Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari
Titolo: Legge europea 2013 bis - Elementi per l'esame in Assemblea
Riferimenti:
AC N. 1864-A/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 99    Progressivo: 1
Data: 24/04/2014
Descrittori:
DIRITTO DELL' UNIONE EUROPEA   UNIONE EUROPEA
Organi della Camera: XIV - Politiche dell'Unione europea


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Legge europea 2013 bis

24 aprile 2014
Elementi per l'esame in Assemblea


Indice

Sintesi del contenuto|


Sintesi del contenuto

Il disegno di legge europea 2013 bis, originariamente composto di 25 articoli, ha concluso l'esame in sede referente presso la Commissione XIV Politiche dell'Unione europea in data 26 marzo 2014. A seguito delle modifiche introdotte nel corso dell'esame in Commissione, il testo da sottoporre all'esame dell'Assemblea (C. 1864-A) consta di 35 articoli.


Articolo 1

L'articolo 1, non modificato in Commissione, è finalizzato all'adeguamento alla normativa comunitaria della legislazione italiana vigente all'art. 5, co. 2 della L. 398/1989 in materia di concessione di borse di studio universitarie per il perfezionamento all'estero. Allo scopo modifica i requisiti attualmente richiesti al laureato aspirante alla borsa: sarà infatti sufficiente avere una laurea presso università italiane e non necessariamente la cittadinanza italiana. Si prevede inoltre che le istituzioni presso cui il laureato aspirante alla borsa di studio in questione potrà svolgere l'attività di perfezionamento devono comunque trovarsi in uno Stato diverso da quello di residenza.

Con lettera del 13 maggio 2013 la Commissione europea ha rilevato come la disposizione dell’articolo 5, comma 2, della legge n. 398 del 1989, secondo la quale possono essere ammessi ai concorsi per l’attribuzione di dette borse di studio soltanto i laureati di cittadinanza italiana, sia incompatibile con il diritto comunitario. Oltretutto, come rilevato dalla Commissione europea, la norma contestata non è applicata in maniera uniforme, dal momento che alcuni atenei consentono anche ai cittadini non italiani di presentare domanda per l’assegnazione di borse di studio all’estero.

Secondo la Commissione, che richiama anche la giurisprudenza della Corte di giustizia, la citata norma italiana violerebbe il principio di non discriminazione sulla base della nazionalità, dettato dall’articolo 18 del Trattato sul funzionamento dell’UE, nonché le disposizioni del regolamento n. 492 del 2011 relativo alla libera circolazione dei lavoratori, della direttiva 2003/109/UE relativa allo status dei soggiornanti di lungo periodo e della direttiva 2004/38/UE relativa al diritto di circolazione dei cittadini dell’Unione nel territorio degli Stati membri.


Articolo 2

L'articolo 2, introdotto nel corso dell'esame in Commissione, modifica il decreto legislativo n. 96/2001 di attuazione della direttiva 98/5/UE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello di acquisizione della qualifica. La disposizione introdotta si limita a sostituire il comma 1 dell'art. 18, relativo alla ragione sociale sotto cui agisce la società tra avvocati. L'articolo 2 sopprime, tra gli elementi costitutivi della ragione sociale, il riferimento al nome e al titolo professionale di tutti i soci ovvero di uno o più soci, seguito dalla locuzione "ed altri". Il nuovo comma 1 prevede, infatti, che la ragione sociale della società tra avvocati debba contenere soltanto l'indicazione di società tra avvocati, in forma abbreviata s.t.a. (l'attuale forma abbreviata è, invece s.t.p. acronimo di "società tra professionisti").

La norma mira a chiudere la procedura EU Pilot 1753/11/MARKT, avviata dalla Commissione europea, con particolare riferimento all’articolo 18, comma 1, del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96, sulla denominazione degli studi legali in Italia.

Ad avviso della Commissione, le disposizioni nazionali di riferimento (la legge n. 1815 del 1939 e gli articoli 18 e 34 del decreto legislativo n. 96 del 2001) stabilirebbero, nei confronti di studi legali che esercitino l’attività professionale sia sotto forma di associazione (“studio legale” o “studio associato”) sia sotto forma di “società tra avvocati”), limitazioni di vario grado alla possibilità di utilizzare una denominazione di libera scelta (non sarebbero consentite, ad esempio, diciture come “studio legale”, “studio associato”, o “società tra avvocati” seguite da un nome di fantasia), con ciò impedendo di fatto a tali forme associative di beneficiare della reputazione di uno studio legale comunitario collegato (stabilito in altro Stato membro) con siffatte denominazioni. Analoghi rilievi sono stati mossi dalla Commissione in merito a possibili limitazioni circa la denominazione di studi legali che esercitino l’attività professionale in Italia come filiali di uno studio legale comunitario.


Articolo 3

L'articolo 3, non modificato in Commissione (identico articolo 2), interviene su diverse disposizioni in materia di espulsione dello straniero irregolare, per adeguare il diritto interno alle norme comunitarie, anche alla luce dell'interpretazione di alcune sentenze della Corte di giustizia europea.

In particolare, la lettera c) adegua il testo unico in materia di immigrazione alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 6 dicembre 2012, C-430/11 (caso Sagor). Con questa sentenza la Corte UE ha ravvisato l'incompatibilità di alcune disposizioni del testo unico in materia di immigrazione con la direttiva 2008/115/UE (c.d. direttiva rimpatri"). La novella operata al testo unico prevede che, nel caso dei reati di immigrazione illegale e di violazione all'ordine di allontanamento, qualora la pena dell'ammenda sia sostituita con la pena della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità, l'espulsione amministrativa sia comunque eseguita celermente.

La lettera e) prevede l'interruzione del trattenimento dello straniero in attesa di espulsione qualora non esista una ragionevole prospettiva che questa sia eseguita (sentenza CGUE del 30 novembre 2009, C-357-09). Le lettere f) e g) rimodulano la durata del divieto di reingresso a seguito di condanna per il reato immigrazione irregolare, attualmente di non meno 5 anni, equiparandola a quella del divieto di reingresso per altre ipotesi, ossia da 3 a 5 anni (sentenza CGUE 6 dicembre 2011, C-430/11).

Le altre lettere, anch'esse di adeguamento al diritto comunitario, non sono riconducibili a specifiche sentenze del giudice comunitario: le lettere a), e b) prevedono che lo straniero in possesso del permesso di soggiorno rilasciato da un altro Paese membro sia espulso solo se si trattenga oltre 3 mesi, periodo massimo previsto per la libera circolazione nell'area Schenghen (attualmente la normativa italiana prevede l'espulsione dopo 60 giorni nel caso lo straniero non abbia ottemperato all'obbligo di dichiarare la propria presenza in questura). La lettera d) dispone l'inserimento del divieto di reingresso, irrogato dal prefetto con il decreto di espulsione, nel sistema informativo Schenghen.


Articolo 4

L’articolo 4, modificato durante l’esame in Commissione (articolo 3 nel testo iniziale), interviene sul Codice ambientale (D.Lgs. 152/2006) sostituendo la richiesta dell’obbligo di marcatura CE per i camini con il concetto di idoneità degli stessi all’uso in conformità ad alcuni requisiti. La versione originaria della norma sostituiva la marcatura CE con l’idoneità “all’uso previsto”, riprendendo la terminologia della direttiva. Durante l’esame in Commissione, tale dicitura è stata modificata come idoneità all’uso in conformità con un elenco di requisiti, che già erano previsti dal Codice ambientale.

L’articolo è volto a sanare la procedura di infrazione 2008/4541, avviata dalla Commissione europea il 29 settembre 2011 con l’invio all’Italia di una lettera di messa in mora. Secondo la Commissione, le disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006, da un lato imponendo l’utilizzo di prodotti a marcatura “CE” e dall’altra introducendo limitazioni in relazione al materiale utilizzato, configurerebbero un divieto di circolazione di camini e condotti in plastica, segnatamente per quanto riguarda le caldaie a condensazione, nonostante che tali prodotti soddisfino prescrizioni nazionali vigenti in un altro Stato membro, come previsto dal diritto dell’Unione: direttiva 89/106/UE del 21 dicembre 1988, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti i prodotti da costruzione; Direttiva 2009/142/UE del 30 novembre 2009 in materia di apparecchi a gas; articolo 34 del Trattato sul funzionamento dell’Unione.

In particolare, la Commissione contesta la previsione del richiamato decreto legislativo per cui i camini e condotti devono essere realizzati con materiali incombustibili nonostante i condotti in plastica possano fare parte di caldaie a condensazione, dal momento che sono in grado di sostenere senza problemi la bassa temperatura dei gas di scarico che le caratterizza. Le modifiche apportate nel corso dell’esame in commissione sono intese, rispetto al testo originario del ddl, a dare seguito in modo più puntuale ai rilievi avanzati dalla Commissione: oltre ad eliminare dalle disposizioni del decreto legislativo il riferimento alla marcatura CE, si è provveduto a modificare il requisito per cui i camini e condotti devono essere realizzati in materiale incombustibile.


Articolo 5

L'articolo 5, non modificato in Commissione (identico articolo 4), prevede che allo svolgimento in Italia di servizi trasfrontalieri e di quelli temporanei di investigazione privata e di informazioni commerciali delle imprese legalmente autorizzate a svolgere la stessa attività presso un altro Stato membro si applichi una procedura semplificata (silenzio-assenso) rispetto a quella prevista per le analoghe attività di vigilanza privata.

La disposizione è volta a superare le obiezioni mosse dalla Commissione europea nel caso EU Pilot 3690/12/MARK in considerazione del fatto che le attività di vigilanza privata e quelle di investigazione sono nettamente distinte. Mentre le prime, in quanto includono attività che comportano rischi per le persona coinvolte, compreso quelli derivanti dal ricorso all’uso delle armi, giustificano l’adozione di misure restrittive della libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, le attività di investigazione, invece, rientrano nella sfera di applicazione della disciplina comunitaria relativa ai servizi nel mercato interno (direttiva 2006/123/UE, c.d. direttiva servizi recepita con il D.Lgs. 59/2010) in base alla quale un regime autorizzatorio per le attività di prestazione dei servizi può essere adottato solamente in presenza di specifiche condizioni: regioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente (art. 16 dir. 2006/123/UE e art. 20 comma 2 D.Lgs. 59/2010).


Articolo 6

L’articolo 6, modificato durante l’esame in Commissione (articolo 5 nel testo iniziale), al fine di sanare la procedura di infrazione 2013//2027, estende le agevolazioni fiscali – in termini di deduzioni, detrazioni e regime fiscale agevolato dei cd. “minimi” – previste per i soggetti residenti nel territorio dello Stato ai contribuenti che, pur essendo fiscalmente residenti in un altro Stato membro dell’UE o dello Spazio economico europeo (SEE), producono almeno il 75% del proprio reddito complessivo in Italia (cd. “non residenti Schumacker”).

Per effetto delle modifiche, si affida a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze il compito di adottare le disposizioni attuative delle norme di estensione della disciplina generale IRPEF; inoltre si precisa che la decorrenza di tali estensioni, che si applicheranno dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2014. Per questi ultimi l’IRPEF sarà calcolato dunque in base alle norme ordinarie, senza le vigenti limitazioni agli oneri deducibili dal reddito o detraibili dall’imposta lorda; alle condizioni di legge, essi saranno dunque eleggibili per l’applicazione del regime dei cd. “contribuenti minimi”.

La Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora nella quale solleva rilievi sulla possibile incompatibilità con il diritto europeo, in particolare con i principi relativi alla libera circolazione delle persone, dei lavoratori dipendenti e autonomi di cui al Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) di alcune disposizioni del TUIR, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), del D.L del 29 dicembre 2011, n. 216, della legge del 24 dicembre 2012, n. 228 e della legge del 24 dicembre 2007, n. 244, in quanto stabiliscono una serie di detrazioni e deduzioni fiscali, nonché un regime agevolato per i cosiddetti “contribuenti minimi, a beneficio dei contribuenti residenti nel territorio italiano, e non per i cittadini residenti in un altro Stato aderente all’UE e al SEE che si trovino in situazione comparabile.


Articolo 7

L'articolo 7, non modificato in Commissione (identico articolo 6) apporta modifiche alla disciplina dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni; in primo luogo equipara gli enti pubblici, le associazioni e le fondazioni istituite in uno stato UE o SEE a quelli italiani, ai fini del godimento del regime fiscale agevolato riconosciuto dalla legge in relazione alla predetta imposta. Sono infine esentati da imposta sulle successioni i titoli del debito pubblico e gli altri titoli similari emessi da altri Stati aderenti all'UE o allo SEE.

Le modifiche intendono sanare due procedure di infrazione (2012/2156 e 2012/2157) relative a taluni regimi di esenzione dalle imposte sulle successioni e sulle donazioni, entrambe avviate il 26 febbraio 2013, con l'invio, da parte della Commissione europea, di una lettera di messa in mora. Entrambe le procedure di infrazione sollevano dubbi sulla possibile incompatibilità, di talune disposizioni del decreto legislativo n. 346 del 1990 (Testo unico sull’imposta sulle successioni e donazioni, TUSD) con il principio di libera circolazione dei capitali previsto dall’art. 63 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE).


Articolo 8

L'articolo 8, non modificato in Commissione (identico articolo 7) restringe l'ambito oggettivo dell'imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero (IVAFE) dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, apportando modifiche all'articolo 19 del D.L. n. 201 del 2011. Si prevede in particolare che, a decorrere dall'anno 2014, l'imposta è dovuta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all'estero, in luogo della precedente formulazione che la rapportava al più ampio concetto di "attività finanziarie".

La norma è finalizzata a risolvere i rilevi mossi dalla Commissione europea nell’ambito del Caso EU Pilot 5095/12/TAXU. In particolare la Commissione ha evidenziato criticità relative all’applicazione della disciplina dell’IVAFE con riferimento alla disparità di trattamento che si determina rispetto alla norma concernente l’applicazione dell’imposta di bollo sui prodotti finanziari (articolo 13, comma 2-ter, della Tariffa allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642). Nello specifico è stato rilevato che la normativa sul bollo si applica ai “prodotti finanziari” (ivi compresi i depositi bancari e postali, anche se rappresentati da certificati), mentre quella dell’IVAFE si applica attualmente alle “attività finanziarie”. Ciò determina una disparità di trattamento tra attività finanziarie detenute in Italia e attività finanziare detenute all’estero.


Articolo 9

L’articolo 9, modificato durante l'esame in Commissione (articolo 8 nel testo iniziale) reca disposizioni in materia di riscossione coattiva dei debiti aventi ad oggetto entrate che costituiscono risorse proprie ai sensi della decisione 2007/436/UE, Euratom del Consiglio. La norma dispone che, per la riscossione di somme da corrispondere a titolo di dazi doganali e dell’Iva all’importazione, di ammontare fino a mille euro, non si applica la sospensione di 120 giorni delle azioni cautelari ed esecutive, decorrenti dall’invio al debitore delle comunicazioni concernenti il dettaglio delle iscrizioni a ruolo.

In sede referente è stato introdotto il comma 2 che disciplina il pagamento di dazi ed IVA all’importazione in pendenza di processo, precisando il pagamento delle summenzionate risorse proprie tradizionali resta disciplinato dal Codice doganale comunitario e dalle altre disposizioni dell’Unione Europea in materia.


Articolo 10

L'articolo 10, non modificato in Commissione (identico articolo 9) è volto a recepire alcune norme in materia di autorità competenti per il rispetto degli obblighi posti dal regolamento n. 648 del 2012 (c.d. EMIR – European Market Infrastructure Regulation) in capo ai soggetti già vigilati dalle medesime autorità, nonché per l'applicazione delle sanzioni, secondo le rispettive attribuzioni di vigilanza previste dall'ordinamento vigente.

La norma contiene disposizioni attuative del regolamento (UE) n. 648 del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012 concernente gli strumenti derivati OTC, le controparti centrali e i repertori di dati sulle negoziazioni.


Articolo 11

L’articolo 11, modificato nel corso dell'esame in Commissione (articolo 10 nel testo iniziale) reca disposizioni in materia di tutela e sicurezza sui luoghi di lavoro, con riferimento all’oggetto ed alle modalità di effettuazione della valutazione dei rischi, in caso di costituzione di nuova impresa e di modifiche significative del processo produttivo o dell’organizzazione di lavoro.

In particolare, per il datore di lavoro, prevede l’obbligo, anche in caso di costituzione di nuova impresa, di adempierea specifici obblighi in materia di salute e sicurezza dei lavoratori attraverso idonea documentazione: E' previsto inoltre l'obbligo, anche in caso di rielaborazione della valutazione dei rischi, di evidenziare immediatamente, con idonea documentazione, l’aggiornamento delle misure di prevenzione.

In entrambi i casi, come disposto nel corso dell’esame in sede referente, il datore di lavoro ha l’obbligo di dare immediata comunicazione della documentazione al rappresentante del lavoratori per la sicurezza il quale, come previsto nel testo originario, accede su richiesta alla stessa.

La disposizione è volta a risolvere la procedura di infrazione n. 2010/4227, per il non corretto recepimento degli articoli 5 e 9 della Direttiva n. 391 del 1989.

sulla sicurezza sul lavoro. Nel parere motivato ex art. 258 TFUE, del 21 novembre 2012, la Commissione contesta in via preliminare la mancata notifica alle autorità europee del decreto legislativo n. 81/2008 (Testo Unico delle norme in materia di salute e sicurezza dei lavoratori) che, abrogando o modificando le previgenti misure in materia di salute e sicurezza sul lavoro, attualmente costituisce, di fatto, il recepimento nell’ordinamento italiano della Direttiva 89/391/UEE. In secondo luogo, la Commissione solleva rilievi in merito ai seguenti punti: deresponsabilizzazione del datore di lavoro in caso di delega e subdelega, prevista dagli articoli 16 e 30 del TU (violazione dell’articolo 5 della direttiva) e proroga dei termini impartiti per la redazione del documento di valutazione dei rischi per le nuove imprese o per modifiche sostanziali apportate ad imprese esistenti.


Articolo 12

L’articolo 12, modificato nel corso dell'esame in Commissione (articolo 11 nel testo iniziale) delega il Governo ad adottare, entro quattro

mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, un decreto legislativo in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori per il settore delle navi da pesca, al fine di coordinare le disposizioni speciali per il settore, previste dal D.Lgs. 298/1999, con le disposizioni che regolamentano in generale la materia della sicurezza sul lavoro, previste dal D.Lgs. 81/2008.

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato introdotto un ulteriore criterio direttivo (comma 3, lett. c)), al quale deve essere improntato il decreto legislativo attuativo, che dispone l’applicazione della normativa a terra e a bordo delle navi battenti bandiera nazionale o estera.

Inoltre, è stato modificato il criterio direttivo relativo:

a) alla riformulazione dell'apparato sanzionatorio, penale e amministrativo attraverso la previsione della sanzione dell'ammenda da un minimo di 3000 ad un massimo di 15.000 euro per le infrazioni formali (nel testo originario da un minimo di 500 ad un massimo di 4.500 euro), dell’arresto da un minimo di 6 mesi ad un massimo di 2 anni per le infrazioni che ledono più gravemente la salute e la sicurezza dei lavoratori marittimi (nel testo originario da un minimo di 3 ad un massimo di 6 mesi) e dell'arresto da un minimo di 4 mesi fino a un massimo di 8 mesi ovvero dell'ammenda da 4.500 fino a 10.000 euro negli altri casi (nel testo originario, rispettivamente, da un minimo di 2 mesi fino a un massimo di 4 mesi ovvero dell'ammenda da 750 fino a 6.400 euro) (comma 3, lett. g), 2.1);

b) alla rimodulazione del sistema sanzionatorio amministrativo, prevedendo il pagamento di una somma di denaro da un minimo di 5.000 a un massimo di 50.000 euro (nel testo originario da un minimo di 50 a un massimo di 6.600 euro) (comma 3, lett. g), 2.2).

La norma è volta a chiudere la procedura di infrazione n. 2011/2098, aperta dalla Commissione europea, con lettera di messa in mora del 30 maggio 2013, per il non corretto recepimento della Direttiva 93/103/UE in materia di prescrizioni minime di sicurezza e salute a bordo delle navi da pesca.


Articolo 13

L’articolo 13, modificato nel corso dell'esame in Commissione (articolo 12 nel testo iniziale) introduce disposizioni per assicurare la partecipazione del pubblico al procedimento di elaborazione, modifica e riesame di piani o programmi non assoggettati alla valutazione ambientale strategica - VAS, (per i piani assoggettati alla VAS esiste già una disciplina specifica che garantisce la partecipazione del pubblico).

A tali fini, il testo iniziale prescriveva la pubblicazione, da parte dell’autorità competente, di un avviso per mezzo della stampa e mediante pubblicazione nel proprio sito web.

Nel corso dell'esame in sede referente è stato eliminato il riferimento alla pubblicazione per mezzo della stampa ed è stato specificato che l'avviso, che sarà quindi pubblicato solamente sul sito web, deve indicare, tra l'altro, le modalità per la consultazione del piano o del programma.

E' stata, altresì, introdotta la possibilità, per chiunque, di acquisire copia, anche in formato digitale, del piano o del programma.

Le disposizioni riguardanti la partecipazioni del pubblico nell’elaborazione di taluni piani o programmi in materia ambientale sono volte alla risoluzione della procedura Eu Pilot 1484/10/ENVI, con la quale la Commissione europea ha richiesto alle autorità italiane chiarimenti in merito al recepimento della Direttiva 2003/35/UE relativa alla partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani o programmi in materia ambientale.


Articolo 14

L’articolo 14, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, abroga le disposizioni contenute nel decreto-legge n.158/2012 (commi 16, 16-bis e 16-ter dell’articolo 8), relative al contenuto minimo di frutta nelle bevande analcoliche e di fantasia.

Il comma 16 ha previsto, infatti, che le bevande analcoliche con il nome di uno o più frutti devono essere commercializzate con un contenuto di succo naturale non inferiore al 20% (precedentemente l’articolo 4 del D.P.R. n.719/1958 ne fissava il contenuto in una quantità non inferiore a 12 gr. per 100 cc). Il comma 16-bis è intervenuto sulla preparazione delle bevande analcoliche con denominazioni di fantasia, prevedendo che la colorazione è consentita solo se le stesse contengano succo di agrumi almeno nella misura del 20% (la normativa precedente, contenuta nell’articolo 1, della L.286/1961 prevedeva la percentuale del 12%). Il comma 16-ter ha, quindi, differito l’entrata in vigore delle precedenti disposizioni al nono mese successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, subordinando la stessa al perfezionamento della procedura di notifica alla Commissione europea. Si è inoltre disposto che le scorte prodotte antecedentemente la data di entrata in vigore del nuovo obbligo potevano essere commercializzate entro gli otto mesi successivi alla medesima data.

In data 5 marzo 2013 la Commissione europea ha richiesto talune informazioni alle Autorità italiane (EU PILOT 4738/2013/ENTR) riguardo alla normativa in esame rilevando che le nuove regole contenute nel decreto-legge n. 158/2012 sono state introdotte in violazione della procedura di notifica di cui alla direttiva 98/34/UE, considerato che la misura notificata era riferita esclusivamente alle bibite analcoliche con il nome di uno o più frutti e non quelle di fantasia a base di agrumi, introdotte durante l’esame parlamentare del decreto, e che, comunque, non è stata disposta la sospensione di tre mesi dell’efficacia delle norme. Si osserva inoltre che le restrizioni alla libera circolazione delle merci, in assenza di regole armonizzate a livello europeo, può essere giustificata solo per motivi di interesse pubblico, quali la tutela della salute e la vita delle persone; in tal caso occorre supportare le argomentazioni a favore dell’introduzione della misura con evidenze scientifiche che, nell’occasione, non sono state prodotte. La normativa fa riferimento al succo naturale, senza più far riferimento alle altre alternative di succo “concentrato”, “liofilizzato” o “sciroppato”, con un’indebita limitazione della materia prima utilizzabile, non riscontrabile nella normativa europea di riferimento (direttiva 2001/112/UE).


Articolo 15

L'articolo 15, non modificato in Commissione (identico articolo 13), prevede che l'autorizzazione alla gestione degli impianti che svolgono l'attività di cattura per l'inanellamento e per la cessione a fini di richiamo degli uccelli tutelati dalla direttiva 79/409/UEE debba essere data dalle regioni nel rispetto delle condizioni e delle modalità che definiscono l'attività di caccia in deroga.

Più in particolare, l’articolo in esame apporta una modifica all’articolo 4, comma 3, della legge n.157/1992 in materia di protezione della fauna selvatica omeoterma e di prelievo venatorio, secondo il quale l’attività di cattura temporanea ed di inanellamento può essere svolta esclusivamente da impianti della cui autorizzazione siano titolari le province, gestiti da personale qualificato e valutato idoneo dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica. Il secondo periodo del comma 3, sul quale incide la modifica, prevede che l’autorizzazione alla gestione degli impianti è concessa dalle regioni su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica. La modifica introdotta specifica che le regioni, nel concedere tale autorizzazione, devono rispettare le condizioni e le modalità previste dall’articolo 19-bis della medesima legge.

In relazione alle disposizioni che modificano la legge 157/1992, si segnala che in data 20 febbraio 2014, con lettera di costituzione in mora ai sensi dell'articolo 258 TFUE, la Commissione europea ha avviato la procedura di infrazione n. 2014/2006, ex EU Pilot (1611/10/ENVI), con cui si richiede alle autorità italiane di fornire osservazioni circa l'applicazione in Italia della direttiva 2009/147/UE(conservazione degli uccelli selvatici – Direttiva Uccelli) in relazione alla cattura in cinque regioni italiane (Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Toscana e Veneto) di sette specie di uccelli (Columba palumbus, Turdus pilaris, Turdus iliacus, Turdus merula, Vanellus vanellus, Alauda arvensis).


Articolo 16

L’articolo 16, modificato nel corso dell'esame in Commissione (articolo 14 nel testo iniziale), contiene una serie di modifiche alla disciplina nazionale vigente riguardante l’istituzione di un'infrastruttura per l'informazione territoriale nell’UE (INSPIRE, acronimo di Infrastructure for Spatial Information in Europe) e finalizzata a consentire lo scambio, la condivisione, l'accesso e l'utilizzo di dati geografici e ambientali interoperabili e di servizi legati a tali dati, contenuta nel decreto legislativo n. 32/2010, di recepimento della direttiva 2007/2/UE (c.d. direttiva INSPIRE).

Nel corso dell'esame in sede referente l'articolo 16 è stato integrato al fine di chiarire che deve sempre essere assicurata la partecipazione della cittadinanza nell’elaborazione e istituzione di un'infrastruttura per l'informazione territoriale nell'Unione europea e, in particolare, l’accesso dei cittadini ad ogni tipo di informazioni ambientali, con le modalità stabilite dal D.Lgs. 195/2005 (attuativo della direttiva 2003/4/UE sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale).

Con riferimento all'attuazione della direttiva 2007/2/UE, è stata avviata dalla Commissione, con lettera del 17 gennaio 2013, la procedura EU Pilot 4467/1/ENVI.


Articolo 17

L’articolo 17, modificato nel corso dell'esame in Commissione (articolo 15 nel testo iniziale), modifica in più punti la disciplina relativa alla valutazione di impatto ambientale (VIA) ed alla valutazione ambientale strategica (VAS), contenute nella parte seconda e nei relativi allegati del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell'ambiente).

Con riferimento alla nuova definizione di "progetto", che sostituisce ed unifica le vigenti definizioni di "progetto preliminare" e "progetto definitivo", nel corso dell'esame in sede referente è stato riformulato il comma 1, lettera a), che elimina la diversa disciplina prevista per i progetti di opere pubbliche. In base al nuovo testo, viene richiesto, per tutti i progetti, ai fini della valutazione ambientale, che gli elaborati del progetto preliminare e del progetto definitivo siano predisposti con un livello informativo e di dettaglio almeno equivalentea quello richiesto per gli appalti e le concessioni di lavori pubblici (art. 93, commi 3 e 4, del Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 163/2006).

Riguardo ai progetti sottoposti a verifica di assoggettabilità alla VIA (c.d. fase di screening), nel corso dell'esame in Commissione è stata soppressa la lettera c) del comma 1, poiché essa avrebbe implicato l’assoggettamento a VIA di tutti i progetti dell’allegato IV del d.lgs. 152/2006, bypassando la fase di screening prevista dalla direttiva europea 2011/92/UE, e reso inapplicabile la successiva lettera, che prevede infatti l'emanazione di un apposito D.M. Ambiente volto a definire, per i progetti elencati nell’allegato IV, i criteri e le soglie per l’assoggettamento alla procedura di screening. Tale disposizione è stata modificata nel corso dell'esame in sede referente al fine di prevedere che lo schema di decreto sia sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia. E' stato altresì introdotto un periodo che stabilisce che il decreto deve anche dettare, alle regioni e alle province autonome, le modalitàdi adeguamento dei criteri e delle soglie alle specifiche situazioni ambientali e territoriali.

Alla soppressione della lettera c) si accompagna la conseguente soppressione del comma 4 dell'articolo in esame, che conteneva una norma relativa all'applicazione della lettera c).

Un'ulteriore modifica è stata apportata, nel corso dell'esame in sede referente, alla lettera e) del comma 1 (ora lett. d), al fine di chiarire che le disposizioni del citato D.M. Ambiente non sono da considerarsi sostitutive (come prevedeva il testo iniziale del ddl), bensì integrative delle soglie attualmente previste dall'Allegato IV del d.lgs. 152/2006.

Con riferimento alle forme di pubblicità delle procedure di VIA e VAS, su cui intervengono le lettere da e) a i) dell'articolo in commento, nel corso dell'esame in sede referente sono state apportate diverse modifiche relativamente alla pubblicazione dell'avviso con cui viene data notizia della trasmissione all'autorità competente, da parte del proponente, del progetto preliminare e dello studio preliminare ambientale.

Le modifiche apportate sono per lo più finalizzate ad eliminare gli obblighi di pubblicazione a mezzo stampa e ricondurre al solo canale web, tutte le forme di pubblicità dell'avviso citato (lettera g). Il nuovo testo della lettera g) amplia inoltre la pubblicità, prevedendo la pubblicazione in formato digitale dell’intero progetto preliminare. Tale disposizione è però contemperata da una norma che fa salvi eventuali dati coperti da segreto industriale. Nelle lettere g) ed h), inoltre, sono stati meglio specificati i contenuti dell'avviso in questione.

Ulteriori modifiche si ritrovano nella lettera f), ma in verità trattasi di modifiche formali.

Nelle restanti lettere, da l) a q), del comma 1 dell'articolo 17, sono contenute disposizioni di modifica degli allegati alla parte seconda del d.lgs. 152/2006 (tali allegati, lo si ricorda, delimitano il campo di applicazione delle valutazioni ambientali nazionali e regionali, elencando i piani e i progetti che vi sono sottoposti).

Mentre le lettere m), n) ed o) non hanno subito variazioni sostanziali nel corso dell'esame in sede referente, le lettere l) e q) contengono nuove disposizioni.

La lettera l) aggiunge, ai progetti sottoposti a VIA statale, quelli relativi ad impianti destinati al trattamento ed allo stoccaggio di residui radioattivi (non
compresi tra quelli già individuati nel punto 3 dell'Allegato II), qualora disposto all’esito dello screening.

Si ricorda che, ai sensi del punto 3 dell'allegato II, sono già sottoposti a VIA statale gli impianti destinati al trattamento di residui altamente radioattivi, nonchè gli impianti destinati esclusivamente allo stoccaggio (previsto per più di dieci anni) di residui radioattivi in un sito diverso da quello di produzione.

Con la norma introdotta dalla lettera l) saranno assoggettati a VIA statale, qualora così disposto dalla fase di screening, p.es. anche gli impianti di trattamento di residui non altamente radioattivi, nonché gli impianti ove avviene esclusivamente uno stoccaggio, per meno di dieci anni, di residui radioattivi.

La lettera q) modifica l'Allegato IV, che elenca i progetti sottoposti a verifica di assoggettabilità, operando una riscrittura della lettera o) del punto 7 relativa alle opere sui corsi d'acqua.

Rispetto al testo vigente, che assoggetta a screening le "opere di regolazione del corso dei fiumi e dei torrenti, canalizzazione e interventi di bonifica ed altri simili destinati ad incidere sul regime delle acque, compresi quelli di estrazione di materiali litoidi dal demanio fluviale e lacuale", il nuovo testo introdotto in sede referente si limita a contemplare le opere di canalizzazione e di regolazione dei corsi d’acqua. Vengono quindi esclusi gli interventi di bonifica e quelli di estrazione di materiali litoidi dal demanio fluviale e lacuale.

Quanto infine alle procedure di contenzioso in corso, si segnala che il 28 marzo 2014, la Commissione ha emesso nei confronti dell’Italia un parere motivato in relazione alla procedura di infrazione n. 2009/2086, avviata per la non conformità della normativa italianaalla direttiva 85/337/UEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale (VIA), come modificata dalle direttive 97/11/UE, 2003/35/UE e 2009/31/UE, con particolare riferimento alle disposizioni contenute nella parte seconda del D.lgs n. 152/2006, come modificato dal D.lgs 4/2008.


Articolo 18

L'articolo 18, non modificato in Commissione (identico articolo 16) reca disposizioni di delega al Governo per il riordino dei provvedimenti normativi vigenti inerenti la tutela dell'ambiente esterno e dell'ambiente abitativo dall'inquinamento acustico prodotto dalle sorgenti sonore fisse e mobili. In particolare, la disposizione elenca una serie di principi e criteri direttivi per l'adozione dei decreti legislativi al fine di semplificare ed aggiornare al progresso tecnologico la normativa nazionale vigente, anche al fine di renderla maggiormente coerente con talune prescrizioni previste dalla disciplina europea.

In tale ambito, peraltro, si rammenta che è in corso la procedura d'infrazione 2013/2022, avviata per una non corretta attuazione della direttiva 2002/49/UE relativa alla determinazione ed alla gestione del rumore ambientale, recepita dall'Italia con il D.lgs. 194/2005.


Articolo 19

L’articolo 19, modificato nel corso dell'esame in sede referente (articolo 17 nel testo iniziale), interviene in materia di danno ambientale, limitatamente alla disciplina contenuta nella parte sesta del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell'ambiente). Le modifiche in sede referente hanno riguardato: la lettera b) del comma 1, al fine di inserire, tra le fattispecie giuridiche di riferimento concernenti la qualificazione di danno ambientale, e quindi nel campo di applicazione della citata parte sesta, anche il danno ambientale individuato dal comma 2 dell'art. 300 se causato da un’attività svolta in modo doloso o colposo in violazione di leggi o provvedimenti (nuova lettera b-bis) dell'art. 298-bis del d.lgs. 152/2006). In proposito, però, si segnala che la lettera a) del comma 1 dell'articolo in esame novella le lettere a) e b) del comma 1 del citato articolo 298-bis al fine di chiarire che il riferimento al “danno ambientale” ivi citato è da intendersi alla corrispondente definizione recata dall’art. 300, comma 2, integrando pertanto la disciplina nazionale della responsabilità oggettiva per il danno ambientale nel caso in cui le fattispecie di danno rientrino tra quelle oggetto della direttiva.

L’art. 298-bis precisa infatti che la disciplina della parte sesta si applica:
  • al danno ambientale, causato da una delle attività professionali elencate nell’allegato 5 alla parte sesta, e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno derivante dalle suddette attività;
  • al danno ambientale, causato da un’attività diversa da quelle elencate nell’allegato 5 alla parte sesta, e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno derivante dalle suddette attività, in caso di comportamento doloso o colposo.

E' stata inoltre modificata la lettera c) del comma 1, al fine di includere anche le fattispecie di danno contemplate dalla citata lettera b-bis) nel campo di applicazione del comma 2 dell'art. 298-bis del d.lgs. 152/2006, ai sensi del quale la riparazione del danno ambientale deve avvenire nel rispetto dei principi e dei criteri stabiliti nel titolo II e nell'allegato 3 alla parte sesta. Un'ultima modifica riguarda il comma 2, lettera a), che modifica la lettera a) del comma 4 dell'articolo 308 del d.lgs. 152/2006, secondo cui non sono a carico dell'operatore i costi delle azioni di precauzione, prevenzione e ripristino se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno è stato causato da un terzo e si è verificato nonostante l'esistenza di opportune misure di sicurezza. Nel corso dell'esame in sede referente tale norma è stata resa meno generica, specificando che le misure dovranno essere adeguate, sulla base delle migliori pratiche disponibili.

In materia di responsabilità per danni ambientali e azioni di risarcimento del danno ambientale, il 26 gennaio 2012 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato complementare - ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) (procedura di infrazione n. 2007/4679) contestando, in particolare, la non corretta trasposizione nell’ordinamento italiano della direttiva n. 2004/35/UE. In data 23 gennaio 2014, la Commissione europea ha disposto l’archiviazione della procedura di infrazione n. 2007/4679.


Articolo 20

L'articolo 20, non modificato in Commissione (articolo 18 nel testo iniziale), è finalizzato a modificare la disciplina della progettazione, nel settore dei contratti pubblici, al fine di chiarire che il divieto di affidamento dei contratti pubblici medesimi agli affidatari del relativo incarico di progettazione non si applica laddove i progettisti possano dimostrare che l'esperienza acquisita nell'ambito dell'espletamento dell'incarico non determina un vantaggio rispetto agli altri concorrenti. Le modifiche alla disciplina vigente previste dall'articolo 18, che novellano l'articolo 90 del decreto legislativo n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), sono finalizzate a superare i rilievi della Commissione europea nell'ambito della procedura EU Pilot 4680/13/MARKT.


Articolo 21

L'articolo 21, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, consente, in via generale, alle imprese concorrenti, nelle gare per l'aggiudicazione di un appalto pubblico, di avvalersi di più imprese ausiliarie, al fine di raggiungere la classifica richiesta nel bando di gara (avvalimento cosiddetto multiplo o plurimo).

L'articolo in esame appare volto alla tutela del principio della concorrenza tra imprese negli appalti pubblici e della partecipazione delle piccole e medie imprese negli appalti; in base a questi principi, esso sostituisce ed adegua la normativa nazionale, in attuazione della sentenza della Corte di giustizia europea del 10 ottobre 2013 (causa C-94/12), che ha dichiarato incompatibile con gli articoli 47, paragrafo 2, e 48, paragrafo 3, della direttiva 2004/18/UE, la disposizione nazionale stabilita dallarticolo 49, comma 6, del decreto legislativo 163/2006 (Codice dei Contratti), che vieta, in via generale, alle imprese che partecipano ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi per la stessa categoria di qualificazione delle capacità di più imprese.

In effetti, l'articolo 49, comma 6, del decreto legislativo 163/2006, che disciplina la procedura del cosiddetto avvalimento nelle gare per gli appalti pubblici, dispone, in via generale, che il concorrente può avvalersi di una sola impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione e, in via eccezionale, che il bando di gara può ammettere l’avvalimento di più imprese ausiliarie in ragione dell’importo dell’appalto o della peculiarità delle prestazioni, fermo restando il divieto di utilizzo frazionato per il concorrente dei singoli requisiti economico - finanziari e tecnico – organizzativi di cui all’art. 40, comma 3, lett. b), che hanno consentito il rilascio dell’attestazione in quella categoria. La disposizione in commento, oltre a consentire l'avvalimento di più imprese ausiliarie e a sopprimere pertanto il ricorso eccezionalmente ammesso all'avvalimento plurimo in ragione dell'importo dell'appalto o della peculiarità delle prestazioni, mantiene fermo per i lavori il divieto di utilizzo frazionato dei requisiti nella singola categoria di qualificazione, ossia il divieto di cumulare i requisiti tra concorrente ed impresa ausiliaria per i singoli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi di cui all'art. 40, comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 163/2006, che hanno consentito il rilascio dell'attestazione in quella categoria (cd. avvalimento frazionato).

L'avvalimento nelle gare per appalti pubblici è stato oggetto di un comunicato dell'Autorità sui contratti pubblici (AVCP) che ha fornito indicazioni alle stazioni appaltanti, in seguito alla citata sentenza della Corte di Giustizia Europea del 10 ottobre 2013. L'Autorità, tra l'altro, ha ribadito un principio contenuto nella sentenza della Corte secondo cui, nel caso di lavori che presentino peculiarità tali da richiedere una determinata capacità che non si ottiene associando capacità inferiori di più operatori, l'amministrazione aggiudicatrice potrà legittimamente esigere che il livello minimo della capacità in questione sia raggiunto da un operatore economico unico o, eventualmente, facendo riferimento ad un numero limitato di operatori economici; tale esigenza della stazione appaltante deve risultare da adeguata motivazione espressa in seno alla delibera o determina a contrarre o, al più tardi, negli atti di gara.


Articolo 22

L’articolo 22, modificato nel corso dell'esame in Commissione (articolo 19 nel testo iniziale) integra i poteri dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas al fine di attuare il regolamento UE n. 1227/2011, concernente l’integrità e la trasparenza del mercato dell’energia all’ingrosso (cd. REMIT). Nel corso dell’esame in Commissione l’articolo è stato integrato per prevedere che l’Autorità dia conto al Parlamento, nella relazione annuale, delle attività svolte in relazione all’attuazione del REMIT. E’ stato inoltre istituito un fondo presso il Ministero dello sviluppo economico in cui far confluire i proventi delle sanzioni comminate dall’Autorità in relazione alla norma in esame, finalizzato ad abbassare i costi dell’energia elettrica e del gas a carico dei cittadini e delle imprese.


Articolo 23

L'articolo 23, non modificato in Commissione (identico articolo 20), interviene sulla disciplina della rete di distribuzione dei carburanti al fine di liberalizzare maggiormente i distributori self-service.

In particolare, la norma modifica l’articolo 28, comma 7, del decreto-legge n. 98/2011, eliminando la distinzione tra le stazioni di servizio nelle aree urbane e quelle poste al di fuori dei centri abitati.

In relazione alla disposizione volta a eliminare l’obbligo di presidio delle stazioni di distribuzione dei carburanti, attualmente previsto esclusivamente nei centri urbani, si segnala che la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia una procedura EU Pilot (n. 4734/13/MARK) con lettera dell’11 marzo 2013.


Articolo 24

L'articolo 24, non modificato in Commissione (identico articolo 21) riduce a 5 anni, rispetto ai 13 attualmente vigenti, il periodo transitorio di sospensione della protezione del diritto d'autore per i modelli di design industriale divenuti di pubblico dominio prima del 19 aprile 2001. La modifica del Codice della proprietà industriale, articolo 239, comma 1, è volto a sanare la procedura di infrazione 2013/4202, avviata dalla Commissione con lettera di messa in mora del 17 ottobre 2013, a seguito dell'apertura del caso EU Pilot 3955/12/MARKT.

In particolare, la Commissione europea ha rilevato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione dell’articolo 239 del codice della proprietà industriale, come modificato da ultimo con il decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito in legge 24 febbraio 2012, n. 14.


Articolo 25

L’articolo 25, modificato nel corso dell'esame in Commissione (articolo 22 nel testo iniziale) chiarisce alcuni dubbi interpretativi per l’applicazione della direttiva 2000/35/CE che disciplina dei ritardi nei pagamenti tra privati, e fra le pubbliche amministrazioni e i privati.

In particolare, si esplicita che la normativa di attuazione della direttiva europea relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali si applica anche ai contratti pubblici di lavori servizi e forniture. Le disposizioni relative ai termini di pagamento e al tasso degli interessi dovuto in caso di ritardato pagamento contenute nelle leggi che regolano il settore che prevedono termini e tassi difformi rispettivamente da quelli previsti dalla normativa di recepimento delle regole europee in materia, si applicano solo se più favorevoli per i creditori.

Durante l’esame in Commissione sono state introdotte alcune norme riguardanti le prassi gravemente inique per il creditore, che dispongono

  • il diritto al risarcimento del danno per le prassi relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, quando risultano gravemente inique per il creditore;
  • l’accertamento da parte del giudice che una prassi è gravemente iniqua tenuto conto di tutte le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l'esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all'importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero.
  • la grave iniquità della prassi che esclude l’applicazione di interessi di mora, senza prova contraria;
  • la grave iniquità della prassi che esclude il risarcimento per i costi di recupero.

La modifica introdotta al comma 3 dell’art. 25 nel corso dell’esame in commissione è volta a dare seguito in modo più puntuale, rispetto al testo originario del ddl europea, ad alcune delle contestazioni sollevate dalla Commissione europea nell’ambito del caso EU Pilot 5216/13/ENTR.


Articolo 26

L’articolo 26, modificato nel corso dell'esame in Commissione (articolo 23 nel testo iniziale) intende rispondere alla procedura di infrazione del 2009/2230 ed alla sentenza della Corte di giustizia del 24 novembre 2011 /Causa C-379/2010), che ha ribadito la non conformità della legge italiana sulla responsabilità civile dei magistrati (L. 117/1988) ai principi del diritto UE. L'articolo 26, senza novellare la legge sulla responsabilità civile dei magistrati stabilisce l’obbligo per lo Stato di risarcire il danno conseguente alla violazione grave e manifesta del diritto dell’Unione europea da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, sempre che, quando ne ricorrono i presupposti, siano stati esperiti anche i mezzi straordinari di impugnazione.

Il comma 2 dell'art. 26 individua alcuni elementi di cui si deve tenere conto per considerare realizzata la fattispecie di violazione grave e manifesta del diritto dell’Unione europea. L’elencazione non ha carattere esaustivo, dal momento che la disposizione stabilisce che, ai fini indicati si tiene conto, “in particolare”, dei seguenti elementi: il grado di chiarezza e di precisione della norma violata; il carattere intenzionale della violazione; la scusabilità o inescusabilità dell'errore di diritto;la posizione adottata eventualmente da un'istituzione dell’Unione europea; la mancata osservanza, da parte dell'organo giurisdizionale di cui trattasi, dell’obbligo di rinvio pregiudiziale a norma dell’articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

Nel corso dell'esame in Commissione l'unica modifica sostanziale introdotta ha riguardato il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria, che è stato aumentato da tre a cinque anni. Una ulteriore modifica ha riguardato l'integrazione della rubrica dell'articolo 26, che ora reca espressamente la citata sentenza della Corte di giustizia del 24 novembre 2011, integrazione apparsa necessario per meglio chiarire l'ambito di applicazione dell'articolo medesimo.


Articolo 27

L’articolo 27, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, modifica la norma del codice delle pari opportunità sulla parità di trattamento tra uomini e donne nei servizi assicurativi e altri servizi finanziari (art. 55-quater del D.Lgs. n. 198/2006). Le modifiche sono volte all’attuazione di una sentenza della Corte di giustizia UE che ha dichiarato l’illegittimità parziale della norma europea attuata dal codice delle pari opportunità.

Con sentenza del 1° marzo 2011 (causa C-236/09) la Corte di giustizia ha infatti dichiarato l’invalidità, con effetto dal 21 dicembre 2012, della disposizione della direttiva 2004/113/UE, che consentiva deroghe al divieto di tenere conto del sesso quale fattore di differenziazione nel calcolo dei premi e delle prestazioni a fini assicurativi e di altri servizi finanziari, ove il fattore sesso fosse determinante nella valutazione dei rischi, in base a pertinenti e accurati dati attuariali e statistici (articolo 5, par. 2).

La prima modifica al codice delle pari opportunità (lettera a)) posticipa dal 10 novembre 2007 al 21 dicembre 2012 la data di stipula dei contratti cui si applica il divieto di tenere conto del sesso quale fattore di differenziazione nel calcolo dei premi e delle prestazioni a fini assicurativi e di altri servizi finanziari, specificando altresì che il divieto riguarda solo i contratti stipulati “per la prima volta” successivamente a tale data.

Tale modifica sembra esulare dall’attuazione della richiamata sentenza della Corte di giustizia UE in quanto incide direttamente sul divieto di operare differenziazioni nel calcolo dei premi e delle prestazioni in base al sesso, posticipandone la decorrenza, e non sulla possibilità di prevedere deroghe a tale divieto.

La secondo modifica (lettera b)) abroga la norma interna che recepisce la disposizione dichiarata invalida dalla Corte di giustizia UE. La norma abrogata infatti consente differenze proporzionate nei premi o nelle prestazioni, ove il fattore sesso sia determinante nella valutazione dei rischi, in base a pertinenti e accurati dati attuariali e statistici.

Tale modifica sarà peraltro effettiva a decorrere dall’entrata in vigore del disegno di legge in esame, mentre la Corte di giustizia europea ha dichiarato l’invalidità della disposizione a far data dal 21 dicembre 2012.


Articolo 28

L’articolo 28, introdotto durante l'esame in Commissione, abroga la recente legge n. 8 del 2013 in materia di utilizzo dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia» e di quelli da essi derivanti o loro sinonimi, facendo rivivere la precedente legge del 1966 n. 1112. Si delega il Governo all’adozione di un decreto legislativo di ulteriore regolamentazione della disciplina e di raccordo con quella vigente.Il decreto legislativo è adottato entro 12 mesi su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentite le Commissioni parlamentari competenti, ed è sottoposto alla procedura di informazione comunitaria prima della definitiva adozione. Entro due anni può essere corretto e integrato con un nuovo decreto, con la medesima procedura.

L’articolo 28 è volto a risolvere le contestazioni sollevate dalla Commissione europea - nell’ambito del caso EU Pilot 4971/13/ENTR – abrogando normativa del 2013, ritenuta in contrasto con le norme dell’UE in materia di libera circolazione delle merci.


Articolo 29

L'articolo 29, introdotto durante l'esame in Commissione, mira a dare piena attuazione alla direttiva 2009/109/UE in materia di relazioni e di documentazione in caso di fusioni e scissioni, al fine di chiudere la procedura EU Pilot 5062/13/MARK.

Si tratta, in particolare, della relazione giurata sui beni e crediti conferiti, nonché della necessità di presentare le relazioni sul progetto di fusione e la situazione patrimoniale delle società partecipanti alla fusione soltanto qualora ciò sia previsto dalla legislazione nazionale cui è soggetta la società incorporante o la società incorporata.


Articolo 30

L'articolo 30, introdotto nel corso dell'esame in Commissione, provvede, in conseguenza dell'adesione della Repubblica di Croazia all'Unione europea, ad attuare la direttiva 2013/25/UE, che ha modificato alcune direttive in materia di diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

In particolare sono integrate con la voce relativa alla Croazia alcuni allegati al D.Lgs 206/2007(di attuazione della direttiva "qualifiche") in materia di professioni di medico ed architetto. Per la stessa ragione, sono integrate le formulazioni relative alle diverse denominazione della professione di avvocato nei Paesi dell'Unione contenute nell'art. 1, comma 1, del D.Lgs 31/1982 (libera prestazione di servizi) e 2, comma 1, del D.Lgs. 96/2001 (diritto di stabilimento) .

Si segnala che il 28 novembre 2013, la Commissione europea ha inviato all’Italia, in base all’art. 258 del TFUE, una lettera di messa in mora per mancato recepimento della direttiva 2013/25/UE,che adegua determinate direttive in materia di diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi a motivo dell’adesione della Repubblica di Croazia (procedura d’infrazione n. 2013/0405). Il termine di recepimento è scaduto il 1° luglio 2013.


Articolo 31

L’articolo 31, introdotto nel corso dell'esame in Commissione, reca disposizioni volte ad assicurare una più efficace applicazione della disciplina europea antifrode (di cui al Regolamento UE Euratom n. 883/2013), ampliando le funzioni affidate dal comma 1 dell’articolo 25 medesimo al Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie della Guardia di Finanza, al quale viene assegnata anche la funzione di svolgere analisi, controlli sull’impiego delle risorse del bilancio dello Stato, delle Regioni, degli enti locali e dell’Unione Europea.

A tali fini la norma, inserendo un comma 1-bis all’articolo 25 del decreto-legge n.83/2012, amplia le funzioni affidate dal comma 1 dell’articolo 25 medesimo al Nucleo speciale spesa pubblicae repressione frodi comunitarie della Guardia di Finanza, al quale, oltre agli specifici compiti ad esso già affidati dal comma 1 del suddetto articolo, vengono altresì assegnati quelli di svolgere analisi, ispezioni e controlli sull’impiego delle risorse del bilancio dello Stato, delle Regioni, degli enti locali e dell’Unione Europea. Per tale scopo il Nucleo potrà esercitare anche i poteri e le facoltà specificamente previsti dal suddetto comma 1, alla lettera a), vale a dire quelli derivanti dalla normativa antiriciclaggio (in particolare dall‘articolo 8, comma 4, lettere a) e b) del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231).


Articolo 32

L’articolo 32, introdotto durante l’esame parlamentare, assegna alla Corte dei conti alcune funzioni di verifica e monitoraggio dei dati di bilancio delle amministrazioni pubbliche, finalizzate a dar piena attuazione, per le parti non direttamente applicabili, a due atti dell’Unione europea, costituiti dalla Direttiva 2011/85 sui quadri di bilancio e dal Regolamento n.473/2013 sui documenti programmatici di bilancio degli Stati membri.

In riferimento a i suddetti atti, l’articolo 32 stabilisce, al comma 1, che al fine di dar piena attuazione agli stessi “per le parti non direttamente applicabili”, con particolare riferimento all’attività di monitoraggio sull’osservanza delle regole di bilancio, la Corte dei conti “verifica la rispondenza alla normativa contabile” dei dati di bilancio delle amministrazioni pubbliche.


Articolo 33

L’articolo 33, introdotto durante l'esame in Commissione, prevede misure per lo sviluppo della ricerca applicata alla pesca, stabilendo che possa essere consentita la vendita ed il commercio dei prodotti della pesca esercitata a fini scientifici, salvo che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali non ne disponga il divieto. A tal fine viene modificato il comma 3 dell’art. 6 del decreto legislativo n. 4 del 2014 che vieta, sotto qualsiasi forma, la vendita ed il commercio dei prodotti della pesca non professionale, nell’ambito della quale risulta inclusa la pesca a fini scientifici.


Articolo 34

L'articolo 34, non modificato in Commissione (identico articolo 24) reca la clausola di invarianza finanziaria.


Articolo 35

L'articolo 35, modificato nel corso dell'esame in Commissione (articolo 25 nel testo iniziale) provvede a coprire le minori entrate derivanti dalla introduzione degli articoli 5, 6 e 7 (articoli 6, 7 e 8 nella attuale rinumerazione) del disegno di legge europea 2013 bis. L'ammontare degli oneri derivanti dalle disposizioni è indicato - rispettivamente in materia di estensione di agevolazioni fiscali a non residenti, imposta di successione e Ivafe - nella misura di 3,9 milioni di euro per l'anno 2014, 20,64 milioni di euro per l'anno 2015 e 15,5 milioni di euro dall'anno 2016 (comma 1), disponendo che alla relativa copertura si provveda mediante riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all'impiego ad aliquota agevolata in agricoltura (comma 2).

Il comma 4 quantifica gli oneri derivanti dall'articolo 23 (articolo 26 nella attuale rinumerazione) - relativo all'obbligo dello Stato di risarcire il danno derivante dalla violazione grave e manifesta del diritto dell'Unione europea da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado – in 100.000 euro annui a decorrere dall'anno 2014 e dispone che ad essi si provveda mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dalla riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio ad aliquota agevolata di cui al comma 2 del medesimo articolo.