Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e di contrasto della immigrazione illegale - D.L. 13/2017 ' A.C. 4394
Riferimenti:
DL N. 13 DEL 13-FEB-17   AC N. 4394/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 558
Data: 30/03/2017
Descrittori:
DECRETO LEGGE 2017 0013   DIRITTO INTERNAZIONALE
IMMIGRAZIONE     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e di contrasto della immigrazione illegale

 

D.L. 13/2017 – A.C. 4394

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 558

 

 

 

30 marzo 2017

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi:

Dipartimento Istituzioni

( 066760-9475 / 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

Dipartimento Giustizia

( 066760-9148 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

 

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi ed Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

Avvocatura della camera

( 066760-9360– * segreteria_avvocatura@camera.it

 

 

 

 

 

 

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File: d17013.docx

 


INDICE

Schede di lettura

§  Articolo 1 (Istituzione delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea) 3

§  Articolo 2 (Composizione delle sezioni specializzate)                                     5

§  Articolo 3 (Competenza per materia delle sezioni specializzate)                     7

§  Articolo 4 (Competenza territoriale delle sezioni)                                          12

§  Articolo 5 (Competenze del Presidente della sezione specializzata)             14

§  Articolo 6, comma 1, lettere da a) ad e) (Notificazioni degli atti e colloquio personale del richiedente protezione internazionale)                                    15

§  Articolo 6, comma 1, lettere f) e g) (Procedimento per l’impugnazione dei provvedimenti in materia di riconoscimento della protezione internazionale) 19

§  Articolo 6, comma 1, lett. 0a) (Procedimento per l’impugnazione dei provvedimenti adottati dall'Unità Dublino)                                                      25

§  Articolo 7 (Modifiche al decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150)           27

§  Articolo 8 (Trattenimento nei centri e impiego in attività sociali  dei richiedenti asilo)                                                                                                              29

§  Articolo 9 (Permesso di soggiorno di lungo periodo UE per titolari di protezione internazionale e ricongiungimento familiare)                                                 33

§  Articolo 10 (Procedimento per la convalida del provvedimento di allontanamento di cittadini dell’Unione Europea e dei loro familiari, sottoposti a procedimento penale)                                                                                    36

§  Articolo 11 (Applicazioni straordinarie di magistrati)                                      38

§  Articolo 12 (Assunzione di personale per gli uffici delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo, nonché disposizioni per la funzionalità del Ministero dell'interno)                                                                                     40

§  Articolo 13 (Assunzioni presso Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia)                                                           44

§  Articolo 14 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e l’operatività della rete diplomatica e consolare)                                                                                47

§  Articolo 15 (Rifiuto di ingresso)                                                                      49

§  Articolo 16 (Applicazione del rito abbreviato nei giudizi avverso il decreto di espulsione per motivi di sicurezza nazionale e di prevenzione del terrorismo) 51

§  Articolo 17 (Identificazione degli stranieri irregolari o soccorsi in operazioni di salvataggio in mare)                                                                                       52

§  Articolo 18 (Misure di contrasto all’immigrazione illegale)                             56

§  Articolo 19 (Esecuzione dell'espulsione e Centri di permanenza per i rimpatri) 59

§  Articolo 19-bis (Minori stranieri non accompagnati)                                       65

§  Articolo 20 (Relazione del Governo sullo stato di attuazione)                       67

§  Articolo 21 (Disposizioni transitorie)                                                               68

§  Articolo 21-bis (Adempimenti tributari nell'isola di Lampedusa)                     70

§  Articolo 22 (Disposizioni finanziarie)                                                              72

Documenti all’esame delle Istituzioni UE                                                       74

Giudizio di compatibilità CEDU A.C. 4394                                                      83

 

 


Schede di lettura

 


Articolo 1
(
Istituzione delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea)

 

L’articolo 1 istituisce presso alcuni tribunali ordinari sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’UE (comma 1).

 

L'istituzione di sezioni specializzate, secondo quanto precisato nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione, risponde all'esigenza di assicurare una maggiore celerità ai ricorsi giurisdizionali in materia di immigrazione, a fronte del significativo aumento delle richieste di protezione internazionale registratosi negli anni 2013-2016 in conseguenza dell'eccezionale afflusso di migranti. «L'esponenziale aumento delle domande dirette alle Commissioni territoriali si è tradotto in un altrettanto esponenziale incremento del numero delle impugnazioni in sede giurisdizionale delle decisioni amministrative» che ha interessato in particolare alcuni distretti di corte d'appello.

 

In particolare, il decreto-legge prevede l’istituzione di sezioni specializzate in 14 tribunali ordinari (Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Catanzaro, Firenze, Lecce, Milano, Palermo, Roma, Napoli, Torino e Venezia), individuati sulla base dei dati relativi al numero delle domande di protezione internazionale esaminate negli anni 2015-2016 da ciascuna commissione territoriale o sezione distaccata.

Nel corso nell’esame del disegno di legge di conversione, il Senato ha modificato questa disposizione, prevedendo che le sezioni specializzate debbano essere istituite presso ogni tribunale distrettuale (tribunale avente sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello).

I giudici che compongono le sezioni specializzate sono scelti tra i magistrati dotati di specifiche competenze (vedi art. 2). L’istituzione delle nuove sezioni dovrà essere attuata nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica né incrementi di organico (comma 2, introdotto nel corso dell’esame al Senato che ha puntualizzato la disposizione di copertura in origine inserita in coda al comma 1).

 

La previsione di sezioni specializzate non costituisce una novità nell'ordinamento processuale italiano. L'art. 102, secondo comma, della Costituzione stabilisce che possono essere istituite sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei, estranei alla magistratura.

Fra i giudici specializzati togati si possono annoverare le sezioni lavoro istituite presso i tribunali e le corti d'appello, per tutte le controversie di lavoro e della previdenza sociale, nonché, più recentemente, i cd. tribunali delle imprese, sezioni specializzate istituite presso i tribunali e le corti d'appello con sede nel capoluogo di ogni Regione con competenza in materia di impresa.

La tendenza verso la specializzazione dell’organo giudiziario è confermata anche dal disegno di legge di riforma del processo civile A.S. 2284, approvato dalla Camera e attualmente all’esame del Senato. Il disegno di legge, infatti, prevede l'ampliamento delle competenze del tribunale delle imprese e l’istituzione di sezioni specializzate presso i tribunali e le corti d'appello, cui devolvere le controversie relative alla persona, alla famiglia e ai minori (a seguito della soppressione del tribunale per i minorenni).

La ratio dell’istituzione delle sezioni specializzate in materia di immigrazione e asilo sembra essere quella di assicurare - attraverso una competenza specializzata dei magistrati addetti, specializzazione ritenuta un importante strumento per aumentare l'efficienza nell'amministrazione della giustizia - una maggiore rapidità ai procedimenti in materia di immigrazione, i quali, se non altro, a livello di conoscenza linguistica, possono presentare un certo grado di tecnicismo.

 


 

Articolo 2
(
Composizione delle sezioni specializzate)

 

L’articolo 2, comma 1, disciplina la composizione delle sezioni specializzate.

In base all’art. 1, infatti, l’istituzione delle nuove sezioni non presuppone un aumento dell’organico; le sezioni dovranno dunque essere composte da magistrati già in servizio, scelti in quanto dotati di specifiche competenze.

Per la formazione dei magistrati che intendono acquisire una particolare specializzazione in materia è prevista l’organizzazione, da parte della Scuola superiore della magistratura, in collaborazione con l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo[1] e con l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, di corsi di formazione.

Costituisce titolo preferenziale, ai fini dell’assegnazione alle sezioni specializzate:

 

E’ valutata altresì positivamente la conoscenza della lingua inglese; il Senato ha previsto che debba essere valutata positivamente anche la conoscenza della lingua francese.

 

Con riguardo alla conoscenza linguistica, nella relazione illustrativa il riferimento all’inglese era motivato dal fatto che "le informazioni sui Paesi d'origine sono rese disponibili in lingua inglese".

 

Al fine di assicurare una formazione continua dei magistrati addetti alle sezioni l’articolo prevede che:

 

Tali corsi di formazione dovranno prevedere specifiche sessioni dedicate alla valutazione delle prove, ivi incluse le tecniche di svolgimento del colloquio.

 

In proposito, la relazione precisa che con tecniche di svolgimento del colloquio ci si riferisce al metodo DCM, originariamente elaborato dalla polizia norvegese per interrogare i minori e ritenuto dall'EASO il metodo più valido a livello europeo per intervistare i richiedenti asilo. Tale metodo trova peraltro già ampio impiego a livello di Stati europei.

 

In base al comma 2, il Consiglio superiore della magistratura, con propria delibera, da adottare entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge, provvede all'organizzazione delle sezioni specializzate, anche in deroga alle norme vigenti relative al numero dei giudici da assegnare alle sezioni e fermi restando i limiti del ruolo organico della magistratura ordinaria.

Al fine di garantire l'uniformità degli orientamenti giurisprudenziali e organizzativi, si prevede che, con deliberazione del CSM, siano determinate le modalità con cui è assicurato annualmente lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi applicative tra i presidenti delle sezioni specializzate.

Per tale finalità il decreto-legge prevede, al comma 3, a decorrere dal 2017, uno stanziamento di 6.785 euro, che il Senato ha elevato a 12.565 euro.

 

 


 

Articolo 3
(
Competenza per materia delle sezioni specializzate)

 

L’articolo 3 individua la competenza per materia delle sezioni specializzate.

 

Preliminarmente, si rileva come presso le sezioni specializzate sia accentrata la competenza per i procedimenti in materia migratoria rientranti nella giurisdizione ordinaria e di competenza del tribunale, senza quindi che venga rivisto il riparto tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa e senza intaccare le competenze spettanti al giudice di pace.

 

In base al comma 1, le sezioni specializzate sono competenti:

 

a) per le controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno in favore di cittadini UE e loro familiari.

 

La disciplina di riferimento è contenuta negli articoli 6, 7 e 8 del decreto legislativo n. 30 del 2007, con il quale il nostro ordinamento ha dato attuazione alla direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

In particolare, l’articolo 6 del d.lgs. n. 30/2007 riconosce ai cittadini dell’Unione (ed ai loro familiari) il diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo non superiore a 3 mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di un documento d'identità valido per l'espatrio. Quando si superano i tre mesi, il soggiorno in Italia è legittimo in presenza delle seguenti condizioni (articolo 7):

a) il cittadino UE è lavoratore subordinato o autonomo nello Stato;

b) il cittadino UE dispone per se stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo comunque denominato che copra tutti i rischi nel territorio nazionale;

c) il cittadino UE è iscritto svolge nello Stato un corso di studi o di formazione professionale e dispone, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale;

d) la persona è un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell'Unione che ha diritto di soggiornare ai sensi delle lettere a), b) o c).

L’articolo 8 ammette avverso il provvedimento di rifiuto e revoca del diritto di soggiorno il ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria. Tali controversie, in base alla disciplina vigente anteriormente al decreto legge, sono decise dal tribunale del luogo ove dimora il ricorrente e sono regolate dal rito sommario di cognizione.

 

b) per le controversie in materia di allontanamento di cittadini UE e loro familiari.

 

La disciplina di riferimento è contenuta negli articoli 20, 20-ter e 21 del citato d.lgs. n. 30 del 2007. In particolare, l’art. 20 dispone che il diritto di ingresso e soggiorno dei cittadini dell'Unione o dei loro familiari, qualsiasi sia la loro cittadinanza, può essere limitato con apposito provvedimento solo per motivi di sicurezza dello Stato, motivi imperativi di pubblica sicurezza, altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. L’articolo 20-ter individua nel tribunale ordinario in composizione monocratica l'autorità giudiziaria competente per la convalida dei provvedimenti di allontanamento emessi dal questore.

A meno che il provvedimento non sia stato adottato per motivi di sicurezza dello Stato (nel qual caso è competente il giudice amministrativo, in base alla procedura definita dal codice del processo amministrativo), l’articolo 22 prevede che avverso il provvedimento di allontanamento possa essere presentato ricorso entro 30 giorni dalla notifica, a pena di inammissibilità, al tribunale ordinario in composizione monocratica in cui ha sede l'autorità che lo ha adottato. La parte può stare in giudizio personalmente. Oltre a dettare specifiche norme sul contenuto del ricorso e l’istanza di sospensione di efficacia del provvedimento di allontanamento, il decreto legislativo stabilisce l’applicazione del rito sommario di cognizione.

 

c) per le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, per i procedimenti per la convalida del provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale.

 

Ai sensi dell'articolo 35 del d.lgs. n. 25 del 2008 (Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) il procedimento per l’impugnazione delle decisioni di diniego della protezione internazionale è deciso, con rito sommario di cognizione dal tribunale, in composizione monocratica, del capoluogo del distretto di corte di appello in cui ha sede la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale o la sezione che ha pronunciato il provvedimento impugnato.

I procedimenti per la convalida del provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale sono disciplinati dall'articolo 6, comma 5, del d. lgs. n. 142 del 2015 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), il quale prevede che il richiedente ha facoltà di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al tribunale in composizione monocratica competente alla convalida.

Per quanto riguarda la convalida delle misure di espulsione di cui al comma 6, dell'articolo 14, del predetto d.lgs. 142/2015, competente, se ne ricorrono i presupposti, è il tribunale in composizione monocratica.

 

Circa il numero di controversie relative al riconoscimento della protezione internazionale, si riportano le tabelle relative ai procedimenti “Impugnazione ex art. 35 D.Lvo 25/2008” relativi al periodo dall’01/01/2016 al 31/10/2016, in tribunale e in corte d’appello.

 

Fonte: CSM. I dati sono stati illustrati dal Vicepresidente del CSM in audizione informale al Senato nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge.

 

d) per le controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria nei casi di cui all'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo n. 25 del 2008;

 

L'art. 32, co. 3 del decreto legislativo n. 25 del 2008 (Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) prevede che, nei casi in cui la Commissione territoriale non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, gli atti sono trasmessi al questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno per fini umanitari.

 

e) per le controversie in materia di diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché agli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare.

 

L’art. 30, comma 6, del TU immigrazione prevede che, contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché contro gli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare, l'interessato possa presentare ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui risiede. Il tribunale provvede con decreto, applicando il rito sommario di cognizione.

 

 

Nel corso dell'esame del disegno di legge al Senato, è stata introdotta una ulteriore lettera e-bis), con la quale è attribuita alle sezioni specializzate la competenza per le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti adottati dall'autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale.

 

Ai sensi dell'art. 3, comma 3, del D.Lgs. 25/2008 (Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) l'autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale in applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 è l'Unità Dublino, operante presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.

 

L’attribuzione di questa competenza alle sezioni specializzate va letta in combinato con l’art. 6, lett. 0a) del decreto legge, cui si rinvia, che disciplina il procedimento giurisdizionale che dovrà essere applicato alla decisione di queste controversie.

 

 

Le sezioni specializzate sono altresì competenti, in base ai commi 2 e 3 dell'articolo 3:

 

Quanto alla composizione – monocratica o collegiale – delle sezioni specializzate, il decreto-legge prevede:

·        che, in generale e in deroga al principio che prevede che nelle cause devolute alle sezioni specializzate il tribunale giudichi in composizione collegiale (art. 50-bis, primo comma, numero 3), c.p.c.), nelle controversie di competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione il tribunale giudica in composizione monocratica (comma 4);

·        che per le sole controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale e di impugnazione dei provvedimenti emessi dall'Unità Dublino (determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale) le sezioni specializzate devono giudicare in composizione collegiale (comma 4-bis, inserito dal Senato).

In quest’ultimo caso, quando la sezione giudica in composizione collegiale:

-           spetta al Presidente della sezione designare un componente del collegio per la trattazione della controversia;

-           il collegio decide in camera di consiglio sul merito della controversia quando ritiene che non sia necessaria ulteriore istruzione.

 

 


 

Articolo 4
(
Competenza territoriale delle sezioni)

 

L’articolo 4 delinea la competenza per territorio delle sezioni specializzate, che viene individuata in ragione:

 

Più nel dettaglio, il comma 1, nella versione originale del decreto-legge, ripartiva la competenza sulle controversie tra le 14 sezioni specializzate istituite in ragione della sede dell’autorità cha adotta il provvedimento da impugnare.

 

E dunque, in base al testo in vigore, quando il luogo in cui ha sede l’autorità che ha adottato il provvedimento impugnato è compreso nel territorio:

·     delle Regioni Liguria, Piemonte e Valle d'Aosta è competente la sezione specializzata di Torino;

·     delle Regioni Friuli-Venezia Giulia, Trentino e Veneto è competente la sezione specializzata di Venezia.

·     del distretto della Corte di appello di Milano è competente la sezione specializzata di Milano;

·     del distretto della Corte di appello di Brescia è competente la sezione specializzata di Brescia;

·     delle Regioni Emilia-Romagna e Marche è competente la sezione specializzata di

·     Bologna;

·     delle Regioni Toscana e Umbria è competente la sezione specializzata di Firenze;

·     della Regione Lazio e della Regione Abruzzo è competente la sezione specializzata di Roma;

·     delle Regioni Campania e Molise è competente la sezione specializzata di Napoli; del distretto della Corte di appello di Bari è competente la sezione specializzata di Bari;

·     della Regione Calabria è competente la sezione specializzata di Catanzaro;

·     della Regione Basilicata e del distretto della Corte di appello di Lecce è competente la sezione specializzata di Lecce;

·     delle province di Catania, Enna, Messina, Ragusa e Siracusa è competente la sezione specializzata di Catania;

·     delle province di Agrigento, Caltanissetta, Palermo e Trapani è competente la sezione specializzata di Palermo;

·     della Regione Sardegna è competente la sezione specializzata di Cagliari.

 

Nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge al Senato, conseguentemente all’ampliamento del numero delle sezioni specializzate, ora istituite presso ogni tribunale distrettuale, il comma 1 è stato modificato e prevede che competente a decidere sia la sezione specializzata nella cui circoscrizione ha sede l'autorità che ha adottato il provvedimento impugnato.

 

Il comma 2 precisa che, per le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale (art. 35 del d. lgs. n. 25/2008), l’autorità che ha adottato il provvedimento è la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale o la sezione che ha pronunciato il provvedimento impugnato ovvero quello del quale è stata dichiarata la revoca o la cessazione.

Ai sensi del comma 3, se i ricorrenti si trovano in una struttura di accoglienza governativa o in una struttura del sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati o sono trattenuti in un centro di identificazione ed espulsione, la competenza è determinata in ragione del luogo in cui la struttura o il centro ha sede.

In relazione invece ai procedimenti per la convalida delle misure di espulsione (art. 14, comma 6, del d.lgs. 142/2015), la competenza territoriale è determinata avendo riguardo al luogo in cui ha sede l'autorità che ha adottato il provvedimento soggetto a convalida (comma 4).

Infine, con riguardo alle controversie in materia di accertamento dello stato di apolidia e di cittadinanza italiana, ai fini della competenza territoriale rileva il luogo in cui l'attore dimora (comma 5).

 

 


 

Articolo 5
(
Competenze del Presidente della sezione specializzata)

 

L’articolo 5, non emendato dal Senato, attribuisce ai Presidenti delle sezioni specializzate le competenze riservate dalla legge al Presidente del tribunale.

 

Si tratta di una previsione che - come si rileva nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione - riprende quanto già previsto con riguardo ai tribunali delle imprese.

 

 

 


 

Articolo 6, comma 1, lettere da a) ad e)
(
Notificazioni degli atti e colloquio personale del richiedente protezione internazionale)

 

L'articolo 6, comma 1, lettere da a) ad e) introduce modalità più celeri in materia di notificazione degli atti al richiedente protezione internazionale e di verbalizzazione dei colloqui presso la Commissione nazionale e le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.

Per quanto riguarda la notificazione delle decisioni e degli atti relativi al procedimento di riconoscimento, si prevede l’utilizzo della posta elettronica certificata qualora l’interessato sia ospitato in un centro, ovvero del mezzo postale ordinario, in caso di diverso domicilio.

Inoltre, si prevede la videoregistrazione del colloquio personale con il richiedente e la successiva trascrizione con l'ausilio di mezzi automatici di riconoscimento vocale, in luogo della tradizionale verbalizzazione.

 

Il riconoscimento dello status di rifugiato è entrato nel nostro ordinamento con l'adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (ratificata con la legge 722/1954) ed è regolato essenzialmente da fonti di rango comunitario, recepite nel nostro ordinamento con atti interni.

Il D.Lgs. 25/2008 (oggetto di novella da parte dell’articolo in esame) reca la disciplina delle procedure ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale.

I principi e i criteri per la concessione dello status di rifugiato e il contenuto concreto di tale status sono recate dal D.Lgs. 251/2007.

Completano il quadro normativo il D.Lgs. 85/2003 in materia di protezione temporanea e D.Lgs. 142/2015 in materia di accoglienza, quest'ultimo oggetto di modifiche da parte dell'articolo 8 del presente decreto-legge.

 

L’articolo 11 del D.Lgs. 25/2008 (recante come si è detto la procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato) prevede alcuni obblighi del richiedente asilo: egli, se convocato, deve comparire personalmente davanti alla Commissione territoriale competente all’esame della sua richiesta, ed ha l'obbligo di consegnare i documenti in suo possesso pertinenti ai fini della domanda, incluso il passaporto. Inoltre, è tenuto ad informare l'autorità competente in ordine ad ogni suo mutamento di residenza o domicilio: diversamente, eventuali comunicazioni concernenti il procedimento si intendono validamente effettuate presso l'ultimo domicilio del richiedente.

La lettera a), modificata nel corso dell’esame del Senato, interviene in materia di notificazioni incidendo sul citato articolo 11 del D.Lgs. 25/2008.

 

Viene in primo luogo precisato che le notificazioni degli atti e dei provvedimenti concernenti il procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale sono validamente effettuati presso il centro o la struttura in cui l’interessato è accolto o trattenuto. Analoga previsione è recata dall’art. 5, comma 2, del decreto accoglienza (D.Lgs. 142/2015) secondo cui il domicilio del richiedente, accolto o trattenuto, ai fini delle notifiche relative al procedimento è quello del centro  che lo ospita (sia esso CIE, centro di prima accoglienza, centro temporaneo o centro della rete SPRAR).

La portata innovativa della nuova disposizione risiede nelle modalità di effettuazione delle notificazioni che devono avvenire in forma di documento informatico sottoscritto con firma digitale o di copia informatica per immagine del documento cartaceo, attraverso posta elettronica certificata all'indirizzo del responsabile del centro o della struttura. Questi la consegna al destinatario, facendone sottoscrivere ricevuta, e ne dà immediata notificazione alla Commissione territoriale (ancora mediante pec); egli rende analoga comunicazione in caso di rifiuto da parte dello straniero interessato.

La notificazione si intende eseguita nel momento in cui il messaggio di pec è disponibile nella casella di pec della Commissione territoriale.

 

Se invece il richiedente non è accolto o trattenuto presso i centri o le strutture di cui sopra, le notificazioni degli atti e dei provvedimenti del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale sono effettuate nell'ultimo domicilio indicato dal richiedente nella domanda di protezione internazionale, così come già previsto dall'articolo 5, comma 1, del D.Lgs. 142/2015. In tal caso, si precisa, che le notificazioni sono effettuate da parte della Commissione territoriale a mezzo del servizio postale, secondo la disciplina delle notificazioni e connesse comunicazioni, a mezzo posta, recata dalla legge 890/1982 (nuovo comma 3-bis dell’art. 11).

 

In caso di irreperibilità del richiedente o di impossibilità di effettuazione della notificazione per inidoneità del domicilio dichiarato o comunicato, l'atto è reso disponibile al richiedente presso la questura alla quale viene trasmesso dalla Commissione territoriale tramite pec. Dopo 20 giorni dalla trasmissione dell'atto alla questura, la notificazione si intende eseguita (comma 3-ter).

Qualora la notificazione sia stata eseguito con le modalità di cui sopra (ossia decorsi i 20 giorni dalla trasmissione alla questura) copia dell'atto notificato è reso disponibile al richiedente presso la Commissione territoriale (3-quater).

Sulle modalità di notificazione sopra ricordate, il richiedente è informato, o dal questore (al momento della dichiarazione del domicilio) o dal responsabile del centro o della struttura di accoglienza o trattenimento (al momento dell'ingresso in tale luogo). Pertanto l'allontanamento ingiustificato o la sottrazione alla misura del trattenimento non 'bloccano’ le operazioni di notificazione, e lo straniero ne è informato preventivamente (comma 3-quinquies).

Riguardo a tali operazioni di notificazione, il responsabile del centro o della struttura di accoglienza o trattenimento è considerato pubblico ufficiale ad ogni effetto di legge (3-sexies).

 

Come si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge trasmesso dal Governo tali disposizioni dovranno “accelerare i tempi per la definizione delle procedure amministrative e giurisdizionali per il riconoscimento della protezione internazionale. […] Ulteriore effetto delle nuove disposizioni in tema di notifiche sarà quello di sollevare da tali oneri amministrativi gli uffici immigrazione delle questure, che potranno impegnare le medesime risorse nello svolgimento degli altri compiti connessi alla gestione del fenomeno a fronte del segnalato incremento delle domande di asilo”.

 

Le lettere b) e c) dispongono circa il colloquio personale del richiedente presso la Commissione nazionale o le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.

In primo luogo, si prevede che la comunicazione della audizione del richiedente asilo da parte delle Commissioni, sia effettuata secondo le modalità sopra descritte relative alle notificazioni, in luogo della convocazione delle Commissioni tramite comunicazione effettuata dalla questura territorialmente competente (lettera b) che novella all'articolo 12 del D.Lgs. 25/2008).

 

Una analitica disciplina è prevista circa la verbalizzazione del colloquio personale (lettera c) che modifica l’articolo 14 del D.Lgs. 25/2008).

La nuova disciplina fa perno sulla videoregistrazione con mezzi audiovisivi del colloquio personale innanzi alle Commissioni nonché sulla trascrizione in lingua italiana con l'ausilio di mezzi automatici di riconoscimento vocale.

 

La videoregistrazione non viene effettuata o qualora non sia possibile per motivi tecnici o (come precisato nel corso dell’esame del Senato) qualora in sede di colloquio l’interessato chieda con istanza motivata di non avvalersi della videoregistrazione. In quest’ultimo caso decide la Commissione territoriale (cpv. 6-bis). Nel caso in cui il colloquio non possa essere videoregistrato è in ogni caso redatto verbale sottoscritto dal richiedente e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’art. 14 articolo del D.Lgs. 25/2008, come modificato dal decreto-legge in esame. Del motivo per cui il colloquio non può essere videoregistrato è dato atto nel verbale. Il rifiuto di sottoscrivere il contenuto del verbale e le motivazioni di tale rifiuto sono registrati nel verbale stesso e non ostano a che l’autorità decidente adotti una decisione.

 

Qualora si sia proceduto con la videoregistrazione, in luogo del verbale del colloquio si procede alla trascrizione (a meno che, come si è detto, questa non sia stata possibile per motivi tecnici o per richiesta dell’interessato).

Questa è rivista dal componente della Commissione che ha condotto il colloquio, in cooperazione con il richiedente e con l’interprete; il richiedente comunque ne riceve lettura in lingua a lui comprensibile e in ogni caso tramite interprete. Il verbale della trascrizione è sottoscritto dal presidente (o componente) della Commissione che ha condotto il colloquio (oltre che dall'interprete) (cpv. 2).

In calce al verbale è in ogni caso dato atto di tutte le osservazioni del richiedente (che le sottoscrive) e dell’interprete, anche relative alla sussistenza di eventuali errori di trascrizione o traduzione, che non siano state direttamente recepite a correzione del testo della trascrizione (cpv. 1).

 

Il verbale di trascrizione, insieme alla videoregistrazione, sono resi disponibili all'autorità giudiziaria (entro venti giorni dalla notificazione del ricorso: si veda l'articolo 35-bis, comma 8, del D.Lgs. 25, introdotto dalla lettera g) dell’articolo in esame) in caso di ricorso contro la decisione della Commissione territoriale (la quale comunque prende misure per la riservatezza dei dati personali) (cpv. 5).

Sia della trascrizione sia della videoregistrazione è conservata (per almeno tre anni) copia informatica “del file” presso apposito archivio presso il Ministero dell'interno (cpv. 3). Il richiedente riceve in ogni caso copia della trascrizione in lingua italiana (cpv. 4).

Le specifiche tecniche sono adottate d'intesa tra i Ministri della giustizia e dell'interno, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (non dunque della legge di conversione), sentito il Garante per la protezione dei dati personali, per i profili di sua competenza (cpv. 8).

 

La lettera d) reca una disposizione di raccordo all’interno dell’articolo 32, comma 4, del D.Lgs. 25/2008 (in ordine al rigetto, cessazione e manifesta infondatezza della domanda) per adeguarla alla nuova disciplina introdotta dal decreto-legge sul rito delle controversie (vedi lett. g), raccordo che deve tener conto dell’abrogazione dell'articolo 19 del D.Lgs.150/2011 (vedi art. 7).

 

La lettera e) novella l’articolo 33 del D.Lgs. 25/2008 che concerne il procedimento di revoca o di cessazione della protezione internazionale (le quali sono decise dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo).

La novella fa rinvio alle modalità di notifica come disciplinate dalla lettera a) di cui sopra. Pertanto, anche le comunicazioni all'interessato da parte della Commissione nazionale per il diritto di asilo ricevono la medesima disciplina approntata per le notificazioni da parte delle Commissioni territoriali.

La novella prevede, al contempo, la notificazione per mezzo delle forze di polizia, ove ricorrano motivi di ordine pubblico ovvero di sicurezza nazionale.

 

 


 

Articolo 6, comma 1, lettere f) e g)
(Procedimento per l’impugnazione dei provvedimenti in materia di riconoscimento della protezione internazionale)

 

Le lettere f) e g) disciplinano il procedimento da seguire per l’impugnazione dei provvedimenti relativi al riconoscimento della protezione internazionale, inserendo nel D.Lgs n. 25 del 2008 il nuovo articolo 35-bis e conseguentemente modificando l’art. 35 del decreto legislativo con finalità di coordinamento.

Rispetto alla disciplina vigente (art. 19 del d.lgs. n. 150 del 2011, abrogato dall’art. 7 del D.L. in commento) il decreto-legge prevede per tali controversie l'applicazione del rito camerale a contraddittorio scritto e a udienza eventuale (oggi si applica il rito sommario di cognizione).

 

 

Analiticamente, la lettera f) modifica l’art. 35 del d.lgs. n. 25 del 2008, che delinea le procedure di impugnazione delle decisioni sulla revoca o cessazione dello status di rifugiato.

 

Prima dell’entrata in vigore del decreto-legge in commento, l’art. 35 prevedeva che avverso la decisione della Commissione territoriale e la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria fosse ammesso ricorso dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria e che il relativo procedimento fosse disciplinato dall’art. 19 del d. lgs. n. 150 del 2011 che, come è noto, prevedeva l’applicazione del rito sommario di cognizione da parte del tribunale distrettuale in composizione monocratica.

 

Con finalità di coordinamento, ogni riferimento contenuto nell’articolo 35 al rito disciplinato dal decreto legislativo del 2011 è sostituito con il richiamo al nuovo rito, disciplinato dall’art. 35-bis, introdotto dalla lettera g). Contestualmente, peraltro, l’art. 19 del d.lgs. n. 150 del 2011 viene abrogato dall’art. 7 del decreto-legge (v. infra).

 

 

La lettera g) inserisce nel decreto legislativo n. 25 del 2008 l’articolo 35-bis, rubricato “Delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale”.

In particolare, il comma 1 dell'articolo 35-bis prevede che le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti di revoca o cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria, siano decise in linea generale con il rito camerale, di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.

 

Le caratteristiche essenziali del procedimento camerale di cui agli articoli 737 ss. del codice di procedura civile possono essere così riassunte: il procedimento si attiva in genere con "ricorso" dell'interessato (art. 737 c.p.c.), si svolge in genere senza seguire forme rituali, non richiede espressamente la forma del contraddittorio (l'art. 738, 3° comma, c.p.c. prevede solo l'eventualità che il giudice assuma informazioni) e termina con l'adozione di un decreto (art. 737 c.p.c.) − anche immediatamente esecutivo (art. 741, 2° comma, c.p.c.) − suscettibile in genere (ma con talune eccezioni) di revoca o modifica da parte dello stesso giudice che lo ha emesso (art. 742 c.p.c.).

 

Prevedendo l’applicazione a queste controversie del rito camerale, il decreto-legge deroga espressamente a quanto previsto dall’art. 742-bis c.p.c. in base al quale le disposizioni del codice si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio «che non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone».

 

Il ricorso, che può essere depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana, è proposto, a pena di inammissibilità:

§  entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento,

§  ovvero entro 60 giorni se il ricorrente risiede all'estero. In quest'ultimo caso, l'autenticazione della sottoscrizione e l'inoltro all'autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza e le comunicazioni relative al procedimento sono effettuate presso la medesima rappresentanza. Anche la procura speciale al difensore è rilasciata dinanzi all'autorità consolare.

I termini sono dimezzati nel caso di procedure d'urgenza (art. 28-bis, comma 2, del d.lgs. n. 25/2008) e se nei confronti del ricorrente è stato adottato un provvedimento di trattenimento (comma 2).

Ai sensi del comma 3 dell'art. 35-bis, la proposizione del ricorso sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che se il ricorso è proposto:

a) da parte di un soggetto nei cui confronti è stato adottato un provvedimento di trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione;

b) avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento della protezione internazionale;

c) avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza in quanto il richiedente ha sollevato esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale;

d) avverso il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti che hanno presentato la domanda dopo essere stati fermati per avere eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera ovvero dopo essere stati fermati in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l'adozione o l'esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento.

Anche in questi ultimi casi, l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa con decreto motivato, pronunciato - previa acquisizione, ove necessario, di sommarie informazioni - entro cinque giorni dalla presentazione dell'istanza di sospensione e senza la preventiva convocazione della controparte, solo a condizione che ricorrano gravi e circostanziate ragioni. Il decreto con il quale si dispone sulla sospensione del provvedimento impugnato è notificato unitamente all'istanza di sospensione: entro 5 giorni dalla notificazione le parti possono depositare note difensive e nei successivi cinque giorni possono essere depositate note di replica. Nel caso di deposito di note difensive e di replica, il giudice, con nuovo decreto - non impugnabile - da emettersi entro i successivi cinque giorni, conferma, modifica o revoca i provvedimenti già emanati.

Nei casi di cui alle lettere b), c) e d), del comma 3 (vedi supra) quando l'istanza di sospensione è accolta, al ricorrente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo (comma 4).

 

Ai sensi del comma 5 dell'art. 35-bis, la proposizione del ricorso o dell'istanza cautelare non sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento che dichiara, per la seconda volta, inammissibile la domanda di riconoscimento della protezione internazionale, nel caso in cui il richiedente ha reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione territoriale stessa senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine.

 

Il ricorso è notificato al Ministero dell'interno, presso la commissione o la sezione che ha adottato l'atto impugnato, nonché, limitatamente ai casi di cessazione o revoca della protezione internazionale, alla Commissione nazionale per il diritto di asilo; il ricorso è altresì trasmesso al pubblico ministero, che, entro 20 giorni, stende le sue conclusioni, (ex art. 738 c.p.c.), rilevando l'eventuale sussistenza di cause ostative al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (comma 6).

Ai sensi del comma 7, il Ministero dell'interno può stare nel giudizio in primo grado avvalendosi di propri dipendenti (o di un rappresentante designato dal presidente della Commissione che ha adottato l'atto impugnato) e presentare, entro venti giorni dalla notificazione del ricorso, una nota difensiva. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sulla difesa delle pubbliche amministrazioni (art. 417-bis, secondo comma, c.p.c.)

 

Si ricorda che l'articolo 417-bis, secondo comma c.p.c. prevede che la difesa delle pubbliche amministrazioni nel primo grado si applica salvo che l'Avvocatura dello Stato competente per territorio - ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici - determini di assumere direttamente la trattazione della causa dandone immediata comunicazione ai competenti uffici dell'amministrazione interessata; in ogni altro caso l'Avvocatura dello Stato trasmette immediatamente, e comunque non oltre sette giorni dalla notifica degli atti introduttivi, gli atti stessi ai competenti uffici dell'amministrazione interessata per gli adempimenti della difesa.

Il comma 8 dell’art. 35-bis pone in capo alla Commissione da cui promana l'atto impugnato l'obbligo di rendere disponibili (entro 20 giorni dalla notificazione del ricorso) all'autorità giudiziaria la copia della domanda di protezione internazionale ricevuta, la videoregistrazione del colloquio personale con il richiedente, il verbale della trascrizione (v. supra lettera c). La definizione delle specifiche tecniche è demandata ad un successivo decreto direttoriale adottato d'intesa tra i Ministeri della giustizia e dell'interno (comma 16). Del pari la Commissione deve rendere disponibile l'intera altra documentazione comunque acquisita nel corso del procedimento di esame della domanda di protezione internazionale (inclusa l'indicazione della documentazione utilizzata onde trarre lumi sulla situazione socio-politico-economica dei Paesi di provenienza dello straniero richiedente protezione).

I commi 9 e seguenti delineano più nel dettaglio la procedura camerale. Il procedimento è trattato in camera di consiglio e per la decisione il giudice si avvale anche delle informazioni sulla situazione socio-politico- economica del Paese di provenienza, elaborate e aggiornate dalla Commissione nazionale.

Si tratta di un rito camerale a udienza eventuale, in quanto l'udienza per la comparizione delle parti non è obbligatoria ma è fissata esclusivamente quando il giudice (comma 10):

§ visionata la videoregistrazione del colloquio personale con il richiedente, ritiene necessario disporre l'audizione dell'interessato;

§ ritiene indispensabile richiedere chiarimenti alle parti;

§ dispone consulenza tecnica ovvero, anche d'ufficio, l'assunzione di mezzi di prova.

L’udienza può inoltre essere fissata quando la videoregistrazione del colloquio personale con il richiedente non è resa disponibile e quando l'impugnazione si fonda su elementi non dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado (comma 11). Il Senato ha integrato questa casistica richiedendo l’udienza anche quando, previa richiesta del ricorrente, il giudice ritenga la trattazione in udienza essenziale ai fini della decisione.

Il contraddittorio è garantito per iscritto: ai sensi del comma 12, il ricorrente può depositare una nota difensiva entro i 20 giorni successivi alla scadenza del termine per la notificazione del ricorso.

Entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso (l'art. 19 del d.lgs. 150/2011 fissava in sei mesi il termine per la conclusione del procedimento), il Tribunale decide, sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione, con decreto:

§ rigettando il ricorso ovvero

§ riconoscendo al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria.

Il decreto - in deroga a quanto previsto con riguardo ai procedimenti camerali in genere dall'art. 739 c.p.c.- non è reclamabile, ma esclusivamente ricorribile per Cassazione entro il termine di 30 giorni. In caso di rigetto, la Corte di cassazione decide sull'impugnazione entro 6 mesi dal deposito del ricorso. Anche in questo caso – come già per la procedura prevista all’art. 3 del d.lgs. n. 25 del 2008 – non è previsto un analogo termine per il caso di accoglimento.

 

La scelta del Governo di prevedere per questo procedimento – così come per le controversie avverso la decisione dell’Unità Dublino (v. sopra, lett. 0a)) - un unico grado di merito è motivata dalla relazione illustrativa del disegno di legge di conversione dalla circostanza per cui «i flussi dei procedimenti di protezione internazionale attualmente registrati presso le corti d'appello sono tali da non consentire la costituzione di sezioni specializzate presso il giudice di secondo grado». Sempre nella relazione si osserva come la mancata previsione di un secondo grado di merito sia comunque «pienamente compatibile con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE». In proposito è ricordata la sentenza resa nella causa Samba Diouf (C-69/10): in tale occasione la Corte ha rilevato che il diritto ad un ricorso effettivo ai sensi della legislazione europea non si riferisce ad un certo numero di gradi di giudizio. Il principio della tutela giurisdizionale effettiva attribuirebbe quindi al singolo il diritto di adire un giudice, e non il diritto a più gradi di giudizio.

Sempre nella relazione si rileva come un'analisi comparata mostri come i sistemi di impugnazione presenti nei diversi Stati membri si articolino su un numero variabile di gradi giudizio, con una prevalenza di Paesi (fra cui Francia, Spagna, Paesi Bassi e Belgio) nei quali - con riguardo alle controversie in materia di asilo, l'esame in fatto e in diritto è riservato esclusivamente al primo grado, mentre il procedimento di secondo grado può aver ad oggetto esclusivamente profili di legittimità.

Infine per quanto concerne la compatibilità della previsione di un unico grado di giudizio con la Costituzione è opportuno rilevare come il doppio grado di giurisdizione in materia civile non sembra trovare copertura costituzionale. La Corte costituzionale in più occasioni infatti ha affermato che la Costituzione non impone al legislatore di prevedere un appello (i.e., un riesame della lite o un controllo della decisione da parte di un giudice superiore) né di attuare il doppio grado di giurisdizione in materia civile (Sentenza 22 giugno 1963 n. 110; Sentenza 31 maggio 1965 n. 41; Sentenza 29 maggio 1968 n. 54; Sentenza 30 luglio 1973 n. 22; Sentenza 16 luglio 1979 n. 72; Sentenza 3 aprile 1982 n. 69; Sentenza 31 dicembre 1986 n. 301; Sentenza 23 luglio 1991 n. 363; Sentenza 23 dicembre 1994 n. 438; Sentenza 30 luglio 1997 n. 288, Sentenza 29 dicembre 2000 n. 585). In proposito si veda altresì, da ultimo, Sentenza 12 luglio 2013 n. 190, con la quale la Consulta ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli art. 29 e 34, comma 37, d. lgs. n. 150/2011 rispetto agli art. 3, 24, commi 1 e 2, e 111, comma 1, e 77, comma 1, cost. in quanto «la garanzia del doppio grado di giudizio non gode, di per sé, di una copertura costituzionale, sicché non appare fondato il dubbio prospettato dalle odierne ordinanze relativo a una compressione del diritto di difesa conseguente al fatto che la pronuncia emessa in primo grado dalla Corte d'appello può essere impugnata solo con il ricorso per cassazione».

 

 

Anche per questo procedimento, analogamente a quanto disposto all’art. 3 del d.lgs. n. 25/2008 per l’impugnazione dei provvedimenti dell’Unità Dublino, il Senato ha precisato che la procura alle liti per la presentazione del ricorso in Cassazione deve essere conferita in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato. In presenza di fondati motivi e su istanza di parte, il giudice che ha pronunciato il decreto impugnato può sospenderne gli effetti e quindi sospendere l’efficacia della decisione della Commissione qualora il decreto sia stato di rigetto (comma 13).

Anche per questi procedimenti, inoltre, la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale non opera (comma 14) ed è richiesta una trattazione in via di urgenza (comma 15).

Per quanto concerne le spese legali, il comma 17 prevede che quando la decisione della Commissione territoriale impugnata ha rigettato la domanda di protezione internazionale perché inammissibile o manifestamente infondata, il giudice, ove il ricorso sia integralmente respinto, nel liquidare il compenso del difensore deve motivare espressamente la sussistenza dei requisiti per l'ammissione al gratuito patrocinio.

Infine il comma 18, con una disposizione transitoria, prevede l'applicazione del processo telematico (deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti esclusivamente con modalità telematiche) anche ai procedimenti in esame, a partire dal provvedimento del Ministero della giustizia che attesta la piena funzionalità dei sistemi. E' fatta salva la facoltà del ricorrente che risieda all'estero di effettuare il deposito con modalità non telematiche ed è consentito al giudice autorizzare il deposito non telematico in situazioni di urgenza.

 

 

 


 

Articolo 6, comma 1, lett. 0a)
(Procedimento per l’impugnazione dei provvedimenti adottati dall'Unità Dublino)

 

La lettera 0-a), introdotta dal Senato, disciplina il procedimento per l’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale che, nel nostro ordinamento, è la c.d. Unità Dublino del Ministero dell’Interno.

 

Si ricorda, infatti, che ai sensi dell'art. 3, comma 3 del D.Lgs. 25/2008 l'Unità Dublino, operante presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, costituisce l'autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale in applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 .

 

In particolare, la nuova disposizione modifica l’art. 3 del d.lgs. n. 25 del 2008, inserendovi dieci nuovi commi, attraverso i quali prevede che:

-           contro le decisioni di trasferimento adottate dall'Unità Dublino è ammesso ricorso al tribunale distrettuale (nel quale è istituita la sezione specializzata), che decide applicando il rito camerale ex artt. 737 e ss. c.p.c. (comma 3-bis);

-           non si applica a questo procedimento la sospensione feriale dei termini (comma 3-novies) e la controversia deve essere trattata in ogni grado (ovvero dinanzi al tribunale e dinanzi alla Corte di cassazione) in via d’urgenza (comma 3-decies);

-           il ricorso deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro 30 giorni dalla notificazione della decisione di trasferimento (comma 3-ter);

-           con il ricorso può essere proposta istanza di sospensione degli effetti della decisione di trasferimento. In questo caso, in attesa della decisione del tribunale, il trasferimento è sospeso automaticamente e il termine per il trasferimento decorre dalla comunicaizone del provvedeimento di rigetto della istanza di sospensione ovvero, in caso di accoglimento, dalla comunicazione del decreto di rigetto del ricorso (comma 3-octies);

-           sull’istanza di sospensione degli effetti si pronuncia il tribunale entro 5 giorni. La sospensione può essere concessa quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni e assunte, ove occorra, sommarie informazioni. L’Unità Dublino non deve essere convocata. Il decreto motivato con il quale il tribunale concede o nega la sospensione è notificato alle parti entro 5 giorni. Le parti hanno a disposizione altri 10 giorni per presentare note difensive e note di replica, all’esito delle quali il giudice potrà, sempre nel ristretto termine di 5 giorni, rivedere il decreto emanato, che non sarà più impugnabile (comma 3-quater);

-           il ricorso è notificato all'Unità Dublino che, entro 15 giorni, può presentare una propria nota difensiva, dovendo nel contempo depositare i documenti da cui risultino gli elementi di prova e le circostanze indiziarie posti a fondamento della decisione di trasferimento. L’autorità può stare in giudizio avvalendosi di propri dipendenti (comma 3-quinquies). Entro 10 giorni dalla scadenza del termine per le note difensive, il ricorrente può a sua volta depositare note difensive (comma 3-sexies);

-           il procedimento è trattato in camera di consiglio. L'udienza per la comparizione delle parti è del tutto eventuale, dovendo essere fissata soltanto quando il giudice lo ritenga necessario ai fini della decisione. La sezione specializzata ha 60 giorni di tempo, dalla presentazione del ricorso, per assumere la decisione finale con un decreto non reclamabile;

-           contro il decreto è solo possibile proporre ricorso per cassazione entro 30 giorni dalla comunicazione della decisione. Il comma 3-septies specifica che la procura alle liti per la presentazione del ricorso in Cassazione deve essere conferita in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato, pena l’inammissibilità del ricorso. Se il tribunale ha rigettato il ricorso, e dunque ha confermato la decisione di trasferimento, la Cassazione deve decidere sull'impugnazione entro 2 mesi. Analogo termine non è previsto nel caso di accoglimento del ricorso (comma 3-septies);

-           il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti relativi a questo procedimento avrà luogo esclusivamente con modalità telematiche a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione del provvedimento con il quale il Ministero della giustizia attesta la funzionalità dei sistemi informatici. Il giudice potrà autorizzare il deposito con modalità non telematiche in casi di indifferibile urgenza (comma 3-undecies).

 

 

 


 

Articolo 7
(
Modifiche al decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150)

 

L'articolo 7, a seguito dell’istituzione delle nuove sezioni specializzate, modifica il decreto legislativo n. 150 del 2011 che, nella scorsa legislatura, ha ridotto e semplificato i procedimenti civili di cognizione prevedendo l’applicazione del rito sommario di cognizione a tutte le controversie in materia di immigrazione e di riconoscimento della protezione internazionale.

 

Più nel dettaglio, la lettera a) interviene sull'art. 16, co. 2, del decreto legislativo, che riconduce al rito sommario di cognizione le controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari (co. 1), attribuendo la competenza al tribunale del luogo ove dimora il ricorrente (co. 2).

Il decreto-legge modifica il comma 2 dell'art. 16, attribuendo la competenza al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea del luogo in cui il ricorrente ha la dimora.

 

La lettera b) modifica l'art. 17, co. 2, del D.Lgs. n. 150, il quale prevede che le controversie in materia di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari siano decise con rito sommario di cognizione dal tribunale in composizione monocratica. Il decreto-legge interviene sulla disposizione, attribuendo la competenza su tali controversie al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea.

 

La lettera c) dispone l'abrogazione dell'art. 19 del D.Lgs. n. 150, relativo alle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale (si rinvia per la nuova disciplina all’art. 6, comma 1, lettera g), del decreto-legge).

 

La lettera d) introduce nel decreto legislativo del 2011, il nuovo art. 19-bis, relativo alle controversie in materia di accertamento dello stato di apolidia.

La competenza su tali controversie è attribuita al tribunale sede della sezione specializzata del luogo in cui il ricorrente ha la dimora. Ai procedimenti relativi a tali controversie si applica il rito sommario di cognizione.

A seguito della modifica apportata dal Senato all’art. 3 del disegno di legge, l'ambito di applicazione del nuovo articolo 19-bis è stato esteso anche alle controversie in materia di accertamento dello stato di cittadinanza italiana.

 

Infine, la lettera e), modificando l'art. 20, co. 2, del D.Lgs. 150/2011, attribuisce la competenza sui procedimenti di opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché agli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, del luogo in cui ha sede l'autorità che ha adottato il provvedimento impugnato.

 

 


 

 

Articolo 8
(Trattenimento nei centri e impiego in attività sociali
dei richiedenti asilo)

 

 

L'articolo 8 reca modifiche al D.Lgs. 142/2015 recante norme in materia di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e di procedura ai fini del suo riconoscimento o revoca (di attuazione delle due direttive dell'Unione europea n. 33 e n. 32 del 2013).

Le modificazioni introdotte si possono sintetizzare come segue:

 

Inoltre, l’articolo in esame reca anche alcune disposizioni di coordinamento con la nuova disciplina processuale delle controversie in materia di protezione internazionale (v. supra articolo 6, comma 1, lettera g) nonché con la nuova configurazione dell'organo giurisdizionale competente (v. supra articoli 1-4) (lettere a), b) n. 2 e n. 4, c);

 

La lettera a-bis), prevede l’iscrizione obbligatoria nell'anagrafe della popolazione residente, del richiedente protezione internazionale ospitato nei centri di accoglienza che non vi risulti già iscritto individualmente. È previsto l'obbligo del responsabile della convivenza di comunicare entro venti giorni al competente ufficio dell'anagrafe la variazione della convivenza. La disposizione si applica a coloro che sono ospitati nei centri di prima accoglienza, di accoglienza temporanea e nei centri del sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati - SPRAR, ma non anche ai richiedenti asilo trattenuti negli ex CIE.

 

Si ricorda che ai sensi del regolamento anagrafico della popolazione residente, ai fini anagrafici per convivenza s'intende un insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune.

La convivenza anagrafica ha un responsabile, individuata nella persona che normalmente dirige la convivenza stessa, che ha la responsabilità delle dichiarazioni anagrafiche dei componenti la convivenza (artt. 5 e 6 D.P.R. 223/1989).

 

In materia di trattenimento, si ricorda che l’articolo 6 del D.Lgs. 142/2015 individua i seguenti casi in cui il richiedente protezione internazionale deve essere trattenuto, previa valutazione caso per caso, nei centri di identificazione ed espulsione - CIE (ora ridenominati, dall’art. 19 del provvedimento in esame, centri di permanenza per i rimpatri - CPR):

·        essere sospettato di aver compiuto gravi crimini;

·        essere stato oggetto di provvedimento di espulsione per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato;

·        essere stato espulso in quanto appartenente ad una delle categorie a cui si applicano le misure di prevenzione previste dal codice antimafia;

·        essere stato espulso per motivi di prevenzione di terrorismo;

·        costituire un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica;

·        sussistenza del rischio di fuga.

Al di fuori di tali ipotesi, il richiedente che si trova in un centro in attesa dell'esecuzione di un provvedimento di espulsione, vi rimane quando vi sono fondati motivi per ritenere che la domanda sia stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione dell'espulsione.

 

La lettera b), n. 1 interviene su quest’ultima ipotesi (azione dilatoria dell’espulsione) introducendo la medesima previsione per il destinatario di un provvedimento di respingimento (sulla base - ravvisa la relazione illustrativa del disegno di legge di conversione - della "omogeneità contenutistica e funzionale tra respingimento ed espulsione e sulla eadem ratio di apprestare misure idonee ad evitare il rischio di fuga di stranieri che possano presentare richieste pretestuose e strumentali") e non solo di espulsione.

 

Si ricorda che in linea generale, mentre il provvedimento di espulsione interviene nel momento in cui lo straniero irregolare viene individuato già all’interno del territorio nazionale, quindi dopo avervi fatto ingresso, il respingimento avviene direttamente alla frontiera, o nelle immediate vicinanza, nei confronti degli stranieri senza i requisiti richiesti per fare ingresso nel Paese.

 

La lettera b), n. 2 interviene sull’articolo 6 del decreto legislativo n. 142 del 2015 con finalità di coordinamento, sostituendo alla competenza del tribunale in composizione monocratica la nuova sezione specializzata (ovvero il riferimento al tribunale sede della sezione specializzata).

 

La lettera b), n. 3 introduce la previsione che la partecipazione del richiedente protezione internazionale al procedimento di convalida del provvedimento di trattenimento nei centri per il rimpatrio (ex CIE) avvenga (ove possibile) a distanza mediante collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il centro dove è trattenuto, comunque assicurando la contestuale, effettiva e reciproca visibilità e udibilità delle persone presenti, e sempre consentendo la presenza di un difensore o suo sostituto nel luogo ove si trovi il richiedente.

Un operatore della Polizia di Stato appartenente al ruolo dei sovrintendenti, al ruolo degli ispettori o alla qualifica più elevata del ruolo degli assistenti è presente nel luogo dove si trova il richiedente, ne attesta l'identità, dà atto dell’osservanza delle disposizioni che assicurano contestuale visibilità e possibilità di udire delle persone coinvolte nel colloqui, redige verbale delle operazioni svolte.

Le specifiche tecniche relative al modalità di realizzazione del collegamento audiovisivo sono stabilite (con decreto direttoriale) d'intesa tra i Ministri della giustizia e dell'interno, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge.

 

La lettera b-bis), introdotta nel corso dell’esame al Senato, prevede che non possono essere trattenuti nei centri di permanenza per i rimpatri (ex CIE) i richiedenti asilo le cui condizioni di vulnerabilità (e non solo di salute) siano incompatibili con il trattenimento.

 

Sono considerati vulnerabili i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale o legata all'orientamento sessuale o all'identità di genere, le vittime di mutilazioni genitali (art. 17, comma 1. D.Lgs. 142/2015).

La lettera d) introduce nel D.Lgs. 142/2015 il nuovo articolo 22-bis, relativo alla partecipazione dei richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali.

La disposizione, nel far rinvio alla normativa vigente in materia di lavori socialmente utili, individua nel prefetto, d'intesa con i comuni e con le regioni e le province autonome, il soggetto promotore di tal tipo di attività, anche con la stipula di protocolli di intesa con i comuni, con le regioni e le province autonome e con le organizzazioni del terzo settore.

L’impiego dei richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali si svolge “nel quadro delle disposizioni normative vigenti”.

La disposizione non specifica peraltro la normativa applicabile.

Dal richiamo alle organizzazioni del terzo settore, sembra potersi desumere l’applicabilità della normativa in materia di volontariato (attualmente disciplinata dalla legge quadro n. 266/1991 e in riferimento alla quale la legge n. 106 del 2016 ha conferito una delega di riforma, al momento aperta).

La fattispecie potrebbe anche essere accostata a quella dei cd. lavori socialmente utili.

 

A tale ultimo proposito, si ricorda che l’articolo 26 del decreto legislativo n. 150/2015 ha previsto la possibilità di utilizzare i lavoratori titolari di strumenti di tutela del reddito in costanza di rapporto di lavoro, per lo svolgimento di attività a fini di pubblica utilità, sotto la direzione ed il coordinamento di amministrazioni pubbliche, nel territorio del comune di residenza. In relazione a ciò, le regioni e le province autonome stipulano, con le medesime amministrazioni, specifiche convenzioni, sulla base della convenzione-quadro predisposta dall’A.N.P.A.L., che possono prevedere che le suddette attività siano svolte da specifiche categorie di lavoratori disoccupati. L’utilizzo non comporta l'instaurazione di un rapporto di lavoro e deve avvenire in modo da non incidere sul corretto svolgimento del rapporto di lavoro in corso.

 

Possibile sede di tale impegno di analisi e promozione degli interventi sono i Consigli territoriali per l'immigrazione (previsti dall'articolo 3, comma 6 del D.Lgs. 286/1999, Testo unico dell'immigrazione, ed istituiti dall'articolo 57 del relativo regolamento attuativo, DPR 394/1999). Vi sono rappresentati le competenti amministrazioni locali dello Stato, la regione, gli enti locali, gli enti e le associazioni localmente attivi nel soccorso e nell'assistenza agli immigrati, le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro.

I comuni, le regioni e le province autonome anche in collaborazione con le organizzazioni del terzo settore, possono predisporre progetti da finanziare con risorse europee destinate all'immigrazione e all'asilo. Qualora i comuni, le regioni e le province autonome prestino servizi di accoglienza per i richiedenti protezione privi di mezzi di sussistenza “di cui all’articolo 1-sexies del DL 416/1989”, i loro progetti sono esaminati con priorità ai fini dell'assegnazione delle risorse.

 

L’articolo 1-sexies del DL 416/1989 riguarda gli enti locali che prestano servizi finalizzati all'accoglienza dei richiedenti asilo e alla tutela dei rifugiati e degli stranieri destinatari di altre forme di protezione umanitaria.

 

La previsione che siano coinvolte, oltre ai comuni, anche le regioni e province autonome nella definizione delle modalità di svolgimento delle attività di utilità sociale è stata introdotta nel corso dell’esame al Senato.

Con riferimento alle priorità per l’assegnazione delle risorse si fa riferimento ai comuni, alle regioni e alle province autonome che prestano i servizi di cui all’articolo 1-sexies del DL n. 416/1989. Tale disposizione risulta peraltro applicabile agli enti locali, ma non alle regioni.


 

Articolo 9
(Permesso di soggiorno di lungo periodo UE per titolari di protezione internazionale e ricongiungimento familiare)

 

L’articolo 9 reca alcune modifiche al testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998) e in particolare:

·        introduce modalità di annotazione dello status di protezione internazionale sul permesso di soggiorno di lungo periodo UE per i titolari di protezione internazionale rilasciata da uno Stato diverso da quello che ha rilasciato il permesso di soggiorno;

·        rende possibile l’allontanamento dello straniero con permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e titolare di protezione internazionale verso lo Stato membro che ha riconosciuto la protezione internazionale, ovvero verso altro Stato non UE, in presenza di motivi di sicurezza dello Stato o di ordine e sicurezza pubblica;

·        prevede la trasmissione con modalità informatica della domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare e la riduzione da 180 a 90 giorni del termine per il suo rilascio.

 

La lettera a), reca disposizioni riguardanti il regime di annotazione dello status di protezione internazionale sui permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (n. 1) e il regime di allontanamento dei lungo soggiornanti, e dei loro familiari, quando costoro abbiano ottenuto la protezione internazionale in uno Stato membro diverso dall’Italia (n. 2).

 

Come si legge nella relazione illustrativa allegata al d.d.l. presentato dal Governo al Senato (AS 2705), tali disposizioni sono finalizzate alla chiusura della procedura di infrazione n. 2013/0276, allo stadio di parere motivato complementare ex articolo 258 TFUE, avviata dalla Commissione europea per mancato recepimento della direttiva 2011/51/UE del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/109/UE relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, per estenderne l’ambito di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale.

In particolare, la disposizione di cui al numero 1 della lettera a) è finalizzata a sanare quella parte della procedura di infrazione in cui la Commissione europea ha contestato il mancato recepimento dell’articolo 1, numero 8), della direttiva 2011/51/UE che ha introdotto nella direttiva 2003/109/UE l’articolo 19-bis al fine di disciplinare il regime di annotazione dello status di protezione internazionale sui permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati a cittadini di Paesi terzi che abbiano ottenuto la protezione internazionale in uno degli Stati membri.

 

L’articolo 9, comma 1-bis, del testo unico immigrazione di cui al D.lgs. 286/1998 (introdotto dal D.Lgs. 12/2014, di attuazione della citata direttiva 2011/51/UE), nel testo previgente le modifiche introdotte dal provvedimento in esame, prevedeva solo che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato allo straniero titolare di protezione internazionale recasse, nella rubrica «annotazioni», la dicitura «protezione internazionale riconosciuta dall’Italia il» e riportasse la data in cui la protezione è stata riconosciuta.

Questa fattispecie, tuttavia, copre solo il caso in cui la protezione internazionale sia concessa dall’Italia a cittadini di Paesi terzi che siano anche titolari di un permesso UE di lungo soggiorno rilasciato dall’Italia stessa. Invece la casistica prevista dalla direttiva 2011/51/UE è più articolata e, al fine di sanare la citata procedura di infrazione, la disposizione in esame – come si legge nella relazione illustrativa - “disciplina anche le ipotesi in cui i lungo soggiornanti, liberi di circolare sull’intero territorio europeo, abbiano ottenuto il permesso UE di lungo soggiorno da un primo Stato membro e la protezione internazionale da un secondo Stato membro”.

 

Pertanto, con le disposizioni introdotte alla lettera a) si prevede l’obbligo per le istituzioni italiane di attivarsi quando ad un cittadino di Paese terzo, titolare di un permesso UE di lungo soggiorno rilasciato dall’Italia, sia stata concessa (per la prima volta o anche a seguito di trasferimento) la protezione internazionale da un altro Stato membro, e questo secondo Stato membro, nelle more del rilascio di un proprio permesso UE di lungo soggiorno, abbia richiesto alle istituzioni italiane di aggiornare il permesso italiano riportando nel campo «annotazioni» la dicitura «protezione internazionale rilasciata da [nome del secondo Stato membro] il [data del rilascio]». In tal caso, le istituzioni italiane sono tenute ad aggiornare il documento italiano entro tre mesi dalla richiesta del secondo Stato membro.

Se, invece, è l’Italia a concedere per la prima volta, oppure ad assumere secondo le regole del trasferimento, la protezione internazionale di un cittadino di Paese terzo titolare di un permesso UE di lungo soggiorno rilasciato da un secondo Stato membro, è obbligo delle istituzioni italiane richiedere al secondo Stato membro di annotare su quel permesso di lungo soggiorno la protezione internazionale dell’Italia; il secondo Stato membro dovrà aggiornare il proprio documento entro tre mesi dalla richiesta italiana.

 

La disposizione di cui al n. 2) della lettera a) è, invece, volta a superare la contestazione della Commissione europea relativa al mancato recepimento dell’articolo 1, numero 7), lettera a), della direttiva 2011/51/UE, limitatamente ai paragrafi 3-bis e 3-ter, introdotti nell’articolo 12 della direttiva 2003/109/CE.

A tal fine, introduce all’articolo 9 del testo unico il comma 11-bis, che disciplina l’allontanamento dello straniero il cui permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo riporta l’annotazione relativa alla titolarità di protezione internazionale, e dei suoi familiari, verso lo Stato membro che ha riconosciuto la protezione internazionale, previa conferma da parte di tale Stato della attualità della protezione.

Secondo quanto prescritto dal comma 3-quater del citato articolo 12 (introdotto anch’esso dalla direttiva 2011/51/UE), l'allontanamento può invece essere effettuato altrove, fuori del territorio dell'Unione europea (sentito lo Stato membro che ha accordato la protezione internazionale), qualora sussistano motivi per ritenere che l'espulso rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato, o rappresenti un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica essendo stato condannato con sentenza definitiva per un reato per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni (cfr. articolo 20 del decreto legislativo n. 251 del 2007).

Rimane comunque fermo il divieto di espulsione o respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione (cd. principio di non refoulement, ribadito dall'articolo 19, comma 1 del Testo unico dell'immigrazione).

 

La lettera b) novella l'articolo 29 del testo unico dell'immigrazione in materia di ricongiungimento familiare.

Il n. 1 della lettera b) prescrive l'invio con modalità informatica della domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata della documentazione relativa ai requisiti richiesti (circa alloggio, reddito minimo, assicurazione sanitaria o altro titolo idoneo). Così come si prescrive che con modalità informatica il destinatario - ossia lo sportello unico per l'immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo competente per il luogo di dimora del richiedente - rilasci la ricevuta.

Rimane immutata la restante parte dell'articolo 29 del testo unico, secondo cui l'ufficio, acquisito dalla questura il parere sulla insussistenza dei motivi ostativi all'ingresso dello straniero nel territorio nazionale, e verificata l'esistenza dei requisiti su alloggio, reddito e copertura sanitaria, rilascia il nulla osta ovvero un provvedimento di diniego dello stesso.

Il rilascio del visto nei confronti del familiare per il quale è stato rilasciato il predetto nulla osta è subordinato all'effettivo accertamento dell'autenticità, da parte dell'autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o stato di salute.

Il n. 2 della lettera b) riduce il termine per il rilascio del nulla osta al ricongiungimento familiare: fissato in 90 giorni (anziché 180) dalla richiesta.

Il termine è dunque ridotto della metà, in conseguenza (si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione) della semplificazione introdotta con la previsione della modalità informatica nella trasmissione della domanda e documentazione per il ricongiungimento familiare.


 

Articolo 10
(Procedimento per la convalida del provvedimento di allontanamento di cittadini dell’Unione Europea e dei loro familiari, sottoposti a procedimento penale)

 

L'articolo 10 modifica l'art. 20-ter del d.lgs. 30/2007, recante attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

 

In particolare, l’art. 20-bis del d.lgs. 30/2007 disciplina l’ipotesi dell’allontanamento di soggetti sottoposti a procedimento penale pendente. In tal caso, la decisione di allontanamento è sottoposta a convalida secondo le procedure previste dall’articolo 13, commi 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies del testo unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998). I provvedimenti di allontanamento sono sottoposti alla convalida da parte dell’autorità giudiziaria, che viene individuata nel tribunale ordinario in composizione monocratica (art. 20-ter).

 

Il decreto-legge attribuisce la competenza in materia di convalida dei provvedimenti di allontanamento al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea (lettera a).

 

La lettera b) aggiunge all'art. 20-ter ulteriori disposizioni relative all'udienza di convalida.

In particolare, si prevede che, quando l'interessato è trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione, la sua partecipazione all'udienza per la convalida avviene, ove possibile, a distanza, mediante un collegamento audiovisivo tra l'aula d'udienza e il centro.

Tale collegamento si svolge con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. La definizione delle specifiche tecniche, alle quali devono conformarsi i collegamenti audiovisivi, è demandata ad un successivo decreto direttoriale da adottarsi d'intesa tra i Ministeri della giustizia e dell'interno entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione.

E' sempre consentito al difensore, o a un suo sostituto, di essere presente nel luogo ove si trova il richiedente.

Nel luogo ove si trova il richiedente deve essere altresì presente un operatore della polizia di Stato (appartenente ai ruoli dei sovrintendenti, degli ispettori e alla qualifica più elevata del ruolo degli assistenti), il quale deve:

·        attestare l'identità del soggetto trattenuto, dando atto che non sono posti impedimenti o limitazioni all'esercizio dei diritti e delle facoltà a lui spettanti;

·        dare atto dell'osservanza delle disposizioni relative ai collegamenti audiovisivi nonché, se ha luogo l'audizione del richiedente, delle cautele adottate per assicurarne la regolarità con riferimento al luogo ove si trova. A tal fine interpella, ove occorra, il richiedente e il suo difensore;

·        redigere verbale delle operazioni svolte.

 

 

 


 

Articolo 11
(
Applicazioni straordinarie di magistrati)

 

L'articolo 11 attribuisce al CSM il compito di predisporre un piano straordinario di applicazioni extradistrettuali, in deroga alle disposizioni in materia di applicazione dei magistrati, di cui agli artt. 110 e seguenti dell'ordinamento giudiziario (R.D. 12/1941).

A tale fine, il CSM procede all'individuazione degli uffici giudiziari sede della sezione specializzata, interessati dal maggiore incremento dei procedimenti e del numero dei magistrati da applicare, fino a un massimo di 20 unità, e stabilisce secondo criteri di urgenza le modalità per la procedura di interpello e la sua definizione (comma 1).

In deroga a quanto previsto dal comma 5 dell'articolo 110 dell'O.G., in questi casi l'applicazione ha durata di 18 mesi, rinnovabile per un periodo non superiore a ulteriori 6 mesi (comma 2).

 

Ai sensi dell’articolo 110, comma 5, del RD n. 12/1941, l’istituto dell’applicazione del magistrato - in base al quale un magistrato in servizio può essere destinato allo svolgimento di funzioni presso i tribunali ordinari, i tribunali per i minorenni e di sorveglianza e le corti di appello del medesimo o di altro distretto, quando le esigenze di servizio in tali uffici siano imprescindibili e prevalenti - può protrarsi per un anno e può essere prorogata, in caso di necessità dell’ufficio, soltanto per un periodo non superiore ad un anno. L’ultimo periodo del comma in esame consente il prolungamento dell’applicazione per un ulteriore anno in casi valutati dal CSM di eccezionale rilevanza e limitatamente allo svolgimento dei procedimenti per i reati di cui all’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. Tale disposizione, portando ad un massimo di tre anni la durata complessiva dell’applicazione, è volta ad impedire che l’attività dibattimentale relativa ai predetti processi di criminalità organizzata, svolta in presenza di un magistrato, sia caducata, allo spirare del termine dell’applicazione, con il conseguente obbligo alla rinnovazione degli atti processuali.

 

Il magistrato applicato ha diritto, ai fini di futuri trasferimenti, a un punteggio di anzianità aggiuntivo pari a 0,10 per ogni otto settimane di effettivo esercizio di funzioni, oltre alla misura del 50 per cento dell'indennità spettante in caso di trasferimento d'ufficio (comma 3).

 

L'articolo 2 della legge 4 maggio 1998, n. 133, nel disciplinare l'indennità in caso di trasferimento d'ufficio, prevede che al magistrato trasferito d'ufficio è attribuita, per il periodo di effettivo servizio nelle sedi disagiate e per un massimo di quattro anni, un'indennità mensile determinata in misura pari all'importo mensile dello stipendio tabellare previsto per il magistrato ordinario con tre anni di anzianità. L'effettivo servizio non include i periodi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa, di astensione facoltativa per maternità e della paternità e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa.

 

Per la copertura degli oneri relativi alle applicazioni straordinarie sono previsti i seguenti stanziamenti:

·        391.209 euro per il 2017;

·        521.612 euro per il 2018;

·        130.403 euro per il 2019.

 


 

 

Articolo 12
(
Assunzione di personale per gli uffici delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo, nonché disposizioni per la funzionalità del Ministero dell'interno)

 

L'articolo 12 autorizza il Ministero dell'interno ad assumere fino a 250 unità di personale a tempo indeterminato per il biennio 2017-2018, da destinare agli uffici delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo.

 

Le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, che decidono in merito alle domande di protezione internazionale, sono distribuite sul territorio nazionale e sono composte, nel rispetto del principio di equilibrio di genere, da: un funzionario della carriera prefettizia, con funzioni di presidente; un funzionario della Polizia di Stato; un rappresentante di un ente territoriale designato dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali; un rappresentante designato dall'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, con la partecipazione di un interprete allorché sia audito il richiedente (art. 4 del decreto legislativo n. 25 del 2008).

Esaminata la domanda, la Commissione territoriale può riconoscere lo status di rifugiato, ovvero può accordare la protezione sussidiaria, se ritiene che sussista un rischio effettivo di un grave danno in caso di rientro nel Paese d’origine, ovvero può ritenere che sussistano gravi motivi di carattere umanitario e, pertanto, riconoscere la protezione per motivi umanitari. Diversamente, la Commissione può non riconoscere alcuna protezione o rigettare la domanda per manifesta infondatezza.

Nella legislatura in corso, l’articolo 5 del decreto-legge n. 119 del 2014 ha aumentato da 10 a 20 il numero massimo delle Commissioni territoriali ed ha elevato fino ad un massimo di trenta per l'intero territorio nazionale il numero delle sezioni (composte da membri supplenti delle commissioni territoriali) che possono essere istituite con decreto del Ministro dell'interno al verificarsi di un eccezionale incremento delle domande di asilo connesso all'andamento dei flussi migratori e per il tempo strettamente necessario da determinare nello stesso decreto (art. 4, co. 2-bis, D.lgs. 25/2008). Il decreto ha disposto inoltre l’insedimaneto delle commissioni presso le prefetture, che forniscono il necessario supporto organizzativo e logistico, con il coordinamento del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.

La Commissione nazionale per il diritto di asilo ha compiti di indirizzo e coordinamento e formazione dei componenti delle Commissioni territoriali, nonché di esame per i casi di cessazione e revoca degli status concessi. Essa individua le linee guida per la valutazione delle domande di asilo e collabora con altri organismi istituzionali nonché con gli analoghi organismi dei Paesi membri dell’Unione europea. Provvede ad aggiornare una banca-dati informatica per il monitoraggio delle richieste di asilo nel nostro Paese. La Commissione Nazionale ha cinque membri, è presieduta da un Prefetto ed è composta da dirigenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero Affari Esteri, Ministero dell’Interno (Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione e Dipartimento di Pubblica Sicurezza) e un rappresentante UNHCR con funzioni consultive.

 

La necessità di aumentare le risorse umane degli uffici delle Commissioni richiamate deriva dagli impegni connessi all’eccezionale incremento del numero delle richieste di protezione internazionale e con la finalità – specificata nel corso dell’esame al Senato - di far fronte alle esigenze di servizio per accelerare la fase dei colloqui.

 

La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione riporta un andamento numerico delle domande di protezione internazionale (che le Commissioni sono chiamate a vagliare e decidere) in progressivo e costante aumento nel corso del periodo 2013-2016.

 

 

Numero di domande di protezione internazionale presentate

Numero di posizioni esaminate dalle Commissioni territoriali

2013

26.620

23.634

2014

63.456

63.456

2015

83.970

71.117

2016

123.600

91.102

 

La disposizione autorizza l’assunzione, mediante procedure concorsuali, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente ed anche in deroga alle procedure di mobilità previste dagli artt. 30 e 34-bis del D.Lgs. 165/2001.

Si tratta di personale “altamente qualificato per l'esercizio di funzioni di carattere specialistico”, da ascrivere all'Area III dell'amministrazione civile dell'interno.

In base alla relazione tecnica che correda il disegno di legge di conversione, la dotazione organica dell’Area III è “capiente”, risultandovi disponibili attualmente 565 posti, esclusi i posti fuori ruolo.

Per le finalità della disposizione è autorizzata una spesa di circa 10,26 milioni di euro a decorrere dal 2018.

Per il 2017 (nella stima che le assunzioni siano realizzate con decorrenza dal mese di ottobre) quell'importo è imputato in bilancio solo per il trimestre ottobre-dicembre, risultando pari a 2,56 milioni nel testo originario del decreto-legge. A seguito dell’esame al Senato, tale importo è stato rideterminato in 2,76 milioni di euro.

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato inoltre introdotto un comma 1-bis che assegna al Ministero dell’interno il termine del 31 dicembre 2018 per predisporre il nuovo regolamento di organizzazione del Ministero, ai sensi dell'articolo 2, comma 7, del D.L. 31 agosto 2013, n. 101 (conv. L. 125/2013).

La riorganizzazione è posta in relazione, in particolare, alla necessità di potenziare le strutture finalizzate al contrasto dell’immigrazione illegale e alla predisposizione degli interventi per l’accoglienza legati ai flussi migratori e all’incremento delle richieste di protezione internazionale.

Nel medesimo termine del 31 dicembre 2018, il Ministero dell’interno deve predisporre la previsione delle cessazioni di personale in servizio finalizzata alla verifica dei tempi di riassorbimento delle posizioni soprannumerarie (così come previsto dall’art. 2, co. 11, lett. b) del richiamato D.L. 95/2012), e procedere al riassorbimento entro l’anno successivo.

 

In proposito occorre ricordare che, nell’ambito delle politiche di c.d. spending review, il D.L. 95/2012 (conv. L. 7 agosto 2012, n. 135) ha previsto la riduzione delle dotazioni organiche (di personale dirigenziale e non) delle amministrazioni centrali dello Stato e degli enti pubblici (art. 2, co. 1 e 2). Alla riduzione degli organici (come previsto dall’art. 2, comma 10, del D.L. 95/2012) era previsto che seguisse la ridefinizione degli assetti organizzativi delle amministrazioni interessate entro sei mesi dal provvedimento di determinazione della nuova dotazione organica, con regolamenti di organizzazione. Tale termine è stato più volte prorogato.

Per quanto riguarda il Ministero dell’interno sono state dettate disposizioni specifiche. Infatti, il D.L. 95/2012 (art. 2, co. 2) ha stabilito per il solo personale dell’Amministrazione civile dell’interno, che le riduzioni si applicassero all’esito della procedura di soppressione e razionalizzazione delle province (prevista dal medesimo D.L. n. 95, all’articolo 17) e, comunque entro il 30 aprile 2013. L'applicazione di tale previsione è stata sospesa fino al 30 giugno 2014, (art. 2, co. 2, D.L. 93/2013, conv. da L. 119 del 2013) al fine di collegare i provvedimenti relativi alle dotazioni organiche dell’Amministrazione civile dell’interno a quelli di tipo ordinamentale di riordino delle Province (come già stabilito dal DL n. 95 del 2012 e confermato dall'articolo 1, comma 115 della legge n. 228 del 2012).

Successivamente, l’art. 21-bis del D.L. 90/2014 ha fissato il nuovo termine del 31 ottobre 2014 affinchè il Ministero dell'interno provvedesse alle riduzioni delle dotazioni organiche del personale dirigenziale e non dirigenziale previste dal D.L. 95/2012. Entro il termine del successivo 31 dicembre 2014, il medesimo ministero avrebbe dovuto predisporre il nuovo regolamento di organizzazione (con D.P.C.M. - in luogo del D.P.R., di cui invece all'articolo 2, comma 10-ter, del decreto-legge n. 95/1995). Inoltre, è stato differito al 31 dicembre 2014 anche il termine entro il quale definire la previsione delle cessazioni di personale in servizio per verificare i tempi di riassorbimento delle posizioni soprannumerarie (ai sensi dell'art. 2, comma 11, lettera b), D.L. 95/2012).

La riduzione delle dotazioni organiche del Ministero dell’interno è stata infine attuata con il D.P.C.M. 22 maggio 2015 che ha fissato la pianta organica in 22.140 unità di cui 1.390 della carriera prefettizia, 201 dirigenti e 20.549 unità di personale afferenti alle aree prima seconda e terza.

Non è stato adottato invece il regolamento di riorganizzazione del Ministero dell’interno, conseguente alle riduzioni di organico, che avrebbe dovuto essere predisposto, come si è detto, entro il 31 dicembre 2014; né si è proceduto alla verifica dei tempi di riassorbimento delle posizioni soprannumerarie.

È da ultimo intervenuto il comma 225 dell’art. 1 della legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016) che ha fissato quale nuovo termine per entrambi gli adempimenti un anno dall’entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della riforma delle prefetture, previsto dall’ art. 8, co. 1, lett. e), della L. 124/2015, di riforma delle pubbliche amministrazioni (cd. legge Madia), il cui termine per l’attuazione della delega è scaduto il 28 febbraio 2017, senza che a tale delega sia stata data attuazione.

 

La disposizione individua il regolamento di organizzazione con il riferimento all’articolo 2, comma 7, del D.L. 101/2013, disposizione che ha prorogato il termine entro il quale i Ministeri potevano adottare i propri regolamenti di organizzazione, a seguito delle riduzioni delle dotazioni organiche previste dal decreto-legge sulla cd. spending review (art. 2, co. 1, D.L. 95/2012), mediante D.P.C.M., in deroga al procedimento ordinario stabilito dall’art. 17, co. 4-bis, della L. 400/1988 (nonché dall’art. 4 del D.Lgs. 300/1999) che prevede regolamenti governativi di delegificazione, adottati con decreti del Presidente della Repubblica.

Parrebbe pertanto che la disposizione in esame autorizzi ad adottare il regolamento del Ministero dell’interno entro il 2018 secondo questa modalità derogatoria.

 

Sul punto, si ricorda che al fine di semplificare ed accelerare il riordino organizzativo conseguente alla rideterminazione delle dotazioni organiche, lo stesso art. 2 del D.L. 95/2012 ha previsto, al comma 10-ter, che i regolamenti di organizzazione dei Ministeri possano essere adottati con D.P.C.M., su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze.

Per tali decreti è previsto il controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti ex art. 3, commi da 1-3, della legge n. 20/1994 e, sugli stessi, viene riconosciuta la facoltà al Presidente del Consiglio di richiedere il parere da parte del Consiglio di Stato. A differenza dei regolamenti adottati con D.P.R., non è, invece, previsto il parere delle commissioni parlamentari. A decorrere dalla data di efficacia di ciascuno dei predetti decreti cessa di avere vigore, per il Ministero interessato, il regolamento di organizzazione vigente.

Il successivo art. 2, co. 7 del D.L. 101/2013 è intervenuto al solo fine di prorogare il termine per l’adozione dei nuovi regolamenti di organizzazione, originariamente stabilito in sei mesi dall’adozione dei rispettivi D.P.C.M. di riduzione delle dotazioni organiche. Il termine per tutte le amministrazioni che abbiano provveduto alla rideterminazione dell’organico veniva fissato alla data del 31 dicembre 2013. Solo per i Ministeri la disposizione aveva altresì prorogato al 31 dicembre 2013 (a sua volta prorogato al 28 febbraio 2014 dall’art. 1, co. 6, D.L. 150/2013) il termine entro cui adottare i regolamenti di organizzazione mediante D.P.C.M., in deroga al procedimento ordinario stabilito dall’art. 17, co. 4-bis, della L. 400/1988 (nonché dall’art. 4 del D.Lgs. 300/1999) La medesima disposizione ha specificato che per i Ministeri il termine s’intende rispettato con l’approvazione preliminare del Consiglio dei ministri degli schemi di regolamento.

 


 

Articolo 13
(Assunzioni presso Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia)

 

L'articolo 13, comma 1, autorizza il Ministero della giustizia ad avviare procedure concorsuali nel biennio 2017-2018, anche mediante scorrimento delle graduatorie in corso di validità.

La norma autorizza l'assunzione di un massimo di 60 unità nell'ambito dell'attuale dotazione organica del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, da inquadrare nell'Area III dei profili di funzionario delle seguenti professionalità:

La finalità della norma è quella di supportare gli interventi educativi, i programmi di inserimento lavorativo, per il miglioramento trattamento dei soggetti richiedenti asilo e protezione internazionale. Inoltre si intende dare piena attuazione alle nuove funzioni e compiti assegnati al summenzionato Dipartimento.

 

Il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità gestisce il Programma 1.3 del bilancio del Ministero della giustizia. Sono ricondotte al programma le seguenti attività: attuazione esecuzione penale esterna e di messa alla prova; esecuzione dei provvedimenti del giudice minorile; organizzazione e funzionamento dei servizi minorili e degli uffici per l’esecuzione penale esterna; trattamento, interventi e politiche di reinserimento delle persone sottoposte a misure giudiziarie; cooperazione internazionale in materia civile minorile; rapporti con gli organismi internazionali in tema di giustizia minorile e di esecuzione penale esterna; attività inerenti la nomina dei componenti esperti dei tribunali minorili; realizzazione di nuove infrastrutture, potenziamento e ristrutturazione per la giustizia minorile e di esecuzione penale esterna.

Con l'attribuzione delle suddette competenze è data attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero della giustizia (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 84 del 2015, in particolare art. 7) che prevede il passaggio delle competenze e del personale degli uffici per l’esecuzione esterna degli adulti e per la messa alla prova, dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria al nuovo DGMC, il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità.

 

Il comma 2 stabilisce che le suddette previsioni derogano ai limiti assunzionali previsti:

 

La normativa sulle limitazioni alle facoltà assunzionali a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni è stata caratterizzata negli ultimi anni da molteplici interventi. Per quanto attiene alle amministrazioni dello Stato (ed altri enti ed organismi individuati di volta in volta) la disciplina della limitazione del turn over è stata caratterizzata dalla fissazione di percentuali massime di reintegrazione dei cessati e dal ripetuto prolungamento del periodo di applicazione delle limitazioni.

Per quanto riguarda le modalità di calcolo delle cessazioni, un'importante novità è stata introdotta dal D.L. 90/2014, che ha eliminato (dal 2014) il vincolo alle assunzioni relativo alle percentuali di unità lavorative cessate nell'anno precedente (cd. limite capitario), mantenendo il solo criterio basato sui risparmi di spesa legati alla cessazioni di personale (peraltro con riferimento al solo personale di ruolo) avvenute nell'anno precedente.

Da ultimo, per quanto attiene al triennio 2016/2018, la percentuale di limitazione alle assunzioni di personale a tempo indeterminato non dirigenziale per specifiche amministrazioni dello Stato[2] e per le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno è stata ridotta, dall'articolo 1, commi 227-228, della L. 208/2015 (stabilità 2016), nel limite di un contingente di personale corrispondente ad una spesa pari al 25% di quella relativa al medesimo personale cessato nell'anno precedente. Per il personale dirigenziale il turn over per il 2016 è assicurato (al netto delle posizioni rese indisponibili) nei limiti delle capacità assunzionali. Resta invece escluso il personale in regime di diritto pubblico.

L'articolo 4 del D.L. 101/2013 interviene, tra l'altro, sull'efficacia delle graduatorie concorsuali. Esso condiziona l'autorizzazione all'avvio di nuovi concorsi, per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo (nonché per le agenzie, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca): a) all'immissione in servizio di tutti i vincitori di concorsi per assunzioni a tempo indeterminato salve comprovate non temporanee necessità organizzative adeguatamente motivate; b) all'assenza di graduatorie vigenti di vincitori e idonei di concorsi per assunzioni a tempo indeterminato. Il comma 5, in particolare, pone in capo alla Presidenza del Consiglio - Dipartimento della funzione pubblica, l'obbligo di effettuare un monitoraggio teso ad individuare coloro che, in virtù di contratti di lavoro a tempo determinato, abbiano maturato taluni requisiti di anzianità (definiti dal comma 6), nonché i lavoratori impegnati in lavori socialmente utili.

Infine, l’articolo 30, comma 2-bis, del D.Lgs. 165/2001 prevede che le amministrazioni pubbliche debbano attivare le procedure di mobilità prima di procedere all'espletamento di concorsi, provvedendo, in via prioritaria, all'immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio.

 

Il comma 3 autorizza la spesa di 1,2 milioni di euro per il 2017 e di 2,4 milioni a decorrere dal 2018.

 

Nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione in Senato è stato inserito il comma 3-bis che interviene sulla composizione e sull’attività delle commissioni esaminatrici dei concorsi per esami o per titoli ed esami, di cui all’articolo 9 del D.P.R. 487/1994.

 

Ai sensi dell’articolo 9 del DPR n.487/1994 tali commissioni, nominate con specifico D.P.C.M. (nei casi di concorsi unici) o con provvedimento del competente organo amministrativo (negli altri casi), sono composte da tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime.

In particolare, il comma 3 del richiamato articolo 9 stabilisce che le suddette commissioni possano essere suddivise in sottocommissioni, qualora i candidati che abbiano sostenuto le prove scritte superino le 1.000 unità, con l'integrazione di un numero di componenti (unico restando il presidente) pari a quello delle commissioni originarie e di un segretario aggiunto. Ad ogni sottocommissione non può essere assegnato un numero inferiore a 500 candidati.

 

La disposizione, in particolare, al fine di assicurare più rapidità alle specifiche procedure assunzionali presso il Ministero della giustizia, prevede la non applicazione della richiamata limitazione sull'integrazione del numero di componenti delle commissioni esaminatrici dei concorsi, contestualmente stabilendo il divieto di assegnare a ciascuna delle sottocommissioni un numero inferiore a 250 (in luogo degli attuali 500) candidati.

 

 


 

 

Articolo 14
(Disposizioni urgenti per la sicurezza e l’operatività della rete diplomatica e consolare)

 

 

L'articolo 14 prevede l'incremento di 20 unità per le sedi in Africa del contingente di personale a contratto impiegato presso le sedi diplomatiche e consolari, per le accresciute esigenze connesse al potenziamento della rete nel continente africano, derivanti anche dall'emergenza migratoria; il medesimo articolo reca anche l'autorizzazione di spesa.

E’ previsto inoltre un incremento di spesa per l’invio nel continente africano di personale dell’Arma dei Carabinieri per i servizi di sicurezza delle rappresentanze diplomatiche e consolari.

 

Il comma 1 dispone dunque l'incremento di 20 unità (nel corso dell’esame al Senato è stato aumentato da 10 a 20 unità tale incremento) per le sedi in Africa del contingente di personale a contratto impiegato presso le sedi diplomatiche e consolari, di cui all'art. 152 del D.P.R. 18/1967.

 

Il richiamato articolo 152 del D.P.R. 18/1967 (Ordinamento dell'amministrazione degli Affari Esteri) prevede che le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari di prima categoria e gli istituti italiani di cultura possano assumere personale a contratto per le proprie esigenze di servizio, previa autorizzazione dell'Amministrazione centrale, nel limite di un contingente complessivo pari a 2.277 unità. Il contratto di assunzione è stipulato a tempo indeterminato.

Tale contingente è stato, nel tempo, incrementato più volte.

Con la legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006), art. 1, comma 1317, tale contingente è stato elevato di non più di 65 unità per assicurare il rispetto degli obblighi derivanti dagli impegni assunti in sede europea finalizzati al contrasto della criminalità organizzata e dell'immigrazione illegale, per le esigenze connesse alla componente nazionale del «Sistema d'informazione visti».

Con il D.L. 83/2012 (Misure urgenti per la crescita), art. 41-bis, comma 4, per le straordinarie esigenze di funzionamento delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari nella Repubblica popolare cinese, in via eccezionale, il contingente è stato incrementato di 40 unità.

Il contingente è stato inoltre rideterminato con il D.L. 66/2014 (Misure urgenti per la competitività), art. 16-bis, comma 3, in 2.600 unità per l'anno 2015, 2.650 unità per l'anno 2016 e 2.700 unità a decorrere dall'anno 2017, comprensive degli incrementi numerici di cui alla finanziaria per il 2007, al D.L. misure urgenti per la crescita, nonché del D.L. 246/2007 (Partecipazione italiana alla ricostituzione di Fondi e Banche internazionali), art. 14, comma 2, di 150 unità a decorrere dal 2009, per le esigenze connesse al supporto alla gestione in loco dei programmi promossi da fondi, banche e organismi internazionali, nonché all'erogazione di servizi e atti consolari e alla riduzione dei tempi procedimentali.

 

Per tali finalità è autorizzata la spesa di euro 203.000 euro per l’anno 2017, di 414.120 euro per l’anno 2018, di 422.402 euro per l’anno 2019, di 430.850 euro per l’anno 2020, di 439.467 euro per l’anno 2021, di 448.257 euro per l’anno 2022, di 457.222 euro per l’anno 2023, di 466.366 euro per l’anno 2024, di 475.694 euro per l’anno 2025 e di 485.208 euro a decorrere dall’anno 2026. Le relative coperture finanziarie sono previste all’art. 22 (v. infra).

 

La relazione tecnica precisa che per il primo anno, l'onere è considerato al 50% ovvero per 6 mesi, per tenere conto del tempo necessario per l'espletamento delle prove concorsuali e per l'effettiva assunzione.

 

Il nuovo comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede che, al fine di rafforzare la sicurezza dei cittadini e degli interessi italiani all’estero, è autorizzata la spesa di euro 2,5 milioni per l’anno 2017 e di euro 5 milioni a decorrere dall’anno 2018 per l’invio nel continente africano di personale dell’Arma dei Carabinieri ai sensi dell’articolo 158 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66. Le relative coperture finanziarie sono previste all’art. 22 (v. infra).

 

L’art. 158 dispone che l'Arma dei carabinieri assicura i servizi di sicurezza delle rappresentanze diplomatiche e consolari, nonché degli uffici degli addetti militari all'estero.

Concorre, inoltre, ad affrontare particolari situazioni di emergenza o di crisi, locali o internazionali, che dovessero mettere in pericolo la sicurezza delle suddette rappresentanze, assicurando la disponibilità di personale appartenente a reparti speciali. L'impiego di tale personale è disposto sulla base delle direttive del Capo di stato maggiore della difesa.

 

 

 


 

Articolo 15
(Rifiuto di ingresso)

 

L'articolo 15, comma 1, inserisce un nuovo comma 6-bis all'articolo 4 del Testo Unico sull'Immigrazione (D.Lgs. 286/1998), riguardante l’inserimento di alcune particolari tipologie di informazioni nel Sistema di informazione Schengen.

 

Il Sistema d’informazione Schengen (SIS) è un sistema automatizzato per la gestione e lo scambio di informazioni tra i Paesi aderenti alla Convenzione di Schengen.

Il regolamento (CE) n. 1987/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) ha introdotto funzionalità potenziate al precedente sistema (vd. anche la decisione 2007/533/GAI del Consiglio, del 12 giugno 2007, sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione).

Il SIS II è entrato in funzione il 9 aprile 2013. È un sistema di informazione su larga scala che consta di un sistema centrale, un sistema nazionale in ciascuno Stato Schengen e un'infrastruttura di comunicazione fra il sistema centrale e i sistemi nazionali. Contiene un ampio spettro di segnalazioni relative a persone e oggetti ed è utilizzato dai responsabili di frontiera, doganali, di polizia e dalle autorità competenti per il rilascio dei visti in tutta l’area Schengen, ai fini della gestione delle frontiere e di garanzia della sicurezza interna nell'Unione europea.

 

In particolare, il nuovo comma individua nel direttore della Direzione Centrale della Polizia di prevenzione del Ministero dell'Interno l’autorità competente nel nostro ordinamento ad adottare la decisione di inserimento nel sistema Schengen della segnalazione di un cittadino di un Paese terzo ai fini del rifiuto di ingresso, nei casi di cui all'articolo 24, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (CE) n. 1987/2006, ossia quei casi in cui nei confronti del cittadino di un Paese terzo esistono fondati motivi per ritenere che abbia commesso un reato grave o se esistono indizi concreti sull'intenzione di commettere un tale reato nel territorio di uno Stato membro.

 

In proposito, si ricorda che l'articolo 24, paragrafo 1, del citato regolamento CE prescrive che i dati relativi ai cittadini di Paesi terzi per i quali è stata effettuata una segnalazione al fine di rifiutare l'ingresso o il soggiorno siano inseriti nel SIS II sulla base di una segnalazione nazionale risultante da una decisione presa dalle autorità amministrative o giudiziarie competenti conformemente alle norme procedurali stabilite dalla legislazione nazionale. La decisione dovrà essere adottata solo sulla base di una valutazione individuale. Specifica inoltre che i ricorsi avverso tali decisioni dovranno essere presentati conformemente alla legislazione nazionale.

L'articolo 24, paragrafo 2, del citato regolamento prevede che venga inserita una segnalazione quando la decisione sia fondata su una minaccia per l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale che la presenza del cittadino di un Paese terzo in questione può costituire nel territorio di uno Stato membro.

I casi indicati in cui può in particolare verificarsi tale situazione sono i seguenti:

a) se il cittadino di un Paese terzo è stato riconosciuto colpevole in uno Stato membro di un reato che comporta una pena detentiva di almeno un anno;

b) se nei confronti del cittadino di un Paese terzo esistono fondati motivi per ritenere che abbia commesso un reato grave o se esistono indizi concreti sull'intenzione di commettere un tale reato nel territorio di uno Stato membro.

 

Il nuovo comma 6-bis prescrive inoltre che la decisione del direttore della Direzione Centrale della Polizia di prevenzione del Ministero dell'interno venga adottata su parere del Comitato di analisi strategica antiterrorismo di cui all'articolo 12, comma 3, della L. 124/2007, che disciplina il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica.

 

La citata disposizione prescrive che il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, istituito presso il Ministero dell’Interno, fornisca ogni possibile cooperazione al Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica per lo svolgimento dei compiti a questo affidati.

 

Il comma 2 dell’articolo 15 modifica il Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010) per attribuire alla competenza inderogabile del TAR Lazio, sede di Roma, le controversie relative alle decisioni adottate ai sensi del sopra citato articolo 24, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (CE) n. 1987/2006. A tal fine viene inserita la lettera q-quinquies) nell’art. 135 del Codice.

 


 

Articolo 16
(Applicazione del rito abbreviato nei giudizi avverso il decreto di espulsione per motivi di sicurezza nazionale e di prevenzione del terror
ismo)

 

L'articolo 16 prevede l'applicazione del rito abbreviato nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative ai provvedimenti di espulsione dello straniero adottati dal Ministro dell'interno per i seguenti motivi:

 

Il rito abbreviato è introdotto attraverso una modifica dell'articolo 119 del Codice del processo amministrativo (D.Lgs. n. 104 del 2010).

 

L’art. 119 prevede che tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati - salvo, nei giudizi di primo grado, i termini per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché salvo i termini per l'appello contro le ordinanze cautelari (ex articolo 62 del medesimo decreto legislativo n. 104) o nel caso di vaglio di domande cautelari per cui sussistano, ad un primo sommario esame, profili di fondatezza.

 


 

 

Articolo 17
(Identificazione degli stranieri irregolari o soccorsi in operazioni di salvataggio in mare)

 

L’articolo 17 introduce disposizioni in materia di identificazione degli stranieri soccorsi in operazioni di salvataggio in mare o rintracciati come irregolari in occasione dell'attraversamento della frontiera. Si prescrive che lo straniero venga condotto presso appositi “punti di crisi” e che qui sia sottoposto a rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico e, al contempo, riceva informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito.

 

A tal fine, è introdotto un nuovo articolo 10-ter al Testo unico delle disposizioni in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998). Le nuove disposizioni risultano conseguenti al quadro normativo europeo in materia di identificazione dei migranti, che si fonda principalmente sul regolamento (UE) n. 603 del 2013 (c.d. Regolamento Eurodac).

 

In proposito, si ricorda che il regolamento (UE) n. 603 del 26 giugno 2013, del Parlamento europeo e del Consiglio, costituisce il nuovo «Eurodac» - ossia il sistema informatico che gestisce la banca dati per il confronto delle impronte digitali di richiedenti asilo e persone intercettate al momento dell'ingresso irregolare di una frontiera esterna di uno Stato membro - ai fini dell'applicazione del regolamento (UE) n. 604 del 2013 (cd. 'Dublino 3'), il quale stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide.

In particolare, il primo regolamento citato stabilisce il principio per cui il cittadino straniero fermato mentre tenta l’ingresso o che arriva irregolarmente in Europa deve essere sempre sottoposto a rilievi fotodattiloscopici, che consistono nel rilevare le impronte delle dita e dei palmi delle mani con un’apposita apparecchiatura informatica e nello scattare due fotografie del volto, in posizione frontale e di profilo. Analoga procedura deve essere adottata anche per coloro che formalizzano una richiesta di protezione internazionale. Le informazioni confluiscono nella banca dati Eurodac, accessibile da tutti gli Stati aderenti all’accordo di libera circolazione e in grado di recuperare tutti gli inserimenti nel sistema, restituendo così i movimenti del soggetto nell’area Schengen.

Merita ricordare anche che nel quadro regolatorio europeo, in linea di principio lo Stato membro che procede all’identificazione è competente anche per l’esame della domanda di protezione internazionale. Infatti, l’articolo 13 del regolamento Dublino 3 stabilisce che, quando è accertato, sulla base degli elementi di prova e di circostanze indiziarie, che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale (tale responsabilità cessa tuttavia 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera).

 

In tale quadro, il nuovo art. 10-ter del TU immigrazione stabilisce, al comma 1, che lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto in appositi "punti di crisi" per le esigenze di soccorso e di prima accoglienza.

 

Si ricorda, in proposito, che è con l’Agenda europea sulla migrazione, presentata il 13 maggio 2015 dalla Commissione europea, che viene sancito un approccio globale per migliorare la gestione della migrazione in tutti i suoi aspetti, prefigura, in primo luogo, l’istituzione di un nuovo metodo basato sui punti di crisi (hotspot). Nell'Agenda sono state stabilite le misure necessarie a governare i flussi migratori verso l'Europa con una prospettiva a breve, medio e lungo termine. Tra queste, l’apertura di hotspot collocati nei luoghi dello sbarco dove effettuare la registrazione e l'identificazione tramite rilievi dattilografici delle persone sbarcate.

Il Governo italiano, il 28 settembre 2015 ha presentato una roadmap, recante l’impegno a mettere in atto il nuovo approccio «hotspot», individuando sei porti come sede di hotspot.

Secondo i dati resi noti nel Rapporto sui centri di identificazone ed espulsione in Italia della Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato, a dicembre 2016 ne risultano attivi quattro, ossia quelli di Lampedusa, Taranto, Trapani e Pozzallo.

 

In base alla disposizione in esame, i punti di crisi possono essere allestiti nell’ambito:

·        nelle strutture di cui al decreto-legge n. 451 del 1995, ossia i CDA (centri di accoglienza) istituiti nel 1995 dalla cosiddetta "Legge Puglia" in nome di una logica emergenziale.

Si tratta di strutture ideate al fine di rispondere alle emergenze degli sbarchi dei profughi provenienti dall'ex Jugoslavia. Sono i primi centri creati dal governo ed accolgono i migranti appena giunti sul territorio indipendentemente dal loro status giuridico. Stando alla definizione data dal Ministero dell'Interno questi centri "garantiscono prima accoglienza allo straniero rintracciato sul territorio nazionale per il tempo necessario alla sua identificazione e all'accertamento sulla regolarità della sua permanenza in Italia". L’art. 8, co. 2, del D.Lgs. 142 del 2015 (decreto accoglienza) prevede che in tali strutture svolgono le funzioni di soccorso e prima assistenza, nonché di identificazione.

 

·        delle strutture di prima accoglienza, come disciplinate dal decreto legislativo n. 142 del 2015 (c.d. decreto accoglienza). Secondo tale disciplina, quei centri adempiono infatti alle esigenze, oltre che di prima accoglienza, di espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica dello straniero.

 

Presso i punti di crisi il cittadino straniero è sottoposto alle operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini del rispetto degli articoli 9 e 14 del citato regolamento Eurodac.

Al contempo, lo straniero riceve informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito.

 

Il comma 2 del nuovo articolo 10-ter TU immigrazione estende l’obbligo di effettuare le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico anche nei confronti dello straniero che sia rintracciato comunque in posizione di irregolarità nel territorio nazionale (quale che sia, dunque, il momento del suo irregolare ingresso).

 

Quale misura di deterrenza rispetto al reiterato rifiuto dello straniero di sottoporsi al rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, il comma 3 prevede che tale rifiuto costituisce rischio di fuga, ai fini del trattenimento nei centri di cui all’art. 14 TU immigrazione.

 

L'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (TU immigrazione), prevede che «quando non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento» alla frontiera , il questore «dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario» presso il Centro di identificazione ed espulsione.

 

L’espresso riferimento all’articolo 14 TU immigrazione fa dunque intendere che al reiterato rifiuto di sottoporsi al rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico consegue il trattenimento nei centri.

In proposito, si ricorda che il “rischio di fuga” assume altresì rilievo ai fini di altre disposizioni (in cui è richiamato quale presupposto):

-        con il decreto legislativo n. 142/2015, in attuazione della direttiva 2013/33/UE sulle norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, è stato previsto in alcune circostanze il trattenimento fino a dodici mesi per il richiedente asilo che “costituisce un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica” e per il quale “sussiste rischio di fuga” (art. 6);

-        il rischio di fuga è altresì fattispecie oggetto dell'articolo 13, comma 4-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 (TU immigrazione), come elemento che giustifica l’espulsione eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

Andrebbe dunque valutata l’opportunità di chiarire se la configurazione del rischio di fuga, nel caso di rifiuto reierato di sottoporsi ai rilevamenti in questione, possa assumere rilievo anche ai fini delle altre disposizioni vigenti (in particolare, l’art. 6 decreto legsilativo 142/2015 e l’art. 13 decreto legislativo 286/1998).

 

Il trattenimento è disposto dal questore, caso per caso ed ha efficacia fino ad un massimo di trenta giorni dalla adozione del provvedimento, salvo ne cessino prima le esigenze.

La disposizione specifica che si applicano tutte le garanzie previste dal Testo unico all’articolo 14, commi 2, 3 e 4.

 

In base alle richiamate norme del TU immigrazione, lo straniero è trattenuto nel centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità ed assicurando in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l'esterno; il questore del luogo in cui si trova il centro trasmette copia degli atti al pretore, senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dall'adozione del provvedimento; l'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito, e l'interessato è tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l'udienza, con sua ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato, e, qualora egli sia sprovvisto di un difensore, con l'assistenza di un difensore designato dal giudice ed ove necessario, di un interprete; il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l'osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti, escluso il requisito della vicinanza del centro di identificazione e di espulsione, sentito l'interessato se comparso; iI provvedimento cessa di avere ogni effetto qualora non sia osservato il termine per la decisione.

 

Qualora il trattenimento sia disposto nei confronti di un richiedente protezione internazionale, competente per la convalida è il Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, istituita ai sensi del decreto in esame.

Negli altri casi, la competenza alla convalida spetta al giudice di pace (ai sensi del citato art. 14 del TU immigrazione.

 

Da ultimo, il comma 4 prescrive che l’interessato deve essere informato delle conseguenze del rifiuto di sottoporsi ai rilievi di cui sopra.

 


 

Articolo 18
(Misure di contrasto all’immigrazione illegale)

 

L'articolo 18 stabilisce che il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno è tenuto ad assicurare la gestione e il monitoraggio, attraverso strumenti informatici, dei procedimenti amministrativi in materia di ingresso e soggiorno irregolare, anche attraverso l'attivazione di un Sistema Informativo Automatizzato – SIA, che dovrà essere interconnesso con i centri e i sistemi ivi indicati assicurando altresì lo scambio di informazioni tempestivo con il sistema di gestione accoglienza del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione dello stesso Ministero dell'interno. A tal fine, è inserito un nuovo comma 9-septies all'articolo 12 del TU immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998) e sono stanziate risorse per l’attivazione del Sistema.

L’articolo attribuisce infine alla competenza della procura distrettuale le indagini per i delitti di associazione per delinquere finalizzati a tutte le forme aggravate di traffico organizzato di migranti.

 

In particolare, il Sistema Informativo Automatizzato – SIA, di cui il Dipartimento della pubblica sicurezza assicura la gestione d il monitoraggio, dovrà essere interconnesso con:

§  il Centro elaborazione dati interforze istituito dall'articolo 8 della legge n. 121 del 1981, presso la Direzione centrale della polizia criminale del Dipartimento di pubblica sicurezza, al fine di raccogliere, gestire e diramare dati inerenti la classificazione, l'analisi e la valutazione delle informazioni e dei dati in materia di tutela dell'ordine, della sicurezza pubblica e di prevenzione e repressione della criminalità;

§  il Sistema informativo Schengen di cui al Regolamento CE 1987/2006: si tratta del Sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) esclusivamente le categorie di dati forniti da ciascuno Stato membro che sono necessarie per le segnalazioni ai fini del rifiuto d'ingresso o di soggiorno (cfr. la scheda relativa all'articolo 15);

§  il Sistema Automatizzato di Identificazione delle Impronte: si tratta del sistema AFIS (Automatic Fingerprint Identification System), il sistema di acquisizione e registrazione delle impronte digitali delle Forze di polizia.

 

Si ricorda, al riguardo, che l'Eurodac, istituito con il regolamento (CE) n. 2725/2000 e successivamente modificato dal regolamento (UE) n. 603/2013, è il sistema europeo per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della Convenzione di Dublino. La proposta di Regolamento COM(2016)272 reca la rifusione del regolamento (UE) n. 603/2013.

 

Si prevede inoltre il tempestivo scambio di informazioni con il sistema SGA (Sistema Gestione Accoglienza) del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione dello stesso Ministero dell'interno.

 

Il predetto sistema consente di tracciare il percorso del singolo straniero in Italia sin dal suo arrivo nel territorio nazionale e di seguirne il cammino nella successiva fase di accoglienza (centri di accoglienza e sistema SPRAR).

 

Il comma 2 stanzia le risorse - 0,75 milioni per il 2017, 2,5 milioni per il 2018, 0,75 dal 2019 - per l'attivazione del SIA, a valere sul Fondo per la sicurezza interna, cofinanziato dall'Unione europea nell'ambito del periodo di programmazione 2014/2020.

 

Il Fondo Sicurezza Interna (ISF) si prefigge di contribuire a garantire un elevato livello di sicurezza e di prevenzione della criminalità nell’ambito dell’Unione europea e di migliorare la gestione integrata delle frontiere esterne. Il Fondo, il cui bilancio è finanziato dalla UE con una quota pari a 245 milioni di euro (decisione di approvazione della Commissione 5 agosto 2015), è composto da due strumenti di sostegno finanziario:

§  Fondo Sicurezza Interna 1 - Police per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi, istituito con Regolamento (UE) n. 513/2014 del 16 aprile 2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio

§  Fondo Sicurezza Interna 2Borders & Visa per le frontiere esterne e i visti, istituito con Regolamento (UE) n. 515/2014 del 16 aprile 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio.

Per approfondimenti, si veda la scheda sul sito del Ministero dell'interno.

 

Il comma 3 attribuisce alla competenza della procura distrettuale le indagini per i delitti di associazione per delinquere finalizzati a tutte le forme aggravate di traffico organizzato di migranti.

A tal fine la disposizione modifica l'articolo 51 del codice di procedura penale, comma 3-bis, per ricomprendere nel catalogo di delitti per i quali è competente la procura distrettuale anche le forme aggravate di cui al comma 3 e al comma 3-ter dell’articolo 12 del testo unico sull’immigrazione.

 

Il comma 3 dell’art. 12 TU immigrazione concerne il traffico illegale di migranti quando ricorrano due o più delle seguenti ipotesi (previste dal comma 3 del medesimo articolo 12):

·        il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;

·        la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale;

·        la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale;

·        il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti;

·        gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.

Il successivo comma 3-ter prevede un inasprimento della pena quando il traffico di migranti è commesso:

·        al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento;

·        al fine di trarne profitto, anche indiretto.

 


 

Articolo 19
(
Esecuzione dell'espulsione e Centri di permanenza per i rimpatri)

 

L’articolo 19 interviene con la finalità di rafforzare l’effettività delle espulsioni e di potenziare una rete di centri di permanenza per i rimpatri.

In primo luogo, i centri di identificazione ed espulsione sono configurati (commi 1 e 3) come centri di permanenza per i rimpatri, qualificati come strutture a capienza limitata, dislocate in tutto il territorio nazionale, sentiti i presidenti di regione, con una rete volta a raggiungere una capienza totale di 1.600 posti. A tali centri si applicano le disposizioni sulle visite di cui all’art. 67 della legge n. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario.

Al contempo, il provvedimento consente la proroga, previa convalida del giudice di pace, di ulteriori 15 giorni del periodo massimo di trattenimento nei centri nei casi di “particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio”, con riferimento allo straniero che sia già stato trattenuto presso le strutture carcerarie per 90 giorni e ulteriormente trattenuto nel centro per 30 giorni (comma 2).

Inoltre, nel caso in cui sia stata disposta l'espulsione a titolo di sanzione o alternativa alla detenzione ma non sia possibile disporre il rimpatrio per cause di forza maggiore, si prevede che l’autorità giudiziaria disponga comunque il ripristino dello stato di detenzione per il tempo “strettamente necessario” all’esecuzione del provvedimento di espulsione.

E’, al contempo. autorizzato lo stanziamento di risorse per la realizzazione e la gestione dei centri nonché per l’effettuazione delle espulsioni, dei respingimento e degli allontanamenti degli stranieri irregolari (comma 4).

Disposizioni sono infine dettate relativamente al personale della Croce rossa a seguito della trasformazione in Ente strumentale (commi 5).

 

In primo luogo dunque (comma 1) la denominazione “centri di identificazione ed espulsione” è sostituita – dal provvedimento in esame - con quella di centri di permanenza per i rimpatri.

Al riguardo, si ricorda preliminarmente che il decreto legislativo n. 286 del 1998, Testo unico dell'immigrazione, prevede, all’articolo 14 che, quando non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento (a causa di situazioni transitorie che ostacolino la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento), il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il Centro di identificazione ed espulsione più vicino.

Tra le situazioni che legittimano il trattenimento rientrano, oltre all'arresto in flagranza ed al fermo, anche quelle riconducibili alla necessità di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo.

 

I Centri di identificazione ed espulsione, istituiti dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, la cosiddetta legge Turco - Napolitano, e previsti dal testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998 ), sono strutture di trattenimento degli stranieri in condizione di irregolarità, destinati all'espulsione. La legge Turco - Napolitano ha previsto per la prima volta la possibilità di trattenere i destinatari di provvedimenti di espulsione in apposite costruzioni definite Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA), trasformati nel 2011 in Centri di identificazione ed espulsione (CIE).

A sua volta, il D.Lgs. n. 142/2015, di recepimento delle direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE ha ridisegnato il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale sulla base, per quanto riguarda le strutture, del Piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di stranieri extracomunitari, definito di intesa tra Stato, Regioni ed enti locali del 10 luglio 2014, inserendo la previsione di strutture temporanee appositamente destinate ad accoglienza straordinaria in caso di saturazione delle strutture ordinarie, a seguito di flussi ravvicinati. In particolare vengono ridisegnate le strutture di prima accoglienza, mediante una «riconversione» degli attuali centri per i richiedenti asilo (CARA) e centri di accoglienza (CDA) quali hub temporanei.

 

Al contempo, il provvedimento in esame prevede un ampliamento ed una "distribuzione sull'intero territorio nazionale" della rete dei centri di cui all’art. 14, comma 1, TU immigrazione, ora definiti (dal comma 1) centri di permanenza per i rimpatri (comma 3).

 

Come già ricordato, l’art. 14, comma 1, TU immigrazione dispone che quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

 

Le relative iniziative sono assunte dal Ministro dell'interno d'intesa con il Ministro dell'economia e finanze. Quanto alla dislocazione di tali centri - di nuova istituzione - essa è disposta sentito il Presidente della regione o della provincia autonoma interessata, puntando ad una ubicazione esterna ai centri urbani ed in strutture di proprietà pubblica idonee, anche mediante interventi di adeguamento o ristrutturazione.

 

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 134/2010, ha evidenziato che «la costituzione e l'individuazione dei CIE attengono ad aspetti direttamente riferibili alla competenza legislativa esclusiva statale di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera b), della Costituzione, in quanto le suddette strutture sono funzionali alla disciplina che regola il flusso migratorio dei cittadini extracomunitari nel territorio nazionale».

 

A tali centri si applicano le disposizioni sulle visite di cui all’art. 67 della legge n. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario (in base a quanto specificato con una modifica approvata nel corso dell’esame al Senato).

I centri sono di conseguenza visitabili senza autorizzazione da: a) il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Presidente della Corte costituzionale; b) i ministri, i giudici della Corte costituzionale, i Sottosegretari di Stato, i membri del Parlamento e i componenti del Consiglio superiore della magistratura; c) il presidente della corte d'appello, il procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello, il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica presso il tribunale, il pretore, i magistrati di sorveglianza, nell'ambito delle rispettive giurisdizioni; ogni altro magistrato per l'esercizio delle sue funzioni; d) i consiglieri regionali e il commissario di Governo per la regione, nell'ambito della loro circoscrizione; e) l'ordinario diocesano per l'esercizio del suo ministero; f) il prefetto e il questore della provincia; il medico provinciale; g) il direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e i magistrati e i funzionari da lui delegati; h) gli ispettori generali dell'amministrazione penitenziaria; i) l'ispettore dei cappellani; l) gli ufficiali del corpo degli agenti di custodia; l-bis) i garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati; l-ter) i membri del Parlamento europeo. L'autorizzazione non occorre nemmeno per coloro che accompagnano queste persone per ragioni del loro ufficio e per il personale dedito a colloqui a fini investigativi. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accedere, per ragioni del loro ufficio, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria. Possono accedere con l'autorizzazione del direttore, i ministri del culto cattolico e di altri culti.

 

Nel testo si evidenzia come la finalità sia quella di realizzare strutture di capienza limitata, in grado di assicurare condizioni di trattenimento assicurino "l'assoluto rispetto della dignità della persona" (oggetto di verifica altresì da parte del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale - istituito dall'articolo 7 del decreto-legge n. 146 del 2013 - il quale può accedere ad ogni locale senza restrizione alcuna).

 

Nel corso dell’audizione del Ministro dell’interno, Marco Minniti, svolta presso le Commissioni Affari costituzionali riunite della Camera e del Senato l’8 febbraio 2017, poco prima della pubblicazione del decreto-legge in esame, il Ministro ha a rilevato come, per colmare il vuoto temporale intercorrente tra l’accertamento della condizione che richiede il rimpatrio dell’immigrato e la sua concreta espulsione, sia necessario attivare centri per il rimpatrio. Ha ricordato come la legislazione vigente prevede la costituzione dei CIE (Centri di identificazione ed espulsione) che è opportuno trasformare in centri permanenti per il rimpatrio molto diversi dai precedenti CIE, caratterizzati da piccole dimensioni, fuori dai centri urbani, vicini ad infrastrutture di trasporto, con una governance trasparente e con la possibilità illimitata di accesso da parte del Garante delle libertà personali. 

 

Nella relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione (S. 2705) si rileva che l'ampliamento della rete dei Centri di permanenza per i rimpatri dovrebbe incrementare la capienza attuale (che è di fatto di circa 360 posti) fino a 1.600 posti.

Si tratta dunque di un incremento di 1.240 posti.

Le spese complessive stimate per tali lavori sono pari a 13 milioni di euro, secondo quanto previsto dallo stesso comma 3.

A tali spese per lavori si aggiungono, in base alla medesima disposizione, quelle di gestione dei Centri, che sono stimate in 3,84 milioni di euro per il 2017 (nel quale si prevede un primo incremento di 500 posti), in 12,4 milioni di euro per il 2018 (nel quale si prevede un secondo 'scaglione' incrementale di 600 posti), in 18,22 milioni di euro dal 2019 (anno nel quale si prevede un terzo ed ultimo incremento di 140 posti, fino all'obiettivo di un incremento complessivo di 1.240 posti, raggiungendosi così il totale perseguito di 1.600 posti).

 

A sua volta, il comma 4 autorizza la spesa di 19,12 milioni per il 2017, onde garantire le espulsioni, i respingimenti e gli allontanamenti degli stranieri irregolari. Tali risorse (a valere sul Fondo asilo, migrazione ed integrazioni, programma FAMI, cofinanziato dall’UE nell’ambito del periodo di programmazione 2014/2020) sono in particolare destinate - specifica la relazione tecnica - a far fronte agli oneri conseguenti alla predisposizione dei voli di rimpatrio (sono ipotizzati diciassette voli charter) e correlative spese del personale, per un lasso temporale che copre dieci mesi del 2017 (posto che i primi due mesi dell'anno erano trascorsi al momento della entrata in vigore del decreto-legge).

 

Il comma 2, lettera a) incide sui tempi massimi del trattenimento nei centri.

A tal fine modifica l'articolo 14, comma 5, del Testo unico che prevede una dettagliata scansione temporale.

La convalida della misura del trattenimento comporta la permanenza dello straniero nel Centro per un periodo di complessivi 30 giorni.

Qualora l'accertamento dell'identità e della nazionalità ovvero l'acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori 30 giorni.

Anche prima di tale termine, il questore esegue l'espulsione o il respingimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice.

Trascorso tale termine, il questore può chiedere al giudice di pace una o più proroghe qualora siano emersi elementi concreti che consentano di ritenere probabile l'identificazione ovvero sia necessario al fine di organizzare le operazioni di rimpatrio.

 

In base all’art. 14, comma 5, TU immigrazione, in ogni caso il periodo massimo di trattenimento dello straniero all'interno del centro di identificazione e di espulsione non può essere superiore a 90 giorni (ai sensi della legge europea 2013-bis, che ha ridotto della metà il termine fino allora vigente in base all’articolo 3, comma 1, lettera e) della legge n. 161 del 2014).  

 

L'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, così come modificato dalla  legge 30 luglio 2002, n. 189, prevede che «quando non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento»  alla frontiera , il questore «dispone che lo straniero sia  trattenuto per il tempo strettamente necessario» presso il Centro di identificazione ed espulsione. La durata del trattenimento, inizialmente di 30 giorni (legge Turco - Napolitano) è passata a 60 giorni con la legge Bossi - Fini nel 2002 e a 180 giorni in base a quanto disposto dal «Pacchetto sicurezza” (decreto-legge del 23 maggio 2008 n. 92 conv. L n. 125 del 2008). A ottobre del 2014, a seguito di un emendamento approvato alla legge europea 2013-bis, è stata dsiposta la riduzione del periodo massimo di trattenimento degli stranieri all'interno dei Cie a 90 giorni.

Nel Rapporto sui Centri di identificazione ed espulsione del febbraio 2016 della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani istituita presso il Senato si fa presente che la permanenza media nei CIE nel 2015 è stata di 25,5 giorni.

Con l’approvazione del decreto legislativo n. 142/2015, adottato in attuazione delle direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE sulle norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, è stato previsto in alcune circostanze che il trattenimento possa protrarsi fino a 12 mesi per il richiedente asilo che  “costituisce un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica” e per il quale “sussiste rischio di  fuga”.

 

Nel caso in cui lo straniero che sia già stato trattenuto presso le strutture carcerarie per un periodo pari a quello massimo di 90 giorni, il medesimo art. 14, comma 5, del TU immigrazione dispone – al quinto periodo – che vi è la possibilità di trattenimento presso il centro per un periodo massimo di 30 giorni.

E’ su questo termine che interviene la modifica apportata dal decreto legge in esame (art. 19, comma 2, lettera a) disponendo che tale termine è prorogabile di ulteriori 15 giorni, previa convalida da parte del giudice di pace, nei casi di “particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio”.

 

ll comma 2, lettera b) concerne l'espulsione a titolo di sanzione o alternativa alla detenzione, disciplinata dall'articolo 16 del Testo unico dell'immigrazione.

Tale articolo prevede (al comma 1) che il giudice possa sostituire la pena detentiva con la misura dell'espulsione, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale (applicazione della pena su richiesta delle parti) nei confronti dello straniero irregolare oggetto di espulsione, quando ritiene di dovere irrogare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrono le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena, ovvero nel pronunciare sentenza di condanna per il reato di ingresso e soggiorno illegale nello Stato, qualora non ricorrano cause ostative che impediscono l'esecuzione immediata dell'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Le medesime disposizioni si applicano in caso di sentenza di condanna per violazione dei commi 5-ter e 5-quater dell'articolo 14 del Testo unico immigrazione (violazione dell’ordine di lasciare il territorio dello Stato).

Del pari, il citato articolo 16 del medesimo Testo unico immigrazione prevede (al comma 5) che sia disposta l'espulsione nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, irregolare, che (trovandosi in una delle condizioni per l’espulsione amministrativa da parte del prefetto ex art, 13, comma 2, TU immigrazione) deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni (salvo che la condanna sia per promozione, organizzazione, finanziamento o effettuazione del trasporto di immigrazione clandestina, ovvero per uno o più delitti ivi). In caso di concorso di reati o di unificazione di pene concorrenti, l'espulsione è disposta anche quando sia stata espiata la parte di pena relativa alla condanna per reati che non la consentono.

 

Ebbene, il comma 2, lettera b) dell’art. 19 del decreto-legge in esame prevede che, ove sia stata disposta l'espulsione a titolo di sanzione o alternativa alla detenzione (ai sensi degli illustrati commi 1 e 5 dell'articolo 16 del Testo unico) e tuttavia il rimpatrio non sia possibile per cause di forza maggiore, l'autorità giudiziaria disponga comunque il ripristino dello stato di detenzione. Questo, per il tempo "strettamente necessario" all'esecuzione del provvedimento di espulsione.

 

Il comma 5, con la finalità di assicurare lo svolgimento delle attività umanitarie presso i centri per i rimpatri dei cittadini stranieri e garantire la gestione di tali centri e di quelli per l’accoglienza degli immigrati e dei richiedenti asilo, specifica che al personale civile e militare della CRI e, quindi, dell'Ente, assunto da altre amministrazioni, si applica l'articolo 5, comma 5, terzo periodo (anziché secondo periodo) del decreto legislativo n. 178 del 2012. Tale disposizione stabilisce che al predetto personale continua ad essere corrisposta la differenza tra il trattamento economico in godimento, limitatamente a quello fondamentale ed accessorio avente natura fissa e continuativa, e il trattamento del corrispondente personale civile della CRI come assegno ad personam riassorbibile in caso di adeguamenti retributivi e di riconoscimento degli istituti del trattamento economico determinati dalla contrattazione collettiva correlati ad obiettivi.

 


 

Articolo 19-bis
(Minori stranieri non accompagnati)

 

L’articolo 19-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede che le disposizioni del decreto-legge non si applicano ai minori stranieri non accompagnati (MNA).

Disposizioni specifiche e di particolare tutela nei confronti dei MNA sono infatti dettate dal testo approvato in via definitiva dalla Camera nella seduta del 29 marzo 2017 recante “Misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati” (C. 1658-B) oltre che, in via generale, dal decreto legislativo n. 142 del 2015, che reca disposizioni vertenti in particolare sull'accoglienza delle persone vulnerabili, primi fra tutti i minori, specie se non accompagnati.

 

Il testo approvato in via definitiva dal Parlamento definisce una disciplina organica volta a rafforzare gli strumenti di tutela garantiti dall'ordinamento con particolare riguardo alle misure per l'accoglienza dei minori e, più in generale, al rafforzamento dei diritti e delle tutele in favore dei minori. Le disposizioni ivi previste si applicano ai minorenni  non aventi cittadinanza italiana o dell'Unione europea che si trovano per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che sono altrimenti sottoposti alla giurisdizione italiana privi di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti legalmente responsabili in base alle legge vigenti nell'ordinamento italiano.

Tra i principi, il nuovo testo, da un lato, introduce esplicitamente un divieto assoluto di respingimento alla frontiera dei minori stranieri non accompagnati, respingimento che non può essere disposto in alcun caso (nuovo comma 1-bis dell'art. 19 del TU immigrazione).

Dall'altro, modifica la disciplina relativa al divieto di espulsione dei minori stranieri che, in base alla normativa vigente, può essere derogato esclusivamente per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, stabilendo ulteriormente che, in ogni caso, il provvedimento di espulsione può essere adottato a condizione che non comporti "un rischio di danni gravi per il minore". E' altresì specificato che la decisione del tribunale per i minorenni, che ha la competenza in materia, deve essere assunta tempestivamente e comunque nel termine di 30 giorni.

In tema di accoglienza, il testo introduce alcune modifiche alle disposizioni recate in proposito dal decreto legislativo 142 del 2015 (art. 4), con le quali è in particolare ridotto da 60 a 30 giorni il termine massimo di trattenimento dei minori nelle strutture di prima accoglienza.

E’ stabilito un termine massimo di 10 giorni per le operazioni di identificazione.

E’ introdotto in via generale il principio di specificità delle strutture di accoglienza riservate ai minori.

Inoltre, a completamento della disciplina vigente, la proposta disciplina una procedura unica di identificazione del minore, che costituisce il passaggio fondamentale per l'accertamento della minore età, da cui a sua volta dipende la possibilità di applicare le misure di protezione in favore dei minori non accompagnati. Tale procedura prevede: un colloquio del minore con personale qualificato, sotto la direzione dei sevizi dell'ente locale; la richiesta di un documento anagrafico in caso di dubbio sull'età ed, eventualmente, di esami socio-sanitari, con il consenso del minore e con modalità il meno invasive possibile; la presunzione della minore età nel caso in permangono dubbi sull'età anche in seguito all'accertamento (art. 5).

 


 

Articolo 20
(Relazione del Governo sullo stato di attuazione)

 

L'articolo pone in capo al Governo la presentazione alle competenti Commissioni parlamentari (di norma la previsioni normative sulle relazioni dell’Esecutivo al Parlamento prevedono la trasmissione alle Camere, che provvedono poi alla trasmissione ed assegnazione alle competenti Commissioni) di una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni del decreto-legge "con particolare riferimento agli effetti prodotti e ai risultati conseguiti".

Tale adempimento è posto in capo al Governo per gli anni 2018, 2019 e 2020 (per “ciascuno dei tre anni successivi all'entrata in vigore della legge di conversione), che vi provvede entro il 30 giugno di ogni anno.

 

Il Governo trasmette attualmente al Parlamento, ai sensi dell’articolo 6, comma 2-bis, del decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119 (conv. Legge 146/2014). le Relazioni annuali sul funzionamento del sistema di accoglienza predisposto al fine di fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all'eccezionale afflusso di stranieri nel territorio nazionale (CCXXXVI, n. 1 e n. 2)

 


 

Articolo 21
(Disposizioni transitorie)

 

L'articolo 21 disciplina l'applicazione delle disposizioni del decreto-legge ai procedimenti amministrativi o giudiziari in corso, fissando al 17 agosto 2017 l’entrata in vigore della riforma per quanto concerne il giudice competente e i nuovi procedimenti giudiziari in materia di protezione internazionale e immigrazione. Fino ad allora continueranno ad applicarsi le disposizioni previgenti.

 

In particolare, in base al comma 1, si applicheranno alle controversie sorte a partire dal 17 agosto 2017 (vale a dire 180 giorni dopo l’entrata in vigore del decreto-legge, datata 18 febbraio 2017) le disposizioni relative a:

Alle controversie sorte prima del 17 agosto 2017 si continuano ad applicare le disposizioni previgenti al decreto-legge.

 

Il comma 2 dispone che solo ai procedimenti innescati da domande presentate dopo il 17 agosto 2017 si applichino le disposizioni relative al colloquio personale del richiedente presso la Commissione decidente sulla protezione internazionale (articolo 6, comma 1, lettera c).

Per le domande di protezione internazionale presentate prima dello spirare del termine dei 180 giorni dall’entrata in vigore della riforma, continuano ad applicarsi le disposizioni antecedenti.

 

Il comma 3 prevede che il regime (quale scandito dall'articolo 6, comma 1, lettere a), b) ed e) delle notificazioni relative al procedimento della protezione internazionale si applichi solo dopo il novantesimo giorno dall'entrata in vigore del decreto-legge. Questo, ai fini dell'adeguamento delle specifiche tecniche. Su questa previsione è intervenuto il Senato che ha portato anche questo termine a 180 giorni. Conseguentemente, le disposizioni sulle notificazioni e sull’adeguamento delle specifiche tecniche nel procedimento relativo al riconoscimento della protezione internazionale si applicheranno a partire dal 17 agosto 2017.

 

Il comma 4, a seguito di una correzione apportata dal Senato, prevede l’efficacia a partire dal 17 agosto 2017 anche delle disposizioni relative all’invio con modalità informatiche della domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare.

 

 


 

Articolo 21-bis
(Adempimenti tributari nell'isola di Lampedusa)

 

L’articolo 21-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, proroga al 15 dicembre 2017 la sospensione degli adempimenti e dei versamenti fiscali, contributivi e assicurativi obbligatori per i datori di lavoro privati e per i lavoratori autonomi operanti nel territorio dell'isola di Lampedusa. La norma, inoltre, demanda ad un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate il compito di definire le modalità e i termini per effettuare gli adempimenti tributari diversi dai versamenti.

In particolare la norma in esame proroga di un anno, dal 15 dicembre 2016 al 15 dicembre 2017, il termine della sospensione degli adempimenti e dei versamenti dei tributi previsto dall’articolo 1-bis del decreto-legge n. 4 del 2015, da ultimo così modificato dall’articolo 1, comma 599 della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015). Si evidenzia che, in attuazione del secondo periodo del citato articolo 1-bis, il direttore dell’Agenzia delle entrate con il Provvedimento del 4 novembre 2016 ha indicato le modalità e i termini con i quali gli adempimenti tributari sospesi, diversi dai versamenti, devono essere effettuati: in particolare il Provvedimento prevede che tali adempimenti, incluse le dichiarazioni fiscali, devono essere eseguiti entro il 31 gennaio 2017.

Si evidenzia che la norma in esame dispone il differimento di un termine già scaduto. Si osserva, inoltre, che non è stata utilizzata la tecnica della novella legislativa: la norma, infatti, non modifica direttamente la disposizione richiamata.

 

Lo stato di emergenza nell’isola di Lampedusa è stato dichiarato con D.P.C.M. del 12 febbraio 2011. L’articolo 3, comma 2, della Ordinanza di protezione civile n. 3947 del 2011 aveva stabilito inizialmente fino al 16 dicembre 2011 la sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari, nonché dei contributi previdenziali ed assistenziali e dei premi per l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti nonché di quelli con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, per i datori di lavoro privati ed i lavoratori autonomi, anche del settore agricolo, operanti nel territorio dell'isola di Lampedusa alla data della dichiarazione dello stato di emergenza. Il comma 3 aveva altresì sospeso, sempre fino al 16 dicembre 2011, i termini relativi agli adempimenti ed ai versamenti tributari nei confronti delle persone fisiche, anche in qualità di sostituti d'imposta, che alla data del 12 febbraio 2011 avevano il domicilio fiscale nel comune di Lampedusa. Il comma 4 aveva, infine, previsto l’applicabilità del comma 3 anche nei confronti dei soggetti diversi dalle persone fisiche, compresi i sostituti d'imposta, aventi il domicilio fiscale o la sede operativa nel comune di Lampedusa.

L’articolo 23, comma 44, del decreto-legge n. 98 del 2011, in considerazione del permanere dello stato di crisi nell'isola di Lampedusa, ha differto fino al 30 giugno 2012 la sospensione del termine relativo agli adempimenti ed ai versamenti dei tributi, nonché dei contributi previdenziali ed assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali.

L’articolo 23, comma 12-octies, del decreto-legge n. 95 del 2012 ha differito dal 30 giugno al 1° dicembre 2012 il predetto termine.

L’articolo 1, comma 612, della legge n. 147 del 2013 ha differito il termine in esame dal 1° dicembre 2012 al 31 dicembre 2013.

Si ricorda che il comma 613 dell’articolo 1 della legge n. 147 del 2013 prevede inoltre che i versamenti dei tributi sospesi ai sensi del comma 612 devono essere eseguiti entro la prima scadenza utile successiva al 31 dicembre 2013, in unica soluzione, maggiorati degli interessi al tasso legale computati a decorrere dal 31 dicembre 2013 fino alla data di versamento.

Il comma 614 consente di presentare istanza di dilazione all’Agenzia delle entrate, secondo le regole generali, senza applicazione di sanzioni. In tal caso sono previsti gli interessi di dilazione nella misura vigente alla data di presentazione della domanda.

Il comma 615 stabilisce che sono inefficaci le comunicazioni di irregolarità già inviate alla data del 1° gennaio 2014 ai contribuenti relative ai tributi sospesi.

Il decreto-legge n. 192 del 2014 (articolo 10, comma 8) ha differito il termine in esame dal 31 dicembre 2013 fino al 31 dicembre 2014. Il decreto-legge n. 4 del 2015 (articolo 1-bis) ha ulteriormente differito il termine al 15 dicembre 2015.

Da ultimo, la legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 599 della legge n. 208 del 2015) ha differito il termine al 15 dicembre 2016.

 


 

 

Articolo 22
(Disposizioni finanziarie)

 

L’articolo 22 provvede alla copertura finanziaria degli oneri determinati dal provvedimento.

Il comma 1 provvede alla copertura degli oneri derivanti dagli articoli 2, comma 3, 6, comma 1, lettera a), b) ed e), 11, comma 3-bis, 12, 13, 14 e 19, comma 3, pari a 11.101.046 euro per l’anno 2017, a 31.203.531 euro per l’anno 2018, a 36.636.344 euro per l’anno 2019, a 36.514.389 euro per l’anno 2020, a 36.523.006 euro per l’anno 2021, a 36.531.796 euro per l’anno 2022, a 36.540.761 euro per l’anno 2023, a 36.549.905 euro per l’anno 2024, a 36.559.233 euro per l’anno 2025 e a 36.568.747 euro a decorrere dall’anno 2026.

La copertura è così disposta:

 

I proventi di cui all'articolo 9-bis della legge n. 91 del 1992 corrispondono al pagamento di un contributo di importo pari a 200 euro dovuto per le istanze o dichiarazioni di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza.

 

 

Le risorse relative all'articolo 18, comma 1, lettera a), della legge n. 44 del 1999 sono rappresentate da un contributo sui premi assicurativi, raccolti nel territorio dello Stato, nei rami incendio, responsabilità civile diversi, auto rischi diversi e furto, relativi ai contratti stipulati a decorrere dal 1° gennaio 1990, destinato ad alimentare, unitamente ad altre poste e secondo il medesimo articolo 18, il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive istituito presso il Ministero dell'interno.

 

 

·        quanto a 200.000 euro per l’anno 2017, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 3, comma 151, della legge 350/2003.

 

L’articolo 3, comma 151, della legge 350/2003 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'interno un fondo da ripartire per le esigenze correnti di funzionamento dei servizi dell'Amministrazione, con una dotazione, a decorrere dall'anno 2004, di 100 milioni di euro.

 

Il comma 2 esclude che le restanti disposizioni del provvedimento comportino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono alle relative attività con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Il comma 3 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 


 

Documenti all’esame delle Istituzioni UE

La riforma del sistema comune europeo di asilo

Dando seguito alle indicazioni contenute nell’Agenda europea sulla migrazione (COM(2015)240[3] e nella successiva comunicazione "Riformare il sistema europeo comune di asilo e potenziare le vie legali di accesso all’Europa" (COM(2016)197), il 4 maggio 2016,la Commissione ha presentato un primo pacchetto di proposte legislative di riforma del sistema europeo comune di asilo:

1. Una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide (rifusione) (COM(2016)270).

La proposta intende riformare il regolamento (UE) n. 604/2013 (cd. regolamento Dublino III)[4] istituendo un nuovo sistema di distribuzione delle domande di asilo fra gli Stati membri che si dimostri "più equo, più efficiente e più sostenibile".

I criteri e i meccanismi di determinazione dello "Stato membro competente" per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide sono attualmente stabiliti dal regolamento (UE) n. 604/2013, entrato in vigore il 1° gennaio 2014.

In base al regolamento, i criteri per stabilire la responsabilità dell’esame di una domanda di protezione internazionale sono, in ordine gerarchico, considerazioni di natura familiare, il possesso recente di un visto o permesso di soggiorno in uno Stato membro, l’ingresso regolare o irregolare del richiedente nell’Unione europea. Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

In particolare, l'art. 13 stabilisce che, quando è accertato, sulla base degli elementi di prova e di circostanze indiziarie, che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale (tale responsabilità cessa tuttavia 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera).

I principali obiettivi della proposta sono la creazione di:

-       un "sistema più equo basato sulla solidarietà", per mezzo di un meccanismo di assegnazione correttivo ("meccanismo di equità"). Il nuovo sistema prevede che venga automaticamente stabilito quando uno Stato membro si trova a far fronte a un numero sproporzionato di richieste di protezione internazionale (per far ciò, si farà riferimento alle dimensioni e alla ricchezza dello Stato in questione).

Nel caso in cui uno Stato si trovi ad affrontare un afflusso sproporzionato di migranti, che superi il 150% della quota di riferimento, tutti i nuovi richiedenti protezione internazionale (indipendentemente dalla nazionalità), dopo una verifica dell’ammissibilità della domanda presentata, dovranno essere ricollocati in altri Stati membri fino a quando il numero di domande non sarà ridisceso al di sotto di quel livello. Gli Stati membri avranno inoltre la possibilità di non partecipare temporaneamente al ricollocamento. In tal caso, dovranno versare un contributo di solidarietà di 250.000 euro allo Stato membro in cui sarà ricollocato il richiedente del quale sarebbero stati responsabili ai sensi del meccanismo di equità;

-       un meccanismo che tenga conto degli sforzi di reinsediamento (il meccanismo di equità valuterà anche gli sforzi compiuti da uno Stato membro per reinsediare persone bisognose di protezione internazionale direttamente da un Paese terzo) e che riconosca gli sforzi compiuti per istituire percorsi sicuri e legali di accesso all’Unione europea;

-       un sistema più efficiente, con termini più brevi per l’invio delle richieste di trasferimento, per il ricevimento delle risposte e per l’esecuzione dei trasferimenti dei richiedenti protezione internazionale fra gli Stati membri;

-       obblighi giuridici più chiari per i richiedenti protezione internazionale, compreso il dovere di rimanere nello Stato membro competente per la loro richiesta, limiti geografici alla fornitura di benefici materiali legati all’accoglienza e conseguenze proporzionate in caso di violazione delle norme, al fine di prevenire gli abusi e i movimenti secondari;

-       una maggiore protezione degli interessi dei richiedenti protezione internazionale, con maggiori garanzie per i minori non accompagnati e l'ampliamento della definizione di "familiari".

Il progetto di regolamento è tuttora all’esame di Parlamento europeo e Consiglio dell’UE; sede quest’ultima in cui sta incontrando significative resistenze da parte di alcuni Stati membri con particolare riferimento al meccanismo descritto di equità volto a ricollocare i richiedenti asilo in eccesso presso gli Stati membri più esposti alle rotte migratorie.

Sulla proposta, la I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) della Camera dei deputati, il 16 novembre 2016 ha approvato un documento conclusivo, con il quale ha espresso una valutazione negativa, considerando, tra l’altro, inaccettabile, in quanto palesemente contraddittoria con i principi di solidarietà e corresponsabilizzazione stabiliti nei Trattati, la previsione in base alla quale uno Stato membro può sottrarsi totalmente dall'obbligo di partecipare al meccanismo di redistribuzione previa corresponsione del contributo di 250 mila euro per richiedente asilo non preso in carico.

La proposta di regolamento è stata altresì oggetto di esame della 1a Commissione Affari costituzionali del Senato la quale, avendo rilevato numerosi elementi di criticità, anche sotto il profilo del rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, si è pronunciata in senso contrario con la Risoluzione Doc. XVIII n. 156.

 

2. Una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Agenzia dell’Unione europea per l’asilo e abroga il regolamento (UE) n. 439/2010 (COM(2016)271).

La proposta intende trasformare l’attuale Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) in una vera e propria Agenzia europea per l’asilo, con un mandato rafforzato e funzioni ampliate per affrontare le carenze strutturali che dovessero emergere nell’applicazione del sistema di asilo dell’UE.

Fra i nuovi compiti dell’Agenzia dovrebbe esservi quello di avvalersi delle quote di riferimento per applicare il meccanismo di equità nel quadro del nuovo sistema di Dublino.

La proposta prevede inoltre che la nuova Agenzia garantisca una maggiore convergenza nella valutazione delle domande di protezione internazionale nell’intera Unione, rafforzando la cooperazione pratica e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e promuovendo il diritto dell’Unione e le norme operative in materia di procedure di asilo, condizioni di accoglienza ed esigenze di protezione.

Sulla proposta, che è tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee, il 16 novembre 2016, la I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) della Camera dei deputati ha approvato un documento conclusivo, con il quale ha espresso una valutazione sostanzialmente positiva.

 La proposta di regolamento è stata altresì oggetto di esame della 1a Commissione Affari costituzionali del Senato che si è pronunciata in senso favorevole con la Risoluzione Doc. XVIII n. 146.

 

3. Una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'"Eurodac" per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione del [regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide], per l'identificazione dei cittadini di un Paese terzo o apolidi soggiornanti illegalmente e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto (rifusione) (COM(2016)272).

Istituita nel 2003, Eurodac è una banca dati dell'Unione europea per le impronte digitali dei richiedenti asilo intesa a fornire elementi di prova relativi alle impronte digitali per agevolare l'applicazione del regolamento Dublino, che determina lo Stato membro competente per l'esame di una domanda di asilo presentata nell'UE.

La proposta prevede di ampliare il campo di applicazione del regolamento Eurodac per includere la possibilità per gli Stati membri di salvare e consultare dati di cittadini di Paesi terzi o di apolidi che non richiedono protezione internazionale e il cui soggiorno irregolare nell’UE viene scoperto, e identificarli ai fini del rimpatrio e della riammissione.

In conformità alle norme sulla protezione dei dati, la proposta prevede inoltre che gli Stati membri salvino un maggior numero di dati personali in Eurodac, quali nomi, date di nascita, nazionalità, particolari sull’identità o documenti di viaggio, e immagini dei volti, in modo da aumentare le informazioni nel sistema centrale e permettere alle autorità di immigrazione e asilo di identificare facilmente un cittadino irregolare di un Paese terzo o un richiedente asilo senza dover richiedere le informazioni ad un altro Stato membro separatamente (come avviene attualmente).

Sulla proposta, che è tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee,  il 16 novembre 2016, la I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) della Camera dei deputati ha approvato un documento conclusivo, con il quale ha espresso una valutazione sostanzialmente positiva. La proposta di regolamento è stata altresì oggetto di esame della 1a Commissione Affari costituzionali del Senato che si è pronunciata in senso favorevole con la Risoluzione Doc. XVIII n. 157.

 

Il 13 luglio 2016 la Commissione ha presentato un secondo pacchetto legislativo di riforma del sistema comune europeo di asilo. Il pacchetto, tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee, si compone delle seguenti proposte:

4. Una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (rifusione) (COM(2016)465).

La Commissione propone di riformare la direttiva sulle condizioni di accoglienza (direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) per fare in modo che i richiedenti asilo possano beneficiare di standard di accoglienza armonizzati e dignitosi in tutta l'UE e prevenire in tal modo i movimenti secondari.

Principali obiettivi della riforma sono:

-       armonizzare ulteriormente le condizioni di accoglienza. Gli Stati membri dovranno applicare gli standard e gli indicatori sulle condizioni di accoglienza sviluppati a livello di UE e provvedere all'elaborazione e all'aggiornamento costante di piani di emergenza al fine di assicurare una capacità di accoglienza sufficiente e adeguata, anche in situazioni di pressione eccessiva. Dovranno inoltre fornire maggiori garanzie comuni ai richiedenti asilo con esigenze particolari e ai minori non accompagnati, i quali dovranno essere affidati a un tutore entro cinque giorni dalla presentazione della domanda;

-       ridurre i movimenti secondari. La proposta specifica che le condizioni di accoglienza dovranno essere fornite unicamente nello Stato membro responsabile; la Commissione ritiene infatti essenziale che i richiedenti protezione internazionale rimangano nello Stato membro competente e non fuggano. A tal fine, sono ulteriormente armonizzate le norme relative alla possibilità per gli Stati membri di assegnare ai richiedenti un luogo di residenza o di imporre loro l'obbligo di presentazione regolare dinanzi alle autorità, nonché sulla facoltà concessa agli Stati membri di ridurre le condizioni materiali di accoglienza o di sostituire le indennità finanziarie con "condizioni materiali di accoglienza fornite in natura". Nel caso in cui il richiedente non rispetti l'obbligo di risiedere in un determinato luogo, e qualora sussista il rischio di fuga, gli Stati membri potranno avvalersi del trattenimento;

-       favorire l'autonomia e l'integrazione dei richiedenti. La proposta prevede tempi più brevi per l'accesso al mercato del lavoro, al più tardi entro sei mesi dalla presentazione della domanda di asilo, e che tale accesso avvenga nel pieno rispetto delle norme del mercato del lavoro.

 

5. Una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta e recante modifica della direttiva 2003/109/CE, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (COM(2016)466).

Al fine di armonizzare gli standard di protezione nell'UE e porre fine ai movimenti secondari, la Commissione propone di sostituire la direttiva qualifiche vigente (direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta) con un regolamento.

La proposta intende far sì che i richiedenti asilo godano dello stesso tipo di protezione, indipendentemente dallo Stato membro in cui presentano la domanda e per tutto il tempo necessario. In particolare, la proposta prevede:

-       una maggiore armonizzazione nei criteri di riconoscimento. La Commissione ritiene necessario far convergere maggiormente i tassi di riconoscimento e le forme di protezione, armonizzando il tipo di protezione e la durata dei permessi di soggiorno concessi ai beneficiari di protezione internazionale. Viene, fra l'altro, previsto l'obbligo per gli Stati membri di valutare se il richiedente possa beneficiare di protezione all'interno del Paese d'origine;

-       una maggiore convergenza delle decisioni prese dagli Stati membri. In particolare, questi dovranno tener conto degli orientamenti forniti dalla futura Agenzia dell'Unione europea per l'asilo - in conformità a quanto previsto nella citata proposta di regolamento COM(2016)271 - per quanto riguarda la situazione nel Paese d'origine del richiedente asilo, nel pieno rispetto del principio di non respingimento;

-       che la protezione sia garantita solo per il tempo necessario. Viene introdotta una revisione obbligatoria dello status che, fra l'altro, tenga conto dei cambiamenti sopraggiunti nel Paese di origine che potrebbero influire sulla necessità di protezione;

-       norme più severe contro i movimenti secondari. La proposta prevede, fra l'altro, che il periodo di attesa (di cinque anni) assegnato ai beneficiari di protezione internazionale per ottenere lo status di residente di lungo periodo, a norma della direttiva 2003/109/CE, venga riconteggiato qualora la persona interessata si trovi in uno Stato membro in cui non gode del diritto di soggiorno o residenza;

-       un'ulteriore armonizzazione dei diritti dei beneficiari di protezione internazionale, al fine di incentivarne maggiormente l'integrazione. Sono precisati i diritti e gli obblighi per quanto riguarda la sicurezza sociale e l'assistenza sociale (in particolare, l'accesso a determinate forme di assistenza sociale potrà essere subordinata all'effettiva partecipazione dei beneficiari di protezione internazionale a misure di integrazione).

6. Una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE (COM(2016)467).

La proposta intende sostituire la vigente direttiva sulle procedure di asilo (direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale) con un regolamento che stabilisca una procedura UE comune pienamente armonizzata per la protezione internazionale.

In particolare, la proposta mira a:

-       rendere le procedure di asilo più semplici, chiare e brevi. Viene mantenuto il termine di sei mesi per l'adozione delle decisioni. Sono tuttavia introdotti termini più brevi (da uno a due mesi), in particolare per le domande di asilo inammissibili o palesemente infondate o per i casi in cui è prevista l'applicazione della procedura accelerata. Sono inoltre introdotte nuove scadenze per la presentazione dei ricorsi (da una settimana a un mese) e per le decisioni nella prima fase di ricorso (da due a sei mesi);

-       rafforzare le garanzie procedurali a salvaguardia dei diritti dei richiedenti asilo. La proposta intende garantire il diritto a un colloquio individuale e all'assistenza e alla rappresentanza legale gratuite già nel corso della procedura amministrativa. I richiedenti con esigenze particolari e i minori non accompagnati dovranno essere affidati a un tutore entro cinque giorni dalla presentazione della domanda;

-       garantire norme più severe per combattere gli abusi. La proposta introduce nuovi obblighi di cooperazione con le autorità e prevede conseguenze più severe in caso di mancato rispetto degli stessi. L'applicazione di sanzioni in caso di abuso della procedura, omessa collaborazione e movimenti secondari - finora facoltativa - è resa obbligatoria. Le sanzioni comprendono il rigetto della domanda perché implicitamente ritirata o palesemente infondata o l'applicazione della procedura accelerata;

-       armonizzare le norme sui Paesi sicuri. La Commissione intende rendere obbligatoria l'applicazione del concetto di Paese sicuro. Propone in proposito di sostituire completamente le designazioni nazionali dei Paesi di origine sicuri e dei Paesi terzi sicuri con elenchi europei o designazioni a livello UE, entro cinque anni dall'entrata in vigore del regolamento.

 

7. Una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di reinsediamento dell’Unione e che modifica il regolamento (UE) n. 516/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio (COM(2016)468).

La proposta intende stabilire un approccio legislativo vincolante e obbligatorio in materia di reinsediamento per il periodo successivo al 2016 al fine di garantire alle persone che necessitano di protezione internazionale canali organizzati e sicuri di accesso all'Europa

La proposta prevede piani annuali dell'Unione, adottati dal Consiglio e resi operativi tramite programmi di reinsediamento della Commissione, volti a stabilire le priorità geografiche - aree in cui avviare il processo di reinsediamento, e il numero complessivo massimo di persone da reinsediare l'anno successivo, sulla base della partecipazione e dei contributi degli Stati membri e dei Paesi associati a Schenghen.

I criteri da prendere in considerazione per determinare le regioni o i Paesi terzi da cui avrà luogo il reinsediamento comprendono: il numero di persone che necessitano di protezione internazionale in Paesi terzi, le relazioni complessive tra l'UE e i Paesi terzi e l'effettiva cooperazione in materia di asilo e migrazione, compreso lo sviluppo del loro sistema di asilo e la cooperazione in materia di migrazione irregolare, riammissione e rimpatrio.

Il nuovo quadro dell’UE per il reinsediamento definirà l'insieme delle procedure standard comuni per la selezione e il trattamento dei candidati al reinsediamento, i criteri comuni di ammissibilità, nonché i motivi comuni di esclusione dei candidati e la procedura (ordinaria o accelerata) da seguire.

Per sostenere gli Stati membri negli sforzi di reinsediamento nel quadro di detti programmi, la Commissione intende destinare 10.000 euro del bilancio UE per ogni persona reinsediata. I fondi saranno assegnati nell’ambito del Fondo Asilo, migrazione e integrazione (AMIF), mentre i reinsediamenti che avverranno al di fuori del quadro di reinsediamento dell’Unione non saranno finanziati dal bilancio dell’UE.

 

Al di fuori della riforma complessiva del sistema di asilo europeo avviata nel  2016, in materia di protezione internazionale, è  tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee la proposta di regolamento, presentata dalla Commissione europea nel settembre 2015, volta ad istituire un elenco comune dell'UE di Paesi di origine sicuri ai fini della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, e che modifica la direttiva 2013/32/UE (COM(2015)452).

In sostanza si tratta di accelerare l’iter delle domande di asilo dei richiedenti provenienti da paesi che l'UE considera in linea con gli standard dei diritti umani, e l’eventuale rimpatrio (sempre che non sussistano, secondo una valutazione individuale, le condizioni per concedere  protezione). Fanno parte dell’elenco: Albania,  Bosnia-Erzegovina, ex Repubblica iugoslava di Macedonia,  Kosovo,  Montenegro,  Serbia e  Turchia.

La proposta di regolamento è stata oggetto di esame della 1a Commissione Affari costituzionali del Senato che si è pronunciata in senso favorevole con la Risoluzione Doc. XVIII n. 101. Sulla proposta, il 14 ottobre 2015, la I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) della Camera dei deputati ha approvato un documento conclusivo.

Migrazione irregolare: nuove indicazioni della Commissione europea per quanto riguarda il rimpatrio dei migranti irregolari

Il 2 marzo 2917 la Commissione europea ha presentato la comunicazione COM(2017)200  “Per una politica dei rimpatri più efficace nell'Unione europea - Un piano d'azione rinnovato.

ll Piano d'azione prevede, tra l’altro:

·        l’aumento del sostegno finanziario agli Stati membri con 200 milioni di euro nel 2017 destinati alle attività nazionali in materia di rimpatrio, nonché a specifiche attività comuni europee di rimpatrio e reintegrazione;

·        il miglioramento dello scambio di informazioni tra Stati membri in materia di esecuzione di rimpatri;

·        scambio delle migliori pratiche per garantire programmi di reintegrazione uniformi in tutti gli Stati membri;

·        sostegno agli Stati membri tramite l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che dovrà potenziare l'assistenza pre-rimpatrio, aumentare il personale della sua unità di sostegno ai rimpatri e istituire entro giugno un meccanismo di voli commerciali per finanziare i rimpatri;

·        conclusione di accordi di riammissione con la Nigeria, la Tunisia e la Giordania e coinvolgimento di Marocco e Algeria.

 

Nella medesima data la Commissione europea ha pubblicato una serie di raccomandazioni agli Stati membri per rendere i rimpatri più efficaci nell'attuazione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del. Si tratta in particolare di:

-       migliorare il coordinamento tra tutti i servizi e le autorità coinvolte nel processo di rimpatrio in ciascuno Stato membro entro giugno 2017;

-       eliminare le inefficienze mediante la riduzione dei termini per i ricorsi, l'emissione sistematica di decisioni di rimpatrio senza data di scadenza e la combinazione delle decisioni sulla fine del soggiorno regolare con l'emissione della decisione di rimpatrio per non duplicare il lavoro;

-       combattere gli abusi del sistema, sfruttando la possibilità di valutare le domande di asilo con procedure accelerate quando si sospetta che tali domande siano presentate solo per ritardare l'esecuzione della decisione di rimpatrio;

-       impedire la fuga trattenendo le persone che lasciano intendere di non voler ottemperare alla decisione di rimpatrio che li riguarda;

-       accrescere l'efficacia delle procedure e delle decisioni di rimpatrio autorizzando la partenza volontaria solo se necessario e se l'interessato ne fa richiesta e concedendo il tempo più breve possibile per la partenza volontaria, tenendo conto delle circostanze individuali;

-       istituire programmi di rimpatrio volontario assistito operativi entro il 1º giugno 2017 di rimpatrio volontario assistito e reintegrazione.


 

 

Giudizio di compatibilità CEDU A.C. 4394

L’atto Senato 2705 (conversione in legge del decreto-legge n. 13 del 2017), oggi atto Camera 4394, reca disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e per il contrasto dell’immigrazione illegale.

 

Si ricorda che nei primi anni Duemila erano state emanate 3 direttive: una inerente all’attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione (2004/83); un’altra relativa all’accoglienza dei richiedenti asilo (2003/9); e una terza inerente alle procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato (2005/85). A seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e, dunque, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), oltre al riconoscimento dello status di rifugiato, sono state individuate a livello super primario due ulteriori forme di protezione, quella temporanea e quella sussidiaria (art. 78, comma 2, lettere b) e c), TFUE). Conseguentemente, è stata emanata una direttiva sulla protezione sussidiaria (2011/95) che ha abrogato la direttiva 2004/83.

 

Sotto il profilo del diritto della Convenzione EDU, vengono in considerazione le disposizioni contenute nei capi II e III del decreto-legge.

L’articolo 6 del decreto-legge modifica diverse disposizioni del decreto legislativo n. 25 del 2008, che dava attuazione alla citata direttiva 2005/85. Le modifiche introdotte interessano gli articoli 3, 11, 12, 14, 32, 33 e 35, in materia di procedure e relative notificazioni volte all’accertamento dello status del richiedente asilo.

In generale, tutte le procedure di accoglienza, verifica ed eventuale rimpatrio dei migranti trovano a ogni modo un limite nel divieto di deportazioni collettive, di cui all’articolo 4 del Protocollo addizionale n. 4 alla CEDU (si ricordino, al riguardo, le sentenze Hirsi c. Italia del 2012 e Khlaifia c. Italia del 2016). Dal punto di vista applicativo, le pronunzie citate individuano la violazione dell’art. 4 del Protocollo 4 in procedure che non consentano di svolgere una valutazione individualizzata della situazione personale dei migranti.

Quanto alla tutela giurisdizionale offerta ai destinatari dei provvedimenti delle autorità competenti, si ricordano le medesime sentenze ora citate che hanno stabilito il diritto dei migranti a essere informati e a poter esperire procedure di reclamo o di riesame di provvedimenti sfavorevoli ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione (diritto a un ricorso effettivo).

Per quanto riguarda le procedure di esame personale della domanda, viene novellato l’articolo 14 del decreto legislativo n. 25 del 2008, nel senso di rafforzare le garanzie di comprensione del richiedente asilo, in ossequio agli obblighi procedurali e di effettività di tutela imposti dal diritto vivente della CEDU, ai sensi dell’articolo 6. Con riferimento alla videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo con la Commissione territoriale, viene in rilievo il diritto alla vita privata e familiare di cui all’articolo 8.

 

I capisaldi della materia delle riprese video a carico di privati cittadini e della conseguente interferenza con la vita privata e familiare sono riassunti nella recente pronunzia Vukota-Bojic c. Svizzera del 2016. Il diritto della CEDU le ammette a patto che siano previste per legge, per scopi legittimi e necessari in una società democratica e attuate con modalità proporzionate a quegli scopi.

 

Le disposizioni del decreto-legge – le quali prevedono che la video registrazione sia previamente comunicata al richiedente la protezione – soddisfano tali requisiti. Inoltre, il comma 6-bis aggiunto durante l’esame del Senato prevede (in buona sostanza) la facoltà del richiedente asilo di non avvalersi della videoregistrazione.

Quanto alle modifiche e alle aggiunte agli articoli 3, 33 e 35, si pone il tema della pubblicità dell’udienza, giacché le sedi giurisdizionali dell’impugnativa, ai sensi del testo approvato dal Senato, assumono la forma della camera di consiglio. L’articolo 6, comma 1, della Convenzione europea, in via di massima, richiede quale requisito dell’equità del processo la sua pubblicità (vedi, tra gli altri, Bocellari e Rizza c. Italia del 2007 e Perre c. Italia del 2008). Tuttavia, la giurisprudenza della Corte EDU ammette casi in cui, per la natura delle questioni e, comunque, in ossequio a esigenze di efficacia ed economia processuale, si possa procedere senza una vera e propria udienza e, comunque, in un contraddittorio non pubblico (vedi Miller c. Svezia del 2005 e Sakhnovskiy c. Russia del 2010). Inoltre, i nuovi commi 10 e 11 dell’articolo 35-bis, introdotto dal decreto-legge, prevedono ulteriori casi in cui il giudice deve fissare l’udienza in contraddittorio, tra i quali l’espressa richiesta del ricorrente e la valutazione del giudice che la ritenga essenziale per la decisione.

 

 

 


 



[1]     L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) è un organismo decentrato dell’Unione europea (UE) istituito con il regolamento (UE) n. 439/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio. L’Ufficio svolge un ruolo chiave nella concreta attuazione del sistema europeo comune di asilo (CEAS). L’EASO è stato istituito al fine di rafforzare la cooperazione pratica in materia di asilo e di assistere gli Stati membri ad assolvere i propri obblighi europei e internazionali di fornire protezione alle persone in difficoltà. L’EASO agisce in qualità di centro specializzato in materia di asilo. Fornisce inoltre sostegno agli Stati membri i cui sistemi di asilo e accoglienza sono sottoposti a una pressione particolare.

[2]     Le amministrazioni interessate sono le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie e gli enti pubblici non economici (compresi gli enti di cui all'articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001) e gli enti di ricerca la cui spesa per il personale di ruolo del singolo ente non superi l'80% delle proprie entrate correnti complessive, come risultanti dal bilancio consuntivo dell'anno precedente (ad esclusione dei ricercatori e tecnologi, per i quali restano invariate le percentuali fissate dal D.L. 90/2014).

[3] L'Agenda europea sulla migrazione è stata presentata dalla Commissione europea il 13 maggio 2015 con l'intento sia di fornire una risposta immediata alla situazione di crisi nel Mediterraneo, che di indicare le iniziative a medio e lungo termine per giungere a soluzioni strutturali che consentano di gestire meglio la migrazione in tutti i suoi aspetti. Sull’Agenda, il 17 febbraio 2016, la I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) della Camera dei deputati ha approvato un documento conclusivo. La 1a Commissione Affari costituzionali del Senato ha adottato la Risoluzione Doc. XVIII, n. 106.

[4] Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide.