Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari
Altri Autori: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Legge europea 2014 - A.C. 2977 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2977/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 287
Data: 02/04/2015
Descrittori:
DIRITTO DELL' UNIONE EUROPEA     
Organi della Camera: XIV - Politiche dell'Unione europea

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Legge europea 2014

A.C. 2977

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 287

 

 

 

2 aprile 2015

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari comunitari

( 066760-9409 – * st_affari_comunitari@camera.it  -  http://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg17/img/header/bt_tw.jpgTwitter @cd_europa

 

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§  La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§  Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

 

 

 

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: ID0015.docx

 


INDICE

 

Premessa

Schede di lettura

§  Articolo 1 (Abrogazione di disposizioni relative alla commercializzazione di apparecchiature televisive in Italia. Caso EU Pilot 6868/14/ENTR) 7

§  Articolo 2 (Modifiche al codice delle comunicazioni elettroniche in materia di impianti ed esercizio di stazioni radioelettriche a bordo di navi. Caso EU Pilot 5301/13/CNCT) 9

§  Articolo 3 (Disposizioni in materia di servizi di radiodiffusione sonora in onde medie a modulazione di ampiezza. Caso EU Pilot 3473/12/INSO) 12

§  Articolo 4 (Disposizioni relative ai costi amministrativi a carico dei fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche. Procedura di infrazione n. 2013/4020) 15

§  Articolo 5 (Disposizioni relative ai servizi di media audiovisivi. Corretto recepimento della direttiva 89/552/CEE, come modificata dalla direttiva 2007/65/CE e codificata dalla direttiva 2010/13/UE. Caso EU Pilot 1890/11/INSO) 22

§  Articolo 6 (Disposizioni concernenti la libera prestazione di servizi degli agenti di brevetto. Procedura di infrazione n. 2014/4139) 28

§  Articolo 7 (Disposizioni in materia di affidamento di servizi pubblici locali. Procedure di infrazione n. 2012/2050 e 2011/4003) 31

§  Articolo 8 (Disposizioni in materia di immigrazione e di rimpatri. Procedura di infrazione n. 2014/2235) 37

§  Articolo 9 (Disposizioni concernenti la patente di guida. Procedura di infrazione n. 2014/2116 e caso EU Pilot 7070/14/MOVE) 41

§  Articolo 10 (Disposizioni concernenti l’accesso all’infrastruttura ferroviaria. Procedura di infrazione 2008/2097) 45

§  Articolo 11 (Modifiche alla disciplina dell'imposta sul valore aggiunto relativa a talune importazioni di merci di valore modesto. Procedura di infrazione n. 2012/2088) 50

§  Articolo 12 (Disposizioni relative alla gestione e al monitoraggio degli aiuti pubblici alle imprese) 54

§  Articolo 13 (Obblighi di monitoraggio e relazione concernenti i Servizi di interesse economico generale) 62

§  Articolo 14 (Disposizioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili. Caso EU Pilot 6155/14/EMPL) 66

§  Articolo 15 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2009/13/CE sul lavoro marittimo. Procedura di infrazione n. 2014/0515) 68

§  Articolo 16 (Disposizioni relative al sistema di identificazione degli animali della specie bovina. Attuazione della direttiva 2014/64/UE, che modifica la direttiva 64/432/CEE per quanto concerne le basi di dati informatizzate che fanno parte delle reti di sorveglianza degli Stati membri) 71

§  Articolo 17 (Disposizioni relative alla cattura di richiami vivi. Procedura di infrazione n. 2014/2006) 74

§  Articolo 18 (Divieto di commercio di specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo. Caso EU Pilot 5391/13/ENVI) 79

§  Articolo 19 (Disposizioni finalizzate al corretto recepimento della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio. Procedura di infrazione n. 2014/2123) 81

§  Articolo 20 (Capacità europea di risposta emergenziale) 91

§  Articolo 21 (Clausola di invarianza finanziaria) 95

 

 


Premessa

 


 

 

Il disegno di legge in esame, recante Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2014, è stato presentato alla Camera dei deputati il 19 marzo 2015 (A.C. 2977) in base alle disposizioni di cui alla legge 24 dicembre 2012, n. 234, sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.

 

La legge n. 234 del 2012 prevede infatti che ogni anno il Governo presenti, insieme al disegno di legge di delegazione europea, un disegno di legge europea, che contiene norme di diretta attuazione volte a garantire l’adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea.

 

L’articolo 29 della legge 234 prevede inoltre espressamente la possibilità per il Governo, nel caso in cui rilevi ulteriori esigenze di adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, di presentare nel secondo semestre dell’anno un ulteriore disegno di legge di delegazione europea.

Secondo quanto previsto dall’articolo 30 della legge n. 234 del 2012 la legge europea contiene le seguenti disposizioni:

a)     disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea;

b)    disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea;

c)     disposizioni necessarie per dare attuazione o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea;

d)    disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea;

e)     disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 117, quinto comma, della Costituzione in conformità ai princìpi e nel rispetto dei limiti previsti dall’articolo 41 della stessa legge n. 234 per l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte dello Stato.

 

Nel disegno di legge europea, secondo quanto previsto dall’articolo 30 della legge n. 234 del 2012, sono inserite le disposizioni finalizzate a porre rimedio ai casi di non corretto recepimento della normativa dell’Unione europea nell’ordinamento nazionale che hanno dato luogo a procedure di pre-infrazione, avviate nel quadro del sistema di comunicazione EU Pilot, e di infrazione, laddove il Governo abbia riconosciuto la fondatezza dei rilievi mossi dalla Commissione europea.

 

Il sistema EU PILOT (strumento informatico EU pilot - IT application) dal 2008 è lo strumento principale di comunicazione e cooperazione tramite il quale la Commissione, mediante il Punto di contatto nazionale - che in Italia è la struttura di missione presso il Dipartimento Politiche UE della Presidenza del Consiglio -, trasmette le richieste di informazione agli Stati membri al fine di assicurare la corretta applicazione della legislazione UE e prevenire possibili procedure d’infrazione.

Il sistema viene utilizzato quando per la Commissione la conoscenza di una situazione di fatto o di diritto all’interno di uno Stato membro è insufficiente e non permette il formarsi di un’opinione chiara sulla corretta applicazione del diritto UE  e in tutti i casi che potrebbero essere risolti senza dovere ricorrere all’apertura di una vera e propria procedura di infrazione.

EU PILOT, di fatto, ha sostituito l’inoltro delle lettere amministrative agli Stati membri tramite le Rappresentanze permanenti a Bruxelles e spesso ha portato alla conclusione positiva di molti casi, senza cioè l’apertura di una vera e propria procedura d’infrazione.

 

In attuazione della legge n. 234 del 2012, con riferimento all’anno 2013, sono state approvate la legge europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 96) e la legge europea 2013 bis (legge 30 ottobre 2014, n. 161).

 

Con riferimento all’anno 2014 - oltre al disegno di legge in esame - il Governo ha presentato il disegno di legge di delegazione europea 2014, attualmente in corso di esame al Senato (S. 1758). Il disegno di legge contiene disposizioni di delega per l’adozione delle direttive dell’Unione europea pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea dalla data di presentazione in Parlamento del precedente disegno di legge di delegazione europea 2013 secondo semestre (legge 7 ottobre 2014, n. 154).

 

 

 

 

 

 

 


Schede di lettura

 


Articolo 1
(Abrogazione di disposizioni relative alla commercializzazione di apparecchiature televisive in Italia. Caso EU
Pilot 6868/14/ENTR)

 

 

L’articolo 1 abroga una serie di decreti ministeriali che hanno disciplinato nel tempo la commercializzazione nel territorio nazionale degli apparecchi ricevitori per la televisione in tecnica analogica, sia in quanto oggetto di procedure europee in fase di pre-contenzioso per contrasto con la normativa armonizzata dell’Unione europea, nonché in quanto obsoleti rispetto alle nuove tecniche di trasmissione digitale. La norma interviene in particolare a tutela della concorrenza, materia di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione.

 

I decreti abrogati sono i seguenti:

a)    il D.M. 6 febbraio 1978 recante “Norme relative all'immissione al consumo nel territorio nazionale di ricevitori per televisione”, che prevedeva l'obbligo di ottenere una certificazione dell’allora Ministero per le Poste e le Telecomunicazioni, per chi intendeva immettere sul mercato ricevitori televisivi;

b)    il D.M. 26 marzo 1992, di revisione del precedente decreto ministeriale 6 febbraio 1978, che ha soppresso l’obbligo della certificazione per i ricevitori fabbricati nello Spazio economico europeo sostituendola con la dichiarazione di conformità rilasciata dal costruttore;

c)    il D.M. 3 agosto 1984 relativo al servizio sperimentale di televideo ed all'immissione in commercio dei relativi televisori;

d)    il D.M. 3 agosto 1984 relativo al sistema per la trasmissione con suono stereofonico in televisione ed ai relativi televisori;

e)    il D.M. 29 marzo 1985 recante “Autorizzazione alla immissione sul mercato nazionale di ricevitori televisivi predisposti per la ricezione delle trasmissioni televisive stereofoniche”.

 

Si ricorda che dopo il completamento della transizione al digitale terrestre nel luglio 2012 (c.d. switch off), a partire dal 1° gennaio 2013 non è più richiesta la presenza di un sintonizzatore analogico per gli apparecchi atti a ricevere servizi radiotelevisivi venduti dalle aziende produttrici ai distributori di apparecchiature elettroniche al dettaglio sul territorio nazionale (articolo 3-quinquies, comma 5, del decreto legge n. 16 del 2012).

 

Si ricorda inoltre che in base alla tecnologia del digitale terrestre, il segnale radiotelevisivo, una volta digitalizzato (ossia trasformato in una frequenza numerica), può essere trasmesso su frequenze terrestri: la compressione del segnale audiovisivo premette di moltiplicare il numero di canali trasmessi contemporaneamente da un'unica frequenza; conseguentemente, ogni singola frequenza (o multiplex) può trasportare un numero elevato di canali televisivi.

Procedure di contenzioso

Con lettera del 10 ottobre 2014, la Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 6868/14/ENTR, ha chiesto alle autorità italiane spiegazioni in ordine alla compatibilità con la normativa dell’Unione del decreto ministeriale 26 marzo 1992 recante “Norme per l’immissione al consumo nel territorio nazionale di ricevitori per televisione”, poiché, ad avviso della Commissione, porrebbe ostacoli alla commercializzazione di apparecchiature televisive in Italia.

 

In particolare il decreto stabilisce che, per poter essere commercializzati in Italia, gli apparecchi televisivi devono ottemperare:

- alla normativa in materia di televideo;

- al piano nazionale delle frequenze (analogiche) che assegna alle autorità la banda 81- 88 MHz per la diffusione del "Canale C" nelle località di Torino e Staletti.

 

Secondo il decreto la conformità ad entrambi i requisiti va attestata come segue:

- quanto agli apparecchi fabbricati nell'UE (e nello Spazio economico europeo), tramite autocertificazione del produttore o importatore dell'apparecchio o - a scelta - un attestato di conformità rilasciato da un organismo designato da uno Stato membro o dall'ISPT (Istituto superiore per le telecomunicazioni);

- quanto agli apparecchi fabbricati in paese al di fuori dell'UE/SEE, tramite una omologazione ministeriale ai sensi del Decreto ministeriale 6 febbraio 1978.

 

Ad avviso della Commissione tale disposizione contrasterebbe:

·     con la direttiva 2006/95/CE, che stabilisce le regole armonizzate unionali in tema di sicurezza che si applicano alle apparecchiature elettriche destinate ad essere adoperate entro taluni limiti di tensione, e con la direttiva 2004/108/CE, che disciplina la compatibilità elettromagnetica delle apparecchiature. Tali direttive operano infatti una armonizzazione totale degli aspetti che rientrano nel loro campo di applicazione e dispongono che le relative procedure di valutazione di conformità non richiedono l'approvazione di terzi (omologazione) per i prodotti immessi per la prima volta sul mercato dell'UE/SEE.

·     con l'articolo 34 del TFUE, che vieta le restrizioni quantitative all'importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari.


 

Articolo 2
(Modifiche al codice delle comunicazioni elettroniche in materia di impianti ed esercizio di stazioni radioelettriche a bordo di navi. Caso EU
Pilot 5301/13/CNCT)

 

 

L’articolo 2 modifica il Codice delle comunicazioni elettroniche per semplificare il regime autorizzatorio per la fornitura dei servizi di connettività a banda larga a bordo delle navi, attualmente disciplinato dall’articolo 183 del Codice (D.Lgs. n. 259 del 2003).

La norma vigente dell’articolo 183 prevede che per le stazioni radioelettriche a bordo delle navi sia necessaria l'autorizzazione all'esercizio, rilasciata dal Ministero, previo esito favorevole del collaudo e che tutti gli apparati di radiocomunicazione o di ausilio alle radiocomunicazioni, siano essi obbligatori o facoltativi, debbano essere elencati nella licenza di esercizio prevista dall' articolo 160 (conservata presso ogni singola stazione radioelettrica per la quale sia stata conseguita l'autorizzazione generale all'esercizio), mentre per le stazioni riceventi del servizio di radiodiffusione il titolo di abbonamento tiene luogo della licenza.

 

Il nuovo comma 1 dell’articolo 183 come novellato dall’articolo 2 prevede invece che, ferma restando l’autorizzazione all’esercizio previo collaudo, solo gli apparati strettamente legati alla sicurezza della vita umana in mare debbano essere elencati nella licenza di esercizio e che gli apparati facoltativi legati ai servizi che vanno ad interfacciarsi con una rete pubblica non vadano elencati nella licenza. La disposizione prevede inoltre che l’offerta di un servizio di comunicazione elettronica al pubblico per mezzo di apparati facoltativi che vanno ad interfacciarsi con una rete pubblica sia soggetta solo al conseguimento di un’autorizzazione generale per servizi di comunicazione elettronica.

 

Una seconda modifica viene apportata, dall’articolo 2, al comma 2 dell’articolo 183, per risolvere una procedura di pre-contenzioso avviata dalla Commissione europea (caso EU Pilot 5301/13/CNCT). Tale disposizione prevede attualmente che per determinate classi di navi sia possibile affidare l'impianto e l'esercizio, anche contabile, delle stazioni radioelettriche ad imprese, a condizione che siano titolari di apposita autorizzazione generale, rilasciata dal Ministero, sentito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e nella quale devono essere definiti i requisiti per l'espletamento del servizio. La norma pertanto, contrastando in ciò con la normativa comunitaria, subordina l’autorizzazione generale relativa alla fornitura di servizi e/o reti di comunicazione elettronica ad un atto amministrativo.

Il novellato comma 2 provvede pertanto a limitare ai soli casi di apparati di radiocomunicazioni obbligatori e facoltativi per la salvaguardia della vita umana in mare, la necessità di ottenere un’autorizzazione generale, subordinata a requisiti stabiliti dal Ministero delle infrastrutture e trasporti, per poter affidare ad imprese l’impianto e l’esercizio, anche contabile, degli apparati. In tale caso infatti la limitazione sarebbe possibile in quanto attinente al profilo della sicurezza della navigazione, uno dei casi per i quali è prevista dalle norme comunitarie la possibilità di derogare al principio generale.

 

Procedure di contenzioso

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 5301/13/CNCT, contesta la compatibilità con la normativa dell’Unione europea dell’articolo 183 del Codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259) in materia di impianti ed esercizi di stazioni radioelettriche a bordo di navi.

 

In particolare, la Commissione europea fa riferimento al comma 2 del citato articolo che prevede uno specifico regime autorizzatorio per determinate classi di navi: in tal caso, “nel rispetto delle normative internazionali e nazionali per la salvaguardia della vita umana in mare, l'impianto e l'esercizio, anche contabile, delle stazioni radioelettriche è affidato ad imprese titolari di apposita autorizzazione generale, rilasciata dal Ministero, sentito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e nella quale sono definiti i requisiti per l'espletamento del servizio”. Per quanto riguarda invece altre classi di navi l'impianto e l'esercizio delle stazioni radioelettriche sono affidati all'armatore.

 

Secondo quanto rilevato dalla Commissione europea, sulla base del quadro regolatorio europeo sulle comunicazioni elettroniche (in particolare, direttiva 2002/20/CE, c.d. direttiva autorizzazioni; decisione della Commissione, del 19 marzo 2010, sulle condizioni d'uso armonizzate dello spettro radio per i servizi di comunicazione mobile a bordo delle navi  nell'Unione europea; raccomandazione della Commissione, del 19 marzo 2010, relativa all'autorizzazione dei sistemi per i servizi di comunicazione mobile a bordo delle navi), l’autorizzazione generale relativa alla fornitura di servizi e/o reti di comunicazione elettronica non può prevedere l’obbligo di ottenere una decisione esplicita né qualunque altro atto amministrativo da parte dell’autorità nazionale di regolamentazione prima di esercitare i diritti che derivano dall’autorizzazione. Tuttavia tale regola può essere derogata in casi specifici, laddove sia necessaria per proteggere alcuni interessi come la salute e la sicurezza pubblica.

A parere della Commissione, la normativa europea non esclude pertanto la possibilità di un regime autorizzatorio specifico per le trasmissioni radio necessarie per la sicurezza della navigazione. Quel che a parere della Commissione non è chiaro dalla formulazione dell’articolo 183 è se tale regime specifico si applichi anche ad altri tipi di servizi e reti di comunicazione che non vengono utilizzati per le comunicazioni necessarie alla navigazione e dunque non hanno influenza sulla sicurezza.

 

La modifica introdotta con l’articolo 2 è dunque volta a risolvere i dubbi posti dalla Commissione, prevedendo una semplificazione e un chiarimento del regime autorizzatorio che, con la nuova formulazione dell’articolo 183, sarà differenziato a seconda che si tratti di apparecchiature necessarie per la salvaguardia della vita umana in mare o di apparecchiature facoltative installate a bordo delle navi per fornire all’utenza servizi a favore dell'equipaggio e dei passeggeri, come ad esempio i servizi di connettività a banda larga.

 

 


 

Articolo 3
(Disposizioni in materia di servizi di radiodiffusione sonora in onde medie a modulazione di ampiezza. Caso EU
Pilot 3473/12/INSO)

 

 

L’articolo 3 disciplina l’assegnazione dei diritti d’uso per le trasmissioni di radiodiffusione analogica sonora in onde medie (AM), introducendo a tal fine un nuovo articolo 24-bis al Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (D.Lgs n. 177 del 2005).

 

La norma ha lo scopo di chiudere un caso aperto a livello UE (EU Pilot 3473/12/INSO) attraverso la modifica al Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, per consentire l’assegnazione delle citate frequenze - oggi assegnate alla RAI in qualità di concessionario del servizio pubblico, ma da questa in parte non utilizzate - anche a soggetti nuovi entranti, previa individuazione da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni dei criteri e delle modalità di assegnazione.

 

Secondo il nuovo articolo 24-bis, le frequenze radio in onde medie a modulazione di ampiezza possono essere assegnate dal Ministero dello sviluppo economico per le trasmissioni di radiodiffusione sonora anche a soggetti nuovi entranti, compatibilmente con gli obblighi del servizio pubblico previsti dal Testo Unico e con i relativi piani di sviluppo, nonché nel rispetto delle frequenze e delle connesse aree di servizio attribuite all’Italia, secondo le regole stabilite dall’Unione Internazionale per le Telecomunicazioni (UIT) in base al Piano di radiodiffusione – Ginevra 1975.

 

Si ricorda che il Ministero dello Sviluppo economico riserva, come previsto dall’articolo 13 comma 5 del Regolamento allegato alla Delibera n. 664/09/CONS, alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, RAI, un blocco di diffusione con cui assolvere gli obblighi di copertura e fornitura del servizio pubblico radiofonico, previsti dal Testo Unico e dal contratto di servizio.

L’articolo 24-bis dispone altresì la previa individuazione da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni dei criteri e delle modalità di assegnazione, tenuto conto di alcuni  principi del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259 del 2003): il principio dell’articolo 27, comma 5 (rilascio mediante procedure aperte, obiettive, trasparenti, non discriminatorie e proporzionate), e quello dell’articolo 29, comma 3 (i criteri di selezione devono essere obiettivi, trasparenti, proporzionati e non discriminatori e devono tenere in adeguata considerazione gli obiettivi dell’attività di regolamentazione del Codice e della gestione efficiente delle radiofrequenze), e, inoltre, in modo da consentire un uso efficiente dello spettro radioelettrico, anche promuovendo l’innovazione tecnologica.

 

Si ricorda che la disciplina nazionale prevedeva che, in attesa che venisse adottato il piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche analogiche, i diritti d’uso delle stesse fossero conferite ai soli soggetti legittimamente operanti alla data del 30 settembre 2001. L’adozione di tale piano è stata subordinata all’effettiva introduzione della radiodiffusione sonora in tecnica digitale e allo sviluppo del relativo mercato.

 

Il Ministero dello Sviluppo Economico ha assegnato nel 2012 i diritti d’uso delle frequenze per le trasmissioni radiofoniche terrestri in tecnica digitale, in conformità a quanto previsto dal piano provvisorio di assegnazione delle frequenze per il servizio radiofonico, approvato dall’AGCOM con Delibera n. 180/12/CONS. Il primo progetto pilota ha interessato le province di Trento e Bolzano. Successivamente l’Autorità, con Delibera n. 602/14/CONS, ha esteso il piano provvisorio di assegnazione delle frequenze per il servizio radiofonico digitale alle Regioni Valle d’Aosta e Umbria, ciascuna delle quali costituenti un bacino d’utenza, ed alle Province di Torino e Cuneo, costituenti un bacino di utenza unico.

Si ricorda altresì che si è chiusa, il 5 settembre 2014,  la Consultazione del MISE sul Piano di Ripartizione delle Frequenze (PNRF) - che costituisce il piano regolatore dell'utilizzo dello spettro radioelettrico in Italia.

 

Procedure di contenzioso

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 3473/12/INSO, ha chiesto chiarimenti all’Italia in merito alle disposizioni sulle assegnazioni dei diritti d’uso per le trasmissioni radio analogiche in AM contenute nel Codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n, 259 del 2003) e nel Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (decreto legislativo n. 177 del 2005).

 

Come ricordato dalla Commissione europea, la normativa dell’UE (direttiva 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti i servizi di comunicazione elettronica; direttiva 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica; direttiva 2002/77/CE relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica) vieta agli Stati membri di attribuire diritti ad un numero limitato di imprese, senza conformarsi a criteri obiettivi, proporzionali e non discriminatori, con ciò influendo sulla possibilità di altre imprese di fornire gli stessi servizi di comunicazione elettronica.

 

Le disposizioni nazionali richiamate prevedono che, in attesa che venga adottato il piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche analogiche, i diritti d’uso delle stesse siano conferite ai soli soggetti legittimamente operanti alla data del 30 settembre 2001. L’adozione di tale piano è stata subordinata all’effettiva introduzione della radiodiffusione sonora in tecnica digitale e allo sviluppo del relativo mercato.

 

Tuttavia, alla Commissione risulta che, pur essendo stati adottati il piano nazionale per l’assegnazione delle frequenze radiofoniche in tecnica digitale e i relativi regolamenti per l’avvio delle trasmissioni, non si sia proceduto per quanto riguarda l’adozione del piano per le frequenze analogiche, impedendo in tal modo l’accesso a nuovi soggetti.

 


 

Articolo 4
(Disposizioni relative ai costi amministrativi a carico dei fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche. Procedura di infrazione
n. 2013/4020)

 

 

L’articolo 4 è finalizzato alla chiusura di una procedura di infrazione in materia di diritti amministrativi nel settore delle comunicazioni elettroniche, oggi disciplinati dall’articolo 34 del Codice delle comunicazioni elettroniche (cfr. il successivo paragrafo Procedure di contenzioso).

L’intervento legislativo si sostanzia in tre modifiche apportate all’articolo 34 del Codice.

La prima modifica (comma 1, lettera a), n. 2) consiste nell’inserimento di un nuovo comma 2-ter che, riproducendo la previsione contenuta nell’articolo 12, comma 2, della direttiva 2002/20/CE (quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, modificata dalla direttiva n. 2009/140/CE), prevede l’obbligo per le autorità nazionali di regolamentazione, quindi per il Ministero dello sviluppo economico, di intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze, e per l’AGCOM di presentare un rendiconto annuale dei costi amministrativi sostenuti e dei diritti amministrativi riscossi.

A tale proposito infatti l’articolo 34 del Codice delle Comunicazioni elettroniche non contiene tale previsione di carattere generale presente invece nella direttiva citata.

 

Si ricorda in proposito che con la Delibera 567/14/CONS del 6 novembre 2014, l'AGCOM ha fissato la misura e le modalità di versamento del contributo dovuto all'Autorità per l'anno 2015, in base alla norma della legge finanziaria 2006 (articolo 1, comma 65 della legge n. 266 del 2005) che ha previsto che a decorrere dal 2007 le spese di funzionamento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni siano finanziate dal mercato di competenza. Successivo. Il successivo comma 66 conferisce inoltre all'Autorità il potere di adottare le variazioni della misura e delle modalità della contribuzione “nel limite massimo del 2 per mille dei ricavi risultanti dal bilancio approvato precedentemente alla adozione della delibera”. Per l’anno 2015 sono tenuti al versamento i soggetti che esercitano le attività che rientrano nelle competenze attribuite all'AGCOM, anche controllate e collegate, ma con l'esclusione dei soggetti con imponibile inferiore a 500.000 euro e di quelli in crisi o che hanno iniziato la loro attività nel 2014. La contribuzione è stata fissata per il 2015 sulla base del complesso dei ricavi (indicati nella voce A1 del conto economico o voce corrispondente per i bilanci redatti secondo i principi contabili internazionali) risultanti dall'ultimo bilancio approvato nella seguente misura:

-            l'1,15 per mille per i soggetti di cui all'articolo 12 della direttiva 2002/20/CE (imprese che prestano servizi o reti ai sensi dell'autorizzazione generale o che hanno ricevuto una concessione dei diritti d'uso);

-            il 2 per mille per le imprese operanti nei restanti mercati.

Il secondo intervento (comma 1, lettera a), n. 1 e n. 2) mira a chiarire l’applicazione dei diritti amministrativi posti a carico delle imprese che forniscono reti o servizi di comunicazione o alle quali sono concessi diritti d’uso.

 

L’articolo 34 del Codice prevede infatti attualmente la possibilità di imporre diritti amministrativi, la cui misura è indicata nell’allegato 10, alle imprese che forniscono reti o servizi o alle quali sono stati concessi diritti di uso. La norma prevede, recependo con una formulazione poco chiara l’articolo 12 della direttiva, che tali diritti coprano complessivamente i soli costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti di uso e degli obblighi specifici prescritti ai fornitori di servizi, ivi compresi i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, ed in particolare di decisioni in materia di accesso e interconnessione. E’ richiesto inoltre che i diritti amministrativi siano imposti alle imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori.

Le disposizioni recate dall’attuale formulazione dell’articolo 34 hanno ingenerato numerosi contenziosi amministrativi, fino all’interessamento della Corte di Giustizia la quale, con la sentenza del 18 luglio 2013 (cause riunite da C-228/12 a C-232/12 e da C-254/12 a C-258/12), ha stabilito la compatibilità comunitaria del sistema di finanziamento dell'Autorità a condizione che lo stesso assicuri il rispetto delle previsioni contenute nell’articolo 12 della direttiva, a condizione quindi che:

1) i costi finanziabili dai soggetti di quel mercato siano soltanto quelli necessari allo svolgimento delle attività elencate nella medesima norma, che coincidono con il complesso di tutte le attività che la ANR è chiamata a svolgere in base al quadro normativo;

2) le modalità di imposizione del contributo siano proporzionate, obiettive e trasparenti.

 

La Corte di giustizia nella sentenza 18 luglio 2013 ha infatti tra l’altro stabilito che: “l'articolo 12 della direttiva autorizzazioni deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla disciplina di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nei procedimenti principali, ai sensi della quale le imprese che prestano servizi o reti di comunicazione elettronica sono tenute a versare un diritto destinato a coprire i costi complessivamente sostenuti dall'Autorità Nazionale di Regolazione e non finanziati dallo Stato, il cui importo è determinato in funzione dei ricavi realizzati da tali imprese, a condizione che tale diritto sia esclusivamente destinato alla  copertura di costi relativi alle attività menzionate al paragrafo 1, lettera a), di tale disposizione, che la totalità dei ricavi ottenuti a titolo di detto diritto non superi i costi complessivi relativi a tali attività e che lo stesso diritto  sia  imposto alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente“.

Al fine di chiarire definitivamente la portata normativa dell’articolo 34 e distinguere pertanto i diritti amministrativi che coprono le attività di competenza del MISE da quelli destinati al finanziamento dell’AGCOM, l’articolo 4 provvede quindi a riformulare il comma 2 dell’articolo 34 e inserisce un nuovo comma 2-bis in modo che:

·         per la copertura dei costi amministrativi sostenuti per le attività di competenza del Ministero dello sviluppo economico la misura dei diritti amministrativi sia quella fissata nell’allegato n. 10 (nuovo comma 2 dell’articolo 34);

·         per la copertura dei costi amministrativi sostenuti per le attività di competenza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) la misura dei diritti amministrativi sia determinata, ai sensi dell’articolo 1, commi 65 e 66, della legge n. 266 del 2005, sulla base dei ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto dell’autorizzazione generale (nuovo comma 2-bis).

 

Il terzo intervento legislativo (comma 1, lettera b)) consiste nella modifica del criterio per l’imposizione dei diritti amministrativi e nella ridefinizione dell’ammontare dei contributi. Viene pertanto sostituito il comma 1, articolo 1 dell’allegato 10, richiamato nel comma 1 dell’articolo 34, che fissa la misura dei diritti, incrementando il numero delle soglie di popolazione (che passano da tre a cinque), rimodulando le somme corrispondenti e prevedendo un contributo inferiore per le imprese che erogano il servizio ad utenti finali in un numero pari o inferiore a 50.000, in modo da rispettare il principio comunitario della proporzionalità del contributo.

 

Si ricorda che l’articolo 6, comma 4 del D.L. n. 145 del 2013 ha ridotto la misura del contributo annuo dovuto dalle imprese titolari dell’autorizzazione generale per la fornitura di reti pubbliche di comunicazioni e di servizio telefonico accessibile al pubblico , qualora abbiano un numero di utenti pari o inferiore a 50.000. Per tali soggetti il contributo inferiore viene fissato in misura inferiore a quello generale, che viene limitato ora alle sole imprese con più di 50.000 utenti. Per le imprese più piccole il contributo è quindi così stato fissato:

a.   300 euro ogni mille utenti per le reti pubbliche di comunicazioni (mentre per le imprese con più di 50.000 utenti il contributo è di 111.000 euro);

b.   100 euro ogni mille utenti per i servizi telefonici accessibili al pubblico (in luogo dei 66.500 euro previsti per le imprese con più di 50.000 utenti).

 

La nuova formulazione del comma 1 dell’allegato 10 conferma quindi che le imprese titolari di autorizzazione generale per l’installazione e fornitura di reti pubbliche di comunicazioni, comprese quelle basate sull’impiego di radiofrequenze, le imprese titolari di autorizzazione generale per l’offerta del servizio telefonico accessibile al pubblico, con esclusione di quello offerto in luoghi presidiati mediante apparecchiature terminali o attraverso l‘emissione di carte telefoniche, sono tenute al pagamento di un contributo annuo, compreso l’anno dal quale decorre l’autorizzazione generale.

La misura dei nuovi diritti è la seguente:

 

Fornitura di reti pubbliche di comunicazioni

sull’intero territorio nazionale

127.000 euro

territorio avente più di 1 milione e fino a 10 milioni di abitanti

64.000 euro

territorio avente più di 200.000 e fino a 1 milione di abitanti

32.000 euro

territorio avente fino a 200.000 abitanti

17.000 euro

imprese che operano con proprie infrastrutture di terminazione ed erogano il servizio ad utenti finali in un numero pari o inferiore a 50.000
(il numero di utenti è calcolato sul quantitativo delle linee attivate a ciascun utente finale)

500 euro
ogni mille utenti

Fornitura di servizio telefonico accessibile al pubblico

sull’intero territorio nazionale

75.500 euro

territorio avente più di 1 milione e fino a 10 milioni di abitanti

32.000 euro

territorio avente più di 200.000 e fino a 1 milione di abitanti

12.500 euro

territorio avente fino a 200.000 abitanti

6.400 euro

imprese che operano con proprie infrastrutture di terminazione ed erogano il servizio ad utenti finali in un numero pari o inferiore a 50.000

(Il numero di utenti è calcolato sul quantitativo delle risorse di numerazione attivate a ciascun utente finale)

300 euro
ogni mille utenti

Fornitura del servizio di comunicazioni mobili e personali

Contributo fisso

(salvo il caso in cui il contributo sia stato determinato in una procedura di selezione competitiva o comparativa)

75.500 euro

Fornitura, anche congiunta, di servizi di rete e/o di comunicazione elettronica via satellite

fino a 10 stazioni

2.220 euro

fino a 100 stazioni

5.550 euro

oltre 100 stazioni

11.100 euro

 

Il contributo, per gli anni successivi a quello del conseguimento dell’autorizzazione deve essere versato entro il 31 gennaio di ciascun anno, anche nel caso di rinuncia qualora inviata in data successiva al 31 dicembre dell’anno precedente.

 

Procedure di contenzioso

Il 26 aprile 2013, inviando all’Italia una lettera di costituzione in mora, la Commissione europea ha dato avvio alla procedura di infrazione n. 2013/4020 per non conformità di alcuni disposizioni del Codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259 del 2003) con la direttiva 2002/20/CE relativa alla autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (cosiddetta direttiva autorizzazioni).

Successivamente, il 10 luglio 2014, non ritenendo soddisfacenti le osservazioni avanzate dalla autorità italiane, la Commissione ha emesso un parere motivato.

Le contestazioni avanzate riguardano:

·     il mancato rispetto dell’obbligo di pubblicare un rendiconto annuale dei costi amministrativi sostenuti dal Ministero per lo sviluppo economico (MISE), in qualità di autorità nazionale di regolamentazione, nonché dei diritti amministrativi dallo stesso richiesti ai fornitori di reti pubbliche di comunicazione elettronica. Tale obbligo è disposto dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni;

·     la non proporzionalità dei diritti amministrativi imposti ai fornitori di reti di comunicazione,. Per l’imposizione di tali diritti l’Italia ha adottato un criterio semi-forfettario, subordinato alla popolazione potenzialmente destinataria dell’offerta[1], che a parere della Commissione si rivela discriminatorio, in particolare nei confronti delle piccole e medie imprese. Con ciò l’Italia sarebbe venuta meno agli obblighi previsti dagli articoli 12, paragrafo 1, e 6, paragrafo 1, della direttiva autorizzazioni, la quale stabilisce che i diritti amministrativi coprano complessivamente i soli costi sostenuti per la gestione, il controllo e l’applicazione del regime autorizzatorio e che siano imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente.

 

Il Governo ha formulato, in risposta alla lettera di messa in mora, alcuni chiarimenti ed osservazioni.

 

In merito al primo rilievo, ad avviso del Governo non esiste nella normativa nazionale l’obbligo alla presentazione di un rendiconto; tuttavia, è stato fornito alla Commissione un rendiconto da cui risulta un ammontare di 11.838.000 euro per i diritti e di 14.450.424 euro per i costi, con ciò rilevando che i diritti amministrativi richiesti sono proporzionati, dal momento che risultano inferiori ai costi sostenuti, in coerenza con l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a) della direttiva[2].

La Commissione ha replicato rilevando, in primo luogo, che il fatto di rispettare il livello dei diritti riscossi non esime dall’obbligo di trasparenza previsto dal successivo paragrafo del medesimo articolo della direttiva[3] e, in secondo luogo, che la presentazione di un rendiconto nell’ambito di una procedura di infrazione non esonera dall’introdurre tale obbligo in maniera vincolate nella normativa nazionale.

Per quanto riguarda il secondo rilievo, il Governo ha osservato che il criterio adottato nella normativa italiana per la quantificazione dei diritti amministrativi - vale a dire la popolazione potenzialmente destinataria dell’offerta - è in linea con il precedente sistema di riscossione, previsto dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998 che non è mai stato oggetto di contestazioni da parte della Commissione. Oltretutto, sempre secondo il Governo, tale criterio, considerando il potenziale di linee che possono essere servite dall’operatore autorizzato, terrebbe conto di conseguenza anche delle dimensioni dell’impresa, garantendo un valore stabile che non cambia nel tempo come invece il fatturato. Infine, un onere calcolato sulla base del fatturato avrebbe secondo le autorità italiane un effetto disincentivante alla crescita delle imprese e potrebbe rappresentare un ostacolo di natura patrimoniale alla procedura di liberalizzazione.

La Commissione ha replicato rilevando come il criterio adottato dall’Italia non preveda una soglia di esenzione de minimis per i nuovi operatori e non abbia alcun nesso con la reale portata della rete installata, del fatturato e dei clienti serviti.

 

Secondo la Commissione, sulla base di tale criterio, a titolo esemplificativo, una rete molto piccola in un comune densamente popolato può essere soggetta al pagamento di contributi molto elevati, pari a quelli dovuti da un’impresa che collega effettivamente diverse migliaia o diversi milioni di linee nella stessa area (i diritti amministrativi per le aree con una popolazione compresa tra 200.000 e 10 milioni di abitanti sono della medesima entità). Oltretutto, come rilevato dai dati forniti dall’AGCOM, circa il 40% dei fornitori presenta un fatturato inferiore ai 500.000 euro: per un  numero significativo di loro, l’applicazione del criterio indicato dalle autorità italiane potrebbe comportare il pagamento di diritti amministrativi pari a un 20% del fatturato. Ne risulta che il criterio italiano non sembra proporzionato, in particolare alla luce dell’obiettivo di ridurre le barriere amministrative all’ingresso sul mercato di nuovi operatori. Tra l’altro, sempre sulla base dei dati forniti dall’AGCOM, i fornitori che sono sopra i 500.000 euro hanno fatturati molto elevati (circa 199 milioni di euro) e quindi per loro il contributo previsto pesa in maniera molto più limitata. Dunque il criterio adottato dall’Italia viola secondo la Commissione anche il principio di non discriminazione. Quanto all’obiezione da parte delle autorità italiane, secondo cui un parametro basato sul fatturato sarebbe discriminatorio - in quanto comporterebbe il pagamento di un importo diverso per ciascun operatore - e disincentivante rispetto all’espansione delle attività, la Commissione rileva che tale criterio è espressamente menzionato al considerando 31 della direttiva autorizzazioni come un possibile criterio di ripartizione leale.

 

Alla luce dei rilievi avanzati dalla Commissione si rileva l’opportunità di verificare se le modifiche apportate con l’articolo in esame siano idonee a corrispondere del tutto a tali rilievi.

 


 

Articolo 5
(Disposizioni relative ai servizi di media audiovisivi. Corretto recepimento della direttiva 89/552/CEE, come modificata dalla direttiva 2007/65/CE e codificata dalla direttiva 2010/13/UE. Caso EU
Pilot 1890/11/INSO)

 

 

L’articolo 5 interviene sull’esclusione dal calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario dei trailers di opere cinematografiche di origine europea - già prevista dalla disciplina vigente sui servizi di media audiovisivi -, limitando tale esclusione al verificarsi della duplice condizione che i trailers abbiano autonoma collocazione nella programmazione e che non siano inseriti all’interno di una interruzione pubblicitaria.

 

In tal senso è integrato l’articolo 38, comma 12 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177), che disciplina le eccezioni ai fini del calcolo dei limiti massimi di affollamento.

 

Letteralmente, tuttavia, tale duplice condizione risulta essere limitativa anche dell’esclusione dei messaggi promozionali volti a sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti del libro e della lettura, pur se trasmessi gratuitamente o a condizione di favore, disposta dal medesimo comma 12.

 

Con riguardo alla formulazione del testo, dunque, sembrerebbe opportuno inserire le citate condizioni dopo le parole “filmati promozionali o di presentazione di opere cinematografiche di nazionalità europea di prossima programmazione”, anziché alla fine del comma 12 dell’articolo 38 del D.lgs. n. 177 del 2005.

 

Secondo quanto afferma la relazione illustrativa, la disposizione è finalizzata alla chiusura del caso EU Pilot 1890/11/INSO con cui la Commissione europea ha avanzato dei rilievi nei confronti dell’Italia in merito alla corretta attuazione della direttiva 2010/13/CE sui servizi di media audiovisivi.

 

 

La disciplina europea dei servizi di media audiovisivi

 

La direttiva 2007/65/CE, con la quale è stata modificata, da ultimo, la direttiva 1989/552/CEE (cosiddetta “TV senza frontiere”), ha inteso istituire un quadro normativo per facilitare la realizzazione di uno spazio unico dell'informazione e applicare almeno un complesso minimo di norme coordinate a tutti i servizi di media audiovisivi, vale a dire ai servizi di radiodiffusione televisiva (cioè, ai servizi di media audiovisivi lineari), e ai servizi di media audiovisivi a richiesta (cioè, ai servizi di media audiovisivi non lineari – video on demand).

Con direttiva 2010/13/UE è stata emanata la versione codificata della direttiva sui servizi di media audiovisivi, che ha contestualmente abrogato quella del 1989, preservandone, tuttavia, il contenuto. Come evidenziato nella premessa della proposta di direttiva “la nuova direttiva sostituisce le varie direttive che essa incorpora, preserva in pieno la sostanza degli atti oggetto di codificazione e pertanto non fa altro che riunirli apportando unicamente le modifiche formali necessarie ai fini dell’opera di codificazione”[4].

 

Per quanto riguarda più specificamente la disciplina della pubblicità televisiva, la direttiva innanzitutto definisce «pubblicità televisiva» ogni forma di messaggio televisivo trasmesso dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, da un’impresa pubblica o privata o da una persona fisica nell’ambito di un’attività commerciale, industriale, artigiana o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o di servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni (articolo 1, paragrafo 1, lettera i), della direttiva 2010/13/UE).

Il concetto di spot televisivo pubblicitario è inteso come pubblicità televisiva della durata massima di dodici minuti[5].

 

La direttiva, inoltre, prevede che “per garantire un’integrale ed adeguata protezione degli interessi della categoria di consumatori costituita dai telespettatori, è essenziale che la pubblicità televisiva sia sottoposta ad un certo numero di norme minime e di criteri e che gli Stati membri abbiano la facoltà di stabilire norme più rigorose o più particolareggiate e, in alcuni casi, condizioni differenti per le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione”[6].

 

Con specifico riferimento ai limiti di affollamento pubblicitario, larticolo 23 della direttiva stabilisce che “la percentuale di spot televisivi pubblicitari e di spot di televendita[7] in una determinata ora d’orologio non deve superare il 20 %” (paragrafo 1). Sono previste delle eccezioni, posto che la disposizione “non si applica agli annunci dell’emittente relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati, agli annunci di sponsorizzazione e agli inserimenti di prodotti” (paragrafo 2).

La disciplina nazionale

 

Il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (originariamente Testo unico della radiotelevisione), emanato con decreto legislativo del 31 luglio 2005, n. 177[8], contiene i principi generali per la prestazione di servizi di media audiovisivi e radiofonici, tenendo conto del processo di convergenza fra le diverse forme di comunicazioni, quali le comunicazioni elettroniche, l'editoria, anche elettronica ed internet in tutte le sue applicazioni, nonché le disposizioni legislative vigenti in materia di servizi di media audiovisivi e radiofonici.

 

Nell’ambito delle disposizioni sulla pubblicità, le sponsorizzazioni e l'inserimento di prodotti, l’articolo 38 del decreto n. 177 dispone in materia di limiti di affollamento, prevedendo - nel testo originario, al comma 10 - che la trasmissione di messaggi pubblicitari facenti parte di iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti del libro e della lettura, trasmessi gratuitamente o a condizione di favore, è esclusa dal computo dei limiti massimi di affollamento pubblicitario.

 

Il decreto legislativo n. 177 del 2005 è stato in primo luogo modificato dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44, di attuazione della direttiva 2007/65/CE, e successivamente dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 120, che ha apportato modifiche ed integrazioni al decreto legislativo n. 44 del 2010.

 

Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44

 

Una prima modifica è intervenuta nel 2010 con il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44, che ha dato attuazione in Italia alla direttiva 2007/65/CE, sulla base della delega prevista nella legge comunitaria 2008 (legge n. 88 del 2009).

 

In particolare, per adeguare l’ordinamento italiano alle nuove disposizioni di rango europeo, l’articolo 12, comma 1 del decreto n. 44 del 2010 ha stabilito limiti di affollamento pubblicitario differenziati per la concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo e per le altre emittenti, sostituendo integralmente la disciplina contenuta all’articolo 38 del Testo unico.

 

L’articolo 38, come modificato dal d.lgs. n. 44 del 2010, prevede in particolare, che la trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della RAI non può eccedere il 4% dell’orario settimanale di programmazione ed il 12% di ogni ora; ogni eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2% nel corso di un’ora, deve essere recuperata nell’ora antecedente o successiva.

Tali limiti risultano assai più rigorosi di quelli imposti alle emittenti private.

Ad esempio, con riferimento alla trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti operanti in ambito nazionale, i limiti vigenti sono costituiti dal 15% dell’orario giornaliero di programmazione ed il 18% di ogni ora; anche in questo caso, l’eventuale eccedenza, non superiore al 2%, va recuperata nell’ora successiva o antecedente. Inoltre, sotto determinate condizioni, il limite di trasmissione quotidiana è portato al 20%.

 

Con riferimento all’esclusione dal computo dei limiti di affollamento pubblicitario, inoltre, il nuovo comma 12 (originariamente, comma 10) dell’articolo 38 ha esteso la disciplina prevista per i messaggi promozionali a favore della lettura e del libro trasmessi gratuitamente o a condizioni di favore, all’ulteriore categoria costituita da brevi messaggi pubblicitari rappresentati da anteprime di opere cinematografiche di prossima programmazione di nazionalità europea.

 

Decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 120

 

Nel 2012 alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 44 del 2010 sono state oggetto di modifiche ed integrazioni, rese necessarie dall’esigenza di rimuovere alcuni profili di ambiguità della disciplina che avevano formato oggetto di rilievi da parte della Commissione europea, nell’ambito del caso EU Pilot 1890/11/INSO, aperto il 29 marzo 2011. Si tratta della medesima procedura di pre-infrazione che l’articolo 5 del disegno di legge europea 2014 mira a chiudere.

 

Il decreto legislativo n. 120 del 28 giugno 2012 è stato emanato in risposta alle indicazioni ricevute dalla Commissione europea e anch’esso sulla base della delega contenuta nella legge comunitaria 2008[9].

 

In particolare, il testo vigente dell’articolo 38, comma 12, del decreto legislativo n. 177 del 2005 (come sostituito dall’articolo 2, comma 1, del citato decreto legislativo n. 120 del 2012) dispone l’esclusione dal computo dei limiti di affollamento pubblicitario – tout courtdei filmati promozionali o di presentazione di opere cinematografiche di nazionalità europea di prossima programmazione.

 

Per completezza, si ricorda che il contenuto di tale disposizione non coincide esattamente con la formulazione proposta dal Governo nel relativo schema di decreto legislativo sottoposto all’esame delle Commissioni parlamentari (atto del Governo n. 454).

Nello specifico, il testo dello schema prevedeva che anche l’esclusione dal calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario dei trailers di opere cinematografiche di origine europea di prossima programmazione fosse condizionata al fatto che la trasmissione fosse operata gratuitamente o a condizioni di favore.

Secondo quanto indicato nella relazione illustrativa, in tal modo erano state “eliminate le ambiguità concernenti la disciplina dei trailers inerenti alle opere di nazionalità europea”.

 

Sullo schema di decreto legislativo n. 454, la XIV Commissione Politiche dell’Unione europea della Camera ha espresso, nella seduta del 6 giugno 2012, parere favorevole con una osservazione. Nello specifico, la XIV Commissione, considerato che lo schema sembrava rispondere alle contestazioni avanzate, mediante le modifiche apportate al comma 12 dell'articolo 38 del decreto legislativo n. 177 del 2005, “che subordinano l'esclusione dei messaggi promozionali di opere cinematografiche europee, ai fini del calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario, al fatto che la trasmissione dei messaggi, definiti «promozionali», sia operata gratuitamente o a condizioni di favore”, e rilevato, al contempo, che “la direttiva 2010/13/UE limita le deroghe previste dall'articolo 23, paragrafo 2, agli annunci dell'emittente relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati, agli annunci di sponsorizzazione e agli inserimenti di prodotti”, ha invitato il Governo ad effettuare gli opportuni approfondimenti al fine di valutare la piena congruità della soluzione proposta dal Governo ai rilievi avanzati con la procedura EU Pilot 1890/11/INSO.

Procedure di contenzioso

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 1890/11/INSO, avviata il 29 marzo 2011, ha sollevato dubbi sul corretto recepimento da parte dell’Italia della direttiva 89/552/CEE sui servizi di media audiovisivi, come modificata dalla direttiva 2007/65/CE e codificata dalla direttiva 2010/13/UE.

 

In particolare, la Commissione ha formulato rilievi su varie disposizioni del decreto legislativo n. 44/2010 che è intervenuto a modificare il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (decreto legislativo n. 177 del 2005).

 

I chiarimenti forniti dal Governo nell’ambito della procedura EU Pilot, hanno consentito di superare gran parte dei rilievi originariamente avanzati dalla Commissione, che ha mantenuto le sue contestazioni e richieste di chiarimento in merito a tre questioni, l’ultima delle quali costituisce oggetto dell’articolo in esame:

-  la tutela dei minori nei servizi televisivi lineari e su richiesta. In relazione al primo aspetto, - che non costituisce oggetto dell’articolo in esame - si ricorda che è intervenuto il decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 120, che ha modificato la norma oggetto dei rilievi della Commissione;

- la fissazione di un limite orario per la pubblicità differenziato a seconda che si tratti di emittenti a pagamento (il cui limite è fissato al 12% a decorrere dal 2012) o di emittenti in chiaro (il cui limite è fissato al 18%);

- l’articolo 38, comma 12, del testo unico sui servizi di media audiovisivi e radiofonici, che prevede che i brevi messaggi pubblicitari di opere cinematografiche di nazionalità europea di prossima programmazione non vengano computati ai fini del calcolo dei limiti massimi per la pubblicità. In tal modo, secondo la Commissione, l’Italia avrebbe introdotto un’eccezione ulteriore rispetto a quelle già previste dall’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva[10].

 


 

Articolo 6
(Disposizioni concernenti la libera prestazione di servizi degli agenti di brevetto. Procedura di infrazione n. 2014/4139)

 

 

L’articolo 6 modifica l’articolo 147 del Codice della proprietà industriale (D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30), relativo alle domande di brevetto o di marchio, al fine di abolire la necessità per il richiedente o l’eventuale mandatario, di indicare o eleggere un domicilio in Italia. Si prevede, pertanto, la facoltà per il richiedente di eleggere domicilio in uno qualunque dei Paesi dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo, affinché ivi possa ricevere le comunicazioni e notificazioni dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi. Inoltre, per le imprese e i professionisti è previsto l’obbligo di indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica.

 

La disposizione è finalizzata alla chiusura della procedura d’infrazione n. 2014/4139, nell’ambito della quale la Commissione europea sostiene che l’articolo 147, comma 3-bis del C.p.i. ostacola la libera prestazione dei servizi prevista dall’articolo 56 TFUE e dall’articolo 16 della direttiva 2006/123/CE (cd “direttiva servizi”), nella misura in cui impone ai mandatari di brevetto un’elezione di domicilio esclusivamente in Italia.

 

Più in particolare:

·         è sostituito il comma 3-bis dell’articolo 147 al fine di consentire al richiedente di eleggere domicilio in uno qualunque dei Paesi dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo, affinché ivi possa ricevere le comunicazioni e notificazioni dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi. Per quanto riguarda i mandatari, si fa rinvio al comma 4-bis dell’articolo 201 C.p.i., il quale prevede che i cittadini dell’Unione europea abilitati all’esercizio della medesima professione in un altro Stato membro possono iscriversi all’albo dei consulenti in proprietà industriale abilitati secondo le procedure di cui al decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, senza tuttavia avere l’obbligo di eleggere domicilio in Italia (comma 1, lettera a);

·         è aggiunto il comma 3-ter, all’articolo 147, che prevede l’obbligo per le imprese, i professionisti e i mandatari, nei casi in cui sia loro richiesto di indicare o eleggere domicilio, di indicare anche il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica basato su tecnologie certificanti data e ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e l’integrità del contenuto delle stesse, garantendo l’interoperabilità con analoghi sistemi internazionali. Al riguardo è esplicitamente fatta salva l’applicazione dell’articolo 16 del decreto-legge 185/2008 in merito agli obblighi per le imprese costituite in forma societaria di indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata nella domanda di iscrizione al registro delle imprese E’ altresì previsto che in caso di omessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica da parte di qualunque soggetto, comprese le persone fisiche, gli oneri connessi alle comunicazioni a cui l’Ufficio italiano brevetti e marchi è tenuto, a norma del C.p.i., rimangano a loro carico (comma 1, lettera b).

·         è aggiunto il comma 3-quater all’articolo 147, al fine di prevedere che ove manchi l’indicazione o l’elezione del domicilio ai sensi del comma 3-bis e 3-ter nonché in tutti gli altri casi di irreperibilità, le comunicazioni e notificazioni si eseguono mediante affissione di copia dell’atto o avviso del contenuto di esso nell’albo dell’Ufficio italiano brevetti e marchi, consentendo l’ordinato svolgimento dei procedimenti pendenti (comma 1, lettera b).

·         è modificato l’articolo 148 al fine di eliminare le parole “in Italia” ove riferite al domicilio eletto (comma 2).

 

Procedure di contenzioso

Il 16 ottobre 2014 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora, ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, con riferimento all’articolo 147, comma 3-bis del Codice della proprietà industriale italiano (D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30).

 

In particolare, la Commissione ritiene che la disposizione in oggetto, imponendo ai richiedenti di brevetto (o, se vi sono, ai mandatari) di eleggere un domicilio in Italia per ricevere le comunicazioni e notificazioni da farsi a norma del codice, costituisce una restrizione della libertà fondamentale di libera prestazione dei servizi, garantita dall’articolo 56 del TFUE e dall’articolo 16 della direttiva 2006/123/CE,

 

La Commissione ricorda che l’articolo 56 del TFUE osta a qualsiasi disposizione nazionale che vieti, ostacoli o renda meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro. Tali disposizioni risultano compatibili con la normativa europea soltanto se: si applicano in modo non discriminatorio; sono giustificate da motivi imperiosi di interesse generale; sono idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito; non vanno oltre quanto è necessario per il raggiungimento di tale scopo. L’articolo 16 della direttiva 2006/123/CE prescrive che gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i principi di:

-     non discriminazione: i requisiti non possono essere direttamente o indirettamente discriminatori sulla base della nazionalità o, nel caso di persone giuridiche, della sede,

-     necessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente,

-     proporzionalità: i requisiti sono tali da garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo.

 

A fronte della richiesta di informazioni da parte della Commissione europea, che nell’aprile 2014 aveva aperto nei confronti dell’Italia il caso EU Pilot 6080/14/MARKT, le autorità italiane avevano risposto giustificando l’obbligo di eleggere domicilio con la necessità di determinare la giurisdizione competente e di garantire il corretto svolgimento del procedimento.

 

La Commissione non ha accolto le argomentazioni addotte dalle autorità italiane, chiamando in causa la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, ritenendo che la necessità di assicurare il corretto svolgimento del procedimento possa essere adeguatamente soddisfatta - anziché mediante l’elezione del domicilio - attraverso diversi strumenti tecnici, come il fax o la posta elettronica.

 

Pertanto, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, la Commissione ritiene che il requisito del domicilio imposto dall’Italia sia sproporzionato e non necessario e che quindi l’articolo 147, comma 3-bis del Codice della proprietà industriale italiano sia incompatibile con l’articolo 56 del TFU e l’articolo 16 della direttiva 2006/123/CE.

 


 

Articolo 7
(Disposizioni in materia di affidamento di servizi pubblici locali. Procedure di infrazione n. 2012/2050 e 2011/4003)

 

 

L’articolo 7 modifica la disciplina transitoria applicabile agli “affidamenti diretti” di servizi pubblici locali di rilevanza economica, ai sensi dell’articolo 34, comma 22, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.

 

Si ricorda che in base alla normativa vigente, contenuta nell'articolo 34, commi 20-25, del decreto-legge n. 179 del 2012, la scelta delle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali (SPL) viene rimessa all'ente affidante, sulla base di una relazione, da rendere pubblica sul sito internet dell'ente stesso, che deve dare conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche (se previste).

La normativa richiamata ha previsto anche una disciplina transitoria (articolo 34, comma 21), disponendo che gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del decreto, che non siano conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea, devono essere adeguati entro il termine del 31 dicembre 2013 (pubblicando, entro la stessa data, la relazione prevista). Per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza, gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento, prescrivendo, comunque, che il mancato adempimento degli obblighi stabiliti determina la cessazione dell'affidamento alla data del 31 dicembre 2013.

In deroga a quanto previsto dalla disposizione originaria, nel corso della legislatura, è intervenuto l'articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 150 del 2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 15 del 2014) che ha prorogato la durata degli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 179 del 2012 fino al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014; tuttavia, tale proroga non si applica in ogni caso, ma limitatamente alle ipotesi in cui l'ente affidante, ovvero, ove previsto, l'ente di governo dell'ambito o bacino territoriale ottimale e omogeneo, abbia avviato le procedure di affidamento di servizi, con l'adozione e la pubblicazione della relazione che motiva l'affidamento prescelto. Il mancato rispetto del termine, comporta la cessazione degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea alla data del 31 dicembre 2014.

 

Il citato comma 22 dell’articolo 34 ha stabilito disposizioni particolari per gli "affidamenti diretti", cioè senza gara, in essere alla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge n. 179 del 2012 (18 ottobre 2012), anche non conformi alla normativa europea.

 

Per questi è stato previsto che cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto; mentre gli affidamenti che non prevedono una data di scadenza cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, il 31 dicembre 2020.

 

Tale particolare regime è previsto solo a condizione che gli affidamenti:

Ø siano stati assentiti alla data del 1º ottobre 2003;

Ø riguardino società a partecipazione pubblica già quotate in borsa alla data del 1° ottobre 2003; ovvero società da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile[11].

 

L’articolo 7 del disegno di legge in esame introduce due modifiche a tale disciplina, al fine di risolvere la procedura di infrazione n. 2012/2050, allo stadio di parere motivato ex articolo 258 TFUE, nella quale è contestata allo Stato italiano la violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici e concessioni, derivante da affidamenti di servizi di igiene urbana da parte di alcuni comuni, nonché l’articolo 34, comma 22, del decreto-legge n. 179 del 2012 in materia di affidamento di servizi pubblici locali a società a partecipazione pubblica quotate in borsa o da queste controllate (su cui, v. infra).

 

Nella relazione illustrativa, il Governo sostiene che le modifiche proposte consentirebbero, inoltre, di chiudere positivamente anche la procedura d’infrazione n. 2011/4003, allo stadio di messa in mora complementare ex articolo 258 TFUE, con la quale la Commissione europea ha contestato al Governo italiano la non conformità al diritto europeo degli affidamenti diretti dei servizi di raccolta e smaltimento rifiuti disposti da numerosi Comuni delle province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza alla società IREN S.p.A., in quanto non giustificati alla luce delle condizioni stabilite dalla Corte di giustizia in materia di “in house providing”.

 

La prima modifica chiarisce che sono salvi gli affidamenti assentiti a società a partecipazione pubblica quotate prima del 1° ottobre 2003 o da società da queste controllate alla medesima data. Come già previsto, tali affidamenti termineranno alla naturale scadenza del contratto oppure nel 2020, se nel contratto non è prevista alcuna scadenza.

 

Con tale modifica, come si legge nella relazione al provvedimento, il Governo intende superare i rilievi della Commissione europea, per la quale la possibilità di mantenere in essere fino alla scadenza affidamenti assentiti, senza procedura ad evidenza pubblica, a società poste sotto il controllo delle società quotate in borsa al 1° ottobre 2003, posteriormente a tale data si pone in contrasto con la giurisprudenza europea intervenuta dopo il 2003, in base alla quale la partecipazione anche minoritaria di una impresa privata nel capitale di una società, a cui partecipa anche l’amministrazione aggiudicatrice interessata, “esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi” (sentenza della Corte di Giustizia UE dell’11 gennaio 2005 - Causa C-26/03, Stadt Halle).

Inoltre, la Corte di giustizia ha rilevato che nella disciplina europea degli appalti vige un principio (applicabile anche alle concessioni di servizi) in base al quale quando un appalto è stato attribuito senza indizione di una gara da una autorità pubblica ad una società a capitale interamente pubblico, in quanto considerata una struttura ‘interna’, il fatto che, durante il periodo di validità di tale appalto, azionisti privati siano ammessi a partecipare al capitale di detta società, costituisce un cambiamento di una condizione fondamentale dell’appalto che necessita di un’indizione di una nuova gara.

 

La seconda modifica (che aggiunge un periodo finale al comma 22 dell’articolo 34) introduce una nuova disciplina transitoria per consentire la chiusura degli affidamenti assentiti a società che sono state poste sotto il controllo delle società quotate in borsa dopo il 1° ottobre 2003, stabilendo che tali affidamenti cessano improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante il 31 dicembre 2018 o alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto se anteriore.

 

Considerato che la Commissione europea ha ritenuto non proporzionato e non giustificato da ragioni obiettive il termine del 31 dicembre 2020 (v. infra), il Governo ha previsto una più ravvicinata scadenza del periodo transitorio al fine di garantire la continuità dei servizi affidati, la cui congruità dovrà essere valutata in sede europea.

 

Infine, la nuova formulazione della disposizione fa salvo quanto previsto dall’articolo 3-bis, comma 2-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (legge n. 148 del 2011), il quale precisa che, anche in caso di operazioni societarie quali l’acquisizione o la fusione, viene mantenuta la concessione in essere; in tale quadro, è consentita ove necessario, la rideterminazione dell’equilibrio economico finanziario del nuovo soggetto gestore, ai sensi dell’articolo 143 del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163), anche tramite l’aggiornamento del termine di scadenza delle concessioni in essere.

 

In particolare, la disposizione richiamata, introdotta dalla legge di stabilità 2015 (articolo 1, comma 609, lettera b) della legge n. 190 del 2014), prevede che, a seguito di operazioni societarie effettuate “con procedure trasparenti”, comprese fusioni o acquisizioni, l’operatore economico succeduto al concessionario iniziale, in via universale o parziale, fermo restando il rispetto dei criteri qualitativi stabiliti inizialmente, prosegue nella gestione dei servizi fino alle scadenze previste. In tale ipotesi, anche su istanza motivata del gestore, è accertata dal soggetto competente la persistenza dei criteri qualitativi e la permanenza delle condizioni di equilibrio economico-finanziario al fine di procedere, ove necessario, alla loro rideterminazione, che può avvenire anche tramite l’aggiornamento del termine di scadenza di tutte o alcune delle concessioni in essere.

A tal fine, è disposto che l’Autorità di regolazione competente (ove istituita) svolge le verifiche richieste dall’articolo 143, comma 8, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), anche con riferimento al programma degli interventi definito a livello di ambito territoriale ottimale sulla base della normativa e della regolazione di settore.

 

Procedure di contenzioso

Procedura di infrazione n. 2012/2050

Il 16 ottobre 2014 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato, nell’ambito della procedura di infrazione n. 2012/2050, per violazione della normativa dell’UE in materia di appalti pubblici e concessioni, in relazione:

a)    al mantenimento dell’affidamento da parte dei Comuni di Varese e Casciago dei servizi di igiene urbana alla società Aspem, mediante chiamata diretta anziché con procedura con gara;

b)    all’articolo 34, comma 22, del decreto-legge n. 179 del 2012, in base al quale gli affidamenti pubblici, già in essere alla data del 1° ottobre 2003 - in favore di società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate - restano necessariamente in vigore fino alla scadenza disposta nei relativi accordi, e, in mancanza della determinazione di tale scadenza, fino al 31 dicembre 2020.

 

In particolare, la Commissione europea ritiene violati gli articoli 28, 35 e 36 della direttiva 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, nonché gli articoli 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’UE, relativi alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi in tutti gli Stati UE.

 

In base a tali disposizioni, quando un’Amministrazione intende affidare ad un privato l’esecuzione di lavori, opere, servizi e forniture, essa deve, di regola, selezionare l’operatore con una procedura di pubblica gara, a meno che l’affidatario sia un organismo “in house (rispetto all’Amministrazione aggiudicatrice) interamente pubblico. Tuttavia, la Commissione osserva che, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, ove nel corso del periodo di validità di un appalto attribuito ad una società in house senza gara, siano ammessi a partecipare al capitale della medesima società azionisti privati, si determina il mutamento di una condizione essenziale dell’appalto con conseguente obbligo di indire una gara.

 

La procedura di infrazione era stata avviata con lettera di messa in mora del giugno 2012 nella quale la Commissione contestava l’affidamento dei servizi di igiene urbana ad ASPEM, osservando che essa fino al 15 gennaio 2009 era una società per azioni interamente pubblica. In tale ultima data, una quota del 90% di ASPEM è stata ceduta alla società A2A, partecipata da investitori privati per il 44% del capitale.

 

Alla luce della normativa e della giurisprudenza richiamate, secondo la Commissione europea, in conseguenza della privatizzazione di ASPEM, i Comuni coinvolti avrebbero dovuto risolvere l’affidamento stesso e riassegnare il servizio di igiene urbana a mezzo di gara pubblica, o, altrimenti, avrebbero dovuto fare oggetto di pubblica gara la vendita stessa della quota del 90% di Aspem. Nessuna delle due operazioni, secondo la Commissione, è stata messa in atto dai Comuni di Varese e Casciago.

 

In risposta alla lettera di messa in mora con la quale la Commissione aveva avviato la procedura di infrazione nel giugno 2012, le autorità italiane, nel successivo mese di ottobre, avevano rilevato l’ostacolo per i comuni interessati a conformarsi alla disciplina europea derivante dalla normativa nazionale di cui all’articolo 34, comma 22, del decreto-legge 179 del 2012. In base a tale disposizione, gli affidamenti pubblici, già in essere alla data del 1° ottobre 2003 - in favore di società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate - restano necessariamente in vigore fino alla scadenza disposta nei relativi accordi, e, in mancanza della determinazione di tale scadenza, fino al 31 dicembre 2020.

 

Nell’ambito di questa fattispecie, secondo le autorità italiane, rientra anche il caso di Aspem che, come ricordato, nel 2009, è passata sotto il controllo di A2A, già quotata in borsa al 1° ottobre 2003. Pertanto, in base al richiamato articolo 34, i Comuni di Varese e Casciago non possono risolvere i loro affidamenti prima, rispettivamente, del 2030 e del 2015.

 

La Commissione europea non ha tuttavia ritenuto che un impedimento derivante da una normativa nazionale potesse giustificare la mancata applicazione della disciplina europea da parte dei comuni interessati; preso atto che il richiamato articolo 34, comma 22 del decreto legge 179/2012, impone alle amministrazioni aggiudicatrici di mantenere in essere fino alla scadenza naturale del contratto, affidamenti assentiti senza procedure di evidenza pubblica a società con partecipazione privata significativa o preponderante, la Commissione ha contestato, con una lettera di messa in mora complementare, inviata il 20 novembre 2013, anche la compatibilità con la richiamata normativa in materia di appalti e concessioni del medesimo articolo 34, comma 22.

 

In risposta alla messa in mora complementare e ai fini della soluzione della procedura di infrazione, le autorità italiane hanno sottoposto nell’aprile 2014 alla Commissione una ipotesi di modifica del richiamato articolo 34, comma 22, volta a disporre la cessazione al 31 dicembre 2020 di tutti gli affidamenti assentiti senza procedure di evidenza pubblica a società con partecipazione privata.

 

La Commissione ha tuttavia considerato non proporzionato e non giustificato da ragioni obiettive un periodo transitorio di durata così lunga ed ha pertanto emesso il parere motivato in commento.

 

 

Procedura di infrazione n. 2011/4003

Sempre con riferimento all’articolo 7, si segnala che il 24 novembre 2001 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora complementare, nell’ambito della procedura di infrazione n. 2011/4003, in relazione all'affidamento senza previo espletamento di gara pubblica da parte dei Comuni di Parma, Piacenza, e Reggio Emilia, nonché altri comuni siti nelle rispettive Province, alla società IREN S.p.A. del servizio di smaltimento dei rifiuti.

 

Anche in questo caso la violazione contestata riguarderebbe gli articoli 28, 35 e 36 della direttiva 2004/18/CE, nonché gli articoli 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’UE.

 

La Commissione ritiene che la normativa sia stata violata in quanto le Amministrazioni aggiudicatrici non intratterrebbero con la società in questione un rapporto “in house”, dal momento che la stessa è partecipata anche da privati, e mancherebbe dunque il primo requisito dell’in house, ovvero il possesso totalitario della società da parte dell’ente pubblico.

 


 

Articolo 8
(Disposizioni in materia di immigrazione e di rimpatri. Procedura di infrazione n. 2014/2235)

 

 

L’articolo 8 prevede che lo straniero (cittadino di uno Stato extra-UE), in possesso di un regolare permesso di soggiorno rilasciato da un altro Stato dell’UE che si trattiene nel territorio nazionale oltre i 3 mesi consentiti dalla legge, se non ottempera immediatamente all’ordine di ritornare nello Stato membro, viene espulso forzatamente nello Stato di origine o provenienza e non nello Stato che ha rilasciato il permesso di soggiorno, come attualmente prevede la legge. Il rimpatrio forzato dello straniero verso lo Stato membro dell’Unione che ha rilasciato il titolo di soggiorno e non verso il Paese terzo di origine dell’interessato è possibile solo in caso di intese o accordi bilaterali di riammissione già operativi prima del 13 gennaio 2009, ossia della data di entrata in vigore della direttiva 2008/115/CE (cosiddetta direttiva rimpatri).

 

L’intervento normativo, realizzato con una modifica all’articolo 5, comma 7-ter, del testo unico immigrazione (D.Lgs. 286 del 1998) è appunto finalizzato ad adeguare l’ordinamento interno a tale direttiva ed in particolare all’articolo 6, paragrafo 2, che prevede che un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare e che è in possesso di un permesso di soggiorno valido o di un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare rilasciati da un altro Stato membro deve recarsi immediatamente nel territorio di quest'ultimo.

 

A causa del non corretto recepimento della direttiva la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione (n. 2014/2235) (v. infra).

 

In base alla direttiva, in caso di mancata osservanza di questa prescrizione da parte del cittadino di un paese terzo interessato ovvero qualora motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale impongano la sua immediata partenza, si applica il paragrafo 1 del citato articolo 6 che dispone l’obbligo per gli Stati membri di adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare.

 

Nella direttiva per rimpatrio si intende in generale il ritorno nel Paese di origine, o in un Paese di transito (in conformità di accordi), ovvero in un Paese terzo cui l’interessato decide volontariamente di andare e in cui viene accettato (articolo 3, n. 3, direttiva 2008/115/CE).

 

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3 della direttiva, inoltre, si prevede che si possa derogare all’espulsione verso il Paese di origine se il cittadino irregolare è riammesso dal Paese che ha rilasciato il permesso di soggiorno in virtù di accordi o intese bilaterali in vigore al momento dell’entrata in vigore della direttiva (gennaio 2009). A tale fattispecie viene dunque fatto riferimento con la novella al TU immigrazione disposta dal disegno di legge in commento.

 

La direttiva rimpatri è stata recepita nel nostro ordinamento dal decreto-legge 89 del 2011 (articoli 3, 4 e 5) che ha operato alcune modifiche a diverse disposizioni del TU., ma non anche all’articolo 5, oggetto di novella da parte dell’articolo in esame, in quanto la sua formulazione vigente all’epoca, è stata ritenuta coerente con la direttiva, anche perché prevedeva appunto l’espulsione verso il Paese terzo di origine e non verso il Paese membro che aveva rilasciato il permesso di soggiorno.

Successivamente, a seguito di un ulteriore intervento normativo, l’articolo 5 è stato modificato nel testo vigente, risultando così non più aderente alla direttiva.

Tale intervento è stato effettuato con la legge europea 2013-bis che ha adeguato la norma al regolamento (CE) n. 562/2006 del 15 marzo 2006. Il regolamento istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) e prevede che i cittadini non comunitari possono circolare liberamente nell’area Schengen per tre mesi se in possesso di un titolo di soggiorno valido (articolo 5). L’adeguamento era necessario perché la norma interna prevedeva l’espulsione dopo 60 giorni, anziché tre mesi.

Pertanto, l’articolo 3 comma 1, lettere a) e b) della legge europea 2013-bis (legge n. 161 del 2014) hanno modificato il comma 7 dell’articolo 5 del TU e hanno introdotto 3 nuovi commi per disciplinare:

-       l’espulsione con intimazione a lasciare il territorio nazionale dello straniero in possesso di un titolo di soggiorno rilasciato da altro Paese membro che si è trattenuto oltre tre mesi in Italia (comma 7-bis);

-       l’espulsione coatta in caso di violazione all’intimazione di cui sopra (comma 7-ter).

-       la riammissione dello straniero espulso da un altro Paese membro ed in possesso di regolare titolo di soggiorno rilasciato dall’Italia.

 

Sia nel caso di espulsione effettuata con foglio di via, sia nel caso di espulsione forzata, si prevede che il Paese di espulsione sia quello che ha rilasciato il permesso di soggiorno.

 

Con riferimento alla fattispecie in esame, la Commissione europea ha rilevato una violazione della direttiva nelle modalità di esecuzione dell’espulsione forzata, che non può essere effettuata verso un Paese membro, bensì verso il Paese di origine dell’interessato, a meno che non siano intervenute intese bilaterali.

 

Come specificato nella relazione illustrativa del disegno di legge in esame, gli Stati membri con cui l’Italia ha concluso intese o accordi bilaterali di riammissione sono: Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Francia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria.

 

Si ricorda che l’articolo 3, comma 1, lettera d), della legge europea 2013-bis ha inserito nell’articolo 13 del testo unico, relativo all’espulsione amministrativa dello straniero privo di qualsiasi titolo di soggiorno valido, il comma 14-ter, secondo cui solo in presenza di accordi o intese bilaterali con altri Stati membri dell’Unione europea entrati in vigore in data anteriore al 13 gennaio 2009, lo straniero può essere rinviato verso tali Stati.

Di fatto la norma in esame estende tale disposizione anche per gli stranieri irregolari con permesso di soggiorno rilasciato da altro Stato membro.

 

Il testo unico contempla diversi tipi di espulsione riconducibili sostanzialmente a due categorie giuridiche: l’espulsione quale sanzione amministrativa, comminata, appunto, dall’autorità amministrativa (Ministro o Prefetto) in caso di violazione delle regole relative all’ingresso e al soggiorno e l’espulsione applicata dal giudice nell’ambito di un procedimento penale (l’espulsione a titolo di misura di sicurezza e l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa a sanzione penale).

Esse rispondono a due distinte finalità: la prima punisce coloro che trasgrediscono le procedure fissate per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri e costituiscono dunque una sanzione necessaria ai fini del loro rispetto.

La seconda colpisce il comportamento delinquenziale dello straniero a prescindere dalla regolarità della sua posizione amministrativa. Tuttavia, alcune forme di espulsione “giudiziaria” possono essere eseguite solo nei confronti degli stranieri passibili di espulsione amministrativa.

Il regime dell’espulsione è stato notevolmente modificato nel 2011, a seguito del recepimento della direttiva 2008/115/CE (cosiddetta, direttiva rimpatri) operato dal decreto-legge 89 del 2011 (articoli 3, 4 e 5). Per il mancato recepimento della direttiva, il cui termine di trasposizione era scaduto il 24 dicembre 2010, era stata avviata, da parte della Commissione, la fase prodromica all’apertura della procedura di infrazione.

La direttiva 2008/115 ha introdotto norme comuni sul rimpatrio dei cittadini stranieri che, ai sensi del diritto interno, si trovano in condizioni di irregolarità e si basa sul principio che il rimpatrio deve avvenire ordinariamente in maniera volontaria e solamente in presenza di determinate condizioni può essere effettuato coattivamente. In conformità a tale principio il decreto-legge 89, invertendo l’impostazione precedente risalente alla legge n. 189 del 2002 (Bossi-Fini) ha stabilito che l’espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera è disposta esclusivamente nei casi individuati dalla direttiva (pericolo di fuga, diniego della domanda di permesso di soggiorno in quanto infondata o fraudolenta, espulsione disposta dal giudice, ecc.). Negli altri casi l’espulsione è attuata con l’intimazione ad allontanarsi volontariamente il territorio nazionale, lasciando allo straniero (come previsto dalla direttiva) un congruo periodo di tempo (da 7 a 30 giorni) per adempiere.

Procedure di contenzioso

Con lettera di messa in mora del 16 ottobre 2014, nell’ambito della procedura di infrazione n. 2014/2235, la Commissione europea contesta all’Italia l’inosservanza di alcune disposizioni della direttiva 2008/115/CE recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (cosiddetta, direttiva rimpatri). Nella lettera di messa in mora si contesta, tra l’altro, la normativa italiana (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) relativa al regime di allontanamento dell’immigrato, il cui soggiorno in uno Stato membro è irregolare ma in possesso di un permesso di soggiorno valido o di un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare rilasciati da un altro Stato membro, verso quest’ultimo Stato.

 

In particolare si contesta all’Italia il fatto che il regime nazionale vigente preveda che l’allontanamento del citato soggetto è sempre eseguito verso lo Stato membro che ha rilasciato il permesso di soggiorno o altra autorizzazione al soggiorno, a prescindere dalla presenza o meno di accordi o intese di riammissione con quegli Stati membri.

 

La Commissione ritiene invece che, conformemente all’articolo 6, paragrafo 3 della “direttiva rimpatri”, il rimpatrio forzato in un altro Stato membro sia possibile esclusivamente nei casi in cui sia già in vigore un accordo bilaterale di riammissione con quello Stato membro. La Commissione europea precisa che in ogni altro caso il rimpatrio deve essere eseguito in direzione di un paese terzo.

 

Si ricorda che nella stessa lettera di messa in mora si contestano ulteriori addebiti, in particolare, con riferimento alle carenze del sistema di monitoraggio efficace di rimpatri forzati, alla mancata predisposizione di dispositivi per l’allontanamento dei cittadini detenuti durante la pena detentiva e conseguente trattenimento di ex detenuti successivamente al rilascio, e di condizioni materiali di trattenimento degli immigrati.

 


 

Articolo 9
(Disposizioni concernenti la patente di guida. Procedura di infrazione n. 2014/2116 e caso EU
Pilot 7070/14/MOVE)

 

 

L’articolo 9 interviene in materia di requisiti per il rilascio delle patenti di guida e di requisiti richiesti agli esaminatori ed elimina alcune limitazioni alla guida dei minorenni titolari di patenti. Le modifiche sono collegate alla violazione di norme europee in materia e per le quali sono aperti nei confronti dell’Italia una procedura di infrazione e un caso di pre-contenzioso.

 

I profili interessati dalle modifiche apportate dal presente articolo al Codice della Strada (D.Lgs. n. 285 del 1992) ed al decreto legislativo n. 59 del 2011, che regolano la materia, sono i seguenti:

 

·         il campo visivo minimo verso l’alto richiesto per il rilascio della patente, attualmente previsto nel decreto legislativo n. 59 del 2011, viene portato dagli attuali 25 gradi a 30 gradi, come previsto dalla direttiva 2006/126/CE (comma 1, lettera a);

 

·         viene abrogato il requisito richiesto agli esaminatori di guida, dal decreto legislativo n. 59 del 2011, di essere titolari di patente di categoria B da almeno tre anni per il rilascio delle patenti di categoria AM, A1, A2, A, B1 e B, poiché la normativa europea richiede solamente la titolarità da parte degli esaminatori, da almeno tre anni, di una patente della stessa categoria per la quale essi intendono esercitare la professione di esaminatore (comma 1, lettera b);

 

·         viene modificato l’articolo 115 del Codice della strada, abrogando il divieto oggi previsto per i sedicenni che conducono veicoli appartenenti alle categorie AM, A1 e B1 di trasportare un passeggero in quanto viola il principio comunitario del mutuo riconoscimento delle patenti sancito dalla direttiva 2006/126/UE (comma 2, lettera a);

 

Vengono di conseguenza abrogate, sia la disposizione secondo cui occorre aver compiuto il diciottesimo anno di età per condurre veicoli cui abilita la patente di guida delle categorie suddette, che le relative sanzioni amministrative da 38 a 155 euro previste dal comma 4 per i minori di anni diciotto, muniti di patenti delle categorie AM, A1 e B1, che trasportino altre persone.

Rimane invece vigente il divieto di portare passeggeri (previsto dall’articolo 115, lettera a), n. 2 che non viene modificato dall’articolo 9) per i quattordicenni che conseguano la patente AM.

 

·         si consente, modificando a tal fine l’articolo 116, comma 4, del Codice della Strada, alle persone con disabilità che conseguano una patente di guida “speciale”, la conduzione di veicoli trainanti un rimorchio di qualsiasi tipo, eliminando la limitazione oggi esistente che il rimorchio avesse massa massima autorizzata non superi 750 kg (comma 2, lettera b);

 

·         si consente al conducente abbia età superiore a 16 anni, anziché 18 anni come attualmente previsto, il trasporto di altre persone sui ciclomotori, a condizione che il veicolo sia omologato anche per il trasporto del passeggero; conseguentemente, si modifica la previsione della sanzione amministrativa pecuniaria e del fermo amministrativo del veicolo, limitandola ai soli minori di 16 anni anziché ai minori di 18 anni (comma 2, lettera d);

 

A tali fini la norma provvede a sostituire il comma 2 dell’articolo 170 del Codice della strada, facendo altresì venire meno, in quanto la nuova formulazione non lo prevede più, la necessità dell’emanazione di un apposito regolamento ministeriale per stabilire le modalità e i tempi per l'aggiornamento della carta di circolazione dei ciclomotori omologati anteriormente alla data del 1° luglio 2004.

 

·         si modifica l’erronea formulazione letterale del criterio della residenza normale per il rilascio della patente di guida e delle abilitazioni professionali, attualmente contenuto nell’articolo 118-bis del Codice della strada, per renderla applicabile anche ai cittadini italiani: la formulazione del novellato comma 1 prevede quindi che per residenza per il rilascio della patente e delle abilitazioni si intenda la residenza normale in Italia di cittadini di Stati membri dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo, anziché la residenza in Italia di cittadini di “altri” Stati membri (comma 2, lett. c).

 

Si ricorda che per residenza normale in Italia si intende il luogo, sul territorio nazionale, in cui una persona dimora abitualmente, vale a dire per almeno centottantacinque giorni all'anno, per interessi personali e professionali o, nel caso di una persona che non abbia interessi professionali, per interessi personali, che rivelino stretti legami tra la persona e il luogo in cui essa abita. Si intende altresì per residenza normale il luogo, sul territorio nazionale, in cui una persona, che ha interessi professionali in altro Stato comunitario o dello Spazio economico europeo, ha i propri interessi personali, a condizione che vi ritorni regolarmente. Tale condizione non è necessaria se la persona effettua un soggiorno in Italia per l'esecuzione di una missione a tempo determinato. La frequenza di corsi universitari e scolastici non implica il trasferimento della residenza normale. E’ equiparato alla residenza normale il possesso della qualifica di studente nel territorio nazionale, per almeno sei mesi all'anno.

Procedure di contenzioso

Procedura di infrazione n. 2014/2116

Il 26 febbraio 2015 la Commissione europea ha notificato all’Italia un parere motivato, ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, per recepimento non corretto della direttiva 2006/126/CE, concernente la patente di guida.

 

La Commissione ritiene che l’Italia sia venuta meno agli obblighi imposti dalla normativa europea in relazione a tre questioni:

 

1)    il divieto di trasporto di passeggeri per i minorenni titolari di patenti AM, A1 e B1, previsto dal decreto legislativo n. 59 del 18 aprile 2011, sarebbe in contrasto con l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2006/126/CE, secondo il quale l’età minima per le categorie AM, A1 e B1 è fissata a 16 anni. In base a tale norma, pertanto, tutte le patenti di tali categorie, rilasciate dagli Stati membri a titolati aventi almeno tale età minima, devono essere riconosciute senza restrizioni;

 

2)    nonostante l’articolo 7, paragrafo 5, della direttiva 2006/126/CE stabilisca che gli Stati membri utilizzeranno, non appena sarà operativa, la rete dell’UE per lo scambio di informazioni sulle patenti di guida (RESPER - Réseau permis de conduire), l’Italia non risulta aver aderito alla rete, che è operativa dal 19 gennaio 2013;

 

3)    i requisiti minimi previsti per gli esaminatori di guida contenuti nell’allegato IV del decreto legislativo n. 59 del 18 aprile 2011, secondo cui gli esaminatori di guida per le categorie AM, A1, A2, A, B1 e B devono essere titolari di una patente di categoria B da almeno tre anni, sarebbero in contrasto con la normativa europea che stabilisce espressamente che l’esaminatore deve essere titolare di una patente di guida della categoria corrispondente (allegato IV della direttiva 2006/126/CE).

 

 

 

 

EU Pilot 7070/14/MOVE

 

Con la procedura EU Pilot 7070/14/MOVE, la Commissione europea contesta la compatibilità con la normativa dell’Unione europea dell’articolo 116, comma 4, del Codice della strada italiano (decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285 e successive modificazioni), con riferimento alla patente di guida per conducenti disabili.

 

In particolare, mentre la normativa italiana in materia stabilisce che i conducenti disabili possono conseguire la patente delle categorie AM, A1, A2, A, B1, B, C1, C, D1 e D, anche se alla guida di veicoli trainanti un rimorchio la cui massa massima autorizzata non superi i 750 kg, l’articolo 4 della direttiva 2006/126/CE stabilisce che le patenti di guida di categoria B autorizzano a guidare combinazioni di veicoli a motore in cui la massa massima del rimorchio supera i 750 kg. La medesima direttiva riconosce la facoltà da parte degli Stati membri di prevedere norme specifiche per il rilascio della patente di guida ai conducenti disabili, ma tale facoltà è comunque subordinata all’approvazione della Commissione e in ogni caso nel contesto del Considerando n. 14, che auspica l’adozione di disposizioni specifiche per consentire l'accesso alla guida dei veicoli a persone disabili.

 

La Commissione invita quindi le autorità italiane a chiarire norme e prassi relative al rilascio della patente di guida ai conducenti disabili, per accertarsi che, previo superamento dell’apposita prova, sia ad essi garantita la possibilità di guidare combinazioni di veicoli rimorchio la cui massa massima autorizzata superi i 750 kg.

 


 

Articolo 10
(Disposizioni concernenti l’accesso all’infrastruttura ferroviaria. Procedura di infrazione 2008/2097)

 

 

L’articolo 10 modifica il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188 che ha recepito le direttive del c.d. “primo pacchetto ferroviario”, per stabilire il principio secondo cui la determinazione del canone di accesso all’infrastruttura ferroviaria è attribuito al Gestore dell’infrastruttura (RFI) sulla base dei criteri definiti dall’Autorità di regolazione dei trasporti, che ha il compito di garantire che questi non siano discriminatori. Su tali profili è infatti aperta nei confronti dell’Italia una procedura di infrazione per non aver dato attuazione alla sentenza della Corte di Giustizia del 3 ottobre 2013.

 

Si ricorda che la questione della definizione dei canoni per l’accesso all’infrastruttura ferroviaria rientra tra le competenze dell’Autorità di regolazione per i trasporti, istituita dal decreto-legge n. 201 del 2011. Tra le competenze dell’Autorità vi è infatti, più precisamente, il compito di garantire “condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali” e quello di “definire i criteri per la fissazione di tariffe, canoni e pedaggi”, nonché, con riferimento specifico al trasporto ferroviario, quello di “sentiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le regioni e gli enti locali interessati, definire gli ambiti del servizio pubblico sulle tratte e le modalità di finanziamento” (articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011.

 

Nella materia è intervenuta, come detto, la sentenza del 3 ottobre 2013 della Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa C-369/11. In particolare, l'Italia - afferma la sentenza - non garantendo l'indipendenza del gestore dell'infrastruttura per la determinazione dei diritti di accesso all'infrastruttura e la ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 4, paragrafo 1, e 30, paragrafo 3, della direttiva 2001/14/CE del 26 febbraio 2001, relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria e all'imposizione dei diritti per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria, come modificata dalla direttiva 2007/58/CE. La normativa italiana, secondo la Corte, non garantisce l'indipendenza di gestione del gestore dell'infrastruttura. Il diritto italiano ripartisce infatti la gestione delle «funzioni essenziali» tra, da un lato, Rete Ferroviaria Italiana SpA («RFI»), il gestore dell'infrastruttura sulla base di una concessione del Ministero dei Trasporti, e, dall'altro, questo stesso Ministero. RFI, pur essendo dotata di personalità giuridica autonoma, fa parte del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane («gruppo FS»), che comprende altresì Trenitalia SpA, la principale impresa ferroviaria italiana. RFI è incaricata del calcolo dei diritti di accesso alla rete per ogni operatore e della loro riscossione, sulla base delle tariffe fissate dal Ministro. Il diritto dell'Unione conferisce agli Stati membri il compito di istituire un quadro per l'imposizione dei diritti nel rispetto dell'indipendenza gestionale del gestore dell'infrastruttura, cui spetta determinare i diritti per l'utilizzo dell'infrastruttura e provvedere alla loro riscossione.

Per contro, secondo la Commissione, riservandosi il potere di fissare il livello dei diritti di accesso alla rete, l'Italia priverebbe il gestore di uno strumento essenziale di gestione. La Corte rileva che la normativa italiana prevede che la determinazione dei diritti, fissata di concerto con il Ministro, vincoli il gestore. Sebbene il Ministro eserciti un mero controllo di legittimità, detto controllo dovrebbe tuttavia spettare all'organismo di regolamentazione. La Corte ne trae la conclusione che la legge italiana non consente di assicurare l'indipendenza del gestore dell'infrastruttura.

 

Le modifiche apportate dall’articolo 10 al decreto legislativo n. 188 del 2003 sono le seguenti:

·         si modifica l’articolo 11 prevedendo che al gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, per la rete di propria attribuzione, vengano affidati in via esclusiva i compiti e le funzioni relativi alla determinazione (anziché del calcolo) dei canoni (comma 1, lettera a));

·         si modifica l’articolo 17, ai commi 1 e 2, laddove delinea il sistema di determinazione dei canoni per l’accesso all’infrastruttura ferroviaria, stabilendo che sia l’Autorità di Regolazione dei Trasporti a definire i criteri per la determinazione del canone per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria da parte del gestore della rete e dei corrispettivi dei servizi disciplinati dall’articolo 20. Sulla base di tali criteri il gestore dell'infrastruttura ferroviaria dovrà determinare (anziché calcolare) il canone dovuto dalle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e dalle imprese ferroviarie per l'utilizzo dell'infrastruttura e procedere alla riscossione dello stesso (comma 1, lettera b), nn. 1 e 2);

·         Si prevede, modificando il comma 9 dell’articolo 17, che il gestore dell'infrastruttura ferroviaria possa adeguare l'ammontare del canone sulla base dei criteri stabiliti dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti, anziché sulla base dei princìpi stabiliti dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (comma 1, lettera b), n. 3);

Si ricorda che il comma 9 prevede che l’adeguamento del canone sia possibile in funzione dei volumi e della qualità delle capacità richieste, nonché in relazione alla situazione del mercato dei trasporti e del livello di congestionamento dell'infrastruttura, con corrispondenti variazioni dei corrispettivi globalmente intesi. In ogni caso il canone per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria deve essere calcolato, applicato e riscosso in modo trasparente e non discriminatorio.

·         in via transitoria si prevede, sostituendo il comma 10,  che nelle more della definizione dei criteri da parte dell’Autorità dei trasporti e della conseguente determinazione dei canoni da parte del gestore dell'infrastruttura, i canoni di utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria continuino ad essere determinati sulla base dei criteri dettati dal decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 21 marzo 2000, come successivamente  modificato (comma 1, lettera b), n. 4).

Non viene più citato nel nuovo comma 10, il D.M. 22 marzo 2000 che definiva i criteri per la corresponsione agli utilizzatori dell'infrastruttura ferroviaria di uno sconto temporaneo a parziale compensazione dei maggiori costi indotti dall’arretratezza tecnologica della rete ferroviaria.

 

·         viene abrogato il comma 11 che prevedeva l’emanazione di decreti ministeriali per la definizione del quadro dell’accesso alla rete infrastrutturale ferroviaria, dei principi e le procedure per l'assegnazione della capacità nonché i corrispettivi dei servizi non ricompresi in quelli obbligatori inclusi nel canone di accesso all'infrastruttura (comma 1, lettera b), n. 5);

Si ricorda anche che l’articolo 20 ricomprende una elencazione di servizi la cui fornitura è ricompresa obbligatoriamente nel canone ed una seconda elencazione di servizi a cui le imprese hanno diritto, ma senza che sia specificato nulla sul fatto che il loro costo sia ricompreso nel canone, consistenti ad esempio nell’accesso a stazioni passeggeri, ad aree di sosta e ricovero treni, ai centri di manutenzione, alle aree smistamento treni, agli scali merci ed agli impianti di combustibile, nonché in altri servizi complementari.

 

·         In materia di maggiorazioni e riduzioni del canone di accesso si modifica l’articolo 18, comma 1, prevedendo che con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (anziché con il decreto ministeriale di determinazione dei canoni ai sensi previsto dall’articolo 17, comma 1) possono essere previsti coefficienti di maggiorazione sui canoni corrisposti per l'utilizzo della rete ferroviaria, ovvero riduzioni dei canoni stessi, nonché modifiche dei canoni che tengano conto del costo degli effetti ambientali causati dalla circolazione dei treni (comma 1, lettera c)).

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si segnala che è all’esame delle istituzioni europee la proposta di direttiva ferroviaria (COM(2013)29), facente parte del Quarto pacchetto ferroviario, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico, per quanto riguarda l'apertura del mercato dei servizi di trasporto nazionale di passeggeri per ferrovia e la governance dell'infrastruttura ferroviaria.

La proposta è stata approvata dal Parlamento europeo con emendamenti il 26 febbraio 2014; attualmente è all’esame del Consiglio.

 

Procedure di contenzioso

Il 10 luglio 2014 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora ai sensi dell’articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, per la mancata attuazione della sentenza del 3 ottobre 2013 (causa C-369/11) con la quale la Corte di giustizia ha statuito che l’Italia non ha recepito correttamente le direttive del Primo pacchetto ferroviario.

Nella sentenza, emessa nell’ambito della procedura di infrazione n. 2008/2097, la Corte ha, in particolare, stabilito che l’articolo 17 del D.lgs. n. 188 dell'8 luglio 2003, con cui l’Italia ha recepito le direttive del Primo pacchetto ferroviario, delinea un sistema di determinazione dei canoni per l’accesso all’infrastruttura ferroviaria che non garantisce l’indipendenza del gestore dell’infrastruttura, venendo meno in tal modo agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 4, paragrafo 1, e 30, paragrafo 3, della direttiva 2001/14/CE.

 

La direttiva 2001/14 attribuisce agli Stati membri il compito di istituire un quadro per l’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria nel rispetto dell’indipendenza del gestore dell’infrastruttura, soggetto al quale spetta determinare tali diritti e provvedere alla loro riscossione. La normativa europea prevede inoltre che sia l’organismo di regolamentazione - nel caso dell’Italia l’URSF, l’Ufficio per la Regolazione dei Servizi Ferroviari - ad effettuare il controllo di legittimità circa la determinazione di tali diritti.

La sentenza statuisce che invece l’articolo 17 del D.lgs. n. 188 del 2003 prevede che il canone dovuto per l'accesso all'infrastruttura ferroviaria nazionale sia stabilito “con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del gestore dell'infrastruttura, e soltanto dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto di approvazione da parte del Ministero stesso”. Ad avviso della Corte, tale sistema priva il gestore dell’infrastruttura di uno strumento essenziale di gestione ed impedisce all’organismo di regolamentazione di esercitare il controllo di legittimità previsto dalla normativa europea, giacché quest’ultimo non esercita alcuna autorità sul ministero, che attraverso il decreto determina in ultima analisi i canoni in questione.

Inoltre, i diritti così determinati acquisiscono valore legale solo con la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana mentre, ai sensi della direttiva 2001/14, sarebbe sufficiente che il gestore dell'infrastruttura li pubblicasse nel suo prospetto informativo della rete.

 

Dopo l’emissione della sentenza, il 4 dicembre 2013 le autorità italiane hanno risposto alla richiesta di chiarimenti della Commissione in merito all’attuazione della stessa, rilevando che il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, ha modificato l’articolo 17 del D.lgs. n. 188 del 2003, nel senso di stabilire che con decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sia approvata la proposta del gestore dell’infrastruttura relativa al canone dovuto per l'accesso all'infrastruttura ferroviaria  nazionale.

 

Tale modifica, ad avviso della Commissione, non è tuttavia sufficiente poiché continua ad assegnare al Ministero e non al gestore dell’infrastruttura la prerogativa di determinare i diritti di accesso.

Pertanto la Commissione conclude, nella lettera di messa in mora, che l’Italia non ha ottemperato alla sentenza di condanna della Corte di giustizia, venendo meno agli obblighi ad essa incombenti a norma dell’articolo 260 del TFUE.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 260 del TFUE, se la Commissione ritiene che lo Stato interessato non abbia adottato i provvedimenti necessari a dare esecuzione della sentenza della Corte che ne accerti l’inadempimento, dopo averlo posto in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte, precisando l’importo della somma forfettaria o della penalità da versare da parte dello Stato membro in questione. La Corte di giustizia, qualora riconosca che lo Stato membro non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria e/o di una penalità.

Le due sanzioni possono essere inflitte cumulativamente qualora la violazione del diritto dell'Unione sia particolarmente grave e persistente.

 


 

Articolo 11
(Modifiche alla disciplina dell'imposta sul valore aggiunto relativa
a talune importazioni di merci di valore modesto. Procedura di infrazione n. 2012/2088
)

 

 

Con l’articolo 11 si intende modificare il trattamento fiscale applicabile ai servizi accessori relativi alle piccole spedizioni a carattere non commerciale, nonché alle spedizioni di “valore trascurabiledi cui alle direttive 2006/79/CE e 2009/132/CE.

In particolare, si intende estendere la franchigia IVA all'importazione, attualmente applicabile alle suddette spedizioni, anche alle relative spese accessorie, a prescindere dal loro ammontare.

 

In estrema sintesi, la direttiva 2006/79/CE stabilisce che le merci oggetto di piccole spedizioni, prive di carattere commerciale, ove spedite da un paese terzo da un privato e destinate ad un altro privato che si trovi in uno Stato membro, godono all'importazione di una franchigia dalle imposte sulla cifra di affari e dalle altre imposizioni indirette interne.

Sono “piccole spedizioni prive di carattere commerciale” quelle che al contempo:

·     presentano carattere occasionale;

·     riguardano esclusivamente merci riservate all'uso personale o familiare dei destinatari e che, per la loro natura o quantità, escludano qualsiasi interesse di ordine commerciale;

·     riguardano merci il cui valore globale non superi 45 euro;

·     sono inviate dallo speditore al destinatario senza pagamento di alcun genere.

La direttiva (articolo 2) chiarisce che la franchigia opera entro precisi limiti quantitativi, se riguarda prodotti del tabacco e bevande alcoliche, profumi, caffè, .

Resta nella facoltà degli Stati membri ridurre o di escludere dal beneficio della franchigia detti prodotti.

Se le predette tipologie di merci sono oggetto di una piccola spedizione priva di carattere commerciale ma in quantità superiore a quelle previste dalla direttiva, sono totalmente escluse dal beneficio della franchigia.

 

A norma dell'articolo 131 e dell'articolo 143, lettere b) e c), della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune dell’IVA, gli Stati membri esentano, ferme restando le altre disposizioni comunitarie e alle condizioni da essi stabilite per prevenire elusioni, evasioni e abusi, le importazioni definitive di beni che fruiscono di una franchigia doganale diversa da quella prevista dalla tariffa doganale comune.

 

Con la direttiva 2009/132/CE si intende definire l'ambito d'applicazione di tali esenzioni dall'imposta sul valore aggiunto (IVA), individuando le categorie di beni che godono di tale trattamento agevolato. In particolare, la direttiva 2009/132/CE (articolo 23) ammette in esenzione IVA le importazioni di beni “trascurabile”, intesi come beni di valore totale non superiore a 10 EUR, con facoltà degli Stati membri di ammettere in esenzione le importazioni di beni di valore totale compreso fra 10 e 22 EUR e di escludere dall'esenzione detti beni se importati nell'ambito di una vendita per corrispondenza.

Sono esclusi dall'esenzione (articolo 24):

·         i prodotti alcolici;

·         i profumi e l'acqua da toletta;

·         i tabacchi e i prodotti del tabacco.

 

La modifica normativa è finalizzata all’archiviazione della procedura di infrazione n. 2012/2088, avviata in relazione alla disciplina IVA dei costi accessori quali i costi di trasporto, relativi ad invii di valore modesto.

 

In sintesi, si rammenta che l’articolo 144 della direttiva 2006/112/CE stabilisce che determinati servizi, resi dietro corrispettivo, siano di per sé soggetti ad IVA, fatta eccezione per i casi in cui gli stessi servizi, in quanto connessi alle importazioni, siano stati già compresi nella base imponibile IVA sul bene importato, al momento del pagamento di quest’ultima alla dogana. La ratio della norma è di evitare che uno stesso servizio, già oggetto di imposizione IVA al passaggio della dogana, venga nuovamente tassato durante l’esecuzione del trasporto nello Stato membro (doppia imposizione). D’altro canto, l’articolo 143 della direttiva in questione, in combinato disposto con l’articolo 23 della direttiva 2009/132/CE e con l’articolo 1 della direttiva 2006/79/CE, stabilisce che talune importazioni da Paesi terzi – segnatamente i beni di valore non superiore a 10 euro innalzabile fino a 22 euro dallo Stato membro, ovvero quelli oggetto di piccole spedizioni prive di carattere commerciale – siano esenti da IVA. Di conseguenza, anche i servizi di trasporto, accessori a tali importazioni esenti da IVA, devono beneficiare della stessa esenzione. La Commissione rileva che, al contrario, la norma italiana disciplina tali servizi allo stesso modo di quelli accessori ad importazioni soggette ad IVA. In particolare l’articolo 9, comma 1, n. 4), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 nella sua attuale formulazione stabilisce, tra l’altro, che i costi accessori di trasporto relativi alle importazioni di beni, anche di valore modesto, sono non imponibili solo se sono stati assoggettati a IVA all’atto dell’importazione (per ulteriori informazioni sulla procedura, cfr. infra).

 

Con le norme di cui al comma 1 viene integrato il già richiamato articolo 9, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con l’introduzione del comma n. 4-bis), che stabilisce la non imponibilità dei servizi accessori relativi alle piccole spedizioni a carattere non commerciale ed alle spedizioni di valore trascurabile, di cui alle direttive 2006/79/CE e 2009/132/CE, a prescindere dal loro assoggettamento all’imposta; la non imponibilità opera, tuttavia, a condizione che i corrispettivi di tali servizi accessori, da considerare esclusi dai limiti di valore totale delle predette operazioni indipendentemente dal loro ammontare, siano compresi nella base imponibile e, quindi, sia dimostrata la loro riferibilità alle operazioni medesime.

 

Il comma 2 demanda al Ministro dell’economia e delle finanze l’onere di modificare il regolamento recante norme in tema di franchigie fiscali, adottato con il decreto del Ministro delle finanze del 5 dicembre 1997, n. 489, nel senso di esplicitare l’applicazione della franchigia dai diritti doganali anche per i relativi servizi accessori, a prescindere dal loro ammontare.

 

Procedure di contenzioso

Il 20 novembre 2013 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato nell’ambito della procedura di infrazione n. 2012/2088, avviata in relazione alla disciplina IVA dei costi accessori quali i costi di trasporto, relativi ad invii di valore modesto.

 

La Commissione europea ritiene incompatibile con gli artt. 143 e 144 della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, l’articolo 9 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633/72. A questo riguardo, il parere motivato ricorda preliminarmente che l’articolo 86 della citata direttiva stabilisce che, relativamente ai beni importati in un Paese UE da uno Stato terzo, nella base imponibile devono essere conteggiati, oltre al corrispettivo, anche gli importi delle spese accessorie, tra cui quelle dovute per il trasporto del bene importato. In caso di importazione di un bene da uno Stato terzo, inoltre, l’IVA può essere pagata dall’importatore direttamente alla dogana, cioè all’ingresso nello Stato membro dell’Unione.

In forza di questo presupposto, l’articolo 144 della medesima direttiva stabilisce che determinati servizi, resi dietro corrispettivo, siano di per sé soggetti ad IVA, fatta eccezione per i casi in cui gli stessi servizi, in quanto connessi alle importazioni, siano stati già compresi nella base imponibile IVA sul bene importato, al momento del pagamento di quest’ultima alla dogana. La ratio della norma è di evitare che uno stesso servizio, già oggetto di imposizione IVA al passaggio della dogana, venga nuovamente tassato durante l’esecuzione del trasporto nello Stato membro (doppia imposizione).

D’altro canto, l’articolo 143 della direttiva in questione, in combinato disposto con l’articolo 23 della direttiva 2009/132/CE e con l’articolo 1 della direttiva 2006/79/CE, stabilisce che talune importazioni da Paesi terzi – segnatamente i beni di valore non superiore a 10 euro innalzabile fino a 22 euro dallo Stato membro, ovvero quelli oggetto di piccole spedizioni prive di carattere commerciale – siano esenti da IVA. Di conseguenza, anche i servizi di trasporto, accessori a tali importazioni esenti da IVA, devono beneficiare della stessa esenzione. La Commissione rileva che, al contrario, la norma italiana disciplina tali servizi allo stesso modo di quelli accessori ad importazioni soggette ad IVA, stabilendo che essi siano soggetti ad imposta e siano esenti solo se l’IVA stessa sia stata già pagata alla dogana.

 

L’intervento di cui all’articolo in esame è inteso a risolvere le contestazioni della Commissione, disponendo l’inserimento, nel corpo dell’articolo 9, primo comma, del DPR n. 633 del 1972, di un nuovo comma (n. 4-bis) che stabilisca la non imponibilità dei servizi accessori relativi alle piccole spedizioni a carattere non commerciale ed alle spedizioni di valore trascurabile di cui alle direttive 2006/79/CE e 2009/132/CE, a prescindere dal loro assoggettamento all’imposta; la non imponibilità opererà, tuttavia, a condizione che i corrispettivi di tali servizi accessori, da considerare esclusi dai limiti di valore totale delle predette operazioni indipendentemente dal loro ammontare, siano compresi nella base imponibile e, quindi, sia dimostrata la loro riferibilità alle operazioni medesime.

 

In questo contesto, si demanda al Ministro dell’economia e delle finanze l’onere di modificare il regolamento recante norme in tema di franchigie fiscali, adottato con il decreto del Ministro delle finanze del 5 dicembre 1997, n. 489, nel senso di esplicitare l’applicazione della franchigia dai diritti doganali anche per i relativi servizi accessori ed a prescindere dal loro ammontare.

 


 

Articolo 12
(Disposizioni relative alla gestione e al monitoraggio degli aiuti pubblici alle imprese)

 

 

L’articolo 12 riguarda la realizzazione di un “Registro nazionale degli aiuti”, destinato a raccogliere le informazioni e a consentire i necessari controlli in ordine agli aiuti di Stato e agli aiuti “de minimis” concessi alle imprese a valere su risorse pubbliche, ivi inclusi quelli concessi a titolo di compensazione per i servizi di interesse economico generale (SIEG).

 

L’obiettivo della norma è dare piena esecuzione alle disposizioni europee[12] e nazionali in materia di monitoraggio, pubblicità e trasparenza degli aiuti di Stato, in modo da garantire l’effettività del controllo pubblico sul rispetto del divieto di cumulo delle agevolazioni[13].

 

Ai sensi dell’articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) sono aiuti di stato gli aiuti concessi dallo Stato, ovvero mediante risorse statali che conferiscono un vantaggio selettivo, che abbiano un'incidenza sugli scambi intra-UE e possano causare una distorsione della concorrenza.

 

Il controllo sugli aiuti di Stato, ai sensi dell’articolo 108 TFUE, si basa su un sistema di autorizzazione preventiva in base al quale la Commissione europea procede con gli Stati membri all'esame permanente dei regimi di aiuti esistenti in questi Stati. Gli Stati membri sono tenuti a notificare alla Commissione tutti i progetti di aiuto di Stato o di modifica degli stessi; se ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato interno a norma dell'articolo 107, la Commissione intima agli interessati di presentare le loro osservazioni. Gli aiuti in questione non potranno essere attivati finché non saranno stati autorizzati dalla Commissione (cosiddetta «clausola di stand still»).

Qualora la Commissione europea constati che un aiuto concesso da uno Stato, o mediante fondi statali, non è compatibile con il mercato interno, la Commissione chiede allo Stato in questione di sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato; nel caso in cui lo Stato in causa non si conformi a tale decisione entro il termine stabilito, la Commissione o qualsiasi altro Stato interessato può adire direttamente la Corte di giustizia dell'UE.

A richiesta di uno Stato membro e se giustificato da circostanze eccezionali, in deroga alle disposizioni dell'articolo 107, il Consiglio, deliberando all'unanimità, può decidere che un aiuto si debba considerare compatibile con il mercato interno.

 

Ai suddetti fini, la norma interviene sulla disciplina contenuta nella legge n. 234 del 2012 recante “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea”:

 

·           sostituendo il testo dell’articolo 52, in materia di “modalità di trasmissione delle informazioni relative agli aiuti pubblici concessi alle imprese” (comma 1, lettera b), dell’articolo 12 in esame);

·           recando conseguenti modifiche all’articolo 46, dedicato agli “aiuti di Stato illegali non rimborsati” (comma 1, lettera a), dell’articolo 12 in esame).

 

Più in particolare:

 

il comma 1, lettera a) modifica l’articolo 46 della legge n. 234/2012 in conseguenza dell’entrata in funzione del Registro, stabilendo che, a decorrere dal 1° gennaio 2017, le verifiche previste dallo stesso articolo a carico delle amministrazioni che concedono aiuti (tenute ad accertare che le imprese beneficiarie non rientrino tra quelle destinatarie di un ordine di recupero di aiuti illegali non rimborsati) sono effettuate attraverso il Registro stesso;

 

il comma 1, lettera b) mira allo sviluppo e al potenziamento della banca dati già istituita presso il Ministero dello sviluppo economico per effettuare il  controllo sul rispetto del divieto di cumulo delle agevolazioni nazionali ed europee, che assume la denominazione di Registro nazionale degli aiuti.

 

Ai sensi della normativa vigente (articolo 14, comma 2, della legge n. 57/2001, attuato con decreto del Ministro delle attività produttive 18 dicembre 2002 e richiamato nella legge 234/2012) il controllo sul rispetto del divieto di cumulo delle agevolazioni nazionali ed europee si effettua sulla base delle informazioni relative agli aiuti pubblici concessi alle imprese trasmesse dalle Amministrazioni concedenti.

Per assicurare tali controlli, il Ministero dello sviluppo economico si avvale di uno specifico sistema informativo, la “Banca Dati Anagrafica” (BDA), che in pratica già costituisce un registro nazionale, al quale risultano oggi accreditati numerosi enti tra amministrazioni pubbliche, soggetti/enti gestori e camere di commercio.

Peraltro, la normativa vigente non prevede sanzioni in caso di mancato invio delle informazioni sugli aiuti da parte delle amministrazioni concedenti.

 

 

Sono tenuti a trasmettere le informazioni al Registro i soggetti (pubblici e privati) che concedono o gestiscono gli aiuti di Stato (comma 1 del nuovo articolo 52).

 

 

Le informazioni contenute nel Registro riguardano (comma 2 del nuovo articolo 52):

 

a)  gli aiuti di Stato di cui all’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, inclusi gli aiuti in esenzione dalla notifica;

b)  gli aiuti “de minimis” di cui ai regolamenti (CE) n. 1998/2006 e (UE) n. 1407/2013 della Commissione europea e successive modificazioni;

c)  gli aiuti concessi a titolo di compensazione per i servizi di interesse economico generale, ivi inclusi gli aiuti “de minimis” ai sensi del regolamento (UE) n. 360/2012 della Commissione europea e successive modificazioni;

d)  l’elenco dei soggetti tenuti alla restituzione degli aiuti incompatibili dei quali la Commissione europea abbia ordinato il recupero.

 

Attualmente le informazioni contenute nella BDA riguardano le agevolazioni, sotto qualsiasi forma, concesse alle imprese dalle amministrazioni pubbliche e da altri soggetti pubblici o privati, attraverso fondi pubblici; tali informazioni riguardano anche gli aiuti in forma di agevolazioni fiscali fruite direttamente dalle imprese, sebbene non disposte attraverso un formale provvedimento di concessione (articolo 1, comma 2, D.M. 18 dicembre 2002).

 

I soggetti obbligati devono avvalersi del Registro (comma 3 del nuovo articolo 52):

·         per fare le verifiche propedeutiche alla concessione degli aiuti;

·         per aggiornare costantemente i dati relativi agli aiuti.

 

La trasparenza e l’accessibilità dei dati contenuti nel Registro sono disciplinate dal comma 4 del nuovo articolo 52:

·         le informazioni sugli aiuti di Stato, sugli aiuti “de minimis” e sugli aiuti concessi a titolo di compensazione per i SIEG sono conservate e rese accessibili per 10 anni dalla data di concessione dell’aiuto;

·         le informazioni relative ai soggetti tenuti alla restituzione degli aiuti incompatibili sono conservate e rese accessibili sino alla data dell’effettiva restituzione dell’aiuto.

 

Per quanto riguarda gli aiuti nei settori agricolo e forestale, ivi inclusi quelli nelle zone rurali (attualmente disciplinati dal Regolamento 702/2014), e della pesca ed acquacoltura (Regolamento 1388/2014), il monitoraggio delle informazioni continua ad essere disciplinato dalla normativa europea di riferimento. Vige la piena integrazione ed interoperabilità del Registro con quelli già esistenti in agricoltura e pesca (comma 5 del nuovo articolo 52).

 

Si segnala che il comma 2 del testo attualmente vigente dell’articolo 52 dispone che il monitoraggio delle informazioni relative agli aiuti di Stato in agricoltura continua a essere disciplinato dalla normativa europea di riferimento.

Si ricorda anche che la normativa comunitaria di riferimento per gli aiuti di statoè costituita:

-         dal Regolamento 702/2014, per i settori agricolo e forestale (inclusi gli aiuti nelle zone rurali);

-         dal Regolamento 1388/2014, per la pesca e acquacoltura.

 

Dal punto di vista operativo, la disciplina di funzionamento del Registro è demandata ad un regolamento da emanarsi entro 120 giorni con decreto del MISE, di concerto con il MEF e il MIPAF (comma 6 del nuovo articolo 52).

 

Il comma 7 del nuovo articolo 52 contiene l’apparato sanzionatorio, a garanzia dell’adempimento degli obblighi di utilizzo da parte dei soggetti che concedono gli aiuti.

 

L’adempimento degli obblighi connessi al Registro costituiscono condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongono concessioni ed erogazioni di aiuti, con le seguenti tempistiche:

-       decorsi 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto attuativo, per gli obblighi di trasmissione delle informazioni al Registro;

-       a decorrere dal 1° gennaio 2017, per gli obblighi di interrogazione del Registro.

L’inadempimento degli obblighi

·         è rilevato d'ufficio dai soggetti obbligati e comporta la responsabilità patrimoniale del responsabile della concessione o dell’erogazione degli aiuti;

·         è rilevabile anche dall’impresa beneficiaria ai fini del risarcimento del danno.

 

Il comma 2 dell’articolo 12 in esame interviene sulla procedura di redazione e presentazione al Parlamento della Relazione annuale sugli incentivi alle imprese prevista dalla legge n. 266/1997.

 

A decorrere dal 2015 tale Relazione sarà predisposta dal Ministero dello sviluppo economico e trasmessa alle Commissioni parlamentari competenti in materia entro il mese di settembre di ciascun anno, allo scopo di:

·      illustrare le caratteristiche e l'andamento, nell'anno precedente, dei diversi provvedimenti di sostegno alle attività economiche e produttive;

·      valutare i provvedimenti in questione;

·      fornire, in forma articolata, elementi di monitoraggio.

 

Per predisporre la Relazione, il Ministero dello sviluppo economico utilizza le informazioni fornite per il monitoraggio degli aiuti pubblici alle imprese  e individua con proprio provvedimento le ulteriori informazioni utili alla predisposizione della relazione di cui al presente comma, che devono essere inserite nel Registro dai soggetti pubblici o privati che concedono e/o gestiscono agevolazioni pubbliche alle imprese.

 

Si ricorda che l’articolo 1 della legge 266/1997 prevede la presentazione della Relazione alle Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati competenti in materia industriale entro il mese di aprile di ogni anno. Tale relazione, oltre ad illustrare le caratteristiche e l'andamento, nell'anno precedente, dei diversi provvedimenti in materia di sostegno alle attività economiche, e fornire elementi di monitoraggio rispetto agli andamenti degli anni precedenti, dovrà anche contenere i  risultati dell'attività di vigilanza e di controllo esercitata dal Governo anche nei confronti di società o enti vigilati dalle pubbliche amministrazioni.

 

Si segnala che il comma 2 in esame muta la tempistica e il contenuto della Relazione annuale sugli incentivi alle imprese senza tuttavia intervenire direttamente sulla legge n. 266/1997 come invece risulterebbe opportuno per coordinare la norma con la disciplina vigente, recata da tale legge.

 

 

Modernizzazione degli aiuti di Stato

 

Le disposizioni introdotte all’articolo 12 del disegno di legge tengono conto delle soluzioni prospettate a livello europeo in materia di modernizzazione degli aiuti di Stato.

 

Con la Comunicazione della Commissione europea Modernizzazione degli aiuti di Stato” (COM(2012)209)[14], presentata il 5 maggio 2012, è stata prospettata una strategia globale di riforma degli aiuti di Stato a livello UE, giustificata dalla constatazione che la crisi economica e finanziaria ha rappresentato una minaccia per l’integrità del mercato interno in quanto ha aumentato il rischio di reazioni anticoncorrenziali, reso necessario un maggiore intervento dello Stato per tutelare le categorie sociali più deboli e promuovere la ripresa economica, aumentato il divario tra gli Stati membri con riferimento ai margini di manovra per finanziare le proprie politiche, aumentato la pressione sui bilanci pubblici, rendendo necessario un migliore uso delle esigue risorse disponibili.

 

Tre le finalità prioritarie della modernizzazione degli aiuti di Stato, rientra la promozione di una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva. Nella comunicazione si sottolinea l’importante ruolo che un mercato unico ben funzionante può svolgere per il perseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. A giudizio della Commissione, gli aiuti di Stato possono svolgere un ruolo determinante al fine di stimolare la crescita nel mercato interno, a condizione che siano destinati a colmare specifiche carenze di mercato e che abbiano un effetto di incentivazione, per fare in modo che il sostegno pubblico si traduca in stimoli volti a favorire la realizzazione degli obiettivi di Europa 2020.

La Commissione sostiene la necessità di una corsia preferenziale per il trattamento degli aiuti destinati a risolvere specifiche carenze di mercato e a conseguire obiettivi di interesse comune, con il minor effetto distorsivo possibile al fine di garantire un mercato unico aperto e concorrenziale. In particolare, la Commissione evidenzia la necessità di effettuare un solido controllo sugli aiuti, soprattutto per i mercati liberalizzati di recente - come ad esempio i trasporti, i servizi postali e, in misura minore, l’energia - nei quali gli operatori rilevanti ricevono sussidi statali e continuano ad avere un ruolo preponderante.

Per fare in modo che la modernizzazione degli aiuti di Stato possa favorire la crescita nell’UE, ai fini della valutazione della compatibilità di tutte le misure di aiuto con le norme UE in materia di concorrenza e di una maggiore efficacia della spesa pubblica, la Commissione propone di individuare e definire princìpi comuni che potrebbero riguardare una definizione più chiara delle reali disfunzioni di mercato che devono essere affrontate; una valutazione più sistematica dell’effetto di incentivazione, prevedendo una maggiore responsabilità degli Stati membri nella definizione e nell’attuazione delle misure di sostegno per garantirne un uso ottimale ed evitando distorsioni e potenziali effetti negativi; l’individuazione delle migliori pratiche per quanto riguarda le priorità di spesa di Europa 2020; una analisi degli aiuti con un buon rapporto costi-benefici suscettibili di stimolare la crescita.

 

La Commissione sostiene la necessità di rendere coerenti con i suddetti princìpi gli orientamenti in materia di aiuti di Stato al fine di razionalizzare gli strumenti a disposizione ed incoraggiare gli Stati membri a destinare le esigue risorse pubbliche verso priorità comuni.

E’ soprattutto con riferimento a quest’ultimo aspetto che la Commissione evidenzia i numerosi vantaggi della politica di concorrenza, soprattutto sotto il profilo del rapporto costi-benefici, in quanto la sua applicazione non comporta nessuna spesa a livello pubblico o privato. Inoltre, un adeguato controllo sugli aiuti di Stato, oltre a migliorare la qualità delle finanze pubbliche, potrebbe contribuire al perseguimento dell’obiettivo di orientare meglio la spesa pubblica, che in buona parte assume la forma di aiuti di Stato, per renderla più efficiente ed efficace e al servizio di politiche che promuovano la crescita e la realizzazione di obiettivi europei comuni.

 

Un’ulteriore finalità della modernizzazione degli aiuti di Stato consiste nel concentrare l’applicazione delle norme sui casi con il maggiore impatto sul mercato unico e nel responsabilizzare gli Stati membri.

 

Per perseguire tale obiettivo la Commissione europea ha proceduto alla revisione di alcuni atti normativi sugli aiuti di Stato esentati dall’obbligo di notifica in quanto non incidono sugli scambi tra gli Stati membri e/o non falsano o minacciano di falsare la concorrenza[15].

Nella Comunicazione si precisa che l’aumento della portata delle misure di aiuto esentate da detto obbligo aumenta la responsabilità degli Stati membri nel garantire la corretta applicazione della normativa in materia di aiuti di Stato. Di conseguenza, gli Stati membri dovranno verificare ex ante il rispetto delle norme sugli aiuti di Stato delle misure “de minimis” e dei casi che beneficiano di un’esenzione per categoria, invece la Commissione continuerà ad esercitare un controllo ex post su queste misure.

A tal fine la Commissione si aspetta una migliore cooperazione da parte degli Stati membri nel trasmettere le informazioni in modo migliore e tempestivo, nonché sistemi di controllo nazionali efficaci che garantiscano che gli aiuti di Stato esentati dai controlli ex ante siano conformi al diritto dell’Unione europea.

Nella Comunicazione si precisa che sarà possibile una riduzione degli oneri amministrativi grazie ad obblighi di notifica minori, solo in presenza di un maggiore impegno e del rispetto delle norme da parte delle autorità nazionali.

Di conseguenza, anche i controlli ex post da parte della Commissione dovranno aumentare considerato che gli attuali risultati del controllo da parte degli Stati membri dell’applicazione di misure che beneficiano di un esenzione per categoria rivelano una frequente violazione delle norme sugli aiuti di Stato.

 


 

Articolo 13
(Obblighi di monitoraggio e relazione concernenti i Servizi
di interesse economico generale
)

 

 

L'articolo 13 intende dare attuazione alla decisione 2012/21/UE[16] relativa alle compensazioni degli obblighi di servizio pubblico esentate da previa notifica alla Commissione europea.

 

A tal fine, l’articolo 13 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di assicurare l'adempimento degli obblighi di monitoraggio e informazione alla Commissione europea derivanti da disposizioni dell'Unione europea in materia di Servizi di interesse economico generale, ivi inclusa la predisposizione delle relazioni periodiche in materia di aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico.

 

La disposizione novella la legge n. 234 del 2012 recante “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea”, nella quale si inserisce il nuovo articolo 45-bis, nell’ambito del Capo VIII, relativo agli Aiuti di stato.

 

In aggiunta a quanto sopra detto, il nuovo articolo 45-bis prevede che le Amministrazioni centrali di settore, in raccordo con le Regioni, le provincie autonome di Trento e Bolzano, le provincie e i comuni, che sono tenuti a fornire i dati, redigono le relazioni sulle compensazioni concesse alle imprese incaricate della gestione dei Servizi di interesse economico generale. Tali relazioni saranno trasmesse al Dipartimento delle politiche europee, ai fini della predisposizione della relazione periodica sugli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico da inoltrare alla Commissione europea (comma 2).

Il comma 3 rinvia le modalità attuative delle disposizioni suddette a uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge.

 

Si ricorda che gli obblighi informativi e di monitoraggio relativi ai Servizi di interesse economico generale sono già previsti dalla legislazione vigente, e precisamente dall’articolo 47 della legge n. 96 del 2010 (comunitaria 2009), il quale, tuttavia, riserva tale compito al Ministro per le politiche europee – nell’ambito dei suoi compiti generali di coordinamento[17], compresa la predisposizione di relazioni periodiche triennali sull'applicazione della decisione 2005/842/CE della Commissione, del 28 novembre 2005, in materia di aiuti di Stato, sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico.

La ridefinizione delle modalità attraverso le quali adempiere a tali obblighi nei confronti della Commissione europea relativi ai Servizi di interesse economico generale, recata dal nuovo articolo 45-bis nella legge n. 234 del 2012 sopraesposto, determina, conseguentemente, l’abrogazione dell’articolo 47 della legge n. 96/2010, disposta ai sensi del comma 2 dell’articolo 13 in esame.

 

Come esposto nella Relazione illustrativa, l’abrogazione del suddetto articolo 47 deriva dal fatto che il suo dettato è ritenuto non più in linea con le nuove regole adottate dalla Commissione europea nel 2011, concernenti le compensazioni per oneri di servizio pubblico corrisposte nei diversi settori (es. ospedali, assistenza sanitaria, servizi per l’infanzia, accesso e reintegrazione nel mercato del lavoro, edilizia sociale, servizio idrico, servizio rifiuti, trasporti aerei da e per le isole, aeroporti e porti), che hanno sostituito le precedenti risalenti al 2005 (cosiddetto “pacchetto Almunia” che ha sostituito il precedente “pacchetto Monti-Kroes” del luglio 2005)[18]. Tali regole hanno disposto a carico degli Stati membri precisi obblighi di relazione sulle compensazioni concesse.

In particolare, l’articolo 9 della Decisione 2012/21/UE[19] del 20 dicembre 2011 (relativa alle compensazioni esentate da previa notifica alla Commissione europea, entrata in vigore il 31 gennaio 2012, con obbligo di adeguamento entro il 31 gennaio 2014) ed il punto 62 della Comunicazione 2012/C 8/03[20] (relativa alle compensazioni soggette a previa notifica) dispongono entrambi che gli Stati membri forniscono due distinte relazioni biennali, anziché triennali come previsto dal citato articolo 47.

In base alle disposizioni citate, la prima relazione deve essere trasmessa entro il 30 giugno 2014.

 

Per ciò che attiene, infine, ai Servizi di interesse economico generale (SIEG), si ricorda che essi designano le attività commerciali che assolvono missioni d'interesse generale. A tal fine sono assoggettati dagli Stati membri ad obblighi specifici di servizio pubblico (articolo 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea[21]). È questo in particolare il caso delle reti di trasporto, di energia e di comunicazione.

E’ poi riconosciuta l'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione europea, nonché il loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, prescrivendosi che gli Stati membri e l’Unione devono provvedere, nell’ambito delle rispettive competenze, a che tali servizi funzionino così da consentire loro di assolvere i propri compiti (articolo 14 del Trattato sul funzionamento dell’Unione).

Quando gli operatori, pubblici o privati, non riescono ad erogare servizi di interesse generale a condizioni economicamente accettabili ricevono un sostegno finanziario dallo Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico. Tale compensazione sottostà alle norme in materia di aiuti di Stato previste dal TFUE nella misura in cui i servizi di interesse generale si configurano come attività economica. Nel 2003 la Corte di giustizia ha stabilito che la compensazione accordata per l'esecuzione di servizi d'interesse economico generale (SIEG) costituisce aiuto di Stato se non è strettamente limitata all'importo che sarebbe necessario per compensare un operatore efficiente[22].

Dunque, se la presenza di interessi generali non implica in via generale la disapplicazione delle norme della concorrenza e dei relativi principi – quali trasparenza, adeguata pubblicità, proporzionalità, non discriminazione, parità di trattamento e mutuo riconoscimento – purtuttavia l’Unione europea consente agli Stati membri la possibilità di derogare ai rigidi principi concorrenziali (deroghe che legittimano anche l’eventuale concessione di aiuti di stato per realizzare gli obiettivi peculiari di interesse pubblico propri del singolo servizio) nella misura in cui dall’applicazione degli stessi potrebbe derivare una compromissione della missione di interesse generale, prospettando pertanto un ragionevole contemperamento tra la tutela dell’interesse generale rispetto ed il principio della concorrenza nel settore dei servizi.

 

 


 

Articolo 14
(Disposizioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili. Caso EU
Pilot 6155/14/EMPL)

 

 

L’articolo 14, al fine di dare piena attuazione alla direttiva 92/57/CEE, estende il campo di applicazione delle disposizioni poste a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, previste dal D.lgs. 81 del 2008, anche ai lavori edili o di ingegneria civile che si svolgono all’interno di cantieri temporanei o mobili.

Più nel dettaglio, con la modifica dell’articolo 88, comma 2, lettera g-bis), del D.lgs. 81/2008, si prevede che quanto disposto dal Titolo IV, Capo I, in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili, si applichi anche ai cantieri temporanei o mobili in cui si svolgono lavori edili o di ingegneria civile di durata inferiore ai 10 giorni, con esclusione dei soli lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento che non comportino lavori edili o di ingegneria civile (elencati nell’allegato X del D.lgs. 81 del 2008).

 

Attualmente, l’articolo 88, comma 2, lettera g-bis), del D.lgs. 81 del 2008 dispone la non applicabilità della specifica disciplina, di cui al Titolo IV, Capo I, relativo alla salute e sicurezza nei cantieri mobili, ai lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento, nonché ai piccoli lavori la cui durata presunta non è superiore ai 10 uomini-giorno, finalizzati alla realizzazione o manutenzione delle infrastrutture per servizi, a condizione che non espongano i lavoratori ai rischi comportanti rischi particolari per la sicurezza e la salute dei lavoratori, di cui all’Allegato XI dello stesso D.lgs. 81 del 2008 (che contiene l’elenco dei lavori comportanti rischi particolari per la sicurezza e la salute dei lavoratori).

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

La Commissione europea ha presentato nel giugno 2014 una comunicazione relativa al quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro 2014-2020 (COM(2014)332).

 

La comunicazione definisce un quadro di azione, cooperazione e scambio di buone pratiche nel campo della salute e della sicurezza sul lavoro per il periodo 2014-2020, individuando sette obiettivi strategici:

·       consolidamento delle strategie nazionali;

·       sostegno concreto alle piccole e microimprese;

·       migliore applicazione da parte degli Stati membri, ad esempio per mezzo della valutazione dell'efficienza degli ispettorati del lavoro nazionali;

·       semplificazione della legislazione esistente;

·       affrontare l'invecchiamento della forza lavoro e migliorare la prevenzione delle malattie professionali;

·       miglioramento della raccolta dei dati statistici e sviluppo di strumenti di monitoraggio;

·       coordinamento con le organizzazioni internazionali.

Il quadro strategico sarà rivisto nel 2016.

Procedure di contenzioso

Con riferimento all'attuazione della direttiva 89/391/CEE e della direttiva 92/57/CEE, la Commissione europea, avviando la procedura preconteziosa EU Pilot 6155/14/EMPL nel marzo 2014, ha richiesto alle autorità italiane informazioni circostanziate riguardanti, in particolare:

 

a)    la documentazione relativa alla valutazione del rischio in caso di interferenza tra attività che presentano un basso rischio d'infortunio condotte simultaneamente sullo stesso posto di lavoro (DUVRI);

b)    il campo di applicazione delle norme a protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili.

 

La Commissione chiede pertanto alle autorità italiane due chiarimenti.

 

Il primo era inteso a verificare come la possibilità di optare per la designazione di un proprio incaricato invece di effettuare una valutazione del rischio potesse assicurare la piena efficacia delle disposizioni della direttiva 89/391/CEE. I chiarimenti forniti al riguardo dal Governo italiano sono stati ritenuti soddisfacenti dalla Commissione.

 

Con il secondo, la Commissione ha inteso verificare se le deroghe in esame siano, di fatto, estese anche ai casi di cantieri temporanei o mobili, come sembrerebbe sulla base dell’articolo 88, comma 2, lettera g-bis, del richiamato decreto legislativo n. 81/2008.

 

Con la risposta dell’8 maggio 2014, le autorità italiane hanno preannunciato, la presentazione, al fine di fugare ogni dubbio interpretativo al riguardo, di una modifica del testo dell’articolo 88, comma 2, lettera g-bis, del decreto legislativo medesimo. Il testo proposto dalle autorità italiane è il medesimo di quello dell’articolo 14 del disegno di legge in esame.

 

I servizi della Commissione, pur riconoscendo che la proposta di modifica normativa trasmessa dalle autorità italiane permetterebbe di superare i rilievi, la Commissione, non avendo alcuna certezza circa i suoi tempi di approvazione, hanno dichiarato di non potere archiviare il caso.


 

Articolo 15
(Disposizioni di attuazione della direttiva 2009/13/CE sul lavoro marittimo. Procedura di infrazione n. 2014/0515)

 

 

L’articolo 15, ai fini del completo recepimento della direttiva 2009/13/CE sul lavoro marittimo, interviene sulla normativa vigente modificando la nozione di armatore (comma 1) e individuando, nel settore marittimo, i lavori vietati ai minori in quanto suscettibili di compromettere la salute o la sicurezza degli stessi (comma 2).

Più specificamente, il comma 1 modifica l'articolo 2, comma 1, lettera e), del D.lgs. 108 del 2005, relativo alla definizione di armatore. Il nuovo testo riprende quanto contenuto nell'articolo 2, paragrafo 2), lettera d), della richiamata Direttiva 2009/14/UE e, pur confermando (secondo quanto previsto dalla normativa vigente) che è armatore il proprietario "dell'unità o nave od ogni altro organismo o persona (…) che hanno rilevato dal proprietario la responsabilità per l'esercizio della nave e, di conseguenza, hanno accettato di assumersi i relativi obblighi e responsabilità", ne integra la definizione, facendo riferimento non più all'imprenditore od al noleggiatore dell'unità o nave, bensì al gestore, all'agente od al noleggiatore a scafo nudo (si ricorda che per noleggiatore a scafo nudo si intende colui che noleggia una nave non equipaggiata, cioè priva di equipaggio e di quanto altro risulta necessario per la navigazione). Allo stesso tempo, viene specificato che i richiamati soggetti (che rivestono tutti la qualifica di armatore) conservano la responsabilità legata all'esercizio della nave e all'assolvimento dei connessi obblighi e compiti indipendentemente dal fatto che altri organismi o persone assolvano taluni degli obblighi e compiti dell'armatore.

 

Il successivo comma 2, attuando l'articolo 2, paragrafo 3), n. 3, della richiamata Direttiva 2009/13/UE, introduce l'articolo 5-bis al D.lgs. 271 del 1999, il quale demanda ad un decreto interministeriale (per la cui emanazione non è fissato un termine), sentite le organizzazioni degli armatori e dei lavoratori marittimi interessate, l'individuazione delle attività lavorative - da svolgersi a bordo di una nave o unità mercantile o di una nave da pesca - alle quali sia vietato adibire i minori di 18 anni, in considerazione della pericolosità per la salute e sicurezza degli stessi.

 

Si segnala che tra le modifiche introdotte in materia di sicurezza a bordo delle navi dalla Direttiva 2009/13/UE risulta il divieto del lavoro notturno per i minori di 18 anni e la possibilità per i lavoratori marittimi di lavorare a bordo delle navi solamente se in possesso di un apposito certificato medico, valido per un periodo massimo di 2 anni (1 anno per i minori di 18 anni) rilasciato da un medico qualificato. Al riguardo, si ricorda che il divieto di lavoro notturno per i lavoratori marittimi minori di 18 anni è già contenuto nell'articolo 11, comma 8, del D.lgs. 271 del 1999. L'obbligo di possesso del certificato medico è attualmente regolamentato dal combinato disposto del D.lgs. 136 del 2011, nelle parti, tra cui l’articolo 7, in cui viene espressamente richiamato l'obbligo, per i lavoratori marittimi, di possedere un certificato conforme a specifici requisiti contenuti nella Convenzione STCW 1978 (Convenzione internazionale sui requisiti minimi di addestramento, certificazione e tenuta della guardia), dall'articolo 5 della legge n. 113 del 2013 (in materia di certificazione medica dei marittimi ed assistenza sanitaria a bordo) e dall'articolo 4 della legge n. 1602 del 1962 (sull'accertamento dell'idoneità fisica della gente di mare).

 

Il comma 3 introduce l'articolo 38-bis al D.lgs. 271 del 1999 secondo cui chiunque adibisce i minori ai lavori vietati dal DM di cui al nuovo articolo 5-bis è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 516 a euro 2.582.

 

Al riguardo si osserva che l’articolo 26, comma 3, della L. 977/1967 prevede la medesima sanzione in caso di violazione analoga a quella prevista dal nuovo articolo 38-bis; l’articolo 26, comma 3, della L. 977/1967 dispone, infatti, che la medesima sanzione si applichi al caso di violazione di diverse disposizioni poste dalla stessa legge in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di orario di lavoro dei minori.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Con riferimento ai lavoratori marittimi, si segnala che, nel novembre 2013, la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva per includere i medesimi lavoratori nell'ambito di applicazione delle cinque direttive in materia di diritto del lavoro vigenti.

 

La proposta ha lo scopo, tra l’altro, di estendere a tale categoria di lavoratori i diritti di informazione e consultazione in caso di licenziamenti collettivi e trasferimenti di imprese nonché il diritto di partecipare ai comitati aziendali europei. La proposta (COM(2013)798) modifica cinque direttive (la direttiva 2008/94/CE, sull'insolvenza del datore di lavoro; la direttiva 2009/38/CE, sui comitati aziendali europei; la direttiva 2002/14/CE sull’informazione e consultazione; la direttiva 98/59/CE, sui licenziamenti collettivi; la direttiva 2001/23/CE, sul trasferimento di impresa).

 

Sulla proposta di direttiva si è svolto un primo dibattito nel corso del Consiglio Occupazione, Politiche sociali, Salute e Tutela dei consumatori del 12 dicembre 2014.

Il voto del Parlamento europeo è al momento previsto il prossimo 9 giugno.

Procedure di contenzioso

Il 24 novembre 2014 la Commissione europea ha aperto, con la lettera di messa in mora ex articolo 258 TFUE, la procedura di infrazione n. 2014/515 per il mancato recepimento da parte dell’Italia della direttiva 2009/13/CE, recante attuazione dell’accordo concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) sulla convenzione sul lavoro marittimo del 2006 e modifica della direttiva 1999/63/CE.

 


 

Articolo 16
(Disposizioni relative al sistema di identificazione degli animali della specie bovina. Attuazione della direttiva 2014/64/UE, che modifica
la direttiva 64/432/CEE per quanto concerne le basi di dati informatizzate che fanno parte delle reti di sorveglianza
degli Stati membri
)

 

 

L’articolo 16 traspone nell'ordinamento nazionale la direttiva 2014/64/UE (di modifica della direttiva 64/432/CEE)[23] relativa a problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovina e suina, recepita, in forma aggiornata, con D.lgs. 196 del 1999[24].

 

La modifica introdotta dalla direttiva 2014/64/UE è circoscritta al sistema di identificazione degli animali della specie bovina per i quali è previsto, con l'introduzione degli identificatori elettronici, l’ampliamento dell’ambito dei mezzi di identificazione attualmente previsti.

 

In particolare, la direttiva 64/432/CEE, all’articolo 14, stabilisce che l'autorità competente di uno Stato membro può istituire un sistema di reti di sorveglianza con una base di dati informatizzata che deve contenere, quale requisito minimo, le informazioni stabilite dalla stessa direttiva 64/432/CEE, compreso il codice di identificazione di ciascun animale.

 

La modifica introdotta per dare diretta attuazione alla direttiva 2014/64/UE - il cui termine di recepimento è previsto per il 18 gennaio 2016 - riguarda, in particolare, la tipologia delle informazioni minime da inserire nella Banca dati nazionale dell’anagrafe zootecnica e precisamente nell’Anagrafe bovina.

 

L’intervento legislativo è attuato sostituendo il comma 2 dell’articolo 12 del D.lgs. 196 del 1999, che elenca i dati identificativi di ciascun animale della specie bovina che devono essere inseriti nell’Anagrafe bovina.

Il nuovo comma 2, recato dall’articolo 16 in esame, amplia l’ambito dei mezzi di identificazione previsti dal regolamento (CE) 1760/2000[25] e consente l’uso di identificatori elettronici come mezzi ufficiali di identificazione.

 

Poiché l'introduzione degli identificatori elettronici comporterà, per alcuni Stati europei, investimenti finalizzati, è stato previsto un periodo di transizione di cinque anni. Allo stesso modo si dovrà provvedere affinché siano istituiti appositi percorsi formativi per gli operatori del settore che saranno chiamati ad applicare le nuove procedure. Pertanto, fino al 18 luglio 2019 i marchi auricolari attualmente in uso continueranno a rappresentare l'unico sistema consentito di identificazione dei bovini.

 

Per quanto riguarda l’Italia, la Relazione tecnica al provvedimento specifica che la norma non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, poiché la norma riguarda l’inserimento di nuovi dati all’interno di banche dati e formulari già esistenti.

 

A partire dal 2000, in Italia, è operante una Banca Dati Nazionale (BDN) delle anagrafi zootecniche, collocata fisicamente presso il Centro Servizi Nazionale, attivato presso l’istituto zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo e Molise.

La banca dati comprende 7 anagrafi diverse: anagrafe bovina; anagrafe ovina e caprina; anagrafe suina; anagrafe avicola; anagrafe equidi; anagrafe apistica; registrazione circhi.

Nella Banca Dati Nazionale (BDN) sono registrati tutti i dati identificativi, nonché quelli relativi ai movimenti sul territorio nazionale, dei capi bovini e bufalini.

Il Servizio veterinario delle ASL certifica l'iscrizione nella BDN e provvede al rilascio e vidimazione del passaporto: documento individuale d’identificazione che accompagna l'animale in ogni spostamento, contiene i suoi dati anagrafici, il suo codice identificativo, presente anche nel marchio apposto all'orecchio, e, infine la storia dei suoi trasferimenti.

Tutti gli eventi che riguardano la vita dell'animale (nascita, movimentazioni, uscite e ingressi, morte) devono essere notificati dai detentori degli animali alla BDN. Spetta al servizio veterinario della ASL la responsabilità di effettuare i controlli sulla corretta implementazione dell’anagrafe e di riportare nella Banca Dati Nazionale le eventuali irregolarità.

Per quanto riguarda i mezzi di identificazione dei bovini, si ricorda che nel 1997 il regolamento del Consiglio (CE) n. 820/971 ha rafforzato le norme dell'Unione in materia di identificazione e tracciabilità dei bovini a seguito dell'epidemia di encefalopatia spongiforme bovina (BSE) e della conseguente maggiore necessità di risalire all'origine e ai movimenti degli animali grazie a marchi auricolari convenzionali. Conseguentemente, il regolamento (CE) 1760/2000 ha stabilito che ciascuno Stato membro istituisca un sistema di identificazione e di registrazione dei bovini basato sull’applicazione di marchi auricolari agli orecchi di ogni animale, banche dati informatizzate, passaporti per gli animali e registri individuali tenuti presso ciascuna azienda. In seguito ai progressi tecnologici in materia di sistemi di identificazione elettronica (EID), basati sull'identificazione a radiofrequenza, vari Stati membri hanno deciso di avviare, su base volontaria, l'applicazione dell'identificazione elettronica dei bovini. Da ciò, la necessità di  ampliare l'ambito dei mezzi di identificazione previsti dal regolamento (CE) 1760/2000 per consentire l'uso di identificatori elettronici come mezzi ufficiali di identificazione (identificatore elettronico sotto forma di marchio auricolare elettronico; identificatore elettronico sotto forma di bolo ruminale; identificatore elettronico sotto forma di transponder iniettabile). Tale aggiornamento è stato operato dal Regolamento (UE) 653/2014 del 15 maggio 2014 di modifica del Regolamento (CE) 1760/2000 per quanto riguarda l’identificazione elettronica dei bovini e l’etichettatura delle carni bovine.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si segnala che è all’esame delle istituzioni europee la proposta di regolamento (COM(2013)260) in materia di sanità animale che reca, tra l’altro, norme relative alla registrazione, al riconoscimento, alla tracciabilità e agli spostamenti degli animali.

Il voto del Parlamento europeo in prima lettura è previsto per il prossimo 15 aprile 2015.

 


 

Articolo 17
(Disposizioni relative alla cattura di richiami vivi. Procedura
di infrazione n. 2014/2006
)

 

 

L’articolo 17 interviene sulla disciplina relativa alla cattura di uccelli a fini di richiamo, da ultimo modificata dal decreto-legge n. 91 del 2014 (commi 1, 1-bis e 1-ter dell’articolo 16).

 

Con il comma 1 dell’articolo 17, viene, infatti, nuovamente sostituita la disciplina di cui al comma 3 dell’articolo 4 della legge 11 febbraio 1992, n.157, prevedendo che l’attività di cattura per l’inanellamento e per la cessione a fini di richiamo può essere svolta solo con mezzi o metodi di cattura che non siano vietati dall’allegato IV della direttiva 2009/147/UE (viene, quindi, vietato tout court l’utilizzo delle reti). L’attività in esame può essere svolta solo da impianti, della cui autorizzazione siano titolari le province, gestiti da personale qualificato. L’autorizzazione alla gestione è concessa dalle regioni, su parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA). L’Istituto vigila sull’attività e determina il periodo di attività degli impianti.

 

Con il decreto-legge n. 91 del 2014 si era intervenuti sulla disciplina relativa alla cattura dei richiami vivi, al fine di superare i rilievi sollevati dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia, avendo le regioni Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana autorizzato la cattura di sette specie di uccelli mediante l’utilizzo di reti e senza il rispetto delle condizioni di deroga di cui all’articolo 19-bis (vedi infra).

Era stato, quindi, previsto, all’articolo 16, commi 1, 1-bis e 1-ter, del decreto-legge n. 91 del 2014 che l'autorizzazione alla gestione degli impianti che svolgono l'attività di cattura per l'inanellamento e per la cessione a fini di richiamo degli uccelli potesse essere data dalle regioni solo in caso di rispetto delle condizioni e delle modalità che definiscono l'attività di caccia in deroga di cui all’articolo 19-bis della legge n.157 del 1992.

In tal modo l’utilizzo di strumenti, quali le reti, vietati dall’Allegato IV della direttiva 2009/147/UE, poteva risultare legittimo solo in assenza di valide soluzioni alternative; inoltre il richiamo alle condizioni di deroga permetteva allo Stato di poter esercitare il potere di annullamento per i provvedimenti regionali ritenuti in contrasto con la normativa comunitaria e nazionale in materia.

 

Il comma 2 abroga i commi 1-bis e 1-ter dell’articolo 16 del decreto-legge n. 91 del 2014 con i quali si prevede che:

-       entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge saranno definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri:

a) i criteri per autorizzare mezzi ed impianti di cattura conformi a quelli utilizzati in altri Paesi dell’Unione europea e non vietati dall’Allegato IV della direttiva 2009/147/CE;

b) le regole e le condizioni per l’esercizio dell’attività di controllo, con particolare riferimento al metodo di cattura selettivo ed occasionale;

c) le modalità di costituzione di apposite banche dati regionali;

d) i criteri per l’impiego misurato e la definizione della quantità;

-       entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, le Regioni saranno chiamate ad adeguare la propria normativa.

Procedure di contenzioso

In relazione alle disposizioni che modificano la legge n. 157 del 1992 in materia di protezione della fauna selvatica omeoterma e di prelievo venatorio, si segnala che la Commissione europea, nell’ambito della procedura di infrazione n. 2014/2006, ha emesso, in data 26 novembre 2014, nei confronti dell’Italia un parere motivato per la non corretta applicazione della direttiva n. 2009/147/CE (conservazione degli uccelli selvatici – direttiva Uccelli).

 

La Commissione europea, nella lettera di messa in mora con la quale aveva avviato la procedura il 22 febbraio 2014, ha evidenziato la violazione da parte dell’Italia degli articoli 8, in combinato disposto con l’Allegato IV, e dell’articolo 9 della direttiva Uccelli per i seguenti motivi:

-      le regioni Veneto, Toscana e Lombardia hanno autorizzato la cattura tramite reti di sette specie di uccelli (Columba palumbus, Turdus pilaris, Turdus iliacus, Turdus merula, Vanellus vanellus, Alauda arvensis), nonostante il divieto posto dall’articolo 8, in combinato disposto con l’Allegato IV, della direttiva Uccelli;

-      le autorizzazioni non rispettano le condizioni di deroga tassativamente indicate dall’articolo 9 della direttiva medesima;

-      la addotta mancanza di soluzioni alternative non è condivisibile, dal momento che la caccia può avvenire, ad avviso della Commissione, anche con altri sistemi che non mettono a rischio le specie di uccelli in esame;

-      l’uso delle reti non consente la cattura selettiva degli uccelli né delle specie che si intendono catturare né di altre specie eventualmente catturate con tale sistema, come invece previsto dalla direttiva Uccelli;

-      non è configurabile neanche un uso misurato delle deroghe, ai sensi dell’articolo 9 della direttiva Uccelli;

-      le deroghe, inoltre, non soddisfano l’esigenza posta dalla direttiva di condizioni rigidamente controllate;

-      non è rispettata la condizione di piccola quantità, quantificabile, sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia fatta propria dalla Commissione, nell’1 per cento del tasso totale di mortalità annuale della popolazione della specie interessata alla deroga;

-      nei provvedimenti regionali non si fa riferimento alle condizioni di rischio in cui le deroghe possono essere applicate;

-      i provvedimenti non fanno alcun riferimento ai controlli e alle loro modalità di effettuazione.

 

Per superare i rilievi della Commissione, il decreto-legge n. 91 del 2014 (articolo 16), modificando l’articolo 4 della legge n. 157 del 1992, ha, in primo luogo, esplicitato che la cattura di uccelli da utilizzare come richiami vivi è da considerarsi attività in deroga ai divieti della direttiva Uccelli e, pertanto, soggetta ai limiti disposti dall’articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992. In particolare, non solo il previo parere dell’ISPRA, ma soprattutto la pubblicazione sul BUR e la notifica al Ministero dell’ambiente dei provvedimenti regionali di deroga almeno 60 giorni prima della loro entrata in vigore consentono allo Stato di esercitare il potere di annullamento, anch’esso previsto dall’articolo 19-bis.

 

Nella corrispondenza successiva, i servizi della Commissione europea hanno eccepito che le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 91 del 2014 non sono sufficienti a porre fine alla violazione degli articoli 8 e 9 della direttiva Uccelli.

 

Ad avviso della Commissione, infatti, sarebbe stata necessaria piuttosto l’applicazione costante e tempestiva del sistema di controllo previsto dall’articolo 19-bis del decreto legislativo n.  157 del 1992.

 

Con l’emissione del parere motivato, la Commissione ha dunque contestato la persistenza delle violazioni della direttiva Uccelli già rilevate con la lettera di messa in mora ed ha ribadito i suoi rilievi alla luce degli ulteriori dati trasmessi dalle autorità italiane; in particolare, la Commissione ha ribadito che l’Italia è inadempiente rispetto agli obblighi imposti dalla direttiva Uccelli in quanto è stata autorizzata la cattura, mediante l’utilizzo di reti, per la cessione ai fini del richiamo di determinate specie di uccelli (Columba palumbus, Turdus pilaris, Turdus iliacus, Turdus merula, Vanellus vanellus, Alauda arvensis) nelle regioni Veneto, Lombardia, Emilia Romagna a partire dal 1994, Toscana a partire dal 1996, Marche dal 1998 e Provincia Autonoma di Trento a partire dal 2000.

 

Risulta alla Commissione che, per quanto riguarda il 2014, a seguito dei pareri negativi dell’ISPRA relativamente alle autorizzazioni concesse dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna, il Governo italiano ha diffidato tali regioni a provvedere all’annullamento delle autorizzazioni, in base all’articolo 19-bis del decreto legislativo n. 157/1992. Tali provvedimenti non sono però giudicati sufficienti dalla Commissione in quanto il Governo italiano non ha esercitato il potere di annullamento per tali provvedimenti, che sono ancora in vigore. Inoltre, la diffida alle due regioni non è stata tempestiva, in quanto trasmessa oltre un mese dopo l’inizio delle attività di cattura, e le autorità regionali della Lombardia hanno dichiarato di non volere procede all’annullamento.

Anche i programmi di progressiva riduzione, fino all’azzeramento, del numero di esemplari catturabili, adottati dall’Emilia Romagna e dalla Lombardia (il Veneto non ha comunicato l’adozione di alcun programma), adottati tardivamente e non sufficientemente rapidi, non giustificano la persistenza di attività illegali.

Inoltre, alla Commissione risulta che la cattura di tali animali è stata autorizzata, oltre che in tali regioni, anche nelle Marche, nel Friuli Venezia Giulia, nel Veneto e nella provincia autonoma di Trento (la Toscana ha smesso di concedere le autorizzazioni dal 2011).

 

La Commissione eccepisce, inoltre, che le autorizzazioni sono state concesse senza rispettare le condizioni di deroga tassativamente previste dall’articolo 9 della direttiva Uccelli, in primo luogo la mancanza di soluzioni alternative all’impiego di reti per la cattura delle specie in questione da utilizzarsi come richiami vivi.

 

Infatti, il fatto che l’impiego delle reti sia stato autorizzato per circa quindici anni è incompatibile con il carattere eccezionale che la deroga deve avere. Inoltre, ad avviso della Commissione, non è sostenibile la necessità, addotta dalle autorità italiane, di ricorrere alle deroghe per l’assenza di soluzioni alternative (la Commissione cita gli esempi di altre regioni in cui la caccia è esercitata senza il ricorso alle reti). Non è neanche condivisibile l’argomentazione delle autorità italiane basata su una presunta impossibilità degli allevamenti di uccelli da utilizzare come esca di fare fronte alle richieste, visto che, ad avviso della Commissione, l’Italia avrebbe avuto tutto il tempo di provvedere e, inoltre, il ricorso continuato alle deroghe ha costituito un disincentivo allo sviluppo degli allevamenti.

 

Non risulta inoltre garantito, ad avviso della Commissione, il rispetto delle altre condizioni previste dall’articolo 9 della direttiva Uccelli, con particolare riferimento al metodo di cattura selettivo, all’impiego misurato e alle condizioni rigidamente controllate.

 

In primo luogo, la Commissione non condivide la posizione dell’Italia in merito alla garanzia di selettività offerta dall’uso delle reti secondo le modalità indicate da ISPRA (circolare n. 4598/T-A62). A sostegno della sua posizione, le autorità italiane, nella lettera di risposta di messa in mora, hanno fatto riferimento alla sentenza del TAR della Lombardia (n. 1393/2012) nella quale si sostiene che alcuni elementi che caratterizzano l’uso delle reti consentono di tollerare il carattere intrinsecamente non selettivo delle reti. Ma, per la Commissione, la selettività può essere valutata unicamente alla luce del rischio di catturare altre specie non autorizzate e del rischio di catturare un numero superiore al consentito. Tali rischi sono strettamente connessi all’uso delle reti oggetto dei provvedimenti autorizzativi regionali.

Non è soddisfatta nemmeno la condizione dell’uso misurato delle reti, che garantisce il mantenimento ad un livello soddisfacente della popolazione della specie interessata. In particolare, la deroga non può essere giustificata per specie che presentano uno stato di conservazione sfavorevole, come la Pavoncella e l’Allodola. Le autorità italiane hanno informato la Commissione che, per il 2014, solo la Lombardia e l’Emilia Romagna non hanno autorizzato la cattura di esemplari di tali specie ma non hanno fornito informazioni sulla posizione delle altre regioni e della provincia autonoma di Trento.

I provvedimenti regionali non hanno garantito nemmeno il rispetto della condizione delle condizioni rigidamente controllate. Infatti, gli atti adottati fino al 2013 non indicavano né i luoghi dove esercitare la cattura in deroga né i periodi di apertura degli impianti né la tipologia e la quantità (e le relative risorse) dei controlli che sarebbero stati effettuati per garantire il rispetto della condizione. L’indicazione di alcuni dettagli in proposito nelle ultime deliberazioni della Lombardia e dell’Emilia Romagna non sono sufficienti alla Commissione per considerare superati i rilievi.

 

Le deroghe non rispettano neanche le condizioni di rischio entro le quali applicare le deroghe, previste dall’articolo 9 della direttiva Uccelli per limitare le deroghe stesse allo stretto necessario e per permettere la vigilanza da parte della Commissione. Infatti, tutti i provvedimenti adottati fino al 2013 non individuano i rischi connessi alla cattura di esemplari di altre specie o di un numero di esemplari superiore a quello autorizzato dalla deroga. I provvedimenti della Lombardia e dell’Emilia Romagna per il 2014 si limitano a dichiarare nulli tali rischi. Ma in tali casi, ad avviso della Commissione, non basta la presenza di operatori specializzati in grado di liberare gli esemplari catturati accidentalmente per considerare nulli i rischi.

 

 


 

Articolo 18
(Divieto di commercio di specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo. Caso EU
Pilot 5391/13/ENVI)

 

 

L’articolo 18 interviene nuovamente sui divieti relativi al commercio di specie di uccelli viventi, prevedendo che tale divieto riguardi gli esemplari di tutte le specie di uccelli europei tutelati dalla direttiva 2009/147/CE, e non solo di quelle presenti in Italia, anche se importate dall’estero.

 

A tal fine viene modificato l’articolo 21, comma 1, lettera cc) della legge 11 febbraio 1992, n. 157, sul quale era già ultimamente intervenuto l’articolo 16, comma 3, lettera b) del decreto-legge n. 91 del 2014, al fine di risolvere le questioni sollevate al riguardo dalla Commissione europea (caso EU Pilot 5391/13/ENVI).

 

La Commissione europea, infatti, ha contestato all’Italia la mancata espressa previsione a livello normativo di un divieto di commercio di specie di uccelli non rientranti tra la fauna selvatica italiana ma, comunque, oggetto di tutela da parte della direttiva 2009/147/CE. Tale vuoto normativo non consente al Corpo forestale dello Stato di erogare sanzioni in caso di violazione del divieto né di sequestrare gli esemplari illegittimamente commercializzati.

L’articolo 16, comma 3, lettere a) e b) del decreto-legge n. 91 del 2014, come detto, è già intervenuto sull’articolo 21 della legge n. 157 proprio per far fronte ai rilievi espressi dalla Commissione europea prevedendo:

-         una modifica alla lettera bb) del comma 1 dell’articolo 21 in modo da includere nel divieto di commercializzazione di uccelli anche le specie importate dall’estero ed appartenenti non più alla categoria della “fauna selvatica“ ma a “tutte le specie viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell’Unione europea”;

-         una modifica alla lettera cc) del comma 1 dell’articolo 21 in modo da aggiungere al divieto di “commercio di esemplari vivi di specie di avifauna selvatica nazionale non proveniente da allevamenti “la specifica relativa al fatto che riguardino “specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell’Unione europea anche se importati dall’estero”.

 

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa al provvedimento, per un errore materiale, la disposizione introdotta alla lettera cc) del comma 1 dell’articolo 21 (legge n. 157 del 1992) è risultata incoerente ed inapplicabile. A tal fine viene la stessa viene riformulata prevedendo il divieto di commercio di esemplari vivi non provenienti da allevamenti di specie di uccelli viventi naturalmente allo Stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell’Unione europea, anche se importati dall’estero.

 

Si segnala, al riguardo, che l’articolo 30 della legge n.157 del 1992 prevede le sanzioni penali collegate alla violazione dei divieti previsti nel provvedimento; in particolare, al comma 1, lettera l), è sancito l'arresto da due a sei mesi o l'ammenda da euro 516 a euro 2.065 per chi pone in commercio o detiene a tal fine fauna selvatica in violazione della presente legge. Se il fatto riguarda la fauna di cui alle lettere b), c) e g), le pene sono raddoppiate.

 

Con la modifica apportata le sanzioni riguarderanno tutte le specie di uccelli europei tutelati dalla direttiva 2009/147/CE e non solo di quelle presenti in Italia, anche se importate dall’estero.

Procedure di contenzioso

L’articolo 18 in esame è volto a chiudere definitivamente il caso EU Pilot 5391/13/ENVI[26], nell’ambito del quale la Commissione europea ha contestato all’Italia la non conformità alla direttiva 2009/147/CE (direttiva Uccelli) della legge 11 febbraio 1992, n. 157, nella parte in cui consente, non vietandolo espressamente, il commercio di esemplari di specie di uccelli non rientranti tra la fauna selvatica italiana, ma, comunque, oggetto di tutela da parte della stessa direttiva.

La disposizione in esame risulta, in particolare, necessaria per correggere un errore materiale che rende incoerente ed inapplicabile le modifiche alla legge n. 157 del 1992 introdotte dal decreto-legge n. 91 del 2014, non permettendo la chiusura formale del contenzioso.

 

Il caso EU Pilot 5391/13/ENVI era stato avviato in quanto alla Commissione risultava un’intensificazione nel Nord Italia, a partire dal 2009, del vendita di passeri surgelati di provenienza tunisina (Passer hispaniolensis, Passer Italiae, Passer domesticus). Si tratta di specie a cui si applica, sulla base dell’articolo 6 della direttiva Uccelli, il divieto di vendita, di detenzione per la vendita nonché di offerta in vendita. Di conseguenza gli ufficiali del Corpo Forestale dello Stato hanno ripetutamente compiuto sequestri di partite di passeri surgelati detenute da commercianti. Tutti i sequestri sono stati però annullati dai pubblici ministeri sulla base di alcune sentenze della Corte di Cassazione che, diversamente da come deliberato in casi simili dalla Corte di Giustizia UE (Causa C-202/94), non riconoscono che a tali esemplari, catturati e uccisi al di fuori dell'UE ma commercializzati all'interno dell'UE, debba applicarsi la direttiva uccelli.

Alla luce di tali premesse, pertanto, la Commissione ha chiesto al Governo italiano di fornire chiarimenti circa il problema di compatibilità tra gli indirizzi della Corte di Cassazione e l'interpretazione della direttiva data dalla Corte di Giustizia UE.


 

Articolo 19
(Disposizioni finalizzate al corretto recepimento della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio. Procedura
di infrazione n. 2014/2123
)

 

 

L’articolo 19 contiene una serie di modifiche puntuali alla disciplina degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio (contenuta negli articoli 217-226 di cui si compone il titolo II della parte quarta del D.lgs. 152/2006, c.d. Codice ambientale), al fine di superare i rilievi della Commissione europea nell’ambito della procedura d’infrazione 2014/2123 e relativi al non corretto recepimento della c.d. direttiva imballaggi (direttiva 94/62/CE, d’ora in avanti la direttiva).

 

In particolare, la lettera a) amplia l’ambito di applicazione della disciplina. L’intervento (tramite una modifica al comma 2 dell’articolo 217 del D.lgs. 152/2006) mira a far sì che nel novero dei soggetti coinvolti ricadano tutti i produttori o gli utilizzatori di imballaggi o rifiuti di imballaggio.

 

Tale modifica consente un miglior recepimento dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva il quale chiarisce che sono ad essa assoggettati tutti gli imballaggi e rifiuti di imballaggio “utilizzati o prodotti da industrie, esercizi commerciali, uffici, negozi, servizi, nuclei domestici e a qualsiasi altro livello”. Si tratta quindi di una elencazione aperta di soggetti, in grado di considerare tutti i soggetti che producono o utilizzano imballaggi o rifiuti di imballaggio.

La norma nazionale invece riguarda gli imballaggi e i rifiuti di imballaggio “utilizzati o prodotti da industrie, esercizi commerciali, uffici, negozi, servizi, nuclei domestici, a qualsiasi titolo”. Si tratta di un elenco più circoscritto di soggetti.

La modifica in esame sostituisce quindi l’espressione “a qualsiasi titolo” al fine di ampliare l’elenco dei soggetti coinvolti a “qualunque altro soggetto che produce o utilizza imballaggi o rifiuti di imballaggio”.

 

Anche la successiva lettera b) del comma 1 estende il campo di applicazione della disciplina relativa agli imballaggi, stabilendo che le norme in essa contenute e relative alle modalità di progettazione e di produzione degli imballaggi si applicano a tutti gli imballaggi immessi sul mercato dell’Unione europea. (nuovo comma 2-bis dell’articolo 217 del d.lgs. 152/2006).

 

Si tratta di una disposizione che consente di recepire in maniera puntuale l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva imballaggi (n. 94/62/CE).

Ai sensi di tale paragrafo, infatti, la direttiva si applica a tutti gli imballaggi immessi sul mercato nella Comunità. Il comma 2 dell’articolo 217 del D.lgs. 152/2006 stabilisce invece che la disciplina degli imballaggi riguarda “la gestione di tutti gli imballaggi immessi sul mercato nazionale e di tutti i rifiuti di imballaggio derivanti dal loro impiego”.

Al riguardo, andrebbe pertanto valutata l’opportunità di un coordinamento tra la disposizione in commento, che si applica agli imballaggi immessi “sul mercato dell’Unione europea”, e il comma 2 dell’articolo 217 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che si riferisce agli imballaggi immessi “sul mercato nazionale”.

 

La lettera c) del comma 1 introduce una disposizione finalizzata a garantire l’immissione sul mercato nazionale degli imballaggi conformi alla disciplina dettata dal titolo II della parte quarta del cd. Codice dell’ambiente e ad ogni altra disposizione normativa adottata nel rispetto di quanto previsto dalla direttiva 94/62/CE (nuovo comma 3-bis dell’articolo 217 del D.lgs. 152/2006).

 

Si tratta di una norma che, in accoglimento delle richieste avanzate dalla Commissione europea, consente di recepire l’articolo 18 della direttiva, rubricato “Libertà di immissione sul mercato”, che prevede il divieto per gli Stati membri di ostacolare l’immissione sul mercato nel loro territorio di imballaggi conformi alle disposizioni della medesima direttiva. Sul punto, si consideri che è in corso di esame una proposta di direttiva (COM(2013)761), che prevede proprio la modifica della direttiva imballaggi al fine di consentire agli Stati membri di adottare misure, anche sotto forma di restrizioni alla commercializzazione in deroga all'articolo 18 della direttiva medesima, necessarie per assicurare una riduzione del consumo di borse di plastica in materiale leggero (si veda la scheda nella parte relativa ai documenti all’esame delle istituzioni dell’UE).

 

Si osserva che andrebbero valutati gli effetti dell’attuazione della disposizione in esame sull’applicazione – disposta dall'articolo 11, comma 2-bis, del decreto-legge 91/2014 – delle sanzioni per la commercializzazione di buste di plastica non conformi agli standard indicati dal decreto interministeriale 18 marzo 2013 con cui sono state individuate le caratteristiche tecniche dei sacchi per l'asporto delle merci, c.d. shoppers. Le citate sanzioni sono infatti connesse ad un divieto di commercializzazione che deroga all’articolo 18 della direttiva (v. infra). Andrebbe, pertanto, valutata l’opportunità di un coordinamento della norma in esame con la disciplina vigente.

 

Quanto alle norme nazionali sulla commercializzazione di sacchetti di plastica per l’asporto merci, con l'articolo 1, comma 1130, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006) sono state inserite nell'ordinamento nazionale le prime norme finalizzate a vietare la commercializzazione di sacchi per l'asporto delle merci (cosiddetti shoppers) non biodegradabili. L'indeterminatezza della citata norma (su cui era intanto intervenuta la proroga per la sua attuazione, disposta dall'articolo 23, comma 21-novies, del D.L. 78/2009) ne ha però impedito l'attuazione.

 

Sul punto è poi intervenuto l'articolo 2 del D.L. 2/2012, che ha previsto la proroga del termine relativo al divieto definitivo di commercializzazione degli shoppers non biodegradabili, limitatamente alla commercializzazione di alcune tipologie di sacchi indicati dalla norma, fino all'emanazione - entro il 31 dicembre 2012 - di un decreto interministeriale di natura non regolamentare. Il comma 4 dell'articolo 2 del D.L. 2/2012 ha introdotto sanzioni amministrative pecuniarie, nelle ipotesi di inosservanza del divieto di commercializzazione di sacchi non conformi a quanto prescritto dal medesimo articolo 2, applicabili solo a decorrere dal sessantesimo giorno dall'emanazione del predetto decreto interministeriale (secondo quanto stabilito dall'articolo 34, comma 30, del D.L. 179/2012).

 

Tale decreto interministeriale, pur essendo stato emanato in data 18 marzo 2013 (e pubblicato nella G.U. del 27 marzo 2013), non è tuttavia entrato in vigore in quanto, ai sensi dell’ articolo 6 (di tale decreto), “è sottoposto a procedura di comunicazione ai sensi della Direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio ed entra in vigore dalla data di conclusione, con esito favorevole, della procedura stessa".

 

Lo scenario è mutato con l'entrata in vigore dell'articolo 11, comma 2-bis, del decreto-legge 91/2014, che ha dato il via, a partire dal 21 agosto 2014 (data di entrata in vigore della legge n. 116/2014, di conversione del D.L. 91), all'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista, dall'articolo 2, comma 4, del D.L. 2/2012, per la commercializzazione:

- di sacchi per l'asporto merci (shoppers) monouso realizzati con polimeri  non conformi alla norma tecnica armonizzata UNI EN 13432:2002 (dal titolo "Imballaggi – requisiti per imballaggi recuperabili attraverso compostaggio e biodegradazione – schema di prova e criteri di valutazione per l'accettazione finale degli imballaggi");

- nonché di shoppers riutilizzabili non conformi alle caratteristiche di spessore e di presenza di materiale riciclato fissate dal decreto interministeriale 18 marzo 2013 (dal divieto di commercializzazione, secondo quanto stabilito da tale decreto, sono esclusi i sacchi riutilizzabili per l'asporto delle merci realizzati in carta, in tessuti di fibre naturali, in fibre di poliammide e in materiali diversi dai polimeri).

 

La misura della sanzione può variare da 2.500 euro a 25.000 euro e può essere aumentata fino al quadruplo del massimo se la violazione del divieto riguarda quantità ingenti di sacchi per l'asporto oppure un valore della merce superiore al 20% del fatturato del trasgressore.

 

La lettera d) modifica la definizione di “riciclaggio organico” (lettera o) del comma 1 dell’articolo 218 del d.lgs. 152/2006), al fine di renderla pienamente conforme alla corrispondente definizione contemplata dalla direttiva europea.

 

Secondo l’articolo 3, paragrafo 1, numero 9), della direttiva, la definizione in questione si riferisce al trattamento aerobico o anaerobico delle parti biodegradabili dei rifiuti di imballaggio, con produzione di residui organici stabilizzati o di metano.

 

Il testo vigente della lettera o) del comma 1 dell’articolo 218 del D.lgs. 152/2006 fa invece riferimento alla produzione “di residui organici stabilizzanti o di biogas con recupero energetico”.

 

Viene quindi eliminato il riferimento al biogas e al requisito del recupero energetico, non previsto dalla direttiva, che è sostituito con il riferimento al metano, così come previsto dalla norma europea.

 

L’operazione di riciclaggio termina quindi una volta ottenuto il metano, senza che vi sia bisogno di provvedere al recupero energetico.

 

La lettera e) modifica la definizione di “accordo volontario” (lettera z) del comma 1 dell’articolo 218 del d.lgs. 152/2006), al fine di operare un recepimento corretto della direttiva europea. Secondo l’articolo 3, paragrafo 1, numero 12), della direttiva, l’accordo volontario è aperto “a tutti gli interlocutori che desiderino attenersi alle condizioni previste dall'accordo”, mentre la lettera z) dell’articolo 218 stabilisce che l’accordo è “aperto a tutti i soggetti interessati”. La modifica di cui alla lettera e) è, pertanto, volta a sopprimere la parola “interessati” facendo riferimento indistintamente a tutti i soggetti.

 

Le lettere f) e g) modificano il comma 3 dell’articolo 226 del d.lgs. 152/2006  al fine di pervenire ad un recepimento più puntuale delle disposizioni dettate dall’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva in materia di requisiti essenziali per gli imballaggi.

 

L’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), della direttiva prevede una presunzione di conformità ai requisiti essenziali della direttiva stessa, tra i quali anche quelli di cui all’allegato II (recepito dall’Allegato F alla parte quarta del d.lgs. 152/2006), per quegli imballaggi che siano conformi alle “pertinenti norme armonizzate i cui numeri di riferimento sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee”. La direttiva dunque non fa riferimento a standard adottati da uno specifico organismo di normalizzazione, come invece previsto dall’articolo 226, comma 3, del D.lgs. 152/2006, che quindi rende vincolante, ai fini della commerciabilità degli imballaggi, la conformità a detti standard. Tale previsione è stata ritenuta restrittiva dalla Commissione europea.

La lettera b) del paragrafo 2 dell’articolo 9 della direttiva disciplina il caso in cui non esistano le norme armonizzate di riferimento menzionate dalla precedente lettera a). Tale disposizione non trova corrispondenza nel testo vigente dell’articolo 226 del D.lgs. 152/2006.

 

Il seguente testo a fronte evidenzia come il nuovo testo del comma 3 dell’articolo 226 del D.lgs. 152/2006, come risultante dalle modifiche previste dalle lettere f) e g) in esame, consenta un corretto e completo recepimento dell’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva.

 

 

Articolo 226, co. 3 - Testo vigente

Testo della direttiva

Articolo 226, co. 3 - Nuovo testo

3. Possono essere commercializzati solo imballaggi rispondenti agli standard europei fissati dal Comitato europeo di normalizzazione in conformità ai requisiti essenziali stabiliti dall'articolo 9 della direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 1994.

2. Dalla data indicata nell'articolo 22, paragrafo 1, gli Stati membri presumono che siano soddisfatti tutti i requisiti essenziali definiti dalla presente direttiva, compreso l'allegato II, quando gli imballaggi sono conformi:

a) alle pertinenti norme armonizzate i cui numeri di riferimento sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee. Gli Stati membri pubblicano i numeri di riferimento delle norme nazionali che recepiscono le norme armonizzate;

3. I requisiti essenziali stabiliti dalla direttiva 94/62/CE, nonché quelli di cui all’allegato F alla Parte IV, si presumono soddisfatti quando gli imballaggi sono conformi

 

alle pertinenti norme armonizzate i cui numeri di riferimento siano stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee o alle norme nazionali che abbiano recepito tali norme armonizzate e, in mancanza di queste, agli standard europei fissati dal Comitato europeo di normalizzazione.

 

b) alle pertinenti norme nazionali di cui al paragrafo 3, se per i settori cui si riferiscono tali norme non esistono norme armonizzate.

In mancanza delle norme armonizzate, i requisiti essenziali stabiliti nella direttiva 94/62/CE, nonché quelli dell’allegato F alla Parte IV, si presumono soddisfatti quando gli imballaggi sono conformi alle pertinenti norme nazionali, adottate ai sensi di quanto disposto al paragrafo 3 dell’articolo 9 della direttiva 94/62/CE.

Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle attività produttive sono aggiornati i predetti standard, tenuto conto della comunicazione della Commissione europea 2005/C44/13. Sino all'emanazione del predetto decreto si applica l'Allegato F alla parte quarta del presente decreto.

 

Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle attività produttive sono aggiornati i predetti standard, tenuto conto della comunicazione della Commissione europea 2005/C44/13. Sino all'emanazione del predetto decreto si applica l'Allegato F alla parte quarta del presente decreto.

 

 

La lettera h), infine, corregge un errore materiale contenuto nell’Allegato E alla Parte quarta del D.lgs. 152/2006 e relativo agli obiettivi di riciclaggio per i materiali contenuti nei rifiuti di imballaggio da conseguire entro la fine del 2008.


 

Il seguente testo a fronte evidenzia come nel testo vigente manchi una parte della corrispondente disposizione contenuta nell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), della direttiva. Il nuovo testo risultante dalle modifiche apportate della norma in esame, che introduce proprio tale parte mancante (evidenziata in neretto), risulta perfettamente identico a quello della direttiva.

 

Allegato E - Testo vigente

Testo della direttiva

Allegato E - Nuovo testo

entro il 31 dicembre 2008 sarà riciclato almeno il 55% e fino all'80 % in peso dei rifiuti di imballaggio

d) entro il 31 dicembre 2008 sarà riciclato almeno il 55% e fino all'80% in peso dei rifiuti di imballaggio;

entro il 31 dicembre 2008 sarà riciclato almeno il 55% e fino all'80 % in peso dei rifiuti di imballaggio

 

e) entro il 31 dicembre 2008 saranno raggiunti i seguenti obiettivi minimi di riciclaggio per i

entro il 31 dicembre 2008 saranno raggiunti i seguenti obiettivi minimi di riciclaggio per i

materiali contenuti nei rifiuti di imballaggio:

60 % in peso per il vetro;

60 % in peso per la carta e il cartone;

50 % in peso per i metalli;

[…]

materiali contenuti nei rifiuti di imballaggio:

i) 60% in peso per il vetro;

ii) 60% in peso per la carta e il cartone;

iii) 50% in peso per i metalli;   […]

materiali contenuti nei rifiuti di imballaggio:

60 % in peso per il vetro;

60 % in peso per la carta e il cartone;

50 % in peso per i metalli;

[…]

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Con riferimento alla lettera c) del comma 1 dell’articolo in esame, che riguarda l’immissione sul mercato dei prodotti da imballaggio, si segnala che è all’esame delle istituzioni europee la proposta di modifica della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, al fine di ridurre il consumo di borse di plastica in materiale leggero (COM(2013)761).

 

La proposta si applica alle buste di plastica con spessore inferiore ai 50 micron che, essendo monouso e sottili, sono soggette a dispersione e quindi più inquinanti rispetto alle altre tipologie. Le misure potranno variare a seconda dell’impatto ambientale del sacchetto biodegradabile e compostabile.

 

Il testo in esame prevede che, per ridurre il consumo di sacchetti di plastica, gli Stati membri potranno fissare un obiettivo nazionale, cioè un tetto al consumo medio pro capite. In alternativa, potranno stabilire un sistema di prezzo dei sacchetti.

Sul testo, approvato in prima lettura dal Parlamento europeo il 14 marzo 2014 e adottato dal Consiglio lo scorso 4 marzo 2015, si attende il voto in seconda lettura del Parlamento europeo (il dibattito in sede plenaria è previsto i prossimo 28 aprile 2015).

 

Si segnala, inoltre, che la precedente Commissione aveva presentato una proposta di modifica delle direttive sui rifiuti.

Si trattava, in particolare della proposta di direttiva (COM(2014)397) che modifica le direttive sui rifiuti (2008/98//CE), sugli imballaggi (94/62/CE), sulle discariche (1999/31/CE), sui veicoli fuori uso (2000/53/CE), sulle batterie ed accumulatori (2006/66/CE) e sui rifiuti elettrici ed elettronici (2012/19/CE).

La proposta è stata ritirata dalla nuova Commissione, con l’intenzione di ripresentarla in una versione più ambiziosa.

 

Lo scorso 4 marzo, il Commissario all’Ambiente, Affari Marittimi e Pesca, Karmenu Vella, ha fornito maggiori dettagli sui motivi che hanno indotto la Commissione al ritiro, richiamando la necessità di un migliore allineamento alle priorità della nuova Commissione. Questa ha deciso di avviare una riflessione approfondita su come l'obiettivo dell’economia circolare possa essere raggiunto in modo più efficiente e pienamente compatibile con gli obiettivi dell’aumento dei posti di lavoro e della crescita economica.

Il nuovo approccio è duplice: in primo luogo, sarà presentata una nuova proposta legislativa sugli obiettivi di riduzione dei rifiuti, che tenga conto dei risultati delle consultazioni pubbliche e degli orientamenti espressi dal Consiglio e dal Parlamento, con riferimento, in particolare, alla necessità di tenere maggiormente conto delle specificità di ciascun paese. In secondo luogo, sarà elaborata una tabella di marcia per ulteriori azioni in materi di economia circolare, prendendo in considerazione due aspetti: la produzione e l’uso dei prodotti, prima che diventino rifiuti, e il loro riutilizzo, per evitare, a fine utilizzo, che diventino rifiuti. In particolare, saranno studiate proposte per incoraggiare e sviluppare un mercato di prodotti riciclati.

 

Procedure di contenzioso

L’11 luglio 2014, la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora ex articolo 258 TFUE per il non corretto recepimento della direttiva 94/62/CEE relativa agli imballaggi e rifiuti d'imballaggio (procedura di infrazione 2014/2123).

 

Un primo rilievo riguarda l’ambito di applicazione della direttiva: infatti, l’articolo 2 della direttiva si riferisce specificamente agli imballaggi immessi sul mercato dell’Unione, laddove, invece, l’articolo 217 del decreto legislativo n. 152/2006 (che ha traposto nell’ordinamento italiano la direttiva) restringe il campo di applicazione della direttiva agli imballaggi immessi sul mercato nazionale.

 

Nel corso della fase precontenziosa che ha preceduto l’apertura della procedura di infrazione (caso EU Pilot 2113/11/ENVI), l’Italia ha sostenuto che, non essendoci disposizioni specifiche, la medesima normativa si applica anche agli imballaggi prodotti in Italia, destinati ad essere esportati in altri Stati membri. Ad avviso della Commissione, questa mancata esplicitazione crea incertezza sul regime applicabile agli imballaggi prodotti in Italia e commercializzati in altri Paesi dell’UE, compromettendo, potenzialmente, anche l’efficacia delle disposizioni chiave della direttiva.

 

Inoltre, ad avviso della Commissione, l’articolo 2 della direttiva, avendo una formulazione aperta, si applica a qualunque soggetto produttore o utilizzatore di imballaggi. Invece, l’articolo 217 del decreto legislativo non solo si riferisce ad un elenco definito di soggetti ma anche si riferisce solo al titolo (professionale o individuale), con il quale ciascun soggetto può essere assoggettato alla direttiva.

 

Un secondo rilievo attiene alla limitazione, da parte dell’articolo 218 del decreto legislativo, della definizione di riciclaggio organico alla produzione di biogas con recupero energetico, escludendo, a differenza dell’articolo 3 della direttiva, i casi senza recupero energetico.

 

Un terzo rilievo attiene la definizione di accordo volontario, che l’articolo 3 della direttiva considera aperto a tutti gli interlocutori, laddove l’articolo 218 del decreto legislativo limita ai soggetti interessati.

 

Ad avviso della Commissione, l’onere di dovere dimostrare di essere titolari di un interesse diretto nella materia non corrisponde né allo scopo né allo spirito della direttiva.

 

Anche in questo, secondo la Commissione, le modalità di trasposizione della direttiva potrebbero causare difficoltà nell’attuazione.

 

Un quarto rilievo riguarda la non corretta trasposizione dell’articolo 6, lettera e) della direttiva sui termini per il raggiungimento degli obiettivi minimi di riciclaggio. Per un errore di stampa durante la fase di pubblicazione, riconosciuto dalle autorità italiane, il termine è stato omesso. Anche se, per prassi consolidata, gli operatori hanno interpretato correttamente la norma, la mancata correzione dell’errore, ad avviso della Commissione, potrebbe ingenerare ambiguità.

 

Un quinto rilievo riguarda la commercializzazione degli imballaggi, subordinata dall’articolo 226 del decreto legislativo n. 152/2006 alla conformità dei prodotti agli standard europei fissati dal Comitato europeo normalizzazione (CEN), laddove l’articolo 9 lettera a) della direttiva introduce solo un principio di presunzione di conformità.

 

In particolare, la Commissione considera volontario l’uso degli standard CEN e non una condizione valida per l’accesso al mercato dell’UE. Inoltre, la conformità agli standard CEN non rappresenta uno dei requisiti essenziali previsti dall’articolo 9 in combinato disposto con l’Allegato II della direttiva.

 

Infine, la Commissione imputa all’Italia anche il mancato recepimento delle seguenti disposizioni della direttiva:

·     l’articolo 9, comma 2, lettera b), che si riferisce alla conformità degli imballaggi con gli standard nazionali quando, per i settori cui si riferiscono tali norme, non esistono norme armonizzate;

·     l’articolo 18, che obbliga gli Stati membri all’adozione di tutte le misure necessarie per assicurare che non ci siano ostacoli all’immissione sul mercato nel loro territorio di imballaggi conformi ai requisiti essenziali della direttiva;

·     l’Allegato III, che definisce i dati che gli Stati membri devono includere nelle base di dati sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, richieste dall’articolo 12, per consentire agli Stati membri e alla Commissione, grazie ai formati armonizzati, di controllare l’attuazione degli obiettivi della direttiva.

 

In risposta alla messa in mora, le autorità italiane hanno inviato alla Commissione i testi delle proposte di modifica del decreto legislativo n. 157/1992 necessarie al superamento dei rilievi.

 

Con specifico riferimento al comma 1, lettera c) che introduce una disposizione finalizzata a garantire l’immissione sul mercato nazionale degli imballaggi nel rispetto dell’articolo 18 della direttiva 94/62/CE (che prevede il divieto per gli Stati membri di ostacolare l’immissione sul mercato nel loro territorio di imballaggi conformi alle disposizioni della medesima direttiva), si segnala che è in corso la procedura di infrazione n. 2011/4030, avviata per la eccepita incompatibilità con il diritto UE del divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili per asporto di merci, introdotto nell’ordinamento italiano dalla legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007) a decorrere dal 1° gennaio 2011. Tale divieto contrasterebbe, in particolare, con:

-       l’obbligo di notifica recato dall’articolo 16 della direttiva 94/62/CE e dall’articolo 8 della direttiva 98/34/CE;

-       il divieto di ostacolare l’immissione sul mercato di prodotti conformi alla direttiva, di cui all’articolo 18 della direttiva medesima n. 94/62/CE).

 

In risposta alla lettera di costituzione in mora, le autorità italiane hanno fatto presente di avere inviato, per ottemperare all’obbligo di notifica, alla Commissione, il 5 aprile 2011, un disegno di legge volto a meglio definire la portata del divieto che, sulla base della formulazione originaria della norma, non era mai stato applicato.

 

Il 30 novembre 2012 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di costituzione in mora complementare.

 

In primo luogo, la Commissione ha contestato la mancata notifica dell’articolo 2 del DL n. 2/2012, in base alla quale i sacchi non conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002 devono contenere una determinata percentuale di plastica riciclata. In tal modo, ad avviso della Commissione europea, l’Italia ha violato l’articolo 8 della direttiva 98/34/CE che impone agli Stati membri di notificare nuovamente il progetto di regola tecnica qualora siano apportate modifiche importanti che ne alterino il campo di applicazione, che aggiungano requisiti o che rendano più rigorosi i requisiti previsti.

 

In secondo luogo, con la costituzione in mora complementare, la Commissione ha esteso l’oggetto della procedura di infrazione alla violazione dell’articolo 18 della direttiva 94/62/CE, che reca il divieto per gli Stati membri di ostacolare l’immissione sul mercato di imballaggi conformi alle disposizioni della direttiva.

Più in particolare, l’articolo 9 della direttiva obbliga gli Stati membri a provvedere a che siano immessi sul mercato solo gli imballaggi conformi ai requisiti essenziali definiti dalla direttiva. Viceversa, la direttiva non consente di vietare la commercializzazione di imballaggi non biodegradabili, come invece disposto dalla normativa italiana.

 

Pertanto, il divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili per asporto merci introdotto dalla legge n. 296/2006 a decorrere dal 1° gennaio 2011 viola l’articolo 18 della direttiva 94/62/CE.

 

Anche la sospensione del divieto limitatamente ad alcune tipologie di sacchetti di plastica con determinate caratteristiche, non rientranti tra i requisiti essenziali definiti dalla direttiva, non è conforme, secondo la Commissione, al diritto europeo in quanto la direttiva medesima non consente agli Stati membri di condizionare la commerciabilità degli imballaggi né alla conformità a norme autorizzate (come la UNI EN 13432:2002 prevista dal DL n. 2/2012) né a requisiti di spessore minimo né alla presenza di una percentuale minima di plastica riciclata nella composizione degli imballaggi.

 

 


 

Articolo 20
(Capacità europea di risposta emergenziale)

 

 

L’articolo 20 reca disposizioni concernenti la partecipazione italiana al meccanismo unionale di protezione civile in attuazione della decisione 1313/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013.

 

Il comma 1, al fine di assicurare la partecipazione dell’Italia all’organizzazione della capacità europea di risposta emergenziale (EERC), autorizza l’impiego di moduli, di mezzi, di attrezzature e di esperti qualificati del Servizio nazionale di protezione civile.

 

Il comma 2 autorizza il Capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri ad attivare e coordinare le predette risorse a seguito della richiesta di assistenza da parte del Centro di coordinamento europeo della risposta alle emergenze (ERCC).

 

Il comma 3 consente al Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri di avviare iniziative finalizzate ad attivare le misure rientranti nella capacità europea di risposta emergenziale anche stipulando apposite convenzioni ed accordi con amministrazioni ed organizzazioni.

 

Di seguito, sono esaminate in maggior dettaglio le disposizioni recate dall’articolo in esame.

 

In particolare, il comma 1, in attuazione della decisione 1313/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, su un meccanismo unionale di protezione civile, autorizza l’impiego di moduli, di mezzi, di attrezzature e di esperti qualificati, all’uopo specificamente formati, al fine di concorrere al funzionamento del meccanismo denominato Capacità europea di risposta emergenziale (European Emergency Response Capacity - EERC), istituita ai sensi dell’articolo 11 della citata decisione n. 1313/2013/UE.

 

Dal 1° gennaio 2014 è in vigore il Meccanismo Unionale di Protezione Civile adottato il 17 dicembre del 2013, con la decisione 1313/2013/UE. In attuazione di tale decisione è stata emanata la decisione 16 ottobre 2014, n. 762, recante modalità d'esecuzione della decisione n. 1313/2013/UE su un meccanismo unionale di protezione civile e che abroga le decisioni 2004/277/UE/Euratom e 2007/606/UE/Euratom.

 

L’articolo 11 della decisione 1313/2013/UE ha istituito una capacità europea di risposta emergenziale (EERC), costituita da un pool volontario di mezzi di risposta preimpegnati degli Stati membri, comprendente moduli, altri mezzi di risposta ed esperti. In particolare, ai sensi dell’articolo 11 medesimo, spetta alla Commissione la definizione, sulla scorta dei rischi individuati, delle tipologie e della quantità dei principali mezzi di risposta necessari per l'EERC ("obiettivi del dispositivo").

 

Il comma 2 autorizza il Capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri ad attivare e coordinare le risorse di cui al comma 1, previa informativa al Presidente del Consiglio dei ministri, a seguito di richiesta di assistenza inoltrata tramite il Centro di coordinamento europeo della risposta alle emergenze (Emergency Response Coordination Centre - ERCC).

 

L’articolo 7 della decisione 1313/2013/UE ha istituito il Centro di coordinamento della risposta alle emergenze (ERCC), che garantisce la capacità operativa 24 ore su 24, sette giorni su sette ed è al servizio degli Stati membri e della Commissione nel perseguimento degli obiettivi del meccanismo unionale.

 

Il comma 2 prevede inoltre che il Capo del Dipartimento della protezione civile, prima di attivare e coordinare le risorse di cui al comma 1, valuti l’assenza di elementi ostativi di cui al paragrafo 7 dell’articolo 11 della decisione n. 1313/2013/UE, ferma restando la possibilità di ritirare tali mezzi nel caso in cui ricorrano i gravi motivi di cui al paragrafo 8 del medesimo articolo della suddetta decisione.

 

I paragrafi 7 e 8 dell’articolo 11 della decisione 1313/2013/UE prevedono tra l’altro, rispettivamente, che, qualora emergenze nazionali, cause di forza maggiore o, in casi eccezionali, altri motivi gravi impediscano a uno Stato membro di mettere a disposizione i mezzi di risposta per una specifica catastrofe, tale Stato membro ne informa quanto prima la Commissione (paragrafo 7), e che, ove siano mobilitati, i mezzi di risposta degli Stati membri rimangono sotto il loro comando e il loro controllo e possono essere ritirati qualora emergenze nazionali, cause di forza maggiore o, in casi eccezionali, altri motivi gravi impediscano a uno Stato membro di mantenere a disposizione i propri mezzi di risposta, previa consultazione con la Commissione (paragrafo 8).

 

Infine, il comma 3 autorizza il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri a intraprendere ogni utile iniziativa finalizzata ad attivare le misure rientranti nella capacità europea di risposta emergenziale, al fine della partecipazione dell’Italia alle attività di cui ai commi 1 e 2.

In tale ambito, il comma 3 prevede altresì la possibilità della stipula da parte del Dipartimento della protezione civile di appositi convenzioni ed accordi con amministrazioni e organizzazioni, avvalendosi anche delle risorse finanziarie previste dalla decisione 1313/2013/UE.

 

L’articolo 19 della decisione 1313/2013/UE prevede che la dotazione finanziaria per l'attuazione del meccanismo unionale nel periodo 2014-2020 è fissata a 368.428.000 euro a prezzi correnti. In particolare, nell’ambito del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, 223.776.000 euro a prezzi correnti, sono attinti dalla rubrica 3 "Sicurezza e cittadinanza" e 144.652.000 euro a prezzi correnti dalla rubrica 4 "Europa globale".

Gli stanziamenti annuali sono autorizzati dal Parlamento europeo e dal Consiglio entro i limiti del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, (regolamento del Consiglio 1311/2013 del 2 dicembre 2013) in cui tra l’altro sono previsti anche una serie di "strumenti speciali", per consentire all'UE di reagire a circostanze impreviste o di finanziare spese legate a obiettivi ben precisi che non possono essere finanziati entro i massimali del QFP, tra cui rileva, in caso di catastrofi naturali, quanto previsto dall’articolo 10 del citato regolamento per il Fondo di solidarietà dell'Unione europea, con una dotazione annua di 500 milioni di euro (Regolamento (CE) n. 2012/2002, istitutivo del Fondo, recentemente modificato e integrato dal Regolamento (UE) n. 661/2014, pubblicato nella G.U.U.E. 27 giugno 2014, n. L 189).

 

Il Servizio Nazionale di protezione civile

 

Il Servizio Nazionale di protezione civile istituito e disciplinato dalla legge 24 febbraio 1992, n. 225, ha come sue componenti (articolo 6, comma 1, della legge n. 225/92) le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni e le comunità montane, e vi concorrono gli enti pubblici, gli istituti ed i gruppi di ricerca scientifica con finalità di protezione civile, nonché ogni altra istituzione ed organizzazione anche privata. Le strutture nazionali e locali di protezione civile possono stipulare convenzioni con soggetti pubblici e privati.

L'articolo 11 della legge n. 225 del 1992 individua come strutture operative del Servizio nazionale: il Corpo nazionale dei vigili del fuoco quale componente fondamentale della protezione civile; le Forze armate; le Forze di polizia; il Corpo forestale dello Stato; i Servizi tecnici nazionali; i gruppi nazionali di ricerca scientifica, l'Istituto nazionale di geofisica ed altre istituzioni di ricerca; la Croce rossa italiana; le strutture del Servizio sanitario nazionale; le organizzazioni di volontariato; il Corpo nazionale soccorso alpino-CNSA (CAI).

Se si verifica un'emergenza eccezionale da valutarsi in relazione al grave rischio di compromissione dell'integrità della vita, anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza, il Presidente del Consiglio dei Ministri dispone il coinvolgimento delle strutture operative nazionali, su proposta del Capo del Dipartimento della Protezione Civile e sentito il Presidente della regione interessata (articolo 3 del D.L. 245/02). Nella sede del Dipartimento della Protezione Civile si riunisce il Comitato Operativo, che assicura il coordinamento dell'attività di emergenza. La composizione ed il funzionamento del Comitato operativo sono disciplinati dal D.P.C.M. 8 agosto 2013.

Presso la Sala Situazione Italia del Dipartimento della protezione civile è, inoltre, attivo un centro di coordinamento nazionale denominato Sistema che ha il compito di monitorare e sorvegliare il territorio nazionale al fine di individuare le situazioni emergenziali previste o in atto e seguirne l'evoluzione, nonché di allertare ed attivare le diverse componenti e strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile che concorrono alla gestione delle emergenze. A fronte di un'emergenza a carattere nazionale, che prevede la convocazione del Comitato operativo di protezione civile volto ad assicurare la direzione unitaria ed il coordinamento delle attività di emergenza, Sistema garantisce la propria attività di supporto al suddetto Comitato nelle prime ore dell'evento, per poi riprendere il ruolo ordinario di struttura di monitoraggio e sorveglianza delle possibili criticità presenti o previste sulla restante parte del territorio nazionale. L'organizzazione e il funzionamento di Sistema sono definiti con il D.P.C.M. 3 dicembre 2008.

Si ricorda che è in corso di esame alla Camera l’A.C. 2607, recante delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale e coordinamento della protezione civile per finalità di revisione complessiva della normativa di riferimento.

In merito alle modifiche in materia di protezione civile adottate nel corso dell’attuale legislatura, si rinvia, infine, al tema dell’attività parlamentare: Protezione civile.

 

 

 


 

Articolo 21
(Clausola di invarianza finanziaria)

 

 

L’articolo 21 reca la clausola di invarianza finanziaria, prevedendo che le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dalla presente legge con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.



[1] I diritti amministrativi sono riscossi sulla base di tre soglie relative alla popolazione dei comuni serviti dall’impresa: 1) sull'intero territorio nazionale, 111.000,00 euro;
2) su un territorio avente fino a 10 milioni di abitanti, 55.500,00 euro
3) su un territorio avente fino a 200 mila abitanti, 27.750,00 euro.

[2] In base a tale disposizione i diritti amministrativi imposti alle imprese che prestano servizi o reti ai sensi dell'autorizzazione generale o che hanno ricevuto una concessione dei diritti d'uso: a) coprono complessivamente i soli costi amministrativi che saranno sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d'uso e degli obblighi specifici di cui all'articolo 6, paragrafo 2, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e interconnessione.

[3] In base a tale disposizione, le autorità nazionali di regolamentazione che impongono il pagamento di diritti amministrativi sono tenute a pubblicare un rendiconto annuo dei propri costi amministrativi e dell'importo complessivo dei diritti riscossi. Alla luce delle differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche.

[4] L’articolo 34 della nuova direttiva chiarisce che i riferimenti alla direttiva 1989/552/CEE (come

modificata dalle successive), ora abrogata, si intendono fatti alla stessa nuova direttiva e si leggono secondo la tavola di concordanza riportata all'Allegato II.

[5]     Considerando n. 87) della direttiva 2010/13/UE.

[6]     Considerando n. 83) della direttiva 2010/13/UE.

[7]     Sono definite «televendita» le offerte dirette trasmesse al pubblico allo scopo di fornire, dietro pagamento, beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni (articolo 1, paragrafo 1, lettera l), della direttiva 2010/13/UE).

[8]     G.U. n. 208 del 7 settembre 2005.

[9]     La legge comunitaria 2008 consentiva modifiche o integrazioni delle norme attuative delle direttive comunitarie in essa inserite entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo.

[10] In base a tali disposizioni, il limite agli spot pubblicitari non si applica agli annunci dell’emittente relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati, agli annunci di sponsorizzazione e agli inserimenti di prodotti

[11] Sono considerate società controllate:

1)   le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;

2)   le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;

3)   le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

[12]    La relazione illustrativa cita, in particolare, l’articolo 6, paragrafo 2, del Regolamento (UE) 1407/2013, in materia di aiuti de minimis, che determina la necessità di istituire un registro centrale che contenga informazioni complete su tutti gli aiuti de minimis concessi dalle diverse Amministrazioni pubbliche, di ogni livello di governo (centrali, regionali e locali). Sotto il profilo della trasparenza la realizzazione di un portale dedicato alla pubblicità delle informazioni sugli aiuti è previsto, in particolare, nel nuovo regolamento generale di esenzione (Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014 (v. nota 15).

[13] Con riferimento all’articolo in esame, che interviene sulla legge n. 234 del 2012 al fine di disporre la realizzazione di un registro nazionale degli aiuti di Stato, si segnala che nella Relazione programmatica per il 2015 sulla partecipazione dell’Italia all’Unione Europea il Governo rammenta che l’istituzione di tale registro è resa necessaria anche dagli impegni assunti dall’Italia nell’ambito dell’Accordo di partenariato italiano 2014-2020 relativo alla programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali e di investimento dell’UE.

 

[14]  Sulla Comunicazione COM (2012) 209, la XIV Commissione Politiche dell’Unione europea ha espresso un parere favorevole con condizioni e osservazioni nella seduta del 14 novembre 2012. Nella seduta del 28 novembre 2012 la X Commissione Attività produttive ha approvato il documento finale (DOC. XVIII, n. 65).

[15]    Nel 2013 è stato approvato il nuovo regolamento sugli aiuti d'importanza minore (de minimis): Regolamento (UE) n. 1407/2013 del 18 dicembre 2013 relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis». Le misure che rispettano i criteri fissati nel Regolamento de minimis non costituiscono "aiuti di Stato" secondo la disciplina europea e pertanto non necessitano di preventiva notifica alla Commissione europea per l’approvazione. Ciò semplifica e chiarisce le regole, in linea con quanto previsto dalla strategia di modernizzazione degli aiuti di Stato, e riduce significativamente gli oneri amministrativi a carico delle imprese e degli Stati membri. Il Regolamento n. 1407/2013 mantiene inalterati i precedenti criteri, fissando un massimale di 200 000 EUR per gli aiuti «de minimis» che un’impresa unica può ricevere nell’arco di tre anni.  Il nuovo regolamento generale di esenzione per categoria (RGEC) è stato emanato nel 2014: Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato. Entrato in vigore il 1 luglio 2014, abroga il precedente regolamento (CE) n. 800/2008, e si applica fino al 31 dicembre 2020. Il RGEC 2014-2020 è un insieme di 43 esenzioni a cui è possibile fare ricorso per concedere aiuti di Stato efficaci nel rispetto delle norme. Gli aiuti concessi a norma del RGEC possono essere concessi senza autorizzazione preventiva da parte della Commissione. Per ricorrere al RGEC, l'ente erogatore deve pubblicare su Internet un regime di aiuti e compilare un modulo online che viene inviato alla Commissione.

[16] Decisione della Commissione 2012/21/UE, riguardante l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 106, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale, pubblicata sulla GUCE L 7/4 dell’11/1/2012.

[17] Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 57 della legge n. 52/1996 attribuiva al Ministro per le politiche europee, d'intesa con il Ministro degli affari esteri, il compito di assicurare l'unitarietà d'indirizzo per la tutela degli interessi nazionali nel settore degli aiuti pubblici - settore sottoposto al controllo della Commissione europea ai sensi degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Al Ministro per le politiche europee spettava altresì il compito di curare il coordinamento con i Ministeri interessati e i rapporti con le regioni per definire la posizione italiana nei confronti dell’Unione europea.

[18] Il nuovo pacchetto è composto da vari strumenti, quali, in particolare, la Comunicazione della Commissione 2012/C 8/02, che chiarisce i concetti principali in materia di aiuti di Stato rilevanti per i SIEG, come ad esempio i concetti di aiuto, di servizio di interesse economico generale, di attività economica, di convergenza tra procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici e assenza di aiuti ecc.; la Decisione 2012/21/UE, che esenta gli Stati membri dall'obbligo di notificare alla Commissione le compensazioni di servizio pubblico per talune categorie di SIEG. L' esenzione si applica ad ambiti che comprendono ospedali e edilizia sociale fino a una gamma più ampia di servizi sociali; per queste compensazioni la soglia che fa scattare l'obbligo di notifica per altre attività di interesse economico generale è inferiore. La soglia per la notifica è scesa da 30 a 15 milioni di euro, per tener conto delle preoccupazioni espresse dalle parti interessate sul fatto che la soglia applicata in precedenza sottraeva al controllo della Commissione contratti molto consistenti in settori importanti del mercato interno. Infine, con la Comunicazione 2012/C 8/03 è stata dettata una nuova disciplina per la valutazione di grandi importi concessi a titolo di compensazione a operatori al di fuori del settore dei servizi sociali. Tali casi devono essere notificati alla Commissione e possono essere dichiarati compatibili se soddisfano determinati criteri. Le nuove norme introducono, in particolare, una metodologia precisa per stabilire l’ammontare della compensazione, l'obbligo per gli Stati membri di prevedere incentivi all'efficienza nei meccanismi di compensazione, l'obbligo di rispettare le norme UE in materia di appalti pubblici e la parità di trattamento tra i fornitori dello stesso servizio nella determinazione della compensazione. La Commissione può inoltre chiedere agli Stati membri di adottare misure per ridurre gli effetti anticoncorrenziali di determinate compensazioni che hanno forti probabilità di falsare la concorrenza nel mercato interno.

[19] Decisione della Commissione 2012/21/UE, Riguardante l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 106, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale, pubblicata sulla GUCE L 7/4 dell’11/1/2012.

[20] Comunicazione della Commissione 2012/C 8/03, recante Disciplina dell'Unione europea relativa agli aiuti di Stato concessi sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, pubblicata sulla GUCE C 8/15 dell’11/1/2012.

[21] L’articolo 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (ex articolo 86 del TCE), vieta agli  Stati membri di emanare e mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, misure contrarie alle norme dei trattati. Stabilisce altresì che le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell'Unione. Alla Commissione attribuisce il compito di vigilare sull'applicazione delle disposizioni suddette rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni.

[22] Sul tema, si veda il documento di lavoro dei servizi della commissione “L'applicazione delle norme dell'UE in materia di aiuti di Stato ai servizi di interesse economico generale dopo il 2005 e i risultati della consultazione pubblica”, Bruxelles, 23.03.2011 SEC(2011) 397 (http://ec.europa.eu/competition/state_aid/legislation/sgei_report_it.pdf).

[23] Direttiva 64/432/CEE, Direttiva del Consiglio relativa a problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovina e suina

[24] D.lgs. 22/05/1999, n. 196, Attuazione della direttiva 97/12/CE che modifica e aggiorna la direttiva 64/432/CEE relativa ai problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovina e suina

[25] Reg. (CE) n. 1760/2000, Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema di identificazione e di registrazione dei bovini e relativo all'etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine, e che abroga il regolamento (CE) n. 820/97 del Consiglio.

[26] La relazione illustrativa afferma che la Commissione ha archiviato la procedura, essendosi il Governo italiano impegnato a modificare le disposizioni contestate.