Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio | ||
Altri Autori: | Servizio Bilancio dello Stato | ||
Titolo: | Documento di economia e finanze 2017 - Doc. LVII, n. 5 rigo nero | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Documentazione di finanza pubblica Numero: 17 Progressivo: 1 | ||
Data: | 24/04/2017 | ||
Organi della Camera: | V-Bilancio, Tesoro e programmazione |
Documento di economia e finanza 2017
Doc. LVII, n. 5
aprile 2017
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Documentazione di finanza pubblica n.
17/1
La
documentazione dei Servizi e degli Uffici del Senato della Repubblica e della
Camera dei deputati è destinata alle esigenze di documentazione interna per
l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. Si declina ogni
responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non
consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel
rispetto della legge, a
condizione che sia citata la fonte.
Il Documento di economia e
finanza
Parte I - Il quadro macroeconomico
1. La congiuntura internazionale e l’area dell’euro
2. Lo scenario macroeconomico nazionale
2.2. Le prospettive dell’economia italiana per il 2017 e per
il triennio successivo
3. Il benessere equo e sostenibile (BES)
Parte II – La finanza pubblica
1. Gli andamenti tendenziali di finanza pubblica
· Tabelle dati DEF e confronti con Nota
tecnico-illustrativa 2017
1.2. Le previsioni tendenziali per il periodo 2017-2020
1.3. L’analisi degli andamenti tendenziali per sottosettori
2. Percorso programmatico di finanza pubblica
Box - il percorso di avvicinamento all'OMT: un'analisi dei
precedenti
Box - La richiesta di correzione della Commissione e la
risposta del Governo
2.2. Gli indicatori di finanza pubblica
2.3. Gli aggiustamenti strutturali
Regole di flessibilità ed “eventi eccezionali”
· Richiesta di flessibilità per il 2016
· Richiesta di flessibilità per il 2017
2.6. L’evoluzione del rapporto debito/PIL
2.7. La regola del debito e gli altri fattori rilevanti
Parte III – Analisi del Programma nazionale di riforma
2. Il PNR nel quadro della governance europea
2.1. Le Raccomandazioni specifiche per Paese del luglio 2016
2.2. La Relazione Paese e l'esame degli squilibri
macroeconomici di febbraio 2017
3. Le politiche pubbliche nel programma nazionale di riforma
3.2. Pubblica amministrazione e semplificazioni
3.5. Sanità e politiche sociali
3.6. Scuola, università, ricerca
3.8. Comparto difesa e sicurezza
3.9. Infrastrutture e trasporti
3.10. Competitività e concorrenza
Il Documento di economia e finanza (DEF)
costituisce il principale documento di
programmazione della politica economica e di bilancio, che traccia, in una
prospettiva di medio-lungo termine, gli impegni, sul piano del consolidamento delle finanze pubbliche, e gli
indirizzi, sul versante delle diverse politiche pubbliche, adottati dall’Italia
per il rispetto del Patto di Stabilità e Crescita europeo e per il
conseguimento degli obiettivi di sviluppo, occupazione, riduzione del rapporto
debito-PIL e per gli altri obiettivi programmatici prefigurati dal Governo per
l’anno in corso e per il triennio successivo.
Il DEF
viene trasmesso alle Camere affinché si
esprimano su tali obiettivi e sulle conseguenti strategie di politica economica
contenute nel Documento. Dopo il
passaggio parlamentare, il Programma di Stabilità e il Programma nazionale
di riforma vanno inviati al Consiglio
dell’Unione europea e alla Commissione europea entro il 30 aprile.
Secondo
quanto dispone l’articolo 7 della legge di contabilità e finanza pubblica
(legge n. 196 del 2009) il Documento, che s’inquadra al centro del processo di
coordinamento ex ante delle politiche economiche degli Stati membri
dell’UE - il Semestre europeo – deve essere infatti presentato
al Parlamento, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, entro il 10 aprile di ciascun anno, al fine di
consentire alle Camere di esprimersi sugli obiettivi programmatici di politica
economica in tempo utile per l’invio al
Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea, entro il
successivo 30 aprile[2], del Programma
di Stabilità e del Programma
Nazionale di Riforma (PNR).
Il Semestre europeo fornisce un quadro,
temporalmente scandito, per la gestione delle varie tappe della strategia di
coordinamento delle politiche economiche tra i paesi dell’UE. In sintesi, esso
si compone delle seguenti fasi (si confronti anche il Box all'interno del par.
2, parte III):
§ Novembre: presentazione da parte della Commissione
dell’Analisi annuale della crescita,
della Relazione sul meccanismo di allerta
per la prevenzione degli squilibri macroeconomici. Il Consiglio europeo elabora
le Linee guida di politica economica
e di bilancio a livello UE e a livello di Stati membri, anticipando così in via
di prassi la scadenza inizialmente fissata a gennaio.
§ Febbraio: la Commissione pubblica le Relazioni per Paese integrate, per i
paesi selezionati nella relazione sul meccanismo di allerta che presentano
squilibri macroeconomici, dall'esame
approfondito.
§ Dalla metà alla fine di aprile: gli Stati
membri sottopongono contestualmente i Piani
nazionali di riforma (PNR, elaborati nell’ambito della nuova Strategia per
la crescita e l’occupazione UE 2020) ed i Piani
di stabilità e convergenza (PSC, elaborati nell’ambito del Patto di
stabilità e crescita), tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio
europeo.
§ Maggio: sulla base dei PNR e dei PSC, la Commissione europea elabora le raccomandazioni di politica economica e di
bilancio rivolte ai singoli Stati membri.
§ Giugno: il Consiglio
ECOFIN e, per la parte che gli compete, il Consiglio Occupazione e affari
sociali, approvano le raccomandazioni
della Commissione europea, anche sulla base degli orientamenti espressi dal
Consiglio europeo di giugno.
§ Seconda metà dell’anno: gli Stati
membri approvano le rispettive leggi
di bilancio, tenendo conto delle raccomandazioni ricevute. In base alla
disciplina del regolamento (UE) n. 473/2013 (uno dei due atti che compongono il
c.d. Two-pack), la Commissione europea opera, di
norma entro il mese di novembre, una valutazione del documento programmatico di
bilancio di ciascuno Stato membro.
Ad
iniziare dall’Analisi annuale sulla crescita e dalla Relazione sul meccanismo
di allerta dell’anno successivo, la Commissione dà anche conto dei
progressi conseguiti dai Paesi membri nell’attuazione delle raccomandazioni
stesse. Ciò viene operato in particolare nelle Relazioni
per paese, integrate dagli esami approfonditi per gli
stati che vengono a tal fine indicati nella relazione sul meccanismo di
allerta. Per quanto riguarda l’Italia, il relativo esame approfondito è
contenuto nel documento di lavoro dei servizi della Commissione “Relazione
per paese relativa all’Italia 2017”, per la quale si rinvia infra (Parte III, § 2) a quanto illustrato nel presente dossier.
Quanto
alla struttura del DEF, questa è
disciplinata dall’articolo 10 della
legge di contabilità, nel quale si dispone che sia composta di tre sezioni
e di una serie di allegati.
In
particolare, la prima sezione espone lo schema del Programma di Stabilità,
che deve contenere tutti gli elementi e le informazioni richiesti dai
regolamenti dell'Unione europea e, in particolare, dal nuovo Codice di condotta
sull'attuazione del Patto di stabilità e crescita, con specifico riferimento
agli obiettivi di politica economica da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico.
La
sezione espone gli obiettivi e il quadro delle previsioni economiche e di
finanza pubblica per il triennio successivo; l’indicazione degli obiettivi
programmatici per l'indebitamento netto, per il saldo di cassa e per il
debito delle PA, articolati per i sottosettori della
PA, accompagnata anche da un'indicazione di massima delle misure attraverso
le quali si prevede di raggiungere gli obiettivi. Ciò anche ai fini[3] di dar conto del rispetto del percorso di
avvicinamento all’obiettivo di medio termine (OMT), qualora si sia verificato uno scostamento
dall’obiettivo medesimo. La sezione contiene, inoltre, le previsioni di finanza
pubblica di lungo periodo e gli interventi che si intende adottare per
garantirne la sostenibilità.
La seconda
sezione, “Analisi e
tendenze della finanza pubblica” riporta, principalmente, l'analisi
del conto economico e del conto di cassa delle amministrazioni pubbliche
nell'anno precedente; le previsioni tendenziali a legislazione vigente, almeno
per il triennio successivo, dei flussi di entrata e di uscita del conto
economico e del saldo di cassa; l'indicazione delle previsioni a politiche
invariate per i principali aggregati del conto economico della PA riferite
almeno al triennio successivo; le informazioni di dettaglio sui risultati e
sulle previsioni dei conti dei principali settori di spesa, con particolare
riferimento a quelli relativi al pubblico impiego, alla protezione sociale e
alla sanità, al debito delle amministrazioni pubbliche ed al relativo costo
medio, nonché[4] all’ammontare della spesa per interessi del
bilancio dello Stato correlata a strumenti finanziari derivati; le
informazioni, infine, sulle risorse destinate allo sviluppo delle aree
sottoutilizzate, con evidenziazione dei fondi nazionali addizionali.
La terza
sezione reca, infine, lo schema del Programma Nazionale di riforma (PNR)
che, in coerenza con il Programma di Stabilità, contiene gli elementi e le
informazioni previsti dai regolamenti dell'Unione europea e dalle specifiche
linee guida per il Programma nazionale. In tale ambito sono indicati:
§ lo stato di avanzamento delle riforme avviate,
con indicazione dell'eventuale scostamento tra i risultati previsti e quelli
conseguiti;
§ gli squilibri macroeconomici nazionali e i
fattori di natura macroeconomica che incidono sulla competitività;
§ le priorità del Paese, con le principali
riforme da attuare, i tempi previsti per la loro attuazione e la compatibilità
con gli obiettivi programmatici indicati nel Programma di stabilità;
§ i
prevedibili effetti delle riforme
proposte in termini di crescita dell'economia, di rafforzamento della
competitività del sistema economico e di aumento dell'occupazione.
Sulla
base di quanto prevedono sia alcune norme della legge n. 196 del 2009 che
ulteriori disposizioni che prescrivono la presentazione in allegato al DEF
di alcuni specifici documenti, al DEF 2017 sono allegati:
o
il rapporto sullo stato di attuazione della riforma della contabilità e finanza pubblica,
di cui all’articolo 3 della legge n. 196 del 2009 (Doc. LVII, n. 5 - Allegato I);
o
la relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate, di cui al comma 7
dell'articolo 10 della legge n. 196 del 2009 e all'articolo 7 del decreto legislativo
31 maggio 2011, n. 88 (Doc. LVII, n. 5 - Allegato II);
o
il documento “Connettere l’Italia: fabbisogni
e progetti di infrastrutture” (Doc. LVII, n. 5 - Allegato III);
o
la relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di
gas ad effetto serra, di cui al comma 9 dell’articolo 10 della legge n. 196
del 2009 (Doc. LVII, n. 5 - Allegato IV);
o
il documento sulle spese dello Stato nelle regioni e nelle province autonome, di cui al
comma 10 dell’articolo 10 della legge n. 196 del 2009 (Doc. LVII, n. 5 - Allegato V);
o
il documento “Il benessere equo e sostenibile nel processo decisionale” (DOC LVII, n.5 – Allegato VI);
o
la relazione sui fabbisogni annuali di beni e servizi della pubblica amministrazione e
sui risparmi conseguiti con il sistema delle convenzioni Consip,
di cui all’articolo 2, comma 576, della legge n.244 del 2007 (Doc. LVII, n. 5 - Allegato VII).
Il Documento di economia e finanza 2017
aggiorna il quadro programmatico di finanza pubblica per il quadriennio
2017-2020.
Il DEF, confermando il raggiungimento
dell'OMT nel 2019 come indicato nei precedenti documenti di programmazione (DEF
e NADEF 2016), rafforza il percorso di
riduzione dell’indebitamento netto fino a prevedere il conseguimento di un
saldo nullo nel 2020 e il pareggio di bilancio strutturale sia nel 2019
(+0,1%) che nel 2020 (0,0%).
Si
tratta, dunque, di un aggiornamento
dell'obiettivo programmatico e del percorso di avvicinamento ad esso che -
contrariamente a quanto avvenuto in passato (scostamenti in senso
"peggiorativo" accordabili solo in caso di "eventi
eccezionali", cfr. Box all'interno del paragrafo 2, parte II) - non richiede una procedura rafforzata di
approvazione presso ciascuna Camera a maggioranza assoluta dei rispettivi
componenti ex art. 6, legge n. 243
del 2012.
Il DEF 2017, nella prima sezione relativa al Programma di Stabilità, evidenza come
nel 2016 l'economia mondiale abbia registrato un incremento di circa il 3% rispetto
al 2015, stabilizzandosi su un sentiero di graduale ripresa, in linea con il
2015.
I segnali di recupero della crescita globale,
evidenti soprattutto nel secondo semestre dell’anno, non si sono però tradotti
in una ripresa del commercio mondiale. La crescita del commercio mondiale ha continuato nel 2016 ad essere molto debole, a causa della bassa elasticità
della domanda internazionale alla crescita del PIL, secondo una tendenza ormai
costantemente riscontrata negli ultimi cinque anni.
La tendenza al miglioramento della congiuntura appare condivisa dalla maggior parte delle aree dell’economia mondiale. Il
2017 è infatti iniziato in modo favorevole per la gran parte dei paesi avanzati e la ripresa economica
si è consolidata e dovrebbe accelerare in corso d’anno anche nei mercati emergenti, sebbene con performance
eterogenee nei vari paesi.
Negli Stati Uniti,
nel 2016 la crescita del PIL è stata pari all’1,6%, in flessione rispetto
all’anno precedente (2,6%). La persistente debolezza del ciclo internazionale e
degli investimenti interni hanno spinto la Federal Reserve
a lasciare per la maggior parte dell’anno il tasso di riferimento invariato
tra lo 0,25 e lo 0,50%. Tuttavia, l’economia americana nei mesi a cavallo tra
il 2016 e il 2017 ha mostrato decisi segnali di accelerazione. Diversi
indicatori, come il basso livello della disoccupazione e il recupero del clima
di fiducia delle famiglie, sembrano confermare che l’economia è uscita
definitivamente dalla crisi. Coerentemente con le favorevoli condizioni
dell’economia, la FED ha operato, a dicembre 2016 e a marzo 2017, due rialzi
dei tassi di 25 punti base, prospettando una gradualità di futuri rialzi
per il 2017 e il 2018.
In Giappone,
il PIL è aumentato dello 0,9%, in accelerazione rispetto al 2015 (0,5%), grazie
al contributo positivo del settore estero e dei consumi pubblici e da una
politica monetaria della Banca del Giappone estremamente accomodante.
Anche per quel che
riguarda le principali economie emergenti, la ripresa economica si è
andata consolidando nel corso del 2016. Il quadro congiunturale suggerisce un
rafforzamento della dinamica della crescita nelle principali economie
emergenti, sebbene con andamenti differenziati tra i vari paesi.
Il nodo resta quello
dell’economia cinese che, nel 2016, ha registrato un tasso di crescita
del PIL del 6,7%, in decelerazione rispetto al passato, che sconta gli effetti
della transizione verso una tipologia di economia più matura e bilanciata. Anche i segnali di ripresa dalle profonde
recessioni in cui versavano i maggiori paesi esportatori di materie prime
restano contrastanti.
Nel
complesso, lo scenario internazionale,
a inizio 2017, è migliore delle
attese. Si registra un miglioramento della fiducia di imprese e consumatori. Le
condizioni monetarie continuano ad essere accomodanti, favorendo maggiore accesso
al credito e sostenendo l’espansione di consumi e investimenti. I mercati
azionari sono in progressiva espansione.
Nella
composizione del quadro macroeconomico tendenziale riportato nel DEF 2017, le
variabili esogene internazionali indicano una crescita dell’economia
internazionale nel periodo considerato ancora moderata, con una espansione del commercio mondiale del 3,4%
nel 2017 e del 3,5% nel
2018, che raggiunge il 3,9% nel 2019.
Per quanto riguarda i movimenti valutari, sebbene diversi segnali indicherebbero
un apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, si è preferito adottare – si
sottolinea nel DEF - valutazioni prudenziali, ipotizzando per il futuro un
tasso di cambio prossimo agli attuali livelli.
Con riferimento, infine, al prezzo del petrolio, per il biennio
2017-2018 è attesa una marginale risalita nel 2017 e poi una sostanziale
stabilizzazione. L’aumento delle quotazioni verificatosi a fine 2016 è -
secondo quanto espresso nel DEF - in parte rientrato e si considerano poco
probabili sostanziali rialzi, in virtù della scarsa tenuta degli accordi di
contenimento dei volumi estratti e di una elasticità dell’offerta statunitense
maggiore delle attese, a parte, tuttavia, l’incertezza legata, in questa fase,
a rischi di natura geo-politica.
Tabella
1 -
Prospettive dello scenario internazionale
(variazioni percentuali)
|
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
Commercio
internazionale |
2,5 |
2,8 |
3,4 |
3,5 |
3,9 |
3,7 |
Prezzo
del petrolio |
52,3 |
49,0 |
54,4 |
53,8 |
53,4 |
53,6 |
Cambio
dollaro/euro |
1,110 |
1,107 |
1,060 |
1,060 |
1,060 |
1,060 |
Fonte: DEF 2017 (aprile 2017). Per il 2015,
dati FMI.
Sebbene le
prospettive per l’economia mondiale siano orientate verso una graduale ripresa,
lo scenario internazionale continua ad essere
caratterizzato da una prevalenza di rischi al ribasso di natura economica e
legati a possibili tensioni geopolitiche. Risultano al momento di difficile
quantificazione – sottolinea il DEF - i possibili danni che potrebbero derivare
al commercio internazionale e all’economia mondiale da eventuali misure protezionistiche intraprese dell’amministrazione statunitense o
dagli esiti della Brexit,
posto che il processo di uscita del Regno Unito è appena stato formalizzato. Le
nazioni con disavanzi di partite correnti, elevata posizione debitoria in
dollari e maggiore dipendenza commerciale verso gli Stati Uniti potrebbero
essere soggette a maggiori rischi al ribasso nel breve termine.
Il DEF considera però in aumento la
possibilità di scenari più favorevoli. Tra i rischi al rialzo vanno considerati – sottolinea il DEF - una
ripresa più sostenuta del commercio mondiale e dell’economia cinese, sebbene da
quest’ultima provengono anche preoccupazioni legate all’elevato indebitamento
di alcuni settori dell’economia.
In
merito all’andamento dell’economia globale, l’OCSE, nell’Interim Economic Outlook di marzo scorso, sottolinea la crescita
ancora modesta del PIL mondiale, che partendo dal 3,0% del 2016, sale al 3,3%
nel 2017 per raggiungere a malapena il 3,6% nel 2018, ancora al di sotto della media storica di circa il 4% registrata
nei due decenni prima della crisi. Nonostante siano emersi alcuni segnali
positivi nei consumi e il clima di fiducia delle imprese sia migliorato, i
consumi, gli investimenti, il commercio e la produttività restano deboli.
Inoltre, l’aumento dei tassi di interesse e dei prezzi del petrolio tenderà a
compensare queste spinte, sebbene dei maggiori prezzi delle materie prime ne
beneficeranno alcune economie emergenti. L'economia globale – secondo l’OCSE -
è in una trappola di bassa crescita ormai da cinque anni, e ciò ha pesato sulle
aspettative future di uscita dalla crisi, ritardando la spesa corrente e la
crescita del prodotto potenziale, mantenendo debole il commercio globale e gli
investimenti. Tra i maggiori paesi emergenti, si prospetta una crescita in
accelerazione in Brasile e in Russia che cominciano ad uscire dalla profonda
recessione di questi anni, aiutate dall’aumento dei prezzi delle materie prime
e dall’allentamento dell'inflazione, ma nella maggior parte delle altre
principali economie avanzate, la crescita dovrebbe continuare intorno al
modesto percorso attuale. Scollamento tra mercati finanziari e economia reale,
il potenziale di volatilità dei mercati, vulnerabilità finanziarie e le
incertezze politiche, tuttavia, potrebbe compromettere
la modesta ripresa.
Analoghe
considerazioni sono state avanzate dalla Banca
Centrale europea, nel Bollettino economico di marzo 2017, che, pur mettendo in evidenza
come la crescita
mondiale abbia mostrato un miglioramento nel secondo semestre del 2016 e
sia rimasta sostenuta agli inizi del 2017, registri tuttavia ancora un ritmo
contenuto nel confronto storico. In prospettiva, il sostegno alla crescita
mondiale verrà sia dalle economie avanzate sia dalle economie di mercato
emergenti (EME). Tuttavia, le prospettive nelle economie sia avanzate sia
emergenti rimangono in qualche misura contrastanti in quanto:
a.
tra i paesi avanzati le
condizioni di finanziamento favorevoli, i miglioramenti nei mercati del lavoro
e le azioni di stimolo fiscale dovrebbero sostenere l’attività negli Stati
Uniti, mentre si prevede che l’aumento dell’incertezza pesi sulle prospettive
di crescita a medio termine dell’economia britannica e che il ritmo di
espansione resti moderato in Giappone;
b.
nei mercati emergenti la
tenuta della crescita in talune grandi economie e la graduale attenuazione
delle profonde recessioni in alcuni dei maggiori paesi esportatori di materie
prime forniscono il principale sostegno alla crescita mondiale;
c.
la graduale decelerazione
dell’economia cinese continua tuttavia ad agire da freno. Si prevede tuttavia
che l’aumento dei corsi petroliferi eserciti un impatto complessivo
limitato sull’attività mondiale: benché fornisca un certo sostegno ai paesi
produttori di greggio. Al tempo stesso, i consumatori nei paesi importatori di
materie prime dovrebbero assorbire parte dello shock abbassando il tasso di
risparmio. La crescita mondiale (esclusa l’area dell’euro) dovrebbe aumentare –
secondo la BCE - dal 3,1% nel 2016 al 3,5% nel 2017 al 3,8% nel 2018 e nel
2019.
L’incertezza resta
tuttavia elevata a causa di numerosi fattori. Fra questi: le nuove politiche dell’amministrazione
statunitense e gli effetti sull’economia del paese e sull’attività globale
riconducibili a tali politiche; la robustezza della ripresa nei paesi
esportatori di materie prime; possibili turbolenze associate al processo di
graduale riequilibrio dell’economia cinese; e, infine, possibili
turbolenze derivanti dalle incertezze politiche e geopolitiche, quali ad
esempio, le future relazioni tra il Regno Unito e l’Unione europea.
Anche per quel che concerne l’Area dell’euro, il DEF sottolinea come
nel 2016 la ripresa economica si sia consolidata. La crescita del PIL dell’area
nel 2016, pari all’1,7%, in marginale accelerazione rispetto all’anno
precedente (1,6%), è principalmente attribuibile al contributo dei consumi privati. La ripresa economica
continua inoltre a beneficiare – sottolinea il DEF - della buona performance
del mercato del lavoro, conseguente alle riforme strutturali operate in
diversi Stati membri: il tasso di disoccupazione, sebbene si mantenga ancora su livelli elevati, è sceso
gradualmente nel corso del 2016 (10% in media d’anno) raggiungendo il 9,6% a
gennaio 2017 (dal 10,3 del gennaio 2016).
Secondo quanto esposto nell’ultimo Bollettino
economico della BCE (27 marzo), già prima richiamato, l’espansione
economica nell’area dell’euro sta
proseguendo, sostenuta dalla domanda interna. Nel quarto trimestre dell’anno il
PIL in termini reali è aumentato dello 0,4% sul periodo precedente (cfr.
grafico seguente), nonostante un rialzo dei corsi petroliferi. La domanda
interna e le variazioni delle scorte hanno contribuito positivamente alla
dinamica del PIL, mentre la domanda estera netta ha fornito un contributo
negativo. La crescita del prodotto nel quarto trimestre ha comportato un
incremento annuo del PIL pari all’1,7% nel 2016.
La disoccupazione
nell’area è in calo ormai da quattordici trimestri consecutivi. Il
tasso di disoccupazione nell’area ha continuato a scendere nel quarto trimestre
del 2016, dopo aver toccato il massimo agli inizi del 2013.
Figura
1 - PIL in termini reali e sue componenti
nell’area dell’euro
Il DEF ricorda
inoltre, come fattore importante a sostegno della crescita dell’Area, la
politica di bilancio che a partire dal 2016 ha assunto un tono meno restrittivo
e si annuncia tale anche nel 2017.
A ciò
si aggiunge, infine, l’orientamento
fortemente espansivo della Banca centrale europea (BCE) di questi ultimi anni,
che ha contribuito a garantire una certa stabilità finanziaria dell’Area
dell’euro, nonché a scongiurare fenomeni deflattivi e a migliorare
le condizioni economiche.
Sotto questo
profilo, il DEF ricorda come, al fine di combattere con maggiore decisione le tendenze
deflazionistiche e rendere più agevole la concessione di credito
all’economia reale, la Banca centrale europea abbia di recente adottato
un pacchetto di misure espansive molto cospicuo (ampliamento della dimensione e
della composizione degli acquisti di titoli; ulteriore riduzione dei tassi
ufficiali e nuove misure di rifinanziamento delle banche a condizioni
eccezionalmente favorevoli), estendendo
altresì la durata del programma di acquisto di titoli fino a dicembre del
2017.
Il Consiglio
direttivo della BCE, nel perseguimento del proprio obiettivo di
stabilità dei prezzi, ha confermato la necessità di preservare il grado molto
elevato di accomodamento monetario per assicurare un ritorno durevole
dell’inflazione verso livelli inferiori ma prossimi al 2% senza indebito
ritardo.
A tal fine, il
Consiglio direttivo ha deciso di lasciare invariati i tassi di interesse di
riferimento della BCE, stimando che essi rimangano su livelli pari o inferiori
a quelli attuali per un prolungato periodo di tempo, ben oltre l’orizzonte
degli acquisti netti di attività. Quanto alle misure non convenzionali di
politica monetaria, il Consiglio direttivo ha confermato che continuerà a
condurre acquisti nell’ambito del programma
di acquisto di attività (PAA) all’attuale ritmo mensile di 80 miliardi di euro sino alla fine di marzo 2017; inoltre, da aprile 2017, il Consiglio direttivo intende
proseguire gli acquisti netti di attività a un ritmo mensile di 60 miliardi di euro sino alla fine di dicembre 2017 o anche oltre se necessario, e in ogni caso finché
non riscontrerà un aggiustamento durevole dell’evoluzione dei prezzi, coerente
con il proprio obiettivo di inflazione. Il Consiglio direttivo ha inoltre
ribadito che, qualora le prospettive divenissero meno favorevoli o le
condizioni finanziarie risultassero incoerenti con ulteriori progressi verso un
aggiustamento durevole del profilo dell’inflazione, sarebbe pronto a incrementare il programma di acquisto
di attività in termini di entità e/o durata.
Con riferimento alle prospettive di crescita
dell’Area dell’euro, nel Bollettino già citato, la Banca Centrale Europea rileva che la ripresa economica dell’area in atto dovrebbe continuare a consolidarsi, a un ritmo anche
lievemente superiore rispetto a quanto previsto a fine 2016, sostenuta
principalmente dalla domanda interna
e dai primi segnali di rafforzamento della ripresa e dell’interscambio a
livello mondiale. Nel complesso, le indagini congiunturali
segnalano una robusta dinamica espansiva nel primo trimestre del 2017.
L’espansione dell’attività economica nell’area dell’euro dovrebbe inoltre
proseguire, sorretta dalle misure di politica monetaria, di cui si è detto
sopra, che continuano a trasmettersi all’economia reale.
Negli ultimi mesi, gli indicatori economici
della zona euro hanno mostrato segnali positivi suggerendo un proseguimento
della fase di recupero (cfr. ISTAT, Euro-zone
economic outlook, del 6
aprile 2017).
Le principali determinanti dell’espansione
dovrebbero essere il consumo privato, favorito dall’aumento del reddito
disponibile e dalle favorevoli condizioni del mercato del lavoro, e gli
investimenti guidati dal miglioramento delle aspettative sulle prospettive
dell'economia. Anche gli investimenti in costruzioni sono previsti accelerare.
L'atteso miglioramento dell'economia internazionale potrebbe costituire un
ulteriore impulso alla crescita.
Anche le esportazioni
dell’area dell’euro si rafforzerebbero nell’orizzonte di riferimento, sostenute
dall’atteso recupero del commercio mondiale e dal passato indebolimento del
tasso di cambio dell’euro
Questi
sviluppi positivi si riflettono nelle proiezioni macroeconomiche per l’Area dell’euro formulate dagli esperti
della BCE nel marzo 2017 che prevedono una crescita del PIL in termini
reali dell’1,8% nel 2017, dell’1,7 nel 2018 e dell’1,6 nel 2019.
Per la BCE, i
rischi per le prospettive di crescita nell’area dell’euro, pur attenuati in ragione del lieve rafforzamento della domanda
estera nel breve periodo, del minore tasso di cambio dell’euro e del clima
economico più favorevole, restano orientati al ribasso e connessi
prevalentemente a fattori globali. Si sottolinea inoltre il rischio che la crescita
economica nell’Area euro possa essere rallentata dalla lenta attuazione delle
riforme strutturali e dai restanti aggiustamenti di bilancio in diversi
settori.
Quanto all’inflazione, il recente aumento dei corsi petroliferi dovrebbe portare
l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC) su una media dell’1,7%
quest’anno.
Secondo la stima preliminare dell’Eurostat, infatti, nell’area dell’euro l’inflazione sui
dodici mesi misurata sullo IAPC è aumentata ancora a febbraio, raggiungendo il 2,0%
dall’1,8% di gennaio e dall’1,1per cento di dicembre 2016. Questa evoluzione
riflette soprattutto il forte incremento sui dodici mesi delle componenti
relative all’energia e ai beni
alimentari non trasformati, mentre non
vi sono ancora segnali convincenti di una tendenza al rialzo dell’inflazione di fondo. In prospettiva, è
probabile che l’inflazione complessiva si mantenga su livelli prossimi al 2%
nei prossimi mesi, riflettendo in gran parte movimenti del tasso di variazione
sui dodici mesi dei prezzi dell’energia. Le misure dell’inflazione di fondo,
tuttavia, si sono mantenute su livelli
bassi. Dovrebbero mostrare un graduale incremento nel medio termine,
sostenute dalle misure di politica monetaria della BCE, dall’atteso proseguire
della ripresa economica e dall’associata graduale riduzione della capacità
produttiva inutilizzata.
Secondo quanto esposto nel già più volte
richiamato Bollettino BCE di marzo, il profilo dell’inflazione complessiva nell’orizzonte temporale di proiezione
è fortemente influenzato da quello della componente energetica dello IACP. Le prospettive d’inflazione
complessiva per il 2017 sono state infatti riviste a seguito dei recenti
aumenti dei corsi petroliferi. Tuttavia, emergono andamenti contrastanti tra
l’inflazione dei beni energetici e di quelli non energetici. I prezzi
dell’energia dovrebbero essere responsabili della maggior parte del
rafforzamento dell’inflazione misurata sullo IAPC tra il 2016 e il 2017. Ciò, a
sua volta, è imputabile agli effetti base al rialzo e ai notevoli recenti
aumenti delle quotazioni petrolifere. Sulla base delle informazioni disponibili
a metà febbraio, le proiezioni macroeconomiche per l’area formulate dagli
esperti dell’Eurosistema a marzo prevedono
un’inflazione misurata sullo IAPC dell’1,7% nel 2017, dell’1,6 nel 2018 e
dell’1,7 nel 2019.
Nel contempo si ritiene che l’attesa ripresa
dell’inflazione al netto degli alimentari e dell’energia sarà molto più
graduale negli anni a venire, a causa del previsto aumento dei salari e del
costo del lavoro per unità di prodotto con il progredire e il consolidarsi
della ripresa. La sempre minore fragilità del mercato del lavoro e il graduale
venir meno dei fattori legati alla crisi, responsabili del rallentamento della
dinamica salariale negli ultimi anni, dovrebbero portare a un rafforzamento
della crescita del reddito per occupato e, in ragione di una previsione di
ripresa più modesta della produttività, del costo del lavoro per unità di
prodotto. Nel complesso, un graduale recupero dell’inflazione di fondo dovrebbe
sostenere i livelli di inflazione complessiva tra il 2017 e il 2019. I grafici che seguono mostrano congiuntamente gli andamenti del PIL e
dell’inflazione.
PIL in termini reali dell’area dell’euro (variazioni percentuali sul trimestre precedente) |
IAPC dell’area dell’euro (variazioni percentuali sui dodici mesi) |
|
|
Fonte: Proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro
formulate dagli esperti della BCE nel marzo 2017,
pubblicato sul sito Internet della BCE.
Tali considerazioni sono sostanzialmente in
linea con quanto riportato dall’OCSE
nell’Interim di marzo, nel quale si
prevede che nell'area dell'euro la crescita del PIL dovrebbe continuare
all’attuale ritmo moderato, sostenuta dalla politica monetaria accomodante e da
un modesto alleggerimento fiscale nei prossimi anni. La crescita è destinata a
rimanere solida in Germania, ma continuerà ad un ritmo più lento in Francia e
in Italia. Sebbene il tasso di disoccupazione diminuisca costantemente, esso
rimane superiore al 9%, ed, in alcuni paesi, la disoccupazione giovanile
costituisce un freno importante alla domanda attuale e alla futura crescita
potenziale.
Nella tabella che segue sono riportate le
previsioni di crescita del PIL dei principali paesi europei formulate dalla
Commissione europea nel Winter Forecast
a febbraio 2017 e dall’OCSE nell’Interim Economic
Outlook nel marzo 2017 nonché dal FMI nell’aggiornamento di gennaio
del Word economic
outlook, in attesa della pubblicazione dei dati
del WEO di aprile 2017.
Tabella
2 – Previsione del Prodotto interno lordo –
Confronti internazionali
(variazioni %)
|
Commissione Europea |
OCSE- Interim |
FMI – WEO Update |
|||
|
2017 |
2018 |
2017 |
2018 |
2017 |
2018 |
Italia |
0,9 |
1,1 |
1,0 |
1,0 |
0,7 |
0,8 |
Francia |
1,4 |
1,7 |
1,4 |
1,4 |
1,3 |
1,6 |
Germania |
1,6 |
1,8 |
1,8 |
1,7 |
1,5 |
1,5 |
Spagna |
2,3 |
2,1 |
- |
- |
2,3 |
2,1 |
area euro |
1,6 |
1,8 |
1,6 |
1,6 |
1,6 |
1,6 |
Regno Unito |
1,5 |
1,2 |
1,6 |
1,0 |
1,5 |
1,4 |
Usa |
2,3 |
2,2 |
2,4 |
2,8 |
2,3 |
2,5 |
Giappone |
1,0 |
0,5 |
1,2 |
0,8 |
0,8 |
0,5 |
L’OCSE, nell’Interim Economic
Outlook (7 marzo 2017) sottolinea che la crescita è
destinata a rimanere solida in Germania, mentre continuerà ad un ritmo più
lento in Francia e Italia. Le nuove previsioni del PIL effettuate dall’OCSE per
il biennio 2017-2018, infatti, vedono questi paesi crescere per entrambi gli
anni – rispettivamente all’1% l’Italia ed all’1,4% la Francia - ad un ritmo
inferiore all’eurozona, stimato per gli anni medesimi all’1,6 percento Le
previsioni del PIL per il nostro paese sono sostanzialmente allineate a quelle
governative.
Il DEF 2017 espone l’analisi del quadro
macroeconomico italiano relativo all’anno 2016 e le previsioni per l’anno in
corso e per il periodo 2018-2020, che riflettono i segnali di graduale ripresa
dell’economia, nonostante gli elementi di incertezza che ancora caratterizzano le prospettive di crescita globali.
Con riferimento al 2016, il DEF evidenzia come
l’economia italiana sia entrata nel terzo
anno di ripresa, registrando un tasso di crescita dello 0,9% in termini reali, nonostante i
numerosi fattori di freno e di incertezza a livello globale ed europeo.
Figura
2 – Tassi di crescita del PIL in volume
(Anni 2000-2016, variazioni percentuali,
valori concatenati)
La crescita del prodotto è risultata lievemente superiore a quanto previsto a
settembre scorso nella Nota di
aggiornamento del DEF 2016 (+0,8%[5]) e nel
Documento Programmatico di Bilancio, presentato ad ottobre 2016, grazie al
recupero, dopo lo stallo registrato nel secondo trimestre, nella seconda metà
del 2016, dovuto – sottolinea il DEF - al balzo della produzione industriale e,
dal lato della domanda, a un’accelerazione di investimenti ed esportazioni.
Secondo i dati forniti dall’ISTAT[6], nel IV trimestre 2016 il prodotto interno
lordo ha registrato una variazione positiva dello 0,2% rispetto al trimestre precedente (in cui si era registrata
una crescita dello 0,3%). Tutti i principali aggregati della domanda interna
hanno segnato un aumento rispetto al
III trimestre, con un incremento dello 0,2%
dei consumi finali nazionali e dell’1,3% degli investimenti fissi lordi. Nell’ambito dei consumi finali, si è
osservata una dinamica in aumento della spesa delle famiglie residenti e delle
ISP (+0,2% da +0,1% nel terzo trimestre) e un rafforzamento di quella delle
amministrazioni pubbliche (+0,6% nel quarto trimestre da +0,2% nel terzo).
L’aumento dell’1,3% degli investimenti fissi lordi conferma la tendenza
positiva registrata già nel terzo trimestre (+0,8%). L’espansione degli
investimenti è stata determinata da una crescita di tutte le componenti: dello
0,4% la spesa per macchine, attrezzature e altri prodotti, del 13,6% i mezzi di
trasporto e dello 0,5% gli investimenti in costruzioni, in ripresa rispetto
alla lieve flessione (-0,2%) registrata nel terzo trimestre. Anche le importazioni e le esportazioni sono aumentate rispetto al terzo trimestre, con
incrementi rispettivamente del 2,2% e dell'1,9%.
Nel
complesso, il PIL in volume nel 2016
è risalito al di sopra del livello
registrato nel 2000, come evidenziato
nel grafico che segue:
Figura
3 -
Andamento del PIL in volume
Fonte: ISTAT, Comunicato “PIL
e indebitamento AP – Anni 2014-2016” (1
marzo 2017).
Sul risultato positivo del 2016 ha inciso in
maniera rilevante - si osserva nel DEF – l’andamento della domanda interna,
in continua espansione durante l’anno, il cui contributo positivo alla crescita del
PIL è stato pari a 0,9 punti percentuali, (+1,4 punti al netto delle scorte).
Un apporto negativo è invece venuto
dalla domanda estera netta (-0,1
punti percentuali). In particolare, l’apporto negativo delle esportazioni nette
nella seconda metà dell’anno deriva innanzitutto dall’intensa ripresa delle
importazioni.
Con
riferimento ai risultati del 2016, il comunicato dell’ISTAT del 1 marzo 2017[7]
registra, dal lato della domanda interna,
in termini di volume, una variazione
positiva sia dei consumi finali
nazionali dell’1,2% sia degli investimenti fissi lordi del 2,9%.
Per quel che riguarda i flussi con l’estero,
le esportazioni di beni e servizi
sono aumentate del 2,4% e le importazioni del 2,9%.
Tabella
3 -
Conto economico delle risorse e degli impieghi - anni 2015-2016
(variazioni
percentuali)
|
2015 |
2016 |
PIL |
0,8 |
0,9 |
Importazioni |
6,8 |
2,9 |
Consumi finali nazionali |
1,0 |
1,2 |
- spesa delle famiglie
residenti |
1,5 |
1,3 |
- spesa delle P.A. |
-0,7 |
0,6 |
- spesa delle I.S.P.* |
3,6 |
2,2 |
Investimenti fissi lordi |
1,6 |
2,9 |
- costruzioni |
-0,4 |
1,1 |
- macchinari,
attrezzature |
2,5 |
3,9 |
- mezzi di trasporto |
20,3 |
27,3 |
Esportazioni |
4,4 |
2,4 |
*
istituzioni sociali private
Fonte: ISTAT, “PIL e indebitamento AP – Anni 2014-2016” (1
marzo 2017).
Nel complesso, i risultati della crescita del
2016 risultano migliori di quanto ipotizzato nella Nota di aggiornamento del DEF di settembre scorso, sulla base della
congiuntura di metà anno. Superiori alle attese si sono rivelati gli andamenti
della domanda interna e in particolare degli investimenti (2,9% contro la stima
governativa dell’1,9% indicata nella Nota di aggiornamento del DEF). Anche
l’aumento dei consumi nazionali (1,2%) ha superato, di due decimi di punto, la
stima del Governo. Il
rallentamento delle componenti estere della domanda si è rivelato meno
pronunciato di quanto temuto e ciò con riguardo soprattutto alle esportazioni,
la cui variazione, pur scesa dal 4,4 al 2,4%, si è attestata oltre un punto al
di sopra della previsione governativa (1,3%).
La crescita del PIL si pone, tuttavia, al di
sotto di quella registrata nei maggiori paesi sviluppati. I dati disponibili al
momento del Comunicato Istat del 1° marzo 2017, indicano un aumento del PIL in
volume nel 2016 in Germania dell’1,9%, nel Regno Unito dell’1,8%, negli Stati
Uniti dell’1,6% e in Francia dell’1,1%.
Per quanto concerne la domanda interna, nel 2016 la spesa
delle famiglie residenti è
cresciuta dell’1,3%, segnando, per il terzo anno consecutivo, un valore
positivo (+1,5% nel 2015 e +0,3% nel 2014), sebbene in attenuazione rispetto al
2015. Sul punto il DEF evidenzia
come nel 2016 l’espansione dei consumi privati sia stata sostenuta dalle
migliori condizioni del mercato del lavoro, dal recupero del reddito
disponibile delle famiglie in termini reali, aumentato dell’1,6% nel 2016, e
dal miglioramento delle condizioni di accesso al credito, grazie ai bassi tassi
di interesse
Quanto alle famiglie, i dati diffusi dall’Istat nel Comunicato del 4
aprile scorso, rilevano un aumento del reddito
disponibile delle famiglie
consumatrici in valori correnti nel 2016 dell’1,6%. Sulla base dei più recenti
dati Istat sui conti economici
nazionali per settore istituzionale (diffusi lo scorso 11 aprile), nel
2016 le famiglie hanno aumentato la spesa per consumi (+1,3%) in misura inferiore rispetto alla crescita del
reddito disponibile (+1,6%); di conseguenza, la propensione al risparmio delle stesse sale all’8,6%
(+0,2 punti percentuali).
Nonostante le misure di contenimento della
spesa per redditi e per consumi intermedi che hanno riguardato le Pubbliche
amministrazioni in questi ultimi anni, anche i consumi pubblici hanno registrato nel 2016 una ripresa (+0,6% in
termini reali), invertendo una dinamica della spesa delle PA ininterrottamente
negativa dal 2011.
Per quanto concerne gli investimenti fissi lordi, nel 2016,
si è verificata una crescita decisamente
superiore alle attese, del 2,9%, in accelerazione rispetto al 2015, anno in
cui, dopo sette anni consecutivi di valori negativi, si era finalmente
registrata l’inversione di tendenza (+1,6%).
Il recupero ha riguardato soprattutto gli
investimenti in mezzi di trasporto
(+27,3%) e, in maniera più contenuta, quelli in macchinari e attrezzature
(+3,9%), che hanno beneficiato dello stimolo fornito dagli incentivi governativi.
Anche la componente delle costruzioni
registra, nel 2016, per la prima volta
dal 2007, un valore positivo (+1,1%). Il DEF sottolinea come tale comparto abbia manifestato una ripresa a
partire dalla seconda metà dell’anno, nonostante il dato negativo registrato
dall’ISTAT nell’ultimo trimestre dello stesso (-0,7% rispetto al trimestre
precedente), grazie all’andamento positivo degli investimenti in abitazioni;
tuttavia sono ancora fermi gli
investimenti di natura infrastrutturale.
Sulla base delle stime preliminari[8], nel IV trimestre 2016 l'indice dei prezzi delle abitazioni (IPAB)
acquistate dalle famiglie, sia per fini abitativi sia per investimento,
invariato rispetto al trimestre precedente, registra un aumento su base annua dello
0,1% nei confronti dello stesso periodo del 2015 (era -0,9% nel trimestre
precedente). Si tratta – rileva l’ISTAT – di un’inversione della tendenza al ribasso in media d’anno dei prezzi
delle abitazioni, in atto ormai da
cinque anni: tale dato costituisce infatti il
primo aumento tendenziale dei prezzi delle abitazioni dal quarto trimestre 2011
Nella media dell'intero 2016, i prezzi delle abitazioni diminuiscono dello 0,7%
sul 2015 (quando la variazione media annua era stata pari a -2,6%). Rispetto
alla media del 2010, i prezzi delle abitazioni risultano diminuiti nel 2016 del
14,6% (-2,3% le abitazioni nuove, -19,6% le esistenti). Viene inoltre rilevato
che l’aumento tendenziale dei prezzi delle abitazioni si manifesta
contestualmente alla crescita dei volumi di compravendita per il settore residenziale (+18,9% è l'incremento registrato per il 2016 dall'Osservatorio del
Mercato Immobiliare dell'Agenzia delle Entrate per il settore residenziale,
dopo il +6,5% osservato nel 2015).
Industria 4.0
Il DEF illustra inoltre il Piano Nazionale Industria 4.0,
approvato con la legge di bilancio 2017, si articola in una serie di misure a
sostegno della produttività, della flessibilità e della competitività dei
prodotti, al fine di sfruttare le opportunità offerte da questa nuova
rivoluzione industriale. I super-ammortamenti già introdotti con la Legge di
Stabilità 2016 sono stati confermati e potenziati. Inoltre si è introdotto un
ampio pacchetto di provvedimenti: misure di stimolo agli investimenti
innovativi e rafforzamento delle competenze (Scuola Digitale ed Alternanza
Scuola Lavoro), nonché misure di finanza per la crescita.
L’indagine trimestrale più recente svolta
dalla Banca d’Italia (relativa al primo trimestre del 2017) rileva che gli
incentivi del Piano Industria 4.0 sono ritenuti di un qualche rilievo nelle
decisioni di investimento dal 66,1% delle imprese dell’industria e dei servizi
(81,5% fra le grandi). Secondo il DEF questi risultati sono incoraggianti in
termini di probabile andamento degli investimenti ad alto contenuto tecnologico
nel prosieguo dell’anno e nella prima metà del 2018.
Il Capitolo II del Programma Nazionale di
Riforma presenta la valutazione econometrica degli effetti del Piano Industria
4.0 sulle principali variabili macroeconomiche dell’Italia (PIL, consumi e
investimenti), che mostra gli effetti espansivi della misura in esame. In
proposito si rinvia all’apposito capitolo (“Competitività e concorrenza”) del
presente dossier
Per quanto concerne le esportazioni, la loro dinamica si è mantenuta positiva (+2,4%), superiore alle attese, anche
grazie all’accelerazione del commercio mondiale alla fine del 2016 e al
deprezzamento dell’euro.
Le importazioni
hanno mostrato una dinamica più sostenuta, registrando una crescita del 2,9%, grazie al recupero della domanda
interna e del ciclo produttivo industriale. L’apporto del volume delle
esportazioni nette alla crescita del PIL è stato dunque negativo.
Tale risultato – precisa
ancora il DEF - è l’effetto del rallentamento del commercio e della produzione
industriale mondiali.
Commercio con l’estero
A livello mondiale, nel 2016 si è registrato
un ulteriore rallentamento del commercio e della produzione industriale
mondiali, sebbene i più recenti dati in volume indicano tassi di crescita più
robusti in chiusura d’anno.
In tale contesto internazionale, per l’Italia
le esportazioni complessive di merci
in termini di volumi sono aumentate dell’1,2% e si stima che la quota italiana
delle esportazioni nel commercio internazionale sia rimasta sostanzialmente
invariata.
L’andamento dell’export verso la UE ha avuto
un discreto incremento (+3%), mentre si sono ridotti i flussi verso l’area
extra-UE di quasi un punto percentuale. Nei mercati extra-europei i dati più
positivi hanno riguardato le esportazioni verso gli Stati Uniti (2,7%) e la
Cina (6,4%). Per quanto concerne i settori, l’incremento più rilevante si è
avuto per le esportazioni dei prodotti farmaceutici, aumentate del 6%, dei
prodotti chimici e degli alimentari, bevande e tabacchi e ai mezzi di trasporto,
che hanno registrato incrementi di oltre 4 punti percentuali.
Come nell’anno precedente, le importazioni in volume hanno mantenuto
un’evoluzione positiva (3,2%), per effetto della maggiore domanda interna, che
ha riguardato quasi tutte le aree geografiche.
Quasi tutti i settori hanno presentato un
ritmo di crescita sostenuto, soprattutto i mezzi di trasporto (+9,7%), i
prodotti petroliferi (+8,8%) e i macchinari (+5,7%). Le categorie di beni che
hanno registrato una crescita maggiore sono coerenti con la ripresa del ciclo
industriale e con gli interventi di stimolo agli investimenti presi dal
governo. Il DEF rileva tuttavia la necessità di monitorare la crescita di quasi due punti percentuali dei beni di
consumo, in quanto maggiore della ripresa dei consumi privati. Il dato potrebbe
infatti segnalare un eccessivo assorbimento di importazioni, oppure potrebbe
essere distorto dal ciclo dei beni durevoli (la cui domanda è soddisfatta dalla
produzione nazionale in misura proporzionalmente più contenuta).
Il saldo
commerciale ha mostrato un marcato miglioramento
nell’anno che si è concluso rispetto al precedente biennio: nel 2016 l’avanzo
commerciale ha raggiunto i 51,5 miliardi, aumentando di quasi 10 miliardi
rispetto al 2015, rimanendo tra i più elevati dell’Unione Europea dopo quelli
della Germania e dei Paesi Bassi.
Il buon andamento del settore estero si
riflette anche nel surplus del saldo corrente della bilancia dei pagamenti (2,6% del PIL) che si avvicina ai valori
record della fine degli anni novanta.
Le prospettive per il settore estero nel 2017
si muovono nella direzione di un progressivo rafforzamento in alcuni mercati
chiave. Il DEF rileva infatti che i dati mensili tendenziali di inizio anno
mostrano valori molto promettenti nei flussi di esportazioni verso la Russia,
la Cina e altri paesi asiatici; continua tuttavia la flessione verso l’area
dell’OPEC. I rischi al ribasso sono legati, secondo il DEF, all’incertezza riguardo
alla politica commerciale statunitense.
A livello congiunturale, gli ultimi dati ISTAT
diffusi nel comunicato di
marzo 2017 evidenziano a gennaio 2017, rispetto al mese precedente, un aumento
dell'export dello 0,5% e una diminuzione dell'import dello 0,2%. Negli ultimi
tre mesi l'export cresce congiunturalmente del 3,8%, con un incremento più
ampio per i paesi extra Ue (+5,9%) rispetto a quelli Ue (+2,2%).
Riguardo alle componenti settoriali del valore aggiunto, il DEF sottolinea il
consolidamento della ripresa dell’industria
manifatturiera e i dati favorevoli della produzione industriale, in aumento sul 2015.
Secondo i dati forniti dal Comunicato Istat
del 1° marzo 2017, a livello settoriale, la crescita del PIL è riconducibile ad
aumenti in volume nell’industria in
senso stretto (+1,3%) - con al suo interno una crescita del valore aggiunto
della manifattura dell’1,1% - e nel
settore dei servizi, che ha
registrato un incremento dello 0,6%. Il valore aggiunto ha invece segnato dei
cali nell’agricoltura, silvicoltura e pesca (-0,7%) e nelle costruzioni
(-0,1%).
Per l’industria in senso stretto, l’ISTAT, nel
Comunicato del 10 febbraio[9],
registra che a dicembre 2016 l'indice destagionalizzato della produzione industriale è aumentato
dell'1,4% rispetto a novembre. Nella media del trimestre ottobre-dicembre 2016
la produzione è aumentata dell'1,3% rispetto al trimestre precedente. Nella
media del 2016, la produzione è cresciuta
dell'1,6% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Condizioni del credito
Il DEF rileva l’impatto positivo della ripresa
economica nel 2016 sulle condizioni finanziarie e creditizie del paese. Nel
2016 l’andamento dei prestiti al settore privato (società non finanziarie e
famiglie), dopo quattro anni di
contrazione, ha registrato variazioni
positive. I tassi d’interesse praticati alla clientela sono risultati in
continua discesa avvicinandosi sempre più a quelli praticati dai paesi europei
non soggetti alla crisi finanziaria del 2011.
L’andamento dei prestiti alle famiglie, in ripresa a partire dalla metà del 2015,
ha mostrato un ulteriore miglioramento
fino a raggiungere a dicembre del 2016 una variazione tendenziale pari
all’1,87%, grazie principalmente all’aumento di prestiti per l’acquisto di
abitazioni. Più lenta la ripresa del credito al consumo. I tassi d’interesse
applicati ai nuovi prestiti sono diminuiti posizionandosi a fine 2016 su
livelli storicamente bassi sia per l’acquisto di abitazioni (scesi in media al
2,3% dal 2,8% del 2015) sia per il credito al consumo (diminuiti al 7,6% dal
7,9%).
Il 2016 ha visto anche una stabilizzazione dei
flussi di credito verso le società non
finanziarie; in media annua, la variazione risulta positiva (0,1%) per la
prima volta dal 2012. Anche i tassi di interesse sui nuovi prestiti praticati
alle imprese sono costantemente diminuiti, passando dall’1,92% registrato a
dicembre del 2015 all’1,54% osservato a dicembre del 2016. La tendenza positiva
è proseguita nei primi mesi del 2017.
Tuttavia, i
miglioramenti non sono omogenei: è ulteriormente aumentata la dinamica del
credito alle sole aziende che non presentano debiti deteriorati (a scapito
delle imprese in difficoltà), ed inoltre la ripresa dei prestiti alle imprese
si sta realizzando differentemente per classe dimensionale e per settori di
attività.
Figura
4 - Tassi di interesse alle imprese non
finanziarie e alle famiglie (var. %)
Fonte:
Banca d’Italia
La complessiva tendenza positiva del settore
trova evidenza, rileva il DEF, nell’ultima indagine disponibile sul credito
bancario nell’Area dell’Euro (Bank Lending Survey), pubblicata
in gennaio, che non rileva sostanziali variazioni nei criteri di offerta dei
prestiti alle famiglie e alle imprese italiane (soprattutto alle grandi imprese
mentre rileva un lieve allentamento per le piccole-medie). Prosegue la
riduzione dei margini applicati alla media dei prestiti per entrambi i soggetti
economici. Per il primo trimestre del 2017 non sono attese variazioni dei
criteri di offerta di credito alle imprese, mentre si prevede un lieve allentamento
per i prestiti alle famiglie.
La continuazione della ripresa graduale delle dinamiche di
prestito è osservata anche dalla Banca Centrale Europea nel Bollettino
economico di marzo 2017, in cui si rileva che il tasso di espansione sui dodici
mesi dei prestiti da parte delle istituzioni
finanziarie monetarie (IFM) al settore privato è aumentato nel quarto
trimestre del 2016 e in gennaio 2017.
In
tutti i settori, la crescita tendenziale dei prestiti alle società non finanziarie (SNF)
si è ulteriormente rafforzata nel quarto trimestre ed è rimasta stabile in
gennaio, al 2,3%. Nel complesso, la crescita dei prestiti alle SNF ha
registrato una marcata ripresa dal livello minimo raggiunto nel primo trimestre
del 2014, con un miglioramento che è comune ai principali paesi, benché i tassi
di crescita dei prestiti restino negativi in alcuni di essi. Anche per quanto
riguarda le famiglie, l’espansione
sui dodici mesi dei prestiti alle famiglie si è rafforzata nel quarto trimestre
del 2016, aumentando ancora lievemente in gennaio, al 2,2% dal 2,0 di dicembre.
Figura
5 - Prestiti delle IFM alle SNF in alcuni paesi
dell’area dell’euro (variazioni percentuali sui dodici mesi)
Tali tendenze, precisa la BCE, sono state
supportate dalla netta flessione dei tassi sul finanziamento bancario osservata
per l’insieme dell’area dell’euro dall’estate 2014 (da ascriversi in
particolare alle misure non convenzionali di politica monetaria della BCE) e
dai miglioramenti complessivi nell’offerta e nella domanda di prestiti bancari.
Inoltre, le banche hanno compiuto progressi sul piano del risanamento dei
propri bilanci, anche se i crediti deteriorati in alcuni paesi permangono su
livelli elevati e potrebbero limitare il credito bancario.
I dati sul mercato del lavoro per il biennio 2015-2016 sono confortanti, per
gli effetti positivi che, secondo il DEF, le misure introdotte (Jobs Act e decontribuzione) hanno avuto sull’occupazione. Il
Documento rileva che la crescita degli occupati ha accelerato in
termini di unità di lavoro standard
(1,4% nel 2016), ed il miglioramento
dell’occupazione è stato accompagnato da una accelerazione della partecipazione
al mercato del lavoro. Questo ha comportato un affievolimento della decrescita
del tasso di disoccupazione, che si riduce solamente di 0,2 punti percentuali,
attestandosi all’11,7% nel 2016.
È proseguita la fase di moderazione salariale.
I redditi da lavoro dipendente pro-capite sono cresciuti in media annua dello
0,3%, mentre la produttività del lavoro, misurata sulle ULA, è diminuita dello
0,5%; conseguentemente, il CLUP ha segnato un aumento dello 0,8% per l’economia
nel suo complesso.
Sul mercato del lavoro, si rinvia all’approfondimento riportato più avanti nel presente
capitolo.
Con riferimento, infine, all’evoluzione dei prezzi, nel 2016 l’inflazione è stata prossima allo zero; l’indice armonizzato
dei prezzi al consumo è aumentato solo dello 0,1% rispetto allo 0,2 registrato nel 2015.
Per contro, il deflatore del PIL è aumentato
dello 0,8%, riflettendo il miglioramento delle ragioni di scambio.
L’orientamento fortemente espansivo della
Banca centrale europea (BCE) – rileva il DEF - non ha ancora conseguito i
risultati sperati in termini di crescita reale e di inflazione.
Per quel che concerne le previsioni, il DEF
presenta due scenari di previsioni macroeconomiche, uno tendenziale e l’altro programmatico, che, fermo restando le
assunzioni relative al quadro internazionale, coerenti con le più recenti
previsioni delle principali istituzioni internazionali, differiscono per le
assunzioni relative alle riforme economiche. In particolare, le previsioni del quadro tendenziale
incorporano gli effetti sull’economia delle azioni di politica economica, delle
riforme e della politica fiscale messe in atto precedentemente alla
presentazione del Documento stesso. Il quadro programmatico, invece, include l’impatto sull’economia delle
politiche economiche prospettate all’interno del Programma di Stabilità e del
Piano Nazionale delle Riforme, che saranno concretamente definite nella Nota di
aggiornamento di settembre 2017 e adottate con la prossima legge di stabilità.
Come si espone più diffusamente più avanti, le
due previsioni coincidono per l’anno in
corso, mentre si differenziano
gradualmente negli anni successivi
La validazione delle previsioni
macroeconomiche
Nel
rispetto dei regolamenti europei[10], le
previsioni macroeconomiche tendenziali e programmatiche presentate nel DEF sono
sottoposte alla validazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB),
secondo quanto previsto dalla legge n. 243/2012 di attuazione del principio del
pareggio del bilancio[11]. Lo
scenario macroeconomico tendenziale ha ottenuto la validazione
dell’Ufficio, comunicata al Ministro dell’economia e delle finanze il 31 marzo
2017.
Nel
validare le previsioni contenute nel quadro macroeconomico tendenziale MEF
2017-2020, in quanto esse “si collocano in un intervallo accettabile allo stato
delle informazioni attualmente disponibili” l’Ufficio allega una nota esplicativa che
illustra tale valutazione. Questa, nell’affermare che il profilo della crescita
tendenziale lungo l’arco della previsione (con un lieve rallentamento nel 2018
e poi una relativa stabilizzazione) è nell’insieme compatibile con la dinamica
ipotizzata nelle stime del panel UPB, osserva come tale allineamento si
verifichi, prevalentemente, in prossimità del limite superiore delle stime
dell'insieme dei previsori medesimi.
Più in
particolare, le ipotesi MEF di crescita tendenziale risultano nel 2017 solo
leggermente superiori al valore mediano delle stime del panel, mentre per gli
anni successivi si situano in prossimità del valore massimo delle stime del
panel medesimo (risultando tuttavia nel solo 2019 più elevate dell’estremo
superiore del panel).
Per il
quadro dell’inflazione,. l’UPB rileva che la stima MEF del deflatore dei
consumi privati del PIL si colloca al valore massimo delle previsioni del panel
UPB nel 2020. La combinazione delle ipotesi di crescita e inflazione dello
scenario tendenziale MEF concorre a determinare una evoluzione del PIL nominale
che si colloca in corrispondenza del valore più alto dell’intervallo di stime
del panel UPB nel 2018 e si situa sopra tale estremo superiore (per un decimo
di punto) nel 2020. Il concretizzarsi di risultati inferiori alle attese per il
PIL nominale, in conseguenza di andamenti più deboli di quelli previsti sul
lato della crescita reale e dell’inflazione, avrebbe pertanto conseguenze
negative per l’evoluzione del rapporto debito/PIL.
Circa
le ipotesi sulle esogene internazionali che sono alla base delle stime del MEF,
l’Ufficio Parlamentare di Bilancio segnala come l’innalzamento – ipotizzato dal
MEF - dell’elasticità del commercio internazionale alla crescita del PIL
mondiale potrebbe risultare soggetto al rischio costituito dalle tensioni
protezionistiche presenti nel quadro globale. Segnala inoltre come l’ invarianza del tasso di cambio dell’euro, assunta
(in linea con la procedura raccomandata dalla Commissione europea) per tutto il
periodo di previsione, risulti secondo l’UPB in contrasto con altre previsioni
e con le tendenze indicate nei mercati a termine che scontano un rafforzamento
della moneta europea.
Il DEF
conferma per il 2017 la fase di moderata ripresa dell’economia
italiana.
Il Documento mette in evidenza come il contributo alla ripresa dell’economia
italiana venga soprattutto dalla domanda
interna, sostenuta, principalmente, dal maggior dinamismo degli investimenti, in conseguenza delle
migliorate condizioni finanziarie e del cambiamento di clima delineato dagli
indicatori di fiducia; i consumi subirebbero invece un lieve rallentamento,
risentendo dalla decelerazione del reddito disponibile legata all’aumento dei
prezzi.
Nella seconda metà del 2016 la crescita ha ripreso slancio, beneficiando del rapido
aumento della produzione industriale e, dal lato della domanda, di investimenti
ed esportazioni. La fiducia delle imprese italiane sta aumentando notevolmente
in un contesto europeo che si fa via via più solido. Rispetto
alle previsioni precedenti, il quadro odierno beneficia dell’espansione dei
mercati di esportazione dell’Italia e del deprezzamento del cambio: l’evoluzione congiunturale dell’economia
italiana si presenta quindi favorevole e, sottolinea il DEF, gli andamenti più recenti forniscono
ulteriori segnali positivi sulla
crescita del prodotto interno lordo nel
primo trimestre 2017.
Gli indici di fiducia delle imprese italiane
sono saliti notevolmente durante il primo trimestre, toccando a marzo il
livello più alto dal 2007 per quanto riguarda l’industria; ed, in particolare, vengono sottolineati i segnali
positivi che emergono per il primo trimestre per il settore manifatturiero. I risultati che
emergono dall’indagine sul clima di fiducia del settore e dall’indice PMI
(svolto presso i direttori degli acquisti) sono favorevoli, e mostrano un
progressivo e sensibile incremento della fiducia nei primi tre mesi dell’anno,
legato al miglioramento dei giudizi sugli ordini e sulle attese di produzione.
Nonostante l’inaspettato calo registrato a
gennaio, la ripresa della produzione
industriale, molto positiva negli ultimi mesi del 2016 e in recupero già a
febbraio, suggerisce che l’attività economica possa continuare ad espandersi
nei primi mesi dell’anno. Nel complesso, la media della produzione industriale
destagionalizzata nei tre mesi terminanti a febbraio mostra una crescita dello
0,74% sui tre mesi precedenti (3,0% a tasso annualizzato). Analogo andamento
mostra il settore delle costruzioni,
in cui si è assistito a una risalita della produzione alla fine del 2016,
seguita da una flessione sensibile dell’indice in gennaio. Il settore dovrebbe
però dare segnali di ripresa in corso d’anno – secondo il DEF - anche alla luce
della progressiva accelerazione degli investimenti pubblici.
I livelli degli indicatori di fiducia, in particolare l’indice dei consumatori, si
mantengono positivi, sebbene leggermente inferiori rispetto ai livelli massimi
registrati a dicembre.
I dati
congiunturali diffusi dall’ISTAT
relativi ai primi mesi dell’anno confermano i segnali di una ripresa benché ancora incerta.
Secondo quanto emerge dall’ultima Nota
mensile Istat, rilasciata lo scorso 5 aprile, l’indice
della produzione industriale ha
registrato a gennaio una contrazione del 2,3% rispetto a dicembre, mantenendo
tuttavia una variazione positiva dello 0,5% nel trimestre novembre-gennaio.
Analoga flessione congiunturale a gennaio ha riguardato il fatturato e gli ordinativi
dell’industria (rispettivamente in flessione del 3,5 e del 2,9%), che comunque
hanno un andamento positivo (1,7 e 0,9%) in riferimento al medesimo trimestre.
Con riguardo alla produzione industriale,
peraltro, l’indice destagionalizzato, rilasciato dall’Istituto nel Comunicato del
successivo 10 di aprile e che include anche il mese di febbraio, evidenzia un aumento
dell’1,0%% rispetto a gennaio, con una media trimestrale – riferita al periodo
dicembre-febbraio - in crescita dello 0,7% rispetto al trimestre precedente.
Corretto per gli effetti di calendario, a febbraio 2017, l’indice risulta
aumentato in termini tendenziali dell’1,9%.
Segnali
non incoraggianti, secondo la Nota
mensile Istat di aprile, provengono invece dal settore delle costruzioni, che ha registrato a
gennaio un forte calo (anche a seguito delle avverse condizioni climatiche):
rispetto al mese precedente: l'indice destagionalizzato della produzione nel
settore si è ridotto del 3,8% e, nella media del trimestre novembre-gennaio - nonostante
gli incrementi di novembre (+2,0%) e dicembre (+1,0%) - la variazione congiunturale rimane negativa
(-0,7%). Nel quarto trimestre 2016, tuttavia, i prezzi delle abitazioni hanno registrato in termini
tendenziali un lieve aumento (+0,1%,
da -0,9% del trimestre precedente), con un’inversione della tendenza iniziata
nel primo trimestre del 2012, come illustrato nel paragrafo precedente.
Tuttavia la loro variazione è nulla rispetto al trimestre precedente, sintesi
di un aumento dei prezzi delle abitazioni nuove (0,5%) e di un calo di quelli
delle abitazioni esistenti (0,2%).
Per
quanto attiene infine al clima di fiducia, a marzo, l’indice del clima di fiducia dei consumatori è aumentato a seguito del miglioramento del clima economico
e di quello futuro, passando
a 106,6 da 107,6 del mese precedente. Anche
l'indice composito del clima di fiducia delle imprese ha segnalato un ulteriore miglioramento (dal 104,3 a
105,1), che ricomprende tutti i settori economici ad eccezione delle costruzioni,
raggiungendo il livello più elevato da gennaio 2016 (Comunicato ISTAT, 29 marzo 2017).
Nonostante le prospettive favorevoli del primo
trimestre ed il miglioramento del contesto internazionale e delle aspettative
nelle economie avanzate, Italia compresa, il DEF fissa le stime tendenziali di crescita del PIL per il 2017 all’1,1%, con un lieve rialzo dello 0,1% rispetto alla crescita
prevista in termini programmatici a settembre 2016, nella Nota d aggiornamento
del DEF.
Per il 2018,
si prevede una lieve riduzione del tasso di crescita rispetto al 2017, intorno
all’1,0%, ponendosi al di sotto
delle previsioni programmatiche elaborate a settembre scorso nella Nota di
aggiornamento del precedente DEF (1,3%). Nell’ultimo biennio di previsione, il
PIL si stabilizzerebbe interno all’1,1%.
Tabella
4 -
Confronto sulle previsioni di crescita del PIL
(variazioni percentuali)
|
Consuntivo |
Nota aggiornamento DEF 2016 |
DEF 2017 |
|||||
|
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
PIL |
0,9 |
1,0 |
1,3 |
1,2 |
1,1 |
1,0 |
1,1 |
1,1 |
In merito alla revisione delle stime di crescita del PIL, il DEF sottolinea come
in un’ottica di medio periodo e in assenza di shock sfavorevoli l’insieme delle
riforme già messe in atto negli ultimi anni indurrebbe a un maggiore ottimismo;
tuttavia ragioni prudenziali legate
alla programmazione di bilancio vincolano le proiezioni di crescita. Per il 2018, in particolare, l’aumento delle
imposte indirette previsto dalle clausole
di salvaguardia contenute in precedenti provvedimenti legislativi,
ostacolerebbe l’accelerazione tendenziale dell’economia.
Ma la maggiore cautela riguardo al 2018-2019 è
inoltre spiegata nel DEF dall’incertezza sul contesto di medio termine globale
ed europeo e dal recente aumento dei tassi
di interesse, che secondo la convenzione seguita nel formulare le previsioni,
implica livelli più elevati attesi in futuro.
Nel DEF sono analiticamente illustrate – nel Focus relativo a “Gli errori di previsione del 2016 e la revisione delle stime per il
2017 e anni successivi” riportato nella Sezione I relativa al Programma di
stabilità - le motivazioni di base
che giustificano la revisione prudenziale del tasso di crescita dell’economia
rispetto alle previsioni contenute nella Nota di aggiornamento del DEF e nel
Documento programmatico di bilancio (DPB), alla luce dei dati di consuntivo
relativi al 2016, pubblicati dall’ISTAT i primi giorni di marzo, e delle nuove
ipotesi sullo scenario macroeconomico internazionale.
La
tavola che segue mostra gli impatti sulla crescita del PIL tra il 2017 e il
2019 delle revisioni delle esogene internazionali rispetto alle assunzioni di
ottobre.
In
maniera sintetica, si mostra che nella revisione delle stime di crescita
tendenziale di breve periodo la
variazione del cambio dell’euro ha
un effetto rilevante. L’aggiornamento
del tasso di cambio rispetto al DBP, che implica un deprezzamento dell’euro
rispetto alle altre valute, porterebbe ad una maggiore crescita del PIL di 0,2
punti percentuali nel 2017 e di 0,1 punti percentuali nel 2018. La maggiore
dinamicità del commercio mondiale, a
partire dalla seconda metà del 2016, rispetto a quanto prospettato nel DBP (si
ricorda che per le simulazioni si utilizza la domanda internazionale pesata per
l’Italia), si estende al 2017. Per la parte restante dell’arco previsivo, invece, non si riscontrano variazioni. La
maggiore crescita stimata dunque è pari ad un decimo di punto per il solo 2017;
nulli gli effetti negli anni seguenti. Con riferimento ai tassi di interesse, l’estensione del Quantitative Easing (QE) a tutto il 2017
annunciata a fine 2016 da parte della BCE renderebbe il profilo del tasso
d’interesse a breve termine accomodante per l’economia su tutto l’orizzonte previsivo, rendendo così favorevoli le condizioni del
credito. Per contro, le recenti tensioni sui BTP, dovute anche all’incertezza
che caratterizza gli esiti delle prossime elezioni in vari paesi europei, hanno
causato un innalzamento delle proiezioni del tasso d’interesse a 10 anni nel
quadriennio ed un aumento dello spread rispetto al Bund,
con un leggero peggioramento delle condizioni finanziarie. L’effetto netto dei
due fattori, secondo le stime del modello econometrico, sarebbe leggermente
negativo, in particolare nel 2019.
Tabella
5 -
Effetto stimato sul PIL della variazione rispetto al DPB delle esogene
internazionali (differenze dei tassi di crescita previsti)
(variazioni percentuali)
|
2017 |
2018 |
2019 |
Domanda
mondiale pesata per l’Italia |
0,1 |
0,0 |
0,0 |
Prezzo
del petrolio |
0,0 |
0,0 |
0,1 |
Tasso di cambio nominale effettivo |
0,2 |
0,1 |
0,0 |
Tassi
di interesse |
0,0 |
0,0 |
-0,1 |
Totale |
0,3 |
0,1 |
0,0 |
Fonte:
DEF 2017
Con riferimento alle mutate prospettive dello scenario
internazionale, rispetto a quanto ipotizzabile in autunno, si sottolinea
pertanto come, complessivamente, il nuovo contesto internazionale più
favorevole giustificherebbe un rialzo della previsione di crescita del PIL per
il 2017 pari a circa 0,3 punti percentuali, 0,1 punti nel 2018 mentre
risulterebbe neutrale per il 2019. La previsione ufficiale non riflette
pienamente queste stime poiché si è adottata una valutazione prudenziale.
Dal punto di vista della crescita nominale, si
rammenta che la previsione tendenziale riflette non solo gli andamenti attesi
dei prezzi, ma anche l’aumento delle imposte indirette previsto dalle
cosiddette clausole di salvaguardia[12]. Il PIL nominale, cresciuto dell’1,6% nel
2016, accelererebbe al 2,2% nel 2017
e al 2,9% nel 2018-2019, rimanendo intorno al 2,8% nel 2020.
Si ritiene utile, infine, riportare un confronto tra le previsioni di crescita
recate nel DEF 2017 e quelle
elaborate dai principali istituti di ricerca nazionali e internazionali nei
primi mesi dell’anno, che stimano per il 2017 una crescita del PIL tra 0,9–1,1
punti percentuali, lievemente inferiore, nella media, rispetto a quella del
Governo; per il 2018 le previsioni sono invece sostanzialmente in linea.
Tabella
6 -
Previsioni degli istituti nazionali e internazionali sulla crescita del PIL
italiano
(variazioni percentuali)
|
2017 |
2018 |
GOVERNO (aprile
’17) |
1,1 |
1,0 |
PROMETEIA (marzo
’17) |
0,9 |
0,9 |
REF.IRS (gennaio
’17) |
1,1 |
1,1 |
CER (gennaio
’17) |
1,0 |
1,0 |
BANCA D’ITALIA (gennaio
’17) |
0,9 |
1,1 |
OCSE – Interim Economic Outlook (7 marzo ‘17) |
1,0 |
1,0 |
COMMISSIONE UE – Winter Forecast (13 febbraio ‘17) |
0,9 |
1,1 |
FMI - WEO (12
aprile ‘16) |
0,7 |
0,8 |
Fonte: nostra elaborazione
La tabella che segue riporta le previsioni
tendenziali per gli anni 2017-2020 dei principali indicatori del quadro macroeconomico complessivo
esposto nel DEF 2017, a raffronto con i dati di consuntivo del 2016.
Tabella
7 - Il
quadro macroeconomico tendenziale
(variazioni percentuali)
|
Consuntivo |
Previsioni tendenziali |
|||
|
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
PIL |
0,9 |
1,1 |
1,0 |
1,1 |
1,1 |
Importazioni |
2,9 |
4,4 |
2,8 |
3,6 |
3,8 |
Consumi
finali nazionali |
1,2 |
0,8 |
0,4 |
0,7 |
0,8 |
- spesa delle famiglie e I.S.P |
1,4 |
1,0 |
0,5 |
0,8 |
0,8 |
- spesa delle P.A. |
0,6 |
0,3 |
-0,1 |
0,2 |
0,8 |
Investimenti
fissi lordi |
2,9 |
3,7 |
3,1 |
3,4 |
3,5 |
- macchinari,
attrezzature e beni immateriali |
2,1 |
3,4 |
3,7 |
3,6 |
3,8 |
- mezzi di trasporto |
27,3 |
11,6 |
1,5 |
3,7 |
4,6 |
- costruzioni |
1,1 |
2,6 |
2,7 |
3,1 |
3,2 |
Esportazioni |
2,4 |
3,7 |
3,2 |
3,3 |
3,1 |
|
|||||
PIL nominale (miliardi di euro) |
1.672,4 |
1.709,5 |
1.758,6 |
1.810,4 |
1.861,9 |
Fonte: DEF 2016, Sezione I: Programma di
stabilità, Tab. II.1.
Come si evince dalla tabella, tutti i
principali indicatori macroeconomici manifestano nell’anno 2017 un valore positivo
rispetto al 2016.
Come già ricordato, gli indicatori
congiunturali più recenti consentono al Governo – sottolinea il DEF - di
prevedere un andamento favorevole dell’economia.
Nel medio termine, inoltre, il complesso delle
misure espansive implementate dalla BCE dovrebbe favorire un ulteriore
miglioramento delle condizioni di offerta del credito al settore privato e alle
imprese, alimentando la crescita economica, e consentire e una graduale
risalita dell’inflazione verso
l’obiettivo di medio termine, anche in considerazione dell’aumento del prezzo
del petrolio.
Nelle nuove stime di crescita del Governo, la
crescita continua ad essere sostenuta dalla domanda interna, sebbene la
dinamica dei consumi privati sia
prevista in rallentamento nel 2017
(+0,8% rispetto al risultato dell’1,2% raggiunto nel 2016) e negli anni
successivi, risentendo - evidenzia il DEF - della decelerazione del reddito
disponibile reale delle famiglie legata sia all’aumento dei prezzi (per effetto
dell’aumento delle imposte indirette nel 2018) che alla moderazione salariale.
In tale ambito, i consumi delle famiglie
e delle I.S.P. (Istituzioni sociali
private) manifestano un aumento di 1 punto percentuale nel 2017, rispetto alla
crescita dell’1,4 manifestata nel 2016, con un andamento ancora più debole al
di sotto dell’1,0% in tutto il periodo (+0,5, +0,8 e +0,8%, rispettivamente,
nel triennio 2018-2020).
Il DEF
sottolinea inoltre che il profilo dei consumi risulta comunque
prudenziale, in quanto sconta il permanere del tasso di risparmio ai livelli
registrati nel 2016 (8,6%).
Maggiore vivacità
manifestano, invece, gli investimenti
fissi lordi, in grande recupero già nel 2015-2016 dopo gli andamenti
fortemente negativi degli anni passati, sono previsti in ulteriore crescita nel
2017 (+3,7%). La crescita prosegue a
ritmi sostenuti anche nel periodo successivo, spinti dalla ripresa dell’export,
dalle condizioni finanziarie favorevoli e dagli incentivi di natura fiscale. In
prospettiva, sottolinea il DEF, gioca un ruolo importante anche il graduale
recupero dei margini di profitto e il miglioramento dei bilanci delle imprese.
Gli investimenti in costruzioni crescerebbero in misura più contenuta, ma
risulterebbero in progressivo miglioramento.
Per quanto concerne
le esportazioni – che
negli ultimi due anni non hanno costituito un apporto positivo alla crescita del PIL– esse ritornerebbero ad una crescita del 3,7% nel 2017, mantenendosi
su una media di crescita del 3,2% nel periodo successivo, tasso
leggermente inferiore a quello dei mercati esteri rilevanti per l’Italia. Le importazioni sarebbero sospinte dalla
maggiore domanda interna.
Segnali incoraggianti in tal senso emergono
dai primi dati mensili di commercio
estero.
Gli ultimi dati ISTAT disponibili[13]
sembrano confermare questa tendenza.
A gennaio 2017, rispetto al mese precedente, l'export aumenta dello 0,5% e
l'import diminuisce dello 0,2%. Negli ultimi tre mesi, gli scambi con l’estero
sono risultati particolarmente intensi (+3,8% per l'export e +4,3% per
l'import) soprattutto con i paesi extra-Ue. Le vendite di tutti i principali
raggruppamenti industriali sono in espansione. In gennaio, Russia, Cina, Stati
Uniti e Giappone risultano gli sbocchi più dinamici per le esportazioni del
nostro Paese.
Il grafico seguente indica l’andamento delle
principali variabili del quadro macroeconomico a partire dal 2007 sino alla
fine del periodo di previsione indicato del DEF 2017.
Figura
6 -
Conto economico delle risorse e degli impieghi – Previsioni tendenziali
(var. % a prezzi costanti)
2013-2015
obiettivi Governo
Quanto alla dinamica dei prezzi, si prospetta una ripresa graduale
dell’inflazione al consumo rispetto al 2016, poco al di sopra dell’1%
nell’anno. Su tale andamento – sostiene il DEF – incide l’andamento del prezzo
del petrolio.
Il DEF sottolinea che a marzo è proseguita la
dinamica al rialzo dell’inflazione, seppure a ritmi più contenuti rispetto al
mese precedente (secondo le stime preliminari del Comunicato ISTAT del 31
marzo scorso), che ha portato l’indice dei prezzi a segnare un valore positivo
nel 2016.
L’aumento continua ad essere guidato dalle componenti maggiormente volatili (i beni energetici non
regolamentati e gli alimentari non lavorati) a seguito dell’aumento del prezzo
del petrolio, cui si è aggiunta l’accelerazione dei prezzi dei servizi relativi
ai trasporti. Tuttavia, l’inflazione di
fondo è salita solo leggermente e risulta marginalmente superiore allo
0,5%. Tenuto conto dell’andamento del prezzo del petrolio, stabile intorno ai
50 dollari al barile, si prospetta una crescita dell’indice dei prezzi poco al
di sopra dell’1% nell’anno.
Tabella
8 -
Andamento dei prezzi
(variazioni percentuali)
|
Consuntivo |
Previsioni
Tendenziali |
|||
|
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
Deflatore del PIL |
0,8 |
1,1 |
1,8 |
1,8 |
1,7 |
Inflazione
IPCA (al netto energetici importati) |
0,5 |
1,0 |
1,2 |
1,4 |
- |
Inflazione
programmata |
0,2 |
|
|
|
|
Fonte: DEF 2017
Con riferimento
all’andamento inflazionistico, i dati congiunturali di marzo[14]
registrano che l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera
collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, non varia su base mensile rispetto a
febbraio, ma registra comunque un aumento dell'1,4% rispetto a marzo 2016.
Secondo quanto emerso nei primi mesi del 2017 – rileva la Nota mensile Istat rilasciata il 4 aprile scorso - le
aspettative per il breve termine sebbene orientate al rialzo, manifestano
ancora cautela. A marzo la dinamica
dei prezzi al consumo è risultata in leggero rallentamento, dopo i rialzi dei
primi due mesi dell’anno. In base al recente Comunicato del 13
aprile scorso, la crescita tendenziale dell’indice dei prezzi al consumo per
l’intera collettività (NIC) si è attestata all’1,4%,
due decimi di punto in meno rispetto a febbraio. L'incremento tendenziale
dell'indice continua ad essere determinato principalmente dai Beni energetici
non regolamentati (+11,3%) e dagli Alimentari non lavorati (+6,2%), la cui
crescita è in calo rispetto al mese precedente quando era pari a +12,1% per i
primi e a +8,8% per i secondi. A sostenere l'inflazione si aggiunge la dinamica
dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (+2,5%, in lieve accelerazione da
+2,4% di febbraio). Di conseguenza, l'"inflazione di fondo", al netto degli energetici e degli
alimentari freschi, sale di un solo decimo di punto percentuale (+0,7%, da
+0,6% del mese precedente). L'inflazione acquisita
per il 2017 è pari a +1,1% per l'indice generale, a +0,3% per la componente
di fondo.
Anche l’indice armonizzato (IPCA) ha
registrato un ritmo leggermente inferiore su base annua (+1,4% da +1,6% di
febbraio), mantenendosi al di sotto del tasso medio dell’area euro (+1,5% nella
stima di marzo) e ancora distante dal valore indicato dalla Banca centrale
europea come obiettivo per la stabilità dei prezzi (inferiore, ma vicino al
2%). L’inflazione ha
continuato a essere determinata essenzialmente dai movimenti dei prezzi energetici e alimentari che,
dopo i forti aumenti dei mesi precedenti, hanno mostrato un rallentamento dei
ritmi di crescita; le tendenze della core
inflation (sempre positiva e stabile
allo 0,6% in marzo nell’accezione al
netto di energetici, alimentari e tabacchi), sebbene incerte, non manifestano
evidenti segnali di ripresa.
Figura
7 -
Dinamica dei prezzi
Fonte: ISTAT, “Prezzi al consumo –
Marzo 2017, dati provvisori”, 31 marzo 2017.
La Commissione
europea, nel Winter Forecast di
febbraio 2017 sottolinea come nel 2016 l'inflazione IAPC sia stata prossima
allo zero, per il terzo anno consecutivo, a causa di un ulteriore calo dei
prezzi dell'energia. Poiché i prezzi dell'energia aumentano, l’inflazione in
Italia è prevista salire al 1,4% nel 2017 e stabilizzarsi nel 2018.
Nello scenario
programmatico gli effetti delle politiche fiscali e di controllo della
spesa, di imminente attuazione, che
ridurranno l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche dello 0,2% del
PIL nel 2017, determinerebbero una crescita
del PIL dell’1,1% nel 2017, in linea con
lo scenario tendenziale.
La previsione macroeconomica programmatica per
i tre anni seguenti, che riflette l’intendimento del Governo di seguire un
sentiero di politica di bilancio in linea con le regole europee, è pari a quella tendenziale nel 2018
(+1,0%) e, invece, lievemente inferiore
nel 2019 (1,0 contro 1,1%). Nel 2020
la crescita programmatica del PIL è prevista pari a quella tendenziale, ovvero 1,1%,
in quanto l’obiettivo del conseguimento di un pieno pareggio di bilancio, sia
in termini nominali che strutturali (ovvero aggiustati per ciclo e misure
temporanee), comporta una riduzione del deficit esigua (0,2 punti percentuali
di PIL).
Lo scenario
programmatico – sottolinea il DEF - sconta un minor carico di imposte indirette
rispetto al tendenziale e, di conseguenza, in media un aumento dei prezzi al
consumo più contenuto. Sia nel 2017 che nel triennio 2018-2020 l’inflazione
sarebbe lievemente inferiore nello scenario programmatico, con un conseguente
aumento del potere di acquisto delle famiglie. Da rilevare anche un maggiore
incremento occupazionale legato ad una riduzione selettiva del cuneo fiscale
sul lavoro
In merito alle clausole di salvaguardia tuttora
previste in termini di aumento delle aliquote IVA e delle accise, il Governo
intende sostituirle con misure sul lato della spesa e delle entrate,
comprensive di ulteriori interventi di contrasto all’evasione. Tale obiettivo
sarà perseguito nella Legge di bilancio per il 2018, la cui composizione verrà
definita nei prossimi mesi, anche sulla scorta della riforma delle procedure di
formazione del bilancio che faciliterà la revisione della spesa.
Tabella
9 - Il quadro macroeconomico tendenziale e
programmatico
(variazioni percentuali)
|
Previsioni tendenziali |
Previsioni
Programmatiche |
||||||
|
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
PIL |
1,1 |
1,0 |
1,1 |
1,1 |
1,1 |
1,0 |
1,0 |
1,1 |
Importazioni |
4,4
|
2,8
|
3,6
|
3,8 |
4,4
|
2,9
|
3,4
|
4,1 |
Consumi finali nazionali |
0,8
|
0,4
|
0,7
|
0,8 |
0,7
|
0,5
|
0,6
|
0,7 |
-
spesa delle famiglie e I.S.P |
1,0 |
0,5 |
0,8 |
0,8 |
0,9 |
0,6 |
0,7 |
0,7 |
-
spesa delle P.A. |
0,3 |
-0,1 |
0,2 |
0,8 |
0,2 |
0,1 |
0,1 |
0,7 |
Investimenti fissi lordi |
3,7
|
3,1
|
3,4
|
3,5 |
3,6
|
3,0
|
2,7
|
3,2 |
- macchinari,
attrezzature e vari* |
3,4 |
3,7 |
3,6 |
3,8 |
3,3 |
3,4 |
3,0 |
3,4 |
-
mezzi di trasporto |
11,6 |
1,5 |
3,7 |
4,6 |
11,6 |
1,4 |
2,6 |
4,0 |
-
costruzioni |
2,6 |
2,7 |
3,1 |
3,2 |
2,5 |
2,7 |
2,3 |
2,8 |
Esportazioni |
3,7
|
3,2
|
3,3
|
3,1 |
3,7
|
3,2
|
3,5
|
3,5 |
|
||||||||
Occupazione (ULA) |
0,8
|
0,8
|
0,7
|
0,7 |
0,8
|
0,9
|
0,9
|
0,7 |
Tasso di disoccupazione |
11,5
|
11,2
|
10,8
|
10,2 |
11,5
|
11,1
|
10,5
|
10,0 |
|
||||||||
Deflatore PIL |
1,1
|
1,8
|
1,8
|
1,7 |
1,2
|
1,7
|
1,9
|
1,7 |
* Tale voce ricomprende gli investimenti in
macchinari e attrezzature e in beni immateriali.
Fonte: DEF 2017, Sezione II: Analisi e
tendenze della Finanza pubblica, Tab. I.1-1 e I.1-2.
Gli effetti delle politiche di bilancio che
influenzano l’evoluzione del quadro programmatico rispetto allo scenario
tendenziale ricomprendono anche le stime dell’impatto macroeconomico delle riforme strutturali vengono riportate
nel Programma Nazionale di Riforma[15], nel
quale si fornisce un quadro – articolato per ciascuna delle riforme – a 5 e 10
anni dall’introduzione delle riforme, e nel lungo periodo. Le principali aree
interessate dal processo di riforma sono le seguenti: Pubblica Amministrazione
e semplificazione, concorrenza, mercato del lavoro, giustizia ed istruzione.
Inoltre, rispetto alla precedente versione del PNR, sono stati aggiunti gli
interventi attuati in materia di crediti deteriorati e procedure fallimentari e
le misure relative a ‘Industria 4.0’ (in proposito si rinvia all’apposito
capitolo “Competitività e concorrenza” del presente dossier), un ampio
pacchetto di provvedimenti che comprende: le misure di stimolo agli
investimenti innovativi, le misure di rafforzamento delle competenze (scuola
digitale e percorsi formativi ad hoc) e le misure di Finanza per la crescita.
Nella tavola seguente si presenta l’impatto
sul PIL dei principali provvedimenti di riforma. L’impatto delle riforme determina un incremento del PIL, rispetto
allo scenario di base, pari al 2,9% dopo
cinque anni e al 4,7% dopo dieci anni dall’introduzione delle riforme. Nel
lungo periodo l’effetto complessivo stimato sul prodotto è di circa il 10%.
Tabella
10 - Effetti macroeconomici delle riforme
strutturali per area di intervento (scostamenti percentuali del PIL rispetto
allo scenario base)
|
2021 |
2026 |
Lungo
periodo |
Pubblica
Amministrazione |
0,5 |
0,8 |
1,2 |
Concorrenza |
0,2 |
0,5 |
1,0 |
Mercato
del lavoro |
0,6 |
0,9 |
1,3 |
Giustizia |
0,1 |
0,2 |
0,9 |
Istruzione |
0,2 |
0,3 |
1,3 |
Crediti
deteriorati e procedure fallimentari |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
Industria
4.0, di cui: |
1,2 |
1,9 |
4,1 |
Investimenti innovativi |
0,6 |
0,7 |
1,1 |
Competenze |
0,1 |
0,3 |
1,1 |
Finanza per la crescita, di cui: |
0,5 |
0,9 |
1,9 |
- PIR Fondi investimenti - Altri interventi |
0,3 0,2 |
0,5 0,4 |
0,9 1,0 |
TOTALE |
2,9 |
4,7 |
9,9 |
Fonte: DEF 2017, , Sezione III: programma
Nazionale di riforma, Tab. II.2.
Nella tavola che segue si riporta l’effetto
complessivo delle riforme strutturali, con un focus sulle principali variabili
macroeconomiche. In particolare, emerge il carattere espansivo delle riforme,
soprattutto nel medio e lungo periodo. Si osserva come l’impatto sia sulla
spesa per consumi sia su quella per investimenti risulti sostanzialmente
coerente con quello registrato per il prodotto.
Tabella
11 - Effetti macroeconomici delle riforme
strutturali per componenti del PIL (scostamenti percentuali del PIL rispetto
allo scenario base)
|
2021 |
2026 |
Lungo
periodo |
PIL |
2,9 |
4,7 |
9,9 |
Consumi |
2,5 |
4,5 |
8,3 |
Investimenti
|
4,4 |
6,9 |
13,6 |
Fonte: DEF 2017, Sezione III: programma
Nazionale di riforma, Tab. II.3.
Per quanto concerne il mercato del lavoro, nel DEF si rileva come il 2016 si chiuda con risultati
positivi, confermando l’evoluzione favorevole che si era già manifestata
nel 2015, dopo un periodo negativo che datava dal 2009. L’occupazione cresce
per il terzo anno consecutivo (+1,3%, 293 mila occupati in più), a ritmi più
sostenuti rispetto al 2015, portando il tasso di occupazione al 57,2% (+0,9
punti, mentre nel 2015 il tasso era aumentato di 6 punti percentuali).
La diminuzione del tasso di disoccupazione, ora situato all’11,7% (11,9% nel 2015) è più contenuta, ammontando a soli due punti
percentuali. Il fatto che la velocità di aumento del tasso di occupazione è
maggiore di quella con cui diminuisce il tasso di disoccupazione è
probabilmente attribuibile anche al fatto che il miglioramento delle
prospettive di lavoro ha portato sul mercato persone precedentemente
scoraggiate, riducendo l’inattività
e aumentando l’offerta di lavoro.
Figura
8 -
Occupati (scala sinistra) e tasso di disoccupazione (scala destra) - I trim.
2011 – IV trim. 2016
(dati destagionalizzati, valori assoluti in
migliaia di unità e valori percentuali)
Fonte: ISTAT, Comunicato “Il
mercato del lavoro – IV trimestre 2016”, 10
marzo 2017.
La tabella seguente riporta i dati di
consuntivo dell’ultimo decennio dei principali indicatori del mercato del
lavoro.
Tabella
12 - Mercato del lavoro anni 2007-2016
|
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
2014 |
2015 |
2016 |
Numero occupati (migliaia di unità) |
22.894 |
23.090 |
22.699 |
22.527 |
22.598 |
22.566 |
22.191 |
22.279 |
22.465 |
22.758 |
Numero occupati – variazione % |
0,6 |
0,9 |
-1,7 |
-0,8 |
0,3 |
-0,1 |
-1,7 |
0,4 |
0,8 |
1,3 |
Totale Unità di lavoro standard |
25.125 |
25.023 |
24.336 |
24.130 |
24.162 |
23.830 |
23.250 |
23.298 |
23.536 |
23.859 |
Unità di lavoro standard - |
1,0 |
-0,4 |
-2,7 |
-0,8 |
0,1 |
-1,4 |
-2,4 |
0,2 |
1,0 |
1,4 |
Tasso di attività |
62,4 |
62,9 |
62,3 |
62,0 |
62,1 |
63,5 |
63,4 |
63,9 |
64,0 |
64,9 |
Tasso di occupazione |
58,6 |
58,6 |
57,4 |
56,8 |
56,8 |
56,6 |
55,5 |
55,7 |
56,3 |
57,2 |
Tasso di disoccupazione |
6,1 |
6,7 |
7,7 |
8,4 |
8,4 |
10,7 |
12,1 |
12,7 |
11,9 |
11,7 |
Fonte: ISTAT, Il mercato del lavoro (10 marzo
2017). Per le ULA, PIL e indebitamento delle AP – Anni 2014-2016 (1 marzo
2017). Per gli anni precedenti, banca dati Istat.
Gli andamenti temporali, riportati nei grafici
che seguono, evidenziano l’inversione di
tendenza avvenuta nel mercato del lavoro negli ultimi anni, dapprima sul numero di occupati (che ha toccato il suo
minimo nel 2013 ed è gradualmente risalito, senza però ancora raggiungere il
valore del 2008) e nel tasso di disoccupazione (che, dopo 7 anni di aumento
ininterrotto, dal massimo toccato nel 2014 è sceso di un punto percentuale in
due anni, con una forte diminuzione nel 2015 e un leggero calo nel 2016).
La tabella riassuntiva dei principali
indicatori del mercato del lavoro nell’ultimo decennio sopra riportata,
evidenzia che benché il numero di occupati a fine 2016 sia quasi tornato ad
eguagliare il livello del 2007, in termini di unità di lavoro standard l’occupazione
risulti ancora significativamente inferiore, potendosene dedurre che a fine
periodo lavora un numero di persone pressoché eguale a quello di dieci anni fa,
ma per un minor numero di ore.
Figura
9 - Occupati (a sinistra) e tasso di
disoccupazione (a destra) – Serie storica
|
|
Fonte: Rielaborazione del Servizio Studi della
Camera dei Deputati su dati Istat
La nota dell’Istat “Il
mercato del lavoro”, diffusa il 10 marzo 2017, effettua
un’analisi disaggregata relativa all’andamento degli indicatori nel 2016.
In relazione alla tipologia di lavoro, la nota rileva che l’aumento dell’occupazione
riguarda soltanto il lavoro alle dipendenze
(1,9%, +323 mila) ed è concentrato tra i dipendenti a tempo indeterminato (+281
mila in confronto ai +42 mila a termine). La crescita tendenziale
dell’occupazione continua dunque ad essere interamente determinata dalla
componente del lavoro dipendente. Da sei anni prosegue, invece, la diminuzione
del numero di lavoratori indipendenti
(-30 mila, -0,5%), anche nel 2016 dovuta quasi esclusivamente ai collaboratori.
Per il secondo anno consecutivo cresce il lavoro a tempo pieno (+183 mila;
+1,0%) e continua ininterrottamente dal 2010 la crescita del lavoro a tempo
parziale: questo nel 2016 è quasi esclusivamente di tipo volontario, con la
conseguente diminuzione dell’incidenza del part
time involontario sul totale del lavoro a tempo parziale (62,6%, -1,3
punti).
Si riduce il contingente di persone in cerca
lavoro da almeno 12 mesi, la cui incidenza passa dal 58,1% del 2015 al 57,3%.
Nel 2016 il numero di inattivi
diminuisce per il terzo anno consecutivo e in misura molto più marcata (-410
mila, -2,9%) coinvolgendo entrambi i generi, le diverse ripartizioni
territoriali, e tra le classi di età soprattutto gli adulti. Il calo riguarda
sia la componente più distante dal mercato del lavoro (-200 mila, -1,9%) sia le
forze di lavoro potenziali (-210 mila, -5,9%). Nel 2016, per il secondo anno
consecutivo e con maggiore intensità, diminuisce il numero degli scoraggiati (-164 mila, -8,6%), la cui
flessione continua ininterrotta dal secondo trimestre 2015.
In relazione al genere, l’occupazione aumenta più per le donne (+1,5% rispetto a
+1,1% gli uomini) ma il tasso cresce con la stessa intensità (entrambi +0,9
punti). La disoccupazione, invece, aumenta soltanto per le donne (31 mila, +2,3
punti) con il tasso che sale di 0,1 punti, mentre per gli uomini la
disoccupazione scende sia in valore assoluto (-52 mila, -3,1%) sia nel tasso
(-0,4 punti). Il calo dell’inattività è consistente per entrambe le componenti
di genere.
Per quanto concerne le differenze anagrafiche, grazie alla crescita nei
primi due trimestri dell’anno, aumentano gli occupati di 15-34 anni (44 mila,
+0,9%) e si accentua la crescita del rispettivo tasso di occupazione (+0,7
punti in confronto a +0,1 punti nel 2015). Per i 35-49enni la riduzione del
numero di occupati si accompagna all’aumento del tasso di occupazione (+0,6
punti). Prosegue la crescita dell’occupazione e del tasso per gli
ultracinquantenni, indotta sia dall’invecchiamento della popolazione che
dall’allungamento dell’età pensionabile. Il tasso di disoccupazione si riduce
soprattutto per i più giovani mentre il calo del tasso di inattività è maggiore
per gli over50.
A livello territoriale,
nel 2016 l’incremento dell’occupazione riguarda soprattutto il Nord e il Mezzogiorno. Nelle regioni
meridionali il tasso di occupazione 15-64 anni cresce di 0,9 punti in un anno
(a fronte di +1,1 nel Nord e +0,6 nel Centro), ma è ancora sotto al livello del
2008 di 2,6 punti (-1,0 punti nel Nord e -0,7 nel Centro). I divari territoriali restano comunque
accentuati: se nel Centro-Nord sono occupate
oltre 6 persone su 10 tra i 15 e i 64 anni, nel Mezzogiorno continuano a
esserlo poco più di 4.
I disoccupati
e il relativo tasso crescono soltanto nel Mezzogiorno, in corrispondenza della
più forte diminuzione dell’inattività. Si ampliano quindi i divari relativi
alla disoccupazione: l’indicatore sale al 19,6% nel Mezzogiorno e scende al
10,4% nel Centro e al 7,6% nel Nord.
Il grafico che segue fotografa gli andamenti occupazionali per provincia.
Figura
10 - Tasso di occupazione e disoccupazione -
anno 2016
Tasso
di occupazione 15-64 anni per provincia. Anno 2016 |
Tasso
di disoccupazione per provincia. Anno 2016 |
|
|
Fonte: Istat, Il
mercato del lavoro, pag. 18.
Queste tendenze sono sostanzialmente
confermate anche dai dati congiunturali
dell’ultimo trimestre 2016 (si veda
anche la relativa nota
trimestrale sulle tendenze dell’occupazione,
diffusa congiuntamente dall’Istat, dal Ministero del lavoro e delle politiche
sociali e dall’Inps) e da quelli del primo bimestre
2017 (pubblicati il 3 aprile nel comunicato Istat “Occupati
e disoccupati”) i cui contenuti qui non si dettagliano,
rimandandosi in proposito ai suddetti documenti
Come anticipato all’inizio, come per il 2015,
anche per il 2016, il DEF valuta confortanti i risultati 2016 relativi al mercato del lavoro, a riprova che le
misure introdotte (Jobs Act e decontribuzione) hanno avuto effetti positivi
sull’occupazione. La crescita degli occupati ha accelerato sia in termini di
unità standard (1,4%), che di occupati di contabilità nazionale e di forze di
lavoro (entrambi dell’1,3%). Secondo le informazioni desumibili dai dati delle
forze di lavoro, la crescita del numero degli occupati riflette l’aumento dei
dipendenti con contratto a tempo determinato e indeterminato. Gli occupati
indipendenti hanno registrato un calo. Il miglioramento dell’occupazione è
stato accompagnato da una accelerazione della partecipazione al mercato del
lavoro: di conseguenza il tasso di disoccupazione si è ridotto solamente di 0,2
punti percentuali, attestandosi all’11,7%.
È proseguita la fase di moderazione salariale. I redditi da lavoro dipendente pro-capite
sono cresciuti in media annua dello 0,3%, mentre la produttività del lavoro,
misurata sulle ULA, è diminuita dello 0,5%; Tali fattori si sono riflessi
negativamente sul costo del lavoro: il CLUP ha segnato un aumento dello 0,8%
per l’economia nel suo complesso.
Tabella
13 - Il
mercato del lavoro
(variazioni percentuali)
|
Consuntivo |
Previsioni
Tendenziali |
|||
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
|
Occupazione (ULA) * |
1,4 |
0,8 |
0,8 |
0,7 |
0,7 |
Tasso di disoccupazione |
11,7 |
11,5 |
11,2 |
10,8 |
10,2 |
Tasso di occupazione |
57,2 |
57,9 |
58,3 |
58,8 |
59,5 |
CLUP (sul PIL) |
0,8 |
0,8 |
0,8 |
1,1 |
1,0 |
* Unità di lavoro standard – variazione %
Fonte: DEF 2017
Le previsioni
tendenziali riportate nel DEF[16],
esposte nella tabella sopra riportata mantengono una variazione positiva dell’occupazione per tutto il periodo di previsione, che si riflette
favorevolmente sugli indicatori occupazionali, con un tasso di disoccupazione
che scende di 1,5 punti percentuali a fine periodo, posizionandosi a 10,2 punti
percentuali, ed un tasso di occupazione che dovrebbe registrare un analogo
andamento, salendo di oltre 2 punti percentuali rispetto al consuntivo 2016.
La permanenza del tasso di disoccupazione
italiano sopra all’11% nel biennio 2017-18 è contenuta anche dalle previsioni della Commissione europea (Winter Forecast del
febbraio 2017), secondo cui la riduzione della tassazione sul lavoro continuerà
a sostenere l’occupazione nel biennio 2017-2018, ma la creazione di occupazione
netta avverrà ad un ritmo inferiore rispetto al biennio precedente, quando fu
rilanciata dalla riduzione triennale dei contributi sociali. Il tasso di
disoccupazione, quindi, è destinato a rimanere sopra l’11% nei prossimi anni
(11,6 nel 2017 e 11,4 nel 2018, secondo la Commissione UE).
Questa analisi è confermata anche nel
Documento di lavoro dei servizi della Commissione costituito dalla Relazione
per l’Italia 2017 (febbraio 2017), che sottolinea il miglioramento delle condizioni del
mercato del lavoro dal 2014, grazie alle riforme del mercato del lavoro,
all’abolizione delle imposte regionali sul lavoro a tempo indeterminato e agli
incentivi fiscali temporanei per le nuove assunzioni a tempo indeterminato, ma anche il rallentamento della crescita
dell’occupazione nel 2017-2018, con un tasso di disoccupazione che dovrebbe
rimanere superiore all'11% nel 2017- 2018, data la ripresa modesta.
La Commissione rileva inoltre che, nonostante
il graduale miglioramento del mercato del lavoro, la disoccupazione di lunga
durata e quella giovanile restano alte. Il tasso di disoccupazione di lunga
durata è stato del 7% circa nel 2016. Il tasso di disoccupazione giovanile è
del 40% circa e più Sintesi 3 di 1,2 milioni di giovani non studiano, non
frequentano corsi di formazione e non lavorano. L’attuazione della riforma
delle politiche attive del mercato del lavoro, compreso il rafforzamento dei
servizi pubblici per l’impiego, è ancora nelle prime fasi. La contrattazione a
livello aziendale non è molto diffusa, il che ostacola la distribuzione efficace
delle risorse e l'adeguamento delle retribuzioni alle condizioni economiche.
Per quanto in calo, il tasso di disoccupazione
italiano rimane più alto di quello
dell'Eurozona, che in febbraio, secondo i dati
Eurostat, è
pari al 9,5%, in calo dal 9,6% di gennaio e dal 10,3% di febbraio 2016. Si
tratta del livello più basso da maggio 2009. Nell'area dell'unione europea a 28
stati la disoccupazione è stata pari all'8% (dall'8,1% del mese precedente e
dall'8,9% dello stesso periodo del 2016), e anche qui si tratta del valore
minimo da gennaio 2009.
Nel grafico che segue, Eurostat
riporta i tassi di disoccupazione riscontrati a febbraio:
Figura
11 - Eurostat - Tassi
di disoccupazione febbraio 2017
Lo scenario
programmatico[17] del
DEF vede un miglioramento nel mercato del lavoro più rapido rispetto al quadro
tendenziale: gli occupati (in
termini di contabilità nazionale, ULA) crescerebbero mediamente di quasi 0,2
punti percentuali in più nel 2018 e un punto percentuale nel 2019; il tasso di disoccupazione risulterebbe
progressivamente inferiore dal 2018 in poi, posizionandosi al termine del
periodo al 10%, rispetto al 10,2 del quadro tendenziale; il tasso di
occupazione continuerebbe la fase ascendente fino a raggiungere nel 2020 il
59,7% (rispetto al 59,7 del tendenziale).
Il benessere equo e sostenibile (BES) è un set di indicatori, sviluppato dall'ISTAT
e dal CNEL, per valutare il progresso di una società non solo dal punto di
vista economico, come ad esempio fa il PIL, ma anche sociale e ambientale e
corredato da misure di disuguaglianza e sostenibilità.
Per la
prima volta, con la riforma della legge di contabilità
n.196 del 2009 operata dalla legge
n.163/2016[18],
entrata in vigore nel settembre scorso, gli
indicatori di benessere equo e sostenibile entrano nell’ordinamento,
venendo inclusi tra gli strumenti di programmazione e valutazione della politica
economica nazionale. L’articolo 14
della legge n. 163/2016 prevede
infatti che un Comitato per gli
indicatori di benessere equo e sostenibile (BES), costituito presso l’Istituto
nazionale di statistica (ISTAT), selezioni gli indicatori utili alla valutazione
del benessere sulla base dell’esperienza maturata a livello nazionale e
internazionale.
Tale
Comitato è:
§ istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro per l’economia e le finanze (DPCM 11 novembre 2016);
§ presieduto dal Ministro dell’economia e delle
finanze o da un suo rappresentante delegato;
§ composto dal Presidente dell’ISTAT, dal Governatore
della Banca d’Italia (o loro rappresentanti delegati), da due esperti della
materia provenienti da università ed enti di ricerca;
§ incaricato di selezionare e definire, sulla
base dell’esperienza maturata a livello nazionale ed internazionale, gli indicatori
di benessere equo e sostenibile (BES). Tali indicatori saranno successivamente
adottati con decreto del MEF, previo
parere delle Commissioni parlamentari.
Con la medesima legge di riforma sono inoltre
stati introdotti, all’articolo 10 della legge di contabilità
(relativo al Documento di economia e finanza), i due nuovi commi 10-bis e 10-ter, che prevedono rispettivamente la redazione da parte del
Ministro dell’economia e delle finanze, sulla base dei dati forniti dall’ISTAT,
di due documenti:
§ un
apposito allegato al DEF, che
riporti l’andamento, nell’ultimo triennio, di tali indicatori, nonché le
previsioni sull'evoluzione degli stessi nel periodo di riferimento;
§ una relazione, da presentare alle Camere
per la trasmissione alle competenti Commissioni parlamentari entro il 15
febbraio di ciascun anno, sull’evoluzione dell’andamento degli indicatori di
benessere equo e sostenibile (BES), sulla base degli effetti determinati dalla
legge di bilancio per il triennio in corso.
PIL e
benessere equo e sostenibile
Da
oltre cinquant’anni è in atto in ambito internazionale un dibattito sul c.d. “superamento del PIL” come unico
indicatore di misurazione del benessere, alimentato dalla consapevolezza che i
parametri sui quali valutare il progresso di una società non possano essere
esclusivamente di carattere economico, ma debbano tenere conto anche delle
fondamentali dimensioni sociali e ambientali del benessere, corredate da misure
di diseguaglianza e sostenibilità. Sono stati pertanto proposti indicatori di benessere, di
sostenibilità ambientale, di qualità sociale e di parità tra i sessi, quali
strumenti da tenere in considerazione nell’elaborazione, nell’adozione e nella
valutazione delle politiche pubbliche, al fine di integrare l’uso degli
indicatori macroeconomici, ritenuti non più sufficienti a misurare il grado di
benessere di una comunità e a orientare, perciò, le politiche pubbliche.
In
ambito internazionale si possono segnalare quelli utilizzati da istituzioni
quali l’ONU, l’UE e l’OCSE. In ambito nazionale, da alcuni anni è stato avviato
il progetto BES, tramite
un’iniziativa congiunta del CNEL e
dell’ISTAT, al fine di fornire un significativo contributo in questa
direzione.
Tale
progetto è finalizzato all’individuazione delle misure più idonee a
rappresentare il progresso del Paese e dei territori verso l’incremento del
benessere dei cittadini. Esso considera 12
dimensioni[19] (articolate
in 130 indicatori), come ad esempio la salute, l’istruzione, l’ambiente, la
qualità dei servizi, selezionate attraverso un processo di condivisione
democratica promosso in Italia da CNEL e ISTAT che si sono impegnati ad elaborare
uno strumento capace di misurare gli elementi fondanti del benessere in Italia
e nei suoi territori.
Dal
progetto scaturisce ogni anno un rapporto, giunto alla sua quarta edizione con il “Rapporto BES 2016”.
Il
dibattito sulla misurazione del benessere degli individui e della società ha
riscosso una crescente attenzione anche da parte delle istituzioni locali che,
in collaborazione con l'Istat, hanno avviato progetti basati sul paradigma del Bes, anche esplorando le potenzialità ancora inespresse dei
giacimenti informativi di carattere amministrativo comunali e provinciali. A
livello territoriale sono infatti utili strumenti di analisi il « BES delle province », per
la costruzione di indicatori territoriali per la governance
di area vasta (Rapporto
Bes delle province 2015), e il
progetto «UrBES»,
promosso dalla rete delle città metropolitane dell’Associazione nazionale dei
comuni italiani insieme con l’ISTAT, che propone un sistema di indicatori del
benessere per le città metropolitane e per alcuni comuni capoluogo.
In attesa della selezione finale degli
indicatori da parte del Comitato, il Governo ha scelto di anticipare in via
sperimentale l’inserimento di un primo gruppo di indicatori nel processo di
bilancio. Nel DEF 2017 in esame si è dunque condotto un primo esercizio sperimentale su un sottoinsieme di quattro indicatori di benessere equo e
sostenibile selezionati dal Comitato, costituiti dai seguenti:
§ il reddito medio disponibile aggiustato pro
capite, dato dal rapporto tra il reddito disponibile delle famiglie aggiustato
(vale a dire inclusivo del valore dei servizi in natura forniti dalle
istituzioni pubbliche e senza fini di lucro) e il numero totale di persone
residenti;
§ un indice di disuguaglianza del reddito,
dato dal rapporto tra il reddito equivalente[20] totale
percepito dal 20% della popolazione con più alto reddito e quello percepito dal
20% della popolazione con più basso reddito. Una riduzione di tale rapporto
indica pertanto una maggiore equità nella distribuzione delle risorse;
§ il tasso di mancata partecipazione al lavoro,
corrispondente al rapporto tra il totale di disoccupati e le forze di lavoro
potenziali tra i 15 e i 74 anni e la forza lavoro effettiva e potenziale.
Rispetto al tasso di disoccupazione tale indicatore consente di tener conto
anche del fenomeno dello scoraggiamento;
§ l’indicatore delle emissioni di CO2
e di altri gas clima alteranti, già considerato dalla strategia Europa
2020, che traccia l’andamento della qualità dell’ambiente e il relativo impatto
delle politiche[21].
Per ciascuno dei quattro indicatori, oltre ai
dati di consuntivo dell’ultimo triennio, viene fornito nella tabella seguente uno scenario a
politiche vigenti (tendenziale) e
uno scenario che inglobi le
politiche introdotte nel DEF (programmatico).
Tabella
14 - Indicatori sperimentali del benessere
In generale, come espone la tabella, gli
indicatori mostrano un miglioramento
nell’orizzonte previsivo, mantenendo il trend
dell’ultimo triennio.
L’indicatore relativo al reddito medio
disponibile segue, nell’ultimo triennio, gli andamenti macroeconomici. Il DEF
evidenzia, però, una funzione stabilizzatrice
delle politiche pubbliche italiane
in quanto l’indicatore recupera dalla crisi seguendo grosso modo la dinamica
del PIL pro capite, anche per via di alcuni interventi, quali quelli volti a
ridurre la pressione fiscale e aumentare il reddito disponibile. Tale
evoluzione prosegue negli anni 2017-2020, sia per il tendenziale che per il
programmatico, confermando gli effetti positivi in termini di benessere delle
misure adottate anche nel medio termine, quale ad esempio il piano di lotta
alla povertà.
La figura seguente, esposta nella Sezione I
(pag. 8) evidenzia, dal 2017, l’andamento
programmatico del reddito medio disponibile e dell’indice di
disuguaglianza, ovvero dei due
indicatori relativi al benessere economico selezionati per questo primo
esperimento, e li raffronta all’andamento del PIL pro capite.
Figura
12 - Reddito medio disponibile e indice di
diseguaglianza
Fonte: Elaborazione MEF su dati ISTAT.
L’elevato livello di diseguaglianza che caratterizza l’economia italiana è confermato
dai dati iscritti nella tabella che tuttavia mostrano una riduzione negli anni più recenti. Il calo per il periodo 2014-2017 è influenzato, secondo il
DEF, dal miglioramento del mercato del lavoro e dalle diverse misure fiscali
che sono state adottate, tra le quali le misure degli 80 euro, la cd.
quattordicesima per i pensionati, l’aumento delle detrazioni per i redditi da
lavoro e pensione, le nuove misure di contrasto alla povertà, l’abrogazione
della IMU-TASI sulle abitazioni principali e la revisione della tassazione dei
redditi finanziari. Per gli anni 2017-2020,
nel quadro tendenziale sono
considerati gli effetti delle misure già adottate. Sono anche considerati gli
aumenti di occupazione previsti nel quadro macroeconomico tendenziale, che
contribuiscono a un leggero miglioramento dell’indicatore. L’effetto
complessivo è una contenuta ma costante tendenza alla riduzione della
disuguaglianza. Nello scenario
programmatico, sono invece indicati gli obiettivi che il Governo intende
realizzare intervenendo nel prossimo triennio sulla struttura del prelievo
fiscale e contributivo.
Quanto poi al terzo indicatore, il tasso
di mancata partecipazione al lavoro, questo appare in riduzione lungo l’intero orizzonte previsivo,
segno - osserva il DEF - che le misure a sostegno del sistema produttivo e gli
incentivi per l’occupazione hanno avuto effetti positivi. In particolare, il
dettaglio per genere evidenzia come l’inclusione
delle donne nel mercato del lavoro stia migliorando. Nello scenario programmatico, illustrato dal grafico seguente, si prevede un
rafforzamento di queste tendenze positive, grazie ad una maggiore
partecipazione al lavoro di fasce potenziali di lavoratori che rientrano nel
mercato incoraggiati dal miglioramento del contesto occupazionale e
accompagnati dalle misure di politica attiva.
Figura
13 - Tasso di mancata partecipazione al lavoro
Fonte: ISTAT. Dal 2017 obiettivi programmatici
DEF.
Tuttora, oltre un quinto della popolazione
di riferimento non ha un lavoro pur essendo disponibile ad entrare nel mercato.
Nello scenario programmatico, come nel tendenziale, si prevede continuino i miglioramenti a seguito di
una maggiore partecipazione al lavoro di fasce potenziali di lavoratori che
rientrano nel mercato incoraggiati dal miglioramento del contesto occupazionale
e accompagnati dalle politiche attive implementate.
In relazione al quarto indicatore,
quello “ambientale”, la tabella mostra che nel 2016 ogni abitante ‘ha generato’
in media 7,4 tonnellate di CO2 equivalenti. Le emissioni rimangono sostanzialmente stabili nel periodo considerato, pur in presenza di una ripresa del ciclo produttivo ed industriale,
evidenziando – secondo il DEF - un progressivo processo di decarbonizzazione del sistema
economico, frutto –rileva il DEF - delle misure che hanno portato alla rapida
crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili, delle detrazioni
fiscali al 65% degli interventi di riqualificazione energetica degli immobili
privati (Ecobonus) e, più in generale, delle numerose
azioni volte a migliorare l’efficienza energetica. Nello scenario programmatico, dal 2017, le emissioni
sono previste ridursi ulteriormente grazie ad alcune misure tra cui il DEF
segnala la proroga ed il potenziamento dell’Ecobonus,
le norme sui requisiti minimi degli edifici, nonché la realizzazione di una
infrastruttura per i combustibili alternativi che incoraggerà il processo di
diffusione dei carburanti a più basso contenuto emissivo.
Figura
14 - Emissioni gas serra e PIL pro capite
Fonte: ISTAT. Dal 2017 obiettivi programmatici
DEF.
Poiché le politiche volte a migliorare le
diverse dimensioni del benessere possono comportare costi per le finanze pubbliche, il documento manifesta l’opportunità di considerare almeno un indicatore di sostenibilità finanziaria utilizzato in sede europea,
come ad esempio l’indicatore “S2” che misura l'ampiezza dell'aggiustamento
fiscale permanente, in termini di saldo primario strutturale, necessario per
raggiungere l'obiettivo del vincolo intertemporale su un orizzonte infinito.
Il
Documento di Economia e Finanza riporta l'analisi del conto economico delle
amministrazioni pubbliche a legislazione vigente, integrato con le informazioni
relative alla chiusura dell'esercizio 2016.
Le
tabelle di seguito riportate espongono quindi i dati del DEF riferiti al
consuntivo dell’esercizio 2016 e alle previsioni 2017-2020. In alcune tavole,
in corrispondenza dei dati esposti nel DEF, sono riportati anche i consuntivi
degli esercizi 2014 e 2015.
Limitatamente
al consuntivo 2016 e al triennio 2017-2019 sono presentati, inoltre, elementi
di raffronto con le stime formulate nella Nota
tecnico illustrativa della legge di bilancio 2017 (NTI).
Ai fini
delle analisi contenute nel presente dossier
si utilizza la NTI aggiornata in base al testo approvato della legge di bilancio per il 2017, resa
disponibile dalla Ragioneria Generale dello Stato[22].
Per
quanto riguarda i dati riferiti al consuntivo 2016, le informazioni contenute
nel DEF e riportate nelle seguenti tabelle tengono conto dell’aggiornamento dei
dati di preconsuntivo diffusi dall’ISTAT con i comunicati del 1° marzo e del 4
aprile 2017[23].
Comunicati
Istat 2017
In base
ai dati pubblicati dall’Istat in data 1° marzo 2017 (PIL e indebitamento AP),
nel 2016 il PIL ai prezzi di mercato è risultato pari a 1.672.438 milioni di
euro; l’avanzo primario e l’indebitamento netto, indicati in rapporto al PIL,
sono risultati pari, rispettivamente, all’1,5% e al 2,4% del prodotto interno
lordo.
In data
4 aprile 2017, l’Istat ha pubblicato il Conto trimestrale delle Amministrazioni
pubbliche; l’Istituto ha inoltre diffuso le revisioni delle stime del PIL per
il biennio 2014-2015 ed aggiornato le stime del conto economico delle pubbliche
amministrazioni per l’anno 2016 sulla base delle informazioni resesi
disponibili dopo il precedente comunicato.
L’Istat
ha in particolare segnalato che i dati relativi alle amministrazioni pubbliche
sono coerenti con la versione del conto annuale trasmessa a Eurostat
il 31 marzo e che le revisioni non comportano modifiche al valore del rapporto
indebitamento netto/PIL. In valore assoluto, in base ai dati aggiornati
contenuti nel comunicato del 4 aprile, l’indebitamento netto PA nel 2016
risulta pari a 40.809 milioni di euro (rispetto al valore di 40.708 milioni
indicato nel rapporto del 1° marzo).
Tabella
15 - Conto economico delle amministrazioni
pubbliche a legislazione vigente
(milioni di euro)
Fonte:
Dati DEF 2017
Tabella
16 - Conto economico delle amministrazioni
pubbliche a legislazione vigente
(% del PIL)
Fonte:
Dati DEF 2017
Tabella
17 - Conto economico delle amministrazioni
pubbliche a legislazione vigente – variazioni rispetto all’anno precedente
(milioni di euro)
Fonte:
Elaborazione su dati DEF 2017
Tabella
18 - Conto economico delle amministrazioni
pubbliche a legislazione vigente – variazioni rispetto all’anno precedente
(variazioni in %)
Fonte:
Elaborazione su dati DEF 2017
Tabella
19 - Raffronto fra la Nota tecnico illustrativa (NTI)
della legge di bilancio 2017 e il DEF 2017
(milioni di euro)
Fonte:
Elaborazione su DATI DEF 2017 e NTI legge di bilancio 2017
I dati
riferiti all’esercizio 2016 resi noti dall’ISTAT[24] attestano un indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni per il 2016
pari, in valore assoluto, a 40.809 milioni, corrispondente al 2,4% del PIL.
Il dato
indica un miglioramento rispetto
all’anno 2015: in tale esercizio l’indebitamento è infatti risultato pari a
44.197 milioni (2,7% del PIL).
Dal
confronto fra il 2016 e il 2015 – limitando l’analisi ai principali aggregati
del conto economico della p.a. – emerge che concorrono al miglioramento del saldo
sia un decremento delle spese (per 0,8 miliardi), sia un incremento delle
entrate (per 2,6 miliardi): tali componenti si riflettono in un miglioramento
sia del saldo primario (+1,6 miliardi) sia della spesa per interessi (-1,8
miliardi).
Più in
generale, osservando il recente andamento delle determinanti del saldo, si
rileva che:
§
l’avanzo primario, dopo aver raggiunto l’1,6%
del PIL nel 2014 (25,4 miliardi), rimane costante all’1,5% nel 2015 e nel 2016,
sia pur con un miglioramento in valore assoluto (passando da 23,9 miliardi a
25,5 miliardi);
§
la spesa per interessi si attesta al 4,0% del
PIL (66,3 miliardi), riducendosi ulteriormente rispetto al livello del 2015
(68,1 miliardi pari al 4,1% del PIL) e del 2014 (74,4 miliardi pari al 4,6% del
PIL).
In
merito alla spesa per interessi si rinvia all’apposito approfondimento.
Gli
andamenti delle diverse voci di entrata e di spesa sono esaminati distintamente
nei successivi capitoli.
Si
segnala infine che, in termini strutturali, l’indebitamento netto si colloca
nel 2016 all’1,1% del PIL, in aumento rispetto al dato del 2015 (-0,5%). Per
l’illustrazione dei saldi strutturali, si rinvia ai capitoli del presente dossier relativi al percorso
programmatico di finanza pubblica.
Rispetto all’anno 2015, nel 2016 le entrate totali delle
Amministrazioni pubbliche hanno registrato, in valore assoluto, un incremento
di 2,6 miliardi di euro (da 785,9 miliardi a 788,5 miliardi di euro). Poiché
tale incremento risulta proporzionalmente inferiore a quello del PIL,
l’andamento delle entrate totali rispetto al prodotto interno lordo registra
una contrazione, attestandosi al 47,1% del PIL (-0,7 punti percentuali rispetto
al 2015).
In
particolare, le entrate correnti evidenziano, rispetto al 2015, un incremento
di circa 1,4 miliardi (+0,2%), determinato in via prevalente dall’aumento delle
imposte dirette (+2,3%) e dei contributi sociali (+1,1%). Le imposte indirette
evidenziano, invece, una contrazione di circa 7,7 miliardi di euro (-3,1%).
Rispetto al PIL, le entrate correnti registrano una riduzione di 0,7 punti
percentuali, passando dal 47,4 al 46,7% del prodotto interno lordo.
Tra le
imposte dirette, il DEF evidenzia il contributo positivo del gettito IRPEF ed
IRES. In particolare, viene segnalato che il gettito IRES riflette l’aumento
della redditività di alcuni segmenti dell’economia che ha riequilibrato le
minori entrate correlate all’agevolazione concessa dalla legge di stabilità
2016 (cd maxi ammortamento) e alla revisione dell’ACE (aiuto alla crescita
economica).
La
contrazione delle imposte indirette, registrata con riferimento all’intero
comparto della pubblica amministrazione, è determinata da un incremento
riferito al settore statale (+3,179 miliardi) e da una riduzione registrata nel
settore delle amministrazioni locali (-10,844 miliardi). In proposito, il DEF
evidenzia che – con riferimento al comparto
delle amministrazioni centrali – la crescita delle imposte indirette è
attribuibile prevalentemente all’imposta sul valore aggiunto per effetto
dell’aumento sia degli scambi interni sia dei versamenti dell’imposta
effettuati dalle Amministrazioni pubbliche in attuazione delle norme sullo split payment introdotte
dalla legge di stabilità 2015. Tale andamento positivo è in parte compensato
dalla contrazione del gettito IVA sulle importazioni, che segna riduzioni a
fronte del calo dei prezzi degli oli minerali, in particolare del greggio.
Lo split payment, introdotto
dalla legge di stabilità 2015[25], si applica alle cessioni di beni e alle
prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli enti della P.A. i quali –
in luogo del pagamento dell’intera fattura al fornitore - versano l’IVA
indicata nella fattura di acquisto direttamente all’Erario e la parte restante
al fornitore[26] (reverse
charge).
Nell’apposito
focus del Documento in esame dedicato
al contrasto all’evasione fiscale[27] si afferma che le valutazioni ex post delle misure introdotte in
ambito IVA evidenziano un recupero di gettito complessivo di circa 3,77
miliardi, di cui circa 2,1 dovuto alle disposizioni introdotte dalla legge di
stabilità 2015: tale recupero risulta superiore a quello quantificato ex ante in sede di relazione tecnica
(988 milioni annui per lo split payment e 900 milioni annui per l’estensione del
meccanismo reverse charge
al settore delle pulizie, dei certificati verdi e dell’edilizia
specializzata).
In
merito alla contrazione delle imposte indirette registrata nel comparto delle amministrazioni locali il
DEF segnala la riduzione del gettito IRAP, determinata dalle disposizioni sul
cuneo fiscale introdotte dalla legge di stabilità 2015, l’abolizione della TASI
sull’abitazione principale e la rimodulazione dell’IMU sui terreni agricoli e
sulle abitazioni date in locazione a canone concordato.
I dati
del bollettino delle entrate tributarie - che riflettono peraltro un diverso
criterio di contabilizzazione[28] - confermano l’andamento decrescente
dell’IRAP (-6,6 miliardi nel 2016 rispetto al 2015) e dell’IMU (-0,6 miliardi).
Per quanto concerne la TASI, il bollettino delle entrate afferma che il gettito
2016 registra una riduzione di 3,6 miliardi di euro rispetto al gettito 2015.
Per
quanto riguarda le imposte in conto capitale, l’incremento (da 1.217 milioni del
2015 a 5.199 milioni del 2016) è determinato principalmente dal gettito
derivante dalla voluntary disclosure.
La
tabella II.2-9 concernente le misure one-off, riportata
nella Sezione II del Documento in esame, indica, in corrispondenza della voce
emersione e rientro di capitali detenuti all’estero (voluntary disclosure), entrate pari a 212 milioni
nel 2015, a 4.078 milioni nel 2016 e a 2.000 milioni nel 2017.
Rispetto alle valutazioni per l’anno 2016
contenute nella NTI 2017,
l’incremento delle entrate tributarie della PA (+2.767 milioni) è determinato
dalle maggiori entrate derivanti dalle imposte indirette (+1.231 milioni),
dalle imposte in conto capitale (+1.334 milioni) e dalle imposte dirette (+202
milioni).
Il DEF
evidenzia che lo scostamento del gettito delle imposte indirette rispetto alle
previsioni è determinato in via prevalente dall’imposta sul valore aggiunto che
ha mostrato maggiori entrate sia per la componente scambi interni (+628
milioni) per effetto di una dinamica dei consumi più favorevole sia per la
componente importazioni (+623 milioni) che ha beneficiato di un miglioramento.
Per quanto concerne le imposte dirette – che registrano un lieve scostamento
rispetto alle previsioni NTI – il DEF evidenzia che il dato include, da un
lato, l’aumento delle entrate relative alla collaborazione volontaria (voluntary disclosure)
e, dall’altro lato, gli effetti di una dinamica meno favorevole dei tassi di
interesse che ha determinato un calo delle entrate relative alle rendite
finanziarie.
Viene
inoltre precisato che le innovazioni contabili introdotte dal SEC 2010 hanno
comportato un diverso trattamento dei crediti per imposte anticipate (Deferred Tax Assets, DTA), che dal 2014 non vengono più
contabilizzati per cassa, tra le poste correttive che nettizzano
le entrate tributarie del bilancio dello Stato, ma sono registrate tra le spese
per l’intero ammontare nell’anno in cui si sono formate (principio della
competenza). Per l’anno 2016 i crediti DTA sono stati pari a 2,4 miliardi (4,9
miliardi nel 2015).
I
contributi sociali, rispetto alle previsioni della NTI, risultano di ammontare
superiore, con uno scostamento di 1.771 milioni rispetto alle precedenti stime
per effetto di maggiori contributi sociali effettivi (+1.863 milioni) e di un
lieve decremento dei contributi figurativi (-92 milioni). Tale andamento
positivo - riscontrabile anche rispetto al consuntivo 2015 con un incremento
dell’1,1% annuo - è riferibile anche a un’evoluzione del quadro macroeconomico
più favorevole del previsto.
La pressione fiscale si riduce dal 43,3%
del 2015 al 42,9% del 2016. Al netto degli effetti del c.d. bonus 80 euro, la pressione fiscale
risulterebbe pari al 42,3% nel 2016.
Infatti,
il Documento evidenzia che l'incremento di gettito prodotto dal contrasto
all'evasione fiscale è stato impiegato per la riduzione di imposte,
determinando un rafforzamento della crescita e, conseguentemente, una riduzione
della pressione fiscale. Il DEF ricorda, tra gli altri, il c.d. bonus 80 euro per i lavoratori
dipendenti con redditi medio-bassi, e gli interventi che hanno riguardato
l’IRAP (dal 2015), l’IMU (dal 2016) e l’IRES (dal 2017).
Nell’apposito
focus dedicato al contrasto
all’evasione fiscale[29], il DEF evidenzia che nel corso del 2016
l’attività di recupero dell’evasione ha fatto registrare incassi per un
ammontare pari a 19 miliardi (+28% rispetto al 2015), confermando un andamento
positivo tenuto conto che nel triennio 2014–2016 sono stati incassati oltre 48
miliardi. Gli incassi del 2016 includono gli effetti della voluntary disclosure (4,1 miliardi).
Viene
altresì ricordato che, in base ai risultati della “Relazione sull’economia non
osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”, l’evasione tributaria e
contributiva è stimata in 111.655 milioni di cui la quota tributaria è pari a
100.366 milioni di euro.
Le
spese finali nel 2016 mostrano un decremento rispetto al precedente esercizio
(-0,1%), passando da 830.135 milioni a 829.311 milioni.
Rispetto
al PIL, le spese finali diminuiscono la loro incidenza, passando dal 50,5% del
2015 al 49,6 del 2016. La variazione complessiva è determinata dalla
diminuzione per 0,7 punti di PIL della spesa in conto capitale mentre rimangono
sostanzialmente stabili la spesa corrente primaria, attestata al 42,2% in
entrambi gli anni 2015 e 2016 e la spesa per interessi, che passa dal 4,1 al
4,0%.
Per
quanto attiene alle principali componenti di spesa, il consuntivo 2016
evidenzia una spesa per prestazioni sociali in denaro pari a 337.514 milioni di
euro (20,2% del PIL). Rispetto al consuntivo 2015 l”aggregato
di spesa presenta un tasso di incremento pari all’1,4%.
Nel
dettaglio, il Documento segnala che la spesa pensionistica è aumentata dello
0,9% (sia in ragione del saldo tra le nuove pensioni liquidate e le pensioni
eliminate, in termini numerici e in termini di importo, sia per la
ricostituzione delle pensioni in essere, sia a seguito della sentenza della
Corte costituzionale 70/2015 e della conseguente emanazione del D.L. 65/2015).
Più sensibile in termini percentuali è risultato l’incremento delle altre
prestazioni sociali in denaro (+3,3%), il cui andamento è condizionato, tra
l’altro, da un aumento della spesa per liquidazioni di fine rapporto,
dall’introduzione dell’istituto dell’assegno di natalità, nonché
dall’incremento della spesa per le prestazioni di integrazione al reddito, e
per altri assegni e sussidi assistenziali.
I risultati di consuntivo 2016 della spesa per
prestazioni sociali in denaro evidenziano in ogni caso un livello di spesa
inferiore alle previsioni contenute nella Nota tecnico-illustrativa alla legge
di bilancio 2017-2019, per 1.946 milioni di euro.
Si
accresce, invece, la spesa per redditi da lavoro dipendente dell’1,3% rispetto
al 2015, attestandosi ad un valore pari a 164.084 milioni di euro. L’incidenza
in termini di PIL rimane invariata al 9,8%.
Il dato
di consuntivo 2016 risulta più elevato di 1.176 milioni rispetto a quanto
previsto dalla Nota tecnico-illustrativa a seguito sia della revisione della
base 2015, sia dell’inclusione dei compensi RAI operata per l'ingresso
dell’ingresso di RAI s.p.a. nella lista delle
Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato.
L’aggregato
dei consumi intermedi fa registrare un incremento della spesa dell’1,3%.
L’incidenza di tale voce in termini di PIL resta inalterata all’8,1%. Rispetto
alle precedenti stime fornite dalla Nota tecnico-illustrativa, il dato di
consuntivo 2016 risulta più elevato di 2.144 milioni. La modifica, secondo
quanto affermato nel DEF, deriva, anche in questo caso, dalla revisione della
base 2015, dall’inclusione della RAI nel novero delle amministrazioni pubbliche
oltre che da maggiori spese del Bilancio dello Stato.
L’evoluzione
della spesa corrente è influenzata anche dalla dinamica della spesa sanitaria,
che aumenta rispetto al precedente esercizio complessivamente dell’1,2% (da 111.245
a 112.542 milioni), mentre l’incidenza sul PIL rimane sostanzialmente
invariata, passando dal 6,8 al 6,7%. L’andamento complessivo dell’aggregato è
determinato dalle seguenti componenti:
spesa
per i redditi da lavoro dipendente, che risulta pari a 34.907 milioni, in
riduzione dello 0,5% rispetto al 2015;
spesa
per i consumi intermedi, che risulta pari a 31.586 milioni, in crescita
rispetto al 2015 del 4,3%. Tale dinamica è essenzialmente determinata dal tasso
di crescita della spesa per l’acquisto dei prodotti farmaceutici che registra
un aumento di poco superiore all’8%, per lo più imputabile alla spesa per
farmaci innovativi, tra i quali quelli oncologici e quelli per la cura
dell’epatite C;
spesa
per le prestazioni sociali in natura corrispondenti a beni e servizi prodotti
da produttori market, che è pari a
39.589 milioni, leggermente superiore a quella del 2015 (+0,3%). Il
contenimento della crescita di questo aggregato è essenzialmente imputabile,
come spiega il Documento, alla riduzione pari al 2% dell’assistenza
farmaceutica convenzionata;
per le
altre componenti di spesa, il livello registrato è pari a 6.460 milioni, con un
incremento dello 0,6% rispetto al 2015.
Infine,
la spesa in conto capitale risulta pari, nel 2016, a 57.338 milioni con una
riduzione, rispetto al dato del 2015, di 10.910 milioni, pari a circa il 16%.
In termini percentuali rispetto al PIL, l’incidenza della spesa in conto
capitale passa dal 4,1% del 2015 al 3,4% del 2016.
Tale
andamento è peraltro influenzato, come evidenziato dal DEF, dal sensibile
incremento registrato nel precedente esercizio dalla spesa in conto capitale,
per effetto della contabilizzazione in tale voce degli effetti di operazioni
relative al Fondo nazionale di risoluzione e di oneri una tantum conseguenti alla sentenza della Corte costituzionale in
materia di indicizzazione delle pensioni n. 70 del 2015 e del decreto legge n.
65/2015.
Dal
confronto con le precedenti stime della NTI, si osserva una riduzione
complessiva dell'aggregato (‑942 milioni), accompagnata da una parziale
ricomposizione tra le voci di spesa capitale: gli investimenti fissi lordi
registrano infatti uno scostamento negativo di 2.064 milioni, mentre il
risultato dei contributi agli investimenti risulta più elevato per 759 milioni.
Rispetto
alle stime contenute nella Nota tecnico-illustrativa alla legge di bilancio
(NTI) 2017, riferite al triennio 2017-2019, il DEF presenta le nuove previsioni
sulla base delle informazioni relative al 2016 diffuse dall’ISTAT, del nuovo
quadro macroeconomico rappresentato nella Sezione I del DEF medesimo (che
contiene il Programma di stabilità dell’Italia) e dell'impatto finanziario dei
provvedimenti approvati fino al mese di marzo 2017.
Sono
inoltre presentate le previsioni relative all’esercizio 2020, non considerato
nell’orizzonte previsionale della NTI.
Il DEF
rappresenta l’andamento previsto dell’indebitamento
netto delle pubbliche amministrazioni nel periodo 2017-2020 ed effettua una
revisione delle stime della NTI, che incorpora gli effetti della legge di
bilancio 2017. Di seguito si dà conto di questi elementi.
Andamento nel periodo 2017-2020
Il
conto economico esposto dal DEF evidenzia per
il 2017 un indebitamento netto pari al 2,3%
del PIL (39,6 miliardi).
Rispetto al 2016, nel 2017 si
determina quindi una riduzione del saldo dello 0,1% in termini di PIL, dovuta
sia a un miglioramento del saldo primario (+1,0 miliardi) sia a una minore
spesa per interessi (-0,3 miliardi).
Concorre
al miglioramento del rapporto indebitamento netto/PIL anche la crescita del PIL
nominale, stimata per il 2017 al 2,2% rispetto al 2016.
Per gli anni
successivi, si stima un’ulteriore riduzione, sia in valore assoluto sia in
rapporto al PIL, dell’indebitamento netto, secondo la seguente progressione:
2018: 22.801
milioni (1,3% del PIL);
2019: 10.682 milioni (0,6% del PIL);
2020: 8.389 milioni (0,5% del PIL).
In base al DEF,
l’indicato percorso di miglioramento del saldo è determinato dai seguenti
fattori:
·
la spesa
per interessi registra, in termini di incidenza sul PIL, una riduzione
iniziale (dal 3,9% del 2017 al 3,7% del 2018 e del 2019) per poi attestarsi al
3,8% nel 2020;
·
il saldo
primario, positivo in tutti gli esercizi, aumenta la propria incidenza
rispetto al PIL dall’1,5% del 2017 al 2,4% nel 2018, al 3,1% nel 2019, fino a
raggiungere il 3,4% nel 2020.
Il
percorso di riduzione del disavanzo tendenziale - che sconta l’operatività, dal
2018, delle clausole di salvaguardia (cfr.
apposito approfondimento) - risulta attribuibile ad una riduzione delle spese
(in rapporto al PIL si passa dal 49,1% del 2017 al 47,0% del 2020), mentre
l’incidenza delle entrate rispetto al PIL cresce nel 2018 (dal 46,8% del 2017
al 47%), resta stabile nel 2019, per diminuire nuovamente al termine del
periodo di previsione (46,5% del 2020).
Revisione delle
stime e raffronto rispetto alla NTI
Con riferimento al
triennio 2017-2019 è possibile operare un raffronto
con le previsioni contenute nella NTI.
Relativamente al 2017 l’indebitamento netto (pari, come
visto, al 2,3% del PIL) risulta in linea con le precedenti stime.
Per quanto riguarda
gli esercizi successivi, rispetto alla NTI, il raffronto evidenzia un
peggioramento per il biennio, comunque sempre nel quadro di un progressivo
percorso di riduzione del deficit.
In rapporto al PIL,
infatti, le previsioni risultano così aggiornate:
·
per il 2018 la previsione di indebitamento
netto passa dall’1,2% (NTI) all’1,3% (DEF);
·
per il 2019 la stima passa dallo 0,2% (NTI)
allo 0,6% di indebitamento netto (DEF).
Tale revisione è
determinata da una riduzione delle stime del saldo primario (in termini assoluti: -0,7 miliardi nel 2018 e -1,6
miliardi nel 2019), cui si aggiunge un incremento della spesa per interessi (+3,1 miliardi nel 2018 e +5,6 miliardi nel
2019).
Concorre
alla revisione delle stime del rapporto indebitamento netto/PIL anche
l’aggiornamento delle previsioni sul PIL nominale (-0,4 miliardi nel 2018 e
-2,6 miliardi nel 2019).
Si
evidenzia infine che la sez. I del DEF 2017 fornisce anche le indicazioni
relative all’andamento tendenziale dell’ indebitamento netto, in termini
strutturali. Tali previsioni indicano un rapporto del deficit strutturale
rispetto al PIL pari all’1,6% nel 2016, con un miglioramento negli esercizi
successivi fino a raggiungere valori prossimi al pareggio nel 2019 (-0,2%) e
nel 2020 (‑0,4).
Sul
punto si rinvia ai paragrafi relativi al percorso programmatico di finanza
pubblica.
Il
Documento di economia e finanza 2017 stima per il periodo di previsione un
andamento crescente, in valore assoluto, delle entrate totali, che passano da 799,6 miliardi nel 2017 a 865,8
miliardi nel 2020.
In
termini di incidenza sul PIL, le stime relative alle entrate totali della PA
registrano, invece, per il 2017 una riduzione di 0,3 punti percentuali
(passando da 47,1 a 46,8 punti percentuali). Negli anni 2018 e 2019 le entrate
totali si attestano nuovamente al 47,0% del PIL, mentre nel 2020 si riducono al
46,5% del PIL.
Il
Documento afferma che tale andamento risente della dinamica del PIL nominale,
dell’effetto combinato della sterilizzazione delle clausole di salvaguardia con
riguardo all’esercizio 2017, delle misure relative agli sgravi contributivi e
delle altre misure previste dalla legge di bilancio per il 2017 in materia di
entrate fiscali.
In
merito all’aggiornamento delle stime, il DEF segnala che, rispetto alla NTI, le
nuove previsioni incorporano gli effetti di un profilo di crescita del PIL
nominale più elevato per il 2017 e più contenuto per gli anni successivi. Nel
confronto con le valutazioni della NTI 2017, la previsione aggiornata per
l’anno 2017 sconta 0,2 punti percentuali di PIL di maggiori entrate non
tributarie mentre resta sostanzialmente stabile l’incidenza delle entrate
tributarie.
Riguardo
ai fattori che, in linea generale, hanno determinato la revisione delle stime
delle entrate rispetto a quelle indicate nella NTI, il DEF evidenzia che le
nuove previsioni considerano, oltre alle variazioni del quadro macroeconomico e
agli effetti dei provvedimenti legislativi con impatto differenziale sugli anni
di riferimento, anche l’effetto di trascinamento dei risultati 2016. Con
riferimento alle sole entrate tributarie,
nel 2016 infatti si registra un incremento di 2.767 milioni rispetto alle
precedenti stime (da 493.081 milioni della NTI a 495.848 milioni del DEF).
L’aggiornamento
delle previsioni riferite a tale componente di entrata evidenzia una crescita
anche per il 2017 (da 498,4 miliardi a 499,1 miliardi) ed una riduzione negli
anni 2018 e 2019 (rispettivamente, -3 miliardi e -2,5 miliardi).
Se si
considera l’intero periodo di riferimento (2017-2019), il DEF stima una
crescita più attenuata delle entrate tributarie rispetto a quella prevista
dalla NTI. In termini percentuali, rispetto al 2017, le entrate tributarie
aumentano nel 2019 del 7,5%, secondo le stime della NTI, e del 6,9% nel DEF.
Analizzando
il nuovo quadro previsionale riportato nel DEF 2017, si osservano, su base
annua, le seguenti principali variazioni.
Per
quanto attiene alle entrate tributarie,
si registra una variazione positiva per l’anno 2017, rispetto al 2016, in
misura pari a circa 3,3 miliardi.
Le
prospettive di miglioramento della congiuntura economica producono effetti
positivi anche sulle entrate previste per gli anni successivi. Nell’anno 2018 le previsioni delle entrate
tributarie mostrano, rispetto all’anno precedente, un incremento del 4,1%
(+20.448 milioni) ascrivibile solo in parte al miglioramento del quadro
congiunturale; per l’altra parte l’incremento delle previsioni è attribuibile
agli effetti della legge di bilancio 2017 e dei provvedimenti legislativi
adottati in anni precedenti, con particolare riferimento alle “clausole di
salvaguardia” (cfr apposito approfondimento).
Negli
anni 2019 e 2020 si prevedono ulteriori incrementi delle entrate tributarie, su
base annua, più contenuti, pari, rispettivamente, al 2,6% (+13.755 milioni) e
all’1,6% (+8.616 milioni).
Nella
seguente tabella si confrontano le entrate tributarie indicate dal DEF con le
componenti, incluse nei tendenziali, relative alle clausole di salvaguardia,
evidenziando, infine, le variazioni stimate, al netto degli effetti ascritti
alle medesime clausole.
(importi in milioni di euro)
La
tabella evidenzia che, al netto delle variazioni dovute alle clausole di
salvaguardia, gli incrementi delle entrate tributarie risulterebbero pari a
circa 0,9 miliardi nel 2018 (rispetto al 2017), a circa 10 miliardi nel 2019
(rispetto al 2018) e a circa 8,6 miliardi nel 2020 (rispetto al 2019).
Il DEF
segnala altresì che tutte le principali voci di entrata registrano una
evoluzione positiva nel periodo considerato, come riflesso degli sviluppi del
quadro macroeconomico e degli interventi normativi previsti a legislazione vigente,
ad eccezione delle imposte dirette,
che per il solo 2018 registrano una flessione rispetto al 2017 (-3.359
milioni). Il DEF attribuisce tale flessione anche agli interventi previsti
dalla legge di bilancio 2017 in materia di nuova IRI (imposta sul reddito delle
imprese) e alle modifiche alla disciplina ACE.
L’imposta
sul reddito d’impresa (IRI)[30] è un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e
relative addizionali e si applica ai redditi d’impresa realizzati dalle persone
fisiche. L’aliquota dell’imposta è fissata, in linea con l’aliquota IRES, al
24%. Alla disposizione che ha introdotto tale disciplina sono stati attribuiti
effetti finanziari netti di minore entrata, per l’anno 2018, pari a circa 2
miliardi di euro e, a decorrere dal 2019, pari a circa 1,2 miliardi.
I commi
da 549 a 553 della legge di bilancio 2017 modificano la disciplina ACE. Alla
disposizione sono ascritti effetti positivi di gettito pari a 1,7 miliardi nel
2017, 1,5 miliardi nel 2018 e a 1,4 miliardi dal 2019.
Complessivamente,
alle misure sono stati quindi imputati, per il 2018, effetti netti di minor
gettito (per circa 0,5 miliardi).
Con
specifico riferimento alle entrate in
conto capitale, il DEF segnala, per il 2018 una riduzione, sia per la
componente tributaria che per quella non tributaria, pari, rispettivamente, a
1.992 e 1.972 milioni di euro. Il Documento segnala che tale riduzione è
determinata dal venir meno della riapertura dei termini della voluntary disclosure
(imposte tributarie in c/ capitale), del contributo del fondo nazionale di
risoluzione banche e di quello relativo ai fondi UE per solidarietà terremoto
(entrate in conto capitale non tributarie), che incidono invece sulla predetta
voce nel 2017.
Si
segnala in proposito che, nel prospetto relativo alle misure one-off contenuto nella sezione II del
Documento in esame[31], le entrate relative alla voluntary disclosure sono indicate in misura pari
a 212 milioni nel 2015, 4.078 milioni nel 2016 e 2.000 milioni per l’anno 2017.
Inoltre, per l’anno 2017, sono indicate entrate da contributo del fondo
nazionale di risoluzione banche pari a 1.526 milioni e da Fondo solidarietà UE
per “sisma Amatrice” pari a 750 milioni.
Si
ricorda che la legge di bilancio 2017 aveva ascritto effetti di maggiore
entrata per l’anno 2017 relativi alla disciplina della voluntary disclosure pari a 1.600 milioni.
Con
riferimento infine ai contributi sociali,
le previsioni rispetto ai dati di consuntivo 2016 (221.440 milioni di euro)
sono stimate crescere dell’1,4% nel 2017, mentre nel 2018 e nel 2019 la crescita
sarà più sostenuta, rispettivamente del 3,7 e 3,8%. Tale dinamica riflette
l’andamento dei redditi da lavoro dipendente e dell’occupazione sottostante le
previsioni del quadro macroeconomico, nonché il venir meno delle misure di
decontribuzione per le nuove assunzioni. Con riferimento alla incidenza
rispetto al PIL, a fronte di un lieve calo nel 2017 (13,1%), si stima una
risalita al 13,2% nel 2018, al 13,4% nel 2019 e al 13,3% nel 2020, con una
media del triennio 2018-2020 pari quindi al 13,3%.
Infine,
le previsioni del DEF 2017 concernenti la pressione
fiscale evidenziano una riduzione dal 42,9% del 2016 al 42,4% del 2020, con
un livello minimo del 42,3% nel 2017.
Nella
seguente tabella si riportano i dati relativi alla pressione fiscale, anche al
netto del cd bonus 80 euro, contenuti
nella Tavola III.1 del DEF 2017[32].
(in % del PIL)
Aumento
aliquote IVA ed accise
L’articolo
1, comma 626, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014) e articolo 1,
comma 718, della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015) hanno introdotto
clausole di salvaguardia che prevedono l’attivazione di meccanismi automatici
per la realizzazione di effetti di maggior gettito fiscale. Tali norme sono
state oggetto di numerosi interventi di modifica diretti, in via prevalente, ad
evitare l’entrata in vigore, per determinati periodi di imposta, degli aumenti
delle aliquote.
Situazione
ante legge di bilancio 2017
La
disciplina vigente fino al 31 dicembre 2016 prevedeva:
-
l’incremento, dal 10% al 13%, dell’aliquota
IVA ridotta a decorrere dal 2017;
-
l’incremento dal 22% al 24% nel 2017 e
l’ulteriore incremento al 25% dal 2018, dell’aliquota IVA ordinaria;
-
l’incremento delle aliquote di accisa sui
carburanti in misura tale da assicurare maggiori entrate pari a 350 milioni a
decorrere dal 2018.
Gli
effetti finanziari di maggior gettito ascritti alle predette misure sono
indicati nella seguente tabella.
(importi in milioni di euro)
Legge
di bilancio 2017
L’articolo
1, commi 631 e 632, della legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017) è
intervenuta sulla disciplina in esame disattivando gli incrementi di aliquote
(IVA e accise) previste per l’anno 2017 a fronte di una variazione
dell’aliquota IVA ordinaria (dal 25% al 25,9%) a decorrere dal 2019.
Gli
effetti finanziari di maggior gettito attesi dopo le modifiche introdotte dalla
legge di bilancio 2017 sono indicati nella seguente tabella.
(importi in milioni di euro)
In
termini di PIL, gli effetti di maggiori entrate attese dall’attivazione delle
clausole di salvaguardia rappresentano circa l’1,1% nel 2018, l’1,3% nel 2019 e
l’1,2% nel 2020.
Il DEF
2017 stima per il periodo di previsione un andamento crescente, in valore
assoluto, delle spese finali, che passano da 839,1 miliardi del 2017 a 874,2
miliardi del 2020. In termini di PIL tuttavia l’incidenza delle spese si riduce
da 49,1% del 2017 al 48,3 del 2018 fino ad attestarsi al 47% al termine del
periodo di previsione.
La
spesa corrente primaria è caratterizzata da variazioni annue positive (1,4%
nell’anno in corso, 1,0% nel 2018, 1,5% nel 2019, 1,8% nel 2020). A tale
andamento corrisponde tuttavia una riduzione dell’incidenza di tale aggregato,
espresso in termini di PIL, che passa dal 41,9% del 2017 al 40,1% nel 2020.
Rispetto
alle precedenti previsioni contenute nella NTI, si registrano maggiori spese
finali per circa 5,0 miliardi nel 2017, 2,1 miliardi nel 2018 e 6,4 miliardi
nel 2019. Il peggioramento è dovuto alla revisione in aumento delle previsioni
di spesa per redditi da lavoro dipendente, consumi intermedi, per altre uscite
correnti e interessi e ad un miglioramento delle previsioni relative alla spesa
per prestazioni sociali ed in conto capitale.
Con
riguardo ai diversi aggregati di spesa, per i redditi da lavoro dipendente si
prevede una moderata crescita delle retribuzioni per l’anno 2017 (1,6%),
seguita da una riduzione dello 0,5% nell’anno 2018, mentre negli anni 2019 e
2020 è attesa una crescita, rispettivamente, dello 0,3 e dello 0,2% da
attribuire, fra l’altro, alla corresponsione dell’identità di vacanza
contrattuale (IVC) del nuovo biennio contrattuale 2019-2020. L’incremento della
spesa del 2017 sconta anche l’onere derivante dai rinnovi contrattuali che si
ipotizza vengano sottoscritti nell’anno. La riduzione registrata nel 2018 è,
invece, spiegata, secondo le informazioni del DEF, dal venir meno, a
legislazione vigente, del finanziamento delle missioni di pace.
Rispetto
a quanto ipotizzato nella Nota tecnico illustrativa la spesa per redditi da
lavoro dipendente cresce di circa 1,9 miliardi nel 2017, di 1,6 miliardi nel
2018 e di 1,8 miliardi nel 2019.
Tale
effetto sembra imputabile, almeno in parte, ad una revisione al rialzo del dato
2016. Quest'ultimo, infatti, è stato incrementato di circa 1,2 miliardi per
effetto della revisione del dato 2015 e per l’inclusione dei compensi RAI, a
seguito dell’ingresso di tale società nel novero delle amministrazioni
pubbliche.
Nelle
nuove previsioni, la riduzione dell’incidenza di tale voce di spesa rispetto al
prodotto (dal 9,8% del 2016 al 9,0% del 2020) viene conseguita, come
evidenziato dal DEF, nonostante: gli effetti di spesa conseguenti
all’istituzione del Fondo per il pubblico impiego di cui all’articolo 1, comma
365, della legge n. 232/2016 (1.480 milioni per il 2017, 1.930 milioni dal
2018) e alla considerazione, come accennato in precedenza, dell’indennità di
vacanza contrattuale da corrispondere con riferimento al triennio 2019-2020.
Si
prevede inoltre un incremento della spesa per consumi intermedi nel 2017 dello
0,7%, seguita da una riduzione pari allo 0,3% nel 2018, mentre nel 2019 e nel
2020 la voce torna a crescere, rispettivamente, dello 0,7% e 1,8%. L’andamento
di tale voce di spesa si mantiene comunque al di sotto della dinamica del PIL
nominale evidenziando, conseguentemente, un’incidenza sul PIL che si riduce
dall’8,0% dell’esercizio 2017 al 7,5% del 2020, secondo quanto riferito dal
DEF, in conseguenza delle norme di contenimento della spesa adottate. Nel DEF
si chiarisce che l’incremento su base annua della spesa del 2017 deriva dagli
interventi disposti dal decreto legge fiscale 193/2016 e dalla legge di
bilancio 2017 e dalla dinamica della spesa sanitaria. L’incremento di spesa
registrato nel 2020 è, invece, sempre secondo il DEF, conseguenza del venir
meno delle misure di contenimento adottate negli anni passati.
Rispetto
a quanto ipotizzato nella Nota tecnica illustrativa la spesa per consumi
intermedi aumenta, di 1,6 miliardi nel 2017, di 2,7 miliardi nel 2018 e di 2,1
miliardi nel 2019. La revisione è effetto, secondo quanto specificato nel DEF,
dell’aggiornamento della base 2015, dell’inclusione della RAI nella lista delle
amministrazioni pubbliche e di maggiori spese del Bilancio dello Stato:
l’effetto di tali revisioni ha comportato un rialzo delle stime per il 2016 di
2.144 milioni e quindi un effetto di trascinamento nelle previsioni per gli
anni successivi.
L’andamento
della spesa sanitaria indicato nel quadro tendenziale sconta una crescita
dell’1,4% nell’anno 2017 con un valore pari a 114.138 milioni di euro e
un’incidenza sul PIL del 6,7%. Tale andamento è influenzato dalla dinamica
crescente di tutte le componenti dell’aggregato con un’influenza più marcata
dei consumi intermedi, che mostrano un tasso di crescita rispetto all’anno
precedente del 2,7%. Il Documento evidenzia che la dinamica crescente di tale
aggregato è influenzata principalmente dalla componente farmaceutica che sconta
i maggiori costi connessi all’immissione sul mercato di farmaci innovativi
nonché il rispetto del nuovo tetto del 6,89% della spesa farmaceutica per
acquisti diretti[33].
Per il
triennio 2018-2020 la spesa sanitaria è prevista crescere ad un tasso medio
annuo dell’1,3%, mentre il rapporto fra la spesa sanitaria e il PIL decresce e
si attesta, alla fine dell’arco temporale considerato, ad un livello pari al
6,4%. Tale andamento, precisa il Documento, sconta le previsioni relative al
PIL nominale assunto dal quadro macroeconomico, che nel medesimo arco temporale
cresce in media del 2,9%.
Per l’anno 2017, la stima della spesa per
prestazioni sociali in denaro, predisposta a legislazione vigente, risulta in
crescita del 2,2% circa rispetto ai dati di consuntivo 2016, per un valore in
termini assoluti di 344.850 milioni.
Nel dettaglio, il Documento segnala che la
spesa pensionistica è prevista in aumento dell’1,3%, tenuto conto anche delle
misure contenute nella legge di bilancio 2017 quali: l’aumento dell'importo della cosiddetta
quattordicesima per i pensionati con reddito fino a 1,5 volte il trattamento minimo;
nuove agevolazioni per i lavori usuranti e per l’accesso al pensionamento dei
lavoratori precoci; l’ottava salvaguardia pensionistica per i lavoratori esodati.
La crescita delle altre prestazioni sociali in
denaro nel 2017 è altresì stimata nel 5,1%. Tale previsione considera le misure
introdotte con la legge di bilancio 2017-2019, tra cui: l’introduzione della
cosiddetta APE sociale; le misure per il sostegno alla famiglia[34], misure
di contrasto alla povertà quali l’incremento del Fondo per la lotta alla
povertà e all’esclusione sociale e misure in favore dei giovani, quali la
proroga della prestazione della carta elettronica per i coloro che compiono 18
anni nel 2017.
Per il periodo 2018-2020, la complessiva spesa
per prestazioni sociali in denaro, prendendo a riferimento l’anno 2017, prevede
incrementi annui del 2,6% in media. Il tasso di variazione annua della spesa
pensionistica è stimato al 2,8%, mentre quello della spesa per altre
prestazioni sociali in denaro risulta dell’1,9%.
Il Documento stima comunque, per il periodo
2012-2019, un livello complessivo della spesa per prestazioni sociali in denaro
inferiore a quanto previsto nella Nota tecnico-illustrativa.
Per la
spesa in conto capitale le previsioni tendenziali mostrano un andamento complessivamente
decrescente nel periodo 2017-2020: a fine periodo l’aggregato si attesta su un
valore pari a 56,7 miliardi, inferiore di circa 1 miliardo rispetto al valore
previsto per il 2017. L’andamento descritto viene confermato dalla dinamica
della spesa in termini di PIL, che dal 3,4% del 2017 scende al 3,0% nel 2020.
Si determinano peraltro valori più elevati nel 2018 e nel 2019, che mostrano
un'incidenza della spesa in conto capitale rispetto al PIL, rispettivamente,
del 3,5% e del 3,3%.
Tale
andamento delle spese in conto capitale va considerato anche nel quadro della
complessiva riduzione tendenziale della spesa primaria nel periodo 2016-2020.
In questa ottica si osserva che, nel periodo considerato, il rapporto fra spesa
capitale e spesa primaria passa dal 7,5% del 2016 al 7,1% circa del 2020,
facendo tuttavia registrare medio tempore
valori più elevati negli esercizi 2018 (7,8%) e 2019 (7,6%).
Dai
dati di consuntivo per il 2016, la spesa per interessi risulta pari a 66.272
milioni con una riduzione, rispetto al dato del 2015, di 1.794 milioni, pari a
quasi il 3%.
Dal
confronto con le precedenti stime, si osserva un valore sostanzialmente in
linea (-206 milioni) rispetto a quello indicato per il 2016 nella Nota tecnico
illustrativa.
Negli
anni 2017 e 2018, le previsioni a legislazione vigente mostrano una spesa per
interessi pari, in valore assoluto, rispettivamente, a 65.979 milioni e a
65.531 milioni. L’andamento decrescente non è confermato dalle previsioni
riferite al 2019 e al 2020, esercizi nei quali l’aggregato di spesa torna a
crescere, raggiungendo, rispettivamente, il valore di 67.422 milioni e 71.089
milioni. In termini di incidenza sul PIL, la spesa si colloca, rispettivamente,
al 3,9% e al 3,7% nei due anni considerati. Non cambia quest’ultima incidenza
nel 2019, mentre si registra un incremento nel 2020 (3,8%).
Rispetto
alle precedenti stime, si osserva che le nuove previsioni assumono, per tutto
il periodo considerato, valori superiori sia a quelli del DEF 2016 sia a quelli
della NTI riferita alla legge di bilancio 2017: in particolare, rispetto a
quest’ultima, si registra una correzione in aumento di circa il 4% nel 2017, il
5% nel 2018 e il 9,2% nel 2019.
Tabella
20. Spesa per interessi: confronto tra DEF 2016,
Nota tecnico illustrativa LB2017 e Documento di economia e finanzia 2017
(importi
in milioni di euro)
|
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
|
|
|
|
|
|
|
DEF
2016 |
|
|
|
|
|
|
Spesa per interessi |
68.440 |
66.911 |
65.186 |
64.075 |
64.002 |
|
Variazione assoluta annua |
-5.900 |
-1.529 |
-1.725 |
-1.111 |
-73 |
|
Variazione % |
-7,9 |
-2,2 |
-2,6 |
-1,7 |
-0,1 |
|
in % del PIL |
4,2 |
4,0 |
3,8 |
3,6 |
3,5 |
|
PIL nominale |
1.636.372 |
1.671.584 |
1.715.832 |
1.764.755 |
1.818.439 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
NTI
LS 2017 |
|
|
|
|
|
|
Spesa per interessi |
68.216 |
66.478 |
63.442 |
62.394 |
61.770 |
|
Variazione assoluta annua |
-6.124 |
-1.738 |
-3.036 |
-1.048 |
-624 |
|
Variazione % |
-8,2 |
-2,5 |
-4,6 |
-1,7 |
-1,0 |
|
in % del PIL |
4,2 |
4,0 |
3,7 |
3,5 |
3,4 |
|
PIL nominale |
1.642.444 |
1.672.026 |
1.705.841 |
1.758.962 |
1.812.933 |
|
|
|
|
|
|
|
|
DEF
2017 |
|
|
|
|
|
|
Spesa per interessi |
68.066 |
66.272 |
65.979 |
65.531 |
67.422 |
71.089 |
Variazione assoluta annua |
-6.311 |
-1.794 |
-293 |
-448 |
1.891 |
3.667 |
Variazione % |
-8,5 |
-2,6 |
-0,4 |
-0,7 |
2,9 |
5,4 |
in % del PIL |
4,1 |
4,0 |
3,9 |
3,7 |
3,7 |
3,8 |
PIL nominale |
1.645.439 |
1.672.438 |
1.709.547 |
1.758.562 |
1.810.380 |
1.861.903 |
Fonte:
elaborazione su dati del DEF 2017
Il
Documento in esame precisa che nel 2016 la spesa per interessi, calcolata in
base al criterio di competenza economica SEC2010, si riduce di circa 1,8
miliardi rispetto al 2015. La riduzione ha interessato principalmente le
Amministrazioni centrali: in particolare, la componente imputabile ai titoli di
Stato è diminuita per circa 2,5 miliardi, mentre la componente relativa a
strumenti diversi dai titoli è aumentata soprattutto per la parte relativa alle
giacenze presso la Tesoreria dello Stato di enti non facenti parte delle PA,
che ha visto un incremento di circa 800 milioni, anche a causa della modifica
dei criteri remunerazione delle stesse giacenze.
Il
Documento evidenzia che, anche nel 2016, la riduzione nella spesa per interessi
sui titoli di Stato va riferita soprattutto nella discesa dei tassi di
collocamento del debito, almeno fino al mese di agosto, ma anche alla bassa
inflazione, sia europea che nazionale, considerato l’impatto che questa
variabile ha sui titoli indicizzati (BTP€i e BTP
Italia).
Nel
periodo 2017-2019, la spesa per interessi rispetto al PIL segue un percorso di
riduzione progressiva, passando dal 3,9% nel 2017 al 3,7% alla fine del periodo
considerato. Rispetto alla NTI, il Documento evidenzia stime annuali in media
più alte di circa 0,2 punti percentuali di PIL. Nell’anno 2020 la spesa per
interessi è prevista attestarsi su un valore pari a 3,8 punti percentuali di
PIL. Il Documento sottolinea che tale revisione al rialzo rispetto alle
precedenti previsioni riflette l’aumento atteso dei tassi di interesse, il
peggioramento in determinati esercizi del fabbisogno (in conseguenza
dell’intervento di sostegno al settore bancario e del termine, nel 2018, del
regime di tesoreria unica[35]) e la scadenza nel 2019 di diversi titoli di
Stato.
In
particolare, il DEF evidenzia che le stime della spesa per interessi sono state
prodotte sulla base di uno scenario dei tassi di interesse elaborato a partire
dai tassi attesi impliciti nella curva dei rendimenti italiana nelle settimane
di elaborazione delle stime. Tale scenario vede un progressivo rialzo dei tassi
su tutte le scadenze, con un contestuale appiattimento della forma della curva
dei rendimenti, dovuto ad una dinamica in aumento dei tassi a breve più
accentuata rispetto a quella dei tassi a medio-lungo termine.
Nella
seguente tabella si riportano i dati forniti dal DEF riferiti alle ipotesi
utilizzate riguardo all’andamento dei tassi di interesse a breve e a lungo
termine.
Tabella
21 - Ipotesi utilizzate per i tassi di interesse
|
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
|
|
|
|
|
|
Tasso di interesse a breve termine |
n.d. |
-0,15 |
0,46 |
1,16 |
1,84 |
Tasso di interesse a lungo termine |
1,40 |
2,28 |
2,98 |
3,33 |
3,63 |
|
|
|
|
|
|
Fonte: PdS-DEF 2017
Nota:
per tasso di interesse a breve termine si intende la media dei tassi previsti
sui titoli di Stato a 3 mesi in emissione durante l’anno. Per tasso di
interesse a lungo termine si intende la media dei tassi previsti sui titoli di
Stato a 10 anni in emissione durante l’anno.
Il
Documento evidenzia altresì che, nonostante l’attesa risalita del costo delle
nuove emissioni, la dinamica prevista della spesa per interessi in rapporto al
PIL sarà contenuta dal miglioramento atteso dei saldi di cassa da finanziare e
dalla composizione attuale e futura dello stock
dei titoli in circolazione, che tende a diluire nel tempo gli effetti sui conti
pubblici di un incremento nel costo di finanziamento sul mercato. In
particolare, il DEF evidenzia che, nel corso del 2016, le emissioni degli
strumenti a tasso fisso di medio lungo termine hanno rafforzato la tendenza,
già evidenziata nel 2015, alla riduzione delle scadenze nei comparti a 2, 3 e 5
anni e all’incremento di quelle con vita uguale o superiore ai 7 anni. Ciò ha
permesso di consolidare la riduzione dell’esposizione ai rischi di
rifinanziamento e di interesse: infatti la vita media complessiva di tutti i
titoli di Stato al 31 dicembre 2016 è risultata pari a 6,76 anni contro i 6,52
anni del 2015, mentre l’Average Refixing Period, il principale indicatore utilizzato per la
misura del rischio di tasso, è passato da 5,42 anni, dato di fine 2015 a 5,66
anni nel 2016. Anche la durata finanziaria di tutto lo stock di titoli del
debito è passata da 5,48 anni, a fine 2015 a 5,54 anni alla fine del 2016.
Il
Documento riporta, come di consueto, la disaggregazione del conto economico per
sottosettori della PA, con riferimento sia agli
esercizi di consuntivo, sia alle previsioni tendenziali.
Con
particolare riferimento alle componenti relative al sottosettore
delle amministrazioni locali, i risultati conseguiti indicano nel 2016 una
flessione dell’incidenza sul PIL sia delle spese, che passano dal 14,6% nel
2015 al 14,3%, sia delle entrate, che si riducono dal 15,0% al 14,6% sul PIL.
In valori assoluti, si registra una contenuta flessione delle spese (circa 752
milioni) a fronte di una riduzione di 2.105 milioni delle entrate. Il saldo
complessivo di bilancio registra valori positivi (accreditamento netto),
mostrando però una flessione in valore assoluto da 5,6 miliardi del 2015 a 4,2
miliardi del 2016.
Sempre
con riferimento agli enti locali, si rileva che le componenti della spesa che,
a consuntivo, registrano una flessione sono, per la parte corrente, quelle
relative ai redditi da lavoro dipendente e alla spesa per interessi. Per quanto
concerne le spese di conto capitale si registra una diminuzione di tutte le
voci e, in particolare, degli investimenti fissi lordi.
Sul
lato dell’entrata incidono sulla variazione delle entrate tributarie (-9,3
miliardi) le imposte indirette, che evidenziano una flessione del gettito per
10,8 miliardi. Corrispondentemente risultano aumentati i trasferimenti,
presumibilmente di carattere compensativo, registrati nella voce trasferimenti
da amministrazioni pubbliche (+ 9,4 miliardi).
L’andamento
riscontrato si riflette anche nelle previsioni tendenziali per gli anni
2017-2020, con una progressiva flessione dell’incidenza sul PIL delle spese
(dal 14,1% del 2017 al 13,2% del 2020) mentre le entrate variano dal 14,3 al
13,3 in termini di PIL con un saldo che resta sempre attivo, passando da 2,8
miliardi del 2017 a 2,0 miliardi nel 2020.
Di
seguito si riporta l’analisi grafica delle principali componenti della spesa primaria della PA e dei suoi sottosettori, espressa in valori assoluti.
Figura
15 - Spesa della PA - Valori assoluti
(milioni
di euro)
Nota: I
grafici sono costruiti su scale diverse.
Gli
andamenti raffigurati mostrano un’evoluzione crescente, in valore assoluto,
della spesa primaria, in larga parte attribuibile alla componente
previdenziale, con un più ridotto contributo della spesa corrente, al netto
degli interessi, delle amministrazioni locali e centrali. La spesa in conto
capitale, dopo essere aumentata, da 57,7 miliardi del 2017 a 61,2 miliardi del
2018, mostra un trend decrescente con
una prima flessione nel 2019 che si accentua nel 2020. Il dato relativo
all’ultimo anno del periodo previsionale si attesta su un valore complessivo di
56,7 miliardi. Dal raffronto del dato 2017 con quello del 2020 la flessione
appare principalmente imputabile alle amministrazioni centrali, mentre
registrano un incremento, sia pur contenuto, le spese in conto capitale delle
amministrazioni locali.
Di
seguito gli stessi importi sono rappresentati in termini di incidenza sul PIL.
Figura
2 - Spesa della PA - Incidenza sul PIL
(percentuale)
Nota: I
grafici sono costruiti su scale diverse.
I
grafici evidenziano che la spesa, al netto degli interessi, si riduce
complessivamente rispetto al PIL nel periodo considerato. La componente della
spesa corrente primaria che riduce meno la propria incidenza nel periodo di
osservazione è quella previdenziale (che varia dal 20,2% del 2017 al 20,0% del
2020). Tra le restanti componenti la spesa corrente primaria delle
amministrazioni centrali registra una più evidente dinamica tendenziale di
riduzione rispetto a quella delle amministrazioni locali. Analogamente, per la spesa
in conto capitale, l’incidenza sul PIL si riduce per le amministrazioni
centrali (dal 2,1% del 2017 all’1,8% del 2020) mentre resta sostanzialmente
stabile quella riferibile alle amministrazioni locali (1,7%).
Il Documento di economia e finanza 2017
aggiorna il quadro programmatico di finanza pubblica per il quadriennio
2017-2020.
Il DEF rafforza il percorso di riduzione
dell’indebitamento netto fino a prevedere il conseguimento di un saldo nullo
nel 2020 e il pareggio di bilancio strutturale sia nel 2019 (+0,1%) che nel
2020 (0,0%).
Si
tratta, dunque, di un aggiornamento dell'obiettivo programmatico e del percorso
di avvicinamento ad esso che - contrariamente a quanto avvenuto in passato
(scostamenti in senso "peggiorativo" accordabili solo in caso di
"eventi eccezionali") - non richiede una procedura rafforzata di
approvazione presso ciascuna Camera a maggioranza assoluta dei rispettivi
componenti ex art. 6, legge n. 243 del
2012.
Box -
il percorso di avvicinamento all'OMT: un'analisi dei precedenti
Questo
box riassume sinteticamente i precedenti riferiti alla fissazione
dell'obiettivo del pareggio di bilancio strutturale e del percorso di
avvicinamento a tale obiettivo.
Con il
DEF 2013 il Governo fissava il raggiungimento del pareggio di bilancio nel
2013.
Nel 2014 in sede di presentazione del DEF, il
Governo chiedeva di posporre il raggiungimento del pareggio di bilancio
strutturale di tre anni - dal 2013 al 2016, e di due anni - dal 2014 al 2016 -
rispetto alla raccomandazione del Consiglio europeo del luglio 2013. In tale
occasione veniva presentata una Relazione ex
art. 6 con la quale si posponeva il raggiungimento dell'obiettivo di medio
periodo (MTO) al 2016, sulla base di tale relazione ciascuna delle due Camere
con propria risoluzione del 17 aprile 2014 ha autorizzato a maggioranza assoluta lo scostamento in questione,
unitamente al piano di rientro.
Sempre
nel 2014, a causa di una revisione al ribasso delle stime sull’andamento
dell’economia italiana per l’anno
in corso e per il 2015, il Governo era spinto a chiedere di rinviare il
conseguimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio dal 2016 al 2017,
presentando una Relazione ex art. 6, approvata presso ciascuna Camera a
maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.
Nel settembre del 2015, il Governo
accompagnava la presentazione della Nota di aggiornamento con una Relazione ex
art. 6 al fine di chiedere un aggiornamento del piano di rientro verso l’OMT e
rinviare l'obiettivo di pareggio al 2018. La Relazione è stata approvata Camera
a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti presso entrambe le Camere.
In sede
di presentazione del DEF 2016, il Governo ha domandato di rinviare l'obiettivo
programmatico portandolo a un sostanziale pareggio di bilancio al 2019. La
Relazione ex articolo 6 della legge
n.243 del 2012 è stata approvata da ciascuna Camera in data 27 aprile 2016 a
maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.
Lo
scorso settembre, il Governo ha presentato come annesso alla Nota una relazione
ex art. 6 con la quale ha chiesto di aggiornare il percorso di avvicinamento
all'OMT senza modificare l'obiettivo di sostanziale pareggio di bilancio al
2019, in data 12 ottobre, ciascuna Camera ha approvato la predetta relazione a
maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.
Si rammenta che l’articolo 6 della legge n. 243 del 2012
prevede, ai commi da 1 a 3, che qualora il Governo al fine di fronteggiare
eventi eccezionali ritenga indispensabile discostarsi temporaneamente
dall'obiettivo programmatico, sentita la Commissione europea, presenti alle
Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari (da approvare a maggioranza assoluta dei propri
componenti) componenti, una relazione con cui aggiorna gli obiettivi
programmatici di finanza pubblica, nonché una specifica richiesta di autorizzazione che indichi la misura e la durata dello
scostamento e definisca il piano di rientro verso l'obiettivo programmatico. Il
successivo comma 5 dispone inoltre che il piano di rientro possa essere
aggiornato al verificarsi di ulteriori eventi eccezionali ovvero qualora in
relazione all’ andamento del ciclo economico il Governo intenda apportarvi
modifiche.
La
Figura
16
illustra gli aggiornamenti del piano di aggiustamento verso l'obiettivo programmatico
presentati dal Governo e approvati dalle Camere.
Figura 16
- Saldo strutturale programmatico (2013-2020)
(in percentuale del
PIL)
Fonte:
Tavole "Indicatori di finanza pubblica" da: DEF 2013, DEF 2014, NADEF
2014, NADEF 2015, DEF 2016, NADEF 2016, DEF 2017.
Le
previsioni per il 2017 incorporano gli
effetti delle misure correttive (0,2 p.p. di PIL) che il Governo si è
impegnato ad approvare lo scorso febbraio (cfr. Box successivo) così da
portare, nel 2017, il livello dell'indebitamento netto al -2,1% (rispetto al
-2,3% del DPB 2017).
Si
tratta di misure che, ancorché non
indicate puntualmente nel Documento in esame, vengono dichiarate dal
Governo come aventi natura strutturale, tali da avere una portata correttiva di
"quasi 0,3 p.p. di PIL sugli anni successivi".
Nel DEF
il pacchetto viene descritto come comprendente "misure volte a ridurre
l’evasione dell’IVA e di altri tributi con interventi quali l’allargamento
delle transazioni a cui si applica il cosiddetto split payment. Altre misure riguardanti
le entrate comprendono una rimodulazione delle accise sul tabacco e delle
aliquote dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica), nonché un aumento
dell’imposizione sui giochi. Le misure di controllo della spesa si concentreranno
sugli stanziamenti di alcuni fondi già previsti per legge. Il pacchetto è
accompagnato da maggiori investimenti nelle zone colpite dai recenti sismi pari
a un miliardo di euro all’anno per il periodo 2017-2020".
Sono
invece confermati gli obiettivi (2018 e 2019) di indebitamento netto previsti
lo scorso autunno.
Box -
La richiesta di correzione della Commissione e la risposta del Governo
Nel
novembre scorso la Commissione UE formulava, nel parere sul DPB 2017, la
richiesta al Governo italiano di prendere misure aggiuntive per il 2017 atteso
che emergeva una deviazione "significativa" dal percorso di
avvicinamento all’OMT dell'indebitamento netto previsto per il 2017.
Il 17
gennaio 2017 la Commissione ha perciò richiesto espressamente al Governo italiano
l'adozione di misure correttive del disavanzo strutturale di bilancio previsto
per il 2017, congiuntamente all’aggiornamento delle informazioni sui fattori
"rilevanti" circa la prevista dinamica del debito, onde evitare il
rischio di incorrere in una procedura per disavanzo eccessivo a causa del
mancato rispetto della regola sul debito per il 2015. Nella lettera, la
Commissione UE esplicitava l'esigenza di una correzione strutturale di almeno
lo 0,2% del PIL, formulando la richiesta di un elenco dettagliato di misure
specifiche previste a tal fine e un chiaro calendario circa la loro rapida
adozione.
Il
Ministro dell’Economia e delle finanze ha risposto ai rilievi e alle richieste
formulate dalla Commissione con due lettere (1° e del 7 febbraio 2017). Dalla
lettura congiunta di quest'ultime e dal contenuto degli interventi in
Parlamento del Ministro (2 e 7 febbraio) si constatava l'impegno del Governo ad
adottare un intervento correttivo, pari al 0,2% del PIL che la sua composizione
si sarebbe articolata per circa un quarto sul versante delle uscite (circa 0,85
miliardi) e per tre quarti dal lato delle entrate di bilancio (2,55 miliardi).
Il DEF
riporta le differenze rispetto al precedente programma di stabilità (2016) dei
principali indicatori di finanza pubblica (cfr.
Tabella
22
).
Dall'analisi
dei dati si evidenzia come in un quadro di peggioramento delle prospettive di
crescita, il profilo degli indicatori indebitamento netto/PIL e debito
pubblico/PIL vengano mantenuti su di un sentiero decrescente sia pure su
livelli più alti e, per il debito, con una dinamica meno pronunciata rispetto
al Programma di stabilità 2016.
Tabella 22
- Differenze rispetto al precedente programma
di stabilità
Eventuali
imprecisioni derivano dagli arrotondamenti
Fonte:
DEF 2017, sez. I, tavola III.4, pag. 51.
Si rammenta che l'analisi del quadro programmatico
del DEF si avvale di un insieme di indicatori che dipende dalle regole europee
e si articola nelle variabili rilevanti per la decisione di politica di
bilancio[36]. La
fissazione degli obiettivi di saldo strutturale, ossia corretto per il ciclo economico
e per le misure una tantum, riflette
l’impegno del Paese al raggiungimento dell'obiettivo di medio termine (di
seguito anche: OMT, o nell'acronimo anglosassone MTO - medium term objective)
concordato in sede europea; tale obiettivo si affianca alla riduzione
programmatica del debito pubblico.
La
Tabella
23
mette
a confronto le stime dei principali indicatori di finanza pubblica contenute
nel DEF in esame rispetto a quelle prospettate nella Nota di aggiornamento del
DEF dello scorso autunno e nel DEF 2016.
La dinamica degli indicatori di finanza
pubblica riflette le stime sia sui principali saldi che sul PIL nominale; a
riguardo, con riferimento alle stime su PIL reale, deflatore e PIL nominale e
alle differenze rispetto alle previsioni formulate nella NADEF di settembre
2016, si rinvia all'analisi della parte I - "Il quadro
macroeconomico".
Tabella 23
-
Indicatori di finanza pubblica e obiettivi programmatici
(in
percentuale del PIL)
Fonti:
DEF 2016, sez. I, NADEF 2016, tavole III.2 e III.3; DEF 2017, tavole III.8 (La
finanza pubblica corretta per il ciclo) e I.3 (Indicatori di finanza pubblica).
L’avanzo primario nominale continua,
nell'orizzonte programmatico, a mostrare una dinamica con tassi di crescita a
ritmi crescenti, mostrando un miglioramento, con riferimento al triennio
2018-2020, rispetto alle previsioni formulate lo scorso settembre. L'indicatore
passa dall'1,5% del PIL (2016) al 3,8% del PIL (2020), il miglioramento
rispetto alle stime precedenti oscilla da 0,1 punti percentuali (p.p.) di PIL
per il 2018 fino ad un massimo di 0,3 p.p. di PIL per il 2019. Come si avrà
modo di vedere di seguito tale dinamica più favorevole compensa quella di segno
contrario dell'andamento degli interessi in rapporto al PIL, consentendo di
confermare le stime sull'indebitamento netto.
La
stima degli interessi passivi
prospettata dal DEF, pur mantenendosi stabilmente su livelli inferiori al 4% in
rapporto al PIL, mostra un andamento peggiore rispetto a quanto previsto nella
scorsa Nota di aggiornamento (valori tra parentesi). In particolare, il
rapporto si attesta al 3,9% (3,7%) nel 2017, al 3,7% (3,6%) nel 2018, al 3,7%
(3,4%) nel 2019, per poi registrare un incremento di 0,1 p.p. di PIL nel 2020,
anno in cui si attesta al 3,8%.
A
riguardo, per una più completa analisi dei profili di rischio si ritiene possa
essere utile disporre di maggiori informazioni circa le stime dell'andamento
della spesa per interessi anche alla luce delle prospettive di politica
monetaria.
Nel
2017, si evidenzia un saldo dell'indebitamento
netto programmatico al -2,1%, più alto di 0,1 p.p. di PIL (-2,0%) rispetto
alla Nota di aggiornamento (valori tra parentesi), ma in miglioramento di 0,3
p.p. di PIL rispetto al -2,4% del 2016. Inoltre si stima un sensibile calo al
-1,2% nel 2018 e al -0,2% nel 2019, biennio in cui vengono confermati i valori
indicati nella Nota di aggiornamento.
Nell'orizzonte
di previsione 2017-2020 si evidenzia infine il raggiungimento del pareggio di
bilancio nell'ultimo anno del periodo considerato.
Dal confronto tra l'indebitamento netto
tendenziale e indebitamento netto programmatico (
Tabella 24
e Figura 17
) si
evidenzia come, nell'orizzonte previsionale 2017-2020 i vincoli posti dai saldi
tendenziali vengano rafforzati (fino a un massimo di 0,5 p.p. di PIL) al fine
di ridurre i saldi programmatici e raggiungere, come detto, il pareggio nel
2020.
Tabella
24 – Confronto tra l'indebitamento netto
tendenziale e programmatico
(in
percentuale del PIL)
* differenza tra programmatico e tendenziale.
Fonti:
elaborazioni su DEF 2017, sez. I, tavola I.3 (Indicatori di finanza pubblica)
In
termini assoluti, con riferimento al PIL nominale stimato per le annualità,
tali variazioni percentuali si sostanziano in un minor indebitamento netto, rispetto
a quanto prospettato nel quadro tendenziale, per circa 3,4 miliardi di euro nel
2017, 1,8 miliardi di euro nel 2018, 7,2 miliardi nel 2019 e 9,3 miliardi nel
2020.
Figura
17 - Confronto tra l'indebitamento netto
tendenziale e programmatico
(in
percentuale del PIL)
Fonti:
elaborazioni su DEF 2017, sez. I, tavola I.3 (Indicatori di finanza pubblica)
A riguardo si rammenta che lo scenario
tendenziale incorpora l’aumento delle aliquote IVA previste dalle cd. clausole
di salvaguardia sul 2018 e 2019, che hanno un impatto sui saldi di circa 1,1
p.p. di PIL nel 2018 e di ulteriori 0,2 p.p. nel 2019.
Nel
Documento programmatico all'esame, il Governo conferma che nella prossima Legge
di Bilancio verranno "disattivate" attraverso l'approvazione di un
pacchetto, ancora non definito e chiarito
nei suoi contenuti fondamentali, ma che potrà beneficiare della riforma
delle procedure di formazione del bilancio tesa a facilitare la revisione della
spesa. In tal senso viene anticipato che "le amministrazioni centrali
contribuiranno al conseguimento degli obiettivi programmatici con almeno un miliardo
di risparmi di spesa all’anno. Tale contributo sarà oggetto del DPCM previsto
dalla nuova normativa".
L'output
gap, che misura il differenziale tra PIL effettivo e potenziale,
evidenzia un profilo evolutivo in miglioramento, evidenziando una costante riduzione,
atteso che il dato previsionale passa dal -3,8% del 2015, al -2,7% del 2016, al
-1,8% del 2017, al -1,1% nel 2018, al -0,5% nel 2019 per poi annullarsi nel
2020 ultimo anno dell'orizzonte di previsione (cfr.
Figura 18
)[37]. Analoga dinamica è seguita dalla componente
ciclica che passa dal -1,5% del 2016, al -1,0% nel 2017, al -0,6% del 2018, al
-0,3% nel 2019, per poi annullarsi nel 2020.
A
riguardo si osserva che, rispetto alle previsioni del settembre 2016, la
dinamica dei due indicatori evidenzia un peggioramento con riferimento al
quadriennio 2016-2019.
La
Figura 18
mostra
l’evoluzione dell'indebitamento netto programmatico in relazione agli obiettivi
strutturali e all’andamento stimato dell’output
gap, cioè della misura del divario tra andamento economico effettivo e
potenziale. Esso evidenzia che – in presenza di pareggio strutturale – l'entità
dell’output gap determina la misura
del disavanzo nominale consentito, cioè la misura della stabilizzazione
consentita per far fronte alla posizione ciclica negativa. Gli obiettivi
nominali si riducono di entità rispetto al 2016, in conseguenza della
progressiva chiusura attesa dell'output
gap.
Figura 18
-
Andamento del saldo nominale e strutturale in relazione all'output gap
(in percentuale del PIL)
Fonti:
DEF 2017, tavole III.8 (La finanza pubblica corretta per il ciclo) e I.3
(Indicatori di finanza pubblica)
Con
riferimento ai principali indicatori sin qui commentati in
Tabella
25
e in Figura 19
si
evidenziano le differenze tra le stime pubblicate lo scorso 13 febbraio dalla
Commissione europea nelle previsioni di inverno, quelle del Governo
dell'autunno scorso (DBP 2017) e del DEF in esame.
Tabella 25 - Indicatori di finanza pubblica e obiettivi
programmatici: confronto DEF 2017, previsioni di inverno della Commissione e
Documento programmatico di bilancio 2017 del Governo
Fonti: DEF 2017; DPB 2017,
tab. III.1-6; European economic forecast - Winter 2017, tab. II.12.1 e Allegato statistico
Figura
19 – Saldo di bilancio strutturale,
Indebitamento netto e Output gap, confronto tra DEF 2017, DPB 2017 e Previsioni
di inverno 2017
Al netto delle differenze riferibili al quadro
informativo disponibile al momento di chiusura delle stime e ai criteri con cui
queste vengono condotte, i dati in tabella mostrano alcune importanti
discrepanze, in particolare a livello di indicatori strutturali, che andranno
riesaminate nel mese di maggio quando la Commissione europea pubblicherà le
previsioni di primavera e presenterà le proprie valutazioni sul programma di
stabilità e il PNR dell’Italia.
Riprendendo
l'esame degli indicatori di finanza pubblica, l'entità in rapporto al PIL delle
misure una tantum registra
alcune modifiche nel DEF in esame, rispetto alla precedente Nota di
aggiornamento per cui nel 2016 è pari allo 0,2% (0,1%), nel 2017 è indicata
pari allo 0,3% (0,1%), nel 2018 allo 0,1% a fronte di un valore negativo pari
al -0,1% (Nadef), infine, nell'ultimo biennio si
azzerano. (cfr.
Tabella
23 - Indicatori di finanza pubblica e
obiettivi programmatici
).
Da ultimo si rammenta che la legge di
contabilità e finanza pubblica (n. 196 del 2009) prevede all'articolo 10, comma
2, che il DEF contenga l'articolazione per sottosettori
del quadro programmatico di finanza pubblica.
L'informazione al Parlamento
sull'articolazione per sottosettori appare necessaria
anche in relazione a quanto previsto dall'art. 3, comma 3, della Legge 243 del
2012 (perseguimento dell'obiettivo di medio termine).
La
Tabella
26
riporta un confronto degli indicatori strutturali contenuti nel DEF con quelli
dei precedenti documenti programmatici.
Tabella 26 - Indicatori strutturali. Confronto documenti
programmatici
|
|
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
Tasso di crescita del PIL a prezzi costanti |
DEF 2017 |
0,8 |
0,9 |
1,1 |
1,0 |
1,0 |
1,1 |
NADEF 2016 |
0,7 |
0,8 |
1,0 |
1,3 |
1,2 |
|
|
DEF 2016 |
0,8 |
1,2 |
1,4 |
1,5 |
1,4 |
|
|
NADEF 2015 |
0,9 |
1,6 |
1,6 |
1,5 |
1,3 |
|
|
DEF 2015 |
0,7 |
1,4 |
1,5 |
1,4 |
1,3 |
|
|
NADEF 2014 |
0,6 |
1,0 |
1,3 |
1,4 |
n.d. |
|
|
Tasso di crescita del PIL potenziale |
DEF 2017 |
-0,1 |
-0,2 |
0,1 |
0,3 |
0,4 |
0,6 |
NADEF 2016 |
-0,3 |
-0,2 |
0,2 |
0,3 |
0,4 |
|
|
DEF 2016 |
-0,2 |
-0,2 |
0,2 |
0,4 |
0,5 |
|
|
NADEF 2015 |
0,0 |
0,1 |
0,3 |
0,4 |
0,6 |
|
|
DEF 2015 |
-0,1 |
0,0 |
0,2 |
0,3 |
0,5 |
|
|
NADEF 2014 |
-0,2 |
0,0 |
0,2 |
0,3 |
|
|
|
Output gap |
DEF 2017 |
-3,8 |
-2,7 |
-1,8 |
-1,1 |
-0,5 |
0,0 |
NADEF 2016 |
-3,5 |
-2,5 |
-1,7 |
-0,7 |
0,0 |
|
|
DEF 2016 |
-3,5 |
-2,3 |
-1,1 |
-0,1 |
0,7 |
|
|
NADEF 2015 |
-4,0 |
-2,5 |
-1,3 |
-0,2 |
0,5 |
|
|
DEF 2015 |
-3,8 |
-2,5 |
-1,3 |
-0,3 |
0,5 |
|
|
NADEF 2014 |
-3,5 |
-2,6 |
-1,4 |
-0,4 |
n.d. |
|
|
Componente ciclica del saldo di bilancio |
DEF 2017 |
-2,1 |
-1,5 |
-1,0 |
-0,6 |
-0,3 |
0,0 |
NADEF 2016 |
-1,9 |
-1,3 |
-0,9 |
-0,4 |
0,0 |
|
|
DEF 2016 |
-1,9 |
-1,2 |
-0,6 |
-0,1 |
0,4 |
|
|
NADEF 2015 |
-2,1 |
-1,4 |
-0,7 |
-0,1 |
0,3 |
|
|
DEF 2015 |
-2,0 |
-1,4 |
-0,7 |
-0,1 |
0,3 |
|
|
NADEF 2014 |
-1,9 |
-1,4 |
-0,8 |
-0,2 |
n.d. |
|
|
Indebitamento netto |
DEF 2017 |
-2,7 |
-2,4 |
-2,1 |
-1,2 |
-0,2 |
0,0 |
NADEF 2016 |
-2,6 |
-2,4 |
-2,0 |
-1,2 |
-0,2 |
|
|
DEF 2016 |
-2,6 |
-2,3 |
-1,8 |
-0,9 |
0,1 |
|
|
NADEF 2015 |
-2,6 |
-2,2 |
-1,1 |
-0,2 |
0,3 |
|
|
DEF 2015 |
-2,6 |
-1,8 |
-0,8 |
0,0 |
0,4 |
|
|
NADEF 2014 |
-2,9 |
-1,8 |
-0,8 |
-0,2 |
n.d. |
|
|
Saldo primario |
DEF 2017 |
1,5 |
1,5 |
1,7 |
2,5 |
3,5 |
3,8 |
NADEF 2016 |
1,5 |
1,5 |
1,7 |
2,4 |
3,2 |
|
|
DEF 2016 |
1,6 |
1,7 |
2,0 |
2,7 |
3,6 |
|
|
NADEF 2015 |
1,7 |
2,0 |
3,0 |
3,9 |
4,3 |
|
|
DEF 2015 |
1,6 |
2,4 |
3,2 |
3,8 |
4,0 |
|
|
NADEF 2014 |
2,3 |
2,7 |
3,1 |
3,4 |
n.d. |
|
|
Misure una tantum |
DEF 2017 |
-0,2 |
0,2 |
0,3 |
0,1 |
0,0 |
0,0 |
NADEF 2016 |
-0,1 |
0,1 |
0,1 |
-0,1 |
-0,1 |
|
|
DEF 2016 |
-0,1 |
0,1 |
0,0 |
0,0 |
0,0 |
|
|
NADEF 2015 |
-0,1 |
-0,1 |
0,0 |
-0,1 |
0,0 |
|
|
DEF 2015 |
-0,1 |
-0,1 |
0,0 |
0,0 |
0,0 |
|
|
NADEF 2014 |
-0,1 |
0,0 |
0,0 |
0,0 |
n.d. |
|
|
Saldo di bilancio corretto per il ciclo al netto delle una tantum |
DEF 2017 |
-0,5 |
-1,2 |
-1,5 |
-0,7 |
0,1 |
0,0 |
NADEF 2016 |
-0,7 |
-1,2 |
-1,2 |
-0,7 |
-0,2 |
|
|
DEF 2016 |
-0,6 |
-1,2 |
-1,1 |
-0,8 |
-0,2 |
|
|
NADEF 2015 |
-0,3 |
-0,7 |
-0,3 |
0,0 |
0,0 |
|
|
DEF 2015 |
-0,5 |
-0,4 |
0,0 |
0,1 |
0,2 |
|
|
NADEF 2014 |
-0,9 |
-0,4 |
0,0 |
0,0 |
n.d. |
|
|
Variazione saldo di bilancio corretto per ciclo al netto delle una
tantum |
DEF 2017 |
0,3 |
-0,7 |
-0,3 |
0,8 |
0,8 |
-0,1 |
NADEF 2016 |
0,2 |
-0,5 |
0,0 |
0,5 |
0,6 |
|
|
DEF 2016 |
0,2 |
-0,7 |
0,1 |
0,3 |
0,6 |
|
|
NADEF 2015 |
0,3 |
-0,4 |
0,4 |
0,3 |
0,0 |
|
|
DEF 2015 |
0,2 |
0,1 |
0,3 |
0,2 |
0,0 |
|
|
NADEF 2014 |
0,1 |
0,5 |
0,4 |
0,0 |
n.d. |
|
|
Avanzo primario corretto per il ciclo al netto delle una
tantum |
DEF 2017 |
3,7 |
2,8 |
2,4 |
3,0 |
3,8 |
3,8 |
NADEF 2016 |
3,5 |
2,8 |
2,5 |
2,8 |
3,3 |
|
|
DEF 2016 |
3,6 |
2,8 |
2,7 |
2,8 |
3,3 |
|
|
NADEF 2015 |
4,0 |
3,5 |
3,8 |
4,1 |
4,1 |
|
|
DEF 2015 |
3,7 |
3,9 |
4,0 |
4,0 |
3,8 |
|
|
NADEF 2014 |
3,7 |
4,1 |
4,2 |
4,1 |
n.d. |
|
|
Variazione avanzo primario corretto per ciclo e al netto delle una
tantum |
DEF 2017 |
3,7 |
-0,9 |
-0,4 |
0,6 |
0,8 |
0,0 |
NADEF 2016 |
-0,3 |
-0,7 |
-0,3 |
0,3 |
0,5 |
|
|
DEF 2016 |
-0,2 |
-0,8 |
-0,1 |
0,1 |
0,5 |
|
|
NADEF 2015 |
0,0 |
-0,5 |
0,3 |
0,3 |
0,0 |
|
|
DEF 2015 |
-0,2 |
0,2 |
0,1 |
0,0 |
-0,2 |
|
|
NADEF 2014 |
-0,1 |
0,4 |
0,1 |
-0,1 |
n.d. |
|
|
|
|
|
|
|
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|
Note: n.d. = dato non disponibile.
Fonti:
Tavole "La finanza pubblica corretta per il ciclo" e "Indicatori
di finanza pubblica" in: DEF 2017, NADEF 2016, DEF 2016, NADEF 2015, DEF
2015 e NADEF 2014 ed elaborazioni sulle tavole citate.
L'Italia è sottoposta al braccio preventivo
del PSC: in tale quadro di regole il percorso di avvicinamento all'obiettivo
programmatico (OMT)[38] è
valutato in base alla variazione del saldo strutturale e alla regola di spesa.
Si rammenta che in relazione alla variazione
del saldo strutturale, in ciascun anno, il percorso verso l'OMT viene valutato
sulla base della variazione del saldo strutturale e viene modulato in funzione
delle condizioni cicliche dell'economia (sinteticamente indicata dal livello
dell'output gap; del livello del saldo strutturale di partenza e del rapporto
debito/PIL; nonché dell'esistenza di rischi di medio periodo sulla sostenibilità
delle finanze pubbliche valutati sulla base dell'indicatore S1[39]).
Nel 2016 si stima un obiettivo di
indebitamento netto pari al 2,4% e un corrispondente saldo strutturale di
-1,2%, in peggioramento di circa 0,7 p.p. di PIL rispetto al 2015, il Governo
chiarisce che tale deterioramento del saldo è in linea con quanto consentito
dalle regole europee a fronte delle clausole di flessibilità concesse per il
2016.
Con la Comunicazione del 13 gennaio 2015[40] la
Commissione europea ha chiarito le modalità e le condizioni di utilizzo di
margini di flessibilità, che consentono deviazioni temporanee dall’obiettivo a
medio termine o dal percorso di avvicinamento al medesimo, nell’ambito delle
regole vigenti del Patto.
Tale flessibilità è, in particolare,
riconosciuta per l’adozione di riforme strutturali e per gli investimenti
pubblici (“clausole di flessibilità”). L’aggiustamento di bilancio richiesto è
inoltre modulato in relazione all’andamento del ciclo economico, secondo i
criteri fissati nella Comunicazione.
La Posizione comune approvata dal Consiglio
ECOFIN nel febbraio 2016[41] ha
introdotto alcuni elementi di novità rispetto alla Comunicazione della
Commissione in materia di flessibilità del gennaio 2015. In particolare:
·
è stata precisata l’applicabilità della
clausola per gli investimenti a progetti di investimento cofinanziati dai
diversi Fondi strutturali e di investimenti europei;
·
è stata indicata una misura massima dello 0,5%
del PIL alla deviazione dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di
medio termine consentita per la clausola degli investimenti, in analogia a
quanto previsto per la clausola delle riforme;
·
è stato previsto un limite massimo dello 0,75%
alla deviazione complessiva che si ottiene cumulando le due clausole.
Il Patto di stabilità e crescita prevede
inoltre un’ipotesi di allontanamento temporaneo nel percorso di avvicinamento
all’MTO (soggetto ad autorizzazione) in caso di “eventi eccezionali”[42].
Il Vademecum
della Commissione europea sul PSC[43]
ricorda che questa ipotesi, definita di adeguamento del percorso di
consolidamento di bilancio, è stata introdotta dal Six pack nel 2011 e chiarisce che l’attivazione di questa clausola non
si traduce in una sospensione a tempo indefinito del consolidamento delle
finanze pubbliche, bensì nella riprogettazione del percorso di avvicinamento,
su basi specifiche per il singolo Paese, al fine di tener conto delle
circostanze eccezionali di una grave crisi economica nell’area euro o
nell’Unione, come pure di un evento inconsueto al di fuori del controllo dello
Stato.
In tali circostanze, dunque, le descritte
deviazioni temporanee possono essere consentite ex ante (ai sensi dell’articolo 5 citato) oppure possono non essere
prese in considerazione ex post (ai
sensi dell’articolo 6 citato).
Nel DEF del 2016 (aprile 2016) è stata
formulata, per il 2016, una richiesta di flessibilità - per tener conto di
significative riforme strutturali - nella misura di 0,1 punti percentuali, che
va ad aggiungersi a quella per 0,4 punti, già formulata, in ragione della
medesima clausola delle riforme strutturali, nel DEF 2015.
Inoltre, nel DEF è stata richiesta
un’ulteriore deviazione pari a 0,3 punti percentuali di PIL, per tenere conto
della spesa nazionale per gli investimenti in progetti cofinanziati dall'UE
(clausola degli investimenti).
La richiesta complessiva ammontava quindi a
0,8 punti percentuali, rimodulata nella misura dello 0,75% per tener conto dei limiti imposti dalle decisioni europee.
L’approvazione delle predette richieste
avrebbe comportato una variazione del saldo strutturale nel 2016 pari a -0,25 punti.
Il DEF 2016 ha inoltre evidenziato l’esigenza
di qualificare sia l'inconsueto afflusso dei rifugiati sia le misure di
sicurezza per fronteggiare la gravità della minaccia terroristica come
eventi eccezionali, al di fuori del controllo del Governo ai sensi dell'art. 5,
par. 1, e dell'art. 6, par. 3, del Regolamento (CE) n. 1466/97, tali da giustificare
una deviazione temporanea dal percorso di avvicinamento all'obiettivo di
bilancio a medio termine, in base alla normativa europea richiamata. È stato
quindi richiesto che l’aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine non
tenesse conto dei costi supplementari legati alle misure di sicurezza e
all’emergenza migranti, computati, rispettivamente, nella misura dello 0,06 e
dello 0,04% del PIL nel 2016, per un totale di 0,1 p.p. di PIL.
La Raccomandazione
del Consiglio UE del 12 luglio 2016 ha indicato, come detto, l’esigenza di
limitare la deviazione temporanea dall'aggiustamento verso l'obiettivo di
bilancio a medio termine all'importo pari complessivamente allo 0,75% del PIL,
concesso per gli investimenti e l'attuazione delle riforme strutturali, subordinando
tale deviazione ad una serie di condizioni, tra cui la necessità di riprendere
il percorso di avvicinamento all’obiettivo di bilancio a medio termine nel 2017
e di conseguire un aggiustamento annuo di bilancio verso l'obiettivo di
bilancio a medio termine pari allo 0,6% del PIL o più nel 2017. Per quanto
attiene alla qualificazione quali eventi eccezionali richiesta per le spese
connesse all’emergenza migranti e all’emergenza sicurezza, il Consiglio ha
evidenziato che la valutazione finale, anche per gli importi ammissibili,
sarebbe stata effettuata ex post
nella primavera del 2017 sulla base
dei dati di consuntivo forniti dalle autorità̀ italiane.
Il DEF
in esame fornisce elementi di verifica ex post relativi alla richiesta di
flessibilità formulata per il 2016 nonché elementi di valutazione, con dati di
aggiornamento e/o di conferma, relativi ai margini di deviazione temporanea dal
percorso verso il MTO richiesti per il 2017.
In apposito box contenuto nel Documento in esame, nella Sezione I, vengono
fornite indicazioni per confermare del rispetto della condizione prescritta per
l’utilizzo dei margini dovuti alla “clausola degli investimenti”, che impone
che gli investimenti finanziati da risorse nazionali non siano sostituiti con
le spese in cofinanziamento europee, affinché gli investimenti pubblici totali
non diminuiscano nell’anno di utilizzo della flessibilità. In proposito il
Documento precisa che la componente degli investimenti fissi lordi - per la
quale i dati disponibili indicano nel 2016 una riduzione del 4,5% rispetto
all’anno precedente - non è completamente rappresentativa della politica di
investimento del settore pubblico per diverse ragioni.
Il DEF evidenzia, in particolare, che:
·
la politica di privatizzazioni condotta negli
anni passati ha fatto si che, per molti servizi di pubblica utilità, gli
investimenti di interesse pubblico siano effettuati erogando contributi alle
imprese che, secondo i criteri del SEC, sono contabilizzati come contributi
agli investimenti anziché come investimenti fissi lordi;
·
una corretta valutazione dell’impegno
nazionale per finalità di investimento deve comprendere anche i contributi agli
investimenti a imprese;
·
la spesa per investimenti fissi lordi
comprende anche la spesa finanziata con risorse europee soggetta a
significative fluttuazioni secondo le fasi pluriennali del ciclo di
programmazione e attuazione dei programmi cofinanziati; per una corretta
analisi del trend di spesa analizzare
occorre quindi depurare i dati della quota finanziata dalla UE.
Adottando quindi una definizione di
investimento pubblico coerente con le finalità della clausola, il Documento
fornisce in apposita tabella dati che rideterminano l’ammontare di riferimento
degli investimenti (cfr. successiva
tabella), che, per il 2016, evidenziano una lieve crescita rispetto al livello
registrato nel 2015, in linea quindi con la regola europea.
Tabella
27 - Spesa della PA per investimenti e
contributi agli investimenti al netto della quota UE
(milioni di euro)
Fonte: DEF 2017
Il DEF precisa che i progetti realizzati nel
2016 tramite l’uso dei margini di bilancio accordati dalla Commissione europea
hanno riguardato aree di intervento coerenti con quelle interessate
dall’attuazione delle riforme strutturali. Il Documento segnala inoltre che gli
investimenti fissi lordi non comprendono alcune importanti voci di spesa,
ammissibili per la clausola, come quelle sostenute nell’ambito degli interventi
per la coesione sociale e lo sviluppo regionale, per lo sviluppo rurale e il
settore marittimo.
Per i motivi esposti, il Governo Italiano
ritiene quindi che i requisiti richiesti dalla clausola, già verificati in
occasione della presentazione della richiesta di flessibilità nel DPB 2016, e
nei documenti successivi, continuino ad essere soddisfatti.
Il DEF afferma inoltre che i dati di fine anno
confermano lo sforzo finanziario collegato alle quote riconosciute per il 2016
eleggibili, a un esame ex ante, in
relazione all’emergenza migranti una quota (0,05% del PIL) e agli interventi
straordinari per la sicurezza (0,06% del PIL ).
In particolare, riguardo alle spese per il
rafforzamento della la sicurezza nazionale, il Documento elenca le misure
straordinarie adottate ed indica complessivamente in 1.038,3 milioni (0,062%
del PIL 2016) le spese sostenute leggermente superiori a quelle inizialmente
previste (980,5 milioni di euro, pari a 0,059% del PIL) poiché su alcuni dei
capitoli interessati dagli interventi sono confluite successivamente ulteriori
risorse per coprire il fabbisogno emerso.
Per quanto attiene ai dati relativi
all’afflusso dei migranti, si rinvia alla successiva tabella, che aggiorna la
serie storica dei dati di spesa relativi sia al periodo 2011-2016 sia alla
previsione per il 2017. Per il 2016, la tabella conferma il trend di aumento dell’afflusso e di
incidenza sul bilancio delle relative spese, evidenziando un incremento, nei
dati di consuntivo, dell’ammontare già previsto per il 2016 nell’ambito del DPB
2017 e nelle ultime stime del Governo[44].
La Nota di aggiornamento al DEF 2016 (ottobre
2016) e l’annessa Relazione al Parlamento[45] ai
sensi della legge n. 243 del 2012, art. 6, comma 5, hanno evidenziato la
necessità di utilizzare pienamente i
margini di flessibilità previsti dall’ordinamento europeo, richiamando sia
“la revisione delle stime dell’output gap,
che … indica un sostanziale peggioramento
delle condizioni cicliche, sia il ricorrere di eventi eccezionali quali: i) il sisma del 24 agosto 2016, che
attesta l’esigenza di por mano a un piano organico di messa in sicurezza del
territorio nazionale, oltre che di ricostruzione; ii) l’intensità del fenomeno
migratorio e la necessità di impostare una politica di ampio respiro nella
gestione dell’immigrazione.”
Il Governo ha quindi richiesto al Parlamento
l’autorizzazione a utilizzare, ove
necessario, ulteriori margini di bilancio sino a un massimo dello 0,4% del PIL per
il 2017.” [46]
Il Documento programmatico di bilancio per il
2017 (DPB 2017) evidenzia pertanto che sul bilancio per il 2017 gravano “spese
di natura eccezionale” in misura pari a circa
0,4% del PIL, da attribuirsi:
·
al protrarsi dell’emergenza relativa ai
migranti e alla necessità di impostare una politica di ampio respiro nella
gestione dell’immigrazione, che includa investimenti nei paesi di transito e di
origine dei flussi. Il DPB indica un'incidenza complessiva tra lo 0,22 e lo
0,24% del PIL, chiedendo una deviazione temporanea aggiuntiva dal percorso di
aggiustamento verso l'obiettivo a medio termine pari allo 0,16% del PIL nel
2017, corrispondente alla differenza (circa 2,8 miliardi di euro) tra i costi
complessivi previsti per il 2017 e la spesa media nel periodo 2011-2013, prima
dell'acutizzazione della crisi dei rifugiati;
·
al sisma del 24 agosto 2016 e alla necessità
di garantire, oltre agli interventi per affrontare i danni immediati che sono
già scontati tra le misure una tantum
- la salvaguardia del territorio nazionale, in primis prevedendo misure di contrasto al dissesto idrogeologico e
mettendo in sicurezza le scuole (circa 0,2% del PIL).
Nel parere sul DPB 2017 la Commissione europea
(novembre 2017) ha riconosciuto il "considerevole
contributo, anche di natura finanziaria, apportato negli ultimi anni dagli
Stati membri in prima linea" e si è dichiarata disposta a “prendere in
considerazione, a tempo debito, un'ulteriore deviazione nel 2017” [47]. Per
quanto riguarda i costi legati al terremoto, la Commissione ha affermato che lo
0,18% del PIL stanziato dal Governo “potrebbe
essere considerato idoneo a beneficiare della "clausola sugli eventi
inconsueti"”. Per gli anni successivi solo le modifiche incrementali
positive delle risorse stanziate a questo fine sarebbero considerate idonee a
beneficiare di altre eventuali deviazioni temporanee.
Complessivamente, tenendo conto del successivo
aggiornamento dei dati e dei margini di bilancio già riconosciuti nel 2015 e
2016, per le spese relative all’afflusso di migranti (complessivamente 0,07%
del PIL), per tale emergenza è stato riconosciuto provvisoriamente lo 0,14% del
PIL ed un ulteriore 0,18% è stato invece considerato ammissibile per la
salvaguardia antisismica, per un totale
di 0,32% del PIL nel 2017, da portare a riduzione della correzione di 0,6%
richiesta in base alle condizioni congiunturali. Per la valutazione da parte
della Commissione le autorità italiane dovranno fornire i necessari dati ex ante ed ex post.
Il deciso incremento dei flussi dei migranti e
delle presenze a fine 2016 si riflette nei dati per il 2017, quali risultano
dall’aggiornamento della serie storica (2011-2017) presentato nel DPB 2017: i
nuovi dati, riportati nella successiva tabella, scontano la revisione della
componente relativa alla quantificazione del contributo UE, ora valutata in
base all’effettivo accredito dal bilancio comunitario a favore dell'Italia,
invece che in base a una stima previsionale.
L’aggiornamento indica una spesa complessiva,
al netto dei contributi UE, prevista per il 2017 che varia da 4,2 (scenario
costante) a 4,6 miliardi (scenario di crescita), in aumento sia rispetto alle
indicazioni del DPB (rispettivamente 3,3 e 4,1 miliardi), sia rispetto alle
stime di febbraio 2017 (3,4 miliardi nello scenario costante).
Tabella
28 – Stima della spesa sostenuta per la crisi
migranti. Anni 2011-2017
Nota: I
dati non comprendono la spesa relativa all’emergenza Nord Africa, aperta nel
2011 e chiusa il 1° gennaio 2013. Rispetto a precedenti stime, è stata rivista
la serie annuale di dati relativi ai Contributi UE in base agli effettivi
accrediti comunitari a favore dell’Italia. Lo scenario di crescita considera
una presa in carico di circa mille minori aggiuntivi l’anno a un costo medio di
45 euro al giorno, di circa 62 mila persone aggiuntive nelle strutture di
accoglienza governativa e temporanee a un costo medio di 32,5 euro al giorno e
di circa 3,5 mila richiedenti asilo e rifugiati aggiuntivi nel sistema di
protezione a un costo di 35 euro al giorno.
Fonte:
DEF 2017
In merito alle spese per la prevenzione del
rischio sismico, dell’instabilità idrogeologica e la messa in sicurezza delle
scuole, il Documento evidenzia che, in aggiunta alle spese già classificate
come una tantum ai fini della
contabilità europea, nella legge di bilancio 2017 sono stati incrementati gli
incentivi fiscali per gli interventi di prevenzione ed adeguamento antisismico,
rivolti principalmente alle abitazioni private (detrazione pari al 50% delle
spese di manutenzione di edifici destinati a residenza primaria, abitazioni
secondarie, condomini e attività produttive nelle aree a rischio sismico).
Il costo degli incentivi fiscali relativi alla
messa in sicurezza degli edifici è stimato pari a 2 miliardi di euro,
rappresentando un anticipo di circa il 15% della spesa totale prevista nel
2017. Sono, inoltre, previsti interventi a valere sul ‘Fondo di investimento’
pluriennale istituito con la Legge di bilancio per l’assegnazione di circa 0,5
miliardi per garantire la messa in sicurezza di scuole e uffici pubblici e
l’adozione di misure per prevenire il rischio sismico e il dissesto
idrogeologico. Ulteriori azioni, avviate a livello locale, per favorire la
salvaguardia del territorio, con la concessione a regioni e comuni di margini
aggiuntivi per gli investimenti, comportano interventi per ulteriori 0,5
miliardi), in parte specificamente destinati all’edilizia scolastica.
Gli spazi complessivi che risultano, per il
periodo 2015-2017, dall’interlocuzione finora intervenuta con le autorità
europee e i relativi effetti di riduzione rispetto all’aggiustamento
strutturale richiesto sulla base della considerazione delle sole condizioni
congiunturali sono state così riassunti nella Relazione della Commissione
europea sull’Italia, del 22 febbraio 2017, predisposta ai sensi dell’art. 126,
par. 3 del Trattato.
Nel triennio successivo (2018-2020),
l'indebitamento netto strutturale è previsto ridursi fino al -0,7% (2018), per
raggiungere un lieve surplus di bilancio +0,1% (2019) e tornare a un saldo
nullo nel 2020, confermando così il pareggio strutturale.
Con riferimento agli anni 2015 e 2016, le
variazioni strutturali prospettate dal Governo sono, rispettivamente, in linea
o non tali da configurarsi come deviazioni significative ai sensi delle regole
europee.
Tabella
29 - Sintesi della flessibilità
Flessibilità concessa all'Italia nell'ambito
del patto di stabilità e crescita (% del PIL) |
2015 |
2016 |
2017 |
Condizioni
congiunturali |
"molto
sfavorevoli" |
"sfavorevoli" |
"normali" |
Requisito della matrice di riferimento (che
tiene conto delle condizioni congiunturali e del livello del debito) |
0,25% |
0,5% |
0,6% |
Flessibilità concessa ex ante di
cui per le clausole di flessibilità: di
cui per eventi inconsueti: |
0,03% – o 0,03%
clausola rifugiati (confermato ex post) |
0,86% o 0,5%
clausola riforme o 0,25%
clausola investimenti o 0,05%
clausola rifugiati o 0,06%
costi per la sicurezza |
0,32% – o 0,14%
clausola rifugiati o 0,18%
costi sisma |
Requisito della matrice "corretto"
dopo applicazione delle clausole di flessibilità come da raccomandazione 1
del Consiglio |
0,25% |
-0,25% |
0,60% |
Aggiustamento strutturale richiesto dopo
applicazione delle clausole di flessibilità e per eventi inconsueti |
0,22% |
-0,36% |
0,28% |
Aggiustamento strutturale realizzato
dall'Italia (previsioni d'inverno 2017) |
0,2% |
-0,6% |
-0,4% |
Fonte: Commissione UE - Relazione ex art. 126,
par 3.
In relazione all'anno 2017 si osserva quanto segue.
Il Governo precisa che la propria stima[48]
dell'output gap per il 2017 è pari a -1,7% del PIL potenziale (programmatico),
tale cioè da definire come avverse le condizioni cicliche dell'economia
italiana e da indicare, in presenza di una crescita superiore al potenziale,
una correzione del saldo strutturale pari a 0,5 p.p. di PIL. Di contro le stime
dell'output gap della Commissione
sono pari a -0,4%, lasciando intravedere condizioni cicliche
"normali" a cui è stata associata una richiesta di riduzione del
saldo strutturale pari "allo 0,6% o più del PIL (Raccomandazioni paese
2016[49]).
Nel 2017, il Governo conferma il livello del
saldo strutturale del 2016 (‑1,2%), tale variazione nulla, se inserita
nell'analisi del Governo, non costituirebbe una deviazione significativa,
mentre darebbe luogo a una deviazione significativa nello scenario della
Commissione.
Come è noto le
modifiche del Patto di stabilità e crescita del 2011 hanno introdotto un
vincolo sull'evoluzione della spesa, esso è stato recepito anche
nell'ordinamento nazionale con l'articolo 5 della legge n. 243 del 2012 di
attuazione del principio di pareggio del bilancio. Per i paesi che non hanno
raggiunto l’OMT (come l'Italia), l'aggregato della spesa di riferimento
dovrebbe seguire un'evoluzione commisurata alla differenza tra il tasso
crescita medio del PIL potenziale e il cosiddetto margine di convergenza, a sua
volta calibrato in relazione alle condizioni cicliche dell'economia[50].
Il tasso di
crescita dell'aggregato di spesa di riferimento per la regola è calcolato
secondo l'ipotesi di politiche invariate e non incorpora, pertanto, l'effetto
delle misure programmate dal Governo. Le spese da escludere nel calcolo
dell'aggregato di spesa di riferimento che deve rispettare la regola sono
indicate nella tabella seguente. Il tasso di crescita limite (benchmark) è fissato dalla Commissione
europea[51].
Tabella
30 - Spese da escludere dalla regola di spesa
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
||
Livello(1) |
% PIL |
In % del PIL |
||||
Spese per programmi UE pienamente
coperte da fondi UE |
960 |
0,1 |
0,2 |
0,1 |
0,2 |
0,2 |
- di cui spese per investimenti
pienamente coperte da fondi UE |
300 |
0,0 |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
Componente ciclica della spesa per
sussidi di disoccupazione (2) |
2.280 |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
0,0 |
Entrate discrezionali (3) |
-9.575 |
-0,6 |
-0,2 |
0,9 |
0,2 |
0,0 |
Incrementi di entrata già individuati
per legge |
0,0 |
0,0 |
0,0 |
0,0 |
0,0 |
0,0 |
|
|
|
|
|
|
|
(1) Valori
in milioni.
(2) La
componente ciclica della spesa per sussidi di disoccupazione è stata calcolata
con la metodologia attualmente utilizzata dalla Commissione Europea, sulla base
dell’unemployment
gap.
(3) Sono
comprese le entrate discrezionali contributive.
Fonte:
DEF 2017, Sez I, Tavola III.5 (Spese da escludere
dalla regola della spesa).
La tabella seguente
indica il tasso di crescita dell'aggregato di spesa di riferimento nonché il
relativo limite massimo consentito dalla regola (benchmark).
Tabella
31 - Regola di spesa
Fonte:
DEF 2017, Sez. I, tavola pag. 57.
Nel 2015, in
corrispondenza di condizioni cicliche definibili[52] come
particolarmente avverse, cd. very bad times (output gap pari a -3,8% del PIL
potenziale, sia nello scenario programmatico sia in quello tendenziale),
l’aggiustamento richiesto del saldo strutturale e il margine di convergenza
della regola di spesa dovrebbero garantire un miglioramento di 0,25 punti
percentuali di PIL in termini strutturali. Sia su base annua sia sulla media
dei due anni, il deficit strutturale si è ridotto in linea con quanto richiesto,
mentre registra una deviazione di circa 0,1 punti percentuali di PIL se si
considerano le variazioni cristallizzate degli scorsi esercizi.
Per quanto riguarda la regola di spesa, il
Governo afferma che la deviazione su base annua sarebbe di 0,2 punti di PIL e,
quindi, non significativa (inferiore alla soglia di 0,5 che farebbe scattare
l’allarme per una deviazione significativa) e senza deviazione in ragione dei
dati cristallizzati nei precedenti esercizi e sulla media dei due anni.
Al riguardo, si segnala
una discrepanza tra quanto rappresentato dal Governo nella tabella contenente
le deviazioni dell'aggregato di spesa su base annua e biennale (rispettivamente
0,4 e 0,3) e quanto indicato nel testo (0,2 punti di PIL su base annua e 0,0
sulla media dei due anni).
Per il 2016, in
considerazione del limite massimo di flessibilità conseguente all’attivazione
cumulata della clausola delle riforme e degli investimenti nonché della
concessione di ulteriore flessibilità per eventi non usuali, l'indebitamento netto
strutturale può aumentare di 0,36 punti percentuali di PIL rispetto al 2015.
L’aggregato spesa può invece aumentare dello 0,8% in termini reali.
A fronte di tali
parametri, nel 2016 è possibile riscontrare deviazioni non significative del
saldo strutturale di 0,3 punti percentuali di PIL su base annua e di 0,2 punti
percentuali di PIL sulla media del 2015 e del 2016. In relazione alla regola
della spesa il Governo registrerebbe una deviazione di 0,1% su base annua e
dello 0,2% sulla media dei due anni, dunque, entrambe compatibili con il
rispetto della regola. Lo scostamento medio biennale sarebbe nullo se si
considerano i dati cristallizzati dei precedenti esercizi.
Nel 2017, in
presenza di condizioni cicliche ancora negative, a fronte di un obiettivo di
miglioramento strutturale dello 0,5% del PIL e in considerazione della
flessibilità aggiuntiva connessa ai costi dei rifugiati e dei recenti sismi
(0,32 p.p. di PIL), la riduzione del saldo strutturale richiesta risulta di
0,18 p.p. di PIL. Rispetto a tale valore il Governo ammette il mancato rispetto
della convergenza del saldo strutturale verso l'OMT (deviazione 0,7 p.p. su
base annua e 0,5 p.p. sulla media biennale) e della regola di spesa (deviazione
di 0,6 p.p. su base annua e di 0,4 p.p. su due anni). La correzione della
deviazione da parte del Governo prevede misure permanenti per circa 0,2 p.p. di
PIL che riducono il saldo strutturale a 0,5% e quella dell'aggregato di spesa
su base annua intorno a 0,3 p.p. di PIL.
Con riferimento al
2018 il Governo nel dare conto della riduzione del saldo strutturale, prevista
intorno allo 0,8% di PIL, e dell’aggregato spesa, atteso ridursi del 2,4%, fa
riferimento allo scenario programmatico anziché all'ipotesi delle politiche
invariate.
Si osserva che
rispetto al Documento di economia e finanza del 2016 l'attuale DEF non reca i
passaggi e gli importi necessari per calcolare il tasso di crescita
dell'aggregato di spesa di riferimento nonché il relativo limite massimo
consentito dalla regola (benchmark).
I
regolamenti europei che costituiscono il c.d. six pack[53] hanno introdotto nell'ambito del braccio
preventivo del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) un vincolo alla crescita
della spesa (expenditure benchmark), diretto a rafforzare il
raggiungimento dell’obiettivo di medio termine, parametrato al tasso di
crescita di medio periodo del PIL potenziale.
Le
specifiche riguardanti l'attuazione del PSC e le linee guida su il formato e il
contenuto dei programmi di stabilità e convergenza sono definite all'interno
del cd. Codice di condotta.
Quest'ultimo
stabilisce che il tasso di crescita di medio periodo del PIL potenziale sia
calcolato come media delle stime dei precedenti 5 esercizi, della stima per
l'esercizio corrente e delle proiezioni per i 4 esercizi successivi.
Il
calcolo del benchmark viene
aggiornato periodicamente e comunicato agli Stati membri: per quanto riguarda
l’Italia, il valore relativo al 2015 è pari a -0,5, al 2016 è pari a 0,8%, al
2017 è pari a -0,5, al 2018 è pari a -1,4.
Tabella
32 - Limite massimo alla crescita dell'aggregato
di spesa (2015-2018)
Fonte: DEF 2017, Sezione I, pag. 57.
L'aggregato
di spesa pubblica sottoposto a valutazione è individuato nel totale della spesa
delle Amministrazioni Pubbliche[54] diminuito della spesa per interessi, della
spesa nei programmi europei per la quota coperta da fondi comunitari e della
componente legata al ciclo delle spese non discrezionali per indennità di
disoccupazione[55]. L'aggregato deve essere poi depurato dalla
volatilità intrinseca della spesa per investimenti, prevedendo che il valore
iscritto in ciascun esercizio sia sostituito da un valore medio calcolato sulla
base della spesa per l'esercizio in corso e quella relativa ai tre esercizi
precedenti. Deve inoltre essere aggiunta la stima delle maggiori spese,
rispetto a quelle iscritte nel tendenziale a legislazione vigente, secondo lo
scenario a politiche invariate.
Al
valore della spesa così ottenuto devono essere sottratte le entrate derivanti
da misure discrezionali, considerando l’incremento rilevato (o atteso)
nell’anno t rispetto all’esercizio
precedente (t-1). A queste si
aggiungono (purché non ricomprese nella precedente voce o già scontate nei
tendenziali) le eventuali maggiori entrate derivanti da innalzamenti automatici
di imposte e/o tasse previsti dalla legislazione a copertura di poste
specifiche di spesa[56].
Poiché
il PIL potenziale è stimato in termini reali, la spesa così determinata è
deflazionata con il deflatore del PIL quale risulta dalle previsioni della
Commissione, in particolare si utilizzano le medie dei valori del deflatore del
PIL indicati per ciascun anno dalle previsioni della Commissione pubblicate
nell’anno precedente (media previsioni Spring
e Autumn).
Per gli anni successivi a quelli per i quali si dispongono le previsioni della
Commissione, si utilizzano i valori del deflatore indicati dai Governi
nell’aggiornamento annuale dei Programmi di stabilità.
Il
limite massimo per la variazione della spesa è diverso a seconda della
posizione di ciascuno Stato rispetto all'OMT, in quanto è diretto a garantire
la coerenza con il percorso di convergenza concordato.
Per gli
Stati membri che hanno già raggiunto l'OMT, la crescita della spesa pubblica
non deve essere più elevata del parametro medio relativo al PIL potenziale.
Eventuali dinamiche di crescita superiori possono essere consentite soltanto se
compensate da misure discrezionali dal lato delle entrate di pari ammontare.
Per gli
Stati che non hanno ancora raggiunto l'OMT, il tasso di crescita della spesa
deve essere inferiore a quello del PIL potenziale e coerente con un
miglioramento del saldo strutturale di almeno 0,5 punti in termini di PIL.
Per i
paesi che non hanno raggiunto l’OMT, il calcolo del benchmark (L = lower rate) si
basa sulla seguente formula, in cui R è il tasso di riferimento pari al tasso
di crescita del PIL potenziale, P la quota (in percentuale del PIL) della spesa
al netto degli interessi e -50/P il c.d. shortfall (L = R – 50/P). Lo shortfall è
applicato anche nell’anno di raggiungimento dell’OMT in quanto considerato
“strumentale” rispetto all’obiettivo medesimo.
Il
rispetto del benchmark viene valutato
ex post nell’ambito del giudizio
sull’avvicinamento o raggiungimento dell’OMT. Uno scostamento nella dinamica
della spesa dal valore di riferimento non ha conseguenze se il Paese ha già
raggiunto l’OMT e questo non sia pregiudicato.
Per un
Paese che non abbia raggiunto l’OMT e che presenti una deviazione del saldo di
bilancio rispetto al percorso di avvicinamento pari o superiore allo 0,5% del
PIL in un anno (o cumulativamente in due anni), lo scostamento viene
considerato significativo se la spesa al netto delle misure discrezionali sulle
entrate ha un impatto sul saldo pari ad almeno allo 0,5% del PIL in un anno (o
cumulativamente in due anni).
Il DEF
2017 espone l’obiettivo di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche;
viene altresì indicato il saldo a legislazione vigente dei sottosettori
della PA: amministrazioni centrali, amministrazioni locali ed enti di
previdenza (
Tabella
33
), cfr.
per un maggior dettaglio il paragrafo 1.3.
L’analisi degli andamenti tendenziali per sottosettori
.
Il DEF
evidenzia che nell'intero periodo considerato gli enti previdenziali
registrerebbero un accreditamento netto tendenziale stabile (pari allo 0,1%),
parimenti le amministrazioni locali registrerebbero un saldo positivo di 0,2%
nel 2017 per poi stabilizzarsi allo 0,1% dal 2018. Il percorso di contenimento
dell'indebitamento netto della PA viene dunque sostanzialmente riflesso nel
saldo delle amministrazioni centrali, il quale passa dal -2,6% del PIL nel
2017, al -1,5% nel 2018, al ‑0,8% nel 2019, per poi passare al -0,6% nel
2020.
La Tabella
33
mostra
anche la variazione cumulata del saldo primario necessaria a ricondurre
l'evoluzione dell'indebitamento netto della PA a legislazione vigente
all'obiettivo programmatico.
Si
rileva che - poiché il DEF 2017 non indica la ripartizione per sottosettore delle azioni di variazione richieste a partire
dal 2017 - non è possibile desumere i saldi programmatici per sottosettore, sebbene tale articolazione sia richiesta
dalla legge di contabilità (art. 10, comma 2, lett. e)
della legge n. 196 del 2009).
Tabella
33 -
Indebitamento netto per sottosettore
(in
percentuale del PIL)
|
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
Amministrazioni pubbliche (programmatico) |
-2,6 |
-2,4 |
-2,1 |
-1,2 |
-0,2 |
0,0 |
Amministrazioni pubbliche (tendenziale) |
-2,6 |
-2,4 |
-2,3 |
-1,3 |
-0,6 |
-0,5 |
Correzione del saldo primario |
- |
0,2 |
0,1 |
0,4 |
0,5 |
|
Amministrazioni centrali (tendenziale) |
- |
-2,8 |
-2,6 |
-1,5 |
-0,8 |
-0,6 |
Amministrazioni locali (tendenziale) |
- |
0,3 |
0,2 |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
Enti di previdenza (tendenziale) |
- |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
|
|
|
|
|
|
|
Fonte:
DEF 2017, Sezione I.
Nota:
eventuali incongruenze tra le cifre sono dovute agli arrotondamenti.
L’analisi
del debito pubblico contenuta nel presente paragrafo si basa sui dati relativi
al quadro programmatico del DEF (Sezione I - Programma di stabilità
dell’Italia) riferiti al periodo 2017-2020 e concerne il dato al lordo
dell'impatto del contributo nazionale agli strumenti di sostegno europei[57].
Il DEF
ricorda che, in virtù delle revisioni statistiche operate dall'ISTAT sul PIL
del biennio 2014-2015, è emerso un miglioramento del rapporto debito/PIL dello
0,1% nel 2014 (131,8% il nuovo valore) e dello 0,2% nel 2015 (132,1%), rispetto
al consuntivo della Nota di aggiornamento al DEF[58].
Per il
2016 (dato preliminare), tenendo sempre conto delle anzidette revisioni (mentre
sui contestuali stock del debito non sono state apportate significative
variazioni dalla Banca d'Italia), il rapporto in questione dovrebbe raggiungere
il 132,6%, confermando la sua sostanziale stabilizzazione su valori inferiori
al 133%, mentre nel periodo 2008-2014 la crescita media aveva sfiorato i 5
punti percentuali annui, nonché migliorando, sia pur marginalmente, le
previsioni della Nota di aggiornamento 2016 e del DPB 2017.
Il dato
più rilevante in relazione al peggioramento del rapporto di 0,5 p.p. di PIL
(rispetto al dato 2015) va rinvenuto nella scelta del Tesoro di entrare nel
2017 con giacenze liquide soddisfacenti (saldo +7,4 miliardi euro rispetto a
fine 2015) per fronteggiare il rilevante volume di titoli in scadenza.
Il
fabbisogno di cassa del settore pubblico si è invece attestato al 2,8% del PIL,
a fronte del 3,2% stimato nei due documenti programmatici sopra citati.
Nel 2017 la previsione del rapporto è del
132,5%, in linea con le precedenti previsioni.
Da un
lato, a peggiorare il quadro, si prevede che il fabbisogno cresca al 3,5% del
PIL (anche per gli interventi a tutela del settore bancario). Inoltre, il
previsto rialzo dell'inflazione determinerà una più alta spesa per interessi e
una rivalutazione diretta di una parte dello stock dei titoli in circolazione.
Tali
fenomeni negativi saranno tuttavia più che compensati da:
·
la riduzione (0,7% del PIL, circa 12 miliardi)
dell'ampia giacenza di tesoreria cui si accennava, consentendo di emettere meno
debito in misura corrispondente,
·
le entrate da privatizzazioni (0,3% del PIL,
circa 5,1 miliardi) e
·
una previsione di PIL nominale per il 2017
superiore di circa lo 0,3% rispetto alla stima del DPB 2017.
Il DEF
fornisce l’evoluzione del tasso di crescita del rapporto debito/PIL scomposto
nelle tre componenti: saldo primario, snow-ball effect e stock
flow adjustment[59].
Il DEF
segnala che la (marginale) riduzione del rapporto ha luogo proprio nel primo
anno in cui l'effetto snow-ball
è superato dall'avanzo primario.
Nella
tabella che segue è riportata un’analisi delle componenti che determinano la
variazione del rapporto debito/PIL: il segno algebrico delle singole componenti
indica l’effetto, ad incremento o a riduzione del rapporto, esercitato dalle
medesime.
Tabella
34 - Determinanti del debito pubblico (1)
Note:
1)
Eventuali imprecisioni derivano dagli arrotondamenti.
2)
Include gli effetti dei contributi per Greek Loan Facility e programma
ESM.
3) La
voce altro, residuale rispetto alle precedenti, comprende: variazioni delle
disponibilità liquide del MEF; discrepanze statistiche; riclassificazioni Eurostat; contributi a sostegno dell'Area Euro previsti dal
programma EFSF.
Fonte:
DEF 2017, Sez. I, Tavola III.10 (Determinanti del debito pubblico)
La
riduzione del rapporto dovrebbe accentuarsi nel 2018, con un valore pari al 131%,
ascrivibile al miglioramento sia del fabbisogno (-1,3% rispetto al 2017, quindi
pari al 2,2%) che del PIL nominale (+2,7%). A questi si aggiungeranno le
entrate da privatizzazioni (0,3% del PIL) e un'ulteriore riduzione nelle
disponibilità liquide del Tesoro (0,1% del PIL).
Nel 2019 il rapporto è previsto calare al 128,2%, in virtù di una riduzione del
fabbisogno per circa 1 punto di PIL, un costante livello di entrate da
privatizzazioni e una crescita del PIL nominale pari al 3%. L'effetto snow-ball è
sostanzialmente nullo.
Nel 2020 il rapporto scende ulteriormente
al 125,7%. Il fabbisogno è previsto
stabile e la crescita del PIL nominale pari al 2,8%, mentre gli introiti da
privatizzazioni restano confermati allo 0,3% del PIL. Si registra una modesta
risalita dell'effetto snow-ball,
a causa di una dinamica meno favorevole degli interessi e della crescita
nominale, mentre continua l'aumento dell'avanzo primario.
Complessivamente
il miglioramento del rapporto osservato nel periodo scaturirà in sostanza dal
crescente scarto fra l'avanzo primario e l'effetto snow-ball, che tende di suo a
contrarsi grazie alla crescita del PIL nominale e alla sostanziale
stabilizzazione degli interessi. Oscillante in un range compreso fra lo 0,7% e l'1%
resta per tutto il periodo di riferimento il contributo (negativo) della
componente legata all'aggiustamento stock-flussi.
Il DEF
dà poi conto anche del dato del rapporto
al netto dei contributi italiani all'ESM
e dei prestiti ad altri Stati membri, mediamente inferiore di 3,3 p.p. di PIL all'omologo dato al lordo.
Nella
tabella che segue sono riportati i dati del debito delle Amministrazioni
pubbliche per l’intero periodo di osservazione (2015-2020) in rapporto al PIL.
Tabella
35 - Debito delle Amministrazioni pubbliche in
rapporto al PIL
Note:
1)
Eventuali imprecisioni derivano dagli arrotondamenti.
2) I
sostegni includono gli effetti dei contributi per Greek
Loan Facility e programma
ESM.
Fonte: DEF
2017, Sez. I, Tavola III.10 (Determinanti del debito pubblico)
Al riguardo, si ritiene auspicabile un
approfondimento, con indicazioni più dettagliate sulle partecipazioni oggetto
di dismissioni, circa la realizzabilità degli introiti attesi dalle privatizzazioni,
cifrati pari a 0,3 p.p. annui dal 2017, anche alla luce del fatto che, a fronte
di una stima del DEF 2016 che li stimava pari allo 0,5% del PIL per il medesimo
anno, i ricavi effettivamente conseguiti sono stati pari a circa 0,1 p.p. di
PIL. Nondimeno si segnala che, per il 2015, gli introiti da privatizzazioni
hanno pienamente centrato l'obiettivo previsionale di 0,4 p.p. di PIL indicato
dal Governo nel corrispondente documento programmatico.
Inoltre si osserva che per il 2017
l'incremento in valore assoluto del debito pubblico (+48 miliardi) indicato nel
DEF non sembra compatibile con le stime relative alle sue componenti che
sembrano condurre ad un risultato complessivo inferiore, pari a circa 43
miliardi di euro. Analoghe discrasie sembrano emergere in relazione agli anni
successivi.
Infine, si osserva che il rapporto di inizio
anno del Governo consegnato alla Commissione indica un valore del rapporto
debito/PIL pari al 132% per il 2017, al netto del supporto al sistema bancario.
Atteso che la stima per il presente anno non dovrebbe aver subito modificazioni
per altre motivazioni, si può presumere che l'indicazione per l'omologo dato
del valore del 132,5% nel presente DEF derivi dall'ipotesi di un impatto per
mezzo p.p. sul fabbisogno delle misure precauzionali predisposte a tutela del
settore bancario. Si tratterebbe di uno sforzo, a fronte di uno stanziamento
per 20 miliardi di euro tramite la costituzione di un fondo ad hoc nello stato
di previsione del MEF, pari a circa 8,5 miliardi di euro. Circa l'effettivo
ammontare delle necessità occorrenti per il sistema bancario e dell'impatto
degli interventi statali a suo sostegno, si auspicano maggiori informazioni,
anche considerando la discrasia rinvenibile fra il dato testé indicato e quello
desumibile in altra parte del DEF, parificato a circa "la metà delle
risorse rese disponibili per la ricapitalizzazione precauzionale delle banche
tramite il decreto-legge n. 237 del 2016 (20 miliardi)". Sembrano pertanto
permanere quegli elementi di incertezza circa le modalità, i tempi e l'entità
finanziaria degli interventi, espressamente riconosciuti nella stessa Relazione
presentata al Parlamento il 19 dicembre 2016 ai sensi dell'articolo 6, comma 6,
della legge n. 243 del 2012, al fine di ottenere l'autorizzazione a ricorrere
all'indebitamento per realizzare operazioni relative alle partite finanziarie.
Nel
confronto tra i dati del Programma di stabilità del DEF 2017 e quelli della
Nota di aggiornamento del DEF 2016, a fronte della conferma della stima relativa
al 2017, le nuove previsioni mostrano un profilo superiore del rapporto
debito/PIL (circa 1 p.p. di PIL nel 2018 e 1,5 p.p. di PIL nel 2019), come
evidenziato nella tabella che segue.
Tabella
36 - Andamento programmatico del rapporto
debito/PIL delle AA.PP. - anni 2015-2019 (Confronto tra DEF 2017, NADEF 2016,
DEF 2016 e NADEF 2015 )
Fonti:
tavola III.10 (Determinanti del debito pubblico), sez. I, DEF 2017; NADEF 2016;
DEF 2016
Nella
tabella che segue è riportata la ripartizione del debito al lordo dei sostegni
finanziari all’area dell’euro per sottosettori.
Tabella
37 -
Debito programmatico delle AA.PP. per sottosettori (1)
Note:
1)
Eventuali imprecisioni derivano da arrotondamenti.
2) Al
lordo degli interessi non consolidati.
Fonte:
DEF 2017, sez. I, tab. III.11 (debito delle
amministrazioni pubbliche per sottosettore).
Come
evidenziato nella precedente tabella, la dinamica riferita all’andamento del
debito della PA risulta determinata pressoché integralmente dalla componente
delle amministrazioni centrali. Nel periodo di programmazione 2017-2020 la
componente attribuibile alla amministrazioni locali registra una riduzione in
valore assoluto (mentre la riduzione della componente delle amministrazioni
centrali riguarda soltanto il suo rapporto col PIL), passando dai circa 130
miliardi di euro del 2017 ai 125 miliardi stimati per il 2020.
Resta
costante a poco meno di 150 milioni di euro la componente ascrivibile agli enti
di previdenza e assistenza.
Nel 2016, al termine di un periodo triennale di
transizione (2013-2015) avviato con l’uscita dalla procedura per disavanzi
eccessivi avvenuta nel 2012, per l’Italia la
regola del debito è entrata a regime.
Come si
illustrerà meglio più avanti sia con riferimento al 2016 che al 2017 si
osserva un gap nel raggiungimento del benchmark forward looking per il rispetto della regola del debito.
Tuttavia
il Governo ritiene che, anche in
questa fase, continuino a persistere una
serie di fattori rilevanti che giustificano la deviazione del rapporto
debito/PIL rispetto alla dinamica prevista dalla regola, (cfr. infra per un'analisi di tali fattori).
Il
quadro di riforma della governance economica dell'UE,
adottato nel novembre 2011 (six pack) e
richiamato nel fiscal compact, rafforza il controllo della disciplina di
bilancio attraverso l'introduzione di una regola numerica che specifica il
ritmo di avvicinamento del debito al valore soglia del 60% del PIL. La regola è
stata recepita a livello nazionale con la legge n. 243 del 2012 di attuazione
del principio dell’equilibrio di bilancio in Costituzione.
In
particolare, l'articolo 2 del regolamento 1467/97 stabilisce che, per la quota
del rapporto debito/PIL in eccesso rispetto al valore del 60%, il tasso di
riduzione debba essere pari a 1/20 all'anno nella media dei tre precedenti
esercizi (criterio backward looking). In
caso negativo, viene chiesto di valutare:
a)
se il mancato rispetto è riconducibile alla
posizione dell'economia, depurando cioè dall’effetto del ciclo sia il
numeratore che il denominatore del rapporto;
b)
se il limite stesso è rispettato nei due anni
successivi all’anno di riferimento (cosiddetto forward-looking benchmark - scenario prospettico).
Se
anche in questo caso la regola non risulta rispettata, possono essere valutati
i cd. fattori rilevanti. In particolare, la Commissione sarà chiamata in questo
caso a redigere un rapporto ex articolo 126, comma 3, del TFUE, nel quale al
benchmark numerico si aggiungono valutazioni “qualitative” relative a un certo
insieme di “altri fattori rilevanti”. L’analisi di tali fattori rappresenta,
quindi, un passo obbligato nelle valutazioni che inducono ad avviare
un'eventuale procedura per disavanzi eccessivi a causa di una mancata riduzione
del debito a un “ritmo adeguato”.
Il DEF in esame ammette, con riferimento
al benchmark più favorevole tra i 3 sopra descritti (lettera b) nel box), il mancato rispetto della regola nel 2017, sulla base delle
previsioni del 2019, sia nello scenario tendenziale (129,3% con un gap del 4%
rispetto al forward-looking benchmark) che programmatico (128,2%,
con un gap del 3,1%).
Per
quanto attiene al rispetto della regola
nel 2018 valutata sulla base della previsione del 2020, il pieno
conseguimento dell’MTO previsto per il 2019 nello scenario programmatico non
sarebbe sufficiente a colmare il gap
rispetto al benchmark forward looking
che, pur risultando ridotto, grazie all’accelerazione della crescita del
PIL nominale, al contributo positivo dell’effetto snowball
e all’aumento dell’avanzo primario, si
attesterebbe intorno al 2% del PIL. Per contro, nello scenario a
legislazione vigente il rapporto debito/PIL del 2020 si collocherebbe al
127,2%, circa il 2,9% del PIL al di sopra del benchmark forward-looking.
Tabella
38 - Rispetto della regola del debito anni 2017
e 2018
Fonte:
Tavola III.12 (Rispetto della regola del debito: configurazione forward-looking),
sez. I, DEF 2017
Il DEF
evidenzia poi che l'avvicinamento al rispetto del benchmark è ascrivibile al crescente avanzo primario, in modo
preponderante per il 2017-2018 e in modo esclusivo per il 2019-2020.
Ricostruendo
il quadro storico attinente alla questione, il DEF ricorda che già agli inizi
del 2015 la Commissione europea aveva riscontrato una deviazione eccessiva
rispetto al benchmark della regola del debito. Per questo motivo, era
stato redatto un Rapporto per valutare l’eventuale presenza di fattori
rilevanti e decidere se aprire una procedura di infrazione per deficit
eccessivo. In seguito ad un’accurata analisi, supportata da considerazioni
tecniche pervenute dal Governo italiano, la Commissione ha concluso di non
dover considerare come significativo lo sforamento e non ha proceduto
all’apertura della Procedura per Disavanzi Eccessivi. In particolare, venivano
considerati come fattori mitiganti:
i.
il rispetto del braccio preventivo del Patto
di Stabilità e Crescita;
ii.
le condizioni economiche avverse (bassa
crescita e bassa inflazione) e, infine,
iii.
l’avvio di riforme strutturali capaci di
aumentare la crescita potenziale e quindi la sostenibilità del debito pubblico
nel medio periodo.
L'anno
scorso, poi, la questione si era ripresentata e la Commissione, dopo aver
acquisito un ulteriore rapporto sui fattori rilevanti redatto dal Governo
nazionale, ha confermato che la bassa inflazione e l'ambizioso piano di riforme
strutturali erano ancora fattori mitiganti della deviazione, tuttavia notando
come il rispetto delle condizioni di convergenza verso l'obiettivo di medio
termine fosse a rischio. Il giudizio è stato quindi rinviato alla sessione di
bilancio per il 2017, concretizzandosi nel parere sul Documento programmatico
di bilancio pubblicata a novembre 2016, nel quale la Commissione ha affermato
che gli impegni dell'Italia non sembravano sufficienti a garantire il rispetto
della regola del debito nel 2016 e nel 2017, preannunciando comunque un
ulteriore, nuovo rapporto sui fattori rilevanti.
A
gennaio il Governo italiano ha ribadito i rischi deflattivi connessi a processi
di rapida riduzione del rapporto debito/PIL e l'incertezza delle stime
dell'output gap, ritenuto grossolanamente sottovalutato[60], e ha rappresentato i crescenti costi delle
riforme strutturali e della crisi dei migranti.
Acquisiti
tali rilievi, nel rapporto sui fattori rilevanti dello scorso febbraio[61], la Commissione Europea ha concluso che le
condizioni macroeconomiche permangono sfavorevoli ma sono in graduale
miglioramento. Inoltre, ha evidenziato un marcato rallentamento nella
prosecuzione dell’azione di stimolo alla crescita economica attraverso
l’adozione di riforme strutturali. Infine, ha sottolineato il rischio per il
2016 e il 2017 di non conformità delle finanze pubbliche italiane
all’aggiustamento richiesto dal braccio preventivo del Patto di Stabilità e
Crescita per convergere verso l’obiettivo di medio termine (OMT).
Si ricorda che la Commissione rileva come
l'Italia non abbia compiuto progressi sufficienti verso la conformità al
parametro per la riduzione del debito nel 2015. Inoltre, non considerando tutti
i fattori significativi, si prevede il mancato rispetto della regola anche nel
2016 e nel 2017, con un divario ampio anche a causa del deterioramento del
saldo strutturale (da ‑1,0% del PIL potenziale nel 2015, a -2,5% nel
2018, nell'ipotesi di politiche invariate).
Prendendo in considerazione, invece, i fattori
significativi viene osservato che le condizioni macroeconomiche non
possono essere considerate una circostanza attenuante per spiegare il mancato
risanamento di bilancio (2016-2017) e la divergenza nel rispetto alla regola
del debito (configurazione forward-looking).
L'Italia presenta un rischio di non conformità
con l'aggiustamento richiesto dal braccio preventivo sia nel 2016 che nel 2017,
ciò nella misura in cui, in base alle previsioni d'inverno, non sembra essere
soddisfatta la condizione necessaria di ripresa del percorso di aggiustamento
verso l'OMT. La Commissione, pur prendendo atto degli impegni del Governo
italiano, dichiara di valutare come non sufficientemente dettagliate le
risposte contenute nella prima lettera del Governo in risposta alla
comunicazione del 17 gennaio 2017.
La valutazione della Commissione è che il
debito pubblico italiano "continua a rappresentare una delle maggiori
fonti di vulnerabilità nel medio periodo e le misure adottate di recente non
sono in linea con la piena attuazione delle passate riforme pensionistiche che
sarebbero necessarie per migliorare la sostenibilità del debito, insieme alle
altre riforme strutturali intese a promuovere la crescita potenziale nel
medio/lungo periodo e a un ulteriore aggiustamento di bilancio"[62].
Riprendendo
le considerazioni svolte nel DEF, la concessione dei fattori rilevanti per la
mancata compliance con la regola del
debito è stata legata alla ripresa della convergenza verso l’OMT (espressamente
indicato fra i "fattori rilevanti"), da conseguire attraverso
l’introduzione di un pacchetto di misure correttive pari ad almeno lo 0,2% del
PIL, che il Governo si è impegnato a presentare immediatamente dopo questo
Documento.
Si ricorda che in realtà, a fronte del dato
pacifico del mancato rispetto della regola del debito in assenza dell'adozione
della manovra correttiva, l'ultimo Documento presentato dal Governo italiano in
merito ai "fattori rilevanti" accompagna la necessaria correzione dei
saldi con una evoluzione più favorevole del rapporto debito/PIL, rispetto a
quanto indicato nel DPB.
Sul punto, si rappresenta che appare ovvio che
il giudizio della Commissione, per cui viene considerato soddisfatto il
criterio del debito (secondo lo scenario prospettico) a condizione che siano
attuate in maniera credibile e relativamente rapida le misure per la correzione
strutturale del deficit in misura pari ad almeno lo 0,2%, sia stato formulato
scontando anche il trend del rapporto debito/PIL presentato alla Commissione
stessa dal Governo a gennaio.
Giova quindi segnalare che, con riferimento al
2020, il rapporto debito/PIL indicato nel DEF è pari al 125,7% a fronte del
123,5% riportato nel citato rapporto consegnato alla Commissione.
D'altra parte, a sostegno dell'atteggiamento
più graduale assunto dal Governo in relazione alla correzione del saldo strutturale,
si rappresenta che la stessa relazione della Commissione del 22 febbraio u.s.,
pur ascrivendoli alle condizioni macroeconomiche sfavorevoli (destinate ad
attenuarsi, ma comunque non a cessare), segnala l'esistenza per l'Italia di
"moltiplicatori fiscali piuttosto elevati"[63] che
vanno ad amplificare l'effetto negativo sul denominatore di manovre correttive
volte a ridurre lo stock di debito.
La
terza Sezione del DEF 2017 reca il Programma Nazionale di riforma (PNR) che, in
stretta relazione con quanto previsto nel Programma di Stabilità, definisce gli
interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi nazionali di
crescita, produttività, occupazione e sostenibilità delle finanze pubbliche, in
coerenza con gli indirizzi formulati dalle istituzioni europee nell’ambito del
semestre Europeo.
In tale
ambito sono indicati:
§ le
priorità del Paese, con le azioni prioritarie di riforma da attuare e i tempi
previsti per la loro attuazione (parte I Le
riforme: rilancio nella continuità e Appendice A Cronoprogramma del Governo);
§ lo
scenario macroeconomico e i prevedibili effetti delle riforme in termini
macroeconomici e finanziari (parte II Scenario
macroeconomico e impatto delle riforme e Appendice B Tavole di sintesi dell'impatto macroeconomico delle riforme);
§ l'azione
del Governo e lo stato di avanzamento
delle riforme avviate, in relazione alle raccomandazioni formulate dal
Consiglio UE al termine del semestre europeo 2016 (parte III: Le risposte di policy alle principali sfide
economiche e Appendice C Sintesi
delle misure in risposta alle raccomandazioni del Consiglio 2016);
§ il
quadro degli interventi ricompresi nelle azioni di policy per il Mezzogiorno
(parte IV: Coesione, riequilibrio
territoriale e mezzogiorno).
Oltre
ad una indicazione (parte V) sulle interlocuzioni istituzionali con regioni e
province autonome nella preparazione del PNR, completa la Sezione una ultima
parte in cui si dà conto dei progressi conseguiti nell’ambito della Strategia
Europa 2020 (Appendice D Sintesi misure
in risposta ai target della strategia Europa 2020).
Di
seguito si riporta in forma sintetica l’impatto finanziario delle misure del
programma nazionale di riforma, con riferimento a quanto dettagliato nelle
griglie ad esso allegate.
Si
precisa che gli effetti finanziari nelle griglie sono valutati in termini di
maggiori/minori entrate e maggiori/minori spese sia per il bilancio dello
Stato, sia per la Pubblica Amministrazione (PA) e quantificati con riferimento
ai relativi saldi.
Tabella
39 - Impatto finanziario delle misure griglia
PNR
(milioni
di euro)
* Al
netto degli importi inseriti nella Tabella allegata alla Legge di Bilancio per
il 2017.
1)
Maggiori spese in particolare riferite a:
-
‘Sistema finanziario’: tutela del risparmio
nel settore creditizio, programmate per il 2017 (20 miliardi);
-
‘Spesa pubblica e tassazione’: Fondo per il
pubblico impiego: 1,4 miliardi per il 2017 ed 1,9 per ciascuno degli anni successivi;
farmaci innovativi e vaccini: 1 miliardo l’anno; fondi a favore degli enti
territoriali e locali: 970 milioni annui;
-
‘Lavoro e pensioni’ che, dal 2017, prevede 150
milioni annui per la lotta alla povertà che si aggiungono a quelle previste a
legislazione vigente, 390 milioni annui per il premio alla nascita, 160 milioni
medi annui per il sostegno al reddito del personale del credito. Interventi
aggiuntivi alla riforma pensionistica 2011, riguardano: la c.d. quattordicesima
– 800 milioni annui; l’APE sociale – in media 500 milioni annui; e l’estensione
ad ulteriori soggetti della salvaguardia in relazione ai nuovi requisiti
introdotti dalla riforma – in media 540 milioni annui;
-
‘Infrastrutture e sviluppo’:
in media 2,9 miliardi annui dal 2017 per infrastrutture, trasporti, difesa del
suolo, ricerca, prevenzione del rischio sismico, edilizia pubblica,
riqualificazione urbana e sicurezza delle periferie.
2) Minori spese, in particolare:
-
‘Spesa pubblica e tassazione’: varie riduzioni
operate nella LdB 2017 e disposizioni sulla
definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti di riscossione (D.L.
193/2016) e altre misure tra cui l’introduzione del regime per cassa per i
contribuenti in contabilità semplificata dal 2018, la soppressione del credito di
imposta a favore di enti previdenziali e le modifiche alle disposizioni sulle
pensioni apportate alla Legge di Stabilità per il 2016
3)
Maggiori entrate, in particolare:
-
‘Spesa pubblica e tassazione’: tra cui nuove
disposizioni recanti misure per il recupero dell’evasione, abrogazione dello spesometro e introduzione di nuovi adempimenti in materia
di IVA e IRPEF, riforma del sistema fiscale con l’introduzione della già citata
imposta IRI, modifica della disciplina ACE - aiuto alla crescita economica e, infine,
riapertura dei termini della ‘voluntary disclosure’.
4)
Minori entrate, in particolare:
-
Spesa pubblica e tassazione’: disattivazione
delle clausole di salvaguardia, introduzione della nuova imposta sul reddito
d’impresa – IRI – opzionale per tutte le imprese individuali e le società di
persone commerciali in contabilità ordinaria.
-
‘Sostegno alle Imprese’: proroga e
rafforzamento della disciplina di maggiorazione della deduzione di
ammortamenti;
-
‘Energia e ambiente’: detrazioni fiscali, tra
cui le detrazioni per spese relative ad interventi di rafforzamento delle
misure antisismiche.
Fonte:
Elaborazioni RGS su dati allegati 3 delle Relazioni Tecniche e delle
informazioni riportate in documenti ufficiali. Sono escluse le risorse dei
programmi di azione e coesione e dei vari fondi destinati agli interventi a
carattere europeo.
La
terza sezione del DEF può essere più compiutamente analizzata e compresa nei
suoi contenuti fondamentali se inserita all'interno della Governance
economica europea e, in particolare, della cornice del Semestre europeo.
I due
paragrafi seguenti circoscrivono l'analisi alle raccomandazioni specifiche che,
su proposta delle Commissione, sono state adottate, nel luglio 2016, dal
Consiglio per essere rivolte all'Italia così come agli altri Paesi dell’UE,
nonché ai risultati delle analisi condotte all'interno della procedura sugli
squilibri macroeconomici (MIP, nell'acronimo anglosassone) e alle relative
raccomandazioni formulate all'Italia per correggere gli squilibri eccessivi del
Paese (febbraio 2017).
Il Box
seguente fornisce una sintesi del Semestre europeo al cui interno si
inseriscono i documenti oggetto di esame della presente nota.
Il
Semestre europeo fornisce un quadro, temporalmente scandito, per la gestione
delle varie tappe della strategia di coordinamento delle politiche economiche
tra i paesi dell’UE. In sintesi esso si compone delle seguenti fasi:
Novembre: presentazione da parte della Commissione
dell’Analisi annuale della crescita,
della Relazione sul meccanismo di allerta
per la prevenzione degli squilibri macroeconomici. Il Consiglio europeo elabora
le Linee guida di politica economica
e di bilancio a livello UE e a livello di Stati membri. Anticipando così in via
di prassi la scadenza inizialmente fissata a
Tale prassi è stata confermata anche per il semestre 2017, per il quale entrambi i documenti[64] sono stati approvati il 16 novembre 2016
contestualmente alle linee guida contenute nelle Raccomandazioni del Consiglio COM (2016) 726 sulla politica economica della zona euro;
Febbraio: la Commissione pubblica le Relazioni per
Paese integrate, per i paesi selezionati nella relazione sul meccanismo di
allerta che presentano squilibri macroeconomici, dall'esame approfondito.
Dalla metà alla fine di aprile: gli Stati
membri sottopongono contestualmente i Piani
nazionali di riforma (PNR, elaborati nell’ambito della nuova Strategia per
la crescita e l’occupazione UE 2020) ed i Piani
di stabilità e convergenza (PSC, elaborati nell’ambito del Patto di
stabilità e crescita), tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio
europeo;
Maggio: sulla base dei PNR e dei PSC, la Commissione europea elabora le raccomandazioni di politica economica e di
bilancio rivolte ai singoli Stati membri;
Giugno: il Consiglio
ECOFIN e, per la parte che gli compete, il Consiglio Occupazione e affari
sociali, approvano le raccomandazioni
della Commissione europea, anche sulla base degli orientamenti espressi dal
Consiglio europeo di giugno;
Seconda metà dell’anno: gli Stati
membri approvano le rispettive leggi
di bilancio, tenendo conto delle raccomandazioni ricevute. In base alla
disciplina del regolamento (UE) n. 473/2013 (uno dei due atti che compongono il
c.d. Two-pack), la Commissione europea opera, di
norma entro il mese di novembre, una valutazione del documento programmatico di
bilancio di ciascuno Stato membro.
Nella
riunione del 12 luglio 2016 il Consiglio economia e finanza ha approvato le
raccomandazioni specifiche per paese e i pareri sulle politiche economiche e di
bilancio degli Stati membri (di seguito: raccomandazioni)[65], chiudendo così il ciclo annuale del Semestre
europeo, avviato il 26 novembre 2015.
In
generale, si osserva una riduzione del numero delle raccomandazioni rivolte a
ciascun paese e una maggiore focalizzazione sulle priorità identificate nell'analisi annuale della crescita e connesse ai tre pilastri strategici:
rilancio degli investimenti,
proseguimento delle riforme
strutturali e gestione responsabile
delle politiche di bilancio.
Tale
tendenza è particolarmente evidente nel caso dell'Italia dove si è passati
dalle 8 raccomandazioni del 2014 (6 del 2015 (cfr. box)) alle sole 5
raccomandazioni del 2016.
Nel
testo approvato dal Consiglio vengono confermate le cinque proposte di
raccomandazioni delle Commissione indirizzate all'Italia e riguardanti gli
aggiustamenti di bilancio e la fiscalità (CSR1), la pubblica amministrazione,
il contrasto alla corruzione e la giustizia civile (CSR2), i crediti
deteriorati e il settore bancario (CSR3), il mercato del lavoro e la spesa
sociale (CSR4), la concorrenza (CSR5).
Il
Consiglio raccomanda all'Italia di limitare nel 2016 la deviazione temporanea
dall'aggiustamento dello 0,5% del PIL richiesto all'importo dello 0,75% del PIL
concesso per gli investimenti e per l'attuazione delle riforme strutturali, a
condizione di riprendere il percorso di avvicinamento all'obiettivo di bilancio
a medio termine nel 2017. Viene chiesto di conseguire un aggiustamento annuo di
bilancio verso l'OMT pari allo 0,6% o più del PIL nel 2017[66]. Con riferimento al processo di
privatizzazione si raccomanda di assicurare
l'attuazione puntuale del programma
di privatizzazioni, impiegando tali entrate straordinarie per ridurre il debito
pubblico. Viene inoltre richiesto di
completare la riforma del processo di bilancio nel corso del 2016 e assicurare
che la revisione della spesa ne costituisca parte integrante.
Sul
fronte del fisco si raccomanda di: spostare il carico fiscale dai fattori di
produzione al consumo e al patrimonio, ridurre il numero e la portata delle
agevolazioni fiscali, completare la riforma del catasto entro il primo semestre
2017, procedere nel contrasto all'evasione fiscale con disposizioni, quali ad
esempio la diffusione dei sistemi elettronici di fatturazione e pagamento,
volte al miglioramento del tasso di rispetto dell'obbligo tributario.
Il
Consiglio raccomanda di attuare la riforma della pubblica amministrazione
adottando e applicando tutti i decreti legislativi necessari, in particolare in
materia di riforma delle imprese di proprietà pubblica, servizi pubblici locali
e gestione delle risorse umane; potenziare la lotta contro la corruzione anche
riformando l'istituto della prescrizione entro fine 2016; ridurre la durata dei
procedimenti civili dando attuazione alle riforme e assicurando una gestione
efficiente delle cause.
Con
riferimento al settore bancario viene raccomandato, da un lato, di accelerare
il processo di riduzione dei crediti deteriorati, anche agendo sul fronte di un
ulteriore miglioramento della disciplina dell'insolvenza e del recupero crediti
e, dall'altro, di completare in tempi brevi l'attuazione delle riforme in corso
in materia di governo societario.
In
relazione al mercato del lavoro il Consiglio raccomanda di attuare la riforma
delle politiche attive, con particolare riguardo all'incremento dell'efficienza
dei servizi per l'impiego e all'incentivazione del lavoro dei componenti delle
famiglie che costituirebbero la seconda fonte di reddito. Sul fronte delle
spesa sociale, oltre alla sua revisione e razionalizzazione, viene raccomandato
di adottare e attuare la strategia nazionale di lotta contro la povertà.
L'ultima
raccomandazione all'Italia riguarda il contesto competitivo del Paese, rispetto
al quale si chiede di adottare e attuare rapidamente la legge sulla concorrenza
rimasta in sospeso; intervenire ulteriormente per aumentare la concorrenza
nelle professioni regolamentate, nei trasporti, nella sanità, nel commercio al
dettaglio e nell'aggiudicazione delle concessioni.
Sintesi
delle raccomandazioni rivolte all'Italia nel 20141 e nel 20152
Nel
luglio del 2014 Consiglio ha indirizzato in tutto otto raccomandazioni
all'Italia attraverso le quali si chiedeva di:
1)
Sostenibilità finanze pubbliche: adottare
provvedimenti per rafforzare le misure di bilancio per il 2014 alla luce
dell'emergere di uno scarto rispetto ai requisiti del patto di stabilità e
crescita, in particolare alla regola della riduzione del debito; per il 2015,
operare un sostanziale rafforzamento della strategia di bilancio al fine di
garantire il rispetto del requisito di riduzione del debito, raggiungendo così
l'obiettivo a medio termine.
2)
Sistema fiscale: trasferire ulteriormente il
carico fiscale dai fattori produttivi ai consumi, ai beni immobili e
all’ambiente, riesaminare la portata delle agevolazioni fiscali dirette e
allargare la base imponibile sui consumi.
3)
Fondi UE e anticorruzione: porre attenzione
sulla necessità di garantire una migliore gestione dei fondi UE, specialmente
nelle regioni meridionali; potenziare ulteriormente l'efficacia delle misure
anticorruzione, in particolare rivedendo l'istituto della prescrizione entro la
fine del 2014.
4)
Settore bancario: rafforzare la resilienza del
settore bancario, rinvigorire l'erogazione di prestiti all'economia reale,
promuovere l'accesso delle imprese a finanziamenti non bancari.
5)
Occupazione e spesa sociale: adoperarsi per
una più globale tutela sociale dei disoccupati, limitando tuttavia l'uso della
cassa integrazione guadagni; adottare entro marzo 2015 misure che riducano i
disincentivi fiscali al lavoro delle persone che costituiscono la seconda fonte
di reddito familiare. Per far fronte al rischio di povertà e di esclusione
sociale, di estendere gradualmente il nuovo regime pilota di assistenza
sociale.
6)
Istruzione e ricerca: rendere operativo il
sistema nazionale per la valutazione degli istituti scolastici; ridurre i tassi
di abbandono scolastico; accrescere l'apprendimento basato sul lavoro negli
istituti professionali; assicurare che i finanziamenti pubblici premino in modo
più congruo la qualità dell'istruzione superiore e della ricerca.
7)
Concorrenza: eliminare gli ostacoli alla
concorrenza nei seguenti settori: servizi professionali, servizi pubblici
locali, assicurazioni, distribuzione dei carburanti, commercio al dettaglio e
servizi postali
8)
Trasporti: garantire la pronta e piena
operatività dell'Autorità di regolazione dei trasporti entro settembre 2014;
potenziare la gestione portuale e i collegamenti tra i porti e l'entroterra.
Nello
stesso mese dell'anno successivo il Consiglio ha circoscritto le
raccomandazioni all'Italia all'interno di sei ambiti di intervento, chiedendo
di:
1)
Sostenibilità finanze pubbliche: conseguire un
aggiustamento di bilancio verso l'obiettivo di bilancio a medio termine pari ad
almeno lo 0,25 % del PIL nel 2015 e allo 0,1 % del PIL nel 2016, adottando le
necessarie misure strutturali sia nel 2015 che nel 2016, tenuto conto dello
scostamento consentito per l'attuazione di importanti riforme strutturali;
assicurare che la revisione della spesa costituisca parte integrante del
processo di bilancio; attuare in modo rapido e accurato il programma di
privatizzazioni e ricorrere alle entrate straordinarie per compiere ulteriori
progressi al fine di assicurare un percorso adeguato di riduzione del rapporto
debito pubblico/PIL; attuare la legge delega di riforma fiscale entro settembre
2015, con particolare riguardo alla revisione delle agevolazioni fiscali e dei
valori catastali e alle misure per migliorare il rispetto della normativa
tributaria;
2)
Infrastrutture e coesione: adottare il piano
strategico nazionale della portualità e della logistica previsto, in particolare
per contribuire alla promozione del trasporto intermodale mediante migliori
collegamenti; assicurare la piena operatività dell'Agenzia per la coesione
territoriale in modo da determinare un sensibile miglioramento della gestione
dei fondi dell'UE;
3)
Pubblica amministrazione: adottare e attuare
le leggi in discussione intese a migliorare il quadro istituzionale e a
modernizzare la pubblica amministrazione; riformare l'istituto della
prescrizione entro la metà del 2015; fare in modo che le riforme adottate per
migliorare l'efficienza della giustizia civile contribuiscano a ridurre la
durata dei procedimenti;
4)
Sistema finanziario: introdurre entro la fine
del 2015 misure vincolanti per risolvere le debolezze che permangono nel
governo societario delle banche, dare attuazione alla riforma concordata delle
fondazioni e adottare provvedimenti per accelerare la riduzione generalizzata
dei crediti deteriorati;
5)
Mercato del lavoro: adottare i decreti
legislativi riguardanti la configurazione e il ricorso alla cassa integrazione
guadagni, la revisione degli strumenti contrattuali, l'equilibrio tra attività
professionale e vita privata e il rafforzamento delle politiche attive del
mercato del lavoro; promuovere, di concerto con le parti sociali e
conformemente alle prassi nazionali, un quadro efficace per la contrattazione
di secondo livello; nell'ambito degli sforzi per ovviare alla disoccupazione
giovanile, adottare e attuare la prevista riforma della scuola e ampliare
l'istruzione terziaria professionalizzante;
6)
Semplificazione e concorrenza: attuare
l'«Agenda per la semplificazione 2015-2017» al fine di snellire gli oneri
amministrativi e normativi; adottare misure finalizzate a favorire la
concorrenza in tutti i settori contemplati dal diritto della concorrenza e intervenire
in modo deciso sulla rimozione degli ostacoli che ancora permangono; garantire
la rettifica entro la fine del 2015 dei contratti di servizi pubblici locali
che non ottemperano alle disposizioni sugli affidamenti «in-house».
1. Raccomandazione del Consiglio dell'8 luglio
2014, (2014/C 247/11)
2. Raccomandazione del Consiglio del 14 luglio
2015, (2015/C272/16)
La
Commissione europea ha pubblicato lo scorso 22 febbraio un articolato pacchetto
di documenti (cd. Pacchetto di Inverno del Semestre europeo). In questa sede si
illustra sinteticamente il contenuto della relazione per paese riferita all'Italia, integrata dall'esame
approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici.
L'Italia infatti rientrava nel gruppo dei 13 Stati membri per i quali la Relazione sul meccanismo di allerta di novembre 2016 ha ravvisato la necessità di
un esame approfondito.
Si
ricorda che il Pacchetto di inverno recava anche la relazione che esamina il
rispetto, da parte dell'Italia, del criterio del debito a norma
dell'articolo 126, paragrafo 3, del Trattato (di cui si è detto nella sezione
II all'interno del paragrafo relativo al rispetto della regola del debito).
Nella Relazione per Paese la Commissione valuta i progressi
dell'Italia nel dar seguito alle raccomandazioni specifiche del 2016,
rilevando che nel complesso l'Italia ha compiuto alcuni progressi[67]. Viene registrato
che sono
stati compiuti progressi significativi
nella riforma del processo di bilancio. La Commissione osserva alcuni progressi per quanto attiene alla giustizia civile, al mercato
del lavoro e al settore bancario. Per contro, si afferma che i progressi sono stati limitati nel settore della fiscalità, della concorrenza e della pubblica
amministrazione, e che non sono stati compiuti progressi nella
riforma dell'istituto della prescrizione.
Quanto
all'avvicinamento agli obiettivi
nazionali della strategia Europa 2020, nella Relazione per Paese si afferma
che l’Italia ha già raggiunto i
propri obiettivi in materia di energie rinnovabili, efficienza energetica
e abbandono scolastico, e sembra
sulla buona strada per conseguire
quelli sulle emissioni di gas a effetto
serra. Il paese ha compiuto anche alcuni
progressi verso il conseguimento
dell’obiettivo relativo all’istruzione
terziaria. Viceversa, i progressi sono meno
evidenti per quanto riguarda gli obiettivi in materia di tasso di occupazione, investimenti in R&S, povertà ed esclusione sociale.
Nella
primavera 2016, la Commissione ha identificato squilibri macroeconomici
eccessivi cui è seguito il cosiddetto esame approfondito.
La
Commissione ha innanzitutto osservato che all’origine degli squilibri macroeconomici dell’Italia vi sono carenze
strutturali.
L'elevato
debito pubblico italiano rende il
paese vulnerabile alla volatilità dei mercati finanziari e implica lo
stanziamento di ingenti risorse per il servizio del debito, a danno di voci che
stimolano maggiormente la crescita, quali l’istruzione, l’innovazione, le
infrastrutture e la riduzione della pressione fiscale sui fattori di
produzione.
Un
altro squilibrio è riferito alla scarsa
competitività esterna imputabile, tra le altre, a una struttura produttiva ancora
sbilanciata a favore di industrie a medio e basso contenuto tecnologico. Tutto
questo in un contesto di crescita debole della produttività.
La
Commissione evidenzia poi squilibri relativi: ai problemi di aggiustamento
connessi alla massiccia quantità di crediti
deteriorati presenti nei bilanci delle banche; al livello ancora alto della
disoccupazione e ad aumenti
significativi dei tassi della disoccupazione di lunga durata e giovanile.
Concludendo la Commissione ha osservato che, nonostante
alcuni sviluppi positivi, gli squilibri
macroeconomici non sono ancora corretti. Considerate le carenze strutturali
che emergono dall'esame approfondito condotto dalla Commissione, quest'ultima
ha dichiarato che avrebbe provveduto ad aggiornare la propria valutazione a
maggio alla luce del programma nazionale di riforma dell'Italia[68].
La
Commissione europea nella sua Relazione per paese relativa all’Italia ha sottolineato
come la crescita economica e l’efficienza siano ostacolate dal sistema fiscale.
In particolare sono individuati alcuni ambiti nei quali intervenire: lo
spostamento del carico fiscale dal lavoro ai consumi, con la riduzione del
cuneo fiscale; la riduzione delle spese fiscali; la riforma del catasto; la
lotta all’evasione fiscale.
Per
quanto riguarda le politiche fiscali,
che includono la tassazione, la lotta all’evasione e la revisione della spesa,
il Governo italiano ha individuato le seguenti azioni da intraprendere nel
medio termine:
§ proseguire
la riduzione della pressione fiscale
per sostenere la crescita (2017-2018);
§ spostare
la tassazione dalle persone (lavoro)
alle cose (consumi) (2017-2018);
§ procedere
alla revisione delle spese fiscali (tax expenditures)
(2017-2018);
§ migliorare
il coordinamento dell’amministrazione fiscale per il contrasto all’evasione (entro il 2017);
§ realizzare
investimenti in ICT e risorse umane a sostegno della lotta all’evasione fiscale
e per favorire la tax compliance
(2017-2018);
§ ridurre
le controversie tributarie e
aumentare l’efficacia della riscossione
(2017-2018).
Il
Governo dichiara di voler perseguire l’obiettivo di ridurre ulteriormente la pressione fiscale sui fattori produttivi.
Al
riguardo si rammenta che secondo gli ultimi rilevamenti dell’ISTAT la pressione
fiscale in Italia ammonta al 42,9% del
PIL.
La
legge di stabilità 2015 ha reso permanente il credito d’imposta di 80 euro
mensili per i lavoratori dipendenti a basso/medio reddito e ha previsto
un’esenzione permanente del costo del lavoro dalla base imponibile dell’IRAP.
Con la legge di stabilità 2016 è stata introdotta la riduzione dell’aliquota
IRES dal 27,5 al 24%, con effetti dal 2017. Con la legge di bilancio 2017 è
stata introdotta l’imposta sul reddito di impresa (IRI) calcolata sugli utili
trattenuti presso l'impresa mediante applicazione dell'aliquota unica IRES al 24%.
In
questo contesto nel DEF è definito cruciale il taglio del cuneo fiscale per ridurre il costo del lavoro e
aumentare parallelamente il reddito disponibile dei lavoratori.
Recenti dati sul cuneo fiscale in Italia, in confronto con gli altri paesi,
sono stati diffusi dalla Commissione
europea, dalla Corte dei conti e
dall’OCSE. Nel 2015 in Italia i
cunei fiscali sui singoli lavoratori che percepiscono un salario basso o medio,
rispettivamente al 41% e al 48%, sono tra i più elevati dell’UE. Nel 2014
l’aliquota fiscale implicita sul lavoro è stata la più elevata dell’UE (44%
rispetto a una media UE del 36%) e l’onere fiscale sul capitale ben al di sopra
della media UE (10,6% del PIL rispetto all'8,2%) (Commissione Europea). La Corte
dei Conti, nel Rapporto sul coordinamento della finanza
pubblica,
sottolinea che il cuneo fiscale, riferito alla situazione media di un
dipendente dell’industria, colloca al livello più alto la differenza fra il
costo del lavoro a carico dell’imprenditore e il reddito netto che rimane in
busta paga al lavoratore: il 49% prelevato a titolo di contributi (su entrambi)
e di imposte (a carico del lavoratore) eccede di ben 10 punti l’onere che si
registra mediamente nel resto d’Europa. Infine l’OCSE, nello studio annuale sul
peso fiscale dei salari (Taxing wages – Italy) afferma che nel 2016 l’Italia si colloca al quinto
posto tra i paesi OCSE per il più alto livello di imposte sul lavoro. La media
del cuneo fiscale per lavoratore è del 47,8% , mentre la media dei paesi OCSE è
del 36%.
Nel PNR il Governo dichiara di voler
proseguire la riduzione della pressione fiscale per sostenere la crescita con
il taglio dei contributi sociali,
iniziando dalle fasce più deboli (giovani e donne).
Secondo
la Commissione europea uno spostamento ottimale del carico fiscale verso i
consumi potrebbe ridurre ulteriormente l’onere fiscale sul lavoro e favorire la
lotta contro la povertà e la disuguaglianza.
In
particolare la Commissione ha effettuato una simulazione degli effetti
distributivi e di bilancio derivanti dall’aumento dell’aliquota IVA ridotta dal
10% al 13% e dal pieno utilizzo di tali entrate per un credito d’imposta
rimborsabile sui redditi da lavoro per i lavoratori a basso reddito: gli
effetti sarebbero progressivi e consentirebbero di aumentare il reddito netto
disponibile per i decili a più basso reddito e di ridurre la povertà e le
disuguaglianze. Si evidenzia inoltre che tale operazione è coerente anche con l’obiettivo
di riduzione delle spese fiscali, tra le quali rientrano le aliquote Iva
agevolate.
In tale
contesto, per perseguire l’obiettivo di maggiore equità nel prelievo, il
Governo intende proseguire le attività volte ad aggiornare il patrimonio informativo catastale, che consistono nel
miglioramento della qualità delle banche dati e nella loro correlazione con i
dati di mercato. Al riguardo è in corso l’attività finalizzata ad assicurare la
georeferenziazione del patrimonio immobiliare sulla cartografia catastale,
l’introduzione dell’’entità fabbricato’ e la determinazione della superficie
catastale per tutte la unità immobiliari delle categorie ordinarie, dotate di
planimetria.
Si
rammenta che in materia di riforma del catasto la delega fiscale è stata attuata
solo con riferimento alla composizione, alle attribuzioni e al funzionamento
delle Commissioni censuarie, mediante il Decreto Legislativo n. 198 del 2014,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 13 gennaio 2015.
La Commissione
europea raccomanda di ridurre il numero e la portata delle agevolazioni
fiscali. Nella relazione per paese constata tuttavia che la tanto attesa
revisione delle spese fiscali e dei valori catastali ha subito un ulteriore
rinvio.
La revisione delle spese fiscali (tax expenditures) rientra
tra le azioni ritenute dal Governo necessarie per disegnare un sistema fiscale
più efficace, ponendo allo stesso tempo attenzione a non aumentare la pressione
fiscale e a non intaccare l’equità del sistema. Il lavoro di analisi del
Governo ha portato alla pubblicazione del Rapporto
annuale sulle spese fiscali (2016), allegato al disegno di legge di
bilancio 2017 e redatto dalla Commissione istituita con decreto del MEF il 28
aprile 2016, che elenca tutte le misure di esenzione, esclusione, riduzione
dell’imponibile o dell’imposta oppure regime di favore, con quantificazione
degli effetti finanziari e del numero dei beneficiari.
Nel
Rapporto sono elencate un totale di 444 spese fiscali, suddivise in 20 missioni
di spesa considerate nel bilancio dello Stato. Sono riportate inoltre le spese
fiscali locali (166), ovvero quelle riferite agli enti territoriali di governo
distinte per i vari tipi di tributo, per un numero totale di 610. Il
Rapporto non indica il valore complessivo degli effetti delle spese fiscali in
termini di gettito. La missione Politiche
economico-finanziarie e di bilancio è quella che presenta il numero più
elevato di spese fiscali (111), seguita dalla missione Competitività e sviluppo delle imprese (59), Diritti sociali, politiche sociali e famiglia (51) e Politiche per il lavoro (49). Guardando
alle 444 spese fiscali si evidenzia che poco meno della metà è riferibile a
spese i cui effetti non sono quantificabili (33%) o di "di trascurabile
entità" (7%) o "inferiori a 1 milione di euro" (quasi il 9%). Il
51% di esse, invece, comportano una spesa superiore a 1 milione di euro (si
veda alla pagina 1117 della Tabella 1, Stato di previsione dell’entrata).
Il
Governo, nel PNR 2017, dichiara che utilizzando il Rapporto annuale allegato
alla legge di bilancio saranno riviste e
abolite le spese fiscali obsolete o duplicate.
La
Commissione europea raccomanda l’attuazione di provvedimenti per migliorare il
rispetto dell'obbligo tributario, anche mediante sistemi elettronici di fatturazione
e pagamento. Nel citato Rapporto per paese sottolinea che, nonostante siano
stati compiuti alcuni progressi in questo settore, il ricorso piuttosto
limitato alla fatturazione e ai pagamenti elettronici ostacola la lotta
all’evasione fiscale.
Il Rapporto sui
risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all'evasione fiscale e
contributiva,
presentato al Parlamento nell’ottobre 2016 in allegato alla Nota di
aggiornamento al DEF, fornisce le stime del cosiddetto tax gap (il divario tra gettito teorico e gettito effettivo)
relativo alle entrate tributarie e contributive. Tali dati si basano sulla
Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione contributiva predisposta
da una commissione di esperti. Secondo quanto emerge dall'aggiornamento dell'ultimo
rapporto, nel biennio 2013-2014 sarebbero stati evasi 221 miliardi di euro. Per
il 2014 l'evasione fiscale e contributiva è quantificata in 111.655 milioni di
euro, con un aumento di 1.851 milioni di euro (+1,7% rispetto al 2013). Per le
sole entrate tributarie, l’importo complessivo è pari a 100,4 miliardi di euro.
Nel triennio 2012-2014, la propensione all'evasione è aumentata dal 23,6% al
24,8%. Le stime del tax gap sono state aggiornate alla luce dei
nuovi dati diffusi dall'Istat il 23 settembre e il 14 ottobre 2016.
L'imposta
maggiormente evasa è l'IVA: la stima è di circa 40 miliardi. Tale dato è maggiore
rispetto a quello ipotizzato dalla Commissione europea nel rapporto 2016 sul tax gap dell'Iva nei Paesi dell'Unione europea nel quale è evidenziato
che, con riferimento al 2014, il divario più alto in cifre assolute tra l'IVA
dovuta e quella riscossa è stato registrato in Italia (36,9 miliardi di euro).
Negli anni dal 2010 al 2014 si osserva una propensione media all'evasione IRPEF
pari al 55,9% per i lavoratori autonomi e le imprese, in costante crescita sino
al 2014, anno in cui si avvicina al 60%. In generale, con la sola
eccezione dell'IVA, nel 2013 si evidenzia un aumento nella propensione
all'evasione rispetto al 2012 per tutte le tipologie di imposta considerate.
Tuttavia, nel 2014 si noterebbe una flessione di rilevanti dimensioni anche nel
gap dell'IRES.
Per
contrastare questo fenomeno nel 2015 sono state introdotte due importanti
misure: l’estensione del reverse charge ai
settori delle costruzioni e delle pulizie e l’adozione dello split payment per i fornitori della Pubblica amministrazione,
ed entrambe le misure hanno contribuito alla riduzione del gap. In
particolare, per quanto riguarda lo split payment
si rileva una riduzione strutturale del gap di 2,5 miliardi nel 2015 e
di un ulteriore miliardo nel 2016.
Secondo
quanto riportato dal Direttore dell’Agenzia delle entrate nel corso di una
audizione presso la Commissione Finanze della Camera lo scorso 5 aprile, nel 2016 l’attività di contrasto e
prevenzione dei fenomeni di evasione fiscale e di promozione della compliance ha consentito un recupero di
gettito di 19 miliardi, con un aumento del 28% rispetto al 2015. Le
maggiori entrate derivano da attività di controllo sostanziale per 10,5
miliardi (di cui 4,1 miliardi derivano dalla voluntary
disclosure) e da attività di liquidazione per 8
miliardi. Circa 500 milioni sono il risultato delle attività di promozione del
dialogo preventivo con il cittadino, che l’Agenzia delle entrate ha avviato
negli ultimi anni comunicando ai contribuenti elementi e informazioni in suo
possesso relativi ai ricavi o ai redditi, allo scopo di stimolare
l’assolvimento degli obblighi tributari e favorire l’emersione spontanea delle
basi imponibili. Quanto alle modalità di incasso, 4,8 miliardi provengono dalla
riscossione coattiva ed i restanti da versamenti diretti o spontanei. Infine,
la riscossione del canone tv tramite addebito in bolletta ha consentito di
incassare circa 2,1 miliardi, con un extra-gettito di 500 milioni, rispetto
agli anni precedenti, nonostante nel 2016 la misura del canone annuo sia stata
ridotta da 113,50 a 100 euro.
Al riguardo si segnala che la Corte dei Conti,
nel Rapporto 2017 sul coordinamento della finanza pubblica, ha evidenziato che identificare i recuperi da lotta all’evasione
con le riscossioni complessive significa sottovalutare la circostanza che esse comprendono introiti che non presuppongono
un recupero strutturale di base imponibile. Non sono strutturali, infatti,
le riscossioni da condono e le entrate da voluntary disclosure. Peraltro, risulta arduo
imputare a recupero di evasione gli importi pretesi dall’Erario a titolo di
sanzioni e interessi, un gettito accessorio che non prefigura un ampliamento di
base imponibile. Nell’insieme del decennio 2007-2016, la quota di riscossione
riconducibile ad una tantum e accessori si aggira intorno ai 35 miliardi. Ciò
che conduce a fissare in circa 85 miliardi le riscossioni nette che riflettono
un effettivo recupero di evasione: quasi il 30% in meno rispetto ai 120
iscritti in bilancio come entrate da attività di accertamento e controllo
Nell’azione
di contrasto dell’evasione fiscale
il Governo si impegna a rafforzare le iniziative poste in essere negli ultimi
anni e a intensificarne l’attuazione promuovendo un approccio ‘cooperativo’
basato su trasparenza, semplificazione e fiducia reciproca tra Amministrazione
e cittadini.
Nella
citata audizione il Direttore dell’Agenzia delle entrate ha affermato che la
strategia adottata dall’Agenzia si basa su due perni principali: la promozione
della compliance e il contrasto all’evasione e
all’elusione fiscale.
Dal
primo punto di vista, l’attenzione dell’Amministrazione è rivolta a svolgere
una funzione di facilitazione prima di esercitare i poteri di controllo e
repressione, facendo in modo che l’attività di contrasto, pur mantenendo un
ruolo importante per il recupero dell’evasione fiscale, sia preceduta
dall’attività di prevenzione che induce il contribuente verso l’adempimento spontaneo
dei propri obblighi, anche prevedendo la possibilità di correggere omissioni o
errori nelle dichiarazioni già presentate, con effetti positivi sui livelli di compliance e sul recupero del tax
gap.
Per
contrastare più efficacemente l’evasione sarà rafforzato l’uso delle banche dati e delle applicazioni utili per
effettuare analisi di rischio, attraverso una maggiore tempestività di
acquisizione dati e della loro elaborazione e messa a disposizione degli uffici
e delle Pubbliche amministrazioni con cui sono condivisi i dati acquisiti
dall’Anagrafe tributaria. Nel contempo saranno potenziate le misure per il
recupero del tax gap Iva, quelle di
contrasto alle frodi Iva, quelle finalizzate all’indebita fruizione dei
rimborsi fiscali e quelle indirizzate a contrastare efficacemente le indebite
compensazioni mediante crediti inesistenti. Proseguirà l’impegno nel contrasto
del fenomeno delle false compensazioni.
Per
quanto riguarda le nuove misure di contrasto all’evasione fiscale e
contributiva introdotte in ottobre 2016, va segnalato che, a partire dal 1°
gennaio 2017, con il D.L. n. 193 del 2016 sono stati introdotti con periodicità
trimestrale: i) la comunicazione analitica dei dati delle fatture emesse e
ricevute; ii) la comunicazione dei dati delle
liquidazioni periodiche IVA. Il Governo ritiene che l’introduzione di tali
adempimenti comporterà un incremento di gettito dovuto sia al maggior stimolo
alla compliance,
tramite l’attività dissuasiva posta in essere dall’Agenzia delle entrate, sia
all’accelerazione delle somme riscosse tramite i controlli automatizzati. In
particolare, si stima che l’introduzione di tali misure comporterà, nel
complesso, un ulteriore recupero di gettito pari a 2,1 miliardi per l’anno
d’imposta 2017.
Con
l’intento di assicurare il coordinamento e la supervisione delle attività
svolte e il raggiungimento degli obiettivi di politica fiscale, è stata inoltre
istituita la Commissione consultiva per
il contrasto all’evasione, all’elusione e alle frodi fiscali. La
Commissione si è riunita per la prima volta a marzo 2017 e si è concentrata
sulla ricognizione delle azioni già avviate per ridurre le aree di occultamento
di reddito imponibile al fisco. La discussione in seno alla Commissione si è
soffermata in particolare sull’evasione dell’IVA, che prelude all’evasione di
altre imposte, dall’IRES all’IRPEF.
Gli
indirizzi e le linee strategiche per il contrasto all’evasione terranno,
inoltre, conto delle principali raccomandazioni contenute nei recenti rapporti
del FMI e dell’OCSE sullo stato dell’Amministrazione fiscale in Italia.
L’attività di contrasto di fenomeni evasivi ed elusivi degli obblighi fiscali
sarà potenziata anche mediante una sempre più efficace cooperazione amministrativa sul piano internazionale. Dovranno,
infatti, essere ottimizzate le attività di controllo verso quei soggetti che
strutturano complessi sistemi di evasione e/o elusione, rafforzando in
particolare la lotta alle frodi fiscali, con particolare riguardo a quelle nel
settore dell'IVA e in materia di accise. Particolare attenzione sarà dedicata,
inoltre, alle sinergie operative e allo scambio di informazioni con altre
Autorità competenti, europee e internazionali, anche monitorando gli obiettivi
dello scambio automatico di informazioni a fini fiscali (Common Reporting Standard) e del progetto BEPS (Base Erosion
Profit Shifting).
Con
l’obiettivo di assicurare maggiore equità ed efficienza al sistema della
riscossione, il decreto fiscale n. 193 del 2016 ha disposto - a decorrere dal
1° luglio 2017 - lo scioglimento di Equitalia (ad esclusione di Equitalia
Giustizia) e l'istituzione dell'Agenzia
delle entrate-Riscossione, ente strumentale dell'Agenzia delle entrate
sottoposto all'indirizzo e alla vigilanza del Ministro dell'economia e delle
finanze.
Tale
intervento verrà completato attraverso una riorganizzazione delle agenzie
fiscali, tesa a garantire maggiore autonomia alle stesse, in linea con le
indicazioni dell’OCSE e del FMI. Sempre dal 1° luglio, gli enti locali potranno
affidare al soggetto preposto alla riscossione nazionale le attività di
riscossione, spontanea e coattiva, le entrate tributarie o patrimoniali proprie
e delle società da essi partecipate.
Inoltre,
l’obiettivo di migliorare il versamento spontaneo delle entrate è stato
perseguito prevedendo l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici per i
comuni e gli altri enti locali.
L’obiettivo
della riduzione delle controversie
tributarie sarà perseguito nel 2017 attraverso l’estensione del processo
tributario telematico su tutto il territorio nazionale. Attraverso il portale
dedicato sarà possibile effettuare il deposito telematico degli atti e dei
documenti processuali già notificati alla controparte e tutti i soggetti coinvolti
potranno consultare on-line il fascicolo processuale. Per proseguire questa
strategia di digitalizzazione dell’intero sistema giudiziario, la legge di
bilancio per il 2017 ha istituito un apposito fondo.
Tra le
azioni individuate dal PNR si segnalano inoltre l’operatività delle norme
istitutive dell’elenco dei soggetti abilitati all’assistenza tecnica innanzi
alle Commissioni tributarie e la riforma degli organi della giurisdizione
tributaria.
La raccomandazione n. 2 indirizzata
all’Italia dal Consiglio europeo il 12 luglio 2016, invitava il Governo «ad attuare la riforma della pubblica
amministrazione adottando e applicando tutti i decreti legislativi
necessari, in particolare in materia
di riforma delle imprese di proprietà
pubblica, servizi pubblici locali
e gestione delle risorse umane».
In
merito al seguito dato alla raccomandazione nel semestre successivo, nella Relazione
relativa all'Italia del 22 febbraio 2017 (Country
Report) la Commissione europea rileva che l’attuazione della riforma della
pubblica amministrazione ha registrato progressi
limitati. In proposito, viene
richiamata la sentenza della Corte
costituzionale n. 251 del 2016 che ha dichiarato incostituzionale la
procedura prevista per i decreti indicati nella raccomandazione del Consiglio
europeo, in particolare quelli riguardanti la gestione delle risorse umane, i
servizi pubblici locali e le imprese a partecipazione pubblica.
In
merito alla situazione generale della pubblica amministrazione italiana, la
Commissione rileva inoltre, analogamente a quanto sottolineato nel Country Report del 2016, che le prestazioni dell'Italia risultano
ancora inferiori a quelle dei paesi
comparabili dell'UE secondo la maggior parte degli indicatori mondiali
della governance
2016 della Banca mondiale[69].
Quanto
alle riforme necessarie, la Commissione europea sottolinea in particolare come
il miglioramento della performance
dell’amministrazione italiana sia legato in massima parte alla gestione e alla qualità dei dipendenti pubblici.
In
merito, sono individuati diversi fattori
di criticità, quali: l’età media dei dipendenti pubblici (47 anni, cioè
4,4, anni in più rispetto al settore privato); il disallineamento fra impiego e
titolo di studio; le procedure di selezione basate principalmente su conoscenze
teoriche piuttosto che sulla capacità di risoluzione dei problemi; la mancanza
di incentivi monetari legati al merito; la scarsa attrattività della PA per i
lavoratori altamente qualificati.
In
proposito, nel DEF 2017 il Governo, alla sezione del PNR 2017 (pag. 7) afferma in generale che «il completamento e l’attuazione della riforma della Pubblica
Amministrazione entro l’anno è un obiettivo
chiave del Governo poiché da essa dipendono un migliore ambiente
imprenditoriale, maggiori investimenti e la crescita della produttività.
Un’attenzione particolare sarà data alla riforma delle società a partecipazione
pubblica, con la tempestiva adozione delle norme volte a razionalizzare tali
società al fine di limitare il numero solo a quelle che effettivamente
gestiscono servizi di pubblica utilità».
L’importanza
del completamento della riforma della PA è confermato anche dall’indicatore del
livello di progresso conseguito dall’azione di riforma del Governo (CRPI Competitiveness Relevance
Progress Indicator), elaborato dal MEF[70].
A
fronte di una percentuale di attuazione della riforma che è passata dal 20% nel
2015 all’80% nel 2016, l’indicatore di
rilevanza sulla competitività per l’area pubblica amministrazione è salito
dallo 0,03 allo 0,12.
Per quanto
concerne l’impatto macroeconomico delle
riforme in materia di pubblica amministrazione e semplificazioni,
l’Esecutivo conferma (rispetto ai dati già diffusi nel 2015) di stimare un
incremento del PIL, rispetto allo scenario di base, pari allo 0,5% dopo cinque
anni e allo 0,8 dopo dieci anni dall’introduzione delle riforme. Nel lungo
periodo l’effetto complessivo stimato sul prodotto è dell’1,2%.
Di
seguito si sintetizzano le azioni
strategiche riguardanti la pubblica amministrazione previste dal Programma
nazionale di riforma 2017 (paragrafo III.4) allegato al DEF.
Per
quanto riguarda l’attuazione della legge delega di riforma della pubblica
amministrazione (legge n. 124 del 2015), il Governo ricorda che sono stati
approvati ed entrati in vigore sedici provvedimenti normativi. Essi
riguardano:
§ l’abrogazione
di disposizioni di legge che prevedono l’adozione di provvedimenti non
legislativi di attuazione (D.Lgs. 22 gennaio 2016, n.
10);
§ la
revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e
trasparenza (D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97);
§ le
modifiche in materia di licenziamento
disciplinare, intervenendo in particolare sulla disciplina prevista per la
fattispecie di falsa attestazione della presenza in servizio (D.Lgs. 20 giugno 2016, n. 116);
§ il
riordino della disciplina in materia di conferenza
di servizi (D.Lgs. 30 giugno 2016, n. 127);
§ l’introduzione
di disposizioni generali applicabili ai procedimenti relativi alle attività private non assoggettate ad
autorizzazione espressa (cd. SCIA 1 - D.Lgs. 30
giugno 2016, n. 126). L’attuazione della delega è proseguita con il decreto
legislativo 5 novembre 2016, n. 222 (cd. SCIA 2), che provvede alla mappatura e
alla individuazione delle attività
oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di
inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è
necessario il titolo espresso. Inoltre il decreto alcune disposizioni volte
alla semplificazione dei regimi amministrativi in materia edilizia;
§ norme
per la semplificazione e l'accelerazione
di procedimenti amministrativi riguardanti rilevanti insediamenti produttivi,
opere di rilevante impatto sul territorio o l'avvio di attività imprenditoriali
suscettibili di avere positivi effetti sull'economia o sull'occupazione (D.P.R.
12 settembre 2016, n. 194);
§ la
riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina
concernente le Autorità portuali (D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169);
§ nuove
disposizioni in materia di dirigenza sanitaria (D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 171);
§ il
riordino e la ridefinizione della disciplina
processuale concernente tutte le tipologie di giudizi che si svolgono
innanzi la Corte dei conti (D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174);
§ l’adozione
di un testo unico in materia di società
a partecipazione pubblica (D.Lgs. 19 agosto 2016,
n. 175);
§ un
complessivo riordino delle strutture
della Forze di polizia che prevedono tra l'altro: la razionalizzazione e il
potenziamento dell'efficacia delle funzioni di polizia e la riorganizzazione
del Corpo forestale dello Stato, con eventuale assorbimento dello stesso in
altre Forze di polizia (D.Lgs. 19 agosto 2016, n.
177);
§ modifiche ed integrazioni al Codice dell’amministrazione digitale, tese a creare una Carta della
cittadinanza digitale per garantire l’accesso in maniera digitale di cittadini e imprese ai dati e
servizi delle pubbliche amministrazioni (D.Lgs. 26
agosto 2016, n. 179);
§ la
semplificazione delle attività degli enti
pubblici di ricerca (D.lgs. 25 novembre 2016, n. 218);
§ la
razionalizzazione, nonché il riordino delle funzioni e del finanziamento delle Camere di commercio (D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 219);
§ la
riorganizzazione del Comitato italiano paralimpico (D.Lgs. 27
febbraio 2017, n. 43).
La
sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016, che ha censurato
parzialmente la legge delega di riforma (v. infra,
box), non ha prodotto effetti diretti di caducazione di nessuno dei decreti
attuativi già entrati in vigore al momento della pronuncia.
Tuttavia,
a seguito della sentenza, per alcuni decreti, già adottati, si è posta l’esigenza di un intervento correttivo (licenziamenti
disciplinari, dirigenza sanitaria e società a partecipazione pubblica), mentre
per altri, non ancora adottati al momento della sentenza, la delega è scaduta (servizi pubblici locali e dirigenza pubblica)
e pertanto le relative disposizioni di riforma non sono state approvate.
La sentenza n. 251/2016 sulla legge di riforma della
P.A.
Con la sentenza n. 251 del 2016 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale di alcune disposizioni di delega al Governo
contenute nella L. n. 124/2015, con riguardo alla disciplina del pubblico impiego, delle società partecipate, dei servizi
pubblici locali e della dirigenza,
nella parte in cui, pur incidendo su materie di competenza sia statale sia
regionale, prevedono che i decreti attuativi siano adottati sulla base di una
forma di raccordo con le Regioni, che non è quella dell'intesa, bensì quella
del semplice parere.
I
settori individuati, ad avviso della Corte, incidono su una pluralità di
materie e di interessi, inscindibilmente connessi, riconducibili a competenze statali
(ordinamento civile, tutela della concorrenza, principi di coordinamento della
finanza pubblica) e regionali (organizzazione amministrativa regionale, servizi
pubblici locali e trasporto pubblico locale).
La
Corte costituzionale ne ha, pertanto, dichiarato l'illegittimità costituzionale
nella parte in cui, pur incidendo su materie di competenza sia statale sia
regionale, prevedono che i decreti attuativi siano adottati sulla base di una
forma di raccordo con le Regioni, che non è quella dell'intesa, ma quella del
semplice parere, non idonea a realizzare un confronto autentico con le
autonomie regionali.
La
Corte ha precisato di aver circoscritto il proprio scrutinio solo alle
disposizioni di delega specificamente impugnate, lasciando fuori le norme attuative.
I
contenuti della sentenza della Corte sono stati richiamati nel parere reso dal Consiglio di Stato
nell'adunanza del 9 gennaio 2017, che ha fornito alcuni chiarimenti sulle
questioni interpretative poste dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri
sull'attuazione di tre decreti legislativi, emanati sulla base della legge
124/2015 su cui è intervenuta la sentenza n. 251 del 2016, ossia: il D.Lgs. 20 giugno 2016, n. 116, in materia di licenziamento
disciplinare; il D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 171, in materia
di dirigenza sanitaria; il D.Lgs. 19 agosto 2016, n.
175, recante Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica.
Riguardo
alla necessità o meno di un intervento
sulla legge delega n. 124 del 2015 a seguito della sentenza n. 251, il Consiglio
di Stato ha evidenziato come tale pronuncia debba essere intesa come sentenza
manipolativa del tipo sostitutivo di procedura, che fornisce già una lettura adeguatrice della legge che, dopo l'intervento della Corte,
prevede l'intesa e non il parere ed è, così, riscritta in conformità al dettato
costituzionale.
Il
Consiglio di Stato ha quindi ritenuto che, alla luce di quanto precisato nella
sentenza medesima, i tre decreti legislativi già in vigore restano validi ed
efficaci fino a una eventuale pronuncia della Corte che li riguardi
direttamente, e salvi i possibili interventi correttivi che nelle more
dovessero essere effettuati.
Riguardo
agli interventi che il Governo può porre
in essere, il Consiglio di Stato ha ricordato come dalla sentenza della Corte
emerge una sorta di "invito" (non al legislatore in senso generale,
ma) al «Governo» ad adottare «soluzioni correttive», che non vengono
specificate ma che potrebbero essere di vario tipo. Ad avviso del Consiglio di
Stato il percorso più ragionevole, compatibile con l'impianto della sentenza
sembra essere quello che il Governo adotti decreti correttivi che intervengano
direttamente sui decreti legislativi e che si risolvano nell'applicazione della
disciplina della delega – come modificata dalla Corte costituzionale – al
processo di riforma in corso. In assenza di un tempestivo intervento
correttivo, la Corte potrebbe dichiarare l'illegittimità del decreto
legislativo, perché adottato in assenza della previa intesa e pertanto in
difformità dalla legge delega così come "corretta" dalla stessa
sentenza costituzionale.
Quanto
agli strumenti specifici cui il Governo può ricorrere per porre in essere i
suddetti interventi correttivi, viene condivisa l'ipotesi avanzata nel quesito
evidenziato come tali strumenti siano due, strettamente connessi fra loro: l'intesa di cui all'art. 3 del D.Lgs. n. 281 del 1997 – così come prefigurata, alla
luce dei principi generali di leale cooperazione, dalla Corte costituzionale –
da raggiungere, a seconda dei casi indicati nel dispositivo della sentenza, in
sede di Conferenza Stato-regioni, ovvero di Conferenza unificata ex art. 9,
comma 1, del decreto medesimo; i decreti
legislativi integrativi e correttivi che, per ciascuna disposizione di
delega, la stessa legge n. 124 del 2015 autorizza a emanare nel termine di
dodici mesi dall'adozione dei singoli decreti legislativi da essa previsti.
Tale strumento può rappresentare anche una modalità attraverso la quale
eliminare o modificare norme ritenute in contrasto con la Costituzione,
svolgendo così una funzione di sanatoria di un asserito vizio dell'atto
legislativo già adottato.
Il
vizio può essere sostanziale, formale o, anche, procedimentale. Nella
fattispecie in esame, la Corte costituzionale ha individuato un vizio della
legge delega che ha determinato, anche se il giudizio di costituzionalità non
lo ha riguardato direttamente, un vizio procedimentale del decreto autorizzato
costituito dalla mancata intesa con la Conferenza. In questa prospettiva, il
decreto correttivo può svolgere una funzione di sanatoria di tale vizio
procedimentale, facendo confluire nel decreto originario la portata dell'intesa
di cui all'art. 3 del D.Lgs. n. 281 del 1997: a tal
fine, il Consiglio di Stato evidenzia come il decreto debba riportare integralmente
l'intesa raggiunta. Il Consiglio di Stato definisce quindi, nel parere, alcuni
profili attuativi del meccanismo correttivo con particolare riferimento
all'oggetto dell'intesa, ai suoi possibili effetti temporali ed alle modalità
di svolgimento della procedura di concertazione, nonché alla struttura
ipotizzabile per i decreti correttivi.
Viene
precisato, in particolare, che l'intesa "deve riferirsi al decreto nel suo
complesso", e non solo a sue singole parti e che rientra nella
disponibilità delle parti dell'intesa disciplinare anche degli effetti già
dispiegati nel "periodo intercorso tra l'entrata in vigore del decreto
legislativo originario e quella del decreto correttivo".
Il
parere, infine, segnala l'importanza di
intervenire anche per i settori per i quali la delega è scaduta (dirigenza
e servizi pubblici). Un percorso possibile è quello di una nuova delega, ma non
è l'unico (ad esempio, è ipotizzabile anche un disegno di legge governativo
avente, almeno in parte, il contenuto del decreto delegato che andrebbe a
sostituire).
In
seguito alla pronuncia della Corte, il Governo ha scelto la strada dei decreti correttivi, che sono stati
approvati in via preliminare dal Consiglio dei ministri, in materia di
licenziamento disciplinare, di società a partecipazione pubblica (per entrambi,
si v. CdM del 17 febbraio 2017) e di dirigenza sanitaria (si v. CdM del 24 marzo 2017).
Al
momento, risulta stato presentato alle Camere per il parere di competenza lo
schema di decreto correttivo relativo alle società partecipate (si v. infra).
Inoltre,
l’Esecutivo ricorda che a febbraio 2017 sono stati approvati in via preliminare dal Consiglio dei ministri gli schemi
di cinque ulteriori decreti legislativi,
che prevedono:
§ la
revisione della disciplina in materia di reclutamento, stato giuridico e
progressione di carriera del personale delle Forze di Polizia (A.G. 395);
§ il
riordino dell’ordinamento del personale, delle funzioni e dei compiti del Corpo
nazionale dei vigili del fuoco (A.G. 394);
§ modifiche
e integrazioni al testo unico del pubblico impiego (A.G. 393);
§ la
riforma delle norme in materia di valutazione dei dipendenti pubblici (A.G.
391);
§ la
razionalizzazione dei processi di gestione dei dati di circolazione e di
proprietà di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi (A.G. 392).
Gli
schemi sono attualmente all’esame delle competenti commissioni parlamentari per
il parere.
L’azione
a cui il Governo si impegna è il completamento
dell’iter dei decreti attuativi ancora non entrati in vigore entro i mesi
di maggio e giugno 2017, nonché l’implementazione della normativa
secondaria prevista ed il monitoraggio dell’efficacia delle misure
introdotte entro la fine del 2017.
Per
quanto riguarda le partecipazioni
societarie delle amministrazioni pubbliche, come accennato, la legge delega
ha trovato attuazione con la emanazione decreto legislativo 19 agosto 2016, n.
175, che reca il Testo unico delle società a partecipazione pubblica,
sopprimendo contestualmente le numerose disposizioni, talvolta tra loro
eterogenee, che regolamentavano la materia.
In
seguito alla pronuncia della Corte costituzionale (v. supra), il Governo ha approvato
in via preliminare uno schema di decreto
correttivo, sottoposto anche alla Conferenza unificata, che ha sancito
l’intesa nella seduta dello scorso 16 marzo. Attualmente lo schema è all’esame
delle Commissioni competenti per il parere (A.G. 404).
Sul
provvedimento è stata dunque raggiunta l'intesa
in sede di Conferenza unificata e il testo apporta le modifiche a tal fine
conseguenti al decreto legislativo n. 175 del 2016. Sono altresì oggetto di
modifica le premesse del testo unico, con l’introduzione dell'esplicito
riferimento all'intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Il Governo
ricorda nel DEF che le modifiche
successive apportate dal decreto legislativo correttivo riguardano in
particolare: a) l’attività di autoproduzione di beni e servizi può essere
strumentale agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro
funzioni47; b) nel caso di partecipazioni regionali, può essere disposto che
singole società continuino ad operare, sempre rimanendo soggette
all’applicazione dei parametri dimensionali e di efficienza imposti dalla
disciplina; c) il termine per la ricognizione, in funzione della revisione
straordinaria, di tutte le partecipazioni possedute e del personale in
servizio, in scadenza il 23 marzo 2017, è portato al 30 giugno 2017 per dare
tempo alle amministrazioni di adeguarsi al decreto; nonché viene fissato al 31
luglio 2017 il termine per l’adeguamento delle società a controllo pubblico
alle disposizioni in tema di governance societaria.
Infine,
viene prevista l’intesa in Conferenza unificata per: la determinazione dei
requisiti di onorabilità, professionalità e autonomia dei componenti degli
organi amministrativi e di controllo di società a controllo pubblico regionale;
la definizione degli indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi, al
fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle società a
controllo pubblico, nel caso di società controllate dalla regione o da enti
locali; le modalità di trasmissione dell’elenco del personale eccedente.
Per
maggiori dettagli sul contenuto del Testo unico e l’esame delle principali
integrazioni e modifiche previste dall’intesa, si rinvia al Dossier sull’Atto del Governo n. 404.
Nel PNR
il Governo stima di giungere all’approvazione in via definitiva del decreto
correttivo entro maggio 2017 e di
completare l’anagrafe ed il censimento
delle società partecipate entro la fine dell’anno.
Come è
noto, nell'ambito del programma di riforme della pubblica amministrazione, il
Parlamento aveva delegato il Governo a riordinare anche l’intera disciplina dei
servizi pubblici locali d'interesse economico generale (art. 19 della legge
124/2015).
In
attuazione della delega, il Governo ha trasmesso alle Camere uno schema di
decreto legislativo recante il Testo unico sui servizi pubblici di
interesse economico (Atto del Governo n. 308).
A
seguito della sentenza della Corte costituzionale (la n. 251 del novembre
2016), peraltro, lo schema di decreto, su cui si erano espresse le Commissioni
parlamentari, non ha concluso il proprio iter e la delega è scaduta.
Nel PNR
l’Esecutivo prevede di recuperare i
contenuti dello schema di decreto attraverso successivi interventi da
ultimare entro la fine del 2017.
Il 28
febbraio 2017 sono stati trasmessi alle Camere, per il parere di competenza,
due schemi di decreto legislativo adottati in attuazione degli articoli 16 e 17
della legge n. 124 del 2015 (c.d. legge Madia) volti, rispettivamente, al riordino della disciplina del lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e ai connessi profili di
organizzazione amministrativa (A.G. 393) e
alla modifica del sistema di valutazione
dei dipendenti pubblici (A.G. 391).
Lo
schema di decreto legislativo di riordino
della disciplina del lavoro pubblico investe, con un ampio intervento
normativo, l'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche, incidendo, in particolare, sulla disciplina dell'organizzazione
degli uffici, della pianificazione dei fabbisogni e del reclutamento del
personale, sull'assunzione di personale a tempo determinato o con forme
contrattuali flessibili, sull'inserimento lavorativo delle persone con
disabilità, sulla regolamentazione della contrattazione collettiva e della
rappresentanza sindacale, sulle forme e sui termini dei procedimenti
disciplinari e sui controlli sulle assenze, con la riorganizzazione delle
funzioni di accertamento medico-legale in caso di malattia.
Lo
schema di decreto legislativo di modifica
del sistema di valutazione dei pubblici dipendenti si inserisce nell’ambito
del percorso di riordino delle funzioni in materia di misurazione e valutazione
della performance delle pubbliche amministrazioni, avviato – nel corso della
legislatura – con il D.L. 90/2014 (art. 19, co. 10), che ha trasferito le
funzioni in materia già svolte dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) al Dipartimento della funzione pubblica della
Presidenza del Consiglio (DPF), e proseguito con il D.P.R. n. 105 del 2016, che
ha disciplinato le funzioni trasferite al DPF, ha riordinato le funzioni svolte
dagli organismi indipendenti della valutazione (OIV) e modificato le modalità
di scelta dei componenti.
Nel DEF
si evidenzia che l’obiettivo è, in particolare, quello di riorganizzare le
regole del lavoro pubblico in funzione dei servizi che devono essere offerti ai
cittadini.
Si
sottolinea inoltre che i 4 pilastri su cui poggia la riforma sono così
individuabili: le persone e il reclutamento; gli obiettivi
dell’azione amministrativa, volti a migliorare la qualità dei servizi resi
all’utenza; nuove disposizioni in materia di misurazione e valutazione della
performance; la disciplina del rapporto di
lavoro, attribuendo alla legge il compito di fissare regole generali e il
perimetro di azione della contrattazione ed al contratto la disciplina del
rapporto di lavoro all’interno del perimetro fissato dalla legge.
Al
contempo, sempre in attuazione della legge n. 124 del 2015 (art. 17, comma 1, lett. s)) –
nell’ambito delle misure per la “produttività
della pubblica amministrazione” come evidenziato nel DEF - è stato adottato
il decreto legislativo n. 116 del 2016, che provvede finalizzato alla revisione
della disciplina dei licenziamenti
disciplinari. Successivamente, il 17 febbraio 2017, il Consiglio dei
ministri ha approvato, come ricordato anche nella relazione illustrativa
dell’atto n. 393, uno schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del suddetto
decreto n. 116 del 2016, al fine di tenere conto anche del percorso procedurale
richiesto dalla Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 251 del
2016.
Nel DEF
il Governo ricorda che le principali novità del decreto integrativo sono le
seguenti: sono coordinati alcuni termini e, quindi, è stato previsto un termine
più lungo per esercitare l’azione di risarcimento per i danni di immagine alla
PA provocati dalle condotte fraudolente punite dal licenziamento; è previsto
l’obbligo di comunicazione dei provvedimenti disciplinari all’Ispettorato per
la funzione pubblica entro 20 giorni dall’adozione degli stessi, al fine di
consentire il monitoraggio sull’attuazione della riforma, anche per adottare
ogni possibile strumento che ne garantisca la piena efficacia.
Sempre
per quanto riguarda il pubblico impiego,
nella Sezione II del Documento (cap. II.2 e III.1), si segnala l’incremento
della spesa per redditi da lavoro dipendente atteso nel 2017 (da 164,1 del 2016
a 166,7 miliardi di euro del 2017), dovuto principalmente agli effetti di spesa
derivanti dalle misure contenute nella legge di bilancio per il 2017. In
particolare, il Documento segnala “lo stanziamento
di ulteriori risorse per il rinnovo
contrattuale del personale del pubblico impiego per il triennio 2016-2018”,
la proroga al personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico
(Corpo nazionale dei vigili del fuoco) del contributo straordinario previsto
dall’ultima legge di bilancio e l’incremento delle risorse previste a
legislazione vigente per il riordino delle carriere del personale appartenente
ai predetti comparti.
Al
riguardo si ricorda che l’articolo 1, comma 365, della L. 232/2016 (Legge di
bilancio per il 2017) ha disposto l'istituzione di un Fondo per finanziare rinnovi contrattuali e nuove assunzioni presso
le amministrazioni pubbliche.
La
dotazione del Fondo è pari a 1,48 miliardi per il 2017 e 1,93 miliardi a
decorrere dal 2018.
Il
Fondo è istituito con le seguenti finalità, tra le quali (come previsto dal
richiamato comma 365) il DPCM 27
febbraio 2017 ha provveduto a ripartire le risorse:
a)
la determinazione, pari a 600 milioni di euro
per il 2017 e 900 milioni di euro a decorrere dal 2018, degli "oneri
aggiuntivi" (rispetto ai 300 milioni di euro già stanziati dalla legge di
stabilità per il 2016[71]) per la contrattazione collettiva relativa al
triennio 2016-2018 nonché per "i
miglioramenti economici" del personale dipendente dalle
amministrazioni statali in regime di diritto pubblico[72];
b)
il finanziamento, pari a 119,12 milioni di
euro per il 2017 e 153,24 milioni di euro a decorrere dal 2018, da destinare ad
assunzioni di personale a tempo indeterminato (autorizzate con apposito decreto
ministeriale e in aggiunta alle facoltà assunzionali
previste a legislazione vigente), nell'ambito delle amministrazioni dello Stato
(compresi i Corpi di polizia ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco), le
agenzie (incluse le agenzie fiscali e l'Agenzia italiana per la cooperazione
allo sviluppo), gli enti pubblici non economici e gli enti pubblici di cui
all'articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001, tenuto
conto delle specifiche richieste volte a fronteggiare indifferibili esigenze di
servizio di particolare rilevanza e urgenza in relazione agli effettivi
fabbisogni, nei limiti delle vacanze di organico nonché nel rispetto di quanto
previsto in materia di passaggio diretto di personale tra amministrazioni
diverse (art. 30 del D.Lgs. 165/2001) e in tema di
immissione in servizio di idonei e vincitori di concorsi (art. 4 del D.L.
101/2013);
c)
incremento del finanziamento, pari a 760
milioni di euro per il 2017 e 875 milioni di euro a decorrere dal 2018, per le
seguenti finalità:
-
proroga, dal 1° gennaio 2017 e fino
all'attuazione della delega sulla revisione dei ruoli delle Forze di polizia, del Corpo nazionale dei
vigili del fuoco e delle Forze armate, del contributo straordinario
riconosciuto (per il 2016) al personale appartenente ai suddetti Corpi (non
destinatario di un trattamento retributivo dirigenziale) dall’art. 1, c. 972,
della L. 208/2015 e pari a 960 euro su base annua;
-
copertura degli oneri connessi alla piena
attuazione dei predetti provvedimenti di delega
sulla revisione dei ruoli, in aggiunta alle risorse già previste a tal fine
a legislazione vigente;
-
copertura degli oneri indiretti derivanti dai
decreti legislativi attuativi della richiamata delega sulla revisione dei
ruoli.
Le
risorse non utilizzate per le suddette finalità sono destinate alla
contrattazione collettiva del pubblico impiego relativa al triennio 2016-2018.[73]
Il
richiamato DPCM provvede, inoltre, all’aggiornamento dei criteri di
determinazione degli oneri per i rinnovi contrattuali[74], disponendo che gli oneri posti a carico del
bilancio dello Stato per la contrattazione collettiva relativa al triennio
2016-2018 e per i miglioramenti economici del personale dipendente dalle
amministrazioni statali in regime di diritto pubblico ammontano,
complessivamente, a 300 milioni di euro per il 2016, a 900 milioni di euro per
il 2017 ed a 1.200 milioni di euro a decorrere dal 2018, comprensivi degli
oneri contributivi ai fini previdenziali e dell'imposta regionale sulle
attività produttive (IRAP).
Merita
ricordare, infine, che il 30 novembre
2016 il Governo e le parti sindacali hanno siglato un Accordo per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici, con
cui il Governo si è impegnato a stanziare risorse finanziarie aggiuntive per il
triennio 2016-2018 tali da consentire “incrementi contrattuali in linea con
quelli riconosciuti mediamente ai lavoratori privati e comunque non inferiori a
85 euro mensili medi”.
Per
quanto riguarda le politiche di semplificazione, oltre alle misure già
approvate nell’ambito della riforma della PA, il Governo richiama l’importanza
dell’attuazione dell’Agenda per la
semplificazione 2015-2017, al fine di snellire gli oneri amministrativi e
normativi.
Si
ricorda in proposito che con l’Agenda per la semplificazione per il 2015-2017,
il Governo, le Regioni, i Comuni, le Province e le Città Metropolitane si sono
assunti un comune impegno ad assicurare l'effettiva realizzazione degli
obiettivi individuati, nonché alla definizione di alcuni interventi di settore.
L’Agenda individua cinque settori strategici di intervento: cittadinanza
digitale; welfare e salute; fisco; edilizia e impresa.
La
Conferenza unificata del 21 luglio 2016 ha preso atto degli aggiornamenti
all’Agenda, approvati dal Comitato interistituzionale
per la semplificazione, al fine di assicurare l'allineamento delle attività e
delle tempistiche dell’Agenda a quelle dei decreti attuativi della legge n. 124
del 2015. In particolare sono stati introdotti alcuni aggiornamenti alle azioni
del settore Impresa collegate all'attuazione del nuovo decreto legislativo
n.126 del 2016 in materia di SCIA, modulistica, ricognizione dei procedimenti,
ecc., nonché all’attuazione del decreto legislativo n.127 del 2016 che
introduce la nuova disciplina in materia di conferenza di servizi.
L’azione
prioritaria nel 2017 è proseguire nella
attuazione e nel monitoraggio dell’efficacia delle misure introdotte.
Il
Governo riferisce, sul complesso delle attività previste dall’Agenda, che al 30
novembre 2016 risultano raggiunte circa il 95%
delle scadenze previste dall’Agenda e dalla pianificazione di dettaglio
delle attività.
Tra gli
obiettivi dell’Agenda il Governo ricorda quello della piena operatività del sistema pubblico di
identità digitale (SPID), previsto dall’articolo 17-ter del D.L. 21 giugno
2013, n.69, che consente l’accesso in sicurezza a tutti i siti web – pubblica
amministrazione e privati – che erogano servizi online, che da luglio 2016 ad
oggi è stata ulteriormente potenziata.
All’indirizzo
http://www.agid.gov.it/monitoraggio sono disponibili le informazioni sullo
stato di avanzamento di SPID aggiornate in tempo reale.
Lo
stato di avanzamento delle altre azioni in materia di digitalizzazione della
pubblica amministrazione è riportato nel paragrafo dedicato all’Agenda digitale
(infra, par. 3.9).
Sul
fronte della sicurezza cibernetica,
il Governo prevede una serie di misure di carattere organizzativo e
finanziario, volte a garantire maggiore affidabilità al sistema nazionale di
sicurezza cibernetica nella convinzione che il rafforzamento del dominio
digitale rappresenti un importante volano di crescita del sistema economico del
Paese, incidendo, positivamente sulla propensione ad investire degli operatori
economici, con particolare riferimento al commercio internazionale.
Tra le
misure di prossima attuazione si prevede, in particolare, la revisione sostanziale e complessiva del
‘piano nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica’,
documento adottato dal Governo nel dicembre del 2013 unitamente al “Piano
nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica”. In linea
con quanto previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del
24 gennaio 2013, recante gli “Indirizzi per la protezione cibernetica e la
sicurezza informatica nazionale”, il Piano nazionale per la protezione
cibernetica e la sicurezza informatica rappresenta il documento operativo di
breve periodo (2014-2015) nel quale vengono individuate le priorità, gli
obiettivi specifici e le linee d’azione per dare concreta attuazione a quanto
descritto nel Quadro Strategico. A tal fine il Piano individua attualmente i
seguenti undici indirizzi operativi:
§ potenziamento
delle capacità di intelligence, di polizia e di difesa civile e militare;
§ potenziamento
dell’organizzazione e delle modalità di coordinamento e di interazione a
livello nazionale tra soggetti pubblici e privati;
§ promozione
e diffusione della cultura della sicurezza informatica. Formazione e
addestramento;
§ cooperazione
internazionale ed esercitazioni;
§ operatività
del CERT nazionale, del CERT-PA e dei CERT dicasteriali;
§ interventi
legislativi e compliance con obblighi internazionali;
§ compliance a standard
e protocolli di sicurezza;
§ supporto
allo sviluppo industriale e tecnologico;
§ comunicazione
strategica;
§ risorse;
§ implementazione
di un sistema di Information Risk Management nazionale.
Il CERT nazionale è una struttura
individuata dall’articolo 16 - bis
del D.Lgs. n. 259 del 2003, recante il Codice delle
Comunicazioni elettroniche. Si tratta di una struttura destinata a potenziare i meccanismi di risposta agli incidenti
informatici e gli strumenti di rilevazione e contrasto alle minacce. Il
CERT nazionale ha avviato le sue attività a partire dal 5 giugno 2014. Il CERT
nazionale opera a supporto di Cittadini ed Imprese con l’obiettivo di
incrementare la consapevolezza e la cultura della sicurezza nell’utilizzo di
servizi on line, fornendo
informazioni tempestive su potenziali minacce informatiche, raccomandazioni e
consigli utili per la prevenzione, contromisure per la risoluzione di incidenti
informatici con impatto significativo (www.certnazionale.it). Per
assicurare un’azione efficace, il CERT opera sulla base di un modello cooperativo
pubblico-privato. Il CERT nazionale ha avviato, infatti, la collaborazione con
importanti imprese che gestiscono infrastrutture informatizzate. Sulla base di
tale collaborazione è stato istituito un Tavolo
tecnico permanente per garantire un confronto costante tra i principali
attori coinvolti e quindi migliorare e velocizzare le azioni di risposta ad
eventuali incidenti informatici. il CERT nazionale ha avviato una stretta
collaborazione con il CERT-PA (CERT
delle Pubbliche Amministrazioni che opera all’interno dell’Agenzia per l’Italia
Digitale), CERT Difesa e CNAIPIC (Centro nazionale anticrimine
informatico per la protezione delle infrastrutture critiche che opera
nell’ambito del Servizio di polizia postale e delle comunicazioni). In ambito
internazionale, il CERT nazionale ha già avviato forme di dialogo con CERT europei, extra-europei e con il CERT
EU (CERT dell’Unione Europea sostenuto dall’Agenzia europea per la
sicurezza ENISA).
In
relazione al tema della sicurezza e difesa nello spazio cibernetico è in corso
di svolgimento un’indagine conoscitiva
da parte della Commissione difesa della Camera.
Il
termine previsto nel cronoprogramma delle riforme per la revisione del Piano
nazionale è dicembre 2017.
Come
già previsto nei precedenti documenti programmatici di finanza pubblica, la
revisione della spesa continua anche nel nuovo quadro programmatico a
costituire uno strumento importante
per il risanamento dei conti pubblici,
anche con funzione di ottimizzazione dell’uso delle risorse pubbliche, cui è
affidata anche al funzione di ridurre la spesa improduttiva, superando
progressivamente la logica della allocazione incrementale delle risorse di
bilancio.
Nel DEF
viene rilevato[75] come, complessivamente, finora i risparmi associati a interventi di
razionalizzazione della spesa, ammontano
(in termini di indebitamento netto) a circa 3,6 miliardi di euro nel
2014, 18 miliardi nel 2015, 25 miliardi
nel 2016, 29,9 miliardi nel 2017,
circa 31,5 miliardi nel 2018 e 26,8 miliardi nel 2019 e riguardano
tutti i livelli di governo, come espone la tabella
che segue.
Tabella
40 - Misure di razionalizzazione della spesa
(milioni
di euro)
In
particolare, la legge di bilancio per il
2017 ha previsto misure di razionalizzazione della spesa per un ammontare
pari a circa 2,3 miliardi nel 2017, 2,8 miliardi nel 2018 e 4,7 miliardi nel
2019. Di tali importi una quota pari ad oltre di 700 milioni annui risulterebbe far carico alle Amministrazioni
centrali dello Stato, dai dati della Ragioneria Generale dello
Stato in “La
legge di bilancio 2017-2019 in breve”. Quota che è peraltro cifrata ad un importo di circa un miliardo di
euro annui nella parte introduttiva del Programma di stabilità, presumibilmente
in relazione al più incisivo ruolo
che dovrà ora assumere tale
strumento.
Il DEF
osserva infatti come un ulteriore contributo al processo di efficientamento
della spesa potrà derivare dall’integrazione,
introdotta con la riforma della legge contabile, della spending review all’interno
del ciclo di programmazione
economico finanziaria, con cui si sistematizza la natura permanente
dell’attività di revisione nell’ambito del
processo di bilancio.
In tal
modo, precisa il Documento, si rafforza l’approccio di tipo top down della
decisione di bilancio, ancorando le proposte allocative dei Ministeri a
specifici obiettivi assegnati preventivamente a ciascuna Amministrazione. Ciò
incentiva la effettuazione di una valutazione in termini alternativi tra il
finanziamento delle attività “storiche” e le nuove esigenze di spesa.
Il nuovo quadro contabile cui fa riferimento il DEF deriva dalle
modifiche apportate alla legge di contabilità n. 196 del 2009 con la legge 4 agosto 2016, n. 163, che ha
unificato la ex legge di stabilità e la ex legge di bilancio in un unico
provvedimento, costituito ora esclusivamente dalla (nuova) legge di bilancio.
La
revisione della spesa nel nuovo processo di bilancio
L’elemento
che viene rilievo in questa sede è che la nuova strutturazione del sistema di
bilancio comporta che il processo di revisione
della spesa sia incorporato nel ciclo
di programmazione finanziaria così articolato nella nuova legge di
bilancio: entro il 31 maggio, con D.P.C.M. su proposta del Ministro
dell'economia (previa deliberazione del CdM), sono
definiti obiettivi di spesa per ciascun Ministero, riferiti al successivo
triennio; ai fini del conseguimento dei suddetti obiettivi i Ministri
propongono gli interventi da adottare con il disegno di legge di bilancio; dopo
l'approvazione della legge di bilancio, il Ministro dell'economia e ciascun
Ministro di spesa stabiliscono entro il 1°marzo di ciascun anno in appositi accordi le modalità per il
monitoraggio del conseguimento degli obiettivi di spesa, ed il relativo
cronoprogramma degli interventi; sulla base di apposite schede trasmesse da
ciascun Ministro al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro
dell'economia entro il 15 luglio,
quest’ultimo informa il Consiglio dei ministri sullo stato di attuazione degli
accordi; entro il 1° marzo ciascun
Ministro invia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro
dell'economia e delle finanze, una relazione
– che verrà allegata al DEF - sul grado di raggiungimento
dei risultati in riferimento agli accordi in essere nell'esercizio precedente. Tale nuova
disciplina, affiancata da numerose altre modifiche che qui non si dettagliano
permetterà, come ribadisce il DEF in esame, una revisione sistematica e strutturale della spesa.
Concorre
al contenimento ed all’efficientamento della spesa
anche il processo in corso di centralizzazione
degli acquisti nella pubblica amministrazione, incentrata principalmente (
ma non solo), sulla previsione di un ridotto numero di soggetti aggregatori,
non superiore a trentacinque (articolo 9 del decreto-legge n. 90 del 2014)
nonché sulla progressiva individuazione della categorie di prodotti per i quali le
amministrazioni dovrebbero optare per le procedure d’appalto centralizzate. In
proposito il DEF segnala come la legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017)
ha anche integrato la disciplina in tema di soggetti aggregatori In particolare
prevedendo che nell’ambito del Tavolo tecnico dei soggetti aggregatori operi un
Comitato che dovrà emanare linee guida volte a favorire lo sviluppo delle
migliori pratiche con riferimento alle procedure per le quali le
amministrazioni sono obbligate a ricorrere ai soggetti aggregatori.
Segnala altresì che
e attuali misure di efficientamento della spesa per
acquisti saranno accompagnate da:
§ l’individuazione
di nuovi strumenti di acquisto centralizzato, anche mediante modelli
organizzativi che prevedano l’acquisizione di beni durevoli e la concessione
dell’utilizzo degli stessi da parte delle amministrazioni interessate;
§ la
sperimentazione su due ministeri (Economia ed Interno) e su due categorie
merceologiche (energia elettrica e buoni pasto) del modello in cui il MEF
agisce da acquirente e da pagatore unico;
§ l’estensione
del programma di razionalizzazione degli acquisti per i beni e servizi di
particolare rilevanza strategica in ambito ICT, individuati nell’ambito del
Piano Strategico Triennale da parte di AGID (Agenzia Italia Digitale).
Quanto
infine ai risultati economici[76], viene rilevato come la spesa presidiata da CONSIP è passata nel 2016, rispetto all’anno
precedente, da 40,1 a 48,3 miliardi (+20%), il risparmio da 3,3 a 3,5
miliardi (+4%) evidenziando altresì come il suddetto importo di 48 miliardi
rappresenti oltre la metà dell’intera spesa pubblica per beni e servizi: di
tale spesa il 16% viene acquistato direttamente tramite CONSIP (8,1 miliardi,
con un aumento dell’11% rispetto al 2015).
Infine,
l’indicatore risparmio sui prezzi d’acquisto ha registrato per il 2016 un
valore di circa 3,5 miliardi (in aumento del 4% rispetto al 2015). Nell’ultimo
triennio i risparmi cumulati ammontano a circa 10 miliardi, cui possono
aggiungersi altre voci di risparmio legate all’utilizzo degli strumenti
d’acquisto/negoziazione di CONSIP, quali dematerializzazione, tempi delle
procedure ed altri.
Per
alcune specifiche indicazioni sui fabbisogni annuali di beni e servizi delle amministrazioni statali (ad esclusione
di scuole ed istituzioni universitarie) i rinvia all’apposito Allegato al
Documento di economia e
finanza in esame (Doc. LVII, n. 5 - Allegato VII).
Va da ultimo
rammentato come una specifica attenzione al processo di revisione della spesa
incorso sia rinvenibile nella Relazione per paese 2017 relativa all’ Italia
, prodotta dai Servizi della Commissione Europea, nella quale si evidenzia che
per quanto concerne le riforme relative alle finanze pubbliche, il Governo ha
adottato una riforma globale del processo di bilancio in cui le revisioni di spesa diventano un elemento
permanente, anche se l'attuazione di tale riforma risulta di fatto
operativa in sede di formazione delle previsioni di bilancio 2018.
La revisione in atto prevede infatti anche una revisione del processo
di bilancio. Benché gli obiettivi di risparmio, osserva la
Relazione, siano stati gradualmente
ridotti, - in parte perché si sono rivelati troppo ambiziosi in assenza di
interventi sulle grandi voci di spesa, quali le pensioni o il trasporto
pubblico, e a causa della limitata influenza dello Stato sulla spesa regionale
e locale - . nel 2016 sono però state adottate ulteriori misure volte a
razionalizzare la spesa pubblica e si è conclusa
la riforma del processo di bilancio,
nel cui ambito:
§ vengono
chiariti il contenuto e la funzione dei programmi all'interno del bilancio
evidenziando gli obiettivi da raggiungere;
§ il
rafforzamento del principio di cassa dovrebbe migliorare la gestione e il
controllo;
§ le
entrate programmate e gli stanziamenti di spesa sono integrati in un unico
atto, insieme agli atti legislativi necessari per raggiungere l’obiettivo.
In futuro queste misure, se attuate in maniera
coerente, potrebbero rendere la revisione
della spesa un elemento ancor più
strutturale del processo di bilancio, allineandolo maggiormente con una
programmazione di bilancio basata sui risultati.
Viene altresì
sottolineata positivamente l’importanza che i ministri siano stati direttamente
coinvolti nella scelta delle aree dei rispettivi bilanci in cui realizzare
risparmi mirati; Ai fini del
perseguimento degli obiettivi di minor spesa dovrebbe concorrere anche
la centralizzazione degli appalti
pubblici, che viene gradualmente estesa anche a livello regionale e
dovrebbe comportare il passaggio a un circoscritto numero di soggetti
aggregatori. Di recente, nota la relazione in questione, il Governo ha
individuato soglie di spesa e 34 categorie di prodotti per i quali le
amministrazioni dovrebbero optare per le procedure d’appalto centralizzate, e
un gruppo di lavoro tecnico sta proponendo ulteriori categorie.
Come
già previsto nei precedenti documenti programmatici, anche nel DEF 2017 il
programma di privatizzazioni continua a costituire uno degli strumenti che contribuiscono
all’azione di consolidamento dei conti pubblici, operando in particolare ai
fini della riduzione del debito pubblico.
Il processo di privatizzazione in corso - e, congiuntamente, anche quello delle
dismissioni immobiliari - è pertanto previsto proseguire per tutti gli anni del
periodo di previsione, ai fini di concorrere alla progressiva stabilizzazione
del rapporto debito/PIL.
Ciò in
linea con le Raccomandazioni del Consiglio europeo del luglio 2016,
laddove nella prima delle stesse – relativa agli aggiustamenti di bilancio e la
fiscalità – si chiede di “assicurare
l’attuazione puntuale del programma di privatizzazioni e usare le conseguenti
entrate straordinarie per accelerare la riduzione del debito pubblico”. In
tal senso nel quadro programmatico di finanza pubblica riportato nel DEF si
prevedono proventi da privatizzazioni (ed ulteriori risparmi) pari allo 0,3% annuo (circa 5 miliardi) nel
periodo 2017-2020. Da segnalare come
tale obiettivo segni un ridimensionamento
dei target previsti dalla Nota di aggiornamento del DEF 2016 dello scorso
settembre, quando risultavano considerati nel quadro di finanza pubblica
proventi da privatizzazioni per 0,5 punti di PIL per il biennio 2017-2018, e di
0,3 punti nel 2019.
Tale
ridimensionamento sembrerebbe in parte da ricondurre ai limitati risultati
conseguiti nel 2016, anno in cui sono stati registrati introiti pari allo 0,1%
del PIL (0,4 nel 2015). Come rilevato nella Relazione della Commissione dello scorso 22 febbraio sulla conformità
dell’Italia al criterio del debito, tale situazione si è determinata
principalmente per i ritardi di alcuni importanti progetti di privatizzazione,
come quello di Ferrovie dello Stato,
inizialmente previsto per il 2016.
Nel 2016, infatti, considerando le attuali
previsioni di crescita del PIL, i proventi realizzati dalle privatizzazioni di
partecipazioni dirette e indirette sono stati pari a circa 0,1% del PIL. In tale anno, nel mese di luglio, è stata completata
l’operazione riguardante l’ENAV:
l’apertura del capitale della società ai privati ha complessivamente riguardato
il 46,6% circa delle azioni, per un introito lordo pari a circa 834 milioni, affluiti al Fondo per
l’ammortamento dei titoli di Stato. Nel 2015 era stata venduta una parte del
capitale azionario di Poste Italiane: attualmente il MEF detiene una
partecipazione residua nel capitale pari al 29% circa. In tale ambito il
Governo intende continuare il processo di privatizzazioni attraverso la
realizzazione di un piano triennale di valorizzazione degli asset strategici in relazione
agli obiettivi di bilancio assegnati al processo di privatizzazione
Per
quanto riguarda la dismissione del
patrimonio immobiliare pubblico, il Governo dichiara che nel periodo
2011-2015 le vendite di immobili di proprietà pubblica sono ammontate a circa
6,2 miliardi, di cui 625 milioni per immobili delle amministrazioni centrali e
5,6 miliardi per le vendite effettuate dagli enti territoriali e previdenziali.
Nel corso del 2016 i proventi
derivanti dalle dismissioni di immobili pubblici ammontano a 783 milioni, (29 milioni derivanti
dalle vendite di immobili delle amministrazioni centrali e 754 milioni derivanti
da dismissioni immobiliari di enti territoriali e previdenziali).
Le
iniziative di valorizzazione e
razionalizzazione degli immobili dello
Stato in gestione all’Agenzia del
Demanio hanno portato a un aumento, in termini di valore, del patrimonio
dello Stato del 2,3% nell’ultimo biennio, a fronte di una diminuzione del
numero di beni gestiti del 5,1%, in un’ottica di progressiva ottimizzazione del
portafoglio. Al 31 dicembre 2016, 44.623 beni dello Stato erano in gestione
all’Agenzia del Demanio, per un valore di circa 60 miliardi.
Per
quanto concerne i beni in uso governativo, nel 2016 sono stati avviati progetti di razionalizzazione
degli spazi pubblici - per interventi stimati in circa 1,4 miliardi - con
l’attuazione di oltre 130 piani su tutto il territorio nazionale. Tra tali
piani, 34 prevedono la creazione di Federal
Building che consentiranno di concentrare nello stesso edificio
gli uffici della PA centrali e territoriali, per offrire ai cittadini servizi
più integrati e fruibili, generando risparmi per la finanza pubblica. Al 31 dicembre 2016, 9 progetti di Federal
Building erano in corso o in fase di avvio e 25 in progettazione (di cui 14
per la realizzazione di Cittadelle della Giustizia).
I piani
per la razionalizzazione degli spazi e la riduzione
delle locazioni passive hanno portato risparmi per circa 11,8 milioni nel
2016. Ulteriori economie sono previste per il prossimo quinquennio (2017-2021),
con una riduzione della spesa per locazioni passive dello Stato che passerebbe
da 879,2 milioni nel 2016 a 709 milioni nel 2021.
Per
quanto riguarda il federalismo demaniale, che comprende la procedura
ordinaria e il federalismo demaniale culturale - dedicato ai beni di interesse
storico-artistico - al 31 dicembre 2016 sono stati trasferiti agli enti territoriali,
sulla base di specifiche finalità di utilizzo, ovvero per l’attuazione di
programmi di rifunzionalizzazione e valorizzazione,
4.139 immobili per un valore di 1,5 miliardi. Il D.L. n. 210 del 2015 (milleproroghe) aveva riaperto i termini della procedura di
trasferimento di beni immobili dallo Stato agli enti territoriali, prevedendo
che gli enti territoriali possano fare richiesta entro il termine del 31
dicembre 2016: si sono registrate ulteriori 2.390 richieste di attribuzione di
beni da parte di oltre 571 enti territoriali.
Il
complesso degli asset
gestiti da INVIMIT Sgr ha raggiunto, a marzo
2017, circa 670 milioni, a fronte dei quali sono state emesse quote che
verranno successivamente collocate sul mercato. I proventi generati dal collocamento
sul mercato potranno essere contabilizzati a riduzione dell’indebitamento netto
negli anni in cui tali vendite saranno realizzate.
Il
Governo dichiara di voler effettuare una revisione
sistematica delle concessioni di beni rilasciate dalle amministrazioni
pubbliche al fine di valorizzare la redditività degli asset
pubblici e individuare possibili strategie di recupero di efficienza,
eventualmente intervenendo sulla normativa vigente.
In
relazione alle concessioni demaniali marittime, in Italia vi è una larga
diffusione, sul demanio marittimo, lacuale e fluviale, di impianti
turistico-ricreativi, stimati a metà 2016 in 21.390. Dal loro utilizzo, nel 2016 il vigente sistema di
determinazione dei canoni ha consentito un introito di circa 103 milioni. Al fine di recuperare
gettito tributario, sono state adottate iniziative dirette a favorire
l’adempimento spontaneo e a contrastare l’evasione.
Al
riguardo è attualmente all’esame del Parlamento un disegno di legge-delega per la revisione e il riordino della
normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad
uso turistico-ricreativo (A.C. 4302). Tra i principi e i criteri direttivi cui
improntare la riforma si segnalano: il rispetto della concorrenza, della
qualità paesaggistica e sostenibilità ambientale, della libertà di
stabilimento, della garanzia dell'esercizio e sviluppo delle attività
imprenditoriali nonché del riconoscimento e tutela degli investimenti, dei beni
aziendali e del valore commerciale; la rideterminazione
della misura dei canoni concessori, con l'applicazione di valori tabellari,
tenendo conto della tipologia dei beni oggetto di concessione; il coordinamento
formale e sostanziale delle disposizioni legislative vigenti in materia. La
rideterminazione delle tariffe e dei meccanismi riferiti ai canoni demaniali
attualmente in vigore, secondo i principi e criteri direttivi fissati con la
delega, consentirà un maggior introito per le finanze pubbliche. Secondo il
Governo qualora si procedesse, come unica misura di revisione, al rialzo dei
parametri per il calcolo dei canoni (importi al metro quadrato), si potrebbe avere un raddoppio del gettito
rispetto a quanto incassato negli ultimi anni, da attribuire in quota parte
alle Regioni e ai Comuni interessati per iniziative di efficientamento
della gestione dei beni pubblici e di conservazione, tutela e miglioramento
dell’ambiente.
In tema
di sanità la terza sezione del DEF (Programma nazionale di riforma) espone, in
primo luogo, le principali misure
adottate.
In
attuazione del Patto per la Salute per
il 2014-2016, è stato approvato e pubblicato, sulla G.U. n. 65 del 18 marzo
2017, il D.P.C.M. 12 gennaio 2017 Definizione e
aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1,
comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502..
Il
provvedimento interviene su quattro fronti:
§ definisce
attività, servizi e prestazioni garantite ai cittadini dal Ssn;
§ descrive
con maggiore dettaglio e precisione prestazioni e attività incluse nei Lea;
§ ridefinisce
e aggiorna gli elenchi delle malattie rare e delle malattie croniche e
invalidanti che danno diritto all’esenzione;
§ innova
i nomenclatori della specialistica ambulatoriale e dell’assistenza protesica.
Con il
provvedimento vengono introdotte una serie di procedure diagnostiche e
terapeutiche che in precedenza avevano natura sperimentale o che erano
eseguibili in sicurezza solo in regime di ricovero, allargando e in gran parte
migliorando l'offerta di servizi pubblici gratuiti o soggetti a pagamento di un
ticket.
Inoltre
sono state individuate tutte le prestazioni di procreazione medicalmente
assistita (PMA) e gli screening erogati a carico del SSN. Vengono
inserite 110 nuove malattie rare con esenzione dai ticket e viene rivisto
l'elenco delle patologie croniche con l'ingresso di sei nuove patologie esenti.
Vengono inoltre tutelate malattie come l'autismo, la celiachia, la sindrome di
Down. Per quanto riguarda le protesi vengono stabilite disposizioni che
permettono di erogare ausili altamente innovativi e con elevati criteri di
qualità costruttiva, sono inclusi tra i destinatari anche persone affette da
malattie rare e persone con assistenza domiciliare integrata e infine
l’individuazione degli ausili avviene con un linguaggio semplice e immediato e
le procedure di fornitura vengono semplificate e snellite.
Per l’aggiornamento annuale dei LEA è stata
costituita la Commissione Nazionale per
l’aggiornamento dei LEA, con il compito di monitorarne costantemente il
contenuto, escludendo le prestazioni o i servizi che diventano obsoleti e
valutando di erogare a carico del SSN i trattamenti che nel tempo si dimostrano
innovativi o efficaci per la cura del paziente.
Quanto all’aspetto
delle risorse va ricordato che la legge di stabilità per il 2016 legge n.
280/2015) ha stanziato 800 milioni annui
per l’aggiornamento dei LEA. Questi
vengono allocati nei 3 livelli
assistenziali, destinando:
§ 600
milioni per l’assistenza distrettuale (così suddivisi: specialistica 380
milioni, protesi 153 milioni);
§ 220
milioni di euro per la prevenzione sanitaria (vaccini);
§ i 20
milioni di euro aggiuntivi derivano da un risparmio dovuto al trasferimento di
prestazioni dall’assistenza ospedaliera ad altri ambiti assistenziali.
A
gennaio 2017 è stato approvato in Conferenza Stato-Regioni il Piano
nazionale di prevenzione vaccinale 2017-2019 (PNPV), con l’obiettivo di
ridurre o eliminare le conseguenze delle malattie infettive prevenibili da
vaccino, attraverso l’individuazione di strategie efficaci e omogenee
sull’intero territorio nazionale. Esso, tra l’altro, si propone di garantire
l'offerta attiva e gratuita delle vaccinazioni, l'accesso ai servizi e la
disponibilità dei vaccini.
Sempre
da gennaio 2017 - in attuazione di quanto stabilito nel Patto per la Salute- è
diventato operativo il Piano nazionale della Cronicità (PNC) per
armonizzare a livello nazionale le attività di assistenza sanitaria e sociale
di lunga durata con i servizi residenziali e territoriali. Con il Piano si
individuano le patologie croniche, con le relative linee di intervento ed i
risultati attesi.
A
luglio 2016 è stata sancita l’intesa tra Governo e Regioni sul ‘Patto per la
Sanità Digitale’, che prevede l’impiego sistematico dell’innovazione
digitale in sanità, al fine di migliorare l’efficienza, la trasparenza e la
sostenibilità del Servizio sanitario nazionale.
Per
quanto riguarda le attività per la realizzazione del fascicolo sanitario
elettronico (FSE) è stato istituito, presso il Ministero della Salute, il Tavolo tecnico di monitoraggio e indirizzo del
FSE cui sono affidati i compiti di elaborazione e proposta alla
Cabina di regia del Nuovo Sistema Informativo sanitario, di monitoraggio
costante dello stato di attuazione e utilizzo del FSE presso le regioni, nonché
di definizione degli obiettivi annuali di avanzamento e dei contenuti del FSE.
E’ stato poi emanato un Decreto del Ministro della salute (D.M. 7 dicembre
2016, n. 262), che costituisce il presupposto per la realizzazione
dell’infrastruttura tecnologica per l’assegnazione del ‘Codice Unico
Nazionale dell’Assistito (CUNA)’, grazie al quale sarà possibile
ricostruire il percorso sanitario del cittadino nei diversi setting
assistenziali del SSN.
La
Legge di Bilancio per il 2017 (legge n. 232/2016) ha previsto che la
realizzazione dell’infrastruttura nazionale necessaria a garantire
l’interoperabilità dei FSE sia curata dal Ministero dell’economia e delle
finanze attraverso l’utilizzo dell’infrastruttura del Sistema tessera sanitaria
(la progettazione dell’infrastruttura nazionale è curata dall’Agenzia per l’Italia
digitale - AgID). Nel caso in cui una Regione non
rispetti i termini per la realizzazione del FSE è previsto l’istituto del
commissariamento.
Per la
progettazione e la realizzazione dell’infrastruttura nazionale per
interoperabilità dei FSE la Legge di Bilancio predispone un’autorizzazione di
spesa di 2,5 milioni, a decorrere dal 2017.
Sul
tema della responsabilità professionale
del personale sanitario è stata pubblicata a marzo, in Gazzetta ufficiale,
la legge n. 24/2017. Il provvedimento affronta e disciplina i temi della sicurezza
delle cure e del rischio sanitario, della responsabilità
dell'esercente della professione sanitaria e della struttura sanitaria pubblica
o privata, le modalità e caratteristiche dei procedimenti giudiziari
aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'obbligo di
assicurazione e l'istituzione del Fondo di garanzia per i soggetti
danneggiati da responsabilità sanitaria.
Tutte
le strutture ospedaliere e sociosanitarie, pubbliche e private avranno
l’obbligo di stipulare delle polizze assicurative. Tale obbligo sussiste anche
per ogni professionista che entri in rapporto, anche via telemedicina o in
intramoenia, con il paziente il quale, in determinate circostanze, potrà
avvalersi dell’azione diretta nei confronti dell’impresa assicurativa o, in
ultima istanza nei casi di insolvenza, potrà ricorrere ad un Fondo di garanzia.
Infine è prevista la prescrizione dimezzata nel caso in cui il paziente decida
di intentare causa direttamente nei confronti di un medico. Viene inoltre,
prevista l’istituzione dell’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla
sicurezza nella sanità con il compito di raccogliere i dati dai centri regionali
(che saranno obbligatori) e di definire i programmi per la sicurezza del
paziente nonché quelli per la formazione e l’aggiornamento del personale
sanitario. Con la legge sulla responsabilità professionale, il principale
soggetto cui inoltrare una eventuale richiesta di risarcimento sarà la
struttura sanitaria, sia pubblica che privata, la quale risponderà sempre per
le azioni dei propri collaboratori ed al paziente che inoltra la richiesta
spetterà l’onere della prova. Rimane per il paziente la possibilità di chiedere
i danni direttamente al professionista.
La
legge è intervenuta anche sul Codice Penale limitando la responsabilità penale
dei professionisti sanitari ai soli casi di negligenza ed imprudenza. Inoltre,
a tutela dei diritti dei pazienti si prevedono disposizioni in merito
all’aumento delle coperture assicurative e agli obblighi di trasparenza delle
strutture sanitarie, che prevedono la pubblicazione sui loro siti internet
delle attività svolte per ridurre i rischi sanitari e dei riferimenti della
copertura assicurativa, nonché una definizione dei tempi di acquisizione della
documentazione clinica, che dovrà essere fornita dagli ospedali entro sette
giorni dalla richiesta. L’applicazione di molte delle previsioni normative
previste nella legge, soprattutto quelle assicurative, dipenderà però, dalla
emanazione dei decreti attuativi.
Nell’Appendice
A alla Sezione III del DEF (Cronoprogramma
del Governo) in tema di sanità,
sul tema dell’attuazione del Patto per
la salute 2014-2016, vengono considerati già attuati l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (a gennaio
2017) e l’adozione del Piano nazionale
della cronicità (a settembre 2016), già citati, mentre viene considerato
come da attuare entro il 2017 il nuovo
sistema di garanzia per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria. Come
sopra già ricordato viene poi considerata attuata
la riforma della responsabilità sanitaria, con la legge n. 24/2017.
Il
Patto per la Salute prevede per le regioni una programmazione triennale dei
costi che consente di diminuire le inefficienze e creare dei risparmi. Inoltre,
il Patto si prefigge di garantire a tutti i cittadini l’accesso alle cure, ai
farmaci e uno standard qualitativo di assistenza e prevede l’aggiornamento dei
LEA per assicurare cure più adeguate e presidi ospedalieri più moderni. Infine,
il Patto intende riorganizzare gli ospedali, potenziare la medicina dei
territorio e creare una rete d’assistenza più efficiente e capillare. Il Patto
per la sanità digitale, previsto nell’ambito del Patto per la salute 2014-2016,
ha natura quinquennale e prevede una riorganizzazione della rete assistenziale,
per favorire la deospedalizzazione e potenziare i servizi sul territorio.
Implementazione del Fascicolo sanitario elettronico.
Con il
Patto per la Salute si intende rendere il sistema sanitario sostenibile di
fronte alle nuove sfide: l'invecchiamento della popolazione, l'arrivo dei nuovi
farmaci sempre più efficaci ma costosi, la medicina personalizzata. Il Patto
per la Sanità digitale dovrà dare attuazione all’e-health
attraverso una serie di priorità che vanno dai servizi per la continuità
assistenziale alle nuove piattaforme ‘information intensive’ su misura
per gli utenti. L’obiettivo è migliorare i servizi sanitari, adattandoli alle
nuove esigenze e ridurre i costi, sfruttando le nuove tecnologie.
Alcuni dati sulle previsioni di spesa sono esposti nella Sezione II (Analisi e
tendenze della finanza pubblica) del
Documento di economia e finanza 2017. Viene
chiarito che le previsioni,
effettuate sulla base della legislazione vigente e del quadro macroeconomico
elaborato per il periodo di riferimento, scontano la manovra prevista dalla
legge di bilancio 2017, pari a 63 milioni nel 2017, 998 milioni nel 2018 e a
2.998 milioni a decorrere dal 2019.
Per il
2017 è prevista una spesa sanitaria per un importo pari a 114.138 milioni, con un tasso di crescita dello 1,4%. Nel dettaglio
si prevede per i redditi da lavoro
dipendente, un livello di spesa pari a 35.439
milioni, per i consumi intermedi
un livello di spesa pari a 32.543
milioni, per le prestazioni sociali in natura corrispondenti a beni e
servizi prodotti da produttori market,
un livello di spesa pari a 39.722
milioni.[77].
Per quanto attiene alle singole componenti costituenti l’aggregato, per l’assistenza farmaceutica convenzionata
è prevista una spesa di 8.044 milioni[78], per l’assistenza medico-generica una spesa di 6.798 milioni per le altre prestazioni (ospedaliere,
specialistiche, riabilitative, integrative ed altra assistenza) è prevista una spesa di 24.930 milioni. Infine,
per le altre componenti di spesa è
previsto un livello di spesa pari a
6.473 milioni.
Nel
triennio 2018-2020 è previsto che la spesa sanitaria cresca ad un tasso medio annuo dell’1,3%,
mentre nello stesso arco temporale il PIL nominale cresce in media del 2,9%. Il rapporto spesa sanitaria e PIL decresce e si attesta, alla fine
dell’arco temporale considerato, ad un livello pari al 6,4%.
I dati sopra illustrati scontano una serie di
fattori e di stime specificamente enunciati.
Come
evidenziato dalla Commissione europea nella "Relazione per paese relativa
all'Italia 2017", i risultati nell'ambito della sanità e della qualità dei
servizi di assistenza sono generalmente buoni. Gli indicatori nell'ambito della
sanità come la speranza di vita e gli anni di vita in buona salute sono stati
costantemente al di sopra della media UE negli ultimi anni. Nel complesso, la
spesa sanitaria, sebbene in aumento, si situa al di sotto della media UE, un
indice del fatto che il sistema sanitario italiano presenta un buon rapporto
costi/efficacia. La spesa per prodotti farmaceutici è recentemente aumentata in
linea con il costo delle innovazioni in campo medico, anche se può essere
ridimensionata dai regimi di ammortamento posti in essere. Sono in via di
sviluppo i sistemi sanitari online (E-health), così
come i sistemi di informazione e monitoraggio a sostegno della valutazione
delle prestazioni. Tuttavia, le disuguaglianze interregionali permangono e le
disparità correlate al reddito nell’accesso ai servizi sanitari risultano in
aumento. La percentuale di persone che riferisce di non potersi permettere una
visita medica è aumentata, passando dal 5,1% nel 2011 al 6,2% nel 2014, e la
quota di persone che riferisce di non essersi sottoposta a una visita medica
necessaria per via dei tempi di attesa eccessivi è superiore alla media
dell’UE. Inoltre, sono in aumento le disparità correlate al reddito in termini
di stato di salute dichiarato. Si registra un leggero aumento delle prestazioni
sanitarie non rimborsabili in rapporto alla spesa sanitaria totale. Il numero
di posti letto per 100.000 abitanti è al di sotto della media dell’UE. Il
numero di medici per 100.000 abitanti è superiore alla media dell’UE, mentre il
rapporto infermieri-medici è tra i più bassi dell’UE. Permangono disparità
nella portata e nella qualità dell’assistenza sanitaria tra le regioni.
In tema di politiche sociali la Sezione
III (PNR) enumera tra le azioni strategiche del PNR 2017 il Piano per il contrasto alla povertà e
le Misure di sostegno alla famiglia.
Piano di contrasto alla povertà
Il Piano
di contrasto alla povertà risponde all’attuazione dell’obiettivo n. 8 Contrasto alla povertà della strategia
Europa 2020 (che richiede, entro il 2020, di sottrarre a livello nazionale
2.200.000 persone a condizioni di povertà o deprivazione) e alla
Raccomandazione 4 relativa all’adozione e attuazione di una strategia nazionale
di lotta contro la povertà e alla razionalizzazione della spesa sociale. A tale
proposito, la Relazione per paese
relativa all'Italia 2017[79] della Commissione rileva che, dal 2008, nel nostro
paese, il tasso di rischio di povertà o di esclusione sociale è aumentato e
riguarda in maniera particolare i bambini e le persone provenienti da un
contesto migratorio Inoltre,
l’aumento delle diseguaglianze di reddito, anch’esso in crescita dal 2008, si è
stabilizzato leggermente al di sopra della media dell’UE. I progressi compiuti
nella lotta alla povertà con il Piano di contrasto, vengono conseguentemente
apprezzati, ma la Relazione evidenzia che la razionalizzazione della spesa
sociale non progredisce al ritmo inizialmente previsto e le risorse stanziate
potrebbero essere insufficienti.
La Sezione III (PNR) sottolinea che l’azione di
contrasto alla povertà è stata delineata dalla legge 15 marzo 2017, n. 33 Delega
recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle
prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali che
autorizza il Governo a:
§
definire nel dettaglio l’accesso e le modalità di
erogazione del Reddito di Inclusione (REI), la misura nazionale di contrasto
alla povertà basata su un sostegno economico condizionato all’attivazione di
percorsi verso l’autonomia lavorativa, con un progressivo ampliamento della
platea di beneficiari (stimata dal PNR in oltre 400 mila nuclei familiari, per un
totale di 1 milione e 770 mila persone nel 2017);
§
riordinare le prestazioni assistenziali finalizzate
al contrasto della povertà (Carta acquisti ordinaria per minori e l’assegno di
disoccupazione ASDI);
§
rafforzare e coordinare gli interventi in materia
di servizi sociali, a valere sulle risorse del Fondo Sociale Europeo,
finalizzato a garantire maggiore omogeneità territoriale nell’erogazione delle
prestazioni.
Le risorse stanziate ammontano complessivamente a
circa 1,18 miliardi per il 2017 e 1,704 per il 2018. Il PNR (e il correlato
Cronoprogramma) fissa a maggio 2017 il
termine per l’attuazione delle deleghe.
Il REI sostituirà il SIA (Sostegno per l’inclusione
attiva, già Carta acquisti sperimentale), esteso a tutto il territorio nazionale da settembre
2016, secondo le modalità attuative
indicate dal decreto del 26 maggio 2016. Nelle previsioni del PNR il
passaggio da SIA al REI permetterà di ampliare la platea di beneficiari,
raggiungendo oltre 400 mila nuclei familiari, per un totale di 1 milione e 770
mila persone (rispetto alle circa 65 mila famiglie, per un totale di 250 mila
persone, beneficiarie del SIA). La misura nazionale, intesa appunto come rafforzamento,
estensione e consolidamento della Carta acquisti sperimentale – SIA, è
condizionata alla prova dei mezzi,
sulla base dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), tenendo conto dell'effettivo
reddito disponibile e di indicatori della capacità di spesa. I beneficiari della misura sono
individuati, prevedendo un requisito di durata minima della residenza sul
territorio nazionale nel rispetto dell'ordinamento dell'UE, prioritariamente,
tra i nuclei familiari con figli minori o con disabilità grave o con donne in
stato di gravidanza accertata o con persone con più di 55 anni di età in stato
di disoccupazione. L'estensione della misura nazionale di contrasto alla
povertà avverrà, sulla base delle risorse che affluiscono al Fondo per la lotta
alla povertà e all'esclusione sociale (come detto circa 1,18 miliardi per il
2017 e 1,704 per il 2018). Per quanto riguarda i progetti personalizzati,
l'Accordo "Linee guida per la
predisposizione e attuazione dei progetti di presa in carico del Sostegno per
l'inclusione attiva" (c.d. Linee Inclusione attiva), ha
regolamentato un nuovo schema di intervento sociale che prevede il
rafforzamento del sistema dei servizi sociali sul territorio nell'ottica della
rete integrata dei servizi e della cura di tutto il nucleo familiare
beneficiario, secondo il cosiddetto "approccio ecologico", basato
sulla considerazione delle interazioni tra le persone e il loro ambiente. Le Linee
guida costituiscono il principale riferimento anche per il finanziamento, negli
ambiti territoriali, degli interventi di supporto previsti negli assi 1 e 2 del
PON "Inclusione" a valere sulle risorse del Fondo Sociale Europeo. Il Decreto del
Direttore Generale della Direzione Generale per l'inclusione e le politiche
sociali del 3 agosto 2016 e l'allegato Avviso pubblico non
competitivo n. 3/2016, rivolti agli ambiti territoriali, hanno inteso
assegnare le risorse del PON "Inclusione" dedicate al supporto del
SIA (pari a circa 487 milioni di euro, di cui circa 350 milioni a favore delle
regioni meno sviluppate) per il triennio 2016-2019.
Misure
di sostegno alla famiglia
Per quanto riguarda le misure di sostegno alla famiglia, l’azione prevista intende
proseguire la politica di sostegno inaugurata con l’assegno di natalità
(cosiddetto bonus bebè) e proseguita con il premio alla nascita e il buono
nido, introducendo una premialità progressiva rispetto al numero dei figli.
Finalità dell’azione è di sostenere, entro il 2017, il potere d’acquisto delle
famiglie e, al contempo, concorrere a contrastare la prolungata tendenza al
calo demografico. Inoltre, il cronoprogramma
prevede, entro il 2017,
l’approvazione di una delega al Governo per la riunificazione e il
coordinamento delle disposizioni in materia di sostegno alla famiglia - Testo unico per la famiglia (si ricorda
che la stessa previsione era contenuta nel Cronoprogramma del PNR 2016 con un
termine fissato entro dicembre 2016).
Il bonus bebè è stato introdotto dalla
legge di stabilità 2015 (legge 190/2014), che, ai commi da 125 a 129, ha previsto,
per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2015 fino al 31 dicembre 2017,
un assegno di importo annuo di 960 euro erogato con cadenza mensile a decorrere
dal mese di nascita o adozione[80]. Per poter accedere al beneficio economico,
il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente deve trovarsi in
condizione economica corrispondente a un valore dell'indicatore della
situazione economica equivalente (ISEE) non superiore a 25.000 euro annui.
L'importo dell'assegno di 960 euro annui è raddoppiato quando il nucleo
familiare di appartenenza del genitore richiedente è in una condizione
economica corrispondente a un valore dell'indicatore ISEE non superiore ai
7.000 euro annui. L'onere della misura è valutato in 1.012 milioni di euro per
l'anno 2017, in 1.012 milioni di euro per l'anno 2018, in 607 milioni di euro
per l'anno 2019 e in 202 milioni di euro per l'anno 2020
La
legge di bilancio 2017 (legge 232/2016) ha poi previsto ulteriori misure a
sostegno della genitorialità. Più in particolare, l’art. 1, comma 353, ha
istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2017, un premio alla nascita o all'adozione di minore, pari ad 800 euro. Il beneficio è corrisposto in unica soluzione dall'INPS a
domanda della futura madre al compimento del settimo mese di gravidanza o
all'atto dell'adozione.
È stato
poi introdotta, con riferimento ai nati a decorrere dal 1º gennaio 2016, (art.
1, comma 355, della legge 232/2017), l'erogazione di un buono per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido
pubblici o privati. Il beneficio è anche utilizzabile per il sostegno,
presso la propria abitazione, dei bambini al di sotto dei tre anni affetti da
gravi patologie croniche. Il buono è pari a 1.000 euro su base annua,
corrisposti in 11 mensilità dall'INPS al genitore che ne faccia richiesta
presentando documentazione idonea. Le modalità attuative che renderanno
possibile l’accesso al beneficio non sono state ancora adottate (non è ancora
stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto
entro trenta giorni dal 1° gennaio 2017). La norma si configura come tetto
massimo di spesa per lo Stato, pari a 144 milioni di euro per il 2017, 250
milioni per il 2018 e 300 milioni per il 2019, per poi proseguire a regime con
l'autorizzazione di complessivi 330 milioni di euro annui a decorrere dal 2020.
La
legge di Bilancio per il 2017 contiene anche disposizioni dirette a facilitare
la conciliazione tra vita e lavoro, tra queste, l'articolo 1, commi 356 e 357,
ha prorogato per il biennio 2017-2018 la possibilità per la madre lavoratrice
di richiedere, al termine del congedo di maternità ed entro gli 11 mesi
successivi, in alternativa al congedo parentale, voucher per l'acquisto di
servizi di baby sitting oppure un contributo
per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, per
un massimo di sei mesi. Il beneficio può essere utilizzato sia dalle lavoratrici
dipendenti e iscritte alla Gestione separata (nel limite di spesa di 40 milioni
di euro per ciascuno dei due anni) sia dalle lavoratrici autonome e
imprenditrici (nel limite di spesa di 10 milioni di euro per ciascuno dei due
anni).
Infine,
l'articolo 1, comma 354, della legge di bilancio 2017 ha prorogato (con uno
stanziamento di 20 milioni per il 2017 e 41,2 milioni per il 2018) il congedo obbligatorio per i padri lavoratori
dipendenti (istituito dall'articolo 4, comma 24, lettera a), della legge 92/2012) anche per le
nascite e le adozioni/affidamenti avvenute nell'anno solare 2017.
Inoltre, per il sostegno delle fasce più deboli, la Sezione III (PNR) ricorda che
con la Legge di Bilancio per il 2017 sono stati stanziati 50 milioni per il Fondo dedicato alla non autosufficienza, che dal
2016 era stato dotato strutturalmente di 400 milioni, e 600 milioni per le
politiche per la famiglia[81].
La
legge di bilancio 2017 (legge 232/2016) ha rifinanziato il Fondo nazionale
politiche sociali (FNPS) con circa 311 milioni per il 2017, 308 milioni per il
2018 e 313 milioni per il 2019. Per quanto riguarda il Fondo per le non
autosufficienze, il comma 405 della legge di stabilità 2016 (legge 208/2015) ne
ha incrementato lo stanziamento di 150 milioni di euro annui a decorrere dal
2016, portando così la dotazione del Fondo a 400 milioni. In seguito, la
Sezione II della legge di bilancio 2017
(legge 232/2016) ha, per il triennio
2017-2019, incrementato di 50
milioni la dotazione del Fondo, ulteriormente incrementata di 50 milioni, per
il solo 2017, dall'articolo 5 del decreto legge interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale
(decreto legge 243/2016). Pertanto, lo stanziamento del Fondo per le non
autosufficienze, nel 2017, è
pari a 500 milioni.
Successivamente,
con l'Intesa Stato-Regioni del 23 febbraio scorso, finalizzata al conseguimento
del concorso regionale per la finanza pubblica per l'anno 2017, pari a 2.691,80
milioni di euro, da definire ai sensi dei commi 680 e 682, art. 1, della legge
di stabilità 2016 (legge 208/2015) è stato raggiunto un accordo per la
riduzione, tra le altre voci di spesa, dei due Fondi citati. Le riduzioni sono
le seguenti:
a)
circa 211 milioni di
euro per il
Fondo per le politiche sociali,
per un valore residuo di circa 100 milioni di euro (di cui al cap. 3671,
originariamente iscritto nello stato previsionale del Ministero del Lavoro per
311 milioni di euro);
b)
50 milioni di euro
per il Fondo per le non autosufficienze, per un valore residuo di 450 milioni
(di cui al cap. 3538 iscritto nello stato previsionale del Ministero del
Lavoro).
Successivamente, dopo un incontro tra i
rappresentanti delle Regioni e il Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, si è aperto un confronto fra il Governo e le Regioni sulle ipotesi percorribili per ripristinare e
rendere più strutturali i fondi da destinare alle politiche sociali e alla
non-autosufficienza; l’obiettivo appare la sottoscrizione di una intesa che da
un lato ripristini il Fondo per le politiche sociali con l’intervento del
Ministero e dall’altro rispristini il Fondo per la non autosufficienza
attraverso l’impegno delle Regioni.
Terzo settore
Il Cronoprogramma per le riforme ricorda
l’approvazione della Delega al Governo
per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del
Servizio civile universale (legge 6
giugno 2016, n. 106) e l’attuazione della prima delega relativa
all’Istituzione e disciplina del servizio
civile universale (D.Lgs. 6 marzo 2017, n. 40). Il documento
sottolinea inoltre che i 900 milioni stanziati[82]
finanzieranno: gli interventi di semplificazione e riordino della normativa; la
revisione delle disposizioni in materia di volontariato e promozione sociale;
le facilitazioni normative e fiscali per favorire l’impresa; il servizio civile
universale; la fiscalità e il sostegno economico. Il Cronoprogramma 2017 pone
al giugno 2017 il termine per l’attuazione delle restanti
deleghe previste dalla legge 106/2016: revisione del titolo II. Libro I,
del Codice civile in materia di associazioni e fondazioni; revisione della
disciplina in materia di impresa sociale; riordino e revisione della disciplina
speciale e delle altre disposizioni vigenti, relative agli enti del Terzo
settore (Codice Terzo settore).
Si ricorda che è ora all’esame delle Camere lo
Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante approvazione dello
statuto della Fondazione Italia sociale (Atto del Governo 403).
Ulteriori disposizioni
A completamento di quanto sopra esposto nella Sezione III del DEF (Cronoprogramma del Governo), tra i
provvedimenti approvati si ricorda la legge 19 agosto 2016, n. 166, Disposizioni concernenti la donazione e la
distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà
sociale e per la limitazione degli sprechi.
Infine, nell’Allegato 2 al DEF Relazione sugli interventi nelle aree
sottoutilizzate viene ricordata l’iniziativa Obiettivi di servizio (ODS)[83], da
cui, nel 2012, è originato il Programma Nazionale dei Servizi di Cura per
l’Infanzia e gli Anziani (PNSCIA), che ha destinato 627,6 milioni di
euro per il sostegno a questi servizi in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia.
Nell’ambito dei servizi di cura, sia le risorse della delibera CIPE 79/2012 sia
le risorse del PNSCIA hanno consentito non solo investimenti in strutture e
attrezzature, ma anche interventi per il sostegno alla gestione.
Preliminarmente, si ricorda che la Nota di aggiornamento del DEF 2016[84], nel far presente che “sono state ridimensionate (…) le raccomandazioni su cui hanno agito in modo efficace le riforme del mercato del lavoro e della
scuola”, evidenziava,
conseguentemente che, nell’ambito delle Raccomandazioni 2016, nessuna era
riferibile all’area di policy Scuola[85].
Nell’Analisi annuale della crescita 2017 (COM(2016) 725 final), del 16 novembre 2016, la Commissione
europea – ricordato il proprio impegno a dare priorità agli investimenti in
capitale umano varando una nuova agenda per le competenze, promuovendo
l'attuazione della Garanzia per i giovani ed effettuando analisi comparative
dei risultati in materia di istruzione e formazione – sottolinea, anzitutto,
che gli Stati membri devono rivolgere particolare attenzione alla pertinenza delle competenze per il mercato del lavoro,
modernizzando l'istruzione e la formazione professionale, anche attraverso la promozione di percorsi di apprendimento
flessibili e sviluppando l'apprendistato
in nuovi settori.
Più in
generale, evidenzia che l'istruzione e
la formazione devono essere modernizzate per dotare le persone di
competenze migliori, da quelle alfabetiche e matematiche a quelle
imprenditoriali e digitali.
Infatti,
sebbene nel 2015 gli indicatori del livello d'istruzione sono ulteriormente
migliorati, il tasso di abbandono scolastico è diminuito nella maggior parte
degli Stati membri - attestandosi all'11% - e il tasso di istruzione terziaria
ha registrato una crescita costante e significativa - attestandosi al 38,7% nel
2015 e superando, in 17 Stati membri, l'obiettivo del 40% stabilito dalla
strategia Europa 2020 -, rispetto agli standard internazionali troppi europei
acquisiscono soltanto competenze di base e digitali limitate, il che pone
l'Europa in una posizione di svantaggio competitivo a fronte dei rapidi
cambiamenti dell'economia mondiale.
È
dunque di fondamentale importanza sviluppare le competenze per favorire una
convergenza verso l'alto e, in tale quadro, un obiettivo centrale della nuova
agenda per le competenze per l'Europa è consentire agli adulti che non hanno
conseguito un titolo di istruzione secondaria superiore di valutare il proprio livello di competenze, offrire loro nuove
possibilità di formazione e convalidare le competenze acquisite.
Infine,
migliorare l'interazione tra ricerca
universitaria e sviluppo commerciale di prodotti e servizi è fondamentale
per stimolare la competitività e la crescita.
Anche nelle Raccomandazioni
del Consiglio sulla politica
economica della zona euro per il 2017 (COM (2016) 726), approvate anche esse il 16 novembre 2016, il Consiglio europeo
sottolinea la necessità che le riforme prevedano, fra l’altro, sistemi di
istruzione e formazione efficienti e di qualità, nonché strategie globali di
apprendimento permanente calibrate sulle necessità del mercato del lavoro.
Nel documento di lavoro dei servizi della
Commissione “Relazione per paese relativa all’Italia 2017”, del 22 febbraio 2017, che dà conto, tra
l’altro, dei progressi conseguiti nel raggiungimento degli obiettivi nazionali
nel quadro della strategia Europa 2020, si evidenzia che l’Italia ha già raggiunto i propri obiettivi in materia
di abbandono scolastico, poiché lo
stesso, con riferimento al totale dei 18-24enni, è calato dal 16,8% nel 2013,
al 15% nel 2014 e al 14,7% nel 2015.
Rispetto all’Obiettivo europeo n. 6 – che prevede la riduzione del tasso di
abbandono scolastico, entro il 2020, a un valore
inferiore al 10% - gli obiettivi
italiani indicati dal PNR 2017 (sostanzialmente uguali agli obiettivi
nazionali fissati dai PNR 2015 e 2016) confermano il raggiungimento, nel 2020,
di un livello di abbandoni scolastici inferiore
al 16% del totale dei 18-24enni.
Più
nello specifico, il documento sottolinea positivamente il rafforzamento dell’apprendistato e dell’apprendimento basato sul
lavoro, finalizzato ad aumentare l'adeguatezza dell’istruzione rispetto al
mercato del lavoro, ma al tempo stesso evidenzia che l'istruzione scolastica produce risultati
eterogenei in termini di conseguimento delle competenze di base, in
particolare tra nord e sud, ma anche per quanto riguarda il tasso di abbandono scolastico precoce tra i nati al di fuori dell’UE, di molto
superiore a quello delle persone nate in Italia, e che registra un divario che
è tra i più elevati dell’UE.
In particolare, il tasso di abbandono
scolastico precoce per i nati al di fuori dell’UE è stato del 33% nel 2015,
mentre quello delle persone nate in Italia è stato del 12,7%.
In tale
quadro, sottolinea che la riforma della scuola avviata nel 2015 dovrebbe
migliorare i risultati scolastici.
Il PNR
2017 stima anzitutto
un impatto sul PIL conseguente alla riforma dell’istruzione e
alle misure di rafforzamento delle competenze[86] pari
complessivamente allo 0,3% dopo 5 anni, allo 0,6% dopo 10 anni e al 2,4%
nel lungo periodo[87].
In particolare, nei
sei ambiti di azione che costituiscono gli assi portanti sui quali è basata la
strategia da attuare nell’intervallo annuale che ci separa dal prossimo PNR,
evidenzia che, insieme alle politiche attive per il lavoro, vanno stimolate le competenze, per ridurre il mismatch con il
mercato del lavoro.
Inoltre,
sottolinea che, nell’ambito dell'indicatore del livello di progresso conseguito
dall’azione di riforma del Governo definito dal MEF – che esprime il progresso nell’attuazione delle
riforme previste nel PNR, ponderato per l’importanza delle stesse ai fini della
competitività del Paese, e che varia da 0 (assenza di riforme pro-competitive)
a 1 (piena implementazione di tutte le riforme previste), la quota attribuita
all’istruzione è passata dallo 0,06 del
2015 (su un valore complessivo dell'indicatore di 0,44) allo 0,09 del 2016 (su
un valore complessivo dell'indicatore di 0,76)[88].
Ricorda, dunque,
una serie di recenti interventi, delineando, per qualche ambito, novità di cui
si prevede l’intervento nei prossimi mesi.
In particolare,
evidenzia che:
§ Sono stati definitivamente approvati 8 (dei 9)
decreti legislativi previsti dalla L. 107/2015.
§ Il 7 aprile 2017 il Consiglio
dei Ministri ha approvato definitivamente i decreti legislativi relativi a: sistema di
formazione iniziale e di accesso all’insegnamento nella scuola secondaria di I
e II grado; promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con
disabilità; revisione dei percorsi dell’istruzione professionale; istituzione
del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei
anni; diritto allo studio; promozione e diffusione della cultura umanistica;
scuole italiane all’estero; valutazione e certificazione delle competenze degli
studenti nel primo ciclo e degli esami di Stato.
Alla
data del 12 aprile 2017, i decreti legislativi non sono ancora stati pubblicati
nella Gazzetta ufficiale.
Qui il comunicato stampa presente nel sito del
MIUR, nel quale si evidenzia anche che per l’oggetto della nona delega prevista
dalla L. 107/2015, riguardante la revisione del Testo unico sulla scuola (D.Lgs. 297/1994), per l’esercizio della quale i termini
sono scaduti, sarà previsto un disegno di legge delega specifico e successivo.
§ La legge di bilancio 2017 ha stanziato risorse
finalizzate ad incrementare l’organico
dell’autonomia a decorrere dal 2017
(€ 140 milioni per il 2017 e € 400 milioni dal 2018: art. 1, co. 366 e
373-374, della L. 232/2016[89]).
§ Ad ottobre 2016 è stato adottato il Piano nazionale di formazione dei docenti per il
triennio 2016-2019[90].
Attualmente, sono in fase di avvio tre gruppi
di lavoro che lavoreranno per l’introduzione degli standard professionali dei
docenti, per la costruzione di un portfolio
professionale digitale per ogni docente - che sarà disponibile a partire dall’a.s. 2017/2018 e raccoglierà esperienze
professionali, qualifiche, certificazioni, attività di ricerca, pubblicazioni -
e per rafforzare la qualità di progettazione della formazione. Inoltre, sempre
a partire dall’a.s. 2017/2018, sarà avviata, in
collaborazione con l’INDIRE, una Biblioteca
digitale, scientificamente documentata, delle migliori attività didattiche
e formative.
§ Con riferimento al Piano nazionale scuola digitale, adottato nel 2015[91], sono state avviate più
del 65% delle azioni previste (complessivamente, 35 nel triennio 2015-2018) e sono stati investiti € 500 milioni (su
1,1 miliardi stanziati)[92]. In particolare, attraverso tale Piano sono state promosse varie
attività nell’ambito del Piano
Industria 4.0, allo scopo di promuovere la
cultura 4.0 fra gli studenti, creare competenze e stimolare la ricerca.
§ Ulteriori attività per migliorare
le competenze digitali degli studenti sono state avviate attraverso un piano di
investimenti basato su fondi strutturali.
§ Con riguardo all’inclusione scolastica, il Governo
intende incentivare, anche con l’ausilio delle nuove tecnologie, culture e
prassi finalizzate al successo formativo di tutti gli studenti, con particolare
riguardo a quelli con disabilità, disturbi specifici dell’apprendimento, e in
situazioni di svantaggio socio-economico, linguistico e culturale. Altre misure
saranno rivolte a ridurre la dispersione
scolastica e ad attivare azioni rivolte al benessere, ai corretti stili di
vita, alla prevenzione del disagio
giovanile, in particolare con riferimento alla parità di genere, ai fenomeni di bullismo e cyberbullismo e alla lotta alle
dipendenze da droga e alcol.
§ In argomento, il 31
gennaio 2017 è stato presentato un Piano
per una scuola più aperta, inclusiva, innovativa, declinato in 10 azioni, nel quadro degli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati
dall’Agenda 2030 dell’ONU.
Il Piano, finanziato con 830 milioni del PON Scuola 2014-2020 (e non con 840, come indicato, per mero
errore materiale, a pag. 89 del PNR), articola le azioni con riferimento a:
competenze di base, competenze di cittadinanza globale, cittadinanza europea,
patrimonio culturale artistico e paesaggistico, cittadinanza e creatività
digitali, integrazione e accoglienza, educazione all’imprenditorialità,
orientamento, alternanza scuola-lavoro, formazione degli adulti[93].
§ La piena operatività dell’Agenzia nazionale per le politiche
attive del lavoro (ANPAL), attiva da novembre 2016,
consentirà di prevedere tutor per la transizione
scuola-lavoro, che aiuteranno scuole ed università nella costruzione di
rapporti stabili con le imprese e faciliteranno la progettazione e la
realizzazione di percorsi di alternanza scuola lavoro, tirocini, nonché di
apprendistato di primo livello e di alta formazione e ricerca.
L’intervento intende coinvolgere
gradualmente, da giugno 2017 ad aprile
2019, 5.000 istituti di scuola
secondaria superiore di secondo grado, statali e paritari, e 60 università e
Istituti tecnici superiori[94].
Al riguardo, il PNR sottolinea che, nell’a.s.
2015/2016, la percentuale di scuole con progetti di alternanza scuola-lavoro è
stata pari al 96%. Vi hanno partecipato 652.641 studenti, con un incremento del
139% rispetto all’a.s. precedente. I percorsi sono
aumentati del 154%, passando da 11.585 a 29.437, mentre le strutture ospitanti
sono state 149.795 (+ 41%)[95].
Fondamentale sarà, anche, la piena
operatività del modello duale, che costituisce il prerequisito per la formazione delle
competenze necessarie per intercettare il cambiamento tecnologico e produttivo.
§ In materia di edilizia scolastica, entro la prima
metà del 2017 sarà disponibile un fascicolo
elettronico di ogni edificio scolastico. Inoltre, si proseguirà nell’opera
di riqualificazione, portando avanti la programmazione triennale[96], e il sistema informativo di monitoraggio, già realizzato, verrà
collegato all’Anagrafe dell’edilizia scolastica.
Al fascicolo elettronico si perverrà a seguito dell’Accordo del 10 novembre 2016 in Conferenza unificata, relativo
alle modifiche del tracciato record dei dati dell’Anagrafe nazionale
dell’edilizia scolastica e dell’architettura di sistema per lo scambio dei
flussi informativi.
Con riferimento agli interventi effettuati, il PNR evidenzia che
dal 2014 sono stati finanziati 13.304 interventi, di cui 10.485 sono conclusi.
La spesa sostenuta è di circa € 1,8 miliardi, mentre lo stanziamento
complessivo di risorse di competenza del MIUR è di circa € 5,8 miliardi.
Infine,
in base al cronoprogramma, entro aprile 2017 sarà adottata la Carta dei diritti e dei doveri degli
studenti in alternanza scuola-lavoro[97].
La “Relazione per paese relativa all’Italia 2017”, del 22
febbraio 2017, evidenzia che, nonostante
l’Italia sia prossima al conseguimento
dell’obiettivo nazionale sul tasso di istruzione terziario per la fascia di età
30-34 anni, lo stesso è tuttora il più basso dell’UE (25,3% nel 2015, rispetto
al 38,7% nell’UE).
Rispetto
all’Obiettivo
europeo n. 8 – che prevede di
aumentare al 40%, entro il 2020, la popolazione tra i 30 e i 34 anni in
possesso di un titolo di studio universitario, gli obiettivi italiani indicati dal PNR 2017 (sostanzialmente uguali agli
obiettivi nazionali fissati dai PNR 2015 e 2016) confermano il raggiungimento,
nel 2020, di un livello di istruzione terziaria pari al 26-27%.
Evidenzia, inoltre, che
l’istruzione terziaria rimane ampiamente
sottofinanziata – anche con riferimento al
sostegno degli studenti - e che si è registrato un aumento dell’età media dei professori universitari: a fronte di
ciò, le misure intraprese a livello nazionale – in particolare con la legge di
stabilità 2016 e la legge di bilancio 2017 - costituiscono graduali passi
avanti, ma non sono tuttavia sufficienti.
Anche l’apprendimento
degli adulti non è sufficientemente sviluppato; inoltre, la frammentazione
del sistema rende difficile individuare una strategia globale di apprendimento
continuo.
Per
l’università, il PNR non indica nuove
misure da adottare, ma, da un lato, ricorda che, come evidenziano i
risultati della Valutazione della qualità della ricerca 2011-2014 realizzata
dall’ANVUR, le università italiane stanno velocemente convergendo verso uno
standard comune e più elevato di qualità della ricerca, dall’altro ricapitola
gli interventi previsti dalla legge di bilancio 2017 in materia di esoneri e
limitazioni della contribuzione studentesca (anche con riferimento agli
studenti delle Istituzioni dell’Alta formazione artistica, musicale e
coreutica), incremento delle risorse per il diritto allo studio, istituzione di
borse di studio annue per il merito finalizzate a favorire le iscrizioni universitarie,
destinazione di risorse all’orientamento e al tutorato, finanziamento delle
attività di ricerca di base e dei dipartimenti universitari di eccellenza.
La “Relazione per paese relativa all’Italia 2017”, del 22 febbraio 2017, evidenzia che gli investimenti in R&S, in particolare
da parte del settore privato,
continuano ad essere notevolmente inferiori alla media UE. Un ritardo dell’Italia
si registra anche in termini di innovazione.
In particolare, nel
2015 la spesa totale destinata a ricerca e sviluppo in percentuale del PIL è
stata pari all'1,33%, un livello lievemente inferiore a quello del 2014 e
ancora nettamente al di sotto della media UE (2,03%). Ciò è attribuibile, in
particolare, alla mancanza di persone altamente qualificate, soprattutto nei
settori della scienza, dell’ingegneria e dell'informatica, e alla scarsa collaborazione tra il mondo
accademico e quello imprenditoriale. Il paese ha quindi compiuto solo
progressi limitati verso il conseguimento dell'obiettivo nazionale.
Tuttavia, la
Relazione riconosce che, per migliorare le prestazioni in termini di
innovazione, nel 2016 sono stati adottati il nuovo Piano nazionale della
ricerca e il Piano industria 4.0.
Rispetto all’Obiettivo
europeo n. 2 – che prevede di
aumentare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo al 3% del
PIL entro il 2020, gli
obiettivi italiani indicati dal PNR
2017 (sostanzialmente uguali agli obiettivi nazionali fissati dai PNR 2015 e
2016) confermano il raggiungimento, nel 2020, dell’1,53%.
Anche
per tale ambito il PNR non indica nuove
misure da adottare.
Ricorda,
però - oltre all’approvazione del D.Lgs. 218/2016,
volto alla semplificazione delle
attività degli enti pubblici di ricerca - l’adozione del Piano nazionale della ricerca 2015-2020,
varato dal CIPE il 1° maggio 2016[98],
finalizzato a incentivare la competitività industriale e a promuovere lo
sviluppo del Paese in settori strategici[99], e le
misure conseguentemente adottate già nel 2016, tra le quali quelle relative a borse di dottorato innovativo nelle
università delle otto regioni in ritardo di sviluppo e in transizione[100], all’attrazione di ricercatori di eccellenza
e al supporto agli studiosi italiani che
vogliono partecipare ai bandi europei[101], alla
costituzione di 4 nuovi cluster
tecnologici nazionali[102].
Ricorda,
altresì, che a gennaio 2017 è stato firmato un accordo fra l’Autorità di
gestione del PON Ricerca e Innovazione e la Banca europea per gli investimenti
per la costituzione di un fondo di fondi, con dotazione iniziale di € 200
milioni, che opererà con prestiti e venture
capital per investire in progetti di ricerca ad alto contenuto tecnologico,
localizzati nelle regioni del sud[103].
Infine,
ricorda le misure previste dalla legge di bilancio 2017, relative, fra l’altro,
al credito di imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo, al rientro di
ricercatori, agli stranieri che vogliono effettuare donazioni filantropiche in
Italia nel settore della ricerca.
Ulteriori
disposizioni per università e ricerca sono state incluse, come già detto, nel
Piano Industria 4.0, con l’obiettivo di formare 200.000 studenti universitari.
Come si
ricorderà, tra le raccomandazioni del
Consiglio europeo del 12 luglio 2016,
sul programma nazionale di riforma 2016 dell'Italia, risaltava la n. 2, che
invitava tra l’altro l’Italia a «potenziare
la lotta contro la corruzione, anche
riformando l'istituto della prescrizione
entro fine 2016; ridurre la durata dei
procedimenti civili dando attuazione alle riforme e assicurando una
gestione efficiente delle cause».
Nella Relazione relativa all'Italia, del 22 febbraio 2017, la Commissione analizza
l’attuazione data alla raccomandazione dello scorso anno e afferma che
«L'Italia ha compiuto progressi limitati». In particolare, sul fronte del
sistema giudiziario, «sebbene si osservi
qualche miglioramento per quanto riguarda l'efficacia del sistema giudiziario, la durata dei procedimenti costituisce
tuttora un serio problema» mentre sul fronte della lotta alla
corruzione «L'istituto della prescrizione ostacola la lotta alla corruzione».
In merito,
in generale, il DEF 2017 afferma
[pag. VI] che è intenzione del Governo proseguire l’attuazione delle misure di
riforma della giustizia già avviate, con particolare riguardo al processo
penale, all’efficienza del processo civile e alla prescrizione.
L’azione
del Governo tenderà ad armonizzare l’esigenza di assicurare tempi congrui per
l’accertamento dei fatti di reato con quella volta a garantire la ragionevole
durata del processo.
Verranno
incrementate le risorse a disposizione dell’amministrazione giudiziaria. Si
promuoverà ulteriormente l’adozione di best
practices che consentano di armonizzare le
performance dei tribunali in termini qualitativi e quantitativi.
Il
perfezionamento del quadro legislativo in materia di insolvenza renderà più
efficace la gestione delle procedure concorsuali, anche al fine di stabilire
una regolazione organica della materia e dare maggiore certezza alle imprese in
crisi.
Di
seguito si sintetizzano, anche alla luce delle recenti considerazioni della
Commissione europea, le azioni
strategiche previste dal Programma nazionale di riforma (di seguito: PNR)
allegato al DEF per il settore della Giustizia. Si tratta di azioni
prevalentemente finalizzate al recupero di competitività,
ma inserite anche nell’ambito del credito
e della lotta all’evasione.
Ambito |
Area
di policy |
Azioni |
Tempi |
Competitività |
Giustizia |
Riforma del processo penale e disciplina
della prescrizione |
Giugno 2017 |
Contrasto alla criminalità organizzata e ai
patrimoni illeciti |
Entro il 2017 |
||
Disciplina della magistratura onoraria |
Maggio 2017 |
||
Estradizione per l’estero |
Entro il 2017 |
||
Efficienza del processo civile |
Entro il 2017 |
||
Tassazione,
revisione della spesa e lotta alla evasione |
Politiche fiscali |
Ridurre
le controversie tributarie e migliorare l’efficacia della riscossione |
2017-2018 |
Credito |
Banche
e credito |
Riforma della disciplina delle crisi di
impresa e dell’insolvenza (Legge Delega) |
Entro il 2017 |
Sul
fronte della lotta alla corruzione, il PNR si limita a ricordare le cose già
fatte nel corso della legislatura, per poi concentrare l’attenzione sulla
prossima approvazione della riforma dell’istituto della prescrizione.
La Commissione europea afferma che «Nessun progresso è stato registrato nella
revisione dell'istituto della prescrizione» ed aggiunge che diversi
indicatori confermano la persistenza dei
problemi dell'Italia in termini di corruzione ad alto livello, conflitti
d'interessi, legami con la criminalità organizzata e corruzione nel settore
privato. La Commissione evidenzia che il
sistema attuale ostacola considerevolmente la repressione della corruzione,
non da ultimo perché incentiva tattiche
dilatorie da parte degli avvocati e rileva che «un disegno di legge che
introduce una sospensione dei termini di prescrizione per tutti i procedimenti
penali e una proroga speciale per i reati di corruzione è all'esame del
Parlamento da due anni. Anche se la proposta non mette fine ai termini di
prescrizione dopo una condanna di primo grado (come suggerito dal Gruppo di
Stati del Consiglio d'Europa contro la corruzione), si ritiene che questo sia
un passo nella giusta direzione».
Il PNR
prevede l’approvazione, entro il
prossimo mese di giugno, del disegno di legge di riforma del processo penale, nel quale è confluito anche in disegno
di legge di riforma dell’istituto della
prescrizione.
È
dunque prevista l’approvazione entro giugno del progetto di legge C. 4368, che apporta rilevanti
modifiche all’ordinamento penale, sia sostanziale sia processuale, nonché
all’ordinamento penitenziario.
Il
provvedimento è stato approvato dal
Senato il 15 marzo 2017 ed è il frutto della unificazione in un unico testo, oltre che di una pluralità
di disegni di legge di iniziativa di senatori, di tre progetti di legge già
approvati dalla Camera[104].
Sul
piano del diritto sostanziale, oltre all'introduzione di una nuova causa
di estinzione dei reati perseguibili a querela, a seguito di condotte
riparatorie, il disegno di legge interviene sulla disciplina di alcuni reati,
in particolare contro il patrimonio, inasprendone il quadro sanzionatorio.
Particolarmente
significativa è poi la modifica alla disciplina
della prescrizione, originariamente contenuta nel disegno di legge A.S.
1844 (già approvato dalla Camera dei deputati) e oggetto di modifiche nel corso
dell’esame al Senato. In particolare, il provvedimento introduce due nuove
ipotesi di sospensione del termine
di prescrizione, che decorrono rispettivamente dal deposito della sentenza di condanna in primo grado e
dal deposito della sentenza di condanna in appello e che si protraggono fino
alla sentenza che definisce il grado successivo, e comunque per un tempo non
superiore in ciascuna interruzione a un
anno e sei mesi.
Ulteriori
modifiche, attraverso un’ampia e dettagliata delega al Governo, sono proposte
con riguardo al regime di procedibilità
di alcuni reati, alla disciplina delle misure di sicurezza, anche attraverso la
rivisitazione del regime del cosiddetto doppio binario, e del casellario giudiziario.
Il
testo contiene poi modifiche di natura
processuale. Si segnalano, in particolare, gli interventi concernenti:
l’incapacità irreversibile dell'imputato di partecipare al processo; la
disciplina delle indagini preliminari e del procedimento di archiviazione; la
disciplina dei riti speciali, dell'udienza preliminare, dell'istruzione
dibattimentale e della struttura della sentenza di merito; la semplificazione
delle impugnazioni e la revisione della disciplina dei procedimenti a distanza.
Da ultimo il disegno di legge conferisce al Governo deleghe per la riforma
del processo penale, in materia di intercettazioni di conversazioni o
comunicazioni – individuando, fra gli altri, anche puntuali criteri
direttivi con riguardo alle operazioni effettuate mediante immissione di
captatori informatici (c.d. Trojan), e per la riforma dell'ordinamento penitenziario
attraverso, fra le altre, la revisione dei presupposti di accesso alle misure
alternative e ai benefici penitenziari, l’incremento del lavoro carcerario, la
previsione di specifici interventi in favore dei detenuti stranieri, delle
donne recluse e delle detenute madri.
Il
provvedimento è attualmente all’esame della Commissione Giustizia in sede referente ed è inserito nel programma dei lavori dell’Assemblea
della Camera per il mese di maggio.
Si
evidenzia che sul fronte della lotta alla corruzione il DEF non prevede specifiche misure di
rafforzamento dei compiti e degli strumenti a disposizione dell’Autorità
nazionale anticorruzione.
Sul
punto, peraltro, la Commissione europea
ha evidenziato che l'Autorità nazionale
anticorruzione dispone di mezzi limitati per esercitare i suoi poteri e il
quadro sulla prevenzione rimane frammentario. I poteri di monitoraggio
dell'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) sono stati estesi, in particolare
per coprire i grandi contratti d'appalto per i quali fanno parte delle
commissioni di appalto controllori scelti in maniera casuale nel pool delle
autorità. Tuttavia, questo non si applica né ai contratti al di sotto delle
soglie UE né a quelli definiti (in modo ambiguo) "non particolarmente
complessi". Agendo tramite i prefetti, inoltre, l'ANAC può anche revocare
i contraenti coinvolti in casi di corruzione o di mafia, mentre gli altri
possono continuare a lavorare in modo da ridurre il più possibile i ritardi
nella procedura di gara. Le autorità hanno il compito, fra l'altro, di
analizzare i piani di prevenzione della corruzione di tutti gli organi
amministrativi e di tutte le imprese statali e di impartire una formazione alle
amministrazioni che non hanno la capacità di elaborare questi piani. A questi
poteri, tuttavia, non corrisponde un
rafforzamento sufficiente delle risorse
umane e finanziarie. Questa carenza si aggiunge all'assenza di una verifica
uniforme e sistematica della situazione patrimoniale e dei conflitti
d'interessi dei dipendenti pubblici e alla natura ancora frammentaria del
quadro sulla protezione dei dipendenti pubblici che segnalano illeciti (c.d. whistleblower).
Per
quanto riguarda i tempi della giustizia
penale, il PNR evidenzia l’esigenza di sfruttare i benefici della
digitalizzazione dando avvio al progetto del Processo Penale Telematico (PPT), attraverso la creazione del
fascicolo penale digitale e la digitalizzazione di tutti gli atti del processo.
Sono, infine, programmati o in corso di realizzazione altri interventi, tra i
quali rientrano un maggior uso degli strumenti di videoconferenza, la
realizzazione del dataware house penale
e l’estensione del processo telematico ai procedimenti per il riconoscimento
dello status di rifugiato e per quelli di convalida del trattenimento.
Sul
punto della gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità
organizzata - dopo l’approvazione della legge di bilancio per il 2017 che ha
previsto l'adozione di una ‘Strategia nazionale per la valorizzazione dei beni
e delle aziende confiscati alla criminalità organizzata’ stanziando 5 milioni
per il 2017 e il 2018 - il PNR prevede nel cronoprogramma l’approvazione, entro
il 2017, del disegno di legge A.S. 1687,
di iniziativa governativa, che introduce rilevanti modifiche ai codici penale e
di procedura penale, al codice civile e ad altri testi normativi per rafforzare
l'azione di contrasto al fenomeno della illecita accumulazione di ricchezza e
di capitali ad opera della criminalità organizzata, anche e soprattutto di
natura mafiosa.
Il
provvedimento è tuttora in corso d’esame in sede referente presso la Commissione giustizia del Senato.
Il PNR
prevede inoltre, sempre entro l’anno, l’approvazione dell’A.S. 2134, già approvato dalla Camera, il quale reca ampie
modifiche al cd. Codice antimafia, intervenendo, fra le altre, anche sulla
disciplina della gestione dei beni sequestrati e confiscati e inserendo gli
indiziati dei reati contro la pubblica amministrazione (dal peculato alla
concussione, alle varie forme di corruzione) tra i soggetti destinatari delle
misure di prevenzione. Anche questo provvedimento è tuttora all’esame della
Commissione giustizia del Senato.
Il PNR
prevede l’attuazione, entro il 2017, della delega introdotta dalla legge n. 149
del 2016 per la riforma del Libro XI del Codice di procedura penale, relativo
alle disposizioni in materia di estradizione per l’estero.
Si
ricorda che nella legge n. 149 del 2016 è confluito il contenuto del disegno di
legge governativo A.C. 2813, recante delega al Governo per la riforma del Libro
XI del codice di procedura penale. In particolare, il provvedimento individua i
principi e criteri direttivi per la riforma del libro XI del codice di rito, in
materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, precisando che
nella riforma il Governo dovrà tenere distinti
i rapporti con le autorità di Stati membri dell'Unione europea da quelli con le
autorità di Stati diversi. In relazione ai primi, infatti, la cooperazione
giudiziaria in materia penale dovrà essere realizzata nel rispetto dei Trattati
e degli atti normativi UE; solo in assenza di disposizioni specifiche, si
potranno applicare le convenzioni internazionali e le norme di diritto
internazionale generale e, in via residuale, le disposizioni del codice di
procedura.
La
delega per la riforma dell'assistenza giudiziaria prevede inoltre principi e
criteri direttivi in tema di: acquisizioni probatorie; risoluzione dei
conflitti quando gli atti da compiere investano le competenze di distretti
giudiziari diversi; presupposti per poter dar corso a richieste di assistenza
giudiziaria; impiego della videoconferenza; squadre investigative comuni;
trasferimento temporaneo di persone detenute a fini investigativi;
estradizione; riconoscimento di sentenze penali straniere e mutuo
riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei rapporti con Stati membri UE.
La delega al Governo per la riforma del
libro XI del codice di procedura penale scade
il 5 agosto 2017.
Sui
temi della cooperazione giudiziaria
penale si ricorda inoltre che è stato presentato al Parlamento lo schema di
decreto legislativo A.G. n. 405, di
recepimento della direttiva 2014/41/UE relativa all'ordine europeo di indagine penale. Tale disciplina è volta a
regolamentare un unico strumento denominato "ordine europeo
d'indagine" (OEI) che garantisca l'acquisizione delle prove da uno Stato
all'altro nell'ambito dei procedimenti penali transfrontalieri, attraverso un
rapporto diretto tra le diverse autorità giudiziarie, al fine di superare la
frammentarietà e la complessità dell'attuale quadro giuridico, prevalentemente
basato su rogatorie internazionali.
La
Relazione della Commissione europea
afferma che «Sebbene si osservi qualche
miglioramento per quanto riguarda l'efficacia del sistema giudiziario, la
durata dei procedimenti costituisce tuttora un serio problema. […] Negli ultimi
cinque anni, sono state attuate alcune riforme che hanno contribuito a ridurre
il numero delle cause pendenti in primo e secondo grado, ma l'arretrato si è ulteriormente accresciuto
presso la Corte di Cassazione (del 4% dal 2014). […] la tendenza
discendente osservata per quanto riguarda le cause pendenti si traduce solo
lentamente in una diminuzione dei tempi di esaurimento anche in primo grado.
[…] La durata media dei processi civili e commerciali nei tribunali di grado
più elevato desta ancora preoccupazione ed è addirittura in aumento. […] Il
fatto che manchino attualmente 1.439 giudici su 9.921 e che vi sia una carenza di personale amministrativo
(fino al 30% in alcuni tribunali) incide sulla capacità del sistema giudiziario
di risolvere nei tempi un gran numero di cause in entrata. Se si ovviasse a
tale carenza, migliorando al tempo stesso la formazione e le strutture ed
estendendo ulteriormente l'informatizzazione dei procedimenti, si potrebbe
contribuire a rafforzare l'efficienza.».
In
merito, il DEF sottolinea i
risultati positivi conseguiti dal Governo in termini di riduzione delle iscrizioni a ruolo e delle pendenze.
«Nel
2016, le cause civili pendenti sono diminuite del 3,8% rispetto al 2015. Fatta
eccezione per la Cassazione, si è registrata anche una significativa riduzione
dei procedimenti civili a rischio ‘Legge Pinto’ […] cioè quelle pendenze civili
non risolte entro i termini previsti dalla legge e per le quali i soggetti
interessati potrebbero richiedere allo Stato un risarcimento per irragionevole
durata. […] La riduzione generalizzata delle iscrizioni e delle pendenze ha
determinato anche una contrazione dei
tempi medi di definizione dei contenziosi di primo grado, scesi a 981
giorni, mentre per i procedimenti di tutto il settore civile del Tribunale la
durata media è stata, nel 2016, pari a 375 giorni».
In base
al PNR risultati positivi in termini di efficienza della giustizia civile sono
attesi dall’approvazione del disegno di
legge di riforma del processo civile, già approvato dalla Camera e in corso
di esame al Senato (S. 2284). In
base al cronoprogramma, la riforma
dovrebbe essere approvata entro il 2017.
Il
disegno di legge, approvato dalla Camera
nel marzo 2016 e tuttora all’esame in sede referente della Commissione
giustizia del Senato, si caratterizza per:
§ la specializzazione dell'offerta di giustizia.
E’ previsto l'ampliamento delle competenze del tribunale delle imprese e,
conseguentemente, una rideterminazione delle dotazioni organiche, nonché la
soppressione del tribunale per i minorenni con la contestuale delega al Governo
per l’istituzione delle sezioni
specializzate presso i tribunali e le corti d'appello, cui devolvere le
controversie relative alla persona, alla famiglia e ai minori;
§ l'accelerazione dei tempi del processo
civile. Il disegno di legge delega prevede l'estensione del rito sommario di cognizione in primo grado, la
riforma del procedimento per dichiarare l'inammissibilità dell'appello,
l'affermazione in ogni fase del principio di sinteticità degli atti. In sintesi, il Governo dovrà riformare il
processo civile di primo grado valorizzando l'istituto della proposta di
conciliazione del giudice; ridurre il numero di controversie per le quali il
tribunale giudica in composizione collegiale; riformare il giudizio di appello consentendo,
tra l'altro, che a decidere dell'appello ossa essere un giudice monocratico, a
fronte di materie dalla ridotta complessità giuridica o contenuta rilevanza
economica; riformare il giudizio di cassazione, eliminando il c.d. filtro in
Cassazione, per sostituirlo con un'udienza in camera di consiglio; riformare le
procedure di esecuzione forzata, in particolare ridefinendo il ruolo
dell'ufficiale giudiziario; ridurre e semplificare i procedimenti speciali, in
particolare potenziando l'istituto dell'arbitrato; modificare la disciplina
sulla condanna alle spese per lite temeraria;
§ l'adeguamento
della procedura civile al processo
telematico.
Nella
direzione di una specializzazione del giudice civile e di una accelerazione
delle decisioni vanno anche le misure introdotte dal recente decreto-legge n. 13 del 2017 (già
convertito in legge dal Parlamento), volte a definire sempre più celermente i
ricorsi giurisdizionali per il riconoscimento
della protezione internazionale, attraverso l’istituzione di apposite sezioni specializzate presso i tribunali
distrettuali. Il giudizio è deciso con rito camerale in primo grado e non è
ammesso appello né altra forma di reclamo, ma esclusivamente ricorso per
Cassazione.
Per
quanto riguarda il personale, tanto
di magistratura quanto amministrativo, la cui carenza, come evidenziato dalla
Commissione europea, incide sulla capacità del sistema giudiziario di risolvere
nei tempi un gran numero di cause in entrata, il Governo ricorda nel PNR le
misure già approvate e volte a favorire l’assunzione di nuovi magistrati e al
rafforzamento dei tirocini formativi, ma anche al reclutamento di personale
amministrativo, mediante l’assunzione di 1000 unità di personale non
dirigenziale. E’ stato, inoltre, previsto che il Ministero della Giustizia, nel
triennio 2016-2018, sia altresì autorizzato a procedere alle assunzioni del
personale non dirigenziale dell’amministrazione giudiziaria non reclutato con
le procedure di mobilità già previste dai precedenti procedimenti legislativi.
Il
Governo evidenzia che l’adozione di misure efficaci di reclutamento ha consentito «nel triennio 2014-2017 di arrivare
all’assunzione di 1.729 unità, mentre dallo svolgimento delle procedure
concorsuali già avviate per l’accesso di nuove professionalità dall’esterno, si
arriverà a ridurre la carenza di copertura degli organici del personale
amministrativo dal 21,44% attuale al 19,23%».
Ulteriori
misure di razionalizzazione delle risorse sono previste dal Governo con l’attuazione della legge delega n. 57 del
2016 per la riforma della magistratura
onoraria, prevista entro il
prossimo mese di maggio 2017.
Entro
il 14 maggio 2017 il
Governo è delegato a disciplinare un'unica figura di giudice onorario, inserito
in un solo ufficio giudiziario, nonché la figura del magistrato requirente
onorario, inserito nell'ufficio della procura della Repubblica.
Sostanzialmente, per favorire la creazione di uno statuto unico dei magistrati onorari si prevede che i giudici
onorari di tribunale (GOT) confluiscano nell'ufficio del giudice di pace; viene
così superata la distinzione tra i due magistrati onorari giudicanti, che
assumeranno la denominazione "giudici onorari di pace" (GOP). E'
fatta salva la possibilità di un loro diverso impiego all'interno del
tribunale. In relazione ai Vice Procuratori Onorari (VPO), si prevede il loro
inserimento in una specifica articolazione presso le Procure della Repubblica
("ufficio dei vice procuratori onorari") presso i tribunali ordinari.
Alla
data del 13 aprile 2017 non sono stati trasmessi al Parlamento gli schemi di
decreto legislativo.
Il PNR
afferma che «È in attesa di esame da parte del Consiglio dei Ministri lo schema
del secondo decreto legislativo contenente la disciplina a regime della magistratura
onoraria. In esso vengono delineate le categorie dei magistrati onorari,
distinte tra i ‘giudici onorari di pace’, addetti all’ufficio onorario del
giudice di pace e i ‘vice procuratori onorari’, addetti all’ufficio dei vice
procuratori onorari, in corso di istituzione. È previsto che l’incarico di
magistrato onorario abbia natura esclusivamente funzionale ed inderogabilmente
temporanea e debba svolgersi in modo da assicurare la piena compatibilità con
lo svolgimento di altre attività remunerative».
Nell’ambito
della tassazione, della revisione della
spesa e della lotta alla evasione, il PNR inserisce come azione strategica
la riduzione delle controversie tributarie.
Come
evidenziato anche dal Presidente della
Corte di cassazione, nella relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario
2017, il recupero di efficienza della Sezione Tributaria e ogni iniziativa di rilancio della Corte di Cassazione, al pari di
ogni politica di abbattimento dell’arretrato, non potrà prescindere dall’adozione di provvedimenti che affrontino
alla radice il problema della lievitazione del contenzioso tributario di
legittimità. Occorre che il legislatore appresti un piano straordinario di
abbattimento dell’arretrato, imperniato sulla costituzione di una sezione
Tributaria-bis, col simmetrico aumento di organico dei magistrati e del
personale.
Nel PNR
il Governo afferma che nel 2016 le controversie tributarie pendenti si sono
ridotte di circa il 12% rispetto al 2015, attestandosi per la prima volta sotto
la soglia delle 500 mila unità. Il trend positivo, iniziato già dal 2012, ha
consentito nel quadriennio 2013-2016 di ridurre le pendenze di circa il 26%.
Per
ottenere ulteriori progressi il Governo intende, nel 2017, procedere all’estensione del processo tributario
telematico su tutto il territorio nazionale. Attraverso il portale dedicato
dovrà essere possibile effettuare il deposito telematico degli atti e dei
documenti processuali già notificati alla controparte e tutti i soggetti
coinvolti dovranno poter consultare on-line il fascicolo processuale.
L’obiettivo
di riduzione delle controversie tributarie pendenti dovrà essere raggiunto tra
il 2017 e il 2018.
Si
sottolinea che il Governo non esplicita nel PNR come intenda realizzare la
riforma degli organi della giurisdizione tributaria e si ricorda che, a
differenza di quanto previsto per il processo civile, il legislatore non ha
stabilito l’obbligatorietà del processo tributario telematico.
Nell’ambito
delle politiche relative a banche e
credito, il Governo inserisce l’azione strategica volta alla riforma delle
procedure d’insolvenza.
Come è
noto, infatti, la crisi economica degli ultimi anni ha determinato numerosi
interventi del legislatore sulle procedure concorsuali, con la finalità di
sostenere i tentativi delle aziende in difficoltà di rimanere operative sul
mercato, evitando il fallimento.
In
questa ottica, la Camera ha approvato, il 1° febbraio 2017, un disegno di legge
che delega il Governo a operare
un'ampia riforma della disciplina delle crisi di impresa e dell'insolvenza (A.S. 2681) del quale il PNR prevede l’approvazione entro il 2017.
I principali profili innovativi del disegno
di legge approvato dalla Camera, che delega il Governo a riformare entro 12
mesi le procedure concorsuali, sono i seguenti:
§ nel
generale quadro di favore e incentivazione degli strumenti di composizione
stragiudiziale della crisi, viene introdotta una fase preventiva di "allerta", finalizzata all'emersione
precoce della crisi d'impresa e a una sua risoluzione assistita; lo strumento
potrà essere attivato volontariamente dal debitore, allertato da creditori
pubblici, e porterà - in caso di mancata collaborazione del debitore - a una
dichiarazione pubblica di crisi;
§ la
semplificazione delle regole processuali in caso di sbocco giudiziario della
crisi. È prevista, in particolare, l'unicità
della procedura destinata all'esame di tutte le situazioni di crisi e di
insolvenza; dopo una prima fase comune, la procedura potrà, seconda i diversi
casi, evolvere nella procedura conservativa o in quella liquidatoria;
§ la revisione della disciplina dei privilegi
– ritenuta ormai obsoleta – e la previsione di un sistema di garanzie mobiliari
non possessorie;
§ l'individuazione
del tribunale competente in relazione alle dimensioni e tipologia delle
procedure concorsuali; in particolare, le procedure di maggiori dimensioni sono
assegnate al tribunale delle imprese (a livello di distretto di corte
d'appello);
§ l'eliminazione della procedura fallimentare
e la sua sostituzione con quella di
liquidazione giudiziale; tale strumento vede, in particolare, il curatore
come dominus della procedura e, come possibile sbocco (in caso di afflusso di
nuove risorse), anche un concordato di natura liquidatoria; dovrà essere data
priorità alla trattazione delle proposte che assicurino la continuità
aziendale, considerando la liquidazione giudiziale come extrema
ratio;
§ una rivisitazione, sulla base delle prassi
verificate e delle criticità emerse, della normativa sul concordato preventivo (concordato in continuità di impresa e
concordato di natura liquidatoria);
§ la
previsione di una esdebitazione di diritto (non
dichiarata, quindi, dal giudice) per le insolvenze di minori dimensioni;
§ le
modifiche alla normativa sulle crisi da sovraindebitamento,
sia per coordinarla con la riforma in essere che per tenere conto
dell'esperienza successiva alla introduzione dell'istituto, previsto dalla
legge n. 3 del 2012;
§ la
specifica disciplina di crisi e insolvenza dei gruppi di imprese.
Si
ricorda che è tuttora in corso di esame alla Camera il disegno di legge A.C.
3671-ter, che delega il Governo a riformare la disciplina in materia di amministrazione straordinaria delle grandi
imprese in stato di insolvenza. Il disegno di legge è frutto dello stralcio
del complessivo disegno di legge del Governo (A.C. 3671), di riforma delle
procedure di insolvenza, ed è in corso d’esame in Commissione Attività
produttive.
Nella
sezione I del Documento di economia e finanze, programma di stabilità, il Governo dà conto di una serie di
iniziative intraprese nel corso del 2016 nel settore della difesa e della
sicurezza con specifico riferimento alle misure volte a rafforzare la sicurezza
nazionale in considerazione degli avvenimenti internazionali relativi ai gravi
fatti di terrorismo. In particolare, si è provveduto all’ammodernamento delle
dotazioni strumentali in uso alle forze del comparto sicurezza e del comparto
difesa; al potenziamento della capacità di sorveglianza, anche nelle sedi
estere; allo sviluppo della cyber security, e all’incremento del trattamento
economico del personale appartenente ai comparti delle forze dell’ordine e
della difesa.[105]
Sempre con riferimento alle iniziative
intraprese nel corso del 2016 in questa parte del documento si ricorda la
proroga, nel corso del 2016, della partecipazione italiana alle missioni
internazionali di pace (D.L. n. 112 del 2016).
Sulla
scia delle iniziative assunte nel 2016 per rafforzare la sicurezza nazionale,
la legge di bilancio per il 2017 ha disposto fino al 31 dicembre 2017 e
limitatamente a 7.050 unità l'operatività del piano di impiego, concernente
l’utilizzo di un contingente di personale militare appartenente alle Forze
armate per il controllo del territorio in concorso e congiuntamente alle Forze
di polizia. Ha, inoltre, previsto uno stanziamento di 70 milioni di euro per il
2017 e di 180 milioni per il periodo 2018-2030 per l’acquisto e
l’ammodernamento dei mezzi strumentali in uso alle Forze di polizia e al Corpo
nazionale dei Vigili del fuoco. Specifiche risorse sono destinate - nell’ambito
di quelle stanziate per il Fondo del pubblico impiego dall’articolo 52 - per
assunzioni a tempo indeterminato (per il 2017 e dal 2018, in aggiunta alle
facoltà assunzionali previste a legislazione vigente)
presso le amministrazioni dello Stato, inclusi i Corpi di polizia e il Corpo
nazionale dei vigili del fuoco. Tabella
41. Misure per la sicurezza (Difesa).
Inoltre,
specifiche risorse sono state stanziate per l’adozione dei provvedimenti
concernenti il riordino dei ruoli delle forze armate e di polizia (cfr.infra).
Tabella
42. Misure per la sicurezza
(importi in milioni di euro)
Misure per la sicurezza |
2016 |
2016 Pre-consuntivo |
Fondo per il potenziamento degli interventi
e delle dotazioni strumentali in materia di cyber security (art.1, comma 965, LS 2016) |
150,0 |
145,0 |
Fondo per ammodernamento dotazioni
strumentali e attrezzature comparti sicurezza e difesa (art.1, comma 967, LS 2016 |
50,0 |
68,7 |
Rinnovo e adeguamento della dotazione dei
giubbotti antiproiettile della Polizia di Stato (art.1, comma 968, LS 2016) |
10,0 |
10,0 |
Fondo per interventi straordinari per la
difesa e la sicurezza pubblica[106] |
245,0 |
182,0 112,0 |
Investimenti volti ad accrescere il livello
di sicurezza delle sedi istituzionali (art.1, comma 971, LS 2016) |
15,0 |
25,1 |
Misure degli 80 euro forze dell’ordine |
510,5 |
471,5[107] 23,9[108] |
TOTALE IN % del PIL |
980,5 0,059 |
1.038,3 0,062 |
Fonte:
DEF 2017.
Per quanto concerne, invece, le misure di finanza pubblica relative al 2017-2019,
nella sezione III del Documento di economia e finanze, Programma nazionale di riforma, il Governo indica le nuove risorse
destinate al rifinanziamento delle missioni
internazionali.
Si
ricorda che lo scorso 16 gennaio il Governo ha trasmesso alle Camere la
deliberazione del Consiglio dei ministri del 14 gennaio 2017, concernente la
partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali ed alle iniziative di
cooperazione allo sviluppo per il sostegno dei processi di pace e di
stabilizzazione, relativamente all’anno 2017.
Si tratta della prima deliberazione in materia
di autorizzazione e proroga delle missioni internazionali assunta dal Governo
ai sensi della recente legge n. 145 del 2016 sulle missioni internazionali.
Alla
delibera sono allegate 49 schede tecniche che costituiscono parte integrante
del provvedimento trasmesso alle Camere.
Con le
risoluzioni 6/00290 e 6/00292 di identico contenuto dell'8 marzo 2017 la Camera
ha approvato le autorizzazioni e le proroghe delle missioni internazionali
deliberate dal Consiglio dei ministri il 14 gennaio 2017, confermando sia gli
importi che il numero di personale impegnato.
Per
quanto concerne, poi, il profilo finanziario connesso alla partecipazione del
personale civile e militare alle missioni internazionali, l’articolo 4 della
legge n. 145 del 2016 ha previsto l'istituzione, nello stato di previsione del
Ministero dell’economia e delle finanze, di un apposito Fondo, destinato al
finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali , la
cui dotazione è stabilita annualmente dalla legge di bilancio, ovvero da
appostiti provvedimenti legislativi (comma 1). Attualmente nello stato di
previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, programma 5.8, cap.
3006/1 - Fondo per le missioni internazionali, ex articolo 4, comma 1 della
legge n. 145 del 2016 -, sono appostati per il 2017 fondi pari a 997 milioni di
euro". Le risorse del Fondo sono ripartite tra le missioni in corso con
uno o più D.P.C.M., adottati su proposta dei Ministri degli Affari esteri e
della cooperazione internazionale, della Difesa, dell'Interno e dell'Economia e
delle finanze. Gli schemi di tali atti corredati di relazione tecnica
esplicativa, sono trasmessi alle Commissioni competenti per materia che devono
rendere il parere entro 20 giorni dalla relativa assegnazione.
il
Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette
nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali
modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e
motivazione. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia e per
i profili finanziari sono espressi entro il termine di dieci giorni dalla data
della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono essere
comunque adottati.
Il Programma nazionale di riforma (Sez.
III del DEF) fa, altresì, riferimento sia all’attuazione, entro l’anno 2017,
delle iniziative previste dal Libro bianco per la sicurezza internazionale e la
difesa 2015, sia all’approvazione delle misure di riordino delle forze armate e delle forze di polizia, sia, da ultimo, alla necessità di un
potenziamento delle misure di sicurezza cibernetica da parte delle pubbliche
amministrazioni.
Il
"Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa" presentato
dalla Ministra della Difesa Pinotti alle Commissioni riunite III e IV della
Camera e del Senato nel corso della seduta del 14 maggio 2015 e previamente
illustrato al Consiglio supremo di difesa, delinea gli obiettivi
per la sicurezza internazionale e la difesa volti a orientare
l'azione del Dicastero nel prossimo futuro e favorire l'integrazione delle
risorse potenzialmente esprimibili da tutti gli attori istituzionali. Tali obiettivi
vengono sintetizzati nel fine ultimo volto ad assicurare una
Nazione più sicura, una regione euro-atlantica più sicura; una regione
euro-mediterranea più sicura; un sistema globale più stabile e più sicuro.
In
relazione al Documento in esame si ricorda che è attualmente all’esame della
Commissione difesa del Senato il disegno di legge n. 2728, di iniziativa
governativa, recante la “riorganizzazione dei vertici del Ministero
della difesa e delle relative strutture. Deleghe al Governo per la revisione del
modello operativo delle Forze armate, per la rimodulazione del modello
professionale e in materia di personale delle Forze armate, nonché per la
riorganizzazione del sistema della formazione”.
Per quanto concerne il riordino delle forze armate
e forze di polizia si
ricorda che sono all’esame del Parlamento due schemi di decreto legislativo
vertenti su tale materia.
In
particolare, lo schema di decreto n. 395, adottato in attuazione dell’articolo
8, comma 1, lettera a), della legge n. 124 del 2015, di
riorganizzazione della pubblica amministrazione, è volto alla razionalizzazione e il potenziamento
dell'efficacia delle funzioni di polizia, anche in funzione di una migliore
cooperazione sul territorio, al fine di evitare
sovrapposizioni di competenze e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali.
A sua
volta lo schema di decreto legislativo n. 396, adottato dal Governo in
attuazione della delega legislativa conferitagli dal decreto-legge n. 185
del 2015, è volto a realizzare l'equiordinazione tra
Forze armate e Forze di polizia.
La legge di bilancio per il 2017 (art. 1,
comma 365 della legge 11 dicembre 2016, n. 232.) ha previsto la destinazione di
parte delle risorse del Fondo del
pubblico impiego all'incremento - dal 2017 - del finanziamento previsto a legislazione vigente per dare attuazione alle previsioni (della legge delega n. 124 del
2015) sulla revisione della
disciplina in materia di reclutamento, stato giuridico e progressione in
carriera del personale delle forze di polizia e di ottimizzazione
dell'efficacia delle funzioni del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nonché
(ai sensi della legge n. 244 del 2012) per il riordino dei ruoli del personale
delle Forze di polizia e delle Forze armate.
La dotazione
complessiva del Fondo del pubblico impiego – destinata altresì alla
copertura degli oneri aggiuntivi per la contrattazione collettiva 2016-2018 ed
a "miglioramenti economici" del personale dipendente dalle
amministrazioni statali in regime di diritto pubblico - è pari a 1,48 miliardi per il 2017 e a 1,93 miliardi
a decorrere dal 2018 (in base a quanto previsto dall'articolo 52, comma 2).
Con D.P.C.M. 27/02/2017, si è provveduto alla
ripartizione delle risorse del Fondo di cui all'articolo 1, comma 365, della
legge 11 dicembre 2016, n. 232.
Sul fronte della sicurezza cibernetica, il Governo prevede una serie di misure di
carattere organizzativo e finanziario, volte a garantire maggiore affidabilità
al sistema nazionale di sicurezza cibernetica nella convinzione che il
rafforzamento del dominio digitale rappresenti un importante volano di crescita
del sistema economico del Paese, incidendo, positivamente sulla propensione ad
investire degli operatori economici, con particolare riferimento al commercio
internazionale.
Tra le misure di prossima attuazione si
prevede, in particolare, la revisione sostanziale e complessiva del ‘piano
nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica’, documento
adottato dal Governo nel dicembre del 2013 unitamente al “Piano nazionale per
la protezione cibernetica e la sicurezza informatica”. In linea con quanto
previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 gennaio
2013, recante gli “Indirizzi per la protezione cibernetica e la sicurezza
informatica nazionale”, il Piano nazionale per la protezione cibernetica e la
sicurezza informatica rappresenta il documento operativo di breve periodo
(2014-2015) nel quale vengono individuate le priorità, gli obiettivi specifici
e le linee d’azione per dare concreta attuazione a quanto descritto nel Quadro
Strategico
A tal
fine il Piano individua i seguenti undici indirizzi operativi:
§ Potenziamento
delle capacità di intelligence, di polizia e di difesa civile e militare;
§ potenziamento
dell’organizzazione e delle modalità di coordinamento e di interazione a
livello nazionale tra soggetti pubblici e privati;
§ promozione
e diffusione della cultura della sicurezza informatica. Formazione e
addestramento;
§ cooperazione
internazionale ed esercitazioni;
§ operatività
del CERT nazionale, del CERT-PA e dei CERT dicasteriali;
§ interventi
legislativi e compliance con obblighi internazionali;
§ compliance a standard
e protocolli di sicurezza;
§ supporto
allo sviluppo industriale e tecnologico;
§ comunicazione
strategica;
§ risorse;
§ implementazione
di un sistema di Information Risk Management nazionale.
Il CERT nazionale è una struttura
individuata dall’articolo 16 - bis
del D.Lgs. n. 259 del 2003, recante il Codice delle
Comunicazioni elettroniche. Si tratta di una struttura destinata a potenziare i meccanismi di risposta agli incidenti
informatici e gli strumenti di rilevazione e contrasto alle minacce. Il
CERT nazionale ha avviato le sue attività a partire dal 5 giugno 2014. Il CERT
nazionale opera a supporto di Cittadini ed Imprese con l’obiettivo di
incrementare la consapevolezza e la cultura della sicurezza nell’utilizzo di
servizi on line, fornendo
informazioni tempestive su potenziali minacce informatiche, raccomandazioni e
consigli utili per la prevenzione, contromisure per la risoluzione di incidenti
informatici con impatto significativo (www.certnazionale.it). Per assicurare un’azione efficace, il CERT
opera sulla base di un modello cooperativo pubblico-privato. Il CERT nazionale
ha avviato, infatti, la collaborazione con importanti imprese che gestiscono
infrastrutture informatizzate. Sulla base di tale collaborazione è stato
istituito un Tavolo tecnico permanente
per garantire un confronto costante tra i principali attori coinvolti e quindi
migliorare e velocizzare le azioni di risposta ad eventuali incidenti
informatici. il CERT nazionale ha avviato una stretta collaborazione con il CERT-PA (CERT delle Pubbliche
Amministrazioni che opera all’interno dell’Agenzia per l’Italia Digitale), CERT Difesa e CNAIPIC (Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione
delle infrastrutture critiche che opera nell’ambito del Servizio di polizia
postale e delle comunicazioni). In ambito internazionale, il CERT nazionale ha
già avviato forme di dialogo con CERT
europei, extra-europei e con il CERT EU (CERT dell’Unione Europea
sostenuto dall’Agenzia europea per la sicurezza ENISA).
In
relazione al tema della sicurezza e difesa nello spazio cibernetico è in corso
di svolgimento un’indagine conoscitiva da parte della Commissione difesa della
Camera.
Gli
obiettivi programmatici e le misure adottate o in corso in materia di
infrastrutture e trasporti sono riportati in una specifica sezione del PNR e
nell’allegato al DEF recante gli obiettivi e le strategie della politica
infrastrutturale, che verranno trattati congiuntamente di seguito.
Le strategie infrastrutturali sono delineate
nell’allegato al Documento di economia e finanza denominato “Connettere
l’Italia: fabbisogni e progetti di infrastrutture” (d’ora in avanti allegato).
Il
“superamento” della cd. “legge obiettivo” (legge n. 443 del 2001), previsto
nella lettera sss) della legge delega
n. 11 del 2016 e successivamente nel Codice dei contratti pubblici di cui al
decreto legislativo n. 50 del 2016, si è tradotto, da un lato, nell’abrogazione
della citata legge del 2001 e della normativa speciale con cui sono state
programmate, progettate e realizzate le infrastrutture strategiche nel corso
degli anni e, dall’altro, nell’introduzione della disciplina riguardante le
infrastrutture prioritarie per lo sviluppo del Paese (parte V del D.Lgs. 50/2016, che comprende gli articoli 200-203).
Si
tratta di un allegato differente da quello presentato nell’ambito della
programmazione della “legge obiettivo”: l’articolo 10, comma 8, della legge n.
196 del 2009 (legge di contabilità e finanza pubblica), tuttora vigente e non modificato, prevede, infatti, la
presentazione – in allegato al DEF - dell’aggiornamento del Programma delle
infrastrutture strategiche (PIS) di cui alla legge n. 443/2001 (cd. “legge
obiettivo”) e dello stato di avanzamento relativo all'anno precedente (cd.
Allegato infrastrutture). Considerato che
la norma fa riferimento a una legge abrogata, potrebbe essere opportuno un
intervento normativo volto a sopprimere la predetta disposizione ovvero a
coordinarla con la nuova disciplina prevista dal decreto legislativo n. 50 del
2016, tenuto conto peraltro che l’articolo 201, comma 4, di tale decreto
prevede che il Documento pluriennale di pianificazione (DPP) è “redatto ai
sensi dell’articolo 10, comma 8, della legge 31 dicembre 2009, n. 196”.
È lo
stesso allegato a precisare che il Ministero delle infrastrutture (MIT) ha
inteso, a partire dal 2016, il proprio allegato al DEF come il momento di
sintesi annuale, consuntivo e programmatorio del processo di riforma in atto e
che, pertanto, in continuità con il documento dell’anno scorso, anticipa le linee di indirizzo strategico
per l’individuazione dei fabbisogni infrastrutturali al 2030, che
costituiranno parte integrante del primo DPP (che è uno degli strumenti sui
quali si baserà la nuova programmazione) e sulla base delle quali saranno
individuate le priorità, coerentemente con il quadro strategico delineato in Connettere l’Italia. In tale documento sono confluite le
strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica enucleate
nell’allegato al DEF 2016.
Le
linee strategiche, sulla scorta di quanto indicato nell’allegato al DEF 2016,
si prefiggono quattro obiettivi, di seguito citati testualmente :
1) la
realizzazione di infrastrutture utili,
snelle e condivise, attraverso una pianificazione nazionale unitaria, la
programmazione e il monitoraggio degli interventi, nonché il miglioramento
della qualità della progettazione;
2) lo sviluppo urbano sostenibile, attraverso
la cd. “cura del ferro”, l’accessibilità alle aree urbane e metropolitane, la
qualità e l’efficienza del trasporto pubblico locale, la sostenibilità del
trasporto urbano, le tecnologie per città intelligenti e le politiche abitative
nazionali;
3) la valorizzazione del patrimonio esistente, attraverso
la programmazione degli interventi di manutenzione, il miglioramento dei
livelli di servizio e della sicurezza delle infrastrutture, l’efficientamento e il potenziamento tecnologico, l’incentivo
allo sviluppo di sistemi intelligenti di trasporto (ITS) e l’efficienza del
trasporto aereo;
4) l’integrazione modale e l’intermodalità, attraverso l’accessibilità ai nodi e
l’interconnessione alle reti, il riequilibrio della domanda verso mobilità
sostenibili, la promozione dell’intermodalità.
Dei
citati obiettivi e dei relativi interventi adottati e in corso si parlerà nel
prosieguo.
Al fine
di perseguire gli obiettivi di maggiore efficienza degli investimenti pubblici
e attenzione alla fattibilità economico-finanziaria delle opere, il PNR
enuclea, inoltre, le azioni da attivare
nel periodo 2017-2020 finalizzate a:
§
definire un percorso di accompagnamento degli enti locali, per assicurare la
piena e tempestiva applicabilità delle nuove regole del Codice dei contratti
pubblici (ad. es. predisposizione di una modulistica standard);
§
risolvere
alcune criticità legate alle centrali uniche di committenza, attraverso il coinvolgimento del MIT e
dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC);
§
definire una struttura chiara di PPP-partenariato pubblico privato e rafforzare
tale strumento;
§
investire risorse
aggiuntive da destinare alla progettazione definitiva ed esecutiva delle
opere.
La
necessità di talune azioni precedentemente indicate è stata segnalata nei
pareri delle competenti Commissioni parlamentari sullo schema di decreto
legislativo correttivo del Codice dei contratti pubblici (v. infra).
La
riforma della disciplina degli appalti pubblici e delle concessioni, contenuta
nel D.Lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici,
d’ora in avanti “Codice”), ha rappresentato l’intervento più rilevante nell’ambito
delle politiche infrastrutturali in quanto volta a modificare in modo
sostanziale e complessivo la normativa sui contratti pubblici. Specifiche
disposizioni riguardano, inoltre, il partenariato
pubblico-privato (PPP) e l’introduzione di procedure di dibattito pubblico (articolo 22 del D.Lgs. 50/2016) per le grandi opere infrastrutturali aventi
impatto rilevante sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio.
L’adozione
della predetta disciplina rientra tra le misure
in risposta alla raccomandazione n. 5 del 2016, laddove richiede di
intervenire ulteriormente per aumentare la concorrenza nell’aggiudicazione
delle concessioni.
L’allegato,
oltre a dare conto dei provvedimenti attuativi adottati dopo l’entrata in vigore
del Codice, fa presente che sono in corso le procedure di elaborazione ed
approvazione di altri decreti attuativi, in particolare quello sulla riforma
dei livelli di progettazione (art. 23) e sulla trasparenza nella partecipazione
di portatori di interessi e sul dibattito pubblico (art. 22).
È,
inoltre, in corso di approvazione definitiva lo schema di decreto legislativo
recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 18 aprile
2016, n. 50 (Atto del Governo n. 397) sul quale si sono espressi, come prescritto
dalla legge delega, il Consiglio di Stato, la Conferenza unificata e le competenti Commissioni parlamentari
della Camera e del Senato. L’VIII Commissione (ambiente) della Camera e l’8a Commissione (lavori pubblici) del
Senato hanno espresso un articolato parere di identico contenuto.
Il PNR
prevede che, entro il 2017, sia perfezionato l’impianto normativo
relativo agli appalti, attraverso l’operatività del predetto decreto
legislativo correttivo e l’approvazione delle linee guida e dei provvedimenti
predisposti dall’ANAC.
La
disciplina delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari, introdotta
dalla nuova normativa sui contratti pubblici, si basa sull’adozione di due
strumenti di pianificazione e programmazione:
§ il piano generale dei trasporti e della logistica
(PGTL), che contiene le linee strategiche delle politiche della mobilità
delle persone e delle merci nonché dello sviluppo infrastrutturale del Paese;
§ il documento pluriennale di pianificazione
(DPP), che contiene l'elenco degli interventi relativi al settore dei
trasporti e della logistica la cui progettazione di fattibilità è valutata
meritevole di finanziamento, da realizzarsi in coerenza con il piano generale
dei trasporti e della logistica.
La
nuova programmazione è volta a ricondurre in una logica unitaria i piani e i programmi di competenza del Ministero
delle infrastrutture e trasporti e a ricondurre alla disciplina ordinaria la
pianificazione e la realizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture
prioritari, ai fini dell’espresso superamento della cd. “legge obiettivo”.
L’allegato
precisa che, nelle more dell’adozione del PGTL, il primo DPP conterrà anche le linee strategiche e di indirizzo del
settore dei trasporti e delle infrastrutture, rappresentando al contempo,
da una parte, il momento in cui le strategie si tradurranno nella visione di un
sistema integrato di infrastrutture dei trasporti (SNIT) verso cui tendere
nell’orizzonte temporale del 2030, e, dall’altra, il primo momento di sintesi e
rivisitazione della lunga lista di progetti infrastrutturali, tra cui anche
quelli rientranti nel PIS.
Si
ricorda, in proposito, che lo schema di decreto legislativo correttivo
trasmesso al Parlamento interviene, tra l’altro, sui contenuti del primo DPP
allo scopo di prevedere che, nelle more dell’approvazione del PGTL, il primo
DPP contiene le linee strategiche e gli indirizzi per il settore dei trasporti
e delle infrastrutture, nonché un elenco degli interventi del primo DPP ad essi
coerente (articolo 201, comma 7, del D.Lgs. 50/2016).
Lo stesso correttivo interviene, inoltre, sulla disciplina concernente
l’approvazione del primo DPP, al fine di prevedere che l’elenco delle
infrastrutture e degli insediamenti prioritari venga elaborato in deroga alle
modalità di cui al comma 5 del citato articolo 201, concernente la trasmissione
delle proposte di interventi da parte degli enti territoriali e degli altri
enti competenti al Ministero.
L’articolo
201, comma 9, del Codice, inoltre, non modificato dal correttivo, precisa che,
fino all’approvazione del primo DPP, valgono come programmazione degli
investimenti in materia di trasporti i piani, comunque denominati, già
approvati secondo le procedure vigenti alla data di entrata in vigore del
Codice o in relazione ai quali sussiste un impegno assunto con i competenti
organi dell’Unione europea. Merita, altresì ricordare che, in sede di prima
individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari, il
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti effettua una ricognizione di
tutti gli interventi già compresi negli strumenti di pianificazione e
programmazione, comunque denominati, vigenti alla data di entrata in vigore del
codice. La ricognizione deve, in ogni caso, comprendere gli interventi per i
quali vi sono obbligazioni giuridiche vincolanti (OGV), ossia gli interventi in
relazione ai quali sia già intervenuta l’approvazione del contratto all'esito
della procedura di affidamento della realizzazione dell'opera, nonché quelli
che costituiscono oggetto di accordi internazionali sottoscritti dall'Italia.
L’allegato
indica i criteri per l’individuazione del nuovo sistema nazionale integrato dei
trasporti (SNIT) che, alla luce della pianificazione infrastrutturale
nell’ambito delle reti europee TEN-T e delle nuove infrastrutture realizzate
dal 2001, è stato sottoposto ad aggiornamento al 2017. Il sistema si articola
su due livelli basati rispettivamente sulla rete del 2001 integrata dalle reti
TEN (1° livello) e dalle restanti infrastrutture (2° livello).
Ai fini
della prima individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti
prioritari, l’allegato fornisce alcune linee di indirizzo strategico e un’analisi dei fabbisogni infrastrutturali al
2030, che saranno contenuti nell’ambito del primo DPP di cui si prevede
l’adozione entro un anno dalla data di entrata in vigore del nuovo Codice.
L’allegato
precisa che le metodologie per la definizione dei fabbisogni sono coerenti con
quanto stabilito nelle Linee guida per
la valutazione degli investimenti in opere pubbliche del MIT, di cui il
CIPE ha preso atto nella seduta del 1° dicembre 2016.
L’esito
dell’analisi dei fabbisogni, che si basa su un sistema di infrastrutture
lineari e puntuali definite di 1° livello, è rappresentato dall’individuazione
di programmi di interventi, che contribuiscono al perseguimento degli obiettivi
strategici, ed interventi, ossia singole opere classificabili come interventi
di nuova realizzazione, interventi di completamento, nuova realizzazione,
ampliamento e potenziamento di infrastrutture esistenti.
Nelle
appendici 1 e 2 dell’allegato sono elencati i programmi di interventi e
gli interventi prioritari suddivisi per le varie tipologie (ferrovie,
strade e autostrade, città metropolitane, porti e interporti, aeroporti, ciclovie) con l’indicazione dei relativi strumenti di
programmazione (concessioni, contratti di programma ANAS e RFI, programma
operativo del MIT), della necessità del progetto di fattibilità ovvero della
sottoposizione del progetto alla sua revisione (project
review).
Si
segnala che, nell’ambito dei predetti interventi e programmi prioritari, sono
incluse:
§ le
opere prioritarie elencate nell’Allegato al DEF 2015;
§ talune
opere presenti nell’11° Allegato del Programma delle infrastrutture
strategiche, approvato con delibera del CIPE 26/2014. In tale gruppo di opere,
sono incluse, tra l’altro, l’autostrada A31 Val d'Astico, l’autostrada A33 Asti
Cuneo, l’autostrada regionale Cispadana, il collegamento
Civitavecchia-Orte-Ravenna, l’itinerario Civitavecchia –Livorno, il Corridoio
Tirrenico Meridionale Autostrada Regionale Tor de Cenci – Latina, nonché – per
quanto riguarda le ferrovie – il potenziamento delle linee di accesso al
Brennero (lotto 1), la tratta Andora-Finale Ligure e la Gronda merci di Torino;
Per una analisi dei costi delle opere incluse
nel Programma delle infrastrutture strategiche richiamati nell’allegato, si
rinvia al report del Servizio Studi della Camera “Le infrastrutture strategiche – Lo stato di
attuazione del Programma al 31 dicembre 2016”, pubblicato nel mese di marzo 2017, in cui
sono contenuti i dati delle venticinque opere prioritarie dell’Allegato al DEF
2015 e delle opere non prioritarie inserite nel citato 11° Allegato
infrastrutture, in quanto rappresenta l’ultimo documento sul quale si è
perfezionato l’iter di approvazione in conformità di quanto previsto
dall’abrogata disciplina sulla programmazione delle infrastrutture strategiche
I dati relativi alle singole opere sono consultabili attraverso il sistema SILOS
(Sistema informativo legge opere strategiche);
§ ulteriori
programmi e interventi (ad. es. ciclovie).
a project review o di
cui deve essere sviluppato il progetto di fattibilità al fine di verificare
varie opzioni.
Nell’allegato
si segnala che il completamento degli interventi indicati richiede un
fabbisogno di risorse economiche aggiuntive, che potrà essere assicurato da diverse fonti di finanziamento, tra le
quali il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), il Fondo da ripartire per
la realizzazione delle infrastrutture prioritarie (previsto dall’articolo 202,
comma 3, del Codice), il Fondo da ripartire per assicurare il finanziamento
degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese (istituito
dall’articolo 1, comma 140, della legge di bilancio 2017), nonché le risorse
regionali e private. Per quanto riguarda, invece, la progettazione di
fattibilità delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo
sviluppo del Paese, nonché la project review di alcune infrastrutture solo parzialmente
finanziate, l’allegato precisa che, per il Fondo per la progettazione,
istituito dall’art. 202, comma 1, lettera a)
del Codice, sono richiesti 860 milioni € per il periodo 2017-2032, al fine di
migliorare la capacità di programmazione e riprogrammazione della spesa anche
per la progettazione delle infrastrutture di preminente interesse nazionale.
L'allegato
precisa che il completamento degli interventi invarianti richiede un fabbisogno
di risorse economiche aggiuntive rispetto alla quota parte già finanziata pari
a circa 35 miliardi di euro.
Il PNR
prevede che, nel periodo 2017-2020, siano attivate misure di prevenzione sismica del patrimonio edilizio
abitativo e produttivo. In tale ambito, rilevano il progetto Casa Italia e
l’applicazione delle detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazione ai
fini del miglioramento o dell’adeguamento antisismico (cd. sisma bonus), che è
stato disciplinato nei commi 2 e 3 dell’articolo 1 della legge di bilancio
2017. Al fine di rendere pienamente operativo tale strumento, è stato
pubblicato nel sito internet del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
il decreto ministeriale del 28 febbraio 2017, recante le linee guida per la
classificazione del rischio sismico delle costruzioni
Nell’ambito
degli interventi destinati alle aree urbane, il PNR include, tra le misure
adottate nel 2016, quelle riguardanti il Programma
straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle
periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia, (istituito dai commi 974-978 della legge di stabilità 2016) e, tra quelle in avanzamento da adottare
entro il mese di maggio 2017, l’adozione dei D.P.C.M. di ripartizione del Fondo per il finanziamento degli investimenti e lo
sviluppo infrastrutturale del Paese (istituito dal comma 140 della legge
di bilancio per il 2017). Il cronoprogramma allegato al PNR precisa che con
tale decreto si prevede l’assegnazione di 800 milioni di euro per il
completamento del Programma straordinario.
Nel
cronoprogramma si fa, altresì, genericamente riferimento all’adozione di
ulteriori misure per il miglioramento della qualità urbana, da adottare nel
periodo 2017-2020 nell’ambito del Programma di recupero per l’edilizia
residenziale pubblica.
Con
riferimento all’attuazione dell’Agenda digitale che, come riportato nel Programma
nazionale di riforma ha un orizzonte quinquennale (2015-2020) definito, nel
marzo 2015, dalla Strategia italiana per la banda ultralarga
e dalla Strategia italiana per la crescita digitale, il DEF 2017 dà conto dei
principali interventi programmati in tale ambito.
Per
quanto riguarda lo stato di attuazione della strategia, nell’appendice C al
Programma nazionale di riforma, in particolare si fa riferimento alla
pubblicazione dei due bandi per la realizzazione della rete nelle aree bianche,
ossia a fallimento di mercato, raggruppate nei cluster C e D.
In particolare il 3 giugno2016 è stato
pubblicato sulla G.U. 5
Serie Speciale il primo bando per la realizzazione della
rete in fibra riguardante sei regioni: Abruzzo, Molise, Emilia Romagna,
Lombardia, Toscana e Veneto, con le quali sono stati siglati specifici accordi
di programma e relative convenzioni operative per l'utilizzo, insieme con il
Fondo Sviluppo e Coesione nazionale, dei fondi strutturali FESR e FEASR. I
fondi pubblici saranno 1,4 miliardi, suddivisi in più di un miliardo di fondi
statali (FSC) e 352 milioni di fondi strutturali a livello regionale.
Il secondo bando di gara, suddiviso in sei
lotti funzionali concerne le regioni Piemonte, Valle D'Aosta, Liguria, Friuli
Venezia Giulia, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Basilicata, Sicilia e la
provincia autonoma di Trento. L'importo complessivo messo a gara è di euro
1.254.989.312 e il termine per la presentazione delle domande è fissato al 30
settembre 2016.
Si
ricorda che, come presupposto dei due sopra ricordati bandi, nella seduta della
Conferenza Stato-regioni dell'11 febbraio 2016 è stato siglato l'Accordo
quadro, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281
e della Delibera CIPE 6 agosto 2015, n.65 tra il Governo, le Regioni e le
province autonome di Trento e Bolzano per lo sviluppo della banda ultra larga
sul territorio nazionale verso gli obiettivi EU 2020.
Il
modello di realizzazione degli interventi scelto prevede che Infratel spa, società in
house del Mise, agisca in qualità di soggetto
attuatore degli interventi previsti dall'accordo attraverso un intervento
diretto, cioè con la costruzione di una rete che rimarrà pubblica
(Stato-Regioni) e che coprirà 7.300 comuni in tutto il territorio nazionale.
Nel
documento si dà anche notizia di ulteriori attività concernenti l’attuazione
dell’agenda digitale. In particolare si fa riferimento alla digitalizzazione
della pubblica amministrazione che, secondo quanto indicato nel documento, ha
registrato nel corso del 2016 un sostanziale avanzamento. Attraverso l’Agenzia
per l’Italia Digitale, Il Governo ha portato avanti azioni di indirizzo,
supporto e monitoraggio con il principale obiettivo di definire il modello di
riferimento per lo sviluppo di sistemi informativi, volto a generare uniformità
di comportamento delle Pubbliche Amministrazioni nell’adesione e
implementazione delle nuove tecnologie.
Nel
2017 e il 2018 le azioni del Governo saranno dirette allo sviluppo dei
componenti del sistema operando sull’implementazione delle direttrici di azione
già elaborate negli anni precedenti (sviluppo del sistema pubblico per
l’identità digitale, proseguimento della migrazione dei dati ai fini della
costituzione dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente, sviluppo
dell’e-procurement,
semplificazione amministrativa, utilizzo di standard e software aperti, ecc.).
Anche nel documento di quest’anno si fa riferimento al nuovo codice
dell’amministrazione digitale più snello e flessibile, per lo scambio dei dati
tra amministrazioni e procedimenti amministrativi.
Uno
specifico stanziamento relativo all’attuazione dell’Agenda digitale è stato
infine realizzato nell’ambito dell’attuazione del Piano nazionale di ricerca.
Sono stati infatti stanziati 30 milioni di euro per il sostegno ai grandi
progetti di ricerca e sviluppo nel settore ICT.
Alcuni
degli interventi più significativi di riforma posti in essere nell’anno 2016
nel settore dei trasporti sono ricondotti dal DEF (appendice C al piano
nazionale di riforma “sintesi delle misure di risposta alle CSR 2016”) alle
misure dirette all’aumento della concorrenza (Raccomandazione 5).
Si
tratta in particolare della riforma del sistema portuale, degli interventi di
attuazione del Piano nazionale della banda ultralarga,
degli interventi sul sistema ferroviario (cura del ferro) nonché delle misure
adottate per favorire lo sviluppo e l’ammodernamento del trasporto pubblico
locale.
Tra gli
ulteriori interventi descritti nel DEF si fa riferimento allo schema di decreto
legislativo che intende razionalizzare i processi di gestione dei dati di
circolazione e di proprietà degli autoveicoli, mediante la previsione del
rilascio di un documento unico, che sostituisce i due documenti attualmente
presenti.
Tale
schema è attualmente all’esame delle Commissioni parlamentari competenti, che
dovranno esprimere il proprio parere entro il 29 aprile 2017.
Nell’apposito
allegato sono invece delineate, in
continuità con quanto indicato nel precedente documento allegato al Documento
di economia e finanza 2016 e denominato “Strategie per le infrastrutture di
trasporto e logistica”, le strategie
concernenti le diverse modalità di trasporto.
Come
nell’allegato al DEF 2016, anche nel documento in commento si ribadisce
l’obiettivo centrale di garantire
l’accessibilità ai principali nodi del sistema nazionale (con specifico
riferimento alle aree urbane e metropolitane, ma anche alle aree industriali e
ai centri culturali e turistici) per poi connettersi, tramite questi, ai
corridoi europei, rilanciando sostanzialmente il ruolo strategico dei nodi
rispetto ai quali maggiore si è dimostrato il gap rispetto alle grandi aree
urbane europee. Di qui l’attenzione allo sviluppo della mobilità sostenibile, considerata in tutti i suo aspetti costitutivi (ambientale,
sociale, economica), e realizzata attraverso sistemi rapidi di trasporto
di massa (tram e metropolitane), mobilità ciclopedonale e mobilità condivisa (car sharing, bike sharing,
ecc.).
Si
conferma inoltre la nuova strategia delle politiche infrastrutturali che
riconosce l’importanza della garanzia
dei livelli minimi di accessibilità anche nelle aree più periferiche,
obiettivo che si va ad aggiungere al collegamento con il Mediterraneo e con le
reti TEN-T.
È
inoltre ribadito l’obiettivo del riequilibro modale a favore di modalità di
trasporto sostenibili, ferroviarie e marittime e la riduzione delle quote
modali di mobilità su gomma, che verrà perseguito mediante l'incentivazione di
misure ad hoc mirate all'incremento dell'offerta e della qualità dei servizi.
Nell’allegato si conferma, come già
segnalato anche nell’allegato al DEF 2016, il forte ritardo accumulato dall’Italia nello sviluppo delle reti di
trasporto collettivo, urbane e metropolitane. Nonostante i costi sostenuti,
principalmente in attuazione della legge n. 211 del 1992, che ha assicurato,
anche attraverso successivi rifinanziamenti, ingenti risorse pubbliche per la
realizzazione di infrastrutture per il trasporto rapido di massa (tranvie e
metropolitane innanzi tutto, ma anche ferrovie urbane) il gap con i principali centri urbani europei non si è ridotto. Il Documento segnala le criticità connesse
all’attuazione della citata legge, formulando rilievi non difformi da quelli
presenti nella Relazione della Corte
dei conti concernente lo stato di realizzazione dei sistemi di trasporto rapido
di massa a guida vincolata e di tranvie veloci nelle aree urbane (l. 26 febbraio 1992, n. 211) pervenuta al
Parlamento il 5 aprile 2017.
I
principali elementi di criticità rilevati sono i seguenti: carenza di
programmazione nel settore del trasporto pubblico locale, carenza di competenze
specifiche negli enti locali per la gestione di grandi infrastrutture,
progettazioni non approfondite e coordinate, inattendibilità delle fonti di
cofinanziamento (in molti casi la copertura finanziaria è stata oggetto di
rimodulazioni il che ha portato forti criticità in fase l’affidamento dei
lavori), difficoltà di reperimento risorse per l’esercizio dell’infrastruttura.
Anche
il parco mezzi risulta più vecchio
rispetto alla media dei Paesi europei (es. l'età media degli autobus italiani è
di 11,4 anni contro i 8,3 in Europa) elemento che contribuisce a determinare il
maggior uso dell'autovettura in Italia rispetto alle altre realtà europee (il
dato è pari al 64% nelle 14 città più grandi italiane contro il 43% della media
europea nelle città con oltre 250.000 abitanti).
Il
documento analizza poi l’offerta di mobilità
del trasporto rapido di massa per le 14 Città metropolitane, che comprende le
metropolitane, le tramvie e il servizio
ferroviario metropolitano: di quest’ultimo sono dotate oggi Torino, Milano,
Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Catania. Il Governo considera strategici i Servizi Ferroviari Metropolitani per la
generalità delle città metropolitane, anche in quanto rappresentano, insieme ai
servizi regionali, il complemento necessario per aggregare livelli di domanda
adeguata sui servizi AVR (alta velocità di rete) nelle diverse parti del paese.
Il Servizio
Ferroviario Metropolitano (SFM) opera soprattutto nelle aree metropolitane
(e non solo aree urbane come la metropolitana), condivide le infrastrutture con
il Servizio Ferroviario Regionale, ma ha caratteristiche più simili al servizio
metropolitano (come ad esempio la distanza tra le diverse fermate, la
frequenza, l’omogeneità, ecc). Con il proseguimento
della costruzione della rete AV e AVR (alta velocità di rete), anche altre
città metropolitane come ad esempio Genova, Venezia e Bari dovranno potenziare
ed investire sullo sviluppo dell’attuale servizio ferroviario, realizzando un
SFM. Le esperienze estere (Germania, Svizzera, Austria e diverse città
francofone) evidenziano che questi sistemi costituiscono spesso una risposta
molto efficace alle esigenze di mobilità delle grandi aree metropolitane, con
costi relativamente ridotti, in quanto sono in grado di valorizzare il
patrimonio infrastrutturale esistente, con integrazioni talora impegnative (ad
esempio i Passanti urbani) ma di estensione ridotta.
Nell’allegato
sono delineate le strategie di intervento volte ad incidere fortemente sulla
situazione. Si tratta in particolare del Piano
Metro e della Strategia per il rinnovo dei mezzi destinati al trasporto
pubblico locale.
Il Piano Metro per le aree metropolitane
prevede gli interventi prioritari necessari al completamento di alcune infrastrutture di trasporto ferroviario urbano,
sia metropolitano che tramviario:
completamento di linee avviate, nuovi itinerari, miglioramento dei servizi e
dei mezzi. In particolare viene citato l’avvio di un progetto per migliorare l’integrazione tra le reti
esistenti su ferro e tra queste e quelle su gomma, con l’obiettivo quindi
di creare un sistema di trasporto collettivo nelle città metropolitane che
integri le reti ferroviarie di competenza di RFI e regionali con le
metropolitane e con il trasporto su gomma interurbano.
Il
Piano prevede 21 interventi, da
finanziare sulla base dei criteri di priorità nell’ambito dei piani della
mobilità urbana sostenibile, con una
dotazione finanziaria di 1,218 miliardi di €. Esso integra gli interventi
previsti da diversi strumenti di programmazione che fanno capo al MIT: i
Contratti di Programma ferroviari e stradali, il PON infrastrutture e reti
2014-2020, i “Patti per il Sud” sottoscritti dal Governo con Presidenti di
Regione e i Sindaci.
La Strategia nazionale per il rinnovo del
materiale rotabile per il trasporto pubblico locale prevede il rinnovo straordinario del parco mezzi
(autobus, treni, ecc.), che consenta una riduzione significativa dell’anzianità
media per raggiungere la media europea. Tale intervento è ricordato tra quelli
necessari al conseguimento del target di riduzione del 13% dei gas serra
previsto dall’appendice 4 al Piano nazionale delle riforme.
Si
prevede che complessivamente, nel quadriennio 2017-2020 entreranno in
circolazione 210 nuovi treni, e circa 10.000 autobus sostituiranno il parco
mezzi obsoleto. A tal fine sono previsti i seguenti finanziamenti:
§ 350
milioni di euro per gli anni 2015 e 2016 ripartiti tra le regioni ed altri 150 disponibili
per il triennio 2017-2019;
§ 640
milioni di euro aggiuntivi stanziati dalla legge di stabilità per il 2016 che
ha istituito il Fondo per l’acquisto, la riqualificazione elettrica, il
noleggio dei mezzi del trasporto pubblico locale e regionale ;
§ La
legge di Bilancio 2017 ha incrementato la dotazione del Fondo di 200 milioni di
Euro per l’anno 2019 e di 250 milioni di euro per ciascun anno dal 2020 al
2033;
§ 2
milioni di euro per l’anno 2017 e 50 milioni di euro per ciascuno degli anni
2018 e 2019 per aumentare la competitività delle imprese produttrici di beni e
servizi nella filiera dei mezzi di trasporto pubblico su gomma e dei sistemi
intelligenti per il trasporto;
§ 800
milioni di euro per il rinnovo del materiale rotabile ferroviario regionale e interregionale
e 200 milioni di euro per il rinnovo del parco autobus TPL, previsti dal Piano
Operativo MIT approvato dal CIPE il 1° dicembre 2016, a valere sulle risorse
del Fondo Sviluppo e Coesione (11,5 miliardi di euro complessivi);
§ Le
risorse già definite dal PON Metro nelle città metropolitane e nelle regioni
del Sud.
Si
prevede la sperimentazione di modalità centralizzate di acquisto dei mezzi e la
costituzione di una società specializzata nel settore del materiale ferroviario
regionale, con il coinvolgimento di capitali privati per la realizzazione degli
investimenti. Nel PNR del DEF 2017 si specifica che è in via di definizione, e
riguarderà nove lotti del valore di 255 milioni di euro, la procedura Consip per l’acquisto centralizzato di 1.600 nuovi autobus
a livello nazionale.
Sempre
con riferimento alla materia del trasporto pubblico locale deve essere rilevato
come il DEF e l’appendice C al piano nazionale di riforma (sintesi delle misure
di risposta alle CSR 2016) diano conto del fatto che lo schema di decreto
legislativo avente ad oggetto la riforma dei servizi pubblici locali, approvato
in via definitiva dal Consiglio dei ministri a fine novembre 2016, che
conteneva molteplici norme concernenti la materia del trasporto pubblico locale
e che innovava profondamente, soprattutto (ma non esclusivamente) le procedure
di affidamento di tale servizio pubblico, a seguito della pronuncia di
illegittimità costituzionale n. 251/2016, non è stato emanato. Il Governo
riferisce che le norme ivi contenute saranno recuperate “attraverso veicolo
normativo apposito”.
Il PNR
del DEF 2017 cita “la cura del ferro” tra le attività in fase di
realizzazione. Questa comprende, tra l’altro, il contratto di programma con RFI
per il potenziamento e alla velocizzazione delle infrastrutture ferroviarie
esistenti, la manutenzione e la messa in sicurezza della rete ANAS, lo sviluppo
dei fast corridor ed il contributo Ferrobonus per il trasporto ferroviario intermodale.
Per quanto riguarda poi le strategie nel trasporto ferroviario l’allegato prevede le seguenti:
§
Completamento dei valichi alpini e raccordo
con porti e rete AV-AVR;
§
Estensione della rete Alta Velocità di Rete
(AVR);
§
Adeguamento delle maglie dei collegamenti intercittà per l’accessibilità territoriale;
§
Corridoi merci per collegamenti di distretti,
porti, valichi;
§ Sviluppo
sistemi regionali e metropolitani (eliminazione colli di bottiglia).
Nello SNIT
di primo livello, che comprende le direttrici ferroviarie di interesse
nazionale (48 tratte per circa 8.800 km, pari al 44% della rete ferroviaria
nazionale) sono individuati tre obiettivi:
§
la diffusione a rete dei servizi ferroviari
ad alta velocità, in modo da ampliarne la connettività a livello nazionale;
§
l’integrazione di questi servizi con
il trasporto regionale, destinato a svolgere un ruolo primario anche a
supporto della mobilità metropolitana;
§ il
potenziamento delle connessioni merci
con i porti e gli inland
terminal, con progressiva estensione dei servizi di maggiore qualità e
produttività ai principali comparti industriali dell’Italia peninsulare.
L’Italia può contare un elevato numero di
terminali terrestri (interporti, terminali intermodali, piattaforme logistiche,
raccordi industriali) che si aggiungono ai terminali ferroviari portuali. Di
questi, 15 appartengono alla rete core TEN-T, classificati come RRT (Rail Road Terminal), e 13 sono interporti. il sistema
interportuale italiano non è costituito da un insieme di infrastrutture
omogenee per dotazione infrastrutturale e volumi di traffico serviti: accanto a
numerosi nodi di dimensioni contenute e con traffici ferroviari minimi, si
trovano alcune eccellenze a livello europeo come l’Interporto Quadrante Europa
di Verona, che “con oltre 50 treni al giorno di media rappresenta uno dei
grandi gateway intermodali collocati nel nord del paese a servizio dei traffici
internazionali”.
Gli
obiettivi prestazionali per lo SNIT di primo livello si concentrano su tre programmi di adeguamento: in primo
luogo sullo sviluppo tecnologico delle reti
ferroviarie per aumentarne prestazioni e capacità: realizzazione di sistemi
per il controllo della marcia del treno (SCMT), di segnalamento e tecnologie
rivolte all’interoperabilità delle reti (ERTMS), nonché all’aggiornamento dei
sistemi di telecomunicazione e GSM-R.
Vi è
poi un secondo programma di interventi in materia di sicurezza e ambiente, che mira sia a garantire la sicurezza in galleria, che a mitigare
gli impatti ambientali attraverso
interventi di risanamento acustico. Il programma include anche le soppressioni dei passaggi a livello e
le misure di sicurezza sotto il profilo
sismico ed idrogeologico.
Vi è
infine la valorizzazione turistica delle
ferrovie minori in funzione della fruizione paesaggistica e
dell’accessibilità ai siti di maggior interesse turistico ricettivo.
Il
programma strategico per lo sviluppo della rete ferroviaria include anche un
insieme di interventi su singole direttrici e su reti regionali, che costituiscono lo SNIT di secondo
livello.
Con
riferimento alla sicurezza delle reti ferroviarie regionali, considerata una
priorità assoluta, dall’allegato è previsto uno specifico Piano Nazionale, cui
sono state assegnate risorse per 300 milioni di euro. Tale Piano si rende
necessario a seguito del trasferimento
all’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie (ANSF) del controllo
della sicurezza delle reti ferroviarie regionali non isolate (o
“interconnesse”), in modo da assicurare anche per tali reti criteri tecnologici
di sicurezza, omogenei sull’intero territorio nazionale, ovvero in mancanza di
tali dispositivi, di misure gestionali.
I dati del trasporto ferroviario
Per
quanto riguarda il traffico passeggeri,
l’allegato evidenzia che il sistema ferroviario nazionale ha trasportato oltre
52 miliardi di passeggeri-km nel 2015, con un incremento del 5,3% rispetto
al 1990, e di +8,1% rispetto al 2000.
Il traffico ferroviario di medio-lungo raggio è diminuito dal 2000 al 2010 di
oltre il 20%, sia per la concorrenza dei voli lowcost che per la riduzione
degli intercity, nonostante il raddoppio del traffico sull’alta velocità. Questa
tendenza si è invertita per la negli ultimi 5 anni per la riduzione delle
tariffe derivante dalla liberalizzazione del settore dell’Alta Velocità, il cui
traffico è cresciuto del 57%, determinando un incremento del 16% sull’insieme
del traffico ferroviario di lunga percorrenza. Nei principali Paesi europei
peraltro, i tassi di crescita sono più rilevanti, talora superiori al 50% nel
corso dell’intero periodo.
Il
traffico ferroviario regionale il 2000 ed il 2010 ha registrato una crescita
del 20%, seguita però negli ultimi cinque anni da un rallentamento (+6%).
Elementi di maggiore criticità emergono nel trasporto
ferroviario delle merci che, con 20,8 miliardi di tonnellate-km trasportati
nel 2015 dall’insieme delle imprese ferroviarie, vede un decremento del
2,1% rispetto al 1990, e del 17,1% rispetto al 2000, anche in
relazione alla crisi economica 2008-2009.
Anche se in altri Paesi UE gli effetti sono stati
riassorbiti più velocemente e la Germania registra un +40% di traffici dal
2000, a partire dal 2009 si è verificata in Italia una graduale ripresa,
principalmente per la crescita delle nuove imprese ferroviarie non facenti
parte del Gruppo FSI, che sono entrate nel settore e la cui quota di mercato è
passata, tra il 2006 ed il 2011,dal 5% al 34%.
Si ricorda che il 19 dicembre 2016 la
Commissione Europea ha approvato gli incentivi
per il trasporto ferroviario merci, previsti dalla legge di Stabilità 2016.
Il regime di sostegno del trasporto ferroviario delle merci (rif. UE: SA.45482), mira a stimolare lo spostamento del
traffico merci dalla strada alla rotaia in Italia tramite la concessione di
sussidi per gli operatori del trasporto ferroviario, in particolare nell'Italia
meridionale; il regime è aperto a tutte le compagnie ferroviarie che operano
nel mercato italiano del trasporto merci. Ha una dotazione di 255 milioni di
euro (triennio 2016-2018).
Il PNR
del DEF 2017 cita “la cura del ferro e dell’acqua” tra le attività in
fase di realizzazione che mirano ad
incentivare modalità di trasporto sostenibili attraverso il ricorso al
trasporto ferroviario e marittimo per i traffici su scala nazionale ed
internazionale. Si cita sia il contributo Ferrobonus per il trasporto
ferroviario intermodale che il fondo Marebonus nell’ambito del completamento in corso del Piano
della Portualità e della logistica previsto entro il 2017.
Si ricorda che il Ferrobonus
(rif. UE: SA. 44627) approvato a novembre 2016 dalla
Commissione europea, è un incentivo per l'uso del trasporto intermodale e del
trasporto trasbordato da e verso nodi logistici ed interporti italiani,
attraverso un incentivo rivolto alle imprese committenti di servizi ferroviari
ed agli operatori multimodali ferroviari. La Legge di Stabilità 2016 ha
stanziato risorse pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni del
triennio 2016-2018.
Il 19 dicembre 2016 la Commissione Europea ha
poi approvato a sostegno del trasporto merci il Marebonus
(rif. UE: SA. 44628) previsto dalla legge di
Stabilità 2016, che prevede un incentivo ai trasportatori marittimi per l'avvio
di nuovi servizi marittimi o per migliorare i collegamenti marittimi esistenti
in arrivo e in partenza da porti situati in Italia, parametrato alla strada
evitata in territorio nazionale relativamente a progetti per migliorare la
catena intermodale e decongestionare la rete viaria. Ha una dotazione di 138,4
milioni di euro per le annualità 2016/2018: 45,4 milioni nel 2016, 44,1 milioni
nel 2017 e 48,9 nel 2018.
Anche
le strategie concernenti il trasporto
aereo sono descritte nell’allegato. Nell’ambito del documento si rileva da
un lato il sostanziale allineamento del traffico italiano passeggeri rispetto a
quello europeo, dall’altro la storica debolezza nel trasporto merci, che
risulta tuttavia in crescita rispetto all’anno scorso in termini superiori alla
media europea. Quanto alle criticità il documento rileva, per quanto riguarda l’air side, che le problematiche principali sono collegate alla congestione
degli aeroporti principali e alla dimensione crescente degli aeromobili. Per
quanto riguarda il land side la questione di maggior rilievo è
relativa alla realizzazione di efficienti collegamenti ferroviari diretti con
l’aeroporto.
Nel
documento si provvede inoltre a riconciliare, ai fini della definizione della
rete aeroportuale di primo e secondo livello dello SNIT, quanto previsto dal
Piano nazionale degli aeroporti con la classificazione europea della rete core con riferimento agli aeroporti
nazionali.
Con il piano nazionale degli aeroporti sono
individuati 38 aeroporti di interesse nazionale all’interno di 10 bacini
territoriali e, all’interno di questo novero, 12 aeroporti qualificati di
importanza strategica che sono stati individuati per ciascun bacino
territoriale, con l’eccezione del bacino Centro Nord nel quale ne sono stati
individuati due: l’aeroporto di Bologna ed il sistema aeroportuale Pisa/Firenze
in base alle caratteristiche morfologiche del territorio e ai dati di traffico.
La qualificazione di importanza strategica è stata attribuita considerando in
primo luogo l’inserimento nel core network della rete transeuropea
dei trasporti TEN-T e nel caso di più aeroporti core presenti nello stesso bacino,
privilegiando i gate intercontinentali (che sono nel complesso tre Milano
Malpensa, Roma Fiumicino e Venezia). Nel caso di mancanza di aeroporti core nel
bacino si è scelto l’aeroporto della rete comprehensive della rete transeuropea con maggiori movimenti di traffico.
In
particolare lo SNIT ricomprende i 38 aeroporti di interesse nazionale,
inserendo nel primo livello i 16 aeroporti identificati come core nella rete TEN-T (si tratta degli
aeroporti di: Roma Fiumicino, Milano Malpensa, Bergamo Orio al serio, Milano
Linate, Venezia, Catania, Bologna, Napoli, Palermo, Pisa, Bari, Torino,
Cagliari, Lamezia Terme, Firenze e Genova).
Nell’ambito
degli interventi delineati nello SNIT sono indicati quattro programmi
fondamentali:
§
il programma cargo aereo, per sostenere il
rafforzamento del trasporto aereo merci;
§
lo sviluppo dell’accessibilità su ferro per
agevolare la connessione agli aeroporti di primo livello secondo lo SNIT per il
tramite della rete ferroviaria;
§
interventi per ottimizzare la capacità air side volti a rafforzare, ad
infrastruttura invariata, la capacità dell’aeroporto;
§ interventi
per la realizzazione di nuove piste e per aumentare il livello di sicurezza e
di comfort negli aeroporti.
Con
riferimento al trasporto marittimo dopo l’approvazione del Piano nazionale
della portualità e della logistica, è stato emanato il decreto legislativo n.
169 del 2016, che ha profondamente modificato la legge n. 84 del 1994 e che ha
istituito, al posto delle vecchie autorità portuali, autorità portuali di
sistema in numero minore (15 al posto delle attuali 24). La disposizione ha
altresì previsto modifiche significative sotto il profilo della governance (istituzione del comitato di gestione portuale
connotato da un minor numero di componenti rispetto al precedente comitato
portuale e del tavolo di partenariato della risorsa mare con funzioni
consultive e partecipative) e una semplificazione della procedure. Il Governo
sta completando le procedure di nomina dei nuovi presidenti delle Autorità di
sistema portuale (sono già stati individuati 12 presidenti delle nuove Autorità
di sistema portuale). Nell’allegato si fa esplicito riferimento all’istituzione
presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del Tavolo nazionale di coordinamento delle 15
Autorità di Sistema Portuale presieduto dal Ministro delle Infrastrutture con
compiti di coordinamento della politica portuale nazionale. Si precisa inoltre
che le 15 Autorità di sistema portuale rappresentano i nodi di primo livello
dello SNIT.
Una
delle novità più rilevanti contenuta nell’allegato è rappresentata
dall’inserimento dei percorsi ciclistici nell’ambito delle infrastrutture di
primo livello del nuovo SNIT. Infatti lo SNIT 2001 non comprendeva le ciclovie tra le reti infrastrutturali.
A
livello europeo è stata istituita una rete ciclabile TEN-T denominata Eurovelo che risulta essere composta da 15 itinerari
transnazionali per un’estensione di circa 70.000 km di cui 40.000 già
esistenti. L’Italia è attraversata da tre di questi itinerari.
Il
finanziamento delle reti cicloviarie e delle ciclostazioni è previsto, nell’ambito della legge di
bilancio 2016 e della legge di bilancio 2017. In particolare l'articolo
1, comma 640, della legge n. 208 del 2015 ha previsto un finanziamento per la
progettazione e la realizzazione di un sistema nazionale di ciclovie
turistiche, con priorità per i percorsi Verona-Firenze (Ciclovia
del Sole), Venezia-Torino (Ciclovia VENTO), da
Caposele (AV) a Santa Maria di Leuca (LE) attraverso la Campania, la Basilicata
e la Puglia (Ciclovia dell'acquedotto pugliese) e
Grande raccordo anulare delle biciclette (GRAB di Roma), nonché per la progettazione
e la realizzazione di ciclostazioni e di interventi
concernenti la sicurezza della circolazione ciclistica cittadina. La spesa
autorizzata è stata pari a 17 milioni di euro per l'anno 2016 e a 37 milioni di
euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018. L'articolo
1, comma 144, della legge n. 232 del 2016 ha poi integrato la citata autorizzazione di
spesa autorizzando l'ulteriore spesa di 13 milioni di euro per l'anno 2017, di
30 milioni di euro per l'anno 2018 e di 40 milioni di euro per ciascuno degli
anni dal 2019 al 2024.
Nell’ottica
di favorire la realizzazione di tali reti infrastrutturali, considerate come
strumento per l’accessibilità dei territori nonché come volano per la
diffusione della conoscenza delle bellezze del territorio italiano, nel
documento si dà conto dei diversi interventi già in essere per assicurare un
adeguato sviluppo delle infrastrutture. In primo luogo è ricordato il Decreto
Ministeriale n. 85 del 14 marzo 2017 con cui è stato costituito presso la Direzione Generale per
le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle
infrastrutture stradali un gruppo di lavoro finalizzato a definire gli
standard e i requisiti minimi che le ciclovie
devono possedere su tutto il territorio nazionale. Si ricorda anche la firma
dei protocolli d'intesa tra il MIT e gli altri livelli istituzionali coinvolti
per la progettazione e la realizzazione delle prime ciclovie
turistiche nazionali sopra indicate. Il 13 febbraio 2017 il Ministero, come
ricorda anche il Documento, ha annunciato che anche l'anello ciclabile del
Garda sarebbe entrato nel sistema nazionale delle ciclovie
turistiche.
In
termini di prospettiva il documento dà conto del fatto che sono in fase di
progettazione ulteriori ciclovie (Ciclovia
Sarda; Ciclovia Magna Grecia; Ciclovia
Tirrenica; Ciclovia Adriatica e Ciclovia
Trieste – Venezia).
Si
segnala, in relazione a questo ambito di intervento, che è in fase di avanzata istruttoria
in Commissione Trasporti la proposta di legge Disposizioni per lo sviluppo
della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di
percorribilità ciclistica (A.C. 2305 e abbinate) volta proprio ad istituire una
rete nazionale ciclabile e ad individuare le modalità per lo sviluppo della
stessa.
L’allegato
individua specifici interventi e l’attivazione di programmi organici volti a
risolvere criticità diffuse, che riguardano: la conservazione, la
valorizzazione, l’adeguamento agli standard funzionali e di sicurezza; il
potenziamento tecnologico e la digitalizzazione (Smart Road); il ripristino e la messa in sicurezza delle
infrastrutture a rischio sismico; il decongestionamento di tratte autostradali
e aree metropolitane.
Agli
interventi di manutenzione e adeguamento della rete stradale di 1° livello sono
dedicati specifici stanziamenti nell’ambito del contratto di programma ANAS.
Per
quanto riguarda il ripristino e la messa in sicurezza delle infrastrutture a
rischio sismico, si prevede l’adeguamento delle autostrade A24 e A25 e la messa
in sicurezza delle aree terremotate.
In
linea con le osservazioni formulate a febbraio 2017 dalla Commissione UE nel Country
Report nell’ambito
del ciclo di monitoraggio specifico degli squilibri macroeconomici del nostro
Paese, il Governo dichiara come obiettivo prioritario del Governo e della
politica di bilancio delineata nel DEF quello di innalzare stabilmente la
crescita e l’occupazione, nel rispetto della sostenibilità delle finanze
pubbliche. In tale senso, è intenzione espressa, accanto al rilancio degli
investimenti pubblici, quella di proseguire nell’azione di rafforzamento della
capacità competitiva delle imprese italiane, nel solco degli interventi
disposti negli ultimi tre anni.
Secondo
il PNR, le misure intraprese per sostenere i fattori produttivi (ivi inclusa la
produttività del lavoro nell’ambito del cd. “Jobs Act”)
sono state finalizzate alla crescita dimensionale e all’internazionalizzazione
delle imprese, e ad aprire il Sistema Italia all’attrazione di capitali e
persone dall’estero.
Inoltre,
per il sostegno agli investimenti di famiglie ed imprese, il DEF dichiara di
importanza cruciale il ruolo del sistema bancario, sebbene rilevi come
l’introduzione e la promozione di nuovi canali e strumenti di finanziamento
dovrebbe ridurre la dipendenza degli intermediari finanziari esclusivamente
bancari.
Il
Governo osserva in proposito come il livello degli investimenti nel nostro
Paese risulti ancora troppo basso e le riforme avviate per il loro rilancio –
molte delle quali sono inquadrate nel cd. “Piano Industria 4.0” – vengono indicate
come la chiave del rilancio competitivo del paese nei prossimi anni.
Nel Country
Report di
febbraio 2017, la Commissione UE ha aggiornato l’esame
approfondito condotto nell’ambito del monitoraggio degli squilibri
macroeconomici nei confronti dell’Italia (l’Italia è sottoposta all’esame
approfondito sulla base di quanto previsto nella Relazione 2017 sul meccanismo di allerta presentata a novembre 2016 ex artt. 3 e 4 Reg. (UE) n. 1176/2011
{SWD (2016) 354 final}).
All’origine
degli squilibri macroeconomici dell’Italia e dell’andamento dell’economia
italiana più negativo rispetto a quello della zona euro vi sono, secondo la
Commissione, debolezze di tipo strutturale. Tra queste, la debole crescita della produttività
connessa alle caratteristiche del sistema imprenditoriale nazionale. Esso è
costituito da imprese di piccole e medie dimensioni, che nel contesto
dell’“economia commerciale non finanziaria” generano il 79% di tutti i posti di
lavoro, i cui investimenti in ricerca e sviluppo continuano ad essere
notevolmente inferiori alla media UE e i cui tassi di crescita dimensionale
sono più lenti di quelle dei paesi UE comparabili. Tra i fattori di debolezza
vi sono poi gli oneri e gli adempimenti amministrativi a carico delle
imprese, che rimangono elevati, le
inefficienze del sistema giudiziario
per le imprese, la forte contrazione
che hanno subito i crediti delle
banche alle imprese.
La
Commissione richiama alcuni progressi compiuti
dall’Italia, grazie anche alle riforme in corso, nel perseguimento
dell’obiettivo di aumentare la produttività
e la competitività di costo e non di
costo del Paese, anche attraverso una riduzione
del carico fiscale sui fattori produttivi (lavoro e capitale), il sostegno del credito e gli investimenti innovativi.
Purtuttavia,
rileva come siano necessari ulteriori
progressi per migliorare le prospettive di crescita del Paese. In questo
quadro, la Commissione rileva come nessun
progresso sia stato fatto per ciò che attiene all’adozione della legge annuale della concorrenza 2015
(cfr. infra).
Ostacoli
strutturali agli investimenti, produttività e competitività dell’Italia nel Country Report 2017 della Commissione UE
Il
Rapporto della Commissione rileva che il contesto italiano è più complicato per
svolgere un’attività imprenditoriale rispetto ad economie ad esso comparabili.
La Commissione cita inoltre l’indicatore “Fare impresa” 2016 della Banca
mondiale, che colloca l’Italia al 50° posto su 190 economie e al quart’ultimo
posto nelle economie dell’UE.
Figura
20 - Facilità di fare impresa nel 2017
In particolare, la struttura produttiva del nostro Paese, che secondo la Commissione, non si è sviluppata ed adattata in misura sufficiente alla concorrenza
accresciuta a livello mondiale e all’innovazione tecnologica che hanno
caratterizzato gli ultimi decenni, rimane sbilanciata a favore di industrie a medio e basso contenuto
tecnologico.
Il vantaggio concorrenziale dell’Italia
continua ad essere concentrato in settori tradizionali quali il tessile, le
calzature, il pellame e i prodotti in metallo (per le merci) e il turismo (per
i servizi).
La Commissione rileva, comunque, come alcune
misure per migliorare le prestazioni
del sistema produttivo in termini di
innovazione siano state adottate dal nostro Paese, e cita in proposito il Piano Industria 4.0, presentato a
settembre 2016 e parzialmente attuato
con la Legge di bilancio 2017 (legge n. 232/2016), nell’ambito del quale
rientra anche l’implementazione delle misure
di sostegno alle startup innovative,
la cui legislazione del 2012 ha già registrato risultati positivi. Nell’ambito
del Piano rientra anche il rifinanziamento e l’estensione dell’ambito oggettivo
e temporale (fino al 2018) di operatività della cd. Nuova Sabatini, misura questa che copre parte degli interessi a
carico delle MPMI sui finanziamenti bancari agevolati per gli investimenti in
nuovi macchinari e in nuove attrezzature.
La debole
crescita della produttività totale dei fattori rispetto ai Paesi
comparabili della zona euro è fattore
che contribuisce in larga misura per
l’Italia – secondo la Commissione – ai
tassi di crescita del PIL più bassi
rilevati rispetto al resto della zona
euro.
Figura
21 - Contabilità della crescita dell'Italia per
periodo
Con la debole crescita della produttività è più difficile colmare il divario di
competitività dei prezzi e dei costi nei
confronti dei partner commerciali,
nonostante il mantenimento della moderazione salariale. Il deprezzamento dell’euro, comunque, rileva sempre la Commissione, ha sostenuto la stabilizzazione
dell'andamento delle esportazioni in Italia negli ultimi anni, assieme ai
contenuti aumenti dei prezzi alla produzione e dei costi unitari del lavoro.
Altro elemento di criticità rilevato nel Country
Report è la capacità delle banche di
sostenere gli investimenti e, dunque, il credito al sistema imprenditoriale.
Le banche – attualmente gravate da un consistente
stock di crediti deteriorati a
seguito della crisi prolungata – potrebbero non essere in grado – secondo la
Commissione UE - di sostenere pienamente un’efficiente ripresa creditizia.
In proposito viene evidenziato che il settore
delle imprese non finanziarie rappresenta poco più del 70% dei crediti lordi
(in termini di valore).
In un contesto, come quello italiano, in cui
l’accesso delle imprese ai finanziamenti
dipende ancora in misura eccessiva dai
prestiti alle banche ed i mercati
dei capitali sono poco sviluppati, le condizioni
di credito permangono rigorose,
in particolare per le PMI e per il settore edile, nonostante la significativa
riduzione del costo nominale dei prestiti dovuto alla politica espansiva della
BCE e le misure avviate per ridurre lo stock
di crediti deteriorati.
Le condizioni di finanziamento ancora rigide
sono alcuni dei fattori di ostacolo alla
ripresa degli investimenti, dopo
il netto calo da essi registrato durante la crisi.
Il calo
degli investimenti durante la crisi ha riguardato tutti i settori, ma gli
investimenti produttivi sono diminuiti in misura maggiore che in tutta la zona
euro. Esso inoltre è stato più rapido rispetto alla maggior parte degli Stati
membri. In particolare, nel settore privato, gli investimenti di società non
finanziarie sono scesi dal 10,7% del PIL nel 2007 all’8,6 % nel 2015.
La debolezza della domanda, l’incertezza, le
condizioni di finanziamento ancora rigide ed i ridotti margini di utile dei
fattori frenano, secondo la Commissione un’ampia ripresa degli investimenti e
degli investimenti diretti esteri.
Quali misure di contrasto adottate dall’Italia
avverso la riduzione del credito, la Commissione UE ricorda gli interventi, a
partire dal 2012, finalizzati ad una diversificazione delle fonti finanziamento
e al sostegno ai finanziamenti alle imprese, in particolare, la disciplina
dell’Aiuto alla crescita economica (ACE), i cd. “mini-bond” e il Fondo
centrale di garanzia per le piccole e medie imprese.
Il
Fondo è stato da ultimo rifinanziato (895
milioni di euro per il 2016 + ulteriori 100 milioni derivanti dal PON
“Imprese e competitività”) con il D.L. n. 193/2016.
È
inoltre in corso una procedura di
riforma dei meccanismi di sostegno del Fondo, che in sostanza si prefigge
l’adozione di un modello di valutazione
del merito creditizio delle imprese, che sostituirà l’attuale sistema di credit scoring,
con un meccanismo simile ai modelli di rating
utilizzati dalle banche secondo quanto già avviene dall’articolo 2, comma 6 del
D.L. n. 69/2013, in materia di sostegno del Fondo di garanzia sulle operazioni
agevolate a valere sulla cd. Nuova Sabatini. Inoltre, la Legge di bilancio 2017
(legge n. 232/2016) ha esteso a tutte le piccole e medie imprese l’operatività
della disciplina dei portali online
per la raccolta di capitali, prima riservata alle start-up innovative e alle PMI innovative.
La
Commissione comunque rileva che le carenze strutturali cui si sta gradualmente
ovviando, continuano tuttavia ad essere di ostacolo agli investimenti.
Per ciò
che concerne la competitività del sistema imprese, il “cronoprogramma delle
riforme” (contenuto nell’Appendice A) del PNR 2017 e le “azioni strategiche”
del PNR 2017 non prospettano nuove iniziative riformatrici rispetto a quelle
già avviate o definite e in via di attuazione e completamento, tranne che per
ciò che attiene:
§ all’adozione
della nuova Strategia energetica nazionale (entro il 2017) - con la
presentazione di un nuovo provvedimento in materia energetica - che viene
significativamente inclusa nelle riforme per accrescere la competitività del
sistema;
§ all’efficienza
del processo civile (entro il 2017);
§ alla
approvazione (entro giugno 2017) della legge sulla concorrenza 2015 e alla
presentazione di un nuovo disegno di legge sulla concorrenza 2017 (entro il 2017-2018)
(cfr. infra).
Rispetto
al cronoprogramma contenuto nel DEF 2016 e nella Nota di aggiornamento al DEF
2016, non è più prevista, nel PNR 2017, l’adozione di un Piano ad hoc per il rilancio del
manifatturiero (cd. Piano manifattura Italia), sebbene, comunque, l’obiettivo
di incentivare la manifattura digitale rientri tra le linee direttrici del
Piano Industria 4.0 (cfr. infra).
Per ciò
che concerne le riforme già avviate, il PNR rileva che i vari interventi sulla
struttura dell’economia già deliberati dispiegheranno i loro effetti nel medio
lungo periodo.
In
apposita Tabella, sono fornite indicazioni circa il progresso delle riforme già
adottate, suddivise per aree di policy,
dando a ciascuna di essa una valutazione dell’impatto sulla competitività,
sulla base di un indicatore del livello di progresso definito dal MEF (CRPI Competitiveness Relevance
progress Indicator)[109].
Tabella
43 - Implementazione delle riforme suddivise per
aree di policy
Fonte: PNR 2017
Tabella
44 - Indicatore di rilevanza sulla competitività
per aree di policy
Fonte: PNR 2017
Il PNR
2017 descrive inoltre in dettaglio le azioni intraprese a sostegno della competitività e della crescita, dando indicazione dell’impatto macroeconomico delle stesse
misure nel medio lungo periodo.
Nella valutazione dell’impatto[110] sono incluse le riforme del Governo, varate o
in corso di approvazione (come il disegno di legge annuale sulla concorrenza).
Talune
delle riforme incluse nella valutazione di impatto risultavano già richiamate
nei precedenti documenti programmatori, talaltre sono state invece adottate
recentemente, con Legge di bilancio 2017, e attengono essenzialmente al
pacchetto dei provvedimenti inquadrato nel Piano “Industria 4.0”.
Il DEF
2017 ascrive alle riforme strutturali
complessivamente intese un incremento
del PIL, rispetto allo scenario di base, pari al 2,9% dopo cinque anni e al 4,7% dopo dieci anni dall’introduzione
delle riforme. Nel lungo periodo
l’effetto complessivo stimato sul prodotto è di circa il 9,9%.
Le riforme alle quali sono ascritti i maggiori
effetti sono le misure rientranti nel pacchetto “Industria 4.0”, cui è
ascritto un effetto implementare del PIL pari al +1,2 percento dopo cinque
anni, a +1,9 percento dopo 10 anni e al 4,1
percento nel lungo periodo.
Nell’ambito
di tale pacchetto, sono inclusi:
§ le
misure per gli investimenti innovativi
(+ 0,6 percento del PIL a cinque anni e +1,1
percento a lungo termine) contenuti principalmente nella legge di bilancio
2017 e nel D.L. n. 193/2016. Tra esse, è incluso il potenziamento del credito
di imposta in ricerca e sviluppo, le misure relative all’iperammortamento,
la proroga per un anno del superammortamento, le
misure concernenti il premio di produttività ed il welfare aziendale.
Secondo
il PNR, il peso delle misure considerate è pari all’83 percento dei fondi
stanziati per “Industria 4.0”.
Le
misure per gli investimenti innovativi (cfr. Allegato B al PNR) racchiudono
altresì il rifinanziamento del Fondo centrale di garanzia per le PMI, e il
rafforzamento delle misure per le startup e PMI innovative, nonché il Piano
straordinario per il made in Italy, già adottato con
il D.L. n. 133/2014 e rifinanziato con la legge di stabilità 2017.
§ gli
interventi cd. di “finanza per la
crescita” (+ 0,5 percento del PIL a cinque anni e +1,9 percento a lungo termine), tra i quali i maggiori effetti sono
ascritti alle misure di cui alla legge di bilancio 2017, concernenti
l’esenzione in materia di tassazione dei redditi da capitale per gli
investimenti in attività finanziarie da parte dei fondi di previdenza sociale e
fondi pensione integrativi, e i Piani individuali di Risparmio (PIR), con le
agevolazioni fiscali per gli investimenti nei suddetti Piani (+ 0,3 percento
del PIL a cinque anni e +0,9 percento a
lungo termine).
Si
osservi che nell’Allegato B al PNR, nell’ambito degli interventi finanza per la
crescita è indicato, anche qui, il Fondo centrale di garanzia per le PMI,
nonché il rifinanziamento e l’estensione dell’ambito operativo e temporale
(fino al 2018) della cd. Nuova Sabatini
(cfr. Appendice B del PNR e Focus
contenuto nel PNR su Industria 4.0.).
L’implementazione
della cd. Nuova Sabatini, si affianca dunque alle misure a favore delle imprese
– sempre incluse nel Piano Industria 4.0 e realizzate nella legge di bilancio
2017– per favorire l’accesso al credito delle PMI e per la costituzione di
fonti di finanziamento alternative a quelle tradizionali. Tra esse,
l’estensione a tutte le PMI italiane la possibilità di raccogliere capitali con
campagne di Equity crowdfunding.
Il PNR
evidenzia poi la riforma in corso del Fondo di garanzia (cfr. supra Box sugli
ostacoli strutturali agli investimenti delineati dalla Commissione UE),
osservando che l’adozione del modello di rating consentirà una stima
accurata della rischiosità delle imprese, consentendo di rendere più mirati ed
efficaci gli interventi del Fondo, attraverso un’articolazione delle coperture
in misura crescente in base alla rischiosità dell’impresa.
Tra gli
altri obiettivi della riforma vi sono il riorientamento
del Fondo verso le operazioni finanziarie a medio-lungo termine e gli
investimenti; nonché una maggiore omogeneizzazione dell’intervento del Fondo
rispetto alla tipologia di soggetto richiedente (banca o confidi) e
riequilibrando, dunque, il trattamento tra garanzia diretta e controgaranzia.
Si
rinvia comunque al capitolo del presente dossier “Settore bancario”.
Lungo
la stessa direttrice operano gli incentivi fiscali, contenuti nella legge di
bilancio 2017, all’investimento nel capitale di rischio delle start-up
e delle PMI innovative.
Sempre per
le startup innovative vi è stata
l’ulteriore semplificazione (esenzione dall’imposta di bollo) della modalità di
costituzione digitale delle stesse startup
e sono state poi introdotte delle agevolazioni fiscali per l’ingresso e il
soggiorno in Italia di investitori stranieri che intendono effettuare un
investimento di almeno 1 milione nelle quote rappresentative del capitale di
società italiane (500 mila euro nel caso in cui l’impresa target sia una startup innovativa).
In
linea con quanto osservato dalla Commissione europea nel Country report di
febbraio 2017, il PNR evidenzia che le startup
e PMI innovative sono da tempo oggetto di una serie di interventi organici cui
si sommano le novità introdotte recentemente dal Piano Industria 4.0 e tradotte
in norme della legge di Bilancio per il 2017.
L’efficacia
delle misure già introdotte è riscontrata dal numero di startup costituite.
Secondo i dati del Governo, al 31
dicembre 2016, il numero delle startup
innovative in Italia era 6.745, con un incremento
del 31% rispetto al 2015 e del 112%
in due anni. Anche il numero delle PMI
innovative è aumentato in modo considerevole, attestandosi a 434 nel mese
di febbraio 2017; tra esse, 119 si sono iscritte come PMI innovativa tra
dicembre 2016 e febbraio 2017.
Tra le
misure per favorire grandi progetti di investimenti produttivi strategici ed
innovativi, l’Esecutivo ricorda il recente intervento (D.M. 8 novembre 2016) in materia di contratti di sviluppo,
finalizzato ad una semplificazione ed accelerazione dei relativi procedimenti
di valutazione.
Secondo
il PNR, le misure contenute nella Legge di Bilancio per il 2017, in primis quelle rientranti previste dal
Piano Industria 4.0, si propongono essenzialmente di sostenere la ripresa
dell’economia italiana attraverso uno shock tecnologico di produttività.
Sarà pertanto essenziale, per dare efficacia a queste azioni, agire parallelamente sui freni alla concorrenza, ridurre il peso dei costi energetici sulle
imprese, rafforzare la connettività
del Paese e proseguire sulla strada dell’efficientamento del sistema giudiziario.
Per ciò
che attiene ai freni alla concorrenza, già nel DEF 2016 il Governo sottolineava
l’esigenza di “conseguire una maggiore competitività anche tramite una maggiore
apertura dei mercati”, nonché mediante l’attuazione delle norme in materia di
liberalizzazione delle attività economiche, indicando in particolare la legge annuale sulla concorrenza quale
strumento di intervento regolare per migliorare il funzionamenti dei mercati.
L’Unione
Europea ha evidenziato l’importanza di “adottare
e attuare rapidamente la legge sulla
concorrenza rimasta in sospeso; intervenire ulteriormente per aumentare la
concorrenza nelle professioni regolamentate, nei trasporti, nella sanità, nel
commercio al dettaglio e nell'aggiudicazione delle concessioni” (Raccomandazione n. 5).
Nella
valutazione globale dei progressi compiuti rispetto a tale specifica
Raccomandazione, la Commissione europea, nel Country
Report del 22
febbraio 2017,
riconosce che nel nostro Paese:
§ gli
ostacoli alla concorrenza sono ancora notevoli, come confermato
anche dalla
Relazione sulla competitività globale 2016-2017 (FEM, 2016);
§ non sono
stati compiuti progressi con
riferimento alla legge annuale sulla concorrenza;
§ sono
stati raggiunti progressi limitati
in relazione alle altre restrizioni sulla concorrenza.
La
Commissione, nel citato Documento, ricorda inoltre che sono attese da tempo
riforme in altri settori importanti con un notevole potenziale economico, che
rappresentano una quota considerevole del PIL, come il commercio al dettaglio,
il sistema di concessioni e i settori marittimo e idroelettrico (Commissione
europea, 2016b). Ad avviso della Commissione, in questi ultimi due settori,
ancora soggetti a regimi di autorizzazione per un lungo periodo, non si attuano
ancora politiche concorrenziali.
Il DEF 2017, pur sottolineando che
l’Italia ha adottato nel tempo normative settoriali di grande impatto sulla
concorrenza, che hanno contribuito ad aprire progressivamente numerosi mercati[111], riconosce che tra le priorità del Governo
figura “l’esigenza di aprire
maggiormente al mercato diversi
settori” (dai servizi professionali, al commercio al dettaglio, ai servizi
pubblici locali), con l’obiettivo di apportare benefici apprezzabili dai
cittadini in termini di maggiore offerta, investimenti, produttività e
crescita.
In tal
senso, “l’approvazione della legge annuale per la concorrenza in tempi rapidi è
un obiettivo imprescindibile, insieme all’immediata definizione di un
appropriato strumento legislativo a cui affidare i prossimi passi in materia di
liberalizzazioni”. (cfr pag. V-VI e 7 del PNR).
Come
già in precedenza evidenziato, il Governo è attualmente impegnato a rilanciare
il percorso di liberalizzazioni attraverso l’approvazione del disegno di legge annuale per la concorrenza
2015: tra le azioni strategiche del PNR 2017 figura, infatti, l’approvazione
dell’attuale legge sulla concorrenza e la predisposizione della nuova legge annuale per la concorrenza per
il 2017. Il Cronoprogramma delle riforme incluso nel PNR 2017 individua il
termine giugno 2017 per
l’approvazione della legge annuale sulla concorrenza 2015 e il termine
2017/2018 per l’approvazione della legge annuale sulla concorrenza 2017, la cui
proposta è in corso di elaborazione e che terrà conto della segnalazione
annuale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Si ricorda,
a tale riguardo, che il disegno di legge annuale per la concorrenza 2015 - il
cui testo è stato profondamente modificato sia nel corso dell’iter alla Camera,
sia dalla Commissione Industria del Senato che ne ha concluso l’esame
nell’agosto 2016 - è attualmente all’esame dell’Assemblea del Senato (AS 2085).
Il
disegno di legge concerne, tra l'altro:
§ le
professioni regolamentate;
§ il
settore delle assicurazioni e il servizio postale;
§ l'industria
delle telecomunicazioni;
§ i
settori dell’energia elettrica e del gas. il settore della distribuzione
farmaceutica.
Ulteriori
misure sono previste per i settori delle banche
e della distribuzione dei carburanti.
Per ciò
che attiene al sistema giustizia,
come sopra accennato nel delineare gli obiettivi del cronoprogramma delle
riforme, l’Esecutivo intende implementare
le misure di riforma già avviate,
ricordando a questo proposito l’approvazione da parte della Camera dei
deputati, del disegno di legge di delega per la riforma della disciplina
dell’insolvenza (A.S. 2681), e come sia attualmente in corso di esame,
presso la Camera dei deputati, il provvedimento di riforma della disciplina in
materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (A.C. 3671-ter) (si rinvia, più diffusamente sul punto al
Capitolo del presente dossier Sistema
Giudiziario).
Il PNR
si prefigge inoltre di intervenire attraverso l’implementazione delle misure
finalizzate a garantire un una maggiore
efficienza della P.A. nei confronti delle imprese.
In tal
senso, per ciò che concerne il fenomeno dei ritardi dei pagamenti della P.A. verso le imprese[112] il PNR ricorda che è in fase di realizzazione
un nuovo sistema (denominato SIOPE Plus), presso il MEF, che integra le
informazioni presenti sull’attuale sistema SIOPE (sistema di rilevazione
telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le
amministrazioni pubbliche) con quelle delle fatture passive registrate dalla
Piattaforma elettronica
La
sperimentazione del sistema SIOPE Plus avverrà il primo luglio 2017 con un
numero limitato di enti. Nel corso dell’anno 2018 saranno acquisite in
automatico tutte le informazioni sui pagamenti degli enti territoriali, degli
enti del servizio sanitario, delle Università e di gran parte delle
amministrazioni statali (che già trasmettono in automatico tramite il
collegamento tra il sistema di contabilità generale SICOGE e la Piattaforma)
per una percentuale di copertura complessiva della quasi totalità, in termini
di importo, delle amministrazioni pubbliche censite.
Posto
poi che la competitività delle imprese italiane è oggi insidiata dalla
concorrenza sleale d’imprese illegali sul piano internazionale, il Governo
richiama anche nel DEF 2017 il Piano
Nazionale anti contraffazione, a tutela delle imprese che proteggono con
marchi, brevetti e disegni i propri asset intangibili, prevedendone una attuazione nel periodo
2016-2017 (cfr. cronoprogramma delle riforme, in Appendice A del PNR).
La
legge di bilancio per il 2017 ha poi rifinanziato
il Piano straordinario per la promozione del Made in Italy,
ed è proseguita, la riorganizzazione
degli strumenti finanziari di supporto alle strategie di
internazionalizzazione con il trasferimento del 76 % delle quote di SIMEST da
CDP a SACE.
Come
già accennato nel delineare gli obiettivi del cronoprogramma delle riforme, il
recupero di competitività opererà anche attraverso
la riduzione del costo dell’energia per allineare il nostro paese ai Paesi
UE.
Tale
punto costituirà uno dei contenuti della nuova
Strategia Energetica Nazionale, che sarà rivista e aggiornata rispetto al
2013, a seguito dei nuovi obiettivi europei su clima ed energia e delle
profonde trasformazioni economiche (anche del mercato energetico) occorse negli
ultimi quattro anni.
La SEN
verrà sottoposta a consultazione pubblica e l’adozione definitiva è prevista
per metà 2017.
Inoltre,
il Governo annuncia che cercherà di intervenire per ridurre i costi energetici
delle imprese e i divari con i competitor internazionali, attraverso un
provvedimento quadro (c.d. ‘Decreto Energia’) che riguarderà alcuni interventi
strategici in materia di energia tra i quali: l’attuazione della riforma degli
oneri di sistema elettrico, che decorrerà dal 1° gennaio 2018, il corridoio di
liquidità per il mercato gas e i nuovi criteri di sostegno alle energie
rinnovabili in coerenza con le Linee Guida UE.
Per un
approfondimento sulle tematiche energetiche, si rinvia al paragrafo 3.15 sull’Ambiente del presente dossier.
Infine,
sempre nel quadro del rilancio della competitività, il PNR cita l’adozione del Piano strategico di sviluppo del turismo in
Italia per il periodo 2017-2022. La finalità di tale atto programmatorio è
una governance
partecipata tra i diversi livelli istituzionali per il perseguimento dell’
innovazione, specializzazione e integrazione dell’offerta nazionale, attraverso
una valorizzazione del patrimonio italiano culturale, ambientale,
paesaggistico, delle tradizioni e delle eccellenze enogastronomiche.
Con la
definizione del nuovo quadro di governance
istituzionale per le politiche di
coesione, delineata dall’articolo 10 del D.L. n. 101/2013, che ha affidato alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri[113] e alla nuova Agenzia per la coesione territoriale, sottoposta alla vigilanza del
Presidente del Consiglio, l'azione di programmazione, coordinamento,
sorveglianza e sostegno della politica di coesione, a partire dal 2014 le
politiche di coesione e per il Mezzogiorno hanno ricevuto un nuovo impulso,
determinando una accelerazione dei
programmi di spesa e un miglioramento della capacità programmatoria coordinata
del sistema
Tale
attività ha trovato riscontro nelle ultime fasi di attuazione dei programmi
operativi attuativi della programmazione
2007-2013, ormai giunta a
conclusione, che ha consentito la pressoché piena utilizzazione delle risorse
programmate.
Secondo
i dati presenti nel sistema di monitoraggio dei pagamenti gestito dalla Ragioneria generale dello Stato,
Ispettorato generale rapporti con l’Unione europea – IGRUE[114], il livello dei pagamenti complessivi, rendicontati al 31 dicembre 2016, ha
raggiunto i 48,3 miliardi
complessivi - rispetto alla
dotazione finanziaria complessiva del settennio pari a 46,5
miliardi, dopo le ultime riprogrammazioni in favore del Piano di azione e
coesione -
corrispondenti a circa il 103,8% delle risorse programmate.
Tale
risultato – sottolinea il DEF - evidenzia una forte accelerazione
dell’attuazione, favorita dall’azione di sistema condotta in questi mesi dalle
Amministrazioni centrali e regionali con il supporto dell’Agenzia per la
coesione territoriale, in particolare per i Programmi che erano maggiormente in
ritardo.
Stato
di attuazione dei Fondi strutturali 2007-2013
Il
ciclo di programmazione dei fondi strutturali per gli anni 2007-2013 è stato
caratterizzato da significativi ritardi nell’utilizzo delle risorse, con il
rischio di perderne le disponibilità per effetto del meccanismo del disimpegno
automatico, qualora le risorse non fossero state spese entro la fine del 2015.
Per la
realizzazione degli interventi strutturali riguardanti il periodo di
programmazione 2007/2013, l’Unione europea ha complessivamente assegnato
all’Italia 28,5 miliardi di euro, a valere sui Fondi strutturali europei (Fondo
europeo di sviluppo regionale - FESR; Fondo sociale europeo - FSE). Tali
risorse, abbinate alle quote di cofinanziamento nazionale, ammontavano a circa
60 miliardi poi ridimensionate a 47,4
miliardi di euro a seguito degli aggiornamenti del Piano di Azione Coesione[115].
Le risorse in questione sono allocate
nell’ambito di specifici programmi operativi, a titolarità delle Amministrazioni
centrali (PON) e regionali (POR) e concorrono a realizzare i tre obiettivi
prioritari definiti dalla normativa comunitaria: Convergenza, Concorrenza e
Cooperazione territoriale.
Anche i
programmi dell’Obiettivo Convergenza,
che erano quelli che presentavano i maggiori ritardi nell’utilizzo delle
risorse, hanno raggiunto, al termine della fase attuativa, la piena
utilizzazione delle risorse programmate, con una percentuale di pagamenti del 101,9%, su un totale di circa 31
miliardi di risorse programmate.
Tabella
45 - Programmazione 2007/2013 Attuazione al 31
dicembre 2016
Programmi |
Programmato
2007/2013 |
Impegnato |
Pagato |
%
imp. / |
%
pag. / |
Convergenza |
30.747,19 |
44.892,11 |
31.332,81 |
146,00% |
101,90% |
Competitività |
15.034,12 |
17.506,61 |
16.186,94 |
116,45% |
107,67% |
Cooperazione |
693,90 |
764,63 |
692,61 |
110,19% |
99,81% |
Totale
obiettivi |
46.475,21 |
63.163,35
|
48.212,36
|
135,91% |
103,74% |
Fonte: RGS-IGRUE, Monitoraggio interventi
comunitari programmazione 2007-2013 – Attuazione finanziaria, situazione al 31
dicembre 2016 (febbraio 2017).
Nel
complesso - come rilevato dal DEF
nell’Allegato recante la “Relazione sugli interventi nelle aree
sottoutilizzate” – i pagamenti ammissibili al rimborso della quota comunitaria
registrati nel sistema nazionale hanno complessivamente raggiunto il 103,8%, a
conferma dell’avvicinamento al traguardo del pieno assorbimento delle risorse
comunitarie dei fondi strutturali programmate per il ciclo 2007-2013.
L’ultima
fase del ciclo di programmazione 2007-2013, si ricorda, si è conclusa il 31 marzo 2017, termine ultimo per la
definitiva certificazione delle
spese, come previsto dai regolamenti comunitari[116]. Con riferimento alla spesa complessiva certificata all’Unione Europea (lievemente
differente dai pagamenti per effetto delle complesse procedure di
certificazione in corso[117]), al 31
marzo 2017 essa è già pari al 101,1%
delle risorse programmate, confermando il pieno assorbimento delle risorse
comunitarie.
Per i progetti non conclusi alla data del 31
dicembre 2015 sono state previste diverse possibilità di completamento:
1) progetti
che rispettano i requisiti regolamentari tali da poter essere portati a termine
con risorse comunitarie del ciclo 2014-2020 ed inseriti nei nuovi programmi
cofinanziati 2014-2020 (cd. progetti ”a cavallo” tra due cicli di
programmazione);
2) progetti
che non possiedono i requisiti richiesti e devono essere completati entro marzo
2017 facendo ricorso a risorse proprie dello Stato membro (nazionali, regionali
o locali) e che rimangono interamente nel perimetro della programmazione
2007-2013. In questo secondo caso le risorse nazionali sono state stanziate
dalle Delibere del CIPE n. 12 e 27 del 2016, secondo le procedure previste
dall’art. 1 c. 804 della legge 208/2015.
Si
ricorda che per superare i ritardi nell'utilizzo delle risorse dei fondi
strutturali europei stanziati per il periodo 2007-2013, è stato approvato il Piano di Azione Coesione, con
l'obiettivo di accelerare l'attuazione dei programmi di spesa e, al contempo,
di rafforzare l'efficacia degli interventi.
Il
Piano, attuato attraverso la rimodulazione strategica delle risorse dei
singoli programmi operativi – in particolare di quelli maggiormente
in ritardo - e la riduzione della quota di cofinanziamento
nazionale, ha consentito il trasferimento delle relative
risorse nazionali al di fuori dei programmi operativi stessi, evitando il
disimpegno delle risorse comunitarie non utilizzate nell'ambito
dei Programmi Operativi attuativi dei Fondi strutturali.
La riprogrammazione delle
risorse dei Fondi strutturali 2007-2013 realizzata a partire dal 2011 mediante
lo strumento del Piano di Azione
Coesione (PAC), articolato in cinque fasi di programmazione, ha raggiunto
l’ammontare complessivo di oltre 13,5
miliardi di euro, cui concorrono risorse nazionali derivanti
dalla riduzione
del tasso di cofinanziamento nazionale dei Programmi Operativi
per circa 11,6 miliardi di euro e
risorse riprogrammate attraverso
rimodulazione interna ai medesimi Programmi, per circa 2
miliardi di euro.
La revisione delle scelte
di investimento ha riguardato una serie di ambiti ritenuti di prioritario
interesse strategico nazionale, quali istruzione,
infrastrutture ferroviarie, Agenda Digitale, occupazione, con
particolare attenzione ai giovani, inclusione sociale e contrasto alla povertà,
potenziamento dei servizi di cura ad anziani e bambini, competitività del
sistema produttivo, digitalizzazione del sistema giudiziario.
Nel corso del tempo, la dotazione finanziaria del PAC e
la destinazione di tali risorse hanno subito modifiche a causa sia delle
riprogrammazioni interne attuate dalle Amministrazioni titolari, sia delle
riprogrammazioni ope legis
che ne hanno ridotto la dotazione finanziaria per circa 4,5 miliardi di
euro: la prima, del valore di 995 milioni di euro, per il finanziamento delle
“Misure straordinarie per la promozione dell'occupazione, in particolare
giovanile e la coesione sociale” (D.L. n. 76 del 28 giugno 2013), la seconda,
del valore di 3,5 miliardi di euro, per il finanziamento degli sgravi
contributivi per assunzioni a tempo indeterminato ai sensi della legge di
stabilità 2015 (art. 1, commi 118, 122 e 123, legge n. 190/2014).
Tra la fine del 2015 e gli inizi del 2016, inoltre, sono
intervenute nuove adesioni al meccanismo del PAC, sia da parte di
Amministrazioni che vi hanno aderito per la prima volta, sia da parte di
Amministrazioni che hanno aumentato la propria partecipazione al PAC, assestandone complessivamente la dotazione finanziaria a 9,0 miliardi di euro.
Nell’ultimo anno, il processo di assunzione degli impegni
giuridicamente vincolanti è proseguito regolarmente e i pagamenti registrati al
31 dicembre 2016 hanno raggiunto oltre un terzo degli impegni complessivamente
assunti fino alla stessa data. L’assestamento del PAC in termini di progetti e
relativa spesa sarà definibile dopo il 31 marzo 2017 previa verifica dei
progetti rendicontati per la chiusura della programmazione 2007-2013, ivi
inclusi gli interventi che potranno completarsi entro il31 marzo 2019.
In
relazione alla programmazione 2014-2020
dei fondi strutturali e di investimento europei (SIE), nel corso del 2016 tutti
i programmi operativi cofinanziati
dai fondi FESR e FSE relativi alla programmazione 2014-2020, sono entrati nella
fase attuativa. Si tratta di 51
programmi, per un valore complessivo di investimenti pari a 51,8 miliardi, incluso il
cofinanziamento nazionale.
Relativamente
alla programmazione dei Fondi europei 2014‐2020, il DEF evidenzia che il Governo sarà
impegnato nei prossimi mesi a mettere a punto la distribuzione delle risorse addizionali assegnate all’Italia
a valere sui fondi FESR e FSE, nell’ambito della procedura di ‘aggiustamento
tecnico’ delle assegnazioni per la politica di coesione prevista dai
regolamenti comunitari per l’anno 2017. Si tratta di circa 1,6 miliardi destinati all’Italia su 4,6 miliardi complessivi[118].
L’Italia
ha condiviso le finalizzazioni proposte dalla Commissione Europea in ordine
all’impiego delle risorse addizionali riguardanti, in particolare, l’Iniziativa
Occupazione Giovani, la specializzazione intelligente, il sostegno
all’accoglienza e
all’inserimento dei migranti, la competitività delle piccole e medie imprese.
L’Italia ha, inoltre, proposto di destinare una quota di risorse al tema della
ricostruzione e prevenzione dei rischi sismici, in considerazione degli eventi
che hanno interessato il Paese nel 2016 e 2017.
La programmazione dei Fondi 2014-2020
L'Accordo
di partenariato 2014-2020 (approvato con Decisione
di esecuzione C(2014) 8021 final), reca l'impianto strategico e la selezione
degli obiettivi tematici su cui si concentrano gli interventi finanziati dai
Fondi di investimento europei (SIE), relativi sia alla politica di coesione
perseguita specificamente dai fondi strutturali (FESR e FSE), sia
all’agricoltura e alla pesca (FEASR e FEAMP), nell’ambito di un quadro
strategico comune.
Le
risorse comunitarie assegnate all’Italia a titolo dei due Fondi strutturali per la politica di coesione del FSE e del FESR
ammontano a oltre 32 miliardi, cui
si aggiungono le risorse del FEASR e del FEAMP, per circa 11 miliardi
complessivi, quelle all’occupazione giovanile (YEI) e al Fondo indigenti
(FEAD), per circa 1,2 miliardi. A tali risorse comunitarie si affiancano oltre
24 miliardi di cofinanziamento nazionale, ed ulteriori 4,3 miliardi di
cofinanziamento regionale. Complessivamente – sottolinea il DEF nell’Allegato “Relazione sugli
interventi nelle aree sottoutilizzate” - tra risorse finanziarie comunitarie e
di cofinanziamento nazionale, la programmazione nazionale e regionale FESR e
FSE – che si è concretizzato in 51 Programmi Operativi, di cui 12 Programmi
operativi nazionali (PON) e 39 Programmi operativi regionali (POR) - dispone di
circa 51,8 miliardi di euro, di cui
circa 31,8 miliardi di risorse
comunitarie.
Al 31
gennaio 2017, i dati dichiarati dalle Autorità di gestione all’interno del
sistema informativo della Commissione europea mostrano che sono stati attivati progetti per un valore complessivo di 13,5 miliardi di euro, corrispondente al 26,1% della dotazione
complessiva – con una composizione variabile per area (27,3% nelle regioni meno
sviluppate, 24,8% nelle regioni più sviluppate e 8,2% nelle regioni in
transizione) - al netto delle risorse destinate all’Iniziativa occupazione
giovani (IOG). In relazione alle fonti di finanziamento, i progetti
cofinanziati dal FESR presentano un livello di prima attuazione più avanzato
(32,4% del totale programmato) rispetto a quelli cofinanziati dal FSE (12,5%
del totale programmato).
In conseguenza delle significative innovazioni
regolamentari che caratterizzano la programmazione del periodo 2014-2020, alla
riserva di performance sono collegati target finanziari e di output
da conseguire al 31 dicembre 2018 (tappa intermedia) e al 31 dicembre 2023.
Per i Programmi italiani, il valore cumulato dei target finanziari (spese certificate) da conseguire al 31.12.2018 è pari a circa 12 miliardi. Al contempo, al
conseguimento della tappa intermedia è associata l’erogazione di una riserva di
premialità pari al 6% cento del valore del programma.
Si ricorda, infine, che al perseguimento delle
finalità strategiche dei Fondi strutturali e di investimento europei della
programmazione 2014-2020, concorrono anche gli interventi attivati tramite i Programmi complementari d’azione e coesione
2014-2020, che interessano in particolare i territori delle regioni meno
sviluppate del Mezzogiorno e che, per oltre 7 miliardi di euro impegnano il Fondo di rotazione IGRUE per la
parte non finalizzata al cofinanziamento dei programmi operativi comunitari.
Nel corso del 2016, sono stati approvati dal
CIPE i seguenti Programmi complementari: “Cultura e sviluppo”, “Governance”, “Città metropolitane”, “Ricerca e
innovazione”, “Imprese e competitività”, “Infrastrutture e reti”, nonché della
“Regione Campania”. Nella seduta di marzo 2017, il CIPE ha, altresì, approvato
i Programmi di azione e coesione “Legalità” e della “Regione Calabria”.
Nell’impostazione
strategica della politica di coesione 2014-2020, il PNR sottolinea, infine, la
rilevanza delle tre Strategie: la
Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente, la Strategia per le Aree
Urbane e la Strategia per le Aree Interne.
La
programmazione 2014-2020 enfatizza, in misura maggiore rispetto al ciclo
precedente, l’importanza di politiche
urbane integrate e sostenibili. Per le Città Metropolitane, in particolare,
è stato predisposto un Programma Operativo Nazionale “Città metropolitane” (PON
METRO), con una dotazione di 892 milioni (588 milioni provenienti dal FESR e
304 milioni dal FSE) e destinato alle 14 città metropolitane, con una
allocazione di circa 90 milioni per ciascuna città del Sud e 40 milioni per
quelle del Centro Nord e Sardegna. Dal 2017 è, inoltre, operativo il Programma
Azione Coesione Complementare al PON “Città Metropolitane” 2014–2020 per il
completamento e rafforzamento degli interventi in esso previsti.
La Strategia nazionale per le aree interne del
Paese rappresenta una azione diretta al sostegno della competitività
territoriale sostenibile, al fine di contrastare, nel medio periodo, il declino
demografico che caratterizza talune aree del Paese, definite come quelle aree
più lontane dai servizi di base, che interessano oltre il 30% del territorio
nazionale ed il 7,6% della popolazione italiana. La Strategia è sostenuta sia
dai fondi europei (FESR, FSE e FEASR), per il cofinanziamento di progetti di
sviluppo locale, sia da risorse nazionali (circa 280 milioni messi a disposizione dalle ultime tre leggi di
stabilità per il 2104, 2015 e 2016).
Nel
2016 si è completato il processo di selezione di 68 aree pilota che comprendono
1.043 Comuni, per 2.026.299 abitanti. Le aree selezionate sono quelle in cui si
è registrata una maggiore perdita di popolazione (4,6% tra il 2000 e il 2011) e
che presentano più seri problemi strutturali di accessibilità, in linea con
quanto previsto dall’Accordo di Partenariato.
Per
approfondimenti sulla Strategia e sui fondi nazionali dedicati, si veda la Relazione annuale presentata al CIPE dal Ministro per la
Coesione Territoriale e il Mezzogiorno, di dicembre 2016 (a pag. 38 una
ricostruzione delle risorse nazionali).
Per
quanto riguarda, infine, la programmazione delle politiche di coesione
nazionali, si ricorda che nel Fondo per lo sviluppo e la coesione
(FSC) sono iscritte le risorse finanziarie aggiuntive nazionali
destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché a incentivi e
investimenti pubblici.
La
dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il ciclo di
programmazione 2014-2020 è stata autorizzata dall’articolo 1, comma 6, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013),
nell’importo complessivo di 54,8
miliardi di euro, da programmarsi nel rispetto della chiave di riparto che
destina l'80% delle risorse nelle aree del Mezzogiorno e il restante 20% nelle
aree del Centro nord.
La
legge medesima ha previsto l’iscrizione in bilancio dell’80% di tale ammontare
(43,8 miliardi), subordinando
l’iscrizione della restante quota (10,962
miliardi di euro) ad una verifica di metà periodo sull’effettivo utile
impiego delle prime risorse assegnate. Tale restante quota è stata iscritta in
bilancio a partire dall’anno 2020 e successivi con la legge di bilancio per il
2017 (legge n. 232/2016).
Nel
corso degli anni 2014 e del 2015 sono
intervenute alcune disposizioni che hanno utilizzato
le risorse del FSC 2014-2020 disponibili in bilancio (43,8 miliardi), a copertura degli oneri da esse stesse
recati, per un totale di circa 5 miliardi.
I
restanti 38,7 miliardi – ricorda il
DEF nell’Allegato “Relazione sugli interventi per le aree sottoutilizzate” -
sono stati:
§ in
parte assegnati nel corso degli anni 2014-2016 mediante Piani stralcio, ai sensi della procedura prevista dalla lettera
d) dell'art. 1, comma 703,
della legge n. 190/2014,
ovvero mediante preallocazioni disposte per legge,
per circa 10 miliardi di euro (di cui 6,7 miliardi al Mezzogiorno e 3,3
miliardi imputabili al centro-nord);
§ per
circa 15,2 miliardi assegnata ai singoli Piani
Operativi di ciascuna area tematica,
secondo la programmazione disposta dal CIPE con la delibera n. 25/2016);
§ per
circa 13,4 miliardi destinati
ai Patti per il Sud (CIPE n. 26/2016).
L’impostazione
del nuovo quadro di governance istituzionale
per le politiche di coesione ha determinato la ridefinizione, con la legge di
stabilità 2015 (art. 1, commi 703-706, legge n. 190/2014), delle procedure di
programmazione e di gestione delle risorse nazionali assegnate al Fondo per lo
sviluppo e la coesione per il ciclo 2014-2020, riservando alla Presidenza del
Consiglio (c.d. “Autorità politica per la coesione”) il compito di indicare le
linee strategiche per l'impiego del Fondo, da realizzare in forma integrata con
le risorse europee per lo sviluppo regionale. L’impiego delle risorse del FSC
2014-2020 è attuato per obiettivi
strategici relativi ad aree tematiche
nazionali in linea con la programmazione dei Fondi strutturali e di
Investimento europei; l’incarico di definire specifici piani operativi per ciascuna area tematica nazionale è stato
assegnato ad una nuova Cabina di regia,
istituita con D.P.C.M. 25 febbraio 2016, composta da rappresentanti delle
amministrazioni centrali e regionali.
L’individuazione
delle aree tematiche nazionali e la
conseguente ripartizione della
dotazione finanziaria del FSC tra le aree medesime è stata effettuata
con delibera CIPE 10 agosto
2016, n. 25; nelle more della delibera di ripartizione, si
è proceduto all’assegnazione delle risorse del Fondo mediante l’approvazione,
su proposta dall'Autorità politica per la coesione, di un Piano stralcio per la realizzazione di
interventi di immediato avvio dei lavori.
In tale
contesto normativo - secondo quanto illustrato nel DEF nell’Allegato “Relazione sugli interventi nelle aree
sottoutilizzate” - nel corso del 2015 e del 2016 il CIPE ha approvato diverse
assegnazioni riconducibili al “Piano
stralcio” previsto dalla lettera d) dell'art. 1, comma 703, della
legge n. 190/2014, per un importo complessivo di oltre 6,2 miliardi.
Il
processo d’individuazione delle aree
tematiche di rilievo nazionale e quella degli obiettivi strategici da
perseguire si è concretizzato con la delibera
del CIPE n. 25 del 10 agosto 2016, assunta in collaborazione con le
Amministrazioni interessate e sentita la Conferenza Stato-Regioni.
Le aree
tematiche individuate sono le seguenti: Infrastrutture; Ambiente; Sviluppo
economico e produttivo e Agricoltura; Turismo, cultura e valorizzazione risorse
naturali; Occupazione, inclusione sociale e lotta alla povertà, istruzione e
formazione; Rafforzamento PA.
Nel
contempo, con la delibera CIPE n. 25, sono state definite le regole di
funzionamento del FSC per il periodo di programmazione 2014–2020.
In
particolare, sono stati disciplinati i piani operativi, le modalità di
attuazione e sorveglianza, mediante la previsione dell’istituzione di Comitati con
funzioni di sorveglianza, gli interventi ammissibili, il monitoraggio, la revoca delle
risorse, gli obblighi di pubblicità e informazione, le riprogrammazioni, le modalità
di trasferimento delle risorse da parte del Ministero dell’economia e delle
finanze (Dipartimento della Ragioneria Generale
dello stato- IGRUE), l’ammissibilità delle spese, le varianti in
corso d’opera, i sistemi di gestione e controllo.
Al
netto degli impieghi disposti per i cc.dd. Piani stralcio e per preallocazioni di legge (di cui si è detto nel precedente
box), nonché per i Patti per il Sud, l’importo residuo di 15.200 milioni di euro è stato destinato con la delibera CIPE n.
25/2016, alla predisposizioni di specifici Piani
operativi relativi alle aree tematiche come di seguito esposto:
|
Piani
operativi afferenti le aree tematiche |
milioni |
1. |
Infrastrutture |
11.500,0 |
2. |
Ambiente
|
1.900,0 |
3.a. |
Sviluppo
economico e produttivo |
1.400,0 |
3.b. |
Agricoltura |
400,0 |
|
Totale |
15.200,0 |
Un
elemento qualificante della nuova strategia per il Mezzogiorno è costituito
dall’adozione del Masterplan per il Mezzogiorno
e la sottoscrizione, nel 2016, dei Patti per il Sud con tutte le Regioni e con
le Città metropolitane del Mezzogiorno e un Contratto istituzionale di sviluppo
specifico con la Città di Taranto, patti che contengono progetti di
investimento infrastrutturali, ambientali, produttivi.
Le
risorse di coesione nazionale stanziate per il Mezzogiorno attraverso i Patti
per il Sud ammontano a circa 13,4
miliardi, ma attivano – sottolinea il DEF - investimenti complessivi da
altre fonti di bilancio, inclusi fondi regionali, per circa 39 miliardi.
Una
quota pari a circa il 36% delle risorse è indirizzata ad interventi
infrastrutturali, in coerenza con la vocazione del Fondo FSC, ed una
percentuale pari a circa il 30% è destinata ad interventi volti ad affrontare
tematiche di rilevanza ambientale.
Il c.d.
Masterplan per il Mezzogiorno, adottato nel
novembre 2015, il Governo ha definito gli obiettivi, le modalità e gli
strumenti per una politica per il Mezzogiorno, da realizzare attraverso uno
strumento di cooperazione territoriale interistituzionale:
i Patti per il Sud.
Con i
Patti per il Sud - firmati dal Presidente del Consiglio o dall'autorità
delegata per la coesione e dal Presidente della regione o sindaco della città
metropolitana - le Amministrazioni interessate hanno definito le linee
strategiche per lo sviluppo del proprio territorio; effettuato una ricognizione
degli strumenti e delle risorse a disposizione; individuato gli interventi
prioritari da realizzare; definito il costo e le risorse ad esso destinate;
indicato la governance
del processo.
A tal
fine, il singolo patto considera il complesso delle risorse disponibili,
provenienti dai PON e POR dei Fondi strutturali (FESR e FSE) 2007-2013, dal
Fondo Sviluppo e Coesione per la programmazione 2007-2013, nonché dai PON e POR
dei Fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-2020, dai fondi di cofinanziamento
regionale e dal Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020, oltre a eventuali
finanziamenti specifici.
I 15 Patti per il Sud - uno per ognuna
delle 8 Regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia,
Calabria, Sicilia e Sardegna) e uno per ognuna delle 7 Città Metropolitane (Napoli,
Bari, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Cagliari e Messina) – sono stati
sottoscritti nel periodo aprile-novembre 2016.
Con
delibera CIPE n. 26 del 10 agosto 2016
è stato definito il piano per il Mezzogiorno, con assegnazione delle risorse
alle Regioni e alle Città metropolitane del Mezzogiorno per l’attuazione di
interventi mediante appositi Accordi interistituzionali
denominati “Patti per il Sud”.
Patto |
Sottoscrizione |
Risorse FSC 2014-2020 |
Regioni |
|
|
24 aprile 2016 |
2.780.000.000 |
|
30 aprile 2016 |
1.198.700.000 |
|
2 maggio 2016 |
565.200.000 |
|
17 maggio 2016 |
753.100.000 |
|
26 luglio 2016 |
378.000.000 |
|
29 luglio 2016 |
1.509.600.000 |
|
10 settembre 2016 |
2.071.500.000 |
|
10 settembre 2016 |
2.320.000.000 |
|
Città
metropolitane |
|
|
30 aprile 2016 |
133.000.000 |
|
30 aprile 2016 |
332.000.000 |
|
30 aprile 2016 |
332.000.000 |
|
17 maggio 2016 |
230.000.000 |
|
26 ottobre 2016 |
308.000.000 |
|
22 ottobre 2016 |
332.000.000 |
|
17 novembre 2016 |
168.000.000 |
Successivamente,
su richiesta delle Amministrazioni, sono stati firmati anche Patti con regioni
e città metropolitane del Centro-Nord,
in particolare con le Regioni Lazio e Lombardia; con le Città metropolitane di
Milano, Firenze, Genova e Venezia.
Con la delibera
CIPE 1° dicembre 2016, n. 56 sono stati assegnati 1.882,25 milioni di euro, a
carico delle risorse FSC 2014-2020, per i seguenti Patti:
• 723,5
milioni alla Regione Lazio (20 maggio 2016);
• 718,7 milioni alla Regione Lombardia (25
novembre 2016);
• 110 milioni alla Città metropolitana di
Milano (13 settembre 2016);
• 110 milioni alla Città metropolitana di
Firenze (5 novembre 2016);
• 110 milioni alla Città metropolitana di
Genova (26 novembre 2016);
• 110 milioni alla Città metropolitana di Venezia
(26 novembre 2016).
Riguardo al mercato del lavoro, il Documento in esame osserva, in
primo luogo, che il cosiddetto Jobs Act si basa su un equilibrio tra le politiche passive
di sostegno al reddito e le politiche attive del lavoro e che queste ultime
sono dirette all’effettiva ricollocazione lavorativa del singolo soggetto.
Cosiddetto Jobs Act
ed altri interventi legislativi adottati o in itinere
Si ricorda che i decreti legislativi
costituenti, nel loro complesso, il cosiddetto Jobs Act sono
i seguenti:
§ il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22, concernente una revisione della
disciplina generale dei trattamenti di disoccupazione;
§ il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante la definizione di una
disciplina, per i nuovi contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato,
di tutele crescenti dal licenziamento in relazione all’anzianità di servizio;
§ il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 80, concernente la revisione e
l’aggiornamento delle misure intese a tutelare la maternità delle lavoratrici
ed a sostenere le cure parentali e le forme di conciliazione dei tempi di vita
e di lavoro per la generalità dei lavoratori;
§ il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, recante la revisione della
disciplina delle tipologie dei contratti di lavoro e di quella in materia di
attribuzione di mansioni e di variazioni delle stesse;
§ il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, recante la revisione
della disciplina degli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro
(cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, fondi di solidarietà
bilaterali e contratti di solidarietà di tipo difensivo - la disciplina di
questi ultimi è confluita, in base al medesimo decreto legislativo, nell'àmbito
del trattamento straordinario di integrazione salariale e dei fondi suddetti
-);
§ il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 149, recante l'istituzione di
un'Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, denominata Ispettorato nazionale
del lavoro, che integra i servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, dell'INPS e dell'INAIL, assorbendone (a regime) le relative
attività;
§ il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150, recante riordino della
disciplina in materia di servizi per l'impiego e di politiche attive per il
lavoro. Il decreto, tra l'altro, istituisce l'Agenzia Nazionale per le
Politiche Attive del Lavoro (ANPAL); ad essa spettano, in via di sintesi,
funzioni di coordinamento, a livello nazionale, dei servizi pubblici per
l'impiego (e delle relative politiche attive per il lavoro) nonché delle
politiche di attivazione dei disoccupati, di accreditamento dei servizi per
l'impiego privati, di gestione diretta di alcuni programmi, di assistenza e
consulenza nella gestione di alcune crisi aziendali, di determinazione delle
modalità operative e dell'ammontare dell'assegno individuale di ricollocazione.
Quest'ultimo istituto è introdotto dal medesimo decreto legislativo; l'assegno
può essere "speso" dal soggetto (disoccupato da almeno 4 mesi e beneficiario
di trattamento di disoccupazione) presso un centro per l'impiego o un soggetto
accreditato, al fine di ottenere un servizio di assistenza intensiva nella
ricerca di lavoro. In merito, il Documento ricorda che l'assegno non viene
erogato all’utente, ma all'operatore suddetto, e a condizione che venga firmato
un contratto di lavoro[119]; la misura consiste in un assegno da 1.000 a
5.000 euro in caso di contratto di lavoro a tempo indeterminato[120] (l'importo è graduato in funzione della
maggiore o minore difficoltà - derivante dal profilo personale di occupabilità - del reinserimento lavorativo del
disoccupato). Il Documento osserva che la fase sperimentale dell’assegno di
ricollocazione è stata avviata nello scorso mese di marzo, "con il
coinvolgimento di circa 30.000 destinatari", e che, al termine della
sperimentazione, "lo strumento entrerà a regime e tutti i potenziali
beneficiari potranno richiederlo". Il medesimo decreto n. 150 ha
istituito, inoltre, il patto di servizio personalizzato tra il lavoratore
disoccupato ed il centro per l'impiego, patto obbligatorio ai fini del
mantenimento del trattamento di disoccupazione e che è inteso alla finalità -
ricordata nel Documento - di assicurare "percorsi personalizzati e utili
all’acquisizione di nuove competenze";
§ il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, concernente la
razionalizzazione e la semplificazione delle procedure e degli adempimenti
(relativi al rapporto di lavoro) a carico dei cittadini e delle imprese, nonché
altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità.
Il successivo D.Lgs.
24 settembre 2016, n. 185, ha recato alcune novelle integrative e correttive
per alcuni dei suddetti decreti legislativi.
Sempre con riferimento agli interventi di
rango legislativo, il Documento ricorda che è stato di recente emanato il D.L.
17 marzo 2017, n. 25, attualmente in fase di conversione alle Camere, il quale
- oltre ad operare una revisione della disciplina sulla responsabilità solidale
del committente imprenditore o datore di lavoro con l'appaltatore e con gli
eventuali subappaltatori, nei confronti dei lavoratori nonché per i contributi
previdenziali ed i premi assicurativi - ha abrogato l'istituto del lavoro
accessorio (la cui disciplina era stata ridefinita dagli artt. da 48 a 50 del
citato D.Lgs. n. 81 del 2015, e successive
modificazioni). Gli interventi normativi del suddetto D.L. n. 25 corrispondono
a due richieste di referendum abrogativo (referendum giudicati ammissibili
dalla Corte costituzionale ed indetti con due D.P.R. del 15 marzo 2017). Il
Documento osserva che l'istituto del lavoro accessorio è stato soppresso per
l'esigenza di "contrastare il ricorso a pratiche elusive degli istituti
contrattuali vigenti", ma che, d'altro canto, occorre definire una nuova
regolazione del lavoro accessorio, anche al fine di contrastare il lavoro
sommerso; il Documento prevede che la nuova disciplina venga adottata entro il
prossimo mese di luglio. In
merito all'abrogazione suddetta, una nota dell'INPS del 30 marzo 2017, emanata
previe intese con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e con il
Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, ha affermato che resta possibile il ricorso al lavoro accessorio ai
fini esclusivi di usufruire del finanziamento statale - previsto attualmente,
come ricorda anche il Documento in esame, fino al 2018[121] - per l'acquisto di servizi di baby-sitting da parte delle madri
lavoratrici (ivi comprese le lavoratrici autonome e le imprenditrici).
Il Documento ricorda altresì che è attualmente
all'esame delle Camere un disegno di legge articolato in due parti,
intese, rispettivamente, a ridefinire i diritti e le tutele per i rapporti di
lavoro autonomo (nonché a rendere permanente l'istituto, finora transitorio,
dell'indennità di disoccupazione - DIS-COLL - per i lavoratori con rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa[122]) e a porre una disciplina specifica per il
lavoro agile (ivi definito
come una "modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato",
in cui la prestazione è contraddistinta dall'esecuzione della stessa in parte
all’interno di locali aziendali ed in parte all’esterno - entro i soli limiti
di durata massima dell’orario di lavoro, giornaliero e settimanale, derivanti
dalla disciplina legislativa e dalla contrattazione collettiva - nonché
dall'assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti
all’esterno). Tale disegno di legge è stato approvato, in prima lettura, dal
Senato e, successivamente, con modifiche, dalla Camera ed è attualmente di
nuovo all'esame del Senato, dove al momento è stato approvato, senza ulteriori
modifiche, in sede referente, dall'11a Commissione (A.S. n. 2233-B).
Riguardo agli incentivi finanziari per
l'occupazione, il Documento, in primo luogo, ricorda le misure di recente
predisposte (e che si affiancano a quella prevista in via permanente dalla
cosiddetta Legge Fornero[123] con riferimento alle assunzioni di lavoratori
che abbiano almeno 50 anni di età e che si trovino in stato di disoccupazione
da almeno 12 mesi nonché
alle assunzioni di donne di qualsiasi età, prive di
un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, residenti in determinate
aree, ovvero alle assunzioni di donne di qualsiasi età prive di un impiego regolarmente
retribuito da almeno ventiquattro mesi, ovunque residenti). In particolare, le
suddette misure recenti sono costituite da:
§ uno
sgravio contributivo - di durata pari a 12 mesi e fino ad un massimo di 8.060
euro su base annua - per ogni soggetto assunto, nell'anno 2017, con contratto a
tempo indeterminato e con sede di lavoro in una regione del Sud (Abruzzo,
Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia), a
condizione che la persona assunta sia di età compresa tra i 16 anni e i 24 anni
oppure un soggetto privo di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi.
L'incentivo è stato disposto dal decreto direttoriale del Ministero del lavoro
e delle politiche sociali n. 367 del 16 novembre 2016 (come modificato dal
decreto direttoriale n. 18719 del 15 dicembre 2016) ed è riconosciuto nei
limiti delle disponibilità stanziate;
§ uno
sgravio contributivo - di durata pari a 12 mesi - per ogni soggetto assunto,
nell'anno 2017, con contratto a tempo indeterminato o a termine (purché di durata
pari ad almeno 6 mesi), a condizione che la persona assunta sia di età compresa
tra i 16 anni e i 29 anni, sia disoccupata (e non inserita in un percorso di
studi o formazione) e sia registrata al “Programma Operativo Nazionale
Iniziativa Occupazione Giovani” (ovvero “Programma Garanzia Giovani”).
L'incentivo è stato disposto dal decreto direttoriale del Ministero del lavoro
e delle politiche sociali n. 394 del 2 dicembre 2016 (come modificato dal
decreto direttoriale n. 454 del 19 dicembre 2016) ed è riconosciuto nei limiti
delle disponibilità stanziate;
§ uno
sgravio contributivo - di durata pari a 36 mesi - in favore dei datori di
lavoro che, negli anni 2017 e 2018, assumano a tempo indeterminato studenti che
abbiano svolto attività di alternanza scuola-lavoro o periodi di apprendistato
presso il medesimo datore di lavoro. L'incentivo è stato introdotto dall'art.
1, commi da 308 a 310, della L. 11 dicembre 2016, n. 232, ed è riconosciuto nei
limiti delle disponibilità stanziate.
In merito ai futuri interventi (da adottare
entro il 2017), il Documento indica l'obiettivo del rafforzamento delle misure
strutturali di decontribuzione del costo del lavoro e l'adozione di misure mirate sui redditi familiari più
bassi, per rendere vantaggioso il lavoro del secondo percettore di reddito,
nell'àmbito della finalità generale
dell'incremento dell’occupazione "delle categorie che
scontano un maggiore tasso di disoccupazione e una ridotta partecipazione al
mercato del lavoro".
Il Documento rileva che con la legge di
bilancio per il 2017 il Governo ha inteso rafforzare l’azione intesa a
"favorire l’evoluzione della contrattazione collettiva in direzione di un
maggiore spazio alla retribuzione collegata alla produttività o redditività
aziendale". In merito, si ricorda che l'art. 1, comma 160, della legge di
bilancio per il 2017 (L. n. 232 del 2016) ha posto alcune modifiche alla
disciplina tributaria specifica per gli emolumenti retributivi dei lavoratori
dipendenti privati di ammontare variabile e la cui corresponsione sia legata ad
incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione,
misurabili e verificabili, nonché per le somme erogate sotto forma di
partecipazione agli utili dell’impresa - in particolare, elevando i limiti di
importo dell'imponibile ed ampliando l'àmbito soggettivo dei lavoratori ammessi
al regime in esame -. Lo stesso comma 160 ed i successivi commi 161 e 162 hanno
modificato le norme tributarie su alcuni valori, somme o servizi, percepiti o
goduti dal dipendente - cosiddetto welfare
aziendale -. Si è
tra l'altro chiarito, con una norma di interpretazione autentica
(avente, quindi, effetto retroattivo), che l'esenzione dall'IRPEF concerne
anche le opere ed i servizi[124] riconosciuti dal datore di lavoro in
conformità a disposizioni di contratti di lavoro nazionali o territoriali
(oltre che di contratti o regolamenti aziendali ovvero volontariamente).
In merito ai futuri interventi (da adottare
entro il 2017), il Documento indica i
seguenti obiettivi: "monitorare l’efficacia degli accordi di secondo
livello e degli effettivi guadagni di produttività associati agli interventi di
detassazione"; "incentivare la riforma della contrattazione
collettiva in chiave di recupero competitivo"; "dare maggiore certezza
ai contratti di secondo livello".
Il Documento rileva che la "piena operatività dell’ANPAL
permetterà, nei prossimi mesi, di attuare a pieno le politiche di sostegno alla
ricerca attiva di un’occupazione", in particolare con: l'istituzione di tutor "per la transizione
scuola-lavoro", al fine di consentire agli studenti, a partire dal terzo
anno della scuola secondaria di secondo grado, di pianificare un percorso
personale di "transizione scuola-lavoro"; il Piano di rafforzamento
dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro - predisposto
congiuntamente dall’ANPAL e dalle Regioni -, il quale prevede, tra l'altro, per
il periodo 2017-2020, un rafforzamento quantitativo del personale addetto ai
servizi per l’impiego ed un piano straordinario di formazione del personale
stesso; l'elaborazione e l'aggiornamento periodico, da parte della stessa
ANPAL, di una mappa "geo referenziata" delle imprese che presentino
la maggiore propensione all’assunzione di nuovo personale.
Il Documento indica inoltre che, entro il
prossimo mese di giugno, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
emanerà le linee di indirizzo triennale in materia di politiche attive del
lavoro.
Per quanto concerne il settore previdenziale, il Documento richiama gli interventi
realizzati con la legge di bilancio per il 2017, volti a rendere più equo e
flessibile il sistema realizzato con la riforma del 2011.
Si ricorda che la legge n.232/2016 (legge di
bilancio per il 2017) contiene numerose misure in materia previdenziale.
In tema di trattamento pensionistico
anticipato, sono state introdotti (articolo 1, commi da 166 a 178), in via
sperimentale dal 1° maggio 2017 al 31 dicembre 2018 (entro tale data il Governo
verifica i risultati della sperimentazione ai fini di una sua eventuale
prosecuzione), l'Anticipo finanziario a garanzia pensionistica (c.d. APE -
articolo 1, commi 166-178), una indennità, a favore di determinate categorie di
soggetti in condizioni di disagio sociale, spettante fino alla maturazione dei
requisiti pensionistici (c.d. APE sociale - articolo 1, commi 179-186) e una
rendita integrativa temporanea anticipata (c.d. RITA - articolo 1, commi
188-193).
L'APE consiste in un prestito concesso da un
soggetto finanziatore e coperto da una polizza assicurativa obbligatoria per il
rischio di premorienza corrisposto, a quote mensili per dodici mensilità, a un
soggetto in possesso di specifici requisiti, da restituire a partire dalla
maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia con rate di ammortamento
mensili per una durata di venti anni. Possono accedere all'APE i soggetti in
possesso dei seguenti requisiti: iscrizione all'Assicurazione generale
obbligatoria (AGO), alle forme sostitutive ed esclusive della medesima e alla
gestione separata; età anagrafica minima di 63 anni; maturazione del diritto
alla pensione di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi; anzianità contributiva di 20
anni; pensione pari almeno a 1,4 volte il trattamento minimo (al netto della
rata di ammortamento dell'APE); non essere già titolare di un trattamento
pensionistico diretto.
L'APE sociale consiste in una indennità,
corrisposta fino al conseguimento dei requisiti pensionistici, a favore di
soggetti che si trovino in particolari condizioni. Possono accedere all'APE
sociale i soggetti in possesso di un'età anagrafica minima di 63 anni e in
possesso, alternativamente, di uno dei seguenti requisiti: stato di
disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per
licenziamento, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale, che
abbiano concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro
spettante da almeno tre mesi e siano in possesso di un anzianità contributiva
di almeno 30 anni; soggetti che assistono da almeno sei mesi il coniuge o un
parente di primo grado convivente con handicap grave e sono in possesso di un
anzianità contributiva di almeno 30 anni; soggetti che hanno una riduzione
della capacità lavorativa uguale o superiore al 74%, e sono in possesso di un
anzianità contributiva di almeno 30 anni; lavoratori dipendenti che svolgono,
da almeno sei anni in via continuativa, specifiche professioni per le quali è
richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltoso e rischioso
il loro svolgimento, e sono in possesso di un anzianità contributiva di almeno
36 anni.
Per quanto concerne la c.d.
"quattordicesima", somma introdotta dal 2007 per incrementare i
trattamenti pensionistici di importo più basso, si prevede la rideterminandone
(dal 2017) dell'importo e dei requisiti reddituali dei beneficiari. In
particolare, si prevede che la quattordicesima venga erogata non più solamente
se il soggetto interessato possieda un reddito complessivo individuale non superiore
a 1,5 volte il trattamento minimo annuo I.N.P.S. (pari, per il 2016, a 501,89
euro), ma anche, con importi diversi, nei casi in cui il soggetto possieda
redditi fino al limite di 2 volte il trattamento minimo INPS (art.1, comma
187).
Con
riferimento al settore bancario, la Raccomandazione n. 3 invita l’Italia ad
accelerare il ridimensionamento dello stock
dei crediti deteriorati, anche
migliorando ulteriormente la disciplina dell'insolvenza e del recupero crediti,
nonché a completare rapidamente l'attuazione delle riforme in corso in materia di governo
societario nel settore bancario.
La
Commissione UE, nel Country Report
relativo all’Italia del 2017, rileva che sono stati fatti alcuni progressi per quanto riguarda il miglioramento del governo
societario e la riforma della disciplina dell'insolvenza e del recupero
crediti.
Al
contempo però sottolinea che si registrano progressi
limitati nell'affrontare il problema dei crediti deteriorati nel settore bancario.
Con
riferimento ai crediti deteriorati ed alle sofferenze bancarie (non performing loans – NPLs) il Governo
rileva la discesa, nel terzo trimestre del 2016, del flusso di nuovi prestiti
deteriorati, il cui tasso si è attestato al 2,6% del totale.
Alla
fine del 2013 era stato registrato un picco del 5,9% (dato riportato dalla
Commissione UE nel Country Report).
Per i
mesi futuri, il Governo stima un’ulteriore riduzione del tasso di ingresso in sofferenza. Più in
dettaglio si prevede che, alla fine del 2017, il flusso di nuovi prestiti in
sofferenza scenda dall’1,7% all’1,2% per i prestiti alle famiglie, e dal 4,1 al
3,1% per i prestiti alle imprese.
Con
riferimento alla consistenza dei crediti deteriorati lordi, il PNR
ricorda che nei primi sei mesi del 2016 l’ammontare si è attestato a 356
miliardi. Secondo i dati diffusi dalla Commissione UE nel predetto Country Report, nel terzo trimestre del 2016 lo stock
lordo di crediti deteriorati ammontava a 329
miliardi di euro.
A tale
proposito, la Commissione UE ha rilevato come siano stati compiuti progressi limitati nella riduzione dei prestiti deteriorati (la
cui consistenza era pari a 340,9 miliardi alla fine del 2015).
Con
riferimento al futuro, il Governo
stima che la riduzione dell’elevato
stock di crediti deteriorati sarà graduale. Ritiene tuttavia che vi siano margini per accelerare il
processo, tra cui anche il miglioramento dell’efficacia della gestione interna
delle banche.
Tra le
misure adottate in tale direzione si enumerano sia le iniziative della Banca
d’Italia, sia le iniziative intraprese dal Governo.
Per
quanto riguarda le azioni della Banca
d’Italia, si afferma che l’Autorità di vigilanza ha avviato la rilevazione
statistica e dettagliata sulle caratteristiche delle sofferenze; al contempo,
sono state estese al complesso delle banche le best practices
per la gestione dei crediti deteriorati già definite a livello europeo per
i maggiori gruppi.
Tra le misure varate dal Governo viene
ricordato lo schema di garanzia pubblica sui crediti in sofferenza (GACS), varato con il decreto-legge n.
18 del 2016; la Commissione UE il 30 dicembre 2016 ha autorizzato l’Italia a prorogare
di sei mesi (fino a giugno 2017) le garanzie pubbliche per aiutare gli istituti
di credito a raccogliere liquidità sui mercati finanziari.
Si
segnala che – secondo quanto emerge dal DEF – al 31 dicembre 2016 le garanzie concesse ad istituti di credito
a seguito della crisi finanziaria sono rimaste invariate rispetto al 2015 e
ammontano a circa 6,4 miliardi. Tali
garanzie sono concesse dallo Stato sulle passività delle banche relativamente
ai titoli obbligazionari emessi dagli istituti di credito. Nel confronto con i
principali partner europei, l’Italia risulta tra i paesi che hanno fatto minor
ricorso alle garanzie per gestire la crisi finanziaria e già a partire dal 2016
solo una minima quota dello stock complessivo di garanzie è rivolta al settore
bancario (circa lo 0,4% del PIL a fronte del 2,2% complessivo nel 2015).
Sono
inoltre citate le disposizioni volte a semplificare
gli adempimenti e snellire le
procedure per il recupero dei crediti, tra cui il pegno non possessorio (che consente
all’imprenditore di costituire una garanzia reale sui beni d’impresa senza
l’obbligo di consegna, con la possibilità di continuare ad utilizzare il bene e
di disporne; in quest’ultimo caso, il pegno si trasferisce al prodotto
risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della cessione o del bene
sostitutivo) il patto marciano (che nei contratti di credito con le imprese
consente ai creditori, in caso di default del debitore, di assumere la
titolarità della garanzia reale in via stragiudiziale) e l’uso delle tecnologie digitali nelle aste giudiziarie. Tali misure
sono state varate con il decreto-legge n. 59 del 2016.
In tale
contesto si inserisce il decreto-legge per la tutela del risparmio nel settore
creditizio (decreto-legge n. 237 del 2016), che stanzia complessivamente 20
miliardi al fine, tra l’altro, di concedere la garanzia dello Stato sulle nuove
emissioni degli istituti di credito.
Secondo
quanto emerge dal Documento, con tali misure il Governo intende massimizzare
l’efficacia degli strumenti messi a disposizione del sistema bancario, anche
attraverso azioni di stimolo al loro utilizzo; continuare a sviluppare il
mercato dei crediti deteriorati e rafforzare l’efficacia della supervisione
sulla qualità degli attivi bancari, mediante l’estensione a tutte le banche
delle best practices
europee nella gestione dei NPLs; incoraggiare e
sviluppare l’educazione finanziaria dei risparmiatori; rafforzare il sistema
bancario e ridurre lo stock dei NPLs.
Il
Governo stima di raggiungere gli obiettivi di rafforzamento del sistema
bancario e di riduzione dello stock di
NPL negli anni 2017-2018.
Si
rammenta che, con riferimento all’educazione finanziaria, il decreto-legge n.
237 del 2016 reca misure volte a sviluppare l'educazione finanziaria,
previdenziale ed assicurativa, mediante l'adozione di una Strategia nazionale per l'educazione finanziaria, assicurativa e
previdenziale e l’istituzione, allo scopo di attuare la predetta strategia,
di un Comitato nazionale per la diffusione dell'educazione finanziaria, assicurativa
e previdenziale.
Si
rammenta in questa sede che la Commissione UE - nel citato Country Report - pur riconoscendo il valore delle predette
iniziative afferma che manca una strategia globale relativa ai crediti
deteriorati, in quanto l'aiuto a breve termine fornito al settore è stato
finora limitato. Anche l’intervento dei capitali privati, a parere della
Commissione (con riferimento alla cartolarizzazione dei crediti deteriorati e
alla creazione di un loro mercato), potrebbe non avere la capacità necessaria
per svolgere un ruolo sistemico nel risanamento del settore bancario italiano.
In
relazione alla struttura ed alla governance del settore creditizio, il Governo
nel PNR sottolinea l’esistenza di specifici limiti strutturali del sistema finanziario italiano, rilevati anche
dalla Commissione Europea nel Country
Report. Si citano, tra gli altri, l’eccessiva frammentazione dell’offerta
(elevato numero di istituti bancari); la limitata disponibilità di altri tipi
di finanziamento alternativi al credito bancario; i lunghi tempi di recupero
per i crediti in sofferenza.
Si dà
atto della progressiva attuazione della riforma della governance del sistema
bancario italiano, sia con riferimento alle riforme avviate dal Governo (banche
di credito cooperativo e banche popolari), sia alle iniziative di autoriforma
del settore (fondazioni bancarie).
Il
Governo ricorda inoltre che è all’esame del Parlamento la proposta di legge istitutiva
di una Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario.
Nel
dettaglio l'A.C. 4410, giù approvato dal Senato, intende istituire una
Commissione bicamerale di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, avendo
particolare riguardo alla tutela dei risparmiatori. Essa è chiamata a
verificare gli effetti sul sistema bancario italiano della crisi finanziaria
globale e le conseguenze dell'aggravamento del debito sovrano; la gestione
degli Istituti bancari coinvolti in situazioni di crisi o di dissesto,
destinatari anche in forma indiretta di risorse pubbliche o posti in
risoluzione; l'efficacia delle attività di vigilanza sul sistema bancario e sui
mercati finanziari; l'adeguatezza della disciplina legislativa e regolamentare
nazionale ed europea sul sistema bancario e finanziario, nonché sul sistema di
vigilanza, anche ai fini della prevenzione e gestione delle crisi bancarie.
Con
riferimento alle caratteristiche del sistema bancario italiano, si ricorda in
questa sede che la Commissione UE
nel Country Report ne ha evidenziato ulteriori limiti strutturali e, in
particolare, ha rilevato la bassa redditività degli istituti italiani.
Tale
caratteristica a parere della Commissione è ascrivibile a diversi fattori, tra
cui: tassi d'interesse contenuti; limitata ripresa creditizia; riduzione dei
proventi non da interessi, a causa dell’andamento sfavorevole del mercato;
aumento delle spese non ricorrenti, ad esempio per le misure di
prepensionamento e per i contributi al Fondo di risoluzione; importanti
accantonamenti per le perdite su prestiti, anche se a un ritmo decrescente.
Come
anticipato, strettamente connessa alla tematica delle sofferenze bancarie è la
questione relativa alla disciplina
dell’insolvenza e del recupero crediti.
Il
Governo in tal senso rammenta quanto introdotto dal già richiamato
decreto-legge n. 59 del 2016 (patto marciano; pegno non possessorio; uso della
tecnologia nelle procedure concorsuali). Tali misure si inseriscono nel solco
di quanto già disposto con il decreto-legge n. 83 del 2015 che, in particolare,
ha ridisciplinato il trattamento fiscale delle
perdite sui crediti ed ha inteso agevolare l’accesso al credito alle imprese in
difficoltà e la ristrutturazione dei debiti.
In
particolare, il Governo ricorda l’istituzione del portale delle vendite pubbliche e la riforma della disciplina dell’insolvenza (A.S. 2681, già approvato dalla Camera e all’esame del
Senato al momento della redazione del presente lavoro), intesa a sostituire al
concetto di fallimento una procedura semplificata di liquidazione dei beni del
debitore, con una possibile soluzione concordataria. Il PNR ricorda inoltre che
le norme in esame alla Camera dei Deputati (A.C. 3671-ter), colmando una lacuna dell'attuale legge
fallimentare, intendono prevedere una specifica disciplina di crisi e
insolvenza dei gruppi di imprese.
Il Governo
stima di approvare i DDL di delega per la riforma della disciplina
dell’insolvenza e delle grandi imprese in crisi entro il 2017.
Per
approfondimenti si rinvia al paragrafo relativo al settore giustizia.
Con
riferimento alle iniziative avviate
dal Governo per favorire le misure
alternative al credito, si rinvia più diffusamente al capitolo relativo
alla competitività.
Il PNR
cita altresì l’insieme di misure - introdotte dalla legge di bilancio 2017 –
che disciplinano i Piani Individuali di
Risparmio – PIR, strumenti che godono di un trattamento fiscale di favore e
vincolano parzialmente i risparmiatori ad investire nelle piccole e medie
imprese italiane, nonché l’estensione – operata, parimenti, ad opera della
legge di bilancio 2017 – a tutte le PMI della possibilità di raccogliere
capitali mediante l’equity crowdfunding. Tale
misura, al momento della redazione del presente lavoro, è in fase di
attuazione.
Il
Governo stima di attuare pienamente e valutare l’efficacia di tali misure entro il 2017.
La sostenibilità ambientale viene
riconosciuta avere un ruolo centrale nel DEF 2017, nell'ambito di una politica
avente come obiettivo non solo l'aumento del benessere oggi, bensì anche la
garanzia della sostenibilità nel lungo termine, in modo da non compromettere le
possibilità delle generazioni future.
Uno
strumento d'azione strategico è rappresentato dagli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) che
la Legge n. 163/2016 di riforma del bilancio dello Stato ha
provveduto ad inserire nel ciclo di predisposizione dei documenti di
programmazione economica del Governo. Per la prima volta il DEF contiene quindi
un allegato tecnico contenente degli indicatori sperimentali volti a cogliere
l'impatto delle misure di politica economica sulla disuguaglianza, sull'ambiente e in generale sul benessere.
In
particolare, nel fare riferimento agli indicatori BES, il Documento evidenzia
la scelta del Governo di anticipare in via sperimentale l’inserimento di un
primo gruppo di indicatori nel processo di bilancio già dal DEF 2017. Tra i
quattro indicatori selezionati, in via provvisoria, dal Comitato a tal fine
creato, su sollecitazione del Ministro dell’Economia e delle Finanze, vengono
indicate le emissioni di CO2
e di altri gas clima alteranti.
A tale
riguardo, viene evidenziato l’andamento del triennio passato e quello
prevedibile secondo uno scenario a politiche vigenti e uno scenario che include
le scelte programmatiche del DEF.
La
scelta dell’indicatore relativo alle emissioni di CO2 e di altri gas
clima alteranti risponde in tal senso all’obiettivo di indirizzare le politiche
che incidono sulla sostenibilità ambientale, considerando altresì che si tratta
di una variabile inclusa nella strategia Europa 2020.
Pur in
presenza di una ripresa del ciclo produttivo ed industriale, le emissioni di CO2
equivalenti rimangono sostanzialmente
stabili nel periodo considerato evidenziando un progressivo processo di decarbonizzazione del
sistema economico (si veda, di seguito, la Fig. I.4). Nel 2016 ogni
abitante ‘ha generato’ in media 7,4 tonnellate di CO2 equivalenti:
si evidenziano al riguardo gli effetti prodotti dalle misure introdotte negli
ultimi anni, tra cui la rapida crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili, le detrazioni fiscali al 65% degli interventi
di riqualificazione energetica degli immobili privati (c.d. Ecobonus) e, più in generale, le numerose azioni volte a migliorare l’efficienza energetica.
Il
Documento sottolinea che, nello scenario programmatico, in linea con gli
impegni assunti a livello europeo, le emissioni si ridurranno ulteriormente
grazie alle misure previste dal Governo; al riguardo, si segnalano: la proroga
ed il potenziamento del c.d. Ecobonus, le norme sui requisiti minimi degli
edifici nonché la realizzazione di una infrastruttura
per i combustibili alternativi, rilevando che si incoraggerà così il
processo di diffusione dei carburanti a
più basso contenuto emissivo.
Per
l'analisi dei BES, si rinvia alla parte generale relativa al quadro
macroeconomico del presente dossier.
In materia di prevenzione del rischio sismico e dell’instabilità
idrogeologica oltreché della messa in sicurezza delle scuole, il DEF 2017
ricorda come, a seguito della serie di terremoti che ha avuto ripetutamente
luogo in Italia centrale nel 2016 e nel 2017 che ha causato numerose vittime e
ingenti danni agli edifici privati e pubblici, alle strade e al patrimonio
storico e artistico, nel 2017 il Paese dovrà affrontare notevoli spese per un intervento immediato e per avviare la ricostruzione nelle zone colpite.
Dopo aver richiamato le caratteristiche
morfologiche dell'Italia rispetto alla esposizioni a fenomeni di catastrofi
naturali, si rileva come l'impatto delle catastrofi risulta amplificato da carenze nella pianificazione territoriale,
dall'abuso del suolo e dell'ambiente, dall'inadeguatezza dei lavori di
manutenzione, in particolare in conseguenza delle ridotte risorse per tali
interventi a seguito delle misure di contenimento della spesa pubblica. Il
Documento ricorda che sono, inoltre, in corso di emanazione i decreti volti a
ripartire il ‘Fondo di investimento’ pluriennale, una quota rilevante del quale
sarà assegnata nel 2017 per garantire la messa in sicurezza di scuole e uffici
pubblici e l’adozione di misure per prevenire il rischio sismico e il dissesto idrogeologico (per un importo stimato
pari a 0,5 miliardi).
Infine, a livello locale, si ricorda l'avvio
di ulteriori azioni per favorire la salvaguardia
del territorio, con la concessione a regioni e comuni di margini aggiuntivi
per gli investimenti.
Al riguardo, si ricorda come la Commissione europea, nelle Relazioni specifiche per
paese 2017, ha evidenziato il deficit che consegue all'impatto, in Italia,
dei recenti terremoti, stimato, per il 2017, dalla Commissione nello 0.18 %
dello GDP.
In materia di impatto
finanziario delle misure del PNR, i dati economico finanziari per il
quinquennio 2016-2020, per il settore energia
e ambiente, recano, nella Tavola III.9 (che di seguito si riporta) i dati
in termini di maggiori spese e minori entrate quali impatto finanziario delle
misure del Programma nazionale, alla cui trattazione si rinvia.
(in
milioni di euro)
|
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
Energia e ambiente* |
|
|
|
|
|
Maggiori
spese |
51 |
358 |
557 |
592 |
356 |
Maggiori
entrate |
542 |
167 |
675 |
84 |
84 |
Minori
spese |
0 |
0 |
100 |
9 |
9 |
Minori
entrate |
0 |
138 |
1.513 |
1.603 |
1.624 |
*
Al
netto degli importi inseriti nella Tabella E allegata alla Legge di bilancio
2017. |
Si fa
presente, al riguardo, che nell'ambito delle maggiori spese indicate dal Documento (per un totale di circa 87,7
miliardi afferenti il quadro complessivo delle diverse politiche) vengono
indicate, tra le altre, quelle relative ad Infrastrutture e sviluppo, con un
valore in media di 2,9 miliardi annui dal 2017, che riguardano, oltre a
infrastrutture e trasporti, anche difesa
del suolo, prevenzione del rischio
sismico, edilizia pubblica, riqualificazione urbana e sicurezza
delle periferie.
Il PNR 2017 richiama il tema della sostenibilità, sottolineando la
necessità di politiche con un approccio multidimensionale, coerente ed
efficace, che vada oltre l'attenzione al solo reddito ma si estenda ad altre
dimensioni chiave del benessere. In particolare, si fa al riguardo riferimento,
quali strumenti di azione strategici:
la definizione della Strategia Nazionale
per lo Sviluppo Sostenibile; il monitoraggio periodico dei target attraverso
indicatori di risultato quali gli indicatori
di benessere sostenibile.
Si
ricorda, al riguardo, che tra i quattro indicatori inseriti dal DEF 2017 vi
sono le emissioni di CO2 e di
altri gas clima alteranti. Peraltro, a fronte, per il triennio 2014-2016, di un sostanziale miglioramento per gli
altri tre indicatori considerati, i dati mostrano, con riguardo alle emissioni,
un trend in peggioramento, dato rispetto al quale il DEF fa riferimento agli
effetti della ripresa economica.
Il PNR
indica poi tra le Azioni strategiche
(Tavola I.1), nell'ambito della policy
competitività, le misure in materia di Dissesto
idrogeologico e rischio sismico, facendo riferimento anche al progetto Casa Italia (punto 32), con un arco
temporale dal 2017 al 2020; nonché la Strategia
Energetica Nazionale 2017 e il Decreto
Energia (punto 37), da definire entro il 2017.
Tra gli
strumenti d'azione strategici il DEF 2017 annovera la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile 2017-2030 (SNSvS)[125], che
rappresenta lo strumento attraverso il quale si intende dare attuazione a
livello nazionale all'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile adottata dalle Nazioni Unite nel settembre
2015.
L'Agenda
2030, basandosi su quattro principi guida - integrazione, universalità,
inclusione e trasformazione - sancisce l’impegno a eliminare la povertà e a
conseguire uno sviluppo sostenibile entro il 2030 a livello mondiale,
garantendo che nessuno sia lasciato indietro. Essa fissa 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs o OSS) e 169
sotto-obiettivi (target) correlati di natura globale, universalmente
applicabili e interconnessi, volti a garantire uno sviluppo che soddisfi i
bisogni di oggi senza compromettere la capacità delle generazioni future di
soddisfare i propri, garantendo una vita dignitosa per tutti, nel rispetto dei
limiti del pianeta, in società pacifiche caratterizzate da inclusione e
giustizia sociale. Tutti i paesi, quelli sviluppati come quelli in via di
sviluppo, hanno la responsabilità
condivisa di conseguirli. L’Agenda 2030 integra quindi in modo equilibrato
le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile (economica, sociale e ambientale) e riflette per la prima
volta un consenso internazionale sul fatto che la pace, la sicurezza, la
giustizia per tutti e l’inclusione sociale non sono obiettivi da perseguire
soltanto singolarmente ma si rafforzano vicendevolmente.
L’Agenda
2030 si fonda su un partenariato globale
che vede coinvolte tutte le parti interessate e richiede la mobilitazione di
tutti i mezzi di attuazione nonché un solido meccanismo di monitoraggio e controllo per garantire i progressi e la
responsabilità.
Tra i
17 OSS figurano obiettivi qualitativi e quantitativi per i prossimi 15 anni,
incentrati su un futuro che garantisca la dignità umana, la stabilità, un
pianeta sano, società forti e resilienti ed economie prospere.
A
livello europeo, lo sviluppo sostenibile costituisce un tema centrale che trova
riscontro e integrazione in progetti trasversali di importanza strategica così come in
politiche e iniziative settoriali[126]. Gli OSS sono già perseguiti attraverso numerose politiche dell’UE e sono integrati in tutte le dieci priorità della Commissione
Junker. Inoltre, lo sviluppo sostenibile è stato integrato nella Strategia Europa 2020 per una crescita intelligente,
sostenibile e inclusiva adottata nel 2010[127]. La Strategia Europa 2020 si basa su tre priorità interconnesse che si
rafforzano a vicenda: sviluppare un'economia basata sulla conoscenza e
sull'innovazione (“intelligente”), promuovere un'economia efficiente sotto il
profilo delle risorse, a basse emissioni di carbonio, resistente ai cambiamenti
climatici e competitiva (“sostenibile”), incoraggiare un'economia con un alto
tasso di occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale
(“inclusiva”).
Il DEF
2017, sottolineando l'importanza di un'azione comune a livello europeo per dare
una corretta attuazione all'Agenda 2030 e allo sviluppo sostenibile nel quadro
delle politiche cofinanziate dai fondi strutturali e di investimento, sancisce
l'impegno dell'Italia a farsi promotrice di questa visione di lungo periodo e a
stimolare nelle sedi europee la disponibilità di strumenti operativi per il
raggiungimento degli obiettivi strategici.
Facendo
riferimento poi al processo volto all'elaborazione della Strategia Nazionale
per lo Sviluppo sostenibile il DEF sottolinea come esso si basi sulla condivisione della sostenibilità come
modello di sviluppo e sul coinvolgimento
dei soggetti che sono parte attiva nello sviluppo sostenibile di una società. In particolare, in tale
contesto partecipativo le consultazioni effettuate si sono focalizzate su tre
contenuti principali:
§ valutazione
del "posizionamento" dell'Italia rispetto ai 17 OSS e ai 169
sotto-obiettivi dell'Agenda 2030;
§ individuazione,
a partire dall'analisi del posizionamento, dei punti di forza e di debolezza
della situazione italiana;
§ obiettivi
strategici nell'ambito delle aree strategiche dell'Agenda 2030, le
"5P": "Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership".
Il DEF
richiama inoltre la possibilità di fissare obiettivi intermedi fino al 2030 al
fine di rendere credibile lo sforzo politico ed economico da intraprendere. Uno
di essi sarebbe, nei prossimi cinque anni, quello di riportare l'Italia al benessere
socioeconomico antecedente alla crisi. Altri obiettivi perseguiti nelle misure
contenute nel PNR sono: ridurre la povertà, la disuguaglianza e la
disoccupazione; ripristinare la fiducia nelle istituzioni; rafforzare la
crescita professionale, la formazione, la competitività delle imprese anche
mediante una quarta rivoluzione industriale basata sulla tecnologia innovativa
e sostenibile.
Il
progetto ‘Casa Italia’, secondo quanto riportato nel PNR (sezione
III.6), lanciato all’indomani del sisma dell’agosto 2016, mira a mettere in sicurezza il territorio
nazionale. Vengono indicati a quattro pilastri fondamentali: la raccolta di
informazioni sul territorio e sugli immobili attraverso la mappatura del rischio; la quantificazione
del finanziamento pubblico; la sperimentazione
di interventi-pilota e la predisposizione di un piano formativo per la prevenzione
del rischio.
Si
ricorda, al riguardo, come l'articolo 18-bis, inserito in sede di conversione, del
decreto-legge n. 8 del 2017, recante 'Nuovi interventi urgenti in favore delle
popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e del 2017' ha previsto
l'istituzione di un apposito dipartimento presso la Presidenza del Consiglio
dei ministri per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento
dell'azione strategica del Governo connesse al progetto «Casa Italia».
Il
Documento evidenzia come al piano si ricolleghino il c.d. Sisma bonus e le linee guida
per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni, approvate con
decreto ministeriale e in vigore dal 1 marzo 2017, strumenti entrambi volti ad
affrontare il tema del rischio sismico, promuovendo una cultura della
conoscenza e della prevenzione.
Viene
richiamato il Piano nazionale contro il
dissesto idrogeologico varato nel 2015, in attuazione del quale a marzo
2017 sono stati stanziati due miliardi che finanzieranno cinquecento progetti
di intervento. Si evidenzia la destinazione, per l’80% delle risorse, alle
regioni del Sud, mentre il restante 20% al Centro-Nord. Inoltre, viene
evidenziato come il 20% delle risorse di ciascuna regione sia riservato alla progettazione di interventi integrati
che non solo mitighino il rischio idrogeologico ma tutelino e recuperino
ecosistemi e biodiversità.
In
materia di riqualificazione urbana, il
Documento dà conto del ‘Bando
Periferie’, ove si prevede uno stanziamento di 500 milioni di euro per la
riqualificazione urbana oltreché per la sicurezza delle periferie, definendo
modalità e procedure di presentazione dei progetti, che dovranno riguardare le
aree urbane caratterizzate da situazioni di marginalità economica e sociale, degrado edilizio e carenza di servizi e
non dovranno consumare altro suolo.
Il PNR dà conto, inoltre, nella sezione relativa alla valorizzazione e
dismissione del patrimonio immobiliare , che nel 2017 verranno avviati numerosi
interventi edilizi su edifici pubblici per renderli più sicuri e aumentarne
l’efficienza energetica. Inoltre, si fa riferimento al progetto ‘Valore
Paese-Cammini e Percorsi’, che nel 2017 prevederà l’iniziativa, volta al
recupero e riuso di beni pubblici situati lungo itinerari storico–religiosi e ciclopedonali, con l’obiettivo di potenziare
l’offerta turistico-culturale e la messa in rete di siti di interesse storico e
paesaggistico.
In
materia di semplificazione della PA
(III.4), viene citata la riforma in materia di nuova VIA, che ingloberà
tutte le autorizzazioni in campo ambientale, e che si inserisce nell'ambito
dell'attuazione della direttiva 2014/52/UE, che modifica la direttiva
2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati
progetti pubblici e privati; si evidenzia come esso preveda il riordino delle
regole e la definizione di termini perentori,
con conseguente riduzione dei tempi del procedimento.
Si
ricorda che lo schema di Decreto legislativo in materia di Valutazione di
impatto ambientale, che novella in più parti il Codice dell'ambiente, è
attualmente all'esame delle Commissioni ambiente di Camera e Senato per
l'espressione del parere parlamentare (A.G. 401).
In materia di ambiente ed energia, richiamando i targets in materia di emissioni
di gas serra, fonti rinnovabili
ed efficienza energetica, il PNR evidenzia la presentazione del primo Rapporto sullo stato del Capitale Naturale
redatto in attuazione del c.d. Collegato Ambientale (l. 221 del 2015). Esso si presenta quale
strumento di misurazione nell'ottica di avviare l’Italia ad uno sviluppo di
tipo sostenibile duraturo, basato su politiche pubbliche che concilino crescita
economica e buono stato di conservazione del capitale naturale e dei suoi
servizi ecosistemici.
In particolare, il Rapporto raccoglie informazioni
sullo stato di conservazione delle componenti del capitale naturale, quali acqua, suolo, aria, biodiversità ed
ecosistemi, avviando un modello di valutazione
e un’analisi degli effetti delle
politiche pubbliche. Il PNR evidenzia la necessità, in raccordo con il DEF,
di integrare la valutazione del
Capitale Naturale nella pianificazione
territoriale anche con lo strumento delle procedure di valutazione di
piani, programmi e progetti, implementando le disposizioni riguardanti i
criteri degli appalti di fornitura per il Green Public Procurement, e
rafforzando il sistema delle aree
protette a terra e mare. Viene a
tal fine ricordato che è all'esame del parlamento il disegno di legge ‘Nuove
norme in materia di parchi e aree protette’ (A.C.
4144, già
approvato, in prima lettura, dal Senato, A.S. n. 119 nel
testo unificato), di cui si ricorda in particolare la previsione della Delega
al Governo ivi contenuta per l’introduzione di un sistema volontario di
remunerazione dei servizi ecosistemici.
Il cronoprogramma in materia di politiche
ambientali richiamato nel PNR indica, nelle griglie di dettaglio, come in fase
di avanzamento la riforma della governance dei parchi, indicandone la prevista adozione entro il 2017.
Il PNR ricorda come il collegato ambientale
abbia previsto l’aggiornamento della Strategia
nazionale per lo sviluppo sostenibile, che, come detto, offre il quadro strategico
di riferimento complessivo per l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo
Sostenibile delle Nazioni Unite (Agenda 2030). La proposta di Strategia
nazionale, sottolinea il Documento, troverà la sua operatività nelle azioni
declinate dal Programma Nazionale di Riforma.
In materia di strategia energetica nazionale (SEN), si ricorda come questa,
nell’ambito del quadro di riferimento degli obblighi derivanti a livello
internazionale dall’Accordo di Parigi sul clima, sia in fase di finalizzazione:
rivista e aggiornata, rispetto alla Strategia del 2013, tenuto conto dei nuovi
obiettivi europei su clima ed energia nonché delle trasformazioni economiche,
anche del mercato energetico. Vengono quindi richiamati gli obiettivi della
Strategia, quali: ridurre il gap di costo rispetto agli altri Paesi europei;
individuare le principali scelte strategiche in campo energetico, anche tenendo
conto dei nuovi obiettivi europei del Clean Energy Package; definire le
priorità di azione ed indirizzare le scelte di allocazione delle risorse
nazionali; gestire il ruolo chiave del settore energetico come fattore di
crescita sostenibile del Paese; migliorare la sicurezza di approvvigionamento.
La SEN del 2017 costituirà, evidenzia il Documento, anche la base per il Piano da inviare alla Commissione
europea nel 2018, nel quadro della nuova Governance dell'energia[128] con riferimento agli obiettivi europei al 2030 in termini di fonti rinnovabili, efficienza energetica e riduzione CO2.
In
relazione al conseguimento di tali obiettivi vengono indicate una serie di misure considerate strategiche, tra cui: l'individuazione del mix ottimale fra
rinnovabili elettriche, termiche e trasporti, definendo le politiche di
incentivazione; la revisione dell’evoluzione del sistema gas ai fini dello
sviluppo infrastrutturale, per aumentare la liquidità del mercato e analizzare
le implicazioni in termini di Security of Supply allo scadere dei
contratti di lungo periodo,e del sistema elettrico, per definire gli
investimenti infrastrutturali e completare l’armonizzazione delle regole di
mercato a livello UE; la liberalizzazione del mercato elettrico e del gas,
definendo il percorso per la piena apertura del mercato retail;
l'indirizzo del settore della raffinazione e della logistica petrolifera
coerentemente con gli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili nei
trasporti; la promozione di tecnologie energetiche pulite; si richiama inoltre la correzione dei malfunzionamenti
dei mercati energetici, per la riduzione dei costi di approvvigionamento per
famiglie e imprese. Dopo aver richiamato il processo partecipativo previsto, si
preannuncia l’adozione definitiva per metà 2017.
In materia di efficientamento energetico delle imprese, si dà conto dello
stanziamento, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico di 100 milioni a
valere sul PON Imprese e competitività per le regioni Basilicata, Campania,
Calabria, Puglia e Sicilia, con l'obiettivo di riduzione dei consumi energetici
e delle emissioni di gas delle imprese e delle aree produttive. Viene poi
richiamato un provvedimento quadro (c.d.
‘Decreto Energia’) che, nel rispetto della sostenibilità delle finanze
pubbliche, perseguirà la riduzione dei costi energetici delle imprese e dei
divari con i competitor internazionali, mediante interventi strategici, quali
l’attuazione della riforma degli oneri di sistema elettrico, che decorrerà dal
1° gennaio 2018, il corridoio di liquidità per il mercato del gas e i nuovi
criteri di sostegno alle energie rinnovabili.
Si
ricorda che nella Appendice D al Programma nazionale di Riforma, recante la
Sintesi delle misure in risposta ai Target della Strategia Europa 2020,
con riferimento agli obiettivi 3, 4 e 5,
viene indicata una articolata serie di azioni.
Per
quanto concerne le emissioni di gas serra (Target 3), si indica una riduzione
del 13%, con misure inerenti:
·
La vigilanza
su sostanze inquinanti, che sarà incrementata, per assicurare il rispetto
degli obblighi in materia di sostanze ozono lesive (ODS) e di gas fluorurati ad
effetto serra.
·
Il sostegno alla mobilità sostenibile, con l'istituzione un Fondo presso il MIT per
l’acquisto o noleggio di tutte le tipologie di mezzi adibiti al trasporto
pubblico locale e regionale e destinato anche alla riqualificazione elettrica
dei mezzi (già indicata nel DEF 2016). Inoltre, come nel DEF 2016, sono
previste ulteriori risorse finanziarie, pari a 210 milioni per ciascuno degli
anni 2019 e 2020, di 130 milioni e per il 2021 e 90 milioni per il 2022.
Inoltre, sarà realizzato il programma
sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro di
cui alla legge 221/2015 (c.d. collegato ambientale) e relativo decreto
attuativo di luglio 2016. Ai fini della realizzazione del suddetto programma
sono stanziati 35 milioni (cifra già prevista dall'Appendice al PNR 2016).
Inoltre, si incrementa il Fondo per la realizzazione di un Piano strategico nazionale della mobilità sostenibile per il rinnovo
del parco autobus dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, nonché
la promozione e il miglioramento della qualità
dell’aria con tecnologie innovative. L'incremento è disposto dalla Legge di
Bilancio 2017 ed il Piano sarà approvato entro il 30 giugno 2017. Gli
stanziamenti ammontano a 2 milioni nel 2017, 50 milioni nel 2018 e 250 milioni
a decorrere fino al 2033.
·
Si richiamano la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, la Strategia Energetica Nazionale nonché
la Strategia nazionale di adattamento ai
cambiamenti climatici, per
quest'ultima prevedendosi un piano nazionale, i cui contenuti saranno
concordati in sede di Conferenza Stato-Regioni, ai fini di considerare i
diversi livelli di governo, anche con la creazione di un Osservatorio nazionale
sull'adattamento.
·
Il Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico, per il quale a
marzo 2017 sono stati stanziati 2 miliardi di euro, che finanzieranno 500
progetti di intervento i quali, oltre a mitigare il rischio idrogeologico,
tutelino e recuperino ecosistemi e biodiversità.
·
Si fa riferimento alla riattivazione del Fondo Rotativo di Kyoto, funzionale
all'erogazione di finanziamenti a tasso agevolato per la riqualificazione
energetica degli edifici scolastici e delle università. A questo proposito è
stato fatto un bando, che resterà aperto fino al 30 giugno 2017. Si ricordano
poi gli impegni assunti con l'Accordo di
Parigi, ratificato con legge del 4 novembre 2016, n. 204.
Per
quanto concerne le misure finalizzate a portare al 17% la quota di produzione
energetica da fonti rinnovabili (Target 4) si indicano interventi in
favore dell'efficienza energetica, degli incentivi su impianti sostenibili e
dell'uso efficiente dei carburanti.
In
particolare, quanto all'efficienza
energetica, si indicano due progetti attivati attraverso bandi pubblici:
uno sull’analisi dell’impronta di carbonio nel ciclo di vita dei prodotti di
largo consumo, e l'altro per il cofinanziamento di progetti realizzati da Enti
pubblici per l’impiego di tecnologie per l’efficienza energetica e le fonti
rinnovabili. Gli incentivi su impianti
sostenibili interessano sia impianti esistenti che impianti futuri. La
Legge di Bilancio 2017 promuove l’accesso al Fondo di garanzia per le PMI da
parte delle imprese operanti nel settore della geotermia, nonché si richiama la
regolamentazione che incentiva l’uso dell’energia elettrica prodotta da fonti
rinnovabili diverse dal fotovoltaico.
L'uso
efficiente dei carburanti viene previsto attraverso il recepimento di Direttive
europee che promuovono e disciplinano lo sviluppo dei carburanti alternativi,
compresi quelli nel comparto dei trasporti. Sarà attivato un Protocollo con
centri di ricerca e/o amministrazioni pubbliche per lo sviluppo della
produzione e l'uso dei biocarburanti
nel settore dell'aviazione.
Per
quanto concerne l'efficienza energetica
(Target 5), si indicano misure di aggiornamento e potenziamento del
meccanismo di incentivazione e del c.d.Conto termico, nonché l'incentivazione
degli interventi di riqualificazione energetica nella Pubblica Amministrazione.
Per la riqualificazione energetica degli edifici della Pubblica Amministrazione
centrale sono stati allocati 350 milioni nel periodo 2014-2020, di cui la prima
tranche è stata attivata, con finanziamenti di circa 70 milioni. Si indica che
i certificati bianchi saranno aggiornati e potenziati e saranno definiti gli
obiettivi di risparmio di energia che le imprese di distribuzione di energia
elettrica e gas devono perseguire nel quadriennio 2017-2020.
Per
aumentare il numero degli edifici ad energia quasi zero, si fa riferimento
all'approvazione di un piano di azione denominato PANZEB; saranno finanziati
progetti di efficientamento energetico di edifici pubblici degli enti locali
(edifici comunali, Asl, scuole). Viene indicata a tale riguardo la somma di 100
milioni di euro, a valere sui Fondi di sviluppo e coesione, nonché
l’efficientamento energetico dell’illuminazione pubblica dei siti comunali
interessati dai percorsi giubilari. Si ricordano infine le misure di incentivazione
fiscale adottate in materia di riqualificazione energica degli edifici.
Si ricorda, infine,
che il Cronoprogramma in materia di politiche ambientali richiamato
nell'Appendice A al PNR indica, nelle griglie di dettaglio, come in fase di
avanzamento la Strategia Nazionale per lo sviluppo sostenibile - da adottare a
giugno 2017 -, nonché la normativa in materia di gestione dei rifiuti, con
riguardo alla Autorità di regolamentazione e alle modifiche della disciplina
relativa alla suddetta gestione, da adottare entro il 2017. Viene indicata
l'adozione, a ottobre 2016, delle misure in materia di distretti idrografici di
cui al DM n. 294 del 25 ottobre 2016 ai sensi dell'art.63, comma 3, del
decreto legislativo 152/2006, c.d. Codice dell'ambiente.
[1] Il
presente dossier è stato aggiornato per tener conto degli errata corrige pervenuti il 14 e il 18
aprile.
[2] La presentazione del Programma di stabilità
e del Programma nazionale di riforma al Consiglio dell'Unione europea e alla
Commissione europea entro il 30 aprile, già prevista dall’art. 9, co. 1, della
legge n. 196/2009, è regolata dal Regolamento UE n. 473/2013, recante
disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti
programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli
Stati membri della zona euro, che fissa, all’articolo 4, un calendario comune
di bilancio.
[3] Secondo quanto previsto dalla legge n.163
del 2016, che, nel quadro di un ampio intervento sulla legge di contabilità -
operato sulla base dell’articolo 15 della legge di attuazione del principio del
pareggio di bilancio n.243 del 2012 – ha così modificato il comma2, lettere e) ed f) dell’articolo 10.
[4] Anche in tal caso - per tale ulteriore
elemento informativo della seconda sezione del DEF – secondo quanto disposto
dalla legge n.163 del 2012 sopra citata, che ha così modificato il comma 3,
lettera f), dell’articolo 10.
[5] Si ricorda che la Nota di aggiornamento del
DEF 2016 aveva ridimensionato le stime della crescita del PIL reale per il 2016, dall’1,2% del DEF di aprile allo 0,8%, in relazione agli
andamenti congiunturali della prima parte dell’anno, che denotavano una fase di
rallentamento della ripresa economica, conseguente ad un indebolimento della
domanda interna, dovuta una minore dinamica sia dei consumi che degli
investimenti, nonostante il miglioramento della domanda estera netta.
[6] Comunicato ISTAT, “Conti economici trimestrali” (3
marzo 2017).
[7] ISTAT, “PIL e indebitamento AP –
Anni 2014-2016” (1
marzo 2017).
[8] Comunicato ISTAT “Prezzi delle abitazioni – IV Trimestre 2016”, del
4 aprile 2017.
[9] Comunicato ISTAT, “Produzione industriale”, del
10 febbraio 2017.
[10] Si veda, in particolare, il Reg. (EU)
473/2013, facente parte del c.d. Two-Pack.
[11] La legge costituzionale n. 1/2012 ha previsto
l'istituzione presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia
costituzionale, di un organismo indipendente al quale attribuire compiti di
analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione
dell'osservanza delle regole di bilancio. Il 15 settembre 2014 è stato siglato
il Protocollo d’intesa tra il Ministero dell’economia e delle finanze e l’UPB
che disciplina il processo di validazione delle previsioni macroeconomiche.
[12] Secondo tali clausole, le aliquote IVA
salirebbero di tre punti a gennaio 2018, unitamente ad un lieve aumento
dell’accisa sui carburanti. L’aliquota IVA standard salirebbe quindi di
ulteriori 0,9 punti a gennaio 2019.
[13] Comunicato ISTAT del 17 marzo 2017.
[14] Comunicato ISTAT, “Prezzi al consumo”, del
13 aprile 2017.
[15] PNR, paragrafo II.2
[16] DEF 2017, Sezione II, Tabella I.1-1
[17] DEF 2017, Sezione II, Tabella I.1-2
[18] Recante “Modifiche alla legge 31 dicembre
2009, n. 196, concernenti il contenuto della legge di bilancio, in attuazione
dell'articolo 15 della legge 24 dicembre 2012, n. 243”, pubblicata nella G.U..
25 agosto 2016, n. 198.
[19] Sul sito dell’Istat è possibile approfondire
l’analisi delle 12 dimensioni
del benessere e degli indicatori che le compongono: Salute, Istruzione e formazione, Lavoro e conciliazione tempi di vita, Benessere economico, Relazioni sociali, Politica e istituzioni, Sicurezza, Benessere soggettivo, Paesaggio e patrimonio culturale, Ambiente, Ricerca e innovazione, Qualità dei servizi.
[20] Il reddito equivalente è definito
rapportando il complesso dei redditi disponibili della famiglia (effettivi e
figurativi) al numero “equivalente” dei familiari (mediante pesi derivati dalla
scala di equivalenza utilizzata dall’Istat al fine di correggere il reddito
pro-capite o per le economie di scala intra familiari).
[21] Il documento segnala che, per questo
indicatore, le stime differiscono da quelle fornite nell’allegato V al DEF (Relazione
del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sullo stato
di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto
serra. L. 39/2011, art. 2, c. 9), sia per la diversa definizione
dell’aggregato di riferimento sia per la differente metodologia simulativa. I
due scenari differiscono, ad esempio, per le ipotesi sui prezzi internazionali
energetici e sui tassi di crescita, che nell’Allegato IV devono necessariamente
essere coerenti con quelle fornite dalla Commissione europea.
[23] Comunicati Istat “PIL e indebitamento AP”
del 1° marzo 2017 e “IV trimestre 2016 - Conto economico trimestrale delle
amministrazioni pubbliche”, del 4 aprile 2017.
[24] Comunicati Istat “PIL e indebitamento Ap” del 1° marzo 2017 e “IV trimestre 2016 - Conto
economico trimestrale delle amministrazioni pubbliche”, del 4 aprile 2017.
[25] Art. 17-ter
del DPR n. 633/1972, introdotto dall’art. 1, comma 629, lett.
b), della legge n. 190/2014 (legge di
stabilità 2015).
[26] Il meccanismo di scissione dei pagamenti è
indicato nel libro verde sul futuro dell'IVA (documento COM(2010)695, del 1°
dicembre 2010, con allegato un documento di lavoro SEC(2010)1455), tra i
meccanismi che possono migliorare il sistema della riscossione dell'imposta sul
valore aggiunto, evitando frodi ed evasioni dell'IVA. L'introduzione di questa
misura di deroga, finalizzata dall'esigenza di contrasto ai fenomeni di frode,
nell'ordinamento nazionale è stata autorizzata, ai sensi dell'articolo 395
della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al
sistema comune di imposta sul valore aggiunto, con decisione del Consiglio
2015/1401/UE del 14 luglio 2015, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
dell'Unione europea serie L n. 217/7 del 18 agosto 2015.
[27] Documento economia e finanza 2017, sezione I.
[28] Il Bollettino delle entrate tributarie,
pubblicato dall’Agenzia delle entrate, riporta le entrate tributarie erariali
derivanti dagli accertamenti secondo il criterio della competenza giuridica.
[29] Documento di economia e finanza, sezione I.
[30] Introdotta dall’art. 1, co. 547 e 548, della
legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017).
[31] Tabella II.2-9 del DEF, Sezione II, Analisi e
tendenze della Finanza pubblica.
[32] DEF 2017, Sezione I.
[33] Articolo 1, comma 398, della legge n.
232/2016 (legge di bilancio 2017)
[34] Tra le misure in favore della famiglia si
ricordano le seguenti:
·
bonus di 800 euro in un’unica soluzione per le
future madri;
·
bonus di 1.000 euro annui quale contributo
monetario per spese afferenti a rette di asili nido ovvero per supporto a
domicilio per bambini affetti da malattie croniche;
·
per gli anni 2017 e 2018 il rifinanziamento e
il potenziamento dei voucher asili
nido per lavoratrici dipendenti e autonome;
·
per gli anni 2017 e 2018 la proroga e il potenziamento
del congedo obbligatorio per i padri (con potenziamento per l’anno 2018).
[35] Art. 35, comma 8 del D.L. 1/2012 e art. 1,
comma 395 della L. 190/2014.
[36] Per una illustrazione delle regole di
bilancio europee cfr. Servizio del Bilancio del Senato della Repubblica, La governance economica europea, Elementi
di documentazione n.3, giugno 2013.
[37] Il prolungarsi della recessione ha
contribuito a ridurre il tasso di crescita del PIL potenziale. In tale contesto
un aumento sia pure contenuto del PIL effettivo consente la chiusura dell'output gap.
[38] Cfr. par. 2.3 (relazione ex art. 6, c. 5),
per l'illustrazione del nuovo percorso di avvicinamento.
[39] L’indicatore di medio periodo, S1, individua
la variazione del saldo primario strutturale in termini cumulati fino al 2020
tale da garantire, se mantenuta costante negli anni successivi, di raggiungere
un livello di debito/PIL pari al 60% entro il 2030, e ripagare i costi di
invecchiamento, cfr. DFP n. 12, DEF 2016 (Doc. LVII, n. 4), aprile 2016.
[40] La comunicazione del
13 gennaio 2015 riguarda l’utilizzo di margini di flessibilità nel
perseguimento dell’Obiettivo di medio termine per “tenere conto in modo
ottimale di tre dimensioni politiche specifiche, concernenti rispettivamente:
i) gli investimenti, in particolare riguardo all’istituzione del nuovo Fondo
europeo per gli investimenti strategici nel quadro del piano di investimenti
per l’Europa; ii) le riforme strutturali e iii) la situazione congiunturale”.
[42] L’art. 5, par. 1, del Reg. (CE) n. 1466/97
dispone che: “Qualora si produca un evento inconsueto al di fuori del controllo
dello Stato membro interessato che abbia rilevanti ripercussioni sulla
situazione finanziaria generale di detto Stato o in caso di grave recessione
economica della zona euro o dell'intera Unione, gli Stati membri possono essere
autorizzati ad allontanarsi temporaneamente dal percorso di aggiustamento
all'obiettivo di bilancio a medio termine […], a condizione che la
sostenibilità di bilancio a medio termine non ne risulti compromessa.”
Corrispondentemente, l’art. 6, par. 3, del medesimo Regolamento, nel
disciplinare la valutazione delle deviazioni dall'MTO o dal relativo percorso
di avvicinamento, e le circostanze in presenza delle quali tali deviazioni
risultino “significative” dispone che: “… la deviazione può non essere
considerata significativa qualora sia determinata da un evento inconsueto che
non sia soggetto al controllo dello Stato membro interessato e che abbia
rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale dello Stato
membro o in caso di grave recessione economica della zona euro o dell'intera Unione,
a condizione che la sostenibilità di bilancio a medio termine non ne risulti
compromessa.”
[43] Commissione europea, Vade Mecum on the Stability and Growth Pact,
2016 edition, paragrafo 1.3.2.5, http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/eeip/pdf/ip021_en.pdf
[44] Rapporto sui fattori rilevanti ai fini del
debito del febbraio 2017.
[45] Relazione ai sensi dell'art. 6, c. 5, della
L. n. 243/2012 (Doc. LVII, n. 4-bis -
Annesso).
[46] I
caratteri corsivi sono stati aggiunti.
[47] Oltre alle deviazioni temporanee già
concesse, pari allo 0,07% del PIL, in relazione ai costi aggiuntivi sostenuti
nel 2015 e nel 2016.
[48] Per la modalità con cui è stata condotta la
stima cfr. ultima nota del paragrafo 2.3.
[50] Cfr. l'approfondimento sulla regola della
spesa nell'ED n. 3, La governance
economica europea, giugno 2013,
per i dettagli sulle voci da inserire nell'aggregato di riferimento e sulla
modalità di determinazione del tasso di crescita limite (benchmark).
[51] Cfr.
il box sulla regola della spesa per i dettagli sulle voci da inserire
nell'aggregato di riferimento e sulla modalità di determinazione del tasso di
crescita limite (benchmark).
[52] La
terminologia impiegata è quella della citata Matrice di cui alla Comunicazione
della Commissione sulla flessibilità. Cfr. Vade Mecum on the Stability and Growth Pact - 2017, pag.
184.
[53] Articoli
5 e 6 del Regolamento (CE) 1466/1997 come modificato dal Regolamento (UE)
1175/2011. Le linee guida sono consultabili sul sito della Commissione, al
seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/economy_finance/economic_governance/sgp/pdf/coc/code_of_conduct_en.pdf
[54] Il
dato relativo alla spesa delle amministrazioni pubbliche, redatto ai sensi del
Regolamento CE 1500/2000, differisce da quello contenuto nel Conto Economico
delle Amministrazioni redatto in base alle regole di Contabilità Nazionale. Il
raccordo tra le due versioni viene diffuso annualmente dall'Istat a distanza di
alcuni mesi.
[55] Secondo
la metodologia contenuta in Mourre et al., The cyclically-adjusted budget balance used
in the EU fiscal framework: an update, «European Economy
– Economic papers»,
n. 478, marzo 2013, il livello di spesa per ammortizzatori sociali e
sussidi di disoccupazione è moltiplicando per il prodotto tra l’output gap e la semielasticità
di questa specifica spesa.
[56] Cfr.
Commissione, Documento del 27 giugno 2012, Complementary information on the functioning of the expenditure and debt benchmarks; v. anche Codice di condotta, Tavola 2c.
[57] Il
dato quindi incorpora le quote di pertinenza dell’Italia dei prestiti a Stati
membri dell'UEM, bilaterali o attraverso l'EFSF, e del contributo al capitale
dell'ESM. A tutto il 2016 l'ammontare di tali quote è stato pari a circa 58,2
miliardi, di cui 43,9 miliardi per prestiti bilaterali e attraverso l'EFSF e
14,3 miliardi per il programma ESM (cfr. Banca d’Italia, ‘Bollettino statistico
Finanza pubblica, fabbisogno e debito’ del 15 marzo 2017).
[58] Comunicato
Istat "PIL e Indebitamento delle AP", 1° marzo 2017.
[59] Il
saldo primario, a differenza delle altre componenti, riflette le decisioni di
politica economica. A parità di ogni altra condizione, la presenza di un saldo
primario positivo tende a ridurre il rapporto debito/PIL o quanto meno ne evita
il deterioramento. Lo snow-ball effect viene
calcolato come differenza tra il tasso d’interesse sul debito pubblico e la
crescita del PIL nominale, determinando, in caso di prevalenza di quest’ultimo,
e a parità di altri fattori, un contributo alla riduzione del rapporto
debito/PIL. Lo stock flow adjustment riflette operazioni finanziarie e da
privatizzazioni, con una componente che registra altresì le poste di raccordo
tra dati di cassa e di competenza economica.
[60] Secondo
le stime della Commissione pari a 0,8 p.p. del PIL nel 2017 e nullo nel 2018,
nonostante una netta riduzione del PIL rispetto al 2008 e un tasso di
disoccupazione all'11,6%. Secondo le stime alternative fornite dal Governo il
divario rimarrà vicino al 3% nel 2017 e tenderà a chiudersi più gradualmente
nel corso degli anni successivi.
[64] Rispettivamente COM
(2016) 725 quanto all’Analisi annuale della crescita e COM
(2016) 728 per la Relazione sul meccanismo di allerta
[65] Per maggiori dettagli sulla procedura, si
vedano le Note del Servizio del bilancio del Senato della Repubblica: La governance economica europea, Elementi
di documentazione n. 3, giugno 2013, e L'avvio del Semestre europeo
2016, Nota
breve n. 15, dicembre 2015.
[66] Si ricorda che, in tale sede, le Istituzioni
europee con riferimento alle ripercussioni sul bilancio delle spese per far
fronte all'emergenza rifugiati e alle misure di sicurezza connesse con il
rischio terrorismo, hanno convenuto che queste possano essere considerati
eventi inconsueti fuori dal controllo del governo Italiano, con un impatto
considerevole ma non tale da compromettere la sostenibilità di bilancio a medio
termine così come previsto ai sensi degli artt. 5, par. 1 e 6, par. 3, del regolamento (CE) n. 1466/97. Secondo le
stime della Commissione l'effetto aggiuntivo sul bilancio è quantificabile
nello 0,03% del PIL nel 2015 e in 0,04% del PIL nel 2016 per la spesa connessa
ai rifugiati e in 0,06% del PIL nel 2016 per le misure di sicurezza. Pertanto,
il Consiglio ha ridotto l'aggiustamento verso l'OMT richiesto per il 2015 e in
relazione al 2016 ha dichiarato che «la valutazione finale, anche per gli importi
ammissibili, sarà effettuata nella primavera del 2017 sulla base dei
rilevamenti di dati forniti dalle autorità italiane».
[67] Nella
Relazione si afferma infatti che "le raccomandazioni specifiche per paese
per il 2016, nel caso dell’Italia, sono tutte connesse ai suoi squilibri
macroeconomici".
[68] Tale revisione è prevista anche per Cipro e Portogallo.
[69] Nel caso dell'Italia, l'indicatore di
efficienza della funzione pubblica, che rispecchia la percezione della qualità
dei servizi pubblici e la capacità della pubblica amministrazione, è pari a
0,45, mentre è superiore a 1 per gli altri grandi paesi europei. Contrariamente
alla maggior parte degli altri paesi, la tendenza delle performance dell'Italia
rimane negativa. Per la Commissione, ciò è confermato anche dall'indice di
qualità della regolamentazione, che riflette la percezione della capacità del
governo di elaborare e attuare politiche e normative solide. Inoltre, secondo
l'Eurobarometro 2016 della Commissione l'Italia è uno
degli Stati membri con la proporzione più elevata di cittadini che giudicano il
servizio pubblico "scadente" o "molto scadente".
[70] Si tratta di un indicatore sintetico che
esprime il progresso nell'attuazione delle riforme previste nel Programma
Nazionale di Riforma ponderato per l’importanza delle stesse ai fini della
competitività del Paese. L’indice varia tra 0 (assenza di riforme
pro-competitive) e 1 (piena implementazione di tutte le riforme previste).
L’indicatore è costruito a partire dalle percentuali di attuazione, ricavate
dal monitoraggio dei provvedimenti previsti sia di normazione primaria sia
secondaria, ponderate con il peso della riforma stessa sulla competitività del
Paese.
[71] Articolo 1, comma 466, legge n.208/2015.
[72] Si ricorda che il 30 novembre 2016 il
Governo e le parti sindacali hanno siglato un Accordo per il rinnovo dei
contratti dei dipendenti pubblici, con cui il Governo si è impegnato a
stanziare risorse finanziarie aggiuntive per il triennio 2016-2018 tali da
consentire “incrementi contrattuali in linea con quelli riconosciuti mediamente
ai lavoratori privati e comunque non inferiori a 85 euro mensili medi”.
[73] Il richiamato DPCM 27 febbraio 2017
specifica che per le finalità di cui alle lettere a) e c) le risorse ivi
indicate sono trasferite al capitolo n. 3027 dello stato di previsione del
Ministero dell'economia e delle finanze e demanda a successivi decreti del
Ministro dell'economia e delle finanze la ripartizione tra i bilanci delle
amministrazioni interessate delle risorse di cui alle lettere b) e c) (previa
richiesta delle Amministrazioni medesime per quanto concerne la lettera c) e
sulla base delle autorizzazioni ad assumere a tempo indeterminato di cui alla
lettera b)).
[74] Con conseguente abrogazione del DPCM 18
aprile 2016
[75] Cfr. DEF 2017, Sezione I, Programma di
stabilità, Tav.V.14
[76] Cfr. DEF 2017, Sezione III Programma
Nazionale di Riforma,§ III.2.
[77] La previsione di breve periodo della spesa
sanitaria pubblica, inglobata nei conti delle Pubbliche Amministrazioni (PA)
dei documenti di finanza pubblica, viene elaborata seguendo la stessa
articolazione adottata per la spesa sanitaria pubblica di contabilità
nazionale, nell’ambito del “Conto economico consolidato della sanità”. In
particolare, essa prevede una prima disaggregazione in funzione del soggetto
erogatore: la spesa sanitaria pubblica viene distinta nella componente erogata
direttamente dalle strutture del Servizio Sanitario Nazionale (produttori non market) e quella erogata da soggetti
privati convenzionati (produttori market).
La prima componente è suddivisa per fattore di costo ed evidenzia distintamente
la spesa per redditi da lavoro dipendente, quella per consumi intermedi e
quella per una terza componente, residuale, che raccoglie le poste non
classificabili in nessuna delle funzioni sopra elencate, etichettata come
“altre componenti di spesa sanitaria”. La seconda componente, invece, è
articolata per tipologia di prestazione.
[78] Il livello di spesa sconta le misure di
contenimento della spesa farmaceutica previsto dalla normativa vigente e risulta
coerente con il nuovo tetto del 7,96% della spesa farmaceutica convenzionata.
[79] Documento di lavoro dei servizi della
Commissione, Relazione per paese relativa all'Italia 2017 comprensiva
dell'esame approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri
macroeconomici, {COM(2017) 90 final} {SWD(2017) 67 final - SWD(2017) 93 final}.
[80] Le misure attuative sono state adottate con
il DPCM 27 febbraio 2015.
[81] DEF- Sezione III -PNR - Le principali
risposte di policy alle sfide economiche più rilevanti Ministero, pag.95.
[82] Più in particolare: stanziamenti dedicati
dall’art.1, co. 187, della legge di stabilità 2015 (legge 190/2014)
all'attuazione della riforma, pari a 50 milioni di euro per il 2015, 140
milioni per il 2016 e 190 milioni a decorrere dal 2017; finanziamento del fondo
progetti per le associazioni di volontariato istituito all'art. 9 della legge
106/2016 pari a 17,3 milioni per il 2016 e 20 milioni di euro annui a decorrere
dal 2017; 200 milioni di euro del Fondo di garanzia a rotazione per le imprese
sociali; stabilizzazione del 5×1000 prevista dalla stabilità 2015.
[83] Introdotta con la delibera CIPE 82/2007
nella programmazione 2007-2013 e rilanciata con la delibera CIPE 79/2012 in
prospettiva del ciclo 2014/2020.
[84] Cfr. par. IV.1
[85] Nell’ambito delle Raccomandazioni sul PNR 2015 dell'Italia (COM(2015) 262 final),
approvate dal Consiglio dell’Unione europea il 13 maggio 2015, la Raccomandazione n. 5 faceva
riferimento, tra l’altro, nell’ambito degli sforzi per ovviare alla
disoccupazione giovanile, all’adozione ed attuazione della già prevista riforma della scuola e al rafforzamento
dell’istruzione terziaria
professionalizzante.
[86] Con riferimento al rafforzamento delle
competenze, il PNR evidenzia che si è stimato che tale area - a cui afferiscono
la scuola digitale e percorsi formativi ad
hoc - possa tradursi in un aumento del numero di lavoratori a produttività
medio-alta pari al 2,2% della forza lavoro. Specificatamente, tale aumento
deriva dall'ipotesi che gli studenti che beneficiano di queste misure
diventeranno in seguito lavoratori con maggiori competenze.
[87] V. Tavola II.2, pag. 18, nella quale,
rispetto al PNR 2016, le misure di rafforzamento delle competenze sono state
scorporate ed introdotte nell’area Industria 4.0, in quanto misure di supporto
agli obiettivi di innovazione e di rafforzamento della strategia complessiva.
[88] V. tav. I.3, pag. 18.
[89] Al riparto del fondo si provvede con decreto
del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con
il Ministro dell'economia e delle finanze, non ancora intervenuto. In ogni
caso, è previsto che l'incremento della dotazione dell'organico avviene in
misura corrispondente ad una quota di posti derivante dall'accorpamento degli
spezzoni di orario aggregabili fino a formare una cattedra o un posto interi,
anche costituiti tra più scuole. Tale quota di posti viene sottratta in misura
numericamente pari dal contingente previsto in organico di fatto all'art. 1,
co. 69, della L. 107/2015. Sull’argomento si veda, il 12 aprile 2017, la risposta
all’interrogazione a risposta immediata in Assemblea, alla Camera, n.
3-02946.
[90] DM
797 del 19 ottobre 2016, adottato sulla base dell’art. 1, co. 124,
della L. 107/2015.
[91] DM
27 ottobre 2015, n. 851, adottato
sulla base dell’art. 1, co .56, della L. 107/2015.
[95] L’alternanza è stata svolta soprattutto
nelle imprese (36,1%), a scuola, con l’impresa simulata o svolgendo attività
interne, ad esempio, nelle biblioteche (12,4%), nelle pubbliche amministrazioni
(8,5%), nel settore no profit (7,6%) e, per la restante parte, in studi
professionali, ordini e associazioni di categoria. Qui un
Focus pubblicato dal MIUR ad ottobre 2016.
[96] L’art. 10 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) ha
previsto, al co. 1, ultimo periodo, l’adozione di un decreto interministeriale
(MIUR-MEF-MIT) per definire, tra l’altro, una programmazione triennale, in
conformità ai contenuti dell’intesa in Conferenza unificata del 1° agosto 2013 sull'attuazione dei piani di edilizia scolastica formulati ai
sensi dell'art. 11, co. 4-bis e
seguenti, del D.L. 179/2012 (L. 221/2012). E’ stato dunque, adottato il D.I. 23
gennaio 2015 che, considerata la mancata attuazione dei piani triennali
regionali di edilizia scolastica di cui all’art. 6 dell’intesa del 1° agosto
2013 - relativi al triennio 2013-2015 – ha proceduto alla definizione di una
nuova tempistica per la programmazione degli interventi. In particolare, per
quanto qui interessa, l’art. 2 ha previsto che le regioni dovevano trasmettere
al MIUR e al MIT, entro il 31 marzo 2015,
i piani regionali triennali (triennio 2015-2017), soggetti a
conferma circa l’attualità degli interventi inseriti per il 2016 e il 2017,
rispettivamente entro il 31 marzo 2016 e il 31 marzo 2017. I piani trasmessi
dovevano essere inviati dal MIUR al MIT e inseriti in un’unica programmazione nazionale, da predisporre entro il 30 aprile
2015 e che poteva trovare attuazione nei limiti delle risorse finanziarie
disponibili. La programmazione nazionale
2015-2017 è stata adottata con DM 322 del 29 maggio 2015.
[97] Art. 5, co. 4-ter, D.L. 104/2013 (L. 128/2013), come modificato dall’art. 1, co.
37, della L. 107/2015. Il PNR 2016 aveva indicato il mese di giugno 2016 quale
termine per l’emanazione del regolamento.
[98] Delibera 2/2016, pubblicata nella GU n. 183
del 6 agosto 2016.
[99] Il Piano è organizzato intorno a 6 priorità:
l’internazionalizzazione, il capitale umano, il sostegno selettivo alle
infrastrutture di ricerca, le partnership pubblico-private, il Mezzogiorno,
l’efficienza e qualità della spesa. Sono poi declinate 12 aree di
specializzazione.
[100] Decreto
Direttoriale 29 luglio 2016 n. 1540, relativo alle regioni in ritardo di sviluppo
(Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) e alle regioni in
transizione (Abruzzo, Molise, Sardegna)
[101] Decreto
Direttoriale 27 ottobre 2016 n. 2348, volto a creare le condizioni affinché i
migliori ricercatori si cimentino nelle competizioni bandite dallo European Research Council e ad
assicurare che un numero crescente di vincitori nei bandi dell'ERC svolgano la
loro ricerca nelle università o negli enti pubblici di ricerca italiani.
[102] Decreto
Direttoriale 3 agosto 2016 n. 1610, relativo alle seguenti quattro aree di
specializzazione: Tecnologie per il Patrimonio Culturale, Design, creatività e
Made in Italy, Economia del Mare, Energia.
Con D.D.
18 agosto 2016, n. 1654 è, poi, stato pubblicato un avviso di
rettifica.
[104] Si tratta del disegno di legge di iniziativa
governativa C. 2798 (Modifiche al codice
penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie
difensive e la durata ragionevole dei processi nonché all'ordinamento
penitenziario per l'effettività rieducativa della pena, S. 2067), la
proposta di legge Ferranti ed altri C. 2150 (Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato, S.
1844) e la proposta di legge Molteni C. 1129 (Modifiche all'articolo 438 del codice di procedura penale, in materia
di inapplicabilità e di svolgimento del giudizio abbreviato, S. 2032).
[105] Articolo 1, commi 965, 967-969, 971-972 della
Legge di stabilità 2016-2018.
[106] Il fondo è stato ripartito tramite due decreti
del ministro dell’economia e delle finanze.
[107] Spesa relativa al contributo straordinario per
le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale.
[108] Quota parte utilizzata per contributi
aggiuntivi nell’ambito delle c.d missioni di pace.
[109] L’indice varia tra 0 (assenza di riforme
pro-competitive) e 1 (piena implementazione di tutte le riforme previste).
L’indicatore è costruito a partire dalle percentuali di attuazione, ricavate
dal monitoraggio dei provvedimenti previsti sia di normazione primaria sia
secondaria, ponderate con il peso della riforma stessa sulla competitività del
Paese. Tale peso è misurato attraverso il potenziale della riforma in termini
di crescita nel medio periodo, in base alle simulazioni dei modelli
econometrici del MEF.
[110] Le valutazioni di impatto sono state elaborate
con i modelli quantitativi in uso al Ministero dell’Economia e Finanze (ITEM,
QUEST III e IGEM).
[111] Come testimoniato anche dall’andamento del Product Market Regulation
Index dell’OCSE, in cui l’Italia si pone tra i Paesi con un livello di
restrizioni alla concorrenza tra i più bassi
[112] Secondo quanto espone il PNR, i dati desunti
dalla Piattaforma per i crediti
commerciali (PCC) mostrano che il monitoraggio dei debiti, per le fatture
emesse nell’anno 2016, ha riguardato 27,3 milioni di fatture ricevute e non
respinte dalle oltre 22.000 pubbliche amministrazioni registrate. L'importo complessivamente fatturato ammonta a oltre
156 miliardi. I tempi medi di pagamento occorsi per saldare, in tutto o in
parte, i 15,4 milioni di fatture per le quali sono stati acquisiti i dati dei
pagamenti, sono stati pari a circa 51
giorni (50 giorni se ponderati con gli importi delle fatture), con un tempo medio di ritardo di 9 giorni (5
giorni se ponderato).
[113] Con il trasferimento delle competenze del
Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica (DPS) dal Ministero dello
sviluppo economico alla Presidenza del Consiglio.
[114] Cfr. Monitoraggio interventi comunitari
programmazione 2007-2013 – Attuazione finanziaria, situazione al 31 dicembre
2016 (febbraio 2017).
[115] La riprogrammazione delle risorse dei Fondi
strutturali 2007-2013 realizzata mediante lo strumento del Piano di Azione Coesione, si ricorda, ha raggiunto l’ammontare
complessivo di oltre 13,5
miliardi di euro.
[116] Il 31 dicembre 2015 era il termine ultimo di
ammissibilità della spesa rendicontabile alla Commissione per il ciclo
2007-2013 (con minime deroghe, ad esempio, per gli strumenti di ingegneria
finanziaria), in base alle regole di esecuzione del bilancio comunitario
vigenti, la cosiddetta dell’ “n+2”. Rispetto all’eventuale disimpegno delle
risorse dal bilancio europeo, questo può avvenire solo dopo l'istruttoria della
Commissione Europea sui documenti presentati entro il 31 marzo 2017, data entro
la quale è necessario inviare domanda di pagamento alla Commissione (ossia la
certificazione).
[117] Il sistema di rendicontazione all’UE della
spesa per i Programmi finanziati dai Fondi Strutturali 2007-2013 è diverso da
quello di monitoraggio puntuale dei progetti. In generale, un pagamento
rendicontabile viene inserito nel sistema di monitoraggio dei progetti quando è
stato effettuato e può essere portato a rendicontazione anche in un secondo
momento. Pertanto la somma dei pagamenti rendicontabili all’UE di ciascun Programma
può non corrispondere al valore più recente di certificazione ufficiale delle
spese alla Commissione Europea.
[118] Nel contesto del riesame del funzionamento del
quadro finanziario pluriennale 2014-2020, svolto dalla Commissione UE nel 2016
ai sensi della normativa vigente in materia, è stato previsto un adeguamento
“tecnico” delle dotazioni a valere sulla politica di coesione per singolo Stato
membro, con aggiornamento dei massimali del Quadro finanziario pluriennale. In
base alla metodologia applicata dalla Commissione, l’Italia risulta essere il
secondo beneficiario, ottenendo una dotazione aggiuntiva pari a circa 1.600
milioni a prezzi correnti, vale a dire circa 400 milioni su base annua dal 2017
al 2020. La Commissione Europea ha assegnato all’Italia tali risorse con
Decisione (2016) 6909 del 3 novembre 2016.
[119] In caso
contrario, come ricorda il Documento, l’importo dell’assegno è limitato ad una
quota fissa, riconosciuta a condizione del superamento di una "soglia
minima" di successi occupazionali nei 6 mesi precedenti.
[120] Il
Documento ricorda altresì che l'importo si dimezza in caso di contratto di
lavoro a termine (il quale, in ogni caso, ai fini del riconoscimento del
beneficio in oggetto, deve avere una durata pari ad almeno 6 mesi).
[121] Cfr.
l'art. 1, commi 356 e 357, della L. 11 dicembre 2016, n. 232.
[122] In
merito, inoltre, il disegno di legge estende l'àmbito dell'indennità (con
riferimento agli eventi di disoccupazione che si verifichino dal 1° luglio
2017) agli assegnisti e ai dottorandi di ricerca con borsa di studio.
[123] Cfr l'art. 4, commi da 8 a 11, della L. 28 giugno 2012, n.
92.
[124] La
norma concerne le opere ed i servizi offerti alla generalità dei dipendenti o a
categorie di dipendenti ed ai familiari per specifiche finalità di educazione,
istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.
[125] In base all'art.3 della Legge
n. 221/2015 il Governo, su proposta del Ministero
dell'Ambiente, sentita la Conferenza Stato-Regioni e acquisito il parere delle
associazioni ambientali, provvede ogni tre anni all'aggiornamento della
Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, con un’apposita delibera del
CIPE.
[126] In tal senso si ricordano
la Strategia dell’UE per lo sviluppo sostenibile, lanciata nel 2001 (COM(2001)0264), e le revisioni nel 2006 (Documento del Consiglio 10917/06) e nel 2009 (COM(2009)
400). Si veda anche la Comunicazione della Commissione europea
"Il futuro sostenibile dell'Europa: prossime tappe - L'azione europea a
favore della sostenibilità" (COM(2016)739), nella quale si prospetta il quadro dell'integrazione dei
diversi obiettivi dello sviluppo sostenibile nelle politiche europee - in atto
e a venire - invitando, ciascuno degli Stati membri a: elaborare politiche
nazionali volte a conseguire gli obiettivi dello sviluppo sostenibile; mettere
tempestivamente in atto le relative politiche europee;valutare
i progressi compiuti in materia.
[128] COM (2016) 759 def. (Governance
dell'unione dell'energia) che fa parte del pacchetto europeo 'Energia pulita per tutti gli europei'.