la direttiva 94/25/CE;

ü è stata disposta con specifica delega, contenuta nell’articolo 6 e corredata di principi e criteri direttivi, l’attuazione della direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE; la direttiva è stata pertanto soppressa nell’allegato B;

ü è stata soppressa nell'allegato B la direttiva 2014/26/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, sulla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l'uso online nel mercato interno.

 

Il comma 2 individua il termine per l’esercizio della delega mediante rinvio all’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012.

 

La norma citata dispone, analogamente a quanto previsto in precedenza per le leggi comunitarie annuali, che il termine per l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea sia di due mesi antecedenti il termine di recepimento indicato in ciascuna delle direttive.

Per le direttive il cui termine così determinato sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea, o scada nei tre mesi successivi, la delega deve essere esercitata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa.

Per le direttive che non prevedono un termine di recepimento, il termine per l’esercizio della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea.

 

L’articolo 31, comma 5, della legge n. 234 del 2012 prevede inoltre che il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in base alla delega conferita con la legge di delegazione entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa.

 

Il comma 3 prevede che gli schemi di decreto legislativo recanti attuazione delle direttive incluse nell’allegato B siano sottoposti al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Tale procedura è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.

 

La disposizione ripropone lo schema procedurale applicato nelle precedenti leggi comunitarie e ora disciplinato in via generale dall’articolo 31, comma 3, della legge 234 del 2012. Essa prevede che gli schemi di decreto legislativo, una volta acquisiti gli altri pareri previsti dalla legge, siano trasmessi alle Camere per l’espressione del parere e che, decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti siano emanati anche in mancanza del parere.

Qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono il termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega è prorogato di tre mesi. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.

Il comma 9 del medesimo articolo 31 prevede altresì che ove il Governo non intenda conformarsi ai pareri espressi dagli organi parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi, ritrasmette i testi alle Camere, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.

 

Il comma 4 dispone che eventuali spese non contemplate dalla legislazione vigente che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali, possono essere previste nei decreti legislativi attuativi delle direttive di cui agli allegati A e B esclusivamente nei limiti necessari per l’adempimento degli obblighi di attuazione dei medesimi provvedimenti.

Alla copertura degli oneri recati da tali spese eventualmente previste nei decreti legislativi attuativi, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, qualora non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie, di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183.

 

Il Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie è stato istituito, con la legge n. 183 del 1987, presso il Ministero dell’economia e delle finanze[3], con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio, per garantire il coordinamento degli interventi previsti dalla normativa comunitaria con quelli degli altri strumenti nazionali di agevolazione, e il proficuo utilizzo dei flussi finanziari destinati all'attuazione delle politiche strutturali. Il Fondo di rotazione si avvale, per il suo funzionamento, di due appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la Tesoreria generale dello Stato, nei quali vengono versate, rispettivamente, le somme erogate dalle istituzioni europee per contributi e sovvenzioni a favore dell'Italia e le somme annualmente determinate con la legge di bilancio destinate al cofinanziamento degli interventi europei nelle aree obiettivo dei Fondi strutturali. Il Fondo si compone di due sezioni, quella finanziaria e quella conoscitiva. Mediante la sezione finanziaria il Fondo provvede:

·        ad erogare, alle amministrazioni pubbliche ed agli operatori pubblici e privati interessati, quote di finanziamento a carico del bilancio dello Stato per l'attuazione dei programmi di politica comunitaria (secondo la procedura di cui agli artt. 7 e 9 del D.P.R. n. 568/1988 che ne detta il regolamento di organizzazione);

·        a concedere, ai soggetti titolari delle azioni comprese nei programmi di politica comunitaria che ne facciano richiesta nei modi stabiliti dal regolamento, anticipazioni a fronte dei contributi spettanti a carico del bilancio della Comunità europea (art. 8 del D.P.R. n. 568/1988).

 

Le risorse nazionali da versare annualmente al conto corrente infruttifero aperto presso la tesoreria centrale dello stato sono iscritte nel bilancio dello Stato sul cap. 7493/Economia. Nel bilancio per il 2015, la dotazione del capitolo è pari a 4.950 milioni di euro per il 2015, 4.450 milioni per il 2016 e a 4.950 milioni per il 2017.

 

Si ricorda che disposizioni analoghe, che consentono la copertura degli eventuali oneri derivanti dai decreti legislativi attuativi delle direttive ivi indicate a valere sul Fondo di rotazione, sono previste anche nella legge di delegazione europea 2013 (Legge 6 agosto 2013 n. 96), nella legge di delegazione europea 2013-secondo semestre (Legge 7 ottobre 2014 n. 154) e in pregresse leggi comunitarie[4].

 

Il comma 4 prevede inoltre che, in caso di incapienza del Fondo di rotazione, i decreti legislativi attuativi delle direttive dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009).

 

Il comma 2 dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 ha introdotto specifiche disposizioni relative alla copertura degli oneri recati dall’attuazione di deleghe legislative. In particolare, è espressamente sancito il principio in base al quale le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti[5].

A tal fine, si dispone, in primo luogo, che ciascuno schema di decreto sia corredato di una relazione tecnica, predisposta ai sensi del successivo comma 3, che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo provvedimento ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. In secondo luogo, la norma dispone che l’individuazione dei mezzi di copertura deve in ogni caso precedere l’entrata in vigore dei decreti medesimi, subordinato l’emanazione dei decreti legislativi alla previa entrata in vigore degli atti legislativi recanti lo stanziamento delle relative risorse finanziarie.

 

E’ altresì previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti anche per i profili finanziari sugli schemi dei decreti legislativi in questione, come richiesto dall'articolo 31, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, che disciplina le procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea.

 

In particolare, il citato comma 4 dell’articolo 31 prevede che gli schemi dei decreti legislativi recanti recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009). Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d'informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

 


Articolo 2
(Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea)

 

 

L’articolo 2, introdotto dal Senato, detta specifici principi e criteri direttivi - aggiuntivi rispetto a quelli generali di cui all’art, 1, comma 1, per il recepimento della direttiva 2014/104/CE che introduce una disciplina volta a garantire il risarcimento di un danno derivante da violazione delle norme europee sulla concorrenza.

 

La direttiva 2014/104/UE (per il cui più specifico contenuto, vedi infra) stabilisce alcune norme necessarie per garantire che chiunque abbia subito un danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza da parte di un'impresa o un'associazione di imprese possa esercitare in maniera efficace il diritto di chiedere a tale impresa o associazione il pieno risarcimento di tale danno. La direttiva: stabilisce norme per promuovere una concorrenza non falsata nel mercato interno e per eliminare gli ostacoli al suo corretto funzionamento, garantendo a qualsiasi soggetto che abbia subito danni di questo tipo una protezione equivalente in tutta l'Unione; stabilisce norme per il coordinamento fra l'applicazione delle regole di concorrenza da parte delle autorità garanti e l'applicazione di tali regole nelle azioni per il risarcimento del danno dinanzi ai giudici nazionali.

 

Ai sensi dell’art. 21 della direttiva, il termine di recepimento nell’ordinamento nazionale è fissato al 27 dicembre 2016.

 

In particolare, in base al comma 1 dell’art. 2 – in virtù del riferimento all’art. 1, comma 1 - il Governo dovrà esercitare la delega entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge di delegazione europea, rispettando le procedure previste dall’art. 31 della legge n. 234 del 2012, che detta norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea.

Sullo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva è previsto il parere delle competenti commissioni parlamentari.

Oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all’art. 1, comma 1, il Governo nel dare attuazione alla direttiva dovrà attenersi a quelli dettati dall’art. 2, comma 1, lettere a), b), c) e d) di seguito illustrate.

 

§  lettera a): introdurre le modifiche all’art. 1 della L. 287/1990 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) necessarie a consentire l’applicazione, in relazione a uno stesso caso, degli artt. 101 e 102 del Trattato sul funzionamento della UE nonché degli artt. 2 e 3 della L. 287/1990 in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza e di abuso di posizione dominante;

 

§  lettera b): estendere l'applicazione delle disposizioni adottate in attuazione della direttiva 2014/104/UE alle azioni di risarcimento dei danni derivanti da intese restrittive della libertà di concorrenza e abuso di posizione dominante, nonché alle relative azioni di risarcimento dei danni;

 

§  lettera c): prevedere che le disposizioni di attuazione della direttiva siano applicate anche alle azioni collettive dei consumatori di cui all’art. 140 del Codice del consumo (D.Lgs. 206/2005) quando ricadano nell’ambito applicativo della direttiva o comunque si tratti di azioni di risarcimento dei danni di cui alla lett. b).

 

L’azione collettiva risarcitoria di cui all’art. 140-bis del Codice del consumo è un istituto la cui finalità è la tutela dei diritti di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea (“diritti individuali omogenei”) nonché la tutela di interessi collettivi.;

Il diritto al risarcimento può derivare da danni per violazione di diritti contrattuali (es. diritti fondati su un contratto sottoscritto per adesione da una pluralità di consumatori) o di diritti comunque spettanti al consumatore finale del prodotto (es. diritto al risarcimento danni da prodotto difettoso) o all’utente del servizio (a prescindere da un rapporto contrattuale), da comportamenti anticoncorrenziali o da pratiche commerciali scorrette. L’oggetto dell'azione è triplice: accertamento della responsabilità; condanna al risarcimento del danno; condanna alle restituzioni in favore degli utenti consumatori.

Sono legittimati ad agire in giudizio i singoli cittadini-consumatori («ciascun componente della classe») anche mediante associazioni cui diano mandato o comitati cui partecipino (comma 1) ma è comunque possibile per altri consumatori aderire successivamente all’azione di classe; l’adesione comporta la rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale.

Il procedimento è scandito in due fasi:

-        la prima, volta alla pronuncia sull’ammissibilità dell’azione di classe;

-        la seconda, finalizzata invece alla decisione nel merito. In caso di accoglimento della domanda, il procedimento si conclude con la sentenza di condanna alla liquidazione, in via equitativa, delle somme dovute a coloro che hanno aderito all’azione ovvero con la definizione di un criterio omogeneo di calcolo per la suddetta liquidazione.

 

Si ricorda che, dal 20 maggio 2015, è all’esame dell’Assemblea della Camera dei deputati, la discussione di una proposta di legge (C 1335-A e abb.) volto a modificare la disciplina dell'azione di classe di cui all’art. 140-bis del Codice del consumo.

In particolare, il provvedimento:

-        sposta la disciplina dell'azione di classe dal codice del consumo al codice di procedura civile; è infatti abrogato il citato art. 140-bis ed inserito nel codice, nel libro dedicato ai procedimenti speciali, un nuovo titolo dedicato all'azione di classe (artt. 840-bis – 840-sexiesdecies).

-        delinea tre distinte fasi della procedura: decisione sull'ammissibilità dell'azione; decisione sul merito dell'azione; liquidazione delle somme dovute agli aderenti;

-        conferma la disciplina attuale, che prevede l'adesione dei portatori di diritti omogenei nella fase iniziale della procedura (sistema opt-in, in base al quale la sentenza produce effetti esclusivamente nei confronti di coloro che hanno posto in essere una condotta processuale attiva di adesione al processo); aggiunge però la possibilità (tipica dei sistemi anglosassoni, basati sull'opt-out) di aderire all'azione anche a seguito della sentenza che accoglie l'azione di classe e che indica i presupposti oggettivi per l'inserimento nella classe;

-        innova la disciplina del compenso per i rappresentanti della classe ed i difensori, in caso di accoglimento della domanda, riconoscendo loro la c.d. quota lite;

-        prevede un ampio ricorso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

 

Si segnala, inoltre, che un disegno di legge delega di iniziativa governativa per l’efficienza del processo civile (C. 2953), attualmente all’esame della Commissione Giustizia della Camera, attribuisce la competenza per l’azione di classe a tutela dei consumatori alle sezioni specializzate per l’impresa ed il mercato (v. ultra).

 

 

§  lettera d): prevedere la revisione della competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa (i cd. tribunali delle imprese)  concentrando le controversie per le violazioni in materia di concorrenza di cui alla direttiva 2014/104/CE presso un numero limitato di uffici giudiziari individuati in base al bacino di utenza e alla proporzionata distribuzione sul territorio nazionale.

 

La disciplina delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale (cd. tribunale delle imprese) introdotta dal D.Lgs. 168/2003 è stata significativamente modificata dal DL 1/2012 (cd. decreto liberalizzazioni), conv. dalla L. 72/2012.

Il DL ha, in particolare, incrementato il numero delle sezioni sul territorio nazionale e ampliato l’ambito di competenza delle precedenti sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale (istituite dal D.Lgs. 168/2003 presso alcuni tribunali e corti d'appello), i cui componenti sono scelti tra magistrati dotati di specifiche competenze.

L’attuale competenza delle sezioni comprende:

      le controversie in materia di proprietà industriale di cui all'articolo 134 del D.Lgs. 30/2005 (Codice della proprietà industriale); quelle in materia di diritto d’autore; le cause relative alle azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi per ottenere provvedimenti d’urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni sulla concorrenza di cui ai titoli dal I al IV della legge n. 287/1990 (sostanzialmente le norme sulle intese restrittive della concorrenza, l’abuso di posizione dominante e le operazioni di concentrazione); le controversie per la violazione della normativa antitrust dell’Unione europea;

      le controversie in materia societaria - in relazione alle società per azioni (spa), alle società in accomandita per azioni ovvero alle società da queste controllate o che le controllano, alle società a responsabilità limitata (s.r.l.); alle società per azioni europee (SE) di cui al Reg. (CE) n. 2157 del 2001; alle società cooperative europee (SCE) di cui al Reg. (CE) n.1435 del 2003; alle “stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società costituite all’estero” ovvero alle società da queste controllate o che le controllano – riguardanti:

      rapporti societari;

      trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti;

      patti parasociali;

      azioni di responsabilità promosse dai creditori delle società controllate contro le società che le controllano;

      rapporti tra società controllante e società “sotto influenza dominante” ex art. 2359, primo comma, n. 3, c.c.) o società coordinata (ex art. 2497-septies cc.); a rapporti tra coop facenti parte di gruppo cooperativo paritetico (ex art. 2545-septies c.c.),

      contratti pubblici di appalto di rilevanza comunitaria, di cui sia parte una delle società sopraindicate (escluse le controversie sull’aggiudicazione, di competenza del giudice amministrativo).

Più analiticamente, per quanto concerne la tipologia di controversie e procedimenti societari attratti alla competenza delle sezioni specializzate, il decreto legislativo 168/2003 indica all’art. 3 le cause relative a rapporti societari, compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni alla delibera dell’assemblea di riduzione del capitale sociale delle spa e delle srl (articoli 2445, terzo comma e 2482, secondo comma, c.c.), le opposizioni all’iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione di destinazione di un patrimonio della società ad uno specifico affare (art. 2447-quater, secondo comma, c.c.), le opposizioni alla revoca dello stato di liquidazione della società (art. 2487-ter, secondo comma, c.c.), le opposizioni alle fusioni di società da parte dei creditori e dei possessori di obbligazioni delle società partecipanti (artt. 2503 e 2503-bis, c.c.), le opposizioni alla scissione delle società (art. 2506-ter c.c.).

Come disposizione di chiusura, è attribuita ai tribunali dell’impresa la competenza anche sulle cause che presentano ragioni di connessione con quelle sopraelencate.

In relazione alle sedi, il D.Lgs 168/2003 aveva istituito dette sezioni presso i tribunali e le corti d'appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia. L’articolo 2 del citato DL liberalizzazioni, oltre a modificarne la denominazione in “sezioni specializzate in materia di impresa”, ha istituito nuove sezioni specializzate in tutti i tribunali e corti d’appello con sede nei capoluoghi di regione che fino ad allora ne erano sprovvisti (si tratta delle sedi di Ancona, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, L’Aquila, Perugia, Potenza e Trento) nonché, in quanto sede di Corte d’appello, presso il tribunale e la Corte d’appello di Brescia. La competenza per il territorio della Valle d’Aosta è attribuita al tribunale e alla Corte d’appello di Torino.

Il DL 1/2012 aumenta quindi da 12 a 21 il numero delle sezioni specializzate, delineando una competenza per materia prevalentemente su base regionale.

 

Si segnala che il citato disegno di legge di delega al Governo per l’efficienza del processo civile (C. 2953) all’esame della commissione Giustizia della Camera, modifica la disciplina dei cd. tribunali delle imprese (art. 1).

In particolare, il d.d.l. amplia l’ambito di competenza delle sezioni (ora denominate “sezioni specializzate per l’impresa e il mercato” attribuendo loro le controversie in materia di concorrenza sleale e pubblicità ingannevole.

 

Attualmente, le sezioni sono competenti solo sulle controversie inerenti la concorrenza sleale che interferisca con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale. Dall’attuazione della delega deriverebbe che, indipendentemente da tale interferenza, per gli illeciti in materia di concorrenza sleale sarebbe competente il tribunale delle imprese, cui sarebbero attribuite anche le controversie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa (in cui è preminente il profilo di tutela dell’impresa).

La competenza delle sezioni specializzate è, inoltre allargata dall’art. 1 del d.d.l. ai seguenti ambiti:

      l’azione di classe a tutela dei consumatori;

Tale competenza, inizialmente posta a carico dei tribunali delle imprese dal citato DL 1/2012, era stata successivamente espunta in sede di conversione.

Considerando impropria la contrapposizione degli interessi delle imprese a quelli dei consumatori, in ragione del comune interesse ad un corretto funzionamento del mercato, il Governo ritiene opportuna la riconduzione ad un unico giudice delle eventuali controversie in materia.

      le controversie sugli accordi di collaborazione nella produzione e lo scambio di beni o servizi relativi a società interamente possedute dai partecipanti all’accordo di collaborazione di cui all’art. 2341-bis, terzo comma, c.c. Il richiamo ai soli patti parasociali (anche diversi da quelli di cui all’art. 2341-bis c.c.) secondo la relazione illustrativa non appare esaustivo anche in ragione dei profili lesivi della concorrenza potenzialmente derivanti dai citati accordi di collaborazione.

      le controversie di cui all’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. 168/2003, relative a società di persone.

Sono in tal modo riunificate davanti alle sezioni specializzate anche le competenze sulle controversie in ambito societario elencate dall’art. 3, comma 2, con riguardo alle società di persone; ciò anche in considerazione del fatto che la legge 168/2003, dopo la riforma del 2012, aveva già attratto alla competenza di tali sezioni le società a responsabilità limitata (che, pur essendo società di capitali, non sono società per azioni).

      le controversie in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario, oltre quelle di cui all’art. 3, comma 2, lett. f), del D.Lgs 168/2003 (ovvero le controversie sugli appalti pubblici di rilevanza comunitaria). Le sezioni specializzate sono attualmente competenti per le controversie in materia di contratti pubblici di rilevanza comunitaria in cui sia parte una delle società indicate dall’art. 3 del D.Lgs 168/2003.

La delega, nello stabilire la competenza delle sezioni specializzate, mantiene fermo il riparto di competenze in materia con il giudice amministrativo, cui spetta giudicare delle controversie relative all’aggiudicazione. Ciò premesso, sono quindi attribuite alla competenza delle sezioni specializzate le controversie sui contratti pubblici - sopra o sotto-soglia comunitaria - in cui sia parte una società di capitali e, a seguito dell’attuazione della delega, anche una società di persone.

 

 

La direttiva 2014/104/UE

 

La direttiva, - inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato - stabilisce alcune norme necessarie per garantire che chiunque abbia subito un danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza da parte di un'impresa o un'associazione di imprese possa esercitare in maniera efficace il diritto di chiedere a tale impresa o associazione il pieno risarcimento di tale danno. Essa stabilisce norme per promuovere una concorrenza non falsata nel mercato interno e per eliminare gli ostacoli al suo corretto funzionamento, garantendo a qualsiasi soggetto che abbia subito danni di questo tipo una protezione equivalente in tutta l'Unione.

Inoltre, la direttiva stabilisce norme per il coordinamento fra l'applicazione delle regole di concorrenza da parte delle autorità garanti e l'applicazione di tali regole nelle azioni per il risarcimento del danno dinanzi ai giudici nazionali.

La direttiva in esame ha come base giuridica gli articoli 103 e 114 del TFUE, in quanto essa persegue due scopi parimenti importanti e legati fra loro: da un lato, l’attuazione dei principi di cui agli articoli 101 e 102 del TFUE (tutela della concorrenza e divieto di posizioni dominanti) e, dall’altro lato, l’adozione di condizioni più uniformi per le imprese che operano nel mercato interno, evitando che un approccio eccessivamente disomogeneo da parte degli Stati membri a questi temi finisca per tradursi in discriminazioni a danno di alcuni cittadini e imprese per i quali l’esercizio dei diritti che discendono dai Trattati potrebbe risultare meno favorevole.

La direttiva in esame, intervenendo ad armonizzare le legislazioni nazionali e fissando norme applicabili in base al principio di sussidiarietà, colma un vuoto normativo che era stato denunciato anche dalla Corte di giustizia europea, la quale aveva chiarito che le richieste di risarcimento dei danni per violazione degli articoli 101 o 102 TFUE rappresentano un fondamentale ambito di applicazione a livello privato della normativa europea sulla concorrenza.

La direttiva dedica (Capo II, artt. 5-8) ampio spazio al tema della divulgazione delle prove, aspetto decisivo nell’ottica di garantire un’effettiva tutela ai soggetti vittime di un illecito antitrust, i quali, generalmente, non dispongono dei documenti necessari per la dimostrazione degli elementi costitutivi della fattispecie. A tale proposito, la direttiva prevede che, su istanza di un attore che abbia presentato una richiesta motivata comprendente fatti e prove ragionevolmente disponibili che siano sufficienti a sostenere la plausibilità̀ della sua domanda di risarcimento del danno, i giudici nazionali potranno ordinare al convenuto o ad un terzo la divulgazione delle prove rilevanti di cui tali soggetti abbiano la disponibilità, a determinate condizioni che vengono precisate dallo stesso atto dell’Unione. Sono introdotti tuttavia dei limiti alla divulgazione delle prove, le quali  in alcuni casi sono inammissibili.

Un altro aspetto della direttiva riguarda l'effetto da riconoscere alle decisioni dei giudici nazionali. A tale riguardo, l’articolo 9 prevede che una decisione definitiva di un’autorità nazionale garante della concorrenza, che abbia accertato una violazione degli articoli 101 e 102 del TFUE, costituisca “automaticamente” la prova di tale violazione dinanzi ai giudici dello stesso Stato membro in cui si è verificata l’infrazione. L’articolo 10 affronta, poi, la questione della prescrizione e di come tale istituto venga influenzato a fronte dell’intervento di un’autorità garante della concorrenza. L’articolo 11 della direttiva prevede che se la violazione della normativa antitrust concerne un comportamento congiunto di più imprese, esse devono essere ritenute responsabili in solido, con la conseguenza che il soggetto danneggiato potrà esigere il pieno risarcimento da ognuna di loro fino  a conseguire il totale indennizzo.

Altro tema molto dibattuto riguarda il problema del trasferimento del sovrapprezzo cui la direttiva dedica l’intero Capo IV (artt. 12-16). Tali disposizioni mirano, da un lato, a riconoscere che il risarcimento del danno spetti a chiunque; dall’altro lato, che siano evitati casi di arricchimento senza causa, ovvero siano concessi risarcimenti del danno superiori al danno effettivamente subito. Le previste norme nazionali di procedura che dovrebbero applicarsi dovranno essere ispirate a linee guida che la Commissione stessa dovrà adottare per i giudici nazionali.

L'articolo 17 è dedicato al tema della quantificazione del danno. La norma fa un implicito richiamo al principio di effettività, precisando che né l’onere della prova né il grado di rilevanza della stessa, richiesti per la quantificazione del danno, devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al risarcimento. Il secondo paragrafo dell’art. 17, peraltro, introduce una presunzione della sussistenza di un danno qualora la violazione delle norme sulla concorrenza consista in un “cartello”,  poiché in questo caso è quasi sempre presente un sovrapprezzo illegale.

Il successivo capo  VI è dedicato alla composizione consensuale delle controversie. Al fine di favorire il ricorso ad una definizione non giudiziale (arbitrati, mediazione, transazioni stragiudiziali, ecc.) di esse, l’articolo 18 stabilisce che gli Stati membri debbano prevedere, per tutta la durata del procedimento, una sospensione (sino a due anni) del termine di prescrizione previsto per intentare un’azione per il risarcimento del danno. L’articolo 19 prevede che gli Stati membri dovranno provvedere affinché, a seguito di una transazione consensuale, dalla richiesta del soggetto danneggiato che ha partecipato a tale transazione sia sottratta la parte di danno arrecata dal coautore della violazione del diritto della concorrenza che ha a sua volta partecipato alla transazione consensuale. L’articolo 20 stabilisce che la Commissione ne riesaminerà il testo e presenterà una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio entro il 27 dicembre 2020.

L’articolo 21 fissa poi il 27 dicembre 2016 come data ultima per il recepimento della direttiva all’interno degli ordinamenti nazionali. Infine, l’articolo 22 definisce l’ambito di applicazione temporale delle norme nazionali di trasposizione del testo UE, le quali non potranno avere efficacia retroattiva e, pertanto, non potranno riguardare azioni per il risarcimento del danno in merito alle quali un giudice nazionale sia stato adito anteriormente al 26 dicembre 2014.

 

 


Articolo 3
(Delega al Governo per la disciplina
sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea
)

 

L'articolo 3 conferisce al Governo, ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 234 del 2012, una delega biennale per l'emanazione di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da direttive attuate in via regolamentare o amministrativa e per le violazioni di regolamenti dell'Unione europea pubblicati alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea 2014.

 

La necessità della disposizione, analoga a quella contenuta nella precedente legge di delegazione europea, discende dal fatto che, sia nel caso dell’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa, sia nel caso di regolamenti comunitari (che, come è noto, non richiedono leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale), deve essere prevista una fonte normativa interna di rango primario atta ad introdurre norme sanzionatorie di natura penale o amministrativa nell’ordinamento nazionale, ove si ravvisi l'esigenza di reprimere eventuali trasgressioni dei precetti contenuti nei sopra richiamati atti normativi.

 

La finalità dell’articolo è pertanto quella di consentire al Governo di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative comunitarie, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni comunitarie vengono trasposte nell’ordinamento interno.

 

L’articolo 33 della legge n. 234 del 2012 individua la delega stessa come contenuto proprio della legge di delegazione europea. Il comma 3 dell’art. 33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base all'art. 14 della legge n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia.

La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata, oltre che secondo i princìpi e i criteri direttivi generali indicati all’art. 32, comma 1, lettera d) della legge n. 234 del 2012, secondo quelli specifici indicati nella legge di delegazione europea.

Il comma 2 del richiamato articolo 33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base all'articolo 14 della legge n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata, oltre che secondo i princìpi e i criteri direttivi generali indicati all’articolo 32, comma 1, lettera d), della legge n. 234 del 2012, secondo quelli specifici eventualmente indicati nella legge di delegazione europea.

La citata lettera d) dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012 riprende sostanzialmente i criteri di delega previsti nelle ultime leggi comunitarie per l’adozione della disciplina sanzionatoria corrispondente. In particolare, sono previste sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi è prevista la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. In luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere anche previste le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo n. 274 del 2000, e la relativa competenza del giudice di pace. Tali sanzioni consistono nell’obbligo di permanenza domiciliare, nel divieto di accesso a luoghi determinati e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (su richiesta dell’imputato). È altresì prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. L’entità delle sanzioni è determinata tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, con particolare riguardo a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Sempre al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose utilizzate per commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'articolo 240, commi 3 e 4, del codice penale e dall'articolo 20 della legge n. 689 del 1981. Entro i limiti di pena indicati sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto a quelle previste nei decreti legislativi. Infine, nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni.

 

Sugli schemi di decreto legislativo adottati in virtù della delega conferita dal presente articolo è prevista l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, secondo le modalità previste dal comma 3 del citato articolo 33.

 

 

 

 

 


 

Articolo 4
(Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi)

 

 

L’articolo 4 delega il Governo ad emanare, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della norma in esame, le norme occorrenti all’adeguamento della normativa nazionale a seguito dell’entrata in vigore del regolamento (UE) n. 1024/2013 del 15 ottobre 2013 del Consiglio, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi.

 

Si ricorda, infatti, che i regolamenti comunitari sono immediatamente applicabili e non devono essere recepiti nell’ordinamento interno. La norma in commento reca pertanto una delega per adeguare - anche sotto il profilo formale - le norme nazionali al regolamento in questione.

 

La vigilanza bancaria è un elemento essenziale dell'Unione bancaria, ovvero della risposta data dall’Area Euro alle molteplici crisi finanziarie ed economiche.

L’Unione bancaria poggia su tre pilastri normativi: i) il Meccanismo di vigilanza unico (SSM), ii) il Meccanismo di risoluzione unico (SRM) e iii) le connesse disposizioni in materia di finanziamento, che comprendono il Fondo di risoluzione unico (SRF), i Sistemi di garanzia dei depositi (SGD) (per la cui attuazione si veda la scheda di lettura dell’articolo 7 del provvedimento in esame) e un meccanismo comune di backstop (linea di credito). I tre pilastri si basano su due serie di norme orizzontali applicabili a tutti gli Stati membri: i requisiti patrimoniali per le banche (pacchetto CRD IV) e le disposizioni della direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche (BRRD).

In tale quadro, il Meccanismo di vigilanza bancaria unica è disciplinato da due regolamenti:

·         il Regolamento (UE) n. 1024/2013 in esame, che conferisce alla Banca centrale europea (BCE) poteri per la vigilanza di tutte le banche della zona euro;

·         il Regolamento (UE) n. 1022/2013 che allinea al nuovo assetto della vigilanza bancaria il vigente regolamento istitutivo dell'Autorità bancaria europea – EBA

 

La normativa è corredata da un accordo interistituzionale tra Parlamento europeo e Banca centrale europea, che disciplina la diffusione delle informazioni fornite dalla BCE, in qualità di autorità di vigilanza, ai competenti organi del PE.

 

In estrema sintesi, le nuove norme prevedono:

·      l'attribuzione alla BCE di compiti specifici di vigilanza prudenziale degli enti creditizi stabiliti negli Stati membri la cui moneta è l'euro, mantenendo le competenze residue in capo alle autorità nazionali di vigilanza. In particolare, a partire dalla seconda metà del 2014, la BCE ha assunto i poteri di vigilanza sulle banche che hanno attivi per almeno 30 miliardi di euro o un patrimonio almeno pari al 20% del PIL del Paese (circa 130 su oltre 6.000 banche presenti nell'eurozona). Le banche sotto quella soglia resteranno sotto la vigilanza delle autorità nazionali;

·      per assicurare che le funzioni di politica monetaria e quelle di vigilanza prudenziale siano rigorosamente separate, è prevista l'istituzione di un comitato di sorveglianza (supervisory board), incaricato dell'istruttoria delle decisioni in materia di sorveglianza e nel quale i Paesi dell'area euro e quelli non-euro avranno pieni ed eguali diritti di voto. Le decisioni del supervisory board si considerato adottate a meno che non siano respinte dal Consiglio dei governatori della BCE;

·      l'assolvimento di tali compiti da parte della BCE nel quadro del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF) e in stretta cooperazione con le autorità di vigilanza nazionali e l'Autorità bancaria europea  (EBA);

·      la responsabilità della BCE per i compiti ad essa attribuiti dinanzi al Parlamento europeo, al Consiglio dell'UE e all'Eurogruppo;

·      il rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali, prevedendo, da un lato, l'obbligo per la BCE di inviare le relazioni che indirizza al Parlamento europeo e al Consiglio dell'UE; dall'altro, la possibilità per i Parlamenti nazionali di indirizzare osservazioni o quesiti alla BCE in merito all'assolvimento dei compiti di vigilanza, nonché invitare il presidente o un membro del consiglio di vigilanza a partecipare a uno scambio di opinioni, insieme con un rappresentante dell'autorità nazionale competente;

·      la rigorosa separazione dei compiti di politica monetaria da quelli di vigilanza per scongiurare potenziali conflitti di interesse;

·      la conferma in capo all'Autorità bancaria europea dei poteri e compiti di elaborazione di standard tecnici, ai fini dello sviluppo di un corpus unico di norme europee, alla convergenza e coerenza delle pratiche di vigilanza e alla mediazione tra le autorità di vigilanza nazionali;

·      per evitare il rischio di penalizzare i Paesi non aderenti al sistema unico di vigilanza, le decisioni in seno all'Autorità bancaria europea (EBA) devono essere assunte con criteri di doppia maggioranza, ovvero con il voto favorevole dei Paesi membri dell'eurozona e di quelli che non hanno adottato la moneta unica.

Sul piano nazionale, il provvedimento della Banca d'Italia del 4 novembre 2014 (Delibera 568/2014) ha disciplinato gli effetti sui procedimenti amministrativi di vigilanza di competenza della Banca d’Italia derivanti dall'entrata in funzione del già citato Single Supervisory Mechanism.

A partire dal 4 novembre 2014, in base al Regolamento UE n. 1024/2013 in parola, la BCE, con l’assistenza della Banca d’Italia, è dunque responsabile per la vigilanza prudenziale sulle banche significative, come individuate nella lista pubblicata dalla BCE in data 4 settembre 2014. Inoltre, vi sono nel Regolamento previsioni specifiche che riguardano tutte le banche, in relazione ad alcune specifiche tipologie di procedimenti di vigilanza (cd. “procedimenti comuni”).

 

Il comma 1 reca quindi gli specifici principi e criteri direttivi che il Governo deve seguire per l’esercizio della delega, accanto ai principi generali di cui all’articolo 1, comma 1, del provvedimento in esame.

 

In particolare, il comma 1, lettera a) delega il Governo ad apportare al Testo unico bancario – TUB (D.Lgs. n. 385 del 1993) e al decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 142 (che ha attuato nell’ordinamento la direttiva 2002/87/CE relativa alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario, nonché all'istituto della consultazione preliminare in tema di assicurazioni), le modifiche e le integrazioni necessarie ad assicurarne la coerenza con il citato regolamento.

 

La lettera b) del comma 1 prevede il coordinamento delle sanzioni contenute nel TUB con quanto stabilito dall’articolo 18 del Regolamento 1024/2013 in materia.

 

L'articolo 18 del Regolamento stabilisce che in caso di violazione dolosa o colposa, da parte degli enti creditizi, delle società di partecipazione finanziaria o delle società di partecipazione finanziaria mista, degli obblighi previsti dai pertinenti atti del diritto dell’Unione, la BCE può imporre sanzioni amministrative pecuniarie fino al doppio dell’importo dei profitti ricavati o delle perdite evitate grazie alla violazione, quando questi possono essere determinati, o fino al 10% del fatturato complessivo annuo, o altre sanzioni pecuniarie eventualmente previste dal diritto dell’Unione. Se la persona giuridica è una filiazione di un’impresa madre, il fatturato di riferimento è il fatturato complessivo annuo risultante nel conto consolidato dell’impresa madre capogruppo nell’esercizio finanziario precedente. Le sanzioni applicate sono efficaci, proporzionate e dissuasive.

Laddove necessario, la BCE può chiedere alle autorità nazionali competenti di avviare procedimenti volti a intervenire per assicurare che siano imposte sanzioni appropriate. Tale procedura si applica in particolare alle sanzioni pecuniarie nei confronti degli enti creditizi, delle società di partecipazione finanziaria o delle società di partecipazione finanziaria mista in caso di violazione del diritto nazionale di recepimento delle pertinenti direttive e alle misure e sanzioni amministrative nei confronti dei membri dell’organo di amministrazione, o ad ogni altro soggetto responsabile.

 

Si rammenta che l’8 maggio 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo (non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) che contiene le modifiche al Testo Unico Bancario e al Testo Unico della Finanza volte a recepire, a livello legislativo la direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (c.d. CRD4) (Atto del Governo n. 150).

Tra le modifiche apportate da tale decreto vi è la complessiva riforma della disciplina delle sanzioni amministrative; viene stabilito il passaggio ad un sistema volto a sanzionare in primo luogo l’ente e, solo sulla base di presupposti individuati dalle norme, anche l’esponente aziendale o la persona fisica responsabile della violazione.

 

Infine, la lettera c) del comma 1 delega il Governo ad apportare alla normativa vigente tutte le modifiche ed integrazioni occorrenti ad assicurare il coordinamento con le disposizioni emanate in attuazione dell’articolo in esame.

 

Il comma 2 introduce la clausola di invarianza finanziaria in base alla quale dall’attuazione delle norme in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le Amministrazioni interessate provvedono alla sua attuazione con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 

 


Articolo 5
(Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2013/50/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, recante modifica della direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, della direttiva 2003/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari, e della direttiva 2007/14/CE della Commissione, che stabilisce le modalità di applicazione di talune disposizioni della direttiva 2004/109/CE)

 

 

L’articolo 5, modificato al Senato, reca i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2013/50/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, in materia di obblighi di trasparenza e di informazione in capo ai soggetti che emettono valori mobiliari e strumenti finanziari negoziati su mercati regolamentati (cd. direttiva Transparency).

Tra gli specifici principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, l’articolo 5 contempla l’attribuzione di competenze e poteri di vigilanza alla CONSOB; l’innalzamento della soglia minima per l’attivazione dell’obbligo di comunicazione delle partecipazioni rilevanti; l’attribuzione alla CONSOB del potere di disporre obblighi di pubblicazione, per gli emittenti strumenti finanziari, di informazioni finanziarie periodiche aggiuntive, con una frequenza maggiore rispetto alle relazioni finanziarie annuali e alle relazioni finanziarie semestrali.

 

Il comma 1 reca gli specifici principi e criteri direttivi – oltre a quelli generali recati all’articolo 1, comma 1 del disegno di legge in esame – per l’attuazione della predetta direttiva 2013/50/UE.

In particolare, il Governo è tenuto a:

a)     apportare al Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria - TUF, di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva e delle relative misure di esecuzione nell'ordinamento nazionale, prevedendo, ove opportuno, il ricorso alla disciplina secondaria e attribuendo le competenze e i poteri di vigilanza previsti nella direttiva medesima alla CONSOB, quale autorità competente (comma 1, lettera a));

b)     prevedere, ove opportuno, l'innalzamento della soglia minima prevista dal Testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 (TUF), in materia di obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti, nel rispetto di quanto disposto dalla direttiva 2004/109/CE, nonché le occorrenti modificazioni al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti (comma 1, lettera b, introdotta al Senato)).

Ai sensi degli articoli 120 e seguenti del TUF (come integrato dal Regolamento Emittenti, di cui alla delibera CONSOB n. 11971 del 14 maggio 1999, come successivamente modificata), in estrema sintesi, la soglia di disclosure attualmente fissata nel nostro ordinamento è pari al 2% (salvo alcune rilevanti deroghe) e rappresenta un’eccezione nell’ambito del panorama europeo (salvo il Portogallo), in cui tutti i gli altri principali Paesi hanno soglie minime comprese tra il 3% e il 5%. In particolare le deroghe vigenti fanno riferimento ai seguenti casi: (i) talune tipologie di soggetti dichiaranti (le società di gestione e i soggetti abilitati possono comunicare talune tipologie di partecipazioni gestite alla soglia minima del 5%); (ii) nel caso in cui l’emittente sia una PMI (in tal caso è prevista la soglia minima del 5%); (ii) per le variazioni dell’ammontare delle partecipazioni di natura passiva, non conseguenti cioè ad un atto di volontà del soggetto dichiarante;

c)     attribuire alla CONSOB il potere di disporre, con proprio regolamento e in conformità con le previsioni della direttiva 2013/50/UE, obblighi di pubblicazione delle informazioni finanziarie periodiche aggiuntive, con una frequenza maggiore rispetto alle relazioni finanziarie annuali e alle relazioni finanziarie semestrali ((comma 1, lettera c, introdotta al Senato)).

In ordine a tali obblighi la CONSOB ha rilevato che la pubblicazione di un’informativa trimestrale rappresenta uno strumento importante per la tutela degli investitori, in quanto fornisce informazioni tempestive e attendibili sui risultati degli emittenti, con la necessitò di distinguere tra emittenti di minori e di maggiori dimensioni, per i primi, la pubblicazione delle relazioni trimestrali potrebbe risultare un onere eccessivo e potrebbe non essere proporzionata ai fattori che contribuiscono alle decisioni di investimento assunte dagli investitori; infine, per tali emittenti, spesso caratterizzati da una bassa capitalizzazione e/o da una ridotta liquidità degli scambi, la riduzione delle informazioni disponibili per gli investitori sarebbe contemperata da una riduzione della pressione sui risultati di breve periodo e della volatilità dei corsi azionari. Per le imprese di maggiori dimensioni, invece, gli oneri amministrativi connessi con la predisposizione delle informazioni su base trimestrale non sembrerebbero particolarmente significativi, in quanto tali emittenti dispongono di sistemi di rendicontazione su base mensile/trimestrale con finalità di controllo di gestione che consentono al management di avere rapidamente informazioni affidabili sulla base delle quali predisporre le relazioni trimestrali. Inoltre, il contenuto delle informazioni finanziarie periodiche aggiuntive richieste dovrebbe essere proporzionato ai fattori che contribuiscono alle decisioni di investimento assunte dagli investitori, quali ad esempio, una descrizione della situazione patrimoniale e dell’andamento economico e un’illustrazione degli eventi rilevanti e delle operazioni che hanno avuto luogo nel periodo di riferimento. L’Autorità ritiene, inoltre, che l’imposizione di obblighi di pubblicazione di informazioni periodiche trimestrali agli emittenti di maggiori dimensioni non comporti un’attenzione eccessiva ai risultati e al rendimento a breve termine. In tale contesto, in assenza di un resoconto trimestrale, si correrebbe il rischio di continui interventi da parte della CONSOB volti a ripristinare la parità informativa in caso di rumors sull’andamento economico-patrimoniale degli emittenti nel lungo arco temporale tra la pubblicazione della rendicontazione semestrale (agosto) e la pubblicazione del bilancio (aprile). Infine, per le società finanziarie, poiché l’elaborazione di informazioni con periodicità trimestrale è richiesta anche in virtù di specifiche norme settoriali, la pubblicazione delle relazioni trimestrali non dovrebbe comportare rilevanti oneri amministrativi aggiuntivi. In definitiva, l’Autorità ritiene opportuno recepire la direttiva transparency attribuendo alla CONSOB il potere regolamentare di disciplinare gli obblighi di redazione della relazione trimestrale secondo le reali esigenze informative del mercato;

 

d)     apportare le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell'investitore e di tutela della stabilità finanziaria (comma 1, lettera d)).

 

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dall'attuazione dell’articolo 4 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le autorità interessate provvedono agli adempimenti relativi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Il contenuto della direttiva Transparency

 

La direttiva 2013/50/CE è stata adottata per modificare la direttiva 2004/109/CE  sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato e le direttive connesse (in particolare, la direttiva 2003/71/CE relativa al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari e la direttiva 2007/14/CE che stabilisce le modalità di applicazione di talune disposizioni della direttiva 2004/109/CE sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato).

L'esigenza di modificare il quadro normativo in questo settore è stata motivata con le rapide trasformazioni del mercato finanziario e con la volontà di ridurre l’onere amministrativo a carico delle piccole e medie società emittenti, in modo da migliorare il loro accesso ai capitali. In particolare, è stato cancellato l’obbligo di presentare relazioni finanziarie trimestrali, che rappresentano un onere significativo per molti piccoli e medi emittenti, senza essere necessarie per la tutela degli investitori.

Accanto allo scopo di ridurre gli oneri amministrativi, la nuova disciplina si propone di attenuare l’orientamento ai risultati di breve periodo da parte di emittenti e investitori (c.d. short-termism), causa di un eccesso di volatilità sui mercati finanziari. Gli Stati membri possono, tuttavia, imporre agli emittenti di pubblicare informazioni finanziarie periodiche aggiuntive, eventualmente mantenendo fermo l’obbligo di redazione della relazione trimestrale.

Ad avviso della Commissione Europea, l’abolizione dell’obbligo di pubblicazione della relazione trimestrale non andrebbe a detrimento delle esigenze informative degli investitori (attuali e potenziali), poiché l’informativa contabile sui conti annuali e semestrali e l’informativa pubblicata in applicazione delle direttive “prospetti” e “market abuse” (direttiva 2003/6/CE, sostituita dal regolamento 569/2014 a decorrere dal 3 luglio 2016), concernente i fatti e gli eventi più importanti che interessano l’emittente, garantisce una disclosure adeguata per la tutela degli investitori.

Come rilevato dalla CONSOB nel corso dell’audizione svoltasi al Senato per l’esame del DDL in commento, la richiesta di pubblicare “relazioni trimestrali” è quindi subordinata allo svolgimento di un’analisi di impatto che deve tenere conto della rilevanza delle informazioni per l’assunzione di decisioni di investimento da parte degli investitori e, soprattutto per gli emittenti di minore dimensione, degli oneri amministrativi correlati. Inoltre, deve essere svolta una valutazione se tali requisiti aggiuntivi possano comportare un’attenzione eccessiva ai risultati e al rendimento a breve termine degli emittenti e incidere negativamente sulle possibilità di accesso dei piccoli e medi emittenti ai mercati regolamentati.

Questo approccio, volto a contemperare la necessità di assicurare la trasparenza del mercato con l’obiettivo di ridurre i costi di accesso al mercato dei capitali, non si applica agli enti finanziari (banche e assicurazioni); la direttiva non pregiudica, infatti, la facoltà degli Stati membri di richiedere la pubblicazione di informazioni finanziarie periodiche aggiuntive agli emittenti che siano enti finanziari, indipendentemente dalla verifica delle condizioni di proporzionalità ai fattori che contribuiscono alle decisioni di investimento e di non eccessiva onerosità.

Per garantire la trasparenza sui pagamenti effettuati a favore dei governi, gli emittenti di valori mobiliari negoziati su mercati regolamentati e che operano nell’industria estrattiva o forestale primaria comunicano annualmente, in una relazione separata, i pagamenti effettuati ai governi dei paesi in cui operano.

Ai fini della trasparenza e della tutela degli investitori, si chiarisce che gli Stati membri devono prescrivere l’applicazione di alcuni princìpi alle comunicazioni sui pagamenti effettuati ai governi: 1) rilevanza degli importi, che - singoli o correlati tra loro - non devono essere inferiori alla soglia di 100.000 euro per essere considerati nella relazione; 2) comunicazione per singolo governo e progetto; 3) universalità - che significa che non dovrebbero essere autorizzate esenzioni a favore di alcun soggetto, per non creare effetti distorsivi; 4) esaustività - che significa che tutti i pagamenti pertinenti versati ai governi vanno segnalati, in linea con la direttiva 2013/34/UE sui bilanci di esercizio e consolidati.

Per garantire che gli emittenti e gli investitori abbiano piena conoscenza della struttura dell’assetto proprietario delle società, la definizione di strumenti finanziari comprende tutti gli strumenti con effetto economico simile alla detenzione di azioni e al diritto di acquisirne; ciò è reso opportuno dalla introduzione (per effetto dell'innovazione finanziaria) di nuove tipologie di strumenti in grado di generare una esposizione economica degli investitori nei confronti delle società e la cui comunicazione non è disciplinata dalla direttiva 2004/109/CE. Inoltre, per garantire un’adeguata trasparenza delle partecipazioni rilevanti, è richiesta una nuova notifica per ogni variazione nella tipologia delle partecipazioni.

L'armonizzazione delle norme sulla notifica delle partecipazioni rilevanti con diritto di voto - in particolare per quanto riguarda l’aggregazione delle partecipazioni azionarie con la detenzione di strumenti finanziari - è condizione necessaria per aumentare la certezza del diritto, migliorare la trasparenza e ridurre gli oneri amministrativi per gli investitori transfrontalieri. Tuttavia, in considerazione delle differenze esistenti nella concentrazione della proprietà e nel diritto societario tra gli Stati dell’Unione, la direttiva consente agli Stati membri di continuare a definire soglie inferiori e aggiuntive per la notifica delle partecipazioni con diritto di voto e a esigere notifiche equivalenti in relazione a soglie basate sulle quote di capitale. Inoltre gli Stati membri possono continuare a definire obblighi più rigorosi di quelli stabiliti dalla direttiva 2004/109/CE riguardo a contenuto, procedura e tempi di notifica sulle partecipazioni rilevanti non previste dalla stessa direttiva 2004/109/CE. In particolare gli Stati possono continuare ad applicare disposizioni legislative, regolamentari o amministrative in materia di offerte pubbliche di acquisto, operazioni di fusione e altre operazioni che incidono sulla proprietà o sul controllo di imprese sottoposte a vigilanza in conformità all’articolo 4 della direttiva 2004/25/CE (concernente le offerte pubbliche di acquisto) che stabilisce obblighi di pubblicità più severi rispetto alla direttiva 2004/109/CE.

Vengono introdotte norme tecniche che garantiscono un’armonizzazione coerente del regime di notifica delle partecipazioni rilevanti, nonché livelli di trasparenza adeguati.

L’obiettivo delle nuove disposizioni è quello di favorire una maggiore armonizzazione degli obblighi di trasparenza sulle partecipazioni rilevanti e di estenderne l’ambito applicativo a tutti i derivati aventi come sottostante azioni quotate. A tal fine, la direttiva ha previsto l’obbligo di trasparenza per le partecipazioni in strumenti finanziari equivalenti alle azioni, stabilendo i conseguenti criteri di aggregazione, ed ha armonizzato altresì il regime delle esenzioni. Le modifiche alla direttiva transparency prevedono obblighi di disclosure nel caso in cui la partecipazione detenuta (direttamente o indirettamente), nella nuova accezione che include i derivati, superi, raggiunga ovvero discenda al di sotto di talune soglie, a partire dal 5%.

La direttiva prevede che lo Stato membro d’origine non possa assoggettare un possessore di azioni, o una persona fisica o giuridica, ad obblighi più severi di quelli ivi previsti, salvo che (i) definisca soglie di notifica inferiori o aggiuntive rispetto a quelle contemplate; (ii) imponga obblighi più severi rispetto al contenuto informativo della notifica; o (iii) applichi disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate in riferimento alle OPA, alle operazioni di fusione che incidono sulla proprietà o sul controllo di un’impresa, che sono soggette alla vigilanza delle autorità designate dagli Stati membri in conformità alla direttiva 2004/25/CE.

Per facilitare gli investimenti transfrontalieri, gli investitori devono poter accedere facilmente, e per tutte le società quotate nell’Unione, alle informazioni previste dalla regolamentazione. A tal fine, viene delegato alla Commissione il potere di adottare atti per definire gli standard minimi per la diffusione delle informazioni previste, l’accesso a queste ultime in tutto il territorio dell’Unione e i meccanismi per centralizzare la gestione di tali informazioni. L’AESFEM predispone e gestisce un portale web che funge da punto di accesso elettronico europeo.

Vengono rafforzati i poteri sanzionatori degli Stati, anche per le sanzioni amministrative pecuniarie accessorie. Gli Stati possono adottare sanzioni anche nei confronti dei singoli membri degli organi di amministrazione delle società, o di ogni soggetto che sia ritenuto responsabile di violazioni. Affinché le decisioni che impongono sanzioni o misure amministrative abbiano un effetto dissuasivo sul grande pubblico è opportuno che siano di norma pubblicate. La pubblicazione costituisce uno strumento importante per informare i partecipanti al mercato in merito a quali comportamenti siano considerati in violazione della direttiva 2004/109/CE e per promuovere la diffusione di comportamenti corretti tra i partecipanti stessi.

La direttiva 2013/50/UE precisa, adattandosi alle trasformazioni di alcuni aspetti del mercato finanziario, la definizione di “emittente”, in modo tale da includere gli emittenti di titoli non quotati rappresentati da certificati di deposito ammessi alla negoziazione. Tale definizione tiene conto del fatto che in alcuni Stati membri gli emittenti di titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato possono essere persone fisiche.

Un'altra definizione importante specificata è quella di "Stato membro di origine" per le società emittenti titoli di debito di un paese terzo. In tali casi viene stabilito che lo Stato membro d’origine deve essere uno Stato membro scelto dall’emittente tra quelli in cui i suoi valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato.

La comunicazione delle informazioni richieste dalla normativa sulla trasparenza finanziaria è agevolata dalla disposizione che prevede per tali comunicazioni un formato elettronico armonizzato, con benefici per gli emittenti, gli investitori e le autorità competenti. Pertanto, a decorrere dal 1o gennaio 2020, è obbligatoria la preparazione delle relazioni finanziarie annuali in un formato elettronico unico di comunicazione. L’AESFEM è incaricata di elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione da sottoporre all’adozione della Commissione.

 

 

 


Articolo 6
(
Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE)

 

 

L’articolo 6, introdotto durante l’esame al Senato, delega il Governo al recepimento entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge della direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati. In particolare, la direttiva è intesa a migliorare il funzionamento del mercato interno del tabacco e dei prodotti correlati (tra cui le sigarette elettroniche) sulla base di un alto livello di protezione della salute umana, soprattutto con riferimento alle giovani generazioni.

 

La norma reca princìpi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega, che si aggiungono a quelli generali, richiamati dall'articolo 1, comma 1, del presente disegno di legge (la direttiva era già inserita nell'allegato B del disegno di legge originario S. 1758 ed è stata espunta dallo stesso durante l’esame presso il Senato).

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva è il 20 maggio 2016; tale termine coincide con il termine iniziale di decorrenza delle medesime nuove norme[6]. Alcune misure transitorie (fino al 20 maggio 2017) sono ammesse ai sensi dell'articolo 30 della Direttiva stessa.

 

I princìpi e criteri direttivi specifici fissati all’articolo 6 prevedono:

·      l'abrogazione esplicita del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 184, recante "attuazione della direttiva 2001/37/CE in materia di lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco" (lettera a));

·      il perseguimento dell'obiettivo, tenuto conto della peculiarità dei prodotti del tabacco, di ostacolare un eccesso di offerta e la diffusione del fumo tra i minori (lettera b));

·      la scelta dell'avvertenza generale sui rischi potenziali derivanti dal fumo in modo da assicurare un ampio livello di protezione della salute (lettera c));

·      in un'ottica di semplificazione, una rotazione del catalogo delle avvertenze sanitarie conforme all'ordine numerico contemplato nell'allegato II della direttiva 2014/40/UE (lettera d));

·      l'esclusione di norme più severe sul confezionamento, rispetto a quelle stabilite dalla suddetta direttiva, considerato l’elevato livello di protezione della salute umana offerto dalla medesima (lettera e));

·      l'applicazione, per i tabacchi da inalazione senza combustione, con riferimento ai produttori che ne facciano richiesta, di una normativa coerente con la disciplina di cui all'art. 19 della direttiva 2014/40/UE, il quale concerne i prodotti del tabacco di nuova generazione, in modo da riconoscere il potenziale rischio ridotto di questi ultimi (lettera f));

·      l'ammissione fino alla data del 20 maggio 2017 della vendita al consumatore finale dei prodotti non conformi alla direttiva in oggetto, fabbricati ed etichettati prima del 20 maggio 2016 - purché trasferiti entro il 20 agosto 2016 dal fabbricante o importatore al depositario autorizzato e purché venduti entro il 20 ottobre 2016 dal depositario autorizzato alle rivendite - (lettera g));

·      l'equiparazione dei prodotti non conformi alla direttiva 2014/40/UE, eventualmente giacenti presso le rivendite dopo il suddetto termine del 20 maggio 2017, ai prodotti con difetti di condizionamento e confezionamento all’origine (lettera g) citata);

·      la definizione, in ragione dei tempi di stagionatura e di produzione, per i prodotti del tabacco da fumo diverso dalle sigarette, dal tabacco da arrotolare e dal tabacco per pipa ad acqua, di termini temporali più ampi rispetto a quelli contemplati dalla suddetta lettera g), compatibilmente con la normativa comunitaria (lettera h)).

Andrebbe valutata l’opportunità di esplicitare che, in base all'art. 30 della Direttiva, resta fermo che il termine per la vendita non può superare la data del 20 maggio 2017.

 

Ai sensi del comma 3, sullo schema di decreto è acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

 

Il comma 4 reca le clausole di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il contenuto della direttiva 2014/40/UE

 

La direttiva 2014/40/UE è intesa a migliorare il funzionamento del mercato interno del tabacco e dei prodotti correlati (tra cui le sigarette elettroniche) sulla base di un alto livello di protezione della salute umana, soprattutto con riferimento alle giovani generazioni.

L'articolo 3 della direttiva fissa i livelli massimi di emissione in termini di catrame, nicotina ed altre sostanze per le sigarette e l'articolo 4 regola i criteri di misurazione. Si stabilisce che gli ingredienti e i livelli di emissione dovranno essere obbligatoriamente segnalati da fabbricanti ed importatori (articolo 5), con particolare riferimento agli additivi di cui all'articolo 6, i quali sono soggetti ad obbligo di segnalazione rinforzato.

L'articolo 7 regola gli ingredienti, vietando "l'immissione sul mercato dei prodotti del tabacco con un aroma caratterizzante", ad eccezione di quanto essenziale per la produzione, come lo zucchero. Tale divieto si applica solo alle sigarette ed al tabacco da arrotolare (paragrafo 12), rimanendo esclusi i sigari e, per espressa statuizione del paragrafo 15, il tabacco per uso orale.

Gli articoli 8-16 disciplinano l'etichettatura ed il confezionamento. Particolare attenzione viene riservata alle avvertenze relative alla salute, da apporre su ciascuna confezione unitaria e sull'eventuale imballaggio esterno, regolate nel dettaglio dagli articoli 8-12. Al fine di permettere la tracciabilità, è stabilito che tutte le confezioni unitarie dei prodotti del tabacco siano contrassegnate da un identificativo univoco (articolo 15) e da un elemento di sicurezza antimanomissione (articolo 16).

In merito alle sigarette elettroniche, l'articolo 20 ne consente l'immissione sul mercato "solo se conformi alla presente direttiva e a ogni altra disposizione legislativa pertinente dell'Unione". La loro immissione sul mercato è subordinata ad una notifica alle autorità competenti degli Stati membri, il cui contenuto è dettagliato nel paragrafo 2 dell'articolo 20. I paragrafi 3 e 4 dettano norme in materia di composizione di tali prodotti e di caratteristiche delle confezioni unitarie. Specifici divieti in materia di comunicazioni commerciali sono posti dal paragrafo 5.

Gli articoli 21 e 22 sono dedicati ai prodotti da fumo a base di erbe, regolandone le avvertenze relative alla salute e la segnalazione degli ingredienti.

Agli Stati membri (articolo 23) è affidato il compito di vigilare affinché i fabbricanti e gli importatori forniscano le informazioni richieste alle autorità competenti ed alla Commissione europea e non siano immessi sul mercato prodotti non conformi alla direttiva. Ad essi spetta inoltre stabilire le sanzioni ("efficaci, proporzionate e dissuasive") da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali di attuazione. Un obbligo generico di collaborazione tra Stati membri e Commissione è posto dall'articolo 23, paragrafo 4.

Fermo restando che l'immissione sul mercato dei prodotti del tabacco o correlati conformi alla direttiva non può essere vietata o limitata, l'articolo 25 esplicitamente statuisce che non è pregiudicato il diritto degli Stati membri di mantenere o introdurre ulteriori disposizioni di standardizzazione del confezionamento dei prodotti del tabacco, qualora giustificate da motivi di salute pubblica. Non è nemmeno esclusa la possibilità che uno Stato membro vieti una determinata categoria di tabacco o prodotti correlati, purché tale misura sia giustificata da esigenze di tutela della salute umana, salva successiva approvazione della Commissione europea.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Lo scorso 4 maggio la Commissione europea ha presentato due proposte di decisione per la conclusione, a nome dell'Unione europea, del protocollo sull'eliminazione del commercio illegale dei prodotti derivati dal tabacco adottato nel 2013 in attuazione della convenzione quadro dell’Organizzazione mondiale della sanità per la lotta al tabagismo.

L’esame delle due proposte (COM(2015)193 e COM(2015)194) presso il  Parlamento europeo e il Consiglio non è ancora iniziato.

 


 

Articolo 7
(
Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2014/49/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi)

 

 

L’articolo 7, modificato durante l’esame al Senato, contiene la delega per l’attuazione della direttiva 2014/49/UE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi.

Tra i princìpi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, le norme in commento richiamano l’obiettivo della tutela dei risparmiatori e della stabilità del sistema bancario e l’individuazione della Banca d’Italia quale autorità amministrativa competente. Inoltre, il legislatore delegato deve determinare le caratteristiche dei depositi che beneficiano della copertura offerta dai sistemi di garanzia, nonché l’importo della copertura e la tempistica dei rimborsi ai depositanti, con alcune precisazioni. Spetta poi al legislatore delegato individuare le modalità e la tempistica per la raccolta dei mezzi finanziari da parte dei sistemi di garanzia dei depositi, nonché chiarire le modalità di investimento dei mezzi finanziari raccolti dai sistemi di garanzia dei depositi, la concessione di prestiti da parte dei sistemi di garanzia dei depositi ad altri sistemi all’interno dell’Unione europea e le procedure di condivisione di informazioni e comunicazioni con sistemi di garanzia dei depositi e i loro membri in Italia e nell’Unione europea.

 

Si ricorda che i sistemi di garanzia dei depositiSGD costituiscono un elemento essenziale dell'Unione bancaria, e cioè della risposta data dall’Area Euro alle molteplici crisi finanziarie ed economiche. Essa poggia su tre pilastri normativi: i) il Meccanismo di vigilanza unico (SSM), ii) il Meccanismo di risoluzione unico (SRM) e iii) le connesse disposizioni in materia di finanziamento, che comprendono il Fondo di risoluzione unico (SRF), i Sistemi di garanzia dei depositi (SGD) e un meccanismo comune di backstop (linea di credito). I tre pilastri si basano su due serie di norme orizzontali applicabili a tutti gli Stati membri: i requisiti patrimoniali per le banche (pacchetto CRD IV) e le disposizioni della direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche (BRRD).

In particolare, assieme alla citata direttiva 2014/59/UE (Bank Recovery and Resolution Directive – BRRD), la direttiva 2014/49/UE (Deposit Guarantee Scheme Directive – DGSD) reca la nuova disciplina in materia di crisi bancarie.

Tali disposizioni costituiscono l’attuazione in Europa dei principi elaborati dal Financial Stability Board e sottoposti ai capi di Stato e di Governo nell’ambito del G-20. Le due direttive sono il risultato finale di un complesso negoziato, che ha coinvolto la Commissione, i governi nazionali e il Parlamento europeo nell’ambito della procedura ordinaria di co-decisione. Nella consapevolezza che fosse necessario risolvere una volta per tutte questi problemi, il legislatore europeo ha introdotto, entro il solco tracciato dal G20, un nuovo sistema armonizzato di risoluzione delle crisi bancarie atto a conseguire simultaneamente una pluralità di obiettivi: gestire in modo ordinato e coordinato il dissesto, minimizzare le ripercussioni negative sulla stabilità sistemica, preservare la continuità di servizi e funzioni essenziali (ad es., i sistemi di pagamento e le infrastrutture di mercato), tutelare i depositi (in particolare, quelli di valore pari o inferiore a 100.000 euro) e i fruitori dei servizi d’investimento, evitare oneri per le finanze pubbliche.

 

 

Il contenuto della direttiva 2014/49/UE

 

La direttiva 2014/49/UE costituisce una rifusione della direttiva 94/19/CE, già modificata – in precedenza - dalla direttiva 2009/14/CE e persegue lo scopo di garantire una maggiore armonizzazione dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi bancari.

I sistemi di garanzia dei depositi (SGD) sono meccanismi nazionali – finanziati dagli enti creditizi – tesi ad assicurare il rimborso di una determinata quota dei depositi bancari in caso di indisponibilità degli stessi all’esito di una decisione delle autorità competenti o dell’autorità giudiziaria. La ragione principale di un nuovo intervento dell’Unione in tema di SGD è esplicitata nel considerando 2 della direttiva, ai sensi del quale è necessario eliminare talune differenze tra le legislazioni degli Stati membri in tale materia, allo scopo di facilitare l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio.

La direttiva prevede che i sistemi si dotino di risorse commisurate ai depositi protetti; a tal fine, è previsto l’obbligo a carico degli intermediari di versare contributi su base periodica. Ai sensi dell’articolo 10 della direttiva, i mezzi finanziari disponibili dei sistemi derivano dai contributi che devono essere versati dai loro membri almeno annualmente. Una novità di rilievo è dunque il passaggio da un sistema di contribuzione ex-post, in cui i fondi vengono “chiamati” in caso di necessità, a un altro ex-ante, in cui i fondi devono essere contributi sono versati periodicamente fino a raggiungere la percentuale prestabilita dei depositi protetti.

Tra le novità vi è la previsione di requisiti finanziari minimi comuni per i sistemi di garanzia dei depositi, i cui mezzi finanziari disponibili dovranno raggiungere, entro il 3 luglio 2024, almeno un livello obiettivo dello 0,8 per cento dell’importo dei depositi coperti. È altresì prevista una graduale riduzione dei termini per il pagamento del rimborso a favore dei depositanti: attraverso tre fasi, si dovrà arrivare ad assicurare tale pagamento in sette giorni lavorativi, in luogo degli attuali venti. L’ammontare della copertura, in caso di indisponibilità, è di 100.000 euro per ciascun depositante, essendo posto il principio per cui è il depositante, non il singolo deposito, ad essere tutelato.

L’articolo 11 chiarisce che i mezzi finanziari raccolti, pur destinati principalmente al rimborso dei depositanti, potranno essere utilizzati anche per la risoluzione delle crisi degli enti creditizi, conformemente alla cd. BRRD Directive (direttiva 2014/59/UE), già richiamata supra. Sono inoltre attribuiti poteri all’Autorità bancaria europea (EBA), che avrà un ruolo di coordinamento, oltre ad effettuare verifiche sulla solidità degli SGD.

Il termine previsto per il recepimento della direttiva in esame è il 3 luglio 2015, ad eccezione di talune norme tecniche, per le quali il termine è il 31 maggio 2016.

 

 

In particolare, il comma 1 dispone che, nell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva 2014/49/UE il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali, di cui all’articolo 1, comma 1, e a quelli indicati dalla medesima direttiva, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:

a)     apportare alla disciplina nazionale in materia di sistemi di garanzia dei depositi, contenuta nel Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia – TUB, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva, avendo riguardo agli obiettivi della tutela dei risparmiatori e della stabilità del sistema bancario, nonché in conformità con gli orientamenti dell’Autorità bancaria europea e nel rispetto degli atti delegati adottati dalla Commissione europea (comma 1, lettera a));

b)     prevedere, ove opportuno, il ricorso alla disciplina secondaria adottata dalla Banca d’Italia (comma 1, lettera b));

c)      individuare nella Banca d’Italia l’autorità amministrativa competente e l’autorità designata, ai sensi degli articoli 2 e 3 della direttiva; per “autorità competente” (ai sensi del regolamento UE n. 575 del 2013, espressamente richiamato dalla direttiva) si intende una pubblica autorità o un ente ufficialmente riconosciuto dal diritto nazionale che, in quanto soggetti appartenenti al sistema di vigilanza in vigore nello Stato membro interessato, sono abilitati, in virtù del diritto nazionale, all'esercizio della vigilanza sugli enti; per “autorità designata” si intende un organismo incaricato della gestione degli SGD ai sensi della presente direttiva o, qualora il funzionamento dell’SGD sia gestito da una società privata, un’autorità pubblica designata dallo Stato membro interessato che vigila su tale sistema ai sensi della presente direttiva (comma 1, lettera c));

d)     definire le modalità di intervento dei sistemi di garanzia dei depositi diverse dal rimborso dei depositanti (comma 1, lettera d));

e)      determinare (comma 1, lettera e)):

1)     le caratteristiche dei depositi che beneficiano della copertura offerta dai sistemi di garanzia, nonché l’importo della copertura e la tempistica dei rimborsi ai depositanti con alcune precisazioni, introdotte nel corso dell’esame del provvedimento al Senato:

1.1) prevedere che i depositi su un conto di cui due o più persone siano titolari, come membri di una società di persone o di altra associazione o gruppo di natura analoga senza personalità giuridica, vengano cumulati e trattati come se fossero effettuati da un unico depositante ai fini del calcolo del limite di 100.000 euro previsto dalla direttiva;

1.2) prevedere che le posizioni debitorie del depositante nei confronti dell'ente creditizio siano prese in considerazione nel calcolo dell'importo rimborsabile, se esigibili alla data in cui il deposito viene dichiarato “indisponibile”, nella misura in cui la compensazione è possibile a norma delle disposizioni di legge o contrattuali che disciplinano il contratto tra l'ente creditizio e il depositante;

1.3) limitare il periodo entro il quale i depositanti, i cui depositi non sono stati rimborsati o riconosciuti dai sistemi di garanzia dei depositi, possono reclamare il rimborso dei loro depositi;

2)     le modalità e la tempistica per la raccolta dei mezzi finanziari da parte dei sistemi di garanzia dei depositi; per effetto delle modifiche apportate al Senato, si specifica che i membri di un sistema di protezione di tipo istituzionale versino contributi più bassi a tali sistemi;

3)     le modalità di investimento dei mezzi finanziari raccolti dai sistemi di garanzia dei depositi;

4)     la concessione di prestiti da parte dei sistemi di garanzia dei depositi ad altri sistemi all’interno dell’Unione europea;

5)     le procedure di condivisione di informazioni e comunicazioni con sistemi di garanzia dei depositi e i loro membri in Italia e nell’Unione europea.

 

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dall’attuazione dell’articolo 6 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le autorità interessate provvedono alla sua attuazione con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

I sistemi di garanzia dei depositi nell’ordinamento italiano

 

Nell’ordinamento italiano i sistemi di garanzia dei depositi sono disciplinati dagli articoli 96, 96-bis, 96-ter e 96-quater del TUB (decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia). L’ordinamento italiano ha conosciuto un sistema generalizzato di garanzia dei depositi fin dal 1987, con la creazione del Fondo interbancario di tutela dei depositi (FIDT), nato quale consorzio volontario di banche, costituito allo scopo di assicurare ulteriore protezione ai depositi della clientela presso le banche consorziate. Al FIDT venne ad affiancarsi il Fondo di garanzia dei depositanti del credito cooperativo, istituito solo nel 1997 (tale Fondo ha sostituito il Fondo centrale di garanzia che le casse rurali e artigiane avevano creato nel 1978 allo scopo di fornire alle casse in temporanea difficoltà i mezzi patrimoniali e finanziari atti a conseguire il ripristino della normalità). Il sistema vigente è basato sulla direttiva 1994/19/CE, recepita con il decreto legislativo 4 dicembre 1996, n. 659, che ha introdotto le disposizioni sopra citate, come successivamente modificata dalla direttiva 2009/14/CE, recepita con decreto legislativo 24 marzo 2011, n. 49. Norme di dettaglio sono affidate alle disposizioni secondarie emanate dalla Banca d’Italia e dagli statuti dei meccanismi di garanzia dei depositi (cosiddetti SGD). In base a tale corpus normativo, gli interventi che gli SGD sono chiamati a operare si distinguono in obbligatori, alternativi e preventivi. Gli interventi, in qualsiasi modalità effettuati, sono autorizzati dalla Banca d’Italia. Gli interventi obbligatori consistono nel rimborso diretto dei partecipanti e sono condizionati all’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa. Ai fini del rimborso i crediti devono appartenere alle categorie tutelate (articolo 96-bis, comma 3, TUB) e non ricadere in una delle fattispecie soggette a esclusione (articolo 96-bis, comma 4, TUB). Il limite massimo di rimborso per depositante è pari a 100.000 euro; l’SGD deve effettuare il rimborso entro 20 giorni lavorativi, prorogabili dalla Banca d’Italia per un massimo di 10 giorni al ricorrere di circostanze eccezionali. Effettuato il rimborso, gli SGD subentrano nei diritti dei depositanti nei confronti della procedura di liquidazione coatta amministrativa. L’SGD non gode di preferenza nella ripartizione dell’attivo, se non nei confronti dei depositanti stessi (che concorrono al passivo per l’eventuale ammontare dei loro depositi superiore al limite massimo di rimborso). Oltre al rimborso dei depositi, gli SGD possono prevedere, ai sensi dell’articolo 96-bis, comma 1, ultimo periodo, TUB, ulteriori casi e forme di intervento. Nell’esercizio di tale facoltà, gli statuti hanno previsto sia interventi alternativi al rimborso dei depositanti, ferma restando la condizione dell’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa, sia interventi preventivi, effettuati in favore di banche in amministrazione straordinaria e finalizzati alla prevenzione di crisi irreversibili. In entrambi i casi, l’intervento è ammissibile solo ove sia dimostrato il minor onere per l’SGD rispetto al payout dei depositanti. Le modalità di intervento alternative e preventive rappresentano l’ordinaria modalità di intervento degli SGD in Italia (complessivamente i due Fondi hanno effettuato in tutto il periodo della loro operatività solo tre interventi di rimborso dei depositanti).

 

 


 

Articolo 8
(
Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio)

 

 

L'articolo 8, modificato al Senato, delega il Governo a recepire, nell'ordinamento interno, la direttiva 2014/59/UE sul risanamento e della risoluzione del settore creditizio e degli intermediari finanziari.

 

Tra i principi e i criteri direttivi individuati dalle norme in esame si chiarisce che le norme sul bail-in, ossia del meccanismo di forzosa svalutazione delle azioni e del debito di un ente creditizio soggetto a risoluzione, si applichino a partire dal 2016; si precisa che l'attivazione di tali poteri dovrà avvenire valutando inoltre l'opportunità di stabilire modalità applicative del bail-in coerenti con la forma societaria cooperativa.

Si dispone la designazione della Banca d'Italia quale autorità di risoluzione nazionale, prevedendo che sia assicurato il tempestivo scambio di informazioni con il Ministero dell'economia e delle finanze e l’approvazione di quest'ultimo prima di dare attuazione a decisioni che abbiano un impatto diretto sul bilancio oppure implicazioni sistemiche.

L'attuazione della delega dovrà prevedere anche una disciplina secondaria nella materia oggetto di recepimento, da adottarsi secondo le linee guida emanate dall'Autorità bancaria europea (ABE) in attuazione della direttiva 2014/59/UE.

Si prevede l’estensione delle vigenti norme in tema di responsabilità dei componenti delle autorità di vigilanza e dei dipendenti nell’esercizio dell’attività di controllo anche all’esercizio delle funzioni disciplinate dalla direttiva 2014/59/UE oggetto di recepimento, con riferimento alla Banca d’Italia, ai componenti dei suoi organi, ai suoi dipendenti, nonché agli organi delle procedure previste dalle norme europee.

La delega provvede anche al recepimento della disciplina sanzionatoria, secondo specifiche indicazioni su modalità, termini e parametri di individuazione delle sanzioni pecuniarie. Sono recati anche i principi per l'istituzione di uno o più fondi di risoluzione delle crisi bancarie.

Si prevedono infine adeguate forme di coordinamento tra l’Autorità di risoluzione (Banca d'Italia) e l’IVASS ai fini dell’applicazione di misure di risoluzione a società di partecipazione finanziaria mista e, ove controllino una o più imprese di assicurazione o riassicurazione, a società di partecipazione mista.

 

Si ricorda che la disciplina del risanamento e della risoluzione del settore creditizio e degli intermediari finanziari costituisce un elemento essenziale dell'Unione bancaria, ovvero della risposta data dall’Area Euro alle molteplici crisi finanziarie ed economiche.

 

L’Unione bancaria poggia su tre pilastri normativi: i) il Meccanismo di vigilanza unico (SSM), ii) il Meccanismo di risoluzione unico (SRM) e iii) le connesse disposizioni in materia di finanziamento, che comprendono il Fondo di risoluzione unico (SRF), i Sistemi di garanzia dei depositi (SGD) (per la cui attuazione si veda la scheda di lettura dell’articolo 7 del provvedimento in esame) e un meccanismo comune di backstop (linea di credito).

I tre pilastri si basano su due serie di norme orizzontali applicabili a tutti gli Stati membri: i requisiti patrimoniali per le banche (pacchetto CRD IV) e le disposizioni della direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche (BRRD).

 

Il contenuto della direttiva 2014/59/UE

 

La direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive – BRRD) affronta il tema delle crisi delle banche approntando strumenti nuovi che le autorità possono impiegare per gestire in maniera ordinata eventuali situazioni di dissesto non solo a seguito del loro manifestarsi, ma anche in via preventiva o ai primi segnali di difficoltà.

Essa introduce una molteplicità di strumenti, aventi carattere preventivo, carattere di intervento immediato, così come strumenti di "risoluzione" della crisi.

Per limitare al massimo l’erogazione di risorse pubbliche a favore delle banche in crisi, le autorità disporranno di poteri per allocare gli oneri della risoluzione, in primo luogo, in capo agli azionisti e ai creditori, secondo la gerarchia concorsuale stabilita dalla direttiva e, in secondo luogo, su un fondo di risoluzione alimentato dal sistema bancario.

Per quanto concerne l’ambito applicativo, la direttiva BRRD si applica alle imprese di investimento e a tutte le banche. In linea con i principi elaborati in ambito G-20, essa prevede un approccio graduale alla gestione delle crisi bancarie.

Le norme europee prevedono che, nei periodi di ordinaria operatività, sia svolta un’attività preparatoria continua della gestione di una crisi. Le banche devono predisporre - ed aggiornare almeno annualmente – un piano di risanamento contenente misure idonee a fronteggiare un deterioramento significativo della situazione finanziaria, basato su assunzioni realistiche e relative a scenari che prevedano situazioni di crisi anche gravi. Il piano non deve assumere la possibilità di accesso a forme di finanziamento pubblico straordinarie. Esso deve essere sottoposto alle competenti autorità per la sua valutazione che viene effettuata entro sei mesi dall'approvazione del piano.

Le autorità di risoluzione devono elaborare preventivamente piani di risoluzione, da attivare per gestire le situazioni di crisi. Devono essere individuati ed eliminati gli eventuali ostacoli alla possibilità di “risolvere” in maniera ordinata gli intermediari.

Le autorità di risoluzione possono intervenire in via autoritativa fino a imporre – secondo un principio di proporzionalità – modifiche alla struttura operativa, giuridica e organizzativa degli intermediari, per ridurne la complessità o per isolare, in un’ottica di preservazione, le funzioni critiche.

Ai primi segnali di deterioramento delle condizioni finanziarie o patrimoniali, le autorità di vigilanza (la Banca d’Italia o, per le banche di dimensioni maggiori, la BCE) possono adottare provvedimenti che integreranno il tradizionale strumentario degli interventi prudenziali. La direttiva conferisce infatti alle autorità competenti strumenti di intervento rapido al fine di evitare che il peggioramento della situazione finanziaria di un determinato ente sia tale da non lasciare alternative agli strumenti di risoluzione; tali capacità di intervento rapido comprendono anche la possibilità di rimuovere i vertici dell'ente e di nominare amministratori straordinari, con il compito di affrontare le difficoltà finanziarie dell'istituto.

In presenza di uno stato di dissesto, anche solo prospettico, le autorità di risoluzione devono valutare se è possibile attivare la procedura ordinaria d’insolvenza - nel nostro ordinamento bancario, la liquidazione coatta amministrativa - o se è necessario avviare la speciale procedura di risoluzione, di nuova introduzione. La procedura ordinaria d’insolvenza non può essere avviata se le autorità di risoluzione valutano che essa non è idonea ad assicurare il conseguimento degli obiettivi d’interesse pubblico sottesi alla disciplina sulle crisi, cioè preservare la stabilità sistemica, minimizzare il sostegno pubblico, tutelare depositanti e clienti. In questo caso, viene disposta la procedura di risoluzione.

Nell’ambito della risoluzione è possibile applicare una vasta gamma di strumenti per superare la crisi. In particolare, le autorità competenti devono predisporre un piano per ciascun ente in cui vengono illustrate le procedure da porre in atto con rapidità dall'autorità medesima al fine di assicurare la continuità delle funzioni dell'ente sottoposto a tale procedura. Può essere disposto il trasferimento forzoso di beni e rapporti giuridici dall’intermediario in crisi ad acquirenti privati, potranno essere costituiti veicoli societari per salvaguardare le funzioni essenziali e ricollocarle sul mercato (ente ponte o bridge bank) o realizzare il valore a lungo termine delle attività deteriorate (bad bank).

Lo strumento più innovativo di una procedura di risoluzione è, tuttavia, il cd. bail-in, che consiste nella riduzione forzosa del valore delle azioni e del debito della banca in crisi, e/o nella conversione di quest’ultimo in capitale.

In tal senso, si passa da un sistema in cui la risoluzione delle crisi è imperniata sul ricorso ad apporti esterni, forniti dallo Stato (bail-out) ad un nuovo sistema, che ricerca all’interno degli stessi intermediari le risorse necessarie tramite il coinvolgimento di azionisti e creditori (bail-in).

Sono escluse dall’applicazione del bail-in alcune categorie di passività, segnatamente quelle più rilevanti per la stabilità sistemica o quelle protette nell’ambito fallimentare, come i depositi di valore inferiore a 100.000 euro, le obbligazioni garantite da attivi della banca, i debiti a breve sul mercato interbancario. Altre categorie di passività potranno essere escluse dall’autorità di risoluzione, in casi particolari, sulla base di una valutazione specifica degli effetti sulla stabilità sistemica e del possibile contagio. Nell’allocazione delle perdite dovrà essere rispettata la gerarchia prevista dalla direttiva, che in parte modifica quella concorsuale prevedendo, tra l’altro, che i depositi superiori a 100.000 euro detenuti dalle persone fisiche e dalle piccole e medie imprese siano colpiti dopo gli altri crediti chirografari (c.d. pecking order). In ogni caso, il trattamento riservato agli azionisti e ai creditori nell’ambito della risoluzione non potrà essere peggiore rispetto a quello che essi avrebbero subìto in caso di liquidazione coatta amministrativa.

La direttiva dispone inoltre che gli Stati membri istituiscano meccanismi di finanziamento per rendere effettivi gli strumenti e i poteri delle autorità competenti in caso di risoluzione: tali fondi dovranno disporre, a partire dal 2025, di mezzi finanziari pari ad almeno l’1% dell’ammontare dei depositi protetti nel territorio nazionale. In casi eccezionali, le autorità di risoluzione possono escludere, integralmente o parzialmente, le passività e utilizzare i meccanismi di finanziamento per assorbire le perdite o ricapitalizzare la banca. Tale possibilità si può esercitare solo quando le perdite che ammontano almeno all’8% delle passività totali, fondi propri compresi, siano già state assorbite mediante strumenti di bail-in. Inoltre, il finanziamento del fondo di risoluzione si deve limitare al 5% delle passività totali, fondi propri compresi, oppure ai mezzi a disposizione del fondo e all’importo che può essere raccolto mediante conferimenti successivi in un arco di tre anni.

Il salvataggio attraverso il finanziamento pubblico si configura, nella nuova architettura, come un estremo rimedio qualora le procedure previste dalla direttiva non siano sufficienti a risolvere la crisi e a prevenire effetti dannosi all'economia. I governi possono in particolare intervenire attraverso specifici strumenti di stabilizzazione che possono consistere nell'apporto di capitale pubblico per ricapitalizzare un istituto ovvero nella nazionalizzazione temporanea dell'istituto medesimo. In ogni caso la possibilità di utilizzare gli strumenti di stabilizzazione pubblici soggiace al medesimo limite dell'8% di assorbimento delle perdite mediante procedimento di bail-in e la verifica della compatibilità dell'intervento con la disciplina degli aiuti di Stato.

Secondo quanto previsto dal regolamento istitutivo del Meccanismo di Risoluzione Unico e dal connesso Accordo Intergovernativo, dal 2016 i Fondi di risoluzione nazionali saranno sostituiti da un Fondo unico europeo, inizialmente diviso in comparti nazionali che progressivamente confluiranno in un comparto comune.

Sotto il profilo istituzionale, la direttiva prevede che le funzioni di risoluzione e i relativi poteri siano assegnati da ciascuno Stato membro a uno specifico soggetto pubblico, l’autorità di risoluzione. Essa potrà essere creata ad hoc oppure individuata nella banca centrale, nell’autorità di vigilanza, nel ministero dell’economia; in questo secondo caso dovranno essere adottati presidi volti ad assicurare la separazione strutturale tra le funzioni di risoluzione e gli altri compiti dell’autorità. La direttiva assegna agli Stati membri la facoltà di prevedere che le decisioni dell’autorità di risoluzione con implicazioni sulla stabilità sistemica o sulle finanze pubbliche siano soggette all’approvazione del ministro competente per le materie economiche. A partire dal 1° gennaio 2016, con l’entrata a pieno regime del Meccanismo di Risoluzione Unico, i compiti che la direttiva assegna all’autorità di risoluzione nazionale saranno svolti in coordinamento con il Comitato di Risoluzione Unico (Single Resolution Board), costituito nell’ambito del Meccanismo di Risoluzione Unico, sulla base della ripartizione di competenze stabilita nel relativo regolamento istitutivo.

Il termine di recepimento della direttiva, entrata in vigore il 2 luglio 2014, è fissato al 31 dicembre 2014. Gli Stati membri devono applicare le disposizioni di recepimento a decorrere dal 1° gennaio 2015, ad eccezione di alcune disposizioni relative alle procedure di bail-in che devono essere applicate non più tardi del 1° gennaio 2016.

 

 

Gli specifici princìpi e i criteri direttivi di attuazione della delega sono stabiliti alle lettere a)-q) del comma 1, da osservarsi in aggiunta a quelli previsti dall'articolo 1, comma 1.

In primo luogo, alla lettera a) è previsto che nell'attuazione della delega il Governo deve provvedere all'uniformazione dell'ordinamento finanziario interno alla disciplina UE in materia di vigilanza bancaria, gestione delle crisi e tutela dei depositanti, e che le facoltà di opzione e garanzia ivi previste siano esercitate in modo conforme a quanto stabilito dal regolamento (UE) n. 806/2014, il quale fissa norme e procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento, nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico.

 

Alla lettera b), modificata nel corso dell'esame in Senato, è stabilito che, conformemente alle previsioni della direttiva, a partire dal 2016 si applichino le norme sul bail-in, ossia del richiamato meccanismo di forzosa svalutazione delle azioni e del debito di un ente creditizio soggetto a risoluzione, secondo il disposto dell'articolo 43 della direttiva. Per effetto delle modifiche approvate al Senato, l'attivazione di tali poteri dovrà avvenire valutando inoltre l'opportunità di stabilire modalità applicative del bail-in coerenti con la forma societaria cooperativa.

 

Alla lettera c) è stabilito che l'ambito di applicazione della disciplina nazionale di recepimento della direttiva sia definito in coerenza con quello delineato dall'articolo 1, paragrafo 1, della direttiva da recepire.

 

Essa si applica agli enti stabiliti nell’Unione; ai soggetti stabiliti nell’Unione come filiazioni di altri enti soggetti alla vigilanza dell’impresa madre su base consolidata; alle società di partecipazione finanziaria, di partecipazione finanziaria mista e di partecipazione mista stabilite nell’Unione; alle società di partecipazione finanziaria madri in uno Stato membro, alle società di partecipazione finanziaria madri nell’Unione, alle società di partecipazione finanziaria mista madri in uno Stato membro, alle società di partecipazione finanziaria mista madri nell’Unione; infine, essa si applica alle succursali di enti stabiliti o ubicati al di fuori dell’Unione, secondo specifiche condizioni previste nella direttiva medesima.

 

La lettera d), riformulata al Senato, dispone la designazione della Banca d'Italia quale autorità di risoluzione nazionale, attribuendo a quest'ultima tutti i poteri assegnati all'autorità di risoluzione dalla direttiva 2014/59/UE e prevedendo che sia assicurato il tempestivo scambio di informazioni con il Ministero dell'economia e delle finanze; secondo quanto stabilito dall'articolo 3, paragrafo 6, della direttiva, si stabilisce espressamente il vincolo di approvazione di quest'ultimo prima di dare attuazione a decisioni che abbiano un impatto diretto sul bilancio oppure implicazioni sistemiche.

 

Alla lettera e) si rinvia alla disciplina secondaria nella materia oggetto di recepimento, da adottarsi secondo le linee guida emanate dall'Autorità bancaria europea (ABE).

 

Il 20 maggio 2015 l’EBA ha pubblicato tre serie di linee guida definitive per facilitare l’implementazione degli strumenti di risoluzione nel settore bancario in Europa. Le linee guida incoraggiano la convergenza in materia di risoluzione dando alle autorità designate informazioni dettagliate sulle circostanze da determinare in occasione delle decisioni in materia di risoluzioni.

 

Alla lettera f) si stabilisce che l'attuazione della delega debba uniformarsi anche al principio di proporzionalità.

Al riguardo si rammenta che, assieme al principio di sussidiarietà, il principio di proporzionalità regola l'esercizio delle competenze esercitate dall'Unione europea. Esso mira a inquadrare le azioni delle istituzioni dell'Unione entro certi limiti; in virtù di tale regola, l'azione delle istituzioni deve limitarsi a quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi fissati dai trattati. In altre parole, il contenuto e la forma dell'azione devono essere in rapporto con la finalità perseguita. Il principio di proporzionalità è illustrato nell'articolo 5 del trattato sull’Unione europea. Il protocollo (n. 2) sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato ai trattati, specifica i criteri di applicazione di questo principio.

 

La lettera g) prevede che le norme in tema di responsabilità dei componenti delle autorità di vigilanza e dei dipendenti nell’esercizio dell’attività di controllo (prevista dall’articolo 24, comma 6-bis della legge sul risparmio, legge 28 dicembre 2005, n. 262), siano estese anche all’esercizio delle funzioni disciplinate dalla direttiva 2014/59/UE oggetto di recepimento, con riferimento alla Banca d’Italia, ai componenti dei suoi organi, ai suoi dipendenti, nonché agli organi delle procedure di intervento precoce e risoluzione, inclusi i commissari, l’ente-ponte, la società veicolo per la gestione delle attività e i componenti dei loro organi.

Il richiamato articolo 24, comma 6-bis, prevede che, nell'esercizio delle proprie funzioni di controllo, i componenti degli loro organi delle autorità, nonché i loro dipendenti, siano tenuti a rispondere dei danni cagionati da atti o comportamenti posti in essere con dolo o colpa grave.

 

Con la lettera h) si prevede che l'attuazione della delega debba, ove ritenuto opportuno, provvedere alla individuazione della Banca d’Italia quale l’autorità competente a esercitare le opzioni che la direttiva medesima attribuisce agli Stati membri in tema di disciplina dei piani di risanamento e di risoluzione, nonché dei requisiti minimi previsti per le passività soggette a conversione o riduzione, nel rispetto del principio di proporzionalità.

 

Alla lettera i) è previsto poi che, nel recepimento, lo Stato non si avvale della facoltà di prevedere l'approvazione preventiva (ex ante), da parte dell’autorità giudiziaria, della decisione di utilizzare una misura di prevenzione o di gestione della crisi (prevista dall’articolo 85, par. 1, della direttiva 2014/59/UE).

 

Il richiamato articolo 85, al paragrafo 1, consente agli Stati membri di imporre che una decisione di adottare una misura di prevenzione della crisi o una misura di gestione della crisi sia soggetta a un’approvazione ex ante delle autorità giudiziarie, posto che, per quanto concerne una decisione di adottare una misura di gestione della crisi, conformemente al diritto nazionale, la procedura connessa alla domanda di approvazione e l’esame della domanda da parte del giudice siano eseguiti con urgenza.

 

Alla lettera l), ai numeri 1-7 è stabilito inoltre che la delega dovrà provvedere anche al recepimento della disciplina sanzionatoria contenuta nella direttiva 2014/59/UE.

 

Le modalità, i termini e parametri di individuazione delle sanzioni pecuniarie sono chiariti secondo alcune prescrizioni di seguito illustrate.

In primo luogo (n. 1.). si prevede di introdurre nell'ordinamento nazionale nuove fattispecie di illeciti amministrativi corrispondenti alle fattispecie sanzionatorie previste dalla direttiva 2014/59/UE, stabilendo in sintesi:

1.1) che siano applicate sanzioni amministrative pecuniarie sia alle società o enti nei cui confronti sono accertate le violazioni e che siano definiti i presupposti per far scattare la responsabilità delle persone fisiche che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo, che sono dipendenti o che operano ad altro titolo nell'organizzazione del soggetto vigilato;

1.2) che sia fissata l'entità delle sanzioni amministrative pecuniarie, in modo tale che) la sanzione applicabile alle società o agli enti sia compresa tra un minimo di 30.000 euro e un massimo del 10 per cento del fatturato, mentre la sanzione applicabile alle persone fisiche sia compresa tra un minimo di 5.000 euro e un massimo di 5 milioni di euro. Inoltre, qualora il vantaggio ottenuto dall'autore della violazione sia superiore ai limiti massimi così determinati, le sanzioni sono elevate fino al doppio dell'ammontare del vantaggio ottenuto, purché tale ammontare sia determinabile;

In secondo luogo (n. 2) si attribuisce alla Banca d'Italia il potere di irrogare le sanzioni e definire i criteri cui essa deve attenersi nella determinazione dell'ammontare della sanzione, in coerenza con quanto previsto dalla direttiva 2014/59/UE, anche in deroga alle disposizioni contenute nella legge sulle sanzioni amministrative, ovvero la legge 24 novembre 1981, n. 689.

Si demanda al legislatore delegato (n. 3) l’individuazione delle modalità di pubblicazione dei provvedimenti che irrogano le sanzioni e il regime per lo scambio di informazioni con l'Autorità bancaria europea, in linea con quanto previsto dalla direttiva 2014/59/UE.

Viene attribuito alla Banca d'Italia il potere (n. 4) di definire disposizioni attuative, con riferimento, tra l'altro, alla definizione della nozione di fatturato utile per la determinazione della sanzione, alla procedura sanzionatoria e alle modalità di pubblicazione dei provvedimenti che irrogano le sanzioni;

Con riferimento alle fattispecie connotate da minore effettiva offensività o pericolosità, occorre prevedere, ove compatibili con la direttiva 2014/59/UE, efficaci strumenti per la deflazione del contenzioso o per la semplificazione dei procedimenti di applicazione della sanzione, anche conferendo alla Banca d'Italia la facoltà di escludere l'applicazione della sanzione per condotte prive di effettiva offensività o pericolosità (n. 5) e si attribuisce alla Banca d'Italia il potere di adottare le misure previste dalla direttiva 2014/59/UE relative alla reprimenda pubblica, all'ordine di cessare o di porre rimedio a condotte irregolari e alla sospensione temporanea dell’incarico (n. 6).

Infine (n. 7) si prevede la possibilità di una dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza in caso di avvio della risoluzione, ai fini dell'applicazione delle sanzioni penali disciplinate nel titolo VI della legge fallimentare (di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267), senza che in tal caso assuma rilievo esimente l'eventuale superamento dello stato di insolvenza per effetto della risoluzione; stabilire l'applicabilità agli organi della risoluzione delle fattispecie penali previste nel richiamato titolo VI, in linea con l'articolo 237, secondo comma, del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, ai sensi del quale nel caso di liquidazione coatta amministrativa si applicano al commissario liquidatore le norme che disciplinano i reati di interesse privato del curatore negli atti del fallimento, ed omessa consegna o deposito di cose del fallimento (di cui agli articolo 228-230 della citata legge fallimentare).

 

In materia di sanzioni si ricorda che l’8 maggio 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo (non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) che contiene le modifiche al Testo Unico Bancario e al Testo Unico della Finanza volte a recepire, a livello legislativo la direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (c.d. CRD4) (Atto del Governo n. 147).

Tra le modifiche apportate da tale decreto vi è la complessiva riforma della disciplina delle sanzioni amministrative; viene stabilito il passaggio ad un sistema volto a sanzionare in primo luogo l’ente e, solo sulla base di presupposti individuati dalle norme, anche l’esponente aziendale o la persona fisica responsabile della violazione.

 

Alla lettera m), ai numeri 1-4, è previsto che la delega debba prevedere l'istituzione di uno o più fondi di risoluzione, secondo le modalità e i termini procedurali di attivazione indicati nella direttiva. Più in dettaglio si deve:

·        prevedere l'istituzione di uno o più fondi di risoluzione;

·        definire le modalità di calcolo e di riscossione dei contributi dovuti da parte degli enti che vi aderiscono;

·        determinare le modalità di amministrazione dei fondi e la struttura deputata alla loro gestione;

·        individuare, ove opportuno, nella Banca d'Italia l'autorità competente a esercitare le opzioni che gli articoli 103, 106 e 109 della direttiva 2014/59/UE attribuiscono agli Stati membri con riferimento alla disciplina dei fondi di risoluzione; le richiamate norme sono rispettivamente concernenti i contributi versati ex ante ai Fondi, lo svolgimento di prestiti tra meccanismi di finanziamenti e l’uso dei sistemi di garanzia dei depositi nel contesto della risoluzione.

 

Alla lettera n) è prevista l’introduzione di adeguate forme di coordinamento tra l’Autorità di risoluzione (Banca d'Italia) e l’IVASS ai fini dell’applicazione di misure di risoluzione a società di partecipazione finanziaria mista e, ove controllino una o più imprese di assicurazione o riassicurazione, a società di partecipazione mista.

 

La lettera o) prevede il coordinamento della disciplina nazionale di recepimento con il quadro normativo nazionale vigente in materia di gestione delle crisi previsto dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, anche apportando ai citati testi unici le modifiche e le integrazioni necessarie.

 

Alla lettera p) si stabilisce che il recepimento dovrà contenere le necessarie modifiche e integrazioni al quadro normativo nazionale in materia di gestione delle crisi nonché, ogni altra modifica che si renda opportuna, al fine di chiarire la disciplina applicabile e per assicurare maggiore efficacia ed efficienza alla gestione delle crisi di tutti gli intermediari ivi disciplinati, anche tenendo conto di quanto previsto dalla legge fallimentare e delle esigenze di proporzionalità della disciplina e di celerità delle procedure.

 

La disciplina nazionale della risoluzione delle crisi bancarie

 

In estrema sintesi, si ricorda che le procedure di gestione delle crisi delle banche e dei gruppi bancari contenute nel Titolo IV del decreto legislativo 385/1993 (Testo Unico Bancario - TUB) presentano delle specifiche peculiarità, anche in considerazione dell’interesse primariamente perseguito, ovvero quello della tutela del risparmio. La disciplina nazionale (contenuta nel Titolo IV del Testo Unico Bancario, articoli 70 e seguenti) prevede diverse procedure di gestione delle crisi, che differiscono secondo il grado di criticità della situazione aziendale: gravità delle perdite patrimoniali, irregolarità e violazioni normative e amministrative. Di norma, per le banche è esclusa l'applicazione di procedure diverse da quelle disciplinate dal TUB (articolo 70, comma 7 TUB), salvo nei casi in cui la legge fallimentare è espressamente richiamata (ad es. per la declaratoria di insolvenza).Se la crisi non presenta caratteri di irreversibilità, la banca può essere sottoposta ad amministrazione straordinaria (citato articolo 70 e seguenti del TUB), che viene disposta con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze, emanato su proposta della Banca d'Italia, cui spetta la nomina degli organi straordinari, al fine di accertare la situazione aziendale e avviare soluzioni nell'interesse dei depositanti.

Se ci sono ragioni di assoluta urgenza, in presenza degli stessi presupposti per l'avvio dell'amministrazione straordinaria, la Banca d'Italia può nominare uno o più commissari che assumono i poteri di amministrazione dell'intermediario per un massimo di due mesi ("gestione provvisoria", ai sensi degli articoli 76 e ss.gg.  TUB). In relazione alle banche autorizzate in Italia (articolo 78), si ricorda che la Banca d'Italia ha il potere di vietare di intraprendere nuove operazioni oppure ordinare la chiusura di succursali, ove riscontri violazione di disposizioni legislative, amministrative o statutarie che ne regolano l'attività, per irregolarità di gestione; nel caso di succursali di banche extracomunitarie, anche per insufficienza di fondi. In ordine alle banche comunitarie (articolo 79), nel caso di violazione delle disposizioni relative alle succursali o alla prestazione di servizi nel territorio della Repubblica, la Banca d'Italia può ordinare alla banca di porre termine a tali irregolarità, dandone comunicazione all'autorità competente dello Stato membro in cui la banca ha sede legale per i provvedimenti eventualmente necessari.

Quando la crisi ha assunto caratteri di irreversibilità, l'intermediario viene assoggettato a liquidazione coatta amministrativa (articolo 80). Anche in questo caso la nomina degli organi liquidatori compete alla Banca d'Italia. Per quanto concerne questa procedura, la legge fallimentare trova applicazione, se compatibile, solo per quanto non espressamente previsto dal TUB. Nei casi di liquidazione coatta amministrativa i sistemi di garanzia dei depositanti, ai quali le banche italiane sono tenute ad aderire, effettuano i rimborsi nel limite di 100.000 euro per ciascun depositante. Gli organi straordinari e liquidatori operano sotto il controllo della Banca d'Italia, cui spetta anche un potere autorizzativo per atti di particolare rilevanza. Le procedure che riguardano le banche comunitarie sono disciplinate dalla normativa dello Stato d'origine e producono i loro effetti nell'ordinamento nazionale senza ulteriori formalità (articolo 95-bis del TUB). Sono previste forme di collaborazione (articolo 95-quater) tra le Autorità degli Stati membri: la Banca d'Italia informa le autorità di vigilanza degli Stati comunitari ospitanti dell'apertura delle procedure di amministrazione straordinaria, di gestione provvisoria e di liquidazione coatta amministrativa, nei confronti di banche italiane, precisando gli effetti concreti che tali procedure potrebbero avere. L'informazione è data, con ogni mezzo, possibilmente prima dell'apertura della procedura ovvero subito dopo. L'Istituto, ove ritenga necessaria l'applicazione in Italia di una procedura di risanamento nei confronti di una banca comunitaria, ne fa richiesta all'autorità di vigilanza dello Stato d'origine.

 

Alla lettera q) è infine stabilito che nell'attuazione della delega debbano essere approvate le necessarie norme di coordinamento, ove necessarie, ai fini del recepimento delle direttive modificate dal Titolo X della Direttiva 2014/59/UE oggetto di recepimento.

 

Il comma 2 reca infine la clausola di invarianza finanziaria; dalla attuazione della delega di recepimento della Direttiva 2014/59/UE non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, prevedendosi che le autorità coinvolte nella sua attuazione debbano provvedere ai relativi compiti con le sole risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Procedure di contenzioso

Il 29 gennaio 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2015/0066) per il mancato recepimento della direttiva 2014/59/UE, oggetto dell’articolo 8  in esame.

Il termine per il recepimento scadeva il 31 dicembre 2014.

Nell’ambito della medesima procedura, il 28 maggio 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato per il mancato recepimento della direttiva 2014/59/UE.

 

Al riguardo, si ricorda che, in base all’articolo 260, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’UE, la Commissione, quando presenta ricorso alla Corte contro uno Stato membro  che abbia mancato di comunicare le misure di attuazione di una direttiva, può, se lo ritiene opportuno, chiedere alla Corte di condannare direttamente tale Stato al pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.

La Corte, se accetta l’inadempimento contestato dalla Commissione, può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità entro i limiti dell’importo indicato dalla Commissione. L’importo è esigibile alla data fissata dalla Corte nella sentenza.

 

Si segnala altresì che il 27 gennaio 2014 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora per il mancato recepimento della direttiva 2013/36/UE sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento.

Il termine per recepire la direttiva scadeva il 31 dicembre 2013.

Al riguardo, è opportuno ricordare che il decreto legislativo di recepimento è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri l’8 maggio scorso (Atto del Governo n. 147).

 

 

 

 


 

Articolo 9
(
Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, anche ai fini dell'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012)

 

 

L’articolo 9, modificato nel corso dell’esame al Senato, delega il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2014/65/UE (MiFID II) e per l’applicazione del regolamento (UE) n. 600/2014 (MiFIR).

In sintesi si prevede che l’adeguamento dell’ordinamento interno con la nuova disciplina europea relativa ai mercati degli strumenti finanziari debba avvenire, principalmente, mediante l’aggiornamento del Testo unico sulla finanza (D.Lgs. n. 58 del 1998 – TUF) e che debba riguardare, in particolare, l’attribuzione dei poteri di vigilanza e di indagine alle Autorità di settore (Banca d’Italia e Consob), per i profili di rispettiva competenza, anche con riferimento alla cooperazione e allo scambio di informazioni con le autorità competenti della UE, degli altri Stati membri e degli Stati extra UE.

Il TUF dovrà, inoltre, essere aggiornato con riferimento alla disciplina concernente i consulenti finanziari, le società di consulenza finanziaria e i promotori finanziari, anche al fine di razionalizzare la tenuta degli albi e la vigilanza su tali categorie. A tal fine si prevede di assegnare ad un unico organismo, ordinato in forma di associazione con personalità giuridica di diritto privato, la tenuta dell'albo nonché i poteri di vigilanza e sanzionatori nei confronti delle categorie di soggetti citati.

Si prevede inoltre di rivedere la disciplina delle sanzioni e della relativa procedura, coerentemente con la nuova disciplina europea.

 

La direttiva 2014/65/UE

 

La Direttiva 2004/39/CE, in materia di mercati degli strumenti finanziari, alla quale ci si riferisce comunemente con l'acronimo MiFID (Market in Financial Instruments Directive), è ora in parte rifusa nella Direttiva 2014/65/UE e in parte sostituita dal Regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio. La Direttiva 2014/65/UE, denominata MiFID II, ed il Regolamento n. 600/2014, noto come MiFIR, intendono modificare la precedente disciplina, incentrata sui mercati azionari regolamentati. In base all'articolo 93 della Direttiva, la nuova disciplina deve essere recepita dagli Stati membri entro il 3 luglio 2016 ed applicata a decorrere dal 3 gennaio 2017. La MiFID II ed il relativo regolamento sono stati redatti con lo scopo di normare un mercato sempre più complesso, caratterizzato da un notevole incremento degli strumenti finanziari e dei sistemi di trading ad alta frequenza, attraverso i quali ha luogo una quota rilevante delle transazioni sui mercati telematici più evoluti.

Si intende aumentare la trasparenza delle negoziazioni e la tutela degli investitori, attraverso una maggiore responsabilizzazione degli intermediari, una più approfondita consapevolezza degli investitori (grazie alla disponibilità di informazioni più dettagliate e più frequenti) ed un rafforzamento dei poteri - sia ex-ante che ex post - delle Autorità di vigilanza.

In particolare, per la prima volta sono contenute misure specifiche in tema di prodotti finanziari, come quelle finalizzate a ridurre il rischio che i prodotti finanziari emessi e/o collocati non siano adeguati al cliente finale. Si prevede inoltre che le Autorità nazionali, l’ESMA e l’EBA (per i depositi strutturati) possono proibire o restringere il marketing e il collocamento di alcuni strumenti finanziari o depositi strutturati e le attività o pratiche finanziarie potenzialmente riduttive della protezione degli investitori, della stabilità finanziaria o dell’ordinato funzionamento dei mercati.

In tale contesto, si inserisce, in ambito italiano, la consultazione avviata dalla Consob il 28 maggio 2014 sulla distribuzione di prodotti complessi ai clienti privati. Con la medesima si sottopone all’esame del mercato l’ipotesi di introdurre una serie di presidi per il rafforzamento della tutela del risparmio che comprendono anche la raccomandazione agli intermediari di astenersi dal commercializzare agli investitori retail alcune tipologie di prodotti connotati da più alta complessità e di distribuire prodotti a complessità comunque elevata solo nell’ambito di servizi di consulenza c.d. “evoluta”. Si richiede inoltre agli intermediari di tenere in debita considerazione nelle policy aziendali gli orientamenti dell’ESMA in materia di distribuzione di prodotti complessi; si definiscono poi le caratteristiche del servizio di consulenza indipendente, che deve essere basata su un’analisi di mercato ampia e proporre strumenti finanziari sufficientemente diversificati.

Già in base alle disposizioni della MiFID, l’impresa di investimento erogante servizi di consulenza o di gestione del portafoglio è tenuta ad acquisire informazioni in merito alle conoscenze ed esperienze del cliente in materia di investimenti e ai suoi obiettivi di investimento. Con la MiFID II tale norma viene integrata, sia perché nel definire gli strumenti finanziari adeguati al cliente si fa esplicito riferimento alla necessità di individuare la capacità dello stesso di fronteggiare eventuali perdite e la sua predisposizione al rischio, sia in quanto, nel caso in cui l’impresa raccomandi una pluralità di prodotti o servizi, la valutazione di adeguatezza deve avvenire in relazione all’intero pacchetto. Inoltre l'impresa, quando effettua consulenza agli investimenti, prima che la transazione sia conclusa, deve condividere con il cliente le motivazioni che hanno portato a ritenere che l'operazione di investimento consigliata sia realmente rispondente alle sue aspettative. Si ampliano poi gli obblighi di comunicazione alla clientela su costi e oneri connessi ai servizi di investimento o accessori che devono includere anche il costo della consulenza (se rilevante), il costo dello strumento finanziario raccomandato o venduto al cliente e le modalità con cui il cliente può remunerare il servizio di investimento ricevuto. Le informazioni circa tutte le voci di costo devono essere presentate in forma aggregata, per consentire al cliente di conoscere il costo complessivo ed il suo impatto sul rendimento atteso dall'investimento.

 

 

Nell’esercizio della delega il Governo dovrà seguire i seguenti principi e criteri direttivi (oltre ai criteri di delega di cui all’articolo 1, comma 1):

a) apportare le modifiche o integrazioni al D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF) necessarie al corretto recepimento della citata disciplina UE, anche con riguardo alle norme tecniche di regolamentazione e di attuazione;

 

b) designare ai sensi degli articoli 67 e 68 della direttiva, la Banca d’Italia e la Consob quali autorità competenti per lo svolgimento delle funzioni previste dalla normativa europea, tenendo conto della ripartizione delle funzioni di vigilanza prevista dal TUF e apportando le necessarie modifiche – secondo quanto dettagliato nelle successive lettere da c) a u) – al fine di rendere più efficiente ed efficace l’assegnazione dei compiti di vigilanza e con l’obiettivo di ridurre, ove possibile, gli oneri per i soggetti vigilati.

Si ricorda, in via generale, che le finalità della vigilanza sono incentrate, per quanto riguarda la Banca d’Italia, sulla stabilità finanziaria e il contenimento dei rischi, per quanto riguarda la Consob, sulla trasparenza e la tutela degli investitori.

In particolare l’articolo 5, commi 1, 2 e 3, del TUF prevede che la vigilanza sugli intermediari finanziari ha per obiettivi:

a)  la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario;

b)  la tutela degli investitori;

c)  la stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario;

d)  la competitività del sistema finanziario;

e)  l'osservanza delle disposizioni in materia finanziaria.

Per il perseguimento dei suddetti obiettivi, la Banca d'Italia è competente per quanto riguarda il contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione degli intermediari; la Consob è competente per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti.

 

c) prevedere il ricorso alla potestà di normazione secondaria adottata, singolarmente, dalla Banca d’Italia (sentita la Consob) e dalla Consob (sentita la Banca d’Italia), secondo le rispettive competenze. A tal fine, viene attribuita la potestà regolamentare, di cui all’articolo 6, comma 2-bis del TUF, sia alla Consob che alla Banca d’Italia;

Nel corso dell’esame al Senato è stata sostanzialmente recepita l’osservazione evidenziata dalla Banca d’Italia in sede di audizione volta a evitare l’adozione della disciplina secondaria da parte delle due autorità congiuntamente, in considerazione dei tempi più lunghi che ne sarebbero derivati.

L’articolo 6, comma 2-bis, del TUF prevede che la Banca d'Italia e la Consob disciplinano “congiuntamente” mediante regolamento, con riferimento alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento, nonché alla gestione collettiva del risparmio, gli obblighi dei soggetti abilitati in materia di:

a) governo societario, requisiti generali di organizzazione, sistemi di remunerazione e di incentivazione (vigilanza: Banca d’Italia, art.6, c. 2-ter);

b) continuità dell'attività (vigilanza: Banca d’Italia, art.6, c. 2-ter);

c) organizzazione amministrativa e contabile, compresa l'istituzione della funzione di cui alla lettera e) (vigilanza: Banca d’Italia, art.6, c. 2-ter);

d) procedure, anche di controllo interno, per la corretta e trasparente prestazione dei servizi di investimento e delle attività di investimento nonché della gestione collettiva del risparmio (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter);

e) controllo della conformità alle norme (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter);

f) gestione del rischio dell'impresa (vigilanza: Banca d’Italia, art.6, c. 2-ter);

g) audit interno (vigilanza: Banca d’Italia, art.6, c. 2-ter);

h) responsabilità dell'alta dirigenza (vigilanza: Banca d’Italia, art.6, c. 2-ter);

i) trattamento dei reclami (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter);

j) operazioni personali (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter);

k) esternalizzazione di funzioni operative essenziali o importanti o di servizi o attività (vigilanza: Banca d’Italia e Consob secondo le rispettive funzioni, art.6, c. 2-ter);

l) gestione dei conflitti di interesse, potenzialmente pregiudizievoli per i clienti (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter);

m) conservazione delle registrazioni (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter);

n) procedure anche di controllo interno, per la percezione o corresponsione di incentivi (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter).

La lettera e) dell’articolo in esame dispone il superamento dell’attività regolamentare congiunta della Banca d’Italia e della Consob, al fine di rendere più efficiente ed efficace l’assegnazione dei compiti di vigilanza e di ridurre gli oneri per i soggetti vigilati. In particolare per specifici aspetti relativi alle materie previste dall’articolo 6, comma 2-bis (indicate dalle lettere a)b)h)k) e l)) si richiede la sola intesa della Banca d'Italia e della Consob ai fini dell'adozione dei regolamenti. Pertanto, nell’adozione della disciplina secondaria le due Autorità potranno emanare i regolamenti, previa intesa con l’altra, quando si tratterà delle seguenti materie: governo societario, requisiti generali di organizzazione, sistemi di remunerazione e di incentivazione; continuità dell'attività; responsabilità dell'alta dirigenza; esternalizzazione di funzioni operative essenziali o importanti o di servizi o attività; gestione dei conflitti di interesse, potenzialmente pregiudizievoli per i clienti.

 

d) assegnare alle autorità competenti i poteri di vigilanza e di indagine previsti dalla direttiva e dal regolamento, tenendo conto dell’obiettivo di ridurre, ove possibile, gli oneri per i soggetti vigilati e indicando i casi in cui si rende necessaria l’acquisizione del parere dell’altra autorità.

Quest’ultima disposizione, che prevede di indicare esplicitamente i casi in cui si rende necessaria l’acquisizione del parere dell’altra autorità, è stata aggiunta nel corso dell’esame al Senato;

 

I poteri di vigilanza (c.d. product intervention) comprendono, ai sensi dell'articolo 69 della Direttiva 2014/65/UE, la possibilità di:

·      avere accesso a qualsiasi documento o altri dati in qualsiasi forma che secondo l’autorità competente potrebbe essere pertinente ai fini dell’esercizio della propria funzione di vigilanza e riceverne o farne copia;

·      esigere o chiedere la fornitura di informazioni a qualsiasi persona e, se necessario, convocare e interrogare qualsiasi persona per ottenere informazioni;

·      eseguire ispezioni o indagini in loco;

·      richiedere le registrazioni esistenti relative a conversazioni telefoniche, comunicazioni elettroniche o scambi di dati conservate da una impresa di investimento, da un ente creditizio o da un’altra entità disciplinata dalla presente direttiva o dal regolamento (UE) n. 600/2014;

·      richiedere il blocco o il sequestro dei beni, o entrambi;

·      richiedere la temporanea interdizione dell’esercizio dell’attività professionale;

·      richiedere ai revisori dei conti delle imprese di investimento, dei mercati regolamentati e dei prestatori di servizi di comunicazione dei dati di fornire informazioni;

·      riferire fatti all’autorità giudiziaria ai fini della promozione dell’azione penale;

·      autorizzare i revisori dei conti o gli esperti a procedere a verifiche;

·      esigere o richiedere la fornitura di informazioni, compresa tutta la documentazione pertinente, a qualsiasi persona in relazione all’entità e alle finalità di una posizione o esposizione aperta mediante uno strumento derivato su merci e alle eventuali attività e passività nel mercato sottostante;

·      esigere la cessazione temporanea o permanente di pratiche o condotte che l’autorità competente considera contrarie alle disposizioni del regolamento (UE) n. 600/2014 e alle disposizioni adottate ai fini dell’attuazione della presente direttiva ed impedire il ripetersi di tali pratiche o condotte;

·      adottare qualunque tipo di misura per garantire che le imprese di investimento, i mercati regolamentati e le altre persone cui si applica la presente direttiva o il regolamento (UE) n. 600/2014 continuino a rispettare gli obblighi di legge;

·      richiedere la sospensione delle negoziazioni di uno strumento finanziario;

·      richiedere l’esclusione di uno strumento finanziario dalla negoziazione, sia in un mercato regolamentato che nell’ambito di altri dispositivi di negoziazione;

·      richiedere a qualsiasi persona di adottare misure per ridurre l’entità di una posizione o esposizione;

·      limitare la possibilità di qualsiasi persona di concludere un contratto derivato su merci, anche introducendo limiti sull’entità di una posizione che qualsiasi persona può detenere in ogni momento a norma dell’articolo 57 della presente direttiva;

·      emanare comunicazioni pubbliche;

·      richiedere, nei termini consentiti dal diritto nazionale, le registrazioni esistenti, detenute da un operatore di telecomunicazioni, riguardanti le comunicazioni telefoniche e gli scambi di dati, qualora vi sia un ragionevole sospetto di violazione e qualora tali registrazioni possano essere rilevanti ai fini di un’indagine per violazioni della presente direttiva o del regolamento (UE) n. 600/2014;

·      sospendere la commercializzazione o la vendita di strumenti finanziari o depositi strutturati qualora le condizioni di cui agli articoli 40, 41 o 42 del regolamento (UE) n. 600/2014 siano soddisfatte;

·      sospendere la commercializzazione o la vendita di strumenti finanziari o depositi strutturati qualora l’impresa di investimento non abbia sviluppato o applicato un processo di approvazione del prodotto efficace o non abbia altrimenti rispettato le disposizioni di cui all’articolo 16, paragrafo 3, della presente direttiva;

·      chiedere la destituzione di una persona fisica dal consiglio di amministrazione di un’impresa di investimento o di un gestore del mercato.

 

Il Presidente della Consob, Vegas, nel corso di un’audizione al Senato il 18 marzo 2015, nell’ambito dell’esame del disegno di legge in commento, ha evidenziato che la nuova disciplina MiFID prevede di attribuire alle autorità di vigilanza i predetti poteri di product intervention, con la finalità di proibire o limitare la diffusione di prodotti finanziari e attività commerciali dannosi per la tutela degli investitori, per l’ordinato funzionamento e l’integrità dei mercati, per la stabilità dell’intero sistema finanziario o di una sua parte.

Relativamente alla questione di riparto delle competenze con la Banca d’Italia, il Presidente Vegas ritiene che l’esercizio dei poteri di product intervention in relazione agli strumenti finanziari e ai depositi strutturati debba essere di esclusiva competenza Consob nel caso in cui l’intervento di vigilanza concerna la tutela dell’investitore e in quello in cui il medesimo sia preordinato ad assicurare l’ordinato funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari o dei mercati delle merci, coerentemente con il criterio di ripartizione per finalità delle competenze di vigilanza fra Consob e Banca d’Italia. Segnatamente, in tale logica, l’intervento di vigilanza, a prescindere dallo strumento finanziario (strumento finanziario e/o deposito strutturato) sul quale lo stesso va ad incidere, deve ritenersi di esclusiva competenza della Consob qualora concerna la tutela dell’investitore (“significant investor protection concern”) ovvero l’ordinato funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari o dei mercati delle merci (“functioning and integrity of financial markets or commodity markets”). Più in generale, la Consob ritiene che i poteri di product intervention abbiano come finalità principale la tutela dell’investitore e la salvaguardia dell’integrità dei mercati, piuttosto che di assicurare la stabilità degli intermediari.

 

e) prevedere, in applicazione del criterio di attribuzione delle competenze, l’intesa della Consob e della Banca d’Italia su specifici aspetti di talune materie indicate dall’art. 6, comma 2-ter del TUF, ai fini dell’adozione dei regolamenti di cui alla precedente lettera c). Inoltre, sugli aspetti oggetto dell’intesa, si stabilisce di attribuire i poteri di vigilanza e indagine all’autorità che fornisce l’intesa. Si veda quanto detto in precedenza con riferimento alla lettera c).

La coesistenza delle potestà delle due autorità su alcune materie relative allo svolgimento dei servizi di investimento da parte dei soggetti autorizzati, in ragione delle finalità di vigilanza assegnate a ciascuna di esse, è regolata dall’articolo 5 del TUF. Nello specifico si tratta delle seguenti materie: il governo societario, i requisiti generali di organizzazione, i sistemi di remunerazione e incentivazione; la continuità dell’attività; la responsabilità dell’alta dirigenza; la gestione dei conflitti di interesse; l’esternalizzazione di funzioni operative essenziali o importanti di servizi o attività.  In relazione a tali materie, pertanto, la potestà regolamentare assegnata a ciascuna delle due autorità dovrà essere condivisa – solo in relazione ad alcuni aspetti specifici, da individuarsi attraverso il riferimento alle finalità della vigilanza - anche dall’altra autorità e, in relazione a tali aspetti, saranno attribuiti a tale ultima autorità particolari e ben definiti compiti  di vigilanza e di indagine.

 

f) attribuire alla Consob poteri di vigilanza di indagine e di adottare disposizioni di disciplina secondaria, sentita la Banca d’Italia, con riguardo ai sistemi e ai controlli, anche di natura organizzativa e procedurale, di cui devono dotarsi le banche e le imprese di investimento nella gestione di sedi di negoziazione. Alla Consob vengono inoltre attribuiti i medesimi poteri in relazione all’attività di negoziazione algoritmica e, ai sensi di quanto stabilito dall’articolo 17 della direttiva, con riferimento ai partecipanti alle sedi di negoziazione.

 

La negoziazione algoritmica è l'uso di algoritmi matematici per mezzo di piattaforme elettroniche che consentono l'operatività in automatico sui mercati finanziari. L'uso di questi sistemi è prettamente istituzionale in quanto usato maggiormente da fondi pensione, traders istituzionali, hedge funds, investment banks e in generale dai market maker. Un tipo di negoziazione algoritmica è l'High frequency Trading, o trading ad alta frequenza: un sistema che permette la negoziazione di grandissimi volumi ad altissima frequenza. La peculiarità degli HFT è il tempo di esecuzione ed esposizione al mercato: da poche frazioni di secondo a diverse ore.

 

Per un approfondimento sulle innovazioni introdotte dalla MiFID II sulla disciplina delle sedi di negoziazione si segnala lo studio della Consob del giugno 2014 Mappatura delle infrastrutture di negoziazione in Italia, e l’articolo di dottrina Le sedi di negoziazione nell’ambito della disciplina MiFID II e MiFIR (di C. Ghielmi, su Diritto Bancario, aprile 2015).

 

L’articolo 17 della direttiva 2014/65/UE prevede che le imprese di investimento che effettuano negoziazione algoritmica pongono in essere controlli dei sistemi e del rischio efficaci e idonei per l’attività esercitata volti a garantire che i propri sistemi di negoziazione siano resilienti e dispongano di sufficiente capacità, siano soggetti a soglie e limiti di negoziazione appropriati e impediscano l’invio di ordini erronei o comunque un funzionamento dei sistemi tale da creare un mercato disordinato o contribuirvi.

Le imprese di investimento che effettuano negoziazioni algoritmiche in uno Stato membro lo notificano alle autorità competenti del loro Stato membro d’origine e della sede di negoziazione in cui le imprese stesse effettuano la negoziazione algoritmica quali membri o partecipanti della sede di negoziazione.

L’autorità competente dello Stato membro d’origine dell’impresa di investimento può prescrivere che quest’ultima fornisca, su base regolare o ad hoc, una descrizione della natura delle proprie strategie di negoziazione algoritmica, dettagli sui parametri o sui limiti di negoziazione a cui il sistema è soggetto, i controlli fondamentali di conformità e di rischio attuati e dettagli sulla verifica dei sistemi.

L’impresa di investimento conserva, servendosi di un modello approvato, registrazioni accurate e sequenziali di tutti gli ordini collocati, compresi la cancellazione di ordini, gli ordini eseguiti e le quotazioni sulle sedi di negoziazione e le mette a disposizione dell’autorità competente su sua richiesta.

 

La relazione illustrativa evidenzia a commento del presente punto che il legislatore europeo, nella revisione della direttiva MiFID, ha provveduto ad una omogeneizzazione della disciplina dei sistemi multilaterali di negoziazione e dei sistemi organizzati di negoziazione rispetto a quella dei mercati regolamentati. L’operare del gestore, in termini di amministrazione della piattaforma, regolamentazione del mercato, governance e struttura organizzativa della società, rileva ai fini dell’ordinato svolgimento delle negoziazioni e dell’integrità dei mercati, ivi inclusa la market abuse detection, al cui rispetto è preposta la Consob.

 

g) attribuire alla Consob i poteri di vigilanza e di indagine e il potere di adottare disposizioni di disciplina secondaria in relazione ai soggetti che gestiscono il consolidamento dei dati, i canali di pubblicazione delle informazioni sulle negoziazioni ed i canali per la segnalazione alla Consob delle informazioni sulle operazioni concluse su strumenti finanziari;

 

h) prevedere che la Banca d’Italia acquisisca obbligatoriamente il parere preventivo della Consob per il rilascio dell’autorizzazione alle banche alla prestazione dei servizi e delle attività d’investimento;

Sul punto si ricorda che il TUF (articolo 19, comma 4) dispone che la Banca d'Italia autorizzi le banche alla prestazione dei servizi. Si prevede il coinvolgimento della Banca d'Italia e della Consob nella vigilanza sulla prestazione dei servizi e delle attività di investimento: la prima è competente per quanto riguarda il contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione degli intermediari; la Consob per quanto attiene alla trasparenza e alla correttezza dei comportamenti. La disposizione contenuta nella lettera h) in commento, modificando la prassi attuale - secondo cui il coinvolgimento della Consob è successivo alla concessione dell’autorizzazione ed è realizzato con l’invio della relativa documentazione - prevede obbligatoriamente l’acquisizione di un parere preventivo rilasciato dalla Consob. La disposizione valorizza, poi, quanto già evidenziato dal Fondo Monetario Internazionale nel rapporto sul Financial Services Action Plan (“FSAP”) reso nel 2013.

In particolare, il FMI ha raccomandato un maggior coinvolgimento della Consob nel processo di autorizzazione degli enti creditizi che intendano svolgere servizi d’investimento e più in generale una revisione del riparto di competenze volto a semplificare il sistema di vigilanza, eliminando ambiguità e rafforzando l’approccio funzionale.

 

i) modificare il procedimento di autorizzazione delle SIM che svolgono attività transfrontaliera, attribuendo alla Consob, sentita la Banca d’Italia, i relativi poteri di autorizzazione;

 

L’articolo 26 del TUF prevede che l’operatività delle SIM in uno Stato extracomunitario è subordinata all’autorizzazione della Banca d’Italia. Il secondo comma del medesimo articolo prevede che la Banca d’Italia, sentita la Consob, stabilisce con regolamento: a) le norme di attuazione delle disposizioni comunitarie concernenti le condizioni necessarie e le procedure che devono essere rispettate perché le SIM possano prestare negli altri Stati comunitari i servizi ammessi al mutuo riconoscimento mediante lo stabilimento di succursali libera prestazione di servizi; b) le condizioni e le procedure per il rilascio alle SIM dell'autorizzazione a prestare negli altri Stati comunitari, le attività non ammesse al mutuo riconoscimento e negli Stati extracomunitari i propri servizi.

 

Il criterio stabilito dalla norma in esame attribuisce invece alla Consob – sentita la Banca d’Italia – i relativi poteri di autorizzazione. In tal modo, la Consob diventerebbe l’autorità competente a fornire l’autorizzazione – sentita la Banca d’Italia - alla prestazione dei servizi e della attività di investimento da parte delle SIM per quanto riguarda la loro operatività transfrontaliera.

 

l) modificare la disciplina relativa alla procedura di autorizzazione delle imprese di investimento extracomunitarie che intendano prestare servizi e attività di investimento a clienti al dettaglio o a clienti professionali, prevedendo, l’obbligo di stabilire una succursale nello Stato italiano e attribuendo, alla Consob, sentita la Banca d’Italia, i relativi poteri di autorizzazione.

Nell’audizione del 18 marzo 2015 del Presidente della Consob, Vegas, si evince che l’obbligo in questione, derivante dall’esercizio da parte del Governo della facoltà prevista dall’articolo 39 della MiFID II, si giustifica al fine di innalzare il livello di tutela degli investitori, poiché la presenza della succursale sul territorio dello Stato agevola lo svolgimento dei controlli da parte della Consob, nonché i contatti dell’investitore con l’intermediario che presta il servizio di investimento.

 

In particoalre, il citato articolo 39 prevede che gi Stati membri possono prescrivere che le imprese di paesi terzi che intendono prestare servizi di investimento o esercitare attività di investimento sul proprio territorio stabiliscano una succursale nello Stato membro in questione. La succursale ottiiene l'autorizzazione preventiva dalle autorità competenti di tale Stato membro e  la relativa prestazione dei servizi è soggetta all'autorizzazione e alla vigilanza nel paese terzo, per cui l'autorità competente presta debita attenzione a eventuali raccomandazioni del GAFI nel contesto delle azioni contro il riciclaggio di denaro e del contrasto al finanziamento del terrorismo;

 

m) modificare il Codice delle assicurazioni private (D.Lgs. n. 209 del 2005 – CAP) ed il citato TUF al fine di recepire l’articolo 91 della direttiva MiFID II, in tema di intermediazione assicurativa, prevedendo anche il ricorso alla disciplina secondaria adottata dall’IVASS e dalla Consob, nonché l’attribuzione alle predette autorità dei relativi poteri di vigilanza, indagine e sanzionatori, secondo le rispettive competenze.

Nell’ambito delle modifiche da apportare ai citati decreti legislativi, si prevede, con particolare riguardo alla Consob, la competenza sui prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione (di cui all’articolo 1, comma 1, lettera w-bis del TUF: si tratta delle polizze e delle operazioni di cui ai rami vita III e V individuate dall'articolo 2, comma 1, del CAP, con esclusione delle forme pensionistiche individuali), nonché sugli altri prodotti rientranti nella nozione di prodotto di investimento assicurativo contenuta nel citato articolo 91, comma 1, lettera b) della direttiva MiFID II.

Si segnala che nello schema di decreto legislativo attuativo della direttiva 2009/138/CE (Solvency II) (A.G. n. 146), la vigilanza sull’attività di assicurazione e di riassicurazione è stata attribuita in via generale all’IVASS. Peraltro, nel parere espresso dalle Commissioni parlamentari, il Governo è stato invitato a valutare l'opportunità di definire con maggiore precisione gli ambiti di competenza delle diverse autorità di vigilanza che a vario titolo esercitano poteri sul settore assicurativo, assicurando, in armonia con la previsione dell'articolo 247, comma 8, della direttiva 2009/138/CE, nonché con gli sviluppi della normativa comunitaria in materia, la massima collaborazione tra di esse, al fine di garantire la migliore efficacia degli assetti di vigilanza pubblicistica in materia, in particolare evitando duplicazioni, sovrapposizioni o conflitti di competenza tra le medesime autorità.

Dagli organi di stampa si apprende che il Governo ha recepito tale osservazione stabilendo che l’IVASS e la Consob, ciascuna secondo le rispettive competenze, dovranno vigilare affinché la condotta degli operatori che commercializzano prodotti assicurativi sia improntata alla trasparenza e alla correttezza nei confronti della clientela.

Il Consiglio dei ministri l’8 maggio 2015 ha approvato in via definitiva il decreto legislativo attuativo della direttiva Solvency II. Il decreto è in attesa di essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

 

n) modificare il TUF al fine di recepire le disposizioni della direttiva in materia di cooperazione e scambio di informazioni con le autorità competenti dell’Unione europea, degli Stati membri e degli Stati non appartenenti alla UE;

 

La MiFID II prevede che lo scambio o la trasmissione di informazioni tra autorità competenti, altre autorità, organismi o persone dovrebbe essere conforme alle norme sul trasferimento di dati personali verso Paesi terzi, come stabilito dalla direttiva 95/46/CE. Lo scambio o la trasmissione di dati personali tra l’ESMA e i Paesi terzi dovrebbe avvenire in conformità delle norme sul trasferimento di dati personali contenute nel regolamento (CE) n. 45/2001. Inoltre è necessario rafforzare le disposizioni riguardanti lo scambio di dati tra autorità nazionali competenti e potenziare i doveri di assistenza e cooperazione reciproche. A causa della crescente attività transfrontaliera, le autorità competenti dovrebbero trasmettersi reciprocamente le informazioni pertinenti ai fini dell’esercizio delle loro funzioni, in modo tale da garantire l’effettiva applicazione della direttiva, anche in situazioni in cui le violazioni o presunte violazioni possono interessare le autorità di due o più Stati membri. Nello scambio di informazioni è necessaria un’osservanza rigorosa del segreto professionale per garantire la trasmissione senza intoppi di tali informazioni e la protezione dei diritti delle persone. In merito poi alle disposizioni in materia di scambio di informazioni si segnalano anche gli articoli 81, 87 e 88 della direttiva MiFID II.

 

o) apportare modifiche ed integrazioni al TUF in materia di consulenti finanziari, società di consulenza finanziaria, promotori finanziari, assegnando ad un unico organismo, ordinato in forma di associazione con personalità giuridica di diritto privato, la tenuta dell’albo, nonché i poteri di vigilanza e sanzionatori nei confronti dei soggetti anzidetti. Con una modifica introdotta nel corso dell’esame al Senato è stato previsto che le spese relative all’albo dei consulenti finanziari devono essere poste a carico dei soggetti interessati.

 

Si ricorda che il decreto-legge n. 91 del 2014 (articolo 21-bis) ha prorogato al 31 dicembre 2015 il termine per continuare ad esercitare l'attività di consulenza in materia di investimento, nelle more dell'attuazione della disciplina relativa all'Albo delle persone fisiche consulenti finanziari, gestito dalla Consob e previsto dal D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164 (decreto legislativo di recepimento della c.d. norme europee "MiFID"). Di conseguenza, nonostante l'esercizio professionale di servizi e attività di investimento sia riservato dalla legge (ai sensi dell'articolo 18 del TUF) a banche e imprese di investimento, i soggetti che al 31 ottobre 2007 prestavano consulenza in materia di investimenti possono continuare a svolgere tale servizio, senza detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei clienti, fino al 31 dicembre 2015.

Si ricorda inoltre che l’articolo 18-bis del TUF ha previsto, al comma 1, che la riserva di attività di cui al richiamato articolo 18 del TUF non pregiudichi la possibilità per le persone fisiche, in possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e patrimoniali stabiliti con regolamento adottato dal Ministro dell'economia e delle finanze, sentite la Banca d'Italia e la Consob, di prestare la consulenza in materia di investimenti, senza detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei clienti. Al comma 2 si è prevista l’istituzione dell'albo delle persone fisiche consulenti finanziari, alla cui tenuta provvede un organismo i cui rappresentanti sono nominati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sentite la Banca d'Italia e la Consob.

L'organismo vigila sul rispetto delle disposizioni rilevanti e, per i casi di violazione delle regole di condotta, delibera, in relazione alla gravità dell'infrazione, la sospensione dall'albo da uno a quattro mesi, ovvero la radiazione dal medesimo. Si è affidato a un regolamento Consob (delibera CONSOB del 12 gennaio 2010, n. 17130) di determinare i principi e i criteri relativi, fra l’altro, alla formazione dell'albo e alle relative forme di pubblicità, all'iscrizione all'albo e alle cause di sospensione, di radiazione e di riammissione, alle cause di incompatibilità, alle regole di condotta che i consulenti devono rispettare nel rapporto con il cliente, avuto riguardo alla disciplina cui sono sottoposti i soggetti abilitati, alle modalità di tenuta della documentazione concernente l'attività svolta dai consulenti finanziari, all'attività dell'organismo, alle modalità di aggiornamento professionale dei consulenti finanziari.

Poiché il suddetto organismo - condizionante l’operatività della normativa di cui alle richiamate disposizioni - non è stato ancora istituito, si pone la necessità di prevedere un ulteriore termine per l’esercizio della predetta attività di consulenza, in attesa dell’adozione di una regolamentazione sistematica che consenta di istituire il previsto albo delle persone fisiche consulenti finanziari e il relativo organismo competente.

 

p) disciplinare le segnalazioni, all’interno degli intermediari e verso l’autorità di vigilanza, delle violazioni delle disposizioni della direttiva MiFID II e del regolamento MiFIR (UE n. 600/2014), eventualmente prevedendo misure per incoraggiare le segnalazioni utili ai fini dell’esercizio dell’attività di vigilanza. Nel corso dell’esame al Senato è stato precisato che, nell’ambito della disciplina delle segnalazioni, da un lato si deve tener conto dei profili di riservatezza e di protezione dei soggetti coinvolti, dall’altro si può valutare l’opportunità di estendere le modalità di segnalazione anche ad altre violazioni.

Si tratta dell’istituto del c.d “whistleblowing” contemplato anche nella Direttiva MAD 2 (Direttiva 2014/57/UE) e nel Regolamento MAR (Regolamento n. 596/2014) in materia di abusi di mercato.

 

q) modificare ed integrare il TUF al fine di attribuire alla Banca d’Italia ed alla Consob, ognuna secondo la rispettive competenze, il potere di applicare le sanzioni e le misure amministrative previste dall’articolo 70 della direttiva MiFID II (paragrafi 6 e 7 per le violazioni indicate dai paragrafi 3, 4 e 5), in base ai criteri e nei limiti massimi ivi previsti ed in coerenza con quanto stabilito dall’articolo 3, lettere l), ed m) della legge 7 ottobre 2014, n. 154;

La disposizione in esame ha quindi ad oggetto l’individuazione specifica delle sanzioni e delle misure amministrative definendo parametri e criteri in ossequio ai principi di legalità e tassatività e prevedendo, anche, ai sensi del paragrafo 7 del citato articolo 70 della MIFID2, che gli Stati membri possano autorizzare le autorità competenti ad imporre tipi aggiuntivi di sanzioni oltre a quelle di cui al paragrafo 6 o ad imporre ammende che superino gli importi di cui al paragrafo 6, lettere f), g) e h).

Si ricorda che la legge n. 154 del 2014 (delegazione europea 2013 – secondo semestre), nell’individuare i criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento nonché del regolamento n. 575/2013 relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi (articolo 3), ha delegato il Governo a rivedere in modo organico la disciplina e la procedura sanzionatoria delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal TUF in materia di abuso di denominazione, comunicazione sulla partecipazione al capitale e in tema di disciplina degli intermediari, dei mercati e della gestione accentrata di strumenti finanziari (articoli 188, 189 e 190).

Il Governo è quindi delegato a rivedere, tenuto conto di quanto disposto ai sensi della legge sul risparmio, i minimi e i massimi edittali delle sanzioni in materia di offerta al pubblico di sottoscrizione e di vendita, informazioni sul governo societario, ammissione alle negoziazioni, informazione societaria e doveri dei sindaci, dei revisori legali e delle società di revisione legale, nonché sulle deleghe di voto (articoli 191, 192-bis, 192-ter, 193 e 194 del TUF), in modo tale da assicurare il rispetto dei principi di proporzionalità, dissuasività e adeguatezza, secondo un’articolazione che preveda minimi non inferiori a euro cinquemila e massimi non superiori a cinque milioni di euro (lettera l), punto 2)).

Ulteriori criteri di delega in materia di sanzioni riguardano l’estensione del principio del favor rei, la definizione dei criteri cui Banca d’Italia e Consob devono attenersi nella determinazione dell’ammontare della sanzione, anche in deroga alle disposizioni contenute nella legge 24 novembre 1981, n. 689, sul sistema penale, la pubblicazione delle sanzioni irrogate e il regime per lo scambio di informazioni con l’Autorità bancaria europea, l’attribuzione alla Banca d’Italia e alla Consob del potere di definire disposizioni attuative, anche riguardo alla nozione di fatturato utile per la determinazione della sanzione, alla procedura sanzionatoria e alle modalità di pubblicazione delle sanzioni (lettera m), punti 1-4). Da segnalare la possibilità per il Governo di prevedere, con riferimento alle fattispecie connotate da minore effettiva offensività o pericolosità, strumenti deflativi del contenzioso o di semplificazione dei procedimenti di applicazione della sanzione; in tale ambito, è rimessa all’autorità di vigilanza la facoltà di escludere l’applicazione della sanzione per condotte prive di effettiva offensività o pericolosità (lettera m), punto 5)).

In attuazione di tale delega il Governo ha presentato alle Camere, che hanno espresso i rispettivi pareri, lo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2013/36/UE sull'accesso all'attività degli enti creditizi e la vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (Atto n. 147), che contiene un’ampia riforma delle sanzioni del TUB e del TUF. Il decreto non è stato ancora emanato in via definitiva.

 

r) attribuire alla Consob il potere di applicare misure e sanzioni amministrative - previste dall’articolo 70, paragrafo 6, della direttiva - per il mancato o inesatto adempimento della richiesta di informazioni di cui all’articolo 22, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 600/2014;

L’adempimento di cui al citato articolo 22, paragrafo 1 del regolamento MiFIR fa riferimento al potere delle autorità competenti di richiedere specifiche informazioni ai gestori dei mercati ai fini dell’applicazione dei regimi di trasparenza pre e post-negoziazione e quindi delle relative deroghe e differimenti sia per gli strumenti rappresentativi di capitale che per quelli non rappresentativi, nonché per il rispetto dell’obbligo di negoziazione su alcuni strumenti finanziari e per determinare se un investitore è un internalizzatore sistematico (sono internalizzatori sistematici le imprese di investimento che negoziano per conto proprio al di fuori dei sistemi, eseguendo ordini dei clienti).

 

s) valutare di non prevedere, in attuazione della disciplina sanzionatoria adottata in virtù della possibilità di cui alla precedente lettera q), alcuna sanzione amministrativa per le fattispecie previste dall’articolo 166 del TUF;

Tale articolo punisce a titolo di “abusivismo” con la reclusione da uno a otto anni e con la multa da euro 4.130 a euro 10.329, la condotta di chi, senza esservi abilitato: a) svolge servizi o attività di investimento o di gestione collettiva del risparmio; b) offre in Italia quote o azioni di OICR; c) offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, strumenti finanziari o servizi o attività di investimento. Con la stessa pena è inoltre punito chi esercita l’attività di promotore finanziario senza essere iscritto nell’albo e chi esercita l’attività di controparte centrale di cui al regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, senza aver ottenuto la preventiva autorizzazione ivi prevista.

 

t) prevedere modifiche alla normativa vigente, anche di derivazione UE, per i settori interessati dalla normativa da attuare e per la gestione collettiva del risparmio, con la finalità di realizzare il miglior coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell’investitore e di tutela della stabilità finanziaria.

 

Il comma 2 contiene la clausola di invarianza finanziaria, precisando che dall'attuazione della direttiva citata non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Procedure di contenzioso

Il 26 settembre 2013 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2013/0311) per il mancato recepimento della direttiva 2011/61/UE relativa ai gestori di fondo di investimento alternativi (modificata dalla direttiva oggetto del presente articolo). Lo scorso 26 marzo 2015 la Commissione europea ha emanato un parere motivato.

 

Il termine per il recepimento scadeva il 22 luglio 2013.

 

Al riguardo, si ricorda che, in base all’articolo 260, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’UE, la Commissione, quando presenta ricorso alla Corte contro uno Stato membro  che abbia mancato di comunicare le misure di attuazione di una direttiva, può, se lo ritiene opportuno, chiedere alla Corte di condannare direttamente tale Stato al pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.

La Corte, se accetta l’inadempimento contestato dalla Commissione, può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità entro i limiti dell’importo indicato dalla Commissione. L’importo è esigibile alla data fissata dalla Corte nella sentenza.

 

Si segnala che il D.Lgs. n. 44 del 2014 ha recepito la normativa europea sui gestori di fondi di investimento alternativi (direttiva 2011/61/UE), che definisce regole armonizzate sui gestori di fondi di investimento alternativi, prevedendo l'applicazione di regole di condotta, di trasparenza informativa e di requisiti patrimoniali, organizzativi e di controllo del rischio analoghi a quelli previsti per le società di gestione di fondi comuni armonizzati. In base alle nuove norme, i gestori europei autorizzati ai sensi della direttiva potranno commercializzare liberamente in tutta l'Unione Europea, nei confronti di investitori professionali, fondi di investimento alternativi da essi gestiti; essi potranno inoltre gestire fondi alternativi riservati a investitori professionali negli altri paesi dell'Unione Europea su base transfrontaliera o con stabilimento di succursali.

La Banca d'Italia e la Consob hanno pubblicato il 26 luglio 2013 un comunicato congiunto contenente chiarimenti circa la normativa applicabile a far data dal 22 luglio 2013.

 


 

Articolo 10
(
Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2014/91/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, recante modifica della direttiva 2009/65/CE concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), per quanto riguarda le funzioni di depositario, le politiche retributive e le sanzioni)

 

 

L'articolo 10, inserito nel corso dell’esame al Senato, prevede la delega al Governo per l'attuazione della direttiva 2014/91/UE (c.d. UCITS V), in materia di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) per quanto riguarda le funzioni di depositario, le politiche retributive e le sanzioni.

 

Si segnala che l’esigenza di introdurre la norma in commento nel disegno di legge in esame è stata evidenziata dal Presidente della Consob, Vegas, nel corso dell’audizione tenuta al Senato il 18 marzo 2015, nell’ambito dell’esame di questo provvedimento.

 

Il comma 1 prevede che, nell'esercizio della delega, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai principi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, comma 1, anche i seguenti principi e criteri specifici:

 

a) apportare al TUF, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva 2014/91/UE (UCITS V);

 

b) prevedere il ricorso alla disciplina secondaria adottata dalla Consob e dalla Banca d'Italia secondo le rispettive competenze;

 

c) apportare modifiche e integrazioni alle disposizioni in materia di sanzioni contenute nel TUF, al fine di attribuire alla Banca d'Italia e alla Consob, nell'ambito delle rispettive competenze, il potere di imporre le sanzioni e le altre misure amministrative per le violazioni delle disposizioni della direttiva 2014/91/UE con i criteri e i massimi edittali ivi previsti;

 

d) provvedere affinché siano in atto i dispositivi e le procedure per la segnalazione di violazioni di cui all'articolo 99-quinquies della direttiva 2009/65/CE (cd. whistleblowing), così come modificata dalla citata direttiva 2014/91/UE, tenendo anche conto dei profili di riservatezza e di protezione dei soggetti coinvolti;

 

L'articolo 99-quinquies, dispone che gli Stati membri mettano in atto meccanismi efficaci e affidabili per incoraggiare la segnalazione alle autorità competenti delle violazioni potenziali o effettive delle disposizioni nazionali di recepimento della presente direttiva, compresi canali di comunicazione sicuri per tali segnalazioni. Tali meccanismi includono almeno:

·        procedure specifiche per il ricevimento di segnalazioni di violazioni e per il relativo seguito;

·        protezione adeguata per i dipendenti delle società di investimento, delle società di gestione e dei depositari, che segnalano violazioni commesse all’interno di tali soggetti almeno riguardo a ritorsioni, discriminazioni o altri tipi di trattamento iniquo (cd. whistleblowing);

·        protezione dei dati personali concernenti sia la persona che segnala le violazioni sia la persona fisica sospettata di essere responsabile della violazione, conformemente alla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;

·        norme chiare che assicurano che la riservatezza sia garantita in tutti i casi con riguardo alla persona che segnala una violazione, salvo che la comunicazione di tali informazioni sia richiesta dalla normativa nazionale nel contesto di ulteriori indagini o successivi procedimenti giudiziari.

L’ESMA (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) predispone uno o più canali di comunicazione sicuri per la segnalazione di violazioni delle disposizioni nazionali di recepimento della presente direttiva.

Gli Stati membri provvedono a che la segnalazione da parte dei dipendenti delle società di investimento, delle società di gestione e dei depositari non sia considerata una violazione di eventuali norme restrittive sulla divulgazione di informazioni imposte per contratto o per disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa né implichi per la persona che effettua la segnalazione alcuna forma di responsabilità in relazione alla segnalazione stessa. Gli Stati membri devono inoltre imporre alle società di gestione, alle società di investimento e ai depositari di disporre di procedure adeguate affinché i propri dipendenti possano segnalare violazioni a livello interno avvalendosi di un canale specifico, indipendente e autonomo.

 

e) adottare, in conformità alle definizioni, alla disciplina della direttiva 2014/91/UE e ai criteri direttivi previsti dalla legge in esame, le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione comunitaria, per i settori interessati dalla direttiva da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell'investitore, di tutela della stabilità finanziaria e dell'integrità dei mercati finanziari.

 

Il secondo comma precisa che dall'attuazione della direttiva citata non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

La direttiva 2014/91/UE (c.d. UCITS V), in vigore dal 17 settembre 2014, deve essere recepita nel diritto nazionale dagli Stati membri entro il 18 marzo 2016 (18 mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea).

Lo scopo della direttiva - aggiornamento della direttiva 2009/65/CE ( “Direttiva UCITS IV”), relativa al coordinamento delle disposizioni amministrative in materia di organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) - è quello di armonizzare le seguenti disposizioni:

- funzioni di depositario: individuazione dei soggetti abilitati ad assumere la funzione di depositario; generali obblighi di controllo e di custodia ascritti in capo al depositario; condizioni alle quali il depositario può sub-depositare e compiti che possono essere legittimamente affidati al sub-depositario; individuazione delle condizioni alle quali è consentito il riutilizzo degli asset da parte del depositario; regime di responsabilità. In particolare, la direttiva UCITS V prevede che gli OICVM possono nominare soltanto un unico depositario e la nomina deve essere evidenziata da un accordo scritto. Il depositario è incaricato delle funzioni di custodia, supervisione e monitoraggio dei flussi finanziari, in linea con le disposizioni della direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi (direttiva 2011/61/UE, c.d. AIFMD.

Si evidenzia che la direttiva AIFMD è stata attuata in Italia con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 44. Come evidenziato dal Presidente Vegas, il D.Lgs. n. 44 del 2014 ha tenuto conto dell'evoluzione della normativa europea sulla depositaria di matrice UCITS. In particolare, la disciplina di recepimento della Direttiva AIFMD è stata estesa anche ai fondi UCITS, prevedendo tuttavia un termine di differimento dell’efficacia delle nuove disposizioni pari a un anno. Il medesimo approccio è stato seguito dalla Banca d’Italia in sede di adeguamento del proprio Regolamento sulla gestione collettiva dell’8 maggio 2012 a seguito del recepimento della Direttiva AIFMD, entrato in vigore il 3 aprile 2015;

- politiche retributive delle società di gestione: la direttiva introduce modifiche delle politiche di remunerazione, al fine di promuovere una gestione efficace dei rischi, in linea con il profilo di rischio dell’OICVM. A seconda dell’organizzazione, della natura, della portata e della complessità delle attività della società di gestione, sono stabiliti specifici principi. Le politiche di remunerazione si applicano alle categorie di personale le cui attività professionali hanno un impatto rilevante sui profili di rischio degli OICVM. La ratio dell’intervento risiede nella necessità che la politica di remunerazione sia idonea a promuovere una sana e prudente gestione del rischio, senza incoraggiare l'assunzione di rischi non coerenti rispetto alle caratteristiche del fondo, e risulti in linea con le strategie e gli obiettivi prefissati nonché con le esigenze degli investitori. Si prevede un obbligo di pubblicità della politica di remunerazione nel prospetto.

La materia dei sistemi di remunerazione e di incentivazione dei soggetti abilitati è menzionata nell’articolo 6, comma 2-bis del TUF, che assegna la competenza regolamentare congiuntamente alla Banca d’Italia e alla Consob, con una formulazione sufficientemente ampia da ricomprendere tanto i gestori UCITS quanto quelli di FIA (cfr. Vegas nella citata audizione). Si evidenzia che l’articolo 9 del disegno di legge in esame dispone il superamento dell’attività regolamentare congiunta della Banca d’Italia e della Consob, al fine di rendere più efficiente ed efficace l’assegnazione dei compiti di vigilanza e di ridurre gli oneri per i soggetti vigilati. In particolare per specifici aspetti relativi alle si richiede la sola intesa della Banca d'Italia e della Consob ai fini dell'adozione dei regolamenti. Pertanto, nell’adozione della disciplina secondaria le due Autorità potranno emanare i regolamenti, previa intesa con l’altra, quando si tratterà delle seguenti materie: governo societario, requisiti generali di organizzazione, sistemi di remunerazione e di incentivazione; continuità dell'attività; responsabilità dell'alta dirigenza; esternalizzazione di funzioni operative essenziali o importanti o di servizi o attività; gestione dei conflitti di interesse, potenzialmente pregiudizievoli per i clienti (articolo 6, comma 2-bis, lettere a)b)h)k) e l)).

- sanzioni amministrative: la direttiva UCITS V definisce un elenco esaustivo delle violazioni che implicano la comminazione di sanzioni da parte delle autorità competenti; la direttiva prevede sanzioni di 5 milioni di euro o 10% del fatturato annuo totale di una società, di 5 milioni di euro per gli individui o il doppio del profitto derivante dalla violazione se determinabile. Altre misure sono introdotte, quale l’obbligo per gli Stati membri di istituire meccanismi efficaci per incoraggiare la segnalazione di violazioni e per fornire un canale sicuro per abilitare tale comunicazione. È previsto l'obbligo per le autorità competenti di pubblicare ogni provvedimento sanzionatorio.

 

 

 


 

Articolo 11
(
Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato (direttiva abusi di mercato), anche ai fini dell’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato del regolamento (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione)

 

 

L'articolo 11, inserito dal Senato, delega il Governo a dare attuazione alla nuova disciplina UE sugli abusi di mercato, in particolare individuando l’autorità competente in tale ambito (CONSOB) e le modalità di cooperazione tra autorità nazionale e autorità estere.

Le disposizioni contengono specifiche indicazioni sia sulle sanzioni amministrative che la Consob deve applicare, sia sul recepimento in Italia dell’obbligo di prevedere sanzioni penali per i casi di violazioni gravi e dolose, previsto dalle norme europee.

 

In primo luogo, la disposizione di delega prevede (lettera a) del comma 1) che sia adeguatamente modificato e integrato il testo unico finanziario – TUF (d.lgs. n. 58 del 1998) con le norme necessarie ad attuare la direttiva 2014/57/UE e alle disposizioni del regolamento  n. 596/2014, abrogando contestualmente le norme dell'ordinamento nazionale che riguardano gli istituti disciplinati dal regolamento anzidetto.

Le condotte di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato sono sanzionate, rispettivamente, agli articoli 184 (reclusione da 2 a 12 anni e multa da 20.000 a 3 milioni di euro) e 185 (reclusione da 2 a 12 anni e multa da 20.000 a 5 milioni di euro) del citato Testo Unico. Il Capo I del Titolo III del TUF, dedicato all’informazione societaria, contiene invece la disciplina concernente gli obblighi informativi in capo agli emittenti.

 

La successiva lettera b) chiarisce che la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) viene designata quale autorità competente ai fini del regolamento in epigrafe, assicurando che la stessa autorità possa esercitare i poteri di vigilanza e di indagine attribuiti dagli articoli 22 e 23 del regolamento, e i relativi poteri sanzionatori (articolo 30).

 

Con la lettera c) si dispone che le norme di delega prevedano il ricorso alla disciplina secondaria, adottata dalla CONSOB, nell'ambito e per le finalità specificamente previste dal regolamento n. 596/2014, dalla direttiva 2014/57/UE e dalla legislazione dell'Unione europea.

 

La lettera d) prevede di modificare, ove necessario, il citato TUF per conformare l'ordinamento nazionale alle disposizioni di cui agli articoli 24, 25 e 26 del regolamento (UE) n. 596/2014 che recano, rispettivamente, norme in materia di cooperazione e scambio di informazioni con l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (AESFM - ESMA), le autorità competenti degli Stati membri, nonché con le autorità di vigilanza di paesi terzi.

 

La lettera e) attribuisce alla CONSOB il potere di applicare le sanzioni e le altre misure amministrative per le violazioni espressamente elencate dall'articolo 30 del regolamento (abuso di informazioni privilegiate e comunicazione illecita di informazioni privilegiate; manipolazione del mercato; condotte connesse alla prevenzione e individuazione di abusi di informazioni privilegiate, manipolazioni del mercato e relativi tentativi; condotte connesse alla comunicazione al pubblico di informazioni privilegiate ed alla tenuta degli elenchi delle persone aventi accesso a informazioni privilegiate; condotte effettuate da persone che esercitano funzioni di amministrazione, di controllo o di direzione; obblighi di coloro che producono o diffondono raccomandazioni in materia di investimenti o altre informazioni che raccomandano o consigliano una strategia di investimento in ordine, tra l’altro, alla correttezza delle informazioni presentate).

 

Ai sensi della lettera f), le norme di delega dovranno ridurre dagli attuali 100.000 euro a 20.000 euro il valore minimo delle sanzioni amministrative pecuniarie per abuso di informazioni privilegiate, comunicazione di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato previste dagli articoli 187-bis e 187-ter del TUF.

 

In materia di confisca, ferma restando l’attuale disciplina della confisca penale (art. 187 del TUF), la lettera g) prevede una revisione della disciplina della confisca amministrativa (art. 187-sexies), limitandola al solo profitto dell’illecito (oggi comprende anche il prodotto ed i mezzi utilizzati) in modo da renderla maggiormente proporzionata all’effettiva utilità conseguita dai soggetti e superare le eccezioni di incostituzionalità in più sedi avanzate.

 

La lettera h) prescrive che, per stabilire il tipo ed il livello di sanzione amministrativa per le violazioni delle previsioni stabilite dal regolamento, si tenga conto delle circostanze pertinenti, elencate dall'articolo 31 del medesimo regolamento, tra cui la gravità e la durata della violazione, il grado di responsabilità dell’autore della violazione, la capacità finanziaria dell’autore della violazione, quale risulta, per esempio, dal fatturato complessivo della persona giuridica o dal reddito annuo della persona fisica; l’ammontare dei profitti realizzati e delle perdite evitate da parte dell’autore della violazione, nella misura in cui possano essere determinati; il livello di cooperazione che l’autore della violazione ha dimostrato con l’autorità competente, ferma restando la necessità di garantire la restituzione dei guadagni realizzati o delle perdite evitate; le eventuali precedenti violazioni da parte dell’autore della violazione; le misure adottate dall’autore della violazione al fine di evitarne il ripetersi.

 

In ordine alle sanzioni penali e al loro rapporto con le sanzioni amministrative (di cui alla lettera i)) la delega al Governo riguarda l’individuazione - oltre alle sanzioni amministrative proporzionate, efficaci e dissuasive – per i casi gravi e dolosi, di illeciti penali con pene anch’esse proporzionate, efficaci e dissuasive.

 

Al riguardo si fa presente che la disciplina penale in materia è già in linea con la direttiva in commento, come peraltro segnalato nella relazione illustrativa al disegno di legge di delegazione europea presentato dal Governo al Senato (S. 1758). Le norme di delega in esame riguardano quindi ulteriori aspetti di coordinamento necessari al corretto recepimento della direttiva.

 

Per l’individuazione delle condotte dolose gravi di abuso di mercato (lettera l) si fa rinvio ai criteri indicati dalla Direttiva 20114/57/UE (MAD 2) e fra questi viene indicata, con valenza esemplificativa, la qualificazione soggettiva dei trasgressori, come quando essi siano esponenti di emittenti quotati (e pertanto soggetti a speciali obblighi informativi e di comportamento), di autorità di vigilanza o di governo, membri di organizzazioni criminali, soggetti che abbiano già commesso le medesime violazioni.

 

La lettera m) richiede esplicitamente che sia evitata la duplicazione e/o il cumulo di sanzioni penali e amministrative per lo stesso fatto illecito, indicando diverse modalità per perseguire tale obiettivo. In particolare si prescrive di:

-        distinguere le fattispecie;

-        applicare della sola sanzione più grave;

-        imporre, all’autorità di vigilanza o all’autorità giudiziaria, di tenere conto, al momento dell’irrogazione di sanzioni di propria competenza, delle misure già computate (meccanismo già presente nel vigente art. 187-terdecies).

 

Si ricorda al riguardo che la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), con una sentenza depositata il 4 marzo 2014, ha condannato l'Italia per violazione del diritto a non essere giudicati due volte per lo stesso reato (ricorso Grande Stevens e altri contro Italia), riconoscendo un indennizzo ai ricorrenti. La Corte ha stabilito che se la sanzione qualificata come amministrativa sul piano interno è di una severità tale da essere equiparabile ad una sanzione penale non è possibile avviare un nuovo procedimento giurisdizionale penale dopo quello di natura amministrativa. La Corte di Strasburgo ha anche imposto, per la prima volta, l'immediata chiusura del procedimento penale in corso, senza pregiudizio per i ricorrenti.

 

La lettera n) impone di dare attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 32 del regolamento, concernente la segnalazione verso l'autorità di vigilanza competente di violazioni effettive o potenziali, tenendo anche conto dei profili di riservatezza e di protezione dei soggetti coinvolti.

 

Con la lettera o) si delega il Governo a valutare, ai sensi del paragrafo 4 dell'articolo 32 del regolamento, l’opportunità di prevedere la concessione di incentivi finanziari a coloro che offrono informazioni pertinenti riguardo a potenziali violazioni del regolamento stesso.

 

La lettera p) dispone che le norme di delega dovranno consentire, nei termini dell'articolo 34 del regolamento, la pubblicazione da parte della CONSOB sul proprio sito Internet delle decisioni relative all'imposizione di misure e sanzioni amministrative per le violazioni delle norme UE.

Ai sensi del richiamato articolo 34, le autorità competenti pubblicano le decisioni in materia di sanzioni e altre misure sui propri siti Internet immediatamente dopo che la persona destinataria di tale decisione sia stata informata; la pubblicazione fornisce informazioni relative almeno al tipo e alla natura della violazione nonché all’identità della persona che ne è destinataria, fatta eccezione per quanto riguarda le misure investigative. Sono comunque previste specifiche deroghe correlate a elementi di natura oggettiva e soggettiva.

 

Infine, la lettera q) impone di adottare le opportune modifiche di coordinamento alla normativa vigente, anche per assicurare un appropriato grado di protezione dell'investitore, di tutela della stabilità finanziaria e dell'integrità dei mercati finanziari.

 

Il comma 2 dell’articolo 11 reca la clausola di invarianza finanziaria in base alla quale dall'attuazione della disposizione in parola non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e l'Autorità interessata provvede agli adempimenti di cui al presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

 

La riforma comunitaria degli abusi di mercato (market abuse)

 

Il 12 giugno del 2014 sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il regolamento UE n. 596/2014 sugli abusi di mercato e la direttiva 2014/57/UE relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato.

Con i termini “market abuse” si indica un insieme di condotte di manipolazione dei mercati finanziari, che causano in via diretta o indiretta conseguenze sfavorevoli per gli investitori, dovute al fatto che altri soggetti (ovvero operatori del mercato) hanno usufruito di informazioni confidenziali, ovvero abbiano falsato il meccanismo di determinazione dei prezzi degli strumenti finanziari o divulgato informazioni false o ingannevoli.

La linea di tendenza seguita dal legislatore europeo nel caso degli abusi di mercato è quella di incentivare il ricorso a forme di doppio binario sanzionatorio, penale e amministrativo.

Dal rapporto della Commissione europea è emerso che la precedente direttiva 2003/6 non è stata attuata in modo adeguato in tutti gli Stati membri i quali hanno predisposto unicamente misure amministrative che, alla prova dei fatti, si sono mostrate inadeguate. Si è, inoltre, rilevato come l’assenza di sanzioni penali abbia inciso in modo negativo sull’uniformità delle condizioni operative del mercato interno. Proprio per ovviare a tali mancanze, le nuove norme chiedono agli Stati membri sanzioni più efficaci, in grado di svolgere un effetto dissuasivo almeno per i reati più gravi.

La direttiva 2014/57/UE introduce sanzioni proporzionate ai profitti conseguiti da chi commette il reato e ai danni provocati anche ai mercati e all’economia in generale. Per i reati previsti dagli articoli 3 a 5 (abuso di informazioni privilegiate, raccomandazione o induzione di altri alla commissione di abuso di informazioni privilegiate, comunicazione illecita di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato) la durata massima della pena non può essere inferiore ai 4 anni. Tra le altre sanzioni, poi, gli Stati potranno prevedere l’esclusione dal godimento di contributi o sovvenzioni pubblici; l’interdizione temporanea o permanente all’esercizio di un’attività d’impresa; l’assoggettamento a controllo giudiziario; provvedimenti giudiziari di liquidazione; la chiusura temporanea o permanente dei locali usati per commettere il reato. Il termine per il recepimento è fissato al 3 luglio 2016.

Assieme alla direttiva sulle sanzioni è stato pubblicato il regolamento UE n. 596/2014 relativo agli abusi di mercato, che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione (abusi di mercato), nonché la direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE.

Gli obblighi stabiliti di prevedere negli ordinamenti nazionali pene per le persone fisiche e sanzioni per le persone giuridiche non esonerano gli Stati membri dall’obbligo di contemplare sanzioni amministrative e altre misure per le violazioni previste nel regolamento (UE) n. 596/2014, salvo che gli Stati membri non abbiano deciso, conformemente al regolamento (UE) n. 596/2014, di prevedere per tali violazioni unicamente sanzioni penali nel loro ordinamento nazionale.

Si individua, poi, quella che può rivelarsi una generale linea di confine tra le due tipologie di illecito e sanzioni, in modo da evitare possibili violazioni del principio del bis in idem nei diversi Stati membri dell’Unione: nel considerandum 23 della direttiva, infatti, si precisa l’ambito di applicazione della direttiva in relazione al connesso strumento regolamentare (n. 596/2014), poiché mentre le condotte illecite commesse con dolo dovrebbero essere punite conformemente alla direttiva, almeno nei casi gravi, le sanzioni per le violazioni del regolamento n. 596/2014 non richiedono che sia comprovato il dolo o che gli illeciti siano qualificati come gravi.

Nella medesima prospettiva il legislatore europeo individua (ad es. i consideranda 11 e 12), una serie di criteri di ordine generale per poter qualificare “gravi” gli illeciti di manipolazione del mercato e quelli di abuso di informazioni privilegiate, muovendo dal presupposto (considerandum 6) che è essenziale rafforzare il rispetto delle norme sugli abusi di mercato istituendo sanzioni penali, che dimostrino una forma più forte di disapprovazione sociale rispetto alle sanzioni amministrative.

In particolare, il regolamento UE n. 596/2014 istituisce un quadro normativo comune in materia di abuso di informazioni privilegiate, comunicazione illecita di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato (le cd. condotte qualificate come “abusi di mercato”) e contiene misure per prevenire gli abusi di mercato, onde garantire l’integrità dei mercati finanziari dell’Unione e accrescere la tutela degli investitori e la fiducia in tali mercati.

In estrema sintesi, il regolamento si applica agli strumenti finanziari ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione su un mercato regolamentato, ma – innovando così rispetto al passato – anche agli strumenti finanziari negoziati su un sistema multilaterale di negoziazione (o per cui è stata presentata apposita richiesta), su altri sistemi di negoziazione organizzati e over the counter, nonché ai mercati delle merci e degli strumenti derivati collegati.

Si prevedono condotte legittime (cd. safe harbour, di cui all’articolo 9 del regolamento), ai sensi delle quali non costituisce, di per sé, abuso di informazioni privilegiate l’uso di informazioni acquisite nel quadro di operazioni di fusione o acquisizione e utilizzate a tali fini, ovvero l’uso della decisione di acquisire o disporre di certi strumenti finanziari nell’acquisizione o disposizione di tali strumenti. Il regolamento elenca inoltre (articolo 13) le prassi di mercato ammesse che consentono di non incorrere nei divieti di manipolazione del mercato.

L’articolo 11 del regolamento consente di effettuare sondaggi di mercato (definiti quali “comunicazioni di informazioni privilegiate quando una persona è in possesso di informazioni privilegiate e comunica tali informazioni a un’altra persona, tranne quando la comunicazione avviene durante il normale esercizio di un’occupazione, una professione o una funzione”) subordinatamente a specifiche condizioni previste dalle norme regolamentari. Si estende la definizione di manipolazione del mercato anche agli ordini di negoziazione effettuati attraverso mezzi elettronici, come le strategie di negoziazione algoritmiche e ad alta frequenza (articolo 12, comma 2, lettera c), ai sensi della quale la condotta è inoltrata anche mediante inoltro di ordini in una sede di negoziazione, comprese le relative cancellazioni o modifiche, con ogni mezzo disponibile di negoziazione, anche attraverso mezzi elettronici, come le strategie di negoziazione algoritmiche e ad alta frequenza).

Viene stabilita l’illiceità del tentativo di abuso di informazioni privilegiate e manipolazioni del mercato (articolo 16, comma 2).

Il regolamento disciplina dettagliatamente gli obblighi di comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate da parte degli emittenti quotati, prevedendo la possibilità per l’emittente di ritardare la divulgazione al pubblico di tali informazioni qualora sussistano specifiche condizioni (articolo 17).

Si stabilisce l’obbligo di notifica all’emittente e all’autorità competente delle operazioni effettuate da persone che esercitano funzioni di amministrazione, controllo o direzione e da persone ad essi strettamente collegate: la soglia annuale che fa scattare l’obbligo di notifica è fissata a 5.000 euro, ma il regolamento prevede la possibilità per le autorità competenti di aumentare la predetta soglia fino a 20.000 euro, con termine per la notifica  fissato a 3 giorni dall’operazione (art. 19, comma 9).

Sono previste semplificazioni per gli emittenti i cui strumenti finanziari sono ammessi alla negoziazione su un mercato di crescita per le PMI e in particolare obblighi semplificati di divulgazione delle informazioni (art. 17, comma 9) .

L'entrata in vigore del regolamento è fissata al 3 luglio 2016, con molte norme immediatamente precettive.

 

 

 


 

Articolo 12
(
Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 909/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, relativo al miglioramento del regolamento titoli nell'Unione europea e ai depositari centrali di titoli e recante modifica delle direttive 98/26/CE e 2014/65/UE e del regolamento (UE) n. 236/2012, per il completamento dell'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, sugli strumenti derivati OTC, le controparti centrali e i repertori di dati sulle negoziazioni nonché per l'attuazione della direttiva 98/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 1998, concernente il carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento titoli, come modificata dal regolamento (UE) n. 648/2012 e dal regolamento (UE) n. 909/2014)

 

 

L'articolo 12, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, delega il Governo ad adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 909/2014 (cd. CSD - Central Securities Depositories Regulation); a completare l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 648/2012 (cd. EMIR - European Market Infrastructure Regulation); a trasporre nell’ordinamento interno delle modifiche apportate alla direttiva 98/26/CE dai citati regolamenti (UE) n. 909/2014 e n. 648/2012.

In particolare, la CONSOB e la Banca d'Italia sono designate quali autorità competenti ai sensi delle norme europee, con l’attribuzione di poteri di vigilanza e d'indagine necessari per l'esercizio delle rispettive funzioni. A tal fine, la norma di delega in esame individua la CONSOB quale autorità responsabile della cooperazione, nonché quale autorità competente a ricevere la domanda di autorizzazione da parte del depositario centrale di titoli e a comunicare al soggetto richiedente il relativo esito. Sono introdotte specifiche sanzioni per le violazioni delle previsioni del regolamento (UE) n. 909/2014, secondo le indicazioni contenute nel regolamento stesso; esse sono comminate dalle autorità di vigilanza in misura efficace, proporzionata e dissuasiva.

Le norme in commento recano poi una delega a rivalutare la complessiva attuazione della direttiva 98/26/CE.

 

In termini generali, le richiamate norme UE perseguono i seguenti obiettivi:

·        determinare le condizioni per mitigare i rischi sistemici per la stabilità finanziaria connessi alle negoziazioni in contratti derivati over-the-counter (OTC) e di migliorare la trasparenza degli stessi contratti (regolamento UE n. 648/2012);

·        armonizzare le attività di regolamento dei titoli all'interno dell’Unione europea e introdurre requisiti specifici per gli operatori che intendono effettuare le attività di regolamento titoli nell’ambito del mercato UE, creando così un mercato unico dei servizi di gestione accentrata e di regolamento dei titoli e al contempo favorendo l'attenuazione dei rischi di regolamento delle transazioni in strumenti finanziari (regolamento UE n. 909/2014);

·        attenuare il rischio sistemico connesso ai sistemi di pagamento e di regolamento titoli, ridurre le turbative al sistema derivanti dalla procedura d’insolvenza nei confronti di uno dei partecipanti a tale sistema (direttiva 98/26/CE e successive modificazioni).

 

Il regolamento (UE) n. 648/2012 sugli strumenti derivati OTC (over the counter, ossia fuori dai mercati regolamentati), le controparti centrali e i repertori di dati sulle negoziazioni (trade repository), cd. regolamento EMIR, identifica le seguenti categorie di soggetti:

- controparti finanziarie, la cui tassonomia viene indicata dal regolamento stesso;

- controparti non finanziarie, definite come tutte le imprese stabilite nell’Unione, diverse dalle controparti finanziarie e dalle controparti centrali;

- controparti non finanziarie qualificate, che corrispondono al genere più esteso delle controparti non finanziarie, ma se ne differenziano poiché il valore nozionale lordo del portafoglio di strumenti derivati per i quali non sia oggettivamente misurabile la capacità di ridurre i rischi direttamente legati all’attività commerciale o di finanziamento di tesoreria dalle stesse detenuto supera determinate soglie, distinte per categoria di strumento derivato.

Gli obblighi che discendono dal regolamento EMIR si applicano in funzione dell’appartenenza del soggetto ad una delle categorie sopra indicate.

In particolare. le controparti finanziarie sono sottoposte:

- all’obbligo di clearing, che consiste nel sottoporre a compensazione mediante controparte centrale i contratti derivati negoziati OTC che appartengano ad una classe di derivati che sia stata dichiarata soggetta all’obbligo;

- all’obbligo di applicare tutte le tecniche di mitigazione del rischio previste dal regolamento EMIR con riferimento ai contratti non sottoposti a compensazione mediante controparte centrale.

Le controparti non finanziarie sono sottoposte:

- all’obbligo di verifica che il valore del portafoglio di strumenti derivati OTC non superi la soglia di compensazione;

- all’obbligo di applicare talune tecniche di mitigazione del rischio con riferimento ai contratti non sottoposti a compensazione mediante controparte centrale.

Le controparti non finanziarie qualificate sono sottoposte:

- all’obbligo di notificare alla CONSOB e all’ESMA l’avvenuto superamento e l’eventuale ritorno nei limiti delle soglie;

- all’obbligo di clearing, per i contratti interessati dall’obbligo e conclusi successivamente al superamento delle soglie;

-  all’obbligo di applicare tutte le tecniche di mitigazione del rischio previste da EMIR con riferimento ai contratti non sottoposti a compensazione mediante controparte centrale.

L’EMIR introduce anche l’obbligo di reporting dei contratti derivati ad una trade repository autorizzata o riconosciuta dall’ESMA, che si applica alle controparti centrali ed ai soggetti appartenenti ad ognuna delle suddette categorie.

Alle norme EMIR è stata data attuazione con il regolamento di esecuzione UE n. 1247/2012 e con i regolamenti delegati (UE) nn. 148/2013, 149/2013 e 151/2013;

 

Il regolamento 909/2014, cd. CSD, si inserisce nel quadro delle iniziative UE in materia di infrastrutture di mercato, introducendo requisiti uniformi in materia di autorizzazione ed organizzazione, gestione dei rischi e vigilanza dei depositari centrali di titoli. Per depositario centrale di titoli si intende la persona giuridica che opera un sistema di regolamento titoli (cd. servizio di regolamento) e fornisce almeno un altro servizio di base quale la registrazione iniziale dei titoli in un sistema di scritture contabili (cd. servizio di notariato) o la fornitura e mantenimento dei conti titoli al livello più elevato (servizio di gestione accentrata).

Esso prevede che i soggetti già operanti ai sensi degli ordinamenti nazionali quali depositari centrali di titoli presentino istanza di autorizzazione entro 6 mesi dall’entrata in vigore di alcuni standard tecnici.  Il regolamento prevede che, fatte salve le funzioni di “oversight” dei membri del Sistema europeo delle banche centrali, un CSD sia autorizzato e vigilato dall’autorità competente del proprio Stato membro d’origine, che ciascuno Stato membro è tenuto a designare, informandone l’ESMA.

Sulla falsariga di quanto stabilito dal regolamento EMIR, si richiede che, ove uno Stato membro designi più di un’autorità competente, siano specificati chiaramente i rispettivi ruoli e una sola autorità sia designata come responsabile della cooperazione con le autorità competenti degli altri Stati membri e le altre autorità di cui il regolamento prevede il coinvolgimento a diverso titolo (articolo 11). L’ESMA pubblica sul suo sito Internet l’elenco delle autorità competenti designate; alle autorità competenti sono conferiti i poteri di vigilanza e di indagine necessari per l’esercizio delle loro funzioni.

 

Le vigenti disposizioni in materia (articolo 69 e seguenti del Testo Unico Finanziario – TUF, di cui al D.lgs. n. 58 del 1998) prevedono che la Banca d’Italia disciplini, d’intesa con la CONSOB, il funzionamento dei servizi di liquidazione delle operazioni aventi a oggetto strumenti finanziari non derivati e ne autorizzi la gestione, sempre d’intesa con la CONSOB. La CONSOB dispone, inoltre, di competenze dirette sul depositario centrale (da esercitarsi d’intesa con Banca d’Italia), in quanto autorizza l’esercizio dell’attività di gestione accentrata e ne disciplina con regolamento l’attività. La vigilanza sul sistema di liquidazione e sul sistema di gestione accentrata è esercitata dalla CONSOB (articolo 82 TUF), al fine di assicurare la trasparenza e la tutela degli investitori, e dalla Banca d’Italia, avendo riguardo alla stabilità e al contenimento del rischio sistemico.

 

In estrema sintesi, la direttiva 98/26/CE sul carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e di regolamento titoli, più volte modificata nel tempo, contiene disposizioni volte a ridurre il rischio sistemico associato alla partecipazione ai sistemi di regolamento di pagamenti e di titoli, con particolare riferimento al rischio di insolvenza dei partecipanti a tale sistema. Le norme trovano applicazione al regolamento di pagamenti e di titoli, a a ciascun partecipante in tali sistemi, nonché alle garanzie collaterali fornite per la partecipazione ai sistemi di regolamento, ovvero alle operazioni delle banche centrali degli Stati membri nell’esercizio delle proprie funzioni.

Al riguardo, è necessario segnalare che la direttiva 98/26/CE, così come la direttiva 2009/44/CE e la direttiva 2010/78/UE che la hanno successivamente modificata, sono state oggetto di recepimento, rispettivamente, attraverso il decreto legislativo 12 aprile 2001, n. 210, il decreto legislativo 24 marzo 2011, n. 48 e il decreto legislativo 30 luglio 2012, n. 130.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame delega il Governo ad emanare, entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge in commento, uno o più decreti legislativi al fine di:

·        adeguare il vigente quadro normativo interno a seguito dell'entrata in vigore del regolamento (UE) n. 909/2014;

·        completare l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 648/2012;

·        dare attuazione alla direttiva 98/26/CE, come modificata dai citati regolamenti (UE) n. 648/2012 e n. 909/2014.

 

Nell'esercizio della delega il Governo è tenuto a seguire, oltre ai principi e criteri direttivi generali del disegno di legge - di cui all'articolo 1, comma 1 - anche ulteriori principi e criteri specifici, indicati alle lettere da a) a g) del comma 1 del presente articolo.

In particolare, con la lettera a) del comma 1 il Governo è delegato ad apportare al Testo Unico finanziario - TUF, di cui al D.lgs. n. 58 del 1998, le integrazioni necessarie per dare attuazione alle disposizioni del regolamento n. 909/2014 che richiedono un intervento normativo da parte degli Stati membri e a provvedere, ove necessario, ad abrogare le norme dell'ordinamento nazionale riguardanti gli istituti disciplinati dal regolamento citato.

 

La lettera b) fissa, quali principi e criteri di delega, la designazione della CONSOB e della Banca d'Italia quali autorità competenti ai sensi dell'articolo 11 del regolamento (esso, come già menzionato in precedenza, stabilisce che, se uno Stato membro designa più di un’autorità competente, ne deve specificare chiaramente i rispettivi ruoli e designare una sola di esse come responsabile della cooperazione con le autorità competenti degli altri Stati membri e le altre autorità rilevanti a diverso titolo). Alla CONSOB e alla Banca d'Italia sono attribuiti i poteri di vigilanza e d'indagine necessari per l'esercizio delle loro funzioni. In particolare, la norma di delega individua la CONSOB quale autorità responsabile della cooperazione, nonché quale autorità competente a ricevere la domanda di autorizzazione da parte del depositario centrale di titoli e a comunicare al soggetto richiedente, a seguito degli opportuni coordinamenti con la Banca d'Italia, il relativo esito.

 

Con le lettere da c) ad e) del comma 1 si introducono nel TUF le sanzioni per le violazioni delle previsioni del regolamento n. 909/2014.

In particolare, la lettera c) prescrive che, sulla base di quanto previsto nel titolo V (regime sanzionatorio) del predetto regolamento, il TUF venga modificato e integrato affinché la Banca d'Italia e la CONSOB, secondo le rispettive competenze, possano imporre le sanzioni e le altre misure amministrative previste dal regolamento, in misura efficace, proporzionata e dissuasiva.

In particolare, le misure amministrative menzionate sono quelle previste dall'articolo 63 del regolamento (UE) n. 909/2014 (tra cui una dichiarazione pubblica indicante il soggetto responsabile della violazione e la natura della violazione, la revoca delle autorizzazioni concesse all’esercizio dell’attività e l’interdizione temporanea, o permanente in caso di violazioni gravi reiterate, dall’esercizio di funzioni di gestione in seno all’ente a carico dei membri dell’organo di amministrazione dell’ente stesso o di altre persone fisiche considerati responsabili).

La norma chiarisce che occorre garantire, nello stabilire il tipo e il livello delle sanzioni e delle altre misure amministrative, che si tenga conto di tutte le circostanze pertinenti, nel rispetto dei limiti edittali indicati dalle norme europee (articoli 63 e 64 del regolamento n. 909/2014).

 

La lettera d) del comma 1 statuisce che, nell'esercizio della delega, il Governo consenta la pubblicazione delle decisioni che impongono sanzioni o altre misure amministrative, nei limiti e secondo le previsioni del regolamento (in particolare dell'articolo 62 del regolamento (UE) n. 909/2014); esso deve assicurare che le decisioni e le misure adottate a norma del regolamento siano adeguatamente motivate e soggette al diritto di ricorso giurisdizionale, secondo quanto previsto dal medesimo regolamento (articolo 66 sul diritto al ricorso).

 

Ai sensi dell’articolo 63, per le violazioni sopra ricordate, sono previste:

·        sanzioni amministrative pecuniarie massime pari almeno al doppio dell'ammontare dei profitti ricavati grazie alla violazione, se possono essere determinati;

·        nel caso di una persona fisica, sanzioni amministrative pecuniarie massime pari almeno a 5 milioni di EUR o, negli Stati membri la cui moneta non è l'euro, il corrispondente valore in valuta nazionale alla data di adozione del presente regolamento;

·        nel caso di una persona giuridica, sanzioni amministrative pecuniarie massime di almeno 20 milioni di EUR o fino al 10% del reddito complessivo annuo della persona giuridica secondo gli ultimi conti disponibili approvati dall'organo di amministrazione.

Le autorità competenti possono comunque disporre di altri poteri sanzionatori e possono prevedere sanzioni amministrative pecuniarie di importo più elevato di quello sopra illustrato.

 

Ai sensi dell’articolo 64, gli Stati membri assicurano che, nello stabilire il tipo e il livello di sanzione o misura amministrativa, le autorità competenti tengano conto di tutte le circostanze pertinenti, tra cui, ove appropriato:

a)  la gravità e la durata della violazione;

b)  il grado di responsabilità del soggetto responsabile della violazione;

c)  la capacità finanziaria del soggetto responsabile della violazione;

d)  l'ammontare dei profitti realizzati e delle perdite evitate da parte del soggetto responsabile della violazione o l'ammontare delle perdite subite da terzi in conseguenza della violazione;

e)  il livello di cooperazione che il soggetto responsabile della violazione ha dimostrato nei confronti dell'autorità competente, ferma restando la necessità di garantire la restituzione dei profitti realizzati o delle perdite evitate da tale soggetto;

f)  precedenti violazioni da parte del soggetto responsabile della violazione.

 

Con la lettera e) del comma 1 si prevede che la disciplina dei meccanismi di segnalazione delle violazioni sia definita secondo quanto previsto dall'articolo 65 del regolamento CSD, ai sensi del quale gli Stati membri assicurano che le autorità competenti istituiscano meccanismi efficaci per incoraggiare la segnalazione di reali o possibili violazioni del regolamento ed enumerano il contenuto minimo di tali meccanismi (tra i quali si ricorda il whistleblowing, cioè la segnalazione da parte dei dipendenti).

 

Le indicazioni della lettera f) intendono assicurare un intervento sulle altre disposizioni vigenti interessate dalle previsioni del regolamento con particolare riferimento alle infrastrutture di post trading, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell'investitore, di tutela della stabilità finanziaria e dell'integrità dei mercati finanziari.

 

Si tratta delle infrastrutture di post-negoziazione che, ai sensi del considerando 1 del regolamento, tutelano i mercati finanziari e garantiscono ai partecipanti al mercato che le operazioni su titoli siano eseguite correttamente e tempestivamente anche in periodi di forte stress.

 

Da ultimo, la lettera g) fissa i principi e criteri specifici di delega per la trasposizione nell’ordinamento interno delle modifiche apportate alla direttiva 98/26/CE dall'articolo 87 del regolamento (UE) n. 648/2012 e dall'articolo 70 del regolamento (UE) n. 909/2014.

Le modifiche apportate dall’articolo 87 del regolamento n. 648 del 2012 hanno precisato che, se l'operatore di un sistema ha fornito una garanzia all'operatore di un altro sistema in relazione a un sistema interoperabile, i diritti dell'operatore del sistema che ha fornito la garanzia - in relazione alla garanzia fornita - non sono pregiudicati da procedure di insolvenza avviate nei confronti dell'operatore del sistema che ha ricevuto le garanzie. E’ previsto l’obbligo per i Paesi membri di adottare e pubblicare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle norme così introdotte entro il 17 agosto 2014 e di informarne immediatamente la Commissione.

Le norme di delega chiariscono che il recepimento di tale modifica avviene anche, se opportuno, attraverso l'introduzione di deroghe alla disciplina fallimentare.

 

Le modifiche apportate dall’articolo 70 del regolamento n. 909 del 2014 intervengono sulla definizione di "sistema", al fine di chiarire che si intende per tale - tra le altre ipotesi - un accordo formale designato, fatti salvi altri requisiti più rigorosi di applicazione generale imposti dal diritto nazionale, come sistema e notificato all’autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dallo Stato membro di cui si applica la legge, dopo che lo Stato membro stesso ne abbia accertato la conformità alle regole dello stesso. Il regolamento ha inoltre chiarito che entro il 18 marzo 2015, gli Stati membri devono adottare, pubblicare e comunicare alla Commissione le misure necessarie per conformarsi a tale definizione di “sistema”.

 

Più in generale, la lettera g) contiene una delega a rivalutare la complessiva attuazione della direttiva 98/26/CE, in particolare con riferimento alle previsioni relative all'irrevocabilità ed opponibilità degli ordini di trasferimento immessi in un sistema e dell'eventuale compensazione e regolamento degli stessi, apportando le modifiche necessarie, anche alla luce della disciplina di attuazione adottata dagli altri Stati membri e in considerazione delle caratteristiche del mutato panorama europeo dei servizi di post trading. Il Governo ove necessario, è altresì delegato a coordinare la disciplina di attuazione della direttiva 98/26/CE con le norme previste dall'ordinamento interno, incluse quelle adottate in applicazione del regolamento (UE) n. 909/2014 e del regolamento (UE) n. 648/2012.

 

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, in base alla quale dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le Amministrazioni coinvolte debbano provvedere con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 


 

Articolo 13
(
Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1286/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati)

 

 

L'articolo 13 delega il Governo ad adottare norme volte ad adeguare il quadro normativo vigente al regolamento (UE) n. 1286/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo ai documenti informativi di accompagnamento dei prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (Packaged Retail and Insurance-based Investment Products - PRIIPs).

Tra i principi e i criteri direttivi indicati dalla norma di delega vi è l’introduzione di disposizioni che assicurino un appropriato grado di protezione degli investitori al dettaglio. L’IVASS e la CONSOB sono designate, nel rispetto delle competenze di legge, quali autorità competenti in materia di vigilanza sul rispetto delle norme europee; in particolare, si precisa la designazione della CONSOB per quanto riguarda gli aspetti relativi alla tutela degli investitori e alla salvaguardia dell'integrità e dell'ordinato funzionamento dei mercati finanziari.

Alle autorità di vigilanza sono attributi specifici poteri di vigilanza e di indagine, nonché poteri di vigilanza regolamentare. In ordine agli obblighi informativi, la delega richiede che si preveda una notifica ex ante del documento contenente le informazioni chiave sui PRIIPS da parte dell'ideatore o del venditore di tali prodotti alle autorità competenti, per quanto concerne i PRIIPs commercializzati nel territorio italiano.

 

Il regolamento n. 1286/2014

 

Il contenuto del regolamento (UE) n. 1286/2014 definisce packaged retail and insurance-based investment products - PRIIPs i prodotti, indipendentemente dalla loro forma o struttura, ideati dall’industria dei servizi finanziari per offrire opportunità di investimento agli investitori al dettaglio e per i quali l’importo dovuto all’investitore è soggetto a fluttuazioni, a causa dell’esposizione ai valori di riferimento, o soggetto al rendimento di una o più attività che non sono acquistate direttamente dall’investitore al dettaglio (articolo 4 del regolamento). Per tutti questi prodotti, gli investimenti non sono di tipo diretto, ma agiscono attraverso un processo di assemblaggio, consistente nel confezionare le attività in modo da creare prodotti che abbiano esposizioni, caratteristiche o strutture dei costi diverse rispetto ad una detenzione diretta.

Il regolamento stabilisce regole uniformi sul formato e sul contenuto del documento contenente le informazioni chiave (cd. KID - Key Information Document) che deve essere redatto dagli ideatori di tali prodotti PRIIPs, nonché sulla diffusione del documento stesso agli investitori al dettaglio, al fine di consentire a questi ultimi di comprendere e raffrontare le caratteristiche e i rischi chiave dei PRIIPs.

Il regolamento, perseguendo gli obiettivi strumentali del miglioramento della trasparenza dei documenti informativi e della riduzione del grado di disomogeneità tra le normative dei singoli Stati membri UE che, di fatto, determinano asimmetrie nelle condizioni concorrenziali tra i diversi prodotti e canali di distribuzione, intende migliorare il grado di consapevolezza degli investitori e a creare un mercato interno dei servizi e prodotti finanziari. Scopo delle norme è fornire agli investitori al dettaglio le informazioni necessarie per prendere una decisione informata sull'investimento e per confrontare i diversi PRIIPs: a tal fine, nel documento contenente le informazioni chiave devono figurare solo informazioni fondamentali, in particolare per quanto riguarda la natura e le caratteristiche del prodotto, compresi la menzione dell'eventuale possibilità di perdere capitale, i costi e il profilo di rischio del prodotto, le pertinenti informazioni sul rendimento e talune altre informazioni specifiche che possono essere necessarie per comprendere le caratteristiche di tipi specifici di prodotto (articolo 8 del regolamento).

Il documento è fornito già dal soggetto che fornisce consulenza su un PRIIP o che vende tale prodotto; la consegna del documento con le informazioni chiave deve avvenire in tempo utile prima che tali investitori al dettaglio siano vincolati da qualsiasi contratto o offerta relativa al PRIIP (articolo 13), salvo ipotesi specifiche in cui tale documento può essere consegnato in un momento successivo.

Il regolamento UE n. 1286/2014 ha diretta efficacia negli Stati membri a partire dal 31 dicembre 2016.

 

La norma di delega trova tuttavia la sua ratio nella necessità di operare alcuni interventi di adeguamento della normativa nazionale.

Il perimetro della delega è delimitato dai principi e criteri direttivi generali, di cui all'articolo 1, comma 1, e da quelli specifici indicati all’articolo 13.

In particolare il comma 1, lettera a) stabilisce che il Governo, nell'esercizio della delega per i settori interessati dalla normativa da attuare, modifichi e integri la normativa vigente, anche di derivazione UE, al fine di assicurare la corretta e integrale applicazione del regolamento (UE) n. 1286/2014 e di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione degli investitori al dettaglio.

La lettera b) designa, in relazione alle rispettive competenze, la CONSOB e l'Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS), quali autorità competenti in materia di vigilanza sul rispetto degli obblighi che il predetto regolamento impone agli ideatori di PRIIPs e alle persone che forniscono consulenza sui PRIIPs o vendono tali prodotti. In particolare, si chiarisce che tale designazione vale per la CONSOB, per quanto concerne i prodotti finanziari delle imprese di assicurazione (di cui all'articolo 1, comma 1, lettera w-bis), del TUF, di cui al D.lgs. n. 58 del 1998), nonché sugli altri prodotti menzionati dal regolamento, per quanto riguarda gli aspetti relativi alla tutela degli investitori e alla salvaguardia dell'integrità e dell'ordinato funzionamento dei mercati finanziari, perseguendo l'obiettivo di semplificare, ove possibile, gli oneri per i soggetti vigilati.

La lettera c) stabilisce che alle predette autorità designate siano attributi i poteri di vigilanza e di indagine previsti dal regolamento e il potere di adottare disposizioni di disciplina secondaria, avuto riguardo all'esigenza di semplificare gli oneri per i soggetti vigilati. Il Governo è inoltre tenuto a seguire, nella ripartizione delle competenze, i principi indicati nella citata lettera b), anche con riferimento ai poteri, previsti dall'articolo 17 del regolamento n. 1286/2014, quali quelli di vietare o limitare la commercializzazione, distribuzione o vendita di prodotti di investimento assicurativi o i prodotti di investimento assicurativi con determinate caratteristiche specifiche, o ancora il tipo di attività o prassi finanziaria di un'impresa di assicurazione o di riassicurazione in relazione ai prodotti di investimento assicurativi, all'interno del suo Stato membro o a partire dallo stesso.

La lettera d) prescrive che il documento contenente le informazioni chiave sia notificato ex ante dall'ideatore di PRIIP o dalla persona che vende un PRIIP all'autorità competente per i PRIIPs commercializzati nel territorio italiano.

La lettera e) infine stabilisce che nell'ordinamento nazionale siano introdotte le sanzioni amministrative e le altre misure previste dal regolamento in esame per le violazioni degli obblighi contenuti nel regolamento stesso, in base ai criteri e nei limiti ivi previsti, e avuto riguardo alla ripartizione di competenze tra autorità di vigilanza, di cui alla lettera b).

 

 


Articolo 14
(
Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati)

 

 

L'articolo 14 reca i principi e criteri direttivi specifici per l'esercizio della delega volta all'attuazione nell'ordinamento nazionale della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014 (che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati), che si aggiungono a quelli generali previsti dall'articolo 1, comma 1, del disegno di legge in esame (in quanto la direttiva è inclusa nell’allegato B del disegno di legge), e che sono finalizzati a recepire gli obiettivi perseguiti dalla nuova direttiva, enunciati nei considerando della stessa.

 

L’articolo 14 del disegno di legge in esame reca i seguenti principi e criteri direttivi specifici:

§  la lettera a) pone i principi di semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di VIA, anche in relazione al coordinamento e all’integrazione con altre procedure volte al rilascio di pareri e autorizzazioni a carattere ambientale;

Il principio di delega di cui alla lettera a) intende dare attuazione all'obiettivo di semplificazione e di non duplicazione dei procedimenti autorizzatori sottolineato nel 6° e nel 37° considerando della direttiva.

Si ricorda, inoltre, che l’art. 26, comma 4, del d.lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell'ambiente) dispone che il provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l'esercizio dell'opera o dell'impianto. Occorre altresì ricordare l’art. 4, comma 2, del medesimo decreto, secondo cui il decreto legislativo n. 152 individua, nell'ambito della procedura di valutazione dell'impatto ambientale, modalità di semplificazione e coordinamento delle procedure autorizzative in campo ambientale, ivi comprese le procedure di AIA (autorizzazione integrata ambientale).

§  la lettera b) indica il criterio del rafforzamento della qualità della procedura di VIA, allineando tale procedura ai princìpi della regolamentazione intelligente (smart regulation), e della coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionali;

Tale criterio riprende quanto sottolineato nel 3° considerando della direttiva, ove viene sottolineata la necessità di rafforzare la qualità della procedura di valutazione d'impatto ambientale, allineare tale procedura ai principi della regolamentazione intelligente (smart regulation) e rafforzare la coerenza e le sinergie con altre normative e politiche dell'Unione, come anche con le strategie e le politiche definite dagli Stati membri in settori di competenza nazionale. Tale obiettivo viene declinato nell’articolato della direttiva, in particolare con l’introduzione della definizione di “valutazione dell’impatto ambientale” (della quale vengono indicati tutti i passaggi dell’iter procedurale, dalla preparazione del rapporto ambientale da parte del committente alla conclusione motivata dell’autorità competente) e dell’allegato II A, che contiene un elenco dettagliato delle informazioni da fornire per i progetti elencati nell’allegato II.

§  la lettera c) prevede la revisione e la razionalizzazione del sistema sanzionatorio da adottare ai sensi della direttiva 2014/52/UE, al fine di definire sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive e di consentire una maggiore efficacia nella prevenzione delle violazioni;

In proposito si ricorda che il 38° considerando sottolinea che gli Stati membri dovrebbero determinare le regole per le sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate ai sensi della presente direttiva e che le sanzioni dovrebbero essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Tali principi sono riprodotti nell’articolo 10-bis che la direttiva 2014/52/UE introduce nel testo della precedente direttiva.

Si ricorda, altresì, che l’art. 29 del d.lgs. 152/2006 prevede già specifiche azioni sanzionatorie da parte dell’autorità competente nel caso di inadempienze da parte del committente. In particolare, i casi affrontati dall’art. 29 riguardano:

§   violazioni delle prescrizioni impartite o modifiche progettuali tali da incidere sugli esiti e sulle risultanze finali delle fasi di verifica di assoggettabilità e di valutazione. In tal caso (ai sensi del comma 3), l'autorità competente, previa eventuale sospensione dei lavori, impone al proponente l'adeguamento dell'opera/intervento e, qualora non adempia, provvede d'ufficio a spese dell'inadempiente;

§   opere ed interventi realizzati senza la previa sottoposizione alle fasi di verifica di assoggettabilità o di valutazione, nonché nel caso di difformità sostanziali da quanto disposto dai provvedimenti finali. In tal caso, il comma 4 prevede che l'autorità competente, valutata l'entità del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente alla applicazione della sanzione, disponga la sospensione dei lavori e possa disporre la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile. In caso di inottemperanza, l'autorità competente provvede d'ufficio a spese dell'inadempiente.

In base al comma 6 dell’art. 29, resta in ogni caso salva l'applicazione di sanzioni previste dalle norme vigenti.

§  la lettera d) disciplina il criterio della destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative per finalità connesse al potenziamento delle attività di vigilanza, prevenzione e monitoraggio ambientale, alla verifica del rispetto delle condizioni previste nel procedimento di VIA, nonché alla protezione sanitaria della popolazione in caso di incidenti o calamità naturali, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. La lettera d) è stata modificata nel corso dell’esame al Senato, ove è stato introdotto, accanto al potenziamento dell’attività di monitoraggio, anche quello delle attività di vigilanza e prevenzione. E’ stato inoltre chiarito che l’attività di controllo deve essere finalizzata a verificare il rispetto delle condizioni poste non solo nel provvedimento finale di VIA, ma di quelle emerse complessivamente nel corso del procedimento. Il Senato ha altresì aggiunto, alle finalità citate cui destinare i proventi, la protezione sanitaria della popolazione in caso di incidenti o calamità naturali.

Con riferimento a tale ultima modifica, si ricorda che una delle novità apportate dalla nuova direttiva 2014/52/UE riguarda proprio l’inserimento della popolazione e della salute umana (in luogo di un generico riferimento all’“uomo”) e del territorio nell’elenco dei fattori oggetto di impatto, nonché del nuovo paragrafo 2 dell’art. 3 della direttiva 2011/92/UE secondo cui fra gli effetti che la VIA deve valutare sui fattori considerati rientrano gli effetti previsti derivanti dalla vulnerabilità del progetto a rischi di gravi incidenti e/o calamità che sono pertinenti al progetto in questione.

 

Il contenuto della direttiva 2014/52/UE

 

La direttiva 2014/52/UE reca modifiche alla direttiva 2011/92/UE in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA).

Come sottolineato nell’analisi svolta dall’ISPRA, “nel complesso, l’approccio della direttiva 2014/52/UE risulta più tecnico rispetto alle indicazioni contenute nella precedente direttiva e punta a rendere la Valutazione di Impatto Ambientale una procedura più chiara, in coerenza e sinergia con altre normative UE e con nuovi temi quali biodiversità, cambiamento climatico, uso sostenibile del suolo, vulnerabilità e resilienza a incidenti e calamità naturali. Risulta inoltre specificamente rivolto agli aspetti procedurali mirando a semplificare le regole amministrative già esistenti, in linea con l’orientamento UE verso una smart regulation, con maggiore trasparenza e coinvolgimento dell’opinione pubblica e con il rafforzamento della qualità delle informazioni”, in linea con le finalità che la stessa direttiva pone nelle proprie premesse.

L’articolo 1 reca le modifiche (integrazioni, sostituzioni, soppressioni) ai primi dodici articoli della direttiva 2011/92/UE.

L’articolo 2 disciplina le modalità del recepimento della direttiva da parte degli Stati membri, che dovrà avvenire entro il 16 maggio 2017.

L’articolo 3 reca disposizioni transitorie, fornendo indicazioni in merito ai progetti il cui iter decisionale è stato avviato prima del 16 maggio 2017, per i quali si applicano le disposizioni previgenti.

Gli articoli 4 e 5 disciplinano l’entrata in vigore della direttiva e i destinatari della stessa, cioè gli Stati membri.

La direttiva inoltre introduce nel testo della direttiva 2011/92 un nuovo allegato II A relativo alle informazioni che devono essere fornite da parte del committente per i progetti sottoposti a screening, cioè quei progetti (elencati nell’allegato II della direttiva 2011/92/UE, che non viene modificato dalla nuova direttiva) per i quali gli Stati membri devono valutarne la sottoposizione a VIA.

Vengono inoltre sostituiti:

§  l’allegato III, relativo ai criteri intesi a stabilire se i progetti assoggettati a screening debbano essere sottoposti a VIA;

§  e l’allegato IV, relativo alle informazioni per il rapporto di valutazione dell'impatto ambientale, indicato con l’acronimo SIA (Studio di Impatto Ambientale) nella normativa italiana (parte seconda del d.lgs. 152/2006).

 

Resta invariato il campo di applicazione della direttiva 2011/92/UE: non vengono infatti modificati né l’allegato I (che elenca i progetti da sottoporre a VIA) né l’allegato II (che elenca i progetti da sottoporre a screening di VIA).

Tra le principali novità apportate dall’articolo 1 della direttiva 2014/52/UE (per un esame della quale si rinvia anche all’analisi svolta dall’ISPRA) occorre innanzitutto segnalare l’inserimento della nuova definizione di "valutazione dell'impatto ambientale" quale processo comprendente:

§  la preparazione di un rapporto di valutazione dell'impatto ambientale da parte del committente;

§  lo svolgimento di consultazioni con le autorità che possono essere interessate al progetto, per la loro specifica responsabilità in materia di ambiente o in virtù delle loro competenze locali o regionali;

§  l'esame da parte delle autorità competenti delle informazioni presentate nel rapporto e ogni altra informazione resa disponibile dal committente o acquisita nel corso delle consultazioni;

§  la conclusione motivata dell'autorità competente in merito agli effetti significativi del progetto sull'ambiente, nonché l'integrazione di tale conclusione motivata nelle decisioni di concedere l'autorizzazione che conferisce al committente il diritto di realizzare il progetto stesso.

Un’altra importante novità risiede nella riscrittura del paragrafo 3 dell’art. 1 della direttiva 2011/92/UE, che già prevedeva la possibilità di escludere dalla VIA i progetti destinati a scopi di difesa nazionale, al fine di consentire, in aggiunta, anche l’esclusione dalla disciplina di VIA per i progetti aventi quali unico obiettivo la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile.

La modifica all'articolo 2 della direttiva 2011/92/UE è volta a introdurre ulteriori norme di semplificazione e armonizzazione delle procedure: nei casi in cui l'obbligo di effettuare la VIA derivi dalle disposizioni di più atti normativi dell'Unione, gli Stati membri possono infatti stabilire forme di coordinamento tra le procedure nonché procedure comuni. Sono inoltre previsti ulteriori casi di deroghe alle regole fissate dalla direttiva quando si ravvisi il rischio di compromettere le finalità dei progetti. In tali casi, si richiede comunque che siano rispettate le finalità della direttiva.

La nuova direttiva inserisce inoltre, all’art. 2 della direttiva 2011/92/UE, un nuovo paragrafo 5 che consente agli Stati membri di non applicare le disposizioni previste dalla direttiva VIA in materia di consultazione pubblica, per i progetti adottati mediante un atto legislativo nazionale specifico, a condizione che siano rispettati gli obiettivi della direttiva stessa.

Le modifiche apportate dalla nuova direttiva all’art. 3 della direttiva 2011/92/UE riguardano i fattori per i quali devono essere valutati gli impatti, con la sostituzione del riferimento a “popolazione e salute umana” in luogo del generico riferimento all”“uomo”, l'aggiunta della “biodiversità” (con particolare attenzione alle specie e agli habitat protetti in virtù della direttiva n. 92/43/CEE e della direttiva 2009/147/CE) e del “territorio”. E’ stato altresì specificato che fra gli effetti da considerare vi sono anche “gli effetti previsti derivanti dalla vulnerabilità del progetto a rischi di gravi incidenti e/o calamità che sono pertinenti al progetto in questione“.

Rilevante è altresì l’intervento che modifica la procedura di screening. Con una serie di modifiche all'articolo 4 vengono ulteriormente definiti alcuni criteri per la verifica di assoggettabilità alla VIA (c.d. screening), anche attraverso l'introduzione dell'allegato II.A, relativo alle informazioni che devono essere fornite da parte del committente e alla sostituzione dell'allegato III, concernente i criteri intesi a stabilire se i progetti debbano essere o meno sottoposti a VIA.

Sono inoltre dettate (nel nuovo testo dell’art. 4 della direttiva 2011/92/UE) nuove disposizioni relative alla pubblicità, ai contenuti e ai termini temporali delle determinazioni delle autorità competenti in merito allo screening.

Ulteriori modifiche apportate dalla nuova direttiva riguardano il rapporto preliminare del committente (disciplinato dall'articolo 5 della direttiva 2011/92/UE) e le modalità di consultazione dei soggetti interessati (disciplinate dall'articolo 6). Le modifiche apportate all’art. 6 introducono ulteriori disposizioni in materia di partecipazione al procedimento del pubblico e di tutti gli enti interessati - per le loro responsabilità in materia ambientale ovvero per le competenze locali o regionali - stabilendo anche termini temporali per rendere tale partecipazione effettiva (ad esempio vi si prevede che i tempi di consultazione del pubblico interessato non possano essere inferiori a 30 giorni). Le informazioni devono essere tempestive e rese disponibili anche in formato elettronico (la nuova direttiva fa riferimento ad “un portale centrale o punti di accesso facilmente accessibili”), oltre che mediante pubblicazione sulla stampa o mediante il lancio di pubbliche consultazioni. Forme di consultazione sono previste anche dall'articolo 7 in relazione ai progetti di carattere transfrontaliero: a tal fine vi si prevede l'individuazione di organismi comuni appropriati. Dei risultati delle consultazioni e delle informazioni raccolte si deve tenere "debitamente" conto nel corso delle procedure di autorizzazione (art. 8).

Il nuovo articolo 8-bis fissa i contenuti necessari della decisione di concedere l'autorizzazione: la conclusione motivata dell'autorità competente, le eventuali condizioni ambientali di cui è corredata la decisione, la descrizione delle principali caratteristiche del progetto, le misure per fronteggiare gli effetti negativi sull'ambiente e le misure di monitoraggio. La decisione di diniego dell'autorizzazione deve indicare le principali motivazioni del rifiuto. La decisione deve essere adottata "entro un periodo di tempo ragionevole". Gli Stati membri sono inoltre chiamati a definire le misure di monitoraggio; al fine di evitare inutili duplicazioni si può ricorrere a meccanismi di controllo previsti da altri atti normativi dell'Unione europea diversi dalla direttiva in commento. Le novelle all'articolo 9 intendono ulteriormente specificare i doveri informativi nei confronti del pubblico e di tutte le autorità nazionali interessate circa gli esiti e i contenuti delle decisioni prese.

Il nuovo articolo 9-bis stabilisce che gli Stati membri debbano evitare situazioni di conflitto di interesse tra le autorità competenti e il committente.

Il nuovo articolo 10-bis stabilisce che le sanzioni in caso di violazione siano effettive, proporzionate e dissuasive.

Le modifiche all'articolo 12 della direttiva 2011/92/UE stabiliscono più stringenti doveri informativi degli Stati membri nei confronti della Commissione in ordine al numero dei progetti sottoposti a VIA, alla durata e ai costi medi delle procedure. Tali informazioni devono essere rese ogni 6 anni a decorrere dal 16 maggio 2017 (termine per il recepimento della direttiva in esame).

Procedure di contenzioso

Si segnala che, con riferimento alle procedure di valutazione di impatto ambientale, è attualmente in corso la procedura di infrazione n. 2009_2086 per il non corretto recepimento della direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalle direttive 97/11/CE, 2003/35/CE e 2009/31/UE.

In particolare, il 28 marzo 2014, la Commissione ha emesso nei confronti dell’Italia un parere motivato ritenendo non coerenti con la normativa europea alcune disposizioni contenute nella parte seconda del D.Lgs n. 152/2006 (Codice dell’ambiente), come modificato dal D.Lgs 4/2008.

La procedura di infrazione n. 2009/2086, era stata avviata il 14 aprile 2009 con l’invio all’Italia di una lettera di messa in mora, che considerava non correttamente recepite le disposizioni relative alla disciplina del c.d. screening o verifica di assoggettabilità a VIA come definita dall’articolo 4, paragrafi da 1 a 3 della direttiva, in combinato con gli allegati I e II (elenco dei progetti cui si applica la direttiva) e III (criteri di selezione dei progetti cui si applica la procedura di screening)[7]. Successivamente, il 27 febbraio 2012, la Commissione aveva inviato all’Italia una lettera di messa in mora complementare.

In conformità alla giurisprudenza della Corte, la procedura di infrazione continua il suo corso anche se le direttive di cui la Commissione contestava la violazione sono state abrogate, successivamente all’avvio della medesima procedura, dalla direttiva 2011/92/UE, in quanto quest’ultima reca i medesimi obblighi da parte degli Stati membri.

I rilievi contenuti nel parere motivato del 28 marzo 2014 riguardano i seguenti punti:

·     il decreto legislativo n. 152/2006 dà una definizione di “progetto” che, a differenza della definizione data dalla direttiva (articolo 1, par. 2, lett. a), non consente di sapere quali progetti debbano essere sottoposti alla VIA, sollevando, in tal modo, potenziali questioni di certezza del diritto;

·     le disposizioni relative alla disciplina del c.d. screening o verifica di assoggettabilità a VIA, come definita dall’articolo 4, paragrafi da 1 a 3 della direttiva, in combinato con gli allegati I e II (elenco dei progetti cui si applica la direttiva) e III (criteri di selezione dei progetti cui si applica la procedura di screening), non risultano correttamente recepite dal momento che la legislazione italiana (allegati II, III, o IV del D.Lgs 152/2006 modificato) fissa, per i progetti cui si applica la direttiva, elencati all’allegato II, soglie dimensionali al di sotto delle quali si presume che i progetti siano tali da non avere in nessun caso impatti notevoli sull’ambiente.

Richiamando una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia europea, la Commissione sottolinea, al contrario, come gli Stati membri, anche nel caso in cui decidano di stabilire soglie per facilitare la determinazione dei progetti da assoggettare a VIA, hanno l’obbligo di prendere in considerazione tutti i criteri elencati nell’allegato III della direttiva (art 4, par. 3 della direttiva), che dunque non possono considerarsi automaticamente assorbiti dalla fissazione di soglie, determinate, peraltro, tenendo conto prevalentemente di soli criteri di tipo dimensionale. In particolare, la Commissione ribadisce che uno Stato membro il quale, sulla base dell’articolo 4(2) della direttiva, stabilisce soglie e/o criteri che tengono conto solo della dimensione dei progetti, senza prendere in considerazione gli altri criteri elencati nell’allegato III della direttiva, eccede i limiti della discrezionalità di cui dispone ai sensi degli articolo 2(1) e 4(2) della direttiva stessa;

·     sulla base dell’articolo 6, comma 9, del decreto legislativo n. 152/2006, le regioni possono, da un lato, definire una variazione, in diminuzione o in aumento, delle soglie per la verifica di assoggettabilità alla VIA di determinate tipologie progettuali o aree predeterminate e, dall’altro, determinare, anche per particolari situazioni ambientali e territoriali, criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità. Ad avviso della Commissione, pur trattandosi di una possibilità e non di un obbligo, vi è la possibilità che si escluda dalla VIA un maggior numero di progetti rispetto a quelli esclusi applicando le soglie nazionali. Come precisato anche dalla Corte di giustizia, uno Stato membro che stabilisce soglie o criteri ad un livello che permetta, in pratica, di escludere a priori tutti i progetti rientranti in una certa tipologia dall’obbligo di effettuare la VIA eccede i limiti della discrezionalità, pure contemplata dalla direttiva;

·     la normativa italiana non fornisce una corretta trasposizione delle disposizioni relative alla consultazione del pubblico (in particolare, l’articolo 6, par. 2, lett. b ed f). Infatti, il decreto legislativo n. 152/2006 non prevede né che il progetto sia assoggettato alla VIA né che il pubblico sia informato delle eventuali procedure di consultazione transfrontaliere. Inoltre esso risulta carente nell’enumerazione delle informazioni che possono essere messe a disposizione del pubblico, indicate nella direttiva;

·     la non conforme trasposizione degli allegati I e II (che elencano le categorie di progetti a cui la direttiva si applica) comporta, ad avviso della Commissione, un’indebita restrizione del campo di applicazione della direttiva (escludendo, ad esempio, le strade urbane, i siti di stoccaggio di biossido di carbonio, di residui radioattivi, i progetti di opere di canalizzazione e di regolazione dei corsi d’acqua che non incidono sul regime delle acque, i depositi di fanghi derivanti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane).

Con il parere motivato, la Commissione riprende un ulteriore profilo di non conformità della normativa italiana con la direttiva (punto 10, lettera f, dell’Allegato II), inizialmente sollevato nella lettera di messa in mora complementare inviata all’Italia il 21.11.2013, nell’ambito della procedura di infrazione n. 2013/2170, relativa ai lavori di disostruzione dell'alveo del fiume Piave. Tale ultima procedura viene di fatto assorbita e trattata come CTS (cas traité sous) nell’ambito della procedura di infrazione n. 2009/2086.

 

 


 

Articolo 15
(
Criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2013/51/Euratom del Consiglio, del 22 ottobre 2013, che stabilisce requisiti per la tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano)

 

 

L'articolo 15, modificato nel corso dell’esame in sede referente, reca due criteri direttivi specifici - che si aggiungono ai principi e criteri direttivi generali, richiamati dall'articolo 1, comma 1, del disegno di legge in esame - per l’attuazione della direttiva 2013/51/Euratom del Consiglio, del 22 ottobre 2013, sui requisiti per la tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano.

 

Il termine per il recepimento della direttiva è il 28 novembre 2015.

 

Il primo criterio direttivo specifico prevede l'introduzione, "ove necessario e in linea con i presupposti della direttiva 2013/51/Euratom", di misure di protezione della popolazione più rigorose rispetto alle norme minime stabilite dalla direttiva stessa, fatto salvo il rispetto della libera circolazione delle merci.

 

Sul punto, si ricorda che l’art. 6 della direttiva specifica che gli Stati membri sono liberi di adottare o mantenere misure di protezione più rigorose, fatta salva la libera circolazione delle merci nel mercato interno.

 

Il secondo criterio direttivo specifico, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, consiste nel prevedere, per alcune tipologie di acque non sottoposte a controllo, un obbligo di informazione. In particolare, le popolazioni interessate dovranno essere informate su:

·     la presenza di acque esentate dai controlli. Ai sensi dell'art. 3 della direttiva 2013/51/Euratom, le acque interessate all’esenzione sono: acque minerali naturali riconosciute come tali (ex art. 3, par. 2, lettera a); acque considerate medicinali ai sensi della direttiva 2001/83/CE (ex art. 3, par. 2, lettera b); acque destinate esclusivamente ad usi per i quali le autorità competenti ritengono che la qualità delle acque non abbia ripercussioni, dirette o indirette, sulla salute della popolazione interessata (ex art. 3, par. 3 , lettera a); acque destinate al consumo umano provenienti da una singola fonte che ne eroghi in media meno di 10 m3 al giorno o che approvvigioni meno di cinquanta persone, escluse le acque fornite nell’ambito di un’attività commerciale o pubblica (ex art. 3, par. 3 , lettera b);

·        il diritto ad ottenere dalle autorità competenti lo svolgimento di verifiche atte a escludere, in concreto, rischi per la salute connessi all'eventuale presenza di sostanze radioattive.

 

Si ricorda che, in base all'art. 3, par. 4, della direttiva 2013/51/Euratom, gli Stati membri che si avvalgono delle esenzioni di cui al paragrafo 3, lettera b), provvedono a che:

-   la popolazione interessata sia informata al riguardo e in ordine a qualsiasi provvedimento eventualmente adottato al fine di tutelare la salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano;

-   allorché si manifesta un pericolo potenziale per la salute umana derivante dalla qualità di tali acque, la popolazione interessata riceva tempestivamente i consigli appropriati.

 

Poiché la direttiva riferisce l’obbligo di informazione soltanto ad una delle tipologie di acque esentate dai controlli, sarebbe opportuno che l’articolo in esame indicasse chiaramente a quali tipologie di acque si riferisce l’obbligo di informazione.

 

Il contenuto della Direttiva 2013/51/Euratom

 

La direttiva 2013/51/Euratom regolamenta l’aspetto radiologico delle acque potabili, e sostituisce le disposizioni in merito della Direttiva 98/83/CE concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano - recepita dal D.Lgs. 31/2001 che attualmente stabilisce il valore dei parametri applicabili al controllo del trizio - integrando anche quelle previste dalla raccomandazione 2001/928/Euratom sulla tutela della popolazione contro l’esposizione al radon nell’acqua potabile.

L’obiettivo generale della direttiva 2013/51/Euratom è quello di assicurare la massima protezione della popolazione in relazione alle sostanze radioattive presenti nell’acqua potabile.

La direttiva si applica alle acque destinate al consumo umano:

• acque utilizzate per uso potabile e per scopi domestici (da rete, cisterne, bottiglie o contenitori);

• acque utilizzate nell’industria alimentare.

E definisce:

- i principi e i criteri per il controllo della radioattività nelle acque destinate al consumo umano;

- i parametri indicatori, i valori di tali parametri, le frequenze e metodi per il monitoraggio della radioattività nelle acque.

Il controllo della radioattività è effettuato con un approccio basato sul rischio, in analogia a quanto contemplato nell’ambito dei WSP (Water Safety Plan).

A differenza dei controlli chimici, chimico-fisici e microbiologici, il monitoraggio continuo della radioattività nelle acque potabili è effettuato in maniera sistematica solo al verificarsi di determinate condizioni.

 


Articolo 16
(
Criterio direttivo per l'attuazione della direttiva 2013/35/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici)

 

 

L’articolo 16 introduce un criterio direttivo specifico (aggiuntivo dei principi e criteri direttivi generali richiamati dall'articolo 1, comma 1) per l'esercizio della delega per il recepimento della Direttiva 2013/35/UE del 26 giugno 2013[8], inerente le disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dai campi elettromagnetici (la direttiva riguarda, in particolare, gli effetti biofisici diretti e gli effetti indiretti noti, provocati a breve termine).

In particolare, il nuovo criterio obbliga l’Italia ad introdurre, ove necessario e in linea con i presupposti della Direttiva medesima, misure di protezione dei lavoratori per i livelli d'azione (LA) e per i valori limiti di esposizione (VLE) più rigorose rispetto alle norme minime previste dalla richiamata Direttiva.

 

Si ricorda che nel nostro ordinamento la protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici è disciplinata dal Titolo VIII, Capo IV (articoli 206-212), del D.Lgs. 81/2008 (in cui sono state mutuate le disposizioni di cui al D.Lgs. 257/2007, di attuazione della direttiva 2004/40/CE, contenente appunto le prescrizioni minime di sicurezza e salute relative all’esposizione dei lavoratori dai rischi derivanti dai campi elettromagnetici), mentre i valori limite all’esposizione sono indicati nell’Allegato XXXVI.

La direttiva 2013/35/UE

La Direttiva 2013/35/UE stabilisce prescrizioni minime di protezione per i lavoratori sottoposti ad esposizione ai campi elettromagnetici e concerne i rischi riguardanti gli effetti biofisici diretti e gli effetti indiretti noti, provocati a breve termine, mentre non si applica per le ipotesi di effetti a lungo termine (articolo 1). Essa abroga la direttiva 2004/40/CE, che si basava sul sistema di valori limite di esposizione e di valori di azione proposto dalla Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni non Ionizzanti (ICNIRP) nel 1998. Si è infatti reso necessario un aggiornamento che tenesse conto dei dati raccolti e forniti dalla stessa Commissione nel 2009 e nel 2010. Inoltre, la necessità di un aggiornamento della direttiva 2004/40/CE è stata determinata anche dalla difficoltà di applicazione della stessa nell'ambito delle pratiche cliniche di risonanza magnetica o in alcune attività industriali.

La direttiva definisce i valori limite di esposizione (VLE), i VLE relativi agli effetti sanitari e i VLE relativi agli effetti sensoriali, nonché i Livelli d'azione (LA) ossia “livelli operativi stabiliti per semplificare il processo di dimostrazione della conformità ai pertinenti VLE o, eventualmente, per prendere le opportune misure di protezione o prevenzione specificate nella presente direttiva” (articolo 2).

Le grandezze fisiche concernenti l’esposizione ai campi elettromagnetici sono indicate nell’Allegato I. I VLE relativi agli effetti sanitari, i VLE relativi agli effetti sensoriali e i LA sono riportati negli allegati II e III. Sono comunque contemplate alcune deroghe (articolo 3). La direttiva, al Capo II, impone al datore di lavoro alcuni obblighi riguardanti la valutazione dei rischi e l'identificazione dell'esposizione, la riduzione dei rischi, l'informazione e la formazione dei lavoratori. In particolare, in occasione della valutazione dei rischi il datore di lavoro dovrà prendere in considerazione una serie di elementi, tra cui: i VLE relativi agli effetti sanitari, i VLE relativi agli effetti sensoriali e i LA; la frequenza, il livello, la durata e il tipo di esposizione; eventuali effetti biofisici diretti ed effetti sulla salute e la sicurezza dei lavoratori esposti a rischi particolari, ad esempio lavoratori con stimolatori cardiaci e lavoratrici incinte, ma non solo; eventuali effetti indiretti; l’esistenza di attrezzature di lavoro alternative; informazioni disponibili relative alle attrezzature e alla sicurezza; esposizione simultanea a campi di frequenza diversa (articolo 4). Il datore di lavoro, nell'adottare misure che garantiscano l'eliminazione o la riduzione al minimo dei rischi derivanti dall'esposizione ai campi elettromagnetici, qualora risultino superati i pertinenti LA, dovrà adottare un programma d'azione che tenga conto, tra l'altro: di altri metodi di lavoro e di altre attrezzature che implicano minore esposizione; di misure appropriate di delimitazione e di accesso alla zona; di opportuni programmi di manutenzione delle attrezzature, dei luoghi e delle postazioni di lavoro, della disponibilità di adeguati dispositivi di protezione individuale. Inoltre, la direttiva specifica che nel caso di comparsa di alcuni sintomi temporanei, quali effetti sensoriali nel funzionamento del sistema nervoso centrale, vertigini e nausea, il datore di lavoro dovrà aggiornare la valutazione dei rischi e le misure di prevenzione (articolo 5). In merito alla formazione e all'informazione dei lavoratori, la direttiva stabilisce che il datore di lavoro dovrà comunicare, tra l'altro, quanto segue: le misure adottate ai sensi della direttiva; l'entità e il significato dei valori VLE e LA; gli effetti indiretti, i risultati della valutazione dei rischi; le modalità per segnalare gli effetti negativi dell'esposizione; i possibili sintomi; le procedure per ridurre al minimo i rischi da esposizione nonché i casi in cui si ha diritto alla sorveglianza sanitaria (articolo 6). Quest'ultima viene predisposta ai fini della prevenzione e della diagnosi precoce di qualunque effetto negativo imputabile all'esposizione ai campi elettromagnetici ed è effettuata a norma dell'articolo 14 della direttiva 89/391/CEE (articolo 8).

La direttiva lascia poi agli Stati membri l'applicazione di sanzioni in caso di violazione della normativa nazionale di recepimento. Le sanzioni dovranno essere effettive, proporzionate e dissuasive (articolo 9).

Al fine di agevolare l’attuazione della direttiva, almeno sei mesi prima del termine fissato per il recepimento, la Commissione europea pubblicherà guide pratiche non vincolanti che dovranno fornire orientamenti e procedure in merito ad alcuni aspetti, tra cui: la determinazione dell’esposizione; gli orientamenti per la dimostrazione della conformità in relazione a tipi particolari di esposizione non uniforme in situazioni specifiche; l’effettuazione della valutazione del rischio e, per quanto possibile, la messa a disposizione di tecniche semplificate, tenendo conto in particolare delle esigenze delle PMI; le misure intese a evitare o ridurre i rischi; la definizione di procedure di lavoro documentate nonché di misure specifiche di informazione e di formazione per i lavoratori esposti a campi elettromagnetici nel corso di attività correlate alla Risonanza magnetica; gli orientamenti sui controlli medici e sulla sorveglianza sanitaria da fornire da parte del datore di lavoro (articolo 14).

 

Merita ricordare che il Senato il 5 dicembre 2011 ha approvato una risoluzione (DOC XVII, n. 108), in cui si chiede innanzitutto, per quanto attiene al sistema di protezione e sicurezza dei lavoratori, maggiore aderenza alle linee guida della ICNIRP pubblicate nel 2010, modificando conseguentemente le soglie numeriche per alcuni tipi di valori in modo di conferire ad essi un reale valore protezionistico. Inoltre, si chiede di apportare al testo alcune modifiche, cancellando il riferimento a procedure di valutazione del rischio più blande, sopprimendo, in alcuni casi, le deroghe ai valori limite a cui sono esposti i lavoratori (ad esempio nell'ambito delle forze armate), e circoscrivendo le deroghe previste per le attività di risonanza magnetica. Altre modifiche suggerite riguardano: per quanto concerne la valutazione dei rischi, l'estensione delle azioni previste a tutti i lavoratori con rischi particolari, non limitandole ai soli portatori di dispositivi medici impiantabili e alle lavoratrici incinte; in materia di sorveglianza sanitaria, l'eliminazione della doppia distinzione delle frequenze «fino a 100Khrz» e «da 100Khrz a 300Khrz» dal momento che anche al di sotto dei 100Khrz si riscontrano rischi per la salute; un maggiore risalto al ruolo dei medici, non limitandolo al solo controllo sanitario ma estendendolo anche alle fasi di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di tutela.

Il 23 luglio 2012 la Commissione europea ha inviato una lettera di risposta in cui, prendendo atto della necessità espressa dal Senato di seguire le linee guida della ICNIRP in materia di livelli di esposizione, ha assicurato che le misure proposte si basano sulle raccomandazioni dell'ICNIRP. La Commissione europea si è detta comunque favorevole ad accogliere i suggerimenti riguardanti i cosiddetti "effetti minori", modificando conseguentemente gli allegati relativi alle soglie numeriche di alcuni valori. Per quanto concerne la valutazione dei rischi, ha specificato che lo scopo delle misure che contemplano una riduzione al minino delle procedure è quello di introdurre una certa flessibilità a favore dell'industria ma che comunque l'esecuzione della valutazione del rischio resta obbligatoria. Circa il sistema delle deroghe ha rassicurato che nell'ambito delle forze armate i limiti di esposizione sono basati su un sistema usato dalla NATO, peraltro equivalente a quello ICNIRP, che, tra l'altro, consente l'interoperabilità tra gli Stati membri dell'UE, che sono anche membri della NATO. Per quanto riguarda le applicazioni mediche preposte alle risonanze magnetiche, la Commissione europea ha garantito che il sistema previsto è stato accuratamente vagliato e risulta il più efficace e comprenderà monitoraggi e rendiconti periodici. Si è  poi detta pronta ad accogliere i suggerimenti del Senato volti all'inclusione di tutte le categorie di lavoratori esposti a rischi particolari nell'ambito delle azioni di valutazione dei rischi condotte dal datore di lavoro. Infine, relativamente alla distinzione tra le disposizioni riguardanti l'esposizione a basse e ad alte frequenze, ha motivato tale scelta sulla base delle indicazioni fornite dagli esperti medici in ragione dei diversi effetti sul corpo umano.

 


 

Articolo 17
(
Criterio direttivo per l'attuazione della direttiva 2014/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che modifica la direttiva 2001/110/CE del Consiglio concernente il miele)

 

 

L’articolo 17, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, prevede che nell’esercitare la delega per dare attuazione alla direttiva 2014/63/UE, che ha modificato, in parte, la direttiva 2001/110/CE sul miele, il Governo debba tenere in considerazione, oltre ai principi ed ai criteri direttivi generali indicati nell’articolo 1, comma 1, lo specifico criterio finalizzato ad assicurare “norme di salvaguardia sulla completezza delle informazioni relative alla provenienza del miele e dei prodotti apistici destinati al consumo umano a vantaggio del consumatore”.

 

 

La direttiva 2014/63/UE

 

La direttiva 2014/63/UE, entrata in vigore il 23 giugno 2014, è intervenuta modificando prevalentemente tre punti della direttiva 2001/110/CE sul miele. E’ stato, infatti, previsto che:

-        il polline è una componente naturale specifica del miele e non deve essere considerato un “ingrediente” secondo quanto definito dal regolamento (UE) n.1169/2011, salvo che si tratti di polline geneticamente modificato; in tal caso il miele contenente polline OGM deve essere considerato un “alimento (parzialmente) prodotto a partire da un OGM” e deve riportare in etichetta, se la percentuale di polline eccede lo 0,9%, l’indicazione a ciò relativa;

-      l’etichetta “miscela di mieli originari e non originari della CE” prevista dal reg. 2001/110/CE deve essere sostituita dalla dizione “miscela di mieli originari e non originari della UE”, in ragione della successione dell’Unione europea alla Comunità europea a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona;

-  venga abrogato, in quanto non più necessario, il potere attribuito alla Commissione europea di adottare atti che adeguino le disposizioni della direttiva sul miele alla norme generali europee sui prodotti alimentari; tali disposizioni, infatti, in ragione dell’entrata in vigore del regolamento n.178/2002, si applicano direttamente anche al miele ed ai prodotti apistici.

 

 

 

In ordine allo specifico criterio introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, si fa presente che già la direttiva 2001/110/CE, all’articolo 2, (non modificato dalla direttiva 2014/63/UE alla quale la disposizioni è chiamata a dare attuazione) prevede che le denominazioni di vendita del miele e dei prodotti apistici possono essere completate da indicazioni che fanno riferimento al Paese o ai Paesi d’origine in cui il miele è stato raccolto.

 

Il considerando n. 5 della direttiva afferma, al riguardo, che le regole generali sull’etichettatura dei prodotti alimentari, enunciate nella direttiva 2000/13/CE, dovrebbero applicarsi fatte salve talune condizioni. “Tenuto conto dello stretto legame esistente tra qualità e origine del miele, è necessario garantire un’informazione completa su questi punti per evitare di indurre in errore il consumatore sulla qualità del prodotto. Gli interessi specifici del consumatore concernenti le caratteristiche geografiche del miele e la piena trasparenza a tale proposito rendono necessaria l’indicazione, in etichetta, del Paese d’origine in cui il miele è stato raccolto”.

 

Il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 179 ha dato attuazione alla direttiva 2001/110/CE, prevedendo, all’art. 3 che al miele si applicano le disposizioni generali sull’etichettatura di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, e successive modificazioni, fatto salvo quanto previsto specificamente dai commi 2 e 3. In particolare, il comma 2 dispone, conformemente a quanto previsto nella direttiva che, ad esclusione del miele filtrato e del miele per uso industriale, le denominazioni possono essere completate da indicazioni che fanno riferimento:

1) all'origine floreale o vegetale, se il prodotto è interamente o principalmente ottenuto dalla pianta indicata e ne possiede le caratteristiche organolettiche, fisicochimiche e microscopiche;

2) all'origine regionale, territoriale o topografica, se il prodotto proviene interamente dall'origine indicata;

3) a criteri di qualità specifici previsti dalla normativa comunitaria.

 

Sull'etichetta devono essere indicati il Paese o i Paesi d'origine in cui il miele è stato raccolto.

Il miele destinato ai consumatori deve essere preconfezionato all'origine in contenitori chiusi.

 

 

 

 


 

Articolo 18
(
Delega al Governo per l'attuazione delle decisioni quadro)

 

 

L’articolo 18, al comma 1, delega il Governo a dare attuazione entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge e in base alle procedure per l'esercizio delle deleghe legislative previste dall’art. 31 della legge n. 234 del 2012, a sette  decisioni quadro.

 

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le misure disposte nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (ex terzo pilastro) sono state “comunitarizzate”. Sono quindi ora adottate con la procedura di codecisione tra Consiglio e Parlamento europeo e sono anche soggette alle procedure di infrazione, con tutto quanto ne consegue, ivi compresa la possibilità di vedersi comminate sanzioni pecuniarie. Questo assetto tuttavia - per le misure adottate in precedenza all'entrata in vigore, come quelle previste dal presente articolo - è stato congelato per cinque anni (decorrenti dal 1° dicembre 2009).

L’articolo 9 del protocollo n. 36 sulle disposizioni transitorie dispone infatti che “gli effetti giuridici degli atti delle istituzioni ... adottati in base al trattato sull’Unione europea prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona sono mantenuti finché tali atti non saranno stati abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati”. Secondo l’articolo 10 dello stesso protocollo, inoltre, per cinque anni dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in ordine agli atti dell’Unione nel settore della cooperazione di polizia e della cooperazione giudiziaria in materia penale adottati prima dell’entrata in vigore dello stesso Trattato, le attribuzioni della Commissione ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento (e cioè quelle relative alle procedure di infrazione) non sono applicabili.

In base ad un’interpretazione coordinata di queste due disposizioni, risulta che gli “effetti” degli atti dell'ex terzo pilastro adottati prima dell’entrata in vigore rimangono invariati (ad esempio, rimane fermo che le decisioni-quadro non hanno efficacia diretta), mentre - dopo il 1° dicembre 2014 - la mancata attuazione da parte degli Stati membri può essere contestata dalla Commissione europea, rendendo così obbligatorio il recepimento.

 

Le decisioni quadro che il Governo è delegato ad attuare attraverso l’emanazione di decreti legislativi sono le seguenti:

 

a) decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa alle squadre investigative comuni.

 

Nella scorsa legislatura il Senato approvò in un testo unificato alcuni disegni di legge (AASS 804 e 841) di iniziativa parlamentare volti ad attuare la decisione quadro 2002/465/GAI e le altre convenzioni internazionali sulle squadre investigative comuni.

La decisione quadro 2002/465/GAI. I ritardi nella ratifica della Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000 relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, uniti alle preoccupazioni determinate dall’attentato terroristico dell’11 settembre 2001, hanno indotto gli Stati dell’Unione europea ad adottare una decisione quadro relativa alle squadre investigative comuni, così da anticipare la vigenza delle disposizioni della Convenzione relative appunto a questo tema.

La decisione quadro, nel ricalcare il contenuto della citata Convenzione, prevede la possibilità per gli Stati membri di costituire squadre investigative comuni al fine di migliorare la cooperazione di polizia. Queste squadre investigative comuni sono composte da autorità giudiziarie o di polizia di almeno due Stati membri e sono incaricate di condurre indagini in ambiti specifici e per una durata limitata. Anche in questo caso, la squadra investigativa comune deve essere caratterizzata da:

-        uno scopo preciso;

-        una durata limitata (la quale può essere prolungata col consenso di tutte le parti contraenti).

I membri della squadra provenienti da uno Stato membro diverso rispetto a quello sul cui territorio interviene la squadra sono definiti "membri distaccati" presso la squadra. A costoro possono essere conferiti incarichi in conformità al diritto dello Stato membro in cui hanno luogo le operazioni.

Quanto ai reati che dovessero commettere o subire gli agenti distaccati, essi sono assimilati ai funzionari dello Stato membro in cui interviene la squadra per quanto concerne la loro responsabilità penale.

In base all’art. 5 della decisione quadro, questa cessa di avere effetto a partire dall'entrata in vigore in tutti gli Stati membri della Convenzione di Bruxelles del 2000. La Convenzione è entrata in vigore il 23 agosto 2005 nei confronti degli Stati che hanno provveduto alla relativa ratifica; tra tali Paesi non è presente l’Italia, alla quale si applica comunque la decisione quadro, il cui termine di attuazione è scaduto il 1° gennaio 2003.

 

b) decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio.

In proposito si segnala che nella Relazione sulle prospettive di riforma del sistema di gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, approvata in questa legislatura dalla Commissione antimafia, si lamenti il sensibile ritardo (oltre 8 anni) concernente  l’attuazione di tale decisione quadro 2003/577/GAI, i cui termini sono scaduti il 2 agosto 2005. Si ricorda altresì che l’articolo 30 della legge 25 febbraio 2008, n. 34, recante “Disposizioni di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee (Legge comunitaria 2007)” aveva conferito la delega al Governo per l’adozione di un decreto legislativo contenente le norme occorrenti per dare attuazione alla predetta decisione quadro e che i termini della delega sono spirati il 21 marzo 2009 senza che la delega sia stata esercitata.

 

La decisione quadro 2003/577/GAI relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio costituisce applicazione del principio di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale, affermatosi a partire dal Consiglio europeo di Tampere del 1999 e la cui prima affermazione si è avuta con la decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo, attuata in Italia con legge 22 aprile 2005, n. 69.

Con particolare riferimento alla materia oggetto dell'articolo in esame, il Programma di misure per l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali, adottato dal Consiglio il 29 novembre 2000, prevedeva, alla misura 6, l'elaborazione di uno strumento sul riconoscimento delle decisioni di blocco degli elementi di prova per impedire la dispersione delle prove che si trovano nel territorio di un altro Stato membro, e, alla misura 7, l'elaborazione di uno strumento sul riconoscimento reciproco delle decisioni in materia di sequestro dei beni (tale strumento avrebbe dovuto consentire di sequestrare provvisoriamente i beni in casi urgenti senza ricorrere alle procedure dell'assistenza giudiziaria, dando esecuzione alle ordinanze rese dal giudice di un altro Stato membro). Ad entrambe le misure era attribuita la massima priorità.

In attuazione delle misure contenute nel suddetto Programma, il Consiglio ha adottato la decisione quadro 2003/577/GAI, il cui scopo è appunto quello di stabilire le norme secondo le quali uno Stato membro riconosce ed esegue nel suo territorio un provvedimento di blocco o di sequestro emesso da un'autorità giudiziaria di un altro Stato membro (art. 1). Si ritiene così di superare il tradizionale sistema di assistenza giudiziaria internazionale in materia penale di tipo convenzionale, basato sul sistema delle rogatorie internazionali, sostituendolo con il riconoscimento reciproco dei provvedimenti, effettuato direttamente dalle autorità giudiziarie, senza la mediazione di un'autorità centrale (e, dunque, senza che un'autorità centrale possa esercitare poteri di impulso o di interdizione dell'attività di cooperazione).

Ai sensi dell'art. 3, par. 1, la decisione quadro si applica ai provvedimenti di blocco o di sequestro emessi:

a) a fini probatori;

b) per la successiva confisca dei beni.

Analogamente a quanto accade in materia di mandato d'arresto europeo, l'art. 3, par. 2, elenca una serie di reati che, se sono punibili nello Stato di emissione con una pena privativa della libertà di almeno tre anni, non richiedono il controllo della doppia incriminabilità. Per i reati non compresi in tale elencazione, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento e l'esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro alla condizione che i fatti per i quali esso è stato emesso costituiscano un reato ai sensi della legge di tale Stato indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso ai sensi della legge dello Stato di emissione.

Il provvedimento di blocco o di sequestro è trasmesso dall'autorità giudiziaria che l'ha adottato direttamente all'autorità giudiziaria competente per la sua esecuzione; se questa non è nota, saranno i punti di contatto della Rete giudiziaria europea a dover fornire informazioni (art. 4).

Le autorità giudiziarie competenti dello Stato di esecuzione riconoscono il provvedimento senza che siano necessarie altre formalità e adottano senza indugio le misure necessarie alla sua esecuzione immediata alla stessa stregua di un provvedimento di blocco o di sequestro emanato da un'autorità dello Stato membro di esecuzione (art. 5); ciò a meno che tale autorità non ritenga sussistere uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione previsti all'art. 7 o uno dei motivi di rinvio previsti all'art. 8.

Per quanto riguarda il trattamento dei beni bloccati o sequestrati, l’art. 10 della decisione quadro prevede che le richieste trasmesse ai sensi dell'articolo 4 debbano essere accompagnate, in alternativa:

a) da una richiesta di trasferimento della fonte di prova nello Stato di emissione;

b) da una richiesta di confisca che richieda l'esecuzione di un provvedimento di confisca emesso nello Stato di emissione o una confisca nello Stato di esecuzione e la successiva esecuzione di ciascuna di tali provvedimenti;

c) da specifiche istruzioni volte a mantenere il bene nello Stato di esecuzione in attesa della richiesta di cui alla lettera a) o b).

 

 

c) decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa al reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie;

 

La decisione quadro 2005/214/GAI ha attuato la misura 18 del Programma di misure per l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali (adottato dal Consiglio il 29 novembre 2000), che richiedeva l'elaborazione di uno strumento che consentisse di garantire la riscossione, da parte dello Stato di residenza, delle sanzioni pecuniarie inflitte a titolo definitivo ad una persona fisica o giuridica da un altro Stato membro. Essa si applica dunque a provvedimenti definitivi, non suscettibili di impugnazione.

Ai sensi dell'art. 4 della decisione quadro, una decisione definitiva che infligge una sanzione pecuniaria ad una persona fisica o giuridica può essere trasmessa direttamente dall'autorità competente dello Stato della decisione all'autorità dello Stato membro in cui tale soggetto dispone di beni o di un reddito, ha la sua residenza abituale o, nel caso di una persona giuridica, ha la propria sede statutaria. Anche in questo caso, è prevista la possibilità di avvalersi della Rete giudiziaria europea.

Come è abituale nelle decisioni che danno attuazione al principio del reciproco riconoscimento, per una serie di reati elencati nella decisione stessa non è necessaria la verifica della doppia punibilità del fatto. In particolare, ai sensi dell’art. 5, si tratta dei reati già previsti dalle decisioni in materia di mandato d'arresto europeo e di mandato di sequestro europeo, ai quali si aggiungono: le infrazioni al codice della strada, comprese quelle relative alle ore di guida e ai periodi di riposo ed infrazioni alle norme sul trasporto di merci pericolose; il contrabbando di merci; la violazione dei diritti di proprietà intellettuale; le minacce e gli atti di violenza contro le persone anche in occasione di eventi sportivi; il danneggiamento; il furto; i reati stabiliti dallo Stato della decisione e contemplati nell'attuazione degli obblighi derivanti dagli strumenti adottati a norma del trattato CE o del titolo VI del trattato UE.

L'ambito di esclusione del principio della doppia punibilità è dunque sensibilmente più ampio di quanto non avvenga in riferimento al mandato d'arresto europeo e al mandato di sequestro europeo.

Per quanto riguarda i reati diversi da quelli elencati nel par. 1, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento e l'esecuzione di una decisione alla condizione che la decisione si riferisca a una condotta che costituirebbe reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla sua qualifica.

Salvi i casi di diniego di riconoscimento e di esecuzione elencati tassativamente dall'art. 7 della decisione quadro, l'autorità dello Stato di esecuzione riconosce la decisione trasmessale ritualmente senza richiesta di ulteriori formalità e adotta immediatamente tutti i provvedimenti necessari alla sua esecuzione.

 

d) decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive;

 

La decisione quadro 2008/947/GAI estende il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie all'esecuzione delle pene non restrittive della libertà personale e fissa le norme che ogni Stato membro deve seguire per assumere la sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive emesse da un altro Stato membro. La nuova disciplina sostituisce le disposizioni corrispondenti della Convenzione del Consiglio d'Europa, firmata a Strasburgo il 30 novembre 1964 e ratificata dall'Italia con la legge 15 novembre 1973, n 772.

La decisione quadro si applica quindi al riconoscimento delle sentenze e alla sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive. Non riguarda, invece, l’esecuzione delle pene detentive o delle misure restrittive della libertà personale, né il riconoscimento e l’esecuzione delle sanzioni pecuniarie e delle decisioni di confisca. Gli Stati membri possono rifiutare di riconoscere una sentenza, di sorvegliare una misura di sospensione condizionale o una sanzione sostitutiva, se esse sono discriminatorie. Sono inoltre autorizzati a concludere o a continuare ad applicare convenzioni o accordi, nella misura in cui questi agevolano la sorveglianza delle misure condizionali e delle pene sostitutive, e informandone il Consiglio e la Commissione.

Nel preambolo della decisione quadro sono puntualmente esplicitati gli obiettivi della disciplina: oltre a favorire il reinserimento sociale del condannato, consentendogli di mantenere i legami familiari, linguistici, sociali e culturali del Paese di origine o di quello di residenza o dimora anche prevenire nuovi reati e proteggere le vittime.

Le misure di sospensione condizionale e le sanzioni sostitutive cui si applica la nuova disciplina sono indicate all'articolo 4 della decisione quadro, ma si tratta di un elenco non esaustivo. Per tale ragione ogni Stato membro comunica al segretariato generale del Consiglio l’elenco delle altre misure e sanzioni che è disposto a sorvegliare.

Se la natura o la durata delle misure di sospensione condizionale o delle sanzioni sostitutive non corrisponde con la legislazione dello Stato di esecuzione, esso può adattarle convenientemente. Tuttavia, tali misure devono corrispondere il più possibile a quelle irrogate nello Stato di emissione. In alcun caso, la natura o la durata di tali misure potrà essere più severa o più lunga della misura originariamente imposta. I reati punibili nello Stato di emissione con una pena privativa della libertà della durata massima di almeno tre anni non richiedono una verifica della doppia incriminabilità. Si tratta, in particolare, dei seguenti reati: partecipazione a un’organizzazione criminale, terrorismo, tratta di esseri umani, pornografia infantile, traffico di organi, di stupefacenti, di armi, di esplosivi, di materie nucleari e radioattive, corruzione, criminalità informatica, razzismo e xenofobia, criminalità ambientale, rapimento, contraffazione, violenza sessuale ecc.

Per gli altri reati, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento della sentenza e della decisione di sospensione condizionale, nonché la sorveglianza delle misure e delle sanzioni, alla condizione che la sentenza si riferisca a fatti che costituiscono reato anche ai sensi della legge nazionale.

La decisione quadro indica infine eventuali motivi di rifiuto.

 

e) decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni pronunciate in assenza dell'interessato al processo;

 

La decisione quadro 2009/299/GAI stabilisce le norme secondo le quali le sentenze che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, emesse in uno Stato membro, devono essere riconosciute ed eseguite in un altro Stato membro. Lo scopo è quello di favorire il reinserimento sociale e la reintegrazione delle persone condannate.

Gli Stati membri devono designare le autorità competenti, responsabili di emettere ed eseguire sentenze. L’autorità competente dello Stato di emissione deve trasmettere la sentenza, corredata del certificato allegato alla presente decisione quadro, direttamente all’autorità competente di un solo Stato di esecuzione per volta e con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta.

La trasmissione della sentenza può aver luogo qualora lo Stato di emissione abbia la certezza che l’esecuzione della pena da parte dello Stato di esecuzione abbia lo scopo di favorire il reinserimento sociale e la reintegrazione della persona condannata. Lo Stato di esecuzione può presentare allo Stato di emissione un parere motivato secondo cui l’esecuzione della pena da parte sua non avrebbe tale scopo. Lo Stato di esecuzione e la persona condannata possono anche richiedere di avviare una procedura per la trasmissione della sentenza.

La decisione sul riconoscimento della sentenza e sull’esecuzione della pena deve essere presa dallo Stato di esecuzione entro 90 giorni dal ricevimento della sentenza e del certificato.

L’autorità competente dello Stato di esecuzione deve riconoscere la sentenza e adottare tutte le misure necessarie per eseguire la pena, a meno che non decida di invocare uno dei motivi di rifiuto di riconoscimento e di esecuzione previsti dalla decisione quadro. La decisione quadro indica inoltre i casi nei quali l’autorità competente dello Stato di esecuzione può rifiutare il riconoscimento della sentenza e l’esecuzione della pena.

Quando il certificato è incompleto o non corrisponde alla sentenza, lo Stato di esecuzione può rinviare il riconoscimento della sentenza.

La decisione quadro fornisce un elenco dei reati che, se punibili nello Stato di emissione con una pena detentiva o una misura privativa della libertà personale della durata massima non inferiore a tre anni, danno luogo, senza verifica della doppia incriminabilità del fatto, al riconoscimento della sentenza e all’esecuzione della pena irrogata. Per tutti gli altri reati, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento della sentenza e l’esecuzione della pena alla condizione che essa si riferisca a fatti che costituiscono reato anche ai sensi della legge dello Stato di esecuzione. Se la durata o la natura della pena è incompatibile con la legislazione dello Stato di esecuzione, quest’ultimo può adattarla. Tuttavia, la pena adattata deve corrispondere il più possibile e non essere superiore alla pena originale.

Conformemente alla legislazione dello Stato di emissione, una sentenza corredata di un certificato può essere trasmessa allo Stato di esecuzione ai fini del suo riconoscimento e dell’esecuzione della pena soltanto con il consenso della persona condannata.  In tutti i casi in cui la persona condannata si trova ancora nello Stato di emissione, le viene offerta la possibilità di esprimere la sua opinione oralmente o per iscritto.

Qualora si trovi nello Stato di emissione, la persona condannata deve essere trasferita nello Stato di esecuzione entro 30 giorni dalla data di riconoscimento della sentenza da parte di quest’ultimo. L’amnistia o la grazia possono essere concesse dallo Stato di emissione nonché dallo Stato di esecuzione. Tuttavia, solo lo Stato di emissione può decidere sulle domande di revisione della sentenza.

 

f) decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare.

 

La decisione quadro 2009/829/GAI stabilisce le norme per il reciproco riconoscimento delle misure cautelari da parte dei paesi dell’Unione europea (UE) nel corso di procedimenti penali. Tali norme disciplinano: il riconoscimento di una decisione sulle misure cautelari; la sorveglianza delle misure cautelari; la consegna dell’interessato che viola le misure cautelari impostegli. La decisione quadro si prefigge pertanto di assicurare la comparizione in giudizio dell’interessato; di promuovere durante il procedimento penale il ricorso a misure non detentive per le persone che non sono residenti nello Stato membro in cui ha luogo il procedimento; di migliorare la protezione delle vittime e dei cittadini in generale. Con riguardo alle tipologie di misure cautelari la decisione quadro impone agli  Stati membri di riconoscere e sorvegliare alcune tipologie di misure cautelari, fra le quali, quelle che impongono all'interessato: l'obbligo di comunicare all’autorità responsabile della sorveglianza delle misure cautelari ogni cambiamento di residenza; il divieto di frequentare determinati luoghi; l’obbligo di rimanere in un luogo determinato; l’obbligo di rispettare determinate restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato di sorveglianza; l’obbligo di presentarsi nelle ore stabilite presso una determinata autorità; l’obbligo di evitare contatti con determinate persone in relazione con i presunti reati. Uno Stato membro può trasmettere una decisione sulle misure cautelari all’autorità competente dello Stato membro di residenza dell’interessato. Tuttavia, quest’ultimo deve essere stato informato delle misure in questione e deve aver acconsentito a ritornare nel suo paese di residenza. Su richiesta dell’interessato, una decisione sulle misure cautelari può anche essere trasmessa all’autorità competente di un altro Stato membro. In tal caso, l’autorità in questione deve aver accettato di ricevere la decisione. L’autorità competente dello Stato membro che ha emesso la decisione sulle misure cautelari trasmette tale decisione (o una sua copia autenticata), corredata del certificato allegato alla presente decisione quadro, direttamente all’autorità competente dello Stato membro che si occuperà della sorveglianza. L’autorità competente dello Stato di emissione deve precisare il periodo di applicazione della decisione sulle misure cautelari e se sia possibile una proroga di tale decisione. Deve altresì indicare il tempo approssimativo verosimilmente necessario per la sorveglianza delle misure cautelari. Il paese cui viene trasmessa la decisione sulle misure cautelari deve riconoscere tale decisione e adottare tutti i provvedimenti necessari ai fini della sorveglianza delle misure cautelari entro venti giorni dal ricevimento della decisione. La decisione quadro elenca alcuni reati per i quali le decisioni sulle misure cautelari devono essere in ogni caso riconosciute, senza verifica della doppia incriminabilità dei fatti. Questi reati, tuttavia, devono essere punibili con una pena detentiva o una misura privativa della libertà personale di durata non inferiore a tre anni nello Stato di emissione della decisione sulle misure cautelari.

Per i reati diversi da quelli di cui sopra, lo Stato di sorveglianza può subordinare il riconoscimento della decisione alla condizione che essa si riferisca a fatti che costituiscono reato anche ai sensi della sua legge. In talune circostanze, tale Stato può rifiutare in toto il riconoscimento della decisione sulle misure cautelari.

Se le misure cautelari sono incompatibili con la legislazione dello Stato di sorveglianza, l’autorità competente di quest’ultimo può adattarle. Tuttavia, le misure cautelari adattate devono corrispondere il più possibile alle misure cautelari originariamente disposte e non devono essere più severe di quest’ultime.

Quando lo Stato responsabile della sorveglianza riconosce la decisione sulle misure cautelari, esso diventa responsabile della sorveglianza delle misure cautelari e tale sorveglianza sarà disciplinata dalla sua legislazione.

Lo Stato di emissione della decisione sulle misure cautelari ha la competenza per tutte le ulteriori decisioni connesse con: la proroga, il riesame e la revoca della decisione originale, la modifica delle misure cautelari e l’emissione di un mandato d’arresto. Tali decisioni sono disciplinate dalla legislazione dello Stato di emissione.

Se l’autorità competente dello Stato di emissione modifica le misure cautelari, l’autorità competente dello Stato di sorveglianza può: adattare le misure modificate se sono incompatibili con la sua legislazione nazionale, oppure rifiutarsi di sorvegliare le misure cautelari se queste esulano dal campo d’applicazione della presente decisione quadro. Se l’autorità competente dello Stato di emissione emette un mandato di arresto, l’interessato deve essere consegnato conformemente alle procedure stabilite dalla decisione quadro relativa al mandato d'arresto europeo. La decisione quadro in esame doveva essere recepita all'interno di ciascuno Stato membro entro il 1° dicembre 2012.

 

g) decisione quadro 2009/948/GAI del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali.

 

La decisione quadro 2009/948/GAI prevede una serie di meccanismi procedurali finalizzati a impedire che nei confronti della stessa persona e con riguardo allo stesso fatto di reato, siano avviati più procedimenti penali dinanzi alle diverse autorità giudiziarie nazionali. La decisione quadro stabilisce la procedura secondo cui le autorità nazionali competenti dei paesi dell’UE devono entrare in contatto quando hanno fondati motivi per ritenere che si stia conducendo un procedimento parallelo in un altro paese dell’UE. Essa definisce, infine, il quadro concernente lo scambio d'informazioni e le consultazioni dirette tra le autorità competenti dei paesi dell’UE, con l'obiettivo di individuare una soluzione che eviti gli effetti negativi derivanti dai procedimenti paralleli. Qualora l'autorità competente di un paese dell’UE abbia fondati motivi per ritenere che si stia conducendo un procedimento parallelo in un altro paese dell’UE, essa deve appurare l'esistenza di eventuali procedimenti paralleli rivolgendosi all'autorità competente dell'altro paese. L'autorità contattata ha l'obbligo di rispondere senza indebito ritardo o entro il termine stabilito dell'autorità contattante. La risposta dell'autorità contattata deve indicare se è in corso, o si è svolto, nel suo paese, un procedimento penale per alcuni o tutti i medesimi fatti oggetto del procedimento penale di cui alla richiesta d'informazioni presentata dall’autorità contattante, e se è implicata la stessa persona. In caso di risposta affermativa, l'autorità contattata deve fornire i propri estremi e indicare la fase in cui si trova il procedimento oppure, ove sia stata adottata una decisione finale, la natura della medesima. Qualora sia confermata l'esistenza di procedimenti paralleli, le autorità nazionali competenti devono intraprendere consultazioni dirette per individuare una soluzione che eviti gli effetti negativi derivanti dai procedimenti paralleli. Ciò può portare alla concentrazione dei procedimenti penali in un unico paese dell’UE. Nell'intraprendere le consultazioni dirette, le autorità nazionali dovranno prendere in considerazione tutti i fatti e il merito del caso e tutti i fattori che ritengono pertinenti. Ove non sia possibile giungere a una soluzione, il caso viene deferito a Eurojust se del caso e a condizione che rientri nella sua sfera di competenza.

 

 

Il comma 2 dell'articolo stabilisce che tali decreti siano adottati nel rispetto delle disposizioni previste dalle singole decisioni quadro, nonché dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 32, comma 1, lettere a), e), f) e g), della citata legge del 2012.

 

I princìpi e criteri direttivi generali indicati dall'articolo 32 e richiamati dalla norma in esame sono:

a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti e delle modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni e dei servizi;

e) al recepimento di direttive o all'attuazione di altri atti dell'Unione europea che modificano precedenti direttive o atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva o di altro atto modificato;

f) nella redazione dei decreti legislativi di cui all'articolo 31 si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive dell'Unione europea comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

g) quando si verifichino sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l'efficacia e l'economicità nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili.

 

Ai sensi del comma 3 dell'articolo 11, sugli schemi dei decreti legislativi di recepimento delle decisioni quadro deve essere acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica con le modalità ed i tempi di cui all'articolo 31, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

 

Il comma 3 dell'articolo 31 stabilisce: "La legge di delegazione europea indica le direttive in relazione alle quali sugli schemi dei decreti legislativi di recepimento è acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. In tal caso gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia espresso il parere delle competenti Commissioni parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 9 scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini di delega previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di tre mesi".

 

Infine, il comma 4 dell'articolo reca la copertura finanziaria. Tale disposizione prevede che dall'attuazione del presente articolo non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le amministrazioni interessate provvedono alla sua attuazione con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Solo in relazione alla attuazione della decisione quadro relativa alle squadre investigative comuni, la disposizione prevede una quantificazione degli oneri (310.000 euro a decorrere dall'anno 2015), ai quali si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2015-2017, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2015, allo scopo parzialmente utilizzando l'apposito accantonamento del Ministero della Giustizia. L'adozione delle occorrenti variazioni di bilancio è quindi demandata al Ministro dell'economia e delle finanze.

 

Si rammenta che il complessivo tema dell’assistenza giudiziaria in materia penale è affrontato dalla proposta di legge 1460-A recante Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e delega al Governo per la sua attuazione nonché delega al Governo per la riforma del Libro XI del codice di procedura penale. Modifiche alle disposizioni in materia di estradizione per l'estero: termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive, in corso di esame alla Camera dei deputati.

 

 


 

Articolo 19
(
Delega al Governo per l'attuazione della decisione quadro 2009/315/GAI del Consiglio, ,del 26 febbraio 2009, relativa all'organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario)

 

 

L’articolo 19 delega il Governo all’attuazione, entro sei mesi dalla data in vigore della legge in esame, della decisione quadro 2009/315/GAI finalizzata all’organizzazione ed al contenuto degli scambi tra gli Stati membri delle informazioni estratte dai casellari giudiziali nazionali.

 

L’articolo 22 della Convenzione europea di mutua assistenza in materia penale del 20 aprile 1959 (ratificata dall’Italia con la legge 215/1961) ha previsto che ciascun Paese aderente “comunica alla Parte interessata relativamente ai suoi cittadini le sentenze penali e le misure adottate che abbiano costituito oggetto di una iscrizione al casellario giudiziale”. La disposizione stabilisce che I Ministri della Giustizia si comunicano queste notizie almeno una volta all'anno.

Lo scopo della collaborazione è, chiaramente, quello di conservare presso il casellario giudiziale di cittadinanza di una persona sia le condanne nazionali sia quelle estere.

Tale disposizione è stata attuata con il sistema Ecris - European Criminal Records information System, il sistema informativo del Casellario europeo che consente l’interconnessione telematica dei casellari giudiziari e rende effettivo lo scambio di informazioni sulle condanne fra gli stati membri, in un formato standard comune a tutti.

Le necessità reali di scambio tra i casellari nazionali sono state tali, specie tra i paesi di frontiera, che fin dal 2005, alcuni stati membri (Francia, Germania, Spagna, e Belgio) avevano realizzato, su base multilaterale, una rete sperimentale di collegamento, denominata: Network of Judicial Registers (NJR) - Rete dei Registri Giudiziari. L’esperienza positiva della rete ha presto reso le istituzioni europee sensibili al progetto, mentre intanto la rosa dei partecipanti si allargava progressivamente fino a coinvolgere 16 stati membri, di cui 10 pienamente operativi.

Per la completa realizzazione del sistema ECRIS, il Consiglio dell'Unione Europea ha approvato due specifiche decisioni quadro, la 2009/315/GAI (per la cui attuazione viene data delega al Governo dall’art. 19 in esame) e la 2009/316/GAI (che, in applicazione della decisione quadro 2009/315/GAI, istituisce ECRIS, il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari, v. ultra, art. 20 del d.d.d.).

L‘approvazione delle citate decisioni quadro ha inteso dare veste istituzionale e piena efficacia agli scambi tra i casellari europei. Le decisioni quadro n. 315 e n. 316 del 2009, sulla traccia della rete NJR, disegnano ECRIS, sancendo sostanzialmente la nascita del Casellario europeo.

 

La decisione quadro 2009/315/GAI – che abroga la precedente decisione 2005/876/GAI - si prefigge i seguenti obiettivi:

-        definire le modalità secondo le quali uno Stato membro in cui è stata pronunciata una condanna contro un cittadino di un altro Stato membro ("Stato membro di condanna") trasmette le informazioni su tale condanna allo Stato membro di cittadinanza della persona condannata ("Stato membro di cittadinanza");

-        definire gli obblighi di conservazione di tali informazioni che incombono allo Stato membro di cittadinanza, e precisare le procedure che esso deve seguire nel rispondere a una richiesta di informazioni estratte dal casellario giudiziario nazionale;

-        definire un quadro per lo sviluppo di un sistema informatizzato di scambio di informazioni tra gli Stati membri sulle condanne.

Gli Stati membri designano un'autorità centrale che ha l'incarico di eseguire tutte le attività relative agli scambi di informazioni sulle condanne. Per la trasmissione delle informazioni e per la risposta alle richieste di informazioni, gli Stati membri possono designare una o più autorità centrali.

 

Obblighi degli Stati membri

Oltre alle informazioni sulla condanna, lo Stato membro di condanna deve fornire l'indicazione della(e) cittadinanza(e) della persona condannata nel proprio territorio, quale iscritta nel casellario giudiziario.

L'autorità centrale dello Stato membro di condanna deve comunicare senza indugio alle autorità centrali degli altri Stati membri le condanne penali pronunciate sul proprio territorio contro cittadini di tali altri Stati membri, indicando anche le eventuali modifiche o eliminazioni a dette condanne penali, quali iscritte nel casellario giudiziario. Tale notifica deve includere le informazioni relative alla persona condannata, la natura e i contenuti della condanna, nonché il reato che ha determinato la condanna. L'autorità centrale deve inoltre trasmettere le informazioni facoltative, se iscritte nel casellario giudiziario, e le informazioni supplementari disponibili, come disposto nella decisione quadro.

Lo Stato membro di cui la persona condannata ha la cittadinanza ha l'obbligo di conservare le informazioni così trasmesse e di fornire una risposta alle richieste di informazioni sulle condanne entro il periodo di tempo specificato. Lo Stato membro di condanna può stipulare che le informazioni relative alle condanne pronunciate nel proprio territorio, e trasmesse all'autorità centrale di un altro Stato membro, non possono essere ritrasmesse da quest'ultimo per fini diversi da un procedimento penale.

 

Richiesta di informazioni e risposta alle richieste di informazioni

Quando si richiedono informazioni al casellario giudiziario di uno Stato membro, l'autorità centrale di tale Stato membro può, a sua volta, rivolgere all'autorità centrale di un altro Stato membro una richiesta di estrazione di informazioni a esse attinenti dal casellario giudiziario. Lo stesso vale quando una persona richiede informazioni sul proprio casellario giudiziario a uno Stato membro, a condizione che detta persona sia residente/cittadino di uno degli Stati membri interessati. Tutte le richieste fatte pervenire alle autorità centrali devono essere formulate usando il modulo allegato alla presente decisione quadro.

Quando sono richieste delle informazioni all'autorità centrale dello Stato membro di cui la persona è cittadino, detta autorità centrale deve trasmettere le informazioni sulle condanne che sono state pronunciate sul suo territorio, in altri Stati membri o in paesi terzi, e che sono state conservate o inserite nel proprio casellario giudiziario. Tutte le risposte alle richieste di informazioni devono essere formulate usando il modulo allegato alla decisione quadro, entro 10 giorni lavorativi dalla data di ricezione della richiesta. Qualora la richiesta venga effettuata da una persona che richiede informazioni sul proprio casellario giudiziario, la risposta deve essere trasmessa entro 20 giorni lavorativi dalla data di ricezione della richiesta.

Lo Stato membro richiedente può usare i dati personali trasmessi solo ai fini per cui sono stati richiesti, tranne qualora il fine sia adottare provvedimenti urgenti intesi a prevenire un pericolo grave e immediato per la sicurezza pubblica.

Il Consiglio dovrebbe adottare altri strumenti che definiscano il formato degli scambi di informazioni estratte dai casellari giudiziari e qualsiasi altro mezzo volto a organizzare e agevolare tali scambi fra gli Stati membri entro il 27 aprile 2012.

 

L'Ufficio del Casellario Italiano ha comunque già realizzato l'interconnessione con il sistema ECRIS, scambiando informazioni con tutti i Paesi membri tecnicamente in grado di dialogare, facendo riferimento alla normativa attualmente vigente (la citata Convenzione del 1959).

L’autorità giudiziaria di ogni Stato membro, con una semplice richiesta al casellario di nazionalità, può così conoscere i precedenti penali di un cittadino europeo in ordine all’intero ambito comunitario).

Al momento gli scambi avvengono con circa 20 Paesi e si arriverà alla completa operatività in ambito comunitario quando tutti i Paesi membri saranno in grado di collegarsi.

 

La normativa italiana vigente in materia prevede che ogni sentenza penale straniera debba essere riconosciuta attraverso la procedura di delibazione (art. 730 c.p.p.), prima di essere inserita nel certificato del casellario, ed acquisire la stessa valenza delle sentenze italiane. Prima del riconoscimento, la sentenza straniera non ha quindi valore certificativo.

La procedura di riconoscimento sarà superata quando l'Italia darà attuazione alla decisione quadro 2008/675/GAI del Consiglio dell'Unione europea relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell'Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale. L’art. 21 del d.d.l. in esame riguarda propri detta attuazione (v. ultra).

 

 

L’articolo 19 in esame detta una serie di principi e criteri direttivi specifici (oltre quelli generali di cui agli artt. 31 e 32 della L: 234/2012) cui il Governo deve attenersi in sede di attuazione della decisione quadro 2009/315/GAI.

Tali principi e criteri sono enucleati dalle lett. da a) a r) del comma 1.

 

La lettera a) riguarda la previsione che le definizioni in sede attuativa siano quelle di cui all’art. 2 della decisione quadro ovvero

a) «condanna»: ogni decisione definitiva di una giurisdizione penale nei confronti di una persona fisica in relazione a un reato, nella misura in cui tali decisioni siano riportate nel casellario giudiziario dello Stato di condanna;

b)«procedimento penale»: la fase precedente al processo penale, la fase del processo penale stesso e l'esecuzione della condanna;

c) «casellario giudiziario»: il registro nazionale o i registri nazionali in cui le condanne sono registrate conformemente al diritto nazionale.

 

La lettera b) individua presso il Ministero della Giustizia l’autorità centrale da designare con l'incarico di eseguire tutte le attività relative agli scambi di informazioni tra Stati membri (art. 3, decisione quadro).

 

Le lettere c) e d) riguardano, rispettivamente, gli obblighi dello Stato membro di condanna (art. 4, par 1-3, decisione quadro) ovvero gli obblighi di comunicazione senza indugio all’autorità centrale dello Stato membro di cittadinanza del condannato nonché quello di comunicare ad altri Stati membri ogni successiva modifica o soppressione delle informazioni contenute nel casellario giudiziale.

 

La lettera f) prevede che le informazioni trasmesse ai sensi delle lett. c) e d) siano conservate dall’autorità centrale designata (il Ministero della giustizia) ai fini della loro ritrasmissione agli Stati membri richiedenti.

 

La lettera e) consente di ricevere copia della sentenza e dei conseguenti provvedimenti nonché di ogni altra informazione per valutare l’adozione di eventuali provvedimenti a livello nazionale  (art. 4, par 4, decisione quadro).

 

La lettera g) riguarda le modalità di richiesta di informazioni sulle condanne sulla base del modulo allegato alla decisione quadro (art. 6, decisione quadro).

Si prevedono specifiche modalità diverse sulla base del soggetto richiedente: (autorità centrale (n. 1), cittadino o residente UE (nn. 2 e 3), giudici penali italiani (n. 4).

 

La lettera h) – correlativamente - riguarda le modalità di risposta alla richiesta di informazioni sulle condanne estratte dal casellario (art. 7, decisione quadro) da parte dell’autorità centrale designata presso il Ministero della giustizia. Le modalità riguardano le diverse ipotesi di richiesta ovvero quelle riguardanti le informazioni: su un cittadino italiano ai fini di un procedimento penale (n. 1); su un cittadino italiano a fini diversi da un procedimento penale (nn. 2  e 3); su un cittadino italiano ove la richiesta provenga da un Paese terzo (n. 4); su un cittadino di altro Paese o apolide (n. 5).

 

La lettera i) prevede un termine massimo di risposta di 10 giorni lavorativi da quello di richiesta delle informazioni; il termine massimo è di 20 giorni nel solo caso di cui all’art. 6, par, 2, della decisione quadro ovvero di risposta alla richiesta di informazioni sul proprio casellario giudiziale (art. 8, decisione quadro).

 

La lettera l) stabilisce i limiti di utilizzabilità dei dati personali trasmessi da uno Stato membro in risposta ad una richiesta di informazioni sulle condanne, ai fini di un procedimento penale o per fini diversi da questo (art. 9, decisione quadro).

 

La lettera m) concerne l’uso della lingua sia nella richiesta di informazioni sulle condanne che nelle relative risposte (art. 10 della decisione quadro).

 

La lettera n) - di attuazione dell’art. 11, par. 1, della decisione quadro - elenca le informazioni obbligatorie ovvero quelle che, in ogni caso, devono essere sempre trasmesse (a meno che siano ignote all’utorità centrale) allo Stato membro richiedente; la lettera o) indica le informazioni facoltative che possono essere trasmesse; la lettera p) elenca le informazioni supplementari che, se nella disponibilità dell’autorità centrale, devono comunque essere trasmesse; la lettera q) prevede la possibile trasmissione di altre ulteriori informazioni su condanne iscritte nel casellario giudiziale.

 

La lettera r) riguarda le modalità di trasmissione delle informazioni, delle richieste e delle risposte che vanno trasmesse per via elettronica e con un formato standard; se uno Stato membro non dispone pienamente di un sistema informatizzato, le informazioni vanno trasmesse in maniera che ne risulti traccia scritta per consentire di verificarne l’autenticità (art. 11, par. 3., decisione quadro).

 

 

Sullo schema di decreto legislativo di recepimento della decisione quadro, il comma 2 dell’articolo 19 prevede il parere delle Competenti commissioni parlamentari

 

Il comma 3 riguarda l’invarianza finanziaria derivante dall’attuazione dell’articolo 19 in esame.

 

Si rammenta, come già evidenziato sopra, che il complessivo tema dell’assistenza giudiziaria in materia penale è affrontato dalla proposta di legge 1460-A recante Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e delega al Governo per la sua attuazione nonché delega al Governo per la riforma del Libro XI del codice di procedura penale. Modifiche alle disposizioni in materia di estradizione per l'estero: termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive, in corso di esame alla Camera dei deputati. Tale proposta non contiene peraltro un riferimento espresso alla disciplina dei casellari giudiziali nazionali.


 

Articolo 20
(
Delega al Governo per l'attuazione della decisione quadro 2009/316/GAI del Consiglio, del 6 aprile 2009, che istituisce il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS) in applicazione dell’articolo 11 della decisione quadro 2009/315/GAI)

 

 

L’articolo 20, complementare all’articolo 19 del disegno di legge, delega il Governo ad attuare , entro sei mesi dalla data in vigore della legge in esame, la decisione quadro 2009/316/GAI che, in applicazione della decisione quadro 2009/315/GAI, istituisce il sistema informativo del Casellario europeo (ECRIS - European Criminal Records information System).

 

Come già detto, il sistema ECRIS è già operante nella maggior parte dei Paesi dell’Unione europea sulla base delle previsioni contenute nella Convenzione di mutua assistenza in materia penale del 1959 (v. ante, art. 19)

 

La decisione quadro 2009/316/GAI del Consiglio, del 6 aprile 2009 fondandosi sui principi fissati dalla decisione quadro 2009/315/GAI mira a costruire e sviluppare un sistema informatizzato di scambio di informazioni tra Stati membri di dati contenuti nei casellari giudiziari europei.

In particolare, la decisione quadro per consentire di comunicare informazioni in un modo facilmente comprensibile definisce un formato standard che consenta lo scambio delle informazioni in modo omogeneo, elettronico e facilmente traducibile con dispositivi automatizzati.

Viene a tal fine istituito ECRIS, il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (art. 1) in relazione al quale si applicano le definizioni di “condanna”, “procedimento penale” e “casellario giudiziale” adottate dalla decisione quadro 2009/315/GAI (art. 2). Gli elementi del sistema ECRIS sono: un software di interconnessione comune ad un pacchetto di protocolli per lo scambio di informazione tra le banche dati di casellari giudiziari; una infrastruttura di comunicazione comune che forma una rete cifrata (la rete di comunicazione s-TESTA) (art. 3).

La decisione quadro ha riguardo (art. 4) agli obblighi degli Stati membri di menzionare il codice di trasmissione delle informazioni sia in relazione ai reati che alle condanne.

Ulteriori disposizioni riguardano gli obblighi informativi degli Stati membri al segretariato generale del Consiglio europeo (art. 5). in relazione ad una serie di informazioni inerenti l’elenco dei reati nazionali previsti (all. A) e l’elenco delle diverse tipologie di pene e misure di sicurezza (all. B). Sono previste consultazioni tra le diverse autorità degli Stati membri per la redazione di un manuale che definisca le modalità procedurali per lo scambio di informazioni all’interno di ECRIS nonché un coordinamento operativo tra le stesse autorità per le azioni volte allo sviluppo e all’esercizio di ECRIS (art. 6). Alla Commissione europea sono ascritti obblighi di relazione periodica sugli scambi di informazioni e statistiche acquisite tramite ECRIS (art. 7).

 

Il termine di recepimento delle disposizioni della decisione quadro (ormai scaduto) era fissato al 7 aprile 2012.

L’articolo 20, comma 1, detta una serie di specifici principi e criteri di delega (lettere a), b) e c)) volti a dare attuazione alla decisione quadro 2009/316/GAI che istituisce ECRIS, in conformità delle previsioni tecniche di cui all’art. 11 della decisione quadro 2009/315/GAI.

 

In particolare:

 

-        la lettera a) prevede l’introduzione di un sistema informatizzato che si interfacci col sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari, in conformità a quanto stabilito dall’art. 3 (par. 1-6) della decisione quadro (art. 1-3, decisione quadro).

-        la lettera b) affida all’autorità centrale istituita presso il ministero della giustizia la responsabilità della gestione del citato sistema informatizzato (art. 3, par. 4, decisione quadro);

-        la lettera c) prevede una serie di formati standard di trasmissione delle informazioni dei casellari giudiziali, in riferimento (art. 4 e 5, decisione quadro):

-        alla denominazione o qualificazione giuridica del reato e alle disposizioni giuridiche applicabili (n. 1);

-        al contenuto della condanna (in particolare la pena), alle eventuali pene accessorie e misure di sicurezza e alle decisioni successive che modificano l’esecuzione della pena (n. 2);

-        alla possibilità di realizzare una comparazione tra reati e pene nazionali con quelli contenuti negli allegati A e B della decisione quadro (relativi a reati e pene europee) (n. 3);

-        alla possibilità di fornire le informazioni sul livello di realizzazione del reato e sulla partecipazione ad esso del condannato nonché l’eventuale sussistenza di recidiva, di cause di esonero (anche parziale) della responsabilità e ulteriori notizie sull’esecuzione della pena o misura inflitta (n. 4);

-        ai limiti di comunicazione di informazioni relative a decisioni non penali (n. 5).

 

Anche il comma 2 dell’art. 20 prevede che sul decreto legislativo di recepimento della decisione quadro vada acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

 

Il comma 3 riguarda l’invarianza finanziaria derivante dall’attuazione dell’articolo in esame.

 


 

Articolo 21
(
Delega al Governo per l'attuazione della decisione quadro 2008/675/GAI del Consiglio, del 24 luglio 2008, relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell'Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale)

 

 

L’articolo 21 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data in vigore della legge in esame, un decreto legislativo che dia attuazione alla decisione quadro 2008/675/GAI, in materia di considerazione delle sentenze penali di condanna in ambito UE in occasione di un nuovo procedimento penale.

 

Il 29 novembre 2000 il Consiglio europeo aveva adottato il programma di misure per l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali. Tale programma prevede «l’adozione di uno o più strumenti volti ad introdurre il principio secondo cui il giudice di uno Stato membro deve essere in grado di tener conto delle decisioni penali definitive rese negli altri Stati membri per valutare i precedenti penali del delinquente, prendere in considerazione la recidiva e determinare la natura delle pene e le modalità di esecuzione applicabili».

 

In attuazione del citato programma, è stata adottata dal Consiglio la decisione quadro 2008/675/GAI.

 

La decisione quadro 2008/675/GAI stabilisce i criteri in base ai quali le precedenti decisioni di condanna, pronunciate da qualsiasi Stato membro, devono essere prese in considerazione in occasione di un nuovo procedimento penale in un altro Stato membro nei confronti della stessa persona, ma per fatti diversi.

Le informazioni sulle precedenti decisioni di condanna possono essere ottenute in virtù degli strumenti applicabili all'assistenza giudiziaria reciproca in materia penale tra gli Stati membri o allo scambio di informazioni estratte dai casellari giudiziari. Nell'ambito di una nuova procedura penale, gli Stati membri devono garantire che le precedenti decisioni di condanna pronunciate in un altro Stato membro siano debitamente prese in considerazione alle stesse condizioni delle precedenti condanne nazionali.

Le precedenti condanne devono essere considerate nella fase precedente al processo penale, nella fase del processo penale stesso e in occasione dell'esecuzione della condanna, in particolare per quanto riguarda le norme di procedura applicabili, riguardanti:

-      la detenzione cautelare;

-      la qualifica del reato;

-      il tipo e il livello della pena comminata;

-      l’esecuzione della decisione.

Il fatto di prendere in considerazione le precedenti decisioni di condanna, non comporta né interferenza con tali decisioni da parte dello Stato membro che avvia il nuovo procedimento, né di revocarle o di riesaminarle.

Nei casi in cui la precedente decisione di condanna non sia stata pronunciata o completamente eseguita da un altro Stato membro prima che sia stato commesso il reato per il quale è in corso un nuovo procedimento, non è richiesta l'applicazione della legislazione nazionale sulla comminazione delle pene qualora l'applicazione di tali norme nazionali a precedenti condanne pronunciate all'estero limiti il giudice all'atto di irrogare una pena. Occorre, tuttavia, tenere conto in altro modo delle condanne precedenti.

La decisione quadro sostituisce l'articolo 56 della Convenzione europea del 28 maggio 1970 sulla validità internazionale delle sentenze penali tra gli Stati membri. L'articolo prevede la possibilità di tenere conto delle sentenze penali pronunciate in altri Stati che aderiscono alla convenzione.

 

 

Il comma 1 dell’articolo 21 detta alle lettere a), b) e c) specifici principi e criteri direttivi cui il Governo dovrà attenersi in sede di attuazione della delega.

 

Con la lettera a) si prevede che la definizione di “condanna” fornita dal decreto legislativo coincida con quella dell’art. 2 della decisione quadro (per «condanna» si intende ogni decisione definitiva di una giurisdizione penale che stabilisca la colpevolezza di una persona per un reato).

 

Dalla lettera b) è stabilito che siano prese in considerazione le precedenti sentenze di condanna pronunciate in altri Stati membri nei confronti di una stessa persona, sottoposta a processo penale per fatti diversi (rispetto a quelli oggetto della condanna) e di cui siano ottenute informazioni in virtù di reciproca assistenza giudiziaria; gli effetti giuridici da attribuire a tale precedenti condanne devono essere equivalenti a quelli derivanti da precedenti condanne nazionali (es. la recidiva), conformemente al diritto nazionale (art. 3, par. 1 e 2, decisione quadro).

 

La lettera c) esclude ai sensi della decisione quadro (art. 3, par. 3, 4 e 5) che tale presa in considerazione possa interferire con le decisioni già assunte comportandone la revoca o il riesame o possa interferire con le decisioni relative alla loro esecuzione adottate in Italia.

 

Sullo schema di decreto legislativo di attuazione della decisione quadro, il comma 2 dell’articolo 21 prevede il rilascio del parere delle Competenti commissioni parlamentari

 

Il comma 3 riguarda l’invarianza finanziaria derivante dall’attuazione dell’articolo in esame.

 


Direttiva Allegato A

 


 

Direttiva n. 2014/111/UE
(
Direttiva di esecuzione della Commissione, del 17 dicembre 2014, recante modifica della direttiva 2009/15/CE per quanto attiene all'adozione da parte dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO) di taluni codici e relativi emendamenti di alcuni protocolli e convenzioni (termine di recepimento 31 dicembre 2015)

 

 

La direttiva di esecuzione 2014/111/UE, inserita nell'Allegato A durante l'esame al Senato, modifica l'articolo 2, lettera d), della direttiva 2009/15/CE, relativamente all'adozione di due codificazioni internazionali (il Codice III e il Codice RO), da parte dell'Organizzazione Marittima Internazionale (IMO). La direttiva 2009/15 ha operato una rifusione delle norme comuni per gli organismi che effettuano ispezioni e visite di controllo delle navi e per le relative attività delle amministrazioni marittime.

Le modifiche apportate dalla direttiva 2014/111/UE sono necessarie al fine di ridurre i rischi di conflitto tra la legislazione marittima dell’Unione e gli strumenti internazionali. In particolare, il codice RO è entrato in vigore il 1° gennaio 2015.

 

Il Codice III (IMO Instruments Implementation Code) adottato dall’IMO il 4 dicembre 2013, ha la finalità di migliorare globalmente la sicurezza marittima e la protezione dell'ambiente marino e assistere gli Stati nell'attuazione degli strumenti dell'Organizzazione.

Il Codice RO (Code for recognized organizations) è invece stato adottato dal MEPC (Marine Environment Protection Committee), sotto l’egida della SOLAS (Safety Of Live At Sea) istituita nel 1914, e della Convenzione Marpol 73/78 per la prevenzione dell'inquinamento causato dalle navi e il relativo protocollo del 1978. Il Codice RO stabilisce che le Amministrazioni (Stati di bandiera) possono delegare alcune responsabilità per la rilevazione e la certificazione delle navi ad “Organizzazioni Riconosciute” (spesso sono le società o istituti di classificazione). Tali organizzazioni, pertanto,  possono agire per conto dello Stato di bandiera. Il Codice RO stabilisce i meccanismi standard per la sorveglianza, la valutazione e le autorizzazioni a organismi riconosciuti e chiarisce le responsabilità di tali organizzazioni.

 

La direttiva di rifusione 2009/15/CE ed il regolamento (CE) 2099/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, che costituiscono un insieme legislativo sul funzionamento degli organismi riconosciuti, presentano infatti alcune discrepanze con i predetti Codice III e Codice RO. Pertanto, al fine, di eliminare tali contrasti, è stata emanata la direttiva 2014/111/UE.

Il Codice III definisce infatti un elenco minimo di risorse e processi che gli Stati di bandiera devono adottare al fine di dimostrare la conformità delle navi alle prescrizioni strutturali, meccaniche, elettriche stabilite delle convenzioni internazionali di cui lo Stato è parte. Il diritto dell’Unione prevede invece che le navi debbano essere progettate, costruite e mantenute conformemente alle prescrizioni strutturali di una società di classificazione riconosciuta. Inoltre, l'organismo che agisce come società di classificazione emette i certificati di classe delle navi. Il diritto unionale opera una distinzione circa la natura dei certificati statutari e dei certificati di classe, questi ultimi considerati di natura privatistica.

In base al Codice III inoltre, ciascuno Stato di bandiera, in relazione alle proprie navi, è tenuto ad assicurare che un organismo tecnico riconosciuto abbia le risorse necessarie per lo svolgimento dei compiti che gli vengono affidati. Nel diritto UE, invece, la capacità degli organismi riconosciuti risulta una condizione necessaria ai fini del riconoscimento, con riferimento all'intera flotta, senza distinzioni basate sullo Stato di bandiera.

Altra discrepanza è quella tra la norma internazionale che prevede il divieto per lo Stato di bandiera  di attribuire mandato ai propri organismi riconosciuti di applicare le disposizioni, prescrizioni o procedure di classificazione alle navi diverse rispetto a quelle che hanno il diritto di battere la propria bandiera e quella della direttiva 2009/15/CE, che prevede che gli Stati membri abbiano la facoltà di autorizzare un organismo riconosciuto ad agire per conto loro.

Per quanto riguarda il Codice RO esso prevede che un organismo riconosciuto sia quello valutato dallo Stato di bandiera, mentre in base alla direttiva 2009/15/CE si definisce organismo riconosciuto quello che rispetta le prescrizioni del Regolamento (CE) n. 391/2009.

Infine, il codice RO stabilisce che gli organismi riconosciuti possano emettere certificazioni e svolgere servizi statutari, invece, la direttiva 2009/15/CE, traccia chiaramente la definizioni di certificati statutari rilasciati in base alle convenzioni internazionali e certificati di classe rilasciati da un organismo riconosciuto. In base a ciò, ci sarebbe una distinzione nella natura  tra certificati statutari e certificati di classe. I primi di natura pubblica e i secondi di matrice privatistica.

 

L'entrata in vigore delle disposizioni nazionali necessarie per conformarsi alla direttiva deve avvenire negli Stati membri entro il 31 dicembre 2015.

 

 

 

 


Direttive Allegato B

 


Direttiva n. 2010/53/UE
(
Organi umani destinati ai trapianti)

 

 

La direttiva 2010/53/UE è volta a garantire un quadro comune relativo alle norme di qualità e sicurezza degli organi di origine umana destinati al trapianto nel corpo umano, allo scopo di proteggere i donatori e di ottimizzare gli scambi tra Paesi membri e Paesi terzi.

 

Occorre preliminarmente sottolineare che al riguardo è stato già presentato, da parte del Ministero della salute, uno schema di decreto sul quale, in data 25 marzo 2015, è stata raggiunta l’Intesa della Conferenza permanente Stato-regioni e province autonome che ha altresì riguardato la direttiva di esecuzione 2012/25/UE della Commissione del 9 ottobre 2012 (v. scheda successiva) in materia di procedure informative per lo scambio tra Stati membri di organi umani destinati ai trapianti.

Detto schema dà attuazione alla sopra citata direttiva 2010/53/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, in base a quanto disposto dall’art. 1, commi 340 e 341, della Legge di stabilità 2013 (L. 228/2012) che hanno modificato la legge 1° aprile 1999, n. 91 (Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti) sui trapianti per disciplinare la donazione di organi da persona vivente[9].

Quest’ultima – si ricorda – ha permesso di archiviare la procedura di infrazione della Commissione n. 2012/370 per mancato recepimento della direttiva il cui termine è scaduto il 27 agosto 2012 (art. 31 della direttiva).

 

L’ambito di applicazione della direttiva (art. 2) riguarda le fasi della donazione, reperimento, analisi, conservazione, trasporto e utilizzo di organi e riguarda gli organi destinati alla ricerca solo se destinati al trapianto nel corpo umano.

Il quadro in materia di qualità e sicurezza disposto dalla direttiva (art. 4) prevede l’adozione e l’attuazione di procedure operative relative alla verifica dell’identità del donatore, delle informazioni relative al consenso, della caratterizzazione dell’organo, vale a dire la raccolta di informazioni sulle caratteristiche dello stesso. Inoltre, disciplina le procedure operative per il reperimento, conservazione ed etichettatura degli organi, per il trasporto dei medesimi, per la loro tracciabilità contemperata con il diritto alla protezione dei dati personali e alla riservatezza, e per la formazione del personale incaricato di tali attività.

Per quanto riguarda il reperimento di organi, è fatto obbligo agli Stati membri di provvedere tramite appositi organismi che osservino le norme della direttiva (art. 5) e le cui attività mediche siano sottoposte alla supervisione di un medico: in particolare, il reperimento dovrà avvenire in strutture conformi a sale operatorie in cui dovranno essere rispettate le norme in materia di sterilizzazione dei medicinali e dispositivi medici (art. 6).

La caratterizzazione degli organi e dei donatori, disciplinata all’art. 7, è predisposta per fornire tutte le informazioni e i dati, come da apposito modulo allegato alla direttiva: tra queste, in particolare, deve essere indicato il tipo di donatore, il gruppo sanguigno, la causa e la data del decesso del donatore, la sua anamnesi (da cui emergano eventualmente neoplasie, epatite, HIV o l'assunzione di droghe per via endovenosa).

L’art. 8 disciplina in dettaglio le modalità con cui deve avvenire il trasporto degli organi al fine di garantire l'integrità degli stessi.

Il centro trapianti destinatario, prima di procedere al trapianto, dovrà inoltre verificare la caratterizzazione dell'organo e il rispetto delle condizioni di trasporto (art. 9). Per la salvaguardia della salute dei riceventi e dei donatori, devono poi essere garantiti sistemi di tracciabilità degli organi dal donatore al ricevente e viceversa, nel rispetto del principio dell'anonimato dei donatori (art. 10).

Gli Stati membri dovranno poi stabilire procedure per la rapida, precisa e verificabile segnalazione di eventi e reazioni avverse gravi che possano influire sulla qualità e la sicurezza degli organi, e che siano imputabili al trapianto e alle attività legate allo stesso, prevedendone eventualmente il ritiro (art. 11).

L’art. 12 impone agli Stati membri di provvedere ad assicurare l’idoneità e l’addestramento del personale di assistenza sanitaria competente.

La direttiva contiene peraltro (art. 13) principi volti a tutelare e proteggere sia i donatori, sia i riceventi: a tal fine è previsto che le donazioni siano volontarie, non remunerate ed effettuate tramite organismi senza fini di lucro. E' inoltre vietata qualsiasi pubblicità riguardante la necessità o la disponibilità di organi. Agli Stati membri è lasciata competenza normativa sul consenso al prelievo, alla sua autorizzazione e all’assenza di qualsiasi obiezione (art. 14).

Per quanto riguarda i donatori viventi, la direttiva (art. 15), al fine di assicurarne la massima protezione, stabilisce che gli stessi vengano adeguatamente selezionati sulla base dei loro precedenti sanitari e medici. E’ prevista l’iscrizione in un apposito registro. La fase dei controlli successivi alla donazione è affidata agli Stati per identificare, segnalare e gestire qualsiasi evento connesso alla qualità e alla sicurezza dell'organo donato e qualsiasi reazione avversa grave nel donatore vivente. E' inoltre garantito il rispetto dei dati personali, nonché l'anonimato sia dei donatori che dei riceventi (art. 16).

E’ prevista la designazione, da parte degli Stati membri, di una o più autorità competenti, responsabili, tra l'altro, dell'aggiornamento del programma nazionale di qualità e del controllo periodico dei centri di trapianto (art. 17). Alle stesse autorità è affidato il compito di tenere un registro degli organismi di reperimento e dei centri per i trapianti, e delle rispettive attività, di cui deve essere fornita una relazione annuale (art. 18).

L’art. 19 prevede l’istituzione, da parte della Commissione europea, di una rete di autorità competenti per lo scambio di informazioni sulle esperienze acquisite con riferimento all’attuazione della presente direttiva.

E’ prevista la possibilità (art. 20) di stipulare accordi tra le autorità competenti indicate dagli Stati membri e le controparti nei Paesi terzi in merito allo scambio di organi, purché ne sia assicurata la loro tracciabilità e corrispondenza ai parametri di qualità e sicurezza equivalenti a quelli stabiliti dalla direttiva.

Analoghi accordi possono essere stipulati tra le predette autorità competenti e le organizzazioni europee per lo scambio di organi (art. 21).

Agli Stati membri infine è affidato il compito di determinare il sistema di sanzioni da applicare in caso di mancato rispetto delle norme nazionali di attuazione della direttiva, in base ai principi di efficacia, proporzionalità e dissuasività (art. 23).

Gli ultimi articoli della direttiva (24-33) dettano specifiche norme relative ai termini per l’esercizio della delega ed adozione della direttiva.

Si sottolinea che le norme che prevedono misure di applicazione uniforme della direttiva sono in particolare contenute all’art. 29, con specifico riferimento alla trasmissione delle informazioni relative agli organi (caratterizzazione e tracciabilità) da cui è successivamente derivata la direttiva 2012/25/UE.

 


 

 

Direttiva n. 2012/25/UE
(
Organi umani destinati ai trapianti)

 

 

La direttiva 2012/25/UE in materia di procedure informative per lo scambio, tra gli Stati membri, di organi umani destinati ai trapianti – il cui termine di recepimento è scaduto il 10 aprile 2014 - deriva dalla previsione dell'art. 29 della direttiva 2010/53/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sulle norme di qualità e sicurezza degli organi umani destinati ai trapianti.

Come precedentemente visto, l’Intesa della Conferenza permanente Stato-regioni e province autonome del 25 marzo 2015 sullo schema di decreto per l’attuazione della sopra citata direttiva 2010/53/UE ha altresì riguardato la direttiva 2012/25/UE in quanto recante le corrispondenti norme di esecuzione specificamente riferite alle procedure informative per lo scambio di organi umani destinati ai trapianti.

L’ambito di applicazione è relativo allo scambio transfrontaliero di organi umani destinati ai trapianti nell’Unione europea.

L’art. 4 dispone circa le specifiche modalità procedurali finalizzate alla trasmissione delle informazioni relative agli organi in questione. E’ previsto (art. 5) che, prima dello scambio degli organi, l'autorità competente o l’organismo delegato dello Stato membro di origine trasmetta tutte le necessarie informazioni circa la caratterizzazione degli organi. Sono inoltre disposte norme di garanzia della tracciabilità degli organi (art. 6). Ogni segnalazione di evento avverso o grave, inerente agli organi oggetto di scambio, deve avvenire senza ritardo indebito secondo la procedura indicata all'art. 7.

Specifiche disposizioni sono contenute all’art. 8 per assicurare l’interconnessione tra gli Stati membri, in particolare qualora vi siano più autorità competenti o organismi delegati. La Commissione europea mette a disposizione degli Stati membri un elenco di tutte le autorità competenti e degli organismi delegati designati dai medesimi, ai quali è fatto carico di tenere costantemente aggiornate tali informazioni.

Procedure di contenzioso

Si segnala che la Commissione europea, nell’ambito della procedura di infrazione 2014/287 (avviata  con la lettera di costituzione in mora del 28 maggio 2014), ha emesso un parere motivato ex art. 258 TFUE per il mancato recepimento della direttiva 2012/25/UE relativa alle procedure informative per lo scambio tra Stati membri di organi umani destinati ai trapianti.


 

 

Direttiva n. 2013/40/UE
(
Sanzioni per attacchi contro sistemi di informazione)

 

 

La direttiva in titolo modifica e amplia le disposizioni contenute nella decisione quadro 2005/222/GAI, che va a sostituire integralmente[10].

Essa stabilisce norme minime per la definizione dei reati e delle sanzioni nel settore degli attacchi contro i sistemi di informazione. Suoi obiettivi sono facilitare la prevenzione di tali reati e migliorare la cooperazione fra autorità giudiziarie e altre autorità competenti, compresi la polizia e i servizi degli Stati membri incaricati dell'applicazione della legge, nonché le competenti agenzie e gli organismi specializzati dell'Unione, come Eurojust, Europol e l'Agenzia per la sicurezza delle reti e dell'informazione (ENISA).

Al punto 15 delle premesse, la direttiva ricorda che il quadro giuridico di riferimento per la lotta contro la criminalità informatica, compresi gli attacchi contro i sistemi di informazione, è la Convenzione del 2001 del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, il cui processo di ratifica andrebbe completato il prima possibile.

La direttiva mantiene la maggior parte delle disposizioni contenute nella decisione quadro 2005/222/GAI:

-       la penalizzazione dell'accesso illecito (art. 3);

-       la penalizzazione dell'interferenza illecita relativamente ai sistemi (art. 4) e dell'interferenza illecita relativamente ai dati (art. 5);

-       la penalizzazione dell'istigazione, del favoreggiamento, del concorso e del tentativo di commettere tali reati (art. 8).

Essa contiene inoltre le seguenti previsioni:

-       la penalizzazione dell'intercettazione illecita (art. 6);

-       la penalizzazione della produzione e della messa a disposizione di strumenti quali programmi o password di computer, senza diritto e con l'intenzione di utilizzarli al fine di commettere i reati di cui agli artt. da 3 a 6. La direttiva si riferisce, in particolare, alla creazione delle "botnet", ossia all'azione con cui si stabilisce il controllo a distanza di un numero rilevante di computer infettandoli con software maligni per mezzo di attacchi informatici mirati (art. 7);

-       il rafforzamento della rete esistente di punti di contatto, come quella del G8 o quella del Consiglio d'Europa, disponibili ventiquattr'ore su ventiquattro e sette giorni su sette, con l'obbligo di rispondere entro otto ore alle richieste urgenti (art. 13);

-       la raccolta, da parte degli Stati membri, di dati statistici sui reati previsti nella presente direttiva (art. 14).

Per quanto riguarda le sanzioni penali applicabili, gli Stati membri dovranno assicurare: una pena detentiva massima non inferiore a due anni, almeno per i casi che non sono di minore gravità; una pena di detenzione massima di almeno tre anni, qualora un numero significativo di sistemi di informazione sia stato colpito avvalendosi di uno degli strumenti di cui all'art. 7; una pena detentiva non inferiore a cinque anni, qualora i reati di interferenza illecita siano stati commessi nell'ambito di un'organizzazione criminale[11], o abbiano causato gravi danni, o siano stati commessi ai danni di un sistema di informazione di un'infrastruttura critica (art. 9).

 

Il termine ultimo per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è fissato al 4 settembre 2015.


 

 

Direttiva n. 2013/48/UE
(
Diritti nel procedimento penale)

 

 

La direttiva in oggetto stabilisce norme minime relative al diritto di indagati e imputati di avvalersi di un difensore nei procedimenti penali, nonché nei procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo ai sensi della decisione quadro 2002/584/GAI, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari.

Essa fa parte della serie di misure previste dalla risoluzione del Consiglio del 30 novembre 2009 relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali, quale allegata al programma di Stoccolma approvato dal Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2009.

Per quanto concerne l'ambito di applicazione della direttiva, questa si applica a chiunque sia messo a conoscenza dalle autorità competenti di uno Stato membro, mediante notifica ufficiale o in altro modo, di essere indagato o imputato per un reato, fino alla conclusione del procedimento (comprese le eventuali impugnazioni). Si applica, inoltre, alle persone oggetto di un procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo a partire dal momento del loro arresto nello Stato membro di esecuzione. In ogni caso, la direttiva dovrà essere integralmente applicata se l'indagato o imputato è privato della libertà personale, indipendentemente dalla fase del procedimento penale (art. 2).

Le principali misure introdotte dalla direttiva sono le seguenti:

-       Gli Stati membri dovranno assicurare che, nel procedimento penale, indagati e imputati abbiano il diritto di avvalersi di un difensore senza indebito ritardo, a partire dal primo fra i momenti seguenti: prima di essere interrogati dalla polizia o da un'altra autorità di contrasto o giudiziaria; quando le autorità inquirenti o altre autorità competenti procedono ad atti investigativi o altri atti di raccolta delle prove (quali ricognizioni delle prove, confronti o ricostruzioni della scena di un crimine); dopo la privazione della libertà personale; qualora siano stati chiamati a comparire dinanzi a un giudice competente in materia penale, prima di comparire dinanzi a tale giudice (art. 3).

-       Gli Stati membri dovranno rispettare la riservatezza delle comunicazioni fra indagati o imputati e il loro difensore nell'esercizio del loro diritto di avvalersi di un difensore previsto dalla presente direttiva. Tale comunicazione comprende gli incontri, la corrispondenza, le conversazioni telefoniche e le altre forme consentite ai sensi del diritto nazionale (art. 4).

-       Indagati e imputati che sono privati della libertà personale avranno il diritto, se lo desiderano: di informare della privazione della libertà personale almeno una persona, quale un parente o un datore di lavoro, da loro indicata, senza indebito ritardo (art. 5); di comunicare senza indebito ritardo con almeno un terzo, quale un parente, da essi indicato (art. 6). Qualora l'indagato o imputato sia un minore, il titolare della potestà genitoriale dovrà essere informato quanto prima della privazione della libertà personale e dei relativi motivi, salvo che ciò sia contrario all'interesse superiore del minore.

-       Indagati o imputati privati della libertà personale in un altro Stato membro avranno il diritto di informare le autorità consolari del loro Stato di cittadinanza. Avranno inoltre il diritto di ricevere visite delle loro autorità consolari, il diritto di conversare e di corrispondere con esse nonché il diritto a un'assistenza legale da queste predisposta (art. 7).

-       Gli Stati membri potranno autorizzare deroghe temporanee ai diritti conferiti dalla presente direttiva in circostanze eccezionali e sulla base di uno dei "motivi imperativi" definiti dalla direttiva stessa: a causa della lontananza geografica dell'indagato o imputato; nel caso vi sia necessità impellente di evitare gravi conseguenze negative per la vita, la libertà o l'integrità fisica di una persona; qualora vi sia la necessità indispensabile di un intervento immediato delle autorità inquirenti per evitare di compromettere in modo sostanziale un procedimento penale (artt. 3, 5 e 8).

-       Nel procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo, le "persone ricercate" avranno diritto di avvalersi di un difensore nello Stato membro di esecuzione e di nominare un difensore nello Stato membro di emissione (art. 10).

Gli Stati membri dovranno infine garantire che, nell'applicazione della direttiva, si tenga conto delle particolari esigenze di indagati e imputati vulnerabili (art. 13).

 

L'art. 15 fissa al 27 novembre 2016 il termine ultimo per il recepimento della direttiva.

 


 

 

Direttiva n. 2013/53/UE
(
Imbarcazioni da diporto)

 

 

La direttiva 2013/53/UE, relativa alle imbarcazioni da diporto e alle moto d'acqua e che abroga la precedente direttiva 94/25/CE è stata spostata dall'Allegato A all'Allegato B nel corso dell'esame al Senato.

La precedente direttiva 94/25/CE ha disciplinato il ravvicinamento delle disposizioni riguardanti le imbarcazioni da diporto, nel quadro della realizzazione del mercato interno, al fine in particolare di armonizzare le caratteristiche di sicurezza delle imbarcazioni da diporto in tutti gli Stati membri e di rimuovere gli ostacoli al commercio di tali beni. Successivamente, la direttiva 2003/44/CE, ha modificato la direttiva 94/25/CE, estendendone l’ambito di applicazione alle moto d’acqua, e vi ha integrato requisiti di protezione ambientale.

Gli sviluppi tecnologici del mercato, tuttavia, hanno sollevato nuovi problemi riguardo ai requisiti ambientali della direttiva 94/25/CE. Per tenere conto di tali sviluppi e chiarire il quadro relativo alla commercializzazione, nonché rivedere e migliorare alcuni aspetti della direttiva 94/25/CE, è stata adottata la direttiva 2013/53/UE, che ha quindi sostituito la precedente.

La direttiva fissa innanzitutto i requisiti essenziali dei prodotti (allegato 1), gli obblighi dei fabbricanti per quanto riguarda le procedure di fabbricazione, la documentazione tecnica e le informazioni da fornire al consumatore. Inoltre la direttiva definisce gli obblighi degli importatori, anche privati, e dei distributori.

Per assicurare infatti la coerenza alla normativa che instaura un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti, vi sono alcuni aspetti della direttiva 2013/53/UE che vengono adeguati e coordinati con i principi comuni e le disposizioni di riferimento sul quadro comune per la commercializzazione dei prodotti. Si tratta degli obblighi generali degli operatori economici, della presunzione di conformità, delle norme sulla marcatura CE, delle prescrizioni relative agli organismi di valutazione della conformità e alle procedure di notifica, nonché delle disposizioni riguardanti le procedure relative a prodotti che comportano rischi.

Gli operatori economici interessati dall'applicazione della direttiva, redigendo la dichiarazione di conformità alla normativa europea richiesta si assumono la responsabilità della conformità del prodotto. Ai prodotti dichiarati conformi possono essere apposti i contrassegni di marcatura CE che garantiscono che i prodotti siano conformi.

La direttiva regola inoltre le procedure di valutazione della conformità applicabili, i requisiti di progettazione e costruzione relativi anche ai dispositivi di controllo dell'inquinamento (scarichi, dispositivi acustici, ecc...) e contiene norme sulla valutazione post-costruzione delle imbarcazioni da diporto e delle moto d'acqua da parte o dei fabbricanti stessi o dei distributori. Ai fini di chiarezza, la direttiva specifica in quali situazioni si può utilizzare la valutazione post-costruzione. La conformità basata su una valutazione post-costruzione è la procedura atta a valutare la conformità equivalente di un prodotto nel caso in cui il fabbricante non se ne sia assunto la responsabilità, e con cui la persona fisica o giuridica che immette il prodotto sul mercato o lo mette in servizio sotto la propria responsabilità si assume la responsabilità della conformità equivalente del prodotto.

La direttiva reca infine disposizioni sugli organismi che effettuano la valutazione sulla conformità dei prodotti in tutti gli Stati membri e sulle autorità nazionali di controllo. Gli Stati devono inoltre assicurare, attraverso apposite autorità, l'attività di vigilanza del mercato, soprattutto in caso di rischi per la salute, la sicurezza o l'ambiente. Gli Stati membri devono fare in modo che gli operatori economici, se necessario, adottino le misure correttive richieste e possono adottare disposizioni per il ritiro dal mercato del prodotto non conforme. La Commissione può verificare se tale misura sia giustificata o meno. Nella direttiva comunque sono indicati i casi di non conformità formale che giustificano il ritiro dal mercato dei prodotti o il divieto della loro importazione.

Al fine di controllo della adeguatezza dei requisiti ambientali la direttiva prevede che a partire dal 2021 e successivamente ogni  cinque anni gli Stati membri forniscano alla Commissione una serie di informazioni sull'applicazione della direttiva e che la Commissione a sua volta presenti una relazione al Parlamento.

Gli Stati membri stabiliscono le norme sulle sanzioni, che possono comprendere sanzioni penali per le violazioni gravi, applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della direttiva e adottano tutte le misure necessarie per garantirne l’applicazione.

 

Il termine fissato per l'adozione di misure nazionali di recepimento della direttiva è il 18 gennaio 2016, ma è previsto un regime transitorio fino al 18 gennaio 2017 per consentire la messa sul mercato di prodotti conformi alla vecchia direttiva 94/25/CE.


 

 

Direttiva n. 2013/54/UE
(
Lavoro marittimo)

 

 

La direttiva 2013/54/UE intende assicurare che gli Stati membri adempiano agli obblighi derivanti, nella qualità di Stato di bandiera, dalla Convenzione sul lavoro marittimo (CLM) del 2006 dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Quest'ultima Convenzione fissa, a livello mondiale, norme minime comuni, nel settore marittimo, per tutte le bandiere e per tutti i lavoratori coinvolti.

 

A tal fine, l'art. 3, par. 1 della direttiva incarica gli Stati membri di garantire l'istituzione di meccanismi di attuazione e controllo, comprese le ispezioni, per assicurare che "le condizioni di vita e di lavoro dei marittimi che lavorano a bordo di navi battenti la loro bandiera soddisfino e continuino a soddisfare" le prescrizioni della CLM.

Le ispezioni possono essere svolte da istituzioni pubbliche o da altri organismi, anche di un altro Stato membro, sulla base di un'autorizzazione dello Stato membro interessato (art. 3, par. 3), con l'ausilio di personale la cui competenza e formazione deve essere assicurata ai sensi dell'art. 4.

Viene espressamente specificato che "uno Stato membro conserva la piena responsabilità dell'ispezione delle condizioni di vita e di lavoro dei marittimi a bordo delle navi battenti la bandiera di tale Stato membro" (art. 3, par. 3). Anche per questo l'art. 4, par. 3, incarica gli Stati membri di predisporre, accanto ad un sistema atto a garantire l'adeguatezza del lavoro svolto dagli organismi riconosciuti, anche "le procedure di comunicazione con tali organismi e il controllo del loro operato" (art. 4, par. 3, lett. b).

Le autorizzazioni rilasciate dagli Stati membri "conferiscono all'organismo riconosciuto, come minimo, il potere di esigere la correzione delle carenze da esso riscontrate nelle condizioni di vita e di lavoro dei marittimi e di effettuare le relative ispezioni su richiesta dello Stato di approdo" (art. 4, par. 2). Gli ispettori sono inoltre, se del caso, autorizzati ad adottare "provvedimenti allo scopo di vietare alla nave di lasciare il porto fino a quando non siano state adottate le misure necessarie" (art. 4, par. 1).

L'art. 5 incarica altresì gli Stati membri di provvedere affinché le proprie disposizioni legislative e regolamentari prevedano idonee procedure di reclamo a bordo, la procedura per l'analisi delle quali è descritta nel medesimo art. 5.

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva è il 31 marzo 2015.

Procedure di contenzioso

In materia di lavoro marittimo, si segnala che il 25 novembre 2014 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2014_0515) per il mancato recepimento della direttiva 2009/13/CE recante attuazione dell’accordo concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) sulla convenzione sul lavoro marittimo del 2006.

Il termine per il recepimento scadeva il 20 agosto 2014.

Al riguardo, è opportuno ricordare che nell’ottobre 2014 la Camera ha concluso l’esame parlamentare dello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2009/13/CE (Atto del Governo n. 104). Le Commissioni XI Lavoro e XIV Politiche dell’Unione europea hanno espresso parere favorevole con osservazioni.

Il decreto legislativo non risulta approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri, né pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

 

Si segnala che le disposizioni di attuazione della direttiva 2009/13/CE sono inserite all’articolo 15 del disegno di legge europea 2014 (C. 2977), attualmente all’esame della XIV Commissione della Camera dei deputati.

 

 

 


 

Direttiva n. 2013/55/UE
(
Qualifiche professionali)

 

 

La direttiva 2013/55/UE, entrata in vigore il 17 gennaio 2014, riguarda il riconoscimento delle qualifiche professionali nonché la prestazione dei relativi servizi. A tal fine, la Direttiva in esame modifica sotto molteplici profili la precedente direttiva in materia, n. 2005/36/CE, e sostituisce il punto 2 dell'allegato del cosiddetto "regolamento IMI", vale a dire il Regolamento (UE) n. 1024/2012 concernente la cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno. L'ammodernamento del diritto dell'Unione in questo campo è volto a stimolare la crescita e a ridurre gli oneri amministrativi connessi al riconoscimento delle qualifiche professionali.

Ai sensi dell'articolo 1 della Direttiva 2013/55/UE, la nuova versione della Direttiva 2005/36/CE comprenderà anche regole relative all'accesso parziale a una professione regolamentata nonché al riconoscimento di tirocini professionali effettuati in un altro Stato membro e si applicherà anche a tutti i cittadini di uno Stato membro che hanno effettuato un tirocinio professionale al di fuori dello Stato membro d'origine. L'articolo 1 della Direttiva 2013/55/UE contiene espressi riferimenti ad alcune aree - come medicina specialistica, odontoiatria, farmacia, infermieristica,  ostetricia, architettura -, per le quali reca specifiche prescrizioni. Sempre in base all'articolo 1 della Direttiva 2013/55/UE, la normativa dettata dalla Direttiva 2005/36/CE non si applica invece ai notai nominati con atto ufficiale della pubblica amministrazione.

Tra le principali novità recate dall'articolo 1 della Direttiva 2013/55/UE, si segnala l'istituzione di una tessera professionale europea. Si tratta di un certificato elettronico attestante o che il professionista ha soddisfatto tutte le condizioni necessarie per fornire servizi, su base temporanea e occasionale, in uno Stato membro ospitante, o il riconoscimento delle qualifiche professionali ai fini dello stabilimento del suddetto professionista in uno Stato membro ospitante. La tessera europea deve essere rilasciata su richiesta da parte del professionista e in seguito alla presentazione dei documenti necessari e all'espletamento delle corrispondenti procedure di verifica ad opera dell'autorità competente. I professionisti che beneficiano del riconoscimento delle qualifiche professionali devono possedere la conoscenza delle lingue necessaria all'esercizio della professione nello Stato membro ospitante. Quest'ultimo effettua controlli in tal senso. Il controllo linguistico è proporzionato all'attività da eseguire. I riconoscimenti delle qualifiche professionali sono automatici qualora sussistano quadri di formazione professionale comuni. A tal fine, i parametri si basano sui livelli dell'EQF, che è il quadro europeo delle qualifiche volto a favorire la trasparenza e la comparabilità delle qualifiche professionali. Il quadro comune di formazione consente ai cittadini di un qualsiasi Stato membro di acquisire la qualifica professionale prevista nell'ambito di detto quadro senza dover essere già membri di una qualsiasi organizzazione professionale o essere iscritti presso detta organizzazione.

Per quanto riguarda le attività facenti parte di una professione con un ambito di attività più esteso che nello Stato membro di origine, lo Stato membro ospitante, a determinate condizioni, previste dall'autorità nazionale competente, accorda un accesso parziale a un'attività professionale sul proprio territorio, previa valutazione di ciascun singolo caso.

Le autorità competenti dello Stato membro d'origine e dello Stato membro ospitante, tramite il sistema di informazione IMI di cui sopra, si scambiano informazioni concernenti azioni disciplinari, sanzioni penali adottate o qualsiasi altra circostanza specifica grave che potrebbero avere conseguenze sull'esercizio delle attività previste dalla direttiva 2005/36/CE, nel rispetto delle norme sulla protezione dei dati personali. Entro il 18 gennaio 2016 ciascuno Stato membro dovrà designare un centro di assistenza incaricato di fornire ai cittadini, nonché agli omologhi centri di assistenza degli altri Stati membri, l'assistenza necessaria in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali, incluse le informazioni sulla legislazione nazionale che disciplina le professioni e l'esercizio delle stesse, sulla legislazione sociale ed eventualmente sul codice deontologico.

L'articolo 2 della Direttiva 2013/55/UE interviene sul punto 2 dell'allegato del Regolamento UE n. 1024/2012, adeguandolo a talune modifiche contestualmente apportate alla Direttiva 2005/36/CE.

L'articolo 3 della Direttiva 2013/55/UE impegna gli Stati membri ad attuare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 18 gennaio 2016, con un'eccezione riguardante la formazione in ostetricia, per la quale il termine è differito al 18 gennaio 2020. Inoltre, gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione Europea i testi delle misure di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla direttiva in oggetto.

 


 

Direttiva n. 2013/56/UE
(
Pile e accumulatori contenenti cadmio)

 

 

La direttiva 2013/56/UE, entrata in vigore il 30 dicembre 2013, modifica in più punti la direttiva 2006/66/CE, relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori, per quanto riguarda l'immissione sul mercato di batterie portatili e di accumulatori contenenti cadmio destinati a essere utilizzati negli utensili elettrici senza fili, e di pile a bottone con un basso tenore di mercurio.

 

La direttiva 2006/66 riguarda i prodotti del mercato delle batterie “primarie” (“non ricaricabili”) e “secondarie” (“ricaricabili”, più propriamente definite “accumulatori”) che può essere suddiviso in due gruppi principali: il settore "portatile", nel quale le batterie generalmente pesano meno di 1 kg ed il settore "industriale e da autotrazione", nel quale le batterie generalmente pesano più di 1 kg.. La direttiva 2006/66/CE stabilisce principalmente le norme in materia di immissione sul mercato delle pile e degli accumulatori, il divieto di immettere sul mercato pile e accumulatori contenenti sostanze pericolose, le deroghe previste, e le norme specifiche per la raccolta, il trattamento, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti di pile e accumulatori. Essa si applica, fatte salve le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso e 2002/96/CE sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), a tutti i tipi di pile e accumulatori, indipendentemente dalla forma, dal volume, dal peso, dalla composizione materiale o dall'uso cui sono destinati, con alcune eccezioni correlate alla sicurezza dello Stato e a fini spaziali.

La direttiva 2006/66 è stata attuata dal decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188, successivamente modificato dal D.lgs. 21/2011, intervenuto per introdurre le modiche recate dalla direttiva 2008/103/CE e dalla decisione della Commissione 2009/603/CE.

Da ultimo, l’articolo 21 della legge 97/2013 (legge europea 2013) ha novellato il decreto legislativo 188/2008, al fine di dare una più compiuta attuazione alla direttiva 2006/66/CE, per ovviare alla messa in mora da parte della Commissione europea circa la non corretta trasposizione della suddetta direttiva europea 2006/66/CE, assunta con decisione del 27 gennaio 2012 (procedura di infrazione n. 2011/2218).

 

La direttiva 2013/56 deve essere recepita, come stabilito dall’articolo 3, entro il 1° luglio 2015. A decorrere dalla medesima data, l’articolo 2 della direttiva 2013/56 stabilisce inoltre l’abrogazione della decisione 2009/603/CE, che prevede gli obblighi di registrazione dei produttori di pile e accumulatori in conformità della direttiva 2006/66/CE, ora riportati nell’Allegato IV aggiunto alla direttiva 2006/66.

Di seguito, sono individuati gli ambiti delle disposizioni puntualmente modificate dall’articolo 1 della direttiva 2013/56.

 

 

 

Nuovi termini temporali per le esclusioni dai divieti di immissione sul mercato di pile e accumulatori non in regola

 

La direttiva 2006/66/CE ha vietato l'immissione sul mercato di tutte le pile o accumulatori, incorporati o meno in apparecchi, contenenti più dello 0,0005% di mercurio in peso (art. 4, par. 1, lettera a) e l'immissione sul mercato di pile o accumulatori portatili, compresi quelli incorporati in apparecchi, contenenti oltre lo 0,002% di cadmio in peso (art. 4, par. 1, lettera b), prevedendo l’esclusione da tali divieti per le pile a bottone con un tenore di mercurio non superiore al 2% in peso (art. 4, par. 2), e, tra l’altro, per le pile e gli accumulatori portatili destinati all'uso negli utensili elettrici senza fili (art. 4, par.3, lettera c).

La direttiva 2013/56 modificando la direttiva 2006/66 ha circoscritto la deroga ai suddetti divieti, prevedendo precisi limiti temporali.

In particolare, l’articolo 1, numero 1), lettere a) e b), della nuova direttiva ha stabilito che la deroga al divieto di immissione sul mercato è fissata, rispettivamente, per:

1)    le pile a bottone con un tenore di mercurio non superiore al 2 per cento in peso, fino al 1° ottobre 2015 (art. 4, nuovo par. 2);

2)    le pile e gli accumulatori portatili destinati ad essere utilizzati in utensili elettrici senza fili, fino al 31 dicembre 2016 (art. 4, nuovo par. 3, lett. c).

 

La direttiva 2013/56, all’articolo 1, numero 1, lettera c) modifica inoltre il paragrafo 4 dell’articolo 4 della direttiva 2006/66, prevedendo che, in caso di mancanza di disponibilità di pile a bottone per protesi acustiche conformi al paragrafo 1, lettera a), cioè contenenti fino allo 0,0005% di mercurio in peso, la Commissione possa proporre l’esclusione per le pile a bottone medesime dal divieto di immissione previsto; tuttavia, la Commissione, con la prevista relazione COM(2014) 632 final, resa nel mese di ottobre 2014, in merito alla disponibilità sul mercato di pile a bottone senza mercurio per protesi acustiche, conformemente al nuovo articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2006/66/CE, non ha ritenuto necessario prorogare la suddetta deroga fissata al 1° ottobre 2015.

 

Il numero 2 dell’articolo 1 modifica l’articolo 6 della direttiva 2006/66 che disciplina l’immissione sul mercato di pile e accumulatori. In particolare, viene sostituito il paragrafo 2 dell’articolo 6 della direttiva 2006/66 che prevedeva che gli Stati membri ritirassero dal mercato le pile e gli accumulatori non in regola.

Il nuovo paragrafo 2 dell’articolo 6 della direttiva 2006/66 prevede ora che le pile e gli accumulatori non in regola, ma legalmente introdotti sul mercato prima della data di applicazione dei rispettivi divieti di cui all’articolo 4, possano essere commercializzati fino ad esaurimento delle scorte.

 


 

 

Obiettivi di raccolta dei rifiuti di pile e accumulatori

 

Il numero 3 dell’articolo 1 modifica l’art. 10, par. 4, della direttiva 2006/66 ed introduce la possibilità, da parte della Commissione, di adottare atti di esecuzione, ai sensi dell'art. 291 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, per stabilire disposizioni transitorie al fine di risolvere le difficoltà incontrate da uno Stato membro nel soddisfare i tassi di raccolta (vedi infra art. 10, par. 2 della direttiva 2006/66), a causa di circostanze nazionali specifiche, e per definire inoltre una metodologia comune per calcolare le vendite annuali di pile e accumulatori portatili agli utilizzatori finali definita entro il 26 settembre 2007. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 24, paragrafo 2.

Si ricorda che il paragrafo 2 dell’art. 10 della direttiva 2006/66 stabilisce che gli Stati membri conseguano almeno i seguenti tassi di raccolta di rifiuti di pile e accumulatori portatili:

a) 25% entro il 26 settembre 2012;

b) 45% entro il 26 settembre 2016.

 

 

Rimozione di rifiuti di pile e accumulatori

 

Il numero 4 dell’articolo 1 sostituisce l’articolo 11 della direttiva 2006/66 ed introduce la figura del professionista qualificato indipendente dai produttori per la rimozione di rifiuti di pile e accumulatori.

In particolare, viene introdotto l’obbligo a carico dei produttori di progettare gli apparecchi in modo tale che i rifiuti di pile e accumulatori siano prontamente rimovibili da professionisti qualificati indipendenti dai produttori, qualora tali rifiuti non possano essere prontamente rimossi dall'utilizzatore finale.

 

 

Trattamento e riciclaggio di pile e accumulatori

 

I numeri 5 e 6 dell’articolo 1 modificano l’articolo 12 della direttiva 2006/66, che disciplina il trattamento e il riciclaggio di pile e accumulatori contenenti cadmio, mercurio o piombo, prevedendo altresì il conferimento in discariche o depositi sotterranei, allorché non disponibile un mercato finale valido.

Il numero 5 dell’articolo 1 sostituisce il paragrafo 6 dell’articolo 12 della direttiva 2006/66 e prevede l’emanazione da parte della Commissione di atti di esecuzione per l’adozione di norme dettagliate per il calcolo delle efficienze di riciclaggio. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 24, paragrafo 2.

Il citato paragrafo 6 dell’articolo 12 prevedeva l’adattamento o l’integrazione, entro il 26 marzo 2010, dell’allegato III recante i requisiti dettagliati in materia di trattamento e di riciclaggio della direttiva 2006/66, secondo la procedura di cui all'articolo 24, paragrafo 2, in cui in particolare erano contenute le seguenti efficienze minime di riciclaggio:

a) riciclaggio del 65 % in peso medio di pile e accumulatori al piombo/acido e massimo riciclaggio del contenuto di piombo che fosse tecnicamente possibile evitando costi eccessivi;

b) riciclaggio del 75 % in peso medio di pile e accumulatori al nichel-cadmio e massimo riciclaggio del contenuto di cadmio che fosse tecnicamente possibile evitando costi eccessivi;

c) riciclaggio del 50 % in peso medio degli altri rifiuti di pile e accumulatori.

 

Il numero 6 dell’art. 1 sopprime il paragrafo 7 dell’articolo 12 della direttiva 2006/66 che prevedeva una consultazione da parte della Commissione, prima di proporre modifiche dell'allegato III, delle parti interessate (produttori, operatori addetti alla raccolta e al riciclaggio, operatori di impianti di trattamento, organizzazioni ambientalistiche, organizzazioni dei consumatori e associazioni dei lavoratori).

 

Il numero 7 dell’articolo 1 sostituisce il paragrafo 3 dell’articolo 15 della direttiva 2006/66 recante la disciplina sulle esportazioni per il trattamento e il riciclaggio dei rifiuti di pile e accumulatori, che prevedeva, per l’attuazione delle norme contenute nel medesimo articolo 15, la procedura di cui all'articolo 24, paragrafo 2.

Il nuovo paragrafo 3 conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati, ai sensi dell'art. 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, conformemente all'articolo 23 bis, per stabilire norme dettagliate volte a integrare le norme di cui al paragrafo 2 dell’articolo 15 medesimo, in particolare, sui criteri per la valutazione delle condizioni equivalenti ivi menzionate.

 

Il paragrafo 2 dell’articolo 15 della direttiva 2006/66 disciplina l’esportazione dei rifiuti di pile e accumulatori al di fuori della Unione europea, stabilendo che i medesimi rifiuti sono conteggiati ai fini dell'adempimento degli obblighi e del conseguimento delle efficienze stabilite nell'allegato III della direttiva 2006/66 (vedi supra) solo se esistono prove tangibili che l'operazione di riciclaggio ha avuto luogo in condizioni equivalenti a quelle prescritte dalla direttiva medesima.

 

 

Registrazione dei produttori e piccoli produttori

 

Il numero 8 dell’articolo 1 sostituisce l’articolo 17 della direttiva 2006/66, in merito alla disciplina per la registrazione dei produttori, prevedendo in particolare gli stessi obblighi procedurali in ogni Stato membro a norma dell'allegato IV.

Il numero 9 dell’articolo 1 sostituisce il paragrafo 2 dell’articolo 18, recante la disciplina per i produttori di piccolissime quantità di pile o accumulatori, relativamente alla pubblicità e alla comunicazione alla Commissione e agli altri Stati membri delle misure di deroga, adottate dai singoli Stati, riguardo al finanziamento delle operazioni di raccolta, trattamento e riciclaggio di tutti i rifiuti di pile e accumulatori a carico dei produttori.

Il numero 14 dell’articolo 1 introduce l’allegato IV alla direttiva 2006/66 che disciplina gli obblighi procedurali di registrazione dei produttori.

 

 

Etichettatura

 

Il numero 10 dell’articolo 1 sostituisce con le lettere a) e b), rispettivamente, i paragrafi 2 e 7 dell’articolo 21 della direttiva 2006/66.

Con la prima modifica, viene conferito alla Commissione il potere di adottare atti delegati, conformemente all'articolo 23 bis, per stabilire norme dettagliate per integrare l’obbligo previsto di indicare la capacità di tutte le pile e gli accumulatori portatili su di essi, in modo visibile, leggibile e indelebile, compresi metodi armonizzati per la determinazione della capacità e dell'uso appropriato adottati entro il 26 marzo 2009.

Con la seconda modifica si conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati conformemente all'articolo 23 bis per la concessione di deroghe all'obbligo di etichettatura stabilito nel medesimo articolo 21, adottati con la consultazione delle parti interessate (produttori, operatori addetti alla raccolta e al riciclaggio, operatori di impianti di trattamento, organizzazioni ambientalistiche, organizzazioni dei consumatori e associazioni dei lavoratori).

 

 

Relazioni, procedure di comitato e esercizio della delega

 

I numeri 11 e 13 dell’articolo 1 intervengono, rispettivamente, con riguardo ai rapporti nazionali sull'attuazione della direttiva, prevedendo atti di esecuzione per i questionari o gli schemi utilizzati per la redazione delle relazioni previste, e alla procedura di comitato come indicata dall’articolo 24 della direttiva 2006/66.

Il numero 12 dell’articolo 1 aggiunge l’art. 23-bis, che stabilisce le condizioni poste per l’adozione di atti delegati da parte della Commissione con riguardo a disposizioni previste nella direttiva. In particolare, tale potere è conferito alla Commissione per un periodo di cinque anni a decorrere dal 30 dicembre 2013, e, tacitamente, viene prorogato per periodi di identica durata, a meno che il Parlamento europeo o il Consiglio non si oppongano a tale proroga al più tardi tre mesi prima della scadenza di ciascun periodo.

 


 

Direttiva n. 2013/59/Euratom
(
Esposizione a radiazioni ionizzanti)

 

 

La direttiva 2013/59/Euratom reca le norme fondamentali ed uniformi relative alla protezione sanitaria delle persone soggette ad esposizione professionale, medica e della popolazione contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti. La direttiva si applica a qualsiasi situazione di esposizione pianificata, esistente o di emergenza che comporti un rischio che non possa essere trascurato dal punto di vista della radioprotezione "in relazione all'ambiente, in vista della protezione della salute umana nel lungo termine".

Ai sensi dell'articolo 106, il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 6 febbraio 2018.

 

I principi e i criteri direttivi specifici per il recepimento della direttiva erano contenuti nell’art. 10 del testo originario del disegno di legge in esame, soppresso dalla 14a Commissione del Senato nel corso dell'esame in sede referente.  Tali principi e criteri direttivi specifici si aggiungevano a quelli generali, richiamati dall'art. 1, co. 1, del disegno di legge di delegazione. Dopo la soppressione dell’art. 10, restano pertanto validi i principi e criteri direttivi generali (la direttiva è inserita nell'allegato B del disegno di legge).  La relatrice del disegno di legge, sen. Guerra, nel corso della seduta  del 25 marzo 2015 ha motivato la soppressione dell’art. 10 in considerazione dell’esigenza di una rapida approvazione del disegno di legge di delegazione europea, che avrebbe potuto subire ritardi per possibili profili di compatibilità finanziaria dello stesso articolo 10. Infatti, nel corso dell’esame in sede consultiva, la Commissione bilancio del Senato aveva richiesto una relazione tecnica al Governo per esaminare le possibili ricadute sul versante della spesa pubblica di quanto previsto dallo stesso articolo 10. La relazione non è stata prodotta, e in sua  assenza, si è preferito sopprimere l’articolo. Si ricorda infine che presso il Ministero dello sviluppo economico è stato istituito un tavolo istruttorio interistituzionale, organizzato in gruppi tecnici, che, attraverso l'analisi della complessa materia di radioprotezione e il confronto con esperti del settore, lavora su possibili contenuti del decreto legislativo di recepimento.

I principi e criteri direttivi specifici recati dal soppresso art. 10 prevedevano:

1.      il riordino ed il coordinamento delle norme vigenti in materia di protezione contro le radiazioni;

2.      l'introduzione, ove necessario "e in linea con i presupposti della direttiva 2013/59/Euratom", di misure di protezione della popolazione e dei lavoratori più rigorose rispetto alle norme minime previste dalla medesima direttiva, fatto salvo il rispetto della libera circolazione delle merci e dei servizi.     Le misure di maggiore protezione riguardavano nello specifico il rafforzamento e l'ottimizzazione del controllo della radioattività nell’ambiente e negli alimenti; la revisione, riguardo alle esposizioni mediche, dei requisiti riguardanti le informazioni ai pazienti, la registrazione e la comunicazione delle dosi dovute alle procedure mediche, l’adozione di livelli di riferimento diagnostici, la gestione delle apparecchiature, nonché la disponibilità di dispositivi che segnalino la dose; una chiara individuazione dei requisiti, compiti e responsabilità dei professionisti coinvolti nelle esposizioni mediche; l'aggiornamento dei requisiti, compiti e responsabilità delle figure professionali coinvolte nella protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione; l'introduzione di una regolamentazione specifica sulle esposizioni deliberate di individui a scopi diversi da quello medico (con attrezzature medico-radiologiche o senza), nel rispetto del principio di giustificazione e con attribuzione della responsabilità della valutazione; l'attuazione di un "piano di azione nazionale radon" per la prevenzione e la riduzione degli effetti sanitari dell’esposizione al radon nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro; la "razionalizzazione" dei procedimenti autorizzativi. Quest'ultima "razionalizzazione", secondo la relazione illustrativa del disegno di legge, consentirà anche di colmare alcune lacune, relative a "casistiche" emerse successivamente all'adozione della disciplina di cui al citato D.Lgs. n. 230 del 1995;

3.      la revisione e razionalizzazione dell’apparato sanzionatorio amministrativo e penale, per “consentire una migliore efficacia della prevenzione delle violazioni”;

4.      la destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative al finanziamento delle attività inerenti la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti, incluse le attività di vigilanza, controllo, formazione ed informazione.

 

La direttiva 2013/59 /Euratom ha aggiornato e raccolto in un quadro unitario le disposizioni di 5 precedenti direttive - abrogate esplicitamente[12] - introducendo ulteriori tematiche, in precedenza trattate solo in raccomandazioni europee, come l'esposizione al radon nelle abitazioni, o non considerate, come le esposizioni volontarie per motivi non medici.

 

L'art. 54 ( Radon nei luoghi di lavoro) richiede agli Stati Membri di stabilire livelli di riferimento nazionali per le concentrazioni di Radon nei luoghi di lavoro che non devono superare la media annua di 300 Bq/mc. Anche per quanto riguarda l'esposizione al Radon in ambienti chiusi, l'art. 74 richiede agli Stati membri di stabilire livelli di riferimento nazionali che non devono essere superiori a 300 Bq/mc come media annua. Gli Stati dovranno inoltre promuovere interventi volti a individuare le abitazioni che presentano concentrazioni superiori al livello di riferimento e dovranno incoraggiare l’adozione di misure atte alla riduzione di tale concentrazione. L'art. 103 (Piano d'azione per il Radon) richiede agli Stati Membri di definire un piano d'azione nazionale che affronti i rischi di lungo termine dovuti alle esposizioni al Radon nelle abitazioni, negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro per qualsiasi fonte di Radon, sia essa il suolo, i materiali da costruzione o l'acqua in base alle considerazioni sugli aspetti individuati nell'allegato XVIII.

In Italia, il Piano Nazionale Radon (PNR) è stato predisposto nel 2002 e prevede il complesso di azioni necessarie per ridurre il rischio di tumore polmonare associato all’esposizione al radon. Infatti, il PNR rappresenta uno strumento necessario per:

La realizzazione del PNR ha avuto inizio attraverso il progetto Avvio del Piano Nazionale Radon per la riduzione del rischio di tumore polmonare in Italia (acronimo PNR-CCM), approvato nel 2005 dal CCM (Centro Nazionale per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie). Il coordinamento di tale progetto è stato affidato all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), e le attività hanno coinvolto, oltre all'ISS, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA, ex-APAT), l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro (ISPESL, ora INAIL), le Regioni (ARPA e assessorati alla sanità), nonché alcune università. Per dare continuità alle attività intraprese nell’ambito del progetto PNR-CCM, nel 2012, il Ministero della Salute ha approvato il progetto biennale Piano Nazionale Radon per la riduzione del rischio di tumore polmonare in Italia: seconda fase di attuazione (acronimo PNR-II), anch’esso affidato all’ISS.

 

La direttiva, al Capo III, demanda agli Stati membri la predisposizione di un sistema di controllo, inteso a garantire un regime di protezione informato ai principii di giustificazione, ottimizzazione e limitazione delle dosi radioattive. Ai fini dell'ottimizzazione, la direttiva reca prescrizioni in merito a vincoli di dose per l'esposizione professionale, per l'esposizione della popolazione e per quella medica. Gli Stati membri sono altresì chiamati alla predisposizione di livelli di riferimento per le esposizioni di emergenza e per le esposizioni esistenti (queste ultime sono quelle già presenti quando deve essere adottata una decisione sul controllo e per le quali non è necessaria o non è più necessaria l'adozione di misure urgenti). Con riferimento alla limitazione delle dosi sui luoghi di lavoro, la direttiva prescrive limiti in relazione all'età (in particolare, prevedendo che soggetti di età inferiore a 18 anni non possano essere adibiti a lavori che comportino esposizioni alle radiazioni ionizzanti), allo stato di gravidanza e di allattamento, all'esposizione di apprendisti e studenti. Sono dettate norme specifiche anche in relazione all'esposizione della popolazione. In generale, con riferimento all'esposizione professionale e a quella della popolazione, i limiti si applicano alla somma delle esposizioni di un lavoratore - o dell'individuo della popolazione - considerando tutte le pratiche autorizzate.

 

Sono inoltre stabilite disposizioni relative alla formazione ed all'informazione dei lavoratori esposti, di quelli addetti alle emergenze e di quelli operanti nel settore dell'esposizione medica (Capo IV).

 

Con riferimento al principio della giustificazione, la direttiva, al Capo V, stabilisce che gli Stati membri devono applicare il medesimo con riferimento ad ogni nuova pratica che comporti un'esposizione a radiazioni ionizzanti. Al fine di rendere il principio effettivo, si prevede l'obbligo, da parte di un operatore che intenda fabbricare, importare o esportare un prodotto a rischio, di fornire tutte le informazioni alle autorità competenti. Sulla base di tali evidenze, lo Stato membro decide se l'uso del prodotto di consumo sia giustificato. Non è comunque giustificata l'aggiunta intenzionale di sostanze radioattive nella produzione di alimenti, mangimi per animali, cosmetici, giocattoli ed ornamenti personali; di tali prodotti è vietata l'importazione e l'esportazione. Sono inoltre vietate le pratiche implicanti l'attivazione di materiali che comportino un aumento dell'attività che non possa essere trascurato dal punto di vista della radioprotezione.

Il medesimo Capo V reca disposizioni relative al controllo regolamentare,  che consiste in qualsiasi forma di controllo o regolamentazione applicati alle attività umane per l'attuazione delle prescrizioni in materia di radioprotezione. Tali disposizioni prevedono, in particolare, una procedura di notifica - e relativi casi di esonero -prima dell'inizio della pratica presumibilmente rischiosa, la registrazione ovvero il rilascio di licenze per talune pratiche. Il rilascio di licenza deve essere per esempio previsto per diverse attività, quali  la somministrazione intenzionale di sostanze radioattive, il funzionamento e disattivazione di impianti nucleari, le attività connesse alla gestione di residui radioattivi.

 

I successivi Capi VI, VII e VIII recano disposizioni relative, rispettivamente, alle esposizioni professionali, alle esposizioni mediche ed a quelle pubbliche. Con riferimento all'esposizione pubblica, sono contemplati specifici interventi in casi di emergenza.

 

La nuova Direttiva Euratom 59/2013 conferma e rafforza quanto già previsto dal decreto legislativo 187/2000 in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche. In tal senso, la radioprotezione del paziente risulta dal concorso di tutti gli attori coinvolti, ovvero ogni esposizione medica è effettuata sotto la responsabilità clinica di un medico specialista; lo specialista in fisica medica e le persone addette agli aspetti pratici delle procedure medico-radiologiche, quali i tecnici sanitari di radiologia medica impegnati nelle diverse branche dell’area radiologica, partecipano al processo di ottimizzazione[13].

La direttiva definisce inoltre i compiti del fisico specialista in fisica medica (art. 83). Ai sensi della direttiva il fisico specialista in fisica medica fornisce pareri sulle attrezzature medico-radiologiche ed è responsabile della dosimetria, incluse le misurazioni fisiche per la valutazione della dose somministrata al paziente e ad altre persone soggette all'esposizione medica. In questo ambito, una novità prevista dalla direttiva riguarda l’obbligo che l'informazione relativa all'esposizione del paziente faccia parte del referto della procedura medico-radiologica; e la registrazione di tale dato, correlato alla dose, non può prescindere da una verifica, taratura e certificazione da parte del fisico medico che, per tale attività, dovrà fare uso di sistemi automatici di registrazione.

Il Capo IX è dedicato alle competenze delle autorità degli Stati membri. In particolare, si prevede che l'autorità competente allo svolgimento dei compiti previsti dalla direttiva soddisfi il requisito dell'indipendenza (mediante separazione funzionale da ogni altro organismo o organizzazione coinvolto nella promozione o impiego delle pratiche in oggetto) ed abbia i poteri giuridici nonché adeguate risorse, umane e finanziarie, per adempiere i medesimi compiti. Gli Stati membri sono inoltre tenuti a rendere accessibili agli esercenti, ai lavoratori, agli individui della popolazione, nonché alle persone soggette a esposizioni mediche, le informazioni relative alla giustificazione delle pratiche ed alla regolamentazione in materia di sorgenti di radiazioni e di radioprotezione. Ulteriori prescrizioni sono previste riguardo al controllo delle sorgenti radioattive sigillate, non sigillate o orfane e sono stabilite disposizioni specifiche in merito alla notifica di eventi significativi ed alla gestione delle emergenze e delle summenzionate esposizioni esistenti.

 

 


 

Direttiva n. 2014/17/UE
(
Contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali)

 

La direttiva sul credito ipotecario 2014/17/UE (cd. Mortgage Credit Directive) è stata adottata il 4 febbraio 2014, con l’obiettivo di garantire un elevato livello di protezione dei consumatori che sottoscrivano contratti di credito relativi a beni immobili (mutui ipotecari).

La Direttiva definisce un quadro comune per alcuni aspetti concernenti i contratti di crediti ai consumatori garantiti da un’ipoteca o altrimenti relativi a beni immobili residenziali. Sono definiti standard qualitativi per alcuni servizi, in particolare per quanto riguarda la distribuzione e l’erogazione di crediti attraverso creditori e intermediari del credito. Sono previsti disposizioni in materia di abilitazione, vigilanza e requisiti prudenziali per gli intermediari.

Le disposizioni principali riguardano: le informazioni e le pratiche preliminari alla conclusione del contratto di credito, la definizione di standard qualitativi per i servizi di erogazione di crediti (con l’introduzione di alcune disposizioni in materia di abilitazione, vigilanza e requisiti prudenziali), l’obbligo di valutazione del merito creditizio del consumatore, disposizioni in materia di rimborso anticipato, disposizioni in materia di prestiti in valuta estera, disposizioni sulle pratiche di vendita abbinata, la fissazione di principi riguardanti, ad esempio, l'educazione finanziaria, la valutazione degli immobili, le morosità e i pignoramenti.

In particolare la Direttiva stabilisce disposizioni che devono essere oggetto di piena armonizzazione relativamente alle informazioni precontrattuali attraverso il formato del Prospetto informativo europeo standardizzato (PIES) e il calcolo del TAEG.

Il termine di recepimento a livello nazionale è stato fissato per il 21 marzo 2016. La Direttiva troverà applicazione solo con riferimento ai contratti di credito sorti successivamente al 21 marzo 2016.

 

Si ricorda che nel marzo 2003 la Commissione europea ha avviato un processo volto a valutare l’impatto delle barriere che ostacolano la realizzazione del mercato interno dei contratti di credito relativi a beni immobili residenziali. Il 18 dicembre 2007 ha adottato il Libro bianco sull’integrazione dei mercati UE del credito ipotecario, nel quale ha annunciato l’intento di valutare l’impatto — tra l’altro — delle opzioni politiche per l’informativa precontrattuale, le banche dati relative ai crediti, il merito di credito, il tasso annuo effettivo globale (TAEG) e la consulenza sui contratti di credito. In seguito la Commissione ha costituito un Gruppo di esperti sulle informazioni storiche sui crediti volto ad elaborare un pacchetto di misure per ottimizzare l’accessibilità, la comparabilità e la completezza dei dati sui crediti.


 

Direttiva n. 2014/27/UE
(
Classificazione, etichettatura e imballaggio sostanze e miscele)

 

La direttiva 2014/27/UE, entrata in vigore il 25 marzo 2014, riguarda le sostanze e le miscele pericolose.

Essa novella alcune precedenti direttive, per conformarle alla disciplina di un successivo Regolamento (CE), il n. 1272/2008, che ha istituito un nuovo sistema per la classificazione e l'etichettatura delle sostanze e delle miscele all'interno dell'Unione, basato sul sistema globale armonizzato di classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche (GHS) a livello internazionale.

Poiché le direttive 92/58/CEE, 92/85/CEE, 94/33/CE, 98/24/CE e 2004/37/CE contengono riferimenti al precedente sistema di classificazione e di etichettatura, la direttiva 2014/27/UE opera novelle nel testo delle medesime, al fine di garantire la continuità della loro efficacia.

La direttiva 2014/27/UE non muta l'ambito di applicazione delle direttive suddette. Inoltre, come si afferma nel considerando numero 5, la direttiva è intesa a mantenere il livello di protezione dei lavoratori (garantito dalle suddette direttive precedenti).

La novella di cui all'articolo 1 della direttiva 2014/27/UE concerne forme di segnalazione di sostanze o miscele pericolose. Le novelle di cui agli articoli 2 e 3 riguardano gli agenti biologici ed alcuni processi industriali, mentre quella di cui all'articolo 4 concerne gli agenti chimici. L'articolo 5 novella in parte la disciplina contro i rischi derivanti dall'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro.

Il termine per il recepimento della direttiva 2014/27/UE è fissato al 1° giugno 2015.

 

 


 

Direttiva n. 2014/28/UE (Esplosivi per uso civile);
Direttiva n. 2014/29 UE (Recipienti semplici a pressione);
Direttiva n. 2014/30/UE (Compatibilità elettromagnetica)

 

Le direttive

·          2014/28/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato e al controllo degli esplosivi per uso civile (rifusione)

·          2014/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di recipienti semplici a pressione (rifusione)

·          2014/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica (rifusione)

fanno parte di un pacchetto unitario, il cosiddetto "pacchetto di adeguamento al nuovo quadro normativo".

Si trattava di nove proposte legislative, predisposte contestualmente dalla Commissione europea, finalizzate ad adeguare la legislazione relativa ad alcuni prodotti[14] al "nuovo quadro normativo" (NQN). Quest'ultimo è costituito dal regolamento (CE) n. 765/2008, sull'accreditamento degli organismi di valutazione della conformità e sulla vigilanza di mercato, e dalla decisione n. 768/2008/CE, che detta un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti.

La ratio dichiarata è quella di aumentare la sicurezza dei prodotti medesimi, soggetti ad una forte concorrenza internazionale e quindi passibili di trarre beneficio dalla semplificazione legislativa e dalla garanzia di condizioni di concorrenza eque mediante un'efficace vigilanza del mercato, soprattutto in relazione alle merci provenienti da paesi terzi.

 

L'adeguamento ha riguardato tra l'altro:

1)     misure volte ad affrontare il problema della non conformità, tra cui: dettagliati obblighi non solo per i fabbricanti (art. 5 della direttiva 2014/28/UE, art. 6 della direttiva 2014/29/UE, art. 7 della direttiva 2014/30/UE) ma anche per gli importatori ed i distributori (artt. 7 e 8 della direttiva 2014/28/CE, 8 e 9 della direttiva 2014/29/UE e 9 e 10 della direttiva 2014/30/UE). Sono state altresì introdotte norme concernenti la tracciabilità durante l'intera catena di distribuzione, in modo che ogni operatore economico sia in grado di informare le autorità in merito al luogo di acquisto del prodotto e al soggetto al quale è stato fornito;

2)     misure volte a garantire la qualità dell'operato degli organismi notificati, con l'indicazione di criteri stringenti relativi in particolare alla loro indipendenza ed alla competenza nello svolgimento della loro attività (art. 28 della direttiva 2014/28/UE, 21 della direttiva 2014/29/UE e 24 della direttiva 2014/30/UE). E' previsto altresì un processo di notifica rivisto, con la possibilità per gli Stati membri di esprimere obiezioni sulla notifica di un organismo effettuata da un altro Stato membro (art. 32, par. 5, della direttiva 2014/28/UE, 25, par. 5, della direttiva 2014/29/UE e 28, par. 5, della direttiva 2014/30/UE). Pregnanti obblighi di informazione sono posti a carico degli organismi notificati (art. 38 della direttiva 2014/28/UE, 31 della direttiva 2014/29/UE e 34 della direttiva 2014/30/UE);

3)     misure volte a garantire maggiore coerenza tra le direttive in termini di definizioni e terminologia.

 

Il termine fissato per il recepimento delle tre direttive è il 19 aprile 2016.

 

 


 

Direttiva n. 2014/31/UE
(
Strumenti per pesare a funzionamento non automatico)

 

 

La direttiva in esame disciplina gli strumenti per pesare a funzionamento non automatico

·        nuovi prodotti da un fabbricante stabilito nell’Unione;

·        importati da un paese terzo (nuovi o usati).

La direttiva in esame procede alla rifusione delle norme relative agli strumenti di pesatura a funzionamento non automatico contenute nella direttiva 2009/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, poiché questa nel tempo ha subito sostanziali modifiche e necessita di ulteriori aggiornamenti e modificazioni.

Ai sensi della direttiva, tutti gli operatori economici che intervengono nella catena di fornitura e distribuzione sono responsabili della conformità degli strumenti per pesare; pertanto dovrebbero adottare le misure necessarie per garantire la messa a disposizione sul mercato solo di strumenti conformi alle norme europee.

In particolare, gli operatori che si assumono la responsabilità - come fabbricanti, distributori o importatori di questo tipo di strumenti - di immetterli sul mercato, devono assumersi specifici obblighi che riguardano soprattutto l'osservanza delle disposizioni tecniche della direttiva, la collaborazione con le istituzioni di vigilanza nazionali, la redazione della dichiarazione di conformità UE, la garanzia dell'accesso alle informazioni.

Le procedure di valutazione della conformità richiedono l’intervento di organismi di valutazione, che sono notificati dagli Stati membri alla Commissione. È indispensabile che tutti gli organismi notificati svolgano le proprie funzioni allo stesso livello e nelle stesse condizioni di concorrenza. A tal fine, la direttiva stabilisce prescrizioni obbligatorie per gli organismi di valutazione che desiderano essere notificati. Inoltre, stabilisce le prescrizioni da applicare alle autorità di notifica e agli altri organismi coinvolti nella valutazione, nella notifica e nel controllo. Il sistema previsto dalla direttiva è completato dal sistema di accreditamento, essenziale per la verifica della competenza degli organismi di valutazione della conformità.

È necessario aumentare l’efficienza e la trasparenza della procedura di notifica e, in particolare, adattarla alle nuove tecnologie in modo da consentire la notifica elettronica. Nell’interesse della competitività, è fondamentale che gli organismi notificati applichino le procedure di valutazione della conformità senza creare oneri superflui per gli operatori economici. Gli Stati membri devono adottare tutti i provvedimenti opportuni per assicurare che gli strumenti per pesare a funzionamento non automatico possano essere immessi sul mercato soltanto se - adeguatamente immagazzinati e usati ai fini cui sono destinati, o in condizioni d’uso ragionevolmente prevedibili - non mettono in pericolo la salute e l’incolumità delle persone.

La direttiva prevede l'istituzione di un Comitato che assiste la Commissione nella definizione di specifiche tecniche, al fine di coordinare tutte le normative nazionali sulla materia.

La direttiva si suddivide in 6 Capi: il primo contiene disposizioni generali; il secondo contiene la disciplina degli obblighi dei vari operatori economici (fabbricanti, importatori, distributori e rappresentanti), nonché le regole di identificazione degli operatori stessi.

Il Capo terzo tratta della conformità degli strumenti, procedure di valutazione, dichiarazione di conformità UE, regole e condizioni per l'apposizione della marcatura UE. Il Capo quarto disciplina la procedura di notifica degli organismi di valutazione della conformità (l'autorità di notifica designata dagli Stati membri, le prescrizioni relative agli organismi notificati e quelli relativi all'autorità di notifica), le procedure di notifica e le contestazioni, con le relative procedure di ricorso.

Il Capo quinto disciplina la vigilanza del mercato dell'Unione, i controlli sugli strumenti che entrano nel mercato e le procedure di salvaguardia. Il Capo sesto regola il funzionamento del Comitato che assiste la  Commissione europea, e reca disposizioni sulle sanzioni applicabili alle infrazioni commesse dagli operatori economici. Nello stesso Capo sesto vi sono gli articoli relativi all'entrata in vigore e al recepimento della direttiva, da effettuare entro il 19 aprile 2016.

 

La Direttiva è corredata inoltre da 6 allegati.

 

 


 

Direttiva n. 2014/32/UE
(
Strumenti di misura)

 

 

La direttiva in oggetto intende procedere alla rifusione del contenuto della direttiva 2004/22/CE del Consiglio relativa agli strumenti di misura, che ha subito nel tempo sostanziali modificazioni. 

Infatti, essa disciplina gli strumenti di misura

·        nuovi prodotti da un fabbricante stabilito nell’Unione;

·        nuovi o usati, importati da un paese terzo.

La direttiva si applica a tutte le forme di fornitura, compresa la vendita a distanza.

 

Si ricorda che la direttiva 2004/22/CE - nota come Direttiva MID "Measuring Instruments Directive" - è stata recepita in Italia con il D.Lgs n. 22/2007.

 

Oggetto principale della nuova disciplina è la commercializzazione degli strumenti di misura, che sono prodotti sottoposti a controlli metrologici legali, data l'importanza della loro funzione in diversi settori: dalla sanità pubblica alla sicurezza, alla protezione dell'ambiente e dei consumatori, tutti ambiti dove è necessario soddisfare adeguatamente esigenze relative all'interesse pubblico.

 

La direttiva fissa le norme volte a garantire i requisiti di prestazione che gli strumenti di misurazione devono soddisfare e i loro livelli di affidabilità.

La direttiva 2004/22/CE consentiva l'applicazione del principio di opzionalità, che permetteva agli Stati membri di esercitare il loro diritto se prescrivere o meno l'utilizzo degli strumenti coperti dalla direttiva; tuttavia la prescrizione di controlli metrologici legali da parte degli Stati membri dovrebbe sempre avvenire nel quadro della disciplina fissata dalla direttiva.

Quindi, la norma europea prescrive quali obblighi sono tenuti ad osservare tutti gli operatori che intervengono nella catena della progettazione, produzione, commercializzazione e uso degli strumenti di misurazione legali.

In particolare, si richiede ai fabbricanti di mettere a disposizione sul loro sito internet una dichiarazione di conformità alle disposizioni della direttiva. D'altro canto, la necessità di garantire un livello uniforme di controllo su tutto il territorio dell'Unione rende indispensabile che tutti gli organismi di valutazione della conformità attivi negli Stati membri osservino prescrizioni obbligatorie e soprattutto che siano notificati per poter svolgere i loro servizi di valutazione.

Infatti, viene introdotto dalla presente direttiva un sistema di accreditamento per la verifica dei requisiti degli organismi di valutazione e degli enti che per essi lavorano, ai quali spesso, nella pratica, vengono subappaltate le attività di verifica.

Gli organismi di valutazione di conformità devono, ai sensi della direttiva, non imporre inutili oneri amministrativi alle aziende e agli operatori economici e funzionare in modo coordinato, per garantire parità di trattamento tra gli operatori e coerenza tecnica.

Al fine di tenere conto dello sviluppo della tecnologia di misura, la Direttiva prevede misure volte a delegare alla Commissione il potere di adottare atti per quanto riguarda specifiche modifiche tecniche. Essa prevede anche un adeguato periodo di transizione per consentire l'utilizzo di strumenti già esistenti sul mercato ma non corrispondenti ai requisiti richiesti dalla normativa aggiornata.

La direttiva si compone di 7 Capi: il primo reca disposizioni generali; il secondo gli obblighi degli operatori economici (fabbricanti, importatori, rappresentanti, distributori); il terzo descrive i requisiti di conformità degli strumenti di  misura, le procedure di verifica della conformità, la documentazione tecnica richiesta, la marcatura di conformità.  Il Capo quarto disciplina la notifica degli organismi di valutazione della conformità (prescrizioni relative all'autorità di notifica e relative agli organismi notificati), le procedure di notifica e i casi di contestazione, nonché gli obblighi di informazione.

Il Capo quinto disciplina le attività di vigilanza sul mercato dell'Unione e i controlli sugli strumenti che vengono importati, al fine di salvaguardare il mercato europeo. Il Capo sesto istituisce un Comitato per gli strumenti di misura che assiste la Commissione nella sua attività di normazione tecnica. L'ultimo capo reca le disposizioni finali relative all'entrata in vigore e al recepimento.

 

Gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure nazionali di recepimento entro il 19 aprile 2016, data dalla quale è abrogata la precedente direttiva 2004/22/CE.

 


 

Direttiva n. 2014/34/UE
(
Apparecchi di protezione in atmosfera esplosiva)

 

 

La direttiva 2014/34/UE reca disposizioni relative agli apparecchi e sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva, ai loro componenti, ai sistemi di sicurezza che, pur non operando in atmosfera potenzialmente esplosiva, sono necessari o utili per prevenire rischi di esplosione. La direttiva in esame, di rifusione, abroga la precedente direttiva in materia 94/9/CE anche al fine di adeguare le previgenti disposizioni al nuovo quadro per la commercializzazione dei prodotti (decisione n. 768/2008/CE) e alla disciplina in materia di organismi di valutazione della conformità e di vigilanza sul mercato di cui al regolamento (CE) n. 765/2008.

 

Si ricorda che  la direttiva 94/9/CE è stata attuata con il D.P.R. n. 126/1998.

 

Il Capo 1 (articoli 1-5) della direttiva è dedicato alle disposizioni generali. L'articolo 1, oltre a definire l'oggetto della disciplina nei termini sinteticamente ricordati, esclude dal campo di applicazione della direttiva le apparecchiature mediche, i sistemi di sicurezza diretti a prevenire pericoli di esplosioni derivanti dalla presenza di esplosivi o componenti chimici instabili, le apparecchiature utilizzate in ambienti domestici, i dispositivi di protezione individuale, i mezzi di trasporto e le navi o unità mobili offshore o apparecchi ivi utilizzati. Gli Stati membri sono chiamati a mettere in commercio o a mettere in servizio solo quei prodotti che soddisfino i requisiti della direttiva ed in particolare rispettino i requisiti essenziali di salute e sicurezza di cui all'allegato II. Di tali apparecchi gli Stati membri non possono vietare o limitare la libera circolazione.

Il Capo 2 (articoli 6-11) dispone in ordine agli obblighi degli operatori. In particolare i fabbricanti - che possono anche nominare loro rappresentanti autorizzati - devono garantire la conformità dei loro prodotti ai requisiti essenziali di salute e sicurezza e preparano la documentazione tecnica che sono tenuti a conservare, insieme alla documentazione di conformità, per almeno dieci anni dalla commercializzazione.

Gli importatori, oltre a verificare la presenza della necessaria documentazione tecnica e la conformità del prodotto, sono chiamati ad assicurare la presenza delle informazioni necessarie, quali la denominazione del prodotto e le istruzioni per il corretto uso. Essi sono inoltre tenuti a garantire il corretto trasporto e immagazzinamento dei prodotti e a conservare la documentazione per dieci anni, nonché a verificare gli eventuali reclami. Anche i distributori sono tenuti ad assicurare l'ottemperanza ai requisiti essenziali di salute e sicurezza e, al pari degli importatori, sono obbligati a segnalare la presenza sul mercato di prodotti che non rispettino i requisiti prescritti, nonché a fornire qualsiasi informazione e documentazione che venga loro richiesta dall'autorità nazionale competente. Sono inoltre previsti casi in cui gli obblighi dei distributori e degli importatori sono equiparati a quelli dei fabbricanti: ciò si verifica quando l'importatore o distributore immette sul mercato uno strumento con il proprio nome o marchio commerciale o modifica uno strumento già immesso e tali modifiche sono tali da poterne comprometterne la conformità.

Il Capo 3 (articoli 12-16) detta disposizioni sulla conformità del prodotto. In particolare, si presume che un prodotto sia conforme ai requisiti essenziali di salute e sicurezza, dettati dall'allegato II, quando sia conforme a norme armonizzate i cui riferimenti sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. Nel caso non siano state indicate norme armonizzate, gli Stati membri interessati sono tenuti a comunicare alle parti interessate, secondo le disposizioni adottate dai medesimi Stati membri, le vigenti norme e specifiche tecniche nazionali, considerate importanti o utili per applicare correttamente i requisiti essenziali di salute e di sicurezza. Sono quindi introdotte, attraverso gli allegati III-IX, le procedure di verifica della conformità all'esito delle quali viene rilasciata la dichiarazione di conformità UE, la cui struttura è fissata dall'Allegato X. Per quanto riguarda la marcature CE, si applicano le disposizioni generali dettate dal regolamento (CE) n. 765/2008 in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti.

Il Capo 4 (articoli 17-33) è dedicato alla notifica, da parte di uno Stato membro alla Commissione e agli altri Stati membri, degli organismi autorizzati ad eseguire, in qualità di terzi, compiti di valutazione della conformità. A tal fine, viene designata un'autorità di notifica in modo che sia salvaguardata l'obiettività e l'imparzialità delle sue attività. Inoltre, viene stabilito che le procedure di notificazione debbano essere separate da quelle di valutazione della conformità: la direttiva detta, infatti, specifiche prescrizioni sugli organi di valutazione della conformità tese ad assicurarne l'indipendenza e la terzietà. Sono inoltre richiesti specifici requisiti di indipendenza e di preparazione professionale per i dipendenti di tali organismi notificati. Tali requisiti devono essere rispettati anche da eventuali organismi affiliati o subappaltatori.

La direttiva introduce quindi norme specifiche sulla domanda di notifica e sulle procedure per l'espletamento del procedimento di notifica. Sui casi di contestazione della competenza degli organismi notificati indaga la Commissione: ad essa lo Stato membro notificante è tenuto a fornire tutte le informazioni richieste. Nei casi in cui la contestazione risulti fondata, la Commissione adotta un atto di esecuzione con cui richiede allo Stato membro notificante di adottare le misure correttive necessarie e, all'occorrenza, di ritirare la notifica.

Gli Stati membri provvedono affinché sia disponibile una procedura di ricorso contro le decisioni degli organismi notificati. Ulteriori disposizioni prevedono obblighi di informazione in capo agli organismi notificati.

Si prevede infine che la Commissione organizzi scambi di esperienze tra le autorità nazionali e forme di coordinamento degli organismi notificati.

Con riferimento alle procedure di vigilanza e controlli dei prodotti che entrano nel mercato comunitario, il Capo 5 (articoli 34-38)  rimanda alle corrispondenti disposizioni di carattere generale del citato regolamento (CE) n. 765/2008. Il medesimo Capo, con riferimento alle procedure di salvaguardia, prevede che le autorità di vigilanza, quando rilevino la mancanza dei requisiti di sicurezza e salute prescritti, chiedano tempestivamente all'operatore economico interessato di adottare le misure correttive necessarie o di ritirare un prodotto dal mercato. Se l'operatore economico non ottempera alle suddette misure di salvaguardia, le autorità di vigilanza del mercato adottano tutte le opportune misure provvisorie.

Qualora le misure nazionali tese a correggere casi di mancata conformità siano oggetto di obiezioni, la Commissione avvia immediatamente le consultazioni e con atto di esecuzione determina se la misura nazionale sia giustificata. Se la misura nazionale è considerata giustificata, tutti gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che il prodotto non conforme sia ritirato dal mercato nazionale e ne informano la Commissione. Se la misura nazionale è considerata ingiustificata, lo Stato membro interessato la revoca. Quando invece la misura nazionale è ritenuta giustificata e la non conformità del prodotto è attribuita a carenze nelle norme armonizzate, si avvia la procedura formale di carattere generale sull'obiezione alle norme armonizzate dettata dall'articolo 11 del regolamento (CE) n. 1025/2012. Sono infine dettate disposizione anche nei casi di prodotti conformi che presentino rischi e in merito ai casi di non conformità solo formale.

Il Capo 6 (articoli 39-45) stabilisce che la Commissione è assistita dal comitato per gli apparecchi e i sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva e rinvia alla legislazione europea applicabile alle procedure di comitato. In merito alle sanzioni, si prevede che gli Stati membri possano prevedere sanzioni penali per gravi inottemperanze da parte degli operatori. Sono dettate, infine, nel medesimo Capo, disposizioni transitorie e finali. Vi si prevede, tra l'altro, che i distributori possono rendere disponibili sul mercato prodotti conformi alla previgente disciplina fino al 20 aprile 2016.

 

Il termine di recepimento è fissato al 19 aprile 2016.

 


 

Direttiva n. 2014/35/UE
(
Materiale elettrico)

 

 

Il testo della direttiva in oggetto, nasce dalla necessità di modificare la direttiva 2006/95/CE del 12 dicembre 2006 riguardante il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al materiale elettrico destinato a essere adoperato entro taluni limiti di tensione.

Risulta infatti necessario adeguare la normativa in vigore al cd. "pacchetto merci" adottato nel 2008, costituito dal regolamento (CE) n. 765/2008 del 9 luglio 2008, sull'accreditamento degli organismi di valutazione della conformità e sulla vigilanza del mercato, e dalla decisione 768/2008/CE che detta un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti.

 

L’obiettivo della direttiva 2014/35/UE è quello è garantire che il materiale elettrico posto sul mercato soddisfi requisiti che offrano un livello elevato di protezione della salute e della sicurezza delle persone, assicurando anche il funzionamento del mercato interno.

L’ambito di applicazione è il materiale elettrico destinato ad essere adoperato ad una tensione nominale compresa fra 50 e 1000 V in corrente alternata e fra 75 e 1500 V in corrente continua (le eccezioni vengono indicate all'allegato II). Solo il materiale elettrico costruito conformemente alla regola dell'arte può essere messo a disposizione sul mercato dell'Unione (gli elementi principali degli obiettivi di sicurezza del materiale elettrico sono elencati nell'Allegato I); a tal fine il Capo II specifica gli obblighi cui devono sottoporsi fabbricanti, rappresentanti autorizzati, importatori e distributori.

 

In particolare, il dettato della direttiva prevede che tutti gli operatori economici che fanno parte della catena di fornitura e distribuzione siano obbligati ad adottare le misure necessarie a garantire che sul mercato sia disponibile esclusivamente materiale elettrico conforme alla normativa, così come lo deve essere anche il materiale elettrico che entra nel mercato dell'Unione proveniente da paesi terzi. Gli articoli 8 e 9 impongono a tal fine obblighi ad importatori e distributori che li rendono responsabili della conformità della merce alla sicurezza. Gli importatori, ad esempio, prima di immettere sul mercato il materiale si devono assicurare che il fabbricante abbia eseguito l'appropriata procedura di valutazione della conformità, indicano sul materiale elettrico il proprio nome e garantiscono che sia accompagnato da istruzioni e informazioni sulla sicurezza.

Gli articoli da 12 a 17 recano disposizioni riguardanti la conformità del materiale elettrico in presenza di norme armonizzate, la presunzione di conformità sulla base di norme internazionali o nazionali, i princìpi generali della marcatura CE e le regole per la sua apposizione prima dell'immissione del materiale sul mercato. L'allegato I enuncia gli elementi principali degli obiettivi di sicurezza.

Gli articoli 18 e 19 sono dedicati al tema della vigilanza del mercato, ovvero al controllo del materiale che entra nell'Unione e recano disposizioni da attuare nel caso in cui le autorità di vigilanza del mercato di uno Stato membro ritengano che un materiale elettrico presenti un rischio per la salute o la sicurezza.

Viene contemplato, infine, il caso in cui uno Stato membro ritenga che il materiale elettrico dichiarato conforme presenti un rischio per la salute o la sicurezza; la procedura prevede che gli altri Stati membri e la Commissione siano immediatamente informati; quest'ultima, in base ai risultati di una valutazione, propone opportune misure o, per motivi di urgenza, adotta atti di esecuzione immediatamente applicabili.

La direttiva 2006/95/CE è abrogata a decorrere dal 20 aprile 2016 (art. 27).

 

Il termine di recepimento da parte degli Stati membri, come indicato all'articolo 26, è fissato al 19 aprile 2016.

 


 

Direttiva n. 2014/36/UE
(
Ingresso e soggiorno per lavoro stagionale di cittadini di paesi terzi)

 

 

La direttiva 2014/36/UE disciplina le condizioni di ingresso e di soggiorno per lavoro stagionale di cittadini di Paesi terzi e definisce i diritti dei lavoratori stagionali.

La direttiva dispone che, per soggiorni non superiori a 90 giorni, le condizioni di ammissione dei lavoratori stagionali nel territorio degli Stati membri che applichino integralmente l'acquis di Schengen dovranno essere disciplinate dal regolamento (CE) n. 810/2009 (codice dei visti), dal regolamento (CE) n. 562/2006 (codice frontiere Schengen) e dal regolamento (CE) n. 539/2001 (relativo all’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo).

Pertanto, considerato il rinvio alle suddette fonti normative, la direttiva disciplina unicamente - riguardo all'ammissione per soggiorni non superiori a 90 giorni - i criteri ed i requisiti per l'accesso all'occupazione, prescrivendo che la domanda di ammissione sia accompagnata da: un contratto di lavoro valido o un'offerta vincolante di lavoro che specifichi, fra l'altro, il luogo e il tipo di lavoro, la durata dell'impiego, la retribuzione e le ore di lavoro settimanali o mensili; la prova di aver fatto richiesta di un'assistenza sanitaria; la prova che il lavoratore stagionale disporrà di un alloggio adeguato. Il lavoratore stagionale disponga di risorse sufficienti per mantenersi durante il soggiorno senza ricorrere ai sistemi di assistenza nazionale (art. 5).

Per quanto riguarda i lavoratori stagionali ammessi per soggiorni superiori a 90 giorni, la direttiva definisce sia le condizioni di ammissione e di soggiorno nel territorio, sia i criteri e i requisiti per l'accesso all'occupazione negli Stati membri. Con riguardo alla documentazione fornita, le disposizioni relative alle domande di ammissione coincidono con quelle richieste per soggiorni inferiori a 90 giorni, con la previsione ulteriore che lo Stato ospitante deve verificare che il cittadino non presenti un rischio di immigrazione illegale (ossia che rimanga oltre la scadenza dell’autorizzazione). Tale obbligo, per i periodi non superiore a 90 giorni, è applicato solo ai Paesi membri che non hanno recepito integralmente l’acqui di Schengen. Inoltre, lo Stato membro non può ammettere cittadini considerati pericolosi per l’ordine pubblico, la sicurezza o la salute pubblica e deve esigere che questi siano in possesso di un documento di viaggio valido almeno per il periodo di validità dell’autorizzazione per l’esercizio di lavoro stagionale (art. 6).

La direttiva non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel proprio territorio di cittadini di Paesi terzi per motivi di lavoro stagionale (il sistema delle quote), e consente pertanto, su tale base, di considerare inammissibile o rigettare la domanda (art. 7). Specifica, inoltre, che gli Stati membri avranno la facoltà di rigettare le domande di ammissione per i seguenti motivi: qualora i criteri e i requisiti di ammissione non siano rispettati o i documenti presentati siano stati ottenuti con la frode, falsificati o manomessi; se il datore di lavoro è stato oggetto di sanzioni in conformità del diritto nazionale, a causa di lavoro non dichiarato o occupazione illegale o se l'impresa del datore di lavoro è stata liquidata conformemente alla normativa nazionale in materia di insolvenza; nel caso in cui i posti vacanti in questione possano essere coperti da cittadini dello Stato membro interessato o da altri cittadini dell'Unione o da cittadini di Paesi terzi che soggiornano legalmente in tale Stato membro; se il datore di lavoro non ha rispettato i propri obblighi giuridici in materia di previdenza sociale, tassazione, diritti dei lavoratori, condizioni di lavoro o di impiego, o se nei dodici mesi immediatamente precedenti la data della domanda il datore di lavoro ha soppresso un posto di lavoro a tempo pieno al fine di creare un posto vacante che sta cercando di coprire mediante il ricorso alla direttiva, oppure se il cittadino del Paese terzo non ha rispettato gli obblighi previsti da una precedente decisione di ammissione (art. 8).

Nel rispetto di tali disposizioni gli Stati membri rilasciano una autorizzazione per motivi di lavoro stagionale (nella forma del permesso di soggiorno o visto) per breve periodo o per lunga durata (art. 12).

Motivazioni analoghe al rigetto della domanda presiedono alla revoca dell’autorizzazione per motivi di soggiorno stagionale (art. 9).

Il periodo massimo di soggiorno per i lavoratori stagionali non dovrà essere inferiore a cinque mesi e non superiore a nove mesi in un dato periodo di dodici mesi. Al termine di tale periodo, il cittadino del Paese terzo dovrà lasciare il territorio dello Stato membro, a meno che lo Stato membro interessato non abbia rilasciato un permesso di soggiorno a norma del diritto nazionale o dell'Unione per motivi diversi dal lavoro stagionale (art. 14). La direttiva prevede inoltre che, a condizione che siano rispettati i criteri di ammissione e non sussistano motivi di rifiuto, gli Stati membri possano accordare ai lavoratori stagionali una proroga, sostituendo il visto per soggiorno di breve durata con un visto per soggiorno di lunga durata o con un permesso di lavoro stagionale, nel caso in cui il lavoratore stagionale proroghi il suo contratto con lo stesso datore di lavoro o intenda farsi assumere da un altro datore di lavoro (art. 15).

Gli Stati membri agevoleranno il reingresso dei cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato membro interessato, in qualità di lavoratori stagionali, almeno una volta nei cinque anni precedenti, e i quali abbiano pienamente rispettato, durante ciascun soggiorno, le condizioni applicabili ai lavoratori stagionali previste dalla direttiva in oggetto. Tali agevolazioni possono includere un'esenzione dall'obbligo di presentazione di uno o più documenti, il rilascio di più permessi di lavoro stagionali in un unico atto amministrativo, una procedura accelerata per l'adozione di una decisione sulla domanda di un permesso di lavoro stagionale o di un visto per soggiorno di lunga durata, la priorità nell'esame delle domande di ammissione in qualità di lavoratore stagionale (art. 16).

L'art. 18 disciplina la procedura per l'esame della domanda di autorizzazione per motivi di lavoro stagionale, procedura che deve dar luogo ad una decisione notificata al richiedente entro 90 giorni dalla data di presentazione della domanda completa. Fra le garanzie procedurali figurano la possibilità di impugnare la decisione che respinga la domanda e l'obbligo per le autorità di motivare tale decisione.

La direttiva prevede, inoltre, che i lavoratori stagionali beneficino di un alloggio che garantisca loro un tenore di vita adeguato (art. 20), nonché del diritto alla parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante, almeno per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro (art. 23). L'applicazione di tale diritto potrà tuttavia essere limitata per quanto concerne le prestazioni familiari e di disoccupazione, l'istruzione e la formazione professionale, le agevolazioni fiscali.

Per garantire una corretta attuazione della direttiva, in particolare delle disposizioni relative ai diritti, alle condizioni di lavoro e all'alloggio, gli Stati membri dovranno provvedere affinché siano posti in essere meccanismi appropriati per il controllo dei datori di lavoro e, se del caso, effettuare ispezioni efficaci e adeguate nel loro territorio (art. 24). I datori di lavoro che non rispettano le prescrizioni della direttiva possono essere oggetto di sanzioni, compresa l’esclusione dalla possibilità di assumere lavoratori stagionali (art. 17).

 

L'art. 28 fissa al 30 settembre 2016 il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri.

 


 

 

Direttiva n. 2014/41/UE
(
Ordine europeo di indagine penale)

 

 

La direttiva in oggetto è volta a istituire un unico strumento denominato "ordine europeo d'indagine" (OEI) che garantisca l'acquisizione delle prove da uno Stato all'altro nell'ambito dei procedimenti penali transfrontalieri, al fine di superare la frammentarietà e la complessità dell'attuale quadro giuridico. Essa viene incontro all'esigenza di uniformità già espressa dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009, nel quale si ravvisava l'opportunità di istituire un sistema generale di acquisizione delle prove nei procedimenti aventi dimensione transfrontaliera, che fosse basato sul principio del reciproco riconoscimento, ma che tenesse conto anche della flessibilità del sistema tradizionale di assistenza giudiziaria.

Ai sensi dell'art. 1 della direttiva, l'ordine europeo d'indagine (OEI) è una decisione giudiziaria emessa o convalidata da un'autorità competente di uno Stato membro ("Stato di emissione") per compiere uno o più atti di indagine specifici in un altro Stato membro ("Stato di esecuzione") ai fini di acquisire prove. Esso può anche essere emesso per ottenere prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione. In base al principio del reciproco riconoscimento, gli Stati membri hanno l'obbligo di darvi esecuzione. L'emissione di un OEI può essere richiesta da una persona sottoposta a indagini o da un imputato, o da un avvocato che agisce per conto di questi ultimi, nel quadro dei diritti della difesa applicabili conformemente al diritto e alla procedura penale nazionale.

L'OEI deve essere emesso - secondo il modello allegato alla direttiva (allegato A) - da: un giudice, un organo giurisdizionale, un magistrato inquirente o un pubblico ministero; oppure deve essere convalidato da questi ultimi, prima della trasmissione all'autorità di esecuzione, qualora sia stato disposto da un'altra autorità (art. 2). La sua emissione deve essere in relazione a un procedimento penale o nel quadro di procedimenti amministrativi aventi implicazioni penali (art. 4).

L'OEI ha una portata orizzontale e trova applicazione in tutti gli atti di indagine finalizzati all'acquisizione di prove. Tuttavia, l'istituzione di una squadra investigativa comune e l'acquisizione di prove nell'ambito di tale squadra richiedono disposizioni specifiche, che continueranno a essere regolate dagli strumenti esistenti (la Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, del 12 luglio 2000, e la decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio).

La direttiva stabilisce procedure e garanzie per lo Stato di emissione (capo II) e per lo Stato di esecuzione (capo III). L'autorità di emissione può emettere un OEI solamente quando ritiene soddisfatte le seguenti condizioni: l'emissione dell'OEI è necessaria e proporzionata ai fini del procedimento, tenendo conto dei diritti della persona sottoposta a indagini o imputata; l'atto o gli atti di indagine richiesti nell'OEI avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo (art. 6). L'OEI è trasmesso dall'autorità di emissione all'autorità di esecuzione con ogni mezzo che consenta di conservare una traccia scritta che permetta allo Stato di esecuzione di stabilirne l'autenticità (art. 7). L'autorità competente dello Stato di esecuzione che riceve un OEI trasmette una comunicazione di ricevuta, senza ritardo e comunque entro una settimana dalla ricezione, compilando e inviando il modulo allegato alla direttiva (allegato B). Il riconoscimento e l'esecuzione dell'OEI avvengono senza alcuna ulteriore formalità, adottando immediatamente tutte le misure necessarie, secondo le stesse modalità che sarebbero osservate qualora l'atto di indagine fosse stato disposto da un'autorità dello Stato di esecuzione (art. 9), salvo che quest'ultima adduca uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione indicati dall'art. 11. Il riconoscimento o l'esecuzione dell'OEI possono pertanto essere rifiutati qualora: il diritto dello Stato di esecuzione preveda immunità o privilegi che rendono impossibile l'esecuzione dell'OEI, o specifiche norme relative alla libertà di stampa; l'esecuzione leda interessi essenziali di sicurezza nazionale; l'esecuzione dell'OEI sia contraria al ne bis in idem; la condotta riguardo alla quale è stato emesso l'OEI non costituisca reato in base al diritto dello Stato di esecuzione, a meno che riguardi un reato elencato nelle categorie figuranti nell'allegato D, come i reati di terrorismo o la tratta di esseri umani, e questo sia punibile nello Stato di emissione con una pena o una misura di sicurezza detentiva della durata massima di almeno tre anni. Secondo una previsione posta a garanzia dello Stato di esecuzione, qualora l'atto di indagine richiesto nell'OEI non sia previsto dal diritto dello Stato di esecuzione, oppure non sia disponibile in un caso interno analogo, l'autorità di esecuzione dispone, ove possibile, un atto di indagine alternativo (art. 10).

Per quanto concerne i termini per il riconoscimento o l'esecuzione, la direttiva prescrive che la decisione abbia luogo con la stessa celerità e priorità usate in casi interni analoghi (art. 12). In particolare, tale decisione deve essere adottata il più rapidamente possibile e, in ogni caso, entro 30 giorni, eventualmente prorogabili per un massimo di 30 giorni, previa informativa all'autorità competente dello Stato di emissione. L'autorità di esecuzione deve compiere l'atto di indagine senza ritardo ed entro 90 giorni dall'adozione della decisione. L'autorità di esecuzione deve inoltre trasferire all'autorità di emissione, senza indebito ritardo, le prove acquisite o già in suo possesso; se richiesto nell'OEI e consentito dalla legislazione nazionale dello Stato di esecuzione, le prove sono trasferite immediatamente alle autorità competenti dello Stato di emissione che partecipano all'esecuzione dell'OEI (art. 13). Nella procedura volta ad acquisire la prova deve essere, in ogni caso, assicurata la riservatezza dell'indagine (art. 19) e il rispetto dei diritti fondamentali e dei princìpi sanciti dall'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, compresi i diritti alla difesa delle persone sottoposte a procedimento penale. Lo Stato di esecuzione deve sostenere tutti i costi gravanti nel proprio territorio e connessi all'esecuzione di un OEI. Tuttavia, qualora ritenga che tali costi siano eccezionalmente elevati, l'autorità di esecuzione può consultare l'autorità di emissione sulla possibilità e le modalità di condivisione delle spese o di modifica dell'OEI (art. 21).

Sono previste disposizioni specifiche per determinati atti di indagine, che richiedano il trasferimento temporaneo nello Stato di emissione di persone detenute, l'audizione mediante videoconferenza o teleconferenza, l'acquisizione di informazioni relative a conti bancari o ad altre operazioni finanziarie, le consegne controllate o le operazioni di infiltrazione (artt. 22-29). Si precisa, infine, che è possibile ricorrere all'OEI anche per le operazioni di intercettazione di telecomunicazioni (artt. 30 e 31). In tal caso, l'OEI deve contenere: informazioni necessarie ai fini dell'identificazione della persona sottoposta all'intercettazione; la durata auspicata dell'intercettazione; sufficienti dati tecnici, in particolare gli elementi di identificazione dell'obiettivo, per assicurare che l'OEI possa essere eseguito.

 

L'art. 36 fissa al 22 maggio 2017 il termine ultimo per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri.

 

 


 

 

Direttiva n. 2014/48/UE
(
Tassazione redditi risparmio)

 

 

La direttiva 2014/48/UE intende rafforzare  le norme UE in materia di scambio di informazioni sui redditi di risparmio, allo scopo di consentire agli Stati membri di meglio contrastare le frodi e l'evasione fiscale.

Le norme europee si pongono l’obiettivo di garantire l’imposizione effettiva sui redditi da risparmio che hanno la forma di pagamenti di interessi transfrontalieri, corrisposti in uno Stato membro ad una persona fisica residente in un altro Stato membro - interessi che sono generalmente inclusi in tutti gli Stati membri nel reddito imponibile delle persone fisiche residenti - mediante lo scambio di informazioni tra le autorità competenti dei singoli Paesi membri.

La direttiva 2014/48/UE modifica la "direttiva risparmio" 2003/48/CE, entrata in vigore dal 1° gennaio 2005, che aveva introdotto un obbligo di comunicazione nel caso di pagamento di interessi transfrontalieri.

Per assicurare l’effettiva imposizione sui redditi da risparmio percepiti, sotto forma di interessi, da parte di soggetti non residenti, la 'direttiva risparmio' del 2003 disponeva l’adozione di un sistema basato sullo scambio automatico di informazioni tra le autorità competenti degli Stati membri coinvolti nella transazione. In base alle disposizioni della direttiva 2003, l’agente pagatore deve trasmettere alle autorità competenti del proprio Paese, in via automatica, almeno una volta all’anno, ed entro sei mesi dalla fine dell’anno fiscale dello Stato, una serie di informazioni e di dati relativi alla transazione e ai soggetti coinvolti. La direttiva del 2003 non è stata reputata efficace in relazione allo scopo prefissato: essa non copriva alcuni strumenti finanziari e si applicava solo ai pagamenti di interessi effettuati direttamente a favore di persone fisiche residenti nell'Unione, le quali possono eludere le disposizioni europee attraverso società con sede in paesi in cui vige un regime fiscale più favorevole.

La direttiva in commento apporta significative novelle alla direttiva risparmio del 2003, tra l’altro attraverso l’attualizzazione della terminologia ivi contenuta, allo scopo di garantire una effettiva imposizione dei redditi da risparmio e prevenire il rischio di evasione fiscale. In particolare le norme europee intendono definire meglio:

a) i redditi da risparmio, affinché (articolo 6 della direttiva risparmio, riformulato dall’articolo 1 della direttiva 2014/48/UE) siano compresi nell’ambito applicativo della direttiva anche i redditi equivalenti agli interessi sui risparmi investiti. Si tratta ad esempio dei fondi di investimento stabiliti nell'Unione e fuori dell'Unione, e di tutti quegli strumenti finanziari non qualificabili come produttori d’interessi (azioni, fondi comuni di natura prevalentemente azionaria, strumenti alternativi, polizze di capitalizzazione e vita ed altri strumenti caratterizzati e strutturati in maniera tale da non produrre interesse);

b) la definizione di beneficiario (articolo 2 della direttiva risparmio, come riformulato);

c) la definizione di agente di pagamento e l’introduzione di una nozione “positiva” delle strutture intermedie istituite in uno degli Stati membri e tenute ad agire come “agenti pagatori all’atto del ricevimento”;

d) l’identificazione dei beneficiari effettivi (articolo 3 della novellata direttiva risparmio) attraverso la registrazione della data e del luogo di nascita del beneficiario effettivo e, ove disponibile, del codice fiscale di quest’ultimo.

Gli Stati membri sono tenuti a recepire la nuova direttiva nei rispettivi ordinamenti nazionali entro il 1° gennaio 2016.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 18 marzo 2015 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure sulla trasparenza fiscale comprendente una proposta di abrogazione, a decorrere dal 1º gennaio 2016, della direttiva 2003/48/CE sulla tassazione dei redditi da risparmio (COM(2015)129).

Il pacchetto include anche:

·        una comunicazione sulla trasparenza fiscale per combattere l'evasione e l'elusione (COM(2015)136);

·        una proposta di modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale.

La proposta di abrogazione è motivata dalla Commissione tenuto conto del fatto che gli obblighi previsti dalla direttiva 2003/48 si sovrappongono o sono assorbiti in massima misura da quelli stabiliti dalla direttiva 2014/107/UE, che è entrerà in vigore 1° gennaio 2016). Tale ultima direttiva, estendendo lo scambio automatico di informazioni ad un’ampia gamma di redditi e di capitali, secondo lo standard globale adottato in sede OCSE, ha infatti un campo di applicazione generalmente più ampio di quello della direttiva 2003/48/CE, e prevale espressamente su quest’ultima, in caso di sovrapposizione.

Al fine di garantire la prosecuzione senza soluzione di continuità della comunicazione automatica delle informazioni relative ai conti finanziari, l’abrogazione della direttiva 2003/48/CE dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2016, stessa data di applicazione della direttiva 2014/107.

Come chiarito nel preambolo, la proposta di abrogazione della direttiva 2003/48/CE sulla tassazione dei redditi da risparmio implica che la direttiva 2014/48/UE (che modifica la direttiva 2003/48/CE) non dovrebbe più essere attuata.

 

La proposta di abrogazione sarà esaminata secondo la procedura legislativa speciale, che prevede l’unanimità in seno al Consiglio dell’UE e il mero parere del Parlamento europeo.


 

 

Direttiva n. 2014/50/UE
(
Diritti pensionistici complementari e mobilità lavoratori)

 

 

La direttiva 2014/50/UE del 16 aprile 2014 stabilisce le norme minime per la tutela dei diritti pensionistici complementari dei lavoratori che si spostano da un paese europeo all'altro (cd. lavoratori in uscita). La direttiva si è resa necessaria in quanto il coordinamento dei regimi di sicurezza sociale non si applica alla maggior parte dei regimi pensionistici integrativi.

In materia è già intervenuta la direttiva 98/49/CE, relativa alla salvaguardia dei diritti delle pensioni complementari dei lavoratori subordinati e autonomi Si ricorda, in particolare, che la richiamata direttiva ha disposto la conservazione dei diritti pensionistici acquisiti di una persona che lascia un regime pensionistico di un Paese membro in seguito a trasferimento in un altro Stato membro (allo stesso modo di una persona che rimane nello stesso Stato membro), nonché il diritto, per i titolari di un regime pensionistico integrativo, a ricevere i propri benefici in qualsiasi Stato membro.

 

Ai sensi dell’articolo 8 della Direttiva, gli Stati membri sono tenuti a recepire tali disposizioni entro il 21 maggio 2018.

 

La Direttiva in esame introduce ulteriori disposizioni di salvaguardia, in relazione a piani pensionistici originati da rapporti di lavoro ("pensioni professionali")[15] e si applica (articolo 2, paragrafo 4) unicamente ai periodi di occupazione successivi al suo recepimento.

La Direttiva non trova applicazione (articolo 2, paragrafi 2, 3 e 5):

·     per i regimi pensionistici complementari che non accettino nuovi iscritti al 20 maggio 2014;

·     per i regimi pensionistici complementari oggetto di misure di mantenimento o risanamento (quali le procedure di liquidazione) da parte di organi amministrativi o giurisdizionali;

·     per i fondi di garanzia in caso di insolvenza, i fondi di compensazione ed i fondi di riserva pensionistici nazionali;

·     per i versamenti una tantum di fine rapporto non connessi ad ente pensionistico;

·     per il trasferimento dei diritti pensionistici maturati;

·     per le prestazioni di invalidità e/o ai superstiti collegate ai regimi pensionistici complementari (ad eccezione delle disposizioni di cui ai successivi articoli 5 e 6, relativi alla prestazioni ai superstiti);

·     per l'acquisizione e la salvaguardia dei diritti pensionistici complementari per i lavoratori che si spostano all'interno di un solo Stato membro.

L’articolo 4 individua i requisiti necessari per l'acquisizione dei diritti derivanti dall'iscrizione ai regimi pensionistici complementari, prevedendo per i lavoratori trasferitisi in altri Stati membri:

L'articolo 5 prevede che gli Stati membri adottino misure per garantire che i diritti pensionistici maturati dai lavoratori restino nel regime complementare in cui gli stessi siano stati maturati. Si consente che gli ordinamenti contemplino la possibilità di procedere al pagamento del valore dei diritti maturati, con il consenso informato del lavoratore. Inoltre, gli Stati membri assicurano che il valore in capitale dei diritti pensionistici in sospeso sia in linea con quello degli iscritti attivi o con l'evoluzione delle prestazioni pensionistiche in corso di pagamento, o che i medesimi diritti siano trattati in altri modi ritenuti equi[16]. Allo stesso tempo, è disposta la facoltà, per gli Stati membri, di consentire ai regimi pensionistici complementari di non mantenere i diritti pensionistici maturati di un lavoratore in uscita, ma di procedere al pagamento (con consenso informato del lavoratore), di un capitale equivalente (compresi gli oneri applicabili) al valore dei diritti pensionistici maturati dal lavoratore stesso, purché il valore dei diritti a pensione maturati non superi il limite stabilito dallo Stato membro interessato.

L'articolo 6 dispone il diritto, per gli iscritti attivi, di ottenere informazioni da parte degli Stati membri in merito alle conseguenze della cessazione del rapporto di lavoro sui loro diritti pensionistici complementari, nonché le informazioni, a favore dei beneficiari differiti, relative al valore dei loro diritti pensionistici in sospeso e alle condizioni che disciplinano il trattamento dei diritti pensionistici in sospeso.

L'articolo 7 prevede che gli Stati membri possano adottare disposizioni più favorevoli per i lavoratori e stabilisce che l'attuazione della direttiva non deve comportare una riduzione dei diritti esistenti (cd. clausola di non regressione).

Infine, si stabilisce l’obbligo, per gli Stati membri, di comunicare alla Commissione europea le informazioni disponibili in merito all'applicazione della presente direttiva entro il 21 maggio 2019, nonché l’obbligo, per la Commissione, di redigere una relazione sull'applicazione della stessa direttiva (da presentare al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo) entro il 21 maggio 2020 (articolo 9).


 

 

Direttiva n. 2014/51/UE
(
Autorità europee vigilanza (assicurazioni e strumenti finanziari))

 

 

La direttiva 2014/51/UE è volta a regolamentare alcuni poteri e competenze dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA).

 

Si rammenta che nel 2010 è stato istituito il Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria (ESFS), composto dall’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) e dall’Autorità bancaria europea (EBA).

Le norme della direttiva 2014/51/UE modificano la disciplina europea sostanziale concernente i settori di attività delle nuove Autorità di vigilanza europee, per adeguare al nuovo sistema di vigilanza, in particolare, si intende adeguare alle nuove diposizioni la direttiva 2003/71/CE relativa al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari (cd. direttiva prospetto) e la direttiva 2009/138/CE concernente l’accesso e l’esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (direttiva Solvency II). Sono apportate le conseguenti modifiche ai regolamenti in materia di agenzie di rating, di istituzione dell’ESMA e dell’EIOPA.

 

In estrema sintesi la direttiva, con un primo gruppo di norme, modifica gli atti legislativi nelle materie dell’ESMA e dell’EIOPA affinché esse stabiliscano i settori in cui alle autorità di vigilanza europee è conferito il potere di elaborare progetti di norme tecniche e le relative modalità di adozione da parte della Commissione UE; si riconduce nell’alveo delle norme sostanziali l’individuazione  degli elementi, delle condizioni e delle specifiche per gli atti delegati, come previsto all'articolo 290 TFUE. Tali standard costituiranno degli strumenti aggiuntivi per la convergenza della vigilanza.

Con il Trattato di Lisbona la Commissione, mediante gli atti delegati, di cui all'articolo 290 del TFUE, può emanare atti non legislativi di portata generale, che integrano o modificano elementi non essenziali di un atto legislativo, che dovrà indicare, a sua volta, gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere

I regolamenti istituitivi delle autorità di vigilanza europea, adottati dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, prevedono quindi il ricorso all'articolo 290 del TFUE, nonché all'articolo 291, il quale stabilisce che, pur restando agli Stati membri la competenza ad adottare misure di esecuzione, laddove siano necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione, questi conferiscano alla Commissione europea poteri di esecuzione.

Con un secondo gruppo di norme si interviene sulla direttiva Solvency II. Si conferiscono alla Commissione europea numerosi poteri delegati in una serie di materie, per un periodo di quattro anni a decorrere dall'entrata in vigore della direttiva, prorogabili per periodi di altrettanta durata, eccetto in caso di revoca dal parte del Parlamento europeo e del Consiglio.

In materia di controversie, i regolamenti istitutivi delle autorità di vigilanza europee prevedono che le suddette possano intervenire qualora le autorità nazionali competenti di uno o più Stati membri non riescano ad trovare un accordo tra loro. A tal fine i regolamenti prevedono che la normativa settoriale specifichi i casi in cui le autorità di vigilanza europee hanno facoltà di intervenire. Pertanto, la proposta in esame fissa una prima serie di casi all'interno della direttiva Solvibilità II, delineando una procedura per la risoluzione delle controversie, in base alla quale viene data facoltà ad una delle autorità di vigilanza nazionali interessate di sollevare la questione presso l'EIOPA.

La proposta apporta poi alcune modifiche aggiuntive alla direttiva Solvibilità II; sono specificate le condizioni, che dovranno essere constatate dall'EIOPA, per la determinazione di situazioni eccezionalmente avverse dei mercati. Vengono poi adeguati all'inflazione gli importi in euro del livello minimo del requisito patrimoniale delle imprese di riassicurazione captive. Al fine di agevolare la transizione verso un nuovo regime ed evitare turbative di mercato, sono previste misure transitorie che riguardano, tra l'altro: i requisiti di governance; la valutazione; le informazioni da fornire alle autorità di vigilanza e l'informativa al pubblico; la determinazione e la classificazione dei fondi propri; la formula standard per il calcolo del requisito patrimoniale di solvibilità.

La direttiva contiene inoltre una serie di misure sul trattamento dei prodotti di assicurazione a lungo termine, in modo da mitigare gli effetti della "volatilità artificiale”: ne deriva un regime di supervisione e regolazione per il settore assicurativo fondato sull'analisi del rischio, tramite il quale si intende realizzare una maggiore stabilità del sistema finanziario e di rafforzare il coordinamento della vigilanza internazionale.

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva è il 31 marzo 2015; l'applicazione delle norme derivanti dal recepimento deve decorrere dal 1° gennaio 2016.


 

 

Direttiva n. 2014/53/UE
(
Apparecchiature radio)

 

 

La direttiva 2014/53/UE introduce un nuovo quadro regolamentare per l'immissione sul mercato europeo delle apparecchiature radio, da intendersi quali prodotti elettrici o elettronici che emettono o ricevono intenzionalmente onde radio a fini di radiocomunicazione o radiodeterminazione, anche mediante uso di apposito accessorio quale l'antenna. La direttiva si applica quindi ad una molteplicità di prodotti tra i quali sono compresi i telefoni cellulari, i telecomandi di apertura delle porte di veicoli, modem ecc.

 

La direttiva fissa alcuni requisiti essenziali di tali apparecchiature, in termini di protezione della salute umana e animale, nonché di protezione dei beni, anche in relazione alla direttiva 2014/35/UE concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato del materiale elettrico destinato a essere adoperato entro taluni limiti di tensione.

Le apparecchiature in oggetto devono inoltre assicurare un adeguato livello di compatibilità elettromagnetica ai sensi della direttiva 2014/30/UE concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica. Esse devono essere fabbricate in modo da utilizzare efficacemente lo spettro radio al fine di evitare interferenze.

Le apparecchiature radio devono inoltre soddisfare ulteriori requisiti a seconda della tipologia o della classe di appartenenza: sarà la Commissione, con atto delegato, a stabilire la corrispondenza tra tipologie di apparecchi e requisiti che essi dovranno soddisfare. A tale proposito, si segnala il potere conferito alla Commissione di adottare atti delegati, che ha la durata di cinque anni a decorrere dall'11 giugno 2014.

I suddetti requisiti si possono riassumere nel modo seguente: compatibilità con accessori standardizzati, in particolare carica batterie; possibilità di interazione con altri apparecchi radio; possibilità di collegamento ad interfacce dello stesso tipo reperibili sul mercato europeo. Gli apparecchi devono poi assicurare la sicurezza della rete e del suo funzionamento; devono essere dotati di dispositivi atti ad assicurare la protezione dei dati dell'utente; devono poter supportare alcune funzioni atte a proteggere dalle frodi; devono assicurare l'accessibilità ai servizi di emergenza, nonché alle persone con disabilità.

Ai fini di una migliore sorveglianza del mercato, la direttiva pone in capo ai fabbricanti l'obbligo di registrazione centralizzata delle apparecchiature a decorrere dal 12 giugno 2018. Le modalità attuative di tale disposizione sono parimenti fissate dalla Commissione con atto delegato. Sono quindi dettate disposizioni sulla messa a disposizione sul mercato e sulla messa in servizio e uso in relazione alla conformità delle apparecchiature alla presente direttiva.

La direttiva pone in capo agli operatori economici specifici obblighi, prevedendo che ogni operatore (fabbricante, importatore, distributore) sia responsabile della conformità delle apparecchiature ai dettami della presente direttiva in relazione al ruolo da essi svolto nella catena di distribuzione. In particolare, i fabbricanti provvedono affinché le apparecchiature radio siano costruite in modo tale da poter essere utilizzate in almeno uno Stato membro senza violare le prescrizioni applicabili sull'uso dello spettro radio. Ad essi è anche attribuita la responsabilità della corretta etichettatura, della presenza delle istruzioni d'uso, della tenuta della documentazione tecnica comprovante la conformità degli apparecchi. I fabbricanti garantiscono che ogni singola apparecchiatura radio sia accompagnata da una copia della dichiarazione di conformità UE, eventualmente nella versione semplificata. Ulteriore obblighi riguardano la presenza degli elementi identificativi sull'apparecchio radio: quando le sue dimensioni o natura non lo consentano, le medesime indicazioni possono comparire sull'imballaggio o su un foglietto di accompagnamento. Le istruzioni e le informazioni essenziali al funzionamento delle apparecchiature devono essere espresse in un linguaggio semplice e comprensibile dall'utente. Simili incombenze ricadono anche su importatori - che immettono sul mercato solo prodotti conformi - e sui distributori, chiamati ad applicare con la dovuta diligenza le prescrizioni della direttiva.

La Commissione effettua un esame dell'applicazione della direttiva facendone rapporto entro il 12 giugno 2018 e, successivamente, ogni cinque anni. Il rapporto dovrà in particolare incentrarsi sull'efficacia della direttiva nel favorire un sistema coerente delle apparecchiature radio nell'Unione, nel favorire la convergenza dei settori delle telecomunicazioni, dell'audiovisivo e delle tecnologie dell'informazione, nonché l'armonizzazione delle norme. Inoltre, si dovranno verificare le misure introdotte in termini di protezione del consumatore, la compatibilità con gli accessori e il corretto funzionamento degli schermi ove presenti.

 

Il termine di recepimento è fissato al 12 giugno 2016.

 


 

Direttiva n. 2014/54/UE
(
Libera circolazione lavoratori)

 

 

La direttiva 2014/54/UE, da recepire entro il 21 maggio 2016, è volta ad agevolare l'esercizio del diritto alla libera circolazione dei lavoratori tra Stati membri, attraverso la previsione di una serie di disposizioni comuni dirette, tra l’altro, ad uniformare maggiormente l'applicazione e l'attuazione dei diritti relativi alla libera circolazione dei lavoratori (conferiti dall’articolo 45 del TFUE, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e dal regolamento (UE) n. 492/2011).

Come evidenziato nei considerando, la direttiva in esame si è resa necessaria in conseguenza di una divergente e non corretta applicazione della normativa dell’Unione in materia di esercizio dei diritti riconosciuti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione degli stessi (i lavoratori dell’Unione possono ancora subire restrizioni o ostacoli ingiustificati all'esercizio del loro diritto di libera circolazione, come il mancato riconoscimento delle qualifiche), nonché del fatto che molti lavoratori spesso ignorano i loro diritti sul tema, rendendo difficile l’effettivo esercizio e l’applicazione pratica di quanto legislativamente previsto.

L’articolo 45 del TFUE assicura la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, libertà che implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Tale libertà di circolazione (fatte salve le limitazioni derivanti da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica) comporta il diritto di rispondere a offerte di lavoro, di spostarsi liberamente nel territorio degli Stati membri e di prendervi dimora al fine di svolgere un'attività di lavoro, nonché di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego. Tali previsioni non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione. I diritti sostanziali per l'esercizio della libertà di circolazione sono ulteriormente specificati nel regolamento (UE) n. 492/2011 che garantisce (articoli da 1 a 10) ad ogni cittadino dell’Unione, tra l’altro, il diritto di accedere ad un impiego in altro Stato membro, di godere delle medesime condizioni di impiego e di lavoro godute dai lavoratori nazionali, in particolare in tema di retribuzione, di licenziamento, nonché di reintegrazione professionale o di ricollocamento se disoccupati, e di vantaggi sociali e fiscali.

Per quanto concerne l’ambito di applicazione della direttiva, questo viene identificato dall’articolo 2 con quello del citato regolamento (UE) n. 492/2011 e riguarda i vari aspetti del diritto al lavoro (dall’accesso alle condizioni di impiego, dallo svolgimento di attività sindacale all’accesso alla formazione, dall’alloggio ai vantaggi sociali e fiscali, ecc.).

Di seguito, un’analisi delle disposizioni maggiormente rilevanti introdotte dalla direttiva in esame.

L’articolo 3 prevede che gli Stati membri provvedano a garantire a tutti i lavoratori dell'Unione e ai loro familiari la possibilità di accedere a procedimenti giudiziari relativamente a presunte restrizioni e ostacoli ingiustificati al diritto di libera circolazione o a presunte lesioni del principio della parità di trattamento, anche dopo la cessazione del rapporto in cui si asserisce si siano verificati la restrizione o la discriminazione. La possibilità di azione viene riconosciuta anche ai soggetti giuridici portatori di legittimi interessi che, ai sensi dell’articolo 5, sono coinvolti dagli Stati membri in un dialogo diretto alla promozione del principio della parità di trattamento.

In base a quanto disposto dall’articolo 4, ciascuno Stato membro designa una o più strutture o uno o più organismi per “la promozione, l'analisi, il controllo e il sostegno della parità di trattamento dei lavoratori dell'Unione e dei loro familiari, senza discriminazione fondata sulla nazionalità, restrizioni od ostacoli ingiustificati al loro diritto di libera circolazione” e adotta le disposizioni necessarie al buon funzionamento dei suddetti organismi.

I requisiti fissati dalla direttiva in esame, per espressa previsione dell’articolo 7, sono da considerarsi minimi, cosicché, in materia di tutela del principio della parità di trattamento, gli Stati membri possono introdurre o mantenere misure più favorevoli di quelle ivi fissate. Inoltre, l’attuazione della direttiva non può comportare in nessun caso una riduzione del livello di tutela dei lavoratori dell'Unione e dei loro familiari nei settori rientranti nel suo campo d'applicazione.

Infine, per la proposizione di eventuali modifiche, laddove necessarie, l’articolo 9 dispone che la Commissione presenti al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo una relazione sull'attuazione della direttiva in esame entro il 21 novembre 2018.

 


 

Direttiva n. 2014/55/UE
(Fatturazione elettronica negli a
ppalti pubblici)

 

 

La direttiva 2014/55/UE, entrata in vigore il 26 maggio 2014, disciplina in quattordici articoli la fatturazione elettronica nel settore dei contratti pubblici.

L’articolo 1 dispone che l’ambito di applicazione della direttiva riguarda le fatture elettroniche emesse a seguito dell'esecuzione di contratti previsti dalle direttive 2009/81/CE (contratti pubblici nei settori della difesa e della sicurezza), 2014/23/UE (contratti di concessione), 2014/24/UE (appalti pubblici) e 2014/25/UE (appalti pubblici nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, ossia nei cosiddetti settori speciali).

Si ricorda che il recepimento delle direttive n. 23, n. 24 e n. 25 è oggetto del disegno di legge delega n. 1678 all’esame del Senato.

Sono escluse dall’applicazione della direttiva le fatture elettroniche emesse a seguito dell’esecuzione de contratti, previsti dalla direttiva 2009/81/CE, qualora l'aggiudicazione e l'esecuzione del contratto siano dichiarate segrete o debbano essere accompagnate da speciali misure di sicurezza secondo le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti in uno Stato membro e a condizione che lo Stato membro stesso abbia determinato che gli interessi essenziali in questione non possono essere garantiti da misure meno restrittive.

L’articolo 2 elenca le definizioni della direttiva, tra le quali rilevano quelle riguardanti la fattura elettronica, gli elementi essenziali, il modello semantico dei dati, la sintassi e le corrispondenze sintattiche.

L'articolo 3 prevede l’elaborazione da parte del Comitato europeo di normazione (CEN) di una norma europea per il modello semantico dei dati degli elementi essenziali di una fattura elettronica («norma europea sulla fatturazione elettronica») in linea con i criteri esplicitati nel medesimo articolo (ad esempio neutralità tecnologica, compatibilità con le norme internazionali pertinenti in materia di fatturazione elettronica, adeguatezza all'utilizzo nelle transazioni commerciali tra imprese). La direttiva prevede che la Commissione proceda alla pubblicazione della norma europea sulla fatturazione elettronica entro il 27 maggio 2017 a condizione che siano rispettati i predetti criteri e sia superata la fase delle verifiche.

Gli articoli 4 e 5 disciplinano, rispettivamente, i casi di obiezioni formali alla norma europea e le procedure per l’aggiornamento o la revisione della norma medesima e dell’elenco delle sintassi.

L’articolo 6 specifica gli elementi essenziali di una fattura elettronica, con riferimento all'identificazione della fattura e del relativo processo di fatturazione, al periodo di fatturazione, nonché alle informazioni necessariamente contenute.

Gli articoli 7 e 8 disciplinano, rispettivamente, le modalità di ricezione ed elaborazione delle fatture elettroniche da parte delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori e la tutela dei dati ottenuti a fini di fatturazione elettronica.

Gli articoli 9 e 10 disciplinano, rispettivamente, l’uso di fatture elettroniche a fini IVA secondo le disposizioni della direttiva 2006/112/CE e la procedura di comitato (che assiste la Commissione europea).

L’articolo 11 fissa il termine di recepimento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva al 27 novembre 2018.

In deroga a tale termine, gli Stati membri, entro diciotto mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea dei riferimenti della norma europea sulla fatturazione elettronica, adottano, pubblicano e applicano le disposizioni necessarie per conformarsi all'obbligo di cui all'articolo 7 di ricevere ed elaborare le fatture elettroniche. La suddetta deroga può essere estesa, per le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sub-centrali, fino al termine massimo di trenta mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea dei riferimenti della norma europea sulla fatturazione elettronica.

L’articolo 12 prevede il riesame da parte della Commissione degli effetti della direttiva sul mercato interno e sulla diffusione della fatturazione elettronica nel settore degli appalti pubblici e la presentazione di una relazione, eventualmente corredata da una valutazione di impatto relativa alla necessità di intraprendere ulteriori azioni, al Parlamento europeo e al Consiglio, entro tre anni dal predetto termine di trenta mesi.

 

 


 

Direttiva n. 2014/56/UE
(
Revisione legale dei conti)

 

 

Il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’Unione europea hanno approvato, rispettivamente il 3 ed il 14 aprile 2014, la riforma della revisione legale dei bilanci d’esercizio e consolidati attraverso l’adozione dei seguenti atti:

-        la direttiva 2014/56/UE, che modifica la direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati;

-        il regolamento (UE) n. 537/2014 del 16 aprile 2014 sui requisiti relativi alla revisione legale dei conti di enti di interesse pubblico e che abroga la decisione 2005/909/CE della Commissione.

La nuova 'direttiva revisione' contiene una serie di misure applicabili alla generalità delle revisioni contabili, nonché alcune previsioni, riguardanti il comitato per il controllo interno e la revisione contabile, applicabili esclusivamente agli enti di interesse pubblico. Il Regolamento prevede ulteriori e più stringenti regole applicabili unicamente alle revisioni dei bilanci dei citati enti. La riforma della revisione legale dei bilanci si inserisce in un contesto più ampio di riforme adottate immediatamente dopo la crisi finanziaria, per rilanciare la stabilità del sistema.

La riforma è stata varata all’esito di una consultazione pubblica avviata dalla Commissione europea il 13 ottobre 2010 attraverso il libro verde “La politica in materia di revisione contabile: gli insegnamenti della crisi”. In seguito alla consultazione, la Commissione europea ha approvato, il 30 novembre 2011, una proposta di nuova direttiva revisione ed un regolamento sulla quale si è instaurato un ampio dibattito concluso con l’accordo politico tra Parlamento e Commissione europea raggiunto il 17 dicembre 2013.

Il termine di recepimento è il 17 giugno 2016.

 

La direttiva 2014/56/UE modifica alcune definizioni rilevanti contenuti nella normativa previgente: in primo luogo, tra le modifiche introdotte vi è la definizione di “revisione legale dei conti” al fine di ricomprendervi, oltre alla revisione dei bilanci di esercizio o dei bilanci consolidati prescritta dal diritto dell’Unione europea, la revisione dei bilanci prescritta dalla legislazione nazionale per quanto riguarda le piccole imprese, nonché la revisione dei bilanci delle piccole imprese effettuata volontariamente, purché la stessa sia considerata dalla normativa nazionale equivalente alla revisione legale. L’impatto della modifica ha rilevanza ai fini dell’individuazione della tipologia di imprese soggette all’obbligo di revisione.

Si rammenta che la direttiva 2013/34/UE del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, che ha modificato sia la direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e ha abrogato le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio, ha riformulato le definizioni rilevanti a fini contabili delle varie categorie di imprese (microimprese, piccole, medie e grandi imprese); ha inoltre disposto che gli Stati membri assicurino che i bilanci degli enti di interesse pubblico, delle medie e grandi imprese siano sottoposti a revisione legale (articolo 34), escludendo così la categorie delle piccole imprese dall’obbligo della revisione.

La definizione di “revisione legale dei conti” contenuta nella nuova direttiva revisione sembra consentire agli Stati membri di ricomprendere nell’alveo dei soggetti a cui essa si applica, attraverso la legislazione nazionale, anche la categoria delle piccole imprese, altrimenti esentate dall’obbligo della revisione ai sensi della normativa comunitaria generale.

 

Quanto al riconoscimento delle imprese di revisione contabile, la direttiva in esame aggiunge l'art. 3-bis alla direttiva 2006/43. La norma generale relativa all’abilitazione, rimasta invariata, prevede che la revisione legale sia svolta esclusivamente da revisori o società di revisione abilitati dallo Stato membro che impone la revisione. La nuova direttiva revisione introduce una deroga a tale regola generale, operante per le società di revisione già abilitate in uno Stato membro che intendano effettuare revisioni presso uno Stato membro diverso da quello di origine. In questo caso, alla società di revisione è richiesta l’iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante, rilasciata a condizione che il responsabile della revisione che effettua la revisione legale per conto della società di revisione sia abilitato nello Stato membro ospitante.

 

La nuova direttiva modifica parzialmente anche la procedura per l’abilitazione dei revisori legali già abilitati in altri Stati membri, contemplando, in alternativa al superamento della prova attitudinale, già previsto dalla previgente direttiva revisione, un tirocinio di adattamento ai sensi della direttiva relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. La scelta tra le due procedure alternative (tirocinio di adattamento o prova attitudinale) è rimessa alla volontà dello Stato membro ospitante.

 

La direttiva in esame introduce il concetto di 'scetticismo professionale', al quale viene attribuito la valenza di un principio generale da rispettare nello svolgimento della revisione legale, al pari dei princìpi di deontologia professionale, indipendenza, obiettività, riservatezza e segreto professionale. Per scetticismo professionale si intende un atteggiamento, da adottare durante tutto il corso della revisione legale, caratterizzato da un approccio dubitativo, attento alle condizioni che possano indicare possibili errori dovuti a comportamenti o eventi non intenzionali o a frodi e una valutazione critica degli elementi probativi.

 

Per quanto attiene alle regole sull’indipendenza, la direttiva in commento contiene, per alcuni aspetti, un grado di dettaglio maggiore rispetto alla previgente normativa, anche se i requisiti fondamentali rimangono sostanzialmente invariati. In primo luogo, il requisito dell’indipendenza dal soggetto sottoposto a revisione è richiesto ora non solo al revisore legale o società di revisione ma anche a “qualsiasi persona fisica in grado di influenzare direttamente o indirettamente l’esito della revisione”, tra cui, ad esempio, ai dirigenti della società di revisione, ai suoi revisori, ai suoi dipendenti, a “qualsiasi persona fisica i cui servizi sono messi a disposizione o sono sotto il controllo del revisore legale o della società di revisione contabile o qualsiasi persona direttamente o indirettamente collegata al revisore legale o alla società di revisione contabile da un legame di controllo”. Resta invariato l’approccio utilizzato per valutare il requisito dell’indipendenza, secondo il quale il revisore legale o la società di revisione non effettuano la revisione se sussistono rischi derivanti da autoriesame, interesse personale, familiarità, esercizio del patrocinio legale, ovvero minacce di intimidazione, determinati da relazioni finanziarie, personali, d’affari, di lavoro o di altro tipo dalle quali un terzo informato, obiettivo e ragionevole trarrebbe la conclusione che l’indipendenza risulti compromessa nonostante le misure di salvaguardia adottate.

 

 Particolare attenzione viene posta sulla posizione dell’ex revisore assunto dalla società revisionata. La nuova direttiva vieta al revisore o al responsabile della revisione, prima che sia trascorso almeno un anno dalla cessazione delle sue attività in qualità di revisione (2 anni nel caso di revisione di un ente di interesse pubblico), di assumere le seguenti funzioni presso l’ente revisionato: dirigente di rilievo; membro del comitato per il controllo interno e la revisione contabile; membro senza incarichi esecutivi dell’organo di amministrazione o membro dell’organo di controllo. Identico divieto vige per i dipendenti, i soci nonché per ogni altra persona fisica i cui servizi sono messi a disposizione o sono sotto il controllo del revisore legale o della società di revisione contabile, nel caso in cui tali soggetti siano stati personalmente abilitati alla revisione. Prima di accettare o proseguire un incarico di revisione il revisore o società di revisione deve valutare e documentare: se è in regola con i requisiti di indipendenza richiesti; se sussistono rischi per la sua indipendenza e se sono state adottate misure per mitigarli; se dispone di tempo, di risorse e di personale competente per poter svolgere l’incarico; se, nel caso di società di revisione, il responsabile dell’incarico è abilitato all’esercizio dell’attività di revisione nel Paese che la impone. Gli Stati membri possono prevedere disposizioni semplificate per le revisioni delle piccole imprese.

 

La direttiva in esame introduce regole relative all’organizzazione interna del revisore o società di revisione e del suo lavoro. Il revisore e la società di revisione sono tenute ad adottare direttive e procedure interne volte a garantire che: in una società di revisione, l’indipendenza del responsabile della revisione non sia compromessa da ingerenze da parte degli azionisti, dei membri degli organi di amministrazione, di direzione e di controllo; il revisore o la società di revisione dispongano di un sistema amministrativo e contabile solido, di un sistema di controllo interno della qualità, di procedure per la valutazione del rischio e di meccanismi di controllo e tutela del proprio sistema di elaborazione elettronica dati; il personale che partecipa all’incarico di revisione abbia le conoscenze e l’esperienza adeguata per svolgerlo; l’esternalizzazione di funzioni di revisione non comprometta la qualità del suo controllo interno della qualità, né la capacità delle autorità competenti di vigilare sul revisore o società di revisione; eventuali rischi per l’indipendenza siano prevenuti, identificati, eliminati, gestiti e resi pubblici; l’attività del personale che partecipa all’incarico sia monitorata ed esaminata e venga predisposto un fascicolo di revisione per ogni incarico di revisione; il revisore o la società di revisione dispongano di un sistema di controllo interno della qualità che comprenda almeno direttive e procedure appropriate per svolgere l’incarico e che consenta di monitorare ed esaminare l’attività del personale che partecipa all’incarico e di predisporre un fascicolo di revisione per ogni incarico di revisione; le attività di revisione siano svolte in maniera continua e regolare e che eventuali incidenti che hanno avuto o potrebbero avere ripercussioni sull’integrità delle proprie attività di revisione siano efficacemente fronteggiati e registrati; le politiche retributive del personale che partecipa all’incarico di revisione incentivino la qualità della revisione e siano svincolate dal fatturato derivante dalla fornitura di servizi diversi dalla revisione alla società revisionata. Le citate procedure sono documentate e comunicate ai dipendenti del revisore o della società di revisione e sono monitorate e valutate al fine di garantirne adeguatezza ed efficacia. In particolare, le direttive e le procedure che costituiscono il sistema di controllo interno della qualità del revisore sono oggetto di valutazione annuale.

 

Con riferimento all’organizzazione del lavoro, la nuova direttiva prevede: che in una società di revisione venga designato almeno un responsabile della revisione per ciascun incarico e che lo stesso partecipi attivamente allo svolgimento del lavoro di revisione; che ad ogni incarico siano assegnate risorse e tempo sufficienti; che qualsiasi violazione delle disposizioni contenute nella nuova direttiva e nel regolamento sia documentata, unitamente alle eventuali conseguenze delle violazioni e le misure correttive adottate; il contenuto minimo del fascicolo (o file) di revisione ed il termine entro il quale lo stesso deve essere ultimato. La direttiva in esame conferma il meccanismo di adozione dei princìpi di revisione internazionali da parte della Commissione europea, dopo che tale ipotesi sembrava orami definitivamente abbandonata. Per “princìpi di revisione internazionali” si intendono gli International Standard on Auditing (ISA) ma anche il principio internazionale sul controllo della qualità n. 1 (International Standard on Quality Control - ISQC 1), nonché gli altri princìpi correlati emanati dall’IFAC tramite lo IAASB, nella misura in cui gli stessi siano rilevanti ai fini della revisione. La Commissione europea può adottare i princìpi di revisione internazionali a condizione che gli stessi: siano stati elaborati attraverso una procedura trasparente che garantisca il necessario controllo pubblico e siano generalmente accettati a livello internazionale; contribuiscano ad accrescere la credibilità e la qualità dell’informativa finanziaria; siano nell’interesse generale europeo; non modifichino né integrino i requisiti previsti dalla nuova direttiva revisione. Gli Stati membri possono, a determinate condizioni, imporre procedure o obblighi di revisione aggiuntivi ma non è più consentito loro di stralciare parte dei princìpi di revisione internazionali. Gli Stati membri, infine, qualora impongano la revisione legale alle imprese di piccole dimensioni possono stabilire che l’applicazione dei suddetti princìpi di revisione internazionale debba essere proporzionata alla dimensione e complessità della società sottoposta a revisione.

 

La direttiva in commento, rinviando alle regole più specifiche contenute nei princìpi di revisione internazionali, elenca i requisiti minimi della relazione di revisione che, rispetto al passato, reca la dichiarazione su eventuali incertezze relative a eventi o circostanze che potrebbero sollevare dubbi significativi sulla capacità dell’ente revisionato di rispettare il presupposto della continuità aziendale.

Altro elemento di novità è l’ipotesi della revisione congiunta, effettuata da più di un revisore o società di revisione (c.d. joint audit). In questo caso, la nuova direttiva richiede ai revisori o società di revisione di raggiungere un accordo sui risultati della revisione e di esprimere un giudizio congiunto. In caso di disaccordo, ogni revisore o società di revisione presenterà il proprio giudizio in un paragrafo distinto della relazione di revisione, indicando i motivi del disaccordo.

 

La disciplina sui controlli di qualità rimane sostanzialmente invariata. Un elemento di novità riguarda la frequenza dei controlli in merito alla quale la nuova direttiva introduce il concetto della valutazione del rischio. Pertanto, i controlli della qualità dovranno aver luogo sulla base di un’analisi del rischio ma, nel caso di revisioni legali prescritte dal diritto europeo, rimane il limite massimo di 6 anni tra una verifica della qualità e la successiva. Altro importante elemento di novità è l’introduzione del concetto di proporzionalità dei controlli di qualità rispetto alla complessità dell’attività di revisione o della società di revisione o dell’ente revisionato. A tali fini, gli Stati membri impongono alle autorità competenti, quando effettuano i controlli di qualità delle revisioni dei bilanci delle piccole e medie società, di tenere in considerazione il concetto della proporzionalità dei princìpi di revisione internazionali alla dimensione e complessità del soggetto sottoposto a revisione.

 

La direttiva in esame contiene, infine, ulteriori specifiche relative ai criteri per la selezione dei soggetti incaricati di eseguire le verifiche di qualità, finalizzate a garantire l’assenza di conflitti di interesse tra gli stessi e il revisore o la società di revisione da sottoporre a verifica. A tal fine viene ora richiesto ai controllori di rilasciare un’apposita dichiarazione di assenza di conflitti e viene anche previsto che gli stessi non possano effettuare verifiche presso il revisore o la società di revisione del quale siano stati dipendenti o al quale siano stati legati da altri rapporti di lavoro o di associazione prima che siano decorsi almeno 3 anni dalla cessazione di tali rapporti.

 

La nuova direttiva amplia la disciplina relativa alle indagini e sanzioni, inserendo 6 nuovi articoli. In particolare, sono previste misure e sanzioni amministrative minime, graduate in relazione alla gravità della violazione; vengono disciplinate le modalità di pubblicazione delle sanzioni comminate, nonché introdotti meccanismi di segnalazione delle violazioni alle autorità competenti. Inoltre, la direttiva ribadisce che l’autorità competente incaricata del controllo pubblico è diretta da persone esterne alla professione. Viene, pertanto, eliminata l’opzione che consentiva agli Stati membri di coinvolgere nella direzione di tale sistema una minoranza di professionisti. Tuttavia, l’autorità competente può, ora, esplicitamente affidare ai professionisti lo svolgimento di compiti specifici e può, inoltre, essere assistita da esperti del settore nell’espletamento delle sue funzioni. Oltre agli incarichi specifici, la direttiva introduce esplicitamente l’opzione per gli Stati membri di delegare, o consentire all’autorità competente di delegare, i propri compiti ad altre autorità o organismi designati o altrimenti autorizzati dalla legge a svolgere tali compiti. Inoltre, la Direttiva introduce il divieto di clausole contrattuali che possono in ogni modo limitare o condizionare la scelta, da parte dell’assemblea, di uno specifico revisore o società di revisione. Tale previsione intende contribuire alla soluzione del problema dell’eccessiva concentrazione del mercato della revisione vietando, ad esempio, che i bandi per l’assegnazione dell’incarico di revisione richiedano ai candidati il possesso di determinati requisiti dimensionali e/o di precedenti esperienze che automaticamente escludono i revisori individuali o le piccole società di revisione. In materia di revoca del revisore o società di revisione di un ente di interesse pubblico, la nuova direttiva introduce la facoltà in capo agli azionisti che rappresentano il 5% del capitale sociale o alle autorità competenti di adire un giudice nazionale per la revoca del revisore o società di revisione.


 

 

Direttiva n. 2014/58/UE
(
Articoli pirotecnici)

 

 

La direttiva 2014/58/UE definisce le modalità mediante le quali istituire un sistema di tracciabilità degli articoli pirotecnici immessi sul mercato dell'Unione europea.

L’adozione di tale disciplina, è prevista dall'articolo 18, comma 2, lettera a), della direttiva 2007/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce norme volte ad attuare la libera circolazione degli articoli pirotecnici nel mercato interno e prevede, tra le misure esecutive, l’istituzione di un sistema di tracciabilità per l'identificazione dei tipi di articoli pirotecnici e del loro fabbricante.

 

Si ricorda che la direttiva 2007/23/CE è stata già recepita nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 4 aprile 2010, n. 58, come modificato dall'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 25 settembre 2012, n. 176. Successivamente, è stata adottata la direttiva 2013/29/UE che aggiorna la disciplina relativa all'immissione sul mercato di articoli pirotecnici, considerate le sostanziali modificazioni avute negli anni recenti ed evidenzia la necessità della "rifusione" della direttiva 2007/23/CE. Lo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2013/29/UE è attualmente all’esame del Parlamento (Atto del Governo n. 160).

 

La direttiva sulla tracciabilità prevede, in particolare, che ciascun articolo pirotecnico deve essere munito di apposita etichetta con relativo numero di registrazione (articolo 1). Il numero di registrazione deve contenere le quattro cifre del numero di identificazione dell'organismo notificato, la categoria dell'articolo pirotecnico in forma abbreviata e il numero di trattamento utilizzato dall'organismo di notificazione.

In base alla direttiva, al fine di garantire la tracciabilità degli articoli pirotecnici all'interno del territorio dell'Unione europea è necessario che gli organismi notificati che si occupano delle procedure di verifica della conformità, istituiscano un registro di tutti quegli articoli pirotecnici per i quali hanno rilasciato attestati di certificazione, certificati di conformità o approvazioni del sistema di qualità (articolo 2). Al fine di standardizzare il sistema di identificazione di tali articoli, il numero di registrazione deve contenere le informazioni indicate nell'allegato alla direttiva. Inoltre, il registro deve essere aggiornato periodicamente, reso accessibile al pubblico mediante l'accesso in internet e conservato per almeno dieci anni dal momento del rilascio delle certificazioni o approvazioni.

La tenuta di un registro dei numeri di registrazione degli articoli pirotecnici è imposta anche ai fabbricanti e importatori di tali articoli. Inoltre, nell'ipotesi in cui intervenga la revoca della notifica di un organismo di verifica o la cessazione dell'attività di un fabbricante o importatore, i registri da essi tenuti devono essere trasferiti alle competenti autorità (articolo 3).

 

Lo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2013/29/UE, all’esame del Parlamento (Atto del Governo n. 160), stabilisce, all’articolo 7, che al fine di consentire la tracciabilità degli articoli pirotecnici, i fabbricanti vi appongono un'etichetta con un numero di registrazione assegnato dall'organismo notificato che esegue la valutazione di conformità. La numerazione è realizzata in base a un sistema uniforme definito dalla Commissione dell'Unione europea. È inoltre stabilito l’obbligo per i fabbricanti e gli importatori di conservare i numeri di registrazione degli articoli pirotecnici che mettono a disposizione sul mercato e, su richiesta motivata, rendono tali informazioni disponibili agli organi di polizia e alle autorità di sorveglianza del mercato di tutti gli Stati membri dell'Unione europea.

 

Come indicato all'articolo 4 della direttiva, il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è fissato alla data del 30 aprile 2015, e la relativa applicazione alla data del 17 ottobre 2016.

 


 

 

Direttiva n. 2014/60/UE
(Restituzione di beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro)

 

 

La direttiva 2014/60/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 modifica e rifonde la direttiva 93/7/CEE - già modificata dalle direttive 96/100/CE e 2001/38/CE - allo scopo di rafforzare la normativa che consente di ottenere la restituzione di beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro.

Le modifiche intendono superare i limiti riscontrati nell’applicazione della direttiva 93/7/CEE che, come evidenzia il punto 8) della premessa della nuova direttiva, sono derivati, in particolare, dalla ristrettezza del suo ambito di applicazione - risultante dalla condizioni stabilite nel suo allegato -, dai termini brevi per l’avvio di un’azione di restituzione e dai costi legati alla medesima azione.

 

La prima modifica apportata dalla direttiva 2014/60/UE riguarda l'ambito di applicazione, che viene ora esteso a qualsiasi bene che è classificato o definito da uno Stato membro quale "patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale”, senza più riferimento alle categorie indicate nell’All. A della precedente direttiva e, dunque, anche senza più riferimento a soglie di antichità o di valore, nonché senza più riferimento all’appartenenza a collezioni pubbliche o inventari di istituzioni ecclesiastiche (art. 2, primo comma, punto 1)[17].

Qui un approfondimento sulla nozione di bene culturale in base al D.Lgs. 42/2004.

 

La seconda modifica riguarda l'estensione (da due) a sei mesi del termine entro il quale lo Stato membro a cui è stato notificato il ritrovamento di un bene da parte di un altro Stato membro deve verificare se il bene in questione costituisce un bene culturale. Il termine continua a decorrere dalla notifica (art. 5, primo comma, punto 3).

 

La terza modifica riguarda l’estensione (da uno) a tre anni del termine per agire in giudizio al fine di ottenere il rientro del bene. Il termine continua a decorrere dalla data in cui l’autorità centrale competente dello Stato membro richiedente è venuta a conoscenza del luogo in cui si trovava il bene culturale e dell’identità del suo possessore o detentore (art. 8, comma 1, primo capoverso) [18].

 

Ulteriori modifiche riguardano il regime dell’equo indennizzo da corrispondere al possessore del bene.

Anzitutto, l’onere della prova relativo all’uso della diligenza richiesta viene posto a carico del possessore per tutti gli Stati membri (laddove, invece, la precedente direttiva prevedeva che l'onere della prova fosse disciplinato dalla legislazione dello Stato membro richiesto) (art. 10, primo comma).

Inoltre, si specifica che, per determinare l’esercizio della diligenza, si tiene conto di tutte le circostanze dell’acquisizione e, in particolare:

-        della documentazione sulla provenienza del bene;

-        delle autorizzazioni di uscita prescritte dal diritto dello Stato richiedente;

-        della qualità delle parti;

-        del prezzo pagato;

-        del fatto che il possessore abbia consultato o meno i registri accessibili dei beni culturali rubati e ogni informazione pertinente che avrebbe potuto ragionevolmente ottenere;

-        di ogni altra pratica cui una persona ragionevole avrebbe fatto ricorso in circostanze analoghe (art. 10, secondo comma).

 

Inoltre, per facilitare la cooperazione tra le autorità degli Stati membri e consentire loro di scambiarsi in modo efficace informazioni circa i beni culturali usciti illegittimamente, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali e della vita privata, la direttiva introduce il ricorso al sistema di informazione del mercato interno ("IMI") previsto dal regolamento (UE) 1024/2012, specificamente adattato per i beni culturali (art. 5, secondo comma, e art. 7, terzo comma).

 

Un’ultima modifica riguarda l’estensione (da tre) a cinque anni della cadenza del termine periodico per l’invio alla Commissione di una relazione sull’applicazione della direttiva da parte di ogni Stato membro (art. 17, comma 1).

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva - limitatamente alle parti modificate - è il 18 dicembre 2015 (art. 19, comma 1).

 

Il recepimento comporterà la modifica degli artt. 75-86 del d.lgs. 42/2004 che - come modificato, in tale parte, dal D.Lgs. 62/2008 - rappresentano recepimento della direttiva 93/7/CEE.

 

Dal 19 dicembre 2015 - data a decorrere dalla quale è abrogata la direttiva 93/7/CEE (art. 20, primo comma) – saranno applicabili anche le parti della direttiva 2014/60/UE per le quali non sono intervenute modifiche (art. 21, secondo comma).

 

Per completezza si ricorda che il 24 settembre 2014 l’Italia ha riconsegnato alla Grecia ottantadue monete archeologiche elleniche, di cui 79 in argento e 3 in bronzo, recuperate nel 2008 dai carabinieri nel corso di un'operazione in Veneto. Come si legge nel comunicato stampa del Mibact, la consegna ha rappresentato “la prima applicazione in Italia della direttiva comunitaria del '93 che disciplina la restituzione dei beni culturali”.

 

 


 

 

Direttiva n. 2014/61/UE
(
Reti comunicazione elettronica)

 

 

La direttiva 2014/61/UE è entrata in vigore il 12 giugno 2014.

L’articolo 1 afferma che le nuove disposizioni mirano a facilitare ed incentivare l'installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità, promuovendo l'uso condiviso dell'infrastruttura fisica esistente e consentendo un dispiegamento più efficiente di infrastrutture fisiche nuove. In tal modo si vogliono abbattere i costi dell'installazione di tali reti. La direttiva fissa requisiti minimi relativi alle opere civili e alle infrastrutture fisiche, ma consente agli Stati membri di mantenere o introdurre misure conformi al diritto dell'Unione che vadano al di là di essi, purché finalizzati ai medesimi obbiettivi di fondo.

L'articolo 2 della direttiva enuncia una serie di definizioni tecniche e giuridiche, mentre per altri aspetti rimanda alle definizioni contenute nella direttiva 2002/21/CE, recante un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica.

L'accesso alle infrastrutture fisiche esistenti è regolato dall'articolo 3 della direttiva. Gli Stati membri consentono agli operatori di offrire l'accesso alle imprese fornitrici di reti di comunicazione elettronica. Gli Stati membri possono altresì prevedere il diritto per gli operatori di reti pubbliche di comunicazione di offrire l'accesso alla loro infrastruttura fisica per l'installazione di reti diverse dalle reti di comunicazione elettronica. Gli operatori hanno l'obbligo di soddisfare tutte le richieste di accesso alle loro infrastrutture fisiche,  a condizioni che siano eque e ragionevoli, anche riguardo al prezzo. L'eventuale rifiuto dell'accesso deve essere giustificato da criteri oggettivi, trasparenti e proporzionati, indicati nel paragrafo 3 dell'articolo 3. Tra questi criteri, vi sono anche problemi di sicurezza e sanità pubblica. In caso di controversie sul diritto all'accesso, le parti si rivolgeranno ad un organismo nazionale competente per la risoluzione di esse (le caratteristiche di tale organismo sono definite dal successivo articolo 10). Le decisioni che tale organismo emetterà per risolvere la controversia saranno vincolanti, fatta salva la possibilità per le parti di adire un organo giurisdizionale (articolo 3, commi 4 e 5. Tale possibilità è ribadita all'articolo 10). Analoga procedura di risoluzione delle controversie è prevista in relazione ai successivi articoli 4 e 6). In ogni caso, non sono pregiudicati i diritti di proprietà del proprietario dell'infrastruttura fisica, né il diritto di proprietà di terzi, quali i proprietari di terreni e i proprietari immobiliari privati.

Secondo l'articolo 4, le imprese interessate ad accedere alle reti pubbliche di comunicazione elettronica hanno il diritto di ricevere una serie di informazioni minime riguardo a ubicazione e tracciato, tipologia dell'infrastruttura e punto di contatto (tale diritto può essere limitato soltanto per ragioni connesse alla sicurezza e all’integrità delle reti, nonché alla sicurezza nazionale, pubblica sicurezza, sanità pubblica). Gli enti pubblici che per competenza detengono elementi delle informazioni minime di cui sopra devono metterli a disposizione entro il 1° gennaio 2017, per mezzo di sportello unico elettronico. Su specifica richiesta scritta di un'impresa, saranno effettuate ispezioni in loco sulle infrastrutture fisiche. Le imprese che ottengono l'accesso alle informazioni in base alle disposizioni appena illustrate sono tenute ad adottare misure che garantiscano il rispetto della riservatezza e dei segreti tecnici e commerciali.

L'articolo 5 prevede che gli Stati membri provvedano al coordinamento, da parte degli operatori di rete, delle opere di genio civile funzionali all'installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità. Essi possono fissare regole sulla ripartizione dei costi legati al suddetto coordinamento di opere.

L'articolo 6 e l'articolo 7 integrano le precedenti regole sul coordinamento di opere di genio civile. In particolare, l'articolo 6 prevede che gli operatori di rete mettano a disposizione informazioni minime riguardanti le opere di tal genere in corso o programmate (ubicazione e tipo di opere; elementi di rete interessati; data di inizio e durata dei lavori). L'articolo 7 delinea la procedura di rilascio delle autorizzazioni per opere di genio civile funzionali all'installazione di elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità. Le informazioni in materia, ivi comprese quelle riguardanti eventuali eccezioni, devono essere disponibili attraverso lo sportello unico elettronico (citato al precedente articolo 4). L'articolo 7 stabilisce che le autorità competenti rilascino o rifiutino le autorizzazioni entro quattro mesi dalla data di ricevimento di una richiesta. Questo termine è prorogabile solo in casi eccezionali, e l'eventuale proroga deve essere quanto più breve possibile. I rifiuti devono essere debitamente giustificati.

Gli articoli 8 e 9 trattano di infrastrutture fisiche interne agli edifici e dell'accesso ad esse. Ai sensi dell'articolo 8, gli edifici nuovi per i quali le domande di autorizzazione edilizia sono presentate dopo il 31 dicembre 2016 devono essere equipaggiati di un'infrastruttura fisica interna predisposta per l'alta velocità fino ai punti terminali di rete. Il medesimo obbligo vale in caso di opere di profonda ristrutturazione dell'edificio. Inoltre, tutti i condomini nuovi per i quali le domande di autorizzazione edilizia sono presentate dopo il 31 dicembre 2016 saranno dotati di un punto di accesso, mentre i condomini preesistenti dovranno dotarsene in caso di ristrutturazioni profonde. Tuttavia, sono ammesse esenzioni per determinate categorie di edifici, in particolare per le abitazioni singole, o per le opere di profonda ristrutturazione, qualora i costi per l'adempimento di tali obblighi fossero sproporzionati o per altri motivi di cui l'articolo 8 fornisce alcuni esempi. L'articolo 9, a sua volta, riconosce ai fornitori di reti pubbliche di comunicazione il diritto di installare la loro rete a loro spese, fino al punto di accesso. Se però ciò è tecnicamente impossibile o inefficiente sotto il profilo economico, i suddetti fornitori di reti pubbliche di comunicazione accederanno all'esistente infrastruttura fisica interna all'edificio. In assenza di un'infrastruttura interna all'edificio predisposta per l'alta velocità, i fornitori avranno il diritto di far terminare la propria rete nella sede dell'abbonato, a condizione di aver ottenuto il suo consenso e purché provvedano a ridurre al minimo l'impatto sulla proprietà privata di terzi. Le disposizioni recate dall'articolo 9, comunque, non pregiudicano il diritto di proprietà del proprietario del punto di accesso o dell'infrastruttura fisica interna all'edificio, né il diritto di proprietà di terzi. E' anzi contemplata la possibilità di un risarcimento finanziario adeguato in favore di chi abbia subito danni a seguito dell'esercizio dei diritti di cui all'articolo 9 stesso.

 

Si ricorda in proposito che nell’ordinamento italiano, l’articolo 135-bis del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (DPR n. 380/2001), introdotto dall’articolo 6-ter del decreto-legge n. 133/2014 già prevede l’obbligo per gli edifici di nuova realizzazione con relativa domanda presentata dopo il 1° luglio 2015 di dotarsi di impianti di comunicazione ad alta velocità in fibra ottica fino ai punti terminali di rete, nonché di un punto di accesso (vale a dire il punto fisico che consente la connessione tra rete interna dell’edificio e rete pubblica di comunicazione).

 

L'articolo 10 si occupa dell'organismo nazionale per la risoluzione delle controversie, nonché dello sportello unico elettronico menzionato all'articolo 4 e all'articolo 7. L'organismo nazionale competente per la risoluzione delle controversie è definito giuridicamente distinto e funzionalmente autonomo dagli operatori di rete. I costi di esecuzione delle funzioni dello sportello unico possono essere coperti dagli Stati membri mediante tariffe a carico degli utenti.

Gli articoli 11, 12 e 13 vertono sull'applicazione della direttiva in esame. L'articolo 11 impone agli Stati membri di prevedere, per le violazioni della direttiva, sanzioni appropriate, efficaci, proporzionate e dissuasive. L'articolo 12 prevede che entro il 1° luglio 2018 la Commissione europea presenti al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'attuazione della direttiva in questione.

L'articolo 13 stabilisce il termine per il recepimento della direttiva al 1° gennaio 2016.

Il termine per l'applicazione delle disposizioni di recepimento, invece, è il 1° luglio 2016.


 

Direttiva n. 2014/62/UE
(
Protezione mediante il diritto penale dell’euro e di altre monete contro la falsificazione)

 

 

La direttiva 2014/62/UE, del 15 maggio 2014, stabilisce norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in materia di falsificazione dell’euro e di altre valute; introduce quindi disposizioni uniformi relative alla lotta alla falsificazione, migliorando le attività investigative ed assicurando una miglior cooperazione giudiziaria e di polizia nell’Unione.

 

La Direttiva, come esplicitato nelle sue premesse, mira infatti a contrastare e reprimere le attività che possono compromettere l’autenticità dell’euro mediante falsificazione.

 

Nel preambolo si legge infatti che, dalla sua introduzione nel 2002, la contraffazione dell’euro ha provocato danni finanziari per almeno 500 milioni di euro, imputabili prevalentemente all’attività di gruppi della criminalità organizzata che operano nel settore della falsificazione monetaria.

 

Quanto al profilo della definizione dei reati e delle relative pene per la falsificazione delle monete:

·             l’articolo 3 della direttiva individua le condotte che gli Stati dovranno qualificare come reati;

·             l’articolo 4 invita gli Stati a punire anche l’induzione, il favoreggiamento e il concorso in relazione alle suddette condotte, così come il tentativo, limitatamente ad alcune di tali condotte;

·             l’articolo 5 stabilisce i requisiti minimi delle pene da applicare, che dovranno come di consueto garantire di essere effettive, proporzionate e dissuasive.

 

Condotta (artt. 3-4)

Pena da applicare (art. 5)

a) contraffazione o alterazione fraudolenta di monete, qualunque ne sia il modo;

reclusione per una durata massima di almeno 8 anni

b) immissione in circolazione fraudolenta di monete falsificate;

reclusione per una durata massima di almeno 5 anni

- immissione in circolazione di monete falsificate quando si siano ricevute ignorandone la falsità, facendole poi circolare nonostante la consapevolezza della falsità;

reclusione e multa

c) importazione, esportazione, trasporto, ricettazione o procacciamento di monete falsificate, riconosciute tali, per la loro immissione in circolazione;

reclusione per una durata massima di almeno 5 anni

d) fabbricazione fraudolenta, ricettazione, procacciamento o possesso di:

i) strumenti, oggetti, programmi informatici e dati nonché ogni altro mezzo che per loro natura sono particolarmente atti alla contraffazione o all'alterazione di monete; o

ii) elementi di sicurezza quali ologrammi, filigrane o altri componenti della valuta che servono ad assicurarne la protezione contro la falsificazione.

reclusione

 

Si ricorda che l’ordinamento penale italiano già attualmente qualifica come illecito penale la falsificazione di monete.

 

L’art. 453 cp. (Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate), applica infatti la reclusione da 3 a 12 anni e la multa da 516 a 3.098 euro a:

1. chiunque contraffà monete nazionali o straniere, aventi corso legale nello Stato o fuori;

2. chiunque altera in qualsiasi modo monete genuine, col dare ad esse l'apparenza di un valore superiore;

3. chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, ma di concerto con chi l'ha eseguita ovvero con un intermediario, introduce nel territorio dello Stato o detiene o spende o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate;

4. chiunque, al fine di metterle in circolazione, acquista o comunque riceve, da chi le ha falsificate, ovvero da un intermediario, monete contraffatte o alterate.

L’art. 454 c.p. (Alterazione di monete) punisce con la reclusione da uno a 5 anni e con la multa da euro 103 a euro 516 chiunque altera monete della qualità indicata nell'articolo precedente, scemandone in qualsiasi modo il valore, ovvero, rispetto alle monete in tal modo alterate, commette alcuno dei fatti indicati nei n. 3 e 4 del detto articolo.

L’art. 455 c.p. (Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate) punisce con le pene previste dagli articoli precedentemente citati, ridotte da un terzo alla metà, chiunque, non ricorrendo i delitti precedenti, introduce nel territorio dello Stato, acquista o detiene monete contraffatte o alterate, al fine di metterle in circolazione, ovvero le spende o le mette altrimenti in circolazione. L’art. 457 c.p.. (Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede) punisce con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.032, chiunque spende, o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate, da lui ricevute in buona fede.

Infine, l’art. 461 c.p. punisce con la reclusione da 1 a 5 anni e con la multa da 103 a 516 euro la fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata.

 

 

La direttiva contiene poi due disposizioni sulla responsabilità delle persone giuridiche (artt. 6 e 7), prevedendo sanzioni di natura interdittiva, di vigilanza o liquidazione giudiziaria, di esclusione dal godimento di contributi o sovvenzioni pubblici e, financo, di chiusura temporanea o permanente dei locali usati per commettere i reati.

 

In merito si ricorda che il decreto legislativo n. 231 del 2001[19], sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche derivante dalla commissione di reati, già prevede sanzioni pecuniarie e interdittive a carico dell’ente a seguito della commissione dei delitti di falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento (articolo 25-bis).

 

 

Per quanto riguarda il secondo profilo di intervento, la direttiva richiede agli Stati membri di predisporre “efficaci strumenti di indagine, come quelli usati per le indagini riguardanti la criminalità organizzata o altre forme gravi di criminalità” (art. 9).

Gli Stati devono inoltre assicura che durante il procedimento penale sia consentito senza indugio, da parte del centro nazionale di analisi e del centro nazionale di analisi delle monete metalliche, l'esame di banconote e monete metalliche in euro di cui si sospetta la falsificazione ai fini dell'analisi e dell'individuazione e rinvenimento degli altri falsi (art. 10).

Almeno ogni due anni, gli Stati membri devono trasmettere alla Commissione dati relativi al numero di reati di cui agli artt. 3 e 4 e al numero di persone perseguite e condannate per tali reati.

 

Il termine per il recepimento della direttiva è il 23 maggio 2016.

 

 

 


 

 

Direttiva n. 2014/66/UE
(
Ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per trasferimento intra-societario)

 

 

La direttiva 2014/66/UE stabilisce le condizioni di ingresso e di soggiorno nell'Unione dei cittadini di Paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intra-societari. Si tratta di dirigenti, personale specializzato e dipendenti in tirocinio in succursali, o filiali di società prevalentemente multi-nazionali, trasferiti temporaneamente per brevi incarichi in altre unità della società (art. 2 e consideranda 5 e 6).

Tra i principali criteri di ammissione elencati dall'art. 5 si ricordano l'appartenenza dell'entità ospitante[20] e dell'impresa stabilita in un Paese terzo alla stessa impresa o allo stesso gruppo di imprese; l'impiego continuativo per un periodo minimo per la stessa impresa o lo stesso gruppo di imprese; la presentazione di un contratto o di una lettera di incarico del datore di lavoro; la prova delle qualifiche e dell'esperienza richieste. In termini più generali, il par. 8 specifica che "ai fini della presente direttiva non sono ammessi cittadini di Paesi terzi che sono considerati una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica o la sanità pubblica".

L'art. 6 conferma che ogni Stato membro ha il diritto di determinare i volumi di ingresso (quote) dei cittadini di Paesi terzi e che l'ammontare dei medesimi può, dunque, determinare il respingimento di una domanda di permesso per trasferimento intra-societario.

La procedura per ottenere il permesso al trasferimento intra-societario è descritta nel Capo III (art. 10-16) e prevede la presentazione di una domanda da parte di un cittadino di un Paese terzo o dell'entità ospitante (art. 11) ed il rilascio di un permesso uniforme (art. 13). La decisione sulla domanda, o il suo rinnovo, deve essere assunta per iscritto, motivata in caso di rigetto e notificata al richiedente non oltre 90 giorni dalla data di presentazione. È inoltre impugnabile, conformemente al diritto nazionale (art. 15).

Le motivazioni alla base di un possibile rifiuto sono elencate all'art. 7 mentre l'art. 8 disciplina i casi di revoca o mancato rinnovo.

Qualora per l'inosservanza delle condizioni di ingresso possa essere ritenuta responsabile l'entità ospitante, lo Stato membro interessato prevede, ai sensi dell'art. 9, sanzioni "effettive, proporzionate e dissuasive". È previsto che (art. 9, par. 3) gli Stati membri adottino misure per prevenire eventuali abusi e sanzionare violazioni alla direttiva. A questo fine sono previste attività di monitoraggio, valutazione e, ove opportuno, ispezione.

Il Capo IV è dedicato ai diritti derivanti dal permesso per trasferimento intra-societario. L'art. 17 individua il contenuto minimo dei suddetti diritti nella possibilità di ingresso e soggiorno nello Stato membro che per primo ha rilasciato al cittadino di un Paese terzo un permesso per trasferimento intra-societario, di libero accesso a tutto il suo territorio, nonché il diritto di esercitare la specifica attività lavorativa autorizzata dal permesso. L'art. 18 dettaglia il diritto alla parità di trattamento e l'art. 19 i diritti riservati ai familiari del lavoratore trasferito, prevedendo forme di agevolazione al ricongiungimento familiare, anche in deroga alla normativa generale.

Il Capo V è dedicato alla mobilità all'interno dell'Unione europea ed illustra le condizioni in base alle quali i cittadini di Paesi terzi titolari di un permesso intra-societario possono, in virtù di tale documento, entrare, soggiornare e lavorare in uno o più altri Stati membri. Vengono distinte le ipotesi di mobilità di breve durata, per la quale è richiesta una notifica (art. 21), e di lunga durata, per la quale lo Stato membro può accettare la notifica o adottare l'iter più articolato descritto nell'art. 22. L'art. 23 elenca, tra l'altro, i rapporti tra i diversi Stati membri (coinvolti nella mobilità all'interno dell'Unione europea), nonché i casi in cui gli Stati membri possono imporre sanzioni nei confronti dell'entità ospitante.

Ai sensi dell'art. 4, la direttiva "si applica fatte salve disposizioni più favorevoli" del diritto dell'Unione o di accordi bilaterali o multilaterali.

Ai sensi dell'art. 26, gli Stati membri devono designare dei punti di contatto, anche ai fini di ricevere e trasmettere informazioni.

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva è il 29 novembre 2016.

 

 


 

Direttiva n. 2014/67/UE
(
Distacco lavoratori nei servizi)

 

 

La direttiva 2014/67/UE, che dovrà essere recepita entro il 18 giugno 2016, è volta a consentire una migliore e più uniforme applicazione della direttiva 96/71/CE[21], relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi transfrontalieri, attraverso la previsione di una serie di disposizioni e misure dirette a superare le incertezze interpretative della direttiva 96/71/CE, nonché a contrastare comportamenti elusivi della normativa vigente da parte delle imprese.

Così come specificato nei considerando e nell’articolato, la direttiva mira a garantire il rispetto di un appropriato livello di protezione dei diritti dei lavoratori distaccati per una prestazione transfrontaliera di servizi, in particolare per quanto concerne l'attuazione delle condizioni di impiego applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di servizi (ai sensi dell'articolo 3 della direttiva 96/71/CE).

Il Capo I (artt. 1-4) concerne l’oggetto della direttiva. Dopo aver definito le finalità e il campo di applicazione della direttiva in esame (coincidente con quello previsto dalla direttiva 96/71/CE), dispone che la stessa non pregiudica l'esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti dagli Stati membri e dall’Unione (compresi il diritto o la libertà di sciopero e il diritto o la libertà di intraprendere altre azioni contemplate dalla disciplina delle relazioni industriali negli Stati membri), secondo il diritto e le prassi nazionali, né il diritto di negoziare, concludere ed applicare accordi collettivi e promuovere azioni collettive secondo il diritto e le prassi nazionali (art.1). Per il perseguimento dei fini stabiliti nella direttiva, viene previsto che gli Stati membri designino una o più autorità competenti che operano una valutazione generale per stabilire l'autenticità del distacco, anche sulla base dei criteri elencati all'articolo 4 concernenti sia all'impresa che al lavoratore (art. 3).

Il Capo II (art. 5) dispone la facilitazione dell’accesso alle informazioni relative alle condizioni di lavoro e di occupazione (di cui all'articolo 3 della direttiva 96/71/CE) che i prestatori di servizi devono rispettare.

Il Capo III (artt. 6-8) riguarda la cooperazione degli Stati membri. Questa consiste nel rispondere alle motivate richieste di informazioni da parte delle autorità competenti e nell'esecuzione di controlli, ispezioni e indagini in relazione a situazioni di distacco, comprese indagini su casi di inadempienza o violazione delle norme applicabili al distacco dei lavoratori (art. 6). Il controllo sulle condizioni di lavoro da rispettare e sulla regolarità del distacco viene effettuato dallo Stato dove è prestato il servizio, se necessario in collaborazione con lo Stato membro di stabilimento (art. 7). Sono previste, inoltre, misure di accompagnamento per facilitare e promuovere gli scambi di personale responsabile della cooperazione amministrativa e dell'assistenza reciproca, nonché della vigilanza sul rispetto della normativa vigente (art. 8).

Il Capo IV (artt. 9-10) contiene disposizioni e misure volte a consentire un controllo sul rispetto di quanto previsto dalla direttiva in esame e dalla direttiva 96/71/CE. Più in particolare, l’articolo 9 contiene un elenco degli obblighi amministrativi e delle misure di controllo che gli Stati membri possono, in particolare, imporre, mentre l’articolo 10 dispone che gli Stati membri predispongano controlli e meccanismi di vigilanza e che le autorità designate effettuino nel loro territorio “efficaci e adeguate” ispezioni (anche a campione), basate principalmente su una valutazione dei rischi da parte delle autorità competenti, per verificare la conformità alla direttiva 96/71/CE, garantendo la corretta applicazione della direttiva in esame.

Il Capo V (artt. 11-12) concerne l'esecuzione degli obblighi previsti dalla direttiva 96/71/CE. Le disposizioni sono volte ad assicurare la possibilità, per i lavoratori che ritengano di avere subito un pregiudizio, di "ricorrere a efficaci meccanismi per denunciare direttamente i loro datori di lavoro" attraverso azioni giudiziarie o amministrative, "anche dopo che abbia avuto termine il rapporto di lavoro nell'ambito del quale la presunta violazione è stata commessa" (art. 11). Al fine di contrastare gli abusi e le frodi, vengono introdotte forme di responsabilità del subcontraente (“limitata ai diritti dei lavoratori acquisiti nell'ambito del rapporto contrattuale tra il contraente e il suo subcontraente”) nel subcontratto[22] (art. 12).

Il Capo VI (artt. 13-19) disciplina l'esecuzione transfrontaliera delle sanzioni amministrative pecuniarie e delle ammende.

Il Capo VII (artt. 20-25) contiene le disposizioni finali, tra le quali rilevano, in particolare: l’articolo 20, secondo cui agli Stati membri spetta stabilire le sanzioni ("effettive, proporzionate e dissuasive") applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva; l’articolo 22, che inserisce la direttiva in esame e la direttiva 96/71/CE tra le disposizioni relative alla cooperazione amministrativa di atti dell’Unione attuati mediante il sistema di informazione del mercato interno (IMI), istituito dal regolamento (UE) n. 1024/2012; l’articolo 24, in base al quale la Commissione, entro il 18 giugno 2019, presenta una relazione sull’applicazione della direttiva in esame.

 


 

Direttiva n. 2014/68/UE
(
Attrezzature a pressione)

 

 

La direttiva 2014/68/UE, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato, ha lo scopo di adeguare la legislazione relativa alle attrezzature a pressione al quadro normativo costituito dal regolamento (CE) n. 765/2008, sull'accreditamento degli organismi di valutazione della conformità e sulla vigilanza di mercato, e dalla decisione n. 768/2008/CE, che detta un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti. Inoltre, la direttiva intende adeguare il mercato delle attrezzature in esame al regolamento (CE) n. 1272/2008, in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele.

La direttiva si applica alla progettazione, fabbricazione e valutazione di conformità delle attrezzature - compresi eventualmente elementi annessi a parti pressurizzate - sottoposte ad una pressione superiore a 0,5 bar. Essa fissa gli obblighi di tutti gli operatori economici che intervengono nella catena di fornitura e distribuzione, in relazione ai loro rispettivi ruoli. A tal fine, la direttiva reca disciplina relativa agli obblighi dei fabbricanti e dei rappresentanti da loro autorizzati, degli importatori e dei distributori.

La direttiva impone ai fabbricanti di assicurare che le attrezzature siano state progettate e fabbricate conformemente ai requisiti essenziali di sicurezza di cui all’allegato I. Ulteriori obblighi riguardano la preparazione e la conservazione della documentazione tecnica. Inoltre, i produttori devono indicare sul prodotto il loro nome, la loro denominazione commerciale registrata o il loro marchio registrato e il proprio indirizzo postale, quale punto unico di contatto. Qualora dimensione o conformazione dell'attrezzatura non consentano l'apposizione di tali indicazioni, queste andranno riportate sull’imballaggio o in un documento di accompagnamento dell’attrezzatura. Le informazioni relative al punto unico di contatto devono essere riportate in una lingua facilmente comprensibile per i consumatori, gli altri utilizzatori e le autorità di vigilanza del mercato. Analoghi obblighi relativi alla denominazione, al marchio o denominazione, nonché al punto di contatto sono posti in capo agli importatori.

La dichiarazione di conformità UE attesta il rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza di cui all’allegato I ed è redatta secondo la struttura indicata nell'allegato IV. La marcatura CE è soggetta ai principi generali previsti dal regolamento (CE) n. 765/2008. La direttiva in esame, peraltro, detta le disposizioni specifiche circa le regole e le condizioni per l’apposizione della marcatura suddetta.

La direttiva, inoltre, disciplina i casi in cui le attrezzature presentino rischi per la sicurezza: in tali casi, lo Stato membro, qualora le competenti autorità di vigilanza abbiano evidenziato tali rischi, chiedono tempestivamente all’operatore economico interessato di adottare tutte le misure correttive al fine di rendere l'attrezzatura a pressione conforme oppure di ritirare o di richiamare il prodotto dal mercato entro un termine ragionevole e proporzionato alla natura del rischio. I risultati della valutazione sulla conformità devono essere resi noti agli altri Stati membri e alla Commissione nei casi in cui la mancata conformità non investa il solo territorio nazionale.

La direttiva attribuisce, infine, alla Commissione il potere di adottare atti delegati al fine di tenere debitamente in conto eventuali problemi relativi alla sicurezza che dovessero emergere. Tale delega è conferita per un periodo di cinque anni a decorrere dal 1° giugno 2015. Il Parlamento europeo e il Consiglio possono sollevare obiezioni sull'atto delegato entro due mesi: in caso di obiezione l'atto non entra in vigore. È abrogata (con la decorrenza prevista dall'articolo 50) la direttiva 97/23/CE, le cui disposizioni sono rifuse nella presente direttiva.

 

Il termine di recepimento è fissato al 28 febbraio 2015.

Procedure di contenzioso

Il 27 marzo 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2015/0145) per il mancato recepimento della direttiva 2014/68/UE.

 

 


 

Direttiva n. 2014/86/UE
(
Regime fiscale società madri e figlie)

 

 

La direttiva 2014/86/UE modifica la cd. 'Direttiva madri-figlie' (Direttiva 2011/96/UE) per evitare situazioni di doppia non imposizione derivanti da incongruenze nel trattamento fiscale delle distribuzioni di utili tra Stati membri. Le modifiche intendono, quindi, porre un freno alle asimmetrie impositive esistenti tra i diversi ordinamenti nazionali.

In particolare, l'intervento ha riguardato l'articolo 4, paragrafo 1, lettera a) della direttiva, con la finalità di evitare che i benefici della stessa producano situazioni di doppia non imposizione, con vantaggi fiscali involontari per i gruppi di società madri e figlie di Stati membri diversi rispetto ai gruppi di società di uno stesso Stato membro.

La modifica alla direttiva del 2011 prevede che lo Stato della società madre (o della sua stabile organizzazione) si astenga dal tassare gli utili solo nella misura in cui tali utili siano non deducibili nello Stato della fonte. In sostanza, lo Stato membro della società madre deve accordare l'esenzione per i profitti distribuiti dalla figlia a condizione che essi non siano deducibili nello Stato della figlia; in altri termini, lo Stato del percipiente deve tassare la parte di utili deducibile nello Stato della fonte. La modifica alla direttiva madre-figlia è finalizzata a neutralizzare eventuali schemi abusivi che utilizzano strumenti ibridi (hybrid loan structures), ossia prestiti da cui derivino proventi in grado di creare arbitraggi fiscali tra due o più Stati membri, in quanto per lo Stato erogante sono interessi passivi e quindi deducibili dal reddito del pagatore (società figlia), mentre per lo Stato di destinazione si tratta di dividendi e pertanto esenti ai sensi della direttiva in capo al percettore (società madre).

L'intervento legislativo ricalca quanto già presente nel nostro ordinamento all'articolo 44, comma 2, del Tuir; infatti, in base a tale previsione è negato il trattamento di esclusione da tassazione dei dividendi alle remunerazioni degli strumenti finanziari che nel paese estero sono considerati titoli di debito che determinano la deducibilità degli interessi passivi. Si tratta di una misura unilaterale di contrasto della doppia non imposizione, mentre la direttiva assume rilevanza multilaterale all'interno della Ue e agisce in condizioni di reciprocità. La modifica alla direttiva consegue alla raccomandazione della Commissione 2012/772/UE sulla pianificazione fiscale aggressiva che sensibilizzava gli Stati membri sul tema delle asimmetrie impositive; tema peraltro in discussione anche in sede OCSE. In tale contesto, è stato posto in consultazione pubblica il documento "Neutralise the effects of Hybrid Mismatch Arrangements" dalle cui proposte risulta come la disciplina di contrasto degli strumenti ibridi potrebbe prevedere specifiche previsioni - sulla falsariga di quanto introdotto nella madre-figlia - che gli Stati aderenti all'organizzazione potrebbero applicare in via autonoma e in condizioni di reciprocità.

La direttiva in titolo, inoltre, aggiorna l'allegato I, parte A, della direttiva 2011/96/UE, con l’inserimento di altre forme di società assoggettate a imposta sulle società in Polonia e altre forme di società che sono state introdotte nel diritto societario della Romania.

 

Il termine per il recepimento da parte degli Stati membri è fissato alla data del 31 dicembre 2015.

 

 


 

 

Direttiva n. 2014/87/UE
(
Sicurezza impianti nucleari)

 

 

La direttiva 2014/87/UE, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato, si compone di soli due articoli, il primo dei quali propone modifiche alla direttiva 2009/71/Euratom. 

 

La direttiva 2009/71/Euratom introduceva l'obbligo per gli Stati membri di istituire e mantenere un quadro nazionale per la sicurezza nucleare, ai sensi di quanto stabilito negli strumenti internazionali  (Convenzione sulla sicurezza nucleare del 1994) e negli standard di sicurezza  fissati dall'AIEA (Agenzia internazionale per l'energia atomica) (Fundamental safety principles - Iaea Safety Standard series SF-1 (2006).

L'incidente nucleare verificatosi a Fukushima nel 2011 ha riportato l'attenzione mondiale sulle misure necessarie per ridurre al minimo i rischi e per garantire la massima affidabilità in termini di sicurezza nucleare. Valutazioni globali del rischio e della sicurezza delle centrali nucleari effettuati in Europa in seguito a una decisione del Consiglio europeo del 25 marzo 2011 hanno messo in luce la necessità di adeguare il quadro normativo sulla sicurezza. In particolare, si è reso evidente il ruolo delle autorità nazionali di regolamentazione, che devono essere rafforzate sia sotto il profilo delle competenze tecniche sia sotto il profilo dell'indipendenza, disponendo altresì di risorse adeguate.

Le modifiche alla normativa esistente devono inoltre comprendere un miglioramento del coordinamento tra autorità nazionali competenti, una più stretta cooperazione e uno stabile scambio di informazioni, soprattutto quando gli impianti nucleari siano prossimi alle frontiere tra Stati confinanti, dato che le conseguenze degli eventuali incidenti interessano aree vaste.

Un altro importante aspetto del miglioramento della sicurezza comprende la formazione costante del personale addetto agli impianti nucleari.

 

La direttiva in esame richiede agli Stati membri di istituire un quadro legislativo nazionale che preveda: ripartizione delle responsabilità e coordinamento tra gli istituti statali competenti, requisiti nazionali di sicurezza, sistema di concessione delle licenze, sistema di controlli da parte dell'autorità nazionale, adeguate sanzioni per il mancato rispetto delle norme.

Inoltre, gli Stati membri devono garantire misure normative che assicurino l'indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione dal punto di vista giuridico e finanziario, nonché misure che garantiscano la competenza tecnica e  scientifica del personale e che prevengano eventuali conflitti di interesse.

 

Con il decreto legislativo 45/2014 è stata attuata la direttiva 2011/70/Euratom che ha istituito un quadro comune di riferimento a livello europeo per la sicurezza e la sostenibilità della gestione del combustibile esaurito e delle scorie radioattive, al fine di proteggere i cittadini, i lavoratori, l’ambiente, dall’effetto nocivo delle radiazioni ionizzanti Le disposizioni della direttiva sono introdotte dal D.Lgs 45/2014 modificando l'impianto normativo vigente, attualmente disciplinato dalla legge n. 1860 del 31 dicembre 1962, dal decreto legislativo n. 230 del 17 marzo 1995, e dal decreto legislativo n. 31 del 15 febbraio 2010. In tale ambito, le funzioni di autorità nazionale in materia di sicurezza nucleare e radioprotezione sono svolte, come stabilisce l'articolo 1 del D.Lgs 45/2014, dall'Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la radioprotezione (ISIN), istituito dall'articolo 6.

In merito alle funzioni e ai compiti dell'ISIN rilevano le istruttorie connesse ai processi di autorizzazione; le valutazioni tecniche, il controllo, la vigilanza delle installazioni nucleari non più in esercizio, e in via di disattivazione, dei reattori di ricerca, degli impianti e delle attività connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, delle materie nucleari, della protezione fisica passiva delle materie e delle installazioni nucleari, delle attività di impiego delle sorgenti di radiazioni ionizzanti e di trasporto delle materie radioattive, e l'emanazione delle certificazioni previste per il trasporto di tali materie. Rientrano tra i compiti dell'ISIN anche l'emanazione di guide tecniche di supporto ai ministeri per le elaborazione di atti di rango legislativo. L'ISIN fornisce anche supporto tecnico alle autorità di protezione civile nel campo della pianificazione e della risposta ad eventuali emergenze nucleari, svolge le attività di controllo della radioattività ambientale previste dalla legge e assicura gli adempimenti dello Stato agli obblighi derivanti da accordi internazionali sulle salvaguardie. L'ISIN assicura la rappresentanza dello Stato italiano nell'ambito delle attività svolte dalle organizzazioni internazionali e dall'UE nelle materie di competenza.

 

La direttiva introduce nuove norme sui titolari delle licenze, che sono direttamente responsabili della sicurezza degli impianti nucleari.  Essi devono elaborare e presentare dettagliati piani di sicurezza, devono verificare periodicamente le misure di sicurezza adottate, devono stabilire efficaci misure di emergenza, devono investire adeguate risorse materiali e umane nel settore della sicurezza.

Le nuove disposizioni della direttiva in esame impongono agli Stati di regolamentare il quadro della sicurezza nucleare con misure sulla capacità e competenza degli operatori coinvolti; gli Stati devono introdurre norme sulla trasparenza e l'informazione, devono provvedere affinché gli impianti siano progettati costruiti, utilizzati e disattivati con l'obiettivo primario della sicurezza.

Inoltre, è richiesto che gli Stati membri provvedano circa la valutazione iniziale e la revisione periodica degli impianti, nonché la risposta alle emergenze che insorgano nei siti nucleari.

Infine, la direttiva richiede che ogni dieci anni almeno gli Stati dispongano verifiche di autovalutazione del quadro normativo e delle misure sulle autorità di regolamentazione.

 

Il termine di recepimento è il 15 agosto 2017.

 


 

 

Direttiva n. 2014/89/UE
(
Pianificazione spazio marittimo)

 

 

La direttiva n. 2014/89/UE, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato, istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo con l'intento di promuovere la crescita sostenibile delle economie marittime, lo sviluppo sostenibile delle zone marine e l'uso sostenibile delle risorse marine (art. 1).

La pianificazione dello spazio marittimo è definita, all’art. 3, come un processo mediante il quale le pertinenti autorità dello Stato membro analizzano e organizzano le attività umane nelle zone marine al fine di conseguire obiettivi ecologici, economici e sociali.

La direttiva si inserisce nel contesto della direttiva 2008/56/CE, la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, che costituisce il pilastro della politica marittima integrata dell'Unione europea («PMI»), stabilendo principi comuni per gli Stati membri al fine di favorire lo sviluppo sostenibile dei mari e delle economie marittime e costiere e sviluppando un processo decisionale coordinato per raggiungere un buono stato ecologico delle acque marine. La PMI individua la pianificazione dello spazio marittimo come strumento politico intersettoriale che consente alle autorità pubbliche e alle parti interessate di applicare un approccio integrato, coordinato e transfrontaliero.

La direttiva 2008/56/CE stabilisce che, al fine di promuovere la crescita sostenibile delle economie marittime, sia applicato l'approccio ecosistemico, che richiede che la pressione collettiva delle attività sia mantenuta entro livelli compatibili con il buono stato ecologico per consentire agli ecosistemi marini di non risentire dei cambiamenti indotti dall'uomo. In questo campo opera anche il regolamento (UE) n. 1255/2011, che prevede la concessione finanziamenti volti a sostenere la pianificazione dello spazio marittimo e della gestione integrata delle zone costiere.

La direttiva 2014/89/UE prevede che ogni Stato membro sia tenuto ad elaborare ed attuare la pianificazione dello spazio marittimo (art. 4) per il conseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 5: contribuire allo sviluppo e alla crescita sostenibili nel settore marittimo, applicando un approccio ecosistemico. In particolare, mediante appositi piani di gestione dello spazio marittimo, gli Stati membri dovranno contribuire:

-allo sviluppo sostenibile dei settori energetici del mare, del settore dei trasporti marittimi e della pesca e dell'acquacoltura, per la conservazione, la tutela e il miglioramento dell'ambiente, compresa la resilienza all'impatto del cambiamento climatico.

Tra i requisiti minimi elencati all'art. 6 per la pianificazione dello spazio marittimo gli Stati membri dovranno tener conto delle interazioni terra-mare e degli aspetti relativi alla sicurezza, assicurare il coinvolgimento di tutte le parti interessate nonché garantire l'impiego dei migliori dati disponibili.

Circa il contenuto specifico dei piani di gestione dello spazio marittimo, l’articolo 8 dispone che gli Stati membri prendano in considerazione le interazioni delle attività e degli usi e gli interessi possibili, che possono includere:

- zone di acquacoltura,

- zone di pesca,

- impianti e infrastrutture per la prospezione, lo sfruttamento e l'estrazione di petrolio, gas e altre risorse energetiche, di minerali e aggregati e la produzione di energia da fonti rinnovabili,

- rotte di trasporto marittimo e flussi di traffico,

- zone di addestramento militare,

- siti di conservazione della natura e di specie naturali e zone protette,

- zone di estrazione di materie prime,

- ricerca scientifica,

- tracciati per cavi e condutture sottomarini,

- turismo,

- patrimonio culturale sottomarino.

 

Ulteriore obbligo è quello di assicurare la partecipazione del pubblico (art. 9) prevedendo che i soggetti interessati, le autorità competenti e la popolazione interessata abbiano accesso ai piani di gestione, una volta ultimati. I piani dovranno essere aggiornati almeno ogni dieci anni.

Particolare importanza viene data alla necessità di una buona organizzazione nell'utilizzo e nella condivisione dei dati necessari per i piani di gestione (art. 10).

Agli Stati membri che condividono un bacino marino viene richiesto inoltre di promuovere un'efficace collaborazione transfrontaliera, nonché la cooperazione con i paesi terzi (come definito dagli artt. 11 e 12). La cooperazione fra gli Stati membri che condividono un bacino marino deve essere realizzata tramite strutture regionali di cooperazione istituzionale esistenti, e/o strutture di autorità competenti degli Stati membri, e/o eventuali altri metodi. Ugualmente rilevante è la cooperazione con i paesi terzi.

Ogni Stato membro, in base all’art. 13, deve designare la/le autorità competenti per l'attuazione della direttiva e trasmetterne l'elenco alla Commissione (insieme ad alcune informazioni indicate in allegato alla direttiva).

Gli altri Stati membri devono trasmettere alla Commissione e agli altri Stati membri interessati copia dei piani di gestione dello spazio marittimo e tutti gli aggiornamenti entro tre mesi dalla loro pubblicazione. Entro un anno dall'adozione di tali piani la Commissione è incaricata di presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione riepilogativa dei progressi compiuti (art. 14).

 

Il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è fissato al 18 settembre 2016 (art. 15). Entro lo stesso termine devono essere designate le autorità competenti previste dall’art. 13.

I piani di gestione dello spazio marittimo indicati all'art. 4 devono invece essere stabiliti non oltre il termine del 31 marzo 2021.

 


 

 

Direttiva n. 2014/94/UE
(
Combustibili alternativi)

 

 

La direttiva, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato, stabilisce un quadro comune di misure  per la realizzazione di infrastrutture per i combustibili alternativi nell'Unione, per ridurre al minimo la dipendenza dal petrolio e attenuare l'impatto ambientale nel settore dei trasporti.

La  direttiva stabilisce requisiti minimi per la costruzione dell'infrastruttura per i combustibili alternativi, inclusi i punti di ricarica per veicoli elettrici e i punti di rifornimento di gas naturale (GNL e GNC) e idrogeno, da attuarsi mediante i quadri strategici nazionali degli Stati membri, nonché le specifiche tecniche comuni per tali punti di ricarica e di rifornimento, e requisiti concernenti le informazioni agli utenti.

L’obiettivo della direttiva è lo sviluppo di un mercato ampio di combustibili alternativi. Ciascuno Stato membro adotta un proprio Quadro Strategico Nazionale per lo sviluppo del mercato per quanto riguarda combustibili alternativi nel settore dei trasporti e la realizzazione della relativa infrastruttura, che comprenda una serie di misure minime fissate dalla direttiva. I quadri strategici nazionali devono tener conto non solo della normativa europea, ma anche delle caratteristiche regionali e della necessità di coordinamento con le norme degli altri Stati. I Quadri Strategici Nazionali così elaborati dovranno essere sottoposti alla Commissione entro il 18 novembre 2016.

I combustibili 'alternativi' per il trasporto sono individuati in: elettricità, gas naturale e idrogeno. Ciascun tipo di propellente è oggetto di una previsione normativa relativa alla sua distribuzione.

Per l'elettricità, attraverso i rispettivi quadri strategici nazionali gli Stati membri garantiscono la creazione, entro il 31 dicembre 2020, di un numero adeguato di punti di ricarica accessibili al pubblico in modo da garantire che i veicoli elettrici circolino almeno negli agglomerati urbani/suburbani e in zone densamente popolate o nelle reti stabilite tra Stati membri.

Il numero di tali punti di ricarica è stabilito tenendo conto - tra l'altro -  del numero stimato di veicoli elettrici che saranno immatricolati entro la fine del 2020 indicato nei rispettivi quadri strategici nazionali nonché delle migliori prassi e raccomandazioni formulate dalla Commissione.

Gli Stati membri assicurano il rispetto dei principi della libertà di concorrenza (i punti di ricarica accessibili al pubblico potranno approvvigionarsi di energia presso qualunque fornitore dell'Unione) e della trasparenza dei prezzi; inoltre faranno in modo che gli operatori dei sistemi di distribuzione cooperino su base non discriminatoria.

La creazione di punti di rifornimento di idrogeno è invece prevista non prima del 2025, mentre per il gas naturale la rete di rifornimento per il trasporto marittimo dovrà essere sviluppata per il 2030. Il trasporto pesante su strada potrà invece fare conto sulla realizzazione di un adeguato numero di impianti di rifornimento entro il 31 dicembre 2015.

Gli Stati membri assicurano che siano rese disponibili per gli utenti informazioni chiare, coerenti e pertinenti per quanto riguarda di veicoli a motore che possono utilizzare regolarmente determinati combustibili o che possono essere ricaricati tramite punti di ricarica. Inoltre, renderanno disponibili informazioni circa l'ubicazione dei punti di distribuzione, in modo non discriminatorio.

Successivamente al termine di presentazione dei rispettivi Quadri Strategici Nazionali, gli Stati membri presentano entro il 18 novembre 2019 alla Commissione una relazione sull'attuazione, e successivamente ogni tre anni. La Commissione, da parte sua, trasmette entro il novembre 2017 al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione di valutazione dei quadri strategici nazionali ricevuti dagli Stati membri.

La direttiva in esame è corredata da due Allegati, che riguardano:

·      il contenuto della Relazione che la Commissione deve trasmettere al PE e al Consiglio sui vari quadri strategici nazionali ricevuti. Essa deve evidenziare le misure giuridiche richieste dagli Stati a sostegno della realizzazione delle infrastrutture per la distribuzione di combustibili alternativi, le misure strategiche a supporto dell'attuazione del piano, le misure finanziarie a sostegno della realizzazione della produzione, gli investimenti in ricerca, sviluppo e dimostrazione, la stima degli obiettivi.

·      le specifiche tecniche per i vari punti di ricarica: distribuzione di elettricità, punti di rifornimento di idrogeno, punti di rifornimento di gas naturale.

 

Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 18 novembre 2016.

 


 

Direttiva n. 2014/95/UE
(
Comunicazione di informazioni non finanziarie da parte di imprese)

 

 

La direttiva 2014/95/UE, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato, modifica la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni, con l'obiettivo di accrescere la pertinenza, l'uniformità e la comparabilità delle informazioni comunicate.

 

Il primo articolo della direttiva prevede l’integrazione delle informazioni da fornire da parte di talune tipologie di imprese nella relazione sulla gestione (disciplinata dall’art. 19 della direttiva 2013/34/UE) o l’indicazione delle stesse in un documento separato. In particolare, l'articolo in esame aggiunge alla direttiva 2013/34/UE l'articolo 19-bis, concernente la 'Dichiarazione di carattere non finanziario', in cui si prevede l'obbligo in capo alle imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico e che, alla data di chiusura del bilancio, presentano un numero di dipendenti occupati in media durante l'esercizio pari a 500, di includere nella relazione sulla gestione una dichiarazione di carattere non finanziario contenente almeno informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura necessaria alla comprensione dell'andamento dell'impresa, dei suoi risultati, della sua situazione e dell'impatto della sua attività, tra cui:

a)     una breve descrizione del modello aziendale dell'impresa;

b)     una descrizione delle politiche applicate dall'impresa in merito ai predetti aspetti, comprese le procedure di dovuta diligenza applicate;

c)     il risultato di tali politiche;

d)     i principali rischi connessi a tali aspetti legati alle attività dell'impresa anche in riferimento, ove opportuno e proporzionato, ai suoi rapporti, prodotti e servizi commerciali che possono avere ripercussioni negative in tali ambiti, nonché le relative modalità di gestione adottate dall'impresa;

e)     gli indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario pertinenti per l'attività specifica dell'impresa.

Inoltre, l'articolo 1 modifica, ampliandolo, il contenuto obbligatorio della relazione sul governo societario previsto dall'articolo 20 della direttiva 2013/34/UE. Tale relazione dovrà contenere una descrizione della politica in materia di diversità applicata in relazione alla composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo dall'impresa relativamente ad aspetti quali, ad esempio, l'età, il sesso, o il percorso formativo e professionale, gli obiettivi di tale politica sulla diversità, le modalità di attuazione e i risultati nel periodo di riferimento. In caso di mancata applicazione di tale tipologia di politica, la dichiarazione deve contenere una spiegazione del motivo di tale scelta. Ulteriormente, viene previsto che i revisori legali o l'impresa di revisione contabile esprimano il proprio giudizio riguardo alle informazioni approntate e verifichino che le stesse siano state fornite; gli Stati membri possono comunque esentare gli enti di interesse pubblico che abbiano emesso soltanto valori mobiliari diversi da azioni ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, dall'applicazione dei nuovi obblighi, salvo che tali imprese abbiano emesso azioni negoziate in un sistema multilaterale di negoziazione, a norma dell'articolo 4, paragrafo 1, punto 15, della direttiva 2004/39/CE.

La direttiva 2014/95/UE richiede, similmente a quanto previsto per l’informativa relativa alla singola impresa, informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva anche a livello consolidato. A tal fine, il medesimo articolo 1 della direttiva in esame aggiunge l'articolo 29-bis alla direttiva 2013/34/UE, in tema di 'Dichiarazione consolidata di carattere non finanziario', che obbliga gli enti di interesse pubblico che sono imprese madri di un gruppo di grandi dimensioni e che, alla data di chiusura del bilancio, presentino, su base consolidata, un numero di dipendenti occupati in media durante l'esercizio pari a 500, di includere nella relazione consolidata sulla gestione una dichiarazione consolidata di carattere non finanziario contenente informazioni analoghe a quelle richieste alla singola impresa e sopra richiamate.

La direttiva prevede inoltre che la Commissione:

·      elabori orientamenti non vincolanti sulla metodologia di comunicazione delle informazioni di carattere non finanziario, anche consultando i relativi stakeholders, e che li pubblichi entro il 6 dicembre 2016 (articolo 2).

·      relazioni al Parlamento e al Consiglio in merito all'attuazione della direttiva in commento e pubblichi tale rapporto entro il 6 dicembre 2018, eventualmente corredandolo di proposte legislative (articolo 3).

 

Il termine di recepimento è fissato nel 6 dicembre 2016.

 


 

 

Direttiva n. 2014/100/UE
(
Monitoraggio traffico navale)

 

 

La direttiva 2014/100, inserita nell'Allegato B al Senato, modifica la direttiva 2002/59/CE, che ha istituito il sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione, sostituendone l'allegato III. Obiettivo della modifica è quello di inserire l'esperienza ed i progressi tecnici fatti dal 2002 con il sistema SafeSeaNet per lo scambio dei dati marittimi.

 

SafeSeaNet è il sistema dell'Unione per lo scambio dei dati marittimi, istituito in base al dettato della direttiva 2002/59/CE che ha istituito un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e di scambio delle informazioni volto a garantire una maggiore sicurezza ed efficienza e una migliore risposta alle situazioni potenzialmente pericolose. L'Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) è divenuta operativa nel 2003 ed ha avviato il sistema SafeSeaNet nell'ottobre 2004. Tale sistema consente il miglioramento della sicurezza marittima e dei porti, la protezione dell'ambiente e la prevenzione dell'inquinamento. Permette inoltre lo scambio di informazioni supplementari volte a promuovere l'efficienza del traffico e del trasporto marittimi. Si inserisce nel quadro di un monitoraggio del traffico navale e di un sistema comune per la condivisione delle informazioni per il settore marittimo che consente di dare accesso ad informazioni relative, ad esempio, alle posizioni delle navi, ai carichi pericolosi o all'inquinamento. Lo scambio dei messaggi elettronici ed il sistema SafeSeaNet rendono più efficiente ed efficace lo scambio di informazioni e la cooperazione tra le autorità.

 

L'allegato III, così come viene introdotto dalla direttiva in esame, espone i concetti generali e l'architettura di SafeSeaNet. Il sistema è formato da una rete di sistemi nazionali e da una banca dati centrale di raccordo. Ogni Stato membro istituisce e provvede alla gestione del sistema nazionale SafeSeaNet sotto la responsabilità di un'autorità nazionale competente (NCA). La Commissione è responsabile della gestione e dello sviluppo a livello di politiche del sistema centrale. Il controllo avviene in cooperazione con gli Stati membri. Il sistema centrale funge da punto nodale e collega tutti i sistemi SafeSeaNet nazionali.

L'Agenzia europea per la sicurezza marittima, in cooperazione con gli Stati membri e la Commissione è responsabile dell'attuazione tecnica, della documentazione di SafeSEaNet, dello sviluppo, del funzionamento e dell'integrazione dei messaggi.

Vengono inoltre definiti i principi di gestione e le modalità di sviluppo del documento di controllo dell'interfaccia e delle funzionalità e della documentazione tecnica.

Lo scambio e la condivisione dei dati avviene tramite l'interazione con sistemi pubblici e privati.

Sistema centrale e sistemi nazionali devono essere conformi ai requisiti previsti dalla direttiva per ciò che concerne la riservatezza delle informazioni e i principi in materia di sicurezza descritti dal Documento di controllo dell'interfaccia e delle funzionalità (IFCD).

L'art. 2 impone agli Stati membri di conformarsi al dettato della direttiva entro il 18 novembre 2015.


 

 

Direttiva n. 2014/107/UE
(
Scambio informazioni nel settore fiscale)

 

 

La direttiva 2014/107/UE, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato, intende ampliare l’ambito operativo del meccanismo di scambio automatico delle informazioni al fine di contrastare le frodi e le evasioni fiscali transfrontaliere, rispetto a quanto in precedenza stabilito dalla direttiva 2011/16/UE. Pertanto, la direttiva 2014/107/UE modifica in molti punti la direttiva 2011/16/UE, novellandola. Le modifiche interessano soprattutto l'articolo 8 (Ambito di applicazione e condizioni dello scambio automatico obbligatorio di informazioni) della direttiva 2011/16/UE.

Tra le novità salienti, si rileva che l'articolo 1, comma 2, della direttiva 2014/107/UE sostituisce il paragrafo 3 dell'articolo 8 della direttiva 2011/16/UE. Per effetto delle modifiche, viene meno la possibilità, per l'autorità competente di uno Stato membro, di indicare alle omologhe autorità degli altri Stati membri di non volere ricevere informazioni su redditi o capitali che non superano un importo minimo; di conseguenza, le informazioni di tale tenore sono oggetto di comunicazione a prescindere dall'importo dei redditi e capitali.

Il nuovo paragrafo 3-bis, introdotto dalla direttiva nell'articolo 8 della direttiva 2011/16/UE, impegna ciascuno Stato membro ad adottare le misure necessarie per imporre alle proprie istituzioni finanziarie tenute alla comunicazione di applicare le norme in materia e le norme di adeguata verifica fiscale (due diligence). Inoltre, l’autorità competente di uno Stato membro comunica alle autorità competenti sue omologhe le informazioni riguardanti titolarità e saldi dei conti correnti, dividendi, plusvalenze e altri redditi finanziari.

Il paragrafo 7-bis, introdotto dall'articolo 1, lettera e) della direttiva in commento, prevede che ciascuno Stato membro, entro fine luglio 2015, fornisca un elenco delle entità e dei conti che devono essere trattati, rispettivamente, come istituzioni finanziarie non tenute alla comunicazione e come conti esclusi. Le predette eccezioni devono soddisfare specifici requisiti (dettagliatamente indicati nell'allegato 1, Sezione VIII, alla medesima direttiva 2014/107/UE) ; l'attribuzione dello status di istituzione finanziaria non tenuta alla comunicazione, oppure di conto escluso, non deve pregiudicare gli scopi della direttiva.

La lettera c) dell'articolo 1 della direttiva 2014/107/UE, novellando l’articolo 8, paragrafo 5 della direttiva 2011/16/UE, dispone che il Consiglio, nell'esaminare un'eventuale futura proposta da parte della Commissione europea, prenda in considerazione l'ulteriore rafforzamento dell'efficienza e del funzionamento dello scambio automatico di informazioni, al fine di prevedere che l'autorità competente di ciascuno Stato membro comunichi alle altre, mediante scambio automatico, le informazioni sui periodi di imposta dal 1° gennaio 2017 in avanti su tutte le cinque categorie di reddito e di capitale elencate nel paragrafo 1 dell'articolo 8 stesso - ossia redditi da lavoro, compensi per dirigenti, prodotti di assicurazioni sulla vita, pensioni, proprietà e redditi immobiliari - anziché solo su tre di esse (come era stabilito in precedenza). In più, il Consiglio potrà ampliare l'elenco delle categorie e degli elementi di cui ai paragrafi 1 e 3-bis del novellato articolo 8 della direttiva 2011/16/UE.

Quanto ai tempi per conformarsi alla direttiva 2014/107/UE, la direttiva stessa, con il suo articolo 2, prescrive che gli Stati membri adottino le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie entro il 31 dicembre 2015, e le applichino dal 1° gennaio 2016.

 


 

 

Direttiva n. 2014/112/UE
(
Orario di lavoro nel trasporto per vie navigabili)

 

 

La direttiva 2014/112/UE attua l'Accordo europeo concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro nel trasporto per vie navigabili interne (concluso tra la European Barge Union (EBU), l'Organizzazione europea dei capitani (ESO) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) il 15 febbraio 2012), di cui viene riportato il testo in allegato alla medesima direttiva. Gli Stati membri possono approvare disposizioni più favorevoli e in nessun caso l'attuazione dell'Accordo può comportare un abbassamento del livello generale della protezione dei lavoratori del settore.

 

Ai sensi dell’articolo 4, il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 31 dicembre 2016.

 

Si ricorda che già la Direttiva 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, ha stabilito prescrizioni minime generali che, ad eccezione degli ambiti menzionati all'articolo 20, paragrafo 1 (riposo giornaliero, pause, riposo settimanale, durata del lavoro notturno), riguardano anche l'organizzazione dell'orario di lavoro nel settore del trasporto per vie navigabili interne. La necessità di una nuova disciplina, ai sensi del considerando n. 1, deriva dal fatto che le disposizioni della richiamata Direttiva “non tengono conto sufficientemente delle condizioni particolari di lavoro e di vita nel settore del trasporto per vie navigabili interne”, pertanto “sono necessarie prescrizioni più specifiche, in conformità all'articolo 14 della direttiva 2003/88/CE”.

 

Secondo quanto disposto dall’Accordo, esso si applica (articolo 1, paragrafo 1) ai lavoratori mobili che lavorano come membri del personale di navigazione (equipaggio) o con un'altra funzione (personale di bordo) a bordo di un'imbarcazione operante sul territorio nazionale di uno Stato membro nel settore del trasporto commerciale per vie navigabili interne. Lo stesso Accordo precisa che gli operatori del trasporto per vie navigabili interne non sono considerati lavoratori, anche se hanno lo status di lavoratore nella propria impresa (articolo 1, paragrafo 2).

L’Accordo, inoltre, reca la clausola di favor e di non regresso (articolo 1 e 17) per i casi in cui la normativa nazionale sia più favorevole, ed include nel suo campo di applicazione anche i lavoratori mobili che lavorano a bordo di un'imbarcazione operante sul territorio nazionale di uno Stato membro al di fuori del settore del trasporto commerciale per vie navigabili interne e le cui condizioni di lavoro sono disciplinate dalle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro sotto forma di contratti collettive (previa consultazione e approvazione delle richiamate organizzazioni, nella misura in cui le disposizioni del presente accordo risultino più favorevoli ai lavoratori).

 

In sostanza, l'Accordo introduce prescrizioni minime generali relative all'organizzazione dell'orario di lavoro, che tengono conto delle peculiarità del settore del trasporto per vie navigabili interne. Esso si applica agli equipaggi e al personale di bordo che operano su imbarcazioni impiegate in tale settore, fatte salve le norme nazionali o internazionali sulla sicurezza della navigazione. In considerazione della specialità di alcune funzioni inerenti al settore, l'orario di lavoro, fissato in via generale in 8 ore di lavoro giornaliero, può essere prolungato, a condizione che non sia superata una media di 48 ore settimanali su un periodo di 12 mesi (cd. periodo di riferimento). In ogni caso, l'orario di lavoro massimo durante il periodo di riferimento è di 2 304 ore, escludendo da tale calcolo i periodi di ferie annuali retribuite e i periodi di malattia, inoltre vengono detratti anche i periodi di riposo dovuti che derivano dai giorni festivi legali. In caso di rapporti di lavoro di durata inferiore al periodo di riferimento, l'orario di lavoro massimo consentito è calcolato pro rata temporis (articolo 3).

In ogni caso, l’orario di lavoro non può essere superiore a 14 ore per ogni periodo di 24 ore, e 84 ore per ogni periodo di 7 giorni, mentre non può essere superato un orario di lavoro medio di 72 ore settimanali in 4 mesi (articolo 4). I giorni di lavoro consecutivi possono essere al massimo 31, e sono previsti specifici periodi di riposo (articolo 5).

Oggetto di specifica disposizione è il lavoro stagionale a bordo delle navi passeggeri (articolo 6): anche in questo caso, sono previsti tetti massimi per le ore lavorate e criteri per l'attribuzione dei riposi. L'Accordo, inoltre, prevede per i lavoratori del settore periodi di riposo minimi (articolo 7) pari a 10 ore per ogni periodo di 24 ore, di cui almeno 6 ore di riposo ininterrotto, e 84 ore per ogni periodo di 7 giorni. Sono inoltre previste pause obbligatorie per chi svolge un lavoro per più di 6 ore giornaliere, i cui tempi e modi di fruizione sono fissati da contratti collettivi o da accordi tra le parti sociali o, in mancanza di tali accordi, dalla legislazione nazionale (articolo 8). Con riferimento al lavoro notturno, l'orario di lavoro massimo settimanale è fissato a 42 ore per ogni periodo di sette giorni (articolo 9). Infine, tutti i lavoratori hanno diritto a un periodo di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, proporzionalmente ridotte in caso di periodo di lavoro di durata inferiore ad un anno (articolo 10).

Con riferimento alla protezione dei minori, l'Accordo (articolo 11, paragrafo 1)) rimanda alle disposizioni della direttiva 94/33/CE, relativa alla protezione dei giovani sul lavoro. Si prevede, inoltre, che si possa derogare al divieto di lavoro notturno per i minori solo, in via eccezionale, nei confronti di giovani di età superiore a 16 anni, che non siano più soggetti all'obbligo scolastico a tempo pieno secondo la legislazione nazionale e solo quando ciò si riveli necessario per raggiungere un obiettivo di formazione durante un corso riconosciuto (articolo 11, paragrafo 2).

Per consentire le necessarie verifiche sul rispetto della disciplina in esame, l'Accordo prevede che l'orario di lavoro e i periodi di riposo di ciascun lavoratore siano annotati in un registro (articolo 12).

In situazioni di emergenza, il conduttore della nave (o un suo rappresentante) può esigere le ore necessarie a garantire la sicurezza immediata dell'imbarcazione (articolo 13).

Sono, infine, dettate disposizioni in materia di controlli sanitari, di protezione della sicurezza e della salute e di ritmo di lavoro, il quale deve essere sempre informato al principio generale dell'adeguamento del lavoro all'essere umano (articoli 14, 15 e 16).

 

 


 

Direttiva n. 2015/13/UE
(
Campo di portata dei contatori dell’acqua)

 

 

La direttiva (UE) 2015/13, inserita nell'Allegato B durante l’esame al Senato, apporta modifiche all'Allegato III della direttiva 2014/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativamente al campo di portata dei contatori dell'acqua.

 

La direttiva 2014/32/UE fornisce i requisiti che devono possedere alcuni strumenti di misura utilizzati per specifiche funzioni stabilite dagli Stati membri. Il primo requisito sul quale si sofferma la citata direttiva nell'allegato III è quello relativo ai contatori dell'acqua. Per tali contatori stabiliva un campo di portata pari a Q3/Q1 ≥ 10.

Infatti, tale campo di portata riuscirebbe a garantire una maggiore economicità rispetto ad altri contatori. Tuttavia, si attribuisce discrezionalità all'impresa di pubblica utilità relativamente all'installazione del contatore affinché la scelta venga effettuata anche in base alla misura del consumo previsto o prevedibile.

 

La direttiva in esame modifica il primo dei requisiti dei contatori dell'acqua di cui all'allegato III della direttiva 2014/32/UE, stabilendo che il valore del campo di portata dei contatori deve essere pari a Q3/Q1 ≥ 40, corrispondente alla qualità minima disponibile attualmente sul mercato dell'Unione. L'articolo 1 della direttiva predetta lascia peraltro inalterati gli altri requisiti previsti per i contatori d'acqua.

Il nuovo campo di portata previsto dalla direttiva in esame corrisponde alle disposizioni della norma EN 14154.

EN 14154 è il nuovo standard europeo che regolamenta tutti i tipi di contatori per acqua installati su condotte chiuse e completamente riempite di acqua. Tale standard si applica a tutti i tipi di contatori indipendentemente dal principio di funzionamento. Si applica in particolare ai contatori di seguito indicati:

·      contatori meccanici, volumetrici e a turbina;

·      contatori meccanici con totalizzatore elettronico;

·      contatori meccanici che incorporano qualsiasi tipo di apparecchiatura elettronica;

·      contatori basati su principio di funzionamento elettrico o elettronico;

·      dispositivi elettronici per controlli metrologici.

 

Il termine di recepimento è il 19 aprile 2016.

 

 


 

Direttiva n. 2015/412/UE
(
Coltivazione OGM)

 

 

La direttiva (UE) 2015/412 apporta delle modifiche alla direttiva 2001/18/CE in quanto stabilisce che gli Stati membri saranno liberi di scegliere se avere o meno colture geneticamente modificate sul proprio territorio.

Un singolo Paese potrà chiedere di limitare o vietare la coltivazione di un OGM sia durante la procedura di autorizzazione, sia dopo che questa sarà stata concessa. Pertanto, la limitazione o il divieto della coltivazione di OGM non è più connesso solamente al verificarsi di casi di emergenza o di “nuove prove” relative al rischio di un OGM per la salute umana o per l’ambiente.

In base alla nuova normativa, inoltre, gli Stati membri nei quali gli OGM sono coltivati dovranno preoccuparsi anche di evitare contaminazioni dei terreni dei vicini dove gli stessi OGM sono vietati.

 

La direttiva 2001/18/CE, sull'emissione deliberata nell'ambiente di OGM, ha abrogato la direttiva 90/220/CEE, che ha rappresentato il primo strumento normativo europeo di regolamentazione per la valutazione dei rischi potenziali derivanti dall’emissione deliberata nell’ambiente degli OGM, e, con il regolamento (CE) n. 1829/2003, ha finora costituito il quadro normativo completo in materia di Organismi Geneticamente Modificati (OGM) stabilendo procedure e criteri armonizzati per la valutazione caso per caso. La direttiva 90/220/CEE non individuava obiettivi sufficientemente chiari in materia di valutazione del rischio e presentava un’eccessiva complessità nelle procedure amministrative e nel sistema di autorizzazione. Per tali ragioni è stato avviato un processo di revisione attraverso il quale si è giunti all'emanazione della direttiva 2001/18/CE.

La direttiva 2001/18/CE, dando attuazione al Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, ha stabilito una metodologia comune tra tutti gli Stati membri dell’Unione europea per:

·     effettuare la valutazione del rischio sulla base di argomentazioni scientifiche comuni e rilevanti;

·     migliorare la gestione di tutti i possibili rischi (diretti e indiretti, immediati e differiti) per l’ambiente e la salute umana e animale;

·     regolamentare l’attività di monitoraggio successivamente all’emissione nell’ambiente o all’immissione sul mercato di OGM come tali o contenuti in prodotti e indica criteri comuni circa le modalità per effettuarlo e le regole per la tracciabilità;

·     promuovere l’informazione e la consultazione del pubblico sui rilasci sperimentali.

 

In particolare, l'articolo 1, comma 1, della direttiva in esame introduce l'articolo 26-bis alla direttiva 2001/18/CE e stabilisce che, a decorrere dal 3 aprile 2017, gli Stati membri nei cui territori vengono coltivati OGM, devono adottare le misure necessarie al fine di evitare che si verifichino eventuali contaminazioni transfrontalieri; le predette misure devono essere comunicate alla Commissione.

Il successivo comma 2 della direttiva, con l'introduzione dell'articolo 26-ter al testo della direttiva 2001/18/CE, illustra le misure che gli Stati membri devono porre in essere con riferimento alla coltivazione degli OGM. In particolare, esso prevede che gli Stati membri, in occasione della procedura di autorizzazione o del rinnovo dell'autorizzazione, possano richiedere un adeguamento dell'ambito geografico in modo che una parte o l'intero territorio dello Stato sia escluso da tale coltivazione. Tale richiesta presuppone il parere dell'EFSA  (Autorità europea per la sicurezza alimentare).

In base al successivo comma 3, nell'ipotesi in cui non sia stata presentata alcuna richiesta di autorizzazione ovvero sia stato confermato l'ambito geografico della notifica o domanda iniziale, uno Stato membro può comunque adottare provvedimenti che limitino o vietino totalmente o parzialmente la coltivazione di un OGM, purché si tratti di provvedimenti conformi al diritto dell'Unione europea. Tale iniziativa deve essere motivata da:

-        obiettivi di politica ambientale;

-        da motivazioni di pianificazione urbana e territoriale;

-        dall'uso del suolo;

-        dagli impatti socio-economici;

-        dall'esigenza di evitare la presenza di OGM in altri prodotti;

-        dagli obiettivi di politica agricola e dall'ordine pubblico.

Tali motivazioni non devono, in nessun caso, confliggere con la "valutazione di impatto ambientale” condotta dall'EFSA.

In base al comma 4, lo Stato membro che intende limitare o vietare totalmente o parzialmente la coltivazione di un OGM, è tenuto a presentare preventivamente alla Commissione un apposito progetto con le relative motivazioni. Gli Stati membri che operano scelte in tal senso sono altresì tenuti a rendere pubblicamente disponibili le predette misure. Tali misure non influenzano in alcun modo la libera circolazione degli OGM autorizzati o gli OGM contenuti in prodotti.

 

L'articolo 2 della direttiva in esame attribuisce alla Commissione il compito di presentare al Parlamento europeo ed al Consiglio due distinte relazioni entro il termine del 3 aprile 2019.

Si tratta di una prima relazione concernente l'utilizzo della presente direttiva da parte degli Stati membri, che fornisca altresì informazioni circa il corretto funzionamento del mercato interno. La seconda relazione concerne, invece, l'effettivo rimedio ai danni ambientali che possono essere causati dalla coltivazione degli OGM.

Il successivo articolo 3 definisce il 3 aprile 2017 quale termine entro il quale  la Commissione dovrà eseguire l'aggiornamento degli allegati alla direttiva 2001/18/CE, in materia di valutazione del rischio ambientale al fine di allineare tale valutazione agli orientamenti dell'EFSA.

 

La direttiva non indica un termine di recepimento per gli Stati membri.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

La Commissione europea il 22 aprile 2015 ha presentato una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n.1829/2003 per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare l’uso di alimenti e mangimi geneticamente modificati sul loro territorio (COM(2015)177), allo scopo di estendere gli effetti innovativi della direttiva 2015/412/UE, che si applica agli OGM destinati alla coltivazione.

Gli Stati membri avrebbero la possibilità di limitare o vietare l’uso, in tutto o in parte del loro territorio, di alimenti e mangimi geneticamente modificati autorizzati a livello UE per fondati motivi che non siano il rischio per la salute umana o animale e per l’ambiente, ossia criteri diversi da quelli in base ai quali l’EFSA conduce la propria valutazione del rischio.

Le misure adottate dagli Stati membri devono comunque essere compatibili con quelle relative al mercato interno e devono essere giustificate in base a motivi conformi all’art.36 del TFUE (moralità pubblica, ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o preservazione dei vegetali, protezione del patrimonio artistico o archeologico nazionale, tutela della proprietà industriale e commerciale), nonché alla giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di motivi imperativi di interesse generale, e non devono in alcun modo precostituire uno svincolamento agli obblighi internazionali, incluse le norme dell’OCM.

 

 

 


 

 

Direttiva n. 2015/413/UE
(
Scambio informazioni in materia di sicurezza stradale)

 

 

La direttiva 2015/413/UE, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato mira ad assicurare un elevato livello di protezione a tutti gli utenti della strada nell'Unione agevolando lo scambio transfrontaliero di informazioni sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale e l'applicazione di sanzioni, qualora tali infrazioni siano commesse con un veicolo immatricolato in uno Stato membro diverso dallo Stato membro in cui è stata commessa l'infrazione.

La materia era regolata dalla direttiva 2011/82/UE del 25 ottobre 2011, recepita nell’ordinamento italiano con il D.Lgs. n. 37 del 2014, entrato in vigore il 22 marzo 2014. L’emanazione della nuova direttiva 2015/413 si è resa necessaria in seguito all’annullamento della direttiva 2011/82/UE, disposto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 6 maggio 2014 (causa C-43/12), che ha individuato la corretta base giuridica per l’adozione dell’atto nell’articolo 91, par. 1, lettera c), del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, concernente il miglioramento della sicurezza dei trasporti, anziché, come previsto dalla direttiva precedente, nell’articolo 87, par. 2, del TFUE, in materia di cooperazione tra le forze di polizia. La Corte di giustizia, nell’annullare la direttiva del 2011, ne ha però mantenuto gli effetti sino all’entrata in vigore di una nuova direttiva, entro un termine ragionevole che eccedesse i 12 mesi dalla data della sentenza (ossia il 6 maggio 2015).

L’individuazione della base giuridica nella cooperazione di polizia e non nella sicurezza del trasporti comportava peraltro l’applicazione dei protocolli n. 21 e 22 del Trattato che consentivano l’esclusione dall’applicazione della direttiva per Regno Unito e Danimarca.

Per quanto concerne il diritto interno, si ritiene che, successivamente alla scadenza, il 6 maggio 2015, del periodo transitorio previsto dalla sentenza, il decreto legislativo n. 37/2014 possa essere disapplicato in quanto in contrasto con il diritto dell’Unione.

 

La direttiva 2015/413 riproduce pertanto in maniera quasi identica il testo della direttiva precedente 2011/82, a parte le modifiche necessarie per l’adozione della nuova base giuridica e l’adeguamento dei termini previsti per i vari adempimenti amministrativi.

La nuova direttiva, rispetto a quella del 2011 annullata, pur tenendo conto delle modifiche necessarie per accogliere il mutamento della base giuridica imposto dalla sentenza della Corte di giustizia, conferma l’organizzazione, le procedure e l’impianto complessivo del sistema per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, già definito e concretamente realizzato da questi ultimi, sulla base della precedente direttiva.

 

La direttiva 2015/413, rispondendo all’esigenza di agevolare lo scambio di informazioni tra gli Stati membri in materia di infrazioni alla sicurezza stradale, consente l’identificazione dei conducenti che commettono infrazioni stradali all’estero e assicura così parità di trattamento fra conducenti residenti e non residenti. Essa si compone di 14 articoli e due Allegati.

L'articolo 1 esplicita l'obiettivo della direttiva, come sopra descritto.

L'articolo 2 reca l'ambito di applicazione del provvedimento, il quale si applica alle seguenti infrazioni in materia di sicurezza stradale:

a) eccesso di velocità;

b) mancato uso della cintura di sicurezza;

c) mancato arresto davanti a un semaforo rosso;

d) guida in stato di ebbrezza;

e) guida sotto l'influsso di sostanze stupefacenti;

f) mancato uso del casco protettivo;

g) circolazione su una corsia vietata;

h) uso illecito di telefono cellulare o di altri dispositivi di comunicazione durante la guida.

L'articolo 3 reca le definizioni adottate nella direttiva.

L'articolo 4 disciplina la procedura per lo scambio di informazioni fra Stati membri. Si prevede che, per le indagini relative alle menzionate infrazioni, lo Stato membro autorizzi i punti di contatto nazionali degli altri Stati membri ad accedere ai dati nazionali di immatricolazione dei veicoli, con facoltà di procedere a ricerche automatizzate sui dati concernenti i veicoli e i relativi proprietari/intestatari. Gli elementi di tali dati devono rispettare l'Allegato I. Quanto ai menzionati punti di contatto nazionali, si dispone che ogni Stato membro ne designi uno ai fini dello scambio dei suddetti dati; le relative competenze sono disciplinate dal diritto applicabile dello Stato membro interessato. Si prevede che lo Stato membro dell'infrazione utilizzi i dati ottenuti per stabilire la responsabilità personale per le menzionate infrazioni. Lo scambio di informazioni deve essere effettuato con mezzi elettronici interoperabili, senza scambio di dati provenienti da altre banche dati non utilizzati ai fini della direttiva, e deve avvenire in modo sicuro ed efficiente sotto il profilo dei costi, nonché garantendo la sicurezza e la protezione dei dati trasmessi, utilizzando per quanto possibile applicazioni informatiche esistenti. Si precisa che le spese per la gestione, l'utilizzo e la manutenzione delle applicazioni informatiche sono a carico di ciascuno Stato membro.

 

L'articolo 5 statuisce in ordine alla “lettera d'informazione sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale, prevedendo che lo Stato membro dell'infrazione decida se avviare o meno procedimenti di follow-up relativamente alle summenzionate infrazioni. Qualora esso decida di avviare detti procedimenti, ne informa il proprietario, l'intestatario del veicolo o la persona altrimenti identificata sospettata di aver commesso l'infrazione. Tali informazioni comprendono, conformemente al diritto nazionale, le conseguenze giuridiche dell'infrazione nel territorio dello Stato membro dell'infrazione, a norma del diritto di tale Stato membro. In tale lettera, lo Stato procedente include ogni informazione pertinente, in particolare la natura, il luogo, la data e l'ora dell'infrazione, il titolo della normativa nazionale violata e la sanzione e, ove opportuno, i dati riguardanti il dispositivo usato per rilevarla, utilizzando - a tal fine - il modello riportato nell'Allegato II. Al fine di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali, la lettera d'informazione è inviata nella lingua del documento d'immatricolazione del veicolo, se disponibile, o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro di immatricolazione.

L'articolo 6 stabilisce in capo a ciascuno Stato membro l'obbligo di trasmettere entro il 6 maggio 2016 (e in seguito ogni 2 anni) una Relazione alla Commissione sul numero di consultazioni automatizzate effettuate dallo Stato membro dell'infrazione destinate al punto nazionale di contatto dello Stato membro di immatricolazione a seguito delle infrazioni commesse nel suo territorio, unitamente al tipo di infrazioni per cui sono state inviate le richieste e al numero di richieste fallite. La relazione include anche una descrizione della situazione a livello nazionale per quanto riguarda il seguito dato alle infrazioni in materia di sicurezza stradale, in base alla percentuale di tali infrazioni cui hanno fatto seguito lettere d'informazione.

L'articolo 7 estende l'applicazione delle disposizioni in materia di protezione dei dati stabilite dalla direttiva 95/46/CE ai dati personali trattati nell'ambito della direttiva in esame. In particolare, si prevede che ciascuno Stato membro garantisca che i dati personali trattati ai sensi della direttiva in esame siano rettificati entro un tempo adeguato se inesatti ovvero cancellati o bloccati se non più necessari, e garantisca che sia stabilito un termine per la conservazione dei dati, conformemente a quanto previsto dalla direttiva 95/46/CE.

L'articolo 8 prevede che la Commissione metta a disposizione sul proprio sito web una sintesi in tutte le lingue ufficiali dell'Unione delle norme vigenti negli Stati membri che rientrano nell'ambito d'applicazione della direttiva, quale informazione destinata agli utenti della strada nell'Unione. Le informazioni su tali norme sono fornite alla Commissione dagli Stati membri.

L'articolo 9 conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati che aggiornino l'Allegato I alla luce del progresso tecnico, al fine di tenere conto delle pertinenti modifiche delle decisioni di Prüm[23] o allorché ciò sia previsto da atti giuridici dell'Unione attinenti all'aggiornamento dell'Allegato I.

L'articolo 10 stabilisce le condizioni per l'esercizio della delega di cui all'articolo 9. In particolare, si prevede che il potere di delega venga conferito alla Commissione per un periodo di 5 anni a decorrere dal 13 marzo 2015; che la Commissione elabori una relazione sulla delega al più tardi nove mesi prima della scadenza dei 5 anni e che la delega sia tacitamente prorogata per periodi di identica durata, a meno che il Parlamento europeo o il Consiglio non vi si oppongano al più tardi tre mesi prima della scadenza di ciascun periodo. La delega può essere revocata in qualsiasi momento dal Parlamento europeo o dal Consiglio; gli effetti della revoca decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione sulla GUCE o da una data successiva ivi specificata, ma la revoca non pregiudica la validità dei vigenti atti delegati. Si prevede che nella prassi abituale la Commissione consulti esperti prima di adottare atti delegati e che, non appena adottati, ne dia contestualmente notifica al Parlamento europeo e al Consiglio. Si specifica che gli atti delegati entrino in vigore solo se né il Parlamento europeo, né il Consiglio sollevano obiezioni entro due mesi dalla data in cui essi sono stati loro notificati o se, prima della scadenza di tale termine, sia il Parlamento europeo che il Consiglio hanno informato la Commissione che non intendono sollevare obiezioni; tale termine è prorogato di due mesi su iniziativa del Parlamento europeo o del Consiglio.

L'articolo 11 stabilisce in capo alla Commissione l'obbligo di presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'applicazione della direttiva da parte degli Stati membri. In tale relazione, da presentare entro il 7 novembre 2016, la Commissione viene chiamata a concentrarsi sulle seguenti valutazioni:

-        eventuale necessità di aggiungere all'ambito di applicazione della direttiva altre infrazioni in materia di sicurezza stradale;

-        efficacia della direttiva sulla riduzione del numero di vittime della strada nell'Unione;

-        necessità di definire norme comuni per le apparecchiature e le procedure automatiche di controllo;

-        necessità di rafforzare l'applicazione delle sanzioni relative alle infrazioni in materia di sicurezza stradale e proporre criteri comuni riguardo alle procedure di follow-up in caso di mancato pagamento di una pena pecuniaria, nel quadro di tutte le politiche dell'Unione in materia, tra cui la politica comune dei trasporti;

-        la possibilità di armonizzare i codici della strada, ove opportuno;

-        le applicazioni informatiche per lo scambio di informazioni fra Stati membri, al fine di garantire una corretta attuazione della direttiva, nonché uno scambio efficiente, rapido, sicuro e riservato di particolari dati di immatricolazione dei veicoli.

 

L'articolo 12 fissa il 6 maggio 2015 quale termine per il recepimento della direttiva da parte della generalità degli Stati membri; in deroga a tale deadline, si posticipa di 2 anni, ovvero al 6 maggio 2017, il termine per il recepimento da parte dei seguenti paesi: Regno di Danimarca, Irlanda, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

L'articolo 13 disciplina l'entrata in vigore della direttiva, fissandone la vigenza a decorrere dal quarto giorno successivo alla pubblicazione sulla GUCE, avvenuta il 13 marzo 2015.

Infine l'Allegato I reca gli elementi dei dati necessari a identificare i veicoli ed i relativi proprietari/intestatari (cfr. art. 4) e l'Allegato II riporta il modello per la lettera d'informazione di cui all'articolo 5.

 

 

 


 

Direttive Allegato B con criteri specifici
di delega

 


 

Per le seguenti direttive, inserite nell’allegato B, il disegno di legge prevede specifici principi e criteri direttivi di delega, in aggiunta a quelli generali previsti all’articolo 1, comma 1. Per una descrizione del contenuto delle direttive, si rinvia alle schede di lettura degli articoli sotto indicati.

 

Direttiva n. 2013/35/UE (Sicurezza e salute lavoratori (campi elettromagnetici)

 

vedi scheda articolo 16

 

Direttiva n. 2013/50/UE (Negoziazione di strumenti finanziari)

 

vedi scheda articolo 5

 

Direttiva n. 2013/51/UE (Sostanze radioattive presenti nelle acque a consumo umano)

 

vedi scheda articolo 15

 

Direttiva n. 2014/49/UE (Garanzia depositi)

 

vedi scheda articolo 7

 

Direttiva n. 2014/52/UE (Valutazione di impatto ambientale - VIA)

 

vedi scheda articolo 14

 

Direttiva n. 2014/57/UE (Sanzioni penali per abusi di mercato)

 

vedi scheda articolo 11

Direttiva n. 2014/59/UE (Risanamento enti creditizi e imprese investimento)

 

vedi scheda articolo 8

 

Direttiva n. 2014/63/UE (Miele)

 

vedi scheda articolo 17

 

Direttiva n. 2014/65/UE (Mercati degli strumenti finanziari)

 

vedi scheda articolo 9

 

Direttiva n. 2014/91/UE (Organismi d’investimento in valori mobiliari (OICVM))

 

vedi scheda articolo 10

 

Direttiva n. 2014/104/UE (Risarcimento del danno per violazione delle norme sulla concorrenza)

 

vedi scheda articolo 2

 

 

 

 


Relazione consuntiva sulla partecipazione
dell’Italia all’UE - Anno 2014

(Doc. LXXXVII, n. 3)

 


Nota di sintesi

 

La Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (anno 2014) è stata trasmessa alla Camera il 30 aprile scorso[24], successivamente alla scadenza del termine per la sua presentazione, il 28 febbraio 2015.

 

Il documento è articolato in quattro grandi capitoli.

 

Il primo capitolo è dedicato agli sviluppi del processo di integrazione europea e al nuovo quadro istituzionale e consta, a sua volta di due parti aventi contenuto eterogeneo. Nella prima, concernente le questioni istituzionali, si illustrano brevemente le realizzazioni delle due Presidenze semestrali del Consiglio dell’UE nel 2014 (Grecia e Italia); nella seconda si descrive il nuovo ciclo istituzionale 2014-2019, avviato con il rinnovo dei vertici istituzionali europei: Parlamento europeo (elezioni europee del 22-25 maggio 2014), Commissione europea (insediata il 1° novembre 2014) e Presidente del Consiglio europeo (insediato il 1° dicembre 2014); nella terza parte, intitolata «il coordinamento delle politiche macroeconomiche», si tratta delle questioni riconducibili alle politiche economiche, monetarie, fiscali e di bilancio ed alla revisione della Strategia Europa 2020.

 

Il secondo capitolo illustra l'azione svolta dal Governo nell'ambito delle principali politiche settoriali dell'Unione. Si tratta della parte più rilevante del documento, contenente indicazioni dettagliate relative a questioni specialistiche e tecnicamente complesse, per ciascuna politica o settore di attività dell'Unione.

 

Nel terzo capitolo della Relazione si pone attenzione all'attuazione delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale, con particolare riferimento ai fondi strutturali per il ciclo 2007-2013 e all’attuazione della politica di coesione nel 2014.

 

Il quarto ed ultimo capitolo concerne il coordinamento delle politiche europee. Nella prima parte, sono illustrate le attività svolte dal Governo nella fase di formazione della posizione italiana su progetti di atti dell'UE, con particolare riguardo al ruolo del Comitato interministeriale per gli affari dell'UE (CIAE) e al meccanismo di “informazione qualificata” sulle iniziative legislative europee.

Di particolare interesse sono i dati relativi ai flussi di atti e documenti trasmessi dal Governo alle Camere ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 234 del 2012: su oltre 8.500 progetti di atti dell'UE presi in esame dal CIAE, circa 71 progetti di atti legislativi e più di 130 documenti prelegislativi, sono stati segnalati dal Governo in ragione della loro particolare rilevanza; inoltre, sui progetti di atti legislativi sono state inviate 34 relazioni tecniche predisposte dalle amministrazioni competenti.

 

Nella seconda parte del capitolo, sono riportate in dettaglio le misure legislative e non legislative poste in essere da Parlamento e Governo per l'attuazione del diritto dell'UE nell'ordinamento italiano, nonché per la soluzione delle procedure di infrazione. Infine, si dà conto delle iniziative assunte in materia di comunicazione sulle attività dell'Unione.

 

La Relazione è accompagnata da quattro allegati, tra cui l'elenco dei Consigli europei e dei Consigli svoltisi nel corso del 2014, con l'indicazione delle deliberazioni legislative assunte e delle attività non legislative svolte, e le tabelle riepilogative dei flussi finanziari dell’UE all’Italia nel medesimo anno.

 

Nel presente dossier si forniscono elementi di raffronto tra l’attività svolta dalla Camera nell’ambito del dialogo politico avviato dalla Commissione europea (vale a dire l’approvazione di documenti, da parte delle Commissioni parlamentari, sui progetti di atti normativi e su altri documenti dell’Unione europea) e le posizioni poi sostenute dall’Italia nel corso del negoziato, nonché gli esiti dello stesso, come si evincono dalla Relazione.

 

In particolare, per ciascuna politica settoriale dell’UE, sono indicati in un’apposita tabella:

·         gli estremi del documento UE esaminato;

·         una sintesi del documento finale approvato;

·         quanto riportato dalla relazione sulla posizione assunta dal Governo italiano nel seguito dell’esame del documento UE nell’ambito delle istituzioni dell’Unione;

·         quanto riportato dalla relazione sul seguito della procedura a livello di Unione europea, ricomprendente l’eventuale adozione di regolamenti o di direttive ovvero di altre determinazioni assunte dalle istituzioni dell’Unione europea e, ove presente, l’adozione di misure nazionali di attuazione.


 

 

Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea

 

La Relazione consuntiva viene presentata dal Governo alle Camere ai sensi dell'articolo 13, comma 2, della legge n. 234 del 2012. In base a tale disposizione, la Relazione dovrebbe essere trasmessa alle Camere, entro il 28 febbraio di ogni anno, «al fine di fornire al Parlamento tutti gli elementi conoscitivi necessari per valutare la partecipazione dell'Italia all'Unione europea» nell'anno precedente.

A questo scopo, il documento deve indicare:

a) gli sviluppi del processo di integrazione europea, con particolare riguardo alle attività del Consiglio europeo e del Consiglio, alle questioni istituzionali, alla politica estera e di sicurezza comune nonché alle relazioni esterne dell'Unione europea, ai settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti generali delle politiche dell'Unione;

b) la partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'UE e in generale alle attività delle istituzioni europee per la realizzazione delle principali politiche settoriali, con particolare riferimento alle linee negoziali che hanno caratterizzato l'azione italiana,    

c) l'attuazione in Italia delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale, l'andamento dei flussi finanziari verso l'Italia e la loro utilizzazione, con riferimento anche alle relazioni della Corte dei conti europea, accompagnati da una valutazione di merito sui principali risultati annualmente conseguiti;

d) il seguito dato e le iniziative assunte in relazione ai pareri, alle osservazioni e agli atti di indirizzo delle Camere.

Si tratta dunque, secondo l'impianto della legge n. 234 del 2012 del principale strumento per l'esercizio della funzione di controllo ex post del Parlamento sulla condotta del Governo nelle sedi decisionali dell'Unione europea.

In particolare, la Relazione dovrebbe consentire al Parlamento di verificare se ed in quale misura il Governo si è attenuto all'obbligo, previsto dall'articolo 7 della medesima legge, di rappresentare a livello europeo una posizione coerente con gli indirizzi espressi dalle Camere in merito a specifici atti o progetti di atti; la medesima disposizione impone al Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero il Ministro per le politiche europee di riferire regolarmente alle Camere del seguito dato agli indirizzi parlamentari e, nel caso in cui il Governo non abbia potuto conformarsi agli indirizzi in questione, di riferire tempestivamente alle Camere, fornendo le appropriate motivazioni della posizione assunta.

A differenza della Relazione programmatica – che indica le grandi priorità e linee di azione che il Governo intende perseguire a livello europeo nell'anno di riferimento – il documento in esame dovrebbe recare un rendiconto dettagliato delle attività svolte e delle posizioni assunte dall'Italia nell'anno precedente, al fine di consentire alle Camere di verificare l'adeguatezza e l'efficacia dell'azione negoziale italiana e la sua rispondenza rispetto agli indirizzi parlamentari.

 

Sotto il profilo procedurale, la Giunta del Regolamento della Camera, con il parere del 14 luglio 2010, ha stabilito che la relazione previsionale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea venga esaminata congiuntamente al programma di lavoro annuale della Commissione europea e al programma di diciotto mesi della Presidenza del Consiglio dell’Unione europea e che la relazione consuntiva venga esaminata congiuntamente al disegno di legge comunitaria.

 

 

In questa nota si dà conto, per brevi cenni, anche della Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l’anno 2013 (Doc. LXXXVII, n. 2).

 

La Relazione consuntiva per il 2013 è stata trasmessa dal Governo alle Camere il 27 marzo 2015, ad oltre un anno dalla scadenza del termine per la sua presentazione, il 28 febbraio 2014.

La Camera dei deputati ne ha avviato l’esame e il documento è stato incardinato presso la Commissione Politiche dell’Unione europea lo scorso 15 aprile. Sul documento si sono peraltro già espresse tutte le commissioni competenti in sede consultiva.

Nella seduta del 14 maggio 2015, l’Ufficio di Presidenza della XIV Commissione Politiche dell’Unione europea ha preso atto che il 30 aprile 2015 il Governo ha trasmesso alle Camere la Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2014 (Doc. LXXXVII, n. 3).

Per ragioni di coerenza procedurale, pertanto, l’Ufficio di Presidenza ha convenuto sull'opportunità di sospendere l’esame della Relazione consuntiva 2013 per riprenderlo congiuntamente con quello della Relazione consuntiva 2014, nell’ambito dell’esame del disegno di legge di delegazione europea 2014.

 

 

Relazione consuntiva per il 2013

 

La Relazione consuntiva per il 2013 - trasmessa alle Camere il 27 marzo 2015 - presenta lo stesso impianto tematico ed espositivo adottato per la Relazione programmatica 2014 ed è articolata in tre grandi capitoli.

Il primo capitolo è dedicato agli sviluppi del processo di integrazione europea e del quadro istituzionale. Il secondo capitolo, intitolato “partecipazione dell’Italia al processo decisionale e all’attività dell’Unione”, illustra l’azione svolta dal Governo nell’ambito delle varie politiche settoriali dell’Unione. Il terzo capitolo della concerne il funzionamento degli strumenti per la partecipazione dell’Italia al processo di integrazione europea.

La relazione è accompagnata da sette allegati, tra cui l’elenco dei Consigli europei e dei Consigli svoltisi nel corso del 2012, con l’indicazione degli argomenti trattati e l’elenco dei provvedimenti regionali di attuazione di direttive europee.

Sono da segnalare - come per la Relazione consuntiva 2014 (v. supra) - i dati relativi ai flussi di atti e documenti trasmessi dal Governo alle Camere ai sensi dell’art. 6 della medesima legge riferiti all’anno 2013: oltre 6.700 progetti di atti dell’UE, di cui poco più di 150 progetti legislativi e 160 documenti prelegislativi segnalati dal Governo stesso in ragione della loro particolare rilevanza; 73 relazioni tecniche su progetti legislativi UE predisposte dalle amministrazioni competenti. In attuazione dell’art. 4, comma 3, della medesima legge n. 234 sono state inoltre inoltrate alle Camere nel corso del 2013 163 relazioni e note predisposte dalla Rappresentanza permanente d’Italia presso UE.

 

Con riguardo alla rispondenza della struttura e dei contenuti alla previsione di cui all’art. 13 della legge n. 234 del 2012, si rileva che i primi due capitoli della Relazione consuntiva per il 2014, e di quella per il 2013, recano in linea generale indicazione della linea negoziale seguita dal Governo sui principali dossier esaminati nelle sedi decisionali europee, evidenziandone in diversi casi anche l’evoluzione a fronte di profili di criticità del negoziato.

Sono inoltre richiamati gli atti di indirizzo adottati dalla Camera e al Senato con riferimento a specifici progetti o questioni, sebbene non sia precisato in quale misura essi siano stati tenuti in considerazione nella formazione della posizione italiana.

La Relazione per l’anno 2014 e quella riferita all’anno 2013 presentano una struttura complessivamente coerente con le previsioni dell’art. 13 della legge 234 del 2012 anche per quanto riguarda i capitoli, presenti in entrambi i documenti, relativi agli strumenti di partecipazione dell’Italia all’UE.

 

Nelle due relazioni non sono invece richiamate le risoluzioni approvate, da Senato e Camera prima dei Consigli europei che si sono svolti nel corso del 2013 e del 2014, le quali contenevano indicazioni in merito a questioni e temi di carattere generale, nonché a specifici provvedimenti all’esame delle Istituzioni dell’UE.

 

 

 


 

L’impatto della partecipazione della Camera alla fase ascendente dell’Unione europea

 

 


Spazio di libertà, sicurezza e giustizia
(Commissione I e II)

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Istituire un programma di formazione europea delle autorità di contrasto. COM (2013) 172 final

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Agenzia dell'Unione europea per la cooperazione e la formazione delle autorità di contrasto (Europol) e abroga le decisioni 2009/371/GAI del Consiglio e 2005/681/GAI del Consiglio. COM (2013) 173 final

I due atti sono stati esaminati congiuntamente dalla I Commissione a partire dalla seduta del 13 giugno 2013; l’ultima seduta si è svolta il 9 ottobre 2013 senza la presentazione di una proposta di documento conclusivo.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 25 settembre 2013

La Commissione Politiche dell’Unione europea ha approvato un parere favorevole, con una condizione relativa al coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nel controllo delle attività di Europol e due osservazioni, in merito all’attività di formazione che attualmente il Cepol svolge e al trattamento delle informazioni e lo scambio di dati tra autorità di polizia e con parti private.

Secondo la Relazione consuntiva per il 2013, la posizione italiana - condivisa dalla maggior parte degli Stati membri - non è favorevole all’incorporazione della Cepol in Europol, né all’ampliamento del mandato di Europol.

 

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme per quanto riguarda la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea COM(2013)197 final

L’atto è stato esaminato dalla I Commissione nella seduta del 26 novembre 2013; l’ultima seduta si è svolta il 18 dicembre 2013 senza la presentazione di una proposta di documento conclusivo.

 

Regolamento (UE) n. 2014/656

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Un nuovo quadro dell'Ue per rafforzare lo Stato di diritto COM(2014)158 definitivo

 

Le Commissioni riunite I e II il 19 novembre 2014 hanno approvato il documento finale (Doc. XVIII n. 16). Il Documento esprime una valutazione positiva - evidenziando come la tutela dello Stato di diritto figuri tra i valori fondanti dall'Unione europea inclusi nell'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea insieme alla salvaguardia della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e al rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze - con alcune osservazioni. E’ stata, in particolare, evidenziata l’esigenza di chiarire che il nuovo quadro giuridico debba intendersi come esplicitazione di poteri già previsti in capo alla Commissione europea dalle norme primarie UE e che si utilizzino, ai fini del monitoraggio dell'effettivo rispetto dei diritti fondamentali, i dati e le informazioni che si possono acquisire tramite canali opportunamente selezionati, a partire dagli organismi europei competenti in materia, in primo luogo l'Agenzia europea per i diritti fondamentali – FRA.

Su un’analoga tematica, il 4 giugno 2014 la I Commissione ha altresì avviato l’esame della Relazione della Commissione sull'applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea COM(2014) 224 final che non si è concluso con l’approvazione di un documento conclusivo.

 

Il Consiglio Affari generali ha stabilito, nella riunione del 16 dicembre 2014, che una volta all'anno si svolgerà, nell'ambito della medesima composizione del Consiglio, un dibattito per valutare il rispetto dello stato di diritto negli Stati membri.

 


Politica estera e di sicurezza
(Commissione III
)

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Comunicazione congiunta della Commissione europea e della Alta rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza - Politica europea di vicinato: contribuire a un partenariato più forte. JOIN(2013) 4 final.

 

E’ attualmente all’esame delle Commissioni parlamentari il Documento di consultazione congiunto della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza – Verso una nuova politica europea di vicinato JOIN(2015) 6 final.

 

L’atto è stato esaminato dalla III Commissione (relatore on. Locatelli) che il 18 luglio 2013 ha approvato un documento conclusivo in cui, nell’esprimere una valutazione positiva, impegnava il Governo a sostenere in sede europea l'esigenza di conservare alla PEV il quadro finanziario previsto per il periodo 2014-2020, esentandolo dai tagli che colpiranno le relazioni esterne, nel rispetto dell'equilibrio a suo tempo stabilito che destina i due terzi delle risorse al vicinato meridionale ed un terzo a quello orientale.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 3 luglio 2013

La XIV Commissione Politiche dell’Unione europea ha esaminato la Comunicazione congiunta JOIN(2013) 4 final ed ha approvato un parere favorevole, con condizioni ed osservazioni.

La relazione evidenzia come da parte italiana ci si sia adoperati per stimolare le Istituzioni europee a mettere in campo misure e mezzi idonei per promuovere il consolidamento di democrazie "sane" ai confini meridionali dell'UE, cooperando al contempo alla crescita economica sostenibile ed alla gestione ordinata della mobilità nella regione. Grazie anche all’impegno italiani - prosegue la relazione - la programmazione 2014-2020 dello strumento finanziario UE per il Vicinato ENI (European Neighbourhood Instrument) ha visto confermata la centralità del Mediterraneo nell'allocazione delle risorse.

L'iniziativa _AMICI (A Mediterranean Investment Coordinatlon lanciata dall’Italia e portata avanti assieme alla Grecia, ha dato ulteriore visibilità all'azione del Governo nel Vicinato meridionale. Si tratta di una piattaforma finalizzata a creare un quadro di riferimento per gli investimenti e a razionalizzare gli strumenti che già operano nella regione. L'obiettivo è, infatti, di favorire la complementarità e le sinergie tra programmi di tutti gli attori presenti nella regione (UE, Stati membri, EFI, IFI, altri donatori multilaterali e bilaterali, nonché i Paesi partner dell'area), al fine di conseguire un uso efficiente delle risorse disponibili in un quadro di riferimento coerente, senza duplicare né sostituire strutture già esistenti. Commissione e SEAE hanno fatto propria l'iniziativa, che è stata definitivamente approvata al Consiglio Affari Esteri del 15 dicembre 2014.


Politica di sicurezza e difesa comune
(Commissione IV)

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Verso un settore della difesa e della sicurezza più concorrenziale ed efficiente COM(2013) 542 final

 

Le Commissioni riunite IV Difesa e X attività produttive commercio e turismo della Camera hanno approvato il 12 dicembre 2013 un documento finale (Doc. XVIII, n. 8) nel quale si impegna il Governo a sottolineare, tra l’altro, le seguenti esigenze in ambito europeo:

·     la PSDC deve essere coordinata con altre politiche dell'UE (ricerca, innovazione e industria; sviluppo; sicurezza marittima, aerea, spaziale e informatica; sorveglianza delle frontiere);

·     la ristrutturazione della industria della difesa deve inserirsi in un quadro coerente che ne tuteli la strategicità, anche in termini di creazione di posti di lavoro e di rafforzamento delle capacità competitive;

·     concordare paradigmi comuni nelle relazioni NATO-UE per l'individuazione di un migliore bilanciamento tra le due organizzazioni e l'incentivazione di decisioni su investimenti e capacità fondate su una comprensione comune delle minacce;

·     assicurare la piena applicazione delle direttive 2009/81/CE (appalti di lavori, di forniture e di servizi nei settori della difesa e della sicurezza) e 2009/43/CE (trasferimenti all’interno delle Comunità di prodotti per la difesa) e un maggiore coordinamento fra gli Stati membri per favorire un efficace utilizzo del sistema delle licenze, attraverso la definizione di standard e certificazioni comuni a livello europeo;

·     le misure volte a preservare la competitività dell'industria della difesa devono tenere conto della peculiarità dei soggetti che operano in tale ambito, in particolare dei produttori di componenti e fornitori di servizi (ingegneria meccanica) e i fornitori di merci e servizi generali (trasporti e addestramento) essenzialmente a livello di PMI, per le quali si devono attivare interventi per l'internazionalizzazione delle attività, trasferimenti di tecnologia e finanziamento di opportunità commerciali, la rimozione degli ostacoli in materia di appalti e di subappalti;

·     sostenere gli investimenti nei progetti in settori a carattere duale (dual-use), anche attraverso la creazione di un fondo per il riequilibrio del mercato;

·     semplificare la certificazione per i prodotti delle difesa;

·     assicurare l’avvio di nuovi programmi europei nel campo delle infrastrutture satellitari, comunicazione e osservazione.

 

 

 

 

 


Politica economica
(Commissione V)

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Comunicazione della Commissione  al Parlamento europeo e al Consiglio – Verso un’Unione economica e monetaria autentica ed approfondita. Creazione di uno strumento di convergenza e di competitività (COM(2013) 165 def.) La Comunicazione è stata presentata dalla Commissione europea il 20 marzo 2013, al fine di dare seguito – unitamente alla successiva Comunicazione COM (2013) 166 riguardante il coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica – alla tabella di marcia per la realizzazione di un'autentica Unione economica e monetaria, approvata dal Consiglio europeo del 13-14 dicembre 2012. L’obiettivo delle due comunicazioni è quello di avviare una consultazione in merito alle diverse modalità con le quali attuare, a Trattati vigenti, il  coordinamento delle riforme economiche ed istituire uno strumento per sostenere gli Stati membri in difficoltà economico-finanziarie ad intraprendere le riforme necessarie in tempi rapidi.

Sulla Comunicazione si è espressa la Commissione Bilancio mediante l’approvazione, il 15 ottobre 2013, di un documento finale (Doc. XVIII n. 5) ai sensi dell’articolo 127 del Regolamento Camera, mediante il quale si esprime una valutazione positiva sulla Comunicazione, formulando alcune osservazioni concernenti: 1) il tempestivo coinvolgimento dei Parlamenti nazionali – ma anche del Parlamento europeo - nella negoziazione degli accordi bilaterali, con particolare riguardo alla definizione delle riforme da finanziare e delle condizioni per l'accesso al sostegno dello strumento di convergenza; 2) la necessità di chiarire la natura e il valore giuridico degli accordi contrattuali, che andrebbero subordinati alla previa dimostrazione del loro valore aggiunto rispetto alle procedure di coordinamento vigenti nell'ambito del Semestre europeo. Ciò anche per prevenire il rischio che il ricorso a tali strumenti possa non garantire l'unitarietà e la coerenza complessiva delle strategie da perseguire; 3) l’integrazione – con finanziamento autonomo e senza nuovi oneri a carico dei Paesi contributori netti del bilancio Ue - del nuovo strumento nel bilancio dell'Unione europea; 4) la complementarità del nuovo strumento con gli strumenti finanziari esistenti, quali, in particolare, i Fondi strutturali, al fine di evitare duplicazioni.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 1° ottobre 2013

Sulle due Comunicazioni COM (2013) 165 e COM (2013) 166 (v. sotto), la Commissione Politiche dell’Unione europea ha espresso parere favorevole con condizioni, avuto riguardo ad alcuni aspetti relativi allo strumento di convergenza e agli accordi bilaterali, al coordinamento delle riforme macroeconomiche e alla legittimità democratica.

 

 

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Verso un’Unione economica e monetaria autentica ed approfondita. Coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica previste COM(2013)166 def.

Nella Comunicazione COM(2013) 166 la Commissione, osservando come il quadro di governance economica europea comprende una procedura per il coordinamento ex ante e la sorveglianza sulle politiche economiche nazionali ma non prevede un coordinamento ex ante delle grandi riforme economiche, ritiene opportuna l’introduzione di tale tipologia di coordinamento. Tale coordinamento ex ante dovrebbe riguardare solo i piani nazionali di grandi riforme economiche e svolgersi a uno stadio sufficientemente precoce: ciò al fine  di garantire che nel processo decisionale nazionale siano tenute in considerazione le possibili ricadute delle grandi riforme sugli altri Stati membri e/o sulla zona euro e sull’intera UE.

Sulla Comunicazione si è espressa la Commissione Bilancio mediante l’approvazione, il 15 ottobre 2013, di un documento finale (Doc. XVIII n. 6) ai sensi dell’articolo 127 del Regolamento Camera, mediante il quale si esprime una valutazione positiva sulla Comunicazione, formulando alcune osservazioni concernenti: 1) una miglior definizione dell’ ambito delle riforme da sottoporre al coordinamento ex ante, includendovi anche quelle, comprese le riforme tributarie, che possono incidere sull'occupazione e sulla crescita nello Stato membro che le pone in essere; 2) la opportunità di valutare la partecipazione su base volontaria al meccanismo di coordinamento, considerato che ai sensi del two pack  gli Stati membri che seguono un programma di aggiustamento macroeconomico sono già soggetti a un monitoraggio rigoroso da parte della Commissione europea; 3) la necessità di chiarire le difficoltà di conciliare il processo decisionale nazionale con il coordinamento ex ante, tenuto conto che il prospettato dialogo economico, pur attribuendo un ruolo rilevante al Parlamento europeo, potrebbe non apparire sufficiente a garantire la piena legittimazione democratica del processo decisionale; 4) la previsione dell'intervento effettivo dei parlamenti nazionali nel coordinamento delle riforme ex ante, anche attraverso un dialogo diretto sistematico tra i parlamenti nazionali ed i rappresentanti della Commissione europea.

 

 


Ambiente
(Commissione VIII)

 

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1013/2006 relativo alle spedizioni di rifiuti. COM (2013) 516 final

Nella seduta del 10 ottobre 2013 l’VIII Commissione (ambiente) ha approvato un documento finale esprimendo una valutazione positiva sulla proposta nel contempo rilevando, tra l’altro, l’opportunità di:

- un aggiornamento della disciplina vigente a livello europeo e, conseguentemente, di quella nazionale anche attraverso la riorganizzazione delle funzioni delle diverse  autorità competenti in materia di ispezioni e controlli;

- introdurre una disciplina dei reati ambientali nel codice penale.

 

Anche se non menzionato nella relazione, si segnala che è stato adottato il Reg. (CE) 15 maggio 2014, n. 660/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1013/2006 relativo alle spedizioni di rifiuti.


Trasporti
(Commissione IX)

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

-Proposta di regolamento in materia di aeroporti, gestione del traffico aereo e servizi di navigazione aerea COM(2013)409

-Proposta di regolamento relativo all’istituzione del cielo unico europeo (rifusione) COM(2013)410

-Comunicazione della Commissione “Accelerare l’attuazione del cielo unico europeo” COM(2013)408

La IX Commissione ha approvato il 12 dicembre 2013 il documento finale (Doc. XVIII n. 9): nell’esprimere una valutazione complessivamente positiva delle proposte, il documento impegna il Governo a sottolineare nel negoziato l’importanza, tra le altre cose, di:

·    Un rafforzamento del ruolo internazionale dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA);

·    L’adozione a maggioranza qualificata e non semplice, come invece previsto dalla proposta COM(2013)409, delle decisioni rilevanti dell’EASA

·    Sopprimere, nella proposta COM(2013)410, la previsione di una separazione tra soggetti che forniscono servizi di assistenza e soggetti che forniscono servizi di traffico aereo

·    Puntualizzare meglio, nella proposta COM(2013)410, l’ambito di intervento normativo della Commissione europea e quello delle autorità nazionali di vigilanza, limitando il primo agli obiettivi prestazionali dell’Unione per la gestione del traffico aereo e precisando in termini puntuali il potere conferito alla Commissione europea di emanare atti delegati

·    Precisare meglio, nella proposta COM(2013)410, con riferimento al calcolo delle tariffe, le funzioni per le quali i costi vengono imputati agli utenti dello spazio aereo

La relazione segnala il raggiungimento, nella riunione del Consiglio trasporti, telecomunicazioni ed energia del 3 dicembre 2014, di un orientamento generale sulla proposta COM(2013)410 che affronta anche gli aspetti più controversi, tra i quali viene indicata anche la separazione dei servizi di supporto da quelli di traffico aereo.

La relazione segnala che nella medesima riunione è stato concordato un orientamento generale anche sulle parti della proposta COM(2013)409 relative agli aeroporti e alla gestione del traffico aereo più strettamente connesse con il regolamento del Cielo unico europeo, rinviando al 2015 le restanti parti anche in considerazione del fatto che la Commissione europea ha annunciato la presentazione di una nuova proposta.

Dal testo dell’orientamento generale (documento n. 15733/14 del Consiglio dell’Unione europea del 25 novembre 2014), i cui contenuti non sono però ripresi dalla relazione, si ricava che sulla questione delle tariffe aeree, oggetto di un’osservazione della IX Commissione, si sta maturando un rinvio della decisione alla discussione generale sulla struttura del finanziamento dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea, discussione da svolgersi nel 2015.

 

-Proposta di regolamento in materia di normalizzazione dei conti delle aziende ferroviarie COM(2013)26

-Proposta di regolamento relativa all’Agenzia UE per le ferrovie COM(2013)27

-Proposta di regolamento che modifica il regolamento (CE) n. 1370/2007 sull’apertura del mercato dei servizi di trasporto nazionale passeggeri per ferrovia COM(2013)28

-Proposta di direttiva che istituisce uno spazio ferroviario unico COM(2013)29

-Proposta di direttiva sull’interoperabilità del sistema ferroviario UE COM(2013)30

-Proposta di direttiva sulla sicurezza delle ferrovie COM(2013)31

-Comunicazione della Commissione sul “Quarto pacchetto ferroviario - completare lo spazio ferroviario unico” COM(2013)25

Nella seduta dell’8 ottobre 2014, la IX Commissione ha approvato documento finale (Doc. XVIII n. 15), in cui esprime una valutazione favorevole sulle proposte con, tra le altre, osservazioni volte a:

·    Prevedere, con riferimento al rilascio dei certificati di sicurezza e delle autorizzazioni dei veicoli da parte dell’Agenzia ferroviaria europea (che rientrano nel cd. “pilastro tecnico” delle proposte), il coinvolgimento delle agenzie nazionali nella procedura in via preventiva e non soltanto ex post;

·    Per quanto concerne il cd. “pilastro politico”, sostenere l’effettiva apertura del mercato dei servizi di trasporto passeggeri, mantenendo il termine per l’apertura al 2019 proposto dalla Commissione europea, anziché al 2022 proposto dal Parlamento europeo, negli emendamenti alle proposte approvate nel febbraio 2014

·    Sempre con riferimento al “pilastro politico”, inserire, come proposto dal Parlamento europeo una clausola di reciprocità diretta ad evitare che imprese che abbiano sede legale in uno Stato membro che non abbia proceduto alla liberalizzazione possano competere nei mercati di altri Stati membri che siano più aperti

·    Sempre con riferimento al “pilastro politico”, convenire con la proposta del Parlamento europeo di mantenere il modello di holding per le imprese operanti nel settore a condizione che si stabiliscano regole certe e vincoli chiari per quanto riguarda la trasparenza dei rapporti finanziari tra le società che esercitano, rispettivamente, il servizio di trasporto e la gestione dell’infrastruttura.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 23 settembre 2014

La Commissione Politiche dell’Unione europea ha espresso un parere favorevole con condizioni e un’osservazione.

La relazione segnala che nel consiglio trasporti del giugno 2014 è stato raggiunto l’accordo politico sul regolamento relativo all’Agenzia ferroviaria europea e quindi è stato avviato il negoziato con il Parlamento europeo sugli schemi normativi del cd “pilastro tecnico”. La complessità del dossier e il ristretto tempo a disposizione non hanno però consentito di concludere l’esame di tutte le proposte.

In base alla relazione, l’Italia, durante la sua presidenza di turno, ha comunque sostenuto che il pilastro tecnico deve essere coniugato a quello politico. Con riferimento al pilastro politico si è svolto quindi in seno al Consiglio un “dibattito strategico” per agevolare l’individuazione di una “strategia condivisa” con riguardo anche ai profili connessi all’attrazione di capitali privati. In questo quadro tutti i ministri hanno sottoscritto un “progress report” con linee guida sui testi normativi riguardanti gli obblighi di servizio pubblico e governance, impegnandosi a far sì che gli aspetti di carattere tecnico, seppur in una fase di negoziazione molto più avanzata, debbano essere inseriti in un sistema normativo coerente anche dal punto di vista del mercato.

La relazione afferma che i contenuti degli atti di indirizzo parlamentari sul quarto pacchetto ferroviario si sono riflessi sulla posizione italiana nel negoziato.

 

 

 


Politica industriale e mercato interno
(Commissione X)

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Piano d'azione per una siderurgia europea competitiva (COM(2013) 407 final)

Il 21 dicembre 2013 la Commissione ha approvato il documento (Doc. XVIII, n. 10). In tale Documento la Commissione valuta positivamente il Piano d’azione per una siderurgia europea competitiva, ponendo però una serie di condizioni. In particolare la Commissione richiede:

a)       la coerenza complessiva del disegno delineato nel prosieguo dell'attività della Commissione europea per dare attuazione al Piano;

b)       che l'Unione europea assuma atteggiamenti più incisivi di fronte ai fenomeni di concorrenza sleale;

c)       sul piano del contenimento dei costi di produzione (in particolare dei costi dell'energia), di valutare la possibilità di misure dirette all'attenuazione degli oneri gravanti su alcuni settori energivori, quali quello siderurgico, in relazione alle innovazioni che dovessero essere introdotte nei processi produttivi;

d)       il potenziamento degli strumenti a disposizione, a partire da Horizon 2020, e delle risorse stanziate per promuovere l'innovazione e la ricerca nel settore, anche attraverso l'agevolazione a progetti di ristrutturazione finalizzati all'adeguamento e non alla chiusura di impianti produttivi;

e)       lo sviluppo di adeguati strumenti e prassi a livello europeo, a partire dal settore siderurgico, atte a favorire nella definizione degli assetti dei piani industriali uno sviluppo industriale sostenibile e armonico.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 19 dicembre 2013

La Commissione Politiche dell’Unione europea ha esaminato l’atto ed ha espresso un parere favorevole con condizioni 

 

Risoluzione del Parlamento europeo del 4 febbraio 2014 sul piano d'azione per una siderurgia europea competitiva e sostenibile (2013/2177(INI))

 

 

 


Occupazione e affari sociali
(XI Commissione)

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad una rete europea di servizi per l'impiego, all'accesso dei lavoratori ai servizi di mobilità e ad una maggiore integrazione dei mercati del lavoro COM (2014)6 final.

Il 7 agosto 2014 la XI Commissione ha approvato il documento finale (Doc. XVIII, N. 13) nel quale valuta positivamente la proposta di regolamento e invita il Governo:

·     in quanto titolare della Presidenza dell'Unione europea, ad impegnarsi per una conclusione rapida dell’iter della proposta (complementare alla realizzazione del programma Garanzia Giovani);

·     ad avviare l'elaborazione di un Libro bianco sui servizi per l'impiego nell’UE;

·     a realizzare un effettivo coordinamento dei servizi per l'impiego pubblici e accreditati;

·     a definire un inventario adeguato delle classificazioni delle abilità, delle competenze, delle qualifiche e delle professioni;

·     a favorire lo scambio di buone prassi tra gli Stati membri (soprattutto nel campo dell'innovazione);

·     a coordinare efficacemente tutte le politiche volte al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Strategia Europa 2020;

·     a considerare la proposta in esame nel quadro del processo di complessivo riordino del settore relativo ai servizi per l'impiego;

·     a garantire, in questo quadro, che le risorse destinate ai servizi pubblici per l'impiego siano adeguate;

·     a individuare misure che promuovano l'omogeneità delle prestazioni offerte dai servizi pubblici per l'impiego;

·     a tenere conto, in questo ambito, delle indicazioni che emergeranno in sede di esame parlamentare del disegno di legge presentato dal Governo relativo alla riforma del mercato del lavoro (Jobs act, nel frattempo approvato dal Parlamento con L. 183/2014);

·     ad assicurare l'adeguamento dei sistemi informativi e informatici senza duplicazioni;

·     a individuare strumenti di promozione della conoscenza da parte dei lavoratori dei servizi offerti dalla rete EURES.

Con specifico riferimento al testo della proposta di regolamento:

·     a condividere la scelta inserita nella proposta di comprendere nella definizione di offerta di lavoro applicabile ai fini delle attività della rete EURES “qualsiasi offerta di impiego, anche sotto forma di apprendistato e tirocinio”;

·     a specificare meglio il ruolo e la composizione del gruppo di coordinamento e del Comitato EURES;

·     a chiarire, il carattere di reciprocità dello scambio di informazioni in materia di domanda e offerta di lavoro.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 31 luglio 2014

La Commissione Politiche dell’Unione europea - dopo un ciclo di audizioni svolte congiuntamente alla Commissione di merito - ha espresso un parere favorevole con condizioni e osservazioni.

 

 

 

Comunicazione della Commissione europea «Lavorare insieme per i giovani d'Europa – Invito ad agire contro la disoccupazione giovanile» COM(2013)447 final

Il 20 novembre 2014 la XI Commissione ha approvato il documento finale (Doc. XVIII, N. 7), con cui ha espresso una valutazione complessivamente positiva, con specifiche osservazioni: in ambito europeo:

· è fondamentale una strategia complessiva delle politiche attive del mercato del lavoro, che includa misure per le PMI, per l'apprendistato di qualità, per le start up, per la formazione professionale, nonché il coordinamento di tutte le linee di finanziamento esistenti a livello unionale e destinate al settore dell'occupazione (con possibilità di mobilitare risorse pari a 45 miliardi di euro nel biennio 2014-2015);

· è necessario un coordinamento efficace tra tutte le politiche che direttamente o indirettamente sono volte al raggiungimento dell'obiettivo fissato dalla Strategia Europa 2020;

· occorre promuovere e sostenere l'istituzione di una piattaforma che sappia mettere a confronto le prestazioni dei servizi pubblici per l'impiego dei vari Stati membri sulla base di valori di riferimento pertinenti a individuare migliori pratiche e promuovere l'apprendimento reciproco (così come previsto dalla proposta di decisione sulla riforma dei servizi pubblici per l'impiego COM(2013)439).

Parere approvato dalla XIV Commissione il 13 novembre 2013 La Commissione Politiche dell’Unione europea ha esaminato l’atto ed ha espresso un parere favorevole con osservazione.

Gli interventi dell'Italia nel corso dei negoziati sono stati volti a promuovere: scambi e incontri tra giovani e mondo dell'imprenditoria; una maggiore conoscenza delle opportunità imprenditoriali come sbocco occupazionale e momenti formativi nei diversi ambiti educativi; sostegno finanziario alle giovani imprese, nonché la riduzione degli oneri amministrativi e la semplificazione del rilascio di autorizzazioni e licenze, la creazione di joint venture tra giovani imprenditori di diversi Paesi UE.

 

 

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'istituzione di una piattaforma europea per il rafforzamento della cooperazione volta a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso COM(2014)221 final

 

Il 7 agosto 2014 la XI Commissione ha approvato il documento finale  (Doc. XVIII, N. 14) in cui si valuta positivamente la proposta di decisione e invita a valutare, tra l’altro:

·     l’opportunità  di definire in modo più puntuale le modalità operative di funzionamento della piattaforma che garantiscano, tra l’altro, una piena collaborazione da parte degli Stati membri;

·     l'opportunità di riconsiderare i tempi per la verifica del raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla piattaforma;

·     ogni utile iniziativa per rafforzare il sistema dei controlli volti a contrastare il lavoro sommerso;

·     per una maggiore efficienza delle attività di controllo sul lavoro sommerso e irregolare, l'adozione di iniziative normative finalizzate a garantire un migliore coordinamento delle attività esercitate dai diversi soggetti pubblici operanti nel settore e delle relative banche dati, anche attraverso la costituzione di un soggetto pubblico unitario.

Inoltre, si invita il Governo ad adoperarsi per avviare iniziative di comunicazione e informazione al fine di fornire una corretta rappresentazione del ruolo e delle finalità  dell'attività ispettiva.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 31 luglio 2014

La Commissione Politiche dell’Unione europea ha esaminato l’atto ed ha espresso un parere favorevole con condizioni.

 

 


Agricoltura e Pesca
(XIII Commissione)

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE (secondo Relazione)

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio europeo relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici COM (2014) 180 final.

Comunicazione della Commissione europea - Piano d’azione per il futuro della produzione biologica nell’Unione europea COM (2014) 179 final.

 

LA XIII Commissione ha iniziato l’esame dell’atto il 28 maggio 2014, svolgendo, in merito, un ciclo di audizioni con i rappresentanti del settore. Il 4 dicembre 2014 ha approvato il prescritto parere dando una valutazione complessivamente positiva, impegnando, tuttavia, il Governo a meglio definire alcune criticità quali:

-  l’eliminazione delle deroghe;

-  il mantenimento della tipologia aziendale “azienda mista”,

-  il divieto di impiego OGM anche per le sementi che debbono essere considerate nella definizione di “materiale riproduttivo vegetale;

-  la revisione del sistema dei controlli e della normativa relativa alle importazioni da Paesi terzi;

- infine, l’utilizzo eccessivo dello strumento degli atti delegati per apportare modifiche al regolamento stesso.

 

Parere approvato dalla XIV Commissione il 2 dicembre 2014

La Commissione Politiche dell’UE ha esaminato la proposta di regolamento COM (2014) 180 final ed ha approvato un parere favorevole con osservazioni.

Nella relazione si dà conto che nel settore dell'agricoltura biologica è stato raggiunto un accordo politico sui principali punti relativi alla prima parte della proposta (articoli da 1 a 19). Il Governo dà atto che nello sviluppo del dossier, ha tenuto nel debito conto sia le posizioni delle Regioni sia le associazioni di settore, espresse in diverse riunioni del tavolo tecnico per l'agricoltura biologica, sia delle indicazioni del Parlamento, fornite con la risoluzione della 9a Commissione permanente del Senato sull'atto COM (2014) 180 approvata nella seduta del 27 maggio 2014 (doc. XVIII n.63 ).

Il 20 aprile 2015 la Commissione europea ha comunicato alla Camera dei deputati, rispondendo nell’ambito del dialogo politico alle osservazioni formulate nella risoluzione della Commissione agricoltura, che intende ritirare la proposta e sostituirla con una nuova iniziativa nel caso in cui non venga raggiunto un accordo entro sei mesi. Ha, quindi, risposto puntualmente alle osservazioni sollevate dalla Commissione Agricoltura precisando che:

- nella definizione di materiale riproduttivo vegetale rientrano anche le sementi; gli OGM ed i prodotti derivati non possono essere in alcun modo usati nella produzione biologica;

- nella proposta è prevista la possibilità di consentire la certificazione per categorie di prodotti;

- quanto alla necessità di prevedere controlli annuali la Commissione ritiene preferibile un approccio basato sull’analisi del rischio.

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla produzione e alla messa a disposizione sul mercato riproduttivo vegetale COM (2013) 262.

La Commissione Agricoltura della Camera ha approvato, in data 6 febbraio 2014, la risoluzione conclusiva 8-00036: Iniziative in ambito europeo in materia di normativa sulle sementi. Con l’atto di indirizzo la XIII Commissione impegnava il Governo a chiedere il ritiro della proposta di regolamento, al fine di meglio tutelare il libero scambio delle sementi tra gli agricoltori e la loro non brevettabilità a tutela della biodiversità.

Nella relazione, nella parte relativa alle politiche agricole, non si dà conto dell’attività svolta in riferimento alla proposta di regolamento in esame.

In data 11 marzo 2014 il Parlamento europeo ha espresso un parere contrario sulla proposta di regolamento.

Il 7 marzo 2015 la stessa è stata ritirata dalla Commissione europea.

 



[1] Con riferimento al disegno di legge di delegazione europea 2014, tali informazioni sono presentate dal Governo nella relazione illustrativa sul disegno di legge originario, presentato al Senato (S. 1758), che contiene i dati aggiornati al 31 dicembre 2013. Sullo stato delle infrazioni, la relazione fornisce un ulteriore aggiornamento al 30 settembre 2014. Inoltre, per le direttive da attuare con Decreto Ministeriale, la relazione riporta i dati sulle direttive nel frattempo attuate alla data del 10 ottobre 2014.

[2] Si segnala che la direttiva 2014/40/UE è stata soppressa nell’Allegato B durante l’esame presso il Senato e la delega relativa alla sua attuazione è contenuta nell’articolo 6.

[3]     Il fondo è stato istituito nell'ambito del Ministero del tesoro presso la Ragioneria generale dello Stato “Ispettorato generale rapporti con l’Unione europea – IGRUE”, con le caratteristiche di fondo di rotazione con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio.

[4] Si vedano la legge comunitaria 2007 (legge n. 34/2008); la legge comunitaria 2008 (legge n. n. 88/2009); la legge comunitaria 2009 (legge n. 96/2010).

[5] Si ricorda che il principio di carattere generale enunciato dalla norma risponde a quello da tempo elaborato dalla giurisprudenza costituzionale (v. sentenza n. 226/1976), in base al quale spetta la legislatore delegante disporre in ordine alla copertura della spesa derivante dall’esercizio della delega. La stessa Corte ha tuttavia evidenziato che, “qualora eccezionalmente non fosse possibile, in sede di conferimento della delega, predeterminare rigorosamente in anticipo i mezzi per finanziare le spese che l'attuazione della stessa comporta” è sufficiente che il Governo venga a ciò espressamente delegato, con determinazione di principi e criteri direttivi di delega, anche enunciati sotto forma di clausole di neutralità finanziaria, volti a definire gli equilibri finanziari interni a ciascun provvedimento da adottare nell’esercizio della delega.

[6] A parte le eccezioni individuate dall'articolo 29, paragrafo 1, ultimo periodo, della direttiva.

[7]  La Commissione rileva profili di non conformità anche in relazione all’articolo 1, par. 2 (nozione di progetto) e all’articolo 6, paragrafo 2 (informazione del pubblico) della direttiva VIA.

[8]     Il termine per il recepimento della direttiva in oggetto è il 1° luglio 2016.

[9] Nella XVI legislatura, la direttiva 2010/53/UE è stata introdotta al Senato nell’A.S. 2322 (poi divenuta L. 217/2011, Legge comunitaria 2010), tra le direttive da recepire negli allegati A e B previsti dall’articolo 1, ma successivamente soppressa dalla Camera durante l’esame del provvedimento (A.C. 4059-B). La direttiva 2010/53/UE è stata nuovamente inserita nella Legge comunitaria 2011, nel cui parere al provvedimento iniziale la Commissione 12ª (Igiene e sanità) del Senato (seduta del 29 febbraio 2012) ha espresso la necessità di conferire al Ministero della salute una delega per aggiornare la legge n. 91 del 1999, secondo i seguenti principi: a) definizione delle modalità per l’espressione della dichiarazione di volontà alla donazione di organi e tessuti e le modalità per garantire il coordinamento della rete nazionale dei trapianti; b) coordinamento delle disposizioni contenute nel decreto legislativo di recepimento della direttiva con le altre norme legislative vigenti in materia di qualità e sicurezza degli organi umani destinati a trapianti; c) riordino del Centro Nazionale Trapianti e del Centro Nazionale Sangue.

 

[10] A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca, allegato al trattato sull’Unione europea e al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la Danimarca non parteciperà all’adozione della direttiva, non sarà da essa vincolata né soggetta alla sua applicazione.

[11] Quale definita nella decisione quadro 2008/841/GAI.

[12]   L'abrogazione ha effetto dal 6 febbraio 2018.

[13]   Sul punto, Roberto Moccaldi, La nuova direttiva Euratom 2013/59 e le relative figure professionali, ottobre 2014.

[14] Le altre proposte presentate erano relative a articoli pirotecnici, strumenti per pesare a funzionamento non automatico, strumenti di misura, ascensori e componenti di sicurezza per ascensori, apparecchi e sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva e materiale elettrico destinato ad essere adoperato entro taluni limiti di tensione.

[15] Ma non ai regimi pensionistici obbligatori, disciplinati dal regolamento (CE) n. 883/2004.

[16] Quali, ad esempio, l'adeguamento del valore dei diritti a pensione, il mantenimento del valore nominale dei diritti pensionistici in sospeso, l’erogazione di un tasso d'interesse integrato nel regime pensionistico complementare, o di un utile sul capitale investito derivato dal regime pensionistico complementare nonché l’adeguamento del valore dei diritti pensionistici in sospeso, fatto salvo un limite proporzionale definito dal diritto nazionale o convenuto dalle parti sociali.

[17] V. anche punto 9 della premessa.

   In base alla direttiva 93/7/CE la restituzione è ammessa: a) per i beni indicati nell’allegato A (Reperti archeologici, monumenti e libri aventi più di 100 anni, carte geografiche stampate aventi più di 200 anni, archivi e supporti aventi più di 50 anni, mezzi di trasporto aventi più di 75 anni, quadri, pitture, mosaici e stampe fatti interamente a mano, incisioni, fotografie, film, incunaboli e manoscritti, comprese le carte geografiche e gli spartiti musicali, collezioni ed esemplari provenienti da collezioni di zoologia, botanica, mineralogia, anatomia, collezioni aventi interesse storico, paleontologico, etnografico o numismatico, nonché altri oggetti di antiquariato aventi più di 50 anni. Per tutti gli elementi indicati, la direttiva è applicabile solo se il loro valore è almeno pari a quello previsto dalla stessa direttiva, allegato, parte B); b) per i beni che, pur non rientrando nelle categorie indicate nell’All. A, sono inventariati come appartenenti a collezioni pubbliche museali, archivi e fondi di conservazione di biblioteche o sono inclusi in inventari ecclesiastici.

[18] Resta fermo che, in ogni caso, l’azione di restituzione si prescrive entro 30 anni a decorrere dalla data in cui il bene culturale è uscito illecitamente dal territorio dello Stato membro richiedente, ovvero 75 anni nel caso di beni che fanno parte di collezioni pubbliche o appartengono a inventari delle istituzioni ecclesiastiche o - e si tratta di un’ulteriore novità – di altre istituzioni religiose, tranne negli Stati membri in cui l’azione è imprescrittibile e nel caso di accordi bilaterali tra Stati membri che prevedono un termine superiore a 75 anni (art. 8, comma 1, secondo e terzo capoverso). V. anche punto 15 della premessa.

[19] D.Lgs. 08/06/2001, n. 231, Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.

[20] Ai sensi della definizione contenuta nell'art. 3, lett. d), entità ospitante è "l'entità presso la quale è trasferito il lavoratore soggetto a trasferimento intra-societario".

[21] Recepita con D.Lgs. 72/2000.

[22] Il subcontratto è costituito da una stipulazione ulteriore e derivata rispetto ad un contratto principale.

[23] Il Trattato di Prum del 2005, ratificato dall’Italia con la legge n. 85/2009, è l’accordo internazionale tra alcuni Stati membri che disciplina la cooperazione e lo scambio di informazioni in materia giudiziaria e di polizia. 

[24] XVII legislatura, Camera dei deputati, Doc. LXXXVII, n. 3.

SERVIZIO STUDI

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

 

 

 

Legge di delegazione europea 2014
(A.C. 3123)

e

Relazione consuntiva sulla partecipazione dell’Italia all’UE - Anno 2014
(Doc. LXXXVII, n. 3)

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 307/1

 

 

 

29 maggio 2015

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari comunitari

( 066760-9409 / * st_affari_comunitari@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§  La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§  Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

 

 

 

 

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

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INDICE

 

Il disegno di legge di delegazione europea 2014 (A.C. 3123)

Premessa  3

Schede di lettura

§  Articolo 1 (Delega al Governo per l'attuazione di direttive europee) 11

§  Articolo 2 (Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea) 18

§  Articolo 3 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea) 25

§  Articolo 4 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi) 27

§  Articolo 5 (Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2013/50/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, recante modifica della direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, della direttiva 2003/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari, e della direttiva 2007/14/CE della Commissione, che stabilisce le modalità di applicazione di talune disposizioni della direttiva 2004/109/CE) 31

§  Articolo 6 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE) 37

§  Articolo 7 (Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2014/49/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi) 40

§  Articolo 8 (Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio) 45

§  Articolo 9 (Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, anche ai fini dell'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012) 56

§  Articolo 10 (Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2014/91/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, recante modifica della direttiva 2009/65/CE concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), per quanto riguarda le funzioni di depositario, le politiche retributive e le sanzioni) 70

§  Articolo 11 (Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato (direttiva abusi di mercato), anche ai fini dell’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato del regolamento (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione) 74

§  Articolo 12 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 909/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, relativo al miglioramento del regolamento titoli nell'Unione europea e ai depositari centrali di titoli e recante modifica delle direttive 98/26/CE e 2014/65/UE e del regolamento (UE) n. 236/2012, per il completamento dell'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, sugli strumenti derivati OTC, le controparti centrali e i repertori di dati sulle negoziazioni nonché per l'attuazione della direttiva 98/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 1998, concernente il carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento titoli, come modificata dal regolamento (UE) n. 648/2012 e dal regolamento (UE) n. 909/2014) 81

§  Articolo 13 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1286/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati) 88

§  Articolo 14 (Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati) 91

§  Articolo 15 (Criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2013/51/Euratom del Consiglio, del 22 ottobre 2013, che stabilisce requisiti per la tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano) 98

§  Articolo 16 (Criterio direttivo per l'attuazione della direttiva 2013/35/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) 100

§  Articolo 17 (Criterio direttivo per l'attuazione della direttiva 2014/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che modifica la direttiva 2001/110/CE del Consiglio concernente il miele) 103

§  Articolo 18 (Delega al Governo per l'attuazione delle decisioni quadro) 105

§  Articolo 19 (Delega al Governo per l'attuazione della decisione quadro 2009/315/GAI del Consiglio, ,del 26 febbraio 2009, relativa all'organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario) 115

§  Articolo 20 (Delega al Governo per l'attuazione della decisione quadro 2009/316/GAI del Consiglio, del 6 aprile 2009, che istituisce il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS) in applicazione dell’articolo 11 della decisione quadro 2009/315/GAI) 120

§  Articolo 21 (Delega al Governo per l'attuazione della decisione quadro 2008/675/GAI del Consiglio, del 24 luglio 2008, relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell'Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale) 122

Direttiva Allegato A

§  Direttiva n. 2014/111/UE (Direttiva di esecuzione della Commissione, del 17 dicembre 2014, recante modifica della direttiva 2009/15/CE per quanto attiene all'adozione da parte dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO) di taluni codici e relativi emendamenti di alcuni protocolli e convenzioni (termine di recepimento 31 dicembre 2015) 127

Direttive Allegato B

§  Direttiva n. 2010/53/UE (Organi umani destinati ai trapianti) 131

§  Direttiva n. 2012/25/UE (Organi umani destinati ai trapianti) 134

§  Direttiva n. 2013/40/UE (Sanzioni per attacchi contro sistemi di informazione) 135

§  Direttiva n. 2013/48/UE (Diritti nel procedimento penale) 137

§  Direttiva n. 2013/53/UE (Imbarcazioni da diporto) 139

§  Direttiva n. 2013/54/UE (Lavoro marittimo) 141

§  Direttiva n. 2013/55/UE (Qualifiche professionali) 143

§  Direttiva n. 2013/56/UE (Pile e accumulatori contenenti cadmio) 145

§  Direttiva n. 2013/59/Euratom (Esposizione a radiazioni ionizzanti) 150

§  Direttiva n. 2014/17/UE (Contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali) 155

§  Direttiva n. 2014/27/UE (Classificazione, etichettatura e imballaggio sostanze e miscele) 156

§  Direttiva n. 2014/28/UE (Esplosivi per uso civile); Direttiva n. 2014/29 UE (Recipienti semplici a pressione); Direttiva n. 2014/30/UE (Compatibilità elettromagnetica) 157

§  Direttiva n. 2014/31/UE (Strumenti per pesare a funzionamento non automatico) 159

§  Direttiva n. 2014/32/UE (Strumenti di misura) 161

§  Direttiva n. 2014/34/UE (Apparecchi di protezione in atmosfera esplosiva) 163

§  Direttiva n. 2014/35/UE (Materiale elettrico) 166

§  Direttiva n. 2014/36/UE (Ingresso e soggiorno per lavoro stagionale di cittadini di paesi terzi) 168

§  Direttiva n. 2014/41/UE (Ordine europeo di indagine penale) 171

§  Direttiva n. 2014/48/UE (Tassazione redditi risparmio) 174

§  Direttiva n. 2014/50/UE (Diritti pensionistici complementari e mobilità lavoratori) 176

§  Direttiva n. 2014/51/UE (Autorità europee vigilanza (assicurazioni e strumenti finanziari)) 179

§  Direttiva n. 2014/53/UE (Apparecchiature radio) 181

§  Direttiva n. 2014/54/UE (Libera circolazione lavoratori) 183

§  Direttiva n. 2014/55/UE (Fatturazione elettronica negli appalti pubblici) 185

§  Direttiva n. 2014/56/UE (Revisione legale dei conti) 187

§  Direttiva n. 2014/58/UE (Articoli pirotecnici) 193

§  Direttiva n. 2014/60/UE (Restituzione di beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro) 195

§  Direttiva n. 2014/61/UE (Reti comunicazione elettronica) 198

§  Direttiva n. 2014/62/UE (Protezione mediante il diritto penale dell’euro e di altre monete contro la falsificazione) 201

§  Direttiva n. 2014/66/UE (Ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per trasferimento intra-societario) 204

§  Direttiva n. 2014/67/UE (Distacco lavoratori nei servizi) 206

§  Direttiva n. 2014/68/UE (Attrezzature a pressione) 208

§  Direttiva n. 2014/86/UE (Regime fiscale società madri e figlie) 210

§  Direttiva n. 2014/87/UE (Sicurezza impianti nucleari) 212

§  Direttiva n. 2014/89/UE (Pianificazione spazio marittimo) 214

§  Direttiva n. 2014/94/UE (Combustibili alternativi) 217

§  Direttiva n. 2014/95/UE (Comunicazione di informazioni non finanziarie da parte di imprese) 219

§  Direttiva n. 2014/100/UE (Monitoraggio traffico navale) 221

§  Direttiva n. 2014/107/UE (Scambio informazioni nel settore fiscale) 223

§  Direttiva n. 2014/112/UE (Orario di lavoro nel trasporto per vie navigabili) 225

§  Direttiva n. 2015/13/UE (Campo di portata dei contatori dell’acqua) 228

§  Direttiva n. 2015/412/UE (Coltivazione OGM) 229

§  Direttiva n. 2015/413/UE (Scambio informazioni in materia di sicurezza stradale) 232

Direttive Allegato B con criteri specifici di delega

§  Direttiva n. 2013/35/UE (Sicurezza e salute lavoratori (campi elettromagnetici) 239

§  Direttiva n. 2013/50/UE (Negoziazione di strumenti finanziari) 239

§  Direttiva n. 2013/51/UE (Sostanze radioattive presenti nelle acque a consumo umano) 239

§  Direttiva n. 2014/49/UE (Garanzia depositi) 239

§  Direttiva n. 2014/52/UE (Valutazione di impatto ambientale - VIA) 239

§  Direttiva n. 2014/57/UE (Sanzioni penali per abusi di mercato) 239

§  Direttiva n. 2014/59/UE (Risanamento enti creditizi e imprese investimento) 239

§  Direttiva n. 2014/63/UE (Miele) 240

§  Direttiva n. 2014/65/UE (Mercati degli strumenti finanziari) 240

§  Direttiva n. 2014/91/UE (Organismi d’investimento in valori mobiliari (OICVM)) 240

§  Direttiva n. 2014/104/UE (Risarcimento del danno per violazione delle norme sulla concorrenza) 240

Relazione consuntiva sulla partecipazione dell’Italia all’UE - Anno 2014 (Doc. LXXXVII, n. 3)

Nota di sintesi 243

L’impatto della partecipazione della Camera alla fase ascendente dell’Unione europea

§  Spazio di libertà, sicurezza e giustizia (Commissione I e II) 250

§  Politica estera e di sicurezza (Commissione III) 252

§  Politica di sicurezza e difesa comune (Commissione IV) 253

§  Politica economica (Commissione V) 255

§  Ambiente (Commissione VIII) 258

§  Trasporti (Commissione IX) 259

§  Politica industriale e mercato interno (Commissione X) 262

§  Occupazione e affari sociali (XI Commissione) 264

§  Agricoltura e Pesca (XIII Commissione) 269

 

 

 


Il disegno di legge di delegazione europea 2014
(A.C. 3123)

 


Premessa

Il 5 febbraio 2015 il Governo ha presentato al Senato il disegno di legge recante Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2014 (S. 1758).

Il disegno di legge, approvato dal Senato il 14 maggio 2015, è stato trasmesso alla Camera dei deputati il 18 maggio 2015 (C. 3123).

 

La legge di delegazione europea

La legge di delegazione europea è uno dei due strumenti di adeguamento all’ordinamento dell’Unione europea introdotti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234, che ha attuato una riforma organica delle norme che regolano la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.

In base all’articolo 29 della legge n. 234 del 2012, infatti, la legge comunitaria annuale (prevista dalla legge n. 11 del 2005) è sostituita da due distinti provvedimenti:

·  la legge di delegazione europea, il cui contenuto è limitato alle disposizioni di delega necessarie per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell’Unione europea

·  la legge europea, che contiene norme di diretta attuazione volte a garantire l’adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea.

Il comma 3 dell’articolo 29 prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un disegno di legge di delegazione europea, con l’indicazione dell'anno di riferimento.

Il termine previsto per la presentazione del disegno di legge di delegazione europea è entro il 28 febbraio di ogni anno.

Il contenuto del disegno di legge di delegazione europea è stabilito all’articolo 30, comma 2 della legge n. 234 del 2012. In particolare, essa prevede:

a)     disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta esclusivamente all'attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei;

b)     disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all'Italia dalla Commissione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea;

c)     disposizioni che autorizzano il Governo a recepire le direttive in via regolamentare;

d)     delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea;

e)     delega legislativa al Governo limitata a quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente applicabili contenute in regolamenti europei;

f)       disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni dell'Unione europea recepite dalle regioni e dalle province autonome;

g)     disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione;

h)     disposizioni che, nell'ambito del conferimento della delega legislativa per il recepimento o l'attuazione degli atti di cui alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi unici per il riordino e per l'armonizzazione di normative di settore, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome;

i)       delega legislativa al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati.

Nell’esercizio delle deleghe legislative conferite, il Governo è tenuto al rispetto dei principi e criteri generali di delega, nonché degli specifici principi e criteri direttivi aggiuntivi eventualmente stabiliti dalla legge di delegazione europea, come previsto all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012.

Ai sensi dell’articolo 29, comma 7, della legge n. 234 del 2012, il Governo deve inoltre dare conto[1] dell’eventuale omesso inserimento delle direttive il cui termine di recepimento è scaduto o scade nel periodo di riferimento, considerati i tempi previsti per l’esercizio della delega, e fornire dati sullo stato delle procedure di infrazione, l’elenco delle direttive recepite o da recepire in via amministrativa, l’elenco delle direttive recepite con regolamento e l’elenco dei provvedimenti con i quali le singole regioni e province autonome hanno provveduto a recepire direttive nelle materie di loro competenza.

 

Il disegno di legge di delegazione europea 2014, a seguito delle modifiche approvate dal Senato, consta di 21 articoli ed è corredato da due allegati.

Negli allegati A e B che contengono l’elenco delle direttive da recepire con decreto legislativo, sono elencate, rispettivamente, 1 e 56 direttive[2]. Nell’allegato B sono riportate le direttive sui cui schemi di decreto è previsto il parere delle competenti commissioni parlamentari.

Gli articoli del disegno di legge contengono disposizioni di delega per il recepimento di 58 direttive europee, per l’adeguamento della normativa nazionale a 6 regolamenti (UE), nonché per l’attuazione di 10 decisioni quadro.

Si rileva che nel corso dell’esame presso il Senato, il testo originariamente presentato dal Governo è stato modificato e ampliato in modo significativo, con riguardo sia agli articoli contenenti principi e criteri direttivi specifici (da 11 a 21 articoli), sia al numero di direttive e di atti legislativi dell’UE da recepire o da attuare con delega legislativa (da 41 a 58 direttive, da 6 a 10 decisioni quadro, da 3 a 6 i regolamenti).

Con riferimento agli atti inseriti nel disegno di legge, le due tabelle seguenti presentano un quadro delle direttive e delle decisioni quadro, ripartite in base all’anno di adozione.

 

direttive per anno di adozione

Anno

S. 1758

Inserite dal Senato

C. 3123

2010

1

 -

1

2012

1

 -

1

2013

10

 -

10

2014

29

15

 43*

2015

-

3

3

Totale

41

18

58

* la direttiva 2014/26/UE, presente nel testo originario, è stata espunta al Senato

 


 

decisioni quadro per anno di adozione

Anno

S. 1758

Inserite dal  Senato

C. 3123

2002

1

 

1

2003

1

 

1

2005

1

 

1

2008

1

1

2

2009

2

3

5

Totale

6

4

10

 

 

Nella successiva tabella viene presentato un riepilogo delle direttive contenute nel disegno di legge, suddivise in base alla scadenza del termine per il recepimento nell’ordinamento nazionale.

 

direttive per termine di recepimento

Termine

S. 1758

Inserite dal Senato

C. 3123

termine di recepimento scaduto

§  1/1/2013

1

 

1

§  1/1/2015

2

 

2

§  6/5/2015

2

2

4

scadenza termine di recepimento

§  30/6/2015

1

2

3

§  30/9/2015

3

 

3

§  1/1/2016

7

2

9

§  1/7/2016

16

4

19*

§  1/1/2017

4

6

10

§  1/1/2018

2

2

4

§  27/11/2018

3

 

3

Totale

41

18

58

 

* la direttiva 2014/26/UE, presente nel testo originario, è stata espunta al Senato

 

Nell’articolato del disegno di legge sono previsti principi e criteri direttivi specifici - cui il Governo dovrà attenersi nell’esercizio della delega - con riferimento ai seguenti atti:

ü 12 Direttive

§  2014/104/UE sul risarcimento danni per violazione di norme sulla concorrenza (art. 2);

§  2013/50/UE sulla negoziazione di strumenti finanziari (art. 5);

§  2014/40/UE sulla lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco (art. 6);

§  2014/49/UE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (art. 7);

§  2014/59/UE sul risanamento degli enti creditizi e delle imprese investimento (art. 8);

§  2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (art. 9);

§  2014/91/UE sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari - OICVM (art. 10);

§  2014/57/UE sulle sanzioni penali per abusi di mercato (art. 11);

§  2014/52/UE sulla valutazione dell'impatto ambientale di progetti pubblici e privati (art. 14);

§  2013/51/Euratom sull’esposizione alle radiazioni ionizzanti (art. 15);

§  2013/35/UE sulla sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a campi elettromagnetici (art. 16);

§  2014/63/UE concernente il miele (art. 17).

 

ü 6 Regolamenti (UE)

§  n. 1024/2013 in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (art. 4);

§  n. 600/2014 sui mercati degli strumenti finanziari (art. 9);

§  n. 596/2014 relativo agli abusi di mercato (art. 11);

§  n. 909/2014 sul regolamento titoli nell’UE e n. 648/2012 sugli strumenti derivati OTC (art. 12);

§  n. 1286/2014 sui prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (art. 13).

 

ü 3 Decisioni quadro (GAI)

§  2009/315/GAI sugli scambi di informazioni del casellario giudiziario (art. 19);

§  2009/316/GAI sul sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari - ECRIS (art. 20)

§  2008/675/GAI sulla considerazione delle decisioni di condanna in nuovi procedimenti penali (art. 21).

 

Si segnala che su 3 direttive - contenute nell’allegato B - risultano pendenti le seguenti procedure di infrazione per mancato recepimento:

ü il 28 maggio 2014 è stata aperta la procedura di infrazione n. 2014_0287 (attualmente allo stadio di parere motivato) sulla direttiva 2012/25/UE in materia di trapianti, il cui termine è scaduto il 10 aprile 2014.

ü il 29 gennaio 2015 è stata avviata la procedura n. 2015_0066 sulla direttiva 2014/59/UE in materia di risanamento degli enti creditizi e imprese di investimento, il cui termine è scaduto il 31 dicembre 2014. Il 28 maggio 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato.

ü il 27 marzo 2015 è stata aperta la procedura di infrazione n. 2015_0145 (messa in mora) sulla direttiva 2014/68/UE concernente le attrezzature a pressione, essendo scaduto il termine del 28 febbraio 2015.

 

 

Le leggi di delegazione europea riferite all’anno 2013

 

Si ricorda che, successivamente all’entrata in vigore della legge n. 234 del 2012, sono state approvate due leggi di delegazione europea:

-  legge di delegazione europea 2013 (L. 6 agosto 2013, n. 96) composta da 13 articoli e tre allegati, che ha conferito al Governo deleghe legislative per il recepimento di 40 direttive, la rettifica di 5 direttive e l’adeguamento a due regolamenti (UE);

- legge di delegazione europea 2013 - secondo semestre (L. 15 ottobre 2014, n. 154), che consta di 9 articoli e due allegati e conferisce al Governo deleghe legislative per il recepimento di 19 direttive, l’attuazione di 2 decisioni quadro, l'adeguamento a un regolamento (UE) e l'adozione di un testo unico.

Alla data di chiusura del presente dossier, lo stato di attuazione delle deleghe conferite con la legge n. 96/2013 include il recepimento di 33 direttive e la rettifica di una direttiva. Sono attualmente all’esame del Parlamento due schemi di decreto legislativo per il recepimento delle direttive 2012/18/UE (atto del Governo n. 154) e 2012/34/UE (atto del Governo n. 159).

Per quanto riguarda la legge n. 154/2014, sono state finora recepite 3 direttive ed è stata attuata una decisione quadro. Sono stati approvati in via definitiva dal Consiglio dei ministri, e sono in attesa di pubblicazione, tre decreti legislativi su cui le Camere hanno espresso il parere parlamentare.  Attualmente sono all’esame del Parlamento 6 schemi di decreto legislativo per il recepimento di direttive e uno per l’attuazione di decisioni quadro.

 

 

Per una sintesi del contenuto degli articoli e delle direttive elencate negli allegati A e B, si rinvia al dossier del Servizio Studi n. 307 del 29 maggio 2015.

 

 

 


 

Schede di lettura

 


 

Articolo 1
(Delega al Governo per l'attuazione di direttive europee)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 1 reca la delega al Governo per l’attuazione delle direttive elencate negli allegati A e B.

Esso rinvia, per quanto riguarda le procedure, i princìpi e i criteri direttivi della delega, alle disposizioni previste dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234.

 

L’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 detta i seguenti princìpi e criteri direttivi generali di delega per l’attuazione del diritto dell’Unione europea:

a)     le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti;

b)     ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso il riassetto e la semplificazione normativi;

c)     gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (c.d. gold plating);

d)     ove necessario, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi;

e)     al recepimento di direttive o di altri atti che modificano precedenti direttive o di atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione;

f)       nella redazione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

g)     quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, l’efficacia e la trasparenza dell’azione amministrativa, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti territoriali;

h)     le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi vengono attuate con un unico decreto legislativo, compatibilmente con i diversi termini di recepimento;

i)       è sempre assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.

 

Durante l’esame presso il Senato è stato modificato l'elenco delle direttive contenute negli allegati A e B. In particolare:

ü è stata inserita nell’allegato A la direttiva 2014/111/UE della Commissione, del 17 dicembre 2014, recante modifica della direttiva 2009/15/CE per quanto attiene all'adozione da parte dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO) di taluni codici e relativi emendamenti di alcuni protocolli e convenzioni;

ü sono state inserite 17 nuove direttive nell’allegato B;

Le direttive inserite sono le seguenti:

§  2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010 (termine di recepimento 21 marzo 2016);

§  2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato (direttiva abusi di mercato) (termine di recepimento 3 luglio 2016);

§  2014/62/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sulla protezione mediante il diritto penale dell'euro e di altre monete contro la falsificazione e che sostituisce la decisione quadro 2000/383/GAI del Consiglio;

§  2014/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che modifica la direttiva 2001/110/CE del Consiglio concernente il miele (termine di recepimento 24 giugno 2015);

§  2014/68/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di attrezzature a pressione (rifusione) (termine di recepimento 28 febbraio 2015);

§  2014/87/UE del Consiglio, del 8 luglio 2014, che modifica la direttiva 2009/71/Euratom che istituisce un quadro comunitario per la sicurezza nucleare degli impianti nucleari (termine di recepimento 15 agosto 2017);

§  2014/89/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, che istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo (termine di recepimento 19 settembre 2016);

§  2014/91/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014 , recante modifica della direttiva 2009/65/CE concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), per quanto riguarda le funzioni di depositario, le politiche retributive e le sanzioni (termine di recepimento 18 marzo 2016);

§  2014/94/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi (termine di recepimento 18 novembre 2016);

§  2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, recante modifica della direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni (termine di recepimento 6 dicembre 2016);

§  2014/100/UE della Commissione, del 28 ottobre 2014, recante modifica della direttiva 2002/59/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione (termine di recepimento 18 novembre 2015);

§  2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea (termine di recepimento 27 dicembre 2016);

§  2014/107/UE del Consiglio, del 9 dicembre 2014, recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale (termine di recepimento 31 dicembre 2015);

§  2014/112/UE del Consiglio, del 19 dicembre 2014, che attua l'accordo europeo concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro nel trasporto per vie navigabili interne, concluso tra la European Barge Union (EBU), l'Organizzazione europea dei capitani (ESO) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) (termine di recepimento 31 dicembre 2016);

§  2015/13/UE direttiva delegata della Commissione, del 31 ottobre 2014, che modifica l'allegato III della direttiva 2014/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto riguarda il campo di portata dei contatori dell'acqua (termine di recepimento 19 aprile 2016);

§  2015/412/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 11 marzo 2015, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio (senza termine di recepimento).

§  2015/413/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell' 11 marzo 2015 , intesa ad agevolare lo scambio transfrontaliero di informazioni sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale (termine di recepimento 6 maggio 2015);

ü è stata spostata dall'allegato A all'allegato B la direttiva 2013/53/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, relativa alle imbarcazioni da diporto e alle moto d'acqua e che abroga la direttiva 94/25/CE;

ü è stata disposta con specifica delega, contenuta nell’articolo 6 e corredata di principi e criteri direttivi, l’attuazione della direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE; la direttiva è stata pertanto soppressa nell’allegato B;

ü è stata soppressa nell'allegato B la direttiva 2014/26/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, sulla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l'uso online nel mercato interno.

 

Il comma 2 individua il termine per l’esercizio della delega mediante rinvio all’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012.

 

La norma citata dispone, analogamente a quanto previsto in precedenza per le leggi comunitarie annuali, che il termine per l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea sia di due mesi antecedenti il termine di recepimento indicato in ciascuna delle direttive.

Per le direttive il cui termine così determinato sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea, o scada nei tre mesi successivi, la delega deve essere esercitata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa.

Per le direttive che non prevedono un termine di recepimento, il termine per l’esercizio della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea.

 

L’articolo 31, comma 5, della legge n. 234 del 2012 prevede inoltre che il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in base alla delega conferita con la legge di delegazione entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa.

 

Il comma 3 prevede che gli schemi di decreto legislativo recanti attuazione delle direttive incluse nell’allegato B siano sottoposti al parere delle competenti Commissioni parlamentari. Tale procedura è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.

 

La disposizione ripropone lo schema procedurale applicato nelle precedenti leggi comunitarie e ora disciplinato in via generale dall’articolo 31, comma 3, della legge 234 del 2012. Essa prevede che gli schemi di decreto legislativo, una volta acquisiti gli altri pareri previsti dalla legge, siano trasmessi alle Camere per l’espressione del parere e che, decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti siano emanati anche in mancanza del parere.

Qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono il termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega è prorogato di tre mesi. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.

Il comma 9 del medesimo articolo 31 prevede altresì che ove il Governo non intenda conformarsi ai pareri espressi dagli organi parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi, ritrasmette i testi alle Camere, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.

 

Il comma 4 dispone che eventuali spese non contemplate dalla legislazione vigente che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali, possono essere previste nei decreti legislativi attuativi delle direttive di cui agli allegati A e B esclusivamente nei limiti necessari per l’adempimento degli obblighi di attuazione dei medesimi provvedimenti.

Alla copertura degli oneri recati da tali spese eventualmente previste nei decreti legislativi attuativi, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, qualora non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie, di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183.

 

Il Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie è stato istituito, con la legge n. 183 del 1987, presso il Ministero dell’economia e delle finanze[3], con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio, per garantire il coordinamento degli interventi previsti dalla normativa comunitaria con quelli degli altri strumenti nazionali di agevolazione, e il proficuo utilizzo dei flussi finanziari destinati all'attuazione delle politiche strutturali. Il Fondo di rotazione si avvale, per il suo funzionamento, di due appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la Tesoreria generale dello Stato, nei quali vengono versate, rispettivamente, le somme erogate dalle istituzioni europee per contributi e sovvenzioni a favore dell'Italia e le somme annualmente determinate con la legge di bilancio destinate al cofinanziamento degli interventi europei nelle aree obiettivo dei Fondi strutturali. Il Fondo si compone di due sezioni, quella finanziaria e quella conoscitiva. Mediante la sezione finanziaria il Fondo provvede:

·        ad erogare, alle amministrazioni pubbliche ed agli operatori pubblici e privati interessati, quote di finanziamento a carico del bilancio dello Stato per l'attuazione dei programmi di politica comunitaria (secondo la procedura di cui agli artt. 7 e 9 del D.P.R. n. 568/1988 che ne detta il regolamento di organizzazione);

·        a concedere, ai soggetti titolari delle azioni comprese nei programmi di politica comunitaria che ne facciano richiesta nei modi stabiliti dal regolamento, anticipazioni a fronte dei contributi spettanti a carico del bilancio della Comunità europea (art. 8 del D.P.R. n. 568/1988).

 

Le risorse nazionali da versare annualmente al conto corrente infruttifero aperto presso la tesoreria centrale dello stato sono iscritte nel bilancio dello Stato sul cap. 7493/Economia. Nel bilancio per il 2015, la dotazione del capitolo è pari a 4.950 milioni di euro per il 2015, 4.450 milioni per il 2016 e a 4.950 milioni per il 2017.

 

Si ricorda che disposizioni analoghe, che consentono la copertura degli eventuali oneri derivanti dai decreti legislativi attuativi delle direttive ivi indicate a valere sul Fondo di rotazione, sono previste anche nella legge di delegazione europea 2013 (Legge 6 agosto 2013 n. 96), nella legge di delegazione europea 2013-secondo semestre (Legge 7 ottobre 2014 n. 154) e in pregresse leggi comunitarie[4].

 

Il comma 4 prevede inoltre che, in caso di incapienza del Fondo di rotazione, i decreti legislativi attuativi delle direttive dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009).

 

Il comma 2 dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 ha introdotto specifiche disposizioni relative alla copertura degli oneri recati dall’attuazione di deleghe legislative. In particolare, è espressamente sancito il principio in base al quale le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti[5].

A tal fine, si dispone, in primo luogo, che ciascuno schema di decreto sia corredato di una relazione tecnica, predisposta ai sensi del successivo comma 3, che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo provvedimento ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. In secondo luogo, la norma dispone che l’individuazione dei mezzi di copertura deve in ogni caso precedere l’entrata in vigore dei decreti medesimi, subordinato l’emanazione dei decreti legislativi alla previa entrata in vigore degli atti legislativi recanti lo stanziamento delle relative risorse finanziarie.

 

E’ altresì previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti anche per i profili finanziari sugli schemi dei decreti legislativi in questione, come richiesto dall'articolo 31, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, che disciplina le procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea.

 

In particolare, il citato comma 4 dell’articolo 31 prevede che gli schemi dei decreti legislativi recanti recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009). Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d'informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

 


Articolo 2
(Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea)

 

 

L’articolo 2, introdotto dal Senato, detta specifici principi e criteri direttivi - aggiuntivi rispetto a quelli generali di cui all’art, 1, comma 1, per il recepimento della direttiva 2014/104/CE che introduce una disciplina volta a garantire il risarcimento di un danno derivante da violazione delle norme europee sulla concorrenza.

 

La direttiva 2014/104/UE (per il cui più specifico contenuto, vedi infra) stabilisce alcune norme necessarie per garantire che chiunque abbia subito un danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza da parte di un'impresa o un'associazione di imprese possa esercitare in maniera efficace il diritto di chiedere a tale impresa o associazione il pieno risarcimento di tale danno. La direttiva: stabilisce norme per promuovere una concorrenza non falsata nel mercato interno e per eliminare gli ostacoli al suo corretto funzionamento, garantendo a qualsiasi soggetto che abbia subito danni di questo tipo una protezione equivalente in tutta l'Unione; stabilisce norme per il coordinamento fra l'applicazione delle regole di concorrenza da parte delle autorità garanti e l'applicazione di tali regole nelle azioni per il risarcimento del danno dinanzi ai giudici nazionali.

 

Ai sensi dell’art. 21 della direttiva, il termine di recepimento nell’ordinamento nazionale è fissato al 27 dicembre 2016.

 

In particolare, in base al comma 1 dell’art. 2 – in virtù del riferimento all’art. 1, comma 1 - il Governo dovrà esercitare la delega entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge di delegazione europea, rispettando le procedure previste dall’art. 31 della legge n. 234 del 2012, che detta norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea.

Sullo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva è previsto il parere delle competenti commissioni parlamentari.

Oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all’art. 1, comma 1, il Governo nel dare attuazione alla direttiva dovrà attenersi a quelli dettati dall’art. 2, comma 1, lettere a), b), c) e d) di seguito illustrate.

 

§  lettera a): introdurre le modifiche all’art. 1 della L. 287/1990 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) necessarie a consentire l’applicazione, in relazione a uno stesso caso, degli artt. 101 e 102 del Trattato sul funzionamento della UE nonché degli artt. 2 e 3 della L. 287/1990 in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza e di abuso di posizione dominante;

 

§  lettera b): estendere l'applicazione delle disposizioni adottate in attuazione della direttiva 2014/104/UE alle azioni di risarcimento dei danni derivanti da intese restrittive della libertà di concorrenza e abuso di posizione dominante, nonché alle relative azioni di risarcimento dei danni;

 

§  lettera c): prevedere che le disposizioni di attuazione della direttiva siano applicate anche alle azioni collettive dei consumatori di cui all’art. 140 del Codice del consumo (D.Lgs. 206/2005) quando ricadano nell’ambito applicativo della direttiva o comunque si tratti di azioni di risarcimento dei danni di cui alla lett. b).

 

L’azione collettiva risarcitoria di cui all’art. 140-bis del Codice del consumo è un istituto la cui finalità è la tutela dei diritti di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea (“diritti individuali omogenei”) nonché la tutela di interessi collettivi.;

Il diritto al risarcimento può derivare da danni per violazione di diritti contrattuali (es. diritti fondati su un contratto sottoscritto per adesione da una pluralità di consumatori) o di diritti comunque spettanti al consumatore finale del prodotto (es. diritto al risarcimento danni da prodotto difettoso) o all’utente del servizio (a prescindere da un rapporto contrattuale), da comportamenti anticoncorrenziali o da pratiche commerciali scorrette. L’oggetto dell'azione è triplice: accertamento della responsabilità; condanna al risarcimento del danno; condanna alle restituzioni in favore degli utenti consumatori.

Sono legittimati ad agire in giudizio i singoli cittadini-consumatori («ciascun componente della classe») anche mediante associazioni cui diano mandato o comitati cui partecipino (comma 1) ma è comunque possibile per altri consumatori aderire successivamente all’azione di classe; l’adesione comporta la rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale.

Il procedimento è scandito in due fasi:

-        la prima, volta alla pronuncia sull’ammissibilità dell’azione di classe;

-        la seconda, finalizzata invece alla decisione nel merito. In caso di accoglimento della domanda, il procedimento si conclude con la sentenza di condanna alla liquidazione, in via equitativa, delle somme dovute a coloro che hanno aderito all’azione ovvero con la definizione di un criterio omogeneo di calcolo per la suddetta liquidazione.

 

Si ricorda che, dal 20 maggio 2015, è all’esame dell’Assemblea della Camera dei deputati, la discussione di una proposta di legge (C 1335-A e abb.) volto a modificare la disciplina dell'azione di classe di cui all’art. 140-bis del Codice del consumo.

In particolare, il provvedimento:

-        sposta la disciplina dell'azione di classe dal codice del consumo al codice di procedura civile; è infatti abrogato il citato art. 140-bis ed inserito nel codice, nel libro dedicato ai procedimenti speciali, un nuovo titolo dedicato all'azione di classe (artt. 840-bis – 840-sexiesdecies).

-        delinea tre distinte fasi della procedura: decisione sull'ammissibilità dell'azione; decisione sul merito dell'azione; liquidazione delle somme dovute agli aderenti;

-        conferma la disciplina attuale, che prevede l'adesione dei portatori di diritti omogenei nella fase iniziale della procedura (sistema opt-in, in base al quale la sentenza produce effetti esclusivamente nei confronti di coloro che hanno posto in essere una condotta processuale attiva di adesione al processo); aggiunge però la possibilità (tipica dei sistemi anglosassoni, basati sull'opt-out) di aderire all'azione anche a seguito della sentenza che accoglie l'azione di classe e che indica i presupposti oggettivi per l'inserimento nella classe;

-        innova la disciplina del compenso per i rappresentanti della classe ed i difensori, in caso di accoglimento della domanda, riconoscendo loro la c.d. quota lite;

-        prevede un ampio ricorso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

 

Si segnala, inoltre, che un disegno di legge delega di iniziativa governativa per l’efficienza del processo civile (C. 2953), attualmente all’esame della Commissione Giustizia della Camera, attribuisce la competenza per l’azione di classe a tutela dei consumatori alle sezioni specializzate per l’impresa ed il mercato (v. ultra).

 

 

§  lettera d): prevedere la revisione della competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa (i cd. tribunali delle imprese)  concentrando le controversie per le violazioni in materia di concorrenza di cui alla direttiva 2014/104/CE presso un numero limitato di uffici giudiziari individuati in base al bacino di utenza e alla proporzionata distribuzione sul territorio nazionale.

 

La disciplina delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale (cd. tribunale delle imprese) introdotta dal D.Lgs. 168/2003 è stata significativamente modificata dal DL 1/2012 (cd. decreto liberalizzazioni), conv. dalla L. 72/2012.

Il DL ha, in particolare, incrementato il numero delle sezioni sul territorio nazionale e ampliato l’ambito di competenza delle precedenti sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale (istituite dal D.Lgs. 168/2003 presso alcuni tribunali e corti d'appello), i cui componenti sono scelti tra magistrati dotati di specifiche competenze.

L’attuale competenza delle sezioni comprende:

      le controversie in materia di proprietà industriale di cui all'articolo 134 del D.Lgs. 30/2005 (Codice della proprietà industriale); quelle in materia di diritto d’autore; le cause relative alle azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi per ottenere provvedimenti d’urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni sulla concorrenza di cui ai titoli dal I al IV della legge n. 287/1990 (sostanzialmente le norme sulle intese restrittive della concorrenza, l’abuso di posizione dominante e le operazioni di concentrazione); le controversie per la violazione della normativa antitrust dell’Unione europea;

      le controversie in materia societaria - in relazione alle società per azioni (spa), alle società in accomandita per azioni ovvero alle società da queste controllate o che le controllano, alle società a responsabilità limitata (s.r.l.); alle società per azioni europee (SE) di cui al Reg. (CE) n. 2157 del 2001; alle società cooperative europee (SCE) di cui al Reg. (CE) n.1435 del 2003; alle “stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società costituite all’estero” ovvero alle società da queste controllate o che le controllano – riguardanti:

      rapporti societari;

      trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti;

      patti parasociali;

      azioni di responsabilità promosse dai creditori delle società controllate contro le società che le controllano;

      rapporti tra società controllante e società “sotto influenza dominante” ex art. 2359, primo comma, n. 3, c.c.) o società coordinata (ex art. 2497-septies cc.); a rapporti tra coop facenti parte di gruppo cooperativo paritetico (ex art. 2545-septies c.c.),

      contratti pubblici di appalto di rilevanza comunitaria, di cui sia parte una delle società sopraindicate (escluse le controversie sull’aggiudicazione, di competenza del giudice amministrativo).

Più analiticamente, per quanto concerne la tipologia di controversie e procedimenti societari attratti alla competenza delle sezioni specializzate, il decreto legislativo 168/2003 indica all’art. 3 le cause relative a rapporti societari, compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni alla delibera dell’assemblea di riduzione del capitale sociale delle spa e delle srl (articoli 2445, terzo comma e 2482, secondo comma, c.c.), le opposizioni all’iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione di destinazione di un patrimonio della società ad uno specifico affare (art. 2447-quater, secondo comma, c.c.), le opposizioni alla revoca dello stato di liquidazione della società (art. 2487-ter, secondo comma, c.c.), le opposizioni alle fusioni di società da parte dei creditori e dei possessori di obbligazioni delle società partecipanti (artt. 2503 e 2503-bis, c.c.), le opposizioni alla scissione delle società (art. 2506-ter c.c.).

Come disposizione di chiusura, è attribuita ai tribunali dell’impresa la competenza anche sulle cause che presentano ragioni di connessione con quelle sopraelencate.

In relazione alle sedi, il D.Lgs 168/2003 aveva istituito dette sezioni presso i tribunali e le corti d'appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia. L’articolo 2 del citato DL liberalizzazioni, oltre a modificarne la denominazione in “sezioni specializzate in materia di impresa”, ha istituito nuove sezioni specializzate in tutti i tribunali e corti d’appello con sede nei capoluoghi di regione che fino ad allora ne erano sprovvisti (si tratta delle sedi di Ancona, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, L’Aquila, Perugia, Potenza e Trento) nonché, in quanto sede di Corte d’appello, presso il tribunale e la Corte d’appello di Brescia. La competenza per il territorio della Valle d’Aosta è attribuita al tribunale e alla Corte d’appello di Torino.

Il DL 1/2012 aumenta quindi da 12 a 21 il numero delle sezioni specializzate, delineando una competenza per materia prevalentemente su base regionale.

 

Si segnala che il citato disegno di legge di delega al Governo per l’efficienza del processo civile (C. 2953) all’esame della commissione Giustizia della Camera, modifica la disciplina dei cd. tribunali delle imprese (art. 1).

In particolare, il d.d.l. amplia l’ambito di competenza delle sezioni (ora denominate “sezioni specializzate per l’impresa e il mercato” attribuendo loro le controversie in materia di concorrenza sleale e pubblicità ingannevole.

 

Attualmente, le sezioni sono competenti solo sulle controversie inerenti la concorrenza sleale che interferisca con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale. Dall’attuazione della delega deriverebbe che, indipendentemente da tale interferenza, per gli illeciti in materia di concorrenza sleale sarebbe competente il tribunale delle imprese, cui sarebbero attribuite anche le controversie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa (in cui è preminente il profilo di tutela dell’impresa).

La competenza delle sezioni specializzate è, inoltre allargata dall’art. 1 del d.d.l. ai seguenti ambiti:

      l’azione di classe a tutela dei consumatori;

Tale competenza, inizialmente posta a carico dei tribunali delle imprese dal citato DL 1/2012, era stata successivamente espunta in sede di conversione.

Considerando impropria la contrapposizione degli interessi delle imprese a quelli dei consumatori, in ragione del comune interesse ad un corretto funzionamento del mercato, il Governo ritiene opportuna la riconduzione ad un unico giudice delle eventuali controversie in materia.

      le controversie sugli accordi di collaborazione nella produzione e lo scambio di beni o servizi relativi a società interamente possedute dai partecipanti all’accordo di collaborazione di cui all’art. 2341-bis, terzo comma, c.c. Il richiamo ai soli patti parasociali (anche diversi da quelli di cui all’art. 2341-bis c.c.) secondo la relazione illustrativa non appare esaustivo anche in ragione dei profili lesivi della concorrenza potenzialmente derivanti dai citati accordi di collaborazione.

      le controversie di cui all’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. 168/2003, relative a società di persone.

Sono in tal modo riunificate davanti alle sezioni specializzate anche le competenze sulle controversie in ambito societario elencate dall’art. 3, comma 2, con riguardo alle società di persone; ciò anche in considerazione del fatto che la legge 168/2003, dopo la riforma del 2012, aveva già attratto alla competenza di tali sezioni le società a responsabilità limitata (che, pur essendo società di capitali, non sono società per azioni).

      le controversie in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario, oltre quelle di cui all’art. 3, comma 2, lett. f), del D.Lgs 168/2003 (ovvero le controversie sugli appalti pubblici di rilevanza comunitaria). Le sezioni specializzate sono attualmente competenti per le controversie in materia di contratti pubblici di rilevanza comunitaria in cui sia parte una delle società indicate dall’art. 3 del D.Lgs 168/2003.

La delega, nello stabilire la competenza delle sezioni specializzate, mantiene fermo il riparto di competenze in materia con il giudice amministrativo, cui spetta giudicare delle controversie relative all’aggiudicazione. Ciò premesso, sono quindi attribuite alla competenza delle sezioni specializzate le controversie sui contratti pubblici - sopra o sotto-soglia comunitaria - in cui sia parte una società di capitali e, a seguito dell’attuazione della delega, anche una società di persone.

 

 

La direttiva 2014/104/UE

 

La direttiva, - inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato - stabilisce alcune norme necessarie per garantire che chiunque abbia subito un danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza da parte di un'impresa o un'associazione di imprese possa esercitare in maniera efficace il diritto di chiedere a tale impresa o associazione il pieno risarcimento di tale danno. Essa stabilisce norme per promuovere una concorrenza non falsata nel mercato interno e per eliminare gli ostacoli al suo corretto funzionamento, garantendo a qualsiasi soggetto che abbia subito danni di questo tipo una protezione equivalente in tutta l'Unione.

Inoltre, la direttiva stabilisce norme per il coordinamento fra l'applicazione delle regole di concorrenza da parte delle autorità garanti e l'applicazione di tali regole nelle azioni per il risarcimento del danno dinanzi ai giudici nazionali.

La direttiva in esame ha come base giuridica gli articoli 103 e 114 del TFUE, in quanto essa persegue due scopi parimenti importanti e legati fra loro: da un lato, l’attuazione dei principi di cui agli articoli 101 e 102 del TFUE (tutela della concorrenza e divieto di posizioni dominanti) e, dall’altro lato, l’adozione di condizioni più uniformi per le imprese che operano nel mercato interno, evitando che un approccio eccessivamente disomogeneo da parte degli Stati membri a questi temi finisca per tradursi in discriminazioni a danno di alcuni cittadini e imprese per i quali l’esercizio dei diritti che discendono dai Trattati potrebbe risultare meno favorevole.

La direttiva in esame, intervenendo ad armonizzare le legislazioni nazionali e fissando norme applicabili in base al principio di sussidiarietà, colma un vuoto normativo che era stato denunciato anche dalla Corte di giustizia europea, la quale aveva chiarito che le richieste di risarcimento dei danni per violazione degli articoli 101 o 102 TFUE rappresentano un fondamentale ambito di applicazione a livello privato della normativa europea sulla concorrenza.

La direttiva dedica (Capo II, artt. 5-8) ampio spazio al tema della divulgazione delle prove, aspetto decisivo nell’ottica di garantire un’effettiva tutela ai soggetti vittime di un illecito antitrust, i quali, generalmente, non dispongono dei documenti necessari per la dimostrazione degli elementi costitutivi della fattispecie. A tale proposito, la direttiva prevede che, su istanza di un attore che abbia presentato una richiesta motivata comprendente fatti e prove ragionevolmente disponibili che siano sufficienti a sostenere la plausibilità̀ della sua domanda di risarcimento del danno, i giudici nazionali potranno ordinare al convenuto o ad un terzo la divulgazione delle prove rilevanti di cui tali soggetti abbiano la disponibilità, a determinate condizioni che vengono precisate dallo stesso atto dell’Unione. Sono introdotti tuttavia dei limiti alla divulgazione delle prove, le quali  in alcuni casi sono inammissibili.

Un altro aspetto della direttiva riguarda l'effetto da riconoscere alle decisioni dei giudici nazionali. A tale riguardo, l’articolo 9 prevede che una decisione definitiva di un’autorità nazionale garante della concorrenza, che abbia accertato una violazione degli articoli 101 e 102 del TFUE, costituisca “automaticamente” la prova di tale violazione dinanzi ai giudici dello stesso Stato membro in cui si è verificata l’infrazione. L’articolo 10 affronta, poi, la questione della prescrizione e di come tale istituto venga influenzato a fronte dell’intervento di un’autorità garante della concorrenza. L’articolo 11 della direttiva prevede che se la violazione della normativa antitrust concerne un comportamento congiunto di più imprese, esse devono essere ritenute responsabili in solido, con la conseguenza che il soggetto danneggiato potrà esigere il pieno risarcimento da ognuna di loro fino  a conseguire il totale indennizzo.

Altro tema molto dibattuto riguarda il problema del trasferimento del sovrapprezzo cui la direttiva dedica l’intero Capo IV (artt. 12-16). Tali disposizioni mirano, da un lato, a riconoscere che il risarcimento del danno spetti a chiunque; dall’altro lato, che siano evitati casi di arricchimento senza causa, ovvero siano concessi risarcimenti del danno superiori al danno effettivamente subito. Le previste norme nazionali di procedura che dovrebbero applicarsi dovranno essere ispirate a linee guida che la Commissione stessa dovrà adottare per i giudici nazionali.

L'articolo 17 è dedicato al tema della quantificazione del danno. La norma fa un implicito richiamo al principio di effettività, precisando che né l’onere della prova né il grado di rilevanza della stessa, richiesti per la quantificazione del danno, devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al risarcimento. Il secondo paragrafo dell’art. 17, peraltro, introduce una presunzione della sussistenza di un danno qualora la violazione delle norme sulla concorrenza consista in un “cartello”,  poiché in questo caso è quasi sempre presente un sovrapprezzo illegale.

Il successivo capo  VI è dedicato alla composizione consensuale delle controversie. Al fine di favorire il ricorso ad una definizione non giudiziale (arbitrati, mediazione, transazioni stragiudiziali, ecc.) di esse, l’articolo 18 stabilisce che gli Stati membri debbano prevedere, per tutta la durata del procedimento, una sospensione (sino a due anni) del termine di prescrizione previsto per intentare un’azione per il risarcimento del danno. L’articolo 19 prevede che gli Stati membri dovranno provvedere affinché, a seguito di una transazione consensuale, dalla richiesta del soggetto danneggiato che ha partecipato a tale transazione sia sottratta la parte di danno arrecata dal coautore della violazione del diritto della concorrenza che ha a sua volta partecipato alla transazione consensuale. L’articolo 20 stabilisce che la Commissione ne riesaminerà il testo e presenterà una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio entro il 27 dicembre 2020.

L’articolo 21 fissa poi il 27 dicembre 2016 come data ultima per il recepimento della direttiva all’interno degli ordinamenti nazionali. Infine, l’articolo 22 definisce l’ambito di applicazione temporale delle norme nazionali di trasposizione del testo UE, le quali non potranno avere efficacia retroattiva e, pertanto, non potranno riguardare azioni per il risarcimento del danno in merito alle quali un giudice nazionale sia stato adito anteriormente al 26 dicembre 2014.

 

 


Articolo 3
(Delega al Governo per la disciplina
sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea
)

 

L'articolo 3 conferisce al Governo, ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 234 del 2012, una delega biennale per l'emanazione di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da direttive attuate in via regolamentare o amministrativa e per le violazioni di regolamenti dell'Unione europea pubblicati alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea 2014.

 

La necessità della disposizione, analoga a quella contenuta nella precedente legge di delegazione europea, discende dal fatto che, sia nel caso dell’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa, sia nel caso di regolamenti comunitari (che, come è noto, non richiedono leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale), deve essere prevista una fonte normativa interna di rango primario atta ad introdurre norme sanzionatorie di natura penale o amministrativa nell’ordinamento nazionale, ove si ravvisi l'esigenza di reprimere eventuali trasgressioni dei precetti contenuti nei sopra richiamati atti normativi.

 

La finalità dell’articolo è pertanto quella di consentire al Governo di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative comunitarie, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni comunitarie vengono trasposte nell’ordinamento interno.

 

L’articolo 33 della legge n. 234 del 2012 individua la delega stessa come contenuto proprio della legge di delegazione europea. Il comma 3 dell’art. 33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base all'art. 14 della legge n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia.

La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata, oltre che secondo i princìpi e i criteri direttivi generali indicati all’art. 32, comma 1, lettera d) della legge n. 234 del 2012, secondo quelli specifici indicati nella legge di delegazione europea.

Il comma 2 del richiamato articolo 33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base all'articolo 14 della legge n. 400 del 1988, su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata, oltre che secondo i princìpi e i criteri direttivi generali indicati all’articolo 32, comma 1, lettera d), della legge n. 234 del 2012, secondo quelli specifici eventualmente indicati nella legge di delegazione europea.

La citata lettera d) dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012 riprende sostanzialmente i criteri di delega previsti nelle ultime leggi comunitarie per l’adozione della disciplina sanzionatoria corrispondente. In particolare, sono previste sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi è prevista la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. In luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere anche previste le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo n. 274 del 2000, e la relativa competenza del giudice di pace. Tali sanzioni consistono nell’obbligo di permanenza domiciliare, nel divieto di accesso a luoghi determinati e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (su richiesta dell’imputato). È altresì prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. L’entità delle sanzioni è determinata tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, con particolare riguardo a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Sempre al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose utilizzate per commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'articolo 240, commi 3 e 4, del codice penale e dall'articolo 20 della legge n. 689 del 1981. Entro i limiti di pena indicati sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto a quelle previste nei decreti legislativi. Infine, nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni.

 

Sugli schemi di decreto legislativo adottati in virtù della delega conferita dal presente articolo è prevista l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, secondo le modalità previste dal comma 3 del citato articolo 33.

 

 

 

 

 


 

Articolo 4
(Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi)

 

 

L’articolo 4 delega il Governo ad emanare, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della norma in esame, le norme occorrenti all’adeguamento della normativa nazionale a seguito dell’entrata in vigore del regolamento (UE) n. 1024/2013 del 15 ottobre 2013 del Consiglio, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi.

 

Si ricorda, infatti, che i regolamenti comunitari sono immediatamente applicabili e non devono essere recepiti nell’ordinamento interno. La norma in commento reca pertanto una delega per adeguare - anche sotto il profilo formale - le norme nazionali al regolamento in questione.

 

La vigilanza bancaria è un elemento essenziale dell'Unione bancaria, ovvero della risposta data dall’Area Euro alle molteplici crisi finanziarie ed economiche.

L’Unione bancaria poggia su tre pilastri normativi: i) il Meccanismo di vigilanza unico (SSM), ii) il Meccanismo di risoluzione unico (SRM) e iii) le connesse disposizioni in materia di finanziamento, che comprendono il Fondo di risoluzione unico (SRF), i Sistemi di garanzia dei depositi (SGD) (per la cui attuazione si veda la scheda di lettura dell’articolo 7 del provvedimento in esame) e un meccanismo comune di backstop (linea di credito). I tre pilastri si basano su due serie di norme orizzontali applicabili a tutti gli Stati membri: i requisiti patrimoniali per le banche (pacchetto CRD IV) e le disposizioni della direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche (BRRD).

In tale quadro, il Meccanismo di vigilanza bancaria unica è disciplinato da due regolamenti:

·         il Regolamento (UE) n. 1024/2013 in esame, che conferisce alla Banca centrale europea (BCE) poteri per la vigilanza di tutte le banche della zona euro;

·         il Regolamento (UE) n. 1022/2013 che allinea al nuovo assetto della vigilanza bancaria il vigente regolamento istitutivo dell'Autorità bancaria europea – EBA

 

La normativa è corredata da un accordo interistituzionale tra Parlamento europeo e Banca centrale europea, che disciplina la diffusione delle informazioni fornite dalla BCE, in qualità di autorità di vigilanza, ai competenti organi del PE.

 

In estrema sintesi, le nuove norme prevedono:

·      l'attribuzione alla BCE di compiti specifici di vigilanza prudenziale degli enti creditizi stabiliti negli Stati membri la cui moneta è l'euro, mantenendo le competenze residue in capo alle autorità nazionali di vigilanza. In particolare, a partire dalla seconda metà del 2014, la BCE ha assunto i poteri di vigilanza sulle banche che hanno attivi per almeno 30 miliardi di euro o un patrimonio almeno pari al 20% del PIL del Paese (circa 130 su oltre 6.000 banche presenti nell'eurozona). Le banche sotto quella soglia resteranno sotto la vigilanza delle autorità nazionali;

·      per assicurare che le funzioni di politica monetaria e quelle di vigilanza prudenziale siano rigorosamente separate, è prevista l'istituzione di un comitato di sorveglianza (supervisory board), incaricato dell'istruttoria delle decisioni in materia di sorveglianza e nel quale i Paesi dell'area euro e quelli non-euro avranno pieni ed eguali diritti di voto. Le decisioni del supervisory board si considerato adottate a meno che non siano respinte dal Consiglio dei governatori della BCE;

·      l'assolvimento di tali compiti da parte della BCE nel quadro del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF) e in stretta cooperazione con le autorità di vigilanza nazionali e l'Autorità bancaria europea  (EBA);

·      la responsabilità della BCE per i compiti ad essa attribuiti dinanzi al Parlamento europeo, al Consiglio dell'UE e all'Eurogruppo;

·      il rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali, prevedendo, da un lato, l'obbligo per la BCE di inviare le relazioni che indirizza al Parlamento europeo e al Consiglio dell'UE; dall'altro, la possibilità per i Parlamenti nazionali di indirizzare osservazioni o quesiti alla BCE in merito all'assolvimento dei compiti di vigilanza, nonché invitare il presidente o un membro del consiglio di vigilanza a partecipare a uno scambio di opinioni, insieme con un rappresentante dell'autorità nazionale competente;

·      la rigorosa separazione dei compiti di politica monetaria da quelli di vigilanza per scongiurare potenziali conflitti di interesse;

·      la conferma in capo all'Autorità bancaria europea dei poteri e compiti di elaborazione di standard tecnici, ai fini dello sviluppo di un corpus unico di norme europee, alla convergenza e coerenza delle pratiche di vigilanza e alla mediazione tra le autorità di vigilanza nazionali;

·      per evitare il rischio di penalizzare i Paesi non aderenti al sistema unico di vigilanza, le decisioni in seno all'Autorità bancaria europea (EBA) devono essere assunte con criteri di doppia maggioranza, ovvero con il voto favorevole dei Paesi membri dell'eurozona e di quelli che non hanno adottato la moneta unica.

Sul piano nazionale, il provvedimento della Banca d'Italia del 4 novembre 2014 (Delibera 568/2014) ha disciplinato gli effetti sui procedimenti amministrativi di vigilanza di competenza della Banca d’Italia derivanti dall'entrata in funzione del già citato Single Supervisory Mechanism.

A partire dal 4 novembre 2014, in base al Regolamento UE n. 1024/2013 in parola, la BCE, con l’assistenza della Banca d’Italia, è dunque responsabile per la vigilanza prudenziale sulle banche significative, come individuate nella lista pubblicata dalla BCE in data 4 settembre 2014. Inoltre, vi sono nel Regolamento previsioni specifiche che riguardano tutte le banche, in relazione ad alcune specifiche tipologie di procedimenti di vigilanza (cd. “procedimenti comuni”).

 

Il comma 1 reca quindi gli specifici principi e criteri direttivi che il Governo deve seguire per l’esercizio della delega, accanto ai principi generali di cui all’articolo 1, comma 1, del provvedimento in esame.

 

In particolare, il comma 1, lettera a) delega il Governo ad apportare al Testo unico bancario – TUB (D.Lgs. n. 385 del 1993) e al decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 142 (che ha attuato nell’ordinamento la direttiva 2002/87/CE relativa alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario, nonché all'istituto della consultazione preliminare in tema di assicurazioni), le modifiche e le integrazioni necessarie ad assicurarne la coerenza con il citato regolamento.

 

La lettera b) del comma 1 prevede il coordinamento delle sanzioni contenute nel TUB con quanto stabilito dall’articolo 18 del Regolamento 1024/2013 in materia.

 

L'articolo 18 del Regolamento stabilisce che in caso di violazione dolosa o colposa, da parte degli enti creditizi, delle società di partecipazione finanziaria o delle società di partecipazione finanziaria mista, degli obblighi previsti dai pertinenti atti del diritto dell’Unione, la BCE può imporre sanzioni amministrative pecuniarie fino al doppio dell’importo dei profitti ricavati o delle perdite evitate grazie alla violazione, quando questi possono essere determinati, o fino al 10% del fatturato complessivo annuo, o altre sanzioni pecuniarie eventualmente previste dal diritto dell’Unione. Se la persona giuridica è una filiazione di un’impresa madre, il fatturato di riferimento è il fatturato complessivo annuo risultante nel conto consolidato dell’impresa madre capogruppo nell’esercizio finanziario precedente. Le sanzioni applicate sono efficaci, proporzionate e dissuasive.

Laddove necessario, la BCE può chiedere alle autorità nazionali competenti di avviare procedimenti volti a intervenire per assicurare che siano imposte sanzioni appropriate. Tale procedura si applica in particolare alle sanzioni pecuniarie nei confronti degli enti creditizi, delle società di partecipazione finanziaria o delle società di partecipazione finanziaria mista in caso di violazione del diritto nazionale di recepimento delle pertinenti direttive e alle misure e sanzioni amministrative nei confronti dei membri dell’organo di amministrazione, o ad ogni altro soggetto responsabile.

 

Si rammenta che l’8 maggio 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo (non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) che contiene le modifiche al Testo Unico Bancario e al Testo Unico della Finanza volte a recepire, a livello legislativo la direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (c.d. CRD4) (Atto del Governo n. 150).

Tra le modifiche apportate da tale decreto vi è la complessiva riforma della disciplina delle sanzioni amministrative; viene stabilito il passaggio ad un sistema volto a sanzionare in primo luogo l’ente e, solo sulla base di presupposti individuati dalle norme, anche l’esponente aziendale o la persona fisica responsabile della violazione.

 

Infine, la lettera c) del comma 1 delega il Governo ad apportare alla normativa vigente tutte le modifiche ed integrazioni occorrenti ad assicurare il coordinamento con le disposizioni emanate in attuazione dell’articolo in esame.

 

Il comma 2 introduce la clausola di invarianza finanziaria in base alla quale dall’attuazione delle norme in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le Amministrazioni interessate provvedono alla sua attuazione con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 

 


Articolo 5
(Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2013/50/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, recante modifica della direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, della direttiva 2003/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari, e della direttiva 2007/14/CE della Commissione, che stabilisce le modalità di applicazione di talune disposizioni della direttiva 2004/109/CE)

 

 

L’articolo 5, modificato al Senato, reca i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2013/50/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, in materia di obblighi di trasparenza e di informazione in capo ai soggetti che emettono valori mobiliari e strumenti finanziari negoziati su mercati regolamentati (cd. direttiva Transparency).

Tra gli specifici principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, l’articolo 5 contempla l’attribuzione di competenze e poteri di vigilanza alla CONSOB; l’innalzamento della soglia minima per l’attivazione dell’obbligo di comunicazione delle partecipazioni rilevanti; l’attribuzione alla CONSOB del potere di disporre obblighi di pubblicazione, per gli emittenti strumenti finanziari, di informazioni finanziarie periodiche aggiuntive, con una frequenza maggiore rispetto alle relazioni finanziarie annuali e alle relazioni finanziarie semestrali.

 

Il comma 1 reca gli specifici principi e criteri direttivi – oltre a quelli generali recati all’articolo 1, comma 1 del disegno di legge in esame – per l’attuazione della predetta direttiva 2013/50/UE.

In particolare, il Governo è tenuto a:

a)     apportare al Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria - TUF, di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva e delle relative misure di esecuzione nell'ordinamento nazionale, prevedendo, ove opportuno, il ricorso alla disciplina secondaria e attribuendo le competenze e i poteri di vigilanza previsti nella direttiva medesima alla CONSOB, quale autorità competente (comma 1, lettera a));

b)     prevedere, ove opportuno, l'innalzamento della soglia minima prevista dal Testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 (TUF), in materia di obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti, nel rispetto di quanto disposto dalla direttiva 2004/109/CE, nonché le occorrenti modificazioni al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti (comma 1, lettera b, introdotta al Senato)).

Ai sensi degli articoli 120 e seguenti del TUF (come integrato dal Regolamento Emittenti, di cui alla delibera CONSOB n. 11971 del 14 maggio 1999, come successivamente modificata), in estrema sintesi, la soglia di disclosure attualmente fissata nel nostro ordinamento è pari al 2% (salvo alcune rilevanti deroghe) e rappresenta un’eccezione nell’ambito del panorama europeo (salvo il Portogallo), in cui tutti i gli altri principali Paesi hanno soglie minime comprese tra il 3% e il 5%. In particolare le deroghe vigenti fanno riferimento ai seguenti casi: (i) talune tipologie di soggetti dichiaranti (le società di gestione e i soggetti abilitati possono comunicare talune tipologie di partecipazioni gestite alla soglia minima del 5%); (ii) nel caso in cui l’emittente sia una PMI (in tal caso è prevista la soglia minima del 5%); (ii) per le variazioni dell’ammontare delle partecipazioni di natura passiva, non conseguenti cioè ad un atto di volontà del soggetto dichiarante;

c)     attribuire alla CONSOB il potere di disporre, con proprio regolamento e in conformità con le previsioni della direttiva 2013/50/UE, obblighi di pubblicazione delle informazioni finanziarie periodiche aggiuntive, con una frequenza maggiore rispetto alle relazioni finanziarie annuali e alle relazioni finanziarie semestrali ((comma 1, lettera c, introdotta al Senato)).

In ordine a tali obblighi la CONSOB ha rilevato che la pubblicazione di un’informativa trimestrale rappresenta uno strumento importante per la tutela degli investitori, in quanto fornisce informazioni tempestive e attendibili sui risultati degli emittenti, con la necessitò di distinguere tra emittenti di minori e di maggiori dimensioni, per i primi, la pubblicazione delle relazioni trimestrali potrebbe risultare un onere eccessivo e potrebbe non essere proporzionata ai fattori che contribuiscono alle decisioni di investimento assunte dagli investitori; infine, per tali emittenti, spesso caratterizzati da una bassa capitalizzazione e/o da una ridotta liquidità degli scambi, la riduzione delle informazioni disponibili per gli investitori sarebbe contemperata da una riduzione della pressione sui risultati di breve periodo e della volatilità dei corsi azionari. Per le imprese di maggiori dimensioni, invece, gli oneri amministrativi connessi con la predisposizione delle informazioni su base trimestrale non sembrerebbero particolarmente significativi, in quanto tali emittenti dispongono di sistemi di rendicontazione su base mensile/trimestrale con finalità di controllo di gestione che consentono al management di avere rapidamente informazioni affidabili sulla base delle quali predisporre le relazioni trimestrali. Inoltre, il contenuto delle informazioni finanziarie periodiche aggiuntive richieste dovrebbe essere proporzionato ai fattori che contribuiscono alle decisioni di investimento assunte dagli investitori, quali ad esempio, una descrizione della situazione patrimoniale e dell’andamento economico e un’illustrazione degli eventi rilevanti e delle operazioni che hanno avuto luogo nel periodo di riferimento. L’Autorità ritiene, inoltre, che l’imposizione di obblighi di pubblicazione di informazioni periodiche trimestrali agli emittenti di maggiori dimensioni non comporti un’attenzione eccessiva ai risultati e al rendimento a breve termine. In tale contesto, in assenza di un resoconto trimestrale, si correrebbe il rischio di continui interventi da parte della CONSOB volti a ripristinare la parità informativa in caso di rumors sull’andamento economico-patrimoniale degli emittenti nel lungo arco temporale tra la pubblicazione della rendicontazione semestrale (agosto) e la pubblicazione del bilancio (aprile). Infine, per le società finanziarie, poiché l’elaborazione di informazioni con periodicità trimestrale è richiesta anche in virtù di specifiche norme settoriali, la pubblicazione delle relazioni trimestrali non dovrebbe comportare rilevanti oneri amministrativi aggiuntivi. In definitiva, l’Autorità ritiene opportuno recepire la direttiva transparency attribuendo alla CONSOB il potere regolamentare di disciplinare gli obblighi di redazione della relazione trimestrale secondo le reali esigenze informative del mercato;

 

d)     apportare le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell'investitore e di tutela della stabilità finanziaria (comma 1, lettera d)).

 

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dall'attuazione dell’articolo 4 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le autorità interessate provvedono agli adempimenti relativi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Il contenuto della direttiva Transparency

 

La direttiva 2013/50/CE è stata adottata per modificare la direttiva 2004/109/CE  sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato e le direttive connesse (in particolare, la direttiva 2003/71/CE relativa al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari e la direttiva 2007/14/CE che stabilisce le modalità di applicazione di talune disposizioni della direttiva 2004/109/CE sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato).

L'esigenza di modificare il quadro normativo in questo settore è stata motivata con le rapide trasformazioni del mercato finanziario e con la volontà di ridurre l’onere amministrativo a carico delle piccole e medie società emittenti, in modo da migliorare il loro accesso ai capitali. In particolare, è stato cancellato l’obbligo di presentare relazioni finanziarie trimestrali, che rappresentano un onere significativo per molti piccoli e medi emittenti, senza essere necessarie per la tutela degli investitori.

Accanto allo scopo di ridurre gli oneri amministrativi, la nuova disciplina si propone di attenuare l’orientamento ai risultati di breve periodo da parte di emittenti e investitori (c.d. short-termism), causa di un eccesso di volatilità sui mercati finanziari. Gli Stati membri possono, tuttavia, imporre agli emittenti di pubblicare informazioni finanziarie periodiche aggiuntive, eventualmente mantenendo fermo l’obbligo di redazione della relazione trimestrale.

Ad avviso della Commissione Europea, l’abolizione dell’obbligo di pubblicazione della relazione trimestrale non andrebbe a detrimento delle esigenze informative degli investitori (attuali e potenziali), poiché l’informativa contabile sui conti annuali e semestrali e l’informativa pubblicata in applicazione delle direttive “prospetti” e “market abuse” (direttiva 2003/6/CE, sostituita dal regolamento 569/2014 a decorrere dal 3 luglio 2016), concernente i fatti e gli eventi più importanti che interessano l’emittente, garantisce una disclosure adeguata per la tutela degli investitori.

Come rilevato dalla CONSOB nel corso dell’audizione svoltasi al Senato per l’esame del DDL in commento, la richiesta di pubblicare “relazioni trimestrali” è quindi subordinata allo svolgimento di un’analisi di impatto che deve tenere conto della rilevanza delle informazioni per l’assunzione di decisioni di investimento da parte degli investitori e, soprattutto per gli emittenti di minore dimensione, degli oneri amministrativi correlati. Inoltre, deve essere svolta una valutazione se tali requisiti aggiuntivi possano comportare un’attenzione eccessiva ai risultati e al rendimento a breve termine degli emittenti e incidere negativamente sulle possibilità di accesso dei piccoli e medi emittenti ai mercati regolamentati.

Questo approccio, volto a contemperare la necessità di assicurare la trasparenza del mercato con l’obiettivo di ridurre i costi di accesso al mercato dei capitali, non si applica agli enti finanziari (banche e assicurazioni); la direttiva non pregiudica, infatti, la facoltà degli Stati membri di richiedere la pubblicazione di informazioni finanziarie periodiche aggiuntive agli emittenti che siano enti finanziari, indipendentemente dalla verifica delle condizioni di proporzionalità ai fattori che contribuiscono alle decisioni di investimento e di non eccessiva onerosità.

Per garantire la trasparenza sui pagamenti effettuati a favore dei governi, gli emittenti di valori mobiliari negoziati su mercati regolamentati e che operano nell’industria estrattiva o forestale primaria comunicano annualmente, in una relazione separata, i pagamenti effettuati ai governi dei paesi in cui operano.

Ai fini della trasparenza e della tutela degli investitori, si chiarisce che gli Stati membri devono prescrivere l’applicazione di alcuni princìpi alle comunicazioni sui pagamenti effettuati ai governi: 1) rilevanza degli importi, che - singoli o correlati tra loro - non devono essere inferiori alla soglia di 100.000 euro per essere considerati nella relazione; 2) comunicazione per singolo governo e progetto; 3) universalità - che significa che non dovrebbero essere autorizzate esenzioni a favore di alcun soggetto, per non creare effetti distorsivi; 4) esaustività - che significa che tutti i pagamenti pertinenti versati ai governi vanno segnalati, in linea con la direttiva 2013/34/UE sui bilanci di esercizio e consolidati.

Per garantire che gli emittenti e gli investitori abbiano piena conoscenza della struttura dell’assetto proprietario delle società, la definizione di strumenti finanziari comprende tutti gli strumenti con effetto economico simile alla detenzione di azioni e al diritto di acquisirne; ciò è reso opportuno dalla introduzione (per effetto dell'innovazione finanziaria) di nuove tipologie di strumenti in grado di generare una esposizione economica degli investitori nei confronti delle società e la cui comunicazione non è disciplinata dalla direttiva 2004/109/CE. Inoltre, per garantire un’adeguata trasparenza delle partecipazioni rilevanti, è richiesta una nuova notifica per ogni variazione nella tipologia delle partecipazioni.

L'armonizzazione delle norme sulla notifica delle partecipazioni rilevanti con diritto di voto - in particolare per quanto riguarda l’aggregazione delle partecipazioni azionarie con la detenzione di strumenti finanziari - è condizione necessaria per aumentare la certezza del diritto, migliorare la trasparenza e ridurre gli oneri amministrativi per gli investitori transfrontalieri. Tuttavia, in considerazione delle differenze esistenti nella concentrazione della proprietà e nel diritto societario tra gli Stati dell’Unione, la direttiva consente agli Stati membri di continuare a definire soglie inferiori e aggiuntive per la notifica delle partecipazioni con diritto di voto e a esigere notifiche equivalenti in relazione a soglie basate sulle quote di capitale. Inoltre gli Stati membri possono continuare a definire obblighi più rigorosi di quelli stabiliti dalla direttiva 2004/109/CE riguardo a contenuto, procedura e tempi di notifica sulle partecipazioni rilevanti non previste dalla stessa direttiva 2004/109/CE. In particolare gli Stati possono continuare ad applicare disposizioni legislative, regolamentari o amministrative in materia di offerte pubbliche di acquisto, operazioni di fusione e altre operazioni che incidono sulla proprietà o sul controllo di imprese sottoposte a vigilanza in conformità all’articolo 4 della direttiva 2004/25/CE (concernente le offerte pubbliche di acquisto) che stabilisce obblighi di pubblicità più severi rispetto alla direttiva 2004/109/CE.

Vengono introdotte norme tecniche che garantiscono un’armonizzazione coerente del regime di notifica delle partecipazioni rilevanti, nonché livelli di trasparenza adeguati.

L’obiettivo delle nuove disposizioni è quello di favorire una maggiore armonizzazione degli obblighi di trasparenza sulle partecipazioni rilevanti e di estenderne l’ambito applicativo a tutti i derivati aventi come sottostante azioni quotate. A tal fine, la direttiva ha previsto l’obbligo di trasparenza per le partecipazioni in strumenti finanziari equivalenti alle azioni, stabilendo i conseguenti criteri di aggregazione, ed ha armonizzato altresì il regime delle esenzioni. Le modifiche alla direttiva transparency prevedono obblighi di disclosure nel caso in cui la partecipazione detenuta (direttamente o indirettamente), nella nuova accezione che include i derivati, superi, raggiunga ovvero discenda al di sotto di talune soglie, a partire dal 5%.

La direttiva prevede che lo Stato membro d’origine non possa assoggettare un possessore di azioni, o una persona fisica o giuridica, ad obblighi più severi di quelli ivi previsti, salvo che (i) definisca soglie di notifica inferiori o aggiuntive rispetto a quelle contemplate; (ii) imponga obblighi più severi rispetto al contenuto informativo della notifica; o (iii) applichi disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate in riferimento alle OPA, alle operazioni di fusione che incidono sulla proprietà o sul controllo di un’impresa, che sono soggette alla vigilanza delle autorità designate dagli Stati membri in conformità alla direttiva 2004/25/CE.

Per facilitare gli investimenti transfrontalieri, gli investitori devono poter accedere facilmente, e per tutte le società quotate nell’Unione, alle informazioni previste dalla regolamentazione. A tal fine, viene delegato alla Commissione il potere di adottare atti per definire gli standard minimi per la diffusione delle informazioni previste, l’accesso a queste ultime in tutto il territorio dell’Unione e i meccanismi per centralizzare la gestione di tali informazioni. L’AESFEM predispone e gestisce un portale web che funge da punto di accesso elettronico europeo.

Vengono rafforzati i poteri sanzionatori degli Stati, anche per le sanzioni amministrative pecuniarie accessorie. Gli Stati possono adottare sanzioni anche nei confronti dei singoli membri degli organi di amministrazione delle società, o di ogni soggetto che sia ritenuto responsabile di violazioni. Affinché le decisioni che impongono sanzioni o misure amministrative abbiano un effetto dissuasivo sul grande pubblico è opportuno che siano di norma pubblicate. La pubblicazione costituisce uno strumento importante per informare i partecipanti al mercato in merito a quali comportamenti siano considerati in violazione della direttiva 2004/109/CE e per promuovere la diffusione di comportamenti corretti tra i partecipanti stessi.

La direttiva 2013/50/UE precisa, adattandosi alle trasformazioni di alcuni aspetti del mercato finanziario, la definizione di “emittente”, in modo tale da includere gli emittenti di titoli non quotati rappresentati da certificati di deposito ammessi alla negoziazione. Tale definizione tiene conto del fatto che in alcuni Stati membri gli emittenti di titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato possono essere persone fisiche.

Un'altra definizione importante specificata è quella di "Stato membro di origine" per le società emittenti titoli di debito di un paese terzo. In tali casi viene stabilito che lo Stato membro d’origine deve essere uno Stato membro scelto dall’emittente tra quelli in cui i suoi valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato.

La comunicazione delle informazioni richieste dalla normativa sulla trasparenza finanziaria è agevolata dalla disposizione che prevede per tali comunicazioni un formato elettronico armonizzato, con benefici per gli emittenti, gli investitori e le autorità competenti. Pertanto, a decorrere dal 1o gennaio 2020, è obbligatoria la preparazione delle relazioni finanziarie annuali in un formato elettronico unico di comunicazione. L’AESFEM è incaricata di elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione da sottoporre all’adozione della Commissione.

 

 

 


Articolo 6
(
Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE)

 

 

L’articolo 6, introdotto durante l’esame al Senato, delega il Governo al recepimento entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge della direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati. In particolare, la direttiva è intesa a migliorare il funzionamento del mercato interno del tabacco e dei prodotti correlati (tra cui le sigarette elettroniche) sulla base di un alto livello di protezione della salute umana, soprattutto con riferimento alle giovani generazioni.

 

La norma reca princìpi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega, che si aggiungono a quelli generali, richiamati dall'articolo 1, comma 1, del presente disegno di legge (la direttiva era già inserita nell'allegato B del disegno di legge originario S. 1758 ed è stata espunta dallo stesso durante l’esame presso il Senato).

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva è il 20 maggio 2016; tale termine coincide con il termine iniziale di decorrenza delle medesime nuove norme[6]. Alcune misure transitorie (fino al 20 maggio 2017) sono ammesse ai sensi dell'articolo 30 della Direttiva stessa.

 

I princìpi e criteri direttivi specifici fissati all’articolo 6 prevedono:

·      l'abrogazione esplicita del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 184, recante "attuazione della direttiva 2001/37/CE in materia di lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco" (lettera a));

·      il perseguimento dell'obiettivo, tenuto conto della peculiarità dei prodotti del tabacco, di ostacolare un eccesso di offerta e la diffusione del fumo tra i minori (lettera b));

·      la scelta dell'avvertenza generale sui rischi potenziali derivanti dal fumo in modo da assicurare un ampio livello di protezione della salute (lettera c));

·      in un'ottica di semplificazione, una rotazione del catalogo delle avvertenze sanitarie conforme all'ordine numerico contemplato nell'allegato II della direttiva 2014/40/UE (lettera d));

·      l'esclusione di norme più severe sul confezionamento, rispetto a quelle stabilite dalla suddetta direttiva, considerato l’elevato livello di protezione della salute umana offerto dalla medesima (lettera e));

·      l'applicazione, per i tabacchi da inalazione senza combustione, con riferimento ai produttori che ne facciano richiesta, di una normativa coerente con la disciplina di cui all'art. 19 della direttiva 2014/40/UE, il quale concerne i prodotti del tabacco di nuova generazione, in modo da riconoscere il potenziale rischio ridotto di questi ultimi (lettera f));

·      l'ammissione fino alla data del 20 maggio 2017 della vendita al consumatore finale dei prodotti non conformi alla direttiva in oggetto, fabbricati ed etichettati prima del 20 maggio 2016 - purché trasferiti entro il 20 agosto 2016 dal fabbricante o importatore al depositario autorizzato e purché venduti entro il 20 ottobre 2016 dal depositario autorizzato alle rivendite - (lettera g));

·      l'equiparazione dei prodotti non conformi alla direttiva 2014/40/UE, eventualmente giacenti presso le rivendite dopo il suddetto termine del 20 maggio 2017, ai prodotti con difetti di condizionamento e confezionamento all’origine (lettera g) citata);

·      la definizione, in ragione dei tempi di stagionatura e di produzione, per i prodotti del tabacco da fumo diverso dalle sigarette, dal tabacco da arrotolare e dal tabacco per pipa ad acqua, di termini temporali più ampi rispetto a quelli contemplati dalla suddetta lettera g), compatibilmente con la normativa comunitaria (lettera h)).

Andrebbe valutata l’opportunità di esplicitare che, in base all'art. 30 della Direttiva, resta fermo che il termine per la vendita non può superare la data del 20 maggio 2017.

 

Ai sensi del comma 3, sullo schema di decreto è acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

 

Il comma 4 reca le clausole di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il contenuto della direttiva 2014/40/UE

 

La direttiva 2014/40/UE è intesa a migliorare il funzionamento del mercato interno del tabacco e dei prodotti correlati (tra cui le sigarette elettroniche) sulla base di un alto livello di protezione della salute umana, soprattutto con riferimento alle giovani generazioni.

L'articolo 3 della direttiva fissa i livelli massimi di emissione in termini di catrame, nicotina ed altre sostanze per le sigarette e l'articolo 4 regola i criteri di misurazione. Si stabilisce che gli ingredienti e i livelli di emissione dovranno essere obbligatoriamente segnalati da fabbricanti ed importatori (articolo 5), con particolare riferimento agli additivi di cui all'articolo 6, i quali sono soggetti ad obbligo di segnalazione rinforzato.

L'articolo 7 regola gli ingredienti, vietando "l'immissione sul mercato dei prodotti del tabacco con un aroma caratterizzante", ad eccezione di quanto essenziale per la produzione, come lo zucchero. Tale divieto si applica solo alle sigarette ed al tabacco da arrotolare (paragrafo 12), rimanendo esclusi i sigari e, per espressa statuizione del paragrafo 15, il tabacco per uso orale.

Gli articoli 8-16 disciplinano l'etichettatura ed il confezionamento. Particolare attenzione viene riservata alle avvertenze relative alla salute, da apporre su ciascuna confezione unitaria e sull'eventuale imballaggio esterno, regolate nel dettaglio dagli articoli 8-12. Al fine di permettere la tracciabilità, è stabilito che tutte le confezioni unitarie dei prodotti del tabacco siano contrassegnate da un identificativo univoco (articolo 15) e da un elemento di sicurezza antimanomissione (articolo 16).

In merito alle sigarette elettroniche, l'articolo 20 ne consente l'immissione sul mercato "solo se conformi alla presente direttiva e a ogni altra disposizione legislativa pertinente dell'Unione". La loro immissione sul mercato è subordinata ad una notifica alle autorità competenti degli Stati membri, il cui contenuto è dettagliato nel paragrafo 2 dell'articolo 20. I paragrafi 3 e 4 dettano norme in materia di composizione di tali prodotti e di caratteristiche delle confezioni unitarie. Specifici divieti in materia di comunicazioni commerciali sono posti dal paragrafo 5.

Gli articoli 21 e 22 sono dedicati ai prodotti da fumo a base di erbe, regolandone le avvertenze relative alla salute e la segnalazione degli ingredienti.

Agli Stati membri (articolo 23) è affidato il compito di vigilare affinché i fabbricanti e gli importatori forniscano le informazioni richieste alle autorità competenti ed alla Commissione europea e non siano immessi sul mercato prodotti non conformi alla direttiva. Ad essi spetta inoltre stabilire le sanzioni ("efficaci, proporzionate e dissuasive") da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali di attuazione. Un obbligo generico di collaborazione tra Stati membri e Commissione è posto dall'articolo 23, paragrafo 4.

Fermo restando che l'immissione sul mercato dei prodotti del tabacco o correlati conformi alla direttiva non può essere vietata o limitata, l'articolo 25 esplicitamente statuisce che non è pregiudicato il diritto degli Stati membri di mantenere o introdurre ulteriori disposizioni di standardizzazione del confezionamento dei prodotti del tabacco, qualora giustificate da motivi di salute pubblica. Non è nemmeno esclusa la possibilità che uno Stato membro vieti una determinata categoria di tabacco o prodotti correlati, purché tale misura sia giustificata da esigenze di tutela della salute umana, salva successiva approvazione della Commissione europea.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Lo scorso 4 maggio la Commissione europea ha presentato due proposte di decisione per la conclusione, a nome dell'Unione europea, del protocollo sull'eliminazione del commercio illegale dei prodotti derivati dal tabacco adottato nel 2013 in attuazione della convenzione quadro dell’Organizzazione mondiale della sanità per la lotta al tabagismo.

L’esame delle due proposte (COM(2015)193 e COM(2015)194) presso il  Parlamento europeo e il Consiglio non è ancora iniziato.

 


 

Articolo 7
(
Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2014/49/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi)

 

 

L’articolo 7, modificato durante l’esame al Senato, contiene la delega per l’attuazione della direttiva 2014/49/UE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi.

Tra i princìpi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, le norme in commento richiamano l’obiettivo della tutela dei risparmiatori e della stabilità del sistema bancario e l’individuazione della Banca d’Italia quale autorità amministrativa competente. Inoltre, il legislatore delegato deve determinare le caratteristiche dei depositi che beneficiano della copertura offerta dai sistemi di garanzia, nonché l’importo della copertura e la tempistica dei rimborsi ai depositanti, con alcune precisazioni. Spetta poi al legislatore delegato individuare le modalità e la tempistica per la raccolta dei mezzi finanziari da parte dei sistemi di garanzia dei depositi, nonché chiarire le modalità di investimento dei mezzi finanziari raccolti dai sistemi di garanzia dei depositi, la concessione di prestiti da parte dei sistemi di garanzia dei depositi ad altri sistemi all’interno dell’Unione europea e le procedure di condivisione di informazioni e comunicazioni con sistemi di garanzia dei depositi e i loro membri in Italia e nell’Unione europea.

 

Si ricorda che i sistemi di garanzia dei depositiSGD costituiscono un elemento essenziale dell'Unione bancaria, e cioè della risposta data dall’Area Euro alle molteplici crisi finanziarie ed economiche. Essa poggia su tre pilastri normativi: i) il Meccanismo di vigilanza unico (SSM), ii) il Meccanismo di risoluzione unico (SRM) e iii) le connesse disposizioni in materia di finanziamento, che comprendono il Fondo di risoluzione unico (SRF), i Sistemi di garanzia dei depositi (SGD) e un meccanismo comune di backstop (linea di credito). I tre pilastri si basano su due serie di norme orizzontali applicabili a tutti gli Stati membri: i requisiti patrimoniali per le banche (pacchetto CRD IV) e le disposizioni della direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche (BRRD).

In particolare, assieme alla citata direttiva 2014/59/UE (Bank Recovery and Resolution Directive – BRRD), la direttiva 2014/49/UE (Deposit Guarantee Scheme Directive – DGSD) reca la nuova disciplina in materia di crisi bancarie.

Tali disposizioni costituiscono l’attuazione in Europa dei principi elaborati dal Financial Stability Board e sottoposti ai capi di Stato e di Governo nell’ambito del G-20. Le due direttive sono il risultato finale di un complesso negoziato, che ha coinvolto la Commissione, i governi nazionali e il Parlamento europeo nell’ambito della procedura ordinaria di co-decisione. Nella consapevolezza che fosse necessario risolvere una volta per tutte questi problemi, il legislatore europeo ha introdotto, entro il solco tracciato dal G20, un nuovo sistema armonizzato di risoluzione delle crisi bancarie atto a conseguire simultaneamente una pluralità di obiettivi: gestire in modo ordinato e coordinato il dissesto, minimizzare le ripercussioni negative sulla stabilità sistemica, preservare la continuità di servizi e funzioni essenziali (ad es., i sistemi di pagamento e le infrastrutture di mercato), tutelare i depositi (in particolare, quelli di valore pari o inferiore a 100.000 euro) e i fruitori dei servizi d’investimento, evitare oneri per le finanze pubbliche.

 

 

Il contenuto della direttiva 2014/49/UE

 

La direttiva 2014/49/UE costituisce una rifusione della direttiva 94/19/CE, già modificata – in precedenza - dalla direttiva 2009/14/CE e persegue lo scopo di garantire una maggiore armonizzazione dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi bancari.

I sistemi di garanzia dei depositi (SGD) sono meccanismi nazionali – finanziati dagli enti creditizi – tesi ad assicurare il rimborso di una determinata quota dei depositi bancari in caso di indisponibilità degli stessi all’esito di una decisione delle autorità competenti o dell’autorità giudiziaria. La ragione principale di un nuovo intervento dell’Unione in tema di SGD è esplicitata nel considerando 2 della direttiva, ai sensi del quale è necessario eliminare talune differenze tra le legislazioni degli Stati membri in tale materia, allo scopo di facilitare l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio.

La direttiva prevede che i sistemi si dotino di risorse commisurate ai depositi protetti; a tal fine, è previsto l’obbligo a carico degli intermediari di versare contributi su base periodica. Ai sensi dell’articolo 10 della direttiva, i mezzi finanziari disponibili dei sistemi derivano dai contributi che devono essere versati dai loro membri almeno annualmente. Una novità di rilievo è dunque il passaggio da un sistema di contribuzione ex-post, in cui i fondi vengono “chiamati” in caso di necessità, a un altro ex-ante, in cui i fondi devono essere contributi sono versati periodicamente fino a raggiungere la percentuale prestabilita dei depositi protetti.

Tra le novità vi è la previsione di requisiti finanziari minimi comuni per i sistemi di garanzia dei depositi, i cui mezzi finanziari disponibili dovranno raggiungere, entro il 3 luglio 2024, almeno un livello obiettivo dello 0,8 per cento dell’importo dei depositi coperti. È altresì prevista una graduale riduzione dei termini per il pagamento del rimborso a favore dei depositanti: attraverso tre fasi, si dovrà arrivare ad assicurare tale pagamento in sette giorni lavorativi, in luogo degli attuali venti. L’ammontare della copertura, in caso di indisponibilità, è di 100.000 euro per ciascun depositante, essendo posto il principio per cui è il depositante, non il singolo deposito, ad essere tutelato.

L’articolo 11 chiarisce che i mezzi finanziari raccolti, pur destinati principalmente al rimborso dei depositanti, potranno essere utilizzati anche per la risoluzione delle crisi degli enti creditizi, conformemente alla cd. BRRD Directive (direttiva 2014/59/UE), già richiamata supra. Sono inoltre attribuiti poteri all’Autorità bancaria europea (EBA), che avrà un ruolo di coordinamento, oltre ad effettuare verifiche sulla solidità degli SGD.

Il termine previsto per il recepimento della direttiva in esame è il 3 luglio 2015, ad eccezione di talune norme tecniche, per le quali il termine è il 31 maggio 2016.

 

 

In particolare, il comma 1 dispone che, nell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva 2014/49/UE il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali, di cui all’articolo 1, comma 1, e a quelli indicati dalla medesima direttiva, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:

a)     apportare alla disciplina nazionale in materia di sistemi di garanzia dei depositi, contenuta nel Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia – TUB, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva, avendo riguardo agli obiettivi della tutela dei risparmiatori e della stabilità del sistema bancario, nonché in conformità con gli orientamenti dell’Autorità bancaria europea e nel rispetto degli atti delegati adottati dalla Commissione europea (comma 1, lettera a));

b)     prevedere, ove opportuno, il ricorso alla disciplina secondaria adottata dalla Banca d’Italia (comma 1, lettera b));

c)      individuare nella Banca d’Italia l’autorità amministrativa competente e l’autorità designata, ai sensi degli articoli 2 e 3 della direttiva; per “autorità competente” (ai sensi del regolamento UE n. 575 del 2013, espressamente richiamato dalla direttiva) si intende una pubblica autorità o un ente ufficialmente riconosciuto dal diritto nazionale che, in quanto soggetti appartenenti al sistema di vigilanza in vigore nello Stato membro interessato, sono abilitati, in virtù del diritto nazionale, all'esercizio della vigilanza sugli enti; per “autorità designata” si intende un organismo incaricato della gestione degli SGD ai sensi della presente direttiva o, qualora il funzionamento dell’SGD sia gestito da una società privata, un’autorità pubblica designata dallo Stato membro interessato che vigila su tale sistema ai sensi della presente direttiva (comma 1, lettera c));

d)     definire le modalità di intervento dei sistemi di garanzia dei depositi diverse dal rimborso dei depositanti (comma 1, lettera d));

e)      determinare (comma 1, lettera e)):

1)     le caratteristiche dei depositi che beneficiano della copertura offerta dai sistemi di garanzia, nonché l’importo della copertura e la tempistica dei rimborsi ai depositanti con alcune precisazioni, introdotte nel corso dell’esame del provvedimento al Senato:

1.1) prevedere che i depositi su un conto di cui due o più persone siano titolari, come membri di una società di persone o di altra associazione o gruppo di natura analoga senza personalità giuridica, vengano cumulati e trattati come se fossero effettuati da un unico depositante ai fini del calcolo del limite di 100.000 euro previsto dalla direttiva;

1.2) prevedere che le posizioni debitorie del depositante nei confronti dell'ente creditizio siano prese in considerazione nel calcolo dell'importo rimborsabile, se esigibili alla data in cui il deposito viene dichiarato “indisponibile”, nella misura in cui la compensazione è possibile a norma delle disposizioni di legge o contrattuali che disciplinano il contratto tra l'ente creditizio e il depositante;

1.3) limitare il periodo entro il quale i depositanti, i cui depositi non sono stati rimborsati o riconosciuti dai sistemi di garanzia dei depositi, possono reclamare il rimborso dei loro depositi;

2)     le modalità e la tempistica per la raccolta dei mezzi finanziari da parte dei sistemi di garanzia dei depositi; per effetto delle modifiche apportate al Senato, si specifica che i membri di un sistema di protezione di tipo istituzionale versino contributi più bassi a tali sistemi;

3)     le modalità di investimento dei mezzi finanziari raccolti dai sistemi di garanzia dei depositi;

4)     la concessione di prestiti da parte dei sistemi di garanzia dei depositi ad altri sistemi all’interno dell’Unione europea;

5)     le procedure di condivisione di informazioni e comunicazioni con sistemi di garanzia dei depositi e i loro membri in Italia e nell’Unione europea.

 

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dall’attuazione dell’articolo 6 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le autorità interessate provvedono alla sua attuazione con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

I sistemi di garanzia dei depositi nell’ordinamento italiano

 

Nell’ordinamento italiano i sistemi di garanzia dei depositi sono disciplinati dagli articoli 96, 96-bis, 96-ter e 96-quater del TUB (decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia). L’ordinamento italiano ha conosciuto un sistema generalizzato di garanzia dei depositi fin dal 1987, con la creazione del Fondo interbancario di tutela dei depositi (FIDT), nato quale consorzio volontario di banche, costituito allo scopo di assicurare ulteriore protezione ai depositi della clientela presso le banche consorziate. Al FIDT venne ad affiancarsi il Fondo di garanzia dei depositanti del credito cooperativo, istituito solo nel 1997 (tale Fondo ha sostituito il Fondo centrale di garanzia che le casse rurali e artigiane avevano creato nel 1978 allo scopo di fornire alle casse in temporanea difficoltà i mezzi patrimoniali e finanziari atti a conseguire il ripristino della normalità). Il sistema vigente è basato sulla direttiva 1994/19/CE, recepita con il decreto legislativo 4 dicembre 1996, n. 659, che ha introdotto le disposizioni sopra citate, come successivamente modificata dalla direttiva 2009/14/CE, recepita con decreto legislativo 24 marzo 2011, n. 49. Norme di dettaglio sono affidate alle disposizioni secondarie emanate dalla Banca d’Italia e dagli statuti dei meccanismi di garanzia dei depositi (cosiddetti SGD). In base a tale corpus normativo, gli interventi che gli SGD sono chiamati a operare si distinguono in obbligatori, alternativi e preventivi. Gli interventi, in qualsiasi modalità effettuati, sono autorizzati dalla Banca d’Italia. Gli interventi obbligatori consistono nel rimborso diretto dei partecipanti e sono condizionati all’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa. Ai fini del rimborso i crediti devono appartenere alle categorie tutelate (articolo 96-bis, comma 3, TUB) e non ricadere in una delle fattispecie soggette a esclusione (articolo 96-bis, comma 4, TUB). Il limite massimo di rimborso per depositante è pari a 100.000 euro; l’SGD deve effettuare il rimborso entro 20 giorni lavorativi, prorogabili dalla Banca d’Italia per un massimo di 10 giorni al ricorrere di circostanze eccezionali. Effettuato il rimborso, gli SGD subentrano nei diritti dei depositanti nei confronti della procedura di liquidazione coatta amministrativa. L’SGD non gode di preferenza nella ripartizione dell’attivo, se non nei confronti dei depositanti stessi (che concorrono al passivo per l’eventuale ammontare dei loro depositi superiore al limite massimo di rimborso). Oltre al rimborso dei depositi, gli SGD possono prevedere, ai sensi dell’articolo 96-bis, comma 1, ultimo periodo, TUB, ulteriori casi e forme di intervento. Nell’esercizio di tale facoltà, gli statuti hanno previsto sia interventi alternativi al rimborso dei depositanti, ferma restando la condizione dell’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa, sia interventi preventivi, effettuati in favore di banche in amministrazione straordinaria e finalizzati alla prevenzione di crisi irreversibili. In entrambi i casi, l’intervento è ammissibile solo ove sia dimostrato il minor onere per l’SGD rispetto al payout dei depositanti. Le modalità di intervento alternative e preventive rappresentano l’ordinaria modalità di intervento degli SGD in Italia (complessivamente i due Fondi hanno effettuato in tutto il periodo della loro operatività solo tre interventi di rimborso dei depositanti).

 

 


 

Articolo 8
(
Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio)

 

 

L'articolo 8, modificato al Senato, delega il Governo a recepire, nell'ordinamento interno, la direttiva 2014/59/UE sul risanamento e della risoluzione del settore creditizio e degli intermediari finanziari.

 

Tra i principi e i criteri direttivi individuati dalle norme in esame si chiarisce che le norme sul bail-in, ossia del meccanismo di forzosa svalutazione delle azioni e del debito di un ente creditizio soggetto a risoluzione, si applichino a partire dal 2016; si precisa che l'attivazione di tali poteri dovrà avvenire valutando inoltre l'opportunità di stabilire modalità applicative del bail-in coerenti con la forma societaria cooperativa.

Si dispone la designazione della Banca d'Italia quale autorità di risoluzione nazionale, prevedendo che sia assicurato il tempestivo scambio di informazioni con il Ministero dell'economia e delle finanze e l’approvazione di quest'ultimo prima di dare attuazione a decisioni che abbiano un impatto diretto sul bilancio oppure implicazioni sistemiche.

L'attuazione della delega dovrà prevedere anche una disciplina secondaria nella materia oggetto di recepimento, da adottarsi secondo le linee guida emanate dall'Autorità bancaria europea (ABE) in attuazione della direttiva 2014/59/UE.

Si prevede l’estensione delle vigenti norme in tema di responsabilità dei componenti delle autorità di vigilanza e dei dipendenti nell’esercizio dell’attività di controllo anche all’esercizio delle funzioni disciplinate dalla direttiva 2014/59/UE oggetto di recepimento, con riferimento alla Banca d’Italia, ai componenti dei suoi organi, ai suoi dipendenti, nonché agli organi delle procedure previste dalle norme europee.

La delega provvede anche al recepimento della disciplina sanzionatoria, secondo specifiche indicazioni su modalità, termini e parametri di individuazione delle sanzioni pecuniarie. Sono recati anche i principi per l'istituzione di uno o più fondi di risoluzione delle crisi bancarie.

Si prevedono infine adeguate forme di coordinamento tra l’Autorità di risoluzione (Banca d'Italia) e l’IVASS ai fini dell’applicazione di misure di risoluzione a società di partecipazione finanziaria mista e, ove controllino una o più imprese di assicurazione o riassicurazione, a società di partecipazione mista.

 

Si ricorda che la disciplina del risanamento e della risoluzione del settore creditizio e degli intermediari finanziari costituisce un elemento essenziale dell'Unione bancaria, ovvero della risposta data dall’Area Euro alle molteplici crisi finanziarie ed economiche.

 

L’Unione bancaria poggia su tre pilastri normativi: i) il Meccanismo di vigilanza unico (SSM), ii) il Meccanismo di risoluzione unico (SRM) e iii) le connesse disposizioni in materia di finanziamento, che comprendono il Fondo di risoluzione unico (SRF), i Sistemi di garanzia dei depositi (SGD) (per la cui attuazione si veda la scheda di lettura dell’articolo 7 del provvedimento in esame) e un meccanismo comune di backstop (linea di credito).

I tre pilastri si basano su due serie di norme orizzontali applicabili a tutti gli Stati membri: i requisiti patrimoniali per le banche (pacchetto CRD IV) e le disposizioni della direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche (BRRD).

 

Il contenuto della direttiva 2014/59/UE

 

La direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive – BRRD) affronta il tema delle crisi delle banche approntando strumenti nuovi che le autorità possono impiegare per gestire in maniera ordinata eventuali situazioni di dissesto non solo a seguito del loro manifestarsi, ma anche in via preventiva o ai primi segnali di difficoltà.

Essa introduce una molteplicità di strumenti, aventi carattere preventivo, carattere di intervento immediato, così come strumenti di "risoluzione" della crisi.

Per limitare al massimo l’erogazione di risorse pubbliche a favore delle banche in crisi, le autorità disporranno di poteri per allocare gli oneri della risoluzione, in primo luogo, in capo agli azionisti e ai creditori, secondo la gerarchia concorsuale stabilita dalla direttiva e, in secondo luogo, su un fondo di risoluzione alimentato dal sistema bancario.

Per quanto concerne l’ambito applicativo, la direttiva BRRD si applica alle imprese di investimento e a tutte le banche. In linea con i principi elaborati in ambito G-20, essa prevede un approccio graduale alla gestione delle crisi bancarie.

Le norme europee prevedono che, nei periodi di ordinaria operatività, sia svolta un’attività preparatoria continua della gestione di una crisi. Le banche devono predisporre - ed aggiornare almeno annualmente – un piano di risanamento contenente misure idonee a fronteggiare un deterioramento significativo della situazione finanziaria, basato su assunzioni realistiche e relative a scenari che prevedano situazioni di crisi anche gravi. Il piano non deve assumere la possibilità di accesso a forme di finanziamento pubblico straordinarie. Esso deve essere sottoposto alle competenti autorità per la sua valutazione che viene effettuata entro sei mesi dall'approvazione del piano.

Le autorità di risoluzione devono elaborare preventivamente piani di risoluzione, da attivare per gestire le situazioni di crisi. Devono essere individuati ed eliminati gli eventuali ostacoli alla possibilità di “risolvere” in maniera ordinata gli intermediari.

Le autorità di risoluzione possono intervenire in via autoritativa fino a imporre – secondo un principio di proporzionalità – modifiche alla struttura operativa, giuridica e organizzativa degli intermediari, per ridurne la complessità o per isolare, in un’ottica di preservazione, le funzioni critiche.

Ai primi segnali di deterioramento delle condizioni finanziarie o patrimoniali, le autorità di vigilanza (la Banca d’Italia o, per le banche di dimensioni maggiori, la BCE) possono adottare provvedimenti che integreranno il tradizionale strumentario degli interventi prudenziali. La direttiva conferisce infatti alle autorità competenti strumenti di intervento rapido al fine di evitare che il peggioramento della situazione finanziaria di un determinato ente sia tale da non lasciare alternative agli strumenti di risoluzione; tali capacità di intervento rapido comprendono anche la possibilità di rimuovere i vertici dell'ente e di nominare amministratori straordinari, con il compito di affrontare le difficoltà finanziarie dell'istituto.

In presenza di uno stato di dissesto, anche solo prospettico, le autorità di risoluzione devono valutare se è possibile attivare la procedura ordinaria d’insolvenza - nel nostro ordinamento bancario, la liquidazione coatta amministrativa - o se è necessario avviare la speciale procedura di risoluzione, di nuova introduzione. La procedura ordinaria d’insolvenza non può essere avviata se le autorità di risoluzione valutano che essa non è idonea ad assicurare il conseguimento degli obiettivi d’interesse pubblico sottesi alla disciplina sulle crisi, cioè preservare la stabilità sistemica, minimizzare il sostegno pubblico, tutelare depositanti e clienti. In questo caso, viene disposta la procedura di risoluzione.

Nell’ambito della risoluzione è possibile applicare una vasta gamma di strumenti per superare la crisi. In particolare, le autorità competenti devono predisporre un piano per ciascun ente in cui vengono illustrate le procedure da porre in atto con rapidità dall'autorità medesima al fine di assicurare la continuità delle funzioni dell'ente sottoposto a tale procedura. Può essere disposto il trasferimento forzoso di beni e rapporti giuridici dall’intermediario in crisi ad acquirenti privati, potranno essere costituiti veicoli societari per salvaguardare le funzioni essenziali e ricollocarle sul mercato (ente ponte o bridge bank) o realizzare il valore a lungo termine delle attività deteriorate (bad bank).

Lo strumento più innovativo di una procedura di risoluzione è, tuttavia, il cd. bail-in, che consiste nella riduzione forzosa del valore delle azioni e del debito della banca in crisi, e/o nella conversione di quest’ultimo in capitale.

In tal senso, si passa da un sistema in cui la risoluzione delle crisi è imperniata sul ricorso ad apporti esterni, forniti dallo Stato (bail-out) ad un nuovo sistema, che ricerca all’interno degli stessi intermediari le risorse necessarie tramite il coinvolgimento di azionisti e creditori (bail-in).

Sono escluse dall’applicazione del bail-in alcune categorie di passività, segnatamente quelle più rilevanti per la stabilità sistemica o quelle protette nell’ambito fallimentare, come i depositi di valore inferiore a 100.000 euro, le obbligazioni garantite da attivi della banca, i debiti a breve sul mercato interbancario. Altre categorie di passività potranno essere escluse dall’autorità di risoluzione, in casi particolari, sulla base di una valutazione specifica degli effetti sulla stabilità sistemica e del possibile contagio. Nell’allocazione delle perdite dovrà essere rispettata la gerarchia prevista dalla direttiva, che in parte modifica quella concorsuale prevedendo, tra l’altro, che i depositi superiori a 100.000 euro detenuti dalle persone fisiche e dalle piccole e medie imprese siano colpiti dopo gli altri crediti chirografari (c.d. pecking order). In ogni caso, il trattamento riservato agli azionisti e ai creditori nell’ambito della risoluzione non potrà essere peggiore rispetto a quello che essi avrebbero subìto in caso di liquidazione coatta amministrativa.

La direttiva dispone inoltre che gli Stati membri istituiscano meccanismi di finanziamento per rendere effettivi gli strumenti e i poteri delle autorità competenti in caso di risoluzione: tali fondi dovranno disporre, a partire dal 2025, di mezzi finanziari pari ad almeno l’1% dell’ammontare dei depositi protetti nel territorio nazionale. In casi eccezionali, le autorità di risoluzione possono escludere, integralmente o parzialmente, le passività e utilizzare i meccanismi di finanziamento per assorbire le perdite o ricapitalizzare la banca. Tale possibilità si può esercitare solo quando le perdite che ammontano almeno all’8% delle passività totali, fondi propri compresi, siano già state assorbite mediante strumenti di bail-in. Inoltre, il finanziamento del fondo di risoluzione si deve limitare al 5% delle passività totali, fondi propri compresi, oppure ai mezzi a disposizione del fondo e all’importo che può essere raccolto mediante conferimenti successivi in un arco di tre anni.

Il salvataggio attraverso il finanziamento pubblico si configura, nella nuova architettura, come un estremo rimedio qualora le procedure previste dalla direttiva non siano sufficienti a risolvere la crisi e a prevenire effetti dannosi all'economia. I governi possono in particolare intervenire attraverso specifici strumenti di stabilizzazione che possono consistere nell'apporto di capitale pubblico per ricapitalizzare un istituto ovvero nella nazionalizzazione temporanea dell'istituto medesimo. In ogni caso la possibilità di utilizzare gli strumenti di stabilizzazione pubblici soggiace al medesimo limite dell'8% di assorbimento delle perdite mediante procedimento di bail-in e la verifica della compatibilità dell'intervento con la disciplina degli aiuti di Stato.

Secondo quanto previsto dal regolamento istitutivo del Meccanismo di Risoluzione Unico e dal connesso Accordo Intergovernativo, dal 2016 i Fondi di risoluzione nazionali saranno sostituiti da un Fondo unico europeo, inizialmente diviso in comparti nazionali che progressivamente confluiranno in un comparto comune.

Sotto il profilo istituzionale, la direttiva prevede che le funzioni di risoluzione e i relativi poteri siano assegnati da ciascuno Stato membro a uno specifico soggetto pubblico, l’autorità di risoluzione. Essa potrà essere creata ad hoc oppure individuata nella banca centrale, nell’autorità di vigilanza, nel ministero dell’economia; in questo secondo caso dovranno essere adottati presidi volti ad assicurare la separazione strutturale tra le funzioni di risoluzione e gli altri compiti dell’autorità. La direttiva assegna agli Stati membri la facoltà di prevedere che le decisioni dell’autorità di risoluzione con implicazioni sulla stabilità sistemica o sulle finanze pubbliche siano soggette all’approvazione del ministro competente per le materie economiche. A partire dal 1° gennaio 2016, con l’entrata a pieno regime del Meccanismo di Risoluzione Unico, i compiti che la direttiva assegna all’autorità di risoluzione nazionale saranno svolti in coordinamento con il Comitato di Risoluzione Unico (Single Resolution Board), costituito nell’ambito del Meccanismo di Risoluzione Unico, sulla base della ripartizione di competenze stabilita nel relativo regolamento istitutivo.

Il termine di recepimento della direttiva, entrata in vigore il 2 luglio 2014, è fissato al 31 dicembre 2014. Gli Stati membri devono applicare le disposizioni di recepimento a decorrere dal 1° gennaio 2015, ad eccezione di alcune disposizioni relative alle procedure di bail-in che devono essere applicate non più tardi del 1° gennaio 2016.

 

 

Gli specifici princìpi e i criteri direttivi di attuazione della delega sono stabiliti alle lettere a)-q) del comma 1, da osservarsi in aggiunta a quelli previsti dall'articolo 1, comma 1.

In primo luogo, alla lettera a) è previsto che nell'attuazione della delega il Governo deve provvedere all'uniformazione dell'ordinamento finanziario interno alla disciplina UE in materia di vigilanza bancaria, gestione delle crisi e tutela dei depositanti, e che le facoltà di opzione e garanzia ivi previste siano esercitate in modo conforme a quanto stabilito dal regolamento (UE) n. 806/2014, il quale fissa norme e procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento, nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico.

 

Alla lettera b), modificata nel corso dell'esame in Senato, è stabilito che, conformemente alle previsioni della direttiva, a partire dal 2016 si applichino le norme sul bail-in, ossia del richiamato meccanismo di forzosa svalutazione delle azioni e del debito di un ente creditizio soggetto a risoluzione, secondo il disposto dell'articolo 43 della direttiva. Per effetto delle modifiche approvate al Senato, l'attivazione di tali poteri dovrà avvenire valutando inoltre l'opportunità di stabilire modalità applicative del bail-in coerenti con la forma societaria cooperativa.

 

Alla lettera c) è stabilito che l'ambito di applicazione della disciplina nazionale di recepimento della direttiva sia definito in coerenza con quello delineato dall'articolo 1, paragrafo 1, della direttiva da recepire.

 

Essa si applica agli enti stabiliti nell’Unione; ai soggetti stabiliti nell’Unione come filiazioni di altri enti soggetti alla vigilanza dell’impresa madre su base consolidata; alle società di partecipazione finanziaria, di partecipazione finanziaria mista e di partecipazione mista stabilite nell’Unione; alle società di partecipazione finanziaria madri in uno Stato membro, alle società di partecipazione finanziaria madri nell’Unione, alle società di partecipazione finanziaria mista madri in uno Stato membro, alle società di partecipazione finanziaria mista madri nell’Unione; infine, essa si applica alle succursali di enti stabiliti o ubicati al di fuori dell’Unione, secondo specifiche condizioni previste nella direttiva medesima.

 

La lettera d), riformulata al Senato, dispone la designazione della Banca d'Italia quale autorità di risoluzione nazionale, attribuendo a quest'ultima tutti i poteri assegnati all'autorità di risoluzione dalla direttiva 2014/59/UE e prevedendo che sia assicurato il tempestivo scambio di informazioni con il Ministero dell'economia e delle finanze; secondo quanto stabilito dall'articolo 3, paragrafo 6, della direttiva, si stabilisce espressamente il vincolo di approvazione di quest'ultimo prima di dare attuazione a decisioni che abbiano un impatto diretto sul bilancio oppure implicazioni sistemiche.

 

Alla lettera e) si rinvia alla disciplina secondaria nella materia oggetto di recepimento, da adottarsi secondo le linee guida emanate dall'Autorità bancaria europea (ABE).

 

Il 20 maggio 2015 l’EBA ha pubblicato tre serie di linee guida definitive per facilitare l’implementazione degli strumenti di risoluzione nel settore bancario in Europa. Le linee guida incoraggiano la convergenza in materia di risoluzione dando alle autorità designate informazioni dettagliate sulle circostanze da determinare in occasione delle decisioni in materia di risoluzioni.

 

Alla lettera f) si stabilisce che l'attuazione della delega debba uniformarsi anche al principio di proporzionalità.

Al riguardo si rammenta che, assieme al principio di sussidiarietà, il principio di proporzionalità regola l'esercizio delle competenze esercitate dall'Unione europea. Esso mira a inquadrare le azioni delle istituzioni dell'Unione entro certi limiti; in virtù di tale regola, l'azione delle istituzioni deve limitarsi a quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi fissati dai trattati. In altre parole, il contenuto e la forma dell'azione devono essere in rapporto con la finalità perseguita. Il principio di proporzionalità è illustrato nell'articolo 5 del trattato sull’Unione europea. Il protocollo (n. 2) sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato ai trattati, specifica i criteri di applicazione di questo principio.

 

La lettera g) prevede che le norme in tema di responsabilità dei componenti delle autorità di vigilanza e dei dipendenti nell’esercizio dell’attività di controllo (prevista dall’articolo 24, comma 6-bis della legge sul risparmio, legge 28 dicembre 2005, n. 262), siano estese anche all’esercizio delle funzioni disciplinate dalla direttiva 2014/59/UE oggetto di recepimento, con riferimento alla Banca d’Italia, ai componenti dei suoi organi, ai suoi dipendenti, nonché agli organi delle procedure di intervento precoce e risoluzione, inclusi i commissari, l’ente-ponte, la società veicolo per la gestione delle attività e i componenti dei loro organi.

Il richiamato articolo 24, comma 6-bis, prevede che, nell'esercizio delle proprie funzioni di controllo, i componenti degli loro organi delle autorità, nonché i loro dipendenti, siano tenuti a rispondere dei danni cagionati da atti o comportamenti posti in essere con dolo o colpa grave.

 

Con la lettera h) si prevede che l'attuazione della delega debba, ove ritenuto opportuno, provvedere alla individuazione della Banca d’Italia quale l’autorità competente a esercitare le opzioni che la direttiva medesima attribuisce agli Stati membri in tema di disciplina dei piani di risanamento e di risoluzione, nonché dei requisiti minimi previsti per le passività soggette a conversione o riduzione, nel rispetto del principio di proporzionalità.

 

Alla lettera i) è previsto poi che, nel recepimento, lo Stato non si avvale della facoltà di prevedere l'approvazione preventiva (ex ante), da parte dell’autorità giudiziaria, della decisione di utilizzare una misura di prevenzione o di gestione della crisi (prevista dall’articolo 85, par. 1, della direttiva 2014/59/UE).

 

Il richiamato articolo 85, al paragrafo 1, consente agli Stati membri di imporre che una decisione di adottare una misura di prevenzione della crisi o una misura di gestione della crisi sia soggetta a un’approvazione ex ante delle autorità giudiziarie, posto che, per quanto concerne una decisione di adottare una misura di gestione della crisi, conformemente al diritto nazionale, la procedura connessa alla domanda di approvazione e l’esame della domanda da parte del giudice siano eseguiti con urgenza.

 

Alla lettera l), ai numeri 1-7 è stabilito inoltre che la delega dovrà provvedere anche al recepimento della disciplina sanzionatoria contenuta nella direttiva 2014/59/UE.

 

Le modalità, i termini e parametri di individuazione delle sanzioni pecuniarie sono chiariti secondo alcune prescrizioni di seguito illustrate.

In primo luogo (n. 1.). si prevede di introdurre nell'ordinamento nazionale nuove fattispecie di illeciti amministrativi corrispondenti alle fattispecie sanzionatorie previste dalla direttiva 2014/59/UE, stabilendo in sintesi:

1.1) che siano applicate sanzioni amministrative pecuniarie sia alle società o enti nei cui confronti sono accertate le violazioni e che siano definiti i presupposti per far scattare la responsabilità delle persone fisiche che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo, che sono dipendenti o che operano ad altro titolo nell'organizzazione del soggetto vigilato;

1.2) che sia fissata l'entità delle sanzioni amministrative pecuniarie, in modo tale che) la sanzione applicabile alle società o agli enti sia compresa tra un minimo di 30.000 euro e un massimo del 10 per cento del fatturato, mentre la sanzione applicabile alle persone fisiche sia compresa tra un minimo di 5.000 euro e un massimo di 5 milioni di euro. Inoltre, qualora il vantaggio ottenuto dall'autore della violazione sia superiore ai limiti massimi così determinati, le sanzioni sono elevate fino al doppio dell'ammontare del vantaggio ottenuto, purché tale ammontare sia determinabile;

In secondo luogo (n. 2) si attribuisce alla Banca d'Italia il potere di irrogare le sanzioni e definire i criteri cui essa deve attenersi nella determinazione dell'ammontare della sanzione, in coerenza con quanto previsto dalla direttiva 2014/59/UE, anche in deroga alle disposizioni contenute nella legge sulle sanzioni amministrative, ovvero la legge 24 novembre 1981, n. 689.

Si demanda al legislatore delegato (n. 3) l’individuazione delle modalità di pubblicazione dei provvedimenti che irrogano le sanzioni e il regime per lo scambio di informazioni con l'Autorità bancaria europea, in linea con quanto previsto dalla direttiva 2014/59/UE.

Viene attribuito alla Banca d'Italia il potere (n. 4) di definire disposizioni attuative, con riferimento, tra l'altro, alla definizione della nozione di fatturato utile per la determinazione della sanzione, alla procedura sanzionatoria e alle modalità di pubblicazione dei provvedimenti che irrogano le sanzioni;

Con riferimento alle fattispecie connotate da minore effettiva offensività o pericolosità, occorre prevedere, ove compatibili con la direttiva 2014/59/UE, efficaci strumenti per la deflazione del contenzioso o per la semplificazione dei procedimenti di applicazione della sanzione, anche conferendo alla Banca d'Italia la facoltà di escludere l'applicazione della sanzione per condotte prive di effettiva offensività o pericolosità (n. 5) e si attribuisce alla Banca d'Italia il potere di adottare le misure previste dalla direttiva 2014/59/UE relative alla reprimenda pubblica, all'ordine di cessare o di porre rimedio a condotte irregolari e alla sospensione temporanea dell’incarico (n. 6).

Infine (n. 7) si prevede la possibilità di una dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza in caso di avvio della risoluzione, ai fini dell'applicazione delle sanzioni penali disciplinate nel titolo VI della legge fallimentare (di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267), senza che in tal caso assuma rilievo esimente l'eventuale superamento dello stato di insolvenza per effetto della risoluzione; stabilire l'applicabilità agli organi della risoluzione delle fattispecie penali previste nel richiamato titolo VI, in linea con l'articolo 237, secondo comma, del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, ai sensi del quale nel caso di liquidazione coatta amministrativa si applicano al commissario liquidatore le norme che disciplinano i reati di interesse privato del curatore negli atti del fallimento, ed omessa consegna o deposito di cose del fallimento (di cui agli articolo 228-230 della citata legge fallimentare).

 

In materia di sanzioni si ricorda che l’8 maggio 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo (non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) che contiene le modifiche al Testo Unico Bancario e al Testo Unico della Finanza volte a recepire, a livello legislativo la direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (c.d. CRD4) (Atto del Governo n. 147).

Tra le modifiche apportate da tale decreto vi è la complessiva riforma della disciplina delle sanzioni amministrative; viene stabilito il passaggio ad un sistema volto a sanzionare in primo luogo l’ente e, solo sulla base di presupposti individuati dalle norme, anche l’esponente aziendale o la persona fisica responsabile della violazione.

 

Alla lettera m), ai numeri 1-4, è previsto che la delega debba prevedere l'istituzione di uno o più fondi di risoluzione, secondo le modalità e i termini procedurali di attivazione indicati nella direttiva. Più in dettaglio si deve:

·        prevedere l'istituzione di uno o più fondi di risoluzione;

·        definire le modalità di calcolo e di riscossione dei contributi dovuti da parte degli enti che vi aderiscono;

·        determinare le modalità di amministrazione dei fondi e la struttura deputata alla loro gestione;

·        individuare, ove opportuno, nella Banca d'Italia l'autorità competente a esercitare le opzioni che gli articoli 103, 106 e 109 della direttiva 2014/59/UE attribuiscono agli Stati membri con riferimento alla disciplina dei fondi di risoluzione; le richiamate norme sono rispettivamente concernenti i contributi versati ex ante ai Fondi, lo svolgimento di prestiti tra meccanismi di finanziamenti e l’uso dei sistemi di garanzia dei depositi nel contesto della risoluzione.

 

Alla lettera n) è prevista l’introduzione di adeguate forme di coordinamento tra l’Autorità di risoluzione (Banca d'Italia) e l’IVASS ai fini dell’applicazione di misure di risoluzione a società di partecipazione finanziaria mista e, ove controllino una o più imprese di assicurazione o riassicurazione, a società di partecipazione mista.

 

La lettera o) prevede il coordinamento della disciplina nazionale di recepimento con il quadro normativo nazionale vigente in materia di gestione delle crisi previsto dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, anche apportando ai citati testi unici le modifiche e le integrazioni necessarie.

 

Alla lettera p) si stabilisce che il recepimento dovrà contenere le necessarie modifiche e integrazioni al quadro normativo nazionale in materia di gestione delle crisi nonché, ogni altra modifica che si renda opportuna, al fine di chiarire la disciplina applicabile e per assicurare maggiore efficacia ed efficienza alla gestione delle crisi di tutti gli intermediari ivi disciplinati, anche tenendo conto di quanto previsto dalla legge fallimentare e delle esigenze di proporzionalità della disciplina e di celerità delle procedure.

 

La disciplina nazionale della risoluzione delle crisi bancarie

 

In estrema sintesi, si ricorda che le procedure di gestione delle crisi delle banche e dei gruppi bancari contenute nel Titolo IV del decreto legislativo 385/1993 (Testo Unico Bancario - TUB) presentano delle specifiche peculiarità, anche in considerazione dell’interesse primariamente perseguito, ovvero quello della tutela del risparmio. La disciplina nazionale (contenuta nel Titolo IV del Testo Unico Bancario, articoli 70 e seguenti) prevede diverse procedure di gestione delle crisi, che differiscono secondo il grado di criticità della situazione aziendale: gravità delle perdite patrimoniali, irregolarità e violazioni normative e amministrative. Di norma, per le banche è esclusa l'applicazione di procedure diverse da quelle disciplinate dal TUB (articolo 70, comma 7 TUB), salvo nei casi in cui la legge fallimentare è espressamente richiamata (ad es. per la declaratoria di insolvenza).Se la crisi non presenta caratteri di irreversibilità, la banca può essere sottoposta ad amministrazione straordinaria (citato articolo 70 e seguenti del TUB), che viene disposta con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze, emanato su proposta della Banca d'Italia, cui spetta la nomina degli organi straordinari, al fine di accertare la situazione aziendale e avviare soluzioni nell'interesse dei depositanti.

Se ci sono ragioni di assoluta urgenza, in presenza degli stessi presupposti per l'avvio dell'amministrazione straordinaria, la Banca d'Italia può nominare uno o più commissari che assumono i poteri di amministrazione dell'intermediario per un massimo di due mesi ("gestione provvisoria", ai sensi degli articoli 76 e ss.gg.  TUB). In relazione alle banche autorizzate in Italia (articolo 78), si ricorda che la Banca d'Italia ha il potere di vietare di intraprendere nuove operazioni oppure ordinare la chiusura di succursali, ove riscontri violazione di disposizioni legislative, amministrative o statutarie che ne regolano l'attività, per irregolarità di gestione; nel caso di succursali di banche extracomunitarie, anche per insufficienza di fondi. In ordine alle banche comunitarie (articolo 79), nel caso di violazione delle disposizioni relative alle succursali o alla prestazione di servizi nel territorio della Repubblica, la Banca d'Italia può ordinare alla banca di porre termine a tali irregolarità, dandone comunicazione all'autorità competente dello Stato membro in cui la banca ha sede legale per i provvedimenti eventualmente necessari.

Quando la crisi ha assunto caratteri di irreversibilità, l'intermediario viene assoggettato a liquidazione coatta amministrativa (articolo 80). Anche in questo caso la nomina degli organi liquidatori compete alla Banca d'Italia. Per quanto concerne questa procedura, la legge fallimentare trova applicazione, se compatibile, solo per quanto non espressamente previsto dal TUB. Nei casi di liquidazione coatta amministrativa i sistemi di garanzia dei depositanti, ai quali le banche italiane sono tenute ad aderire, effettuano i rimborsi nel limite di 100.000 euro per ciascun depositante. Gli organi straordinari e liquidatori operano sotto il controllo della Banca d'Italia, cui spetta anche un potere autorizzativo per atti di particolare rilevanza. Le procedure che riguardano le banche comunitarie sono disciplinate dalla normativa dello Stato d'origine e producono i loro effetti nell'ordinamento nazionale senza ulteriori formalità (articolo 95-bis del TUB). Sono previste forme di collaborazione (articolo 95-quater) tra le Autorità degli Stati membri: la Banca d'Italia informa le autorità di vigilanza degli Stati comunitari ospitanti dell'apertura delle procedure di amministrazione straordinaria, di gestione provvisoria e di liquidazione coatta amministrativa, nei confronti di banche italiane, precisando gli effetti concreti che tali procedure potrebbero avere. L'informazione è data, con ogni mezzo, possibilmente prima dell'apertura della procedura ovvero subito dopo. L'Istituto, ove ritenga necessaria l'applicazione in Italia di una procedura di risanamento nei confronti di una banca comunitaria, ne fa richiesta all'autorità di vigilanza dello Stato d'origine.

 

Alla lettera q) è infine stabilito che nell'attuazione della delega debbano essere approvate le necessarie norme di coordinamento, ove necessarie, ai fini del recepimento delle direttive modificate dal Titolo X della Direttiva 2014/59/UE oggetto di recepimento.

 

Il comma 2 reca infine la clausola di invarianza finanziaria; dalla attuazione della delega di recepimento della Direttiva 2014/59/UE non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, prevedendosi che le autorità coinvolte nella sua attuazione debbano provvedere ai relativi compiti con le sole risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Procedure di contenzioso

Il 29 gennaio 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2015/0066) per il mancato recepimento della direttiva 2014/59/UE, oggetto dell’articolo 8  in esame.

Il termine per il recepimento scadeva il 31 dicembre 2014.

Nell’ambito della medesima procedura, il 28 maggio 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato per il mancato recepimento della direttiva 2014/59/UE.

 

Al riguardo, si ricorda che, in base all’articolo 260, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’UE, la Commissione, quando presenta ricorso alla Corte contro uno Stato membro  che abbia mancato di comunicare le misure di attuazione di una direttiva, può, se lo ritiene opportuno, chiedere alla Corte di condannare direttamente tale Stato al pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.

La Corte, se accetta l’inadempimento contestato dalla Commissione, può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità entro i limiti dell’importo indicato dalla Commissione. L’importo è esigibile alla data fissata dalla Corte nella sentenza.

 

Si segnala altresì che il 27 gennaio 2014 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora per il mancato recepimento della direttiva 2013/36/UE sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento.

Il termine per recepire la direttiva scadeva il 31 dicembre 2013.

Al riguardo, è opportuno ricordare che il decreto legislativo di recepimento è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri l’8 maggio scorso (Atto del Governo n. 147).

 

 

 

 


 

Articolo 9
(
Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, anche ai fini dell'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sui mercati degli strumenti finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012)

 

 

L’articolo 9, modificato nel corso dell’esame al Senato, delega il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2014/65/UE (MiFID II) e per l’applicazione del regolamento (UE) n. 600/2014 (MiFIR).

In sintesi si prevede che l’adeguamento dell’ordinamento interno con la nuova disciplina europea relativa ai mercati degli strumenti finanziari debba avvenire, principalmente, mediante l’aggiornamento del Testo unico sulla finanza (D.Lgs. n. 58 del 1998 – TUF) e che debba riguardare, in particolare, l’attribuzione dei poteri di vigilanza e di indagine alle Autorità di settore (Banca d’Italia e Consob), per i profili di rispettiva competenza, anche con riferimento alla cooperazione e allo scambio di informazioni con le autorità competenti della UE, degli altri Stati membri e degli Stati extra UE.

Il TUF dovrà, inoltre, essere aggiornato con riferimento alla disciplina concernente i consulenti finanziari, le società di consulenza finanziaria e i promotori finanziari, anche al fine di razionalizzare la tenuta degli albi e la vigilanza su tali categorie. A tal fine si prevede di assegnare ad un unico organismo, ordinato in forma di associazione con personalità giuridica di diritto privato, la tenuta dell'albo nonché i poteri di vigilanza e sanzionatori nei confronti delle categorie di soggetti citati.

Si prevede inoltre di rivedere la disciplina delle sanzioni e della relativa procedura, coerentemente con la nuova disciplina europea.

 

La direttiva 2014/65/UE

 

La Direttiva 2004/39/CE, in materia di mercati degli strumenti finanziari, alla quale ci si riferisce comunemente con l'acronimo MiFID (Market in Financial Instruments Directive), è ora in parte rifusa nella Direttiva 2014/65/UE e in parte sostituita dal Regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio. La Direttiva 2014/65/UE, denominata MiFID II, ed il Regolamento n. 600/2014, noto come MiFIR, intendono modificare la precedente disciplina, incentrata sui mercati azionari regolamentati. In base all'articolo 93 della Direttiva, la nuova disciplina deve essere recepita dagli Stati membri entro il 3 luglio 2016 ed applicata a decorrere dal 3 gennaio 2017. La MiFID II ed il relativo regolamento sono stati redatti con lo scopo di normare un mercato sempre più complesso, caratterizzato da un notevole incremento degli strumenti finanziari e dei sistemi di trading ad alta frequenza, attraverso i quali ha luogo una quota rilevante delle transazioni sui mercati telematici più evoluti.

Si intende aumentare la trasparenza delle negoziazioni e la tutela degli investitori, attraverso una maggiore responsabilizzazione degli intermediari, una più approfondita consapevolezza degli investitori (grazie alla disponibilità di informazioni più dettagliate e più frequenti) ed un rafforzamento dei poteri - sia ex-ante che ex post - delle Autorità di vigilanza.

In particolare, per la prima volta sono contenute misure specifiche in tema di prodotti finanziari, come quelle finalizzate a ridurre il rischio che i prodotti finanziari emessi e/o collocati non siano adeguati al cliente finale. Si prevede inoltre che le Autorità nazionali, l’ESMA e l’EBA (per i depositi strutturati) possono proibire o restringere il marketing e il collocamento di alcuni strumenti finanziari o depositi strutturati e le attività o pratiche finanziarie potenzialmente riduttive della protezione degli investitori, della stabilità finanziaria o dell’ordinato funzionamento dei mercati.

In tale contesto, si inserisce, in ambito italiano, la consultazione avviata dalla Consob il 28 maggio 2014 sulla distribuzione di prodotti complessi ai clienti privati. Con la medesima si sottopone all’esame del mercato l’ipotesi di introdurre una serie di presidi per il rafforzamento della tutela del risparmio che comprendono anche la raccomandazione agli intermediari di astenersi dal commercializzare agli investitori retail alcune tipologie di prodotti connotati da più alta complessità e di distribuire prodotti a complessità comunque elevata solo nell’ambito di servizi di consulenza c.d. “evoluta”. Si richiede inoltre agli intermediari di tenere in debita considerazione nelle policy aziendali gli orientamenti dell’ESMA in materia di distribuzione di prodotti complessi; si definiscono poi le caratteristiche del servizio di consulenza indipendente, che deve essere basata su un’analisi di mercato ampia e proporre strumenti finanziari sufficientemente diversificati.

Già in base alle disposizioni della MiFID, l’impresa di investimento erogante servizi di consulenza o di gestione del portafoglio è tenuta ad acquisire informazioni in merito alle conoscenze ed esperienze del cliente in materia di investimenti e ai suoi obiettivi di investimento. Con la MiFID II tale norma viene integrata, sia perché nel definire gli strumenti finanziari adeguati al cliente si fa esplicito riferimento alla necessità di individuare la capacità dello stesso di fronteggiare eventuali perdite e la sua predisposizione al rischio, sia in quanto, nel caso in cui l’impresa raccomandi una pluralità di prodotti o servizi, la valutazione di adeguatezza deve avvenire in relazione all’intero pacchetto. Inoltre l'impresa, quando effettua consulenza agli investimenti, prima che la transazione sia conclusa, deve condividere con il cliente le motivazioni che hanno portato a ritenere che l'operazione di investimento consigliata sia realmente rispondente alle sue aspettative. Si ampliano poi gli obblighi di comunicazione alla clientela su costi e oneri connessi ai servizi di investimento o accessori che devono includere anche il costo della consulenza (se rilevante), il costo dello strumento finanziario raccomandato o venduto al cliente e le modalità con cui il cliente può remunerare il servizio di investimento ricevuto. Le informazioni circa tutte le voci di costo devono essere presentate in forma aggregata, per consentire al cliente di conoscere il costo complessivo ed il suo impatto sul rendimento atteso dall'investimento.

 

 

Nell’esercizio della delega il Governo dovrà seguire i seguenti principi e criteri direttivi (oltre ai criteri di delega di cui all’articolo 1, comma 1):

a) apportare le modifiche o integrazioni al D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF) necessarie al corretto recepimento della citata disciplina UE, anche con riguardo alle norme tecniche di regolamentazione e di attuazione;

 

b) designare ai sensi degli articoli 67 e 68 della direttiva, la Banca d’Italia e la Consob quali autorità competenti per lo svolgimento delle funzioni previste dalla normativa europea, tenendo conto della ripartizione delle funzioni di vigilanza prevista dal TUF e apportando le necessarie modifiche – secondo quanto dettagliato nelle successive lettere da c) a u) – al fine di rendere più efficiente ed efficace l’assegnazione dei compiti di vigilanza e con l’obiettivo di ridurre, ove possibile, gli oneri per i soggetti vigilati.

Si ricorda, in via generale, che le finalità della vigilanza sono incentrate, per quanto riguarda la Banca d’Italia, sulla stabilità finanziaria e il contenimento dei rischi, per quanto riguarda la Consob, sulla trasparenza e la tutela degli investitori.

In particolare l’articolo 5, commi 1, 2 e 3, del TUF prevede che la vigilanza sugli intermediari finanziari ha per obiettivi:

a)  la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario;

b)  la tutela degli investitori;

c)  la stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario;

d)  la competitività del sistema finanziario;

e)  l'osservanza delle disposizioni in materia finanziaria.

Per il perseguimento dei suddetti obiettivi, la Banca d'Italia è competente per quanto riguarda il contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione degli intermediari; la Consob è competente per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti.

 

c) prevedere il ricorso alla potestà di normazione secondaria adottata, singolarmente, dalla Banca d’Italia (sentita la Consob) e dalla Consob (sentita la Banca d’Italia), secondo le rispettive competenze. A tal fine, viene attribuita la potestà regolamentare, di cui all’articolo 6, comma 2-bis del TUF, sia alla Consob che alla Banca d’Italia;

Nel corso dell’esame al Senato è stata sostanzialmente recepita l’osservazione evidenziata dalla Banca d’Italia in sede di audizione volta a evitare l’adozione della disciplina secondaria da parte delle due autorità congiuntamente, in considerazione dei tempi più lunghi che ne sarebbero derivati.

L’articolo 6, comma 2-bis, del TUF prevede che la Banca d'Italia e la Consob disciplinano “congiuntamente” mediante regolamento, con riferimento alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento, nonché alla gestione collettiva del risparmio, gli obblighi dei soggetti abilitati in materia di:

a) governo societario, requisiti generali di organizzazione, sistemi di remunerazione e di incentivazione (vigilanza: Banca d’Italia, art.6, c. 2-ter);

b) continuità dell'attività (vigilanza: Banca d’Italia, art.6, c. 2-ter);

c) organizzazione amministrativa e contabile, compresa l'istituzione della funzione di cui alla lettera e) (vigilanza: Banca d’Italia, art.6, c. 2-ter);

d) procedure, anche di controllo interno, per la corretta e trasparente prestazione dei servizi di investimento e delle attività di investimento nonché della gestione collettiva del risparmio (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter);

e) controllo della conformità alle norme (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter);

f) gestione del rischio dell'impresa (vigilanza: Banca d’Italia, art.6, c. 2-ter);

g) audit interno (vigilanza: Banca d’Italia, art.6, c. 2-ter);

h) responsabilità dell'alta dirigenza (vigilanza: Banca d’Italia, art.6, c. 2-ter);

i) trattamento dei reclami (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter);

j) operazioni personali (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter);

k) esternalizzazione di funzioni operative essenziali o importanti o di servizi o attività (vigilanza: Banca d’Italia e Consob secondo le rispettive funzioni, art.6, c. 2-ter);

l) gestione dei conflitti di interesse, potenzialmente pregiudizievoli per i clienti (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter);

m) conservazione delle registrazioni (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter);

n) procedure anche di controllo interno, per la percezione o corresponsione di incentivi (vigilanza: Consob, art.6, c. 2-ter).

La lettera e) dell’articolo in esame dispone il superamento dell’attività regolamentare congiunta della Banca d’Italia e della Consob, al fine di rendere più efficiente ed efficace l’assegnazione dei compiti di vigilanza e di ridurre gli oneri per i soggetti vigilati. In particolare per specifici aspetti relativi alle materie previste dall’articolo 6, comma 2-bis (indicate dalle lettere a)b)h)k) e l)) si richiede la sola intesa della Banca d'Italia e della Consob ai fini dell'adozione dei regolamenti. Pertanto, nell’adozione della disciplina secondaria le due Autorità potranno emanare i regolamenti, previa intesa con l’altra, quando si tratterà delle seguenti materie: governo societario, requisiti generali di organizzazione, sistemi di remunerazione e di incentivazione; continuità dell'attività; responsabilità dell'alta dirigenza; esternalizzazione di funzioni operative essenziali o importanti o di servizi o attività; gestione dei conflitti di interesse, potenzialmente pregiudizievoli per i clienti.

 

d) assegnare alle autorità competenti i poteri di vigilanza e di indagine previsti dalla direttiva e dal regolamento, tenendo conto dell’obiettivo di ridurre, ove possibile, gli oneri per i soggetti vigilati e indicando i casi in cui si rende necessaria l’acquisizione del parere dell’altra autorità.

Quest’ultima disposizione, che prevede di indicare esplicitamente i casi in cui si rende necessaria l’acquisizione del parere dell’altra autorità, è stata aggiunta nel corso dell’esame al Senato;

 

I poteri di vigilanza (c.d. product intervention) comprendono, ai sensi dell'articolo 69 della Direttiva 2014/65/UE, la possibilità di:

·      avere accesso a qualsiasi documento o altri dati in qualsiasi forma che secondo l’autorità competente potrebbe essere pertinente ai fini dell’esercizio della propria funzione di vigilanza e riceverne o farne copia;

·      esigere o chiedere la fornitura di informazioni a qualsiasi persona e, se necessario, convocare e interrogare qualsiasi persona per ottenere informazioni;

·      eseguire ispezioni o indagini in loco;

·      richiedere le registrazioni esistenti relative a conversazioni telefoniche, comunicazioni elettroniche o scambi di dati conservate da una impresa di investimento, da un ente creditizio o da un’altra entità disciplinata dalla presente direttiva o dal regolamento (UE) n. 600/2014;

·      richiedere il blocco o il sequestro dei beni, o entrambi;

·      richiedere la temporanea interdizione dell’esercizio dell’attività professionale;

·      richiedere ai revisori dei conti delle imprese di investimento, dei mercati regolamentati e dei prestatori di servizi di comunicazione dei dati di fornire informazioni;

·      riferire fatti all’autorità giudiziaria ai fini della promozione dell’azione penale;

·      autorizzare i revisori dei conti o gli esperti a procedere a verifiche;

·      esigere o richiedere la fornitura di informazioni, compresa tutta la documentazione pertinente, a qualsiasi persona in relazione all’entità e alle finalità di una posizione o esposizione aperta mediante uno strumento derivato su merci e alle eventuali attività e passività nel mercato sottostante;

·      esigere la cessazione temporanea o permanente di pratiche o condotte che l’autorità competente considera contrarie alle disposizioni del regolamento (UE) n. 600/2014 e alle disposizioni adottate ai fini dell’attuazione della presente direttiva ed impedire il ripetersi di tali pratiche o condotte;

·      adottare qualunque tipo di misura per garantire che le imprese di investimento, i mercati regolamentati e le altre persone cui si applica la presente direttiva o il regolamento (UE) n. 600/2014 continuino a rispettare gli obblighi di legge;

·      richiedere la sospensione delle negoziazioni di uno strumento finanziario;

·      richiedere l’esclusione di uno strumento finanziario dalla negoziazione, sia in un mercato regolamentato che nell’ambito di altri dispositivi di negoziazione;

·      richiedere a qualsiasi persona di adottare misure per ridurre l’entità di una posizione o esposizione;

·      limitare la possibilità di qualsiasi persona di concludere un contratto derivato su merci, anche introducendo limiti sull’entità di una posizione che qualsiasi persona può detenere in ogni momento a norma dell’articolo 57 della presente direttiva;

·      emanare comunicazioni pubbliche;

·      richiedere, nei termini consentiti dal diritto nazionale, le registrazioni esistenti, detenute da un operatore di telecomunicazioni, riguardanti le comunicazioni telefoniche e gli scambi di dati, qualora vi sia un ragionevole sospetto di violazione e qualora tali registrazioni possano essere rilevanti ai fini di un’indagine per violazioni della presente direttiva o del regolamento (UE) n. 600/2014;

·      sospendere la commercializzazione o la vendita di strumenti finanziari o depositi strutturati qualora le condizioni di cui agli articoli 40, 41 o 42 del regolamento (UE) n. 600/2014 siano soddisfatte;

·      sospendere la commercializzazione o la vendita di strumenti finanziari o depositi strutturati qualora l’impresa di investimento non abbia sviluppato o applicato un processo di approvazione del prodotto efficace o non abbia altrimenti rispettato le disposizioni di cui all’articolo 16, paragrafo 3, della presente direttiva;

·      chiedere la destituzione di una persona fisica dal consiglio di amministrazione di un’impresa di investimento o di un gestore del mercato.

 

Il Presidente della Consob, Vegas, nel corso di un’audizione al Senato il 18 marzo 2015, nell’ambito dell’esame del disegno di legge in commento, ha evidenziato che la nuova disciplina MiFID prevede di attribuire alle autorità di vigilanza i predetti poteri di product intervention, con la finalità di proibire o limitare la diffusione di prodotti finanziari e attività commerciali dannosi per la tutela degli investitori, per l’ordinato funzionamento e l’integrità dei mercati, per la stabilità dell’intero sistema finanziario o di una sua parte.

Relativamente alla questione di riparto delle competenze con la Banca d’Italia, il Presidente Vegas ritiene che l’esercizio dei poteri di product intervention in relazione agli strumenti finanziari e ai depositi strutturati debba essere di esclusiva competenza Consob nel caso in cui l’intervento di vigilanza concerna la tutela dell’investitore e in quello in cui il medesimo sia preordinato ad assicurare l’ordinato funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari o dei mercati delle merci, coerentemente con il criterio di ripartizione per finalità delle competenze di vigilanza fra Consob e Banca d’Italia. Segnatamente, in tale logica, l’intervento di vigilanza, a prescindere dallo strumento finanziario (strumento finanziario e/o deposito strutturato) sul quale lo stesso va ad incidere, deve ritenersi di esclusiva competenza della Consob qualora concerna la tutela dell’investitore (“significant investor protection concern”) ovvero l’ordinato funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari o dei mercati delle merci (“functioning and integrity of financial markets or commodity markets”). Più in generale, la Consob ritiene che i poteri di product intervention abbiano come finalità principale la tutela dell’investitore e la salvaguardia dell’integrità dei mercati, piuttosto che di assicurare la stabilità degli intermediari.

 

e) prevedere, in applicazione del criterio di attribuzione delle competenze, l’intesa della Consob e della Banca d’Italia su specifici aspetti di talune materie indicate dall’art. 6, comma 2-ter del TUF, ai fini dell’adozione dei regolamenti di cui alla precedente lettera c). Inoltre, sugli aspetti oggetto dell’intesa, si stabilisce di attribuire i poteri di vigilanza e indagine all’autorità che fornisce l’intesa. Si veda quanto detto in precedenza con riferimento alla lettera c).

La coesistenza delle potestà delle due autorità su alcune materie relative allo svolgimento dei servizi di investimento da parte dei soggetti autorizzati, in ragione delle finalità di vigilanza assegnate a ciascuna di esse, è regolata dall’articolo 5 del TUF. Nello specifico si tratta delle seguenti materie: il governo societario, i requisiti generali di organizzazione, i sistemi di remunerazione e incentivazione; la continuità dell’attività; la responsabilità dell’alta dirigenza; la gestione dei conflitti di interesse; l’esternalizzazione di funzioni operative essenziali o importanti di servizi o attività.  In relazione a tali materie, pertanto, la potestà regolamentare assegnata a ciascuna delle due autorità dovrà essere condivisa – solo in relazione ad alcuni aspetti specifici, da individuarsi attraverso il riferimento alle finalità della vigilanza - anche dall’altra autorità e, in relazione a tali aspetti, saranno attribuiti a tale ultima autorità particolari e ben definiti compiti  di vigilanza e di indagine.

 

f) attribuire alla Consob poteri di vigilanza di indagine e di adottare disposizioni di disciplina secondaria, sentita la Banca d’Italia, con riguardo ai sistemi e ai controlli, anche di natura organizzativa e procedurale, di cui devono dotarsi le banche e le imprese di investimento nella gestione di sedi di negoziazione. Alla Consob vengono inoltre attribuiti i medesimi poteri in relazione all’attività di negoziazione algoritmica e, ai sensi di quanto stabilito dall’articolo 17 della direttiva, con riferimento ai partecipanti alle sedi di negoziazione.

 

La negoziazione algoritmica è l'uso di algoritmi matematici per mezzo di piattaforme elettroniche che consentono l'operatività in automatico sui mercati finanziari. L'uso di questi sistemi è prettamente istituzionale in quanto usato maggiormente da fondi pensione, traders istituzionali, hedge funds, investment banks e in generale dai market maker. Un tipo di negoziazione algoritmica è l'High frequency Trading, o trading ad alta frequenza: un sistema che permette la negoziazione di grandissimi volumi ad altissima frequenza. La peculiarità degli HFT è il tempo di esecuzione ed esposizione al mercato: da poche frazioni di secondo a diverse ore.

 

Per un approfondimento sulle innovazioni introdotte dalla MiFID II sulla disciplina delle sedi di negoziazione si segnala lo studio della Consob del giugno 2014 Mappatura delle infrastrutture di negoziazione in Italia, e l’articolo di dottrina Le sedi di negoziazione nell’ambito della disciplina MiFID II e MiFIR (di C. Ghielmi, su Diritto Bancario, aprile 2015).

 

L’articolo 17 della direttiva 2014/65/UE prevede che le imprese di investimento che effettuano negoziazione algoritmica pongono in essere controlli dei sistemi e del rischio efficaci e idonei per l’attività esercitata volti a garantire che i propri sistemi di negoziazione siano resilienti e dispongano di sufficiente capacità, siano soggetti a soglie e limiti di negoziazione appropriati e impediscano l’invio di ordini erronei o comunque un funzionamento dei sistemi tale da creare un mercato disordinato o contribuirvi.

Le imprese di investimento che effettuano negoziazioni algoritmiche in uno Stato membro lo notificano alle autorità competenti del loro Stato membro d’origine e della sede di negoziazione in cui le imprese stesse effettuano la negoziazione algoritmica quali membri o partecipanti della sede di negoziazione.

L’autorità competente dello Stato membro d’origine dell’impresa di investimento può prescrivere che quest’ultima fornisca, su base regolare o ad hoc, una descrizione della natura delle proprie strategie di negoziazione algoritmica, dettagli sui parametri o sui limiti di negoziazione a cui il sistema è soggetto, i controlli fondamentali di conformità e di rischio attuati e dettagli sulla verifica dei sistemi.

L’impresa di investimento conserva, servendosi di un modello approvato, registrazioni accurate e sequenziali di tutti gli ordini collocati, compresi la cancellazione di ordini, gli ordini eseguiti e le quotazioni sulle sedi di negoziazione e le mette a disposizione dell’autorità competente su sua richiesta.

 

La relazione illustrativa evidenzia a commento del presente punto che il legislatore europeo, nella revisione della direttiva MiFID, ha provveduto ad una omogeneizzazione della disciplina dei sistemi multilaterali di negoziazione e dei sistemi organizzati di negoziazione rispetto a quella dei mercati regolamentati. L’operare del gestore, in termini di amministrazione della piattaforma, regolamentazione del mercato, governance e struttura organizzativa della società, rileva ai fini dell’ordinato svolgimento delle negoziazioni e dell’integrità dei mercati, ivi inclusa la market abuse detection, al cui rispetto è preposta la Consob.

 

g) attribuire alla Consob i poteri di vigilanza e di indagine e il potere di adottare disposizioni di disciplina secondaria in relazione ai soggetti che gestiscono il consolidamento dei dati, i canali di pubblicazione delle informazioni sulle negoziazioni ed i canali per la segnalazione alla Consob delle informazioni sulle operazioni concluse su strumenti finanziari;

 

h) prevedere che la Banca d’Italia acquisisca obbligatoriamente il parere preventivo della Consob per il rilascio dell’autorizzazione alle banche alla prestazione dei servizi e delle attività d’investimento;

Sul punto si ricorda che il TUF (articolo 19, comma 4) dispone che la Banca d'Italia autorizzi le banche alla prestazione dei servizi. Si prevede il coinvolgimento della Banca d'Italia e della Consob nella vigilanza sulla prestazione dei servizi e delle attività di investimento: la prima è competente per quanto riguarda il contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione degli intermediari; la Consob per quanto attiene alla trasparenza e alla correttezza dei comportamenti. La disposizione contenuta nella lettera h) in commento, modificando la prassi attuale - secondo cui il coinvolgimento della Consob è successivo alla concessione dell’autorizzazione ed è realizzato con l’invio della relativa documentazione - prevede obbligatoriamente l’acquisizione di un parere preventivo rilasciato dalla Consob. La disposizione valorizza, poi, quanto già evidenziato dal Fondo Monetario Internazionale nel rapporto sul Financial Services Action Plan (“FSAP”) reso nel 2013.

In particolare, il FMI ha raccomandato un maggior coinvolgimento della Consob nel processo di autorizzazione degli enti creditizi che intendano svolgere servizi d’investimento e più in generale una revisione del riparto di competenze volto a semplificare il sistema di vigilanza, eliminando ambiguità e rafforzando l’approccio funzionale.

 

i) modificare il procedimento di autorizzazione delle SIM che svolgono attività transfrontaliera, attribuendo alla Consob, sentita la Banca d’Italia, i relativi poteri di autorizzazione;

 

L’articolo 26 del TUF prevede che l’operatività delle SIM in uno Stato extracomunitario è subordinata all’autorizzazione della Banca d’Italia. Il secondo comma del medesimo articolo prevede che la Banca d’Italia, sentita la Consob, stabilisce con regolamento: a) le norme di attuazione delle disposizioni comunitarie concernenti le condizioni necessarie e le procedure che devono essere rispettate perché le SIM possano prestare negli altri Stati comunitari i servizi ammessi al mutuo riconoscimento mediante lo stabilimento di succursali libera prestazione di servizi; b) le condizioni e le procedure per il rilascio alle SIM dell'autorizzazione a prestare negli altri Stati comunitari, le attività non ammesse al mutuo riconoscimento e negli Stati extracomunitari i propri servizi.

 

Il criterio stabilito dalla norma in esame attribuisce invece alla Consob – sentita la Banca d’Italia – i relativi poteri di autorizzazione. In tal modo, la Consob diventerebbe l’autorità competente a fornire l’autorizzazione – sentita la Banca d’Italia - alla prestazione dei servizi e della attività di investimento da parte delle SIM per quanto riguarda la loro operatività transfrontaliera.

 

l) modificare la disciplina relativa alla procedura di autorizzazione delle imprese di investimento extracomunitarie che intendano prestare servizi e attività di investimento a clienti al dettaglio o a clienti professionali, prevedendo, l’obbligo di stabilire una succursale nello Stato italiano e attribuendo, alla Consob, sentita la Banca d’Italia, i relativi poteri di autorizzazione.

Nell’audizione del 18 marzo 2015 del Presidente della Consob, Vegas, si evince che l’obbligo in questione, derivante dall’esercizio da parte del Governo della facoltà prevista dall’articolo 39 della MiFID II, si giustifica al fine di innalzare il livello di tutela degli investitori, poiché la presenza della succursale sul territorio dello Stato agevola lo svolgimento dei controlli da parte della Consob, nonché i contatti dell’investitore con l’intermediario che presta il servizio di investimento.

 

In particoalre, il citato articolo 39 prevede che gi Stati membri possono prescrivere che le imprese di paesi terzi che intendono prestare servizi di investimento o esercitare attività di investimento sul proprio territorio stabiliscano una succursale nello Stato membro in questione. La succursale ottiiene l'autorizzazione preventiva dalle autorità competenti di tale Stato membro e  la relativa prestazione dei servizi è soggetta all'autorizzazione e alla vigilanza nel paese terzo, per cui l'autorità competente presta debita attenzione a eventuali raccomandazioni del GAFI nel contesto delle azioni contro il riciclaggio di denaro e del contrasto al finanziamento del terrorismo;

 

m) modificare il Codice delle assicurazioni private (D.Lgs. n. 209 del 2005 – CAP) ed il citato TUF al fine di recepire l’articolo 91 della direttiva MiFID II, in tema di intermediazione assicurativa, prevedendo anche il ricorso alla disciplina secondaria adottata dall’IVASS e dalla Consob, nonché l’attribuzione alle predette autorità dei relativi poteri di vigilanza, indagine e sanzionatori, secondo le rispettive competenze.

Nell’ambito delle modifiche da apportare ai citati decreti legislativi, si prevede, con particolare riguardo alla Consob, la competenza sui prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione (di cui all’articolo 1, comma 1, lettera w-bis del TUF: si tratta delle polizze e delle operazioni di cui ai rami vita III e V individuate dall'articolo 2, comma 1, del CAP, con esclusione delle forme pensionistiche individuali), nonché sugli altri prodotti rientranti nella nozione di prodotto di investimento assicurativo contenuta nel citato articolo 91, comma 1, lettera b) della direttiva MiFID II.

Si segnala che nello schema di decreto legislativo attuativo della direttiva 2009/138/CE (Solvency II) (A.G. n. 146), la vigilanza sull’attività di assicurazione e di riassicurazione è stata attribuita in via generale all’IVASS. Peraltro, nel parere espresso dalle Commissioni parlamentari, il Governo è stato invitato a valutare l'opportunità di definire con maggiore precisione gli ambiti di competenza delle diverse autorità di vigilanza che a vario titolo esercitano poteri sul settore assicurativo, assicurando, in armonia con la previsione dell'articolo 247, comma 8, della direttiva 2009/138/CE, nonché con gli sviluppi della normativa comunitaria in materia, la massima collaborazione tra di esse, al fine di garantire la migliore efficacia degli assetti di vigilanza pubblicistica in materia, in particolare evitando duplicazioni, sovrapposizioni o conflitti di competenza tra le medesime autorità.

Dagli organi di stampa si apprende che il Governo ha recepito tale osservazione stabilendo che l’IVASS e la Consob, ciascuna secondo le rispettive competenze, dovranno vigilare affinché la condotta degli operatori che commercializzano prodotti assicurativi sia improntata alla trasparenza e alla correttezza nei confronti della clientela.

Il Consiglio dei ministri l’8 maggio 2015 ha approvato in via definitiva il decreto legislativo attuativo della direttiva Solvency II. Il decreto è in attesa di essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

 

n) modificare il TUF al fine di recepire le disposizioni della direttiva in materia di cooperazione e scambio di informazioni con le autorità competenti dell’Unione europea, degli Stati membri e degli Stati non appartenenti alla UE;

 

La MiFID II prevede che lo scambio o la trasmissione di informazioni tra autorità competenti, altre autorità, organismi o persone dovrebbe essere conforme alle norme sul trasferimento di dati personali verso Paesi terzi, come stabilito dalla direttiva 95/46/CE. Lo scambio o la trasmissione di dati personali tra l’ESMA e i Paesi terzi dovrebbe avvenire in conformità delle norme sul trasferimento di dati personali contenute nel regolamento (CE) n. 45/2001. Inoltre è necessario rafforzare le disposizioni riguardanti lo scambio di dati tra autorità nazionali competenti e potenziare i doveri di assistenza e cooperazione reciproche. A causa della crescente attività transfrontaliera, le autorità competenti dovrebbero trasmettersi reciprocamente le informazioni pertinenti ai fini dell’esercizio delle loro funzioni, in modo tale da garantire l’effettiva applicazione della direttiva, anche in situazioni in cui le violazioni o presunte violazioni possono interessare le autorità di due o più Stati membri. Nello scambio di informazioni è necessaria un’osservanza rigorosa del segreto professionale per garantire la trasmissione senza intoppi di tali informazioni e la protezione dei diritti delle persone. In merito poi alle disposizioni in materia di scambio di informazioni si segnalano anche gli articoli 81, 87 e 88 della direttiva MiFID II.

 

o) apportare modifiche ed integrazioni al TUF in materia di consulenti finanziari, società di consulenza finanziaria, promotori finanziari, assegnando ad un unico organismo, ordinato in forma di associazione con personalità giuridica di diritto privato, la tenuta dell’albo, nonché i poteri di vigilanza e sanzionatori nei confronti dei soggetti anzidetti. Con una modifica introdotta nel corso dell’esame al Senato è stato previsto che le spese relative all’albo dei consulenti finanziari devono essere poste a carico dei soggetti interessati.

 

Si ricorda che il decreto-legge n. 91 del 2014 (articolo 21-bis) ha prorogato al 31 dicembre 2015 il termine per continuare ad esercitare l'attività di consulenza in materia di investimento, nelle more dell'attuazione della disciplina relativa all'Albo delle persone fisiche consulenti finanziari, gestito dalla Consob e previsto dal D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164 (decreto legislativo di recepimento della c.d. norme europee "MiFID"). Di conseguenza, nonostante l'esercizio professionale di servizi e attività di investimento sia riservato dalla legge (ai sensi dell'articolo 18 del TUF) a banche e imprese di investimento, i soggetti che al 31 ottobre 2007 prestavano consulenza in materia di investimenti possono continuare a svolgere tale servizio, senza detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei clienti, fino al 31 dicembre 2015.

Si ricorda inoltre che l’articolo 18-bis del TUF ha previsto, al comma 1, che la riserva di attività di cui al richiamato articolo 18 del TUF non pregiudichi la possibilità per le persone fisiche, in possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e patrimoniali stabiliti con regolamento adottato dal Ministro dell'economia e delle finanze, sentite la Banca d'Italia e la Consob, di prestare la consulenza in materia di investimenti, senza detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei clienti. Al comma 2 si è prevista l’istituzione dell'albo delle persone fisiche consulenti finanziari, alla cui tenuta provvede un organismo i cui rappresentanti sono nominati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sentite la Banca d'Italia e la Consob.

L'organismo vigila sul rispetto delle disposizioni rilevanti e, per i casi di violazione delle regole di condotta, delibera, in relazione alla gravità dell'infrazione, la sospensione dall'albo da uno a quattro mesi, ovvero la radiazione dal medesimo. Si è affidato a un regolamento Consob (delibera CONSOB del 12 gennaio 2010, n. 17130) di determinare i principi e i criteri relativi, fra l’altro, alla formazione dell'albo e alle relative forme di pubblicità, all'iscrizione all'albo e alle cause di sospensione, di radiazione e di riammissione, alle cause di incompatibilità, alle regole di condotta che i consulenti devono rispettare nel rapporto con il cliente, avuto riguardo alla disciplina cui sono sottoposti i soggetti abilitati, alle modalità di tenuta della documentazione concernente l'attività svolta dai consulenti finanziari, all'attività dell'organismo, alle modalità di aggiornamento professionale dei consulenti finanziari.

Poiché il suddetto organismo - condizionante l’operatività della normativa di cui alle richiamate disposizioni - non è stato ancora istituito, si pone la necessità di prevedere un ulteriore termine per l’esercizio della predetta attività di consulenza, in attesa dell’adozione di una regolamentazione sistematica che consenta di istituire il previsto albo delle persone fisiche consulenti finanziari e il relativo organismo competente.

 

p) disciplinare le segnalazioni, all’interno degli intermediari e verso l’autorità di vigilanza, delle violazioni delle disposizioni della direttiva MiFID II e del regolamento MiFIR (UE n. 600/2014), eventualmente prevedendo misure per incoraggiare le segnalazioni utili ai fini dell’esercizio dell’attività di vigilanza. Nel corso dell’esame al Senato è stato precisato che, nell’ambito della disciplina delle segnalazioni, da un lato si deve tener conto dei profili di riservatezza e di protezione dei soggetti coinvolti, dall’altro si può valutare l’opportunità di estendere le modalità di segnalazione anche ad altre violazioni.

Si tratta dell’istituto del c.d “whistleblowing” contemplato anche nella Direttiva MAD 2 (Direttiva 2014/57/UE) e nel Regolamento MAR (Regolamento n. 596/2014) in materia di abusi di mercato.

 

q) modificare ed integrare il TUF al fine di attribuire alla Banca d’Italia ed alla Consob, ognuna secondo la rispettive competenze, il potere di applicare le sanzioni e le misure amministrative previste dall’articolo 70 della direttiva MiFID II (paragrafi 6 e 7 per le violazioni indicate dai paragrafi 3, 4 e 5), in base ai criteri e nei limiti massimi ivi previsti ed in coerenza con quanto stabilito dall’articolo 3, lettere l), ed m) della legge 7 ottobre 2014, n. 154;

La disposizione in esame ha quindi ad oggetto l’individuazione specifica delle sanzioni e delle misure amministrative definendo parametri e criteri in ossequio ai principi di legalità e tassatività e prevedendo, anche, ai sensi del paragrafo 7 del citato articolo 70 della MIFID2, che gli Stati membri possano autorizzare le autorità competenti ad imporre tipi aggiuntivi di sanzioni oltre a quelle di cui al paragrafo 6 o ad imporre ammende che superino gli importi di cui al paragrafo 6, lettere f), g) e h).

Si ricorda che la legge n. 154 del 2014 (delegazione europea 2013 – secondo semestre), nell’individuare i criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento nonché del regolamento n. 575/2013 relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi (articolo 3), ha delegato il Governo a rivedere in modo organico la disciplina e la procedura sanzionatoria delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal TUF in materia di abuso di denominazione, comunicazione sulla partecipazione al capitale e in tema di disciplina degli intermediari, dei mercati e della gestione accentrata di strumenti finanziari (articoli 188, 189 e 190).

Il Governo è quindi delegato a rivedere, tenuto conto di quanto disposto ai sensi della legge sul risparmio, i minimi e i massimi edittali delle sanzioni in materia di offerta al pubblico di sottoscrizione e di vendita, informazioni sul governo societario, ammissione alle negoziazioni, informazione societaria e doveri dei sindaci, dei revisori legali e delle società di revisione legale, nonché sulle deleghe di voto (articoli 191, 192-bis, 192-ter, 193 e 194 del TUF), in modo tale da assicurare il rispetto dei principi di proporzionalità, dissuasività e adeguatezza, secondo un’articolazione che preveda minimi non inferiori a euro cinquemila e massimi non superiori a cinque milioni di euro (lettera l), punto 2)).

Ulteriori criteri di delega in materia di sanzioni riguardano l’estensione del principio del favor rei, la definizione dei criteri cui Banca d’Italia e Consob devono attenersi nella determinazione dell’ammontare della sanzione, anche in deroga alle disposizioni contenute nella legge 24 novembre 1981, n. 689, sul sistema penale, la pubblicazione delle sanzioni irrogate e il regime per lo scambio di informazioni con l’Autorità bancaria europea, l’attribuzione alla Banca d’Italia e alla Consob del potere di definire disposizioni attuative, anche riguardo alla nozione di fatturato utile per la determinazione della sanzione, alla procedura sanzionatoria e alle modalità di pubblicazione delle sanzioni (lettera m), punti 1-4). Da segnalare la possibilità per il Governo di prevedere, con riferimento alle fattispecie connotate da minore effettiva offensività o pericolosità, strumenti deflativi del contenzioso o di semplificazione dei procedimenti di applicazione della sanzione; in tale ambito, è rimessa all’autorità di vigilanza la facoltà di escludere l’applicazione della sanzione per condotte prive di effettiva offensività o pericolosità (lettera m), punto 5)).

In attuazione di tale delega il Governo ha presentato alle Camere, che hanno espresso i rispettivi pareri, lo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2013/36/UE sull'accesso all'attività degli enti creditizi e la vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (Atto n. 147), che contiene un’ampia riforma delle sanzioni del TUB e del TUF. Il decreto non è stato ancora emanato in via definitiva.

 

r) attribuire alla Consob il potere di applicare misure e sanzioni amministrative - previste dall’articolo 70, paragrafo 6, della direttiva - per il mancato o inesatto adempimento della richiesta di informazioni di cui all’articolo 22, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 600/2014;

L’adempimento di cui al citato articolo 22, paragrafo 1 del regolamento MiFIR fa riferimento al potere delle autorità competenti di richiedere specifiche informazioni ai gestori dei mercati ai fini dell’applicazione dei regimi di trasparenza pre e post-negoziazione e quindi delle relative deroghe e differimenti sia per gli strumenti rappresentativi di capitale che per quelli non rappresentativi, nonché per il rispetto dell’obbligo di negoziazione su alcuni strumenti finanziari e per determinare se un investitore è un internalizzatore sistematico (sono internalizzatori sistematici le imprese di investimento che negoziano per conto proprio al di fuori dei sistemi, eseguendo ordini dei clienti).

 

s) valutare di non prevedere, in attuazione della disciplina sanzionatoria adottata in virtù della possibilità di cui alla precedente lettera q), alcuna sanzione amministrativa per le fattispecie previste dall’articolo 166 del TUF;

Tale articolo punisce a titolo di “abusivismo” con la reclusione da uno a otto anni e con la multa da euro 4.130 a euro 10.329, la condotta di chi, senza esservi abilitato: a) svolge servizi o attività di investimento o di gestione collettiva del risparmio; b) offre in Italia quote o azioni di OICR; c) offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, strumenti finanziari o servizi o attività di investimento. Con la stessa pena è inoltre punito chi esercita l’attività di promotore finanziario senza essere iscritto nell’albo e chi esercita l’attività di controparte centrale di cui al regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, senza aver ottenuto la preventiva autorizzazione ivi prevista.

 

t) prevedere modifiche alla normativa vigente, anche di derivazione UE, per i settori interessati dalla normativa da attuare e per la gestione collettiva del risparmio, con la finalità di realizzare il miglior coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell’investitore e di tutela della stabilità finanziaria.

 

Il comma 2 contiene la clausola di invarianza finanziaria, precisando che dall'attuazione della direttiva citata non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Procedure di contenzioso

Il 26 settembre 2013 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2013/0311) per il mancato recepimento della direttiva 2011/61/UE relativa ai gestori di fondo di investimento alternativi (modificata dalla direttiva oggetto del presente articolo). Lo scorso 26 marzo 2015 la Commissione europea ha emanato un parere motivato.

 

Il termine per il recepimento scadeva il 22 luglio 2013.

 

Al riguardo, si ricorda che, in base all’articolo 260, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’UE, la Commissione, quando presenta ricorso alla Corte contro uno Stato membro  che abbia mancato di comunicare le misure di attuazione di una direttiva, può, se lo ritiene opportuno, chiedere alla Corte di condannare direttamente tale Stato al pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.

La Corte, se accetta l’inadempimento contestato dalla Commissione, può comminare allo Stato membro in questione il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità entro i limiti dell’importo indicato dalla Commissione. L’importo è esigibile alla data fissata dalla Corte nella sentenza.

 

Si segnala che il D.Lgs. n. 44 del 2014 ha recepito la normativa europea sui gestori di fondi di investimento alternativi (direttiva 2011/61/UE), che definisce regole armonizzate sui gestori di fondi di investimento alternativi, prevedendo l'applicazione di regole di condotta, di trasparenza informativa e di requisiti patrimoniali, organizzativi e di controllo del rischio analoghi a quelli previsti per le società di gestione di fondi comuni armonizzati. In base alle nuove norme, i gestori europei autorizzati ai sensi della direttiva potranno commercializzare liberamente in tutta l'Unione Europea, nei confronti di investitori professionali, fondi di investimento alternativi da essi gestiti; essi potranno inoltre gestire fondi alternativi riservati a investitori professionali negli altri paesi dell'Unione Europea su base transfrontaliera o con stabilimento di succursali.

La Banca d'Italia e la Consob hanno pubblicato il 26 luglio 2013 un comunicato congiunto contenente chiarimenti circa la normativa applicabile a far data dal 22 luglio 2013.

 


 

Articolo 10
(
Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2014/91/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, recante modifica della direttiva 2009/65/CE concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), per quanto riguarda le funzioni di depositario, le politiche retributive e le sanzioni)

 

 

L'articolo 10, inserito nel corso dell’esame al Senato, prevede la delega al Governo per l'attuazione della direttiva 2014/91/UE (c.d. UCITS V), in materia di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) per quanto riguarda le funzioni di depositario, le politiche retributive e le sanzioni.

 

Si segnala che l’esigenza di introdurre la norma in commento nel disegno di legge in esame è stata evidenziata dal Presidente della Consob, Vegas, nel corso dell’audizione tenuta al Senato il 18 marzo 2015, nell’ambito dell’esame di questo provvedimento.

 

Il comma 1 prevede che, nell'esercizio della delega, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai principi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, comma 1, anche i seguenti principi e criteri specifici:

 

a) apportare al TUF, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva 2014/91/UE (UCITS V);

 

b) prevedere il ricorso alla disciplina secondaria adottata dalla Consob e dalla Banca d'Italia secondo le rispettive competenze;

 

c) apportare modifiche e integrazioni alle disposizioni in materia di sanzioni contenute nel TUF, al fine di attribuire alla Banca d'Italia e alla Consob, nell'ambito delle rispettive competenze, il potere di imporre le sanzioni e le altre misure amministrative per le violazioni delle disposizioni della direttiva 2014/91/UE con i criteri e i massimi edittali ivi previsti;

 

d) provvedere affinché siano in atto i dispositivi e le procedure per la segnalazione di violazioni di cui all'articolo 99-quinquies della direttiva 2009/65/CE (cd. whistleblowing), così come modificata dalla citata direttiva 2014/91/UE, tenendo anche conto dei profili di riservatezza e di protezione dei soggetti coinvolti;

 

L'articolo 99-quinquies, dispone che gli Stati membri mettano in atto meccanismi efficaci e affidabili per incoraggiare la segnalazione alle autorità competenti delle violazioni potenziali o effettive delle disposizioni nazionali di recepimento della presente direttiva, compresi canali di comunicazione sicuri per tali segnalazioni. Tali meccanismi includono almeno:

·        procedure specifiche per il ricevimento di segnalazioni di violazioni e per il relativo seguito;

·        protezione adeguata per i dipendenti delle società di investimento, delle società di gestione e dei depositari, che segnalano violazioni commesse all’interno di tali soggetti almeno riguardo a ritorsioni, discriminazioni o altri tipi di trattamento iniquo (cd. whistleblowing);

·        protezione dei dati personali concernenti sia la persona che segnala le violazioni sia la persona fisica sospettata di essere responsabile della violazione, conformemente alla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;

·        norme chiare che assicurano che la riservatezza sia garantita in tutti i casi con riguardo alla persona che segnala una violazione, salvo che la comunicazione di tali informazioni sia richiesta dalla normativa nazionale nel contesto di ulteriori indagini o successivi procedimenti giudiziari.

L’ESMA (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) predispone uno o più canali di comunicazione sicuri per la segnalazione di violazioni delle disposizioni nazionali di recepimento della presente direttiva.

Gli Stati membri provvedono a che la segnalazione da parte dei dipendenti delle società di investimento, delle società di gestione e dei depositari non sia considerata una violazione di eventuali norme restrittive sulla divulgazione di informazioni imposte per contratto o per disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa né implichi per la persona che effettua la segnalazione alcuna forma di responsabilità in relazione alla segnalazione stessa. Gli Stati membri devono inoltre imporre alle società di gestione, alle società di investimento e ai depositari di disporre di procedure adeguate affinché i propri dipendenti possano segnalare violazioni a livello interno avvalendosi di un canale specifico, indipendente e autonomo.

 

e) adottare, in conformità alle definizioni, alla disciplina della direttiva 2014/91/UE e ai criteri direttivi previsti dalla legge in esame, le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione comunitaria, per i settori interessati dalla direttiva da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell'investitore, di tutela della stabilità finanziaria e dell'integrità dei mercati finanziari.

 

Il secondo comma precisa che dall'attuazione della direttiva citata non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

La direttiva 2014/91/UE (c.d. UCITS V), in vigore dal 17 settembre 2014, deve essere recepita nel diritto nazionale dagli Stati membri entro il 18 marzo 2016 (18 mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea).

Lo scopo della direttiva - aggiornamento della direttiva 2009/65/CE ( “Direttiva UCITS IV”), relativa al coordinamento delle disposizioni amministrative in materia di organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) - è quello di armonizzare le seguenti disposizioni:

- funzioni di depositario: individuazione dei soggetti abilitati ad assumere la funzione di depositario; generali obblighi di controllo e di custodia ascritti in capo al depositario; condizioni alle quali il depositario può sub-depositare e compiti che possono essere legittimamente affidati al sub-depositario; individuazione delle condizioni alle quali è consentito il riutilizzo degli asset da parte del depositario; regime di responsabilità. In particolare, la direttiva UCITS V prevede che gli OICVM possono nominare soltanto un unico depositario e la nomina deve essere evidenziata da un accordo scritto. Il depositario è incaricato delle funzioni di custodia, supervisione e monitoraggio dei flussi finanziari, in linea con le disposizioni della direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi (direttiva 2011/61/UE, c.d. AIFMD.

Si evidenzia che la direttiva AIFMD è stata attuata in Italia con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 44. Come evidenziato dal Presidente Vegas, il D.Lgs. n. 44 del 2014 ha tenuto conto dell'evoluzione della normativa europea sulla depositaria di matrice UCITS. In particolare, la disciplina di recepimento della Direttiva AIFMD è stata estesa anche ai fondi UCITS, prevedendo tuttavia un termine di differimento dell’efficacia delle nuove disposizioni pari a un anno. Il medesimo approccio è stato seguito dalla Banca d’Italia in sede di adeguamento del proprio Regolamento sulla gestione collettiva dell’8 maggio 2012 a seguito del recepimento della Direttiva AIFMD, entrato in vigore il 3 aprile 2015;

- politiche retributive delle società di gestione: la direttiva introduce modifiche delle politiche di remunerazione, al fine di promuovere una gestione efficace dei rischi, in linea con il profilo di rischio dell’OICVM. A seconda dell’organizzazione, della natura, della portata e della complessità delle attività della società di gestione, sono stabiliti specifici principi. Le politiche di remunerazione si applicano alle categorie di personale le cui attività professionali hanno un impatto rilevante sui profili di rischio degli OICVM. La ratio dell’intervento risiede nella necessità che la politica di remunerazione sia idonea a promuovere una sana e prudente gestione del rischio, senza incoraggiare l'assunzione di rischi non coerenti rispetto alle caratteristiche del fondo, e risulti in linea con le strategie e gli obiettivi prefissati nonché con le esigenze degli investitori. Si prevede un obbligo di pubblicità della politica di remunerazione nel prospetto.

La materia dei sistemi di remunerazione e di incentivazione dei soggetti abilitati è menzionata nell’articolo 6, comma 2-bis del TUF, che assegna la competenza regolamentare congiuntamente alla Banca d’Italia e alla Consob, con una formulazione sufficientemente ampia da ricomprendere tanto i gestori UCITS quanto quelli di FIA (cfr. Vegas nella citata audizione). Si evidenzia che l’articolo 9 del disegno di legge in esame dispone il superamento dell’attività regolamentare congiunta della Banca d’Italia e della Consob, al fine di rendere più efficiente ed efficace l’assegnazione dei compiti di vigilanza e di ridurre gli oneri per i soggetti vigilati. In particolare per specifici aspetti relativi alle si richiede la sola intesa della Banca d'Italia e della Consob ai fini dell'adozione dei regolamenti. Pertanto, nell’adozione della disciplina secondaria le due Autorità potranno emanare i regolamenti, previa intesa con l’altra, quando si tratterà delle seguenti materie: governo societario, requisiti generali di organizzazione, sistemi di remunerazione e di incentivazione; continuità dell'attività; responsabilità dell'alta dirigenza; esternalizzazione di funzioni operative essenziali o importanti o di servizi o attività; gestione dei conflitti di interesse, potenzialmente pregiudizievoli per i clienti (articolo 6, comma 2-bis, lettere a)b)h)k) e l)).

- sanzioni amministrative: la direttiva UCITS V definisce un elenco esaustivo delle violazioni che implicano la comminazione di sanzioni da parte delle autorità competenti; la direttiva prevede sanzioni di 5 milioni di euro o 10% del fatturato annuo totale di una società, di 5 milioni di euro per gli individui o il doppio del profitto derivante dalla violazione se determinabile. Altre misure sono introdotte, quale l’obbligo per gli Stati membri di istituire meccanismi efficaci per incoraggiare la segnalazione di violazioni e per fornire un canale sicuro per abilitare tale comunicazione. È previsto l'obbligo per le autorità competenti di pubblicare ogni provvedimento sanzionatorio.

 

 

 


 

Articolo 11
(
Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato (direttiva abusi di mercato), anche ai fini dell’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato del regolamento (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione)

 

 

L'articolo 11, inserito dal Senato, delega il Governo a dare attuazione alla nuova disciplina UE sugli abusi di mercato, in particolare individuando l’autorità competente in tale ambito (CONSOB) e le modalità di cooperazione tra autorità nazionale e autorità estere.

Le disposizioni contengono specifiche indicazioni sia sulle sanzioni amministrative che la Consob deve applicare, sia sul recepimento in Italia dell’obbligo di prevedere sanzioni penali per i casi di violazioni gravi e dolose, previsto dalle norme europee.

 

In primo luogo, la disposizione di delega prevede (lettera a) del comma 1) che sia adeguatamente modificato e integrato il testo unico finanziario – TUF (d.lgs. n. 58 del 1998) con le norme necessarie ad attuare la direttiva 2014/57/UE e alle disposizioni del regolamento  n. 596/2014, abrogando contestualmente le norme dell'ordinamento nazionale che riguardano gli istituti disciplinati dal regolamento anzidetto.

Le condotte di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato sono sanzionate, rispettivamente, agli articoli 184 (reclusione da 2 a 12 anni e multa da 20.000 a 3 milioni di euro) e 185 (reclusione da 2 a 12 anni e multa da 20.000 a 5 milioni di euro) del citato Testo Unico. Il Capo I del Titolo III del TUF, dedicato all’informazione societaria, contiene invece la disciplina concernente gli obblighi informativi in capo agli emittenti.

 

La successiva lettera b) chiarisce che la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) viene designata quale autorità competente ai fini del regolamento in epigrafe, assicurando che la stessa autorità possa esercitare i poteri di vigilanza e di indagine attribuiti dagli articoli 22 e 23 del regolamento, e i relativi poteri sanzionatori (articolo 30).

 

Con la lettera c) si dispone che le norme di delega prevedano il ricorso alla disciplina secondaria, adottata dalla CONSOB, nell'ambito e per le finalità specificamente previste dal regolamento n. 596/2014, dalla direttiva 2014/57/UE e dalla legislazione dell'Unione europea.

 

La lettera d) prevede di modificare, ove necessario, il citato TUF per conformare l'ordinamento nazionale alle disposizioni di cui agli articoli 24, 25 e 26 del regolamento (UE) n. 596/2014 che recano, rispettivamente, norme in materia di cooperazione e scambio di informazioni con l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (AESFM - ESMA), le autorità competenti degli Stati membri, nonché con le autorità di vigilanza di paesi terzi.

 

La lettera e) attribuisce alla CONSOB il potere di applicare le sanzioni e le altre misure amministrative per le violazioni espressamente elencate dall'articolo 30 del regolamento (abuso di informazioni privilegiate e comunicazione illecita di informazioni privilegiate; manipolazione del mercato; condotte connesse alla prevenzione e individuazione di abusi di informazioni privilegiate, manipolazioni del mercato e relativi tentativi; condotte connesse alla comunicazione al pubblico di informazioni privilegiate ed alla tenuta degli elenchi delle persone aventi accesso a informazioni privilegiate; condotte effettuate da persone che esercitano funzioni di amministrazione, di controllo o di direzione; obblighi di coloro che producono o diffondono raccomandazioni in materia di investimenti o altre informazioni che raccomandano o consigliano una strategia di investimento in ordine, tra l’altro, alla correttezza delle informazioni presentate).

 

Ai sensi della lettera f), le norme di delega dovranno ridurre dagli attuali 100.000 euro a 20.000 euro il valore minimo delle sanzioni amministrative pecuniarie per abuso di informazioni privilegiate, comunicazione di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato previste dagli articoli 187-bis e 187-ter del TUF.

 

In materia di confisca, ferma restando l’attuale disciplina della confisca penale (art. 187 del TUF), la lettera g) prevede una revisione della disciplina della confisca amministrativa (art. 187-sexies), limitandola al solo profitto dell’illecito (oggi comprende anche il prodotto ed i mezzi utilizzati) in modo da renderla maggiormente proporzionata all’effettiva utilità conseguita dai soggetti e superare le eccezioni di incostituzionalità in più sedi avanzate.

 

La lettera h) prescrive che, per stabilire il tipo ed il livello di sanzione amministrativa per le violazioni delle previsioni stabilite dal regolamento, si tenga conto delle circostanze pertinenti, elencate dall'articolo 31 del medesimo regolamento, tra cui la gravità e la durata della violazione, il grado di responsabilità dell’autore della violazione, la capacità finanziaria dell’autore della violazione, quale risulta, per esempio, dal fatturato complessivo della persona giuridica o dal reddito annuo della persona fisica; l’ammontare dei profitti realizzati e delle perdite evitate da parte dell’autore della violazione, nella misura in cui possano essere determinati; il livello di cooperazione che l’autore della violazione ha dimostrato con l’autorità competente, ferma restando la necessità di garantire la restituzione dei guadagni realizzati o delle perdite evitate; le eventuali precedenti violazioni da parte dell’autore della violazione; le misure adottate dall’autore della violazione al fine di evitarne il ripetersi.

 

In ordine alle sanzioni penali e al loro rapporto con le sanzioni amministrative (di cui alla lettera i)) la delega al Governo riguarda l’individuazione - oltre alle sanzioni amministrative proporzionate, efficaci e dissuasive – per i casi gravi e dolosi, di illeciti penali con pene anch’esse proporzionate, efficaci e dissuasive.

 

Al riguardo si fa presente che la disciplina penale in materia è già in linea con la direttiva in commento, come peraltro segnalato nella relazione illustrativa al disegno di legge di delegazione europea presentato dal Governo al Senato (S. 1758). Le norme di delega in esame riguardano quindi ulteriori aspetti di coordinamento necessari al corretto recepimento della direttiva.

 

Per l’individuazione delle condotte dolose gravi di abuso di mercato (lettera l) si fa rinvio ai criteri indicati dalla Direttiva 20114/57/UE (MAD 2) e fra questi viene indicata, con valenza esemplificativa, la qualificazione soggettiva dei trasgressori, come quando essi siano esponenti di emittenti quotati (e pertanto soggetti a speciali obblighi informativi e di comportamento), di autorità di vigilanza o di governo, membri di organizzazioni criminali, soggetti che abbiano già commesso le medesime violazioni.

 

La lettera m) richiede esplicitamente che sia evitata la duplicazione e/o il cumulo di sanzioni penali e amministrative per lo stesso fatto illecito, indicando diverse modalità per perseguire tale obiettivo. In particolare si prescrive di:

-        distinguere le fattispecie;

-        applicare della sola sanzione più grave;

-        imporre, all’autorità di vigilanza o all’autorità giudiziaria, di tenere conto, al momento dell’irrogazione di sanzioni di propria competenza, delle misure già computate (meccanismo già presente nel vigente art. 187-terdecies).

 

Si ricorda al riguardo che la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), con una sentenza depositata il 4 marzo 2014, ha condannato l'Italia per violazione del diritto a non essere giudicati due volte per lo stesso reato (ricorso Grande Stevens e altri contro Italia), riconoscendo un indennizzo ai ricorrenti. La Corte ha stabilito che se la sanzione qualificata come amministrativa sul piano interno è di una severità tale da essere equiparabile ad una sanzione penale non è possibile avviare un nuovo procedimento giurisdizionale penale dopo quello di natura amministrativa. La Corte di Strasburgo ha anche imposto, per la prima volta, l'immediata chiusura del procedimento penale in corso, senza pregiudizio per i ricorrenti.

 

La lettera n) impone di dare attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 32 del regolamento, concernente la segnalazione verso l'autorità di vigilanza competente di violazioni effettive o potenziali, tenendo anche conto dei profili di riservatezza e di protezione dei soggetti coinvolti.

 

Con la lettera o) si delega il Governo a valutare, ai sensi del paragrafo 4 dell'articolo 32 del regolamento, l’opportunità di prevedere la concessione di incentivi finanziari a coloro che offrono informazioni pertinenti riguardo a potenziali violazioni del regolamento stesso.

 

La lettera p) dispone che le norme di delega dovranno consentire, nei termini dell'articolo 34 del regolamento, la pubblicazione da parte della CONSOB sul proprio sito Internet delle decisioni relative all'imposizione di misure e sanzioni amministrative per le violazioni delle norme UE.

Ai sensi del richiamato articolo 34, le autorità competenti pubblicano le decisioni in materia di sanzioni e altre misure sui propri siti Internet immediatamente dopo che la persona destinataria di tale decisione sia stata informata; la pubblicazione fornisce informazioni relative almeno al tipo e alla natura della violazione nonché all’identità della persona che ne è destinataria, fatta eccezione per quanto riguarda le misure investigative. Sono comunque previste specifiche deroghe correlate a elementi di natura oggettiva e soggettiva.

 

Infine, la lettera q) impone di adottare le opportune modifiche di coordinamento alla normativa vigente, anche per assicurare un appropriato grado di protezione dell'investitore, di tutela della stabilità finanziaria e dell'integrità dei mercati finanziari.

 

Il comma 2 dell’articolo 11 reca la clausola di invarianza finanziaria in base alla quale dall'attuazione della disposizione in parola non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e l'Autorità interessata provvede agli adempimenti di cui al presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

 

La riforma comunitaria degli abusi di mercato (market abuse)

 

Il 12 giugno del 2014 sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il regolamento UE n. 596/2014 sugli abusi di mercato e la direttiva 2014/57/UE relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato.

Con i termini “market abuse” si indica un insieme di condotte di manipolazione dei mercati finanziari, che causano in via diretta o indiretta conseguenze sfavorevoli per gli investitori, dovute al fatto che altri soggetti (ovvero operatori del mercato) hanno usufruito di informazioni confidenziali, ovvero abbiano falsato il meccanismo di determinazione dei prezzi degli strumenti finanziari o divulgato informazioni false o ingannevoli.

La linea di tendenza seguita dal legislatore europeo nel caso degli abusi di mercato è quella di incentivare il ricorso a forme di doppio binario sanzionatorio, penale e amministrativo.

Dal rapporto della Commissione europea è emerso che la precedente direttiva 2003/6 non è stata attuata in modo adeguato in tutti gli Stati membri i quali hanno predisposto unicamente misure amministrative che, alla prova dei fatti, si sono mostrate inadeguate. Si è, inoltre, rilevato come l’assenza di sanzioni penali abbia inciso in modo negativo sull’uniformità delle condizioni operative del mercato interno. Proprio per ovviare a tali mancanze, le nuove norme chiedono agli Stati membri sanzioni più efficaci, in grado di svolgere un effetto dissuasivo almeno per i reati più gravi.

La direttiva 2014/57/UE introduce sanzioni proporzionate ai profitti conseguiti da chi commette il reato e ai danni provocati anche ai mercati e all’economia in generale. Per i reati previsti dagli articoli 3 a 5 (abuso di informazioni privilegiate, raccomandazione o induzione di altri alla commissione di abuso di informazioni privilegiate, comunicazione illecita di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato) la durata massima della pena non può essere inferiore ai 4 anni. Tra le altre sanzioni, poi, gli Stati potranno prevedere l’esclusione dal godimento di contributi o sovvenzioni pubblici; l’interdizione temporanea o permanente all’esercizio di un’attività d’impresa; l’assoggettamento a controllo giudiziario; provvedimenti giudiziari di liquidazione; la chiusura temporanea o permanente dei locali usati per commettere il reato. Il termine per il recepimento è fissato al 3 luglio 2016.

Assieme alla direttiva sulle sanzioni è stato pubblicato il regolamento UE n. 596/2014 relativo agli abusi di mercato, che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione (abusi di mercato), nonché la direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE.

Gli obblighi stabiliti di prevedere negli ordinamenti nazionali pene per le persone fisiche e sanzioni per le persone giuridiche non esonerano gli Stati membri dall’obbligo di contemplare sanzioni amministrative e altre misure per le violazioni previste nel regolamento (UE) n. 596/2014, salvo che gli Stati membri non abbiano deciso, conformemente al regolamento (UE) n. 596/2014, di prevedere per tali violazioni unicamente sanzioni penali nel loro ordinamento nazionale.

Si individua, poi, quella che può rivelarsi una generale linea di confine tra le due tipologie di illecito e sanzioni, in modo da evitare possibili violazioni del principio del bis in idem nei diversi Stati membri dell’Unione: nel considerandum 23 della direttiva, infatti, si precisa l’ambito di applicazione della direttiva in relazione al connesso strumento regolamentare (n. 596/2014), poiché mentre le condotte illecite commesse con dolo dovrebbero essere punite conformemente alla direttiva, almeno nei casi gravi, le sanzioni per le violazioni del regolamento n. 596/2014 non richiedono che sia comprovato il dolo o che gli illeciti siano qualificati come gravi.

Nella medesima prospettiva il legislatore europeo individua (ad es. i consideranda 11 e 12), una serie di criteri di ordine generale per poter qualificare “gravi” gli illeciti di manipolazione del mercato e quelli di abuso di informazioni privilegiate, muovendo dal presupposto (considerandum 6) che è essenziale rafforzare il rispetto delle norme sugli abusi di mercato istituendo sanzioni penali, che dimostrino una forma più forte di disapprovazione sociale rispetto alle sanzioni amministrative.

In particolare, il regolamento UE n. 596/2014 istituisce un quadro normativo comune in materia di abuso di informazioni privilegiate, comunicazione illecita di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato (le cd. condotte qualificate come “abusi di mercato”) e contiene misure per prevenire gli abusi di mercato, onde garantire l’integrità dei mercati finanziari dell’Unione e accrescere la tutela degli investitori e la fiducia in tali mercati.

In estrema sintesi, il regolamento si applica agli strumenti finanziari ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione su un mercato regolamentato, ma – innovando così rispetto al passato – anche agli strumenti finanziari negoziati su un sistema multilaterale di negoziazione (o per cui è stata presentata apposita richiesta), su altri sistemi di negoziazione organizzati e over the counter, nonché ai mercati delle merci e degli strumenti derivati collegati.

Si prevedono condotte legittime (cd. safe harbour, di cui all’articolo 9 del regolamento), ai sensi delle quali non costituisce, di per sé, abuso di informazioni privilegiate l’uso di informazioni acquisite nel quadro di operazioni di fusione o acquisizione e utilizzate a tali fini, ovvero l’uso della decisione di acquisire o disporre di certi strumenti finanziari nell’acquisizione o disposizione di tali strumenti. Il regolamento elenca inoltre (articolo 13) le prassi di mercato ammesse che consentono di non incorrere nei divieti di manipolazione del mercato.

L’articolo 11 del regolamento consente di effettuare sondaggi di mercato (definiti quali “comunicazioni di informazioni privilegiate quando una persona è in possesso di informazioni privilegiate e comunica tali informazioni a un’altra persona, tranne quando la comunicazione avviene durante il normale esercizio di un’occupazione, una professione o una funzione”) subordinatamente a specifiche condizioni previste dalle norme regolamentari. Si estende la definizione di manipolazione del mercato anche agli ordini di negoziazione effettuati attraverso mezzi elettronici, come le strategie di negoziazione algoritmiche e ad alta frequenza (articolo 12, comma 2, lettera c), ai sensi della quale la condotta è inoltrata anche mediante inoltro di ordini in una sede di negoziazione, comprese le relative cancellazioni o modifiche, con ogni mezzo disponibile di negoziazione, anche attraverso mezzi elettronici, come le strategie di negoziazione algoritmiche e ad alta frequenza).

Viene stabilita l’illiceità del tentativo di abuso di informazioni privilegiate e manipolazioni del mercato (articolo 16, comma 2).

Il regolamento disciplina dettagliatamente gli obblighi di comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate da parte degli emittenti quotati, prevedendo la possibilità per l’emittente di ritardare la divulgazione al pubblico di tali informazioni qualora sussistano specifiche condizioni (articolo 17).

Si stabilisce l’obbligo di notifica all’emittente e all’autorità competente delle operazioni effettuate da persone che esercitano funzioni di amministrazione, controllo o direzione e da persone ad essi strettamente collegate: la soglia annuale che fa scattare l’obbligo di notifica è fissata a 5.000 euro, ma il regolamento prevede la possibilità per le autorità competenti di aumentare la predetta soglia fino a 20.000 euro, con termine per la notifica  fissato a 3 giorni dall’operazione (art. 19, comma 9).

Sono previste semplificazioni per gli emittenti i cui strumenti finanziari sono ammessi alla negoziazione su un mercato di crescita per le PMI e in particolare obblighi semplificati di divulgazione delle informazioni (art. 17, comma 9) .

L'entrata in vigore del regolamento è fissata al 3 luglio 2016, con molte norme immediatamente precettive.

 

 

 


 

Articolo 12
(
Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 909/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, relativo al miglioramento del regolamento titoli nell'Unione europea e ai depositari centrali di titoli e recante modifica delle direttive 98/26/CE e 2014/65/UE e del regolamento (UE) n. 236/2012, per il completamento dell'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, sugli strumenti derivati OTC, le controparti centrali e i repertori di dati sulle negoziazioni nonché per l'attuazione della direttiva 98/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 1998, concernente il carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento titoli, come modificata dal regolamento (UE) n. 648/2012 e dal regolamento (UE) n. 909/2014)

 

 

L'articolo 12, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, delega il Governo ad adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 909/2014 (cd. CSD - Central Securities Depositories Regulation); a completare l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 648/2012 (cd. EMIR - European Market Infrastructure Regulation); a trasporre nell’ordinamento interno delle modifiche apportate alla direttiva 98/26/CE dai citati regolamenti (UE) n. 909/2014 e n. 648/2012.

In particolare, la CONSOB e la Banca d'Italia sono designate quali autorità competenti ai sensi delle norme europee, con l’attribuzione di poteri di vigilanza e d'indagine necessari per l'esercizio delle rispettive funzioni. A tal fine, la norma di delega in esame individua la CONSOB quale autorità responsabile della cooperazione, nonché quale autorità competente a ricevere la domanda di autorizzazione da parte del depositario centrale di titoli e a comunicare al soggetto richiedente il relativo esito. Sono introdotte specifiche sanzioni per le violazioni delle previsioni del regolamento (UE) n. 909/2014, secondo le indicazioni contenute nel regolamento stesso; esse sono comminate dalle autorità di vigilanza in misura efficace, proporzionata e dissuasiva.

Le norme in commento recano poi una delega a rivalutare la complessiva attuazione della direttiva 98/26/CE.

 

In termini generali, le richiamate norme UE perseguono i seguenti obiettivi:

·        determinare le condizioni per mitigare i rischi sistemici per la stabilità finanziaria connessi alle negoziazioni in contratti derivati over-the-counter (OTC) e di migliorare la trasparenza degli stessi contratti (regolamento UE n. 648/2012);

·        armonizzare le attività di regolamento dei titoli all'interno dell’Unione europea e introdurre requisiti specifici per gli operatori che intendono effettuare le attività di regolamento titoli nell’ambito del mercato UE, creando così un mercato unico dei servizi di gestione accentrata e di regolamento dei titoli e al contempo favorendo l'attenuazione dei rischi di regolamento delle transazioni in strumenti finanziari (regolamento UE n. 909/2014);

·        attenuare il rischio sistemico connesso ai sistemi di pagamento e di regolamento titoli, ridurre le turbative al sistema derivanti dalla procedura d’insolvenza nei confronti di uno dei partecipanti a tale sistema (direttiva 98/26/CE e successive modificazioni).

 

Il regolamento (UE) n. 648/2012 sugli strumenti derivati OTC (over the counter, ossia fuori dai mercati regolamentati), le controparti centrali e i repertori di dati sulle negoziazioni (trade repository), cd. regolamento EMIR, identifica le seguenti categorie di soggetti:

- controparti finanziarie, la cui tassonomia viene indicata dal regolamento stesso;

- controparti non finanziarie, definite come tutte le imprese stabilite nell’Unione, diverse dalle controparti finanziarie e dalle controparti centrali;

- controparti non finanziarie qualificate, che corrispondono al genere più esteso delle controparti non finanziarie, ma se ne differenziano poiché il valore nozionale lordo del portafoglio di strumenti derivati per i quali non sia oggettivamente misurabile la capacità di ridurre i rischi direttamente legati all’attività commerciale o di finanziamento di tesoreria dalle stesse detenuto supera determinate soglie, distinte per categoria di strumento derivato.

Gli obblighi che discendono dal regolamento EMIR si applicano in funzione dell’appartenenza del soggetto ad una delle categorie sopra indicate.

In particolare. le controparti finanziarie sono sottoposte:

- all’obbligo di clearing, che consiste nel sottoporre a compensazione mediante controparte centrale i contratti derivati negoziati OTC che appartengano ad una classe di derivati che sia stata dichiarata soggetta all’obbligo;

- all’obbligo di applicare tutte le tecniche di mitigazione del rischio previste dal regolamento EMIR con riferimento ai contratti non sottoposti a compensazione mediante controparte centrale.

Le controparti non finanziarie sono sottoposte:

- all’obbligo di verifica che il valore del portafoglio di strumenti derivati OTC non superi la soglia di compensazione;

- all’obbligo di applicare talune tecniche di mitigazione del rischio con riferimento ai contratti non sottoposti a compensazione mediante controparte centrale.

Le controparti non finanziarie qualificate sono sottoposte:

- all’obbligo di notificare alla CONSOB e all’ESMA l’avvenuto superamento e l’eventuale ritorno nei limiti delle soglie;

- all’obbligo di clearing, per i contratti interessati dall’obbligo e conclusi successivamente al superamento delle soglie;

-  all’obbligo di applicare tutte le tecniche di mitigazione del rischio previste da EMIR con riferimento ai contratti non sottoposti a compensazione mediante controparte centrale.

L’EMIR introduce anche l’obbligo di reporting dei contratti derivati ad una trade repository autorizzata o riconosciuta dall’ESMA, che si applica alle controparti centrali ed ai soggetti appartenenti ad ognuna delle suddette categorie.

Alle norme EMIR è stata data attuazione con il regolamento di esecuzione UE n. 1247/2012 e con i regolamenti delegati (UE) nn. 148/2013, 149/2013 e 151/2013;

 

Il regolamento 909/2014, cd. CSD, si inserisce nel quadro delle iniziative UE in materia di infrastrutture di mercato, introducendo requisiti uniformi in materia di autorizzazione ed organizzazione, gestione dei rischi e vigilanza dei depositari centrali di titoli. Per depositario centrale di titoli si intende la persona giuridica che opera un sistema di regolamento titoli (cd. servizio di regolamento) e fornisce almeno un altro servizio di base quale la registrazione iniziale dei titoli in un sistema di scritture contabili (cd. servizio di notariato) o la fornitura e mantenimento dei conti titoli al livello più elevato (servizio di gestione accentrata).

Esso prevede che i soggetti già operanti ai sensi degli ordinamenti nazionali quali depositari centrali di titoli presentino istanza di autorizzazione entro 6 mesi dall’entrata in vigore di alcuni standard tecnici.  Il regolamento prevede che, fatte salve le funzioni di “oversight” dei membri del Sistema europeo delle banche centrali, un CSD sia autorizzato e vigilato dall’autorità competente del proprio Stato membro d’origine, che ciascuno Stato membro è tenuto a designare, informandone l’ESMA.

Sulla falsariga di quanto stabilito dal regolamento EMIR, si richiede che, ove uno Stato membro designi più di un’autorità competente, siano specificati chiaramente i rispettivi ruoli e una sola autorità sia designata come responsabile della cooperazione con le autorità competenti degli altri Stati membri e le altre autorità di cui il regolamento prevede il coinvolgimento a diverso titolo (articolo 11). L’ESMA pubblica sul suo sito Internet l’elenco delle autorità competenti designate; alle autorità competenti sono conferiti i poteri di vigilanza e di indagine necessari per l’esercizio delle loro funzioni.

 

Le vigenti disposizioni in materia (articolo 69 e seguenti del Testo Unico Finanziario – TUF, di cui al D.lgs. n. 58 del 1998) prevedono che la Banca d’Italia disciplini, d’intesa con la CONSOB, il funzionamento dei servizi di liquidazione delle operazioni aventi a oggetto strumenti finanziari non derivati e ne autorizzi la gestione, sempre d’intesa con la CONSOB. La CONSOB dispone, inoltre, di competenze dirette sul depositario centrale (da esercitarsi d’intesa con Banca d’Italia), in quanto autorizza l’esercizio dell’attività di gestione accentrata e ne disciplina con regolamento l’attività. La vigilanza sul sistema di liquidazione e sul sistema di gestione accentrata è esercitata dalla CONSOB (articolo 82 TUF), al fine di assicurare la trasparenza e la tutela degli investitori, e dalla Banca d’Italia, avendo riguardo alla stabilità e al contenimento del rischio sistemico.

 

In estrema sintesi, la direttiva 98/26/CE sul carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e di regolamento titoli, più volte modificata nel tempo, contiene disposizioni volte a ridurre il rischio sistemico associato alla partecipazione ai sistemi di regolamento di pagamenti e di titoli, con particolare riferimento al rischio di insolvenza dei partecipanti a tale sistema. Le norme trovano applicazione al regolamento di pagamenti e di titoli, a a ciascun partecipante in tali sistemi, nonché alle garanzie collaterali fornite per la partecipazione ai sistemi di regolamento, ovvero alle operazioni delle banche centrali degli Stati membri nell’esercizio delle proprie funzioni.

Al riguardo, è necessario segnalare che la direttiva 98/26/CE, così come la direttiva 2009/44/CE e la direttiva 2010/78/UE che la hanno successivamente modificata, sono state oggetto di recepimento, rispettivamente, attraverso il decreto legislativo 12 aprile 2001, n. 210, il decreto legislativo 24 marzo 2011, n. 48 e il decreto legislativo 30 luglio 2012, n. 130.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame delega il Governo ad emanare, entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge in commento, uno o più decreti legislativi al fine di:

·        adeguare il vigente quadro normativo interno a seguito dell'entrata in vigore del regolamento (UE) n. 909/2014;

·        completare l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 648/2012;

·        dare attuazione alla direttiva 98/26/CE, come modificata dai citati regolamenti (UE) n. 648/2012 e n. 909/2014.

 

Nell'esercizio della delega il Governo è tenuto a seguire, oltre ai principi e criteri direttivi generali del disegno di legge - di cui all'articolo 1, comma 1 - anche ulteriori principi e criteri specifici, indicati alle lettere da a) a g) del comma 1 del presente articolo.

In particolare, con la lettera a) del comma 1 il Governo è delegato ad apportare al Testo Unico finanziario - TUF, di cui al D.lgs. n. 58 del 1998, le integrazioni necessarie per dare attuazione alle disposizioni del regolamento n. 909/2014 che richiedono un intervento normativo da parte degli Stati membri e a provvedere, ove necessario, ad abrogare le norme dell'ordinamento nazionale riguardanti gli istituti disciplinati dal regolamento citato.

 

La lettera b) fissa, quali principi e criteri di delega, la designazione della CONSOB e della Banca d'Italia quali autorità competenti ai sensi dell'articolo 11 del regolamento (esso, come già menzionato in precedenza, stabilisce che, se uno Stato membro designa più di un’autorità competente, ne deve specificare chiaramente i rispettivi ruoli e designare una sola di esse come responsabile della cooperazione con le autorità competenti degli altri Stati membri e le altre autorità rilevanti a diverso titolo). Alla CONSOB e alla Banca d'Italia sono attribuiti i poteri di vigilanza e d'indagine necessari per l'esercizio delle loro funzioni. In particolare, la norma di delega individua la CONSOB quale autorità responsabile della cooperazione, nonché quale autorità competente a ricevere la domanda di autorizzazione da parte del depositario centrale di titoli e a comunicare al soggetto richiedente, a seguito degli opportuni coordinamenti con la Banca d'Italia, il relativo esito.

 

Con le lettere da c) ad e) del comma 1 si introducono nel TUF le sanzioni per le violazioni delle previsioni del regolamento n. 909/2014.

In particolare, la lettera c) prescrive che, sulla base di quanto previsto nel titolo V (regime sanzionatorio) del predetto regolamento, il TUF venga modificato e integrato affinché la Banca d'Italia e la CONSOB, secondo le rispettive competenze, possano imporre le sanzioni e le altre misure amministrative previste dal regolamento, in misura efficace, proporzionata e dissuasiva.

In particolare, le misure amministrative menzionate sono quelle previste dall'articolo 63 del regolamento (UE) n. 909/2014 (tra cui una dichiarazione pubblica indicante il soggetto responsabile della violazione e la natura della violazione, la revoca delle autorizzazioni concesse all’esercizio dell’attività e l’interdizione temporanea, o permanente in caso di violazioni gravi reiterate, dall’esercizio di funzioni di gestione in seno all’ente a carico dei membri dell’organo di amministrazione dell’ente stesso o di altre persone fisiche considerati responsabili).

La norma chiarisce che occorre garantire, nello stabilire il tipo e il livello delle sanzioni e delle altre misure amministrative, che si tenga conto di tutte le circostanze pertinenti, nel rispetto dei limiti edittali indicati dalle norme europee (articoli 63 e 64 del regolamento n. 909/2014).

 

La lettera d) del comma 1 statuisce che, nell'esercizio della delega, il Governo consenta la pubblicazione delle decisioni che impongono sanzioni o altre misure amministrative, nei limiti e secondo le previsioni del regolamento (in particolare dell'articolo 62 del regolamento (UE) n. 909/2014); esso deve assicurare che le decisioni e le misure adottate a norma del regolamento siano adeguatamente motivate e soggette al diritto di ricorso giurisdizionale, secondo quanto previsto dal medesimo regolamento (articolo 66 sul diritto al ricorso).

 

Ai sensi dell’articolo 63, per le violazioni sopra ricordate, sono previste:

·        sanzioni amministrative pecuniarie massime pari almeno al doppio dell'ammontare dei profitti ricavati grazie alla violazione, se possono essere determinati;

·        nel caso di una persona fisica, sanzioni amministrative pecuniarie massime pari almeno a 5 milioni di EUR o, negli Stati membri la cui moneta non è l'euro, il corrispondente valore in valuta nazionale alla data di adozione del presente regolamento;

·        nel caso di una persona giuridica, sanzioni amministrative pecuniarie massime di almeno 20 milioni di EUR o fino al 10% del reddito complessivo annuo della persona giuridica secondo gli ultimi conti disponibili approvati dall'organo di amministrazione.

Le autorità competenti possono comunque disporre di altri poteri sanzionatori e possono prevedere sanzioni amministrative pecuniarie di importo più elevato di quello sopra illustrato.

 

Ai sensi dell’articolo 64, gli Stati membri assicurano che, nello stabilire il tipo e il livello di sanzione o misura amministrativa, le autorità competenti tengano conto di tutte le circostanze pertinenti, tra cui, ove appropriato:

a)  la gravità e la durata della violazione;

b)  il grado di responsabilità del soggetto responsabile della violazione;

c)  la capacità finanziaria del soggetto responsabile della violazione;

d)  l'ammontare dei profitti realizzati e delle perdite evitate da parte del soggetto responsabile della violazione o l'ammontare delle perdite subite da terzi in conseguenza della violazione;

e)  il livello di cooperazione che il soggetto responsabile della violazione ha dimostrato nei confronti dell'autorità competente, ferma restando la necessità di garantire la restituzione dei profitti realizzati o delle perdite evitate da tale soggetto;

f)  precedenti violazioni da parte del soggetto responsabile della violazione.

 

Con la lettera e) del comma 1 si prevede che la disciplina dei meccanismi di segnalazione delle violazioni sia definita secondo quanto previsto dall'articolo 65 del regolamento CSD, ai sensi del quale gli Stati membri assicurano che le autorità competenti istituiscano meccanismi efficaci per incoraggiare la segnalazione di reali o possibili violazioni del regolamento ed enumerano il contenuto minimo di tali meccanismi (tra i quali si ricorda il whistleblowing, cioè la segnalazione da parte dei dipendenti).

 

Le indicazioni della lettera f) intendono assicurare un intervento sulle altre disposizioni vigenti interessate dalle previsioni del regolamento con particolare riferimento alle infrastrutture di post trading, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell'investitore, di tutela della stabilità finanziaria e dell'integrità dei mercati finanziari.

 

Si tratta delle infrastrutture di post-negoziazione che, ai sensi del considerando 1 del regolamento, tutelano i mercati finanziari e garantiscono ai partecipanti al mercato che le operazioni su titoli siano eseguite correttamente e tempestivamente anche in periodi di forte stress.

 

Da ultimo, la lettera g) fissa i principi e criteri specifici di delega per la trasposizione nell’ordinamento interno delle modifiche apportate alla direttiva 98/26/CE dall'articolo 87 del regolamento (UE) n. 648/2012 e dall'articolo 70 del regolamento (UE) n. 909/2014.

Le modifiche apportate dall’articolo 87 del regolamento n. 648 del 2012 hanno precisato che, se l'operatore di un sistema ha fornito una garanzia all'operatore di un altro sistema in relazione a un sistema interoperabile, i diritti dell'operatore del sistema che ha fornito la garanzia - in relazione alla garanzia fornita - non sono pregiudicati da procedure di insolvenza avviate nei confronti dell'operatore del sistema che ha ricevuto le garanzie. E’ previsto l’obbligo per i Paesi membri di adottare e pubblicare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle norme così introdotte entro il 17 agosto 2014 e di informarne immediatamente la Commissione.

Le norme di delega chiariscono che il recepimento di tale modifica avviene anche, se opportuno, attraverso l'introduzione di deroghe alla disciplina fallimentare.

 

Le modifiche apportate dall’articolo 70 del regolamento n. 909 del 2014 intervengono sulla definizione di "sistema", al fine di chiarire che si intende per tale - tra le altre ipotesi - un accordo formale designato, fatti salvi altri requisiti più rigorosi di applicazione generale imposti dal diritto nazionale, come sistema e notificato all’autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dallo Stato membro di cui si applica la legge, dopo che lo Stato membro stesso ne abbia accertato la conformità alle regole dello stesso. Il regolamento ha inoltre chiarito che entro il 18 marzo 2015, gli Stati membri devono adottare, pubblicare e comunicare alla Commissione le misure necessarie per conformarsi a tale definizione di “sistema”.

 

Più in generale, la lettera g) contiene una delega a rivalutare la complessiva attuazione della direttiva 98/26/CE, in particolare con riferimento alle previsioni relative all'irrevocabilità ed opponibilità degli ordini di trasferimento immessi in un sistema e dell'eventuale compensazione e regolamento degli stessi, apportando le modifiche necessarie, anche alla luce della disciplina di attuazione adottata dagli altri Stati membri e in considerazione delle caratteristiche del mutato panorama europeo dei servizi di post trading. Il Governo ove necessario, è altresì delegato a coordinare la disciplina di attuazione della direttiva 98/26/CE con le norme previste dall'ordinamento interno, incluse quelle adottate in applicazione del regolamento (UE) n. 909/2014 e del regolamento (UE) n. 648/2012.

 

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, in base alla quale dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le Amministrazioni coinvolte debbano provvedere con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 


 

Articolo 13
(
Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1286/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati)

 

 

L'articolo 13 delega il Governo ad adottare norme volte ad adeguare il quadro normativo vigente al regolamento (UE) n. 1286/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo ai documenti informativi di accompagnamento dei prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (Packaged Retail and Insurance-based Investment Products - PRIIPs).

Tra i principi e i criteri direttivi indicati dalla norma di delega vi è l’introduzione di disposizioni che assicurino un appropriato grado di protezione degli investitori al dettaglio. L’IVASS e la CONSOB sono designate, nel rispetto delle competenze di legge, quali autorità competenti in materia di vigilanza sul rispetto delle norme europee; in particolare, si precisa la designazione della CONSOB per quanto riguarda gli aspetti relativi alla tutela degli investitori e alla salvaguardia dell'integrità e dell'ordinato funzionamento dei mercati finanziari.

Alle autorità di vigilanza sono attributi specifici poteri di vigilanza e di indagine, nonché poteri di vigilanza regolamentare. In ordine agli obblighi informativi, la delega richiede che si preveda una notifica ex ante del documento contenente le informazioni chiave sui PRIIPS da parte dell'ideatore o del venditore di tali prodotti alle autorità competenti, per quanto concerne i PRIIPs commercializzati nel territorio italiano.

 

Il regolamento n. 1286/2014

 

Il contenuto del regolamento (UE) n. 1286/2014 definisce packaged retail and insurance-based investment products - PRIIPs i prodotti, indipendentemente dalla loro forma o struttura, ideati dall’industria dei servizi finanziari per offrire opportunità di investimento agli investitori al dettaglio e per i quali l’importo dovuto all’investitore è soggetto a fluttuazioni, a causa dell’esposizione ai valori di riferimento, o soggetto al rendimento di una o più attività che non sono acquistate direttamente dall’investitore al dettaglio (articolo 4 del regolamento). Per tutti questi prodotti, gli investimenti non sono di tipo diretto, ma agiscono attraverso un processo di assemblaggio, consistente nel confezionare le attività in modo da creare prodotti che abbiano esposizioni, caratteristiche o strutture dei costi diverse rispetto ad una detenzione diretta.

Il regolamento stabilisce regole uniformi sul formato e sul contenuto del documento contenente le informazioni chiave (cd. KID - Key Information Document) che deve essere redatto dagli ideatori di tali prodotti PRIIPs, nonché sulla diffusione del documento stesso agli investitori al dettaglio, al fine di consentire a questi ultimi di comprendere e raffrontare le caratteristiche e i rischi chiave dei PRIIPs.

Il regolamento, perseguendo gli obiettivi strumentali del miglioramento della trasparenza dei documenti informativi e della riduzione del grado di disomogeneità tra le normative dei singoli Stati membri UE che, di fatto, determinano asimmetrie nelle condizioni concorrenziali tra i diversi prodotti e canali di distribuzione, intende migliorare il grado di consapevolezza degli investitori e a creare un mercato interno dei servizi e prodotti finanziari. Scopo delle norme è fornire agli investitori al dettaglio le informazioni necessarie per prendere una decisione informata sull'investimento e per confrontare i diversi PRIIPs: a tal fine, nel documento contenente le informazioni chiave devono figurare solo informazioni fondamentali, in particolare per quanto riguarda la natura e le caratteristiche del prodotto, compresi la menzione dell'eventuale possibilità di perdere capitale, i costi e il profilo di rischio del prodotto, le pertinenti informazioni sul rendimento e talune altre informazioni specifiche che possono essere necessarie per comprendere le caratteristiche di tipi specifici di prodotto (articolo 8 del regolamento).

Il documento è fornito già dal soggetto che fornisce consulenza su un PRIIP o che vende tale prodotto; la consegna del documento con le informazioni chiave deve avvenire in tempo utile prima che tali investitori al dettaglio siano vincolati da qualsiasi contratto o offerta relativa al PRIIP (articolo 13), salvo ipotesi specifiche in cui tale documento può essere consegnato in un momento successivo.

Il regolamento UE n. 1286/2014 ha diretta efficacia negli Stati membri a partire dal 31 dicembre 2016.

 

La norma di delega trova tuttavia la sua ratio nella necessità di operare alcuni interventi di adeguamento della normativa nazionale.

Il perimetro della delega è delimitato dai principi e criteri direttivi generali, di cui all'articolo 1, comma 1, e da quelli specifici indicati all’articolo 13.

In particolare il comma 1, lettera a) stabilisce che il Governo, nell'esercizio della delega per i settori interessati dalla normativa da attuare, modifichi e integri la normativa vigente, anche di derivazione UE, al fine di assicurare la corretta e integrale applicazione del regolamento (UE) n. 1286/2014 e di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione degli investitori al dettaglio.

La lettera b) designa, in relazione alle rispettive competenze, la CONSOB e l'Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS), quali autorità competenti in materia di vigilanza sul rispetto degli obblighi che il predetto regolamento impone agli ideatori di PRIIPs e alle persone che forniscono consulenza sui PRIIPs o vendono tali prodotti. In particolare, si chiarisce che tale designazione vale per la CONSOB, per quanto concerne i prodotti finanziari delle imprese di assicurazione (di cui all'articolo 1, comma 1, lettera w-bis), del TUF, di cui al D.lgs. n. 58 del 1998), nonché sugli altri prodotti menzionati dal regolamento, per quanto riguarda gli aspetti relativi alla tutela degli investitori e alla salvaguardia dell'integrità e dell'ordinato funzionamento dei mercati finanziari, perseguendo l'obiettivo di semplificare, ove possibile, gli oneri per i soggetti vigilati.

La lettera c) stabilisce che alle predette autorità designate siano attributi i poteri di vigilanza e di indagine previsti dal regolamento e il potere di adottare disposizioni di disciplina secondaria, avuto riguardo all'esigenza di semplificare gli oneri per i soggetti vigilati. Il Governo è inoltre tenuto a seguire, nella ripartizione delle competenze, i principi indicati nella citata lettera b), anche con riferimento ai poteri, previsti dall'articolo 17 del regolamento n. 1286/2014, quali quelli di vietare o limitare la commercializzazione, distribuzione o vendita di prodotti di investimento assicurativi o i prodotti di investimento assicurativi con determinate caratteristiche specifiche, o ancora il tipo di attività o prassi finanziaria di un'impresa di assicurazione o di riassicurazione in relazione ai prodotti di investimento assicurativi, all'interno del suo Stato membro o a partire dallo stesso.

La lettera d) prescrive che il documento contenente le informazioni chiave sia notificato ex ante dall'ideatore di PRIIP o dalla persona che vende un PRIIP all'autorità competente per i PRIIPs commercializzati nel territorio italiano.

La lettera e) infine stabilisce che nell'ordinamento nazionale siano introdotte le sanzioni amministrative e le altre misure previste dal regolamento in esame per le violazioni degli obblighi contenuti nel regolamento stesso, in base ai criteri e nei limiti ivi previsti, e avuto riguardo alla ripartizione di competenze tra autorità di vigilanza, di cui alla lettera b).

 

 


Articolo 14
(
Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati)

 

 

L'articolo 14 reca i principi e criteri direttivi specifici per l'esercizio della delega volta all'attuazione nell'ordinamento nazionale della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014 (che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati), che si aggiungono a quelli generali previsti dall'articolo 1, comma 1, del disegno di legge in esame (in quanto la direttiva è inclusa nell’allegato B del disegno di legge), e che sono finalizzati a recepire gli obiettivi perseguiti dalla nuova direttiva, enunciati nei considerando della stessa.

 

L’articolo 14 del disegno di legge in esame reca i seguenti principi e criteri direttivi specifici:

§  la lettera a) pone i principi di semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di VIA, anche in relazione al coordinamento e all’integrazione con altre procedure volte al rilascio di pareri e autorizzazioni a carattere ambientale;

Il principio di delega di cui alla lettera a) intende dare attuazione all'obiettivo di semplificazione e di non duplicazione dei procedimenti autorizzatori sottolineato nel 6° e nel 37° considerando della direttiva.

Si ricorda, inoltre, che l’art. 26, comma 4, del d.lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell'ambiente) dispone che il provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l'esercizio dell'opera o dell'impianto. Occorre altresì ricordare l’art. 4, comma 2, del medesimo decreto, secondo cui il decreto legislativo n. 152 individua, nell'ambito della procedura di valutazione dell'impatto ambientale, modalità di semplificazione e coordinamento delle procedure autorizzative in campo ambientale, ivi comprese le procedure di AIA (autorizzazione integrata ambientale).

§  la lettera b) indica il criterio del rafforzamento della qualità della procedura di VIA, allineando tale procedura ai princìpi della regolamentazione intelligente (smart regulation), e della coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionali;

Tale criterio riprende quanto sottolineato nel 3° considerando della direttiva, ove viene sottolineata la necessità di rafforzare la qualità della procedura di valutazione d'impatto ambientale, allineare tale procedura ai principi della regolamentazione intelligente (smart regulation) e rafforzare la coerenza e le sinergie con altre normative e politiche dell'Unione, come anche con le strategie e le politiche definite dagli Stati membri in settori di competenza nazionale. Tale obiettivo viene declinato nell’articolato della direttiva, in particolare con l’introduzione della definizione di “valutazione dell’impatto ambientale” (della quale vengono indicati tutti i passaggi dell’iter procedurale, dalla preparazione del rapporto ambientale da parte del committente alla conclusione motivata dell’autorità competente) e dell’allegato II A, che contiene un elenco dettagliato delle informazioni da fornire per i progetti elencati nell’allegato II.

§  la lettera c) prevede la revisione e la razionalizzazione del sistema sanzionatorio da adottare ai sensi della direttiva 2014/52/UE, al fine di definire sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive e di consentire una maggiore efficacia nella prevenzione delle violazioni;

In proposito si ricorda che il 38° considerando sottolinea che gli Stati membri dovrebbero determinare le regole per le sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate ai sensi della presente direttiva e che le sanzioni dovrebbero essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Tali principi sono riprodotti nell’articolo 10-bis che la direttiva 2014/52/UE introduce nel testo della precedente direttiva.

Si ricorda, altresì, che l’art. 29 del d.lgs. 152/2006 prevede già specifiche azioni sanzionatorie da parte dell’autorità competente nel caso di inadempienze da parte del committente. In particolare, i casi affrontati dall’art. 29 riguardano:

§   violazioni delle prescrizioni impartite o modifiche progettuali tali da incidere sugli esiti e sulle risultanze finali delle fasi di verifica di assoggettabilità e di valutazione. In tal caso (ai sensi del comma 3), l'autorità competente, previa eventuale sospensione dei lavori, impone al proponente l'adeguamento dell'opera/intervento e, qualora non adempia, provvede d'ufficio a spese dell'inadempiente;

§   opere ed interventi realizzati senza la previa sottoposizione alle fasi di verifica di assoggettabilità o di valutazione, nonché nel caso di difformità sostanziali da quanto disposto dai provvedimenti finali. In tal caso, il comma 4 prevede che l'autorità competente, valutata l'entità del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente alla applicazione della sanzione, disponga la sospensione dei lavori e possa disporre la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile. In caso di inottemperanza, l'autorità competente provvede d'ufficio a spese dell'inadempiente.

In base al comma 6 dell’art. 29, resta in ogni caso salva l'applicazione di sanzioni previste dalle norme vigenti.

§  la lettera d) disciplina il criterio della destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative per finalità connesse al potenziamento delle attività di vigilanza, prevenzione e monitoraggio ambientale, alla verifica del rispetto delle condizioni previste nel procedimento di VIA, nonché alla protezione sanitaria della popolazione in caso di incidenti o calamità naturali, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. La lettera d) è stata modificata nel corso dell’esame al Senato, ove è stato introdotto, accanto al potenziamento dell’attività di monitoraggio, anche quello delle attività di vigilanza e prevenzione. E’ stato inoltre chiarito che l’attività di controllo deve essere finalizzata a verificare il rispetto delle condizioni poste non solo nel provvedimento finale di VIA, ma di quelle emerse complessivamente nel corso del procedimento. Il Senato ha altresì aggiunto, alle finalità citate cui destinare i proventi, la protezione sanitaria della popolazione in caso di incidenti o calamità naturali.

Con riferimento a tale ultima modifica, si ricorda che una delle novità apportate dalla nuova direttiva 2014/52/UE riguarda proprio l’inserimento della popolazione e della salute umana (in luogo di un generico riferimento all’“uomo”) e del territorio nell’elenco dei fattori oggetto di impatto, nonché del nuovo paragrafo 2 dell’art. 3 della direttiva 2011/92/UE secondo cui fra gli effetti che la VIA deve valutare sui fattori considerati rientrano gli effetti previsti derivanti dalla vulnerabilità del progetto a rischi di gravi incidenti e/o calamità che sono pertinenti al progetto in questione.

 

Il contenuto della direttiva 2014/52/UE

 

La direttiva 2014/52/UE reca modifiche alla direttiva 2011/92/UE in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA).

Come sottolineato nell’analisi svolta dall’ISPRA, “nel complesso, l’approccio della direttiva 2014/52/UE risulta più tecnico rispetto alle indicazioni contenute nella precedente direttiva e punta a rendere la Valutazione di Impatto Ambientale una procedura più chiara, in coerenza e sinergia con altre normative UE e con nuovi temi quali biodiversità, cambiamento climatico, uso sostenibile del suolo, vulnerabilità e resilienza a incidenti e calamità naturali. Risulta inoltre specificamente rivolto agli aspetti procedurali mirando a semplificare le regole amministrative già esistenti, in linea con l’orientamento UE verso una smart regulation, con maggiore trasparenza e coinvolgimento dell’opinione pubblica e con il rafforzamento della qualità delle informazioni”, in linea con le finalità che la stessa direttiva pone nelle proprie premesse.

L’articolo 1 reca le modifiche (integrazioni, sostituzioni, soppressioni) ai primi dodici articoli della direttiva 2011/92/UE.

L’articolo 2 disciplina le modalità del recepimento della direttiva da parte degli Stati membri, che dovrà avvenire entro il 16 maggio 2017.

L’articolo 3 reca disposizioni transitorie, fornendo indicazioni in merito ai progetti il cui iter decisionale è stato avviato prima del 16 maggio 2017, per i quali si applicano le disposizioni previgenti.

Gli articoli 4 e 5 disciplinano l’entrata in vigore della direttiva e i destinatari della stessa, cioè gli Stati membri.

La direttiva inoltre introduce nel testo della direttiva 2011/92 un nuovo allegato II A relativo alle informazioni che devono essere fornite da parte del committente per i progetti sottoposti a screening, cioè quei progetti (elencati nell’allegato II della direttiva 2011/92/UE, che non viene modificato dalla nuova direttiva) per i quali gli Stati membri devono valutarne la sottoposizione a VIA.

Vengono inoltre sostituiti:

§  l’allegato III, relativo ai criteri intesi a stabilire se i progetti assoggettati a screening debbano essere sottoposti a VIA;

§  e l’allegato IV, relativo alle informazioni per il rapporto di valutazione dell'impatto ambientale, indicato con l’acronimo SIA (Studio di Impatto Ambientale) nella normativa italiana (parte seconda del d.lgs. 152/2006).

 

Resta invariato il campo di applicazione della direttiva 2011/92/UE: non vengono infatti modificati né l’allegato I (che elenca i progetti da sottoporre a VIA) né l’allegato II (che elenca i progetti da sottoporre a screening di VIA).

Tra le principali novità apportate dall’articolo 1 della direttiva 2014/52/UE (per un esame della quale si rinvia anche all’analisi svolta dall’ISPRA) occorre innanzitutto segnalare l’inserimento della nuova definizione di "valutazione dell'impatto ambientale" quale processo comprendente:

§  la preparazione di un rapporto di valutazione dell'impatto ambientale da parte del committente;

§  lo svolgimento di consultazioni con le autorità che possono essere interessate al progetto, per la loro specifica responsabilità in materia di ambiente o in virtù delle loro competenze locali o regionali;

§  l'esame da parte delle autorità competenti delle informazioni presentate nel rapporto e ogni altra informazione resa disponibile dal committente o acquisita nel corso delle consultazioni;

§  la conclusione motivata dell'autorità competente in merito agli effetti significativi del progetto sull'ambiente, nonché l'integrazione di tale conclusione motivata nelle decisioni di concedere l'autorizzazione che conferisce al committente il diritto di realizzare il progetto stesso.

Un’altra importante novità risiede nella riscrittura del paragrafo 3 dell’art. 1 della direttiva 2011/92/UE, che già prevedeva la possibilità di escludere dalla VIA i progetti destinati a scopi di difesa nazionale, al fine di consentire, in aggiunta, anche l’esclusione dalla disciplina di VIA per i progetti aventi quali unico obiettivo la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile.

La modifica all'articolo 2 della direttiva 2011/92/UE è volta a introdurre ulteriori norme di semplificazione e armonizzazione delle procedure: nei casi in cui l'obbligo di effettuare la VIA derivi dalle disposizioni di più atti normativi dell'Unione, gli Stati membri possono infatti stabilire forme di coordinamento tra le procedure nonché procedure comuni. Sono inoltre previsti ulteriori casi di deroghe alle regole fissate dalla direttiva quando si ravvisi il rischio di compromettere le finalità dei progetti. In tali casi, si richiede comunque che siano rispettate le finalità della direttiva.

La nuova direttiva inserisce inoltre, all’art. 2 della direttiva 2011/92/UE, un nuovo paragrafo 5 che consente agli Stati membri di non applicare le disposizioni previste dalla direttiva VIA in materia di consultazione pubblica, per i progetti adottati mediante un atto legislativo nazionale specifico, a condizione che siano rispettati gli obiettivi della direttiva stessa.

Le modifiche apportate dalla nuova direttiva all’art. 3 della direttiva 2011/92/UE riguardano i fattori per i quali devono essere valutati gli impatti, con la sostituzione del riferimento a “popolazione e salute umana” in luogo del generico riferimento all”“uomo”, l'aggiunta della “biodiversità” (con particolare attenzione alle specie e agli habitat protetti in virtù della direttiva n. 92/43/CEE e della direttiva 2009/147/CE) e del “territorio”. E’ stato altresì specificato che fra gli effetti da considerare vi sono anche “gli effetti previsti derivanti dalla vulnerabilità del progetto a rischi di gravi incidenti e/o calamità che sono pertinenti al progetto in questione“.

Rilevante è altresì l’intervento che modifica la procedura di screening. Con una serie di modifiche all'articolo 4 vengono ulteriormente definiti alcuni criteri per la verifica di assoggettabilità alla VIA (c.d. screening), anche attraverso l'introduzione dell'allegato II.A, relativo alle informazioni che devono essere fornite da parte del committente e alla sostituzione dell'allegato III, concernente i criteri intesi a stabilire se i progetti debbano essere o meno sottoposti a VIA.

Sono inoltre dettate (nel nuovo testo dell’art. 4 della direttiva 2011/92/UE) nuove disposizioni relative alla pubblicità, ai contenuti e ai termini temporali delle determinazioni delle autorità competenti in merito allo screening.

Ulteriori modifiche apportate dalla nuova direttiva riguardano il rapporto preliminare del committente (disciplinato dall'articolo 5 della direttiva 2011/92/UE) e le modalità di consultazione dei soggetti interessati (disciplinate dall'articolo 6). Le modifiche apportate all’art. 6 introducono ulteriori disposizioni in materia di partecipazione al procedimento del pubblico e di tutti gli enti interessati - per le loro responsabilità in materia ambientale ovvero per le competenze locali o regionali - stabilendo anche termini temporali per rendere tale partecipazione effettiva (ad esempio vi si prevede che i tempi di consultazione del pubblico interessato non possano essere inferiori a 30 giorni). Le informazioni devono essere tempestive e rese disponibili anche in formato elettronico (la nuova direttiva fa riferimento ad “un portale centrale o punti di accesso facilmente accessibili”), oltre che mediante pubblicazione sulla stampa o mediante il lancio di pubbliche consultazioni. Forme di consultazione sono previste anche dall'articolo 7 in relazione ai progetti di carattere transfrontaliero: a tal fine vi si prevede l'individuazione di organismi comuni appropriati. Dei risultati delle consultazioni e delle informazioni raccolte si deve tenere "debitamente" conto nel corso delle procedure di autorizzazione (art. 8).

Il nuovo articolo 8-bis fissa i contenuti necessari della decisione di concedere l'autorizzazione: la conclusione motivata dell'autorità competente, le eventuali condizioni ambientali di cui è corredata la decisione, la descrizione delle principali caratteristiche del progetto, le misure per fronteggiare gli effetti negativi sull'ambiente e le misure di monitoraggio. La decisione di diniego dell'autorizzazione deve indicare le principali motivazioni del rifiuto. La decisione deve essere adottata "entro un periodo di tempo ragionevole". Gli Stati membri sono inoltre chiamati a definire le misure di monitoraggio; al fine di evitare inutili duplicazioni si può ricorrere a meccanismi di controllo previsti da altri atti normativi dell'Unione europea diversi dalla direttiva in commento. Le novelle all'articolo 9 intendono ulteriormente specificare i doveri informativi nei confronti del pubblico e di tutte le autorità nazionali interessate circa gli esiti e i contenuti delle decisioni prese.

Il nuovo articolo 9-bis stabilisce che gli Stati membri debbano evitare situazioni di conflitto di interesse tra le autorità competenti e il committente.

Il nuovo articolo 10-bis stabilisce che le sanzioni in caso di violazione siano effettive, proporzionate e dissuasive.

Le modifiche all'articolo 12 della direttiva 2011/92/UE stabiliscono più stringenti doveri informativi degli Stati membri nei confronti della Commissione in ordine al numero dei progetti sottoposti a VIA, alla durata e ai costi medi delle procedure. Tali informazioni devono essere rese ogni 6 anni a decorrere dal 16 maggio 2017 (termine per il recepimento della direttiva in esame).

Procedure di contenzioso

Si segnala che, con riferimento alle procedure di valutazione di impatto ambientale, è attualmente in corso la procedura di infrazione n. 2009_2086 per il non corretto recepimento della direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalle direttive 97/11/CE, 2003/35/CE e 2009/31/UE.

In particolare, il 28 marzo 2014, la Commissione ha emesso nei confronti dell’Italia un parere motivato ritenendo non coerenti con la normativa europea alcune disposizioni contenute nella parte seconda del D.Lgs n. 152/2006 (Codice dell’ambiente), come modificato dal D.Lgs 4/2008.

La procedura di infrazione n. 2009/2086, era stata avviata il 14 aprile 2009 con l’invio all’Italia di una lettera di messa in mora, che considerava non correttamente recepite le disposizioni relative alla disciplina del c.d. screening o verifica di assoggettabilità a VIA come definita dall’articolo 4, paragrafi da 1 a 3 della direttiva, in combinato con gli allegati I e II (elenco dei progetti cui si applica la direttiva) e III (criteri di selezione dei progetti cui si applica la procedura di screening)[7]. Successivamente, il 27 febbraio 2012, la Commissione aveva inviato all’Italia una lettera di messa in mora complementare.

In conformità alla giurisprudenza della Corte, la procedura di infrazione continua il suo corso anche se le direttive di cui la Commissione contestava la violazione sono state abrogate, successivamente all’avvio della medesima procedura, dalla direttiva 2011/92/UE, in quanto quest’ultima reca i medesimi obblighi da parte degli Stati membri.

I rilievi contenuti nel parere motivato del 28 marzo 2014 riguardano i seguenti punti:

·     il decreto legislativo n. 152/2006 dà una definizione di “progetto” che, a differenza della definizione data dalla direttiva (articolo 1, par. 2, lett. a), non consente di sapere quali progetti debbano essere sottoposti alla VIA, sollevando, in tal modo, potenziali questioni di certezza del diritto;

·     le disposizioni relative alla disciplina del c.d. screening o verifica di assoggettabilità a VIA, come definita dall’articolo 4, paragrafi da 1 a 3 della direttiva, in combinato con gli allegati I e II (elenco dei progetti cui si applica la direttiva) e III (criteri di selezione dei progetti cui si applica la procedura di screening), non risultano correttamente recepite dal momento che la legislazione italiana (allegati II, III, o IV del D.Lgs 152/2006 modificato) fissa, per i progetti cui si applica la direttiva, elencati all’allegato II, soglie dimensionali al di sotto delle quali si presume che i progetti siano tali da non avere in nessun caso impatti notevoli sull’ambiente.

Richiamando una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia europea, la Commissione sottolinea, al contrario, come gli Stati membri, anche nel caso in cui decidano di stabilire soglie per facilitare la determinazione dei progetti da assoggettare a VIA, hanno l’obbligo di prendere in considerazione tutti i criteri elencati nell’allegato III della direttiva (art 4, par. 3 della direttiva), che dunque non possono considerarsi automaticamente assorbiti dalla fissazione di soglie, determinate, peraltro, tenendo conto prevalentemente di soli criteri di tipo dimensionale. In particolare, la Commissione ribadisce che uno Stato membro il quale, sulla base dell’articolo 4(2) della direttiva, stabilisce soglie e/o criteri che tengono conto solo della dimensione dei progetti, senza prendere in considerazione gli altri criteri elencati nell’allegato III della direttiva, eccede i limiti della discrezionalità di cui dispone ai sensi degli articolo 2(1) e 4(2) della direttiva stessa;

·     sulla base dell’articolo 6, comma 9, del decreto legislativo n. 152/2006, le regioni possono, da un lato, definire una variazione, in diminuzione o in aumento, delle soglie per la verifica di assoggettabilità alla VIA di determinate tipologie progettuali o aree predeterminate e, dall’altro, determinare, anche per particolari situazioni ambientali e territoriali, criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità. Ad avviso della Commissione, pur trattandosi di una possibilità e non di un obbligo, vi è la possibilità che si escluda dalla VIA un maggior numero di progetti rispetto a quelli esclusi applicando le soglie nazionali. Come precisato anche dalla Corte di giustizia, uno Stato membro che stabilisce soglie o criteri ad un livello che permetta, in pratica, di escludere a priori tutti i progetti rientranti in una certa tipologia dall’obbligo di effettuare la VIA eccede i limiti della discrezionalità, pure contemplata dalla direttiva;

·     la normativa italiana non fornisce una corretta trasposizione delle disposizioni relative alla consultazione del pubblico (in particolare, l’articolo 6, par. 2, lett. b ed f). Infatti, il decreto legislativo n. 152/2006 non prevede né che il progetto sia assoggettato alla VIA né che il pubblico sia informato delle eventuali procedure di consultazione transfrontaliere. Inoltre esso risulta carente nell’enumerazione delle informazioni che possono essere messe a disposizione del pubblico, indicate nella direttiva;

·     la non conforme trasposizione degli allegati I e II (che elencano le categorie di progetti a cui la direttiva si applica) comporta, ad avviso della Commissione, un’indebita restrizione del campo di applicazione della direttiva (escludendo, ad esempio, le strade urbane, i siti di stoccaggio di biossido di carbonio, di residui radioattivi, i progetti di opere di canalizzazione e di regolazione dei corsi d’acqua che non incidono sul regime delle acque, i depositi di fanghi derivanti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane).

Con il parere motivato, la Commissione riprende un ulteriore profilo di non conformità della normativa italiana con la direttiva (punto 10, lettera f, dell’Allegato II), inizialmente sollevato nella lettera di messa in mora complementare inviata all’Italia il 21.11.2013, nell’ambito della procedura di infrazione n. 2013/2170, relativa ai lavori di disostruzione dell'alveo del fiume Piave. Tale ultima procedura viene di fatto assorbita e trattata come CTS (cas traité sous) nell’ambito della procedura di infrazione n. 2009/2086.

 

 


 

Articolo 15
(
Criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2013/51/Euratom del Consiglio, del 22 ottobre 2013, che stabilisce requisiti per la tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano)

 

 

L'articolo 15, modificato nel corso dell’esame in sede referente, reca due criteri direttivi specifici - che si aggiungono ai principi e criteri direttivi generali, richiamati dall'articolo 1, comma 1, del disegno di legge in esame - per l’attuazione della direttiva 2013/51/Euratom del Consiglio, del 22 ottobre 2013, sui requisiti per la tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano.

 

Il termine per il recepimento della direttiva è il 28 novembre 2015.

 

Il primo criterio direttivo specifico prevede l'introduzione, "ove necessario e in linea con i presupposti della direttiva 2013/51/Euratom", di misure di protezione della popolazione più rigorose rispetto alle norme minime stabilite dalla direttiva stessa, fatto salvo il rispetto della libera circolazione delle merci.

 

Sul punto, si ricorda che l’art. 6 della direttiva specifica che gli Stati membri sono liberi di adottare o mantenere misure di protezione più rigorose, fatta salva la libera circolazione delle merci nel mercato interno.

 

Il secondo criterio direttivo specifico, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, consiste nel prevedere, per alcune tipologie di acque non sottoposte a controllo, un obbligo di informazione. In particolare, le popolazioni interessate dovranno essere informate su:

·     la presenza di acque esentate dai controlli. Ai sensi dell'art. 3 della direttiva 2013/51/Euratom, le acque interessate all’esenzione sono: acque minerali naturali riconosciute come tali (ex art. 3, par. 2, lettera a); acque considerate medicinali ai sensi della direttiva 2001/83/CE (ex art. 3, par. 2, lettera b); acque destinate esclusivamente ad usi per i quali le autorità competenti ritengono che la qualità delle acque non abbia ripercussioni, dirette o indirette, sulla salute della popolazione interessata (ex art. 3, par. 3 , lettera a); acque destinate al consumo umano provenienti da una singola fonte che ne eroghi in media meno di 10 m3 al giorno o che approvvigioni meno di cinquanta persone, escluse le acque fornite nell’ambito di un’attività commerciale o pubblica (ex art. 3, par. 3 , lettera b);

·        il diritto ad ottenere dalle autorità competenti lo svolgimento di verifiche atte a escludere, in concreto, rischi per la salute connessi all'eventuale presenza di sostanze radioattive.

 

Si ricorda che, in base all'art. 3, par. 4, della direttiva 2013/51/Euratom, gli Stati membri che si avvalgono delle esenzioni di cui al paragrafo 3, lettera b), provvedono a che:

-   la popolazione interessata sia informata al riguardo e in ordine a qualsiasi provvedimento eventualmente adottato al fine di tutelare la salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano;

-   allorché si manifesta un pericolo potenziale per la salute umana derivante dalla qualità di tali acque, la popolazione interessata riceva tempestivamente i consigli appropriati.

 

Poiché la direttiva riferisce l’obbligo di informazione soltanto ad una delle tipologie di acque esentate dai controlli, sarebbe opportuno che l’articolo in esame indicasse chiaramente a quali tipologie di acque si riferisce l’obbligo di informazione.

 

Il contenuto della Direttiva 2013/51/Euratom

 

La direttiva 2013/51/Euratom regolamenta l’aspetto radiologico delle acque potabili, e sostituisce le disposizioni in merito della Direttiva 98/83/CE concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano - recepita dal D.Lgs. 31/2001 che attualmente stabilisce il valore dei parametri applicabili al controllo del trizio - integrando anche quelle previste dalla raccomandazione 2001/928/Euratom sulla tutela della popolazione contro l’esposizione al radon nell’acqua potabile.

L’obiettivo generale della direttiva 2013/51/Euratom è quello di assicurare la massima protezione della popolazione in relazione alle sostanze radioattive presenti nell’acqua potabile.

La direttiva si applica alle acque destinate al consumo umano:

• acque utilizzate per uso potabile e per scopi domestici (da rete, cisterne, bottiglie o contenitori);

• acque utilizzate nell’industria alimentare.

E definisce:

- i principi e i criteri per il controllo della radioattività nelle acque destinate al consumo umano;

- i parametri indicatori, i valori di tali parametri, le frequenze e metodi per il monitoraggio della radioattività nelle acque.

Il controllo della radioattività è effettuato con un approccio basato sul rischio, in analogia a quanto contemplato nell’ambito dei WSP (Water Safety Plan).

A differenza dei controlli chimici, chimico-fisici e microbiologici, il monitoraggio continuo della radioattività nelle acque potabili è effettuato in maniera sistematica solo al verificarsi di determinate condizioni.

 


Articolo 16
(
Criterio direttivo per l'attuazione della direttiva 2013/35/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici)

 

 

L’articolo 16 introduce un criterio direttivo specifico (aggiuntivo dei principi e criteri direttivi generali richiamati dall'articolo 1, comma 1) per l'esercizio della delega per il recepimento della Direttiva 2013/35/UE del 26 giugno 2013[8], inerente le disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dai campi elettromagnetici (la direttiva riguarda, in particolare, gli effetti biofisici diretti e gli effetti indiretti noti, provocati a breve termine).

In particolare, il nuovo criterio obbliga l’Italia ad introdurre, ove necessario e in linea con i presupposti della Direttiva medesima, misure di protezione dei lavoratori per i livelli d'azione (LA) e per i valori limiti di esposizione (VLE) più rigorose rispetto alle norme minime previste dalla richiamata Direttiva.

 

Si ricorda che nel nostro ordinamento la protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici è disciplinata dal Titolo VIII, Capo IV (articoli 206-212), del D.Lgs. 81/2008 (in cui sono state mutuate le disposizioni di cui al D.Lgs. 257/2007, di attuazione della direttiva 2004/40/CE, contenente appunto le prescrizioni minime di sicurezza e salute relative all’esposizione dei lavoratori dai rischi derivanti dai campi elettromagnetici), mentre i valori limite all’esposizione sono indicati nell’Allegato XXXVI.

La direttiva 2013/35/UE

La Direttiva 2013/35/UE stabilisce prescrizioni minime di protezione per i lavoratori sottoposti ad esposizione ai campi elettromagnetici e concerne i rischi riguardanti gli effetti biofisici diretti e gli effetti indiretti noti, provocati a breve termine, mentre non si applica per le ipotesi di effetti a lungo termine (articolo 1). Essa abroga la direttiva 2004/40/CE, che si basava sul sistema di valori limite di esposizione e di valori di azione proposto dalla Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni non Ionizzanti (ICNIRP) nel 1998. Si è infatti reso necessario un aggiornamento che tenesse conto dei dati raccolti e forniti dalla stessa Commissione nel 2009 e nel 2010. Inoltre, la necessità di un aggiornamento della direttiva 2004/40/CE è stata determinata anche dalla difficoltà di applicazione della stessa nell'ambito delle pratiche cliniche di risonanza magnetica o in alcune attività industriali.

La direttiva definisce i valori limite di esposizione (VLE), i VLE relativi agli effetti sanitari e i VLE relativi agli effetti sensoriali, nonché i Livelli d'azione (LA) ossia “livelli operativi stabiliti per semplificare il processo di dimostrazione della conformità ai pertinenti VLE o, eventualmente, per prendere le opportune misure di protezione o prevenzione specificate nella presente direttiva” (articolo 2).

Le grandezze fisiche concernenti l’esposizione ai campi elettromagnetici sono indicate nell’Allegato I. I VLE relativi agli effetti sanitari, i VLE relativi agli effetti sensoriali e i LA sono riportati negli allegati II e III. Sono comunque contemplate alcune deroghe (articolo 3). La direttiva, al Capo II, impone al datore di lavoro alcuni obblighi riguardanti la valutazione dei rischi e l'identificazione dell'esposizione, la riduzione dei rischi, l'informazione e la formazione dei lavoratori. In particolare, in occasione della valutazione dei rischi il datore di lavoro dovrà prendere in considerazione una serie di elementi, tra cui: i VLE relativi agli effetti sanitari, i VLE relativi agli effetti sensoriali e i LA; la frequenza, il livello, la durata e il tipo di esposizione; eventuali effetti biofisici diretti ed effetti sulla salute e la sicurezza dei lavoratori esposti a rischi particolari, ad esempio lavoratori con stimolatori cardiaci e lavoratrici incinte, ma non solo; eventuali effetti indiretti; l’esistenza di attrezzature di lavoro alternative; informazioni disponibili relative alle attrezzature e alla sicurezza; esposizione simultanea a campi di frequenza diversa (articolo 4). Il datore di lavoro, nell'adottare misure che garantiscano l'eliminazione o la riduzione al minimo dei rischi derivanti dall'esposizione ai campi elettromagnetici, qualora risultino superati i pertinenti LA, dovrà adottare un programma d'azione che tenga conto, tra l'altro: di altri metodi di lavoro e di altre attrezzature che implicano minore esposizione; di misure appropriate di delimitazione e di accesso alla zona; di opportuni programmi di manutenzione delle attrezzature, dei luoghi e delle postazioni di lavoro, della disponibilità di adeguati dispositivi di protezione individuale. Inoltre, la direttiva specifica che nel caso di comparsa di alcuni sintomi temporanei, quali effetti sensoriali nel funzionamento del sistema nervoso centrale, vertigini e nausea, il datore di lavoro dovrà aggiornare la valutazione dei rischi e le misure di prevenzione (articolo 5). In merito alla formazione e all'informazione dei lavoratori, la direttiva stabilisce che il datore di lavoro dovrà comunicare, tra l'altro, quanto segue: le misure adottate ai sensi della direttiva; l'entità e il significato dei valori VLE e LA; gli effetti indiretti, i risultati della valutazione dei rischi; le modalità per segnalare gli effetti negativi dell'esposizione; i possibili sintomi; le procedure per ridurre al minimo i rischi da esposizione nonché i casi in cui si ha diritto alla sorveglianza sanitaria (articolo 6). Quest'ultima viene predisposta ai fini della prevenzione e della diagnosi precoce di qualunque effetto negativo imputabile all'esposizione ai campi elettromagnetici ed è effettuata a norma dell'articolo 14 della direttiva 89/391/CEE (articolo 8).

La direttiva lascia poi agli Stati membri l'applicazione di sanzioni in caso di violazione della normativa nazionale di recepimento. Le sanzioni dovranno essere effettive, proporzionate e dissuasive (articolo 9).

Al fine di agevolare l’attuazione della direttiva, almeno sei mesi prima del termine fissato per il recepimento, la Commissione europea pubblicherà guide pratiche non vincolanti che dovranno fornire orientamenti e procedure in merito ad alcuni aspetti, tra cui: la determinazione dell’esposizione; gli orientamenti per la dimostrazione della conformità in relazione a tipi particolari di esposizione non uniforme in situazioni specifiche; l’effettuazione della valutazione del rischio e, per quanto possibile, la messa a disposizione di tecniche semplificate, tenendo conto in particolare delle esigenze delle PMI; le misure intese a evitare o ridurre i rischi; la definizione di procedure di lavoro documentate nonché di misure specifiche di informazione e di formazione per i lavoratori esposti a campi elettromagnetici nel corso di attività correlate alla Risonanza magnetica; gli orientamenti sui controlli medici e sulla sorveglianza sanitaria da fornire da parte del datore di lavoro (articolo 14).

 

Merita ricordare che il Senato il 5 dicembre 2011 ha approvato una risoluzione (DOC XVII, n. 108), in cui si chiede innanzitutto, per quanto attiene al sistema di protezione e sicurezza dei lavoratori, maggiore aderenza alle linee guida della ICNIRP pubblicate nel 2010, modificando conseguentemente le soglie numeriche per alcuni tipi di valori in modo di conferire ad essi un reale valore protezionistico. Inoltre, si chiede di apportare al testo alcune modifiche, cancellando il riferimento a procedure di valutazione del rischio più blande, sopprimendo, in alcuni casi, le deroghe ai valori limite a cui sono esposti i lavoratori (ad esempio nell'ambito delle forze armate), e circoscrivendo le deroghe previste per le attività di risonanza magnetica. Altre modifiche suggerite riguardano: per quanto concerne la valutazione dei rischi, l'estensione delle azioni previste a tutti i lavoratori con rischi particolari, non limitandole ai soli portatori di dispositivi medici impiantabili e alle lavoratrici incinte; in materia di sorveglianza sanitaria, l'eliminazione della doppia distinzione delle frequenze «fino a 100Khrz» e «da 100Khrz a 300Khrz» dal momento che anche al di sotto dei 100Khrz si riscontrano rischi per la salute; un maggiore risalto al ruolo dei medici, non limitandolo al solo controllo sanitario ma estendendolo anche alle fasi di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di tutela.

Il 23 luglio 2012 la Commissione europea ha inviato una lettera di risposta in cui, prendendo atto della necessità espressa dal Senato di seguire le linee guida della ICNIRP in materia di livelli di esposizione, ha assicurato che le misure proposte si basano sulle raccomandazioni dell'ICNIRP. La Commissione europea si è detta comunque favorevole ad accogliere i suggerimenti riguardanti i cosiddetti "effetti minori", modificando conseguentemente gli allegati relativi alle soglie numeriche di alcuni valori. Per quanto concerne la valutazione dei rischi, ha specificato che lo scopo delle misure che contemplano una riduzione al minino delle procedure è quello di introdurre una certa flessibilità a favore dell'industria ma che comunque l'esecuzione della valutazione del rischio resta obbligatoria. Circa il sistema delle deroghe ha rassicurato che nell'ambito delle forze armate i limiti di esposizione sono basati su un sistema usato dalla NATO, peraltro equivalente a quello ICNIRP, che, tra l'altro, consente l'interoperabilità tra gli Stati membri dell'UE, che sono anche membri della NATO. Per quanto riguarda le applicazioni mediche preposte alle risonanze magnetiche, la Commissione europea ha garantito che il sistema previsto è stato accuratamente vagliato e risulta il più efficace e comprenderà monitoraggi e rendiconti periodici. Si è  poi detta pronta ad accogliere i suggerimenti del Senato volti all'inclusione di tutte le categorie di lavoratori esposti a rischi particolari nell'ambito delle azioni di valutazione dei rischi condotte dal datore di lavoro. Infine, relativamente alla distinzione tra le disposizioni riguardanti l'esposizione a basse e ad alte frequenze, ha motivato tale scelta sulla base delle indicazioni fornite dagli esperti medici in ragione dei diversi effetti sul corpo umano.

 


 

Articolo 17
(
Criterio direttivo per l'attuazione della direttiva 2014/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che modifica la direttiva 2001/110/CE del Consiglio concernente il miele)

 

 

L’articolo 17, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, prevede che nell’esercitare la delega per dare attuazione alla direttiva 2014/63/UE, che ha modificato, in parte, la direttiva 2001/110/CE sul miele, il Governo debba tenere in considerazione, oltre ai principi ed ai criteri direttivi generali indicati nell’articolo 1, comma 1, lo specifico criterio finalizzato ad assicurare “norme di salvaguardia sulla completezza delle informazioni relative alla provenienza del miele e dei prodotti apistici destinati al consumo umano a vantaggio del consumatore”.

 

 

La direttiva 2014/63/UE

 

La direttiva 2014/63/UE, entrata in vigore il 23 giugno 2014, è intervenuta modificando prevalentemente tre punti della direttiva 2001/110/CE sul miele. E’ stato, infatti, previsto che:

-        il polline è una componente naturale specifica del miele e non deve essere considerato un “ingrediente” secondo quanto definito dal regolamento (UE) n.1169/2011, salvo che si tratti di polline geneticamente modificato; in tal caso il miele contenente polline OGM deve essere considerato un “alimento (parzialmente) prodotto a partire da un OGM” e deve riportare in etichetta, se la percentuale di polline eccede lo 0,9%, l’indicazione a ciò relativa;

-      l’etichetta “miscela di mieli originari e non originari della CE” prevista dal reg. 2001/110/CE deve essere sostituita dalla dizione “miscela di mieli originari e non originari della UE”, in ragione della successione dell’Unione europea alla Comunità europea a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona;

-  venga abrogato, in quanto non più necessario, il potere attribuito alla Commissione europea di adottare atti che adeguino le disposizioni della direttiva sul miele alla norme generali europee sui prodotti alimentari; tali disposizioni, infatti, in ragione dell’entrata in vigore del regolamento n.178/2002, si applicano direttamente anche al miele ed ai prodotti apistici.

 

 

 

In ordine allo specifico criterio introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, si fa presente che già la direttiva 2001/110/CE, all’articolo 2, (non modificato dalla direttiva 2014/63/UE alla quale la disposizioni è chiamata a dare attuazione) prevede che le denominazioni di vendita del miele e dei prodotti apistici possono essere completate da indicazioni che fanno riferimento al Paese o ai Paesi d’origine in cui il miele è stato raccolto.

 

Il considerando n. 5 della direttiva afferma, al riguardo, che le regole generali sull’etichettatura dei prodotti alimentari, enunciate nella direttiva 2000/13/CE, dovrebbero applicarsi fatte salve talune condizioni. “Tenuto conto dello stretto legame esistente tra qualità e origine del miele, è necessario garantire un’informazione completa su questi punti per evitare di indurre in errore il consumatore sulla qualità del prodotto. Gli interessi specifici del consumatore concernenti le caratteristiche geografiche del miele e la piena trasparenza a tale proposito rendono necessaria l’indicazione, in etichetta, del Paese d’origine in cui il miele è stato raccolto”.

 

Il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 179 ha dato attuazione alla direttiva 2001/110/CE, prevedendo, all’art. 3 che al miele si applicano le disposizioni generali sull’etichettatura di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, e successive modificazioni, fatto salvo quanto previsto specificamente dai commi 2 e 3. In particolare, il comma 2 dispone, conformemente a quanto previsto nella direttiva che, ad esclusione del miele filtrato e del miele per uso industriale, le denominazioni possono essere completate da indicazioni che fanno riferimento:

1) all'origine floreale o vegetale, se il prodotto è interamente o principalmente ottenuto dalla pianta indicata e ne possiede le caratteristiche organolettiche, fisicochimiche e microscopiche;

2) all'origine regionale, territoriale o topografica, se il prodotto proviene interamente dall'origine indicata;

3) a criteri di qualità specifici previsti dalla normativa comunitaria.

 

Sull'etichetta devono essere indicati il Paese o i Paesi d'origine in cui il miele è stato raccolto.

Il miele destinato ai consumatori deve essere preconfezionato all'origine in contenitori chiusi.

 

 

 

 


 

Articolo 18
(
Delega al Governo per l'attuazione delle decisioni quadro)

 

 

L’articolo 18, al comma 1, delega il Governo a dare attuazione entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge e in base alle procedure per l'esercizio delle deleghe legislative previste dall’art. 31 della legge n. 234 del 2012, a sette  decisioni quadro.

 

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le misure disposte nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (ex terzo pilastro) sono state “comunitarizzate”. Sono quindi ora adottate con la procedura di codecisione tra Consiglio e Parlamento europeo e sono anche soggette alle procedure di infrazione, con tutto quanto ne consegue, ivi compresa la possibilità di vedersi comminate sanzioni pecuniarie. Questo assetto tuttavia - per le misure adottate in precedenza all'entrata in vigore, come quelle previste dal presente articolo - è stato congelato per cinque anni (decorrenti dal 1° dicembre 2009).

L’articolo 9 del protocollo n. 36 sulle disposizioni transitorie dispone infatti che “gli effetti giuridici degli atti delle istituzioni ... adottati in base al trattato sull’Unione europea prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona sono mantenuti finché tali atti non saranno stati abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati”. Secondo l’articolo 10 dello stesso protocollo, inoltre, per cinque anni dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in ordine agli atti dell’Unione nel settore della cooperazione di polizia e della cooperazione giudiziaria in materia penale adottati prima dell’entrata in vigore dello stesso Trattato, le attribuzioni della Commissione ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento (e cioè quelle relative alle procedure di infrazione) non sono applicabili.

In base ad un’interpretazione coordinata di queste due disposizioni, risulta che gli “effetti” degli atti dell'ex terzo pilastro adottati prima dell’entrata in vigore rimangono invariati (ad esempio, rimane fermo che le decisioni-quadro non hanno efficacia diretta), mentre - dopo il 1° dicembre 2014 - la mancata attuazione da parte degli Stati membri può essere contestata dalla Commissione europea, rendendo così obbligatorio il recepimento.

 

Le decisioni quadro che il Governo è delegato ad attuare attraverso l’emanazione di decreti legislativi sono le seguenti:

 

a) decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa alle squadre investigative comuni.

 

Nella scorsa legislatura il Senato approvò in un testo unificato alcuni disegni di legge (AASS 804 e 841) di iniziativa parlamentare volti ad attuare la decisione quadro 2002/465/GAI e le altre convenzioni internazionali sulle squadre investigative comuni.

La decisione quadro 2002/465/GAI. I ritardi nella ratifica della Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000 relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, uniti alle preoccupazioni determinate dall’attentato terroristico dell’11 settembre 2001, hanno indotto gli Stati dell’Unione europea ad adottare una decisione quadro relativa alle squadre investigative comuni, così da anticipare la vigenza delle disposizioni della Convenzione relative appunto a questo tema.

La decisione quadro, nel ricalcare il contenuto della citata Convenzione, prevede la possibilità per gli Stati membri di costituire squadre investigative comuni al fine di migliorare la cooperazione di polizia. Queste squadre investigative comuni sono composte da autorità giudiziarie o di polizia di almeno due Stati membri e sono incaricate di condurre indagini in ambiti specifici e per una durata limitata. Anche in questo caso, la squadra investigativa comune deve essere caratterizzata da:

-        uno scopo preciso;

-        una durata limitata (la quale può essere prolungata col consenso di tutte le parti contraenti).

I membri della squadra provenienti da uno Stato membro diverso rispetto a quello sul cui territorio interviene la squadra sono definiti "membri distaccati" presso la squadra. A costoro possono essere conferiti incarichi in conformità al diritto dello Stato membro in cui hanno luogo le operazioni.

Quanto ai reati che dovessero commettere o subire gli agenti distaccati, essi sono assimilati ai funzionari dello Stato membro in cui interviene la squadra per quanto concerne la loro responsabilità penale.

In base all’art. 5 della decisione quadro, questa cessa di avere effetto a partire dall'entrata in vigore in tutti gli Stati membri della Convenzione di Bruxelles del 2000. La Convenzione è entrata in vigore il 23 agosto 2005 nei confronti degli Stati che hanno provveduto alla relativa ratifica; tra tali Paesi non è presente l’Italia, alla quale si applica comunque la decisione quadro, il cui termine di attuazione è scaduto il 1° gennaio 2003.

 

b) decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio.

In proposito si segnala che nella Relazione sulle prospettive di riforma del sistema di gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, approvata in questa legislatura dalla Commissione antimafia, si lamenti il sensibile ritardo (oltre 8 anni) concernente  l’attuazione di tale decisione quadro 2003/577/GAI, i cui termini sono scaduti il 2 agosto 2005. Si ricorda altresì che l’articolo 30 della legge 25 febbraio 2008, n. 34, recante “Disposizioni di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee (Legge comunitaria 2007)” aveva conferito la delega al Governo per l’adozione di un decreto legislativo contenente le norme occorrenti per dare attuazione alla predetta decisione quadro e che i termini della delega sono spirati il 21 marzo 2009 senza che la delega sia stata esercitata.

 

La decisione quadro 2003/577/GAI relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio costituisce applicazione del principio di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale, affermatosi a partire dal Consiglio europeo di Tampere del 1999 e la cui prima affermazione si è avuta con la decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo, attuata in Italia con legge 22 aprile 2005, n. 69.

Con particolare riferimento alla materia oggetto dell'articolo in esame, il Programma di misure per l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali, adottato dal Consiglio il 29 novembre 2000, prevedeva, alla misura 6, l'elaborazione di uno strumento sul riconoscimento delle decisioni di blocco degli elementi di prova per impedire la dispersione delle prove che si trovano nel territorio di un altro Stato membro, e, alla misura 7, l'elaborazione di uno strumento sul riconoscimento reciproco delle decisioni in materia di sequestro dei beni (tale strumento avrebbe dovuto consentire di sequestrare provvisoriamente i beni in casi urgenti senza ricorrere alle procedure dell'assistenza giudiziaria, dando esecuzione alle ordinanze rese dal giudice di un altro Stato membro). Ad entrambe le misure era attribuita la massima priorità.

In attuazione delle misure contenute nel suddetto Programma, il Consiglio ha adottato la decisione quadro 2003/577/GAI, il cui scopo è appunto quello di stabilire le norme secondo le quali uno Stato membro riconosce ed esegue nel suo territorio un provvedimento di blocco o di sequestro emesso da un'autorità giudiziaria di un altro Stato membro (art. 1). Si ritiene così di superare il tradizionale sistema di assistenza giudiziaria internazionale in materia penale di tipo convenzionale, basato sul sistema delle rogatorie internazionali, sostituendolo con il riconoscimento reciproco dei provvedimenti, effettuato direttamente dalle autorità giudiziarie, senza la mediazione di un'autorità centrale (e, dunque, senza che un'autorità centrale possa esercitare poteri di impulso o di interdizione dell'attività di cooperazione).

Ai sensi dell'art. 3, par. 1, la decisione quadro si applica ai provvedimenti di blocco o di sequestro emessi:

a) a fini probatori;

b) per la successiva confisca dei beni.

Analogamente a quanto accade in materia di mandato d'arresto europeo, l'art. 3, par. 2, elenca una serie di reati che, se sono punibili nello Stato di emissione con una pena privativa della libertà di almeno tre anni, non richiedono il controllo della doppia incriminabilità. Per i reati non compresi in tale elencazione, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento e l'esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro alla condizione che i fatti per i quali esso è stato emesso costituiscano un reato ai sensi della legge di tale Stato indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso ai sensi della legge dello Stato di emissione.

Il provvedimento di blocco o di sequestro è trasmesso dall'autorità giudiziaria che l'ha adottato direttamente all'autorità giudiziaria competente per la sua esecuzione; se questa non è nota, saranno i punti di contatto della Rete giudiziaria europea a dover fornire informazioni (art. 4).

Le autorità giudiziarie competenti dello Stato di esecuzione riconoscono il provvedimento senza che siano necessarie altre formalità e adottano senza indugio le misure necessarie alla sua esecuzione immediata alla stessa stregua di un provvedimento di blocco o di sequestro emanato da un'autorità dello Stato membro di esecuzione (art. 5); ciò a meno che tale autorità non ritenga sussistere uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione previsti all'art. 7 o uno dei motivi di rinvio previsti all'art. 8.

Per quanto riguarda il trattamento dei beni bloccati o sequestrati, l’art. 10 della decisione quadro prevede che le richieste trasmesse ai sensi dell'articolo 4 debbano essere accompagnate, in alternativa:

a) da una richiesta di trasferimento della fonte di prova nello Stato di emissione;

b) da una richiesta di confisca che richieda l'esecuzione di un provvedimento di confisca emesso nello Stato di emissione o una confisca nello Stato di esecuzione e la successiva esecuzione di ciascuna di tali provvedimenti;

c) da specifiche istruzioni volte a mantenere il bene nello Stato di esecuzione in attesa della richiesta di cui alla lettera a) o b).

 

 

c) decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa al reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie;

 

La decisione quadro 2005/214/GAI ha attuato la misura 18 del Programma di misure per l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali (adottato dal Consiglio il 29 novembre 2000), che richiedeva l'elaborazione di uno strumento che consentisse di garantire la riscossione, da parte dello Stato di residenza, delle sanzioni pecuniarie inflitte a titolo definitivo ad una persona fisica o giuridica da un altro Stato membro. Essa si applica dunque a provvedimenti definitivi, non suscettibili di impugnazione.

Ai sensi dell'art. 4 della decisione quadro, una decisione definitiva che infligge una sanzione pecuniaria ad una persona fisica o giuridica può essere trasmessa direttamente dall'autorità competente dello Stato della decisione all'autorità dello Stato membro in cui tale soggetto dispone di beni o di un reddito, ha la sua residenza abituale o, nel caso di una persona giuridica, ha la propria sede statutaria. Anche in questo caso, è prevista la possibilità di avvalersi della Rete giudiziaria europea.

Come è abituale nelle decisioni che danno attuazione al principio del reciproco riconoscimento, per una serie di reati elencati nella decisione stessa non è necessaria la verifica della doppia punibilità del fatto. In particolare, ai sensi dell’art. 5, si tratta dei reati già previsti dalle decisioni in materia di mandato d'arresto europeo e di mandato di sequestro europeo, ai quali si aggiungono: le infrazioni al codice della strada, comprese quelle relative alle ore di guida e ai periodi di riposo ed infrazioni alle norme sul trasporto di merci pericolose; il contrabbando di merci; la violazione dei diritti di proprietà intellettuale; le minacce e gli atti di violenza contro le persone anche in occasione di eventi sportivi; il danneggiamento; il furto; i reati stabiliti dallo Stato della decisione e contemplati nell'attuazione degli obblighi derivanti dagli strumenti adottati a norma del trattato CE o del titolo VI del trattato UE.

L'ambito di esclusione del principio della doppia punibilità è dunque sensibilmente più ampio di quanto non avvenga in riferimento al mandato d'arresto europeo e al mandato di sequestro europeo.

Per quanto riguarda i reati diversi da quelli elencati nel par. 1, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento e l'esecuzione di una decisione alla condizione che la decisione si riferisca a una condotta che costituirebbe reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla sua qualifica.

Salvi i casi di diniego di riconoscimento e di esecuzione elencati tassativamente dall'art. 7 della decisione quadro, l'autorità dello Stato di esecuzione riconosce la decisione trasmessale ritualmente senza richiesta di ulteriori formalità e adotta immediatamente tutti i provvedimenti necessari alla sua esecuzione.

 

d) decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive;

 

La decisione quadro 2008/947/GAI estende il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie all'esecuzione delle pene non restrittive della libertà personale e fissa le norme che ogni Stato membro deve seguire per assumere la sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive emesse da un altro Stato membro. La nuova disciplina sostituisce le disposizioni corrispondenti della Convenzione del Consiglio d'Europa, firmata a Strasburgo il 30 novembre 1964 e ratificata dall'Italia con la legge 15 novembre 1973, n 772.

La decisione quadro si applica quindi al riconoscimento delle sentenze e alla sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive. Non riguarda, invece, l’esecuzione delle pene detentive o delle misure restrittive della libertà personale, né il riconoscimento e l’esecuzione delle sanzioni pecuniarie e delle decisioni di confisca. Gli Stati membri possono rifiutare di riconoscere una sentenza, di sorvegliare una misura di sospensione condizionale o una sanzione sostitutiva, se esse sono discriminatorie. Sono inoltre autorizzati a concludere o a continuare ad applicare convenzioni o accordi, nella misura in cui questi agevolano la sorveglianza delle misure condizionali e delle pene sostitutive, e informandone il Consiglio e la Commissione.

Nel preambolo della decisione quadro sono puntualmente esplicitati gli obiettivi della disciplina: oltre a favorire il reinserimento sociale del condannato, consentendogli di mantenere i legami familiari, linguistici, sociali e culturali del Paese di origine o di quello di residenza o dimora anche prevenire nuovi reati e proteggere le vittime.

Le misure di sospensione condizionale e le sanzioni sostitutive cui si applica la nuova disciplina sono indicate all'articolo 4 della decisione quadro, ma si tratta di un elenco non esaustivo. Per tale ragione ogni Stato membro comunica al segretariato generale del Consiglio l’elenco delle altre misure e sanzioni che è disposto a sorvegliare.

Se la natura o la durata delle misure di sospensione condizionale o delle sanzioni sostitutive non corrisponde con la legislazione dello Stato di esecuzione, esso può adattarle convenientemente. Tuttavia, tali misure devono corrispondere il più possibile a quelle irrogate nello Stato di emissione. In alcun caso, la natura o la durata di tali misure potrà essere più severa o più lunga della misura originariamente imposta. I reati punibili nello Stato di emissione con una pena privativa della libertà della durata massima di almeno tre anni non richiedono una verifica della doppia incriminabilità. Si tratta, in particolare, dei seguenti reati: partecipazione a un’organizzazione criminale, terrorismo, tratta di esseri umani, pornografia infantile, traffico di organi, di stupefacenti, di armi, di esplosivi, di materie nucleari e radioattive, corruzione, criminalità informatica, razzismo e xenofobia, criminalità ambientale, rapimento, contraffazione, violenza sessuale ecc.

Per gli altri reati, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento della sentenza e della decisione di sospensione condizionale, nonché la sorveglianza delle misure e delle sanzioni, alla condizione che la sentenza si riferisca a fatti che costituiscono reato anche ai sensi della legge nazionale.

La decisione quadro indica infine eventuali motivi di rifiuto.

 

e) decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni pronunciate in assenza dell'interessato al processo;

 

La decisione quadro 2009/299/GAI stabilisce le norme secondo le quali le sentenze che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, emesse in uno Stato membro, devono essere riconosciute ed eseguite in un altro Stato membro. Lo scopo è quello di favorire il reinserimento sociale e la reintegrazione delle persone condannate.

Gli Stati membri devono designare le autorità competenti, responsabili di emettere ed eseguire sentenze. L’autorità competente dello Stato di emissione deve trasmettere la sentenza, corredata del certificato allegato alla presente decisione quadro, direttamente all’autorità competente di un solo Stato di esecuzione per volta e con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta.

La trasmissione della sentenza può aver luogo qualora lo Stato di emissione abbia la certezza che l’esecuzione della pena da parte dello Stato di esecuzione abbia lo scopo di favorire il reinserimento sociale e la reintegrazione della persona condannata. Lo Stato di esecuzione può presentare allo Stato di emissione un parere motivato secondo cui l’esecuzione della pena da parte sua non avrebbe tale scopo. Lo Stato di esecuzione e la persona condannata possono anche richiedere di avviare una procedura per la trasmissione della sentenza.

La decisione sul riconoscimento della sentenza e sull’esecuzione della pena deve essere presa dallo Stato di esecuzione entro 90 giorni dal ricevimento della sentenza e del certificato.

L’autorità competente dello Stato di esecuzione deve riconoscere la sentenza e adottare tutte le misure necessarie per eseguire la pena, a meno che non decida di invocare uno dei motivi di rifiuto di riconoscimento e di esecuzione previsti dalla decisione quadro. La decisione quadro indica inoltre i casi nei quali l’autorità competente dello Stato di esecuzione può rifiutare il riconoscimento della sentenza e l’esecuzione della pena.

Quando il certificato è incompleto o non corrisponde alla sentenza, lo Stato di esecuzione può rinviare il riconoscimento della sentenza.

La decisione quadro fornisce un elenco dei reati che, se punibili nello Stato di emissione con una pena detentiva o una misura privativa della libertà personale della durata massima non inferiore a tre anni, danno luogo, senza verifica della doppia incriminabilità del fatto, al riconoscimento della sentenza e all’esecuzione della pena irrogata. Per tutti gli altri reati, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento della sentenza e l’esecuzione della pena alla condizione che essa si riferisca a fatti che costituiscono reato anche ai sensi della legge dello Stato di esecuzione. Se la durata o la natura della pena è incompatibile con la legislazione dello Stato di esecuzione, quest’ultimo può adattarla. Tuttavia, la pena adattata deve corrispondere il più possibile e non essere superiore alla pena originale.

Conformemente alla legislazione dello Stato di emissione, una sentenza corredata di un certificato può essere trasmessa allo Stato di esecuzione ai fini del suo riconoscimento e dell’esecuzione della pena soltanto con il consenso della persona condannata.  In tutti i casi in cui la persona condannata si trova ancora nello Stato di emissione, le viene offerta la possibilità di esprimere la sua opinione oralmente o per iscritto.

Qualora si trovi nello Stato di emissione, la persona condannata deve essere trasferita nello Stato di esecuzione entro 30 giorni dalla data di riconoscimento della sentenza da parte di quest’ultimo. L’amnistia o la grazia possono essere concesse dallo Stato di emissione nonché dallo Stato di esecuzione. Tuttavia, solo lo Stato di emissione può decidere sulle domande di revisione della sentenza.

 

f) decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare.

 

La decisione quadro 2009/829/GAI stabilisce le norme per il reciproco riconoscimento delle misure cautelari da parte dei paesi dell’Unione europea (UE) nel corso di procedimenti penali. Tali norme disciplinano: il riconoscimento di una decisione sulle misure cautelari; la sorveglianza delle misure cautelari; la consegna dell’interessato che viola le misure cautelari impostegli. La decisione quadro si prefigge pertanto di assicurare la comparizione in giudizio dell’interessato; di promuovere durante il procedimento penale il ricorso a misure non detentive per le persone che non sono residenti nello Stato membro in cui ha luogo il procedimento; di migliorare la protezione delle vittime e dei cittadini in generale. Con riguardo alle tipologie di misure cautelari la decisione quadro impone agli  Stati membri di riconoscere e sorvegliare alcune tipologie di misure cautelari, fra le quali, quelle che impongono all'interessato: l'obbligo di comunicare all’autorità responsabile della sorveglianza delle misure cautelari ogni cambiamento di residenza; il divieto di frequentare determinati luoghi; l’obbligo di rimanere in un luogo determinato; l’obbligo di rispettare determinate restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato di sorveglianza; l’obbligo di presentarsi nelle ore stabilite presso una determinata autorità; l’obbligo di evitare contatti con determinate persone in relazione con i presunti reati. Uno Stato membro può trasmettere una decisione sulle misure cautelari all’autorità competente dello Stato membro di residenza dell’interessato. Tuttavia, quest’ultimo deve essere stato informato delle misure in questione e deve aver acconsentito a ritornare nel suo paese di residenza. Su richiesta dell’interessato, una decisione sulle misure cautelari può anche essere trasmessa all’autorità competente di un altro Stato membro. In tal caso, l’autorità in questione deve aver accettato di ricevere la decisione. L’autorità competente dello Stato membro che ha emesso la decisione sulle misure cautelari trasmette tale decisione (o una sua copia autenticata), corredata del certificato allegato alla presente decisione quadro, direttamente all’autorità competente dello Stato membro che si occuperà della sorveglianza. L’autorità competente dello Stato di emissione deve precisare il periodo di applicazione della decisione sulle misure cautelari e se sia possibile una proroga di tale decisione. Deve altresì indicare il tempo approssimativo verosimilmente necessario per la sorveglianza delle misure cautelari. Il paese cui viene trasmessa la decisione sulle misure cautelari deve riconoscere tale decisione e adottare tutti i provvedimenti necessari ai fini della sorveglianza delle misure cautelari entro venti giorni dal ricevimento della decisione. La decisione quadro elenca alcuni reati per i quali le decisioni sulle misure cautelari devono essere in ogni caso riconosciute, senza verifica della doppia incriminabilità dei fatti. Questi reati, tuttavia, devono essere punibili con una pena detentiva o una misura privativa della libertà personale di durata non inferiore a tre anni nello Stato di emissione della decisione sulle misure cautelari.

Per i reati diversi da quelli di cui sopra, lo Stato di sorveglianza può subordinare il riconoscimento della decisione alla condizione che essa si riferisca a fatti che costituiscono reato anche ai sensi della sua legge. In talune circostanze, tale Stato può rifiutare in toto il riconoscimento della decisione sulle misure cautelari.

Se le misure cautelari sono incompatibili con la legislazione dello Stato di sorveglianza, l’autorità competente di quest’ultimo può adattarle. Tuttavia, le misure cautelari adattate devono corrispondere il più possibile alle misure cautelari originariamente disposte e non devono essere più severe di quest’ultime.

Quando lo Stato responsabile della sorveglianza riconosce la decisione sulle misure cautelari, esso diventa responsabile della sorveglianza delle misure cautelari e tale sorveglianza sarà disciplinata dalla sua legislazione.

Lo Stato di emissione della decisione sulle misure cautelari ha la competenza per tutte le ulteriori decisioni connesse con: la proroga, il riesame e la revoca della decisione originale, la modifica delle misure cautelari e l’emissione di un mandato d’arresto. Tali decisioni sono disciplinate dalla legislazione dello Stato di emissione.

Se l’autorità competente dello Stato di emissione modifica le misure cautelari, l’autorità competente dello Stato di sorveglianza può: adattare le misure modificate se sono incompatibili con la sua legislazione nazionale, oppure rifiutarsi di sorvegliare le misure cautelari se queste esulano dal campo d’applicazione della presente decisione quadro. Se l’autorità competente dello Stato di emissione emette un mandato di arresto, l’interessato deve essere consegnato conformemente alle procedure stabilite dalla decisione quadro relativa al mandato d'arresto europeo. La decisione quadro in esame doveva essere recepita all'interno di ciascuno Stato membro entro il 1° dicembre 2012.

 

g) decisione quadro 2009/948/GAI del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali.

 

La decisione quadro 2009/948/GAI prevede una serie di meccanismi procedurali finalizzati a impedire che nei confronti della stessa persona e con riguardo allo stesso fatto di reato, siano avviati più procedimenti penali dinanzi alle diverse autorità giudiziarie nazionali. La decisione quadro stabilisce la procedura secondo cui le autorità nazionali competenti dei paesi dell’UE devono entrare in contatto quando hanno fondati motivi per ritenere che si stia conducendo un procedimento parallelo in un altro paese dell’UE. Essa definisce, infine, il quadro concernente lo scambio d'informazioni e le consultazioni dirette tra le autorità competenti dei paesi dell’UE, con l'obiettivo di individuare una soluzione che eviti gli effetti negativi derivanti dai procedimenti paralleli. Qualora l'autorità competente di un paese dell’UE abbia fondati motivi per ritenere che si stia conducendo un procedimento parallelo in un altro paese dell’UE, essa deve appurare l'esistenza di eventuali procedimenti paralleli rivolgendosi all'autorità competente dell'altro paese. L'autorità contattata ha l'obbligo di rispondere senza indebito ritardo o entro il termine stabilito dell'autorità contattante. La risposta dell'autorità contattata deve indicare se è in corso, o si è svolto, nel suo paese, un procedimento penale per alcuni o tutti i medesimi fatti oggetto del procedimento penale di cui alla richiesta d'informazioni presentata dall’autorità contattante, e se è implicata la stessa persona. In caso di risposta affermativa, l'autorità contattata deve fornire i propri estremi e indicare la fase in cui si trova il procedimento oppure, ove sia stata adottata una decisione finale, la natura della medesima. Qualora sia confermata l'esistenza di procedimenti paralleli, le autorità nazionali competenti devono intraprendere consultazioni dirette per individuare una soluzione che eviti gli effetti negativi derivanti dai procedimenti paralleli. Ciò può portare alla concentrazione dei procedimenti penali in un unico paese dell’UE. Nell'intraprendere le consultazioni dirette, le autorità nazionali dovranno prendere in considerazione tutti i fatti e il merito del caso e tutti i fattori che ritengono pertinenti. Ove non sia possibile giungere a una soluzione, il caso viene deferito a Eurojust se del caso e a condizione che rientri nella sua sfera di competenza.

 

 

Il comma 2 dell'articolo stabilisce che tali decreti siano adottati nel rispetto delle disposizioni previste dalle singole decisioni quadro, nonché dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 32, comma 1, lettere a), e), f) e g), della citata legge del 2012.

 

I princìpi e criteri direttivi generali indicati dall'articolo 32 e richiamati dalla norma in esame sono:

a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti e delle modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni e dei servizi;

e) al recepimento di direttive o all'attuazione di altri atti dell'Unione europea che modificano precedenti direttive o atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva o di altro atto modificato;

f) nella redazione dei decreti legislativi di cui all'articolo 31 si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive dell'Unione europea comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

g) quando si verifichino sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l'efficacia e l'economicità nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili.

 

Ai sensi del comma 3 dell'articolo 11, sugli schemi dei decreti legislativi di recepimento delle decisioni quadro deve essere acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica con le modalità ed i tempi di cui all'articolo 31, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

 

Il comma 3 dell'articolo 31 stabilisce: "La legge di delegazione europea indica le direttive in relazione alle quali sugli schemi dei decreti legislativi di recepimento è acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. In tal caso gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia espresso il parere delle competenti Commissioni parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 9 scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini di delega previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di tre mesi".

 

Infine, il comma 4 dell'articolo reca la copertura finanziaria. Tale disposizione prevede che dall'attuazione del presente articolo non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le amministrazioni interessate provvedono alla sua attuazione con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Solo in relazione alla attuazione della decisione quadro relativa alle squadre investigative comuni, la disposizione prevede una quantificazione degli oneri (310.000 euro a decorrere dall'anno 2015), ai quali si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2015-2017, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2015, allo scopo parzialmente utilizzando l'apposito accantonamento del Ministero della Giustizia. L'adozione delle occorrenti variazioni di bilancio è quindi demandata al Ministro dell'economia e delle finanze.

 

Si rammenta che il complessivo tema dell’assistenza giudiziaria in materia penale è affrontato dalla proposta di legge 1460-A recante Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e delega al Governo per la sua attuazione nonché delega al Governo per la riforma del Libro XI del codice di procedura penale. Modifiche alle disposizioni in materia di estradizione per l'estero: termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive, in corso di esame alla Camera dei deputati.

 

 


 

Articolo 19
(
Delega al Governo per l'attuazione della decisione quadro 2009/315/GAI del Consiglio, ,del 26 febbraio 2009, relativa all'organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario)

 

 

L’articolo 19 delega il Governo all’attuazione, entro sei mesi dalla data in vigore della legge in esame, della decisione quadro 2009/315/GAI finalizzata all’organizzazione ed al contenuto degli scambi tra gli Stati membri delle informazioni estratte dai casellari giudiziali nazionali.

 

L’articolo 22 della Convenzione europea di mutua assistenza in materia penale del 20 aprile 1959 (ratificata dall’Italia con la legge 215/1961) ha previsto che ciascun Paese aderente “comunica alla Parte interessata relativamente ai suoi cittadini le sentenze penali e le misure adottate che abbiano costituito oggetto di una iscrizione al casellario giudiziale”. La disposizione stabilisce che I Ministri della Giustizia si comunicano queste notizie almeno una volta all'anno.

Lo scopo della collaborazione è, chiaramente, quello di conservare presso il casellario giudiziale di cittadinanza di una persona sia le condanne nazionali sia quelle estere.

Tale disposizione è stata attuata con il sistema Ecris - European Criminal Records information System, il sistema informativo del Casellario europeo che consente l’interconnessione telematica dei casellari giudiziari e rende effettivo lo scambio di informazioni sulle condanne fra gli stati membri, in un formato standard comune a tutti.

Le necessità reali di scambio tra i casellari nazionali sono state tali, specie tra i paesi di frontiera, che fin dal 2005, alcuni stati membri (Francia, Germania, Spagna, e Belgio) avevano realizzato, su base multilaterale, una rete sperimentale di collegamento, denominata: Network of Judicial Registers (NJR) - Rete dei Registri Giudiziari. L’esperienza positiva della rete ha presto reso le istituzioni europee sensibili al progetto, mentre intanto la rosa dei partecipanti si allargava progressivamente fino a coinvolgere 16 stati membri, di cui 10 pienamente operativi.

Per la completa realizzazione del sistema ECRIS, il Consiglio dell'Unione Europea ha approvato due specifiche decisioni quadro, la 2009/315/GAI (per la cui attuazione viene data delega al Governo dall’art. 19 in esame) e la 2009/316/GAI (che, in applicazione della decisione quadro 2009/315/GAI, istituisce ECRIS, il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari, v. ultra, art. 20 del d.d.d.).

L‘approvazione delle citate decisioni quadro ha inteso dare veste istituzionale e piena efficacia agli scambi tra i casellari europei. Le decisioni quadro n. 315 e n. 316 del 2009, sulla traccia della rete NJR, disegnano ECRIS, sancendo sostanzialmente la nascita del Casellario europeo.

 

La decisione quadro 2009/315/GAI – che abroga la precedente decisione 2005/876/GAI - si prefigge i seguenti obiettivi:

-        definire le modalità secondo le quali uno Stato membro in cui è stata pronunciata una condanna contro un cittadino di un altro Stato membro ("Stato membro di condanna") trasmette le informazioni su tale condanna allo Stato membro di cittadinanza della persona condannata ("Stato membro di cittadinanza");

-        definire gli obblighi di conservazione di tali informazioni che incombono allo Stato membro di cittadinanza, e precisare le procedure che esso deve seguire nel rispondere a una richiesta di informazioni estratte dal casellario giudiziario nazionale;

-        definire un quadro per lo sviluppo di un sistema informatizzato di scambio di informazioni tra gli Stati membri sulle condanne.

Gli Stati membri designano un'autorità centrale che ha l'incarico di eseguire tutte le attività relative agli scambi di informazioni sulle condanne. Per la trasmissione delle informazioni e per la risposta alle richieste di informazioni, gli Stati membri possono designare una o più autorità centrali.

 

Obblighi degli Stati membri

Oltre alle informazioni sulla condanna, lo Stato membro di condanna deve fornire l'indicazione della(e) cittadinanza(e) della persona condannata nel proprio territorio, quale iscritta nel casellario giudiziario.

L'autorità centrale dello Stato membro di condanna deve comunicare senza indugio alle autorità centrali degli altri Stati membri le condanne penali pronunciate sul proprio territorio contro cittadini di tali altri Stati membri, indicando anche le eventuali modifiche o eliminazioni a dette condanne penali, quali iscritte nel casellario giudiziario. Tale notifica deve includere le informazioni relative alla persona condannata, la natura e i contenuti della condanna, nonché il reato che ha determinato la condanna. L'autorità centrale deve inoltre trasmettere le informazioni facoltative, se iscritte nel casellario giudiziario, e le informazioni supplementari disponibili, come disposto nella decisione quadro.

Lo Stato membro di cui la persona condannata ha la cittadinanza ha l'obbligo di conservare le informazioni così trasmesse e di fornire una risposta alle richieste di informazioni sulle condanne entro il periodo di tempo specificato. Lo Stato membro di condanna può stipulare che le informazioni relative alle condanne pronunciate nel proprio territorio, e trasmesse all'autorità centrale di un altro Stato membro, non possono essere ritrasmesse da quest'ultimo per fini diversi da un procedimento penale.

 

Richiesta di informazioni e risposta alle richieste di informazioni

Quando si richiedono informazioni al casellario giudiziario di uno Stato membro, l'autorità centrale di tale Stato membro può, a sua volta, rivolgere all'autorità centrale di un altro Stato membro una richiesta di estrazione di informazioni a esse attinenti dal casellario giudiziario. Lo stesso vale quando una persona richiede informazioni sul proprio casellario giudiziario a uno Stato membro, a condizione che detta persona sia residente/cittadino di uno degli Stati membri interessati. Tutte le richieste fatte pervenire alle autorità centrali devono essere formulate usando il modulo allegato alla presente decisione quadro.

Quando sono richieste delle informazioni all'autorità centrale dello Stato membro di cui la persona è cittadino, detta autorità centrale deve trasmettere le informazioni sulle condanne che sono state pronunciate sul suo territorio, in altri Stati membri o in paesi terzi, e che sono state conservate o inserite nel proprio casellario giudiziario. Tutte le risposte alle richieste di informazioni devono essere formulate usando il modulo allegato alla decisione quadro, entro 10 giorni lavorativi dalla data di ricezione della richiesta. Qualora la richiesta venga effettuata da una persona che richiede informazioni sul proprio casellario giudiziario, la risposta deve essere trasmessa entro 20 giorni lavorativi dalla data di ricezione della richiesta.

Lo Stato membro richiedente può usare i dati personali trasmessi solo ai fini per cui sono stati richiesti, tranne qualora il fine sia adottare provvedimenti urgenti intesi a prevenire un pericolo grave e immediato per la sicurezza pubblica.

Il Consiglio dovrebbe adottare altri strumenti che definiscano il formato degli scambi di informazioni estratte dai casellari giudiziari e qualsiasi altro mezzo volto a organizzare e agevolare tali scambi fra gli Stati membri entro il 27 aprile 2012.

 

L'Ufficio del Casellario Italiano ha comunque già realizzato l'interconnessione con il sistema ECRIS, scambiando informazioni con tutti i Paesi membri tecnicamente in grado di dialogare, facendo riferimento alla normativa attualmente vigente (la citata Convenzione del 1959).

L’autorità giudiziaria di ogni Stato membro, con una semplice richiesta al casellario di nazionalità, può così conoscere i precedenti penali di un cittadino europeo in ordine all’intero ambito comunitario).

Al momento gli scambi avvengono con circa 20 Paesi e si arriverà alla completa operatività in ambito comunitario quando tutti i Paesi membri saranno in grado di collegarsi.

 

La normativa italiana vigente in materia prevede che ogni sentenza penale straniera debba essere riconosciuta attraverso la procedura di delibazione (art. 730 c.p.p.), prima di essere inserita nel certificato del casellario, ed acquisire la stessa valenza delle sentenze italiane. Prima del riconoscimento, la sentenza straniera non ha quindi valore certificativo.

La procedura di riconoscimento sarà superata quando l'Italia darà attuazione alla decisione quadro 2008/675/GAI del Consiglio dell'Unione europea relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell'Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale. L’art. 21 del d.d.l. in esame riguarda propri detta attuazione (v. ultra).

 

 

L’articolo 19 in esame detta una serie di principi e criteri direttivi specifici (oltre quelli generali di cui agli artt. 31 e 32 della L: 234/2012) cui il Governo deve attenersi in sede di attuazione della decisione quadro 2009/315/GAI.

Tali principi e criteri sono enucleati dalle lett. da a) a r) del comma 1.

 

La lettera a) riguarda la previsione che le definizioni in sede attuativa siano quelle di cui all’art. 2 della decisione quadro ovvero

a) «condanna»: ogni decisione definitiva di una giurisdizione penale nei confronti di una persona fisica in relazione a un reato, nella misura in cui tali decisioni siano riportate nel casellario giudiziario dello Stato di condanna;

b)«procedimento penale»: la fase precedente al processo penale, la fase del processo penale stesso e l'esecuzione della condanna;

c) «casellario giudiziario»: il registro nazionale o i registri nazionali in cui le condanne sono registrate conformemente al diritto nazionale.

 

La lettera b) individua presso il Ministero della Giustizia l’autorità centrale da designare con l'incarico di eseguire tutte le attività relative agli scambi di informazioni tra Stati membri (art. 3, decisione quadro).

 

Le lettere c) e d) riguardano, rispettivamente, gli obblighi dello Stato membro di condanna (art. 4, par 1-3, decisione quadro) ovvero gli obblighi di comunicazione senza indugio all’autorità centrale dello Stato membro di cittadinanza del condannato nonché quello di comunicare ad altri Stati membri ogni successiva modifica o soppressione delle informazioni contenute nel casellario giudiziale.

 

La lettera f) prevede che le informazioni trasmesse ai sensi delle lett. c) e d) siano conservate dall’autorità centrale designata (il Ministero della giustizia) ai fini della loro ritrasmissione agli Stati membri richiedenti.

 

La lettera e) consente di ricevere copia della sentenza e dei conseguenti provvedimenti nonché di ogni altra informazione per valutare l’adozione di eventuali provvedimenti a livello nazionale  (art. 4, par 4, decisione quadro).

 

La lettera g) riguarda le modalità di richiesta di informazioni sulle condanne sulla base del modulo allegato alla decisione quadro (art. 6, decisione quadro).

Si prevedono specifiche modalità diverse sulla base del soggetto richiedente: (autorità centrale (n. 1), cittadino o residente UE (nn. 2 e 3), giudici penali italiani (n. 4).

 

La lettera h) – correlativamente - riguarda le modalità di risposta alla richiesta di informazioni sulle condanne estratte dal casellario (art. 7, decisione quadro) da parte dell’autorità centrale designata presso il Ministero della giustizia. Le modalità riguardano le diverse ipotesi di richiesta ovvero quelle riguardanti le informazioni: su un cittadino italiano ai fini di un procedimento penale (n. 1); su un cittadino italiano a fini diversi da un procedimento penale (nn. 2  e 3); su un cittadino italiano ove la richiesta provenga da un Paese terzo (n. 4); su un cittadino di altro Paese o apolide (n. 5).

 

La lettera i) prevede un termine massimo di risposta di 10 giorni lavorativi da quello di richiesta delle informazioni; il termine massimo è di 20 giorni nel solo caso di cui all’art. 6, par, 2, della decisione quadro ovvero di risposta alla richiesta di informazioni sul proprio casellario giudiziale (art. 8, decisione quadro).

 

La lettera l) stabilisce i limiti di utilizzabilità dei dati personali trasmessi da uno Stato membro in risposta ad una richiesta di informazioni sulle condanne, ai fini di un procedimento penale o per fini diversi da questo (art. 9, decisione quadro).

 

La lettera m) concerne l’uso della lingua sia nella richiesta di informazioni sulle condanne che nelle relative risposte (art. 10 della decisione quadro).

 

La lettera n) - di attuazione dell’art. 11, par. 1, della decisione quadro - elenca le informazioni obbligatorie ovvero quelle che, in ogni caso, devono essere sempre trasmesse (a meno che siano ignote all’utorità centrale) allo Stato membro richiedente; la lettera o) indica le informazioni facoltative che possono essere trasmesse; la lettera p) elenca le informazioni supplementari che, se nella disponibilità dell’autorità centrale, devono comunque essere trasmesse; la lettera q) prevede la possibile trasmissione di altre ulteriori informazioni su condanne iscritte nel casellario giudiziale.

 

La lettera r) riguarda le modalità di trasmissione delle informazioni, delle richieste e delle risposte che vanno trasmesse per via elettronica e con un formato standard; se uno Stato membro non dispone pienamente di un sistema informatizzato, le informazioni vanno trasmesse in maniera che ne risulti traccia scritta per consentire di verificarne l’autenticità (art. 11, par. 3., decisione quadro).

 

 

Sullo schema di decreto legislativo di recepimento della decisione quadro, il comma 2 dell’articolo 19 prevede il parere delle Competenti commissioni parlamentari

 

Il comma 3 riguarda l’invarianza finanziaria derivante dall’attuazione dell’articolo 19 in esame.

 

Si rammenta, come già evidenziato sopra, che il complessivo tema dell’assistenza giudiziaria in materia penale è affrontato dalla proposta di legge 1460-A recante Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e delega al Governo per la sua attuazione nonché delega al Governo per la riforma del Libro XI del codice di procedura penale. Modifiche alle disposizioni in materia di estradizione per l'estero: termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive, in corso di esame alla Camera dei deputati. Tale proposta non contiene peraltro un riferimento espresso alla disciplina dei casellari giudiziali nazionali.


 

Articolo 20
(
Delega al Governo per l'attuazione della decisione quadro 2009/316/GAI del Consiglio, del 6 aprile 2009, che istituisce il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS) in applicazione dell’articolo 11 della decisione quadro 2009/315/GAI)

 

 

L’articolo 20, complementare all’articolo 19 del disegno di legge, delega il Governo ad attuare , entro sei mesi dalla data in vigore della legge in esame, la decisione quadro 2009/316/GAI che, in applicazione della decisione quadro 2009/315/GAI, istituisce il sistema informativo del Casellario europeo (ECRIS - European Criminal Records information System).

 

Come già detto, il sistema ECRIS è già operante nella maggior parte dei Paesi dell’Unione europea sulla base delle previsioni contenute nella Convenzione di mutua assistenza in materia penale del 1959 (v. ante, art. 19)

 

La decisione quadro 2009/316/GAI del Consiglio, del 6 aprile 2009 fondandosi sui principi fissati dalla decisione quadro 2009/315/GAI mira a costruire e sviluppare un sistema informatizzato di scambio di informazioni tra Stati membri di dati contenuti nei casellari giudiziari europei.

In particolare, la decisione quadro per consentire di comunicare informazioni in un modo facilmente comprensibile definisce un formato standard che consenta lo scambio delle informazioni in modo omogeneo, elettronico e facilmente traducibile con dispositivi automatizzati.

Viene a tal fine istituito ECRIS, il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (art. 1) in relazione al quale si applicano le definizioni di “condanna”, “procedimento penale” e “casellario giudiziale” adottate dalla decisione quadro 2009/315/GAI (art. 2). Gli elementi del sistema ECRIS sono: un software di interconnessione comune ad un pacchetto di protocolli per lo scambio di informazione tra le banche dati di casellari giudiziari; una infrastruttura di comunicazione comune che forma una rete cifrata (la rete di comunicazione s-TESTA) (art. 3).

La decisione quadro ha riguardo (art. 4) agli obblighi degli Stati membri di menzionare il codice di trasmissione delle informazioni sia in relazione ai reati che alle condanne.

Ulteriori disposizioni riguardano gli obblighi informativi degli Stati membri al segretariato generale del Consiglio europeo (art. 5). in relazione ad una serie di informazioni inerenti l’elenco dei reati nazionali previsti (all. A) e l’elenco delle diverse tipologie di pene e misure di sicurezza (all. B). Sono previste consultazioni tra le diverse autorità degli Stati membri per la redazione di un manuale che definisca le modalità procedurali per lo scambio di informazioni all’interno di ECRIS nonché un coordinamento operativo tra le stesse autorità per le azioni volte allo sviluppo e all’esercizio di ECRIS (art. 6). Alla Commissione europea sono ascritti obblighi di relazione periodica sugli scambi di informazioni e statistiche acquisite tramite ECRIS (art. 7).

 

Il termine di recepimento delle disposizioni della decisione quadro (ormai scaduto) era fissato al 7 aprile 2012.

L’articolo 20, comma 1, detta una serie di specifici principi e criteri di delega (lettere a), b) e c)) volti a dare attuazione alla decisione quadro 2009/316/GAI che istituisce ECRIS, in conformità delle previsioni tecniche di cui all’art. 11 della decisione quadro 2009/315/GAI.

 

In particolare:

 

-        la lettera a) prevede l’introduzione di un sistema informatizzato che si interfacci col sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari, in conformità a quanto stabilito dall’art. 3 (par. 1-6) della decisione quadro (art. 1-3, decisione quadro).

-        la lettera b) affida all’autorità centrale istituita presso il ministero della giustizia la responsabilità della gestione del citato sistema informatizzato (art. 3, par. 4, decisione quadro);

-        la lettera c) prevede una serie di formati standard di trasmissione delle informazioni dei casellari giudiziali, in riferimento (art. 4 e 5, decisione quadro):

-        alla denominazione o qualificazione giuridica del reato e alle disposizioni giuridiche applicabili (n. 1);

-        al contenuto della condanna (in particolare la pena), alle eventuali pene accessorie e misure di sicurezza e alle decisioni successive che modificano l’esecuzione della pena (n. 2);

-        alla possibilità di realizzare una comparazione tra reati e pene nazionali con quelli contenuti negli allegati A e B della decisione quadro (relativi a reati e pene europee) (n. 3);

-        alla possibilità di fornire le informazioni sul livello di realizzazione del reato e sulla partecipazione ad esso del condannato nonché l’eventuale sussistenza di recidiva, di cause di esonero (anche parziale) della responsabilità e ulteriori notizie sull’esecuzione della pena o misura inflitta (n. 4);

-        ai limiti di comunicazione di informazioni relative a decisioni non penali (n. 5).

 

Anche il comma 2 dell’art. 20 prevede che sul decreto legislativo di recepimento della decisione quadro vada acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.

 

Il comma 3 riguarda l’invarianza finanziaria derivante dall’attuazione dell’articolo in esame.

 


 

Articolo 21
(
Delega al Governo per l'attuazione della decisione quadro 2008/675/GAI del Consiglio, del 24 luglio 2008, relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell'Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale)

 

 

L’articolo 21 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data in vigore della legge in esame, un decreto legislativo che dia attuazione alla decisione quadro 2008/675/GAI, in materia di considerazione delle sentenze penali di condanna in ambito UE in occasione di un nuovo procedimento penale.

 

Il 29 novembre 2000 il Consiglio europeo aveva adottato il programma di misure per l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali. Tale programma prevede «l’adozione di uno o più strumenti volti ad introdurre il principio secondo cui il giudice di uno Stato membro deve essere in grado di tener conto delle decisioni penali definitive rese negli altri Stati membri per valutare i precedenti penali del delinquente, prendere in considerazione la recidiva e determinare la natura delle pene e le modalità di esecuzione applicabili».

 

In attuazione del citato programma, è stata adottata dal Consiglio la decisione quadro 2008/675/GAI.

 

La decisione quadro 2008/675/GAI stabilisce i criteri in base ai quali le precedenti decisioni di condanna, pronunciate da qualsiasi Stato membro, devono essere prese in considerazione in occasione di un nuovo procedimento penale in un altro Stato membro nei confronti della stessa persona, ma per fatti diversi.

Le informazioni sulle precedenti decisioni di condanna possono essere ottenute in virtù degli strumenti applicabili all'assistenza giudiziaria reciproca in materia penale tra gli Stati membri o allo scambio di informazioni estratte dai casellari giudiziari. Nell'ambito di una nuova procedura penale, gli Stati membri devono garantire che le precedenti decisioni di condanna pronunciate in un altro Stato membro siano debitamente prese in considerazione alle stesse condizioni delle precedenti condanne nazionali.

Le precedenti condanne devono essere considerate nella fase precedente al processo penale, nella fase del processo penale stesso e in occasione dell'esecuzione della condanna, in particolare per quanto riguarda le norme di procedura applicabili, riguardanti:

-      la detenzione cautelare;

-      la qualifica del reato;

-      il tipo e il livello della pena comminata;

-      l’esecuzione della decisione.

Il fatto di prendere in considerazione le precedenti decisioni di condanna, non comporta né interferenza con tali decisioni da parte dello Stato membro che avvia il nuovo procedimento, né di revocarle o di riesaminarle.

Nei casi in cui la precedente decisione di condanna non sia stata pronunciata o completamente eseguita da un altro Stato membro prima che sia stato commesso il reato per il quale è in corso un nuovo procedimento, non è richiesta l'applicazione della legislazione nazionale sulla comminazione delle pene qualora l'applicazione di tali norme nazionali a precedenti condanne pronunciate all'estero limiti il giudice all'atto di irrogare una pena. Occorre, tuttavia, tenere conto in altro modo delle condanne precedenti.

La decisione quadro sostituisce l'articolo 56 della Convenzione europea del 28 maggio 1970 sulla validità internazionale delle sentenze penali tra gli Stati membri. L'articolo prevede la possibilità di tenere conto delle sentenze penali pronunciate in altri Stati che aderiscono alla convenzione.

 

 

Il comma 1 dell’articolo 21 detta alle lettere a), b) e c) specifici principi e criteri direttivi cui il Governo dovrà attenersi in sede di attuazione della delega.

 

Con la lettera a) si prevede che la definizione di “condanna” fornita dal decreto legislativo coincida con quella dell’art. 2 della decisione quadro (per «condanna» si intende ogni decisione definitiva di una giurisdizione penale che stabilisca la colpevolezza di una persona per un reato).

 

Dalla lettera b) è stabilito che siano prese in considerazione le precedenti sentenze di condanna pronunciate in altri Stati membri nei confronti di una stessa persona, sottoposta a processo penale per fatti diversi (rispetto a quelli oggetto della condanna) e di cui siano ottenute informazioni in virtù di reciproca assistenza giudiziaria; gli effetti giuridici da attribuire a tale precedenti condanne devono essere equivalenti a quelli derivanti da precedenti condanne nazionali (es. la recidiva), conformemente al diritto nazionale (art. 3, par. 1 e 2, decisione quadro).

 

La lettera c) esclude ai sensi della decisione quadro (art. 3, par. 3, 4 e 5) che tale presa in considerazione possa interferire con le decisioni già assunte comportandone la revoca o il riesame o possa interferire con le decisioni relative alla loro esecuzione adottate in Italia.

 

Sullo schema di decreto legislativo di attuazione della decisione quadro, il comma 2 dell’articolo 21 prevede il rilascio del parere delle Competenti commissioni parlamentari

 

Il comma 3 riguarda l’invarianza finanziaria derivante dall’attuazione dell’articolo in esame.

 


Direttiva Allegato A

 


 

Direttiva n. 2014/111/UE
(
Direttiva di esecuzione della Commissione, del 17 dicembre 2014, recante modifica della direttiva 2009/15/CE per quanto attiene all'adozione da parte dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO) di taluni codici e relativi emendamenti di alcuni protocolli e convenzioni (termine di recepimento 31 dicembre 2015)

 

 

La direttiva di esecuzione 2014/111/UE, inserita nell'Allegato A durante l'esame al Senato, modifica l'articolo 2, lettera d), della direttiva 2009/15/CE, relativamente all'adozione di due codificazioni internazionali (il Codice III e il Codice RO), da parte dell'Organizzazione Marittima Internazionale (IMO). La direttiva 2009/15 ha operato una rifusione delle norme comuni per gli organismi che effettuano ispezioni e visite di controllo delle navi e per le relative attività delle amministrazioni marittime.

Le modifiche apportate dalla direttiva 2014/111/UE sono necessarie al fine di ridurre i rischi di conflitto tra la legislazione marittima dell’Unione e gli strumenti internazionali. In particolare, il codice RO è entrato in vigore il 1° gennaio 2015.

 

Il Codice III (IMO Instruments Implementation Code) adottato dall’IMO il 4 dicembre 2013, ha la finalità di migliorare globalmente la sicurezza marittima e la protezione dell'ambiente marino e assistere gli Stati nell'attuazione degli strumenti dell'Organizzazione.

Il Codice RO (Code for recognized organizations) è invece stato adottato dal MEPC (Marine Environment Protection Committee), sotto l’egida della SOLAS (Safety Of Live At Sea) istituita nel 1914, e della Convenzione Marpol 73/78 per la prevenzione dell'inquinamento causato dalle navi e il relativo protocollo del 1978. Il Codice RO stabilisce che le Amministrazioni (Stati di bandiera) possono delegare alcune responsabilità per la rilevazione e la certificazione delle navi ad “Organizzazioni Riconosciute” (spesso sono le società o istituti di classificazione). Tali organizzazioni, pertanto,  possono agire per conto dello Stato di bandiera. Il Codice RO stabilisce i meccanismi standard per la sorveglianza, la valutazione e le autorizzazioni a organismi riconosciuti e chiarisce le responsabilità di tali organizzazioni.

 

La direttiva di rifusione 2009/15/CE ed il regolamento (CE) 2099/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, che costituiscono un insieme legislativo sul funzionamento degli organismi riconosciuti, presentano infatti alcune discrepanze con i predetti Codice III e Codice RO. Pertanto, al fine, di eliminare tali contrasti, è stata emanata la direttiva 2014/111/UE.

Il Codice III definisce infatti un elenco minimo di risorse e processi che gli Stati di bandiera devono adottare al fine di dimostrare la conformità delle navi alle prescrizioni strutturali, meccaniche, elettriche stabilite delle convenzioni internazionali di cui lo Stato è parte. Il diritto dell’Unione prevede invece che le navi debbano essere progettate, costruite e mantenute conformemente alle prescrizioni strutturali di una società di classificazione riconosciuta. Inoltre, l'organismo che agisce come società di classificazione emette i certificati di classe delle navi. Il diritto unionale opera una distinzione circa la natura dei certificati statutari e dei certificati di classe, questi ultimi considerati di natura privatistica.

In base al Codice III inoltre, ciascuno Stato di bandiera, in relazione alle proprie navi, è tenuto ad assicurare che un organismo tecnico riconosciuto abbia le risorse necessarie per lo svolgimento dei compiti che gli vengono affidati. Nel diritto UE, invece, la capacità degli organismi riconosciuti risulta una condizione necessaria ai fini del riconoscimento, con riferimento all'intera flotta, senza distinzioni basate sullo Stato di bandiera.

Altra discrepanza è quella tra la norma internazionale che prevede il divieto per lo Stato di bandiera  di attribuire mandato ai propri organismi riconosciuti di applicare le disposizioni, prescrizioni o procedure di classificazione alle navi diverse rispetto a quelle che hanno il diritto di battere la propria bandiera e quella della direttiva 2009/15/CE, che prevede che gli Stati membri abbiano la facoltà di autorizzare un organismo riconosciuto ad agire per conto loro.

Per quanto riguarda il Codice RO esso prevede che un organismo riconosciuto sia quello valutato dallo Stato di bandiera, mentre in base alla direttiva 2009/15/CE si definisce organismo riconosciuto quello che rispetta le prescrizioni del Regolamento (CE) n. 391/2009.

Infine, il codice RO stabilisce che gli organismi riconosciuti possano emettere certificazioni e svolgere servizi statutari, invece, la direttiva 2009/15/CE, traccia chiaramente la definizioni di certificati statutari rilasciati in base alle convenzioni internazionali e certificati di classe rilasciati da un organismo riconosciuto. In base a ciò, ci sarebbe una distinzione nella natura  tra certificati statutari e certificati di classe. I primi di natura pubblica e i secondi di matrice privatistica.

 

L'entrata in vigore delle disposizioni nazionali necessarie per conformarsi alla direttiva deve avvenire negli Stati membri entro il 31 dicembre 2015.

 

 

 

 


Direttive Allegato B

 


Direttiva n. 2010/53/UE
(
Organi umani destinati ai trapianti)

 

 

La direttiva 2010/53/UE è volta a garantire un quadro comune relativo alle norme di qualità e sicurezza degli organi di origine umana destinati al trapianto nel corpo umano, allo scopo di proteggere i donatori e di ottimizzare gli scambi tra Paesi membri e Paesi terzi.

 

Occorre preliminarmente sottolineare che al riguardo è stato già presentato, da parte del Ministero della salute, uno schema di decreto sul quale, in data 25 marzo 2015, è stata raggiunta l’Intesa della Conferenza permanente Stato-regioni e province autonome che ha altresì riguardato la direttiva di esecuzione 2012/25/UE della Commissione del 9 ottobre 2012 (v. scheda successiva) in materia di procedure informative per lo scambio tra Stati membri di organi umani destinati ai trapianti.

Detto schema dà attuazione alla sopra citata direttiva 2010/53/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, in base a quanto disposto dall’art. 1, commi 340 e 341, della Legge di stabilità 2013 (L. 228/2012) che hanno modificato la legge 1° aprile 1999, n. 91 (Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti) sui trapianti per disciplinare la donazione di organi da persona vivente[9].

Quest’ultima – si ricorda – ha permesso di archiviare la procedura di infrazione della Commissione n. 2012/370 per mancato recepimento della direttiva il cui termine è scaduto il 27 agosto 2012 (art. 31 della direttiva).

 

L’ambito di applicazione della direttiva (art. 2) riguarda le fasi della donazione, reperimento, analisi, conservazione, trasporto e utilizzo di organi e riguarda gli organi destinati alla ricerca solo se destinati al trapianto nel corpo umano.

Il quadro in materia di qualità e sicurezza disposto dalla direttiva (art. 4) prevede l’adozione e l’attuazione di procedure operative relative alla verifica dell’identità del donatore, delle informazioni relative al consenso, della caratterizzazione dell’organo, vale a dire la raccolta di informazioni sulle caratteristiche dello stesso. Inoltre, disciplina le procedure operative per il reperimento, conservazione ed etichettatura degli organi, per il trasporto dei medesimi, per la loro tracciabilità contemperata con il diritto alla protezione dei dati personali e alla riservatezza, e per la formazione del personale incaricato di tali attività.

Per quanto riguarda il reperimento di organi, è fatto obbligo agli Stati membri di provvedere tramite appositi organismi che osservino le norme della direttiva (art. 5) e le cui attività mediche siano sottoposte alla supervisione di un medico: in particolare, il reperimento dovrà avvenire in strutture conformi a sale operatorie in cui dovranno essere rispettate le norme in materia di sterilizzazione dei medicinali e dispositivi medici (art. 6).

La caratterizzazione degli organi e dei donatori, disciplinata all’art. 7, è predisposta per fornire tutte le informazioni e i dati, come da apposito modulo allegato alla direttiva: tra queste, in particolare, deve essere indicato il tipo di donatore, il gruppo sanguigno, la causa e la data del decesso del donatore, la sua anamnesi (da cui emergano eventualmente neoplasie, epatite, HIV o l'assunzione di droghe per via endovenosa).

L’art. 8 disciplina in dettaglio le modalità con cui deve avvenire il trasporto degli organi al fine di garantire l'integrità degli stessi.

Il centro trapianti destinatario, prima di procedere al trapianto, dovrà inoltre verificare la caratterizzazione dell'organo e il rispetto delle condizioni di trasporto (art. 9). Per la salvaguardia della salute dei riceventi e dei donatori, devono poi essere garantiti sistemi di tracciabilità degli organi dal donatore al ricevente e viceversa, nel rispetto del principio dell'anonimato dei donatori (art. 10).

Gli Stati membri dovranno poi stabilire procedure per la rapida, precisa e verificabile segnalazione di eventi e reazioni avverse gravi che possano influire sulla qualità e la sicurezza degli organi, e che siano imputabili al trapianto e alle attività legate allo stesso, prevedendone eventualmente il ritiro (art. 11).

L’art. 12 impone agli Stati membri di provvedere ad assicurare l’idoneità e l’addestramento del personale di assistenza sanitaria competente.

La direttiva contiene peraltro (art. 13) principi volti a tutelare e proteggere sia i donatori, sia i riceventi: a tal fine è previsto che le donazioni siano volontarie, non remunerate ed effettuate tramite organismi senza fini di lucro. E' inoltre vietata qualsiasi pubblicità riguardante la necessità o la disponibilità di organi. Agli Stati membri è lasciata competenza normativa sul consenso al prelievo, alla sua autorizzazione e all’assenza di qualsiasi obiezione (art. 14).

Per quanto riguarda i donatori viventi, la direttiva (art. 15), al fine di assicurarne la massima protezione, stabilisce che gli stessi vengano adeguatamente selezionati sulla base dei loro precedenti sanitari e medici. E’ prevista l’iscrizione in un apposito registro. La fase dei controlli successivi alla donazione è affidata agli Stati per identificare, segnalare e gestire qualsiasi evento connesso alla qualità e alla sicurezza dell'organo donato e qualsiasi reazione avversa grave nel donatore vivente. E' inoltre garantito il rispetto dei dati personali, nonché l'anonimato sia dei donatori che dei riceventi (art. 16).

E’ prevista la designazione, da parte degli Stati membri, di una o più autorità competenti, responsabili, tra l'altro, dell'aggiornamento del programma nazionale di qualità e del controllo periodico dei centri di trapianto (art. 17). Alle stesse autorità è affidato il compito di tenere un registro degli organismi di reperimento e dei centri per i trapianti, e delle rispettive attività, di cui deve essere fornita una relazione annuale (art. 18).

L’art. 19 prevede l’istituzione, da parte della Commissione europea, di una rete di autorità competenti per lo scambio di informazioni sulle esperienze acquisite con riferimento all’attuazione della presente direttiva.

E’ prevista la possibilità (art. 20) di stipulare accordi tra le autorità competenti indicate dagli Stati membri e le controparti nei Paesi terzi in merito allo scambio di organi, purché ne sia assicurata la loro tracciabilità e corrispondenza ai parametri di qualità e sicurezza equivalenti a quelli stabiliti dalla direttiva.

Analoghi accordi possono essere stipulati tra le predette autorità competenti e le organizzazioni europee per lo scambio di organi (art. 21).

Agli Stati membri infine è affidato il compito di determinare il sistema di sanzioni da applicare in caso di mancato rispetto delle norme nazionali di attuazione della direttiva, in base ai principi di efficacia, proporzionalità e dissuasività (art. 23).

Gli ultimi articoli della direttiva (24-33) dettano specifiche norme relative ai termini per l’esercizio della delega ed adozione della direttiva.

Si sottolinea che le norme che prevedono misure di applicazione uniforme della direttiva sono in particolare contenute all’art. 29, con specifico riferimento alla trasmissione delle informazioni relative agli organi (caratterizzazione e tracciabilità) da cui è successivamente derivata la direttiva 2012/25/UE.

 


 

 

Direttiva n. 2012/25/UE
(
Organi umani destinati ai trapianti)

 

 

La direttiva 2012/25/UE in materia di procedure informative per lo scambio, tra gli Stati membri, di organi umani destinati ai trapianti – il cui termine di recepimento è scaduto il 10 aprile 2014 - deriva dalla previsione dell'art. 29 della direttiva 2010/53/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sulle norme di qualità e sicurezza degli organi umani destinati ai trapianti.

Come precedentemente visto, l’Intesa della Conferenza permanente Stato-regioni e province autonome del 25 marzo 2015 sullo schema di decreto per l’attuazione della sopra citata direttiva 2010/53/UE ha altresì riguardato la direttiva 2012/25/UE in quanto recante le corrispondenti norme di esecuzione specificamente riferite alle procedure informative per lo scambio di organi umani destinati ai trapianti.

L’ambito di applicazione è relativo allo scambio transfrontaliero di organi umani destinati ai trapianti nell’Unione europea.

L’art. 4 dispone circa le specifiche modalità procedurali finalizzate alla trasmissione delle informazioni relative agli organi in questione. E’ previsto (art. 5) che, prima dello scambio degli organi, l'autorità competente o l’organismo delegato dello Stato membro di origine trasmetta tutte le necessarie informazioni circa la caratterizzazione degli organi. Sono inoltre disposte norme di garanzia della tracciabilità degli organi (art. 6). Ogni segnalazione di evento avverso o grave, inerente agli organi oggetto di scambio, deve avvenire senza ritardo indebito secondo la procedura indicata all'art. 7.

Specifiche disposizioni sono contenute all’art. 8 per assicurare l’interconnessione tra gli Stati membri, in particolare qualora vi siano più autorità competenti o organismi delegati. La Commissione europea mette a disposizione degli Stati membri un elenco di tutte le autorità competenti e degli organismi delegati designati dai medesimi, ai quali è fatto carico di tenere costantemente aggiornate tali informazioni.

Procedure di contenzioso

Si segnala che la Commissione europea, nell’ambito della procedura di infrazione 2014/287 (avviata  con la lettera di costituzione in mora del 28 maggio 2014), ha emesso un parere motivato ex art. 258 TFUE per il mancato recepimento della direttiva 2012/25/UE relativa alle procedure informative per lo scambio tra Stati membri di organi umani destinati ai trapianti.


 

 

Direttiva n. 2013/40/UE
(
Sanzioni per attacchi contro sistemi di informazione)

 

 

La direttiva in titolo modifica e amplia le disposizioni contenute nella decisione quadro 2005/222/GAI, che va a sostituire integralmente[10].

Essa stabilisce norme minime per la definizione dei reati e delle sanzioni nel settore degli attacchi contro i sistemi di informazione. Suoi obiettivi sono facilitare la prevenzione di tali reati e migliorare la cooperazione fra autorità giudiziarie e altre autorità competenti, compresi la polizia e i servizi degli Stati membri incaricati dell'applicazione della legge, nonché le competenti agenzie e gli organismi specializzati dell'Unione, come Eurojust, Europol e l'Agenzia per la sicurezza delle reti e dell'informazione (ENISA).

Al punto 15 delle premesse, la direttiva ricorda che il quadro giuridico di riferimento per la lotta contro la criminalità informatica, compresi gli attacchi contro i sistemi di informazione, è la Convenzione del 2001 del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, il cui processo di ratifica andrebbe completato il prima possibile.

La direttiva mantiene la maggior parte delle disposizioni contenute nella decisione quadro 2005/222/GAI:

-       la penalizzazione dell'accesso illecito (art. 3);

-       la penalizzazione dell'interferenza illecita relativamente ai sistemi (art. 4) e dell'interferenza illecita relativamente ai dati (art. 5);

-       la penalizzazione dell'istigazione, del favoreggiamento, del concorso e del tentativo di commettere tali reati (art. 8).

Essa contiene inoltre le seguenti previsioni:

-       la penalizzazione dell'intercettazione illecita (art. 6);

-       la penalizzazione della produzione e della messa a disposizione di strumenti quali programmi o password di computer, senza diritto e con l'intenzione di utilizzarli al fine di commettere i reati di cui agli artt. da 3 a 6. La direttiva si riferisce, in particolare, alla creazione delle "botnet", ossia all'azione con cui si stabilisce il controllo a distanza di un numero rilevante di computer infettandoli con software maligni per mezzo di attacchi informatici mirati (art. 7);

-       il rafforzamento della rete esistente di punti di contatto, come quella del G8 o quella del Consiglio d'Europa, disponibili ventiquattr'ore su ventiquattro e sette giorni su sette, con l'obbligo di rispondere entro otto ore alle richieste urgenti (art. 13);

-       la raccolta, da parte degli Stati membri, di dati statistici sui reati previsti nella presente direttiva (art. 14).

Per quanto riguarda le sanzioni penali applicabili, gli Stati membri dovranno assicurare: una pena detentiva massima non inferiore a due anni, almeno per i casi che non sono di minore gravità; una pena di detenzione massima di almeno tre anni, qualora un numero significativo di sistemi di informazione sia stato colpito avvalendosi di uno degli strumenti di cui all'art. 7; una pena detentiva non inferiore a cinque anni, qualora i reati di interferenza illecita siano stati commessi nell'ambito di un'organizzazione criminale[11], o abbiano causato gravi danni, o siano stati commessi ai danni di un sistema di informazione di un'infrastruttura critica (art. 9).

 

Il termine ultimo per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è fissato al 4 settembre 2015.


 

 

Direttiva n. 2013/48/UE
(
Diritti nel procedimento penale)

 

 

La direttiva in oggetto stabilisce norme minime relative al diritto di indagati e imputati di avvalersi di un difensore nei procedimenti penali, nonché nei procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo ai sensi della decisione quadro 2002/584/GAI, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari.

Essa fa parte della serie di misure previste dalla risoluzione del Consiglio del 30 novembre 2009 relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali, quale allegata al programma di Stoccolma approvato dal Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2009.

Per quanto concerne l'ambito di applicazione della direttiva, questa si applica a chiunque sia messo a conoscenza dalle autorità competenti di uno Stato membro, mediante notifica ufficiale o in altro modo, di essere indagato o imputato per un reato, fino alla conclusione del procedimento (comprese le eventuali impugnazioni). Si applica, inoltre, alle persone oggetto di un procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo a partire dal momento del loro arresto nello Stato membro di esecuzione. In ogni caso, la direttiva dovrà essere integralmente applicata se l'indagato o imputato è privato della libertà personale, indipendentemente dalla fase del procedimento penale (art. 2).

Le principali misure introdotte dalla direttiva sono le seguenti:

-       Gli Stati membri dovranno assicurare che, nel procedimento penale, indagati e imputati abbiano il diritto di avvalersi di un difensore senza indebito ritardo, a partire dal primo fra i momenti seguenti: prima di essere interrogati dalla polizia o da un'altra autorità di contrasto o giudiziaria; quando le autorità inquirenti o altre autorità competenti procedono ad atti investigativi o altri atti di raccolta delle prove (quali ricognizioni delle prove, confronti o ricostruzioni della scena di un crimine); dopo la privazione della libertà personale; qualora siano stati chiamati a comparire dinanzi a un giudice competente in materia penale, prima di comparire dinanzi a tale giudice (art. 3).

-       Gli Stati membri dovranno rispettare la riservatezza delle comunicazioni fra indagati o imputati e il loro difensore nell'esercizio del loro diritto di avvalersi di un difensore previsto dalla presente direttiva. Tale comunicazione comprende gli incontri, la corrispondenza, le conversazioni telefoniche e le altre forme consentite ai sensi del diritto nazionale (art. 4).

-       Indagati e imputati che sono privati della libertà personale avranno il diritto, se lo desiderano: di informare della privazione della libertà personale almeno una persona, quale un parente o un datore di lavoro, da loro indicata, senza indebito ritardo (art. 5); di comunicare senza indebito ritardo con almeno un terzo, quale un parente, da essi indicato (art. 6). Qualora l'indagato o imputato sia un minore, il titolare della potestà genitoriale dovrà essere informato quanto prima della privazione della libertà personale e dei relativi motivi, salvo che ciò sia contrario all'interesse superiore del minore.

-       Indagati o imputati privati della libertà personale in un altro Stato membro avranno il diritto di informare le autorità consolari del loro Stato di cittadinanza. Avranno inoltre il diritto di ricevere visite delle loro autorità consolari, il diritto di conversare e di corrispondere con esse nonché il diritto a un'assistenza legale da queste predisposta (art. 7).

-       Gli Stati membri potranno autorizzare deroghe temporanee ai diritti conferiti dalla presente direttiva in circostanze eccezionali e sulla base di uno dei "motivi imperativi" definiti dalla direttiva stessa: a causa della lontananza geografica dell'indagato o imputato; nel caso vi sia necessità impellente di evitare gravi conseguenze negative per la vita, la libertà o l'integrità fisica di una persona; qualora vi sia la necessità indispensabile di un intervento immediato delle autorità inquirenti per evitare di compromettere in modo sostanziale un procedimento penale (artt. 3, 5 e 8).

-       Nel procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo, le "persone ricercate" avranno diritto di avvalersi di un difensore nello Stato membro di esecuzione e di nominare un difensore nello Stato membro di emissione (art. 10).

Gli Stati membri dovranno infine garantire che, nell'applicazione della direttiva, si tenga conto delle particolari esigenze di indagati e imputati vulnerabili (art. 13).

 

L'art. 15 fissa al 27 novembre 2016 il termine ultimo per il recepimento della direttiva.

 


 

 

Direttiva n. 2013/53/UE
(
Imbarcazioni da diporto)

 

 

La direttiva 2013/53/UE, relativa alle imbarcazioni da diporto e alle moto d'acqua e che abroga la precedente direttiva 94/25/CE è stata spostata dall'Allegato A all'Allegato B nel corso dell'esame al Senato.

La precedente direttiva 94/25/CE ha disciplinato il ravvicinamento delle disposizioni riguardanti le imbarcazioni da diporto, nel quadro della realizzazione del mercato interno, al fine in particolare di armonizzare le caratteristiche di sicurezza delle imbarcazioni da diporto in tutti gli Stati membri e di rimuovere gli ostacoli al commercio di tali beni. Successivamente, la direttiva 2003/44/CE, ha modificato la direttiva 94/25/CE, estendendone l’ambito di applicazione alle moto d’acqua, e vi ha integrato requisiti di protezione ambientale.

Gli sviluppi tecnologici del mercato, tuttavia, hanno sollevato nuovi problemi riguardo ai requisiti ambientali della direttiva 94/25/CE. Per tenere conto di tali sviluppi e chiarire il quadro relativo alla commercializzazione, nonché rivedere e migliorare alcuni aspetti della direttiva 94/25/CE, è stata adottata la direttiva 2013/53/UE, che ha quindi sostituito la precedente.

La direttiva fissa innanzitutto i requisiti essenziali dei prodotti (allegato 1), gli obblighi dei fabbricanti per quanto riguarda le procedure di fabbricazione, la documentazione tecnica e le informazioni da fornire al consumatore. Inoltre la direttiva definisce gli obblighi degli importatori, anche privati, e dei distributori.

Per assicurare infatti la coerenza alla normativa che instaura un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti, vi sono alcuni aspetti della direttiva 2013/53/UE che vengono adeguati e coordinati con i principi comuni e le disposizioni di riferimento sul quadro comune per la commercializzazione dei prodotti. Si tratta degli obblighi generali degli operatori economici, della presunzione di conformità, delle norme sulla marcatura CE, delle prescrizioni relative agli organismi di valutazione della conformità e alle procedure di notifica, nonché delle disposizioni riguardanti le procedure relative a prodotti che comportano rischi.

Gli operatori economici interessati dall'applicazione della direttiva, redigendo la dichiarazione di conformità alla normativa europea richiesta si assumono la responsabilità della conformità del prodotto. Ai prodotti dichiarati conformi possono essere apposti i contrassegni di marcatura CE che garantiscono che i prodotti siano conformi.

La direttiva regola inoltre le procedure di valutazione della conformità applicabili, i requisiti di progettazione e costruzione relativi anche ai dispositivi di controllo dell'inquinamento (scarichi, dispositivi acustici, ecc...) e contiene norme sulla valutazione post-costruzione delle imbarcazioni da diporto e delle moto d'acqua da parte o dei fabbricanti stessi o dei distributori. Ai fini di chiarezza, la direttiva specifica in quali situazioni si può utilizzare la valutazione post-costruzione. La conformità basata su una valutazione post-costruzione è la procedura atta a valutare la conformità equivalente di un prodotto nel caso in cui il fabbricante non se ne sia assunto la responsabilità, e con cui la persona fisica o giuridica che immette il prodotto sul mercato o lo mette in servizio sotto la propria responsabilità si assume la responsabilità della conformità equivalente del prodotto.

La direttiva reca infine disposizioni sugli organismi che effettuano la valutazione sulla conformità dei prodotti in tutti gli Stati membri e sulle autorità nazionali di controllo. Gli Stati devono inoltre assicurare, attraverso apposite autorità, l'attività di vigilanza del mercato, soprattutto in caso di rischi per la salute, la sicurezza o l'ambiente. Gli Stati membri devono fare in modo che gli operatori economici, se necessario, adottino le misure correttive richieste e possono adottare disposizioni per il ritiro dal mercato del prodotto non conforme. La Commissione può verificare se tale misura sia giustificata o meno. Nella direttiva comunque sono indicati i casi di non conformità formale che giustificano il ritiro dal mercato dei prodotti o il divieto della loro importazione.

Al fine di controllo della adeguatezza dei requisiti ambientali la direttiva prevede che a partire dal 2021 e successivamente ogni  cinque anni gli Stati membri forniscano alla Commissione una serie di informazioni sull'applicazione della direttiva e che la Commissione a sua volta presenti una relazione al Parlamento.

Gli Stati membri stabiliscono le norme sulle sanzioni, che possono comprendere sanzioni penali per le violazioni gravi, applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della direttiva e adottano tutte le misure necessarie per garantirne l’applicazione.

 

Il termine fissato per l'adozione di misure nazionali di recepimento della direttiva è il 18 gennaio 2016, ma è previsto un regime transitorio fino al 18 gennaio 2017 per consentire la messa sul mercato di prodotti conformi alla vecchia direttiva 94/25/CE.


 

 

Direttiva n. 2013/54/UE
(
Lavoro marittimo)

 

 

La direttiva 2013/54/UE intende assicurare che gli Stati membri adempiano agli obblighi derivanti, nella qualità di Stato di bandiera, dalla Convenzione sul lavoro marittimo (CLM) del 2006 dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Quest'ultima Convenzione fissa, a livello mondiale, norme minime comuni, nel settore marittimo, per tutte le bandiere e per tutti i lavoratori coinvolti.

 

A tal fine, l'art. 3, par. 1 della direttiva incarica gli Stati membri di garantire l'istituzione di meccanismi di attuazione e controllo, comprese le ispezioni, per assicurare che "le condizioni di vita e di lavoro dei marittimi che lavorano a bordo di navi battenti la loro bandiera soddisfino e continuino a soddisfare" le prescrizioni della CLM.

Le ispezioni possono essere svolte da istituzioni pubbliche o da altri organismi, anche di un altro Stato membro, sulla base di un'autorizzazione dello Stato membro interessato (art. 3, par. 3), con l'ausilio di personale la cui competenza e formazione deve essere assicurata ai sensi dell'art. 4.

Viene espressamente specificato che "uno Stato membro conserva la piena responsabilità dell'ispezione delle condizioni di vita e di lavoro dei marittimi a bordo delle navi battenti la bandiera di tale Stato membro" (art. 3, par. 3). Anche per questo l'art. 4, par. 3, incarica gli Stati membri di predisporre, accanto ad un sistema atto a garantire l'adeguatezza del lavoro svolto dagli organismi riconosciuti, anche "le procedure di comunicazione con tali organismi e il controllo del loro operato" (art. 4, par. 3, lett. b).

Le autorizzazioni rilasciate dagli Stati membri "conferiscono all'organismo riconosciuto, come minimo, il potere di esigere la correzione delle carenze da esso riscontrate nelle condizioni di vita e di lavoro dei marittimi e di effettuare le relative ispezioni su richiesta dello Stato di approdo" (art. 4, par. 2). Gli ispettori sono inoltre, se del caso, autorizzati ad adottare "provvedimenti allo scopo di vietare alla nave di lasciare il porto fino a quando non siano state adottate le misure necessarie" (art. 4, par. 1).

L'art. 5 incarica altresì gli Stati membri di provvedere affinché le proprie disposizioni legislative e regolamentari prevedano idonee procedure di reclamo a bordo, la procedura per l'analisi delle quali è descritta nel medesimo art. 5.

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva è il 31 marzo 2015.

Procedure di contenzioso

In materia di lavoro marittimo, si segnala che il 25 novembre 2014 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2014_0515) per il mancato recepimento della direttiva 2009/13/CE recante attuazione dell’accordo concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) sulla convenzione sul lavoro marittimo del 2006.

Il termine per il recepimento scadeva il 20 agosto 2014.

Al riguardo, è opportuno ricordare che nell’ottobre 2014 la Camera ha concluso l’esame parlamentare dello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2009/13/CE (Atto del Governo n. 104). Le Commissioni XI Lavoro e XIV Politiche dell’Unione europea hanno espresso parere favorevole con osservazioni.

Il decreto legislativo non risulta approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri, né pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

 

Si segnala che le disposizioni di attuazione della direttiva 2009/13/CE sono inserite all’articolo 15 del disegno di legge europea 2014 (C. 2977), attualmente all’esame della XIV Commissione della Camera dei deputati.

 

 

 


 

Direttiva n. 2013/55/UE
(
Qualifiche professionali)

 

 

La direttiva 2013/55/UE, entrata in vigore il 17 gennaio 2014, riguarda il riconoscimento delle qualifiche professionali nonché la prestazione dei relativi servizi. A tal fine, la Direttiva in esame modifica sotto molteplici profili la precedente direttiva in materia, n. 2005/36/CE, e sostituisce il punto 2 dell'allegato del cosiddetto "regolamento IMI", vale a dire il Regolamento (UE) n. 1024/2012 concernente la cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno. L'ammodernamento del diritto dell'Unione in questo campo è volto a stimolare la crescita e a ridurre gli oneri amministrativi connessi al riconoscimento delle qualifiche professionali.

Ai sensi dell'articolo 1 della Direttiva 2013/55/UE, la nuova versione della Direttiva 2005/36/CE comprenderà anche regole relative all'accesso parziale a una professione regolamentata nonché al riconoscimento di tirocini professionali effettuati in un altro Stato membro e si applicherà anche a tutti i cittadini di uno Stato membro che hanno effettuato un tirocinio professionale al di fuori dello Stato membro d'origine. L'articolo 1 della Direttiva 2013/55/UE contiene espressi riferimenti ad alcune aree - come medicina specialistica, odontoiatria, farmacia, infermieristica,  ostetricia, architettura -, per le quali reca specifiche prescrizioni. Sempre in base all'articolo 1 della Direttiva 2013/55/UE, la normativa dettata dalla Direttiva 2005/36/CE non si applica invece ai notai nominati con atto ufficiale della pubblica amministrazione.

Tra le principali novità recate dall'articolo 1 della Direttiva 2013/55/UE, si segnala l'istituzione di una tessera professionale europea. Si tratta di un certificato elettronico attestante o che il professionista ha soddisfatto tutte le condizioni necessarie per fornire servizi, su base temporanea e occasionale, in uno Stato membro ospitante, o il riconoscimento delle qualifiche professionali ai fini dello stabilimento del suddetto professionista in uno Stato membro ospitante. La tessera europea deve essere rilasciata su richiesta da parte del professionista e in seguito alla presentazione dei documenti necessari e all'espletamento delle corrispondenti procedure di verifica ad opera dell'autorità competente. I professionisti che beneficiano del riconoscimento delle qualifiche professionali devono possedere la conoscenza delle lingue necessaria all'esercizio della professione nello Stato membro ospitante. Quest'ultimo effettua controlli in tal senso. Il controllo linguistico è proporzionato all'attività da eseguire. I riconoscimenti delle qualifiche professionali sono automatici qualora sussistano quadri di formazione professionale comuni. A tal fine, i parametri si basano sui livelli dell'EQF, che è il quadro europeo delle qualifiche volto a favorire la trasparenza e la comparabilità delle qualifiche professionali. Il quadro comune di formazione consente ai cittadini di un qualsiasi Stato membro di acquisire la qualifica professionale prevista nell'ambito di detto quadro senza dover essere già membri di una qualsiasi organizzazione professionale o essere iscritti presso detta organizzazione.

Per quanto riguarda le attività facenti parte di una professione con un ambito di attività più esteso che nello Stato membro di origine, lo Stato membro ospitante, a determinate condizioni, previste dall'autorità nazionale competente, accorda un accesso parziale a un'attività professionale sul proprio territorio, previa valutazione di ciascun singolo caso.

Le autorità competenti dello Stato membro d'origine e dello Stato membro ospitante, tramite il sistema di informazione IMI di cui sopra, si scambiano informazioni concernenti azioni disciplinari, sanzioni penali adottate o qualsiasi altra circostanza specifica grave che potrebbero avere conseguenze sull'esercizio delle attività previste dalla direttiva 2005/36/CE, nel rispetto delle norme sulla protezione dei dati personali. Entro il 18 gennaio 2016 ciascuno Stato membro dovrà designare un centro di assistenza incaricato di fornire ai cittadini, nonché agli omologhi centri di assistenza degli altri Stati membri, l'assistenza necessaria in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali, incluse le informazioni sulla legislazione nazionale che disciplina le professioni e l'esercizio delle stesse, sulla legislazione sociale ed eventualmente sul codice deontologico.

L'articolo 2 della Direttiva 2013/55/UE interviene sul punto 2 dell'allegato del Regolamento UE n. 1024/2012, adeguandolo a talune modifiche contestualmente apportate alla Direttiva 2005/36/CE.

L'articolo 3 della Direttiva 2013/55/UE impegna gli Stati membri ad attuare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 18 gennaio 2016, con un'eccezione riguardante la formazione in ostetricia, per la quale il termine è differito al 18 gennaio 2020. Inoltre, gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione Europea i testi delle misure di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla direttiva in oggetto.

 


 

Direttiva n. 2013/56/UE
(
Pile e accumulatori contenenti cadmio)

 

 

La direttiva 2013/56/UE, entrata in vigore il 30 dicembre 2013, modifica in più punti la direttiva 2006/66/CE, relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori, per quanto riguarda l'immissione sul mercato di batterie portatili e di accumulatori contenenti cadmio destinati a essere utilizzati negli utensili elettrici senza fili, e di pile a bottone con un basso tenore di mercurio.

 

La direttiva 2006/66 riguarda i prodotti del mercato delle batterie “primarie” (“non ricaricabili”) e “secondarie” (“ricaricabili”, più propriamente definite “accumulatori”) che può essere suddiviso in due gruppi principali: il settore "portatile", nel quale le batterie generalmente pesano meno di 1 kg ed il settore "industriale e da autotrazione", nel quale le batterie generalmente pesano più di 1 kg.. La direttiva 2006/66/CE stabilisce principalmente le norme in materia di immissione sul mercato delle pile e degli accumulatori, il divieto di immettere sul mercato pile e accumulatori contenenti sostanze pericolose, le deroghe previste, e le norme specifiche per la raccolta, il trattamento, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti di pile e accumulatori. Essa si applica, fatte salve le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso e 2002/96/CE sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), a tutti i tipi di pile e accumulatori, indipendentemente dalla forma, dal volume, dal peso, dalla composizione materiale o dall'uso cui sono destinati, con alcune eccezioni correlate alla sicurezza dello Stato e a fini spaziali.

La direttiva 2006/66 è stata attuata dal decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188, successivamente modificato dal D.lgs. 21/2011, intervenuto per introdurre le modiche recate dalla direttiva 2008/103/CE e dalla decisione della Commissione 2009/603/CE.

Da ultimo, l’articolo 21 della legge 97/2013 (legge europea 2013) ha novellato il decreto legislativo 188/2008, al fine di dare una più compiuta attuazione alla direttiva 2006/66/CE, per ovviare alla messa in mora da parte della Commissione europea circa la non corretta trasposizione della suddetta direttiva europea 2006/66/CE, assunta con decisione del 27 gennaio 2012 (procedura di infrazione n. 2011/2218).

 

La direttiva 2013/56 deve essere recepita, come stabilito dall’articolo 3, entro il 1° luglio 2015. A decorrere dalla medesima data, l’articolo 2 della direttiva 2013/56 stabilisce inoltre l’abrogazione della decisione 2009/603/CE, che prevede gli obblighi di registrazione dei produttori di pile e accumulatori in conformità della direttiva 2006/66/CE, ora riportati nell’Allegato IV aggiunto alla direttiva 2006/66.

Di seguito, sono individuati gli ambiti delle disposizioni puntualmente modificate dall’articolo 1 della direttiva 2013/56.

 

 

 

Nuovi termini temporali per le esclusioni dai divieti di immissione sul mercato di pile e accumulatori non in regola

 

La direttiva 2006/66/CE ha vietato l'immissione sul mercato di tutte le pile o accumulatori, incorporati o meno in apparecchi, contenenti più dello 0,0005% di mercurio in peso (art. 4, par. 1, lettera a) e l'immissione sul mercato di pile o accumulatori portatili, compresi quelli incorporati in apparecchi, contenenti oltre lo 0,002% di cadmio in peso (art. 4, par. 1, lettera b), prevedendo l’esclusione da tali divieti per le pile a bottone con un tenore di mercurio non superiore al 2% in peso (art. 4, par. 2), e, tra l’altro, per le pile e gli accumulatori portatili destinati all'uso negli utensili elettrici senza fili (art. 4, par.3, lettera c).

La direttiva 2013/56 modificando la direttiva 2006/66 ha circoscritto la deroga ai suddetti divieti, prevedendo precisi limiti temporali.

In particolare, l’articolo 1, numero 1), lettere a) e b), della nuova direttiva ha stabilito che la deroga al divieto di immissione sul mercato è fissata, rispettivamente, per:

1)    le pile a bottone con un tenore di mercurio non superiore al 2 per cento in peso, fino al 1° ottobre 2015 (art. 4, nuovo par. 2);

2)    le pile e gli accumulatori portatili destinati ad essere utilizzati in utensili elettrici senza fili, fino al 31 dicembre 2016 (art. 4, nuovo par. 3, lett. c).

 

La direttiva 2013/56, all’articolo 1, numero 1, lettera c) modifica inoltre il paragrafo 4 dell’articolo 4 della direttiva 2006/66, prevedendo che, in caso di mancanza di disponibilità di pile a bottone per protesi acustiche conformi al paragrafo 1, lettera a), cioè contenenti fino allo 0,0005% di mercurio in peso, la Commissione possa proporre l’esclusione per le pile a bottone medesime dal divieto di immissione previsto; tuttavia, la Commissione, con la prevista relazione COM(2014) 632 final, resa nel mese di ottobre 2014, in merito alla disponibilità sul mercato di pile a bottone senza mercurio per protesi acustiche, conformemente al nuovo articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2006/66/CE, non ha ritenuto necessario prorogare la suddetta deroga fissata al 1° ottobre 2015.

 

Il numero 2 dell’articolo 1 modifica l’articolo 6 della direttiva 2006/66 che disciplina l’immissione sul mercato di pile e accumulatori. In particolare, viene sostituito il paragrafo 2 dell’articolo 6 della direttiva 2006/66 che prevedeva che gli Stati membri ritirassero dal mercato le pile e gli accumulatori non in regola.

Il nuovo paragrafo 2 dell’articolo 6 della direttiva 2006/66 prevede ora che le pile e gli accumulatori non in regola, ma legalmente introdotti sul mercato prima della data di applicazione dei rispettivi divieti di cui all’articolo 4, possano essere commercializzati fino ad esaurimento delle scorte.

 


 

 

Obiettivi di raccolta dei rifiuti di pile e accumulatori

 

Il numero 3 dell’articolo 1 modifica l’art. 10, par. 4, della direttiva 2006/66 ed introduce la possibilità, da parte della Commissione, di adottare atti di esecuzione, ai sensi dell'art. 291 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, per stabilire disposizioni transitorie al fine di risolvere le difficoltà incontrate da uno Stato membro nel soddisfare i tassi di raccolta (vedi infra art. 10, par. 2 della direttiva 2006/66), a causa di circostanze nazionali specifiche, e per definire inoltre una metodologia comune per calcolare le vendite annuali di pile e accumulatori portatili agli utilizzatori finali definita entro il 26 settembre 2007. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 24, paragrafo 2.

Si ricorda che il paragrafo 2 dell’art. 10 della direttiva 2006/66 stabilisce che gli Stati membri conseguano almeno i seguenti tassi di raccolta di rifiuti di pile e accumulatori portatili:

a) 25% entro il 26 settembre 2012;

b) 45% entro il 26 settembre 2016.

 

 

Rimozione di rifiuti di pile e accumulatori

 

Il numero 4 dell’articolo 1 sostituisce l’articolo 11 della direttiva 2006/66 ed introduce la figura del professionista qualificato indipendente dai produttori per la rimozione di rifiuti di pile e accumulatori.

In particolare, viene introdotto l’obbligo a carico dei produttori di progettare gli apparecchi in modo tale che i rifiuti di pile e accumulatori siano prontamente rimovibili da professionisti qualificati indipendenti dai produttori, qualora tali rifiuti non possano essere prontamente rimossi dall'utilizzatore finale.

 

 

Trattamento e riciclaggio di pile e accumulatori

 

I numeri 5 e 6 dell’articolo 1 modificano l’articolo 12 della direttiva 2006/66, che disciplina il trattamento e il riciclaggio di pile e accumulatori contenenti cadmio, mercurio o piombo, prevedendo altresì il conferimento in discariche o depositi sotterranei, allorché non disponibile un mercato finale valido.

Il numero 5 dell’articolo 1 sostituisce il paragrafo 6 dell’articolo 12 della direttiva 2006/66 e prevede l’emanazione da parte della Commissione di atti di esecuzione per l’adozione di norme dettagliate per il calcolo delle efficienze di riciclaggio. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 24, paragrafo 2.

Il citato paragrafo 6 dell’articolo 12 prevedeva l’adattamento o l’integrazione, entro il 26 marzo 2010, dell’allegato III recante i requisiti dettagliati in materia di trattamento e di riciclaggio della direttiva 2006/66, secondo la procedura di cui all'articolo 24, paragrafo 2, in cui in particolare erano contenute le seguenti efficienze minime di riciclaggio:

a) riciclaggio del 65 % in peso medio di pile e accumulatori al piombo/acido e massimo riciclaggio del contenuto di piombo che fosse tecnicamente possibile evitando costi eccessivi;

b) riciclaggio del 75 % in peso medio di pile e accumulatori al nichel-cadmio e massimo riciclaggio del contenuto di cadmio che fosse tecnicamente possibile evitando costi eccessivi;

c) riciclaggio del 50 % in peso medio degli altri rifiuti di pile e accumulatori.

 

Il numero 6 dell’art. 1 sopprime il paragrafo 7 dell’articolo 12 della direttiva 2006/66 che prevedeva una consultazione da parte della Commissione, prima di proporre modifiche dell'allegato III, delle parti interessate (produttori, operatori addetti alla raccolta e al riciclaggio, operatori di impianti di trattamento, organizzazioni ambientalistiche, organizzazioni dei consumatori e associazioni dei lavoratori).

 

Il numero 7 dell’articolo 1 sostituisce il paragrafo 3 dell’articolo 15 della direttiva 2006/66 recante la disciplina sulle esportazioni per il trattamento e il riciclaggio dei rifiuti di pile e accumulatori, che prevedeva, per l’attuazione delle norme contenute nel medesimo articolo 15, la procedura di cui all'articolo 24, paragrafo 2.

Il nuovo paragrafo 3 conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati, ai sensi dell'art. 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, conformemente all'articolo 23 bis, per stabilire norme dettagliate volte a integrare le norme di cui al paragrafo 2 dell’articolo 15 medesimo, in particolare, sui criteri per la valutazione delle condizioni equivalenti ivi menzionate.

 

Il paragrafo 2 dell’articolo 15 della direttiva 2006/66 disciplina l’esportazione dei rifiuti di pile e accumulatori al di fuori della Unione europea, stabilendo che i medesimi rifiuti sono conteggiati ai fini dell'adempimento degli obblighi e del conseguimento delle efficienze stabilite nell'allegato III della direttiva 2006/66 (vedi supra) solo se esistono prove tangibili che l'operazione di riciclaggio ha avuto luogo in condizioni equivalenti a quelle prescritte dalla direttiva medesima.

 

 

Registrazione dei produttori e piccoli produttori

 

Il numero 8 dell’articolo 1 sostituisce l’articolo 17 della direttiva 2006/66, in merito alla disciplina per la registrazione dei produttori, prevedendo in particolare gli stessi obblighi procedurali in ogni Stato membro a norma dell'allegato IV.

Il numero 9 dell’articolo 1 sostituisce il paragrafo 2 dell’articolo 18, recante la disciplina per i produttori di piccolissime quantità di pile o accumulatori, relativamente alla pubblicità e alla comunicazione alla Commissione e agli altri Stati membri delle misure di deroga, adottate dai singoli Stati, riguardo al finanziamento delle operazioni di raccolta, trattamento e riciclaggio di tutti i rifiuti di pile e accumulatori a carico dei produttori.

Il numero 14 dell’articolo 1 introduce l’allegato IV alla direttiva 2006/66 che disciplina gli obblighi procedurali di registrazione dei produttori.

 

 

Etichettatura

 

Il numero 10 dell’articolo 1 sostituisce con le lettere a) e b), rispettivamente, i paragrafi 2 e 7 dell’articolo 21 della direttiva 2006/66.

Con la prima modifica, viene conferito alla Commissione il potere di adottare atti delegati, conformemente all'articolo 23 bis, per stabilire norme dettagliate per integrare l’obbligo previsto di indicare la capacità di tutte le pile e gli accumulatori portatili su di essi, in modo visibile, leggibile e indelebile, compresi metodi armonizzati per la determinazione della capacità e dell'uso appropriato adottati entro il 26 marzo 2009.

Con la seconda modifica si conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati conformemente all'articolo 23 bis per la concessione di deroghe all'obbligo di etichettatura stabilito nel medesimo articolo 21, adottati con la consultazione delle parti interessate (produttori, operatori addetti alla raccolta e al riciclaggio, operatori di impianti di trattamento, organizzazioni ambientalistiche, organizzazioni dei consumatori e associazioni dei lavoratori).

 

 

Relazioni, procedure di comitato e esercizio della delega

 

I numeri 11 e 13 dell’articolo 1 intervengono, rispettivamente, con riguardo ai rapporti nazionali sull'attuazione della direttiva, prevedendo atti di esecuzione per i questionari o gli schemi utilizzati per la redazione delle relazioni previste, e alla procedura di comitato come indicata dall’articolo 24 della direttiva 2006/66.

Il numero 12 dell’articolo 1 aggiunge l’art. 23-bis, che stabilisce le condizioni poste per l’adozione di atti delegati da parte della Commissione con riguardo a disposizioni previste nella direttiva. In particolare, tale potere è conferito alla Commissione per un periodo di cinque anni a decorrere dal 30 dicembre 2013, e, tacitamente, viene prorogato per periodi di identica durata, a meno che il Parlamento europeo o il Consiglio non si oppongano a tale proroga al più tardi tre mesi prima della scadenza di ciascun periodo.

 


 

Direttiva n. 2013/59/Euratom
(
Esposizione a radiazioni ionizzanti)

 

 

La direttiva 2013/59/Euratom reca le norme fondamentali ed uniformi relative alla protezione sanitaria delle persone soggette ad esposizione professionale, medica e della popolazione contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti. La direttiva si applica a qualsiasi situazione di esposizione pianificata, esistente o di emergenza che comporti un rischio che non possa essere trascurato dal punto di vista della radioprotezione "in relazione all'ambiente, in vista della protezione della salute umana nel lungo termine".

Ai sensi dell'articolo 106, il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 6 febbraio 2018.

 

I principi e i criteri direttivi specifici per il recepimento della direttiva erano contenuti nell’art. 10 del testo originario del disegno di legge in esame, soppresso dalla 14a Commissione del Senato nel corso dell'esame in sede referente.  Tali principi e criteri direttivi specifici si aggiungevano a quelli generali, richiamati dall'art. 1, co. 1, del disegno di legge di delegazione. Dopo la soppressione dell’art. 10, restano pertanto validi i principi e criteri direttivi generali (la direttiva è inserita nell'allegato B del disegno di legge).  La relatrice del disegno di legge, sen. Guerra, nel corso della seduta  del 25 marzo 2015 ha motivato la soppressione dell’art. 10 in considerazione dell’esigenza di una rapida approvazione del disegno di legge di delegazione europea, che avrebbe potuto subire ritardi per possibili profili di compatibilità finanziaria dello stesso articolo 10. Infatti, nel corso dell’esame in sede consultiva, la Commissione bilancio del Senato aveva richiesto una relazione tecnica al Governo per esaminare le possibili ricadute sul versante della spesa pubblica di quanto previsto dallo stesso articolo 10. La relazione non è stata prodotta, e in sua  assenza, si è preferito sopprimere l’articolo. Si ricorda infine che presso il Ministero dello sviluppo economico è stato istituito un tavolo istruttorio interistituzionale, organizzato in gruppi tecnici, che, attraverso l'analisi della complessa materia di radioprotezione e il confronto con esperti del settore, lavora su possibili contenuti del decreto legislativo di recepimento.

I principi e criteri direttivi specifici recati dal soppresso art. 10 prevedevano:

1.      il riordino ed il coordinamento delle norme vigenti in materia di protezione contro le radiazioni;

2.      l'introduzione, ove necessario "e in linea con i presupposti della direttiva 2013/59/Euratom", di misure di protezione della popolazione e dei lavoratori più rigorose rispetto alle norme minime previste dalla medesima direttiva, fatto salvo il rispetto della libera circolazione delle merci e dei servizi.     Le misure di maggiore protezione riguardavano nello specifico il rafforzamento e l'ottimizzazione del controllo della radioattività nell’ambiente e negli alimenti; la revisione, riguardo alle esposizioni mediche, dei requisiti riguardanti le informazioni ai pazienti, la registrazione e la comunicazione delle dosi dovute alle procedure mediche, l’adozione di livelli di riferimento diagnostici, la gestione delle apparecchiature, nonché la disponibilità di dispositivi che segnalino la dose; una chiara individuazione dei requisiti, compiti e responsabilità dei professionisti coinvolti nelle esposizioni mediche; l'aggiornamento dei requisiti, compiti e responsabilità delle figure professionali coinvolte nella protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione; l'introduzione di una regolamentazione specifica sulle esposizioni deliberate di individui a scopi diversi da quello medico (con attrezzature medico-radiologiche o senza), nel rispetto del principio di giustificazione e con attribuzione della responsabilità della valutazione; l'attuazione di un "piano di azione nazionale radon" per la prevenzione e la riduzione degli effetti sanitari dell’esposizione al radon nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro; la "razionalizzazione" dei procedimenti autorizzativi. Quest'ultima "razionalizzazione", secondo la relazione illustrativa del disegno di legge, consentirà anche di colmare alcune lacune, relative a "casistiche" emerse successivamente all'adozione della disciplina di cui al citato D.Lgs. n. 230 del 1995;

3.      la revisione e razionalizzazione dell’apparato sanzionatorio amministrativo e penale, per “consentire una migliore efficacia della prevenzione delle violazioni”;

4.      la destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative al finanziamento delle attività inerenti la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti, incluse le attività di vigilanza, controllo, formazione ed informazione.

 

La direttiva 2013/59 /Euratom ha aggiornato e raccolto in un quadro unitario le disposizioni di 5 precedenti direttive - abrogate esplicitamente[12] - introducendo ulteriori tematiche, in precedenza trattate solo in raccomandazioni europee, come l'esposizione al radon nelle abitazioni, o non considerate, come le esposizioni volontarie per motivi non medici.

 

L'art. 54 ( Radon nei luoghi di lavoro) richiede agli Stati Membri di stabilire livelli di riferimento nazionali per le concentrazioni di Radon nei luoghi di lavoro che non devono superare la media annua di 300 Bq/mc. Anche per quanto riguarda l'esposizione al Radon in ambienti chiusi, l'art. 74 richiede agli Stati membri di stabilire livelli di riferimento nazionali che non devono essere superiori a 300 Bq/mc come media annua. Gli Stati dovranno inoltre promuovere interventi volti a individuare le abitazioni che presentano concentrazioni superiori al livello di riferimento e dovranno incoraggiare l’adozione di misure atte alla riduzione di tale concentrazione. L'art. 103 (Piano d'azione per il Radon) richiede agli Stati Membri di definire un piano d'azione nazionale che affronti i rischi di lungo termine dovuti alle esposizioni al Radon nelle abitazioni, negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro per qualsiasi fonte di Radon, sia essa il suolo, i materiali da costruzione o l'acqua in base alle considerazioni sugli aspetti individuati nell'allegato XVIII.

In Italia, il Piano Nazionale Radon (PNR) è stato predisposto nel 2002 e prevede il complesso di azioni necessarie per ridurre il rischio di tumore polmonare associato all’esposizione al radon. Infatti, il PNR rappresenta uno strumento necessario per:

La realizzazione del PNR ha avuto inizio attraverso il progetto Avvio del Piano Nazionale Radon per la riduzione del rischio di tumore polmonare in Italia (acronimo PNR-CCM), approvato nel 2005 dal CCM (Centro Nazionale per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie). Il coordinamento di tale progetto è stato affidato all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), e le attività hanno coinvolto, oltre all'ISS, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA, ex-APAT), l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro (ISPESL, ora INAIL), le Regioni (ARPA e assessorati alla sanità), nonché alcune università. Per dare continuità alle attività intraprese nell’ambito del progetto PNR-CCM, nel 2012, il Ministero della Salute ha approvato il progetto biennale Piano Nazionale Radon per la riduzione del rischio di tumore polmonare in Italia: seconda fase di attuazione (acronimo PNR-II), anch’esso affidato all’ISS.

 

La direttiva, al Capo III, demanda agli Stati membri la predisposizione di un sistema di controllo, inteso a garantire un regime di protezione informato ai principii di giustificazione, ottimizzazione e limitazione delle dosi radioattive. Ai fini dell'ottimizzazione, la direttiva reca prescrizioni in merito a vincoli di dose per l'esposizione professionale, per l'esposizione della popolazione e per quella medica. Gli Stati membri sono altresì chiamati alla predisposizione di livelli di riferimento per le esposizioni di emergenza e per le esposizioni esistenti (queste ultime sono quelle già presenti quando deve essere adottata una decisione sul controllo e per le quali non è necessaria o non è più necessaria l'adozione di misure urgenti). Con riferimento alla limitazione delle dosi sui luoghi di lavoro, la direttiva prescrive limiti in relazione all'età (in particolare, prevedendo che soggetti di età inferiore a 18 anni non possano essere adibiti a lavori che comportino esposizioni alle radiazioni ionizzanti), allo stato di gravidanza e di allattamento, all'esposizione di apprendisti e studenti. Sono dettate norme specifiche anche in relazione all'esposizione della popolazione. In generale, con riferimento all'esposizione professionale e a quella della popolazione, i limiti si applicano alla somma delle esposizioni di un lavoratore - o dell'individuo della popolazione - considerando tutte le pratiche autorizzate.

 

Sono inoltre stabilite disposizioni relative alla formazione ed all'informazione dei lavoratori esposti, di quelli addetti alle emergenze e di quelli operanti nel settore dell'esposizione medica (Capo IV).

 

Con riferimento al principio della giustificazione, la direttiva, al Capo V, stabilisce che gli Stati membri devono applicare il medesimo con riferimento ad ogni nuova pratica che comporti un'esposizione a radiazioni ionizzanti. Al fine di rendere il principio effettivo, si prevede l'obbligo, da parte di un operatore che intenda fabbricare, importare o esportare un prodotto a rischio, di fornire tutte le informazioni alle autorità competenti. Sulla base di tali evidenze, lo Stato membro decide se l'uso del prodotto di consumo sia giustificato. Non è comunque giustificata l'aggiunta intenzionale di sostanze radioattive nella produzione di alimenti, mangimi per animali, cosmetici, giocattoli ed ornamenti personali; di tali prodotti è vietata l'importazione e l'esportazione. Sono inoltre vietate le pratiche implicanti l'attivazione di materiali che comportino un aumento dell'attività che non possa essere trascurato dal punto di vista della radioprotezione.

Il medesimo Capo V reca disposizioni relative al controllo regolamentare,  che consiste in qualsiasi forma di controllo o regolamentazione applicati alle attività umane per l'attuazione delle prescrizioni in materia di radioprotezione. Tali disposizioni prevedono, in particolare, una procedura di notifica - e relativi casi di esonero -prima dell'inizio della pratica presumibilmente rischiosa, la registrazione ovvero il rilascio di licenze per talune pratiche. Il rilascio di licenza deve essere per esempio previsto per diverse attività, quali  la somministrazione intenzionale di sostanze radioattive, il funzionamento e disattivazione di impianti nucleari, le attività connesse alla gestione di residui radioattivi.

 

I successivi Capi VI, VII e VIII recano disposizioni relative, rispettivamente, alle esposizioni professionali, alle esposizioni mediche ed a quelle pubbliche. Con riferimento all'esposizione pubblica, sono contemplati specifici interventi in casi di emergenza.

 

La nuova Direttiva Euratom 59/2013 conferma e rafforza quanto già previsto dal decreto legislativo 187/2000 in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche. In tal senso, la radioprotezione del paziente risulta dal concorso di tutti gli attori coinvolti, ovvero ogni esposizione medica è effettuata sotto la responsabilità clinica di un medico specialista; lo specialista in fisica medica e le persone addette agli aspetti pratici delle procedure medico-radiologiche, quali i tecnici sanitari di radiologia medica impegnati nelle diverse branche dell’area radiologica, partecipano al processo di ottimizzazione[13].

La direttiva definisce inoltre i compiti del fisico specialista in fisica medica (art. 83). Ai sensi della direttiva il fisico specialista in fisica medica fornisce pareri sulle attrezzature medico-radiologiche ed è responsabile della dosimetria, incluse le misurazioni fisiche per la valutazione della dose somministrata al paziente e ad altre persone soggette all'esposizione medica. In questo ambito, una novità prevista dalla direttiva riguarda l’obbligo che l'informazione relativa all'esposizione del paziente faccia parte del referto della procedura medico-radiologica; e la registrazione di tale dato, correlato alla dose, non può prescindere da una verifica, taratura e certificazione da parte del fisico medico che, per tale attività, dovrà fare uso di sistemi automatici di registrazione.

Il Capo IX è dedicato alle competenze delle autorità degli Stati membri. In particolare, si prevede che l'autorità competente allo svolgimento dei compiti previsti dalla direttiva soddisfi il requisito dell'indipendenza (mediante separazione funzionale da ogni altro organismo o organizzazione coinvolto nella promozione o impiego delle pratiche in oggetto) ed abbia i poteri giuridici nonché adeguate risorse, umane e finanziarie, per adempiere i medesimi compiti. Gli Stati membri sono inoltre tenuti a rendere accessibili agli esercenti, ai lavoratori, agli individui della popolazione, nonché alle persone soggette a esposizioni mediche, le informazioni relative alla giustificazione delle pratiche ed alla regolamentazione in materia di sorgenti di radiazioni e di radioprotezione. Ulteriori prescrizioni sono previste riguardo al controllo delle sorgenti radioattive sigillate, non sigillate o orfane e sono stabilite disposizioni specifiche in merito alla notifica di eventi significativi ed alla gestione delle emergenze e delle summenzionate esposizioni esistenti.

 

 


 

Direttiva n. 2014/17/UE
(
Contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali)

 

La direttiva sul credito ipotecario 2014/17/UE (cd. Mortgage Credit Directive) è stata adottata il 4 febbraio 2014, con l’obiettivo di garantire un elevato livello di protezione dei consumatori che sottoscrivano contratti di credito relativi a beni immobili (mutui ipotecari).

La Direttiva definisce un quadro comune per alcuni aspetti concernenti i contratti di crediti ai consumatori garantiti da un’ipoteca o altrimenti relativi a beni immobili residenziali. Sono definiti standard qualitativi per alcuni servizi, in particolare per quanto riguarda la distribuzione e l’erogazione di crediti attraverso creditori e intermediari del credito. Sono previsti disposizioni in materia di abilitazione, vigilanza e requisiti prudenziali per gli intermediari.

Le disposizioni principali riguardano: le informazioni e le pratiche preliminari alla conclusione del contratto di credito, la definizione di standard qualitativi per i servizi di erogazione di crediti (con l’introduzione di alcune disposizioni in materia di abilitazione, vigilanza e requisiti prudenziali), l’obbligo di valutazione del merito creditizio del consumatore, disposizioni in materia di rimborso anticipato, disposizioni in materia di prestiti in valuta estera, disposizioni sulle pratiche di vendita abbinata, la fissazione di principi riguardanti, ad esempio, l'educazione finanziaria, la valutazione degli immobili, le morosità e i pignoramenti.

In particolare la Direttiva stabilisce disposizioni che devono essere oggetto di piena armonizzazione relativamente alle informazioni precontrattuali attraverso il formato del Prospetto informativo europeo standardizzato (PIES) e il calcolo del TAEG.

Il termine di recepimento a livello nazionale è stato fissato per il 21 marzo 2016. La Direttiva troverà applicazione solo con riferimento ai contratti di credito sorti successivamente al 21 marzo 2016.

 

Si ricorda che nel marzo 2003 la Commissione europea ha avviato un processo volto a valutare l’impatto delle barriere che ostacolano la realizzazione del mercato interno dei contratti di credito relativi a beni immobili residenziali. Il 18 dicembre 2007 ha adottato il Libro bianco sull’integrazione dei mercati UE del credito ipotecario, nel quale ha annunciato l’intento di valutare l’impatto — tra l’altro — delle opzioni politiche per l’informativa precontrattuale, le banche dati relative ai crediti, il merito di credito, il tasso annuo effettivo globale (TAEG) e la consulenza sui contratti di credito. In seguito la Commissione ha costituito un Gruppo di esperti sulle informazioni storiche sui crediti volto ad elaborare un pacchetto di misure per ottimizzare l’accessibilità, la comparabilità e la completezza dei dati sui crediti.


 

Direttiva n. 2014/27/UE
(
Classificazione, etichettatura e imballaggio sostanze e miscele)

 

La direttiva 2014/27/UE, entrata in vigore il 25 marzo 2014, riguarda le sostanze e le miscele pericolose.

Essa novella alcune precedenti direttive, per conformarle alla disciplina di un successivo Regolamento (CE), il n. 1272/2008, che ha istituito un nuovo sistema per la classificazione e l'etichettatura delle sostanze e delle miscele all'interno dell'Unione, basato sul sistema globale armonizzato di classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche (GHS) a livello internazionale.

Poiché le direttive 92/58/CEE, 92/85/CEE, 94/33/CE, 98/24/CE e 2004/37/CE contengono riferimenti al precedente sistema di classificazione e di etichettatura, la direttiva 2014/27/UE opera novelle nel testo delle medesime, al fine di garantire la continuità della loro efficacia.

La direttiva 2014/27/UE non muta l'ambito di applicazione delle direttive suddette. Inoltre, come si afferma nel considerando numero 5, la direttiva è intesa a mantenere il livello di protezione dei lavoratori (garantito dalle suddette direttive precedenti).

La novella di cui all'articolo 1 della direttiva 2014/27/UE concerne forme di segnalazione di sostanze o miscele pericolose. Le novelle di cui agli articoli 2 e 3 riguardano gli agenti biologici ed alcuni processi industriali, mentre quella di cui all'articolo 4 concerne gli agenti chimici. L'articolo 5 novella in parte la disciplina contro i rischi derivanti dall'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro.

Il termine per il recepimento della direttiva 2014/27/UE è fissato al 1° giugno 2015.

 

 


 

Direttiva n. 2014/28/UE (Esplosivi per uso civile);
Direttiva n. 2014/29 UE (Recipienti semplici a pressione);
Direttiva n. 2014/30/UE (Compatibilità elettromagnetica)

 

Le direttive

·          2014/28/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato e al controllo degli esplosivi per uso civile (rifusione)

·          2014/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di recipienti semplici a pressione (rifusione)

·          2014/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica (rifusione)

fanno parte di un pacchetto unitario, il cosiddetto "pacchetto di adeguamento al nuovo quadro normativo".

Si trattava di nove proposte legislative, predisposte contestualmente dalla Commissione europea, finalizzate ad adeguare la legislazione relativa ad alcuni prodotti[14] al "nuovo quadro normativo" (NQN). Quest'ultimo è costituito dal regolamento (CE) n. 765/2008, sull'accreditamento degli organismi di valutazione della conformità e sulla vigilanza di mercato, e dalla decisione n. 768/2008/CE, che detta un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti.

La ratio dichiarata è quella di aumentare la sicurezza dei prodotti medesimi, soggetti ad una forte concorrenza internazionale e quindi passibili di trarre beneficio dalla semplificazione legislativa e dalla garanzia di condizioni di concorrenza eque mediante un'efficace vigilanza del mercato, soprattutto in relazione alle merci provenienti da paesi terzi.

 

L'adeguamento ha riguardato tra l'altro:

1)     misure volte ad affrontare il problema della non conformità, tra cui: dettagliati obblighi non solo per i fabbricanti (art. 5 della direttiva 2014/28/UE, art. 6 della direttiva 2014/29/UE, art. 7 della direttiva 2014/30/UE) ma anche per gli importatori ed i distributori (artt. 7 e 8 della direttiva 2014/28/CE, 8 e 9 della direttiva 2014/29/UE e 9 e 10 della direttiva 2014/30/UE). Sono state altresì introdotte norme concernenti la tracciabilità durante l'intera catena di distribuzione, in modo che ogni operatore economico sia in grado di informare le autorità in merito al luogo di acquisto del prodotto e al soggetto al quale è stato fornito;

2)     misure volte a garantire la qualità dell'operato degli organismi notificati, con l'indicazione di criteri stringenti relativi in particolare alla loro indipendenza ed alla competenza nello svolgimento della loro attività (art. 28 della direttiva 2014/28/UE, 21 della direttiva 2014/29/UE e 24 della direttiva 2014/30/UE). E' previsto altresì un processo di notifica rivisto, con la possibilità per gli Stati membri di esprimere obiezioni sulla notifica di un organismo effettuata da un altro Stato membro (art. 32, par. 5, della direttiva 2014/28/UE, 25, par. 5, della direttiva 2014/29/UE e 28, par. 5, della direttiva 2014/30/UE). Pregnanti obblighi di informazione sono posti a carico degli organismi notificati (art. 38 della direttiva 2014/28/UE, 31 della direttiva 2014/29/UE e 34 della direttiva 2014/30/UE);

3)     misure volte a garantire maggiore coerenza tra le direttive in termini di definizioni e terminologia.

 

Il termine fissato per il recepimento delle tre direttive è il 19 aprile 2016.

 

 


 

Direttiva n. 2014/31/UE
(
Strumenti per pesare a funzionamento non automatico)

 

 

La direttiva in esame disciplina gli strumenti per pesare a funzionamento non automatico

·        nuovi prodotti da un fabbricante stabilito nell’Unione;

·        importati da un paese terzo (nuovi o usati).

La direttiva in esame procede alla rifusione delle norme relative agli strumenti di pesatura a funzionamento non automatico contenute nella direttiva 2009/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, poiché questa nel tempo ha subito sostanziali modifiche e necessita di ulteriori aggiornamenti e modificazioni.

Ai sensi della direttiva, tutti gli operatori economici che intervengono nella catena di fornitura e distribuzione sono responsabili della conformità degli strumenti per pesare; pertanto dovrebbero adottare le misure necessarie per garantire la messa a disposizione sul mercato solo di strumenti conformi alle norme europee.

In particolare, gli operatori che si assumono la responsabilità - come fabbricanti, distributori o importatori di questo tipo di strumenti - di immetterli sul mercato, devono assumersi specifici obblighi che riguardano soprattutto l'osservanza delle disposizioni tecniche della direttiva, la collaborazione con le istituzioni di vigilanza nazionali, la redazione della dichiarazione di conformità UE, la garanzia dell'accesso alle informazioni.

Le procedure di valutazione della conformità richiedono l’intervento di organismi di valutazione, che sono notificati dagli Stati membri alla Commissione. È indispensabile che tutti gli organismi notificati svolgano le proprie funzioni allo stesso livello e nelle stesse condizioni di concorrenza. A tal fine, la direttiva stabilisce prescrizioni obbligatorie per gli organismi di valutazione che desiderano essere notificati. Inoltre, stabilisce le prescrizioni da applicare alle autorità di notifica e agli altri organismi coinvolti nella valutazione, nella notifica e nel controllo. Il sistema previsto dalla direttiva è completato dal sistema di accreditamento, essenziale per la verifica della competenza degli organismi di valutazione della conformità.

È necessario aumentare l’efficienza e la trasparenza della procedura di notifica e, in particolare, adattarla alle nuove tecnologie in modo da consentire la notifica elettronica. Nell’interesse della competitività, è fondamentale che gli organismi notificati applichino le procedure di valutazione della conformità senza creare oneri superflui per gli operatori economici. Gli Stati membri devono adottare tutti i provvedimenti opportuni per assicurare che gli strumenti per pesare a funzionamento non automatico possano essere immessi sul mercato soltanto se - adeguatamente immagazzinati e usati ai fini cui sono destinati, o in condizioni d’uso ragionevolmente prevedibili - non mettono in pericolo la salute e l’incolumità delle persone.

La direttiva prevede l'istituzione di un Comitato che assiste la Commissione nella definizione di specifiche tecniche, al fine di coordinare tutte le normative nazionali sulla materia.

La direttiva si suddivide in 6 Capi: il primo contiene disposizioni generali; il secondo contiene la disciplina degli obblighi dei vari operatori economici (fabbricanti, importatori, distributori e rappresentanti), nonché le regole di identificazione degli operatori stessi.

Il Capo terzo tratta della conformità degli strumenti, procedure di valutazione, dichiarazione di conformità UE, regole e condizioni per l'apposizione della marcatura UE. Il Capo quarto disciplina la procedura di notifica degli organismi di valutazione della conformità (l'autorità di notifica designata dagli Stati membri, le prescrizioni relative agli organismi notificati e quelli relativi all'autorità di notifica), le procedure di notifica e le contestazioni, con le relative procedure di ricorso.

Il Capo quinto disciplina la vigilanza del mercato dell'Unione, i controlli sugli strumenti che entrano nel mercato e le procedure di salvaguardia. Il Capo sesto regola il funzionamento del Comitato che assiste la  Commissione europea, e reca disposizioni sulle sanzioni applicabili alle infrazioni commesse dagli operatori economici. Nello stesso Capo sesto vi sono gli articoli relativi all'entrata in vigore e al recepimento della direttiva, da effettuare entro il 19 aprile 2016.

 

La Direttiva è corredata inoltre da 6 allegati.

 

 


 

Direttiva n. 2014/32/UE
(
Strumenti di misura)

 

 

La direttiva in oggetto intende procedere alla rifusione del contenuto della direttiva 2004/22/CE del Consiglio relativa agli strumenti di misura, che ha subito nel tempo sostanziali modificazioni. 

Infatti, essa disciplina gli strumenti di misura

·        nuovi prodotti da un fabbricante stabilito nell’Unione;

·        nuovi o usati, importati da un paese terzo.

La direttiva si applica a tutte le forme di fornitura, compresa la vendita a distanza.

 

Si ricorda che la direttiva 2004/22/CE - nota come Direttiva MID "Measuring Instruments Directive" - è stata recepita in Italia con il D.Lgs n. 22/2007.

 

Oggetto principale della nuova disciplina è la commercializzazione degli strumenti di misura, che sono prodotti sottoposti a controlli metrologici legali, data l'importanza della loro funzione in diversi settori: dalla sanità pubblica alla sicurezza, alla protezione dell'ambiente e dei consumatori, tutti ambiti dove è necessario soddisfare adeguatamente esigenze relative all'interesse pubblico.

 

La direttiva fissa le norme volte a garantire i requisiti di prestazione che gli strumenti di misurazione devono soddisfare e i loro livelli di affidabilità.

La direttiva 2004/22/CE consentiva l'applicazione del principio di opzionalità, che permetteva agli Stati membri di esercitare il loro diritto se prescrivere o meno l'utilizzo degli strumenti coperti dalla direttiva; tuttavia la prescrizione di controlli metrologici legali da parte degli Stati membri dovrebbe sempre avvenire nel quadro della disciplina fissata dalla direttiva.

Quindi, la norma europea prescrive quali obblighi sono tenuti ad osservare tutti gli operatori che intervengono nella catena della progettazione, produzione, commercializzazione e uso degli strumenti di misurazione legali.

In particolare, si richiede ai fabbricanti di mettere a disposizione sul loro sito internet una dichiarazione di conformità alle disposizioni della direttiva. D'altro canto, la necessità di garantire un livello uniforme di controllo su tutto il territorio dell'Unione rende indispensabile che tutti gli organismi di valutazione della conformità attivi negli Stati membri osservino prescrizioni obbligatorie e soprattutto che siano notificati per poter svolgere i loro servizi di valutazione.

Infatti, viene introdotto dalla presente direttiva un sistema di accreditamento per la verifica dei requisiti degli organismi di valutazione e degli enti che per essi lavorano, ai quali spesso, nella pratica, vengono subappaltate le attività di verifica.

Gli organismi di valutazione di conformità devono, ai sensi della direttiva, non imporre inutili oneri amministrativi alle aziende e agli operatori economici e funzionare in modo coordinato, per garantire parità di trattamento tra gli operatori e coerenza tecnica.

Al fine di tenere conto dello sviluppo della tecnologia di misura, la Direttiva prevede misure volte a delegare alla Commissione il potere di adottare atti per quanto riguarda specifiche modifiche tecniche. Essa prevede anche un adeguato periodo di transizione per consentire l'utilizzo di strumenti già esistenti sul mercato ma non corrispondenti ai requisiti richiesti dalla normativa aggiornata.

La direttiva si compone di 7 Capi: il primo reca disposizioni generali; il secondo gli obblighi degli operatori economici (fabbricanti, importatori, rappresentanti, distributori); il terzo descrive i requisiti di conformità degli strumenti di  misura, le procedure di verifica della conformità, la documentazione tecnica richiesta, la marcatura di conformità.  Il Capo quarto disciplina la notifica degli organismi di valutazione della conformità (prescrizioni relative all'autorità di notifica e relative agli organismi notificati), le procedure di notifica e i casi di contestazione, nonché gli obblighi di informazione.

Il Capo quinto disciplina le attività di vigilanza sul mercato dell'Unione e i controlli sugli strumenti che vengono importati, al fine di salvaguardare il mercato europeo. Il Capo sesto istituisce un Comitato per gli strumenti di misura che assiste la Commissione nella sua attività di normazione tecnica. L'ultimo capo reca le disposizioni finali relative all'entrata in vigore e al recepimento.

 

Gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure nazionali di recepimento entro il 19 aprile 2016, data dalla quale è abrogata la precedente direttiva 2004/22/CE.

 


 

Direttiva n. 2014/34/UE
(
Apparecchi di protezione in atmosfera esplosiva)

 

 

La direttiva 2014/34/UE reca disposizioni relative agli apparecchi e sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva, ai loro componenti, ai sistemi di sicurezza che, pur non operando in atmosfera potenzialmente esplosiva, sono necessari o utili per prevenire rischi di esplosione. La direttiva in esame, di rifusione, abroga la precedente direttiva in materia 94/9/CE anche al fine di adeguare le previgenti disposizioni al nuovo quadro per la commercializzazione dei prodotti (decisione n. 768/2008/CE) e alla disciplina in materia di organismi di valutazione della conformità e di vigilanza sul mercato di cui al regolamento (CE) n. 765/2008.

 

Si ricorda che  la direttiva 94/9/CE è stata attuata con il D.P.R. n. 126/1998.

 

Il Capo 1 (articoli 1-5) della direttiva è dedicato alle disposizioni generali. L'articolo 1, oltre a definire l'oggetto della disciplina nei termini sinteticamente ricordati, esclude dal campo di applicazione della direttiva le apparecchiature mediche, i sistemi di sicurezza diretti a prevenire pericoli di esplosioni derivanti dalla presenza di esplosivi o componenti chimici instabili, le apparecchiature utilizzate in ambienti domestici, i dispositivi di protezione individuale, i mezzi di trasporto e le navi o unità mobili offshore o apparecchi ivi utilizzati. Gli Stati membri sono chiamati a mettere in commercio o a mettere in servizio solo quei prodotti che soddisfino i requisiti della direttiva ed in particolare rispettino i requisiti essenziali di salute e sicurezza di cui all'allegato II. Di tali apparecchi gli Stati membri non possono vietare o limitare la libera circolazione.

Il Capo 2 (articoli 6-11) dispone in ordine agli obblighi degli operatori. In particolare i fabbricanti - che possono anche nominare loro rappresentanti autorizzati - devono garantire la conformità dei loro prodotti ai requisiti essenziali di salute e sicurezza e preparano la documentazione tecnica che sono tenuti a conservare, insieme alla documentazione di conformità, per almeno dieci anni dalla commercializzazione.

Gli importatori, oltre a verificare la presenza della necessaria documentazione tecnica e la conformità del prodotto, sono chiamati ad assicurare la presenza delle informazioni necessarie, quali la denominazione del prodotto e le istruzioni per il corretto uso. Essi sono inoltre tenuti a garantire il corretto trasporto e immagazzinamento dei prodotti e a conservare la documentazione per dieci anni, nonché a verificare gli eventuali reclami. Anche i distributori sono tenuti ad assicurare l'ottemperanza ai requisiti essenziali di salute e sicurezza e, al pari degli importatori, sono obbligati a segnalare la presenza sul mercato di prodotti che non rispettino i requisiti prescritti, nonché a fornire qualsiasi informazione e documentazione che venga loro richiesta dall'autorità nazionale competente. Sono inoltre previsti casi in cui gli obblighi dei distributori e degli importatori sono equiparati a quelli dei fabbricanti: ciò si verifica quando l'importatore o distributore immette sul mercato uno strumento con il proprio nome o marchio commerciale o modifica uno strumento già immesso e tali modifiche sono tali da poterne comprometterne la conformità.

Il Capo 3 (articoli 12-16) detta disposizioni sulla conformità del prodotto. In particolare, si presume che un prodotto sia conforme ai requisiti essenziali di salute e sicurezza, dettati dall'allegato II, quando sia conforme a norme armonizzate i cui riferimenti sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. Nel caso non siano state indicate norme armonizzate, gli Stati membri interessati sono tenuti a comunicare alle parti interessate, secondo le disposizioni adottate dai medesimi Stati membri, le vigenti norme e specifiche tecniche nazionali, considerate importanti o utili per applicare correttamente i requisiti essenziali di salute e di sicurezza. Sono quindi introdotte, attraverso gli allegati III-IX, le procedure di verifica della conformità all'esito delle quali viene rilasciata la dichiarazione di conformità UE, la cui struttura è fissata dall'Allegato X. Per quanto riguarda la marcature CE, si applicano le disposizioni generali dettate dal regolamento (CE) n. 765/2008 in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti.

Il Capo 4 (articoli 17-33) è dedicato alla notifica, da parte di uno Stato membro alla Commissione e agli altri Stati membri, degli organismi autorizzati ad eseguire, in qualità di terzi, compiti di valutazione della conformità. A tal fine, viene designata un'autorità di notifica in modo che sia salvaguardata l'obiettività e l'imparzialità delle sue attività. Inoltre, viene stabilito che le procedure di notificazione debbano essere separate da quelle di valutazione della conformità: la direttiva detta, infatti, specifiche prescrizioni sugli organi di valutazione della conformità tese ad assicurarne l'indipendenza e la terzietà. Sono inoltre richiesti specifici requisiti di indipendenza e di preparazione professionale per i dipendenti di tali organismi notificati. Tali requisiti devono essere rispettati anche da eventuali organismi affiliati o subappaltatori.

La direttiva introduce quindi norme specifiche sulla domanda di notifica e sulle procedure per l'espletamento del procedimento di notifica. Sui casi di contestazione della competenza degli organismi notificati indaga la Commissione: ad essa lo Stato membro notificante è tenuto a fornire tutte le informazioni richieste. Nei casi in cui la contestazione risulti fondata, la Commissione adotta un atto di esecuzione con cui richiede allo Stato membro notificante di adottare le misure correttive necessarie e, all'occorrenza, di ritirare la notifica.

Gli Stati membri provvedono affinché sia disponibile una procedura di ricorso contro le decisioni degli organismi notificati. Ulteriori disposizioni prevedono obblighi di informazione in capo agli organismi notificati.

Si prevede infine che la Commissione organizzi scambi di esperienze tra le autorità nazionali e forme di coordinamento degli organismi notificati.

Con riferimento alle procedure di vigilanza e controlli dei prodotti che entrano nel mercato comunitario, il Capo 5 (articoli 34-38)  rimanda alle corrispondenti disposizioni di carattere generale del citato regolamento (CE) n. 765/2008. Il medesimo Capo, con riferimento alle procedure di salvaguardia, prevede che le autorità di vigilanza, quando rilevino la mancanza dei requisiti di sicurezza e salute prescritti, chiedano tempestivamente all'operatore economico interessato di adottare le misure correttive necessarie o di ritirare un prodotto dal mercato. Se l'operatore economico non ottempera alle suddette misure di salvaguardia, le autorità di vigilanza del mercato adottano tutte le opportune misure provvisorie.

Qualora le misure nazionali tese a correggere casi di mancata conformità siano oggetto di obiezioni, la Commissione avvia immediatamente le consultazioni e con atto di esecuzione determina se la misura nazionale sia giustificata. Se la misura nazionale è considerata giustificata, tutti gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che il prodotto non conforme sia ritirato dal mercato nazionale e ne informano la Commissione. Se la misura nazionale è considerata ingiustificata, lo Stato membro interessato la revoca. Quando invece la misura nazionale è ritenuta giustificata e la non conformità del prodotto è attribuita a carenze nelle norme armonizzate, si avvia la procedura formale di carattere generale sull'obiezione alle norme armonizzate dettata dall'articolo 11 del regolamento (CE) n. 1025/2012. Sono infine dettate disposizione anche nei casi di prodotti conformi che presentino rischi e in merito ai casi di non conformità solo formale.

Il Capo 6 (articoli 39-45) stabilisce che la Commissione è assistita dal comitato per gli apparecchi e i sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva e rinvia alla legislazione europea applicabile alle procedure di comitato. In merito alle sanzioni, si prevede che gli Stati membri possano prevedere sanzioni penali per gravi inottemperanze da parte degli operatori. Sono dettate, infine, nel medesimo Capo, disposizioni transitorie e finali. Vi si prevede, tra l'altro, che i distributori possono rendere disponibili sul mercato prodotti conformi alla previgente disciplina fino al 20 aprile 2016.

 

Il termine di recepimento è fissato al 19 aprile 2016.

 


 

Direttiva n. 2014/35/UE
(
Materiale elettrico)

 

 

Il testo della direttiva in oggetto, nasce dalla necessità di modificare la direttiva 2006/95/CE del 12 dicembre 2006 riguardante il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al materiale elettrico destinato a essere adoperato entro taluni limiti di tensione.

Risulta infatti necessario adeguare la normativa in vigore al cd. "pacchetto merci" adottato nel 2008, costituito dal regolamento (CE) n. 765/2008 del 9 luglio 2008, sull'accreditamento degli organismi di valutazione della conformità e sulla vigilanza del mercato, e dalla decisione 768/2008/CE che detta un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti.

 

L’obiettivo della direttiva 2014/35/UE è quello è garantire che il materiale elettrico posto sul mercato soddisfi requisiti che offrano un livello elevato di protezione della salute e della sicurezza delle persone, assicurando anche il funzionamento del mercato interno.

L’ambito di applicazione è il materiale elettrico destinato ad essere adoperato ad una tensione nominale compresa fra 50 e 1000 V in corrente alternata e fra 75 e 1500 V in corrente continua (le eccezioni vengono indicate all'allegato II). Solo il materiale elettrico costruito conformemente alla regola dell'arte può essere messo a disposizione sul mercato dell'Unione (gli elementi principali degli obiettivi di sicurezza del materiale elettrico sono elencati nell'Allegato I); a tal fine il Capo II specifica gli obblighi cui devono sottoporsi fabbricanti, rappresentanti autorizzati, importatori e distributori.

 

In particolare, il dettato della direttiva prevede che tutti gli operatori economici che fanno parte della catena di fornitura e distribuzione siano obbligati ad adottare le misure necessarie a garantire che sul mercato sia disponibile esclusivamente materiale elettrico conforme alla normativa, così come lo deve essere anche il materiale elettrico che entra nel mercato dell'Unione proveniente da paesi terzi. Gli articoli 8 e 9 impongono a tal fine obblighi ad importatori e distributori che li rendono responsabili della conformità della merce alla sicurezza. Gli importatori, ad esempio, prima di immettere sul mercato il materiale si devono assicurare che il fabbricante abbia eseguito l'appropriata procedura di valutazione della conformità, indicano sul materiale elettrico il proprio nome e garantiscono che sia accompagnato da istruzioni e informazioni sulla sicurezza.

Gli articoli da 12 a 17 recano disposizioni riguardanti la conformità del materiale elettrico in presenza di norme armonizzate, la presunzione di conformità sulla base di norme internazionali o nazionali, i princìpi generali della marcatura CE e le regole per la sua apposizione prima dell'immissione del materiale sul mercato. L'allegato I enuncia gli elementi principali degli obiettivi di sicurezza.

Gli articoli 18 e 19 sono dedicati al tema della vigilanza del mercato, ovvero al controllo del materiale che entra nell'Unione e recano disposizioni da attuare nel caso in cui le autorità di vigilanza del mercato di uno Stato membro ritengano che un materiale elettrico presenti un rischio per la salute o la sicurezza.

Viene contemplato, infine, il caso in cui uno Stato membro ritenga che il materiale elettrico dichiarato conforme presenti un rischio per la salute o la sicurezza; la procedura prevede che gli altri Stati membri e la Commissione siano immediatamente informati; quest'ultima, in base ai risultati di una valutazione, propone opportune misure o, per motivi di urgenza, adotta atti di esecuzione immediatamente applicabili.

La direttiva 2006/95/CE è abrogata a decorrere dal 20 aprile 2016 (art. 27).

 

Il termine di recepimento da parte degli Stati membri, come indicato all'articolo 26, è fissato al 19 aprile 2016.

 


 

Direttiva n. 2014/36/UE
(
Ingresso e soggiorno per lavoro stagionale di cittadini di paesi terzi)

 

 

La direttiva 2014/36/UE disciplina le condizioni di ingresso e di soggiorno per lavoro stagionale di cittadini di Paesi terzi e definisce i diritti dei lavoratori stagionali.

La direttiva dispone che, per soggiorni non superiori a 90 giorni, le condizioni di ammissione dei lavoratori stagionali nel territorio degli Stati membri che applichino integralmente l'acquis di Schengen dovranno essere disciplinate dal regolamento (CE) n. 810/2009 (codice dei visti), dal regolamento (CE) n. 562/2006 (codice frontiere Schengen) e dal regolamento (CE) n. 539/2001 (relativo all’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo).

Pertanto, considerato il rinvio alle suddette fonti normative, la direttiva disciplina unicamente - riguardo all'ammissione per soggiorni non superiori a 90 giorni - i criteri ed i requisiti per l'accesso all'occupazione, prescrivendo che la domanda di ammissione sia accompagnata da: un contratto di lavoro valido o un'offerta vincolante di lavoro che specifichi, fra l'altro, il luogo e il tipo di lavoro, la durata dell'impiego, la retribuzione e le ore di lavoro settimanali o mensili; la prova di aver fatto richiesta di un'assistenza sanitaria; la prova che il lavoratore stagionale disporrà di un alloggio adeguato. Il lavoratore stagionale disponga di risorse sufficienti per mantenersi durante il soggiorno senza ricorrere ai sistemi di assistenza nazionale (art. 5).

Per quanto riguarda i lavoratori stagionali ammessi per soggiorni superiori a 90 giorni, la direttiva definisce sia le condizioni di ammissione e di soggiorno nel territorio, sia i criteri e i requisiti per l'accesso all'occupazione negli Stati membri. Con riguardo alla documentazione fornita, le disposizioni relative alle domande di ammissione coincidono con quelle richieste per soggiorni inferiori a 90 giorni, con la previsione ulteriore che lo Stato ospitante deve verificare che il cittadino non presenti un rischio di immigrazione illegale (ossia che rimanga oltre la scadenza dell’autorizzazione). Tale obbligo, per i periodi non superiore a 90 giorni, è applicato solo ai Paesi membri che non hanno recepito integralmente l’acqui di Schengen. Inoltre, lo Stato membro non può ammettere cittadini considerati pericolosi per l’ordine pubblico, la sicurezza o la salute pubblica e deve esigere che questi siano in possesso di un documento di viaggio valido almeno per il periodo di validità dell’autorizzazione per l’esercizio di lavoro stagionale (art. 6).

La direttiva non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel proprio territorio di cittadini di Paesi terzi per motivi di lavoro stagionale (il sistema delle quote), e consente pertanto, su tale base, di considerare inammissibile o rigettare la domanda (art. 7). Specifica, inoltre, che gli Stati membri avranno la facoltà di rigettare le domande di ammissione per i seguenti motivi: qualora i criteri e i requisiti di ammissione non siano rispettati o i documenti presentati siano stati ottenuti con la frode, falsificati o manomessi; se il datore di lavoro è stato oggetto di sanzioni in conformità del diritto nazionale, a causa di lavoro non dichiarato o occupazione illegale o se l'impresa del datore di lavoro è stata liquidata conformemente alla normativa nazionale in materia di insolvenza; nel caso in cui i posti vacanti in questione possano essere coperti da cittadini dello Stato membro interessato o da altri cittadini dell'Unione o da cittadini di Paesi terzi che soggiornano legalmente in tale Stato membro; se il datore di lavoro non ha rispettato i propri obblighi giuridici in materia di previdenza sociale, tassazione, diritti dei lavoratori, condizioni di lavoro o di impiego, o se nei dodici mesi immediatamente precedenti la data della domanda il datore di lavoro ha soppresso un posto di lavoro a tempo pieno al fine di creare un posto vacante che sta cercando di coprire mediante il ricorso alla direttiva, oppure se il cittadino del Paese terzo non ha rispettato gli obblighi previsti da una precedente decisione di ammissione (art. 8).

Nel rispetto di tali disposizioni gli Stati membri rilasciano una autorizzazione per motivi di lavoro stagionale (nella forma del permesso di soggiorno o visto) per breve periodo o per lunga durata (art. 12).

Motivazioni analoghe al rigetto della domanda presiedono alla revoca dell’autorizzazione per motivi di soggiorno stagionale (art. 9).

Il periodo massimo di soggiorno per i lavoratori stagionali non dovrà essere inferiore a cinque mesi e non superiore a nove mesi in un dato periodo di dodici mesi. Al termine di tale periodo, il cittadino del Paese terzo dovrà lasciare il territorio dello Stato membro, a meno che lo Stato membro interessato non abbia rilasciato un permesso di soggiorno a norma del diritto nazionale o dell'Unione per motivi diversi dal lavoro stagionale (art. 14). La direttiva prevede inoltre che, a condizione che siano rispettati i criteri di ammissione e non sussistano motivi di rifiuto, gli Stati membri possano accordare ai lavoratori stagionali una proroga, sostituendo il visto per soggiorno di breve durata con un visto per soggiorno di lunga durata o con un permesso di lavoro stagionale, nel caso in cui il lavoratore stagionale proroghi il suo contratto con lo stesso datore di lavoro o intenda farsi assumere da un altro datore di lavoro (art. 15).

Gli Stati membri agevoleranno il reingresso dei cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato membro interessato, in qualità di lavoratori stagionali, almeno una volta nei cinque anni precedenti, e i quali abbiano pienamente rispettato, durante ciascun soggiorno, le condizioni applicabili ai lavoratori stagionali previste dalla direttiva in oggetto. Tali agevolazioni possono includere un'esenzione dall'obbligo di presentazione di uno o più documenti, il rilascio di più permessi di lavoro stagionali in un unico atto amministrativo, una procedura accelerata per l'adozione di una decisione sulla domanda di un permesso di lavoro stagionale o di un visto per soggiorno di lunga durata, la priorità nell'esame delle domande di ammissione in qualità di lavoratore stagionale (art. 16).

L'art. 18 disciplina la procedura per l'esame della domanda di autorizzazione per motivi di lavoro stagionale, procedura che deve dar luogo ad una decisione notificata al richiedente entro 90 giorni dalla data di presentazione della domanda completa. Fra le garanzie procedurali figurano la possibilità di impugnare la decisione che respinga la domanda e l'obbligo per le autorità di motivare tale decisione.

La direttiva prevede, inoltre, che i lavoratori stagionali beneficino di un alloggio che garantisca loro un tenore di vita adeguato (art. 20), nonché del diritto alla parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante, almeno per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro (art. 23). L'applicazione di tale diritto potrà tuttavia essere limitata per quanto concerne le prestazioni familiari e di disoccupazione, l'istruzione e la formazione professionale, le agevolazioni fiscali.

Per garantire una corretta attuazione della direttiva, in particolare delle disposizioni relative ai diritti, alle condizioni di lavoro e all'alloggio, gli Stati membri dovranno provvedere affinché siano posti in essere meccanismi appropriati per il controllo dei datori di lavoro e, se del caso, effettuare ispezioni efficaci e adeguate nel loro territorio (art. 24). I datori di lavoro che non rispettano le prescrizioni della direttiva possono essere oggetto di sanzioni, compresa l’esclusione dalla possibilità di assumere lavoratori stagionali (art. 17).

 

L'art. 28 fissa al 30 settembre 2016 il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri.

 


 

 

Direttiva n. 2014/41/UE
(
Ordine europeo di indagine penale)

 

 

La direttiva in oggetto è volta a istituire un unico strumento denominato "ordine europeo d'indagine" (OEI) che garantisca l'acquisizione delle prove da uno Stato all'altro nell'ambito dei procedimenti penali transfrontalieri, al fine di superare la frammentarietà e la complessità dell'attuale quadro giuridico. Essa viene incontro all'esigenza di uniformità già espressa dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009, nel quale si ravvisava l'opportunità di istituire un sistema generale di acquisizione delle prove nei procedimenti aventi dimensione transfrontaliera, che fosse basato sul principio del reciproco riconoscimento, ma che tenesse conto anche della flessibilità del sistema tradizionale di assistenza giudiziaria.

Ai sensi dell'art. 1 della direttiva, l'ordine europeo d'indagine (OEI) è una decisione giudiziaria emessa o convalidata da un'autorità competente di uno Stato membro ("Stato di emissione") per compiere uno o più atti di indagine specifici in un altro Stato membro ("Stato di esecuzione") ai fini di acquisire prove. Esso può anche essere emesso per ottenere prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione. In base al principio del reciproco riconoscimento, gli Stati membri hanno l'obbligo di darvi esecuzione. L'emissione di un OEI può essere richiesta da una persona sottoposta a indagini o da un imputato, o da un avvocato che agisce per conto di questi ultimi, nel quadro dei diritti della difesa applicabili conformemente al diritto e alla procedura penale nazionale.

L'OEI deve essere emesso - secondo il modello allegato alla direttiva (allegato A) - da: un giudice, un organo giurisdizionale, un magistrato inquirente o un pubblico ministero; oppure deve essere convalidato da questi ultimi, prima della trasmissione all'autorità di esecuzione, qualora sia stato disposto da un'altra autorità (art. 2). La sua emissione deve essere in relazione a un procedimento penale o nel quadro di procedimenti amministrativi aventi implicazioni penali (art. 4).

L'OEI ha una portata orizzontale e trova applicazione in tutti gli atti di indagine finalizzati all'acquisizione di prove. Tuttavia, l'istituzione di una squadra investigativa comune e l'acquisizione di prove nell'ambito di tale squadra richiedono disposizioni specifiche, che continueranno a essere regolate dagli strumenti esistenti (la Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, del 12 luglio 2000, e la decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio).

La direttiva stabilisce procedure e garanzie per lo Stato di emissione (capo II) e per lo Stato di esecuzione (capo III). L'autorità di emissione può emettere un OEI solamente quando ritiene soddisfatte le seguenti condizioni: l'emissione dell'OEI è necessaria e proporzionata ai fini del procedimento, tenendo conto dei diritti della persona sottoposta a indagini o imputata; l'atto o gli atti di indagine richiesti nell'OEI avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo (art. 6). L'OEI è trasmesso dall'autorità di emissione all'autorità di esecuzione con ogni mezzo che consenta di conservare una traccia scritta che permetta allo Stato di esecuzione di stabilirne l'autenticità (art. 7). L'autorità competente dello Stato di esecuzione che riceve un OEI trasmette una comunicazione di ricevuta, senza ritardo e comunque entro una settimana dalla ricezione, compilando e inviando il modulo allegato alla direttiva (allegato B). Il riconoscimento e l'esecuzione dell'OEI avvengono senza alcuna ulteriore formalità, adottando immediatamente tutte le misure necessarie, secondo le stesse modalità che sarebbero osservate qualora l'atto di indagine fosse stato disposto da un'autorità dello Stato di esecuzione (art. 9), salvo che quest'ultima adduca uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione indicati dall'art. 11. Il riconoscimento o l'esecuzione dell'OEI possono pertanto essere rifiutati qualora: il diritto dello Stato di esecuzione preveda immunità o privilegi che rendono impossibile l'esecuzione dell'OEI, o specifiche norme relative alla libertà di stampa; l'esecuzione leda interessi essenziali di sicurezza nazionale; l'esecuzione dell'OEI sia contraria al ne bis in idem; la condotta riguardo alla quale è stato emesso l'OEI non costituisca reato in base al diritto dello Stato di esecuzione, a meno che riguardi un reato elencato nelle categorie figuranti nell'allegato D, come i reati di terrorismo o la tratta di esseri umani, e questo sia punibile nello Stato di emissione con una pena o una misura di sicurezza detentiva della durata massima di almeno tre anni. Secondo una previsione posta a garanzia dello Stato di esecuzione, qualora l'atto di indagine richiesto nell'OEI non sia previsto dal diritto dello Stato di esecuzione, oppure non sia disponibile in un caso interno analogo, l'autorità di esecuzione dispone, ove possibile, un atto di indagine alternativo (art. 10).

Per quanto concerne i termini per il riconoscimento o l'esecuzione, la direttiva prescrive che la decisione abbia luogo con la stessa celerità e priorità usate in casi interni analoghi (art. 12). In particolare, tale decisione deve essere adottata il più rapidamente possibile e, in ogni caso, entro 30 giorni, eventualmente prorogabili per un massimo di 30 giorni, previa informativa all'autorità competente dello Stato di emissione. L'autorità di esecuzione deve compiere l'atto di indagine senza ritardo ed entro 90 giorni dall'adozione della decisione. L'autorità di esecuzione deve inoltre trasferire all'autorità di emissione, senza indebito ritardo, le prove acquisite o già in suo possesso; se richiesto nell'OEI e consentito dalla legislazione nazionale dello Stato di esecuzione, le prove sono trasferite immediatamente alle autorità competenti dello Stato di emissione che partecipano all'esecuzione dell'OEI (art. 13). Nella procedura volta ad acquisire la prova deve essere, in ogni caso, assicurata la riservatezza dell'indagine (art. 19) e il rispetto dei diritti fondamentali e dei princìpi sanciti dall'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, compresi i diritti alla difesa delle persone sottoposte a procedimento penale. Lo Stato di esecuzione deve sostenere tutti i costi gravanti nel proprio territorio e connessi all'esecuzione di un OEI. Tuttavia, qualora ritenga che tali costi siano eccezionalmente elevati, l'autorità di esecuzione può consultare l'autorità di emissione sulla possibilità e le modalità di condivisione delle spese o di modifica dell'OEI (art. 21).

Sono previste disposizioni specifiche per determinati atti di indagine, che richiedano il trasferimento temporaneo nello Stato di emissione di persone detenute, l'audizione mediante videoconferenza o teleconferenza, l'acquisizione di informazioni relative a conti bancari o ad altre operazioni finanziarie, le consegne controllate o le operazioni di infiltrazione (artt. 22-29). Si precisa, infine, che è possibile ricorrere all'OEI anche per le operazioni di intercettazione di telecomunicazioni (artt. 30 e 31). In tal caso, l'OEI deve contenere: informazioni necessarie ai fini dell'identificazione della persona sottoposta all'intercettazione; la durata auspicata dell'intercettazione; sufficienti dati tecnici, in particolare gli elementi di identificazione dell'obiettivo, per assicurare che l'OEI possa essere eseguito.

 

L'art. 36 fissa al 22 maggio 2017 il termine ultimo per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri.

 

 


 

 

Direttiva n. 2014/48/UE
(
Tassazione redditi risparmio)

 

 

La direttiva 2014/48/UE intende rafforzare  le norme UE in materia di scambio di informazioni sui redditi di risparmio, allo scopo di consentire agli Stati membri di meglio contrastare le frodi e l'evasione fiscale.

Le norme europee si pongono l’obiettivo di garantire l’imposizione effettiva sui redditi da risparmio che hanno la forma di pagamenti di interessi transfrontalieri, corrisposti in uno Stato membro ad una persona fisica residente in un altro Stato membro - interessi che sono generalmente inclusi in tutti gli Stati membri nel reddito imponibile delle persone fisiche residenti - mediante lo scambio di informazioni tra le autorità competenti dei singoli Paesi membri.

La direttiva 2014/48/UE modifica la "direttiva risparmio" 2003/48/CE, entrata in vigore dal 1° gennaio 2005, che aveva introdotto un obbligo di comunicazione nel caso di pagamento di interessi transfrontalieri.

Per assicurare l’effettiva imposizione sui redditi da risparmio percepiti, sotto forma di interessi, da parte di soggetti non residenti, la 'direttiva risparmio' del 2003 disponeva l’adozione di un sistema basato sullo scambio automatico di informazioni tra le autorità competenti degli Stati membri coinvolti nella transazione. In base alle disposizioni della direttiva 2003, l’agente pagatore deve trasmettere alle autorità competenti del proprio Paese, in via automatica, almeno una volta all’anno, ed entro sei mesi dalla fine dell’anno fiscale dello Stato, una serie di informazioni e di dati relativi alla transazione e ai soggetti coinvolti. La direttiva del 2003 non è stata reputata efficace in relazione allo scopo prefissato: essa non copriva alcuni strumenti finanziari e si applicava solo ai pagamenti di interessi effettuati direttamente a favore di persone fisiche residenti nell'Unione, le quali possono eludere le disposizioni europee attraverso società con sede in paesi in cui vige un regime fiscale più favorevole.

La direttiva in commento apporta significative novelle alla direttiva risparmio del 2003, tra l’altro attraverso l’attualizzazione della terminologia ivi contenuta, allo scopo di garantire una effettiva imposizione dei redditi da risparmio e prevenire il rischio di evasione fiscale. In particolare le norme europee intendono definire meglio:

a) i redditi da risparmio, affinché (articolo 6 della direttiva risparmio, riformulato dall’articolo 1 della direttiva 2014/48/UE) siano compresi nell’ambito applicativo della direttiva anche i redditi equivalenti agli interessi sui risparmi investiti. Si tratta ad esempio dei fondi di investimento stabiliti nell'Unione e fuori dell'Unione, e di tutti quegli strumenti finanziari non qualificabili come produttori d’interessi (azioni, fondi comuni di natura prevalentemente azionaria, strumenti alternativi, polizze di capitalizzazione e vita ed altri strumenti caratterizzati e strutturati in maniera tale da non produrre interesse);

b) la definizione di beneficiario (articolo 2 della direttiva risparmio, come riformulato);

c) la definizione di agente di pagamento e l’introduzione di una nozione “positiva” delle strutture intermedie istituite in uno degli Stati membri e tenute ad agire come “agenti pagatori all’atto del ricevimento”;

d) l’identificazione dei beneficiari effettivi (articolo 3 della novellata direttiva risparmio) attraverso la registrazione della data e del luogo di nascita del beneficiario effettivo e, ove disponibile, del codice fiscale di quest’ultimo.

Gli Stati membri sono tenuti a recepire la nuova direttiva nei rispettivi ordinamenti nazionali entro il 1° gennaio 2016.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 18 marzo 2015 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure sulla trasparenza fiscale comprendente una proposta di abrogazione, a decorrere dal 1º gennaio 2016, della direttiva 2003/48/CE sulla tassazione dei redditi da risparmio (COM(2015)129).

Il pacchetto include anche:

·        una comunicazione sulla trasparenza fiscale per combattere l'evasione e l'elusione (COM(2015)136);

·        una proposta di modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale.

La proposta di abrogazione è motivata dalla Commissione tenuto conto del fatto che gli obblighi previsti dalla direttiva 2003/48 si sovrappongono o sono assorbiti in massima misura da quelli stabiliti dalla direttiva 2014/107/UE, che è entrerà in vigore 1° gennaio 2016). Tale ultima direttiva, estendendo lo scambio automatico di informazioni ad un’ampia gamma di redditi e di capitali, secondo lo standard globale adottato in sede OCSE, ha infatti un campo di applicazione generalmente più ampio di quello della direttiva 2003/48/CE, e prevale espressamente su quest’ultima, in caso di sovrapposizione.

Al fine di garantire la prosecuzione senza soluzione di continuità della comunicazione automatica delle informazioni relative ai conti finanziari, l’abrogazione della direttiva 2003/48/CE dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2016, stessa data di applicazione della direttiva 2014/107.

Come chiarito nel preambolo, la proposta di abrogazione della direttiva 2003/48/CE sulla tassazione dei redditi da risparmio implica che la direttiva 2014/48/UE (che modifica la direttiva 2003/48/CE) non dovrebbe più essere attuata.

 

La proposta di abrogazione sarà esaminata secondo la procedura legislativa speciale, che prevede l’unanimità in seno al Consiglio dell’UE e il mero parere del Parlamento europeo.


 

 

Direttiva n. 2014/50/UE
(
Diritti pensionistici complementari e mobilità lavoratori)

 

 

La direttiva 2014/50/UE del 16 aprile 2014 stabilisce le norme minime per la tutela dei diritti pensionistici complementari dei lavoratori che si spostano da un paese europeo all'altro (cd. lavoratori in uscita). La direttiva si è resa necessaria in quanto il coordinamento dei regimi di sicurezza sociale non si applica alla maggior parte dei regimi pensionistici integrativi.

In materia è già intervenuta la direttiva 98/49/CE, relativa alla salvaguardia dei diritti delle pensioni complementari dei lavoratori subordinati e autonomi Si ricorda, in particolare, che la richiamata direttiva ha disposto la conservazione dei diritti pensionistici acquisiti di una persona che lascia un regime pensionistico di un Paese membro in seguito a trasferimento in un altro Stato membro (allo stesso modo di una persona che rimane nello stesso Stato membro), nonché il diritto, per i titolari di un regime pensionistico integrativo, a ricevere i propri benefici in qualsiasi Stato membro.

 

Ai sensi dell’articolo 8 della Direttiva, gli Stati membri sono tenuti a recepire tali disposizioni entro il 21 maggio 2018.

 

La Direttiva in esame introduce ulteriori disposizioni di salvaguardia, in relazione a piani pensionistici originati da rapporti di lavoro ("pensioni professionali")[15] e si applica (articolo 2, paragrafo 4) unicamente ai periodi di occupazione successivi al suo recepimento.

La Direttiva non trova applicazione (articolo 2, paragrafi 2, 3 e 5):

·     per i regimi pensionistici complementari che non accettino nuovi iscritti al 20 maggio 2014;

·     per i regimi pensionistici complementari oggetto di misure di mantenimento o risanamento (quali le procedure di liquidazione) da parte di organi amministrativi o giurisdizionali;

·     per i fondi di garanzia in caso di insolvenza, i fondi di compensazione ed i fondi di riserva pensionistici nazionali;

·     per i versamenti una tantum di fine rapporto non connessi ad ente pensionistico;

·     per il trasferimento dei diritti pensionistici maturati;

·     per le prestazioni di invalidità e/o ai superstiti collegate ai regimi pensionistici complementari (ad eccezione delle disposizioni di cui ai successivi articoli 5 e 6, relativi alla prestazioni ai superstiti);

·     per l'acquisizione e la salvaguardia dei diritti pensionistici complementari per i lavoratori che si spostano all'interno di un solo Stato membro.

L’articolo 4 individua i requisiti necessari per l'acquisizione dei diritti derivanti dall'iscrizione ai regimi pensionistici complementari, prevedendo per i lavoratori trasferitisi in altri Stati membri:

L'articolo 5 prevede che gli Stati membri adottino misure per garantire che i diritti pensionistici maturati dai lavoratori restino nel regime complementare in cui gli stessi siano stati maturati. Si consente che gli ordinamenti contemplino la possibilità di procedere al pagamento del valore dei diritti maturati, con il consenso informato del lavoratore. Inoltre, gli Stati membri assicurano che il valore in capitale dei diritti pensionistici in sospeso sia in linea con quello degli iscritti attivi o con l'evoluzione delle prestazioni pensionistiche in corso di pagamento, o che i medesimi diritti siano trattati in altri modi ritenuti equi[16]. Allo stesso tempo, è disposta la facoltà, per gli Stati membri, di consentire ai regimi pensionistici complementari di non mantenere i diritti pensionistici maturati di un lavoratore in uscita, ma di procedere al pagamento (con consenso informato del lavoratore), di un capitale equivalente (compresi gli oneri applicabili) al valore dei diritti pensionistici maturati dal lavoratore stesso, purché il valore dei diritti a pensione maturati non superi il limite stabilito dallo Stato membro interessato.

L'articolo 6 dispone il diritto, per gli iscritti attivi, di ottenere informazioni da parte degli Stati membri in merito alle conseguenze della cessazione del rapporto di lavoro sui loro diritti pensionistici complementari, nonché le informazioni, a favore dei beneficiari differiti, relative al valore dei loro diritti pensionistici in sospeso e alle condizioni che disciplinano il trattamento dei diritti pensionistici in sospeso.

L'articolo 7 prevede che gli Stati membri possano adottare disposizioni più favorevoli per i lavoratori e stabilisce che l'attuazione della direttiva non deve comportare una riduzione dei diritti esistenti (cd. clausola di non regressione).

Infine, si stabilisce l’obbligo, per gli Stati membri, di comunicare alla Commissione europea le informazioni disponibili in merito all'applicazione della presente direttiva entro il 21 maggio 2019, nonché l’obbligo, per la Commissione, di redigere una relazione sull'applicazione della stessa direttiva (da presentare al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo) entro il 21 maggio 2020 (articolo 9).


 

 

Direttiva n. 2014/51/UE
(
Autorità europee vigilanza (assicurazioni e strumenti finanziari))

 

 

La direttiva 2014/51/UE è volta a regolamentare alcuni poteri e competenze dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA).

 

Si rammenta che nel 2010 è stato istituito il Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria (ESFS), composto dall’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) e dall’Autorità bancaria europea (EBA).

Le norme della direttiva 2014/51/UE modificano la disciplina europea sostanziale concernente i settori di attività delle nuove Autorità di vigilanza europee, per adeguare al nuovo sistema di vigilanza, in particolare, si intende adeguare alle nuove diposizioni la direttiva 2003/71/CE relativa al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari (cd. direttiva prospetto) e la direttiva 2009/138/CE concernente l’accesso e l’esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (direttiva Solvency II). Sono apportate le conseguenti modifiche ai regolamenti in materia di agenzie di rating, di istituzione dell’ESMA e dell’EIOPA.

 

In estrema sintesi la direttiva, con un primo gruppo di norme, modifica gli atti legislativi nelle materie dell’ESMA e dell’EIOPA affinché esse stabiliscano i settori in cui alle autorità di vigilanza europee è conferito il potere di elaborare progetti di norme tecniche e le relative modalità di adozione da parte della Commissione UE; si riconduce nell’alveo delle norme sostanziali l’individuazione  degli elementi, delle condizioni e delle specifiche per gli atti delegati, come previsto all'articolo 290 TFUE. Tali standard costituiranno degli strumenti aggiuntivi per la convergenza della vigilanza.

Con il Trattato di Lisbona la Commissione, mediante gli atti delegati, di cui all'articolo 290 del TFUE, può emanare atti non legislativi di portata generale, che integrano o modificano elementi non essenziali di un atto legislativo, che dovrà indicare, a sua volta, gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere

I regolamenti istituitivi delle autorità di vigilanza europea, adottati dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, prevedono quindi il ricorso all'articolo 290 del TFUE, nonché all'articolo 291, il quale stabilisce che, pur restando agli Stati membri la competenza ad adottare misure di esecuzione, laddove siano necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione, questi conferiscano alla Commissione europea poteri di esecuzione.

Con un secondo gruppo di norme si interviene sulla direttiva Solvency II. Si conferiscono alla Commissione europea numerosi poteri delegati in una serie di materie, per un periodo di quattro anni a decorrere dall'entrata in vigore della direttiva, prorogabili per periodi di altrettanta durata, eccetto in caso di revoca dal parte del Parlamento europeo e del Consiglio.

In materia di controversie, i regolamenti istitutivi delle autorità di vigilanza europee prevedono che le suddette possano intervenire qualora le autorità nazionali competenti di uno o più Stati membri non riescano ad trovare un accordo tra loro. A tal fine i regolamenti prevedono che la normativa settoriale specifichi i casi in cui le autorità di vigilanza europee hanno facoltà di intervenire. Pertanto, la proposta in esame fissa una prima serie di casi all'interno della direttiva Solvibilità II, delineando una procedura per la risoluzione delle controversie, in base alla quale viene data facoltà ad una delle autorità di vigilanza nazionali interessate di sollevare la questione presso l'EIOPA.

La proposta apporta poi alcune modifiche aggiuntive alla direttiva Solvibilità II; sono specificate le condizioni, che dovranno essere constatate dall'EIOPA, per la determinazione di situazioni eccezionalmente avverse dei mercati. Vengono poi adeguati all'inflazione gli importi in euro del livello minimo del requisito patrimoniale delle imprese di riassicurazione captive. Al fine di agevolare la transizione verso un nuovo regime ed evitare turbative di mercato, sono previste misure transitorie che riguardano, tra l'altro: i requisiti di governance; la valutazione; le informazioni da fornire alle autorità di vigilanza e l'informativa al pubblico; la determinazione e la classificazione dei fondi propri; la formula standard per il calcolo del requisito patrimoniale di solvibilità.

La direttiva contiene inoltre una serie di misure sul trattamento dei prodotti di assicurazione a lungo termine, in modo da mitigare gli effetti della "volatilità artificiale”: ne deriva un regime di supervisione e regolazione per il settore assicurativo fondato sull'analisi del rischio, tramite il quale si intende realizzare una maggiore stabilità del sistema finanziario e di rafforzare il coordinamento della vigilanza internazionale.

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva è il 31 marzo 2015; l'applicazione delle norme derivanti dal recepimento deve decorrere dal 1° gennaio 2016.


 

 

Direttiva n. 2014/53/UE
(
Apparecchiature radio)

 

 

La direttiva 2014/53/UE introduce un nuovo quadro regolamentare per l'immissione sul mercato europeo delle apparecchiature radio, da intendersi quali prodotti elettrici o elettronici che emettono o ricevono intenzionalmente onde radio a fini di radiocomunicazione o radiodeterminazione, anche mediante uso di apposito accessorio quale l'antenna. La direttiva si applica quindi ad una molteplicità di prodotti tra i quali sono compresi i telefoni cellulari, i telecomandi di apertura delle porte di veicoli, modem ecc.

 

La direttiva fissa alcuni requisiti essenziali di tali apparecchiature, in termini di protezione della salute umana e animale, nonché di protezione dei beni, anche in relazione alla direttiva 2014/35/UE concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato del materiale elettrico destinato a essere adoperato entro taluni limiti di tensione.

Le apparecchiature in oggetto devono inoltre assicurare un adeguato livello di compatibilità elettromagnetica ai sensi della direttiva 2014/30/UE concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica. Esse devono essere fabbricate in modo da utilizzare efficacemente lo spettro radio al fine di evitare interferenze.

Le apparecchiature radio devono inoltre soddisfare ulteriori requisiti a seconda della tipologia o della classe di appartenenza: sarà la Commissione, con atto delegato, a stabilire la corrispondenza tra tipologie di apparecchi e requisiti che essi dovranno soddisfare. A tale proposito, si segnala il potere conferito alla Commissione di adottare atti delegati, che ha la durata di cinque anni a decorrere dall'11 giugno 2014.

I suddetti requisiti si possono riassumere nel modo seguente: compatibilità con accessori standardizzati, in particolare carica batterie; possibilità di interazione con altri apparecchi radio; possibilità di collegamento ad interfacce dello stesso tipo reperibili sul mercato europeo. Gli apparecchi devono poi assicurare la sicurezza della rete e del suo funzionamento; devono essere dotati di dispositivi atti ad assicurare la protezione dei dati dell'utente; devono poter supportare alcune funzioni atte a proteggere dalle frodi; devono assicurare l'accessibilità ai servizi di emergenza, nonché alle persone con disabilità.

Ai fini di una migliore sorveglianza del mercato, la direttiva pone in capo ai fabbricanti l'obbligo di registrazione centralizzata delle apparecchiature a decorrere dal 12 giugno 2018. Le modalità attuative di tale disposizione sono parimenti fissate dalla Commissione con atto delegato. Sono quindi dettate disposizioni sulla messa a disposizione sul mercato e sulla messa in servizio e uso in relazione alla conformità delle apparecchiature alla presente direttiva.

La direttiva pone in capo agli operatori economici specifici obblighi, prevedendo che ogni operatore (fabbricante, importatore, distributore) sia responsabile della conformità delle apparecchiature ai dettami della presente direttiva in relazione al ruolo da essi svolto nella catena di distribuzione. In particolare, i fabbricanti provvedono affinché le apparecchiature radio siano costruite in modo tale da poter essere utilizzate in almeno uno Stato membro senza violare le prescrizioni applicabili sull'uso dello spettro radio. Ad essi è anche attribuita la responsabilità della corretta etichettatura, della presenza delle istruzioni d'uso, della tenuta della documentazione tecnica comprovante la conformità degli apparecchi. I fabbricanti garantiscono che ogni singola apparecchiatura radio sia accompagnata da una copia della dichiarazione di conformità UE, eventualmente nella versione semplificata. Ulteriore obblighi riguardano la presenza degli elementi identificativi sull'apparecchio radio: quando le sue dimensioni o natura non lo consentano, le medesime indicazioni possono comparire sull'imballaggio o su un foglietto di accompagnamento. Le istruzioni e le informazioni essenziali al funzionamento delle apparecchiature devono essere espresse in un linguaggio semplice e comprensibile dall'utente. Simili incombenze ricadono anche su importatori - che immettono sul mercato solo prodotti conformi - e sui distributori, chiamati ad applicare con la dovuta diligenza le prescrizioni della direttiva.

La Commissione effettua un esame dell'applicazione della direttiva facendone rapporto entro il 12 giugno 2018 e, successivamente, ogni cinque anni. Il rapporto dovrà in particolare incentrarsi sull'efficacia della direttiva nel favorire un sistema coerente delle apparecchiature radio nell'Unione, nel favorire la convergenza dei settori delle telecomunicazioni, dell'audiovisivo e delle tecnologie dell'informazione, nonché l'armonizzazione delle norme. Inoltre, si dovranno verificare le misure introdotte in termini di protezione del consumatore, la compatibilità con gli accessori e il corretto funzionamento degli schermi ove presenti.

 

Il termine di recepimento è fissato al 12 giugno 2016.

 


 

Direttiva n. 2014/54/UE
(
Libera circolazione lavoratori)

 

 

La direttiva 2014/54/UE, da recepire entro il 21 maggio 2016, è volta ad agevolare l'esercizio del diritto alla libera circolazione dei lavoratori tra Stati membri, attraverso la previsione di una serie di disposizioni comuni dirette, tra l’altro, ad uniformare maggiormente l'applicazione e l'attuazione dei diritti relativi alla libera circolazione dei lavoratori (conferiti dall’articolo 45 del TFUE, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e dal regolamento (UE) n. 492/2011).

Come evidenziato nei considerando, la direttiva in esame si è resa necessaria in conseguenza di una divergente e non corretta applicazione della normativa dell’Unione in materia di esercizio dei diritti riconosciuti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione degli stessi (i lavoratori dell’Unione possono ancora subire restrizioni o ostacoli ingiustificati all'esercizio del loro diritto di libera circolazione, come il mancato riconoscimento delle qualifiche), nonché del fatto che molti lavoratori spesso ignorano i loro diritti sul tema, rendendo difficile l’effettivo esercizio e l’applicazione pratica di quanto legislativamente previsto.

L’articolo 45 del TFUE assicura la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, libertà che implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Tale libertà di circolazione (fatte salve le limitazioni derivanti da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica) comporta il diritto di rispondere a offerte di lavoro, di spostarsi liberamente nel territorio degli Stati membri e di prendervi dimora al fine di svolgere un'attività di lavoro, nonché di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego. Tali previsioni non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione. I diritti sostanziali per l'esercizio della libertà di circolazione sono ulteriormente specificati nel regolamento (UE) n. 492/2011 che garantisce (articoli da 1 a 10) ad ogni cittadino dell’Unione, tra l’altro, il diritto di accedere ad un impiego in altro Stato membro, di godere delle medesime condizioni di impiego e di lavoro godute dai lavoratori nazionali, in particolare in tema di retribuzione, di licenziamento, nonché di reintegrazione professionale o di ricollocamento se disoccupati, e di vantaggi sociali e fiscali.

Per quanto concerne l’ambito di applicazione della direttiva, questo viene identificato dall’articolo 2 con quello del citato regolamento (UE) n. 492/2011 e riguarda i vari aspetti del diritto al lavoro (dall’accesso alle condizioni di impiego, dallo svolgimento di attività sindacale all’accesso alla formazione, dall’alloggio ai vantaggi sociali e fiscali, ecc.).

Di seguito, un’analisi delle disposizioni maggiormente rilevanti introdotte dalla direttiva in esame.

L’articolo 3 prevede che gli Stati membri provvedano a garantire a tutti i lavoratori dell'Unione e ai loro familiari la possibilità di accedere a procedimenti giudiziari relativamente a presunte restrizioni e ostacoli ingiustificati al diritto di libera circolazione o a presunte lesioni del principio della parità di trattamento, anche dopo la cessazione del rapporto in cui si asserisce si siano verificati la restrizione o la discriminazione. La possibilità di azione viene riconosciuta anche ai soggetti giuridici portatori di legittimi interessi che, ai sensi dell’articolo 5, sono coinvolti dagli Stati membri in un dialogo diretto alla promozione del principio della parità di trattamento.

In base a quanto disposto dall’articolo 4, ciascuno Stato membro designa una o più strutture o uno o più organismi per “la promozione, l'analisi, il controllo e il sostegno della parità di trattamento dei lavoratori dell'Unione e dei loro familiari, senza discriminazione fondata sulla nazionalità, restrizioni od ostacoli ingiustificati al loro diritto di libera circolazione” e adotta le disposizioni necessarie al buon funzionamento dei suddetti organismi.

I requisiti fissati dalla direttiva in esame, per espressa previsione dell’articolo 7, sono da considerarsi minimi, cosicché, in materia di tutela del principio della parità di trattamento, gli Stati membri possono introdurre o mantenere misure più favorevoli di quelle ivi fissate. Inoltre, l’attuazione della direttiva non può comportare in nessun caso una riduzione del livello di tutela dei lavoratori dell'Unione e dei loro familiari nei settori rientranti nel suo campo d'applicazione.

Infine, per la proposizione di eventuali modifiche, laddove necessarie, l’articolo 9 dispone che la Commissione presenti al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo una relazione sull'attuazione della direttiva in esame entro il 21 novembre 2018.

 


 

Direttiva n. 2014/55/UE
(Fatturazione elettronica negli a
ppalti pubblici)

 

 

La direttiva 2014/55/UE, entrata in vigore il 26 maggio 2014, disciplina in quattordici articoli la fatturazione elettronica nel settore dei contratti pubblici.

L’articolo 1 dispone che l’ambito di applicazione della direttiva riguarda le fatture elettroniche emesse a seguito dell'esecuzione di contratti previsti dalle direttive 2009/81/CE (contratti pubblici nei settori della difesa e della sicurezza), 2014/23/UE (contratti di concessione), 2014/24/UE (appalti pubblici) e 2014/25/UE (appalti pubblici nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, ossia nei cosiddetti settori speciali).

Si ricorda che il recepimento delle direttive n. 23, n. 24 e n. 25 è oggetto del disegno di legge delega n. 1678 all’esame del Senato.

Sono escluse dall’applicazione della direttiva le fatture elettroniche emesse a seguito dell’esecuzione de contratti, previsti dalla direttiva 2009/81/CE, qualora l'aggiudicazione e l'esecuzione del contratto siano dichiarate segrete o debbano essere accompagnate da speciali misure di sicurezza secondo le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti in uno Stato membro e a condizione che lo Stato membro stesso abbia determinato che gli interessi essenziali in questione non possono essere garantiti da misure meno restrittive.

L’articolo 2 elenca le definizioni della direttiva, tra le quali rilevano quelle riguardanti la fattura elettronica, gli elementi essenziali, il modello semantico dei dati, la sintassi e le corrispondenze sintattiche.

L'articolo 3 prevede l’elaborazione da parte del Comitato europeo di normazione (CEN) di una norma europea per il modello semantico dei dati degli elementi essenziali di una fattura elettronica («norma europea sulla fatturazione elettronica») in linea con i criteri esplicitati nel medesimo articolo (ad esempio neutralità tecnologica, compatibilità con le norme internazionali pertinenti in materia di fatturazione elettronica, adeguatezza all'utilizzo nelle transazioni commerciali tra imprese). La direttiva prevede che la Commissione proceda alla pubblicazione della norma europea sulla fatturazione elettronica entro il 27 maggio 2017 a condizione che siano rispettati i predetti criteri e sia superata la fase delle verifiche.

Gli articoli 4 e 5 disciplinano, rispettivamente, i casi di obiezioni formali alla norma europea e le procedure per l’aggiornamento o la revisione della norma medesima e dell’elenco delle sintassi.

L’articolo 6 specifica gli elementi essenziali di una fattura elettronica, con riferimento all'identificazione della fattura e del relativo processo di fatturazione, al periodo di fatturazione, nonché alle informazioni necessariamente contenute.

Gli articoli 7 e 8 disciplinano, rispettivamente, le modalità di ricezione ed elaborazione delle fatture elettroniche da parte delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori e la tutela dei dati ottenuti a fini di fatturazione elettronica.

Gli articoli 9 e 10 disciplinano, rispettivamente, l’uso di fatture elettroniche a fini IVA secondo le disposizioni della direttiva 2006/112/CE e la procedura di comitato (che assiste la Commissione europea).

L’articolo 11 fissa il termine di recepimento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva al 27 novembre 2018.

In deroga a tale termine, gli Stati membri, entro diciotto mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea dei riferimenti della norma europea sulla fatturazione elettronica, adottano, pubblicano e applicano le disposizioni necessarie per conformarsi all'obbligo di cui all'articolo 7 di ricevere ed elaborare le fatture elettroniche. La suddetta deroga può essere estesa, per le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sub-centrali, fino al termine massimo di trenta mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea dei riferimenti della norma europea sulla fatturazione elettronica.

L’articolo 12 prevede il riesame da parte della Commissione degli effetti della direttiva sul mercato interno e sulla diffusione della fatturazione elettronica nel settore degli appalti pubblici e la presentazione di una relazione, eventualmente corredata da una valutazione di impatto relativa alla necessità di intraprendere ulteriori azioni, al Parlamento europeo e al Consiglio, entro tre anni dal predetto termine di trenta mesi.

 

 


 

Direttiva n. 2014/56/UE
(
Revisione legale dei conti)

 

 

Il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’Unione europea hanno approvato, rispettivamente il 3 ed il 14 aprile 2014, la riforma della revisione legale dei bilanci d’esercizio e consolidati attraverso l’adozione dei seguenti atti:

-        la direttiva 2014/56/UE, che modifica la direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati;

-        il regolamento (UE) n. 537/2014 del 16 aprile 2014 sui requisiti relativi alla revisione legale dei conti di enti di interesse pubblico e che abroga la decisione 2005/909/CE della Commissione.

La nuova 'direttiva revisione' contiene una serie di misure applicabili alla generalità delle revisioni contabili, nonché alcune previsioni, riguardanti il comitato per il controllo interno e la revisione contabile, applicabili esclusivamente agli enti di interesse pubblico. Il Regolamento prevede ulteriori e più stringenti regole applicabili unicamente alle revisioni dei bilanci dei citati enti. La riforma della revisione legale dei bilanci si inserisce in un contesto più ampio di riforme adottate immediatamente dopo la crisi finanziaria, per rilanciare la stabilità del sistema.

La riforma è stata varata all’esito di una consultazione pubblica avviata dalla Commissione europea il 13 ottobre 2010 attraverso il libro verde “La politica in materia di revisione contabile: gli insegnamenti della crisi”. In seguito alla consultazione, la Commissione europea ha approvato, il 30 novembre 2011, una proposta di nuova direttiva revisione ed un regolamento sulla quale si è instaurato un ampio dibattito concluso con l’accordo politico tra Parlamento e Commissione europea raggiunto il 17 dicembre 2013.

Il termine di recepimento è il 17 giugno 2016.

 

La direttiva 2014/56/UE modifica alcune definizioni rilevanti contenuti nella normativa previgente: in primo luogo, tra le modifiche introdotte vi è la definizione di “revisione legale dei conti” al fine di ricomprendervi, oltre alla revisione dei bilanci di esercizio o dei bilanci consolidati prescritta dal diritto dell’Unione europea, la revisione dei bilanci prescritta dalla legislazione nazionale per quanto riguarda le piccole imprese, nonché la revisione dei bilanci delle piccole imprese effettuata volontariamente, purché la stessa sia considerata dalla normativa nazionale equivalente alla revisione legale. L’impatto della modifica ha rilevanza ai fini dell’individuazione della tipologia di imprese soggette all’obbligo di revisione.

Si rammenta che la direttiva 2013/34/UE del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, che ha modificato sia la direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e ha abrogato le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio, ha riformulato le definizioni rilevanti a fini contabili delle varie categorie di imprese (microimprese, piccole, medie e grandi imprese); ha inoltre disposto che gli Stati membri assicurino che i bilanci degli enti di interesse pubblico, delle medie e grandi imprese siano sottoposti a revisione legale (articolo 34), escludendo così la categorie delle piccole imprese dall’obbligo della revisione.

La definizione di “revisione legale dei conti” contenuta nella nuova direttiva revisione sembra consentire agli Stati membri di ricomprendere nell’alveo dei soggetti a cui essa si applica, attraverso la legislazione nazionale, anche la categoria delle piccole imprese, altrimenti esentate dall’obbligo della revisione ai sensi della normativa comunitaria generale.

 

Quanto al riconoscimento delle imprese di revisione contabile, la direttiva in esame aggiunge l'art. 3-bis alla direttiva 2006/43. La norma generale relativa all’abilitazione, rimasta invariata, prevede che la revisione legale sia svolta esclusivamente da revisori o società di revisione abilitati dallo Stato membro che impone la revisione. La nuova direttiva revisione introduce una deroga a tale regola generale, operante per le società di revisione già abilitate in uno Stato membro che intendano effettuare revisioni presso uno Stato membro diverso da quello di origine. In questo caso, alla società di revisione è richiesta l’iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante, rilasciata a condizione che il responsabile della revisione che effettua la revisione legale per conto della società di revisione sia abilitato nello Stato membro ospitante.

 

La nuova direttiva modifica parzialmente anche la procedura per l’abilitazione dei revisori legali già abilitati in altri Stati membri, contemplando, in alternativa al superamento della prova attitudinale, già previsto dalla previgente direttiva revisione, un tirocinio di adattamento ai sensi della direttiva relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. La scelta tra le due procedure alternative (tirocinio di adattamento o prova attitudinale) è rimessa alla volontà dello Stato membro ospitante.

 

La direttiva in esame introduce il concetto di 'scetticismo professionale', al quale viene attribuito la valenza di un principio generale da rispettare nello svolgimento della revisione legale, al pari dei princìpi di deontologia professionale, indipendenza, obiettività, riservatezza e segreto professionale. Per scetticismo professionale si intende un atteggiamento, da adottare durante tutto il corso della revisione legale, caratterizzato da un approccio dubitativo, attento alle condizioni che possano indicare possibili errori dovuti a comportamenti o eventi non intenzionali o a frodi e una valutazione critica degli elementi probativi.

 

Per quanto attiene alle regole sull’indipendenza, la direttiva in commento contiene, per alcuni aspetti, un grado di dettaglio maggiore rispetto alla previgente normativa, anche se i requisiti fondamentali rimangono sostanzialmente invariati. In primo luogo, il requisito dell’indipendenza dal soggetto sottoposto a revisione è richiesto ora non solo al revisore legale o società di revisione ma anche a “qualsiasi persona fisica in grado di influenzare direttamente o indirettamente l’esito della revisione”, tra cui, ad esempio, ai dirigenti della società di revisione, ai suoi revisori, ai suoi dipendenti, a “qualsiasi persona fisica i cui servizi sono messi a disposizione o sono sotto il controllo del revisore legale o della società di revisione contabile o qualsiasi persona direttamente o indirettamente collegata al revisore legale o alla società di revisione contabile da un legame di controllo”. Resta invariato l’approccio utilizzato per valutare il requisito dell’indipendenza, secondo il quale il revisore legale o la società di revisione non effettuano la revisione se sussistono rischi derivanti da autoriesame, interesse personale, familiarità, esercizio del patrocinio legale, ovvero minacce di intimidazione, determinati da relazioni finanziarie, personali, d’affari, di lavoro o di altro tipo dalle quali un terzo informato, obiettivo e ragionevole trarrebbe la conclusione che l’indipendenza risulti compromessa nonostante le misure di salvaguardia adottate.

 

 Particolare attenzione viene posta sulla posizione dell’ex revisore assunto dalla società revisionata. La nuova direttiva vieta al revisore o al responsabile della revisione, prima che sia trascorso almeno un anno dalla cessazione delle sue attività in qualità di revisione (2 anni nel caso di revisione di un ente di interesse pubblico), di assumere le seguenti funzioni presso l’ente revisionato: dirigente di rilievo; membro del comitato per il controllo interno e la revisione contabile; membro senza incarichi esecutivi dell’organo di amministrazione o membro dell’organo di controllo. Identico divieto vige per i dipendenti, i soci nonché per ogni altra persona fisica i cui servizi sono messi a disposizione o sono sotto il controllo del revisore legale o della società di revisione contabile, nel caso in cui tali soggetti siano stati personalmente abilitati alla revisione. Prima di accettare o proseguire un incarico di revisione il revisore o società di revisione deve valutare e documentare: se è in regola con i requisiti di indipendenza richiesti; se sussistono rischi per la sua indipendenza e se sono state adottate misure per mitigarli; se dispone di tempo, di risorse e di personale competente per poter svolgere l’incarico; se, nel caso di società di revisione, il responsabile dell’incarico è abilitato all’esercizio dell’attività di revisione nel Paese che la impone. Gli Stati membri possono prevedere disposizioni semplificate per le revisioni delle piccole imprese.

 

La direttiva in esame introduce regole relative all’organizzazione interna del revisore o società di revisione e del suo lavoro. Il revisore e la società di revisione sono tenute ad adottare direttive e procedure interne volte a garantire che: in una società di revisione, l’indipendenza del responsabile della revisione non sia compromessa da ingerenze da parte degli azionisti, dei membri degli organi di amministrazione, di direzione e di controllo; il revisore o la società di revisione dispongano di un sistema amministrativo e contabile solido, di un sistema di controllo interno della qualità, di procedure per la valutazione del rischio e di meccanismi di controllo e tutela del proprio sistema di elaborazione elettronica dati; il personale che partecipa all’incarico di revisione abbia le conoscenze e l’esperienza adeguata per svolgerlo; l’esternalizzazione di funzioni di revisione non comprometta la qualità del suo controllo interno della qualità, né la capacità delle autorità competenti di vigilare sul revisore o società di revisione; eventuali rischi per l’indipendenza siano prevenuti, identificati, eliminati, gestiti e resi pubblici; l’attività del personale che partecipa all’incarico sia monitorata ed esaminata e venga predisposto un fascicolo di revisione per ogni incarico di revisione; il revisore o la società di revisione dispongano di un sistema di controllo interno della qualità che comprenda almeno direttive e procedure appropriate per svolgere l’incarico e che consenta di monitorare ed esaminare l’attività del personale che partecipa all’incarico e di predisporre un fascicolo di revisione per ogni incarico di revisione; le attività di revisione siano svolte in maniera continua e regolare e che eventuali incidenti che hanno avuto o potrebbero avere ripercussioni sull’integrità delle proprie attività di revisione siano efficacemente fronteggiati e registrati; le politiche retributive del personale che partecipa all’incarico di revisione incentivino la qualità della revisione e siano svincolate dal fatturato derivante dalla fornitura di servizi diversi dalla revisione alla società revisionata. Le citate procedure sono documentate e comunicate ai dipendenti del revisore o della società di revisione e sono monitorate e valutate al fine di garantirne adeguatezza ed efficacia. In particolare, le direttive e le procedure che costituiscono il sistema di controllo interno della qualità del revisore sono oggetto di valutazione annuale.

 

Con riferimento all’organizzazione del lavoro, la nuova direttiva prevede: che in una società di revisione venga designato almeno un responsabile della revisione per ciascun incarico e che lo stesso partecipi attivamente allo svolgimento del lavoro di revisione; che ad ogni incarico siano assegnate risorse e tempo sufficienti; che qualsiasi violazione delle disposizioni contenute nella nuova direttiva e nel regolamento sia documentata, unitamente alle eventuali conseguenze delle violazioni e le misure correttive adottate; il contenuto minimo del fascicolo (o file) di revisione ed il termine entro il quale lo stesso deve essere ultimato. La direttiva in esame conferma il meccanismo di adozione dei princìpi di revisione internazionali da parte della Commissione europea, dopo che tale ipotesi sembrava orami definitivamente abbandonata. Per “princìpi di revisione internazionali” si intendono gli International Standard on Auditing (ISA) ma anche il principio internazionale sul controllo della qualità n. 1 (International Standard on Quality Control - ISQC 1), nonché gli altri princìpi correlati emanati dall’IFAC tramite lo IAASB, nella misura in cui gli stessi siano rilevanti ai fini della revisione. La Commissione europea può adottare i princìpi di revisione internazionali a condizione che gli stessi: siano stati elaborati attraverso una procedura trasparente che garantisca il necessario controllo pubblico e siano generalmente accettati a livello internazionale; contribuiscano ad accrescere la credibilità e la qualità dell’informativa finanziaria; siano nell’interesse generale europeo; non modifichino né integrino i requisiti previsti dalla nuova direttiva revisione. Gli Stati membri possono, a determinate condizioni, imporre procedure o obblighi di revisione aggiuntivi ma non è più consentito loro di stralciare parte dei princìpi di revisione internazionali. Gli Stati membri, infine, qualora impongano la revisione legale alle imprese di piccole dimensioni possono stabilire che l’applicazione dei suddetti princìpi di revisione internazionale debba essere proporzionata alla dimensione e complessità della società sottoposta a revisione.

 

La direttiva in commento, rinviando alle regole più specifiche contenute nei princìpi di revisione internazionali, elenca i requisiti minimi della relazione di revisione che, rispetto al passato, reca la dichiarazione su eventuali incertezze relative a eventi o circostanze che potrebbero sollevare dubbi significativi sulla capacità dell’ente revisionato di rispettare il presupposto della continuità aziendale.

Altro elemento di novità è l’ipotesi della revisione congiunta, effettuata da più di un revisore o società di revisione (c.d. joint audit). In questo caso, la nuova direttiva richiede ai revisori o società di revisione di raggiungere un accordo sui risultati della revisione e di esprimere un giudizio congiunto. In caso di disaccordo, ogni revisore o società di revisione presenterà il proprio giudizio in un paragrafo distinto della relazione di revisione, indicando i motivi del disaccordo.

 

La disciplina sui controlli di qualità rimane sostanzialmente invariata. Un elemento di novità riguarda la frequenza dei controlli in merito alla quale la nuova direttiva introduce il concetto della valutazione del rischio. Pertanto, i controlli della qualità dovranno aver luogo sulla base di un’analisi del rischio ma, nel caso di revisioni legali prescritte dal diritto europeo, rimane il limite massimo di 6 anni tra una verifica della qualità e la successiva. Altro importante elemento di novità è l’introduzione del concetto di proporzionalità dei controlli di qualità rispetto alla complessità dell’attività di revisione o della società di revisione o dell’ente revisionato. A tali fini, gli Stati membri impongono alle autorità competenti, quando effettuano i controlli di qualità delle revisioni dei bilanci delle piccole e medie società, di tenere in considerazione il concetto della proporzionalità dei princìpi di revisione internazionali alla dimensione e complessità del soggetto sottoposto a revisione.

 

La direttiva in esame contiene, infine, ulteriori specifiche relative ai criteri per la selezione dei soggetti incaricati di eseguire le verifiche di qualità, finalizzate a garantire l’assenza di conflitti di interesse tra gli stessi e il revisore o la società di revisione da sottoporre a verifica. A tal fine viene ora richiesto ai controllori di rilasciare un’apposita dichiarazione di assenza di conflitti e viene anche previsto che gli stessi non possano effettuare verifiche presso il revisore o la società di revisione del quale siano stati dipendenti o al quale siano stati legati da altri rapporti di lavoro o di associazione prima che siano decorsi almeno 3 anni dalla cessazione di tali rapporti.

 

La nuova direttiva amplia la disciplina relativa alle indagini e sanzioni, inserendo 6 nuovi articoli. In particolare, sono previste misure e sanzioni amministrative minime, graduate in relazione alla gravità della violazione; vengono disciplinate le modalità di pubblicazione delle sanzioni comminate, nonché introdotti meccanismi di segnalazione delle violazioni alle autorità competenti. Inoltre, la direttiva ribadisce che l’autorità competente incaricata del controllo pubblico è diretta da persone esterne alla professione. Viene, pertanto, eliminata l’opzione che consentiva agli Stati membri di coinvolgere nella direzione di tale sistema una minoranza di professionisti. Tuttavia, l’autorità competente può, ora, esplicitamente affidare ai professionisti lo svolgimento di compiti specifici e può, inoltre, essere assistita da esperti del settore nell’espletamento delle sue funzioni. Oltre agli incarichi specifici, la direttiva introduce esplicitamente l’opzione per gli Stati membri di delegare, o consentire all’autorità competente di delegare, i propri compiti ad altre autorità o organismi designati o altrimenti autorizzati dalla legge a svolgere tali compiti. Inoltre, la Direttiva introduce il divieto di clausole contrattuali che possono in ogni modo limitare o condizionare la scelta, da parte dell’assemblea, di uno specifico revisore o società di revisione. Tale previsione intende contribuire alla soluzione del problema dell’eccessiva concentrazione del mercato della revisione vietando, ad esempio, che i bandi per l’assegnazione dell’incarico di revisione richiedano ai candidati il possesso di determinati requisiti dimensionali e/o di precedenti esperienze che automaticamente escludono i revisori individuali o le piccole società di revisione. In materia di revoca del revisore o società di revisione di un ente di interesse pubblico, la nuova direttiva introduce la facoltà in capo agli azionisti che rappresentano il 5% del capitale sociale o alle autorità competenti di adire un giudice nazionale per la revoca del revisore o società di revisione.


 

 

Direttiva n. 2014/58/UE
(
Articoli pirotecnici)

 

 

La direttiva 2014/58/UE definisce le modalità mediante le quali istituire un sistema di tracciabilità degli articoli pirotecnici immessi sul mercato dell'Unione europea.

L’adozione di tale disciplina, è prevista dall'articolo 18, comma 2, lettera a), della direttiva 2007/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce norme volte ad attuare la libera circolazione degli articoli pirotecnici nel mercato interno e prevede, tra le misure esecutive, l’istituzione di un sistema di tracciabilità per l'identificazione dei tipi di articoli pirotecnici e del loro fabbricante.

 

Si ricorda che la direttiva 2007/23/CE è stata già recepita nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 4 aprile 2010, n. 58, come modificato dall'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 25 settembre 2012, n. 176. Successivamente, è stata adottata la direttiva 2013/29/UE che aggiorna la disciplina relativa all'immissione sul mercato di articoli pirotecnici, considerate le sostanziali modificazioni avute negli anni recenti ed evidenzia la necessità della "rifusione" della direttiva 2007/23/CE. Lo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2013/29/UE è attualmente all’esame del Parlamento (Atto del Governo n. 160).

 

La direttiva sulla tracciabilità prevede, in particolare, che ciascun articolo pirotecnico deve essere munito di apposita etichetta con relativo numero di registrazione (articolo 1). Il numero di registrazione deve contenere le quattro cifre del numero di identificazione dell'organismo notificato, la categoria dell'articolo pirotecnico in forma abbreviata e il numero di trattamento utilizzato dall'organismo di notificazione.

In base alla direttiva, al fine di garantire la tracciabilità degli articoli pirotecnici all'interno del territorio dell'Unione europea è necessario che gli organismi notificati che si occupano delle procedure di verifica della conformità, istituiscano un registro di tutti quegli articoli pirotecnici per i quali hanno rilasciato attestati di certificazione, certificati di conformità o approvazioni del sistema di qualità (articolo 2). Al fine di standardizzare il sistema di identificazione di tali articoli, il numero di registrazione deve contenere le informazioni indicate nell'allegato alla direttiva. Inoltre, il registro deve essere aggiornato periodicamente, reso accessibile al pubblico mediante l'accesso in internet e conservato per almeno dieci anni dal momento del rilascio delle certificazioni o approvazioni.

La tenuta di un registro dei numeri di registrazione degli articoli pirotecnici è imposta anche ai fabbricanti e importatori di tali articoli. Inoltre, nell'ipotesi in cui intervenga la revoca della notifica di un organismo di verifica o la cessazione dell'attività di un fabbricante o importatore, i registri da essi tenuti devono essere trasferiti alle competenti autorità (articolo 3).

 

Lo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2013/29/UE, all’esame del Parlamento (Atto del Governo n. 160), stabilisce, all’articolo 7, che al fine di consentire la tracciabilità degli articoli pirotecnici, i fabbricanti vi appongono un'etichetta con un numero di registrazione assegnato dall'organismo notificato che esegue la valutazione di conformità. La numerazione è realizzata in base a un sistema uniforme definito dalla Commissione dell'Unione europea. È inoltre stabilito l’obbligo per i fabbricanti e gli importatori di conservare i numeri di registrazione degli articoli pirotecnici che mettono a disposizione sul mercato e, su richiesta motivata, rendono tali informazioni disponibili agli organi di polizia e alle autorità di sorveglianza del mercato di tutti gli Stati membri dell'Unione europea.

 

Come indicato all'articolo 4 della direttiva, il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è fissato alla data del 30 aprile 2015, e la relativa applicazione alla data del 17 ottobre 2016.

 


 

 

Direttiva n. 2014/60/UE
(Restituzione di beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro)

 

 

La direttiva 2014/60/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 modifica e rifonde la direttiva 93/7/CEE - già modificata dalle direttive 96/100/CE e 2001/38/CE - allo scopo di rafforzare la normativa che consente di ottenere la restituzione di beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro.

Le modifiche intendono superare i limiti riscontrati nell’applicazione della direttiva 93/7/CEE che, come evidenzia il punto 8) della premessa della nuova direttiva, sono derivati, in particolare, dalla ristrettezza del suo ambito di applicazione - risultante dalla condizioni stabilite nel suo allegato -, dai termini brevi per l’avvio di un’azione di restituzione e dai costi legati alla medesima azione.

 

La prima modifica apportata dalla direttiva 2014/60/UE riguarda l'ambito di applicazione, che viene ora esteso a qualsiasi bene che è classificato o definito da uno Stato membro quale "patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale”, senza più riferimento alle categorie indicate nell’All. A della precedente direttiva e, dunque, anche senza più riferimento a soglie di antichità o di valore, nonché senza più riferimento all’appartenenza a collezioni pubbliche o inventari di istituzioni ecclesiastiche (art. 2, primo comma, punto 1)[17].

Qui un approfondimento sulla nozione di bene culturale in base al D.Lgs. 42/2004.

 

La seconda modifica riguarda l'estensione (da due) a sei mesi del termine entro il quale lo Stato membro a cui è stato notificato il ritrovamento di un bene da parte di un altro Stato membro deve verificare se il bene in questione costituisce un bene culturale. Il termine continua a decorrere dalla notifica (art. 5, primo comma, punto 3).

 

La terza modifica riguarda l’estensione (da uno) a tre anni del termine per agire in giudizio al fine di ottenere il rientro del bene. Il termine continua a decorrere dalla data in cui l’autorità centrale competente dello Stato membro richiedente è venuta a conoscenza del luogo in cui si trovava il bene culturale e dell’identità del suo possessore o detentore (art. 8, comma 1, primo capoverso) [18].

 

Ulteriori modifiche riguardano il regime dell’equo indennizzo da corrispondere al possessore del bene.

Anzitutto, l’onere della prova relativo all’uso della diligenza richiesta viene posto a carico del possessore per tutti gli Stati membri (laddove, invece, la precedente direttiva prevedeva che l'onere della prova fosse disciplinato dalla legislazione dello Stato membro richiesto) (art. 10, primo comma).

Inoltre, si specifica che, per determinare l’esercizio della diligenza, si tiene conto di tutte le circostanze dell’acquisizione e, in particolare:

-        della documentazione sulla provenienza del bene;

-        delle autorizzazioni di uscita prescritte dal diritto dello Stato richiedente;

-        della qualità delle parti;

-        del prezzo pagato;

-        del fatto che il possessore abbia consultato o meno i registri accessibili dei beni culturali rubati e ogni informazione pertinente che avrebbe potuto ragionevolmente ottenere;

-        di ogni altra pratica cui una persona ragionevole avrebbe fatto ricorso in circostanze analoghe (art. 10, secondo comma).

 

Inoltre, per facilitare la cooperazione tra le autorità degli Stati membri e consentire loro di scambiarsi in modo efficace informazioni circa i beni culturali usciti illegittimamente, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali e della vita privata, la direttiva introduce il ricorso al sistema di informazione del mercato interno ("IMI") previsto dal regolamento (UE) 1024/2012, specificamente adattato per i beni culturali (art. 5, secondo comma, e art. 7, terzo comma).

 

Un’ultima modifica riguarda l’estensione (da tre) a cinque anni della cadenza del termine periodico per l’invio alla Commissione di una relazione sull’applicazione della direttiva da parte di ogni Stato membro (art. 17, comma 1).

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva - limitatamente alle parti modificate - è il 18 dicembre 2015 (art. 19, comma 1).

 

Il recepimento comporterà la modifica degli artt. 75-86 del d.lgs. 42/2004 che - come modificato, in tale parte, dal D.Lgs. 62/2008 - rappresentano recepimento della direttiva 93/7/CEE.

 

Dal 19 dicembre 2015 - data a decorrere dalla quale è abrogata la direttiva 93/7/CEE (art. 20, primo comma) – saranno applicabili anche le parti della direttiva 2014/60/UE per le quali non sono intervenute modifiche (art. 21, secondo comma).

 

Per completezza si ricorda che il 24 settembre 2014 l’Italia ha riconsegnato alla Grecia ottantadue monete archeologiche elleniche, di cui 79 in argento e 3 in bronzo, recuperate nel 2008 dai carabinieri nel corso di un'operazione in Veneto. Come si legge nel comunicato stampa del Mibact, la consegna ha rappresentato “la prima applicazione in Italia della direttiva comunitaria del '93 che disciplina la restituzione dei beni culturali”.

 

 


 

 

Direttiva n. 2014/61/UE
(
Reti comunicazione elettronica)

 

 

La direttiva 2014/61/UE è entrata in vigore il 12 giugno 2014.

L’articolo 1 afferma che le nuove disposizioni mirano a facilitare ed incentivare l'installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità, promuovendo l'uso condiviso dell'infrastruttura fisica esistente e consentendo un dispiegamento più efficiente di infrastrutture fisiche nuove. In tal modo si vogliono abbattere i costi dell'installazione di tali reti. La direttiva fissa requisiti minimi relativi alle opere civili e alle infrastrutture fisiche, ma consente agli Stati membri di mantenere o introdurre misure conformi al diritto dell'Unione che vadano al di là di essi, purché finalizzati ai medesimi obbiettivi di fondo.

L'articolo 2 della direttiva enuncia una serie di definizioni tecniche e giuridiche, mentre per altri aspetti rimanda alle definizioni contenute nella direttiva 2002/21/CE, recante un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica.

L'accesso alle infrastrutture fisiche esistenti è regolato dall'articolo 3 della direttiva. Gli Stati membri consentono agli operatori di offrire l'accesso alle imprese fornitrici di reti di comunicazione elettronica. Gli Stati membri possono altresì prevedere il diritto per gli operatori di reti pubbliche di comunicazione di offrire l'accesso alla loro infrastruttura fisica per l'installazione di reti diverse dalle reti di comunicazione elettronica. Gli operatori hanno l'obbligo di soddisfare tutte le richieste di accesso alle loro infrastrutture fisiche,  a condizioni che siano eque e ragionevoli, anche riguardo al prezzo. L'eventuale rifiuto dell'accesso deve essere giustificato da criteri oggettivi, trasparenti e proporzionati, indicati nel paragrafo 3 dell'articolo 3. Tra questi criteri, vi sono anche problemi di sicurezza e sanità pubblica. In caso di controversie sul diritto all'accesso, le parti si rivolgeranno ad un organismo nazionale competente per la risoluzione di esse (le caratteristiche di tale organismo sono definite dal successivo articolo 10). Le decisioni che tale organismo emetterà per risolvere la controversia saranno vincolanti, fatta salva la possibilità per le parti di adire un organo giurisdizionale (articolo 3, commi 4 e 5. Tale possibilità è ribadita all'articolo 10). Analoga procedura di risoluzione delle controversie è prevista in relazione ai successivi articoli 4 e 6). In ogni caso, non sono pregiudicati i diritti di proprietà del proprietario dell'infrastruttura fisica, né il diritto di proprietà di terzi, quali i proprietari di terreni e i proprietari immobiliari privati.

Secondo l'articolo 4, le imprese interessate ad accedere alle reti pubbliche di comunicazione elettronica hanno il diritto di ricevere una serie di informazioni minime riguardo a ubicazione e tracciato, tipologia dell'infrastruttura e punto di contatto (tale diritto può essere limitato soltanto per ragioni connesse alla sicurezza e all’integrità delle reti, nonché alla sicurezza nazionale, pubblica sicurezza, sanità pubblica). Gli enti pubblici che per competenza detengono elementi delle informazioni minime di cui sopra devono metterli a disposizione entro il 1° gennaio 2017, per mezzo di sportello unico elettronico. Su specifica richiesta scritta di un'impresa, saranno effettuate ispezioni in loco sulle infrastrutture fisiche. Le imprese che ottengono l'accesso alle informazioni in base alle disposizioni appena illustrate sono tenute ad adottare misure che garantiscano il rispetto della riservatezza e dei segreti tecnici e commerciali.

L'articolo 5 prevede che gli Stati membri provvedano al coordinamento, da parte degli operatori di rete, delle opere di genio civile funzionali all'installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità. Essi possono fissare regole sulla ripartizione dei costi legati al suddetto coordinamento di opere.

L'articolo 6 e l'articolo 7 integrano le precedenti regole sul coordinamento di opere di genio civile. In particolare, l'articolo 6 prevede che gli operatori di rete mettano a disposizione informazioni minime riguardanti le opere di tal genere in corso o programmate (ubicazione e tipo di opere; elementi di rete interessati; data di inizio e durata dei lavori). L'articolo 7 delinea la procedura di rilascio delle autorizzazioni per opere di genio civile funzionali all'installazione di elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità. Le informazioni in materia, ivi comprese quelle riguardanti eventuali eccezioni, devono essere disponibili attraverso lo sportello unico elettronico (citato al precedente articolo 4). L'articolo 7 stabilisce che le autorità competenti rilascino o rifiutino le autorizzazioni entro quattro mesi dalla data di ricevimento di una richiesta. Questo termine è prorogabile solo in casi eccezionali, e l'eventuale proroga deve essere quanto più breve possibile. I rifiuti devono essere debitamente giustificati.

Gli articoli 8 e 9 trattano di infrastrutture fisiche interne agli edifici e dell'accesso ad esse. Ai sensi dell'articolo 8, gli edifici nuovi per i quali le domande di autorizzazione edilizia sono presentate dopo il 31 dicembre 2016 devono essere equipaggiati di un'infrastruttura fisica interna predisposta per l'alta velocità fino ai punti terminali di rete. Il medesimo obbligo vale in caso di opere di profonda ristrutturazione dell'edificio. Inoltre, tutti i condomini nuovi per i quali le domande di autorizzazione edilizia sono presentate dopo il 31 dicembre 2016 saranno dotati di un punto di accesso, mentre i condomini preesistenti dovranno dotarsene in caso di ristrutturazioni profonde. Tuttavia, sono ammesse esenzioni per determinate categorie di edifici, in particolare per le abitazioni singole, o per le opere di profonda ristrutturazione, qualora i costi per l'adempimento di tali obblighi fossero sproporzionati o per altri motivi di cui l'articolo 8 fornisce alcuni esempi. L'articolo 9, a sua volta, riconosce ai fornitori di reti pubbliche di comunicazione il diritto di installare la loro rete a loro spese, fino al punto di accesso. Se però ciò è tecnicamente impossibile o inefficiente sotto il profilo economico, i suddetti fornitori di reti pubbliche di comunicazione accederanno all'esistente infrastruttura fisica interna all'edificio. In assenza di un'infrastruttura interna all'edificio predisposta per l'alta velocità, i fornitori avranno il diritto di far terminare la propria rete nella sede dell'abbonato, a condizione di aver ottenuto il suo consenso e purché provvedano a ridurre al minimo l'impatto sulla proprietà privata di terzi. Le disposizioni recate dall'articolo 9, comunque, non pregiudicano il diritto di proprietà del proprietario del punto di accesso o dell'infrastruttura fisica interna all'edificio, né il diritto di proprietà di terzi. E' anzi contemplata la possibilità di un risarcimento finanziario adeguato in favore di chi abbia subito danni a seguito dell'esercizio dei diritti di cui all'articolo 9 stesso.

 

Si ricorda in proposito che nell’ordinamento italiano, l’articolo 135-bis del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (DPR n. 380/2001), introdotto dall’articolo 6-ter del decreto-legge n. 133/2014 già prevede l’obbligo per gli edifici di nuova realizzazione con relativa domanda presentata dopo il 1° luglio 2015 di dotarsi di impianti di comunicazione ad alta velocità in fibra ottica fino ai punti terminali di rete, nonché di un punto di accesso (vale a dire il punto fisico che consente la connessione tra rete interna dell’edificio e rete pubblica di comunicazione).

 

L'articolo 10 si occupa dell'organismo nazionale per la risoluzione delle controversie, nonché dello sportello unico elettronico menzionato all'articolo 4 e all'articolo 7. L'organismo nazionale competente per la risoluzione delle controversie è definito giuridicamente distinto e funzionalmente autonomo dagli operatori di rete. I costi di esecuzione delle funzioni dello sportello unico possono essere coperti dagli Stati membri mediante tariffe a carico degli utenti.

Gli articoli 11, 12 e 13 vertono sull'applicazione della direttiva in esame. L'articolo 11 impone agli Stati membri di prevedere, per le violazioni della direttiva, sanzioni appropriate, efficaci, proporzionate e dissuasive. L'articolo 12 prevede che entro il 1° luglio 2018 la Commissione europea presenti al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'attuazione della direttiva in questione.

L'articolo 13 stabilisce il termine per il recepimento della direttiva al 1° gennaio 2016.

Il termine per l'applicazione delle disposizioni di recepimento, invece, è il 1° luglio 2016.


 

Direttiva n. 2014/62/UE
(
Protezione mediante il diritto penale dell’euro e di altre monete contro la falsificazione)

 

 

La direttiva 2014/62/UE, del 15 maggio 2014, stabilisce norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in materia di falsificazione dell’euro e di altre valute; introduce quindi disposizioni uniformi relative alla lotta alla falsificazione, migliorando le attività investigative ed assicurando una miglior cooperazione giudiziaria e di polizia nell’Unione.

 

La Direttiva, come esplicitato nelle sue premesse, mira infatti a contrastare e reprimere le attività che possono compromettere l’autenticità dell’euro mediante falsificazione.

 

Nel preambolo si legge infatti che, dalla sua introduzione nel 2002, la contraffazione dell’euro ha provocato danni finanziari per almeno 500 milioni di euro, imputabili prevalentemente all’attività di gruppi della criminalità organizzata che operano nel settore della falsificazione monetaria.

 

Quanto al profilo della definizione dei reati e delle relative pene per la falsificazione delle monete:

·             l’articolo 3 della direttiva individua le condotte che gli Stati dovranno qualificare come reati;

·             l’articolo 4 invita gli Stati a punire anche l’induzione, il favoreggiamento e il concorso in relazione alle suddette condotte, così come il tentativo, limitatamente ad alcune di tali condotte;

·             l’articolo 5 stabilisce i requisiti minimi delle pene da applicare, che dovranno come di consueto garantire di essere effettive, proporzionate e dissuasive.

 

Condotta (artt. 3-4)

Pena da applicare (art. 5)

a) contraffazione o alterazione fraudolenta di monete, qualunque ne sia il modo;

reclusione per una durata massima di almeno 8 anni

b) immissione in circolazione fraudolenta di monete falsificate;

reclusione per una durata massima di almeno 5 anni

- immissione in circolazione di monete falsificate quando si siano ricevute ignorandone la falsità, facendole poi circolare nonostante la consapevolezza della falsità;

reclusione e multa

c) importazione, esportazione, trasporto, ricettazione o procacciamento di monete falsificate, riconosciute tali, per la loro immissione in circolazione;

reclusione per una durata massima di almeno 5 anni

d) fabbricazione fraudolenta, ricettazione, procacciamento o possesso di:

i) strumenti, oggetti, programmi informatici e dati nonché ogni altro mezzo che per loro natura sono particolarmente atti alla contraffazione o all'alterazione di monete; o

ii) elementi di sicurezza quali ologrammi, filigrane o altri componenti della valuta che servono ad assicurarne la protezione contro la falsificazione.

reclusione

 

Si ricorda che l’ordinamento penale italiano già attualmente qualifica come illecito penale la falsificazione di monete.

 

L’art. 453 cp. (Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate), applica infatti la reclusione da 3 a 12 anni e la multa da 516 a 3.098 euro a:

1. chiunque contraffà monete nazionali o straniere, aventi corso legale nello Stato o fuori;

2. chiunque altera in qualsiasi modo monete genuine, col dare ad esse l'apparenza di un valore superiore;

3. chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, ma di concerto con chi l'ha eseguita ovvero con un intermediario, introduce nel territorio dello Stato o detiene o spende o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate;

4. chiunque, al fine di metterle in circolazione, acquista o comunque riceve, da chi le ha falsificate, ovvero da un intermediario, monete contraffatte o alterate.

L’art. 454 c.p. (Alterazione di monete) punisce con la reclusione da uno a 5 anni e con la multa da euro 103 a euro 516 chiunque altera monete della qualità indicata nell'articolo precedente, scemandone in qualsiasi modo il valore, ovvero, rispetto alle monete in tal modo alterate, commette alcuno dei fatti indicati nei n. 3 e 4 del detto articolo.

L’art. 455 c.p. (Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate) punisce con le pene previste dagli articoli precedentemente citati, ridotte da un terzo alla metà, chiunque, non ricorrendo i delitti precedenti, introduce nel territorio dello Stato, acquista o detiene monete contraffatte o alterate, al fine di metterle in circolazione, ovvero le spende o le mette altrimenti in circolazione. L’art. 457 c.p.. (Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede) punisce con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.032, chiunque spende, o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate, da lui ricevute in buona fede.

Infine, l’art. 461 c.p. punisce con la reclusione da 1 a 5 anni e con la multa da 103 a 516 euro la fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata.

 

 

La direttiva contiene poi due disposizioni sulla responsabilità delle persone giuridiche (artt. 6 e 7), prevedendo sanzioni di natura interdittiva, di vigilanza o liquidazione giudiziaria, di esclusione dal godimento di contributi o sovvenzioni pubblici e, financo, di chiusura temporanea o permanente dei locali usati per commettere i reati.

 

In merito si ricorda che il decreto legislativo n. 231 del 2001[19], sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche derivante dalla commissione di reati, già prevede sanzioni pecuniarie e interdittive a carico dell’ente a seguito della commissione dei delitti di falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento (articolo 25-bis).

 

 

Per quanto riguarda il secondo profilo di intervento, la direttiva richiede agli Stati membri di predisporre “efficaci strumenti di indagine, come quelli usati per le indagini riguardanti la criminalità organizzata o altre forme gravi di criminalità” (art. 9).

Gli Stati devono inoltre assicura che durante il procedimento penale sia consentito senza indugio, da parte del centro nazionale di analisi e del centro nazionale di analisi delle monete metalliche, l'esame di banconote e monete metalliche in euro di cui si sospetta la falsificazione ai fini dell'analisi e dell'individuazione e rinvenimento degli altri falsi (art. 10).

Almeno ogni due anni, gli Stati membri devono trasmettere alla Commissione dati relativi al numero di reati di cui agli artt. 3 e 4 e al numero di persone perseguite e condannate per tali reati.

 

Il termine per il recepimento della direttiva è il 23 maggio 2016.

 

 

 


 

 

Direttiva n. 2014/66/UE
(
Ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per trasferimento intra-societario)

 

 

La direttiva 2014/66/UE stabilisce le condizioni di ingresso e di soggiorno nell'Unione dei cittadini di Paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intra-societari. Si tratta di dirigenti, personale specializzato e dipendenti in tirocinio in succursali, o filiali di società prevalentemente multi-nazionali, trasferiti temporaneamente per brevi incarichi in altre unità della società (art. 2 e consideranda 5 e 6).

Tra i principali criteri di ammissione elencati dall'art. 5 si ricordano l'appartenenza dell'entità ospitante[20] e dell'impresa stabilita in un Paese terzo alla stessa impresa o allo stesso gruppo di imprese; l'impiego continuativo per un periodo minimo per la stessa impresa o lo stesso gruppo di imprese; la presentazione di un contratto o di una lettera di incarico del datore di lavoro; la prova delle qualifiche e dell'esperienza richieste. In termini più generali, il par. 8 specifica che "ai fini della presente direttiva non sono ammessi cittadini di Paesi terzi che sono considerati una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica o la sanità pubblica".

L'art. 6 conferma che ogni Stato membro ha il diritto di determinare i volumi di ingresso (quote) dei cittadini di Paesi terzi e che l'ammontare dei medesimi può, dunque, determinare il respingimento di una domanda di permesso per trasferimento intra-societario.

La procedura per ottenere il permesso al trasferimento intra-societario è descritta nel Capo III (art. 10-16) e prevede la presentazione di una domanda da parte di un cittadino di un Paese terzo o dell'entità ospitante (art. 11) ed il rilascio di un permesso uniforme (art. 13). La decisione sulla domanda, o il suo rinnovo, deve essere assunta per iscritto, motivata in caso di rigetto e notificata al richiedente non oltre 90 giorni dalla data di presentazione. È inoltre impugnabile, conformemente al diritto nazionale (art. 15).

Le motivazioni alla base di un possibile rifiuto sono elencate all'art. 7 mentre l'art. 8 disciplina i casi di revoca o mancato rinnovo.

Qualora per l'inosservanza delle condizioni di ingresso possa essere ritenuta responsabile l'entità ospitante, lo Stato membro interessato prevede, ai sensi dell'art. 9, sanzioni "effettive, proporzionate e dissuasive". È previsto che (art. 9, par. 3) gli Stati membri adottino misure per prevenire eventuali abusi e sanzionare violazioni alla direttiva. A questo fine sono previste attività di monitoraggio, valutazione e, ove opportuno, ispezione.

Il Capo IV è dedicato ai diritti derivanti dal permesso per trasferimento intra-societario. L'art. 17 individua il contenuto minimo dei suddetti diritti nella possibilità di ingresso e soggiorno nello Stato membro che per primo ha rilasciato al cittadino di un Paese terzo un permesso per trasferimento intra-societario, di libero accesso a tutto il suo territorio, nonché il diritto di esercitare la specifica attività lavorativa autorizzata dal permesso. L'art. 18 dettaglia il diritto alla parità di trattamento e l'art. 19 i diritti riservati ai familiari del lavoratore trasferito, prevedendo forme di agevolazione al ricongiungimento familiare, anche in deroga alla normativa generale.

Il Capo V è dedicato alla mobilità all'interno dell'Unione europea ed illustra le condizioni in base alle quali i cittadini di Paesi terzi titolari di un permesso intra-societario possono, in virtù di tale documento, entrare, soggiornare e lavorare in uno o più altri Stati membri. Vengono distinte le ipotesi di mobilità di breve durata, per la quale è richiesta una notifica (art. 21), e di lunga durata, per la quale lo Stato membro può accettare la notifica o adottare l'iter più articolato descritto nell'art. 22. L'art. 23 elenca, tra l'altro, i rapporti tra i diversi Stati membri (coinvolti nella mobilità all'interno dell'Unione europea), nonché i casi in cui gli Stati membri possono imporre sanzioni nei confronti dell'entità ospitante.

Ai sensi dell'art. 4, la direttiva "si applica fatte salve disposizioni più favorevoli" del diritto dell'Unione o di accordi bilaterali o multilaterali.

Ai sensi dell'art. 26, gli Stati membri devono designare dei punti di contatto, anche ai fini di ricevere e trasmettere informazioni.

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva è il 29 novembre 2016.

 

 


 

Direttiva n. 2014/67/UE
(
Distacco lavoratori nei servizi)

 

 

La direttiva 2014/67/UE, che dovrà essere recepita entro il 18 giugno 2016, è volta a consentire una migliore e più uniforme applicazione della direttiva 96/71/CE[21], relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi transfrontalieri, attraverso la previsione di una serie di disposizioni e misure dirette a superare le incertezze interpretative della direttiva 96/71/CE, nonché a contrastare comportamenti elusivi della normativa vigente da parte delle imprese.

Così come specificato nei considerando e nell’articolato, la direttiva mira a garantire il rispetto di un appropriato livello di protezione dei diritti dei lavoratori distaccati per una prestazione transfrontaliera di servizi, in particolare per quanto concerne l'attuazione delle condizioni di impiego applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di servizi (ai sensi dell'articolo 3 della direttiva 96/71/CE).

Il Capo I (artt. 1-4) concerne l’oggetto della direttiva. Dopo aver definito le finalità e il campo di applicazione della direttiva in esame (coincidente con quello previsto dalla direttiva 96/71/CE), dispone che la stessa non pregiudica l'esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti dagli Stati membri e dall’Unione (compresi il diritto o la libertà di sciopero e il diritto o la libertà di intraprendere altre azioni contemplate dalla disciplina delle relazioni industriali negli Stati membri), secondo il diritto e le prassi nazionali, né il diritto di negoziare, concludere ed applicare accordi collettivi e promuovere azioni collettive secondo il diritto e le prassi nazionali (art.1). Per il perseguimento dei fini stabiliti nella direttiva, viene previsto che gli Stati membri designino una o più autorità competenti che operano una valutazione generale per stabilire l'autenticità del distacco, anche sulla base dei criteri elencati all'articolo 4 concernenti sia all'impresa che al lavoratore (art. 3).

Il Capo II (art. 5) dispone la facilitazione dell’accesso alle informazioni relative alle condizioni di lavoro e di occupazione (di cui all'articolo 3 della direttiva 96/71/CE) che i prestatori di servizi devono rispettare.

Il Capo III (artt. 6-8) riguarda la cooperazione degli Stati membri. Questa consiste nel rispondere alle motivate richieste di informazioni da parte delle autorità competenti e nell'esecuzione di controlli, ispezioni e indagini in relazione a situazioni di distacco, comprese indagini su casi di inadempienza o violazione delle norme applicabili al distacco dei lavoratori (art. 6). Il controllo sulle condizioni di lavoro da rispettare e sulla regolarità del distacco viene effettuato dallo Stato dove è prestato il servizio, se necessario in collaborazione con lo Stato membro di stabilimento (art. 7). Sono previste, inoltre, misure di accompagnamento per facilitare e promuovere gli scambi di personale responsabile della cooperazione amministrativa e dell'assistenza reciproca, nonché della vigilanza sul rispetto della normativa vigente (art. 8).

Il Capo IV (artt. 9-10) contiene disposizioni e misure volte a consentire un controllo sul rispetto di quanto previsto dalla direttiva in esame e dalla direttiva 96/71/CE. Più in particolare, l’articolo 9 contiene un elenco degli obblighi amministrativi e delle misure di controllo che gli Stati membri possono, in particolare, imporre, mentre l’articolo 10 dispone che gli Stati membri predispongano controlli e meccanismi di vigilanza e che le autorità designate effettuino nel loro territorio “efficaci e adeguate” ispezioni (anche a campione), basate principalmente su una valutazione dei rischi da parte delle autorità competenti, per verificare la conformità alla direttiva 96/71/CE, garantendo la corretta applicazione della direttiva in esame.

Il Capo V (artt. 11-12) concerne l'esecuzione degli obblighi previsti dalla direttiva 96/71/CE. Le disposizioni sono volte ad assicurare la possibilità, per i lavoratori che ritengano di avere subito un pregiudizio, di "ricorrere a efficaci meccanismi per denunciare direttamente i loro datori di lavoro" attraverso azioni giudiziarie o amministrative, "anche dopo che abbia avuto termine il rapporto di lavoro nell'ambito del quale la presunta violazione è stata commessa" (art. 11). Al fine di contrastare gli abusi e le frodi, vengono introdotte forme di responsabilità del subcontraente (“limitata ai diritti dei lavoratori acquisiti nell'ambito del rapporto contrattuale tra il contraente e il suo subcontraente”) nel subcontratto[22] (art. 12).

Il Capo VI (artt. 13-19) disciplina l'esecuzione transfrontaliera delle sanzioni amministrative pecuniarie e delle ammende.

Il Capo VII (artt. 20-25) contiene le disposizioni finali, tra le quali rilevano, in particolare: l’articolo 20, secondo cui agli Stati membri spetta stabilire le sanzioni ("effettive, proporzionate e dissuasive") applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva; l’articolo 22, che inserisce la direttiva in esame e la direttiva 96/71/CE tra le disposizioni relative alla cooperazione amministrativa di atti dell’Unione attuati mediante il sistema di informazione del mercato interno (IMI), istituito dal regolamento (UE) n. 1024/2012; l’articolo 24, in base al quale la Commissione, entro il 18 giugno 2019, presenta una relazione sull’applicazione della direttiva in esame.

 


 

Direttiva n. 2014/68/UE
(
Attrezzature a pressione)

 

 

La direttiva 2014/68/UE, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato, ha lo scopo di adeguare la legislazione relativa alle attrezzature a pressione al quadro normativo costituito dal regolamento (CE) n. 765/2008, sull'accreditamento degli organismi di valutazione della conformità e sulla vigilanza di mercato, e dalla decisione n. 768/2008/CE, che detta un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti. Inoltre, la direttiva intende adeguare il mercato delle attrezzature in esame al regolamento (CE) n. 1272/2008, in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele.

La direttiva si applica alla progettazione, fabbricazione e valutazione di conformità delle attrezzature - compresi eventualmente elementi annessi a parti pressurizzate - sottoposte ad una pressione superiore a 0,5 bar. Essa fissa gli obblighi di tutti gli operatori economici che intervengono nella catena di fornitura e distribuzione, in relazione ai loro rispettivi ruoli. A tal fine, la direttiva reca disciplina relativa agli obblighi dei fabbricanti e dei rappresentanti da loro autorizzati, degli importatori e dei distributori.

La direttiva impone ai fabbricanti di assicurare che le attrezzature siano state progettate e fabbricate conformemente ai requisiti essenziali di sicurezza di cui all’allegato I. Ulteriori obblighi riguardano la preparazione e la conservazione della documentazione tecnica. Inoltre, i produttori devono indicare sul prodotto il loro nome, la loro denominazione commerciale registrata o il loro marchio registrato e il proprio indirizzo postale, quale punto unico di contatto. Qualora dimensione o conformazione dell'attrezzatura non consentano l'apposizione di tali indicazioni, queste andranno riportate sull’imballaggio o in un documento di accompagnamento dell’attrezzatura. Le informazioni relative al punto unico di contatto devono essere riportate in una lingua facilmente comprensibile per i consumatori, gli altri utilizzatori e le autorità di vigilanza del mercato. Analoghi obblighi relativi alla denominazione, al marchio o denominazione, nonché al punto di contatto sono posti in capo agli importatori.

La dichiarazione di conformità UE attesta il rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza di cui all’allegato I ed è redatta secondo la struttura indicata nell'allegato IV. La marcatura CE è soggetta ai principi generali previsti dal regolamento (CE) n. 765/2008. La direttiva in esame, peraltro, detta le disposizioni specifiche circa le regole e le condizioni per l’apposizione della marcatura suddetta.

La direttiva, inoltre, disciplina i casi in cui le attrezzature presentino rischi per la sicurezza: in tali casi, lo Stato membro, qualora le competenti autorità di vigilanza abbiano evidenziato tali rischi, chiedono tempestivamente all’operatore economico interessato di adottare tutte le misure correttive al fine di rendere l'attrezzatura a pressione conforme oppure di ritirare o di richiamare il prodotto dal mercato entro un termine ragionevole e proporzionato alla natura del rischio. I risultati della valutazione sulla conformità devono essere resi noti agli altri Stati membri e alla Commissione nei casi in cui la mancata conformità non investa il solo territorio nazionale.

La direttiva attribuisce, infine, alla Commissione il potere di adottare atti delegati al fine di tenere debitamente in conto eventuali problemi relativi alla sicurezza che dovessero emergere. Tale delega è conferita per un periodo di cinque anni a decorrere dal 1° giugno 2015. Il Parlamento europeo e il Consiglio possono sollevare obiezioni sull'atto delegato entro due mesi: in caso di obiezione l'atto non entra in vigore. È abrogata (con la decorrenza prevista dall'articolo 50) la direttiva 97/23/CE, le cui disposizioni sono rifuse nella presente direttiva.

 

Il termine di recepimento è fissato al 28 febbraio 2015.

Procedure di contenzioso

Il 27 marzo 2015 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2015/0145) per il mancato recepimento della direttiva 2014/68/UE.

 

 


 

Direttiva n. 2014/86/UE
(
Regime fiscale società madri e figlie)

 

 

La direttiva 2014/86/UE modifica la cd. 'Direttiva madri-figlie' (Direttiva 2011/96/UE) per evitare situazioni di doppia non imposizione derivanti da incongruenze nel trattamento fiscale delle distribuzioni di utili tra Stati membri. Le modifiche intendono, quindi, porre un freno alle asimmetrie impositive esistenti tra i diversi ordinamenti nazionali.

In particolare, l'intervento ha riguardato l'articolo 4, paragrafo 1, lettera a) della direttiva, con la finalità di evitare che i benefici della stessa producano situazioni di doppia non imposizione, con vantaggi fiscali involontari per i gruppi di società madri e figlie di Stati membri diversi rispetto ai gruppi di società di uno stesso Stato membro.

La modifica alla direttiva del 2011 prevede che lo Stato della società madre (o della sua stabile organizzazione) si astenga dal tassare gli utili solo nella misura in cui tali utili siano non deducibili nello Stato della fonte. In sostanza, lo Stato membro della società madre deve accordare l'esenzione per i profitti distribuiti dalla figlia a condizione che essi non siano deducibili nello Stato della figlia; in altri termini, lo Stato del percipiente deve tassare la parte di utili deducibile nello Stato della fonte. La modifica alla direttiva madre-figlia è finalizzata a neutralizzare eventuali schemi abusivi che utilizzano strumenti ibridi (hybrid loan structures), ossia prestiti da cui derivino proventi in grado di creare arbitraggi fiscali tra due o più Stati membri, in quanto per lo Stato erogante sono interessi passivi e quindi deducibili dal reddito del pagatore (società figlia), mentre per lo Stato di destinazione si tratta di dividendi e pertanto esenti ai sensi della direttiva in capo al percettore (società madre).

L'intervento legislativo ricalca quanto già presente nel nostro ordinamento all'articolo 44, comma 2, del Tuir; infatti, in base a tale previsione è negato il trattamento di esclusione da tassazione dei dividendi alle remunerazioni degli strumenti finanziari che nel paese estero sono considerati titoli di debito che determinano la deducibilità degli interessi passivi. Si tratta di una misura unilaterale di contrasto della doppia non imposizione, mentre la direttiva assume rilevanza multilaterale all'interno della Ue e agisce in condizioni di reciprocità. La modifica alla direttiva consegue alla raccomandazione della Commissione 2012/772/UE sulla pianificazione fiscale aggressiva che sensibilizzava gli Stati membri sul tema delle asimmetrie impositive; tema peraltro in discussione anche in sede OCSE. In tale contesto, è stato posto in consultazione pubblica il documento "Neutralise the effects of Hybrid Mismatch Arrangements" dalle cui proposte risulta come la disciplina di contrasto degli strumenti ibridi potrebbe prevedere specifiche previsioni - sulla falsariga di quanto introdotto nella madre-figlia - che gli Stati aderenti all'organizzazione potrebbero applicare in via autonoma e in condizioni di reciprocità.

La direttiva in titolo, inoltre, aggiorna l'allegato I, parte A, della direttiva 2011/96/UE, con l’inserimento di altre forme di società assoggettate a imposta sulle società in Polonia e altre forme di società che sono state introdotte nel diritto societario della Romania.

 

Il termine per il recepimento da parte degli Stati membri è fissato alla data del 31 dicembre 2015.

 

 


 

 

Direttiva n. 2014/87/UE
(
Sicurezza impianti nucleari)

 

 

La direttiva 2014/87/UE, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato, si compone di soli due articoli, il primo dei quali propone modifiche alla direttiva 2009/71/Euratom. 

 

La direttiva 2009/71/Euratom introduceva l'obbligo per gli Stati membri di istituire e mantenere un quadro nazionale per la sicurezza nucleare, ai sensi di quanto stabilito negli strumenti internazionali  (Convenzione sulla sicurezza nucleare del 1994) e negli standard di sicurezza  fissati dall'AIEA (Agenzia internazionale per l'energia atomica) (Fundamental safety principles - Iaea Safety Standard series SF-1 (2006).

L'incidente nucleare verificatosi a Fukushima nel 2011 ha riportato l'attenzione mondiale sulle misure necessarie per ridurre al minimo i rischi e per garantire la massima affidabilità in termini di sicurezza nucleare. Valutazioni globali del rischio e della sicurezza delle centrali nucleari effettuati in Europa in seguito a una decisione del Consiglio europeo del 25 marzo 2011 hanno messo in luce la necessità di adeguare il quadro normativo sulla sicurezza. In particolare, si è reso evidente il ruolo delle autorità nazionali di regolamentazione, che devono essere rafforzate sia sotto il profilo delle competenze tecniche sia sotto il profilo dell'indipendenza, disponendo altresì di risorse adeguate.

Le modifiche alla normativa esistente devono inoltre comprendere un miglioramento del coordinamento tra autorità nazionali competenti, una più stretta cooperazione e uno stabile scambio di informazioni, soprattutto quando gli impianti nucleari siano prossimi alle frontiere tra Stati confinanti, dato che le conseguenze degli eventuali incidenti interessano aree vaste.

Un altro importante aspetto del miglioramento della sicurezza comprende la formazione costante del personale addetto agli impianti nucleari.

 

La direttiva in esame richiede agli Stati membri di istituire un quadro legislativo nazionale che preveda: ripartizione delle responsabilità e coordinamento tra gli istituti statali competenti, requisiti nazionali di sicurezza, sistema di concessione delle licenze, sistema di controlli da parte dell'autorità nazionale, adeguate sanzioni per il mancato rispetto delle norme.

Inoltre, gli Stati membri devono garantire misure normative che assicurino l'indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione dal punto di vista giuridico e finanziario, nonché misure che garantiscano la competenza tecnica e  scientifica del personale e che prevengano eventuali conflitti di interesse.

 

Con il decreto legislativo 45/2014 è stata attuata la direttiva 2011/70/Euratom che ha istituito un quadro comune di riferimento a livello europeo per la sicurezza e la sostenibilità della gestione del combustibile esaurito e delle scorie radioattive, al fine di proteggere i cittadini, i lavoratori, l’ambiente, dall’effetto nocivo delle radiazioni ionizzanti Le disposizioni della direttiva sono introdotte dal D.Lgs 45/2014 modificando l'impianto normativo vigente, attualmente disciplinato dalla legge n. 1860 del 31 dicembre 1962, dal decreto legislativo n. 230 del 17 marzo 1995, e dal decreto legislativo n. 31 del 15 febbraio 2010. In tale ambito, le funzioni di autorità nazionale in materia di sicurezza nucleare e radioprotezione sono svolte, come stabilisce l'articolo 1 del D.Lgs 45/2014, dall'Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la radioprotezione (ISIN), istituito dall'articolo 6.

In merito alle funzioni e ai compiti dell'ISIN rilevano le istruttorie connesse ai processi di autorizzazione; le valutazioni tecniche, il controllo, la vigilanza delle installazioni nucleari non più in esercizio, e in via di disattivazione, dei reattori di ricerca, degli impianti e delle attività connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, delle materie nucleari, della protezione fisica passiva delle materie e delle installazioni nucleari, delle attività di impiego delle sorgenti di radiazioni ionizzanti e di trasporto delle materie radioattive, e l'emanazione delle certificazioni previste per il trasporto di tali materie. Rientrano tra i compiti dell'ISIN anche l'emanazione di guide tecniche di supporto ai ministeri per le elaborazione di atti di rango legislativo. L'ISIN fornisce anche supporto tecnico alle autorità di protezione civile nel campo della pianificazione e della risposta ad eventuali emergenze nucleari, svolge le attività di controllo della radioattività ambientale previste dalla legge e assicura gli adempimenti dello Stato agli obblighi derivanti da accordi internazionali sulle salvaguardie. L'ISIN assicura la rappresentanza dello Stato italiano nell'ambito delle attività svolte dalle organizzazioni internazionali e dall'UE nelle materie di competenza.

 

La direttiva introduce nuove norme sui titolari delle licenze, che sono direttamente responsabili della sicurezza degli impianti nucleari.  Essi devono elaborare e presentare dettagliati piani di sicurezza, devono verificare periodicamente le misure di sicurezza adottate, devono stabilire efficaci misure di emergenza, devono investire adeguate risorse materiali e umane nel settore della sicurezza.

Le nuove disposizioni della direttiva in esame impongono agli Stati di regolamentare il quadro della sicurezza nucleare con misure sulla capacità e competenza degli operatori coinvolti; gli Stati devono introdurre norme sulla trasparenza e l'informazione, devono provvedere affinché gli impianti siano progettati costruiti, utilizzati e disattivati con l'obiettivo primario della sicurezza.

Inoltre, è richiesto che gli Stati membri provvedano circa la valutazione iniziale e la revisione periodica degli impianti, nonché la risposta alle emergenze che insorgano nei siti nucleari.

Infine, la direttiva richiede che ogni dieci anni almeno gli Stati dispongano verifiche di autovalutazione del quadro normativo e delle misure sulle autorità di regolamentazione.

 

Il termine di recepimento è il 15 agosto 2017.

 


 

 

Direttiva n. 2014/89/UE
(
Pianificazione spazio marittimo)

 

 

La direttiva n. 2014/89/UE, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato, istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo con l'intento di promuovere la crescita sostenibile delle economie marittime, lo sviluppo sostenibile delle zone marine e l'uso sostenibile delle risorse marine (art. 1).

La pianificazione dello spazio marittimo è definita, all’art. 3, come un processo mediante il quale le pertinenti autorità dello Stato membro analizzano e organizzano le attività umane nelle zone marine al fine di conseguire obiettivi ecologici, economici e sociali.

La direttiva si inserisce nel contesto della direttiva 2008/56/CE, la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, che costituisce il pilastro della politica marittima integrata dell'Unione europea («PMI»), stabilendo principi comuni per gli Stati membri al fine di favorire lo sviluppo sostenibile dei mari e delle economie marittime e costiere e sviluppando un processo decisionale coordinato per raggiungere un buono stato ecologico delle acque marine. La PMI individua la pianificazione dello spazio marittimo come strumento politico intersettoriale che consente alle autorità pubbliche e alle parti interessate di applicare un approccio integrato, coordinato e transfrontaliero.

La direttiva 2008/56/CE stabilisce che, al fine di promuovere la crescita sostenibile delle economie marittime, sia applicato l'approccio ecosistemico, che richiede che la pressione collettiva delle attività sia mantenuta entro livelli compatibili con il buono stato ecologico per consentire agli ecosistemi marini di non risentire dei cambiamenti indotti dall'uomo. In questo campo opera anche il regolamento (UE) n. 1255/2011, che prevede la concessione finanziamenti volti a sostenere la pianificazione dello spazio marittimo e della gestione integrata delle zone costiere.

La direttiva 2014/89/UE prevede che ogni Stato membro sia tenuto ad elaborare ed attuare la pianificazione dello spazio marittimo (art. 4) per il conseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 5: contribuire allo sviluppo e alla crescita sostenibili nel settore marittimo, applicando un approccio ecosistemico. In particolare, mediante appositi piani di gestione dello spazio marittimo, gli Stati membri dovranno contribuire:

-allo sviluppo sostenibile dei settori energetici del mare, del settore dei trasporti marittimi e della pesca e dell'acquacoltura, per la conservazione, la tutela e il miglioramento dell'ambiente, compresa la resilienza all'impatto del cambiamento climatico.

Tra i requisiti minimi elencati all'art. 6 per la pianificazione dello spazio marittimo gli Stati membri dovranno tener conto delle interazioni terra-mare e degli aspetti relativi alla sicurezza, assicurare il coinvolgimento di tutte le parti interessate nonché garantire l'impiego dei migliori dati disponibili.

Circa il contenuto specifico dei piani di gestione dello spazio marittimo, l’articolo 8 dispone che gli Stati membri prendano in considerazione le interazioni delle attività e degli usi e gli interessi possibili, che possono includere:

- zone di acquacoltura,

- zone di pesca,

- impianti e infrastrutture per la prospezione, lo sfruttamento e l'estrazione di petrolio, gas e altre risorse energetiche, di minerali e aggregati e la produzione di energia da fonti rinnovabili,

- rotte di trasporto marittimo e flussi di traffico,

- zone di addestramento militare,

- siti di conservazione della natura e di specie naturali e zone protette,

- zone di estrazione di materie prime,

- ricerca scientifica,

- tracciati per cavi e condutture sottomarini,

- turismo,

- patrimonio culturale sottomarino.

 

Ulteriore obbligo è quello di assicurare la partecipazione del pubblico (art. 9) prevedendo che i soggetti interessati, le autorità competenti e la popolazione interessata abbiano accesso ai piani di gestione, una volta ultimati. I piani dovranno essere aggiornati almeno ogni dieci anni.

Particolare importanza viene data alla necessità di una buona organizzazione nell'utilizzo e nella condivisione dei dati necessari per i piani di gestione (art. 10).

Agli Stati membri che condividono un bacino marino viene richiesto inoltre di promuovere un'efficace collaborazione transfrontaliera, nonché la cooperazione con i paesi terzi (come definito dagli artt. 11 e 12). La cooperazione fra gli Stati membri che condividono un bacino marino deve essere realizzata tramite strutture regionali di cooperazione istituzionale esistenti, e/o strutture di autorità competenti degli Stati membri, e/o eventuali altri metodi. Ugualmente rilevante è la cooperazione con i paesi terzi.

Ogni Stato membro, in base all’art. 13, deve designare la/le autorità competenti per l'attuazione della direttiva e trasmetterne l'elenco alla Commissione (insieme ad alcune informazioni indicate in allegato alla direttiva).

Gli altri Stati membri devono trasmettere alla Commissione e agli altri Stati membri interessati copia dei piani di gestione dello spazio marittimo e tutti gli aggiornamenti entro tre mesi dalla loro pubblicazione. Entro un anno dall'adozione di tali piani la Commissione è incaricata di presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione riepilogativa dei progressi compiuti (art. 14).

 

Il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è fissato al 18 settembre 2016 (art. 15). Entro lo stesso termine devono essere designate le autorità competenti previste dall’art. 13.

I piani di gestione dello spazio marittimo indicati all'art. 4 devono invece essere stabiliti non oltre il termine del 31 marzo 2021.

 


 

 

Direttiva n. 2014/94/UE
(
Combustibili alternativi)

 

 

La direttiva, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato, stabilisce un quadro comune di misure  per la realizzazione di infrastrutture per i combustibili alternativi nell'Unione, per ridurre al minimo la dipendenza dal petrolio e attenuare l'impatto ambientale nel settore dei trasporti.

La  direttiva stabilisce requisiti minimi per la costruzione dell'infrastruttura per i combustibili alternativi, inclusi i punti di ricarica per veicoli elettrici e i punti di rifornimento di gas naturale (GNL e GNC) e idrogeno, da attuarsi mediante i quadri strategici nazionali degli Stati membri, nonché le specifiche tecniche comuni per tali punti di ricarica e di rifornimento, e requisiti concernenti le informazioni agli utenti.

L’obiettivo della direttiva è lo sviluppo di un mercato ampio di combustibili alternativi. Ciascuno Stato membro adotta un proprio Quadro Strategico Nazionale per lo sviluppo del mercato per quanto riguarda combustibili alternativi nel settore dei trasporti e la realizzazione della relativa infrastruttura, che comprenda una serie di misure minime fissate dalla direttiva. I quadri strategici nazionali devono tener conto non solo della normativa europea, ma anche delle caratteristiche regionali e della necessità di coordinamento con le norme degli altri Stati. I Quadri Strategici Nazionali così elaborati dovranno essere sottoposti alla Commissione entro il 18 novembre 2016.

I combustibili 'alternativi' per il trasporto sono individuati in: elettricità, gas naturale e idrogeno. Ciascun tipo di propellente è oggetto di una previsione normativa relativa alla sua distribuzione.

Per l'elettricità, attraverso i rispettivi quadri strategici nazionali gli Stati membri garantiscono la creazione, entro il 31 dicembre 2020, di un numero adeguato di punti di ricarica accessibili al pubblico in modo da garantire che i veicoli elettrici circolino almeno negli agglomerati urbani/suburbani e in zone densamente popolate o nelle reti stabilite tra Stati membri.

Il numero di tali punti di ricarica è stabilito tenendo conto - tra l'altro -  del numero stimato di veicoli elettrici che saranno immatricolati entro la fine del 2020 indicato nei rispettivi quadri strategici nazionali nonché delle migliori prassi e raccomandazioni formulate dalla Commissione.

Gli Stati membri assicurano il rispetto dei principi della libertà di concorrenza (i punti di ricarica accessibili al pubblico potranno approvvigionarsi di energia presso qualunque fornitore dell'Unione) e della trasparenza dei prezzi; inoltre faranno in modo che gli operatori dei sistemi di distribuzione cooperino su base non discriminatoria.

La creazione di punti di rifornimento di idrogeno è invece prevista non prima del 2025, mentre per il gas naturale la rete di rifornimento per il trasporto marittimo dovrà essere sviluppata per il 2030. Il trasporto pesante su strada potrà invece fare conto sulla realizzazione di un adeguato numero di impianti di rifornimento entro il 31 dicembre 2015.

Gli Stati membri assicurano che siano rese disponibili per gli utenti informazioni chiare, coerenti e pertinenti per quanto riguarda di veicoli a motore che possono utilizzare regolarmente determinati combustibili o che possono essere ricaricati tramite punti di ricarica. Inoltre, renderanno disponibili informazioni circa l'ubicazione dei punti di distribuzione, in modo non discriminatorio.

Successivamente al termine di presentazione dei rispettivi Quadri Strategici Nazionali, gli Stati membri presentano entro il 18 novembre 2019 alla Commissione una relazione sull'attuazione, e successivamente ogni tre anni. La Commissione, da parte sua, trasmette entro il novembre 2017 al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione di valutazione dei quadri strategici nazionali ricevuti dagli Stati membri.

La direttiva in esame è corredata da due Allegati, che riguardano:

·      il contenuto della Relazione che la Commissione deve trasmettere al PE e al Consiglio sui vari quadri strategici nazionali ricevuti. Essa deve evidenziare le misure giuridiche richieste dagli Stati a sostegno della realizzazione delle infrastrutture per la distribuzione di combustibili alternativi, le misure strategiche a supporto dell'attuazione del piano, le misure finanziarie a sostegno della realizzazione della produzione, gli investimenti in ricerca, sviluppo e dimostrazione, la stima degli obiettivi.

·      le specifiche tecniche per i vari punti di ricarica: distribuzione di elettricità, punti di rifornimento di idrogeno, punti di rifornimento di gas naturale.

 

Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 18 novembre 2016.

 


 

Direttiva n. 2014/95/UE
(
Comunicazione di informazioni non finanziarie da parte di imprese)

 

 

La direttiva 2014/95/UE, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato, modifica la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni, con l'obiettivo di accrescere la pertinenza, l'uniformità e la comparabilità delle informazioni comunicate.

 

Il primo articolo della direttiva prevede l’integrazione delle informazioni da fornire da parte di talune tipologie di imprese nella relazione sulla gestione (disciplinata dall’art. 19 della direttiva 2013/34/UE) o l’indicazione delle stesse in un documento separato. In particolare, l'articolo in esame aggiunge alla direttiva 2013/34/UE l'articolo 19-bis, concernente la 'Dichiarazione di carattere non finanziario', in cui si prevede l'obbligo in capo alle imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico e che, alla data di chiusura del bilancio, presentano un numero di dipendenti occupati in media durante l'esercizio pari a 500, di includere nella relazione sulla gestione una dichiarazione di carattere non finanziario contenente almeno informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura necessaria alla comprensione dell'andamento dell'impresa, dei suoi risultati, della sua situazione e dell'impatto della sua attività, tra cui:

a)     una breve descrizione del modello aziendale dell'impresa;

b)     una descrizione delle politiche applicate dall'impresa in merito ai predetti aspetti, comprese le procedure di dovuta diligenza applicate;

c)     il risultato di tali politiche;

d)     i principali rischi connessi a tali aspetti legati alle attività dell'impresa anche in riferimento, ove opportuno e proporzionato, ai suoi rapporti, prodotti e servizi commerciali che possono avere ripercussioni negative in tali ambiti, nonché le relative modalità di gestione adottate dall'impresa;

e)     gli indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario pertinenti per l'attività specifica dell'impresa.

Inoltre, l'articolo 1 modifica, ampliandolo, il contenuto obbligatorio della relazione sul governo societario previsto dall'articolo 20 della direttiva 2013/34/UE. Tale relazione dovrà contenere una descrizione della politica in materia di diversità applicata in relazione alla composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo dall'impresa relativamente ad aspetti quali, ad esempio, l'età, il sesso, o il percorso formativo e professionale, gli obiettivi di tale politica sulla diversità, le modalità di attuazione e i risultati nel periodo di riferimento. In caso di mancata applicazione di tale tipologia di politica, la dichiarazione deve contenere una spiegazione del motivo di tale scelta. Ulteriormente, viene previsto che i revisori legali o l'impresa di revisione contabile esprimano il proprio giudizio riguardo alle informazioni approntate e verifichino che le stesse siano state fornite; gli Stati membri possono comunque esentare gli enti di interesse pubblico che abbiano emesso soltanto valori mobiliari diversi da azioni ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, dall'applicazione dei nuovi obblighi, salvo che tali imprese abbiano emesso azioni negoziate in un sistema multilaterale di negoziazione, a norma dell'articolo 4, paragrafo 1, punto 15, della direttiva 2004/39/CE.

La direttiva 2014/95/UE richiede, similmente a quanto previsto per l’informativa relativa alla singola impresa, informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva anche a livello consolidato. A tal fine, il medesimo articolo 1 della direttiva in esame aggiunge l'articolo 29-bis alla direttiva 2013/34/UE, in tema di 'Dichiarazione consolidata di carattere non finanziario', che obbliga gli enti di interesse pubblico che sono imprese madri di un gruppo di grandi dimensioni e che, alla data di chiusura del bilancio, presentino, su base consolidata, un numero di dipendenti occupati in media durante l'esercizio pari a 500, di includere nella relazione consolidata sulla gestione una dichiarazione consolidata di carattere non finanziario contenente informazioni analoghe a quelle richieste alla singola impresa e sopra richiamate.

La direttiva prevede inoltre che la Commissione:

·      elabori orientamenti non vincolanti sulla metodologia di comunicazione delle informazioni di carattere non finanziario, anche consultando i relativi stakeholders, e che li pubblichi entro il 6 dicembre 2016 (articolo 2).

·      relazioni al Parlamento e al Consiglio in merito all'attuazione della direttiva in commento e pubblichi tale rapporto entro il 6 dicembre 2018, eventualmente corredandolo di proposte legislative (articolo 3).

 

Il termine di recepimento è fissato nel 6 dicembre 2016.

 


 

 

Direttiva n. 2014/100/UE
(
Monitoraggio traffico navale)

 

 

La direttiva 2014/100, inserita nell'Allegato B al Senato, modifica la direttiva 2002/59/CE, che ha istituito il sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione, sostituendone l'allegato III. Obiettivo della modifica è quello di inserire l'esperienza ed i progressi tecnici fatti dal 2002 con il sistema SafeSeaNet per lo scambio dei dati marittimi.

 

SafeSeaNet è il sistema dell'Unione per lo scambio dei dati marittimi, istituito in base al dettato della direttiva 2002/59/CE che ha istituito un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e di scambio delle informazioni volto a garantire una maggiore sicurezza ed efficienza e una migliore risposta alle situazioni potenzialmente pericolose. L'Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) è divenuta operativa nel 2003 ed ha avviato il sistema SafeSeaNet nell'ottobre 2004. Tale sistema consente il miglioramento della sicurezza marittima e dei porti, la protezione dell'ambiente e la prevenzione dell'inquinamento. Permette inoltre lo scambio di informazioni supplementari volte a promuovere l'efficienza del traffico e del trasporto marittimi. Si inserisce nel quadro di un monitoraggio del traffico navale e di un sistema comune per la condivisione delle informazioni per il settore marittimo che consente di dare accesso ad informazioni relative, ad esempio, alle posizioni delle navi, ai carichi pericolosi o all'inquinamento. Lo scambio dei messaggi elettronici ed il sistema SafeSeaNet rendono più efficiente ed efficace lo scambio di informazioni e la cooperazione tra le autorità.

 

L'allegato III, così come viene introdotto dalla direttiva in esame, espone i concetti generali e l'architettura di SafeSeaNet. Il sistema è formato da una rete di sistemi nazionali e da una banca dati centrale di raccordo. Ogni Stato membro istituisce e provvede alla gestione del sistema nazionale SafeSeaNet sotto la responsabilità di un'autorità nazionale competente (NCA). La Commissione è responsabile della gestione e dello sviluppo a livello di politiche del sistema centrale. Il controllo avviene in cooperazione con gli Stati membri. Il sistema centrale funge da punto nodale e collega tutti i sistemi SafeSeaNet nazionali.

L'Agenzia europea per la sicurezza marittima, in cooperazione con gli Stati membri e la Commissione è responsabile dell'attuazione tecnica, della documentazione di SafeSEaNet, dello sviluppo, del funzionamento e dell'integrazione dei messaggi.

Vengono inoltre definiti i principi di gestione e le modalità di sviluppo del documento di controllo dell'interfaccia e delle funzionalità e della documentazione tecnica.

Lo scambio e la condivisione dei dati avviene tramite l'interazione con sistemi pubblici e privati.

Sistema centrale e sistemi nazionali devono essere conformi ai requisiti previsti dalla direttiva per ciò che concerne la riservatezza delle informazioni e i principi in materia di sicurezza descritti dal Documento di controllo dell'interfaccia e delle funzionalità (IFCD).

L'art. 2 impone agli Stati membri di conformarsi al dettato della direttiva entro il 18 novembre 2015.


 

 

Direttiva n. 2014/107/UE
(
Scambio informazioni nel settore fiscale)

 

 

La direttiva 2014/107/UE, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato, intende ampliare l’ambito operativo del meccanismo di scambio automatico delle informazioni al fine di contrastare le frodi e le evasioni fiscali transfrontaliere, rispetto a quanto in precedenza stabilito dalla direttiva 2011/16/UE. Pertanto, la direttiva 2014/107/UE modifica in molti punti la direttiva 2011/16/UE, novellandola. Le modifiche interessano soprattutto l'articolo 8 (Ambito di applicazione e condizioni dello scambio automatico obbligatorio di informazioni) della direttiva 2011/16/UE.

Tra le novità salienti, si rileva che l'articolo 1, comma 2, della direttiva 2014/107/UE sostituisce il paragrafo 3 dell'articolo 8 della direttiva 2011/16/UE. Per effetto delle modifiche, viene meno la possibilità, per l'autorità competente di uno Stato membro, di indicare alle omologhe autorità degli altri Stati membri di non volere ricevere informazioni su redditi o capitali che non superano un importo minimo; di conseguenza, le informazioni di tale tenore sono oggetto di comunicazione a prescindere dall'importo dei redditi e capitali.

Il nuovo paragrafo 3-bis, introdotto dalla direttiva nell'articolo 8 della direttiva 2011/16/UE, impegna ciascuno Stato membro ad adottare le misure necessarie per imporre alle proprie istituzioni finanziarie tenute alla comunicazione di applicare le norme in materia e le norme di adeguata verifica fiscale (due diligence). Inoltre, l’autorità competente di uno Stato membro comunica alle autorità competenti sue omologhe le informazioni riguardanti titolarità e saldi dei conti correnti, dividendi, plusvalenze e altri redditi finanziari.

Il paragrafo 7-bis, introdotto dall'articolo 1, lettera e) della direttiva in commento, prevede che ciascuno Stato membro, entro fine luglio 2015, fornisca un elenco delle entità e dei conti che devono essere trattati, rispettivamente, come istituzioni finanziarie non tenute alla comunicazione e come conti esclusi. Le predette eccezioni devono soddisfare specifici requisiti (dettagliatamente indicati nell'allegato 1, Sezione VIII, alla medesima direttiva 2014/107/UE) ; l'attribuzione dello status di istituzione finanziaria non tenuta alla comunicazione, oppure di conto escluso, non deve pregiudicare gli scopi della direttiva.

La lettera c) dell'articolo 1 della direttiva 2014/107/UE, novellando l’articolo 8, paragrafo 5 della direttiva 2011/16/UE, dispone che il Consiglio, nell'esaminare un'eventuale futura proposta da parte della Commissione europea, prenda in considerazione l'ulteriore rafforzamento dell'efficienza e del funzionamento dello scambio automatico di informazioni, al fine di prevedere che l'autorità competente di ciascuno Stato membro comunichi alle altre, mediante scambio automatico, le informazioni sui periodi di imposta dal 1° gennaio 2017 in avanti su tutte le cinque categorie di reddito e di capitale elencate nel paragrafo 1 dell'articolo 8 stesso - ossia redditi da lavoro, compensi per dirigenti, prodotti di assicurazioni sulla vita, pensioni, proprietà e redditi immobiliari - anziché solo su tre di esse (come era stabilito in precedenza). In più, il Consiglio potrà ampliare l'elenco delle categorie e degli elementi di cui ai paragrafi 1 e 3-bis del novellato articolo 8 della direttiva 2011/16/UE.

Quanto ai tempi per conformarsi alla direttiva 2014/107/UE, la direttiva stessa, con il suo articolo 2, prescrive che gli Stati membri adottino le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie entro il 31 dicembre 2015, e le applichino dal 1° gennaio 2016.

 


 

 

Direttiva n. 2014/112/UE
(
Orario di lavoro nel trasporto per vie navigabili)

 

 

La direttiva 2014/112/UE attua l'Accordo europeo concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro nel trasporto per vie navigabili interne (concluso tra la European Barge Union (EBU), l'Organizzazione europea dei capitani (ESO) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) il 15 febbraio 2012), di cui viene riportato il testo in allegato alla medesima direttiva. Gli Stati membri possono approvare disposizioni più favorevoli e in nessun caso l'attuazione dell'Accordo può comportare un abbassamento del livello generale della protezione dei lavoratori del settore.

 

Ai sensi dell’articolo 4, il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 31 dicembre 2016.

 

Si ricorda che già la Direttiva 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, ha stabilito prescrizioni minime generali che, ad eccezione degli ambiti menzionati all'articolo 20, paragrafo 1 (riposo giornaliero, pause, riposo settimanale, durata del lavoro notturno), riguardano anche l'organizzazione dell'orario di lavoro nel settore del trasporto per vie navigabili interne. La necessità di una nuova disciplina, ai sensi del considerando n. 1, deriva dal fatto che le disposizioni della richiamata Direttiva “non tengono conto sufficientemente delle condizioni particolari di lavoro e di vita nel settore del trasporto per vie navigabili interne”, pertanto “sono necessarie prescrizioni più specifiche, in conformità all'articolo 14 della direttiva 2003/88/CE”.

 

Secondo quanto disposto dall’Accordo, esso si applica (articolo 1, paragrafo 1) ai lavoratori mobili che lavorano come membri del personale di navigazione (equipaggio) o con un'altra funzione (personale di bordo) a bordo di un'imbarcazione operante sul territorio nazionale di uno Stato membro nel settore del trasporto commerciale per vie navigabili interne. Lo stesso Accordo precisa che gli operatori del trasporto per vie navigabili interne non sono considerati lavoratori, anche se hanno lo status di lavoratore nella propria impresa (articolo 1, paragrafo 2).

L’Accordo, inoltre, reca la clausola di favor e di non regresso (articolo 1 e 17) per i casi in cui la normativa nazionale sia più favorevole, ed include nel suo campo di applicazione anche i lavoratori mobili che lavorano a bordo di un'imbarcazione operante sul territorio nazionale di uno Stato membro al di fuori del settore del trasporto commerciale per vie navigabili interne e le cui condizioni di lavoro sono disciplinate dalle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro sotto forma di contratti collettive (previa consultazione e approvazione delle richiamate organizzazioni, nella misura in cui le disposizioni del presente accordo risultino più favorevoli ai lavoratori).

 

In sostanza, l'Accordo introduce prescrizioni minime generali relative all'organizzazione dell'orario di lavoro, che tengono conto delle peculiarità del settore del trasporto per vie navigabili interne. Esso si applica agli equipaggi e al personale di bordo che operano su imbarcazioni impiegate in tale settore, fatte salve le norme nazionali o internazionali sulla sicurezza della navigazione. In considerazione della specialità di alcune funzioni inerenti al settore, l'orario di lavoro, fissato in via generale in 8 ore di lavoro giornaliero, può essere prolungato, a condizione che non sia superata una media di 48 ore settimanali su un periodo di 12 mesi (cd. periodo di riferimento). In ogni caso, l'orario di lavoro massimo durante il periodo di riferimento è di 2 304 ore, escludendo da tale calcolo i periodi di ferie annuali retribuite e i periodi di malattia, inoltre vengono detratti anche i periodi di riposo dovuti che derivano dai giorni festivi legali. In caso di rapporti di lavoro di durata inferiore al periodo di riferimento, l'orario di lavoro massimo consentito è calcolato pro rata temporis (articolo 3).

In ogni caso, l’orario di lavoro non può essere superiore a 14 ore per ogni periodo di 24 ore, e 84 ore per ogni periodo di 7 giorni, mentre non può essere superato un orario di lavoro medio di 72 ore settimanali in 4 mesi (articolo 4). I giorni di lavoro consecutivi possono essere al massimo 31, e sono previsti specifici periodi di riposo (articolo 5).

Oggetto di specifica disposizione è il lavoro stagionale a bordo delle navi passeggeri (articolo 6): anche in questo caso, sono previsti tetti massimi per le ore lavorate e criteri per l'attribuzione dei riposi. L'Accordo, inoltre, prevede per i lavoratori del settore periodi di riposo minimi (articolo 7) pari a 10 ore per ogni periodo di 24 ore, di cui almeno 6 ore di riposo ininterrotto, e 84 ore per ogni periodo di 7 giorni. Sono inoltre previste pause obbligatorie per chi svolge un lavoro per più di 6 ore giornaliere, i cui tempi e modi di fruizione sono fissati da contratti collettivi o da accordi tra le parti sociali o, in mancanza di tali accordi, dalla legislazione nazionale (articolo 8). Con riferimento al lavoro notturno, l'orario di lavoro massimo settimanale è fissato a 42 ore per ogni periodo di sette giorni (articolo 9). Infine, tutti i lavoratori hanno diritto a un periodo di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, proporzionalmente ridotte in caso di periodo di lavoro di durata inferiore ad un anno (articolo 10).

Con riferimento alla protezione dei minori, l'Accordo (articolo 11, paragrafo 1)) rimanda alle disposizioni della direttiva 94/33/CE, relativa alla protezione dei giovani sul lavoro. Si prevede, inoltre, che si possa derogare al divieto di lavoro notturno per i minori solo, in via eccezionale, nei confronti di giovani di età superiore a 16 anni, che non siano più soggetti all'obbligo scolastico a tempo pieno secondo la legislazione nazionale e solo quando ciò si riveli necessario per raggiungere un obiettivo di formazione durante un corso riconosciuto (articolo 11, paragrafo 2).

Per consentire le necessarie verifiche sul rispetto della disciplina in esame, l'Accordo prevede che l'orario di lavoro e i periodi di riposo di ciascun lavoratore siano annotati in un registro (articolo 12).

In situazioni di emergenza, il conduttore della nave (o un suo rappresentante) può esigere le ore necessarie a garantire la sicurezza immediata dell'imbarcazione (articolo 13).

Sono, infine, dettate disposizioni in materia di controlli sanitari, di protezione della sicurezza e della salute e di ritmo di lavoro, il quale deve essere sempre informato al principio generale dell'adeguamento del lavoro all'essere umano (articoli 14, 15 e 16).

 

 


 

Direttiva n. 2015/13/UE
(
Campo di portata dei contatori dell’acqua)

 

 

La direttiva (UE) 2015/13, inserita nell'Allegato B durante l’esame al Senato, apporta modifiche all'Allegato III della direttiva 2014/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativamente al campo di portata dei contatori dell'acqua.

 

La direttiva 2014/32/UE fornisce i requisiti che devono possedere alcuni strumenti di misura utilizzati per specifiche funzioni stabilite dagli Stati membri. Il primo requisito sul quale si sofferma la citata direttiva nell'allegato III è quello relativo ai contatori dell'acqua. Per tali contatori stabiliva un campo di portata pari a Q3/Q1 ≥ 10.

Infatti, tale campo di portata riuscirebbe a garantire una maggiore economicità rispetto ad altri contatori. Tuttavia, si attribuisce discrezionalità all'impresa di pubblica utilità relativamente all'installazione del contatore affinché la scelta venga effettuata anche in base alla misura del consumo previsto o prevedibile.

 

La direttiva in esame modifica il primo dei requisiti dei contatori dell'acqua di cui all'allegato III della direttiva 2014/32/UE, stabilendo che il valore del campo di portata dei contatori deve essere pari a Q3/Q1 ≥ 40, corrispondente alla qualità minima disponibile attualmente sul mercato dell'Unione. L'articolo 1 della direttiva predetta lascia peraltro inalterati gli altri requisiti previsti per i contatori d'acqua.

Il nuovo campo di portata previsto dalla direttiva in esame corrisponde alle disposizioni della norma EN 14154.

EN 14154 è il nuovo standard europeo che regolamenta tutti i tipi di contatori per acqua installati su condotte chiuse e completamente riempite di acqua. Tale standard si applica a tutti i tipi di contatori indipendentemente dal principio di funzionamento. Si applica in particolare ai contatori di seguito indicati:

·      contatori meccanici, volumetrici e a turbina;

·      contatori meccanici con totalizzatore elettronico;

·      contatori meccanici che incorporano qualsiasi tipo di apparecchiatura elettronica;

·      contatori basati su principio di funzionamento elettrico o elettronico;

·      dispositivi elettronici per controlli metrologici.

 

Il termine di recepimento è il 19 aprile 2016.

 

 


 

Direttiva n. 2015/412/UE
(
Coltivazione OGM)

 

 

La direttiva (UE) 2015/412 apporta delle modifiche alla direttiva 2001/18/CE in quanto stabilisce che gli Stati membri saranno liberi di scegliere se avere o meno colture geneticamente modificate sul proprio territorio.

Un singolo Paese potrà chiedere di limitare o vietare la coltivazione di un OGM sia durante la procedura di autorizzazione, sia dopo che questa sarà stata concessa. Pertanto, la limitazione o il divieto della coltivazione di OGM non è più connesso solamente al verificarsi di casi di emergenza o di “nuove prove” relative al rischio di un OGM per la salute umana o per l’ambiente.

In base alla nuova normativa, inoltre, gli Stati membri nei quali gli OGM sono coltivati dovranno preoccuparsi anche di evitare contaminazioni dei terreni dei vicini dove gli stessi OGM sono vietati.

 

La direttiva 2001/18/CE, sull'emissione deliberata nell'ambiente di OGM, ha abrogato la direttiva 90/220/CEE, che ha rappresentato il primo strumento normativo europeo di regolamentazione per la valutazione dei rischi potenziali derivanti dall’emissione deliberata nell’ambiente degli OGM, e, con il regolamento (CE) n. 1829/2003, ha finora costituito il quadro normativo completo in materia di Organismi Geneticamente Modificati (OGM) stabilendo procedure e criteri armonizzati per la valutazione caso per caso. La direttiva 90/220/CEE non individuava obiettivi sufficientemente chiari in materia di valutazione del rischio e presentava un’eccessiva complessità nelle procedure amministrative e nel sistema di autorizzazione. Per tali ragioni è stato avviato un processo di revisione attraverso il quale si è giunti all'emanazione della direttiva 2001/18/CE.

La direttiva 2001/18/CE, dando attuazione al Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, ha stabilito una metodologia comune tra tutti gli Stati membri dell’Unione europea per:

·     effettuare la valutazione del rischio sulla base di argomentazioni scientifiche comuni e rilevanti;

·     migliorare la gestione di tutti i possibili rischi (diretti e indiretti, immediati e differiti) per l’ambiente e la salute umana e animale;

·     regolamentare l’attività di monitoraggio successivamente all’emissione nell’ambiente o all’immissione sul mercato di OGM come tali o contenuti in prodotti e indica criteri comuni circa le modalità per effettuarlo e le regole per la tracciabilità;

·     promuovere l’informazione e la consultazione del pubblico sui rilasci sperimentali.

 

In particolare, l'articolo 1, comma 1, della direttiva in esame introduce l'articolo 26-bis alla direttiva 2001/18/CE e stabilisce che, a decorrere dal 3 aprile 2017, gli Stati membri nei cui territori vengono coltivati OGM, devono adottare le misure necessarie al fine di evitare che si verifichino eventuali contaminazioni transfrontalieri; le predette misure devono essere comunicate alla Commissione.

Il successivo comma 2 della direttiva, con l'introduzione dell'articolo 26-ter al testo della direttiva 2001/18/CE, illustra le misure che gli Stati membri devono porre in essere con riferimento alla coltivazione degli OGM. In particolare, esso prevede che gli Stati membri, in occasione della procedura di autorizzazione o del rinnovo dell'autorizzazione, possano richiedere un adeguamento dell'ambito geografico in modo che una parte o l'intero territorio dello Stato sia escluso da tale coltivazione. Tale richiesta presuppone il parere dell'EFSA  (Autorità europea per la sicurezza alimentare).

In base al successivo comma 3, nell'ipotesi in cui non sia stata presentata alcuna richiesta di autorizzazione ovvero sia stato confermato l'ambito geografico della notifica o domanda iniziale, uno Stato membro può comunque adottare provvedimenti che limitino o vietino totalmente o parzialmente la coltivazione di un OGM, purché si tratti di provvedimenti conformi al diritto dell'Unione europea. Tale iniziativa deve essere motivata da:

-        obiettivi di politica ambientale;

-        da motivazioni di pianificazione urbana e territoriale;

-        dall'uso del suolo;

-        dagli impatti socio-economici;

-        dall'esigenza di evitare la presenza di OGM in altri prodotti;

-        dagli obiettivi di politica agricola e dall'ordine pubblico.

Tali motivazioni non devono, in nessun caso, confliggere con la "valutazione di impatto ambientale” condotta dall'EFSA.

In base al comma 4, lo Stato membro che intende limitare o vietare totalmente o parzialmente la coltivazione di un OGM, è tenuto a presentare preventivamente alla Commissione un apposito progetto con le relative motivazioni. Gli Stati membri che operano scelte in tal senso sono altresì tenuti a rendere pubblicamente disponibili le predette misure. Tali misure non influenzano in alcun modo la libera circolazione degli OGM autorizzati o gli OGM contenuti in prodotti.

 

L'articolo 2 della direttiva in esame attribuisce alla Commissione il compito di presentare al Parlamento europeo ed al Consiglio due distinte relazioni entro il termine del 3 aprile 2019.

Si tratta di una prima relazione concernente l'utilizzo della presente direttiva da parte degli Stati membri, che fornisca altresì informazioni circa il corretto funzionamento del mercato interno. La seconda relazione concerne, invece, l'effettivo rimedio ai danni ambientali che possono essere causati dalla coltivazione degli OGM.

Il successivo articolo 3 definisce il 3 aprile 2017 quale termine entro il quale  la Commissione dovrà eseguire l'aggiornamento degli allegati alla direttiva 2001/18/CE, in materia di valutazione del rischio ambientale al fine di allineare tale valutazione agli orientamenti dell'EFSA.

 

La direttiva non indica un termine di recepimento per gli Stati membri.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

La Commissione europea il 22 aprile 2015 ha presentato una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n.1829/2003 per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare l’uso di alimenti e mangimi geneticamente modificati sul loro territorio (COM(2015)177), allo scopo di estendere gli effetti innovativi della direttiva 2015/412/UE, che si applica agli OGM destinati alla coltivazione.

Gli Stati membri avrebbero la possibilità di limitare o vietare l’uso, in tutto o in parte del loro territorio, di alimenti e mangimi geneticamente modificati autorizzati a livello UE per fondati motivi che non siano il rischio per la salute umana o animale e per l’ambiente, ossia criteri diversi da quelli in base ai quali l’EFSA conduce la propria valutazione del rischio.

Le misure adottate dagli Stati membri devono comunque essere compatibili con quelle relative al mercato interno e devono essere giustificate in base a motivi conformi all’art.36 del TFUE (moralità pubblica, ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o preservazione dei vegetali, protezione del patrimonio artistico o archeologico nazionale, tutela della proprietà industriale e commerciale), nonché alla giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di motivi imperativi di interesse generale, e non devono in alcun modo precostituire uno svincolamento agli obblighi internazionali, incluse le norme dell’OCM.

 

 

 


 

 

Direttiva n. 2015/413/UE
(
Scambio informazioni in materia di sicurezza stradale)

 

 

La direttiva 2015/413/UE, inserita nell'Allegato B durante l'esame al Senato mira ad assicurare un elevato livello di protezione a tutti gli utenti della strada nell'Unione agevolando lo scambio transfrontaliero di informazioni sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale e l'applicazione di sanzioni, qualora tali infrazioni siano commesse con un veicolo immatricolato in uno Stato membro diverso dallo Stato membro in cui è stata commessa l'infrazione.

La materia era regolata dalla direttiva 2011/82/UE del 25 ottobre 2011, recepita nell’ordinamento italiano con il D.Lgs. n. 37 del 2014, entrato in vigore il 22 marzo 2014. L’emanazione della nuova direttiva 2015/413 si è resa necessaria in seguito all’annullamento della direttiva 2011/82/UE, disposto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 6 maggio 2014 (causa C-43/12), che ha individuato la corretta base giuridica per l’adozione dell’atto nell’articolo 91, par. 1, lettera c), del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, concernente il miglioramento della sicurezza dei trasporti, anziché, come previsto dalla direttiva precedente, nell’articolo 87, par. 2, del TFUE, in materia di cooperazione tra le forze di polizia. La Corte di giustizia, nell’annullare la direttiva del 2011, ne ha però mantenuto gli effetti sino all’entrata in vigore di una nuova direttiva, entro un termine ragionevole che eccedesse i 12 mesi dalla data della sentenza (ossia il 6 maggio 2015).

L’individuazione della base giuridica nella cooperazione di polizia e non nella sicurezza del trasporti comportava peraltro l’applicazione dei protocolli n. 21 e 22 del Trattato che consentivano l’esclusione dall’applicazione della direttiva per Regno Unito e Danimarca.

Per quanto concerne il diritto interno, si ritiene che, successivamente alla scadenza, il 6 maggio 2015, del periodo transitorio previsto dalla sentenza, il decreto legislativo n. 37/2014 possa essere disapplicato in quanto in contrasto con il diritto dell’Unione.

 

La direttiva 2015/413 riproduce pertanto in maniera quasi identica il testo della direttiva precedente 2011/82, a parte le modifiche necessarie per l’adozione della nuova base giuridica e l’adeguamento dei termini previsti per i vari adempimenti amministrativi.

La nuova direttiva, rispetto a quella del 2011 annullata, pur tenendo conto delle modifiche necessarie per accogliere il mutamento della base giuridica imposto dalla sentenza della Corte di giustizia, conferma l’organizzazione, le procedure e l’impianto complessivo del sistema per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, già definito e concretamente realizzato da questi ultimi, sulla base della precedente direttiva.

 

La direttiva 2015/413, rispondendo all’esigenza di agevolare lo scambio di informazioni tra gli Stati membri in materia di infrazioni alla sicurezza stradale, consente l’identificazione dei conducenti che commettono infrazioni stradali all’estero e assicura così parità di trattamento fra conducenti residenti e non residenti. Essa si compone di 14 articoli e due Allegati.

L'articolo 1 esplicita l'obiettivo della direttiva, come sopra descritto.

L'articolo 2 reca l'ambito di applicazione del provvedimento, il quale si applica alle seguenti infrazioni in materia di sicurezza stradale:

a) eccesso di velocità;

b) mancato uso della cintura di sicurezza;

c) mancato arresto davanti a un semaforo rosso;

d) guida in stato di ebbrezza;

e) guida sotto l'influsso di sostanze stupefacenti;

f) mancato uso del casco protettivo;

g) circolazione su una corsia vietata;

h) uso illecito di telefono cellulare o di altri dispositivi di comunicazione durante la guida.

L'articolo 3 reca le definizioni adottate nella direttiva.

L'articolo 4 disciplina la procedura per lo scambio di informazioni fra Stati membri. Si prevede che, per le indagini relative alle menzionate infrazioni, lo Stato membro autorizzi i punti di contatto nazionali degli altri Stati membri ad accedere ai dati nazionali di immatricolazione dei veicoli, con facoltà di procedere a ricerche automatizzate sui dati concernenti i veicoli e i relativi proprietari/intestatari. Gli elementi di tali dati devono rispettare l'Allegato I. Quanto ai menzionati punti di contatto nazionali, si dispone che ogni Stato membro ne designi uno ai fini dello scambio dei suddetti dati; le relative competenze sono disciplinate dal diritto applicabile dello Stato membro interessato. Si prevede che lo Stato membro dell'infrazione utilizzi i dati ottenuti per stabilire la responsabilità personale per le menzionate infrazioni. Lo scambio di informazioni deve essere effettuato con mezzi elettronici interoperabili, senza scambio di dati provenienti da altre banche dati non utilizzati ai fini della direttiva, e deve avvenire in modo sicuro ed efficiente sotto il profilo dei costi, nonché garantendo la sicurezza e la protezione dei dati trasmessi, utilizzando per quanto possibile applicazioni informatiche esistenti. Si precisa che le spese per la gestione, l'utilizzo e la manutenzione delle applicazioni informatiche sono a carico di ciascuno Stato membro.

 

L'articolo 5 statuisce in ordine alla “lettera d'informazione sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale, prevedendo che lo Stato membro dell'infrazione decida se avviare o meno procedimenti di follow-up relativamente alle summenzionate infrazioni. Qualora esso decida di avviare detti procedimenti, ne informa il proprietario, l'intestatario del veicolo o la persona altrimenti identificata sospettata di aver commesso l'infrazione. Tali informazioni comprendono, conformemente al diritto nazionale, le conseguenze giuridiche dell'infrazione nel territorio dello Stato membro dell'infrazione, a norma del diritto di tale Stato membro. In tale lettera, lo Stato procedente include ogni informazione pertinente, in particolare la natura, il luogo, la data e l'ora dell'infrazione, il titolo della normativa nazionale violata e la sanzione e, ove opportuno, i dati riguardanti il dispositivo usato per rilevarla, utilizzando - a tal fine - il modello riportato nell'Allegato II. Al fine di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali, la lettera d'informazione è inviata nella lingua del documento d'immatricolazione del veicolo, se disponibile, o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro di immatricolazione.

L'articolo 6 stabilisce in capo a ciascuno Stato membro l'obbligo di trasmettere entro il 6 maggio 2016 (e in seguito ogni 2 anni) una Relazione alla Commissione sul numero di consultazioni automatizzate effettuate dallo Stato membro dell'infrazione destinate al punto nazionale di contatto dello Stato membro di immatricolazione a seguito delle infrazioni commesse nel suo territorio, unitamente al tipo di infrazioni per cui sono state inviate le richieste e al numero di richieste fallite. La relazione include anche una descrizione della situazione a livello nazionale per quanto riguarda il seguito dato alle infrazioni in materia di sicurezza stradale, in base alla percentuale di tali infrazioni cui hanno fatto seguito lettere d'informazione.

L'articolo 7 estende l'applicazione delle disposizioni in materia di protezione dei dati stabilite dalla direttiva 95/46/CE ai dati personali trattati nell'ambito della direttiva in esame. In particolare, si prevede che ciascuno Stato membro garantisca che i dati personali trattati ai sensi della direttiva in esame siano rettificati entro un tempo adeguato se inesatti ovvero cancellati o bloccati se non più necessari, e garantisca che sia stabilito un termine per la conservazione dei dati, conformemente a quanto previsto dalla direttiva 95/46/CE.

L'articolo 8 prevede che la Commissione metta a disposizione sul proprio sito web una sintesi in tutte le lingue ufficiali dell'Unione delle norme vigenti negli Stati membri che rientrano nell'ambito d'applicazione della direttiva, quale informazione destinata agli utenti della strada nell'Unione. Le informazioni su tali norme sono fornite alla Commissione dagli Stati membri.

L'articolo 9 conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati che aggiornino l'Allegato I alla luce del progresso tecnico, al fine di tenere conto delle pertinenti modifiche delle decisioni di Prüm[23] o allorché ciò sia previsto da atti giuridici dell'Unione attinenti all'aggiornamento dell'Allegato I.

L'articolo 10 stabilisce le condizioni per l'esercizio della delega di cui all'articolo 9. In particolare, si prevede che il potere di delega venga conferito alla Commissione per un periodo di 5 anni a decorrere dal 13 marzo 2015; che la Commissione elabori una relazione sulla delega al più tardi nove mesi prima della scadenza dei 5 anni e che la delega sia tacitamente prorogata per periodi di identica durata, a meno che il Parlamento europeo o il Consiglio non vi si oppongano al più tardi tre mesi prima della scadenza di ciascun periodo. La delega può essere revocata in qualsiasi momento dal Parlamento europeo o dal Consiglio; gli effetti della revoca decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione sulla GUCE o da una data successiva ivi specificata, ma la revoca non pregiudica la validità dei vigenti atti delegati. Si prevede che nella prassi abituale la Commissione consulti esperti prima di adottare atti delegati e che, non appena adottati, ne dia contestualmente notifica al Parlamento europeo e al Consiglio. Si specifica che gli atti delegati entrino in vigore solo se né il Parlamento europeo, né il Consiglio sollevano obiezioni entro due mesi dalla data in cui essi sono stati loro notificati o se, prima della scadenza di tale termine, sia il Parlamento europeo che il Consiglio hanno informato la Commissione che non intendono sollevare obiezioni; tale termine è prorogato di due mesi su iniziativa del Parlamento europeo o del Consiglio.

L'articolo 11 stabilisce in capo alla Commissione l'obbligo di presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'applicazione della direttiva da parte degli Stati membri. In tale relazione, da presentare entro il 7 novembre 2016, la Commissione viene chiamata a concentrarsi sulle seguenti valutazioni:

-        eventuale necessità di aggiungere all'ambito di applicazione della direttiva altre infrazioni in materia di sicurezza stradale;

-        efficacia della direttiva sulla riduzione del numero di vittime della strada nell'Unione;

-        necessità di definire norme comuni per le apparecchiature e le procedure automatiche di controllo;

-        necessità di rafforzare l'applicazione delle sanzioni relative alle infrazioni in materia di sicurezza stradale e proporre criteri comuni riguardo alle procedure di follow-up in caso di mancato pagamento di una pena pecuniaria, nel quadro di tutte le politiche dell'Unione in materia, tra cui la politica comune dei trasporti;

-        la possibilità di armonizzare i codici della strada, ove opportuno;

-        le applicazioni informatiche per lo scambio di informazioni fra Stati membri, al fine di garantire una corretta attuazione della direttiva, nonché uno scambio efficiente, rapido, sicuro e riservato di particolari dati di immatricolazione dei veicoli.

 

L'articolo 12 fissa il 6 maggio 2015 quale termine per il recepimento della direttiva da parte della generalità degli Stati membri; in deroga a tale deadline, si posticipa di 2 anni, ovvero al 6 maggio 2017, il termine per il recepimento da parte dei seguenti paesi: Regno di Danimarca, Irlanda, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

L'articolo 13 disciplina l'entrata in vigore della direttiva, fissandone la vigenza a decorrere dal quarto giorno successivo alla pubblicazione sulla GUCE, avvenuta il 13 marzo 2015.

Infine l'Allegato I reca gli elementi dei dati necessari a identificare i veicoli ed i relativi proprietari/intestatari (cfr. art. 4) e l'Allegato II riporta il modello per la lettera d'informazione di cui all'articolo 5.

 

 

 


 

Direttive Allegato B con criteri specifici
di delega

 


 

Per le seguenti direttive, inserite nell’allegato B, il disegno di legge prevede specifici principi e criteri direttivi di delega, in aggiunta a quelli generali previsti all’articolo 1, comma 1. Per una descrizione del contenuto delle direttive, si rinvia alle schede di lettura degli articoli sotto indicati.

 

Direttiva n. 2013/35/UE (Sicurezza e salute lavoratori (campi elettromagnetici)

 

vedi scheda articolo 16

 

Direttiva n. 2013/50/UE (Negoziazione di strumenti finanziari)

 

vedi scheda articolo 5

 

Direttiva n. 2013/51/UE (Sostanze radioattive presenti nelle acque a consumo umano)

 

vedi scheda articolo 15

 

Direttiva n. 2014/49/UE (Garanzia depositi)

 

vedi scheda articolo 7

 

Direttiva n. 2014/52/UE (Valutazione di impatto ambientale - VIA)

 

vedi scheda articolo 14

 

Direttiva n. 2014/57/UE (Sanzioni penali per abusi di mercato)

 

vedi scheda articolo 11

Direttiva n. 2014/59/UE (Risanamento enti creditizi e imprese investimento)

 

vedi scheda articolo 8

 

Direttiva n. 2014/63/UE (Miele)

 

vedi scheda articolo 17

 

Direttiva n. 2014/65/UE (Mercati degli strumenti finanziari)

 

vedi scheda articolo 9

 

Direttiva n. 2014/91/UE (Organismi d’investimento in valori mobiliari (OICVM))

 

vedi scheda articolo 10

 

Direttiva n. 2014/104/UE (Risarcimento del danno per violazione delle norme sulla concorrenza)

 

vedi scheda articolo 2

 

 

 

 


Relazione consuntiva sulla partecipazione
dell’Italia all’UE - Anno 2014

(Doc. LXXXVII, n. 3)

 


Nota di sintesi

 

La Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (anno 2014) è stata trasmessa alla Camera il 30 aprile scorso[24], successivamente alla scadenza del termine per la sua presentazione, il 28 febbraio 2015.

 

Il documento è articolato in quattro grandi capitoli.

 

Il primo capitolo è dedicato agli sviluppi del processo di integrazione europea e al nuovo quadro istituzionale e consta, a sua volta di due parti aventi contenuto eterogeneo. Nella prima, concernente le questioni istituzionali, si illustrano brevemente le realizzazioni delle due Presidenze semestrali del Consiglio dell’UE nel 2014 (Grecia e Italia); nella seconda si descrive il nuovo ciclo istituzionale 2014-2019, avviato con il rinnovo dei vertici istituzionali europei: Parlamento europeo (elezioni europee del 22-25 maggio 2014), Commissione europea (insediata il 1° novembre 2014) e Presidente del Consiglio europeo (insediato il 1° dicembre 2014); nella terza parte, intitolata «il coordinamento delle politiche macroeconomiche», si tratta delle questioni riconducibili alle politiche economiche, monetarie, fiscali e di bilancio ed alla revisione della Strategia Europa 2020.

 

Il secondo capitolo illustra l'azione svolta dal Governo nell'ambito delle principali politiche settoriali dell'Unione. Si tratta della parte più rilevante del documento, contenente indicazioni dettagliate relative a questioni specialistiche e tecnicamente complesse, per ciascuna politica o settore di attività dell'Unione.

 

Nel terzo capitolo della Relazione si pone attenzione all'attuazione delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale, con particolare riferimento ai fondi strutturali per il ciclo 2007-2013 e all’attuazione della politica di coesione nel 2014.

 

Il quarto ed ultimo capitolo concerne il coordinamento delle politiche europee. Nella prima parte, sono illustrate le attività svolte dal Governo nella fase di formazione della posizione italiana su progetti di atti dell'UE, con particolare riguardo al ruolo del Comitato interministeriale per gli affari dell'UE (CIAE) e al meccanismo di “informazione qualificata” sulle iniziative legislative europee.

Di particolare interesse sono i dati relativi ai flussi di atti e documenti trasmessi dal Governo alle Camere ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 234 del 2012: su oltre 8.500 progetti di atti dell'UE presi in esame dal CIAE, circa 71 progetti di atti legislativi e più di 130 documenti prelegislativi, sono stati segnalati dal Governo in ragione della loro particolare rilevanza; inoltre, sui progetti di atti legislativi sono state inviate 34 relazioni tecniche predisposte dalle amministrazioni competenti.

 

Nella seconda parte del capitolo, sono riportate in dettaglio le misure legislative e non legislative poste in essere da Parlamento e Governo per l'attuazione del diritto dell'UE nell'ordinamento italiano, nonché per la soluzione delle procedure di infrazione. Infine, si dà conto delle iniziative assunte in materia di comunicazione sulle attività dell'Unione.

 

La Relazione è accompagnata da quattro allegati, tra cui l'elenco dei Consigli europei e dei Consigli svoltisi nel corso del 2014, con l'indicazione delle deliberazioni legislative assunte e delle attività non legislative svolte, e le tabelle riepilogative dei flussi finanziari dell’UE all’Italia nel medesimo anno.

 

Nel presente dossier si forniscono elementi di raffronto tra l’attività svolta dalla Camera nell’ambito del dialogo politico avviato dalla Commissione europea (vale a dire l’approvazione di documenti, da parte delle Commissioni parlamentari, sui progetti di atti normativi e su altri documenti dell’Unione europea) e le posizioni poi sostenute dall’Italia nel corso del negoziato, nonché gli esiti dello stesso, come si evincono dalla Relazione.

 

In particolare, per ciascuna politica settoriale dell’UE, sono indicati in un’apposita tabella:

·         gli estremi del documento UE esaminato;

·         una sintesi del documento finale approvato;

·         quanto riportato dalla relazione sulla posizione assunta dal Governo italiano nel seguito dell’esame del documento UE nell’ambito delle istituzioni dell’Unione;

·         quanto riportato dalla relazione sul seguito della procedura a livello di Unione europea, ricomprendente l’eventuale adozione di regolamenti o di direttive ovvero di altre determinazioni assunte dalle istituzioni dell’Unione europea e, ove presente, l’adozione di misure nazionali di attuazione.


 

 

Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea

 

La Relazione consuntiva viene presentata dal Governo alle Camere ai sensi dell'articolo 13, comma 2, della legge n. 234 del 2012. In base a tale disposizione, la Relazione dovrebbe essere trasmessa alle Camere, entro il 28 febbraio di ogni anno, «al fine di fornire al Parlamento tutti gli elementi conoscitivi necessari per valutare la partecipazione dell'Italia all'Unione europea» nell'anno precedente.

A questo scopo, il documento deve indicare:

a) gli sviluppi del processo di integrazione europea, con particolare riguardo alle attività del Consiglio europeo e del Consiglio, alle questioni istituzionali, alla politica estera e di sicurezza comune nonché alle relazioni esterne dell'Unione europea, ai settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti generali delle politiche dell'Unione;

b) la partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'UE e in generale alle attività delle istituzioni europee per la realizzazione delle principali politiche settoriali, con particolare riferimento alle linee negoziali che hanno caratterizzato l'azione italiana,    

c) l'attuazione in Italia delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale, l'andamento dei flussi finanziari verso l'Italia e la loro utilizzazione, con riferimento anche alle relazioni della Corte dei conti europea, accompagnati da una valutazione di merito sui principali risultati annualmente conseguiti;

d) il seguito dato e le iniziative assunte in relazione ai pareri, alle osservazioni e agli atti di indirizzo delle Camere.

Si tratta dunque, secondo l'impianto della legge n. 234 del 2012 del principale strumento per l'esercizio della funzione di controllo ex post del Parlamento sulla condotta del Governo nelle sedi decisionali dell'Unione europea.

In particolare, la Relazione dovrebbe consentire al Parlamento di verificare se ed in quale misura il Governo si è attenuto all'obbligo, previsto dall'articolo 7 della medesima legge, di rappresentare a livello europeo una posizione coerente con gli indirizzi espressi dalle Camere in merito a specifici atti o progetti di atti; la medesima disposizione impone al Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero il Ministro per le politiche europee di riferire regolarmente alle Camere del seguito dato agli indirizzi parlamentari e, nel caso in cui il Governo non abbia potuto conformarsi agli indirizzi in questione, di riferire tempestivamente alle Camere, fornendo le appropriate motivazioni della posizione assunta.

A differenza della Relazione programmatica – che indica le grandi priorità e linee di azione che il Governo intende perseguire a livello europeo nell'anno di riferimento – il documento in esame dovrebbe recare un rendiconto dettagliato delle attività svolte e delle posizioni assunte dall'Italia nell'anno precedente, al fine di consentire alle Camere di verificare l'adeguatezza e l'efficacia dell'azione negoziale italiana e la sua rispondenza rispetto agli indirizzi parlamentari.

 

Sotto il profilo procedurale, la Giunta del Regolamento della Camera, con il parere del 14 luglio 2010, ha stabilito che la relazione previsionale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea venga esaminata congiuntamente al programma di lavoro annuale della Commissione europea e al programma di diciotto mesi della Presidenza del Consiglio dell’Unione europea e che la relazione consuntiva venga esaminata congiuntamente al disegno di legge comunitaria.

 

 

In questa nota si dà conto, per brevi cenni, anche della Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l’anno 2013 (Doc. LXXXVII, n. 2).

 

La Relazione consuntiva per il 2013 è stata trasmessa dal Governo alle Camere il 27 marzo 2015, ad oltre un anno dalla scadenza del termine per la sua presentazione, il 28 febbraio 2014.

La Camera dei deputati ne ha avviato l’esame e il documento è stato incardinato presso la Commissione Politiche dell’Unione europea lo scorso 15 aprile. Sul documento si sono peraltro già espresse tutte le commissioni competenti in sede consultiva.

Nella seduta del 14 maggio 2015, l’Ufficio di Presidenza della XIV Commissione Politiche dell’Unione europea ha preso atto che il 30 aprile 2015 il Governo ha trasmesso alle Camere la Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2014 (Doc. LXXXVII, n. 3).

Per ragioni di coerenza procedurale, pertanto, l’Ufficio di Presidenza ha convenuto sull'opportunità di sospendere l’esame della Relazione consuntiva 2013 per riprenderlo congiuntamente con quello della Relazione consuntiva 2014, nell’ambito dell’esame del disegno di legge di delegazione europea 2014.

 

 

Relazione consuntiva per il 2013

 

La Relazione consuntiva per il 2013 - trasmessa alle Camere il 27 marzo 2015 - presenta lo stesso impianto tematico ed espositivo adottato per la Relazione programmatica 2014 ed è articolata in tre grandi capitoli.

Il primo capitolo è dedicato agli sviluppi del processo di integrazione europea e del quadro istituzionale. Il secondo capitolo, intitolato “partecipazione dell’Italia al processo decisionale e all’attività dell’Unione”, illustra l’azione svolta dal Governo nell’ambito delle varie politiche settoriali dell’Unione. Il terzo capitolo della concerne il funzionamento degli strumenti per la partecipazione dell’Italia al processo di integrazione europea.

La relazione è accompagnata da sette allegati, tra cui l’elenco dei Consigli europei e dei Consigli svoltisi nel corso del 2012, con l’indicazione degli argomenti trattati e l’elenco dei provvedimenti regionali di attuazione di direttive europee.

Sono da segnalare - come per la Relazione consuntiva 2014 (v. supra) - i dati relativi ai flussi di atti e documenti trasmessi dal Governo alle Camere ai sensi dell’art. 6 della medesima legge riferiti all’anno 2013: oltre 6.700 progetti di atti dell’UE, di cui poco più di 150 progetti legislativi e 160 documenti prelegislativi segnalati dal Governo stesso in ragione della loro particolare rilevanza; 73 relazioni tecniche su progetti legislativi UE predisposte dalle amministrazioni competenti. In attuazione dell’art. 4, comma 3, della medesima legge n. 234 sono state inoltre inoltrate alle Camere nel corso del 2013 163 relazioni e note predisposte dalla Rappresentanza permanente d’Italia presso UE.

 

Con riguardo alla rispondenza della struttura e dei contenuti alla previsione di cui all’art. 13 della legge n. 234 del 2012, si rileva che i primi due capitoli della Relazione consuntiva per il 2014, e di quella per il 2013, recano in linea generale indicazione della linea negoziale seguita dal Governo sui principali dossier esaminati nelle sedi decisionali europee, evidenziandone in diversi casi anche l’evoluzione a fronte di profili di criticità del negoziato.

Sono inoltre richiamati gli atti di indirizzo adottati dalla Camera e al Senato con riferimento a specifici progetti o questioni, sebbene non sia precisato in quale misura essi siano stati tenuti in considerazione nella formazione della posizione italiana.

La Relazione per l’anno 2014 e quella riferita all’anno 2013 presentano una struttura complessivamente coerente con le previsioni dell’art. 13 della legge 234 del 2012 anche per quanto riguarda i capitoli, presenti in entrambi i documenti, relativi agli strumenti di partecipazione dell’Italia all’UE.

 

Nelle due relazioni non sono invece richiamate le risoluzioni approvate, da Senato e Camera prima dei Consigli europei che si sono svolti nel corso del 2013 e del 2014, le quali contenevano indicazioni in merito a questioni e temi di carattere generale, nonché a specifici provvedimenti all’esame delle Istituzioni dell’UE.

 

 

 


 

L’impatto della partecipazione della Camera alla fase ascendente dell’Unione europea

 

 


Spazio di libertà, sicurezza e giustizia
(Commissione I e II)

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Istituire un programma di formazione europea delle autorità di contrasto. COM (2013) 172 final

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Agenzia dell'Unione europea per la cooperazione e la formazione delle autorità di contrasto (Europol) e abroga le decisioni 2009/371/GAI del Consiglio e 2005/681/GAI del Consiglio. COM (2013) 173 final

I due atti sono stati esaminati congiuntamente dalla I Commissione a partire dalla seduta del 13 giugno 2013; l’ultima seduta si è svolta il 9 ottobre 2013 senza la presentazione di una proposta di documento conclusivo.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 25 settembre 2013

La Commissione Politiche dell’Unione europea ha approvato un parere favorevole, con una condizione relativa al coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nel controllo delle attività di Europol e due osservazioni, in merito all’attività di formazione che attualmente il Cepol svolge e al trattamento delle informazioni e lo scambio di dati tra autorità di polizia e con parti private.

Secondo la Relazione consuntiva per il 2013, la posizione italiana - condivisa dalla maggior parte degli Stati membri - non è favorevole all’incorporazione della Cepol in Europol, né all’ampliamento del mandato di Europol.

 

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme per quanto riguarda la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea COM(2013)197 final

L’atto è stato esaminato dalla I Commissione nella seduta del 26 novembre 2013; l’ultima seduta si è svolta il 18 dicembre 2013 senza la presentazione di una proposta di documento conclusivo.

 

Regolamento (UE) n. 2014/656

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Un nuovo quadro dell'Ue per rafforzare lo Stato di diritto COM(2014)158 definitivo

 

Le Commissioni riunite I e II il 19 novembre 2014 hanno approvato il documento finale (Doc. XVIII n. 16). Il Documento esprime una valutazione positiva - evidenziando come la tutela dello Stato di diritto figuri tra i valori fondanti dall'Unione europea inclusi nell'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea insieme alla salvaguardia della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e al rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze - con alcune osservazioni. E’ stata, in particolare, evidenziata l’esigenza di chiarire che il nuovo quadro giuridico debba intendersi come esplicitazione di poteri già previsti in capo alla Commissione europea dalle norme primarie UE e che si utilizzino, ai fini del monitoraggio dell'effettivo rispetto dei diritti fondamentali, i dati e le informazioni che si possono acquisire tramite canali opportunamente selezionati, a partire dagli organismi europei competenti in materia, in primo luogo l'Agenzia europea per i diritti fondamentali – FRA.

Su un’analoga tematica, il 4 giugno 2014 la I Commissione ha altresì avviato l’esame della Relazione della Commissione sull'applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea COM(2014) 224 final che non si è concluso con l’approvazione di un documento conclusivo.

 

Il Consiglio Affari generali ha stabilito, nella riunione del 16 dicembre 2014, che una volta all'anno si svolgerà, nell'ambito della medesima composizione del Consiglio, un dibattito per valutare il rispetto dello stato di diritto negli Stati membri.

 


Politica estera e di sicurezza
(Commissione III
)

 

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POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Comunicazione congiunta della Commissione europea e della Alta rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza - Politica europea di vicinato: contribuire a un partenariato più forte. JOIN(2013) 4 final.

 

E’ attualmente all’esame delle Commissioni parlamentari il Documento di consultazione congiunto della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza – Verso una nuova politica europea di vicinato JOIN(2015) 6 final.

 

L’atto è stato esaminato dalla III Commissione (relatore on. Locatelli) che il 18 luglio 2013 ha approvato un documento conclusivo in cui, nell’esprimere una valutazione positiva, impegnava il Governo a sostenere in sede europea l'esigenza di conservare alla PEV il quadro finanziario previsto per il periodo 2014-2020, esentandolo dai tagli che colpiranno le relazioni esterne, nel rispetto dell'equilibrio a suo tempo stabilito che destina i due terzi delle risorse al vicinato meridionale ed un terzo a quello orientale.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 3 luglio 2013

La XIV Commissione Politiche dell’Unione europea ha esaminato la Comunicazione congiunta JOIN(2013) 4 final ed ha approvato un parere favorevole, con condizioni ed osservazioni.

La relazione evidenzia come da parte italiana ci si sia adoperati per stimolare le Istituzioni europee a mettere in campo misure e mezzi idonei per promuovere il consolidamento di democrazie "sane" ai confini meridionali dell'UE, cooperando al contempo alla crescita economica sostenibile ed alla gestione ordinata della mobilità nella regione. Grazie anche all’impegno italiani - prosegue la relazione - la programmazione 2014-2020 dello strumento finanziario UE per il Vicinato ENI (European Neighbourhood Instrument) ha visto confermata la centralità del Mediterraneo nell'allocazione delle risorse.

L'iniziativa _AMICI (A Mediterranean Investment Coordinatlon lanciata dall’Italia e portata avanti assieme alla Grecia, ha dato ulteriore visibilità all'azione del Governo nel Vicinato meridionale. Si tratta di una piattaforma finalizzata a creare un quadro di riferimento per gli investimenti e a razionalizzare gli strumenti che già operano nella regione. L'obiettivo è, infatti, di favorire la complementarità e le sinergie tra programmi di tutti gli attori presenti nella regione (UE, Stati membri, EFI, IFI, altri donatori multilaterali e bilaterali, nonché i Paesi partner dell'area), al fine di conseguire un uso efficiente delle risorse disponibili in un quadro di riferimento coerente, senza duplicare né sostituire strutture già esistenti. Commissione e SEAE hanno fatto propria l'iniziativa, che è stata definitivamente approvata al Consiglio Affari Esteri del 15 dicembre 2014.


Politica di sicurezza e difesa comune
(Commissione IV)

 

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POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Verso un settore della difesa e della sicurezza più concorrenziale ed efficiente COM(2013) 542 final

 

Le Commissioni riunite IV Difesa e X attività produttive commercio e turismo della Camera hanno approvato il 12 dicembre 2013 un documento finale (Doc. XVIII, n. 8) nel quale si impegna il Governo a sottolineare, tra l’altro, le seguenti esigenze in ambito europeo:

·     la PSDC deve essere coordinata con altre politiche dell'UE (ricerca, innovazione e industria; sviluppo; sicurezza marittima, aerea, spaziale e informatica; sorveglianza delle frontiere);

·     la ristrutturazione della industria della difesa deve inserirsi in un quadro coerente che ne tuteli la strategicità, anche in termini di creazione di posti di lavoro e di rafforzamento delle capacità competitive;

·     concordare paradigmi comuni nelle relazioni NATO-UE per l'individuazione di un migliore bilanciamento tra le due organizzazioni e l'incentivazione di decisioni su investimenti e capacità fondate su una comprensione comune delle minacce;

·     assicurare la piena applicazione delle direttive 2009/81/CE (appalti di lavori, di forniture e di servizi nei settori della difesa e della sicurezza) e 2009/43/CE (trasferimenti all’interno delle Comunità di prodotti per la difesa) e un maggiore coordinamento fra gli Stati membri per favorire un efficace utilizzo del sistema delle licenze, attraverso la definizione di standard e certificazioni comuni a livello europeo;

·     le misure volte a preservare la competitività dell'industria della difesa devono tenere conto della peculiarità dei soggetti che operano in tale ambito, in particolare dei produttori di componenti e fornitori di servizi (ingegneria meccanica) e i fornitori di merci e servizi generali (trasporti e addestramento) essenzialmente a livello di PMI, per le quali si devono attivare interventi per l'internazionalizzazione delle attività, trasferimenti di tecnologia e finanziamento di opportunità commerciali, la rimozione degli ostacoli in materia di appalti e di subappalti;

·     sostenere gli investimenti nei progetti in settori a carattere duale (dual-use), anche attraverso la creazione di un fondo per il riequilibrio del mercato;

·     semplificare la certificazione per i prodotti delle difesa;

·     assicurare l’avvio di nuovi programmi europei nel campo delle infrastrutture satellitari, comunicazione e osservazione.

 

 

 

 

 


Politica economica
(Commissione V)

 

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POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Comunicazione della Commissione  al Parlamento europeo e al Consiglio – Verso un’Unione economica e monetaria autentica ed approfondita. Creazione di uno strumento di convergenza e di competitività (COM(2013) 165 def.) La Comunicazione è stata presentata dalla Commissione europea il 20 marzo 2013, al fine di dare seguito – unitamente alla successiva Comunicazione COM (2013) 166 riguardante il coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica – alla tabella di marcia per la realizzazione di un'autentica Unione economica e monetaria, approvata dal Consiglio europeo del 13-14 dicembre 2012. L’obiettivo delle due comunicazioni è quello di avviare una consultazione in merito alle diverse modalità con le quali attuare, a Trattati vigenti, il  coordinamento delle riforme economiche ed istituire uno strumento per sostenere gli Stati membri in difficoltà economico-finanziarie ad intraprendere le riforme necessarie in tempi rapidi.

Sulla Comunicazione si è espressa la Commissione Bilancio mediante l’approvazione, il 15 ottobre 2013, di un documento finale (Doc. XVIII n. 5) ai sensi dell’articolo 127 del Regolamento Camera, mediante il quale si esprime una valutazione positiva sulla Comunicazione, formulando alcune osservazioni concernenti: 1) il tempestivo coinvolgimento dei Parlamenti nazionali – ma anche del Parlamento europeo - nella negoziazione degli accordi bilaterali, con particolare riguardo alla definizione delle riforme da finanziare e delle condizioni per l'accesso al sostegno dello strumento di convergenza; 2) la necessità di chiarire la natura e il valore giuridico degli accordi contrattuali, che andrebbero subordinati alla previa dimostrazione del loro valore aggiunto rispetto alle procedure di coordinamento vigenti nell'ambito del Semestre europeo. Ciò anche per prevenire il rischio che il ricorso a tali strumenti possa non garantire l'unitarietà e la coerenza complessiva delle strategie da perseguire; 3) l’integrazione – con finanziamento autonomo e senza nuovi oneri a carico dei Paesi contributori netti del bilancio Ue - del nuovo strumento nel bilancio dell'Unione europea; 4) la complementarità del nuovo strumento con gli strumenti finanziari esistenti, quali, in particolare, i Fondi strutturali, al fine di evitare duplicazioni.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 1° ottobre 2013

Sulle due Comunicazioni COM (2013) 165 e COM (2013) 166 (v. sotto), la Commissione Politiche dell’Unione europea ha espresso parere favorevole con condizioni, avuto riguardo ad alcuni aspetti relativi allo strumento di convergenza e agli accordi bilaterali, al coordinamento delle riforme macroeconomiche e alla legittimità democratica.

 

 

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Verso un’Unione economica e monetaria autentica ed approfondita. Coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica previste COM(2013)166 def.

Nella Comunicazione COM(2013) 166 la Commissione, osservando come il quadro di governance economica europea comprende una procedura per il coordinamento ex ante e la sorveglianza sulle politiche economiche nazionali ma non prevede un coordinamento ex ante delle grandi riforme economiche, ritiene opportuna l’introduzione di tale tipologia di coordinamento. Tale coordinamento ex ante dovrebbe riguardare solo i piani nazionali di grandi riforme economiche e svolgersi a uno stadio sufficientemente precoce: ciò al fine  di garantire che nel processo decisionale nazionale siano tenute in considerazione le possibili ricadute delle grandi riforme sugli altri Stati membri e/o sulla zona euro e sull’intera UE.

Sulla Comunicazione si è espressa la Commissione Bilancio mediante l’approvazione, il 15 ottobre 2013, di un documento finale (Doc. XVIII n. 6) ai sensi dell’articolo 127 del Regolamento Camera, mediante il quale si esprime una valutazione positiva sulla Comunicazione, formulando alcune osservazioni concernenti: 1) una miglior definizione dell’ ambito delle riforme da sottoporre al coordinamento ex ante, includendovi anche quelle, comprese le riforme tributarie, che possono incidere sull'occupazione e sulla crescita nello Stato membro che le pone in essere; 2) la opportunità di valutare la partecipazione su base volontaria al meccanismo di coordinamento, considerato che ai sensi del two pack  gli Stati membri che seguono un programma di aggiustamento macroeconomico sono già soggetti a un monitoraggio rigoroso da parte della Commissione europea; 3) la necessità di chiarire le difficoltà di conciliare il processo decisionale nazionale con il coordinamento ex ante, tenuto conto che il prospettato dialogo economico, pur attribuendo un ruolo rilevante al Parlamento europeo, potrebbe non apparire sufficiente a garantire la piena legittimazione democratica del processo decisionale; 4) la previsione dell'intervento effettivo dei parlamenti nazionali nel coordinamento delle riforme ex ante, anche attraverso un dialogo diretto sistematico tra i parlamenti nazionali ed i rappresentanti della Commissione europea.

 

 


Ambiente
(Commissione VIII)

 

 

DOCUMENTO UE

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POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1013/2006 relativo alle spedizioni di rifiuti. COM (2013) 516 final

Nella seduta del 10 ottobre 2013 l’VIII Commissione (ambiente) ha approvato un documento finale esprimendo una valutazione positiva sulla proposta nel contempo rilevando, tra l’altro, l’opportunità di:

- un aggiornamento della disciplina vigente a livello europeo e, conseguentemente, di quella nazionale anche attraverso la riorganizzazione delle funzioni delle diverse  autorità competenti in materia di ispezioni e controlli;

- introdurre una disciplina dei reati ambientali nel codice penale.

 

Anche se non menzionato nella relazione, si segnala che è stato adottato il Reg. (CE) 15 maggio 2014, n. 660/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1013/2006 relativo alle spedizioni di rifiuti.


Trasporti
(Commissione IX)

 

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POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

-Proposta di regolamento in materia di aeroporti, gestione del traffico aereo e servizi di navigazione aerea COM(2013)409

-Proposta di regolamento relativo all’istituzione del cielo unico europeo (rifusione) COM(2013)410

-Comunicazione della Commissione “Accelerare l’attuazione del cielo unico europeo” COM(2013)408

La IX Commissione ha approvato il 12 dicembre 2013 il documento finale (Doc. XVIII n. 9): nell’esprimere una valutazione complessivamente positiva delle proposte, il documento impegna il Governo a sottolineare nel negoziato l’importanza, tra le altre cose, di:

·    Un rafforzamento del ruolo internazionale dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA);

·    L’adozione a maggioranza qualificata e non semplice, come invece previsto dalla proposta COM(2013)409, delle decisioni rilevanti dell’EASA

·    Sopprimere, nella proposta COM(2013)410, la previsione di una separazione tra soggetti che forniscono servizi di assistenza e soggetti che forniscono servizi di traffico aereo

·    Puntualizzare meglio, nella proposta COM(2013)410, l’ambito di intervento normativo della Commissione europea e quello delle autorità nazionali di vigilanza, limitando il primo agli obiettivi prestazionali dell’Unione per la gestione del traffico aereo e precisando in termini puntuali il potere conferito alla Commissione europea di emanare atti delegati

·    Precisare meglio, nella proposta COM(2013)410, con riferimento al calcolo delle tariffe, le funzioni per le quali i costi vengono imputati agli utenti dello spazio aereo

La relazione segnala il raggiungimento, nella riunione del Consiglio trasporti, telecomunicazioni ed energia del 3 dicembre 2014, di un orientamento generale sulla proposta COM(2013)410 che affronta anche gli aspetti più controversi, tra i quali viene indicata anche la separazione dei servizi di supporto da quelli di traffico aereo.

La relazione segnala che nella medesima riunione è stato concordato un orientamento generale anche sulle parti della proposta COM(2013)409 relative agli aeroporti e alla gestione del traffico aereo più strettamente connesse con il regolamento del Cielo unico europeo, rinviando al 2015 le restanti parti anche in considerazione del fatto che la Commissione europea ha annunciato la presentazione di una nuova proposta.

Dal testo dell’orientamento generale (documento n. 15733/14 del Consiglio dell’Unione europea del 25 novembre 2014), i cui contenuti non sono però ripresi dalla relazione, si ricava che sulla questione delle tariffe aeree, oggetto di un’osservazione della IX Commissione, si sta maturando un rinvio della decisione alla discussione generale sulla struttura del finanziamento dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea, discussione da svolgersi nel 2015.

 

-Proposta di regolamento in materia di normalizzazione dei conti delle aziende ferroviarie COM(2013)26

-Proposta di regolamento relativa all’Agenzia UE per le ferrovie COM(2013)27

-Proposta di regolamento che modifica il regolamento (CE) n. 1370/2007 sull’apertura del mercato dei servizi di trasporto nazionale passeggeri per ferrovia COM(2013)28

-Proposta di direttiva che istituisce uno spazio ferroviario unico COM(2013)29

-Proposta di direttiva sull’interoperabilità del sistema ferroviario UE COM(2013)30

-Proposta di direttiva sulla sicurezza delle ferrovie COM(2013)31

-Comunicazione della Commissione sul “Quarto pacchetto ferroviario - completare lo spazio ferroviario unico” COM(2013)25

Nella seduta dell’8 ottobre 2014, la IX Commissione ha approvato documento finale (Doc. XVIII n. 15), in cui esprime una valutazione favorevole sulle proposte con, tra le altre, osservazioni volte a:

·    Prevedere, con riferimento al rilascio dei certificati di sicurezza e delle autorizzazioni dei veicoli da parte dell’Agenzia ferroviaria europea (che rientrano nel cd. “pilastro tecnico” delle proposte), il coinvolgimento delle agenzie nazionali nella procedura in via preventiva e non soltanto ex post;

·    Per quanto concerne il cd. “pilastro politico”, sostenere l’effettiva apertura del mercato dei servizi di trasporto passeggeri, mantenendo il termine per l’apertura al 2019 proposto dalla Commissione europea, anziché al 2022 proposto dal Parlamento europeo, negli emendamenti alle proposte approvate nel febbraio 2014

·    Sempre con riferimento al “pilastro politico”, inserire, come proposto dal Parlamento europeo una clausola di reciprocità diretta ad evitare che imprese che abbiano sede legale in uno Stato membro che non abbia proceduto alla liberalizzazione possano competere nei mercati di altri Stati membri che siano più aperti

·    Sempre con riferimento al “pilastro politico”, convenire con la proposta del Parlamento europeo di mantenere il modello di holding per le imprese operanti nel settore a condizione che si stabiliscano regole certe e vincoli chiari per quanto riguarda la trasparenza dei rapporti finanziari tra le società che esercitano, rispettivamente, il servizio di trasporto e la gestione dell’infrastruttura.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 23 settembre 2014

La Commissione Politiche dell’Unione europea ha espresso un parere favorevole con condizioni e un’osservazione.

La relazione segnala che nel consiglio trasporti del giugno 2014 è stato raggiunto l’accordo politico sul regolamento relativo all’Agenzia ferroviaria europea e quindi è stato avviato il negoziato con il Parlamento europeo sugli schemi normativi del cd “pilastro tecnico”. La complessità del dossier e il ristretto tempo a disposizione non hanno però consentito di concludere l’esame di tutte le proposte.

In base alla relazione, l’Italia, durante la sua presidenza di turno, ha comunque sostenuto che il pilastro tecnico deve essere coniugato a quello politico. Con riferimento al pilastro politico si è svolto quindi in seno al Consiglio un “dibattito strategico” per agevolare l’individuazione di una “strategia condivisa” con riguardo anche ai profili connessi all’attrazione di capitali privati. In questo quadro tutti i ministri hanno sottoscritto un “progress report” con linee guida sui testi normativi riguardanti gli obblighi di servizio pubblico e governance, impegnandosi a far sì che gli aspetti di carattere tecnico, seppur in una fase di negoziazione molto più avanzata, debbano essere inseriti in un sistema normativo coerente anche dal punto di vista del mercato.

La relazione afferma che i contenuti degli atti di indirizzo parlamentari sul quarto pacchetto ferroviario si sono riflessi sulla posizione italiana nel negoziato.

 

 

 


Politica industriale e mercato interno
(Commissione X)

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Piano d'azione per una siderurgia europea competitiva (COM(2013) 407 final)

Il 21 dicembre 2013 la Commissione ha approvato il documento (Doc. XVIII, n. 10). In tale Documento la Commissione valuta positivamente il Piano d’azione per una siderurgia europea competitiva, ponendo però una serie di condizioni. In particolare la Commissione richiede:

a)       la coerenza complessiva del disegno delineato nel prosieguo dell'attività della Commissione europea per dare attuazione al Piano;

b)       che l'Unione europea assuma atteggiamenti più incisivi di fronte ai fenomeni di concorrenza sleale;

c)       sul piano del contenimento dei costi di produzione (in particolare dei costi dell'energia), di valutare la possibilità di misure dirette all'attenuazione degli oneri gravanti su alcuni settori energivori, quali quello siderurgico, in relazione alle innovazioni che dovessero essere introdotte nei processi produttivi;

d)       il potenziamento degli strumenti a disposizione, a partire da Horizon 2020, e delle risorse stanziate per promuovere l'innovazione e la ricerca nel settore, anche attraverso l'agevolazione a progetti di ristrutturazione finalizzati all'adeguamento e non alla chiusura di impianti produttivi;

e)       lo sviluppo di adeguati strumenti e prassi a livello europeo, a partire dal settore siderurgico, atte a favorire nella definizione degli assetti dei piani industriali uno sviluppo industriale sostenibile e armonico.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 19 dicembre 2013

La Commissione Politiche dell’Unione europea ha esaminato l’atto ed ha espresso un parere favorevole con condizioni 

 

Risoluzione del Parlamento europeo del 4 febbraio 2014 sul piano d'azione per una siderurgia europea competitiva e sostenibile (2013/2177(INI))

 

 

 


Occupazione e affari sociali
(XI Commissione)

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE
(secondo Relazione)

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad una rete europea di servizi per l'impiego, all'accesso dei lavoratori ai servizi di mobilità e ad una maggiore integrazione dei mercati del lavoro COM (2014)6 final.

Il 7 agosto 2014 la XI Commissione ha approvato il documento finale (Doc. XVIII, N. 13) nel quale valuta positivamente la proposta di regolamento e invita il Governo:

·     in quanto titolare della Presidenza dell'Unione europea, ad impegnarsi per una conclusione rapida dell’iter della proposta (complementare alla realizzazione del programma Garanzia Giovani);

·     ad avviare l'elaborazione di un Libro bianco sui servizi per l'impiego nell’UE;

·     a realizzare un effettivo coordinamento dei servizi per l'impiego pubblici e accreditati;

·     a definire un inventario adeguato delle classificazioni delle abilità, delle competenze, delle qualifiche e delle professioni;

·     a favorire lo scambio di buone prassi tra gli Stati membri (soprattutto nel campo dell'innovazione);

·     a coordinare efficacemente tutte le politiche volte al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Strategia Europa 2020;

·     a considerare la proposta in esame nel quadro del processo di complessivo riordino del settore relativo ai servizi per l'impiego;

·     a garantire, in questo quadro, che le risorse destinate ai servizi pubblici per l'impiego siano adeguate;

·     a individuare misure che promuovano l'omogeneità delle prestazioni offerte dai servizi pubblici per l'impiego;

·     a tenere conto, in questo ambito, delle indicazioni che emergeranno in sede di esame parlamentare del disegno di legge presentato dal Governo relativo alla riforma del mercato del lavoro (Jobs act, nel frattempo approvato dal Parlamento con L. 183/2014);

·     ad assicurare l'adeguamento dei sistemi informativi e informatici senza duplicazioni;

·     a individuare strumenti di promozione della conoscenza da parte dei lavoratori dei servizi offerti dalla rete EURES.

Con specifico riferimento al testo della proposta di regolamento:

·     a condividere la scelta inserita nella proposta di comprendere nella definizione di offerta di lavoro applicabile ai fini delle attività della rete EURES “qualsiasi offerta di impiego, anche sotto forma di apprendistato e tirocinio”;

·     a specificare meglio il ruolo e la composizione del gruppo di coordinamento e del Comitato EURES;

·     a chiarire, il carattere di reciprocità dello scambio di informazioni in materia di domanda e offerta di lavoro.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 31 luglio 2014

La Commissione Politiche dell’Unione europea - dopo un ciclo di audizioni svolte congiuntamente alla Commissione di merito - ha espresso un parere favorevole con condizioni e osservazioni.

 

 

 

Comunicazione della Commissione europea «Lavorare insieme per i giovani d'Europa – Invito ad agire contro la disoccupazione giovanile» COM(2013)447 final

Il 20 novembre 2014 la XI Commissione ha approvato il documento finale (Doc. XVIII, N. 7), con cui ha espresso una valutazione complessivamente positiva, con specifiche osservazioni: in ambito europeo:

· è fondamentale una strategia complessiva delle politiche attive del mercato del lavoro, che includa misure per le PMI, per l'apprendistato di qualità, per le start up, per la formazione professionale, nonché il coordinamento di tutte le linee di finanziamento esistenti a livello unionale e destinate al settore dell'occupazione (con possibilità di mobilitare risorse pari a 45 miliardi di euro nel biennio 2014-2015);

· è necessario un coordinamento efficace tra tutte le politiche che direttamente o indirettamente sono volte al raggiungimento dell'obiettivo fissato dalla Strategia Europa 2020;

· occorre promuovere e sostenere l'istituzione di una piattaforma che sappia mettere a confronto le prestazioni dei servizi pubblici per l'impiego dei vari Stati membri sulla base di valori di riferimento pertinenti a individuare migliori pratiche e promuovere l'apprendimento reciproco (così come previsto dalla proposta di decisione sulla riforma dei servizi pubblici per l'impiego COM(2013)439).

Parere approvato dalla XIV Commissione il 13 novembre 2013 La Commissione Politiche dell’Unione europea ha esaminato l’atto ed ha espresso un parere favorevole con osservazione.

Gli interventi dell'Italia nel corso dei negoziati sono stati volti a promuovere: scambi e incontri tra giovani e mondo dell'imprenditoria; una maggiore conoscenza delle opportunità imprenditoriali come sbocco occupazionale e momenti formativi nei diversi ambiti educativi; sostegno finanziario alle giovani imprese, nonché la riduzione degli oneri amministrativi e la semplificazione del rilascio di autorizzazioni e licenze, la creazione di joint venture tra giovani imprenditori di diversi Paesi UE.

 

 

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'istituzione di una piattaforma europea per il rafforzamento della cooperazione volta a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso COM(2014)221 final

 

Il 7 agosto 2014 la XI Commissione ha approvato il documento finale  (Doc. XVIII, N. 14) in cui si valuta positivamente la proposta di decisione e invita a valutare, tra l’altro:

·     l’opportunità  di definire in modo più puntuale le modalità operative di funzionamento della piattaforma che garantiscano, tra l’altro, una piena collaborazione da parte degli Stati membri;

·     l'opportunità di riconsiderare i tempi per la verifica del raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla piattaforma;

·     ogni utile iniziativa per rafforzare il sistema dei controlli volti a contrastare il lavoro sommerso;

·     per una maggiore efficienza delle attività di controllo sul lavoro sommerso e irregolare, l'adozione di iniziative normative finalizzate a garantire un migliore coordinamento delle attività esercitate dai diversi soggetti pubblici operanti nel settore e delle relative banche dati, anche attraverso la costituzione di un soggetto pubblico unitario.

Inoltre, si invita il Governo ad adoperarsi per avviare iniziative di comunicazione e informazione al fine di fornire una corretta rappresentazione del ruolo e delle finalità  dell'attività ispettiva.

Parere approvato dalla XIV Commissione il 31 luglio 2014

La Commissione Politiche dell’Unione europea ha esaminato l’atto ed ha espresso un parere favorevole con condizioni.

 

 


Agricoltura e Pesca
(XIII Commissione)

 

DOCUMENTO UE

DOCUMENTO FINALE CAMERA

POSIZIONE ITALIA NEL NEGOZIATO
(secondo Relazione)

SEGUITO DELLA PROCEDURA A LIVELLO UE (secondo Relazione)

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio europeo relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici COM (2014) 180 final.

Comunicazione della Commissione europea - Piano d’azione per il futuro della produzione biologica nell’Unione europea COM (2014) 179 final.

 

LA XIII Commissione ha iniziato l’esame dell’atto il 28 maggio 2014, svolgendo, in merito, un ciclo di audizioni con i rappresentanti del settore. Il 4 dicembre 2014 ha approvato il prescritto parere dando una valutazione complessivamente positiva, impegnando, tuttavia, il Governo a meglio definire alcune criticità quali:

-  l’eliminazione delle deroghe;

-  il mantenimento della tipologia aziendale “azienda mista”,

-  il divieto di impiego OGM anche per le sementi che debbono essere considerate nella definizione di “materiale riproduttivo vegetale;

-  la revisione del sistema dei controlli e della normativa relativa alle importazioni da Paesi terzi;

- infine, l’utilizzo eccessivo dello strumento degli atti delegati per apportare modifiche al regolamento stesso.

 

Parere approvato dalla XIV Commissione il 2 dicembre 2014

La Commissione Politiche dell’UE ha esaminato la proposta di regolamento COM (2014) 180 final ed ha approvato un parere favorevole con osservazioni.

Nella relazione si dà conto che nel settore dell'agricoltura biologica è stato raggiunto un accordo politico sui principali punti relativi alla prima parte della proposta (articoli da 1 a 19). Il Governo dà atto che nello sviluppo del dossier, ha tenuto nel debito conto sia le posizioni delle Regioni sia le associazioni di settore, espresse in diverse riunioni del tavolo tecnico per l'agricoltura biologica, sia delle indicazioni del Parlamento, fornite con la risoluzione della 9a Commissione permanente del Senato sull'atto COM (2014) 180 approvata nella seduta del 27 maggio 2014 (doc. XVIII n.63 ).

Il 20 aprile 2015 la Commissione europea ha comunicato alla Camera dei deputati, rispondendo nell’ambito del dialogo politico alle osservazioni formulate nella risoluzione della Commissione agricoltura, che intende ritirare la proposta e sostituirla con una nuova iniziativa nel caso in cui non venga raggiunto un accordo entro sei mesi. Ha, quindi, risposto puntualmente alle osservazioni sollevate dalla Commissione Agricoltura precisando che:

- nella definizione di materiale riproduttivo vegetale rientrano anche le sementi; gli OGM ed i prodotti derivati non possono essere in alcun modo usati nella produzione biologica;

- nella proposta è prevista la possibilità di consentire la certificazione per categorie di prodotti;

- quanto alla necessità di prevedere controlli annuali la Commissione ritiene preferibile un approccio basato sull’analisi del rischio.

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla produzione e alla messa a disposizione sul mercato riproduttivo vegetale COM (2013) 262.

La Commissione Agricoltura della Camera ha approvato, in data 6 febbraio 2014, la risoluzione conclusiva 8-00036: Iniziative in ambito europeo in materia di normativa sulle sementi. Con l’atto di indirizzo la XIII Commissione impegnava il Governo a chiedere il ritiro della proposta di regolamento, al fine di meglio tutelare il libero scambio delle sementi tra gli agricoltori e la loro non brevettabilità a tutela della biodiversità.

Nella relazione, nella parte relativa alle politiche agricole, non si dà conto dell’attività svolta in riferimento alla proposta di regolamento in esame.

In data 11 marzo 2014 il Parlamento europeo ha espresso un parere contrario sulla proposta di regolamento.

Il 7 marzo 2015 la stessa è stata ritirata dalla Commissione europea.

 



[1] Con riferimento al disegno di legge di delegazione europea 2014, tali informazioni sono presentate dal Governo nella relazione illustrativa sul disegno di legge originario, presentato al Senato (S. 1758), che contiene i dati aggiornati al 31 dicembre 2013. Sullo stato delle infrazioni, la relazione fornisce un ulteriore aggiornamento al 30 settembre 2014. Inoltre, per le direttive da attuare con Decreto Ministeriale, la relazione riporta i dati sulle direttive nel frattempo attuate alla data del 10 ottobre 2014.

[2] Si segnala che la direttiva 2014/40/UE è stata soppressa nell’Allegato B durante l’esame presso il Senato e la delega relativa alla sua attuazione è contenuta nell’articolo 6.

[3]     Il fondo è stato istituito nell'ambito del Ministero del tesoro presso la Ragioneria generale dello Stato “Ispettorato generale rapporti con l’Unione europea – IGRUE”, con le caratteristiche di fondo di rotazione con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio.

[4] Si vedano la legge comunitaria 2007 (legge n. 34/2008); la legge comunitaria 2008 (legge n. n. 88/2009); la legge comunitaria 2009 (legge n. 96/2010).

[5] Si ricorda che il principio di carattere generale enunciato dalla norma risponde a quello da tempo elaborato dalla giurisprudenza costituzionale (v. sentenza n. 226/1976), in base al quale spetta la legislatore delegante disporre in ordine alla copertura della spesa derivante dall’esercizio della delega. La stessa Corte ha tuttavia evidenziato che, “qualora eccezionalmente non fosse possibile, in sede di conferimento della delega, predeterminare rigorosamente in anticipo i mezzi per finanziare le spese che l'attuazione della stessa comporta” è sufficiente che il Governo venga a ciò espressamente delegato, con determinazione di principi e criteri direttivi di delega, anche enunciati sotto forma di clausole di neutralità finanziaria, volti a definire gli equilibri finanziari interni a ciascun provvedimento da adottare nell’esercizio della delega.

[6] A parte le eccezioni individuate dall'articolo 29, paragrafo 1, ultimo periodo, della direttiva.

[7]  La Commissione rileva profili di non conformità anche in relazione all’articolo 1, par. 2 (nozione di progetto) e all’articolo 6, paragrafo 2 (informazione del pubblico) della direttiva VIA.

[8]     Il termine per il recepimento della direttiva in oggetto è il 1° luglio 2016.

[9] Nella XVI legislatura, la direttiva 2010/53/UE è stata introdotta al Senato nell’A.S. 2322 (poi divenuta L. 217/2011, Legge comunitaria 2010), tra le direttive da recepire negli allegati A e B previsti dall’articolo 1, ma successivamente soppressa dalla Camera durante l’esame del provvedimento (A.C. 4059-B). La direttiva 2010/53/UE è stata nuovamente inserita nella Legge comunitaria 2011, nel cui parere al provvedimento iniziale la Commissione 12ª (Igiene e sanità) del Senato (seduta del 29 febbraio 2012) ha espresso la necessità di conferire al Ministero della salute una delega per aggiornare la legge n. 91 del 1999, secondo i seguenti principi: a) definizione delle modalità per l’espressione della dichiarazione di volontà alla donazione di organi e tessuti e le modalità per garantire il coordinamento della rete nazionale dei trapianti; b) coordinamento delle disposizioni contenute nel decreto legislativo di recepimento della direttiva con le altre norme legislative vigenti in materia di qualità e sicurezza degli organi umani destinati a trapianti; c) riordino del Centro Nazionale Trapianti e del Centro Nazionale Sangue.

 

[10] A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo sulla posizione della Danimarca, allegato al trattato sull’Unione europea e al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la Danimarca non parteciperà all’adozione della direttiva, non sarà da essa vincolata né soggetta alla sua applicazione.

[11] Quale definita nella decisione quadro 2008/841/GAI.

[12]   L'abrogazione ha effetto dal 6 febbraio 2018.

[13]   Sul punto, Roberto Moccaldi, La nuova direttiva Euratom 2013/59 e le relative figure professionali, ottobre 2014.

[14] Le altre proposte presentate erano relative a articoli pirotecnici, strumenti per pesare a funzionamento non automatico, strumenti di misura, ascensori e componenti di sicurezza per ascensori, apparecchi e sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva e materiale elettrico destinato ad essere adoperato entro taluni limiti di tensione.

[15] Ma non ai regimi pensionistici obbligatori, disciplinati dal regolamento (CE) n. 883/2004.

[16] Quali, ad esempio, l'adeguamento del valore dei diritti a pensione, il mantenimento del valore nominale dei diritti pensionistici in sospeso, l’erogazione di un tasso d'interesse integrato nel regime pensionistico complementare, o di un utile sul capitale investito derivato dal regime pensionistico complementare nonché l’adeguamento del valore dei diritti pensionistici in sospeso, fatto salvo un limite proporzionale definito dal diritto nazionale o convenuto dalle parti sociali.

[17] V. anche punto 9 della premessa.

   In base alla direttiva 93/7/CE la restituzione è ammessa: a) per i beni indicati nell’allegato A (Reperti archeologici, monumenti e libri aventi più di 100 anni, carte geografiche stampate aventi più di 200 anni, archivi e supporti aventi più di 50 anni, mezzi di trasporto aventi più di 75 anni, quadri, pitture, mosaici e stampe fatti interamente a mano, incisioni, fotografie, film, incunaboli e manoscritti, comprese le carte geografiche e gli spartiti musicali, collezioni ed esemplari provenienti da collezioni di zoologia, botanica, mineralogia, anatomia, collezioni aventi interesse storico, paleontologico, etnografico o numismatico, nonché altri oggetti di antiquariato aventi più di 50 anni. Per tutti gli elementi indicati, la direttiva è applicabile solo se il loro valore è almeno pari a quello previsto dalla stessa direttiva, allegato, parte B); b) per i beni che, pur non rientrando nelle categorie indicate nell’All. A, sono inventariati come appartenenti a collezioni pubbliche museali, archivi e fondi di conservazione di biblioteche o sono inclusi in inventari ecclesiastici.

[18] Resta fermo che, in ogni caso, l’azione di restituzione si prescrive entro 30 anni a decorrere dalla data in cui il bene culturale è uscito illecitamente dal territorio dello Stato membro richiedente, ovvero 75 anni nel caso di beni che fanno parte di collezioni pubbliche o appartengono a inventari delle istituzioni ecclesiastiche o - e si tratta di un’ulteriore novità – di altre istituzioni religiose, tranne negli Stati membri in cui l’azione è imprescrittibile e nel caso di accordi bilaterali tra Stati membri che prevedono un termine superiore a 75 anni (art. 8, comma 1, secondo e terzo capoverso). V. anche punto 15 della premessa.

[19] D.Lgs. 08/06/2001, n. 231, Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.

[20] Ai sensi della definizione contenuta nell'art. 3, lett. d), entità ospitante è "l'entità presso la quale è trasferito il lavoratore soggetto a trasferimento intra-societario".

[21] Recepita con D.Lgs. 72/2000.

[22] Il subcontratto è costituito da una stipulazione ulteriore e derivata rispetto ad un contratto principale.

[23] Il Trattato di Prum del 2005, ratificato dall’Italia con la legge n. 85/2009, è l’accordo internazionale tra alcuni Stati membri che disciplina la cooperazione e lo scambio di informazioni in materia giudiziaria e di polizia. 

[24] XVII legislatura, Camera dei deputati, Doc. LXXXVII, n. 3.