Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Modifica del regolamento (CE) n. 1013/2006 sulle spedizioni di rifiuti (COM(2013)516)
Serie: Documentazione per le Commissioni - Esame di atti e documenti dell'UE    Numero: 11
Data: 07/10/2013
Descrittori:
REGOLAMENTI DELL'UNIONE EUROPEA   RIFIUTI E MATERIALE DI SCARTO
TRASPORTI     

7 ottobre 2013

 

n. 11

 Modifica del regolamento (CE) n. 1013/2006 sulle spedizioni di rifiuti

(COM(2013)516)

 

Tipo di atto

Proposta di regolamento

Data di adozione

11 luglio 2013

Base giuridica

Articolo 290 TUEF

Settori di intervento

Eurovoc (II e III livello)

Esame presso le istituzioni dell’UE

All’ordine del giorno del Consiglio Ambiente del 14 ottobre 2013

Assegnazione

15 luglio 2013 --- VIII Commissione Ambiente

Termine per il controllo di sussidiarietà

13 novembre 2013

Segnalazione da parte del Governo

25 luglio 2013

 


Finalità/Motivazione

La proposta in esame reca modifiche al regolamento n. 1013/2006 che fissa le norme per le spedizioni di rifiuti sia all'interno dell'UE sia tra l'UE e paesi terzi, allo scopo di tutelare l'ambiente.

Sulla base di tale regolamento, all’interno dell'UE, tutte le spedizioni di rifiuti destinati ad operazioni di recupero beneficiano del diritto di libera circolazione.

Per i rifiuti non pericolosi, tali spedizioni non sono soggette ad obblighi di notifica preventiva e devono solo rispettare obblighi generali di informazione. Sia le spedizioni di rifiuti pericolosi destinati ad operazioni di recupero sia le spedizioni di rifiuti destinati allo smaltimento sono soggette a obblighi di notifica e autorizzazione preventive scritte.

Il regolamento n. 1013/2006 vieta inoltre tutte le esportazioni di rifiuti pericolosi verso paesi non appartenenti all'OCSE e tutte le esportazioni di rifiuti destinati allo smaltimento verso paesi non membri dell'UE/EFTA. I rifiuti non pericolosi destinati ad operazioni di recupero al di fuori dell'OCSE possono essere esportati purché siano gestiti secondo metodi ecologicamente corretti, ossia in maniera essenzialmente equivalente alle norme applicate nell'UE.

Gli Stati membri, da un lato, sono tenuti a garantire l’applicazione del regolamento attraverso ispezioni presso stabilimenti e imprese a norma degli obblighi ispettivi di cui alla direttiva 2008/98/CE (direttiva quadro sui rifiuti), dall’altro, hanno la facoltà di controllare i rifiuti nel corso del trasporto su strada, nei porti ecc., oppure, successivamente, quando già si trovano negli impianti di recupero o smaltimento. I controlli sono, per il resto, rimessi alla discrezionalità degli Stati membri, poiché il regolamento vigente  non detta le modalità precise con cui eseguire le ispezioni.

Da tale discrezionalità e dalla mancanza di precise indicazioni sui contenuti delle ispezioni è scaturito un panorama estremamente variegato delle attività di controllo da parte degli Stati membri, che vede, da un lato, sistemi d'ispezione estesi e ben funzionanti e, dall’altro, sistemi inefficienti, che non garantiscono il rispetto delle norme e sono privi di strutture e risorse adeguate per controllare i flussi di rifiuti e per eseguire le ispezioni. Di ciò approfittano gli esportatori illegali di rifiuti con la pratica nota come "port hopping", facendo transitare i rifiuti illegali attraverso gli Stati membri con minori controlli.

I maggiori problemi sono legati ai rifiuti pericolosi e ai rifiuti spediti illegalmente, abbandonati in discariche abusive o trattati in maniera inadeguata, in quanto possono porre gravi problemi ambientali e sanitari agli abitanti delle zone intorno alle discariche.

La necessità di intervenire in questo settore è stata evidenziata anche dalle risultanze dell’indagine condotta, con il sostegno della Commissione, dal gruppo "Spedizioni transfrontaliere di rifiuti" della Rete europea per l'attuazione e il controllo del rispetto del diritto dell'ambiente (IMPEL – TSF), che ha denunciato un altissimo numero di casi di mancata conformità al regolamento dovuta a spedizioni illegali di rifiuti. All'origine delle spedizioni illegali di rifiuti in uscita dal territorio UE vi sono di frequente impianti non controllati di raccolta, deposito e cernita, gestiti da operatori abusivi che entrano in possesso dei rifiuti e li spediscono illegalmente nei paesi in via di sviluppo, spesso servendosi di siti intermedi di deposito per coprire le vere destinazioni finali dei rifiuti e per impedire alle autorità di contrasto di individuare le imprese da cui provengono i rifiuti.

Come risulta dall’analisi di impatto che accompagna la proposta di regolamento in esame (SWD(2013)268), le ispezioni condotte nei porti, sulle strade e presso gli impianti hanno dimostrato che circa il 25% delle spedizioni contenenti rifiuti nell'UE non sono conformi al regolamento sulle spedizioni di rifiuti UE (n. 1013/2006). Tuttavia, non è possibile avere informazioni precise sul numero di spedizioni illegali di rifiuti proprio per la loro natura illegale. Problemi significativi per la raccolta di dati affidabili sulle spedizioni di rifiuti derivano anche dalla insufficiente segnalazione da parte delle autorità nazionali e dalla mancanza di armonizzazione del sistema di controllo tra gli Stati membri.

La più recente relazione della Commissione sulla attuazione del regolamento riguarda il periodo 2007-2009. Dal rapporto risulta che la maggior parte degli Stati membri ha denunciato casi di spedizioni illegali di rifiuti. Mentre alcuni Stati membri hanno riferito di un gran numero di casi, altri hanno riferito solo pochi o nessuno. I paesi che hanno il maggior numero di casi sono stati la Germania, i Paesi Bassi, Belgio, Regno Unito e Austria (che rappresentano oltre il 70% dei casi riportati per il periodo 2007-2009). Ciò probabilmente a causa dell’efficienza del sistema di controllo in tali Paesi.

Inoltre, un rapporto del 2009 dell'Agenzia europea dell'ambiente in materia di rifiuti ha concluso che i casi segnalati rappresentano solo una frazione del numero effettivo e che il numero delle spedizioni illegali è notevole[1].

Quanto alle destinazioni, una gran parte delle spedizioni illegali di rifiuti provenienti dall'UE appare destinata a paesi africani e asiatici. Ghana, Nigeria e altri paesi dell'Africa occidentale sembrano essere le destinazioni più comuni in Africa. In Asia, le spedizioni illegali di rifiuti spesso sembrano passare attraverso il porto di Hong Kong, verso la Cina o altri paesi asiatici. Sono state evidenziate spedizioni illegali di rifiuti anche tra gli Stati membri. Uno studio del 2011 di Europol[2] ha concluso che i rifiuti pericolosi sono spediti spesso da sud a sud-est Europa (ad esempio da Italia a Romania e Ungheria).

Le principali lacune nei sistemi di controllo degli Stati membri sono la mancanza di pianificazione delle ispezioni e di valutazione dei rischi; disposizioni insufficienti in materia di onere della prova; mancanza di controlli a monte per rilevare programmate esportazioni illegali; mancanza di formazione per il personale ispettivo.

La necessità di intervenire è stata sottolineata dal Consiglio che, nelle conclusioni del 3 giugno 2010, invitava la Commissione a considerare l'ipotesi di rendere più rigorose le prescrizioni UE in materia di ispezioni e controlli a campione da effettuarsi a norma del regolamento sulle spedizioni di rifiuti.

La proposta in esame si basa anche sui risultati emersi da una prima consultazione, tenutasi nel 2011, dei portatori di interesse, che si sono dichiarati a favore delle prescrizioni della normativa UE sulle ispezioni delle spedizioni di rifiuti, nonché da una seconda consultazione pubblica, nel 2012, sugli atti legislativi più gravosi per le PMI. In tale sede è stato sottolineato il fatto che il regolamento sulle spedizioni di rifiuti non è sfociato nella creazione di un mercato comune per l'utilizzo e il riciclaggio dei rifiuti, a causa delle differenze di applicazione e interpretazione del regolamento stesso negli Stati membri; si è giunti inoltre alla conclusione che sia necessario garantire l'applicazione uniforme del regolamento, concentrandosi maggiormente sui rifiuti pericolosi e meno sui rifiuti non pericolosi. Infine, si è sottolineata la necessità di semplificare ulteriormente le procedure per il trasferimento dei rifiuti tra i diversi Stati membri, affidando l'ispezione e la valutazione degli impianti di trattamento dei rifiuti alle autorità dello Stato membro di destinazione.

 

Contenuti

La proposta di modifica del regolamento sulle spedizione di rifiuti interviene proprio sulle ispezioni a cui sono tenuti gli Stati membri. L’approccio scelto è il sostegno agli Stati membri nella loro attività ispettiva, da concentrarsi, però, sulla categoria dei rifiuti pericolosi.

In particolare, la proposta di regolamento è volta a garantire un'applicazione più uniforme del regolamento sulla spedizione dei rifiuti stabilendo obblighi di ispezione minimi in tutta l'UE, con particolare attenzione ai rifiuti pericolosi problematici.

 

Alla base della proposta vi è la convinzione che l'ispezione degli impianti di trattamento dei rifiuti compete alle autorità dello Stato membro in cui sono dislocati. Tuttavia, è necessario che le autorità competenti nello Stato membro di spedizione siano in grado di valutare il modo in cui i rifiuti sono gestiti dall'impianto nello Stato membro di destinazione. Per evitare spedizioni illegali, tale valutazione va effettuata prima che il trasporto lasci il paese di spedizione. In caso di spedizione illegale, il paese di spedizione potrebbe essere tenuto a farsi carico, tra l'altro, delle spese per il rimpatrio dei rifiuti. La valutazione degli impianti di gestione dei rifiuti non può pertanto essere affidata alle sole autorità del paese di destinazione.

Per rendere operativa tale opzione, ad avviso della Commissione il ricorso combinato a provvedimenti di legge e orientamenti dettati a livello unionale appare lo strumento migliore per risolvere il problema della spedizione illegale dei rifiuti. Ciò comporterebbe un onere per i Paesi attualmente privi di valide strutture ispettive (valutato dalla Commissione in circa 4 milioni di euro annui complessivi per assunzioni di personale e infrastrutture), che potrebbe essere compensato dalla riscossione delle sanzioni.

 

Il testo in esame, in particolare, dispone:

·   il conferimento alla Commissione, ai sensi dell’articolo 290 del Trattato, per un periodo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore della proposta di regolamento, del potere di adottare atti delegati riguardo alle disposizioni tecniche e organizzative relative all'attuazione pratica dell'interscambio elettronico dei dati per la trasmissione dei documenti e delle informazioni. La delega può essere revocata in qualsiasi momento dal Parlamento europeo o dal Consiglio. Inoltre, l'atto delegato entra in vigore solo se né il Parlamento europeo né il Consiglio hanno sollevato obiezioni. Nell’esercizio della delega, la Commissione è assistita dal comitato istituito dall'articolo 39 della direttiva 2008/98/CE (articolo 1, paragrafi 2 e 4);

Al riguardo, quanto al perimetro della delega, rispetto al testo vigente del regolamento n. 1013/2006, che prevede il potere della Commissione di adottare misure supplementari di attuazione e misure di esecuzione, il testo in esame sembra operare una ricollocazione dei poteri di attuazione, attribuendo alla Commissione:

a)     il potere delegato di adottare atti riguardo alle disposizioni tecniche e organizzative relative all'attuazione pratica dell'interscambio elettronico dei dati per la trasmissione dei documenti e delle informazioni;

b)     il potere di adottare attraverso atti esecutivi le restanti misure supplementari in materia, ad esempio, di cooperazione delle autorità competenti, uso delle lingue, obblighi procedurali, metodo di calcolo di garanzie finanziarie, condizioni e obblighi in relazione agli impianti di recupero.

In proposito, appare opportuno acquisire l’avviso del Governo circa la conformità della soluzione prospettata rispetto alle previsioni dell’articolo 290 del TUEF;

·   l’introduzione, mediante la modifica dell’articolo 50 del regolamento n. 1013/2006, per le autorità competenti di obblighi di pianificazione delle ispezioni delle spedizioni di rifiuti, che prevedano, tra l’altro, ispezioni di stabilimenti e imprese nonché controlli a campione delle spedizioni di rifiuti o del relativo recupero o smaltimento (articolo 1, paragrafo 3, lettere a) e b)).

I piani devono contenere la strategia e gli obiettivi delle ispezioni delle spedizioni di rifiuti, con riferimento alle risorse necessarie in termini di personale e finanziario; una valutazione dei rischi inerente a flussi specifici di rifiuti e provenienze specifiche di spedizioni illegali; le priorità e la spiegazione di come esse sono state stabilite in base alle strategie, agli obiettivi e alla valutazione dei rischi; informazioni sul numero e sul tipo di ispezioni che si prevede eseguire nei siti di destinazione dei rifiuti, nei trasporti stradali e ferroviari e sulle partite nei porti; la ripartizione dei compiti tra le autorità coinvolte nelle ispezioni delle spedizioni di rifiuti; i mezzi di cooperazione tra le varie autorità coinvolte nelle ispezioni; e una valutazione dei bisogni formativi degli ispettori in materia di aspetti tecnici o giuridici della gestione dei rifiuti e delle spedizioni di rifiuti, nonché le disposizioni prese per garantire programmi regolari di formazione.

 

Nella relazione del Ministero dell’ambiente trasmessa alle Camere ex articolo 6, comma 4, della legge n. 234/2012, sono state sottolineate alcune criticità della proposta in esame. In primo luogo, il previsto obbligo di effettuare ispezioni anche sugli impianti che gestiscono rifiuti e producono rifiuti pericolosi rischia di duplicare il sistema di ispezioni già effettuate nell’ambito dell’AIA. Pertanto, ad avviso del Ministero, sarebbe più opportuno focalizzare la pianificazione delle ispezioni su determinati flussi di rifiuti, ritenuti più rilevanti dal punto di vista ambientale e per la salute umana.

Inoltre, il riferimento alla autorità competente quale soggetto tenuto alla redazione dei piani evidenzierebbe, ad avviso del Ministero, un approccio centralizzato, secondo un modello adottato da Stati membri di limitata estensione, che vede la competenza di un’agenzia o di un ispettorato, approccio che non è riproducibile nell’ordinamento italiano. Infatti, in Italia i controlli vengono effettuati da organismi appartenenti a diverse strutture (carabinieri, polizia, guardia di finanza, corpo forestale, capitanerie di porto, dogane, polizia provinciale, ARPA, ecc.), il cui coordinamento appare difficilmente attuabile, al pari di una ripartizione di compiti.

Ciò premesso, nell’ordinamento italiano il compito di predisporre i piani dei controlli è attribuito alle autorità competenti di spedizione/destinazione (ai sensi dell’articolo 194 del decreto legislativo n. 152/2006), che risultano essere circa sessanta, con competenze circoscritte ad ambiti territoriali definiti[3]. Per questo, ad avviso del Ministero, si potrebbe attribuire loro competenze sui singoli stabilimenti ma non sui flussi di rifiuti.

Al riguardo, si osserva che il testo della proposta di regolamento non sembra prospettare un approccio centralistico quanto allo svolgimento dei controlli, prospettandosi, piuttosto, la definizione di piani di ispezione in termini che ammettono l’esistenza di diversi soggetti competenti. In tal senso, si stabilisce esplicitamente che i piani debbano prevedere la ripartizione dei compiti tra le autorità coinvolte nelle ispezioni delle spedizioni di rifiuti e l’indicazione dei mezzi di cooperazione tra le varie autorità coinvolte nelle ispezioni. Pertanto, la proposta non sembra incompatibile con l’attuale assetto dei controlli prevista dall’ordinamento italiano. Anche alla luce di quanto affermato dalla relazione del ministero, appare opportuno quindi che il Governo fornisca elementi più puntuali a supporto dei rilievi avanzati, anche con riguardo ai controlli effettuati dalle autorità competenti italiane e al numero di spedizioni illegali scoperte. Ciò al fine di verificare la corrispondenza, sotto il profilo dell’efficienza, tra le previsioni della proposta di regolamento in esame e il sistema italiano delle ispezioni;

·   la possibilità che le autorità competenti degli Stati membri esigano prove dai presunti esportatori di rifiuti illegali in modo da poter verificare la legalità delle spedizioni (articolo 1, paragrafo 3, lettera c).

Tali prove possono riguardare il fatto che una determinata sostanza o un determinato oggetto costituisca un "rifiuto" o meno, che la spedizione sia destinata a recupero o smaltimento, oppure che i metodi e le norme di trattamento dei rifiuti applicati dall'impianto del paese di destinazione siano adeguati.

 

Base giuridica

La proposta di regolamento è adottata sulla base dell’articolo 192, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’UE, che prevede che il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, decidono in merito alle azioni che devono essere intraprese dall'Unione per realizzare gli obiettivi dell'articolo 191. Tale articolo stabilisce gli obiettivi generali della politica dell’Unione europea in materia ambientale, tra cui la salvaguardia dell’ambiente e la protezione della salute.

Sussidiarietà

La Commissione giustifica la presentazione della proposta di regolamento in considerazione della necessità colmare la lacuna derivante dall’assenza, nella normativa vigente di criteri puntuali per l’adempimento degli obblighi ispettivi e per l’effettuazione dei controlli.

La citata relazione del Ministero dell’ambiente trasmessa alle Camere ex articolo 6, comma 4, della legge n. 234/2012 afferma che la proposta in esame non appare rispettare pienamente il principio di sussidiarietà. Infatti, nel prevedere l’obbligo per gli Stati membri di garantire la stesura di piani di ispezione annuali, con la definizione dei loro contenuti e l’individuazione delle autorità competenti tenute a redigerli, non appare avere tenuto sufficientemente conto della diversità nell’assetto delle competenze né delle disposizioni in materia già vigenti a livello di singoli Stati membri.

Invece, la medesima relazione sottolinea che la proposta in esame soddisfa il principio di proporzionalità, in quanto si limita ad indicare quanto necessario al raggiungimento degli obiettivi.

 

Valutazione d’impatto

La proposta è basata sulla combinazione di obblighi legislativi e orientamenti UE. Tale opzione è quella, tra le possibili, che, dal punto di vista dell’impatto economico, sociale e ambientale, risulta in grado di risolvere i problemi sollevati dai portatori di interesse.

I benefici generati da tale scelta sarebbero in grado, ad avviso della Commissione, di bilanciarne i costi, concentrati in capo agli Stati membri privi di un sistema efficace di controlli e valutati, come già segnalato, in complessivi 4 milioni di euro annui, coperti con le entrate derivanti dalle sanzioni.

In base alla valutazione d'impatto, i costi delle ispezioni supplementari imposte per legge potrebbero essere coperti integralmente anche se meno dell'1% delle ispezioni condotte in un anno sfociasse in una sanzione di entità media.

Al riguardo, appare opportuno acquisire l’avviso del Governo in ordine alla situazione italiana, vale a dire se all’impostazione prospettata dalla proposta di regolamento possa farsi fronte con i proventi delle sanzioni, che, peraltro, sarebbero soltanto eventuali e acquisiti ex post.

 

L’impatto sull’ordinamento nazionale (a cura del Servizio Studi)

Secondo i dati forniti da Legambiente, che da anni pubblica il rapporto “Ecomafie”, il volume d’affari delle ecomafie è stimabile, in Italia, in quasi 17 miliardi di euro all’anno, parte dei quali derivanti da traffici illeciti di rifiuti.

Se le regioni maggiormente coinvolte sono quelle a tradizionale presenza di criminalità organizzata (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia), è anche vero che il fenomeno è in forte e allarmante crescita anche al nord.

 

Ma l’ecomafia non è un fenomeno esclusivamente nazionale, ma un fatto che ha assunto ormai una dimensione globale, diventando una minaccia per l’ecosistema mondiale e un’insidia per i cittadini, tanto sotto il profilo della salute quanto sotto quello economico, poiché finisce per danneggiare l’economia legale: lo smaltimento illegale meno costoso rappresenta una forma di concorrenza sleale nei confronti delle imprese che rispettano le leggi.

In questo contesto globale, i porti italiani sono un centro di smistamento nell’ambito di traffici che seguono le rotte più disparate (come analizzato nel recente rapporto “Mercati illegali” (Polieco-Legambiente, febbraio 2013).

Secondo il rapporto “Rifiuti spa” (Legambiente, febbraio 2012) negli ultimi dieci anni (2002-2012) sono state svolte 191 indagini per traffico illecito di rifiuti (ex art. 260, v. infra), che hanno portato al sequestro di più di 13 milioni di tonnellate di rifiuti, pari ad una strada di 1.123.512 tir, lunga più di 7 mila chilometri. Nel medesimo rapporto Legambiente stima un volume d’affari per il traffico illecito di rifiuti pari a 3,3 miliardi di euro nel solo 2010 e ben 43 miliardi negli ultimi dieci anni.

 

Per la lotta al traffico illecito di rifiuti, lo strumento principale dell’ordinamento giuridico italiano è rappresentato dall’art. 260 del D.Lgs. 152/2006 (codice dell’ambiente), volto a sanzionare le “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” prevedendo la pena della reclusione da uno a sei anni per “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti”. Ai sensi del medesimo articolo, se si tratta di rifiuti ad alta radioattività, si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.

Al fine di rafforzare l’applicazione dell’art. 260, l’articolo 11 della L. 136/2010 (“Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”) ha inserito la fattispecie di cui all’art. 260 del codice, nel novero dei reati di criminalità organizzata contemplati dall’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale.

Le implicazioni dell’inserimento dell’art. 260 nel novero dei reati di criminalità organizzata sono numerose; in particolare si cita l’attribuzione delle funzioni di P.M. al procuratore distrettuale e l’inasprimento del regime di prescrizione e delle misure di prevenzione e cautelari.

Se l’articolo 260 rappresenta il principale strumento sanzionatorio, l’attività di controllo è imperniata sul SISTRI (acronimo di "sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti"), il sistema telematico di monitoraggio della gestione dei rifiuti disciplinato dagli articoli 188-bis e 188-ter del D.Lgs. 152/2006, che, una volta a regime, dovrà sostituire (salvo eccezioni) il tradizionale regime cartaceo di controllo costituito da registri di carico e scarico (art. 190), formulari di trasporto (art. 193) e MUD (modello unico di dichiarazione ambientale).

Istituito sin dal 2009, con il D.M. 17 dicembre 2009, il SISTRI non è però entrato in funzione a causa di una serie di proroghe e sospensioni succedutesi nel corso della XVI legislatura.

In seguito all’emanazione del D.L. 101/2013 (in corso di conversione) è stato disposto il riavvio del sistema, oltre ad una serie di semplificazioni. In estrema sintesi, ai sensi delle norme recate dal citato decreto-legge, il Sistri è obbligatorio:

·   dal 1° ottobre 2013 per i gestori di rifiuti pericolosi e “nuovi produttori” di rifiuti pericolosi;

·   dal 3 marzo 2014 (salvo proroghe) per i “produttori iniziali” di rifiuti pericolosi e, limitatamente al territorio della Regione Campania, per comuni ed imprese di trasporto dei rifiuti urbani.

L’art. 188-ter del Codice prevede l’emanazione di un decreto volto a stabilire, nel rispetto delle norme comunitarie, i criteri e le condizioni per l’applicazione del SISTRI alle procedure relative alle spedizioni transfrontaliere di rifiuti disciplinate dal regolamento (CE) n. 1013/2006. Nelle more della sua attuazione sono fatti salvi gli obblighi stabiliti dal D.M. 17 dicembre 2009, relativi alla tratta del territorio nazionale interessata dal trasporto transfrontaliero.

Al fine di garantire l’osservanza degli obblighi relativi al SISTRI, il Codice prevede, all’art. 260-bis, un articolato apparato sanzionatorio.

La gestione del sistema è stata affidata al Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente (CCTA).

Si ricorda che ai sensi dell’art. 195 spetta allo Stato la regolamentazione del trasporto dei rifiuti; l'individuazione e la disciplina, nel rispetto delle norme comunitarie, di forme di semplificazione degli adempimenti amministrativi per la raccolta e il trasporto di specifiche tipologie di rifiuti destinati al recupero. Il medesimo articolo attribuisce la competenza al contrasto del traffico illegale di rifiuti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti al CCTA e al Corpo delle Capitanerie di porto, prevedendo anche la facoltà di intervento del Corpo forestale dello Stato, della Guardia di finanza e della Polizia di Stato.

Alle regioni sono invece attribuite le attività in materia di spedizioni transfrontaliere che il regolamento (CE) n. 1013/2006 attribuisce alle autorità competenti di spedizione e di destinazione (art. 196). Ulteriori funzioni di controllo sono attribuite alle province (art. 197).

 

Esame presso le Istituzioni dell’UE

Il voto del Parlamento europeo è previsto nel marzo 2014.

La proposta è all’ordine del giorno del Consiglio ambiente del prossimo 14 ottobre 2013.

Esame presso altri Parlamenti nazionali

Sulla base dei dati forniti dal sito IPEX, l’esame dell’atto risulta concluso da parte del Bundesrat tedesco, mentre è ancora in corso presso i Parlamenti di Finlandia, Polonia, Romania, Slovacchia, Spagna e Svezia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

XVII legislatura – Documentazione per le Commissioni – Esame di atti e documenti dell’ UE, n. 11, 7 ottobre 2013

Il bollettino è stato curato dall’Ufficio Rapporti con l’Unione europea (' 06 6760.2145 - * cdrue@camera.it)

 



[1] Waste without borders in the EU? Transboundary shipments of waste, EEA report, 1/2009.

[2] Europol, "EU organised crime assessment", Aprile 2011.

[3] Si segnala che, ai sensi dell’articolo 194 del decreto legislativo n. 152/2006, le autorità competenti di spedizione e di destinazione sono le regioni e le province autonome; l'autorità di transito è il Ministero dell'ambiente, che è anche corrispondente.