Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali
Riferimenti:
AC N. 3262/XVII   DL N. 78 DEL 19-GIU-15
Serie: Progetti di legge    Numero: 331
Data: 29/07/2015
Descrittori:
DECRETO LEGGE 2015 0078   ENTI LOCALI
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti
in materia di enti territoriali

D.L. 78/2015 - A.C. 3262

Schede di lettura

 

Parte I

 

 

 

 

n. 331

 

 

 

29 luglio 2015

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Bilancio

( 066760-2233 – * st_bilancio@camera.it Twitter_logo_blue.pngCD_Bilancio

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi:

Servizio Bilancio dello Stato

Verifica delle quantificazioni n. 251

( 066760-2174 / 066760-9455 – * bs_segreteria@camera.it

Servizio Commissioni – Segreteria V Commissione

( 066760-3545 / 066760-3685 – * com_bilancio@camera.it

Il presente dossier è articolato in due volumi:

§  Schede di lettura (dossier n. 331, Parte I), redatto dal Servizio Studi

§  Profili finanziari (dossier n. 331, Parte II) redatto dal Servizio Bilancio dello Stato, nonché dalla Segreteria della V Commissione per quanto concerne le coperture.

 

 

 

 

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: D15078.docx

 


INDICE
(Parte I)

Schede di lettura

§  Articolo 1 del ddl di conversione, commi da 1 a 3 (Abrogazione del D.L. n. 85/2015 e degli artt. 1 e 2 del D.L. n. 92/2015) 3

§  Articolo 1, commi 1-9 (Rideterminazione degli obiettivi del patto di stabilità interno dei comuni per gli anni 2015-2018 e ulteriori disposizioni concernenti il patto di stabilità interno) 4

§  Articolo 1, comma 10 (Riparto delle riduzioni di spesa corrente per le province e le città metropolitane) 18

§  Articolo 1, comma 10-bis (Riduzione obiettivi patto di stabilità per alcuni comuni veneti  colpiti da eventi atmosferici) 19

§  Articolo 1-bis (Saldo di competenza delle regioni per l’anno 2015 – esclusione degli impegni per investimenti diretti e per contributi in conto capitale) 21

§  Articolo 1-ter (Predisposizione del bilancio di previsione annuale 2015 delle province e delle città metropolitane) 24

§  Articolo 1-quater (Modalità di finanziamento delle spese di investimento delle regioni) 27

§  Articolo 1-quinquies (Defiscalizzazione del cambio proprietario del Parco di Monza) 30

§  Articolo 2, commi 1-5 e comma 6 (Disposizioni finalizzate alla sostenibilità dell’avvio a regime dell’armonizzazione contabile e termini per la procedura di riequilibrio finanziario) 31

§  Articolo 2, comma 5-bis (Termini per la procedura di riequilibrio finanziario per gli enti locali) 37

§  Articolo 3 (Anticipazioni di risorse ai comuni e ulteriori disposizioni concernenti il riparto del Fondo di solidarietà comunale 2015) 38

§  Articolo 4, comma 1 (Disapplicazione delle sanzioni concernenti il divieto di assunzioni per riallocazione personale delle province) 45

§  Articolo 4, comma 2 (Personale delle province) 47

§  Articolo 4, comma 2-bis (Procedure concorsuali reclutamento a tempo indeterminato di personale nei servizi educativi e scolastici) 50

§  Articolo 4, comma 3 (Assunzioni negli EE.LL.) 52

§  Articolo 4, comma 4 (Esclusione dei pagamenti dei debiti commerciali pregressi dall’indicatore dei tempi medi di pagamento delle P.A.) 54

§  Articolo 4, comma 4-bis (Segretari comunali e provinciali) 57

§  Articolo 4, comma 4-ter (Esercizio in forma associata di funzioni da parte degli enti di area vasta) 59

§  Articolo 4-bis (Disposizioni per la funzionalità operativa delle Agenzie fiscali) 60

§  Articolo 5 (Misure in materia di polizia provinciale) 63

§  Articolo 5-bis (Proroga dell’impiego del personale militare appartenente alle Forze armate) 67

§  Articolo 6, commi 1-6 (Misure per emergenza liquidità di enti locali impegnati in ripristino legalità) 69

§  Articolo 6, comma 7 (Assunzioni a tempo determinato presso gli enti locali commissariati) 73

§  Articolo 7, commi 1 e 2 (Rinegoziazione mutui enti locali) 74

§  Articolo 7, comma 2-bis (Riequilibrio di bilancio per gli enti dissestati) 76

§  Articolo 7, comma 3 (Riduzione di risorse ai comuni ai sensi dell’art. 16 del D.L. n. 95/2012, c.d. spending review) 77

§  Articolo 7, comma 4 (Affidamento riscossione TARES) 80

§  Articolo 7, comma 5 (Destinazione del 10 per cento delle risorse derivanti dall'alienazione del patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali) 81

§  Articolo 7, comma 6 (Modifica del piano di riequilibrio finanziario pluriennale) 82

§  Articolo 7, comma 7 (Proroga riscossione EE.LL.) 83

§  Articolo 7, comma 8 (Scioglimento di consorzi controllati da enti locali) 86

§  Articolo 7, comma 8-bis (Cessazioni delle partecipazioni da parte delle amministrazioni pubbliche) 87

§  Articolo 7, comma 9 (Norme in materia di TARI) 90

§  Articolo 7, comma 9-bis (Modalità di notifica in materia di catasto nelle provincie di Trento e Bolzano) 91

§  Articolo 7, comma 9-ter (Attribuzione ai rifiuti della caratteristica di “ecotossico”) 92

§  Articolo 7, comma 9-quater (Utilizzo dei contributi per le opere dell’Expo 2015) 94

§  Articolo 7, comma 9-quinquies (Trasferimento funzioni provinciali) 95

§  Articolo 7, comma 9-sexies (Disponibilità del Fondo di rotazione destinate al Piano di Azione Coesione per copertura sgravi contributivi) 97

§  Articolo 7, commi 9-septies – 9-quinquiesdecies (Fondo integrativo Azienda del gas) 99

§  Articolo 7, comma 9-sexiesdecies (Contributo in favore di Campione d’Italia) 102

§  Articolo 7, commi 9-septiesdecies–9-duodevicies (Concessioni demaniali marittime) 103

§  Articolo 7-bis (Assicurazione amministratori locali e rimborso spese legali) 105

§  Articolo 8, commi 1-9 (Incremento del fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti delle regioni e contributi in favore degli enti territoriali) 109

§  Articolo 8, commi 4-bis-4-quater (Accesso anticipazioni di liquidità per il CREA) 115

§  Articolo 8, commi 10-12 (Contributo ai comuni) 120

§  Articolo 8, comma 13 (Anticipo termini per verifica gettito IMU agricola 2014 ai fini delle variazioni compensative conseguenti) 124

§  Articolo 8, comma 13-bis (Proroga versamento prima rata IMU agricola) 126

§  Articolo, 8, commi da 13-ter a 13-quinquies  (Esigenze finanziarie delle città metropolitane e delle province) 128

§  Articolo 8, comma 13-sexies (Cause di ineleggibilità dei sindaci) 131

§  Articolo 8, comma 13-septies (Finanziamento oneri di servizio pubblico marittimo) 133

§  Articolo 8, commi da 13-octies a 13 duodecies (Regione Sicilia) 134

§  Articolo 8-bis (Valle d’Aosta – patto di stabilità interno e servizi ferroviari) 138

§  Articolo 9, commi 1-5 (Disposizioni concernenti le regioni) 141

§  Articolo 9, comma 6 (Ristrutturazione del debito delle regioni) 151

§  Articolo 9, comma 7 (Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate) 154

§  Articolo 9, comma 8 (Modifica procedura di rivalsa per reintegro fondo di rotazione attuazione politiche comunitarie per tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia) 155

§  Articolo 9, comma 9 (Addizionali e compartecipazioni regionali ai tributi statali e posticipo riduzione contributi alle Regioni a Statuto ordinario) 159

§  Articolo 9, commi 9-bis–9-quater (Tassa automobilistica in caso di leasing) 163

§  Articolo 9, commi 10 e 11 (Finanziamento policlinici universitari) 164

§  Articolo 9, commi da 11-bis a 11-quater (Consorzio interuniversitario CINECA e affidamento di servizi informativi strumentali nel sistema dell’istruzione, dell’università e della ricerca) 167

§  Articolo 9-bis (Razionalizzazione ed efficientamento della spesa del Servizio sanitario nazionale, in attuazione delle intese sancite dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano) 171

§  Articolo 9-ter (Razionalizzazione della spesa per beni e servizi, dispositivi medici e farmaci) 173

§  Articolo 9-quater (Riduzione delle prestazioni inappropriate) 189

§  Articolo 9-quinquies (Rideterminazione dei fondi per la contrattazione integrativa del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale) 194

§  Articolo 9-sexies (Potenziamento monitoraggio beni e servizi) 196

§  Articolo 9-septies (Rideterminazione del livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale) 197

§  Articolo 9-octies (Clausole di salvaguardia per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome) 202

§  Articolo 9-nonies (Potenziamento delle misure di sorveglianza dei livelli dei controlli di profilassi internazionale del Ministero della salute) 203

§  Articolo 9-decies (Programma straordinario per il Giubileo 2015-2016) 205

§  Articolo 9-undecies (Disposizioni in ambito sanitario dirette a favorire la tempestività dei pagamenti) 208

§  Articolo 9-duodecies  (Organizzazione e funzionamento dell’Agenzia italiana del farmaco) 210

§  Articolo 10 (Norme in materia di anagrafe e carta di identità elettronica) 214

§  Articolo 11, commi 1-7-ter e 12-16 (Misure per la ricostruzione dei territori abruzzesi interessati dal sisma del 6 aprile 2009) 221

§  Articolo 11, comma 1-bis (Esenzione dalla riduzione del Fondo di solidarietà comunale per i comuni terremotati) 237

§  Articolo 11, comma 8 (Tracciabilità dei flussi finanziari) 239

§  Articolo 11, commi 9, 11 e 11-bis (Misure per la ricostruzione degli immobili pubblici e delle chiese nei territori abruzzesi) 240

§  Articolo 11, commi 11-ter e 11-quater (Riparto dei consumi per le strutture dei progetti CASE e MAP nei territori abruzzesi interessati dal sisma del 2009) 244

§  Articolo 11, comma 16-bis (Modifiche alla disciplina definitoria in materia di gestione dei rifiuti) 245

§  Articolo 11, comma 16-ter (Modifiche alla disciplina transitoria in materia di autorizzazione integrata ambientale) 250

§  Articolo 11, comma 16-quater (Bonifica ambientale e riqualificazione urbana del comprensorio Bagnoli - Coroglio) 252

§  Articolo 11-bis (Disposizioni in materia di economia legale) 256

§  Articolo 12, commi 1-4, 7 e 8 (Disciplina ZFU Emilia) 258

§  Articolo 12, commi 5 e 6 (Agevolazioni ed esenzioni fiscali nelle Zone Franche Urbane dell’Emilia) 262

§  Articolo 13, comma 01 (Proroga dello stato di emergenza conseguente agli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012) 264

§  Articolo 13, commi 1-6 (Rimodulazione interventi a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012) 265

§  Articolo 13-bis (Disciplina ZFU Sardegna) 270

§  Articolo 13-ter (Misure per la città di Venezia) 272

§  Articolo 13-quater (Proroga dei termini per la cantierabilità degli interventi) 275

§  Articolo 14 (Clausola di salvaguardia) 277

§  Articolo 15 (Servizi per l’impiego) 280

§  Articolo 16, comma 1 (Affidamento in concessione dei servizi negli istituti e nei luoghi della cultura) 284

§  Articolo 16, comma 1-bis (Grande Progetto Pompei e Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia) 286

§  Articolo 16, comma 1-ter (Commercio nelle aree di alto valore culturale) 291

§  Articolo 16, commi 1-quater-1-sexies (Interventi per i luoghi della cultura delle province e tutela del patrimonio archivistico e bibliografico) 293

§  Articolo 16-bis (Misure per favorire la rappresentanza territoriale negli organi di amministrazione di associazioni e fondazioni con finalità di gestione di beni del patrimonio mondiale dell’umanità) 296

§  Articolo 16-ter  (Assunzioni nelle Forze di polizia e nei Vigili del fuoco) 297

§  Articolo 16-quater  (Stabilizzazione lavoratori comuni della Regione Calabria) 301

§  Articolo 17 (Disposizioni finali) 303

§  Articolo 18 (Entrata in vigore) 304

 


Schede di lettura


 

Articolo 1 del ddl di conversione, commi da 1 a 3
(Abrogazione del D.L. n. 85/2015 e degli artt. 1 e 2 del D.L. n. 92/2015)

 

 

I commi 1-bis e 1-ter, dell’articolo 1 del disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame, introdotti nel corso dell’esame del Senato, recano, l’abrogazione dei decreti-legge 1° luglio 2015, n. 85 e 4 luglio 2015, n. 92 (quest’ultimo limitatamente agli articoli 1 e 2), i cui relativi disegni di legge di conversione sono in corso di esame da parte delle Camere.

Inoltre, i due commi aggiuntivi recano la consueta formula di salvaguardia degli effetti prodotti e dei rapporti giuridici sorti nella vigenza dei due decreti-legge abrogati.

Il decreto-legge n. 85/2015 reca disposizioni urgenti per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio (c.d. “operazione strade sicure”); il relativo disegno di legge di conversione è stato trasmesso al Senato ma non ne è cominciato l’esame in sede referente (A.S. 1992).

Disposizioni identiche a quelle recate nell’unico articolo del decreto-legge n. 85 sono state inserite dal Senato nel decreto-legge in commento (articolo 5-bis).

 

È in corso di esame alla Camera il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 92/2015 che reca misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l'esercizio dell'attività d'impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale (A.C. 3210).

Disposizioni identiche a quelle contenute negli articoli 1 e 2 del decreto-legge 92 sono riprodotte all’articolo 11, commi 16-bis e 16-ter del decreto-legge in esame, introdotti dal Senato. L’articolo 3 del decreto-legge 92 è invece confluito nel D.L. 83/2015 recante interventi su fallimento, procedure esecutive e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria, in corso di conversione (A.S. 2021).


 

 

Articolo 1, commi 1-9
(Rideterminazione degli obiettivi del patto di stabilità interno
dei comuni per gli anni 2015-2018 e ulteriori disposizioni
concernenti il patto di stabilità interno)

 

 

L’articolo 1 è finalizzato alla rideterminazione degli obiettivi del patto di stabilità interno per i comuni per gli anni dal 2015 al 2018, disponendo altresì alcune misure finalizzate a rendere più sostenibili gli obiettivi degli enti soggetti ai vincoli del patto di stabilità, allentando, nel contempo, la pressione sulle spese di investimento.

In particolare, il comma 1 ridetermina gli obiettivi del patto di stabilità per i comuni, come approvati con l’Intesa sancita nella Conferenza Stato-Città ed autonomie locali del 19 febbraio 2015, riducendoli di un importo pari all’accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità, come stanziato nel bilancio di previsione di ciascun anno di riferimento.

I commi successivi recano norme che allentano i vincoli del patto, consentendo ai comuni maggiori margini finanziari per effettuare spese finalizzate a investimenti volti alla cura del territorio e all’erogazione dei servizi (commi 2-6).

Il comma 8 estende anche ai comuni sede di città metropolitane l’utilizzo dei 700 milioni di euro destinati, dalla legge di stabilità per il 2015 (comma 145) alle regioni, per l’esclusione dagli equilibri di bilancio delle spese relative al cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali comunitari. Per i comuni, le risorse sono destinate all’esclusione dai vincoli del patto di stabilità delle spese per opere prioritarie del programma delle infrastrutture strategiche e delle spese per le opere e gli interventi cofinanziati dai Fondi strutturali europei ricompresi nella Programmazione "2007-2013" e nella Programmazione "2014-2020", a valere sulla quota di cofinanziamento a carico dei predetti enti locali.

I commi 7 e 9 prevedono l’attenuazione delle sanzioni per il mancato rispetto del patto di stabilità interno relativo all’anno 2014 da parte degli enti locali, in particolare, definendo un limite massimo all’applicazione della sanzione consistente nella riduzione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale ovvero del Fondo di riequilibrio provinciale e consentendo alle province e città metropolitane di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato con termine finale fissato entro la data del 31 dicembre 2015 (ultimo periodo del comma 7, introdotto nel corso dell’esame al Senato). Il comma 9, infine, esclude l’applicazione delle sanzioni per gli enti locali per i quali sia intervenuta la dichiarazione di dissesto finanziario nel 2012.

Si ricorda che il patto di stabilità interno per gli enti locali è disciplinato in via generale dall’articolo 31 della legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011), come più volte modificato ed aggiornato, da ultimo dall’articolo 1, commi 489-500, della legge n. 190/2014 (stabilità 2015). Per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione del patto di stabilità interno, si rammenta che a decorrere dal 2013 il patto si applica alle province e ai comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti, come disposto dal comma 1 dell’articolo 31 della legge n. 183 del 2011[1].

La disciplina del patto per gli enti locali è finalizzata all’obiettivo del miglioramento del saldo finanziario degli enti, calcolato quale differenza tra entrate e spese finali, espresso in termini di competenza mista. Il meccanismo di calcolo del saldo-obiettivo è ancorato alla capacità di spesa di ciascun ente locale, corrispondente al livello di spesa corrente mediamente sostenuto in un triennio.

Per la determinazione dell’obiettivo programmatico di saldo finanziario per gli anni dal 2015 al 2018, la legge di stabilità per il 2015 ha disposto che esso sia rapportato alla media della spesa corrente registrata nel triennio 2010-2012, sulla base di determinate percentuali stabilite per ciascuna tipologia di ente dalla norma medesima, diminuito di un importo pari alla riduzione dei trasferimenti[2] apportata ai sensi dell’articolo 14, comma 2, del D.L. n. 78/2010 (articolo 31, comma 4, legge n. 183 del 2011).

Si rammenta che la legge di stabilità per il 2015 (art. 1, comma 489) ha ridefinito le percentuali da applicare alla media della spesa corrente in modo da determinare una riduzione del concorso degli enti locali alla manovra di finanza pubblica per il 2015, pari a 2.889 milioni di euro, di cui 2.650 milioni per i comuni e 239 milioni per le province.

Tale impatto positivo è stato peraltro, in parte, compensato dall’aggravio – in termini di compressione della spesa - determinato dall’inserimento nel computo del saldo rilevante ai fini del Patto di stabilità degli stanziamenti di competenza del Fondo crediti di dubbia esigibilità, per effetto delle nuove disposizioni di armonizzazione contabile (stimato in circa 1.750 milioni complessivi).

Di conseguenza, la norma citata ha previsto che sulla base delle informazioni relative al valore degli accantonamenti effettuati sul fondo per l’anno 2015, acquisite con specifico monitoraggio, le percentuali riferite all’anno 2015 per il calcolo del saldo obiettivo avrebbero potuto essere modificate.

Inoltre, il comma 489 medesimo, integrando l’art. 31, comma 2, della legge n. 183/2011, ha previsto la possibilità di una ulteriore ridefinizione degli obiettivi di ciascun ente, da effettuarsi con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, su proposta dell’ANCI e dell’UPI, entro il 31 gennaio 2015, al fine di tenere in debito conto una serie di condizioni particolari che possano riguardare i singoli enti, quali: le maggiori funzioni assegnate alle città metropolitane, gli eventi calamitosi, gli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici e del territorio, gli oneri connessi all’esercizio della funzione di ente capofila nonché gli oneri relativi a sentenze passate in giudicato a seguito di procedure di esproprio o di contenziosi connessi a cedimenti strutturali. Tale diversa distribuzione tra i singoli enti del comparto del contributo richiesto dal patto di stabilità interno è tuttavia effettuata fermo restando l'obiettivo complessivo del comparto, nel rispetto dell’equilibrio dei saldi di finanza pubblica.

 

Per i comuni, l’Intesa per la ridefinizione degli obiettivi del Patto di stabilità interno è stata raggiunta in sede di sede di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali il 19 febbraio 2015, sulla base della Nota metodologica proposta dall’ANCI ad essa allegata. Con l’Intesa del 19 febbraio 2015 si è pervenuti ad una revisione dei criteri per la definizione degli obiettivi finanziari di ciascun comune, che tenendo conto delle esigenze di un adeguamento alle mutate condizioni della finanza comunale, consente una maggiore sostenibilità e razionalità della manovra a carico del comparto comunale.

Rideterminazione degli obiettivi del patto per i comuni (commi 1-6)

Il comma 1 provvede ad una rideterminazione degli obiettivi del patto di stabilità interno per i comuni per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, secondo quanto definito nell’Intesa del 19 febbraio 2015 sancita nella Conferenza Stato-Città ed autonomie locali.

 

Più in particolare, la norma individua gli obiettivi del patto di stabilità per i comuni in quelli che sono stati approvati con la suddetta l’Intesa del 19 febbraio 2015, sancita in sede di Conferenza Stato-Città ai sensi dell’articolo 1, comma 489, della legge n. 190/2014, nella quale sono stati concordati i criteri per la rideterminazione dell’obiettivo del patto di stabilità interno fra i comuni, in relazione al complesso della manovra richiesta a tali enti per gli anni 2015-2018 con la legge di stabilità per il 2015, fermo restando l’obiettivo complessivo di comparto.

Tali obiettivi sono riportati, con riferimento a ciascun comune, nella tabella 1 allegata al decreto-legge in esame.

Ciascuno dei predetti obiettivi viene, inoltre, ridotto di un importo pari all’ammontare dell’accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità, stanziato nel bilancio di previsione di ciascun anno di riferimento dal singole ente.

Ciò per compensare l’impatto finanziario negativo determinato dalla costituzione, nel bilancio di previsione per gli anni del periodo considerato, dell’accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità i cui stanziamenti di competenza – si rammenta - rientrano nel computo dei saldi-obiettivo.

 

Si ricorda che il Fondo crediti di dubbia esigibilità è disciplinato per gli enti locali dall’articolo 167 del TUEL (di cui al D.Lgs. n. 267/2000 e successive modificazioni).

Il Fondo - precisano i principi contabili vigenti per gli enti locali[3] - ha la funzione di compensare eventuali minori entrate derivanti da crediti divenuti parzialmente o totalmente inesigibili: si tratta di crediti per i quali è certo il titolo giuridico ma è diventata dubbia e diffide la riscossione per condizioni oggettive. Per tali crediti è effettuato un accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità, vincolando una quota dell’avanzo di amministrazione.

A tal fine è previsto che sia stanziata nel bilancio di previsione degli enti locali una apposita posta contabile, denominata “Accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità” il cui ammontare è determinato in considerazione della dimensione degli stanziamenti relativi ai crediti che si prevede si formeranno nell'esercizio, della loro natura e dell'andamento del fenomeno negli ultimi cinque esercizi precedenti (la media del rapporto tra incassi e accertamenti per ciascuna tipologia di entrata). La quantificazione degli stanziamenti del Fondo in bilancio va adeguatamente motivata nella relazione previsionale e programmatica ed il prospetto concernente la composizione del fondo crediti di dubbia esigibilità è allegato al bilancio di previsione e al rendiconto di gestione.

L'accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità non è oggetto di impegno e genera un'economia di bilancio che confluisce nel risultato di amministrazione come quota accantonata.

In sede di rendiconto, fin dal primo esercizio di applicazione del presente principio, l'ente accantona nell'avanzo di amministrazione l'intero importo del fondo crediti di dubbia esigibilità quantificato nel prospetto riguardante il fondo allegato al rendiconto di esercizio.

In sede di assestamento di bilancio e alla fine dell’esercizio per la redazione del rendiconto, è verificata la congruità del fondo crediti di dubbia esigibilità complessivamente accantonato nel bilancio e nell’avanzo, in considerazione dell’ammontare dei residui attivi degli esercizi precedenti e di quello dell’esercizio in corso. L’importo complessivo del fondo accantonato nell’avanzo è calcolato applicando all’ammontare dei residui attivi la media dell’incidenza degli accertamenti non riscossi sui ruoli o sugli altri strumenti coattivi negli ultimi cinque esercizi.

Quando un credito è dichiarato definitivamente ed assolutamente inesigibile, lo si elimina dalle scritture finanziarie e, per lo stesso importo del credito che si elimina, si riduce la quota accantonata nel risultato di amministrazione a titolo di fondo crediti di dubbia esigibilità.

A seguito di ogni provvedimento di riaccertamento dei residui attivi è rideterminata la quota dell'avanzo di amministrazione accantonata al fondo crediti di dubbia esigibilità[4]

L'eventuale quota del risultato di amministrazione “svincolata”, sulla base della determinazione dell'ammontare definitivo del fondo crediti di dubbia esigibilità rispetto alla consistenza dei residui attivi di fine anno, può essere destinata alla copertura dello stanziamento riguardante il fondo crediti di dubbia esigibilità del bilancio di previsione dell'esercizio successivo a quello cui il rendiconto si riferisce.

 

In base al “Principio applicato della contabilità finanziaria” - paragrafo 3.3 dell'allegato 4/2, annesso al decreto legislativo n. 118/2011, come modificato dall’art. 1, comma 509, della legge di stabilità per il 2015 – è prevista una iscrizione graduale nel bilancio di previsione dell’accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità: nel primo esercizio di applicazione (2015) è previsto lo stanziamento in bilancio di una quota pari almeno al 36% dell'importo dell'accantonamento, come quantificato nell’apposito prospetto allegato al bilancio di previsione. Tale quota è invece pari almeno al 55% per gli enti locali che hanno partecipato alla fase di sperimentazione dell’armonizzazione dei sistemi contabili. Nel secondo esercizio lo stanziamento di bilancio riguardante il Fondo crediti di dubbia esigibilità dovrà essere pari, per tutti gli enti locali, almeno al 55% dell’accantonamento, nel 2017 pari almeno al 70%; nel 2018 pari almeno all'85%. A decorrere dal 2019, l'accantonamento al Fondo è effettuato per l'intero importo.

Il comma 490 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, novellando il comma 3 dell’articolo 31 della legge n. 183/2001, ha disposto che nel saldo finanziario, valido ai fini del patto di stabilità interno, rilevano gli stanziamenti di competenza del Fondo crediti di dubbia esigibilità[5].

Per il 2015 - anno di prima applicazione dell’obbligo di iscrizione in bilancio dell'accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità, che la normativa vigente, come sopra descritta, prevede pari almeno al 36% dell'importo dell'accantonamento – la legge di stabilità 2015 (comma 490) prevede che le percentuali da applicare per il computo dei saldi obiettivo degli enti locali possano essere modificate sulla base delle informazioni relative al valore degli accantonamenti effettuati sul fondo crediti di dubbia esigibilità per l'anno 2015, acquisite con specifico monitoraggio. A decorrere dal 2016, le percentuali sono rideterminate tenendo conto del valore degli accantonamenti effettuati sul Fondo crediti di dubbia esigibilità nell'anno precedente.

 

La possibilità, introdotta dalla disposizione in esame, per ciascun comune di poter ridurre il proprio obiettivo in termini di patto di stabilità interno per un importo pari all'accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità consente ai medesimi – come messo in rilievo nell’Intesa - di poter modulare in autonomia tra le due componenti interessate (obiettivo programmatico ed accantonamento al fondo crediti) il valore-obiettivo utile al rispetto degli obblighi di finanza pubblica posti a suo carico.

 

Nell’Intesa del 19 febbraio 2015 è apparso necessario - considerate le specificità dovute all’avvio della nuova contabilità - mantenere un collegamento tra il riparto del nuovo obiettivo di Patto come definito dalla legge di stabilità 2015 e la stretta finanziaria dovuta all’introduzione del Fondo crediti di dubbia esigibilità.

La ripartizione dell’obiettivo finanziario complessivo fra i comuni attuato con l’Intesa è stato elaborato sulla base di uno schema – si sottolinea nell’Intesa - volto, da un lato, a facilitare l’attuazione della nuova contabilità, favorendo l’emersione della dubbia esigibilità, e dall’altro a diminuire i rischi di overshooting (avanzi di Patto in eccesso); esso risulta inoltre utile sotto il profilo del controllo centrale sul rispetto dei saldi di finanza pubblica in quanto fissa a priori l’ammontare complessivo del vincolo assegnato a ciascun ente. “Il riparto dell’obiettivo finanziario tra l’ammontare del Fondo crediti dubbia esigibilità e il residuo da considerare come obiettivo di Patto viene ‘deciso’ autonomamente dal singolo ente, che risulta così incentivato alla completa emersione del proprio FCDE, in quanto questo determina un minor valore dell’obiettivo di Patto”.

 

Come precisato nella Relazione tecnica (ed esplicitato nell’Intesa del 19 febbraio), il riparto degli obiettivi del patto fra i comuni, effettuato secondo i criteri adottati nell’Intesa, eccede la dimensione effettiva dell’obiettivo finanziario complessivo assegnato al comparto comunale di circa 100 milioni di euro. Tale contributo viene pertanto riattribuito ai comuni secondo la fattispecie di cui al successivo comma 2.

 

Il comma 2 reca un allentamento dei vincoli del patto di stabilità in favore dei comuni, consentendo ad essi maggiori spazi finanziari per l’effettuazione di determinate tipologie di spese nel limite complessivo di 100 milioni di euro annui per il periodo 2015-2018, così suddivisi:

a)   10 milioni per eventi calamitosi e messa in sicurezza del territorio;

b)   40 milioni per la messa in sicurezza degli edifici scolastici nonché del territorio, connessi alla bonifica dei siti contaminati dall’amianto;

c)   30 milioni per l’esercizio della funzione di ente capofila nel caso di gestione associata di alcune funzioni;

d)   20 milioni per le spese relative a sentenze passate in giudicato a seguito di contenziosi connessi a cedimenti strutturali e di procedure di esproprio.

 

Si tratta di particolari tipologie di spesa già considerate dalla legge di stabilità per il 2015 (articolo 1, comma 489, lettera e), legge n. 190/2014) come suscettibili di consentire una deroga dai vincoli del patto, in favore degli enti che le sostengono.

In particolare, la citata disposizione stabiliva che i saldi obiettivo dei singoli enti potessero essere rideterminati, entro il 31 gennaio 2015, fermo restando l'obiettivo complessivo del comparto, con decreto del Ministero dell'economia e finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-città, su proposta dell’ANCI ed UPI, al fine di tener conto di una serie di condizioni particolari che possano riguardare i singoli enti, quali: le maggiori funzioni assegnate alle città metropolitane, gli eventi calamitosi, gli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici e del territorio, gli oneri connessi all’esercizio della funzione di ente capofila nonché gli oneri relativi a sentenze passate in giudicato a seguito di procedure di esproprio o di contenziosi connessi a cedimenti strutturali.

 

Per quanto concerne specificamente gli eventi calamitosi, si ricorda che l’art. 5 della legge n. 225 del 1992 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile) stabilisce, ai sensi dell’art. 2, comma 1 lettera c), che al verificarsi di tali eventi - che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo - il Consiglio dei Ministri delibera lo stato di emergenza, su proposta del Presidente del Consiglio. La durata dello stato di emergenza non può superare i 180 giorni e può essere prorogata di altri 180 giorni, con ulteriore deliberazione del Consiglio dei Ministri. In merito agli eventi calamitosi per i quali sia stato deliberato e risulti vigente alla data di pubblicazione del presente decreto lo stato di emergenza si rinvia alla pagina dedicata nel sito della Protezione Civile.

Per quanto riguarda gli interventi per la messa in sicurezza del territorio, si rinvia al tema web sul dissesto idrogeologico.

 

I commi successivi, da 3 a 5, recano le disposizioni volte a disciplinare le procedure per la richiesta da parte dei comuni interessati degli spazi finanziari[6] necessari.

La procedura prevede la comunicazione al Ministero dell’economia degli spazi finanziari di cui l’ente necessita, da effettuarsi entro termini perentori – fissati in 10 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame per gli spazi finanziari relativi al 2015 e al 10 maggio per gli anni 2016-2018 - tramite il sistema web della Ragioneria generale dello Stato (comma 3).

Nel caso in cui le richieste complessive siano superiori agli spazi finanziari messi a disposizione per ciascuna delle fattispecie di cui al comma 2, gli spazi saranno assegnati in misura proporzionale alle singole richieste.

Nel caso in cui le richieste complessive siano invece inferiori agli spazi finanziari messi a disposizione in ciascuna fattispecie, gli spazi residui saranno attribuiti ai comuni con la procedura disciplinata per il sistema di premialità.

Il meccanismo della premialità, previsto dal comma 122 dell’articolo unico della legge n. 220/2010, consente la riduzione gli obiettivi annuali del patto di stabilità per gli enti locali virtuosi nell’anno precedente, per un importo complessivo commisurato agli effetti finanziari determinati dall'applicazione della sanzione operata a valere sul fondo di solidarietà comunale, comminata nei confronti degli enti locali che non hanno rispettato l'obiettivo del patto[7].

Sulla disciplina è intervenuto, di recente, l’articolo 4, comma 3, del D.L. n. 66/2014, il quale ha riservato l’applicazione del sistema di premialità esclusivamente agli enti locali che risultino altresì rispettosi dei tempi di pagamento previsti dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231[8], come rilevato nella certificazione del patto di stabilità interno.

Con riferimento specifico al riparto degli spazi finanziari per l’anno 2015, il comma 3 stabilisce una riserva in favore dei comuni che richiedono spazi finanziari per spese finanziate con entrate conseguenti ad accordi transattivi connessi alle bonifiche dei siti contaminati dall’amianto, stipulati entro il 31 dicembre 2012, per un importo pari a 2,5 milioni di euro, a valere sui 40 milioni di euro di spazi finanziari complessivamente messi a disposizione per la messa in sicurezza degli edifici scolastici e per interventi di bonifica dei siti contaminati dall’amianto, di cui alla lettera b) del comma 2. Inoltre, le richieste di spazi finanziari per spese connesse alle bonifiche dei siti contaminati dall’amianto sono prioritariamente soddisfatte fino a concorrenza della quota di cui alla lettera b), al netto della riserva. Tuttavia, nel caso in cui le richieste suddette superino l’importo complessivo di 20 milioni di euro, al fine di assicurare, comunque, anche agli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici un importo di 20 milioni di euro, la norma stabilisce la riduzione proporzionale delle quote finanziarie riguardanti le altri fattispecie di cui al comma 2.

 

L'articolo 252-bis del D.Lgs. n. 152/2006, come modificato dall’art. 4, comma 1 del D.L. 145/2013, disciplina la stipula di accordi di programma che coinvolgono lo Stato, le regioni interessate, con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati, in cui avviare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico, di siti di interesse nazionale individuati entro il 30 aprile 2007.

Ai sensi dell’art. 2 del D.L. 208/2008, nell'ambito degli strumenti di attuazione di interventi di bonifica e messa in sicurezza di uno o più siti di interesse nazionale, è prevista la stipula di una o più transazioni globali, con una o più imprese interessate, pubbliche o private, in ordine alla spettanza e alla quantificazione degli oneri di bonifica, degli oneri di ripristino, nonché dei danni ambientali verificati.

Si ricorda inoltre che la legge di stabilità 2015 (L. 190/2014) , ai commi 50 e 51, al fine di proseguire le bonifiche dei siti di interesse nazionale (SIN) contaminati dall'amianto, ha stanziato 45 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017, di cui 25 milioni di euro annui in favore dei comuni di Casale Monferrato e Napoli-Bagnoli, e ha demandato a un decreto del Ministero dell'ambiente da adottare entro il 15 febbraio 2015 l'individuazione delle risorse da trasferire a ciascun ente beneficiario.

 

Con riferimento specifico alle spese per interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici, la richiesta di spazi finanziari per l’anno 2015 va comunicata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, all’apposita Struttura di Missione per l’edilizia scolastica, entro 10 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame. Entro il termine di 30 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento, la Struttura di Missione comunica alla Ragioneria generale lo spazio finanziario da attribuire a ciascun comune (comma 4).

Gli spazi finanziari sono concessi, secondo le richieste dei comuni, per le spese:

§  da sostenere e sostenute nell'anno 2015 attraverso stanziamenti di bilancio o risorse acquisite mediante contrazione di mutuo,

§  per interventi di edilizia scolastica finanziati con delibera CIPE n. 22 del 30 giugno 2014, ai sensi dell'articolo 48 del D.L. n. 66/2014 (riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici pubblici, sedi di istituzioni scolastiche statali).

Il citato articolo 48 prevede, per la riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, che il CIPE, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, assegni, nell'ambito della programmazione nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al periodo 2014-2020, fino all'importo massimo di 300 milioni di euro, previa verifica dell'utilizzo delle risorse assegnate nell'ambito della programmazione 2007-2013 del Fondo medesimo e di quelle assegnate a valere sugli stanziamenti relativi al programma delle infrastrutture strategiche per l'attuazione di piani stralcio del programma di messa in sicurezza degli edifici scolastici. Con la deliberazione del 30 giugno 2014, n. 22, il CIPE ha assegnato, a valere sulle risorse del FSC 2007-2013 che si rendono disponibili a seguito della ricognizione e della riprogrammazione oggetto di precedente delibera, 400 milioni di euro per l'anno 2015 a favore del Ministero dell'istruzione, università e ricerca per il finanziamento delle misure di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali.

 

Gli spazi finanziari disponibili sono attribuiti in misura proporzionale alle singole richieste, nel caso in cui la richiesta complessiva risulti superiore alla disponibilità.

 

Con riferimento specifico alle spese per l’esercizio della funzione di ente capofila, la richiesta di spazi finanziari per l’anno 2015 - finalizzata a sterilizzare gli effetti negativi delle maggiori spese correnti sostenute dagli enti capofila[9] nel periodo assunto a riferimento per la determinazione degli obiettivi programmatici del patto di stabilità interno - può essere effettuata entro il termine perentorio di 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, esclusivamente dagli enti che non hanno beneficiato già della riduzione dell’obiettivo in attuazione della normativa vigente in materia (comma 5).

Si ricorda, infatti, che il comma 6-bis all’articolo 31 della legge n. 183/2011 (introdotto dal comma 534 della legge n. 147/2013) prevede la riduzione degli obiettivi del patto di stabilità interno per i comuni che gestiscono, in quanto capofila, funzioni e servizi in forma associata, ed il contestuale aumento degli obiettivi del patto per i comuni associati non capofila, per garantire la neutralità sui saldi di finanza pubblica. La redistribuzione degli obiettivi del patto di stabilità fra enti capofila ed enti associati avviene solo a fronte di un accordo fra i predetti enti. La procedura prevede che l’ANCI comunica al Ministero dell’economia e finanze, entro il 30 aprile di ciascun anno, mediante il sistema web, gli importi in riduzione e in aumento degli obiettivi del patto per ciascun comune, come determinati sulla base dell’accordo raggiunto tra gli stessi, a seguito delle istanze prodotte dai comuni medesimi entro il 15 marzo di ciascun anno.

 

Il comma 6 integra la normativa vigente in favore degli enti capofila – aggiungendo il comma 6-ter nell’articolo 31 della legge n. 183/2011 - stabilendo che per l’anno 2015 la comunicazione dell’ANCI deve avvenire entro il 15 luglio 2015 (in luogo del 30 aprile ordinariamente fissato), sulla base delle istanze presentate dagli enti relative alle sole rimodulazioni degli obiettivi in ragione di contributi o trasferimenti concessi a soggetti terzi e gestiti direttamente dal comune capofila.

Per garantire l’invarianza finanziaria della redistribuzione degli obiettivi del patto tra gli enti interessati, la norma precisa che l’accordo relativo dovrà assumere a riferimento gli obiettivi definiti ai sensi della predetta Intesa raggiunta in Conferenza Stato – Città e autonomie locali del 19 febbraio 2015 (con riferimento specifico al punto 2.1.3 della Nota metodologica condivisa nell’Intesa medesima).

L'Intesa del 19 febbraio 2015, al punto 2.1.3, reca una clausola di salvaguardia finalizzata a contenere le variazioni degli obiettivi di patto determinate per ciascun ente dall’Intesa medesima entro limiti di sostenibilità finanziaria.

Attenuazione delle sanzioni per il mancato rispetto del patto di stabilità nell’anno 2014 (commi 7 e 9)

Il comma 7 reca disposizioni volte ad attenuare l’applicazione delle sanzioni nelle ipotesi di mancato rispetto del patto di stabilità interno per il 2014 da parte degli enti locali.

In particolare, il comma pone un limite, nel 2015, all’applicazione della sanzione consistente nella riduzione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale per i comuni ovvero del Fondo di riequilibrio provinciale per le province e le città metropolitane delle regioni a statuto ordinario[10], di cui alla lettera a) del comma 26 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011, disponendo che essa si applichi nella misura del 20% dello scostamento tra saldo obiettivo e saldo finanziario effettivamente conseguito nel 2014 (anziché essere commisurata all’effettivo scostamento tra il risultato e l’obiettivo programmatico predeterminato, come previsto dalla normativa vigente).

Inoltre, per le province e le città metropolitane, la predetta sanzione non può comunque applicarsi in misura superiore al 2 per cento delle entrate correnti registrate nell’ultimo consuntivo (limite così ridefinito nel corso dell’esame al Senato, in luogo del 3 per cento previsto nel testo iniziale).

 

Si rammenta che disposizioni analoghe, volte a contenere la riduzione delle risorse spettanti agli enti come sanzione in caso di mancato rispetto del patto, sono state già previste negli anni precedenti. Da ultimo, per l’anno 2014, si ricorda:

§  per i comuni, l’articolo 43, comma 3-bis, del D.L. n. 133/2014, che ha limitato la riduzione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale per gli enti che non hanno rispettato il patto nel 2013 ad un importo massimo corrispondente al 3 per cento delle entrate correnti registrate nell'ultimo consuntivo,

§  per le province, l’articolo 15, comma 1-bis, del D.L. n. 16/2014, il quale, in vista della futura trasformazione di tali enti, prevede che qualora il comparto delle province abbia conseguito, nel suo complesso, l’obiettivo di patto di stabilità per il 2013, per le singole province che non avessero raggiunto gli obiettivi la sanzione della riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio si applica entro il limite del 3 per cento delle entrate correnti dell’ultimo consuntivo.

 

La norma mantiene comunque ferma l’applicazione delle altre sanzioni previste dalla normativa vigente per il mancato rispetto del patto di stabilità interno per il 2014.

Le misure sanzionatorie per il mancato raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità, si rammenta, sono recate dal comma 26 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011 e consistono:

a)   nella riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio[11] o del fondo perequativo, in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato;

b)   nel divieto di impegnare spese di parte corrente in misura superiore all’importo annuale medio degli impegni effettuati nell’ultimo triennio;

c)   nel divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare gli investimenti;

d)   nel divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo;

e)   nella riduzione del 30% delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza degli amministratori.

 

Una attenuazione della sanzione consistente nel divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo è prevista nell’ultimo periodo del comma 7, introdotto nel corso dell’esame al Senato, il quale consente alle province e città metropolitane, in deroga a quanto previsto dall’articolo 4, comma 9, terzo periodo, del D.L. n. 101/2013 (secondo cui le province possono prorogare, esclusivamente per necessità connesse alle esigenze di continuità dei servizi, i contratti di lavoro a tempo determinato fino al 31 dicembre 2015 nel rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente[12], del patto di stabilità interno e delle norme in materia di contenimento della spesa complessiva di personale), di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato (con termine finale fissato entro la data del 31 dicembre 2015) anche nel caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno per l'anno 2014, alle medesime finalità e condizioni previsti, a condizione che venga garantito l'equilibrio di parte corrente nel periodo interessato dai contratti stessi.

Si segnala che un’ulteriore disposizione concernente la possibilità, per le province e citta metropolitane, di procedere alla stipula di contratti a tempo determinato è contenuta anche all’articolo 15 del provvedimento in esame, alla cui scheda si rimanda.

 

Il comma 9, infine, esclude l’applicazione delle sanzioni relative al mancato rispetto del patto di stabilità interno per l’anno 2012 o per gli esercizi precedenti nei confronti di enti locali per i quali sia intervenuta la dichiarazione di dissesto finanziario[13] nel medesimo anno 2012 e per i quali la violazione degli obblighi del patto sia stata accertata successivamente al 31 dicembre 2013.

La norma dispone altresì il venir meno degli effetti delle sanzioni qualora esse siano già applicate.

A tal fine è aggiunto il comma 3-ter all'articolo 43 del D.L. n. 133 del 2014.

Come evidenziato nella relazione tecnica, l’esclusione è volta ad evitare che sanzioni relative ad annualità pregresse possano produrre effetti indesiderati su amministrazioni coinvolte in procedure di risanamento finanziario.

Esclusione dal Patto di stabilità delle spese sostenute con risorse di cofinanziamento (comma 8)

Il comma 8 modifica la disposizione introdotta dalla legge di stabilità 2015 (art. 1, comma 145, L. 190/2014) che prevede che, per l’anno 2015, le spese relative al cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali comunitari non rilevino, ai fini del patto di stabilità delle regioni, per un importo pari ai proventi derivanti dall’attuazione delle procedure di assegnazione di diritti d’uso di frequenze radioelettriche di una determinata banda (1452-1492 MHz, cd. “banda L”), disciplinate dal precedente comma 144 della legge di stabilità medesima, entro il limite massimo di 700 milioni di euro.

La modifica è volta a precisare l’utilizzo della somma sopra indicata - da attribuire in termini di spazi finanziari concessi in deroga ai vincoli del patto di stabilità – non solo in favore delle regioni, come già previsto dalla normativa vigente, ma anche dei comuni sede di città metropolitane.

Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa intesa in Conferenza unificata, sono individuati gli importi da destinare:

§  all’esclusione dai saldi – utili per il pareggio di bilancio[14] - delle spese sostenute dalle regioni relative al cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali comunitari;

§  all’esclusione dal patto di stabilità interno dei comuni sede di città metropolitane delle spese sostenute per opere prioritarie del programma delle infrastrutture strategiche, allegato al DEF 2015, a valere sulla quota di cofinanziamento a carico dei predetti enti;

L’allegato al DEF 2015, recante l’aggiornamento del Programma delle infrastrutture strategiche (di cui alla legge n. 443/2001, cd. “legge obiettivo”), ha individuato venticinque opere prioritarie del costo di 70.936 milioni di euro, di cui 47.999 disponibili.

§  esclusione dal patto di stabilità interno dei comuni sede di città metropolitane delle spese sostenute per le opere e gli interventi cofinanziati dai Fondi strutturali europei ricompresi nella Programmazione 2007-2013 e nella nuova Programmazione 2014-2020, a valere sulla quota di cofinanziamento a carico dei predetti enti.

A tal fine, gli enti sono tenuti a comunicare il valore degli spazi finanziari di cui necessitano per sostenere le spese di cui al periodo precedente al Dipartimento della Coesione della presidenza del Consiglio dei Ministri.

Nel corso dell’esame al Senato è stato anticipato – dal 30 al 10 settembre – il termine perentorio entro il quale gli enti interessati devono fare la comunicazione al suddetto Dipartimento.

 


 

 

Articolo 1, comma 10
(Riparto delle riduzioni di spesa corrente
per le province e le città metropolitane)

 

 

Il comma 10 reca la determinazione dell’ammontare della riduzione della spesa corrente che ciascuna provincia e città metropolitana deve conseguire per l’anno 2015, ai sensi dell’articoli 1, comma 418, della legge di stabilità 2015. Gli importi sono indicati nella Tabella 2, allegata al provvedimento in esame.

 

Si ricorda che i commi 418-420 della legge n. 190/2014 definiscono l’importo e le modalità del concorso delle province e delle città metropolitane al contenimento della spesa pubblica.

In particolare, il comma 418 stabilisce una riduzione della spesa corrente di tali enti di 1.000 milioni di euro per l’anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l’anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017. A tal fine è richiesto che ciascuna provincia e città metropolitana versi un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.

Sono escluse da tale normativa soltanto le province che risultano in stato di dissesto finanziario[15] alla data del 15 ottobre 2014.

La norma prevedeva che l'ammontare della riduzione della spesa corrente che ciascun ente deve conseguire sia definito con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'interno da emanare entro il 15 febbraio 2015, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, con il supporto tecnico della SOSE S.p.A.[16], tenendo conto anche della differenza tra spesa storica e fabbisogni standard.

Si ricorda altresì la procedura per il recupero delle somme predette nei confronti delle province e delle città metropolitane interessate in caso di mancato versamento all’entrata del bilancio dello Stato, che impegna l’Agenzia delle entrate, la quale vi provvede, entro il 30 aprile di ciascun anno, a valere sui versamenti dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore (di cui all'articolo 60 del decreto legislativo n. 446 del 1997), riscossa tramite modello F24, all'atto del riversamento del relativo gettito alle province e alle città metropolitane medesime ovvero, in caso di incapienza, a valere sui versamenti dell’imposta provinciale di trascrizione, in tal caso secondo le modalità definite con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell’interno (comma 419).

 


 

 

Articolo 1, comma 10-bis
(Riduzione obiettivi patto di stabilità per alcuni comuni veneti
colpiti da eventi atmosferici)

 

 

Il comma 10-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, è volto ad stabilire una riduzione degli obiettivi del patto di stabilità per l’anno 2015 in favore dei comuni di Dolo, Pianiga e Mira, colpiti dalla tromba d'aria dell'8 luglio 2015.

 

In particolare, la norma dispone una riduzione dell'obiettivo del patto per un importo massimo complessivo di 7,5 milioni di euro, da ripartirsi tra ciascuno dei predetti comuni nei seguenti importi massimi:

§  5,2 milioni di euro per il comune di Dolo,

§  1,1 milioni di euro per il comune di Pianiga,

§  1,2 milioni di euro per il comune di Mira.

 

La riduzione degli obiettivi è posta a valere sugli spazi finanziari messi a disposizioni per l’attuazione della c.d. “premialità” - misura prevista in favore degli enti locali rispettosi del patto di stabilità interno e dei tempi di pagamento nelle transazioni commerciali, disciplinata dal comma 122 dell’articolo 1 della legge n. 220/2010 (stabilità 2011) - nei limiti degli stessi.

Tali spazi finanziari sono quelli determinati dall'applicazione della sanzione di cui alla lettera a) del comma 26 dell'articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183, operata, in caso di mancato raggiungimento dell'obiettivo del patto di stabilità interno e che prevede la riduzione in una data misura del fondo di solidarietà comunale o del fondo sperimentale di riequilibrio provinciale.

Qualora gli effetti finanziari derivanti dall’applicazione della suddetta sanzione risultino inferiori a 7,5 milioni di euro, la riduzione dell'obiettivo da applicare ai ciascuno dei tre enti sopraindicati è proporzionalmente rideterminata.

Vengono, inoltre, corrispondentemente diminuiti nel 2015 gli spazi finanziari utili all’applicazione del meccanismo di premialità di cui al comma 122 dell'articolo 1 della legge n. 220/2010. Tale riduzione di spazi finanziari opera prioritariamente con riferimento alla premialità da assegnare ai comuni.

 

Il meccanismo della premialità, previsto dal citato comma 122, consente la riduzione gli obiettivi annuali del patto di stabilità per gli enti locali che siano stati virtuosi nell’anno precedente.

L'importo complessivo della riduzione degli obiettivi è commisurato agli effetti finanziari determinati dall'applicazione della sanzione - operata a valere sul fondo sperimentale di riequilibrio provinciale e sul Fondo si solidarietà comunale, ovvero, sui trasferimenti erariali nel caso dei comuni della Regione Siciliana e della Sardegna, ai sensi dell’articolo 31, comma 26, lettera a) della legge n. 183/2011[17] - comminata nei confronti degli enti locali che non hanno rispettato l'obiettivo del patto.

Sulla disciplina è intervenuto, da ultimo, l’articolo 4, comma 3, del D.L. n. 66/2014, il quale ha riservato l’applicazione del sistema di premialità, sulla base dei criteri individuati ai sensi del comma 122, esclusivamente agli enti locali che risultino altresì rispettosi dei tempi di pagamento previsti dal D.Lgs. n. 231/2002[18], come rilevato nella certificazione del patto di stabilità interno.

Per completezza, si ricorda che il sistema di premialità è stato attuato nel 2011, con il D.M. Economia 24 febbraio 2012, il quale ha determinato una riduzione degli obiettivi programmatici per l’anno 2011 dei comuni e delle province rispettosi del patto 2010 di circa 11,4 milioni, di cui, rispettivamente, a circa 1,4 milioni di euro per le province e a 10 milioni per i comuni. Per l’anno 2012, la riduzione degli obiettivi annuali degli enti locali in base alla premialità è stata attuata con il D.M. economia 22 gennaio 2013, per un importo complessivo pari a 71,8 milioni per i comuni e a 1,171 milioni per le province (in particolare, per le province la riduzione degli obiettivi di saldo finanziario è stata applicata alle sole province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, le cui popolazioni sono state colpite dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012). Per l’anno 2013, si è proceduto alla riduzione degli obiettivi programmatici del patto di stabilità interno delle province e dei comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti con il decreto 30 ottobre 2013, per importi complessivi a circa 11 milioni, di cui 2,152 milioni per i comuni e a 8,776 milioni per le province.


 

 

Articolo 1-bis
(Saldo di competenza delle regioni per l’anno 2015 – esclusione degli impegni per investimenti diretti e per contributi in conto capitale)

 

 

L’articolo è volto ad escludere, per l’anno 2015, dal computo del saldo di equilibrio espresso in termini di competenza, utile ai fini del concorso delle regioni al risanamento della finanza pubblica - ai sensi del comma 463 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190/2014) - gli impegni per investimenti diretti e per contributi in conto capitale.

 

Si ricorda che i commi da 460 a 478 dell’art. 1 della legge di stabilità per il 2015 hanno vincolato le regioni a statuto ordinario al conseguimento del pareggio di bilancio, quale nuova modalità di concorso agli obiettivi di finanza pubblica, in luogo del patto di stabilità interno che vincolava ciascuna regione all'osservanza di un limite alle spese complessive. In particolare, sulla base dei principi di cui all’articolo 9 della legge n. 243/2012[19], il comma 463 dispone che ai fini del concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica le regioni a statuto ordinario devono conseguire, a decorrere dall'anno 2016 nella fase di previsione e a decorrere dal 2015 in sede di rendiconto:

§  un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra entrate finali e spese finali;

§  un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra entrate correnti e spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti.

Dal computo dei saldi, in via transitoria per il solo anno 2015, sono espressamente indicate dal comma 466, alcune voci di spesa da escludere dal computo dei saldi, costituite:

§  dai pagamenti relativi a debiti in conto capitale delle regioni non estinti alla data del 31 dicembre 2013, nel limite di 60 milioni di euro. I suddetti pagamenti devono riferirsi a debiti certi, liquidi ed esigibili – nonché riconosciuti o aventi i requisiti a tal fine - alla suddetta data, per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento; la norma contiene la disciplina specifica sia per l'individuazione dei debiti, che per la determinazione dello spazio finanziario concesso a ciascuna regione (individuato con Decreto del Ministero dell'economia e delle finanze entro il 15 marzo 2015);

§  dalle riscossioni e concessioni di crediti;

§  dalle risorse provenienti direttamente o indirettamente dall'Unione europea e le relative spese di parte corrente e in conto capitale, con esclusione delle spese connesse ai cofinanziamenti statali o regionali.

Per il solo 2015, sono altresì escluse dal computo dei saldi di equilibrio, ai sensi del comma 145 della legge di stabilità 2015, spese relative al cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali dell'Unione europea sostenute dalle regioni, per un importo complessivo da definirsi in sede di Conferenza Unificata.

 

Il beneficio si applica soltanto alle regioni che nell'anno 2014 hanno registrato indicatori annuali di tempestività dei pagamenti inferiori rispetto ai tempi di pagamenti previsti dalla normativa vigente di cui al D.Lgs. n. 231/2002[20].

Si ricorda, al riguardo, che i termini ordinari per il pagamento nelle transazioni commerciali in cui la parte debitrice è una pubblica amministrazione sono fissati dalla Direttiva 2011/7/UE in 30 giorni, termine prorogabile fino a 60 giorni solo in presenza di determinate condizioni.

Gli indicatori annuali di tempestività dei pagamenti che rilevano ai fini della presente norma sono quelli calcolati e pubblicati secondo le modalità stabilite dal D.P.C.M. 22 settembre 2014, tenendo altresì conto di quanto disposto dall’articolo 4, comma 4, del provvedimento in esame, che esclude dal calcolo dell’indicatore annuale i pagamenti effettuati con le disponibilità finanziarie concesse agli enti territoriali - in termini di anticipazioni di liquidità ovvero di disponibilità di spazi finanziari in deroga ai vincoli del patto di stabilità interno - dai decreti-legge n. 35/2013 e 66/2014 per il pagamento dei debiti commerciali pregressi.

 

Si ricorda che l’articolo 33 del D.Lgs. n. 33/2013[21] ha introdotto l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare, con cadenza annuale, sui propri siti internet istituzionali, un indicatore dei tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture, denominato “indicatore di tempestività dei pagamenti”. A decorrere dall'anno 2015, è stato altresì previsto –dall’articolo 8 del D.L. n. 66/2014 - l’obbligo di pubblicare anche un “indicatore trimestrale di tempestività dei pagamenti”.

Le modalità per la pubblicazione su internet dei dati relativi alle entrate e alla spesa dei bilanci preventivi e consuntivi e dell'indicatore annuale di tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni sono state definite con il D.P.C.M. 22 settembre 2014.

 

Si rammenta, altresì, che l’articolo 41 del D.L. n. 66/2014 prevede, a decorrere dal 2014, l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di allegare l’indicatore annuale di tempestività dei pagamenti alle relazioni ai bilanci consuntivi o di esercizio, unitamente ad un prospetto attestante l’importo dei pagamenti relativi a transazioni commerciali effettuati dopo la scadenza dei termini previsti dal D.Lgs. n. 231/2002.

In caso di superamento dei termini, nelle suddette relazioni al bilancio consuntivo o di esercizio devono essere indicate anche le misure adottate o previste per consentire la tempestiva effettuazione dei pagamenti. Qualora da tali attestazioni si evidenzi un ritardo nei pagamenti superiore a 90 giorni nel 2014 e a 60 giorni a decorrere dal 2015, rispetto ai termini indicati dal D.Lgs. n. 231/2002, si applicano misure sanzionatorie per le amministrazioni pubbliche – con esclusione degli enti del Servizio sanitario nazionale – consistenti nel divieto di procedere ad assunzioni di personale.

 


 

 

Articolo 1-ter
(Predisposizione del bilancio di previsione annuale 2015
delle province e delle città metropolitane
)

 

 

L’articolo 1-ter introduce una norma avente carattere di eccezionalità, che consente alle province e alle città metropolitane delle regioni a statuto ordinario di procedere alla predisposizione ed approvazione del bilancio di previsione per il solo anno 2015, in deroga alle vigenti norme di contabilità e ai nuovi principi dell’armonizzazione contabile che prevedono un bilancio triennale 2015-2017 con carattere autorizzatorio (comma 1).

La norma prevede, inoltre, che per il solo esercizio 2015, le province e le città metropolitane, al fine di garantire il mantenimento degli equilibri finanziari, possono applicare al bilancio di previsione, sin dalla previsione iniziale, l'avanzo destinato[22] (comma 2).

Secondo la normativa vigente (articolo 162 del TUEL[23]) gli enti locali deliberano annualmente il bilancio di previsione finanziario riferito ad almeno un triennio, comprendente le previsioni di competenza e di cassa del primo esercizio del periodo considerato e le previsioni di sola competenza degli esercizi successivi. Il bilancio è redatto in osservanza dei nuovi principi contabili armonizzati generali e applicati di cui al D.Lgs. n. 118/2011, e successive modificazioni.

Secondo quanto previsto dal comma 6 dell’articolo 162, il bilancio di previsione è deliberato in pareggio finanziario complessivo per la competenza, comprensivo dell'utilizzo dell'avanzo di amministrazione e del recupero del disavanzo di amministrazione e garantendo un fondo di cassa finale non negativo[24].

 

Secondo quanto espresso dall’UPI nel corso dell’audizione informale tenutasi presso la 5a Commissione bilancio del Senato, le province e le città metropolitane coinvolte nel processo di riordino istituzionale avviato con l’approvazione della legge n. 56/2014 non sarebbero in grado, in questa fase, di approvare un bilancio triennale in equilibrio reale, secondo le disposizioni del TUEL e dei nuovi principi dell’armonizzazione contabile, senza compromettere l’erogazione dei servizi essenziali e il pagamento anche delle sole spese a carattere obbligatorio, anche in ragione della misura del concorso al contenimento della spesa pubblica richiesto a tali enti dall’ultima legge di stabilità (riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l’anno 2015, di 2.000 milioni per l’anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017, ai sensi dell’art. 1, comma 418, legge n. 190/2014).

 

L’articolo dispone altresì che le province e le città metropolitane deliberano i provvedimenti di riequilibrio di cui all'articolo 193 del D.Lgs. n. 267/2000, entro e non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione[25] (comma 3).

 

Ai sensi dell’articolo 193 del TUEL, gli enti locali sono tenuti a rispettare durante la gestione e nelle variazioni di bilancio il pareggio finanziario e tutti gli equilibri stabiliti in bilancio per la copertura delle spese correnti e per il finanziamento degli investimenti. Con periodicità stabilita dal regolamento di contabilità dell'ente locale, e comunque almeno una volta entro il 31 luglio di ciascun anno, l'organo consiliare provvede con delibera a dare atto del permanere degli equilibri generali di bilancio o, in caso di accertamento negativo, ad adottare, contestualmente: a)le misure necessarie a ripristinare il pareggio qualora i dati della gestione finanziaria facciano prevedere un disavanzo, di gestione o di amministrazione, per squilibrio della gestione di competenza, di cassa ovvero della gestione dei residui; b) i provvedimenti per il ripiano degli eventuali debiti fuori bilancio; c)le iniziative necessarie ad adeguare il fondo crediti di dubbia esigibilità accantonato nel risultato di amministrazione in caso di gravi squilibri riguardanti la gestione dei residui.

L’art. 193, comma 3, specifica che la totalità delle risorse può essere destinata al ripiano degli scostamenti, in un arco temporale di un triennio, ad eccezione di quelle derivanti dall’accensione di prestiti, di quelle a destinazione vincolata per legge e dei proventi da alienazione di beni patrimoniali disponibili, ciò al fine di evitare che si sostituisca il debito con altro indebitamento e che l’ente depauperi il proprio patrimonio.

La mancata adozione dei provvedimenti di riequilibrio è equiparata ad ogni effetto alla mancata approvazione del bilancio di previsione di cui all'art. 141 del TUEL, con applicazione della procedura per lo scioglimento dei consigli ivi prevista.

 

Nel caso di esercizio provvisorio o gestione provvisoria per l'anno 2016, le province e le città metropolitane applicano l'articolo 163 del TUEL, che ne reca la disciplina, con riferimento al bilancio di previsione definitivo approvato per l'anno 2015 (comma 3).

 

L’esercizio provvisorio è autorizzato con legge o con decreto del Ministro dell’interno che differisce il termine di approvazione del bilancio in presenza di motivate esigenze.

In base all’articolo 163 del TUEL, se il bilancio di previsione non è approvato dal Consiglio entro il 31 dicembre dell'anno precedente, la gestione finanziaria dell'ente si svolge nel rispetto dei principi applicati della contabilità finanziaria riguardanti l'esercizio provvisorio o la gestione provvisoria. Nel corso dell'esercizio provvisorio o della gestione provvisoria, gli enti gestiscono gli stanziamenti di competenza previsti nell'ultimo bilancio approvato per l'esercizio cui si riferisce la gestione o l'esercizio provvisorio, ed effettuano i pagamenti entro i limiti determinati dalla somma dei residui al 31 dicembre dell'anno precedente e degli stanziamenti di competenza al netto del fondo pluriennale vincolato[26].

Nel caso in cui non sia stato autorizzato l'esercizio provvisorio è consentita esclusivamente una gestione provvisoria nei limiti dei corrispondenti stanziamenti di spesa dell'ultimo bilancio approvato per l'esercizio cui si riferisce la gestione provvisoria.

 

 


 

Articolo 1-quater
(Modalità di finanziamento delle spese di investimento delle regioni)

 

 

L’articolo 1-quater reca disposizioni per il finanziamento delle spese di investimento delle regioni per il 2015, in relazione alle regole operanti in materia a seguito della nuova disciplina sull’armonizzazione contabile di cui al D.Lgs.118 del 2011.

 

A tal fine, atteso che l’esercizio in corso è l’ultimo nel quale le regioni possono finanziare le proprie spese di investimento con debito autorizzato ma non ancora contratto – senza che cioè i relativi importi possano risultare già formalmente acquisiti al bilancio dell’ente, come invece prescrivono i nuovi principi contabili dettati dal D.Lgs. 118 sopracitato[27]l’articolo 1-bis definisce come vadano registrati gli impegni per gli investimenti assunti nell’anno 2015, i cui importi, sulla base delle ordinarie regole contabili, sono destinati ad essere erogati negli anni successivi alla contrazione del debito.

Nel dettare questa specifica disciplina per il 2015, la norma in esame fa riferimento al nuovo principio contabile della competenza finanziaria di cui all’Allegato 4/2 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n.118 che, al fine un avvicinamento nella contabilità finanziaria tra competenza e cassa (cioè tra momento dell’impegno a quello del pagamento e tra momento dell’accertamento e quello della riscossione), prescrive sia il criterio di registrazione delle operazioni di accertamento e di impegno, con le quali vengono imputate agli esercizi finanziari le entrate e le spese derivanti da obbligazioni giuridicamente perfezionate (attive e passive), sia il criterio di registrazione degli incassi e dei pagamenti, che devono essere imputati agli esercizi in cui il tesoriere ha effettuato l'operazione[28].

La funzione del nuovo principio contabile è, in sostanza, quella di: consentire di conoscere i debiti effettivi delle amministrazioni; evitare l’accertamento di entrate future e di impegni inesistenti; rafforzare la programmazione di bilancio; favorire la modulazione dei debiti secondo gli effettivi fabbisogni.

La disposizione richiama in proposito il principio contabile applicato della competenza finanziaria n. 9.1. Questo prescrive che la ricognizione annuale dei residui (riaccertamento ordinario) riguardi tutti i crediti e i debiti, sotto il profilo della dubbia/assoluta inesigibilità, insussistenza e prescrizione o sotto il profilo della corretta classificazione. Per quanto attiene al profilo della corretta imputazione temporale, fa invece riferimento ai soli crediti e debiti “imputati all’esercizio di riferimento”.

In relazione a ciò l’articolo 1-quater prescrive che:

§  la spesa per investimenti per i quali è stata autorizzata l’assunzione di debito, che non è tuttavia ancora stato formalmente contratto, viene imputata all’esercizio 2015;

§  in sede di riaccertamento dei residui (atteso che, ovviamente la spesa verrà erogata a partire dal 2015 e poi nel corso degli anni di durata dell’investimento di riferimento) gli impegni verranno reimputati agli esercizi di effettiva esigibilità degli stessi, mediante costituzione del fondo pluriennale vincolato (FPV)

§  il fondo in questione viene costituito per l’anno 2015 “vincolato in spesa” e per il 2016 in “vincolato di entrata”.

 

Si rammenta che il nuovo istituto del FPV introdotto dalla disciplina sull’armonizzazione dei bilanci deriva dalla circostanza che poiché sulla base del sopradetto principio contabile della contabilità finanziaria l’obbligazione giuridica passiva va imputata negli anni in cui questa viene a scadenza, per le spese finanziate da entrate a destinazione vincolata (come, in riferimento all’articolo in esame, quelle da contrazione di debito, quali mutui ed altro) non è più possibile considerare l’intera spesa impegnata qualora siano assenti obbligazioni giuridiche perfezionate[29]. Il FPV è a tal fine lo strumento che permette di imputare negli anni successivi impegni finanziati da entrate a destinazione vincolata accertate e imputate nel medesimo anno: esso consiste infatti in un saldo finanziario costituito da entrate già accertate destinate al finanziamento di obbligazioni passive dell’ente già impegnate ma esigibili in esercizi successivi. Essendo un fondo non è oggetto di impegno, e la relativa economia a fine anno garantisce la copertura, negli anni successivi, degli impegni imputati agli anni medesimi.

Se ne desume che il meccanismo del FPV trova ragion d’essere principalmente nelle spese in conto capitale, dove l’acquisizione dei mezzi di copertura finanziaria (entrate a destinazione vincolate) precede, talvolta anche di molto, la realizzazione dell’investimento e la conseguente effettuazione dei pagamenti.

 

Al riguardo, considerato che per quanto desumibile dalla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 118/2011 il fondo pluriennale vincolato è costituito da entrate (vincolate), destinate ad obbligazioni passive esigibili in periodi successivi, sarebbe opportuno un chiarimento circa la distinzione di tale fondo – come prevista dall’articolo in esame - tra spesa ed entrata, rispettivamente per gli anni 2015 il primo ed il2016 il secondo.

 


 

 

Articolo 1-quinquies
(Defiscalizzazione del cambio proprietario del Parco di Monza)

 

 

L’articolo 1-quinquies, inserito nel corso dell’esame al Senato, prevede la defiscalizzazione delle operazioni che comportano il cambiamento dell’assetto proprietario del Parco di Monza.

La norma è volta ad agevolare l’ingresso della Regione Lombardia nella proprietà dell’area interessata all’Autodromo per consentire gli interventi di riqualificazione dell’impianto sportivo e per garantire all'Autodromo gli investimenti necessari per mantenere in vita la manifestazione automobilistica del Gran Premio d'Italia di F1. Si segnala, al riguardo, quanto riportato nel sito della Regione Lombardia.

Gli Enti pubblici coinvolti (comuni di Monza e di Milano e Regione Lombardia) hanno già avviato un percorso per giungere alla cessione di quote a titolo non oneroso.

La norma in esame prevede che la variazione, a titolo non oneroso, dell'assetto proprietario del Parco di Monza tra gli enti pubblici proprietari avvenga in un regime di esenzione fiscale: non si applicano, pertanto, le imposte di registro, ipotecarie e catastali, per i trasferimenti immobiliari.

La Relazione tecnica considera la norma come una rinuncia a maggior gettito e non gli ascrive effetti finanziari.

 

Si ricorda che con regio decreto legge n. 2044 dell'1 dicembre 1934, convertito in legge n. 554 del 4 aprile 1935, fu operata la concessione gratuita in proprietà indivisibile ai comuni di Milano e di Monza della Villa reale di Monza, dei relativi giardini e della parte del parco annessa al palazzo. Nel 2002 il comune di Milano ha ceduto alla regione Lombardia la sua quota di Villa e giardini, mantenendo una porzione di parco. Qui ulteriori approfondimenti.

Si ricorda, inoltre, che il 20 luglio 2009 è stato costituito un Consorzio per valorizzare il sito. Al Consorzio partecipano il Mibact, la regione Lombardia, i comuni di Monza e di Milano, la Camera di Commercio di Monza e della Brianza, la provincia di Monza e della Brianza, Confidustria Monza e Brianza.

 


 

 

Articolo 2, commi 1-5 e comma 6
(Disposizioni finalizzate alla sostenibilità dell’avvio a regime dell’armonizzazione contabile e termini per la procedura
di riequilibrio finanziario)

 

 

L'articolo 2 introduce alcune disposizioni al fine di agevolare nei confronti degli enti locali, l'avvio a regime dell'armonizzazione contabile introdotta dal decreto legislativo n. 118 del 2011, con riguardo in particolare, anche nei confronti degli enti che hanno partecipato alla fase triennale di sperimentazione della nuova disciplina, all’istituto del riaccertamento straordinario dei residui.

Il decreto legislativo n. 118 del 2011 reca un intervento di riforma della contabilità degli enti territoriali, che, dopo un fase triennale di sperimentazione, trova applicazione dal 2015, salvo alcuni aspetti rinviati al 2016. Il decreto, che ha innovato consistentemente la disciplina di bilancio recata dal TUEL (D.Lgs. n. 267 del 2000), ha operato un intervento organico di riforma diretto a garantire la qualità, la confrontabilità ed il monitoraggio del bilancio, sia per migliorare la capacità del sistema di rappresentare i reali fatti economici sia per rendere più efficaci le azioni volte al consolidamento dei conti pubblici. Tra i nuovi principi contabili introdotti ci si può in questa sede limitarsi a rammentare, oltre al principio dell'equilibrio di bilancio, corollario del principio costituzionale del pareggio di bilancio, il nuovo principio della competenza finanziaria, che dovrà consentire una affidabile esposizione della reale situazione finanziaria dell’ente Tale principio trova applicazione già dal 2015, mentre ad alcune altre innovazioni, quali ad esempio all’obbligo di predisporre da parte di ciascuna autonomia locale il bilancio consolidato con i propri enti ed organismi strumentali, società, aziende ed altri organismi controllati, si darà corso dal 2016.

 

In particolare il comma 1 proroga il termine per il riaccertamento straordinario dei residui, che sulla base della disciplina vigente deve intervenire contestualmente all’approvazione del rendiconto, vale a dire entro il 30 aprile dell’anno, al 15 giugno del 2015. Pertanto gli enti locali che pur avendo approvato il rendiconto non abbiano effettuato il riaccertamento suddetto potranno provvedervi entro il nuovo termine.

In ordine ai contenuti dell’operazione del riaccertamento, introdotta dall’articolo 3, comma 7, del D.Lgs. n. 118/2011, si rammenta che la stessa presuppone la determinazione in via definitiva dell’importo dei residui esistenti al 31 dicembre 2014 in base al previgente ordinamento contabile. Essa consiste nel verificare se permangono alla data del 1° gennaio 2015 le ragioni del mantenimento in tutto od in parte dei residui, e nel procedere quindi alla cancellazione dei propri residui attivi e passivi cui non corrispondono obbligazioni perfezionate e scadute alla data del 1° gennaio 2015[30]. L’istituto del riaccertamento straordinario è finalizzato ad una migliore veridicità del bilancio dell’ente, circostanza che, comportando l’emersione del disavanzo effettivo di amministrazione, può per taluni enti determinare un impatto negativo, anche consistente, del risultato di bilancio[31].

Nel far venir meno (per il 2015) la contestualità tra delibera di riaccertamento dei residui e approvazione del rendiconto dell’ente, il comma in esame dispone nel contempo che, nelle more della approvazione della delibera, le quote disponibili del risultato di amministrazione[32] (ancora non inciso dagli eventuali effetti della delibera suddetta) non possono essere utilizzate ai fini del bilancio di previsione. Tale disposizione va messa in relazione alle regole contabili generali che – in assenza di tale divieto - consentirebbero l’utilizzo del risultato di amministrazione nel nuovo bilancio dopo l’accertamento del risultato stesso in sede di rendiconto.

In relazione al nuovo termine del 15 giugno 2015 viene infine disposta una deroga alla procedura di commissariamento dell’ente inadempiente prevista dal comma 3 dell’ articolo 8 del citato decreto legislativo. Questo, si rammenta, dispone che in caso di mancata deliberazione del riaccertamento straordinario dei residui al 1° gennaio 2015, contestualmente all'approvazione del rendiconto 2014, si provvede alla nomina di un commissario per la predisposizione d'ufficio della deliberazione stessa. Il comma 1 in commento precisa ora che la procedura si applichi solo qualora la delibera di riaccertamento non intervenga entro la nuova data del 15 giugno 2015.

 

I commi 2 e 3 dettano norme finalizzate a risolvere alcune difficoltà derivanti dal passaggio dalla fase sperimentale a quella a regime per gli enti che hanno effettuato la sperimentazione.

Si ricorda che questa, decorrente dal 2012, è cessata al 31 dicembre 2014, ed ha interessato (dal 1° gennaio 2012) 4 regioni, 12 province, 49 comuni, 20 enti strumentali sulla base della disciplina dettata dal D.P.C.M. 28 dicembre 2011 e successive modifiche. La sperimentazione della riforma è stata estesa nel corso del 2014 ad ulteriori 300 enti.

Il comma 2 apporta alcune modifiche all'articolo 3 del decreto legislativo n. 118 del 2011, mediante le quali:

§  al comma 7 non si prevede più l'esclusione degli enti in sperimentazione nel 2014 dalla procedura, di approvazione del rendiconto 2014 contestualmente al riaccertamento straordinario dei residui.

§  si introduce il comma 17-bis, volto ad assicurare una maggiore sostenibilità del passaggio al nuovo sistema contabile da parte degli enti che hanno partecipato alla sperimentazione, prevedendo che gli stessi – che in virtù di tale partecipazione hanno necessariamente già operato il riaccertamento straordinario dei residui al 1°gennaio 2015 – possano procedere ad un nuovo riaccertamento, limitatamente alla cancellazione dei residui attivi e passivi che non corrispondono ad obbligazioni perfezionate[33], pervenendo in tal modo ad una nuova determinazione del risultato di amministrazione. Con apposito D.M. (previa intesa in sede di Conferenza unificata) è disciplinata la modalità di ripiano dell'eventuale maggiore disavanzo in non più di 30 esercizi in quote costanti (come già previsto per gli enti che non hanno partecipato alla sperimentazione), compreso l'accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità.

Il comma 3 dispone che nell'esercizio 2015 gli enti che hanno partecipato alla sperimentazione possono utilizzare i proventi derivanti dalle alienazioni patrimoniali per la copertura del fondo crediti di dubbia esigibilità di parte corrente, per un importo non superiore alla differenza tra l'accantonamento stanziato in bilancio per il fondo e quello che avrebbero stanziato se non avessero partecipato alla sperimentazione.

Il Fondo crediti di dubbia esigibilità degli enti locali è previsto dall’articolo 167 del TUEL (D.Lgs. n. 267/2000, nonché, con analoga formulazione, per le regioni dall’articolo 46 del decreto legislativo 118/2011) nel quale di dispone che nella missione “Fondi e Accantonamenti”, all'interno del programma “Fondo crediti di dubbia esigibilità” è stanziato l'accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità, il cui ammontare è determinato in considerazione dell'importo degli stanziamenti di entrata di dubbia e difficile esazione, secondo le modalità indicate nel principio applicato della contabilità finanziaria di cui all'allegato n. 4/2 al D.Lgs.118 medesimo. La norma dispone altresì che una quota del risultato di amministrazione è accantonata per tale fondo e non può essere destinata ad altro utilizzo. Tale Fondo ha in sostanza la funzione di compensare eventuali minori entrate derivanti da crediti divenuti parzialmente o totalmente inesigibili: si tratta di crediti per i quali è certo il titolo giuridico ma è diventata dubbia e difficile la riscossione per condizioni oggettive.

Il comma 4 novella l'articolo 200 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), allo scopo di trovare forme di copertura degli investimenti ulteriori rispetto a quelle recate da tale norma[34], prevedendo a tal fine una nuova fattispecie di copertura finanziaria delle spese di investimento imputate agli esercizi successivi, costituta dalle “altre fonti di finanziamento” individuate nei principi contabili allegati al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118.

Deve in proposito far riferimento all’allegato 4/2 del decreto, ed in particolare al paragrafo 5 nel quale, al punto 5/3 si dispone che possono costituire copertura finanziaria delle spese di investimento imputate agli esercizi successivi a quello in corso di gestione le entrate già accertate:

§  imputate all’esercizio in corso di gestione (entrate correnti destinate per legge agli investimenti, entrate derivanti da avanzi della situazione corrente di bilancio, entrate derivanti dall’alienazione di beni e diritti patrimoniali, riscossione di crediti, proventi da concessioni edilizie e relative sanzioni);

§  derivanti da trasferimenti da altre amministrazioni pubbliche anche se imputate negli esercizi successivi a quello di gestione,

§  derivanti dai mutui tradizionali, i cui contratti prevedono l’erogazione delle risorse in un’unica soluzione, prima della realizzazione dell’investimento, dando luogo ad accantonamenti al fondo pluriennale vincolato;

§  derivanti da forme di finanziamento flessibile i cui contratti consentono l’acquisizione di risorse in misura correlata alle necessità dell’investimento;

§  derivanti da altre entrate accertate tra le accensioni di prestiti, i cui contratti prevedono espressamente l’esigibilità del finanziamento secondo i tempi di realizzazione delle spese di investimento (ad esempio i prestiti obbligazionari a somministrazione periodica)[35].

.

Il comma 5 stabilisce le modalità con cui gli enti che hanno partecipato alla sperimentazione e che hanno presentato la richiesta di accesso alla procedura di riequilibrio finanziario prevista dall'articolo 243-bis del TUEL (D.Lgs. 267/2000) possono ripianare la quota di disavanzo derivante dalla revisione straordinaria dei residui.

Si ricorda che l'articolo 243-bis del TUEL consente ai comuni e alle province per i quali sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario di ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale. Il consiglio dell'ente locale, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della citata deliberazione, delibera un piano di riequilibrio finanziario pluriennale della durata massima di dieci anni. Il piano di riequilibrio finanziario pluriennale deve necessariamente contenere: a) le eventuali misure correttive adottate dall'ente locale in considerazione dei comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno; b) la puntuale ricognizione, con relativa quantificazione, dei fattori di squilibrio rilevati, dell'eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall'ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio; c) l'individuazione, con relative quantificazione e previsione dell'anno di effettivo realizzo, di tutte le misure necessarie per ripristinare l'equilibrio strutturale del bilancio e per l'integrale ripiano del disavanzo di amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio entro il periodo massimo di dieci anni; d) l'indicazione, per ciascuno degli anni del piano, della percentuale di ripiano del disavanzo di amministrazione da assicurare e degli importi previsti o da prevedere nei bilanci annuali e pluriennali per il finanziamento dei debiti fuori bilancio.

Il medesimo articolo 243-bis stabilisce altresì, al comma 8, lettera e),che ai fini di assicurare il percorso di riequilibrio pluriennale l’ente interessato deve effettuare una revisione straordinaria dei residui, stralciando i residui attivi inesigibili o di dubbia esigibilità, da inserire nel conto del patrimonio fino al compimento dei termini di prescrizione.

Il comma in esame dispone che gli enti in sperimentazione che nel corso degli anni 2013 o 2014 hanno richiesto la procedura di riequilibrio finanziario consentita dall’articolo 243-bis sopra illustrato e che all’esito della revisione straordinaria dei residui effettuata ai sensi del comma 8, lettera e) del medesimo articolo hanno evidenziato un disavanzo di bilancio, possono ripianare tale disavanzo nell’arco di un periodo trentennale, come previsto dall’articolo 3, comma 17 del decreto legislativo n. 118 del 2011. L’ente potrà pertanto recuperare il disavanzo fino all'esercizio 2042 se è stato effettuato il riaccertamento straordinario dei residui nel 2012, e fino al 2043 se è stato effettuato il riaccertamento straordinario dei residui al 1° gennaio 2014.

A tal fine, inoltre i predetti enti hanno facoltà di rimodulare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale di eventualmente già presentato e ritrasmetterlo alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti.

Il comma 6 reca infine una disposizione di natura contabile, disponendo che gli enti destinatari delle anticipazioni di liquidità ai fini del ripiano dei debiti pregressi – vale a dire le anticipazioni a valere sul fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili di cui all'articolo 1 del decreto legge n. 35 del 2013 - utilizzano la quota accantonata nel risultato di amministrazione a seguito dell'acquisizione delle erogazioni suddette ai fini dell'accantonamento, nel risultato di amministrazione, al fondo crediti di dubbia esigibilità.

Ai sensi dell'articolo 1, comma 10, del decreto-legge n. 35 del 2013 è stato istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo, denominato "Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili", distinto in tre sezioni a cui corrispondono tre articoli del relativo capitolo di bilancio, denominati rispettivamente "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali", "Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari" e "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale.

 


 

 

Articolo 2, comma 5-bis
(Termini per la procedura di riequilibrio
finanziario per gli enti locali)

 

 

L'articolo 2, comma 5-bis reca un intervento relativo agli enti che non hanno presentato nei termini in piano di riequilibrio finanziario prevedendo che gli stessi possano comunque procedere alla sua presentazione entro il termine di approvazione del bilancio di previsione 2015.

 

In particolare il comma in esame fa riferimento al piano da predisporsi da parte degli enti che hanno deliberato la procedura di riequilibrio finanziario di cui all’articolo 243-bis: piano che, ai sensi di tale articolo, il consiglio dell'ente locale deve approvare entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della deliberazione dell’ente medesimo con cui si decide il ricorso alla procedura di riequilibrio in questione.

Il comma detta una norma per la rimessione in termini di alcuni enti, vale a dire quelli che non hanno presentato il piano in questione entro il suddetto termine di novanta giorni, prevedendo che gli stessi possano comunque procedere alla presentazione entro il termine di approvazione del bilancio di previsione 2015. Tale termine, si rammenta, previsto in via ordinaria dall’articolo 151 del TUEL al 31 dicembre dell’anno precedente a quello cui inerisce il bilancio previsionale, è stabilito per il 2015 al 30 luglio, sulla base del differimento disposto dal decreto del Ministero dell’interno del 13 maggio 2015[36].

 


 

 

Articolo 3
(Anticipazioni di risorse ai comuni e ulteriori disposizioni concernenti il riparto del Fondo di solidarietà comunale 2015)

 

 

L’articolo 3 reca disposizioni di disciplina del Fondo di solidarietà comunale.

 

In particolare, il comma 1 prevede, a decorrere dal 2016, che entro il 31 marzo di ciascun anno il Ministero dell’interno disponga il pagamento di un primo acconto delle risorse del Fondo di solidarietà comunale, in favore dei comuni delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Sicilia e Sardegna[37] da attribuire a ciascun comune in misura pari all’otto per cento delle risorse di riferimento, come risultanti dai dati pubblicati sul sito internet del Ministero dell’interno alla data del 16 settembre 2014[38].

Come riportato nelle relazione illustrativa, la disposizione si rende necessaria al fine di sopperire alla carenza di liquidità dei comuni che si determina, ogni anno, a causa dei tempi necessari per l’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riparto del Fondo di solidarietà comunale ed in considerazione del fatto che i comuni incassano il gettito dell’IMU non prima di giugno di ogni anno.

L’anticipazione ai comuni di acconti sulle somme complessivamente spettanti a titolo di Fondo di solidarietà comunale, introdotta dal comma in esame, mette a regime una procedura già attuata negli scorsi anni, necessaria per consentire ai comuni di far fronte alle necessità di cassa nelle more dell’adozione di D.P.C.M. di riparto del Fondo medesimo, che, nonostante il disposto normativo (che ne prevede l’adozione entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento), sia nel 2013 che nel 2014 sono stati emanati soltanto alla fine dell’anno di riferimento[39].

L’importo anticipato, da imputare al capitolo di spesa 1365/Interno del bilancio dello Stato su cui è iscritto il Fondo di solidarietà comunale, va contabilizzato nei bilanci comunali a titolo di riscossione di imposta municipale propria (IMU).

 

Si ricorda che il Fondo di solidarietà comunale è stato istituito dall’articolo 1, comma 380, della legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012) nello stato di previsione del Ministero dell'interno (cap. 1365), in ragione della nuova disciplina dell’imposta municipale propria (IMU), introdotta con la legge di stabilità medesima, che ha attribuito ai comuni l’intero gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato.

Tale fondo - che ha sostituito il Fondo sperimentale di riequilibrio comunale previsto dal D.Lgs. n. 23/2013 di attuazione del federalismo municipale - è alimentato con una quota dell'imposta municipale propria (IMU), di spettanza dei comuni, ed è disciplinato dai commi 380-380-quater della legge di stabilità 2013, come introdotti dall’articolo 1, comma 730, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014).

L’articolo 1, comma 380-ter, della legge di stabilità quantifica la dotazione del Fondo per gli anni 2015 e successivi in 6.547,1 milioni di euro. Tale dotazione è assicurata, per un importo pari a 4.717,9 milioni di euro, attraverso una quota dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni, ai sensi dell’articolo 13 del D.L. n. 201/2011, che viene a tal fine versata all’entrata del bilancio dello Stato nei singoli esercizi[40].

Nella legge di bilancio per gli anni 2015-2017 (legge n. 191/2014 e relativo D.M. 29 dicembre 2014 di ripartizione in capitoli dei programmi di spesa), il Fondo (cap. 1365/Interno) presenta una dotazione di 4.525,9 milioni di euro per il 2015, 4.526,1 milioni per il 2016 e 4.586,1 milioni per il 2017.

Si tratta di una dotazione inferiore rispetto a quanto previsto dalla legge n. 147/2013 (6.547 milioni), in quanto su tale fondo è contabilizzato il contributo alla finanza pubblica richiesto ai comuni dalla legislazione vigente successiva, in particolare, dall’articolo 47, comma 8, del D.L. n. 66/2014 (riduzione del fondo di solidarietà comunale di 375,6 milioni per il 2014 e di 563,4 milioni per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018) e, più di recente, dalla legge di stabilità per il 2015 (art. 1, comma 435, legge n. 190/2014), che ha disposto la riduzione del Fondo di ulteriori 1.200 milioni a decorrere dall’anno 2015.

Per effetto della riduzione disposta dall’ultima legge di stabilità, la dotazione del Fondo di solidarietà comunale risulta ora interamente costituita dalla quota dell’IMU di spettanza comunale (4.717 milioni, pari al 38,22 per cento) che, ai sensi dell’art. 1, comma 380-ter, della legge n. 228/2012 e successive modificazioni, viene recuperata direttamente dall’Agenzia delle entrate sui versamenti dei contribuenti e versata all’entrata del bilancio dello Stato nei singoli esercizi per essere destinata al finanziamento del riequilibrio delle risorse all’interno del comparto.

 

Il comma 2 dispone che l’’ammontare anticipato a marzo viene recuperato nei confronti dei singoli comuni dall’Agenzia delle entrate, in misura pari all'importo comunicato dal Ministero dell'interno entro il 1° giugno di ciascun anno, mediante trattenuta sulle somme a titolo di imposta municipale propria riscossa tramite il sistema del versamento unitario. Gli importi recuperati dall'Agenzia delle entrate sono versati ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 15 luglio di ciascun anno, ai fini della riassegnazione per il reintegro del Fondo di solidarietà comunale nel medesimo anno.

 

Si osserva che l’articolo in esame non dispone alcuna anticipazione sulle somme dovute a titolo di Fondo di solidarietà comunale per il 2015.

 

Il comma 3 interviene sulle modalità di ripartizione della quota parte del Fondo di solidarietà che viene accantonata e redistribuita tra i comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo, sulla base delle capacità fiscali e dei fabbisogni standard.

 

Per la ripartizione del Fondo di solidarietà comunale, la normativa vigente (lettera b), comma 380-ter, legge n. 147/2013) prevede l’emanazione di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, previo accordo presso la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, da emanarsi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento[41].

Per i comuni delle regioni a statuto ordinario, il comma 380-quater prevede che quota parte dell’importo attribuito a titolo di Fondo di solidarietà sia accantonata per essere redistribuita, con il medesimo D.P.C.M. di riparto, tra i comuni medesimi sulla base delle capacità fiscali e dei fabbisogni standard, approvati dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale prevista dalla legge n. 42/2009, in linea con il disposto della legge delega in materia di federalismo fiscale, che prevede il superamento graduale del criterio della spesa storica a favore dei fabbisogni standard per il finanziamento delle funzioni fondamentali e della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni. La legge di stabilità per il 2015 (art. 1, comma 459, legge n. 190/2014) è intervenuta su tale disposizione, aumentando la quota del Fondo che viene redistribuita sulla base di capacità fiscali e fabbisogni standard, portandola dal 10 al 20 per cento.

 

In particolare, il comma 3 - novellando il comma 380-quater dell’articolo 1 della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) – modifica le modalità di applicazione dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali ai fini del riparto del Fondo:

§  stabilendo che il criterio di riparto della quota del 20 per cento del Fondo è costituito dalla “differenza” tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard;

§  determinando, limitatamente al 2015, l’ammontare complessivo di riferimento della capacità fiscale dei comuni delle regioni a statuto ordinario, fissandola in misura pari all'ammontare complessivo delle risorse nette spettanti ai predetti comuni a titolo di imposta municipale propria (IMU) e di tributo per i servizi indivisibili, ad aliquota standard (TASI all'1 per mille), nonché a titolo di Fondo di solidarietà comunale netto per l'anno 2015.
Tale importo corrisponde al 45,8 per cento dell'ammontare complessivo della capacità fiscale.

 

Le modifiche introdotte dal comma 3 sono volte ad attenuare gli effetti derivanti dall’applicazione dei criteri dei fabbisogni standard e della capacità fiscale ai fini del riparto della quota del Fondo di solidarietà comunale destinata a finalità perequative, “al fine di definire – come evidenziato nella Relazione illustrativa – una perequazione graduale soprattutto per quei comuni che presentano una capacità fiscale superiore ai propri fabbisogni standard e che sono tenuti a ulteriori versamenti ai sensi della lettera d) del comma 380-ter della legge n. 228 del 2012. La mitigazione del target perequativo si fonda anche sulla considerazione delle difficoltà finanziarie dei comuni a seguito dei tagli di consistenti risorse disposti per il 2015 dalla legge n. 190 del 2014”.

 

La necessità di una applicazione più graduale e prudente della capacità fiscale e dei fabbisogni standard, ai fini della distribuzione delle risorse del Fondo, è stata sottolineata nell’Accordo del 31 marzo 2015, raggiunto in sede di Conferenza Stato-Città e autonomie locali, sulle modalità di riparto del Fondo per l’anno 2015, per mitigare gli effetti della distribuzione tra i comuni della suddetta quota del 20 per cento del Fondo.

Secondo quanto definito nella Nota metodologica del Ministero dell’economia, facente parte integrante dell’Accordo, la dotazione complessiva del Fondo di solidarietà dei comuni delle regioni a statuto ordinario è ripartita, per una quota pari all’80 per cento, secondo il criterio di riparto basato sulle “risorse storiche[42]” e per una quota pari al 20 per cento secondo il criterio basato sulle “risorse standard”. Nell’Accordo, la quota del FSC da distribuire per il 2015 in funzione dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali attribuite a ciascun ente, secondo le complesse modalità di calcolo esplicitate nella Nota, ammonta a 740,3 milioni di euro.

Per quanto concerne i fabbisogni standard, si sottolinea, infine, che questi sono stati approvati con riferimento a tutte le funzioni comunali con i D.P.C.M. 21 dicembre 2012 (funzioni di polizia locale), D.P.C.M. 23 luglio 2014 (funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo) e D.P.C.M. 27 marzo 2015 (funzioni di istruzione pubblica, nel campo della viabilità e dei trasporti, di gestione del territorio e dell'ambiente e nel settore sociale). Per l’individuazione delle capacità fiscali, con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 11 marzo 2015 sono state adottate la nota metodologica relativa alla procedura di calcolo e la stima delle capacità fiscali per singolo comune delle regioni a statuto ordinario. Si tratta, in sintesi, del gettito potenziale da entrate proprie di un territorio, date la base imponibile e l'aliquota legale.

 

Il comma 4 interviene sulle modalità di ripartizione tra i comuni della riduzione di 1.200 milioni di euro della dotazione del Fondo di solidarietà comunale, disposta a decorrere dal 2015 dalla legge di stabilità per il 2015 (art. 1, comma 435, legge n. 190/2014).

 

Si ricorda che il citato comma 435 ha definito il concorso dei comuni al contenimento della spesa pubblica, stabilendo una riduzione del Fondo di solidarietà comunale di 1.200 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015.

In merito alla distribuzione del peso del contributo tra i comuni, il successivo comma 436 prevede che, per l’anno 2015, fermo restando l’obiettivo complessivo di contenimento della spesa per l’intero comparto nella misura di 1.200 milioni, la riduzione dei trasferimenti a titolo di Fondo di solidarietà si applica nella misura del 50% per i comuni colpiti da recenti eventi sismici in Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Abruzzo e Toscana.

 

In particolare, la norma – novellando il comma 435 della legge n. 190 del 2014 - specifica che la misura della riduzione nei confronti dei singoli comuni delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Sicilia e Sardegna è determinata in misura proporzionale alle risorse complessive, individuate dalla somma algebrica dei seguenti elementi:

a)   gettito relativo all'anno 2014 dell'imposta municipale propria di competenza comunale ad aliquota base comunicato dal Ministero dell'economia e delle finanze, al netto della quota di alimentazione del Fondo di solidarietà comunale per l'anno 2014;

b)   gettito relativo all'anno 2014 del tributo per i servizi indivisibili ad aliquota base comunicato dal Ministero dell'economia e delle finanze;

c)   importo relativo al Fondo di solidarietà comunale per l'anno 2014, come risultante dagli elenchi B e C allegati al DPCM del 1° dicembre 2014, di riparto del Fondo medesimo, al netto della riduzione di risorse applicata per l'anno 2014 in base all'articolo 47, comma 8, del D.L. n. 66 del 2014 (corrispondente ad un contributo complessivo alla finanza pubblica richiesto ai comuni pari a 375,6 milioni per l'anno 2014, connesso alle misure di spending review su spese per beni e servizi, spese per autovetture nonché spese per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa).

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato inserito il comma 4-bis volto ad assegnare ai comuni le disponibilità residue dell’importo accantonato nel 2014 sul Fondo di solidarietà comunale per le finalità di cui all’articolo 7 del D.P.C.M. 1° dicembre 2014 - recante la definizione e la ripartizione delle risorse del Fondo per l’anno 2014 – e non utilizzate per tale finalità.

Si rammenta che il citato art. 7 del D.P.C.M. 1° dicembre 2014 ha accantonato, a valere sulla dotazione complessiva del Fondo di solidarietà comunale per l'anno 2014 (6.339,9 milioni), un importo di 40 milioni di euro da destinare ad eventuali conguagli ai singoli comuni derivanti da rettifiche dei valori utilizzati in sede di riparto.

 

Tali risorse, indicate dalla norma in circa 29,3 milioni di euro, vengono riassegnate ai comuni non in misura proporzionale, come previsto dal citato D.P.C.M. 1° dicembre 2014, ma al fine di diminuire l'incidenza negativa del riparto della quota del 20% del Fondo 2015 effettuato sulla base dei criteri perequativi basati sui fabbisogni standard e delle capacità fiscali, ai sensi della normativa vigente di cui al comma 380-quater dell'articolo 1 della legge n. 228/2012 come novellata dal precedente comma 3 (cfr.).

Nella Relazione Tecnica allegata al maxi emendamento del Governo, si evidenzia che nella seduta della Conferenza Stato-città e autonomie locali del 18 giugno 2015 è stato approvato il riparto di una quota pari a 10,7 milioni di euro dell’accantonamento in questione, per provvedere ad esigenze di rettifiche puntuali in relazione alla stima dei gettiti IMU e TASI. La somma residua dell’accantonamento, non utilizzata per esigenze di rettifica, avrebbe dovuto essere riassegnata e ripartita a titolo di Fondo di solidarietà comunale secondo i criteri ordinari.

 

L’importo residuo, anziché essere ripartito a titolo di ulteriore quota del Fondo secondo i criteri indicati dal D.P.C.M. del 1° dicembre 2014, viene ora destinato alle finalità indicate dal comma in esame, con particolare riferimento ai comuni con popolazione non superiore a 60.000 abitanti e limitatamente ai casi in cui tale incidenza negativa comporti una riduzione percentuale delle risorse, così come definite al comma 4 (costituite dalla somma algebrica del gettito 2014 IMU e TASI + importo relativo al Fondo di solidarietà comunale per l'anno 2014), superiore all'1,3 per cento, in modo comunque coerente con l'andamento della riduzione determinata per effetto dell'applicazione del citato comma 380-quater.

Sul punto si ricorda quanto già detto sopra, con riferimento al comma 3, in merito alle difficoltà applicative della capacità fiscale e dei fabbisogni standard, in sede di riparto del FSC. Nell’Accordo del 31 marzo 2015, raggiunto in sede di Conferenza Stato-Città e autonomie locali, sulle modalità di riparto del Fondo per l’anno 2015, l’ANCI aveva evidenziato la necessità di una applicazione ancora più prudente della capacità fiscale e dei fabbisogni standard, anche con l’inserimento di una specifica clausola di salvaguardia al riguardo, e richiedendo espressamente al Ministro dell’economia di valutare la possibilità nel 2015 di utilizzare gli importi non assegnati dell’accantonamento di cui al citato articolo 7 (per le c.d. verifiche successive), per compensare gli effetti negativi derivanti dall’applicazione dei due criteri perequativi, senza prevedere, inoltre, sul Fondo 2015, un analogo accantonamento.

 

Il riparto di cui al periodo precedente è disposto con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, da emanarsi entro il 10 settembre 2015, previa intesa presso la Conferenza Stato-città e autonomie locali.


 

 

Articolo 4, comma 1
(Disapplicazione delle sanzioni concernenti il divieto di assunzioni per riallocazione personale delle province)

 

 

Il comma 1 dispone, in favore degli enti locali, la disapplicazione delle sanzioni concernenti il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, previste da disposizioni vigenti, al solo fine di consentire la ricollocazione del personale delle province, conseguente al loro riordino dettato dalla legge n. 56 del 2014, presso regioni ed enti locali, secondo le procedure di mobilità introdotte dalla legge di stabilità per il 2015 (art. 1, comma 424, legge n. 190/2014).

 

In particolare, la disapplicazione riguarda le misure sanzionatorie - consistenti nel divieto di assunzioni - previste nei seguenti casi:

a)   mancato rispetto da parte delle pubbliche amministrazioni, per l’anno 2014, dell'indicatore dei tempi medi nei pagamenti relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture, che le P.A. sono tenute ad allegare alle relazioni ai bilanci consuntivi o di esercizio, ai sensi dell’articolo 41, comma 2, del D.L. n. 66/2014.

Si ricorda che, nell’ambito dei numerosi interventi legislativi volti a risolvere il problema del ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali da parte delle pubbliche amministrazioni, l'articolo 41 del D.L. n. 66/2014 ha introdotto l'obbligo per le pubbliche amministrazioni a decorrere dal 2014 di allegare alle relazioni ai bilanci consuntivi o di esercizio un prospetto attestante l’importo dei pagamenti relativi a transazioni commerciali effettuati dopo la scadenza dei termini previsti dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231[43] - che si rammenta sono fissati, dalla Direttiva 2011/7/UE, in 30 giorni nelle transazioni commerciali in cui la parte debitrice è una pubblica amministrazione, prorogabili fino a 60 giorni solo in presenza di determinate condizioni - nonché il c.d. indicatore annuale di tempestività dei pagamenti, che indica i tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture.

Nel caso in cui, nelle suddette attestazioni, si evidenzi un ritardo nei pagamenti superiore a 90 giorni nel 2014 e a 60 giorni a decorrere dal 2015, rispetto ai termini indicati dal D.Lgs. n. 231/2002, sono previste misure sanzionatorie per le amministrazioni pubbliche – con esclusione degli enti del Servizio sanitario nazionale – consistenti nel divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo (compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione) nell'anno successivo a quello di riferimento.

Si segnala che il comma 2 dell’articolo 41 sopra descritto è modificato dal successivo comma 4 dell’articolo 4 in esame, al fine di escludere dal computo dei tempi medi di pagamento i pagamenti effettuati mediante l'utilizzo delle anticipazioni di liquidità o degli spazi finanziari concessi dai decreti-legge n. 35/2012 e 66/2014 (cfr. la relativa scheda di lettura).

b)   mancato rispetto da parte delle regioni e degli enti locali, per l’anno 2014, del patto di stabilità interno e dei termini per l’invio della relativa certificazione, ai sensi dell’articolo 1, comma 462, lett. d,) della legge n. 228/2012 per regioni e province autonome, nonché dell’articolo 31, comma 26, lett. d), della legge n. 183/2011 per comuni e province.

Si ricorda che la disciplina del patto di stabilità interno per l’anno 2014 prevede, per regioni ed enti locali, nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi finanziari imposti dal patto di stabilità interno, l’applicazione, nell’anno successivo all’inadempimento, di una serie di misure sanzionatorie, quali:

a)   la riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio[44] o del fondo perequativo, in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato;

b)   il divieto di impegnare spese di parte corrente in misura superiore all’importo annuale medio degli impegni effettuati nell’ultimo triennio;

c)   il divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare gli investimenti;

d)   il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo;

e)   la riduzione del 30% delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza degli amministratori.

Si rammenta, inoltre, che la disciplina del patto di stabilità comprende termini e modalità di monitoraggio dei risultati conseguiti dagli enti, ai fini della certificazione dei risultati. Tutti gli enti sono, pertanto, tenuti a trasmettere al Ministero dell'economia e delle finanze - con cadenza trimestrale per le regioni, semestrale per gli enti locali - le informazioni relative agli andamenti della gestione. Ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi, gli enti hanno l'obbligo di inviare al Ministero dell'economia la certificazione del risultato finanziario raggiunto entro il termine perentorio del 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento. La mancata trasmissione della certificazione costituisce inadempimento del patto ed è sanzionata al pari del mancato rispetto dell'obiettivo di risparmio (come disposto per gli enti locali dall’articolo 31, comma 20, della legge n. 183/2011 e per le regioni dall’articolo 1, comma 461, della legge n. 228/2012).

 


 

 

Articolo 4, comma 2
(Personale delle province)

 

 

Nell’ambito della ricollocazione del personale delle province, l’articolo 4, comma 2, dispone il trasferimento presso l’amministrazione in cui presta servizio del personale delle province che, alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame (come specificato nel corso dell’esame al Senato, in luogo del termine originario del 31 dicembre 2014), si trova in posizione di comando, distacco o, come aggiunto nel corso dell’esame al Senato, altri istituti comunque denominati presso altra pubblica amministrazione[45].

Il suddetto trasferimento avviene:

§  previo consenso dell’interessato;

§  a condizione che ci sia capienza nella dotazione organica e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, ove sia garantita la sostenibilità finanziaria a regime della relativa spesa.

 

Nozione di comando e distacco

Nel pubblico impiego l’istituto del comando è disciplinato dall’articolo 56 del DPR 10 gennaio 1957, n. 3 (“TU delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”), il quale stabilisce che – per riconosciute esigenze di servizio, o quando sia richiesta una speciale competenza, purché per un periodo di tempo determinato ed in via eccezionale – l’impiegato di ruolo può essere comandato a prestare servizio presso altra amministrazione statale o presso altri enti pubblici. Il successivo articolo 57 del Testo Unico precisa che la spesa per il personale comandato presso altra amministrazione statale resta a carico dell’amministrazione di appartenenza, mentre alla spesa del personale comandato presso enti pubblici provvede direttamente ed a proprio carico l’ente presso cui detto personale presta servizio. Si ricorda che l’articolo 1, comma 414, della L. 228/2012 (Legge di Stabilità 2013) dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, per gli enti pubblici, il provvedimento di comando (di cui all'articolo 56, comma 3, del D.P.R. 3/1957) venga adottato d'intesa tra le amministrazioni interessate, previo assenso del lavoratore coinvolto.

 

L’ordinamento vigente non reca invece la definizione del distacco; in mancanza di una specifica disciplina, parte della dottrina considera il distacco come una semplice situazione di fatto, mentre altro orientamento ritiene che si configura un distacco quando l’impiegato statale è destinato a prestare servizio non presso altra amministrazione statale (come nel comando), bensì presso altro ente pubblico. Inoltre per il distacco si fa in genere riferimento alla disciplina che riguarda i dirigenti collocati in aspettativa retribuita, per cui si verifica più propriamente una sospensione del rapporto di lavoro[46].

La riforma del pubblico impiego, attuata con il D.Lgs. 29 del 1993 poi trasfuso nel D.Lgs. 165 del 2001 (T.U. del pubblico impiego) non ha disciplinato l’istituto del comando né quello del distacco, che vanno pertanto ricostruiti all’interno di un quadro più generale, ferma restando l’applicabilità del T.U. del pubblico impiego nell’ambito dei settori del lavoro pubblico non contrattualizzato in funzione suppletiva.

Si può interpretare il silenzio del legislatore come un rinvio in via immediata alle regole privatistiche ed alla contrattazione collettiva, che sono destinate ormai a disciplinare il rapporto dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche (art. 2, comma 2, D.Lgs. 165/2001).

Si tenga inoltre presente che a volte i termini di “comando” e “distacco” sono talvolta utilizzati come sinonimi.

 

Si ricorda che l’art. 4 del CCNL siglato il 16.5.2001, integrativo del CCNL del personale del comparto Ministeri sottoscritto in data 16.2.1999, ha statuito che il dipendente, a domanda, può essere assegnato temporaneamente ad altra amministrazione anche di diverso comparto che ne faccia richiesta per utilizzarne le prestazioni (posizione di "comando"). Il personale assegnato temporaneamente in posizione di comando presso altra amministrazione, continua a coprire un posto nelle dotazioni organiche dell'amministrazione di appartenenza, che non può essere coperto per concorso o per qualsiasi altra forma di mobilità. La posizione di comando cessa al termine previsto e non può superare la durata di 12 mesi rinnovabili una sola volta. Alla scadenza del termine massimo, il dipendente può chiedere, in relazione alla disponibilità di posti in organico, il passaggio diretto all'amministrazione di destinazione, secondo le procedure di cui all'art. 27 del CCNL sottoscritto in data 16.2.99 e nel rispetto di quanto previsto dall'art. 20, comma 1, lett.c), penultimo periodo della legge 488/99, che rende prioritarie le procedure di mobilità. In caso contrario il dipendente rientra all'amministrazione di appartenenza. Il comando può cessare, prima del termine previsto, qualora non prorogato ovvero per effetto del ritiro dell'assenso da parte dell'interessato o per il venir meno dell'interesse dell'amministrazione che lo ha richiesto.

La posizione di comando può essere disposta, senza limiti temporali, solo nei seguenti casi:

1)   qualora norme di legge e di regolamento prevedano appositi contingenti di personale in assegnazione temporanea, comunque denominata, presso altra amministrazione;

2)   per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dei Sottosegretari;

3)   per gli enti di nuova istituzione sino all'istituzione delle relative dotazioni organiche ed ai provvedimenti di inquadramento.

L'assegnazione temporanea di cui al presente articolo non pregiudica la posizione del dipendente agli effetti della maturazione dell'anzianità lavorativa, dei trattamenti di fine lavoro e di pensione e dello sviluppo professionale.

La spesa per il personale in posizione di comando è a carico dell'amministrazione di destinazione.

La disciplina del comando sopra richiamata decorre per le assegnazioni temporanee disposte dal 1° gennaio 2001.

Nulla è innovato per la disciplina delle assegnazioni temporanee disposte in relazione a specifiche esigenze dell'amministrazione di appartenenza nei casi previsti da disposizioni di legge o di regolamento, qualora sia necessario assicurare particolari e non fungibili competenze attinenti agli interessi dell'amministrazione, che dispone la temporanea diversa assegnazione e che non rientrano nei compiti istituzionali della medesima (posizione di "fuori ruolo").

 


 

 

Articolo 4, comma 2-bis
(Procedure concorsuali reclutamento a tempo indeterminato di personale nei servizi educativi e scolastici)

 

 

Il comma 2-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, consente agli enti locali di indire procedure concorsuali per assunzioni a tempo indeterminato di personale dei servizi educativi e scolastici, in deroga a quanto stabilito dall’articolo 1, comma 424, della L. 190/2014 (Stabilità 2015) che destina i budget assunzionali delle regioni e degli enti locali relativi agli anni 2015 e 2016 esclusivamente all’immissione nei ruoli dei vincitori di concorso di graduatorie già vigenti al 1° gennaio 2015 e delle unità soprannumerarie delle province destinatarie dei processi di mobilità.

Più nel dettaglio, le suddette procedure concorsuali possono essere indette (nel rispetto delle limitazioni assunzionali e finanziarie vigenti) per il reclutamento a tempo indeterminato di personale in possesso di titoli di studio specifici abilitanti o di abilitazioni professionali necessarie per lo svolgimento delle funzioni fondamentali relative all'organizzazione e gestione dei servizi educativi e scolastici[47], con esclusione del personale amministrativo, in caso di esaurimento delle graduatorie vigenti e di assenza di tali figure professionali tra le unità soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilità[48].

Si ricorda che, come specificato nella Circolare del 29 gennaio 2015, n. 1 del Dipartimento della funzione pubblica (che ha definito le linee guida per l’attuazione delle disposizioni in materia di personale e di altri profili connessi al riordino delle funzioni delle province e delle città metropolitane), il richiamato art. 1, c. 424, della L. 190/2014, assolve alla finalità di ricollocare il personale soprannumerario, vincolando le risorse destinate alle assunzioni a tempo indeterminato delle amministrazioni pubbliche.

In particolare, il citato comma 424 disciplina il ricollocamento del personale in mobilità presso regioni ed enti locali. La norma dispone che le regioni e gli enti locali, per gli anni 2015 e 2016, destinano le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali stabilite dalla normativa vigente, all’immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti e delle unità soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilità; inoltre, la restante percentuale della spesa relativa al personale di ruolo cessato negli anni 2014 e 2015 è destinata esclusivamente alla ricollocazione del personale in mobilità. Le spese del personale così ricollocato non si calcolano ai fini del rispetto del tetti di spesa di personale (di cui all’articolo 1, comma 557-quater, della legge n. 296 del 2006, in base al quale dal 2014 regioni ed enti locali devono, nella programmazione triennale dei fabbisogni di personale, contenere le spese di personale ”con riferimento al valore medio del triennio precedente”). Infine, è prevista la comunicazione al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e al Ministro dell'economia e delle finanze del numero delle unità di personale ricollocato o ricollocabile nell’ambito delle procedure contenute nell’accordo dell’11 settembre 2014. Si stabilisce, infine, la nullità delle assunzioni effettuate in violazione delle richiamate disposizioni.


 

 

Articolo 4, comma 3
(Assunzioni negli EE.LL.)

 

 

Il comma 3, attraverso una novella dell’articolo 3, comma 5, del D.L. n. 90/2014, introduce una precisazione in relazione alle disposizioni che disciplinano il turn-over negli enti locali soggetti al patto di stabilità interno, specificando che la programmazione delle assunzioni viene fatta con riferimento al triennio precedente.

Più nel dettaglio, il comma in esame consente di utilizzare, nel cumulo delle risorse destinate alle assunzione, anche i residui ancora disponibili delle quote percentuali delle facoltà assunzionali riferite al triennio precedente, dirimendo un dubbio interpretativo sorto proprio sul citato articolo 3, comma 5, del D.L. 90/2014, nella parte in cui, dal 2014, consente il suddetto cumulo per un arco temporale non superiore a 3 anni, senza specificare se successivi o precedenti[49]

Si ricorda che l’articolo 3, comma 5, del D.L. 90/2014 (che ha abrogato quanto previsto in materia dall’articolo 76, comma 7, del D.L. 112/2008[50]), nella formulazione antecedente alla novella apportata dal decreto legge in esame, ha riscritto la disciplina in merito ai vincoli assunzionali per gli enti soggetti al patto di stabilità interno (turn over), attraverso la previsione di specifiche norme volte a rimodulare le limitazioni al turn over per gli enti territoriali (introducendo anche in questo caso il riferimento alle cessazioni di personale a tempo indeterminato di ruolo nell’anno precedente e aumentando altresì la percentuale di assunzioni effettuabili). In particolare:

§  si prevede un graduale aumento delle percentuali di turn over, con conseguente incremento delle facoltà di assunzioni per gli enti territoriali, per il quinquennio 2014-2018 (nel biennio 2014-2015 assunzioni nel limite di spesa del 60% di quella del personale di ruolo cessato nell’anno precedente, limite che sale all’80% nel biennio 2016-2017 e al 100% dal 2018);

§  si consente il cumulo – dal 2014 - delle risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale non superiore a 3 anni, nel rispetto della programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile;

§  si prevede che le regioni e gli enti locali coordinino le politiche di assunzioni delle aziende speciali, delle istituzioni e delle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT, al fine di garantire anche per i medesimi soggetti una graduale riduzione della percentuale tra spese di personale e spese correnti. A questo fine gli enti controllanti, con propri atti di indirizzo, definiscono per i suddetti enti le modalità di attuazione dei principi di contenimento dei costi del personale (art. 18, c. 2-bis, del D.L. 112/2008, come modificato dall’art. 3, c. 5-quinquies, del D.L. 90/2014).

 


 

 

Articolo 4, comma 4
(Esclusione dei pagamenti dei debiti commerciali pregressi dall’indicatore dei tempi medi di pagamento delle P.A.)

 

 

Il comma 4 modifica la disposizione – di cui l'articolo 41, comma 2 del D.L. n. 66 del 2014 - che vieta alle amministrazioni pubbliche (esclusi gli enti del Servizio sanitario nazionale) che registrano tempi medi nei pagamenti superiori a 90 giorni nel 2014 e a 60 giorni a decorrere dal 2015, rispetto a quanto disposto dal decreto legislativo n. 231 del 2002[51], di procedere nell'anno successivo ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo.

La novella è volta ad escludere dal computo dei tempi medi di pagamento di cui alla citata disposizione i pagamenti effettuati mediante l'utilizzo delle anticipazioni di liquidità o degli spazi finanziari messi a disposizione ai sensi dei decreti-legge n. 66 del 2014 (articolo 32, comma 2), e n. 35 del 2013 (articolo 1, commi 1 e 10).

 

Si ricorda che in base all’articolo 41 del D.L. n. 66/2014 i tempi medi nei pagamenti relativi a transazioni commerciali devono essere attestati dalle pubbliche amministrazioni in un prospetto allegato alle relazioni ai bilanci consuntivi o di esercizio, in cui sono riportati:

§  l'importo dei pagamenti relativi a transazioni commerciali effettuati dopo la scadenza dei termini previsti dal D.Lgs. n. 231/2002 - che si rammenta sono fissati, dalla Direttiva 2011/7/UE, in 30 giorni per le transazioni commerciali in cui la parte debitrice è una pubblica amministrazione, prorogabili fino a 60 giorni solo in presenza di determinate condizioni;

§  il c.d. indicatore annuale di tempestività dei pagamenti, che indica, appunto, i tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture.

Tale obbligo decorre dal 2014 e riguarda tutte le pubbliche amministrazioni individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001.

Il comma 2 dell’articolo 41 citato dispone che, qualora da tali attestazioni si evidenzi un ritardo nei pagamenti superiore a 90 giorni nel 2014 e a 60 giorni a decorrere dal 2015, rispetto ai termini indicati dal D.Lgs. n. 231/2002, si applicano misure sanzionatorie per le amministrazioni pubbliche – con esclusione degli enti del Servizio sanitario nazionale – consistenti nel divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo (compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione) nell'anno successivo a quello di riferimento.

La norma in esame intende escludere dal calcolo dei tempi medi di pagamento, di cui alla normativa suesposta, i pagamenti effettuati con le disponibilità finanziarie concesse agli enti territoriali - in termini di anticipazioni di liquidità ovvero di disponibilità di spazi finanziari in deroga ai vincoli del patto di stabilità interno - dai decreti-legge n. 35/2013 e n. 66/2014 per il pagamento dei debiti commerciali pregressi delle amministrazioni pubbliche.

Si tratta dei principali interventi con i quali il legislatore ha inteso affrontare il problema dello sblocco dei pagamenti dei debiti delle amministrazioni pubbliche verso i fornitori, mettendo a disposizione risorse finanziarie per il pagamento dei debiti pregressi – in particolare, quelli certi, liquidi ed esigibili maturati dalla P.A. al 31 dicembre 2013 - (reperite nella gran parte attraverso maggiori emissioni di titoli del debito pubblico) e definendo procedure per la ricognizione dell’entità dei debiti della pubblica amministrazione nel suo complesso e per impedire in futuro nuovo accumulo di debiti arretrati.

 

In merito alle disposizioni citate dalla norma in commento, si ricorda che il D.L. n. 35/2013 – che per primo ha affrontato il problema dei pagamenti dei debiti delle amministrazioni pubbliche (sia centrali che locali) maturati alla data del 31 dicembre 2012, nei confronti di imprese, cooperative e professionisti - ha messo a disposizione risorse finanziarie per un importo complessivo di circa 40 miliardi di euro, da erogare negli anni 2013-2014, accordando priorità ai crediti che le imprese non hanno ceduto pro-soluto al sistema creditizio.

Per quanto riguarda le amministrazioni territoriali, le misure si sono concretizzate:

§  nella concessione, per l’anno 2013, di spazi di disponibilità finanziaria nell’ambito del Patto di stabilità interno ad enti locali che disponevano di liquidità non utilizzabile a causa delle regole del Patto stesso. In particolare, si è disposto un allentamento dei vincoli del patto per un importo complessivo di 5 miliardi di euro, per consentire agli enti l’utilizzo di risorse proprie disponibili (avanzi di amministrazione) per il pagamento dei debiti di conto capitale esigibili alla data del 31 dicembre 2012 (articolo 1, comma 1, D.L. n. 35/2013);

§  nella concessione, per l’anno 2013 e 2014, di risorse a titolo di anticipazioni di liquidità alle regioni e agli enti locale impossibilitati a saldare i propri debiti a causa di indisponibilità di risorse. In particolare, è stata prevista l’istituzione nel bilancio dello Stato di un apposito Fondo ("Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili") con obbligo di restituzione, in un arco temporale certo e sostenibile, finalizzato ad assicurare anticipazioni di liquidità agli enti che non possono far fronte, con disponibilità proprie, al pagamento dei debiti, sia di parte corrente che in conto capitale, maturati alla data del 31 dicembre 2012. Il Fondo - inizialmente dotato di 9,3 miliardi di euro nel 2013 e 14,5 miliardi nel 2014, e poi rideterminato, dall’articolo 13 del D.L. n. 102/2013, in complessivi 16,5 miliardi per il 2013 e in 14,5 miliardi per il 2014 - è stato distinto in tre sezioni: “Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti degli enti locali”, gestita da Cassa depositi e prestiti, “Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti diversi da quelli finanziari e sanitari”, “Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti degli enti del Servizio Sanitario Nazionale”. Tali ultime due sezioni sono gestite direttamente dal MEF (articolo 10, D.L. n. 35/2013).

Le risorse messe a disposizione dal D.L. n. 35/2013 sono state implementate dal D.L. n. 66/2014, il quale, all’articolo 32 ha disposto, per il 2014, un incremento della dotazione del "Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili", istituito dal comma 10 dell'art. 1 del D.L. n. 35, di 6 miliardi di euro, al fine di far fronte ai pagamenti da parte delle regioni e degli enti locali dei debiti maturati alla data del 31 dicembre 2013. Le risorse in questione sono state ripartite tra le tre Sezioni del Fondo con il D.M. 15 luglio 2014 (articolo 32, comma 2, D.L. n. 66/2014).

 


 

 

Articolo 4, comma 4-bis
(Segretari comunali e provinciali)

 

 

Il comma 4-bis consente di stipulare convenzioni per la gestione in forma associata del servizio di segreteria, non solo tra comuni, ma anche tra comuni e province e tra province.

 

La gestione associata delle funzioni e dei servizi degli enti locali è finalizzata alla razionalizzazione della spesa e al conseguimento di una maggiore efficienza dei servizi. L’ordinamento attualmente prevede la possibilità di esercitare in forma associata le funzioni locali attraverso la convenzione e l’unione di comuni.

Lo strumento più funzionale e flessibile di gestione associata è costituito dalla convenzione tra comuni per la gestione di una o più funzioni o servizi (art. 30 TUEL). Con la stipula della convenzione i comuni contraenti stabiliscono il fine e la durata della convenzione, oltre alle forme di consultazione tra gli enti aderenti, i loro rapporti finanziari e i reciproci obblighi e garanzie. Gli enti aderenti possono esercitare in comune le funzioni associate, oppure possono costituire uffici comuni per l’esercizio delle funzioni o delegare ad uno di essi (comune capofila) tale esercizio. Lo Stato e le regioni possono prevedere forme di convenzione obbligatoria per la gestione a tempo determinato di uno specifico servizio o per la realizzazione di un’opera, nell’ambito della delega di funzioni in materie di propria competenza.

 

Attualmente le funzioni di segreteria comunale possono essere gestite dai comuni in forma associata. Secondo quanto previsto dall’articolo 98, comma 3, del TUEL, infatti, i comuni posso stipulare convenzioni per l’ufficio di segretario comunale, con l’unica prescrizione di comunicarne la costituzione alla sezione regionale dell’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali (AGES) e provinciali. A seguito della abolizione dell’AGES le relative funzioni sono state trasferite al Ministero dell’interno (D.L. n. 78/2010); le funzioni delle sezioni regionali dell’AGES sono ora svolte dalle prefetture.

 

Ciascun comune e ciascuna provincia hanno un segretario titolare iscritto all'apposito albo cui si accede per concorso (TUEL art. 97 e 98). Al segretario comunale e provinciale sono affidati compiti di collaborazione e assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente locale in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.

In particolare, il segretario coordina i dirigenti e sovrintende allo svolgimento delle loro funzioni; ha funzioni consultive nei confronti del consiglio e della giunta (di cui verbalizza le sedute); può rogare i contratti nei quali l'ente è parte. Oltre a queste, al segretario possono essere attribuite ulteriori funzioni per statuto e regolamento oppure su impulso del sindaco o del presidente della provincia.

Il segretario, inoltre, svolge importanti funzioni in materia di prevenzione della corruzione e di controllo interno dell'ente.

Il sindaco e il presidente della provincia nominano e revocano il segretario, il cui incarico ha la durata corrispondente dell'organo che lo ha nominato (TUEL art. 99). Il provvedimento di revoca deve essere motivato e deliberato dalla giunta. La revoca può avvenire solo per violazione dei doveri di ufficio (TUEL art. 100). Il provvedimento di revoca è comunicato dal prefetto all'Autorità nazionale anticorruzione che si esprime entro trenta giorni. Decorso tale termine, la revoca diventa efficace, salvo che l'Autorità rilevi che la stessa sia correlata alle attività svolte dal segretario in materia di prevenzione della corruzione (L. 190/2012, art. 1, co. 82).

Nei comuni sopra i 15.000 abitanti e nelle province, il sindaco e il presidente della provincia possono nominare un direttore generale con contratto a tempo determinato per sovrintendere alla gestione dell'ente locale (TUEL art. 108).

Nel scorsa legislatura è stata operata una profonda riforma della disciplina dei segretari comunali e provinciali con l'abrogazione dell'Agenzia per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali ad opera del decreto-legge n. 78 del 2010 (art. 7, comma da 31-ter a 31-septies) e l'affidamento della gestione dell'albo al Ministero dell'interno. E' stata così ripristinata la disciplina in vigore prima del 1997, quando è stata istituita l'Agenzia che aveva sostituito il Ministero dell'interno quale datore di lavoro dei segretari (Legge 127 del 1997, c.d. "Bassanini 2").

A quanto previsto dal decreto-legge n. 78 è stata data attuazione con il decreto interministeriale del Ministero dell'interno e del Ministero dell'economia e delle finanze del 23 maggio 2012, con il quale è stata stabilita la data di effettivo esercizio delle funzioni trasferite e sono state individuate le risorse umane, strumentali e finanziarie riallocate presso il Ministero dell'interno.

Successivamente, il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 ha istituito il Consiglio direttivo per la gestione dell'Albo dei segretari comunali e provinciali presso il Ministero dell'interno, già in parte disciplinato dal citato decreto ministeriale del 23 maggio (art. 10, commi 7-8). Inoltre, al fine del contenimento della spesa pubblica, il medesimo provvedimento ha disposto la soppressione della Scuola Superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale stabilendo, altresì, le regole per tutti gli adempimenti successivi e consequenziali a tale soppressione (art. 10, commi 2-6).

Negli ultimi anni, attraverso diversi provvedimenti normativi, ai segretari sono state attribuite nuove importanti funzioni in materia di anticorruzione e controllo interno. La legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge anticorruzione) ha individuato nel segretario comunale e provinciale il responsabile della prevenzione della corruzione negli enti locali, salvo diversa e motivata determinazione (art. 1, co. 7).

 

Si ricorda, infine, che il disegno di legge del Governo di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, attualmente all'esame del Senato (A.S. 1577-B, art. 9, comma 1, lett. b), n. 4), prevede l'abolizione della figura dei segretari comunali e provinciali - nell'ambito di una disposizione di delega di riforma generale della dirigenza pubblica - e la conseguente confluenza delle attuali figure nel ruolo unico dei dirigenti locali, con il trasferimento delle relative funzioni.


 

 

Articolo 4, comma 4-ter
(Esercizio in forma associata di funzioni da parte
degli enti di area vasta)

 

 

L’articolo 4, comma 4-ter, stabilisce che, ove le leggi regionali prevedano ambiti territoriali comprensivi di due o più enti di area vasta per l’esercizio ottimale in forma associata delle funzioni conferite alle province, gli enti interessati possono, tramite accordi e di intesa con le regioni, definire le modalità di detto esercizio anche tramite organi comuni.

 

Si ricorda in proposito che la cd. Legge Delrio (L. 56/2014) definisce enti di area vasta le città metropolitane e le province (rispettivamente art. 1, commi 2 e 3 L. 56/2014).

 

La disposizione del comma 4-ter è dettata “ai fini di quanto previsto dal comma 89 dell’articolo 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56”, che disciplina il riordino della funzioni non fondamentali delle province. Queste ultime, in particolare, devono essere riattribuite, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 Cost,. dallo Stato e dalle regioni, secondo le rispettive competenze, ad altri enti (regioni e comuni) o anche alle province medesime.

 

Si osserva che il richiamo all’art. 1, comma 89, della ‘legge Delrio’, sembrerebbe limitare l’ambito di applicazione della norma alle sole funzioni non fondamentali.

 

La norma introduce pertanto la facoltà per gli enti di area vasta di istituire organi comuni per l’esercizio in forma associata delle funzioni negli ambiti territoriali ottimali individuati dalle leggi regionali. Essa non precisa la natura e le modalità di funzionamento degli organi comuni, che saranno dunque definiti dalle leggi regionali.

 

Si segnala infine che la disposizione, introdotta nel corso dell’esame al Senato, recepisce una condizione posta dalla Commissione per gli affari regionali nel parere espresso in data 8 luglio 2015.


 

 

Articolo 4-bis
(Disposizioni per la funzionalità operativa delle Agenzie fiscali)

 

 

L’articolo 4-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede che le agenzie fiscali possano annullare i concorsi per dirigente banditi, ma non ancora conclusi, e indire, per un corrispondente numero di posti, nuovi concorsi da concludere entro il 31 dicembre 2016. Fino all'assunzione dei vincitori dei concorsi per la dirigenza, e comunque non oltre il 31 dicembre 2016, i dirigenti delle stessa agenzie possono delegare a funzionari della terza area le funzioni relative agli uffici e i connessi poteri di adozione degli atti. A fronte delle responsabilità loro delegate, ai funzionari in questione viene temporaneamente attribuita una posizione organizzativa. Le risorse connesse al risparmio di spesa previsto sino all'espletamento dei concorsi banditi per la copertura dei posti dirigenziali vacanti sono utilizzate per finanziare le posizioni organizzative temporaneamente istituite, fermo restando che non meno del 15 per cento del risparmio stesso deve comunque essere destinato ad economia di bilancio.

Più nel dettaglio, il comma 1 autorizza le agenzie fiscali ad annullare le procedure concorsuali per la copertura di posti dirigenziali bandite e non ancora concluse, e a indire concorsi pubblici per soli esami (le cui modalità sono definite con successivo decreto interministeriale, nel rispetto delle disposizioni del D.Lgs. 165/2001) per un corrispondente numero di posti, da espletare entro il 31 dicembre 2016, da avviarsi prioritariamente rispetto alle procedure di mobilità (compresa quella volontaria) previste dalla legislazione vigente, tenendo conto della particolare professionalità alla cui verifica sono diretti i concorsi stessi.

Si dispone, inoltre, che una percentuale non superiore al 30 per cento dei posti banditi sia riservata al personale dipendente dalle agenzie fiscali, che possono assumere i vincitori nei limiti delle loro facoltà assunzionali.

 

Si segnala che l'articolo 2 dello schema di decreto legislativo sulla riorganizzazione delle agenzie fiscali (A.G. 181) contiene una previsione analoga, volta a coprire le vacanze nell'organico dei dirigenti delle agenzie fiscali, legate all'aumento dei compiti delle stesse nella lotta contro l'evasione, aggravate dalle conseguenze della sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015 con la quale è stata dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma (articolo 8, comma 24, del D.L. n. 16 del 2012) che ha consentito, in attesa dell'espletamento dei concorsi pubblici esterni, l'attribuzione temporanea degli incarichi dirigenziali vacanti a funzionari già in servizio nelle agenzie fiscali, selezionati sulla base di apposite procedure interne: per assicurare una celere copertura delle vacanze di organico, lo schema autorizza le agenzie fiscali ad annullare le procedure concorsuali bandite nel 2013 e nel 2014 e non ancora concluse e ad indire nuovi concorsi pubblici, per soli esami, che dovranno essere conclusi entro il 31 dicembre 2016.

A differenza di quanto previsto dall’articolo 2 dello schema di decreto legislativo attuativo della delega fiscale, la norma in esame fa riferimento alle procedure concorsuali bandite e non ancora concluse. La Relazione tecnica riferisce che l’Agenzia delle entrate ha due concorsi per dirigenti con procedure non ancora concluse, banditi rispettivamente nel 2010 e nel 2014, per complessive 578 posizioni; l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha due concorsi per dirigenti con procedure non ancora concluse, banditi rispettivamente nel 2011 e nel 2013, per complessive 117 posizioni.

La sentenza n. 37 del 2015 ha comportato la decadenza di oltre 1.000 funzionari “reggenti” (866 nell’Agenzia delle entrate), lasciando senza responsabile più di due terzi degli uffici.

Per esigenze di funzionalità operativa, il comma 2 dispone che i dirigenti delle Agenzie fiscali possono delegare - previa procedura selettiva e per una durata non eccedente l'espletamento dei concorsi di cui al comma 1 e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2016 - le funzioni relative agli uffici di cui hanno assunto la direzione interinale e i connessi poteri di adozione di atti (escluse le attribuzioni riservate loro per legge) a funzionari di terza area con almeno 5 anni di esperienza nell’area stessa, in numero non superiore a quello dei posti messi a concorso ai sensi del comma 1 e di quelle già bandite e non annullate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame, tenendo conto, tra l’altro, della specificità della preparazione, dell'esperienza professionale e delle capacità richieste a seconda dei diversi compiti.

Il sistema di classificazione del personale delle Agenzie fiscali è articolato in prima, seconda e terza area. Sulla base di quanto previsto dall’art. 26 del Capo V del CCNL relativo al personale del comparto delle agenzie fiscali per il quadriennio normativo 2002 – 2005 e biennio economico 2002 – 2003, Nell’ambito della terza area le Agenzie, sulla base dei loro ordinamenti ed in relazione alle proprie esigenze, possono conferire ai dipendenti ivi inseriti, effettivamente in servizio, incarichi di natura organizzativa o professionale che, pur rientrando nell’ambito delle funzioni di appartenenza, richiedano lo svolgimento di compiti di elevata responsabilità ed alta professionalità.

A fronte delle responsabilità gestionali connesse all'esercizio delle suddette deleghe, ai funzionari delegati sono attribuite (temporaneamente e solo per fronteggiare la situazione in essere), nuove posizioni organizzative di livello non dirigenziale (di cui all'articolo 23-quinquies, comma 1, lettera a), punto 2), del D.L. 95/2012).

 

L'articolo 23-quinquies del D.L. 95/2012, nel prevedere la riduzione del personale, sia dirigenziale che non dirigenziale, del Ministero dell'economia e delle finanze e delle Agenzie fiscali, dispone che, per assicurare la funzionalità dell'assetto operativo conseguente alla riduzione dell'organico dirigenziale delle Agenzie fiscali, possono essere previste posizioni organizzative di livello non dirigenziale, in ogni caso non oltre 380 unità complessive, nei limiti del risparmio di spesa conseguente alla riduzione delle posizioni dirigenziali (detratta una quota non inferiore al 20 per cento, e in ogni caso in misura non superiore a 13,8 milioni di euro), da affidare, sulla base di apposite procedure selettive, a personale della terza area che abbia maturato almeno 5 anni di esperienza professionale nell'area stessa.

 

La Relazione tecnica, sulla base di quanto disposto dall’articolo in esame, quantifica il numero dei delegati titolari di posizione organizzativa provvisoria: per l'Agenzia delle entrate si ipotizzano 578 posizioni, corrispondenti a quelle previste dai concorsi banditi rispettivamente nel 2010 e nel 2014, ma non ancora conclusi e che, in base al comma 1 dell’articolo in esame, potrebbero essere annullati o confermati; per l’Agenzia delle dogane e dei monopoli si ipotizzano 117 posizioni, corrispondenti a quelle previste dai concorsi banditi rispettivamente nel 2011 e nel 2013 ma non ancora conclusi e che, parimenti, potranno essere eventualmente annullati e riproposti.

 

Il comma 3 dispone che le risorse connesse al risparmio di spesa previsto sino all'espletamento dei concorsi banditi per la copertura dei posti dirigenziali vacanti sono utilizzate per finanziare le posizioni organizzative temporaneamente istituite, fermo restando che non meno del 15 per cento del risparmio stesso deve comunque essere destinato ad economia di bilancio.

 


 

Articolo 5
(Misure in materia di polizia provinciale)

 

 

L'articolo in esame dispone il transito del personale appartenente al Corpo ed ai "servizi" di Polizia provinciale, nei ruoli degli enti locali per funzioni di polizia municipale.

Più in particolare, viene specificato che agli enti di area vasta e alle città metropolitane è attribuita l’individuazione del personale di polizia provinciale necessario per l'esercizio delle loro funzioni fondamentali.

Spetta inoltre alle leggi regionali la riallocazione delle funzioni di polizia amministrativa locale e del relativo personale nell'ambito dei processi dì riordino delle funzioni provinciali.

Il personale non individuato o non riallocato, entro il 31 ottobre 2015, in base alle suddette leggi regionali e all’individuazione operata dagli enti di area vasta e dalle città metropolitane, è trasferito ai comuni, singoli o associati. Per il transito sono poste agli enti locali alcune condizioni o facoltà:

§  limiti della dotazione organica;

§  programmazione triennale dei fabbisogni di personale;

§  deroga alle vigenti disposizioni in materia di limitazioni alle spese ed alle assunzioni di personale;

§  rispetto del patto di stabilità interno nell'esercizio di riferimento, e sostenibilità di bilancio;

§  divieto per gli enti locali - a pena di nullità e fino a quando il personale appartenente al Corpo ed ai servizi di polizia provinciale non sia stato completamente assorbito - di qualsivoglia assunzione per lo svolgimento di funzioni di polizia locale. Fanno eccezione le assunzioni a tempo determinato effettuate dopo l’entrata in vigore del decreto-legge in commento per esigenze di carattere strettamente stagionale e per periodi non superiori a 5 mesi nell’anno solare (comma 6).

Modalità e procedure del transito del personale sono definite con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa consultazione con le confederazioni sindacali rappresentative e previa intesa in sede di Conferenza unificata (ai sensi dell'articolo 1, comma 423 della legge n. 190 del 2014, espressamente richiamato dal testo, che a sua volta rinvia all'articolo 30, comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001).

Nelle more dell'emanazione del suddetto decreto, le modalità di avvalimento immediato del personale da trasferire sono concordate dagli enti di area vasta e dalle città metropolitane con i comuni del territorio, singoli o associati.

 

 

L’attività di polizia locale, diretta alla protezione degli interessi della comunità locale, è materia di competenza legislativa regionale, in base all’art. 117, quarto comma, della Costituzione. Alle regioni compete quindi dettare le norme di principio, mentre permane la competenza di comuni e provincie all’emanazione di regolamenti ed ordinanze nell’ambito della polizia locale.

Una ulteriore specificazione di tale potestà regolamentare e del relativo rapporto con la legislazione regionale è contenuta nel D.Lgs. n. 112/1998 (in attuazione della cd. Legge Bassanini), che ha conferito alle regioni e agli enti locali tutte le funzioni ed i compiti di polizia amministrativa nelle materie ad essi rispettivamente trasferite o attribuite, specificando inoltre che il servizio di polizia locale è disciplinato dalle leggi regionali e dai regolamenti degli enti locali, nel rispetto dei principi della legislazione statale nelle materie alla stessa riservate. Inoltre ai sensi dell’art. 48, comma 3, TUEL, l’organo competente ad approvare il regolamento del servizio di Polizia municipale (o provinciale) è individuabile nella Giunta comunale (o provinciale).

La materia è in gran parte ancora disciplinata nella L. 7 marzo 1986, n. 65, “Legge quadro sull’ordinamento della polizia municipale”. Gli ambiti di intervento e le tipologie di azioni della polizia municipale sono molto eterogenei. Accanto alle funzioni di polizia amministrativa, la polizia municipale svolge interventi di polizia giudiziaria, di polizia stradale, nonché attività di pubblica sicurezza e di sicurezza urbana.

Alla base dell’istituzione dei corpi di polizia provinciale è la legge quadro del 1986 sull’ordinamento della polizia municipale, che prevede che gli enti locali diversi dai comuni svolgono le funzioni di polizia locale di cui sono titolari, anche a mezzo di appositi servizi (L. n. 65/1986, art. 12).

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato specificato che agli enti di area vasta e alle città metropolitane è attribuita l’individuazione del personale di polizia provinciale necessario per l'esercizio delle loro funzioni fondamentali, (comma 2).

In base alla legge 56/2014 (art. 1, comma 85) le province, quali enti con funzioni di area vasta, esercitano le seguenti funzioni fondamentali:

a)   pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;

b)   pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;

c)   programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale;

d)   raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;

e)   gestione dell'edilizia scolastica;

f)     controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale.

 

Viene mantenuto fermo quanto disposto dall'articolo 1, comma 421, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che individua la dotazione organica delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario a decorrere dall’anno 2015.

 

Inoltre, spetta alle leggi regionali la riallocazione delle funzioni di polizia amministrativa locale e del relativo personale nell'ambito dei processi dì riordino delle funzioni provinciali in attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 89, della legge 7 aprile 2014, n. 56 (comma 3).

La disposizione richiamata (comma 89 art. 1) disciplina il riordino della funzioni non fondamentali delle province; queste ultime, in particolare, devono essere riattribuite, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 Cost,. dallo Stato e dalle regioni, secondo le rispettive competenze, ad altri enti (regioni e comuni) o anche alle province medesime.

 

Il personale non individuato o non riallocato, entro il 31 ottobre 2015, in base alle suddette leggi regionali e all’individuazione operata dagli enti di area vasta e dalle città metropolitane, è trasferito ai comuni, singoli o associati. Per il transito sono poste agli enti locali alcune condizioni o facoltà: limiti della dotazione organica; programmazione triennale dei fabbisogni di personale; deroga alle vigenti disposizioni in materia di limitazioni alle spese ed alle assunzioni di personale; rispetto del patto di stabilità interno nell'esercizio di riferimento, e sostenibilità di bilancio; divieto per gli enti locali - a pena di nullità e fino a quando il personale appartenente al Corpo ed ai servizi di polizia provinciale non sia stato completamente assorbito - di qualsivoglia assunzione per lo svolgimento di funzioni di polizia locale. Fanno eccezione le assunzioni a tempo determinato effettuate dopo l’entrata in vigore del decreto-legge in commento per esigenze di carattere strettamente stagionale e per periodi non superiori a 5 mesi nell’anno solare.

Nelle more dell'emanazione del decreto, gli enti di area vasta e le città metropolitane concordano con i comuni del territorio, singoli o associati, le modalità di avvalimento immediato del personale da trasferire secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 427, della legge di stabilità 2015 (23 dicembre 2014, n. 190). Tale disposizione, prevede, in particolare, che, nelle more della conclusione delle procedure di mobilità previste dalla medesima legge di stabilità (commi da 421 a 428, art. 1), il relativo personale rimane in servizio presso le città metropolitane e le province con possibilità di avvalimento da parte delle regioni e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che tengano conto del riordino delle funzioni e con oneri a carico dell'ente utilizzatore (commi 4, 5, 6).

 

Il personale appartenente ai Corpi ed ai servizi di polizia provinciale - circa 2.700 unità, nelle regioni a statuto ordinario, risulta dalla relazione tecnica – è investito dalla rideterminazione delle funzioni provinciali configurata dalle legge n. 56 del 2014 (commi 85 e 86 dell’art. 1). Essa ha mantenuto in capo alle città metropolitane e alle province, tra l’altro, le funzioni in materia di tutela e valorizzazione dell'ambiente e regolazione della circolazione stradale – settori in cui opera la polizia provinciale (articolo 1, comma 85, lettere a) e b).

La medesima legge n. 56 del 2014 rimette ad un accordo sancito in sede di Conferenza unificata l’individuazione puntuale da parte di Stato e regioni delle funzioni amministrative oggetto del riordino e delle relative competenze (articolo 1, comma 91).

Con tale accordo – raggiunto l'11 settembre 2014 - si è convenuto che, nel rispetto del principio di coerenza dell’ordinamento, per le funzioni che rientrino nell’ambito di applicazione di disegni di legge di delega o di deleghe già in atto relativi a riforme di settori organici, lo Stato e le regioni sospendano l’adozione di provvedimenti di riordino fino all’entrata in vigore delle riforme in discussione. Fino a tale entrata in vigore, le predette funzioni continuano ad essere esercitate dagli enti di area vasta o dalle Città metropolitane.

La circolare della Presidenza del Consiglio 29 gennaio 2015, n. 1 - recante le linee guida in materia di attuazione delle disposizioni in materia di personale e di altri profili connessi al riordino delle funzioni delle province e delle città metropolitane ed emanata a seguito delle disposizioni della legge di stabilità 2015 sul personale delle Province - prevede l’esclusione dai percorsi di mobilità da essa disciplinati dei dipendenti che svolgono i compiti di polizia provinciale. La circolare prevede che “per questo personale saranno definiti specifici percorsi di ricollocazione a valle degli interventi di razionalizzazione e potenziamento dell'efficacia delle funzioni di polizia, anche in funzione di una migliore cooperazione sul territorio, garantendo in ogni caso la neutralità finanziaria”.

 

È infine prevista una clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano, volta a stabilire che le disposizioni dell’art. 5 si applicano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (comma 7).

La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 che ha riformato il titolo V della parte seconda della Costituzione, dispone in particolare (articolo 10) la possibile applicazione delle disposizioni della legge costituzionale alle regioni a statuto speciale «per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite», fino all’adeguamento dei rispettivi statuti. La legge costituzionale 3/2001, infatti, ha riformato il sistema delle autonomie lasciando inalterato la distinzione tra autonomie ordinarie e speciali. In ragione della norma contenuta nell'art. 10 (cosiddetta clausola di maggior favore), la Corte costituzionale valuta in relazione a ciascuna questione di legittimità, se prendere a parametro l’articolo 117 Cost. anziché le norme statutarie, nel caso in cui la potestà legislativa da esso conferita nella materia oggetto della questione, assicura una autonomia più ampia di quella prevista dagli statuti speciali.

 

Si ricorda, riguardo al personale su cui interviene l’art. 5, che il disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione (S. 1577-B), in corso di esame parlamentare, include – tra i criteri e principi di delega al Governo di cui all’articolo 8 - il “riordino dei corpi di polizia provinciale”, in coerenza con la riforma delle province (legge n. 56 del 2014), escludendo in ogni caso la confluenza nelle Forze di Polizia.


 

 

Articolo 5-bis
(Proroga dell’impiego del personale militare
appartenente alle Forze armate)

 

 

L’articolo 5-bis riproduce il testo dell'articolo 1 del decreto legge 1 luglio 2015, n. 85 (Disposizioni urgenti per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio), che proroga fino al 31 dicembre 2015 l'impiego di personale militare appartenente alle Forze Armate per compiti di vigilanza a siti e obiettivi sensibili, previsto inizialmente dai commi 24 e 25 del decreto-legge n. 78 del 2009 e da ultimo prorogato fino al 30 giugno 2015 dall’articolo 5 decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7.

 

In particolare il comma 1 dell’articolo 5 del decreto legge n. 7 del 2015 ha:

1)   prorogato, fino al 30 giugno 2015, l'operatività del piano di impiego operativo di cui al comma 1 dell'articolo 7-bis del decreto-legge n. 92 del 2008, concernente l’utilizzo di un contingente massimo di 3.000 unità di personale militare appartenente alle Forze armate per il controllo del territorio in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia;

2)   incrementato di 1.800 il sopra richiamato contingente in relazione alle straordinarie esigenze di prevenzione e contrasto del terrorismo;

3)   consentito di prorogare ulteriormente, fino al 31 dicembre 2015, un contingente non superiore a 200 unità di personale militare posto a disposizione dei Prefetti delle province della regione Campania, nell'ambito delle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio finalizzate alla prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e ambientale (operazione c.d. “terra dei fuochi”).

 

Per quanto concerne, poi, le disposizioni di carattere ordinamentale concernenti l’utilizzo dei militari impiegati nel richiamato piano di impiego il comma 1 dell’articolo 5 ha fatto salve le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 7-bis del decreto legge n.92 del 2008 in base alle quali:

1.    il personale militare è posto a disposizione dei prefetti interessati (comma 1);

2.    il piano di impiego del personale delle Forze armate è adottato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa, sentito il Comitato nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica integrato dal Capo di stato maggiore della difesa e previa informazione al Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Ministro dell’interno riferisce in proposito alle competenti Commissioni parlamentari (comma 2);

3.    nel corso delle operazioni i militari delle Forze armate agiscono con le funzioni di agenti di pubblica sicurezza.


 

Per quanto concerne la copertura finanziaria della disposizione, il comma 2 dell’articolo 5-bis quantifica in 42.446.841 milioni di euro il costo della norma relativamente all’anno 2015 di cui :

§  41.346.841 per il personale delle forze armate impiegato nel piano di impiego operativo (comma 74 dell’articolo 24 del decreto legge n. 78 del 2009);

§  1,1 milioni di euro per il personale delle forze di polizia che concorrono, unitamente alle Forze armate, nel controllo del territorio (comma 75 dell’articolo 24 del decreto legge n. 78 del 2009).

 


 

 

Articolo 6, commi 1-6
(Misure per emergenza liquidità di enti locali
impegnati in ripristino legalità)

 

 

I commi in esame dispongono anticipazioni di liquidità in favore degli enti locali commissariati per fenomeni di infiltrazioni di tipo mafioso, al fine di garantire a tali enti la liquidità necessaria a garantire il rispetto dei tempi di pagamento nelle transazioni commerciali, di cui all’articolo 4 del D.Lgs. n. 231/2002.

 

In particolare, il comma 1 – modificato dal maxi emendamento al Senato - concede un'anticipazione di liquidità fino ad un importo massimo di 40 milioni per l'anno 2015, in favore degli enti locali commissariati in conseguenza a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare, ai sensi dell'articolo 143 del TUEL (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) ovvero il cui periodo di commissariamento risulti scaduto da non più di 18 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame (20 giugno 2015).

 

La norma è finalizzata a garantire il rispetto dei tempi di pagamento nelle transazioni commerciali da parte degli enti locali interessati, di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, che fissa in 30 giorni i termini ordinari per il pagamento per le transazioni commerciali in cui la parte debitrice è una pubblica amministrazione (termine prorogabile fino a 60 giorni solo in presenza di determinate condizioni).

 

L'anticipazione di liquidità è concessa su istanza dell'ente interessato, da presentare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame - così precisata dal maxi emendamento al Senato - con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze. Qualora le istanze eccedano l’importo di 40 milioni complessivamente indicato dal comma 1, il riparto delle anticipazioni sarà effettuato in misura proporzionale alle istanze medesime (comma 2).

Il comma 3 disciplina le modalità di restituzione dell'anticipazione, secondo un piano di ammortamento a rate costanti, comprensive degli interessi, della durata massima di trenta anni a decorrere dal 2019. Sono a tal fine previsti versamenti su appositi capitoli nello stato di previsione dell'entrata, distinguendo tra la quota capitale e quella interessi. Gli importi relativi alla quota capitale sono riassegnati al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato.

Il tasso di interesse da applicare alle anticipazioni è determinato sulla base del rendimento di mercato dei Buoni poliennali del tesoro a 5 anni in corso di emissione. In caso di mancata restituzione delle rate nei termini qui previsti le somme sono recuperate a valere sulle risorse a qualunque titolo dovute dal Ministero dell'interno.

Ai fini della concessione dell'anticipazione di cui al comma 1, il comma 4 prevede l'utilizzo delle somme iscritte in conto residui, per l'importo di 40 milioni di euro per l'anno 2015, nell’ambito della Sezione relativa agli enti locali del “Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti certi, liquidi ed esigibili”, istituito dall’articolo 1, comma 10, del D.L. n. 35/2013, che sono pertanto versate, nel medesimo anno, all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate allo stato di previsione del Ministero dell'interno per le finalità di cui al comma 1.

 

Ai fini dell’utilizzo delle somme in questione, andrebbe chiarito se si tratta di residui a fronte dei quali non corrispondono impegni già assunti negli esercizi precedenti.

 

Il Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti certi, liquidi ed esigibili, si rammenta, è stato istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, dall’articolo 1, comma 10, del D.L. 8 aprile 2013, n. 35[52] (legge n. 64/2013), al fine di assicurare alle regioni e agli enti locali la liquidità necessaria ai suddetti pagamenti di debiti maturati alla data del 31 dicembre 2012, con obbligo di restituzione.

Tale Fondo - inizialmente dotato di 9,3 miliardi di euro nel 2013 e 14,5 miliardi nel 2014 – è stato poi rideterminato, dall’articolo 13 del D.L. n. 102/2013, in complessivi 16,5 miliardi per il 2013 e in 14,5 miliardi per il 2014. Successivamente, il Fondo è stato incrementato dal D.L. n. 66/2014 (articolo 32) di 6 miliardi di euro per il 2014.

Il Fondo è ripartito in tre Sezioni, destinate, rispettivamente, al pagamento dei debiti degli enti locali, delle regioni (debiti non sanitari) e degli enti del Servizio Sanitario nazionale. Tali ultime due sezioni sono gestite direttamente dal MEF, mentre la gestione della “Sezione enti locali” è stata affidata a Cassa depositi e prestiti, competente a valutare – sulla base dei criteri e delle procedure legislativamente predeterminate – la concessione delle anticipazioni e la loro erogazione.

Quanto alle risorse specifiche della “Sezione enti locali”, la sua dotazione finanziaria (inizialmente stabilità dall’articolo 1, comma 10, del D.L. n. 35/2013 in 1,8 miliardi di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014) è stata rideterminata ai sensi del D.L. n. 102/2013 e del D.M. Economia 10 febbraio 2014[53] in 3,4 miliardi per l'anno 2013[54] e in 2,2 miliardi per l'anno 2014[55]. A tali importi si sono aggiunti ulteriori 3 miliardi di euro per il 2014, a seguito del riparto effettuato dal D.M. 15 luglio 2014 delle risorse autorizzate dal D.L. n. 66/2014.

 

Il comma 5 prevede il differimento al 2019 la decorrenza del rimborso delle anticipazioni liquidità, maggiorate degli interessi, erogate agli enti di cui al comma 1 a valere sulla “Sezione enti locali”, in deroga a quanto previsto dall'articolo 6, comma 2, dello stesso D.L. n. 35 del 2013, il quale stabilisce che, ai fini dell'ammortamento delle anticipazioni di liquidità, la prima rata decorre dall'anno successivo a quello di sottoscrizione del contratto.

 

Il comma 6 provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dai commi 3 e 5 a valere sul Fondo speciale di parte corrente, allo scopo utilizzando parzialmente l'accantonamento riferito al Ministero dell'economia e delle finanze.

La Relazione tecnica quantifica gli oneri derivanti dal comma 3 in 428 mila euro per il 2016, 415 mila euro per il 2016 e in 403 mila euro per il 2018; quelli derivanti dal comma 5 in 9,9 milioni di euro per il 2016, 9,7 milioni per il 201 e in circa 9,5 milioni per il 2018.

 

L’articolo 143 del TUEL prevede che i consigli comunali e provinciali siano sciolti quando emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.

Il prefetto competente per territorio dispone ogni opportuno accertamento, anche nominando una commissione d’indagine. Entro il termine di 45 giorni dal deposito delle conclusioni della commissione d’indagine, il prefetto invia al Ministro dell’interno una relazione nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli elementi in questione.

Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione, ed è immediatamente trasmesso alle Camere. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti.

Il decreto di scioglimento è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Al decreto sono allegate la proposta del Ministro dell’interno e la relazione del prefetto, salvo che il Consiglio dei ministri disponga di mantenere la riservatezza su parti della proposta o della relazione nei casi in cui lo ritenga strettamente necessario.

Il decreto di scioglimento conserva i suoi effetti per un periodo da dodici mesi a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, dandone comunicazione alle Commissioni parlamentari competenti, al fine di assicurare il regolare funzionamento dei servizi affidati alle amministrazioni, nel rispetto dei princìpi di imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa. Le elezioni degli organi sciolti ai sensi del presente articolo si svolgono in occasione del turno annuale ordinario.

Con il decreto di scioglimento è nominata una commissione straordinaria per la gestione dell'ente, la quale esercita le attribuzioni che le sono conferite con il decreto stesso. La commissione rimane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile.

 


 

 

Articolo 6, comma 7
(Assunzioni a tempo determinato presso gli enti locali commissariati)

 

 

Per esigenze di riorganizzazione strutturale, il comma 7 autorizza gli enti locali commissariati alla data di entrata in vigore del decreto legge in esame (ovvero il cui periodo di commissariamento risulti scaduto da non più di un anno alla medesima data) ad effettuare assunzioni di personale a tempo determinato, anche in deroga ai limiti previsti dalla legislazione vigente.

Più nel dettaglio, i suddetti enti possono assumere fino ad un massimo di tre unità di personale a tempo determinato ai sensi degli articoli 90, comma 1, 108 e 110 del D.Lgs. n. 267/2000 (Testo unico sugli enti locali), relativi, rispettivamente:

§  all'assunzione di collaboratori a tempo determinato negli uffici alle dirette dipendenze degli organi di direzione politica;

§  alla nomina, nei comuni con più di 15.000 abitanti e nelle province, di un direttore generale al di fuori della dotazione organica e con contratto a tempo determinato;

§  agli incarichi conferiti con contratto a tempo determinato per la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione.

Ai suddetti enti non si applica, per il periodo di scioglimento degli organi consiliari (conseguente a fenomeni di infiltrazione di tipo mafioso o similare) e per i successivi cinque anni, la disposizione che proibisce alle amministrazioni pubbliche che registrano tempi medi nei pagamenti superiori a 90 giorni nel 2014 e a 60 giorni a decorrere dal 2015 di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo (compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione) nell'anno successivo a quello di riferimento (anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto) (ex articolo 41, comma 2, del D.L. n. 66/2014).

Agli oneri derivanti dalla deroga prevista dal comma in esame, si provvede nei limiti delle disponibilità di bilancio dei medesimi enti attraverso la corrispondente riduzione di altre spese correnti.


 

 

Articolo 7, commi 1 e 2
(Rinegoziazione mutui enti locali)

 

 

Il comma 1 attribuisce agli enti locali la possibilità di realizzare le operazioni di rinegoziazione di mutui di cui all'articolo 1, commi 430 e 537 della legge n. 190 del 2014, anche nel corso dell'esercizio provvisorio di cui all'articolo 163 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL). Resta fermo per gli enti locali l'obbligo di effettuare le relative iscrizioni nel bilancio di previsione.

Il comma 2 dispone che, per l'anno 2015, le risorse derivanti da operazioni di rinegoziazione di mutui possono essere utilizzate dagli enti locali senza vincoli di destinazione.

 

Il comma 430 prevede che le provincie e le citta metropolitane, a seguito del processo di trasferimento delle funzioni delle province, possano rinegoziare le rate di specifici mutui in scadenza nel 2015 con conseguente rimodulazione del relativo piano di ammortamento (anche in deroga alle disposizioni di cui all’articolo 204, comma 2, lettera c), del TUEL, che stabilisce che la rata di ammortamento deve essere comprensiva, sin dal primo anno, della quota capitale e della quota interessi) con onere a carico dell’ente richiedente.

Il comma 537 consente agli enti locali che abbiano effettuato operazioni di rinegoziazione relative a passività relative all’emissione di strumenti obbligazionari (o ad altri titoli che prevedano il rimborso del capitale in un’unica soluzione) di rinegoziare ulteriormente i mutui relativi a tali operazioni, per una durata massima di trenta anni dal perfezionamento della nuova rinegoziazione; ciò al fine di una più agevole gestione del debito pregresso da parte degli enti interessati.

La disposizione richiama in proposito l’articolo 62, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008 che, nello stabilire che le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali non possono più emettere strumenti finanziari derivati, ha nel contempo stabilito che per gli enti medesimi la durata di una singola operazione di indebitamento, anche se consistente nella rinegoziazione di una passività esistente, non può essere superiore a trenta né inferiore a cinque anni.

 

Si ricorda che se il bilancio di previsione non è approvato dal Consiglio entro il 31 dicembre dell'anno precedente, la gestione finanziaria dell'ente si svolge nel rispetto dei principi applicati della contabilità finanziaria riguardanti l'esercizio provvisorio (o la gestione provvisoria). Nel corso dell'esercizio provvisorio, gli enti gestiscono gli stanziamenti di competenza previsti nell'ultimo bilancio approvato per l'esercizio cui si riferisce l'esercizio provvisorio, ed effettuano i pagamenti entro i limiti determinati dalla somma dei residui al 31 dicembre dell'anno precedente e degli stanziamenti di competenza al netto del fondo pluriennale vincolato.

L'esercizio provvisorio è autorizzato con legge o con decreto del Ministro dell'interno che, ai sensi di quanto previsto dall'art. 151, primo comma, differisce il termine di approvazione del bilancio, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomia locale, in presenza di motivate esigenze. Nel corso dell'esercizio provvisorio non è consentito il ricorso all'indebitamento e gli enti possono impegnare solo spese correnti, le eventuali spese correlate riguardanti le partite di giro, lavori pubblici di somma urgenza o altri interventi di somma urgenza. Nel corso dell'esercizio provvisorio è consentito il ricorso all'anticipazione di tesoreria di cui all'art. 222 del TUEL.

All'avvio dell'esercizio provvisorio l'ente trasmette al tesoriere l'elenco dei residui presunti alla data del 1° gennaio e gli stanziamenti di competenza riguardanti l'anno a cui si riferisce l'esercizio provvisorio previsti nell'ultimo bilancio di previsione approvato, aggiornati alle variazioni deliberate nel corso dell'esercizio precedente, indicanti - per ciascuna missione, programma e titolo - gli impegni già assunti e l'importo del fondo pluriennale vincolato.

Nel corso dell'esercizio provvisorio, gli enti possono impegnare mensilmente, unitamente alla quota dei dodicesimi non utilizzata nei mesi precedenti, per ciascun programma, le spese consentite, per importi non superiori ad un dodicesimo degli stanziamenti del secondo esercizio del bilancio di previsione deliberato l'anno precedente, ridotti delle somme già impegnate negli esercizi precedenti e dell'importo accantonato al fondo pluriennale vincolato, con l'esclusione delle spese:

a)    tassativamente regolate dalla legge;

b)    non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi;

c)    a carattere continuativo necessarie per garantire il mantenimento del livello qualitativo e quantitativo dei servizi esistenti, impegnate a seguito della scadenza dei relativi contratti.

I pagamenti riguardanti spese escluse dal limite dei dodicesimi sono individuati nel mandato attraverso l'indicatore di cui all'art. 185, comma 2, lettera i-bis) del TUEL.

Nel corso dell'esercizio provvisorio, sono consentite le variazioni di bilancio previste dall'art. 187, comma 3-quinquies, del TUEL, quelle riguardanti le variazioni del fondo pluriennale vincolato, quelle necessarie alla reimputazione agli esercizi in cui sono esigibili, di obbligazioni riguardanti entrate vincolate già assunte, e delle spese correlate, nei casi in cui anche la spesa è oggetto di reimputazione l'eventuale aggiornamento delle spese già impegnate. Tali variazioni rilevano solo ai fini della gestione dei dodicesimi.

 


 

Articolo 7, comma 2-bis
(Riequilibrio di bilancio per gli enti dissestati)

 

 

L’articolo 7, comma 2-bis interviene sulla procedura di riequilibrio finanziario degli enti in dissesto, prolungando di un anno il termine per il raggiungimento dell’ equilibrio di bilancio ed includendovi anche le province e città metropolitane.

A tal fine il comma in esame modifica l’articolo 259 del TUEL (D.Lgs. n. 267/2000), nel quale si prevede che entro tre mesi dalla nomina dell’organo straordinario di liquidazione[56] che gestisce la procedura di dissesto, il consiglio dell’ente locale interessato presenti al Ministero dell’ interno una ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato.

L’articolo 1-ter di tale articolo prevede poi (al primo periodo) che nei comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti, nel caso in cui il riequilibrio del bilancio sia significativamente condizionato dall'esito delle misure di riduzione di almeno il 20 per cento dei costi dei servizi, nonché dalla razionalizzazione di tutti gli organismi e società partecipati, laddove presenti, i cui costi incidono sul bilancio dell'ente, l'ente può raggiungere l'equilibrio, in deroga alle norme vigenti, entro l'esercizio in cui si completa la riorganizzazione dei servizi comunali e la razionalizzazione di tutti gli organismi partecipati, e comunque entro tre anni, compreso quello in cui è stato deliberato il dissesto.

Il comma 2-bis interviene sul comma 1-ter suddetto, inserendo un secondo periodo nel quale il termine in questione è esteso a tutti gli enti locali (vale a dire anche a province e città metropolitane) e viene prolungato di un anno, portandolo da tre a quattro anni.

Al riguardo si segnala l’opportunità di coordinare meglio il testo della modifica rispetto al dettato del comma 1-ter oggetto della modifica medesima, atteso che il termine “enti locali” inserito come secondo periodo del comma ricomprende necessariamente anche i “comuni” enunciati nel primo periodo, per i quali tuttavia il testo risultante dopo la modifica continua a mantenere il termine dei tre anni.


 

 

Articolo 7, comma 3
(Riduzione di risorse ai comuni ai sensi
dell’art. 16 del D.L. n. 95/2012, c.d. spending review)

 

 

Il comma 3 reca le modalità di ripartizione tra i comuni e le province della ulteriore riduzione di risorse che grava nei confronti di tali enti per gli anni a decorrere dal 2015 ai sensi dell’articolo 16, commi 6 e 7, del D.L. n. 95/2012 (c.d. spending review), rispetto al taglio operato nell’anno 2014.

 

Si ricorda che l'articolo 16, commi 6 e 7, del D.L. n. 95/2012 (cd. spending review) – più volte modificati ed integrati da disposizioni successive[57] - dispone a carico dei comuni e delle province un contributo alla finanza pubblica per il triennio 2013-2015 e per gli anni successivi, in termini di riduzioni dei fondi sperimentali di riequilibrio (per i comuni, ora Fondo di solidarietà comunale) - nonché dei trasferimenti erariali spettanti ai comuni e alle province delle Regioni Siciliana e Sardegna - nei seguenti importi:

§  per i comuni, di 500 milioni per l'anno 2012, 2.250 milioni per il 2013, 2.500 milioni per il 2014 e 2.600 milioni a decorrere dall'anno 2015;

§  per le province, di 500 milioni per l'anno 2012, 1.200 milioni per gli anni 2013 e 2014 e 1.250 milioni a decorrere dall'anno 2015.

 

Secondo quanto previsto dalla legislazione vigente suesposta, a decorrere dal 2015 è stabilito per i comuni e le province un incremento della riduzione dei Fondi ad essi spettanti – rispettivamente, Fondo di solidarietà comunale e Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale - rispetto al taglio già effettuato nell’anno 2014, di 100 milioni di euro per i comuni e di 50 milioni di euro per le province.

Tale ulteriore riduzione dei trasferimenti è ripartita in proporzione alle riduzioni già effettuate per l'anno 2014 a carico di ciascun comune e di ciascuna provincia, fermo restando l'effetto già generato fino al 2014 dai commi 6 e 7 del citato articolo 16.

La maggiore riduzione non può, in ogni caso, assumere un valore negativo.

 

Per quanto concerne i criteri da applicare per la determinazione delle riduzioni da imputare a ciascun comune, il comma 6 dell’articolo 16 del D.L. n. 95/2012 prevede che esse le riduzioni sono determinate, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'interno, in proporzione alla media delle spese sostenute per consumi intermedi nel triennio 2010-2012, desunte dal SIOPE[58] (Sistema Informativo delle Operazioni degli Enti Pubblici), fermo restando che la riduzione per abitante di ciascun ente non può assumere valore superiore al 250 per cento della media costituita dal rapporto fra riduzioni calcolate sulla base dei dati SIOPE 2010-2012 e la popolazione residente di tutti i comuni, relativamente a ciascuna classe demografica[59]. In caso di incapienza, sulla base dei dati comunicati dal Ministero dell'interno, l'Agenzia delle Entrate provvede al recupero delle predette somme nei confronti dei comuni interessati all'atto del pagamento agli stessi comuni dell'imposta municipale propria. Le somme recuperate sono versate allo Stato contestualmente all'imposta municipale propria riservata allo Stato.

Per quanto concerne il riparto tra le singole province, il comma 7 del citato articolo 16prevede che le riduzioni di spese siano determinate dalla Conferenza Stato-città, sulla base dell’istruttoria condotta dall’UPI, e recepite con decreto del Ministero dell’interno, tenendo conto delle analisi della spesa effettuate dal Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa pubblica, di cui al D.L. n. 52/2012 (c.d. Spending review 1), degli elementi di costo nei singoli settori merceologici, dei dati raccolti nell’ambito della procedura per la determinazione dei fabbisogni standard, nonché dei fabbisogni standard stessi, e dei conseguenti risparmi potenziali di ciascun ente. In caso di mancata deliberazione della Conferenza Stato-città, è previsto che il decreto del Ministero dell'interno sia comunque emanato, ripartendo la riduzione complessiva tra le province in misura proporzionale alle spese sostenute per consumi intermedi, come desunte per l’anno 2011 dal SIOPE. I termini per operare le riduzioni sono fissati entro il 15 ottobre 2012, relativamente alle riduzioni da operare nell'anno 2012[60], ed entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente a quello di riferimento relativamente alle riduzioni da operare per gli anni 2013 e successivi.

In deroga a quanto detto, per gli anni 2013 e 2014, il D.L. n. 35/2013 ha introdotto una disciplina speciale, stabilendo che in caso di mancata deliberazione della Conferenza Stato-città, le riduzioni da imputare a ciascuna provincia siano determinate dal Ministro dell’interno, non in misura proporzionale alle spese sostenute per consumi intermedi, ma in proporzione alle spese desunte dal SIOPE sostenute nel 2011 per acquisto di beni e servizi, con l’esclusione di quelle relative alle spese per formazione professionale, per trasporto pubblico locale, per la raccolta di rifiuti solidi urbani e per servizi socialmente utili finanziati dallo Stato. Tale disciplina non ha peraltro ricevuto attuazione.

Per l’anno 2013, infatti, le riduzioni derivanti dalla spending review da applicare a ciascuna provincia sono state disposte secondo gli importi indicati nell’Allegato 1 ai DD.LL. nn. 126 e 151 del 2013, decaduti, i cui effetti sono fatti salvi dall’articolo 1, comma 2, della legge di conversione del decreto-legge n. 16/2014. Analogamente, per l’anno 2014, gli importi di riduzione da applicare a ciascuna provincia sono stati definiti nell’Allegato 1 all’articolo 10, comma 1 del medesimo D.L. n. 16/2014.

In caso di incapienza, sulla base dei dati comunicati dal Ministero dell'interno, l'Agenzia delle entrate provvede al recupero delle predette somme nei confronti delle province interessate a valere sui versamenti dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, all'atto del riversamento del relativo gettito alle province medesime.


 

 

Articolo 7, comma 4
(Affidamento riscossione TARES)

 

 

Il comma 4 - modificando il vigente articolo 1, comma 691, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 - estende la facoltà dei comuni di affidare, fino alla scadenza del relativo contratto, la gestione dell'accertamento e della riscossione della TARES, anche nel caso di adozione della tariffa discendente da un sistema di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, con le medesime modalità già previste per la TARI, vale a dire ai soggetti ai quali, alla data del 31 dicembre 2013, risultava affidato il servizio di gestione dei rifiuti o di accertamento e riscossione del tributo comunale sui rifiuti.

 

Si ricorda che la legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013, commi 639-668 e 682-705) ha istituito la nuova tassa sui rifiuti - TARI individuandone il presupposto, i soggetti tenuti al pagamento, le riduzioni e le esclusioni, e riprendendo, in larga parte, quanto previsto dalla normativa vigente in materia di TARES (contestualmente abrogata). Il decreto-legge n. 16 del 2014 ha autorizzato i comuni a introdurre riduzioni della Tari per rifiuti speciali assimilati avviati al riciclo e ha reso meno stringenti i criteri di determinazione della tariffa, che sta alla base della tassa (comma 650).

 

L’articolo 14, comma 35, del decreto- legge n. 201 del 2011 - che aveva istituito la Tares, poi sostituita dalla Tari - dava la possibilità ai comuni di affidare, fino al 31 dicembre 2013, la gestione del tributo in commento ai soggetti che a tale data svolgevano, anche disgiuntamente, il servizio di gestione dei rifiuti e di accertamento e riscossione della TARSU, della TIA 1 e della TIA 2 (sostituite dalla Tares).

Secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa all’A.S. 1977, molti comuni hanno ritenuto di affidare in prima battuta ai gestori dei rifiuti la sola riscossione ordinaria, e non l’attività di accertamento.

Poiché l’articolo 14 è stato abrogato dalla legge di stabilità 2014, che prevede la possibilità di affidare al gestore in essere al 31 dicembre 2013 sia l’attività di riscossione che di accertamento della sola TARI, fino alla scadenza del relativo contratto (comma 691), si è venuto a creare un vuoto normativo relativamente all’attività di accertamento Tares 2013, che la disposizione in commento intende risolvere.

 

Si segnala che il successivo comma 9 dispone che tra le componenti di costo vanno considerati anche gli eventuali mancati ricavi relativi a crediti risultati inesigibili con riferimento a Tia e Tares.


 

 

Articolo 7, comma 5
(Destinazione del 10 per cento delle risorse derivanti dall'alienazione del patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali)

 

 

Il comma 5 aggiunge un periodo al comma 11 dell'articolo 56-bis del decreto-legge n. 69 del 2013 relativo alla destinazione al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato del 10 per cento delle risorse nette derivanti dall'alienazione dell'originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali.

Il nuovo periodo specifica che per gli enti territoriali la predetta quota del 10 per cento è destinata:

1.   prioritariamente all'estinzione anticipata dei mutui;

2.   per la restante quota alla copertura di spese di investimento;

3.   in assenza di queste o per la parte eccedente, per la riduzione del debito, secondo quanto stabilito dal comma 443 dell'articolo 1 della legge n. 228 del 2012.

Ai sensi del predetto comma 443 i proventi da alienazioni di beni patrimoniali disponibili possono essere destinati esclusivamente alla copertura di spese di investimento ovvero, in assenza di queste o per la parte eccedente, per la riduzione del debito.

 

Si ricorda che l’articolo 56-bis, comma 11, del decreto-legge n. 69 del 2013 ha previsto che, in considerazione dell’esigenza prioritaria di riduzione del debito pubblico, il 10 per cento delle risorse nette derivanti dalla alienazione dell’originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali è destinato al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, con le modalità previste dall’articolo 9, comma 5, del D.Lgs. n. 85 del 2010 (c.d. “federalismo demaniale”), salvo che una percentuale uguale o maggiore non sia destinata per legge alla riduzione del debito del medesimo ente.

A titolo esemplificativo, si ricorda quanto previsto dall’articolo 23-ter, comma 1, lettera g), del D.L. n. 95 del 2012, in base al quale la totalità delle risorse rivenienti dalla valorizzazione ed alienazione degli immobili di proprietà delle regioni e degli enti locali trasferiti agli appositi fondi comuni d'investimento immobiliare è destinata alla riduzione del debito dell’ente e, solo in assenza del debito, o comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento.

 

Nel corso dell’esame al Senato le disposizioni in esame, inizialmente previste per i soli comuni, sono state estese anche agli altri enti territoriali.

 


 

 

Articolo 7, comma 6
(Modifica del piano di riequilibrio finanziario pluriennale)

 

 

Il comma 6 modifica il comma 15 dell'articolo 1, del decreto-legge n. 35 del 2013 in materia di richiesta di anticipazioni di liquidità da parte degli enti locali in procedura di riequilibrio finanziario pluriennale per il pagamento dei debiti pregressi.

Il suddetto comma 15 dispone che in caso di richiesta dell'anticipazione di liquidità alla Cassa depositi e prestiti S.p.A[61] - anticipazione prevista dal comma 13 del medesimo articolo 1 in presenza di carenza di liquidità da parte dell’ente per far fronte ai pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine - gli enti locali che abbiano deliberato il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ai sensi dell’articolo 243-bis del TUEL (D.Lgs. n.267/2000) [62] sono tenuti alla corrispondente modifica del piano di riequilibrio, da adottarsi obbligatoriamente entro sessanta giorni dalla concessione della anticipazione da parte della Cassa depositi e prestiti S.p.A.

Il comma 6 in esame modifica tale scadenza dei sessanta giorni, stabilendo che la modifica del piano debba intervenire entro il termine del 31 dicembre 2015.

 

 


 

 

Articolo 7, comma 7
(Proroga riscossione EE.LL.)

 

 

Il comma 7, modificando l’articolo 10, comma 2-ter del decreto-legge n. 35 del 2013, differisce al 31 dicembre 2015:

§  il termine entro cui le società agenti della riscossione cessano di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate;

§  il termine a decorrere dal quale le suddette società possono svolgere l’attività di riscossione, spontanea o coattiva, delle entrate degli enti pubblici territoriali, nonché le altre attività strumentali, soltanto a seguito di affidamento mediante procedure ad evidenza pubblica.

Le disposizioni in esame prolungano dunque dal 30 giugno al 31 dicembre 2015 l’operatività delle vigenti disposizioni in materia di gestione delle entrate locali (sia per i tributi che per le entrate di natura diversa, di pertinenza di tutti gli enti territoriali e nono solo dei comuni), superando la scadenza a decorrere dalla quale la società Equitalia e le società per azioni dalla stessa partecipata avrebbero dovuto cessare - secondo quanto stabilito all'articolo 7, lettera gg-ter), del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, e successive proroghe - di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate dei comuni e delle società da questi ultimi partecipate.

Si rammenta che, nella sua formulazione originaria, il comma 2-ter dell’articolo 10 del decreto-legge n. 35 del 2013 consentiva ai comuni di continuare ad avvalersi di Equitalia per la riscossione dei tributi fino al 31 dicembre 2013. La norma permetteva dunque - solo per la predetta attività di riscossione dei tributi (e non anche per le entrate di natura diversa) - di superare la precedente scadenza del 30 giugno 2013, a decorrere dalla quale la società Equitalia e le società per azioni dalla stessa partecipata avrebbero cessato - secondo quanto stabilito all'articolo 7, lettera gg-ter), del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, e successive proroghe - di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate dei comuni e delle società da questi ultimi partecipate.

Successivamente sulla norma è intervenuto l’articolo 53 del decreto-legge n. 69 del 2013, per effetto del quale è stata prorogata al 31 dicembre 2013 l’operatività delle vigenti disposizioni in materia di gestione delle entrate locali anche per le entrate di natura diversa dai tributi di tutti gli enti territoriali, non solo dunque dei comuni.

Tale termine, inizialmente fissato al 1° gennaio 2012, era stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2012 dal decreto-legge n. 201 del 2011 e, quindi, al 30 giugno 2013 dall’articolo 9, comma 4, del decreto-legge n. 174 del 2012, in attesa del riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate degli enti territoriali.

Il decreto-legge n. 69 dunque ha riallineato tutte le scadenze al 31 dicembre 2013 al fine di favorire il riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate dei Comuni, anche mediante istituzione di un consorzio, che si avvale delle società del Gruppo Equitalia per le attività di supporto all’esercizio delle funzioni relative alla riscossione.

La legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 610 della legge n. 147 del 2013) aveva ulteriormente rinviato il predetto termine dal 31 dicembre 2013 al 31 dicembre 2014 e, da ultimo la legge di stabilità 2015 (articolo 1, comma 642 della legge n. 190 del 2014) lo aveva ulteriormente differito al 30 giugno 2015.

Si ricorda che la legge delega sulla riforma fiscale (legge n. 23 del 2014) dedica specifica attenzione al riordino della riscossione delle entrate locali, disponendo (articolo 10, comma 1, lettera c)) la revisione della procedura dell’ingiunzione fiscale e delle ordinarie procedure di riscossione coattiva dei tributi, per adattarle alla riscossione locale. Si intende procedere inoltre alla revisione dei requisiti per l’iscrizione all’albo dei concessionari, all’emanazione di linee guida per la redazione di capitolati, nonché a introdurre strumenti di controllo e a garantire la pubblicità. Si dispone lo snellimento delle procedure di recupero dei crediti di modesta entità e vengono previste iniziative per rafforzare all’interno degli enti locali le strutture e le competenze specialistiche necessarie per la gestione diretta della riscossione, ovvero per il controllo delle strutture esterne affidatarie. Le attività di riscossione devono essere assoggettate a regole pubblicistiche; i soggetti ad essa preposte operano secondo un codice deontologico, con specifiche cause di incompatibilità per gli esponenti aziendali che rivestono ruoli apicali negli enti affidatari dei servizi di riscossione. Si segnala che il 27 giugno 2015 è scaduto il termine per l'attuazione della delega, senza che tale norma sia stata attuata.

 

La riscossione delle entrate dei comuni nel quadro del D.L. 70/2011

Il richiamato articolo 7, comma 2, lettere da gg-ter) a gg-septies) del decreto-legge 70/2011 stabilisce che a partire da una specifica data – come si è visto, da ultimo il 31 dicembre 2015 - Equitalia Spa e le società da essa partecipate cessino di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione - spontanea e coattiva – delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate.

Dal momento di tale cessazione spetterà dunque ai comuni effettuare la riscossione spontanea e coattiva delle entrate tributarie e patrimoniali e, ove optino per l’affidamento del servizio a soggetti esterni (con modalità diverse dunque dall’esercizio diretto o dall’affidamento in house), essi dovranno procedere nel rispetto delle norme in materia di evidenza pubblica secondo:

§  la procedura d'ingiunzione fiscale prevista dal regio decreto n. 639 del 1910, che costituisce titolo esecutivo. L’ingiunzione fiscale consiste in un atto amministrativo dell’ufficio finanziario contenente l’ordine per il debitore di imposta di pagare l’importo dovuto entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi. L’ingiunzione costituisce un atto complesso con molteplici funzioni e contenuti quali: determinare l’ammontare del tributo; mettere in mora il debitore; creare il titolo esecutivo;

§  le disposizioni del titolo II (Riscossione coattiva) del D.P.R. n. 602 del 1973 per quanto compatibili e, comunque, nel rispetto dei limiti di importo e delle condizioni stabilite per gli agenti della riscossione in caso di iscrizione ipotecaria e di espropriazione forzata immobiliare.

Il sindaco o il legale rappresentante della società incaricata della riscossione dovranno nominare uno o più funzionari responsabili della riscossione che esercitino: le funzioni demandate agli ufficiali della riscossione, ovvero quelle attribuite al segretario comunale dall'articolo 11 del R.D. n. 639/1910 (assistenza all'incanto, stesura del relativo), in ottemperanza ai requisiti di legge (abilitazione e autorizzazione) richiesti per ricoprire il ruolo di degli ufficiali della riscossione.

Ove la gestione della riscossione delle entrate comunali sia affidata a soggetti privati (per effetto delle modifiche apportate alla lettera gg-septies) dall’articolo 5, comma 8-bis del D.L. n. 16 del 2012) questi ultimi debbano aprire uno o più conti correnti dedicati a tale attività. Essi avranno inoltre l’obbligo di riversamento alla tesoreria delle somme riscosse - al netto dell’aggio e delle spese anticipate dall’agente della riscossione – entro la prima decade del mese.

 

Il vigente sistema di riscossione delle entrate locali

A seguito della riforma della riscossione operata dal decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 – con passaggio da un sistema di affidamento in concessione all’attribuzione delle competenze all’Agenzia delle entrate, operante attraverso l’agente unico Equitalia S.p.A. – la legge ha recato una dettagliata disciplina transitoria, volta a favorire il transito di funzioni e di carichi dagli ex concessionari ad Equitalia e alle relative società partecipate.

In particolare, ai sensi del comma 24 dell'articolo 3 del D.L. n. 203 del 2005, alle ex società concessionarie della riscossione è stata data la possibilità di trasferire, in via totale o parziale, il proprio capitale sociale ad Equitalia S.p.a. (continuando dunque, anche con assetti proprietari diversi, a svolgere l'attività di riscossione erariale e locale).

In alternativa, e fino al momento dell'eventuale cessione, totale o parziale, del proprio capitale sociale ad Equitalia, ai concessionari è stato consentito di scorporare il ramo d'azienda concernente le attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali, cedendolo a soggetti terzi, nonché alle società iscritte nell'apposito albo dei soggetti abilitati ad effettuare le attività di accertamento e riscossione dei tributi per gli enti locali (ai sensi dell'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446).

Nel caso di scorporo e di cessione del ramo di azienda, le norme hanno consentito ai cessionari di proseguire le attività di accertamento e riscossione di entrate locali, in mancanza di diversa determinazione degli enti medesimi (che avrebbero potuto optare per l’affidamento in house o per la gestione diretta, ovvero associata, etc.), purché le società avessero i requisiti per l'iscrizione al citato albo dei soggetti abilitati ad accertare e riscuotere le entrate locali. Ai cessionari è stato concesso di agire mediante la ricordata procedura dell'ingiunzione fiscale, fatta eccezione per i ruoli consegnati fino alla data del trasferimento, per i quali avrebbero trovato applicazione le ordinarie disposizioni di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

Ai sensi del successivo comma 25, fino alla predetta data del 31 dicembre 2015, nel caso di mancato trasferimento del ramo d’azienda e ove non vi sia diversa determinazione dell'ente creditore, le attività di accertamento e riscossione sono affidate a Equitalia S.p.A. o alle società partecipate, fermo il rispetto di procedure di gara ad evidenza pubblica.

Infine, fatto salvo l'eventuale affidamento temporaneo a Equitalia, il comma 25-bis sancisce che l'attività di riscossione spontanea e coattiva degli enti pubblici territoriali può essere svolta dalle società cessionarie del ramo d'azienda, da Equitalia S.p.A. e dalle partecipate soltanto a seguito di affidamento mediante procedure ad evidenza pubblica, con decorrenza 30 giugno 2015.

 


 

 

Articolo 7, comma 8
(Scioglimento di consorzi controllati da enti locali)

 

 

Il comma 8 modifica l'articolo 1, comma 568-bis, lett. a), della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) includendo il consorzio - accanto alla società o azienda speciale controllata direttamente o indirettamente, già previste a legislazione vigente - tra le fattispecie giuridiche di organismi partecipati in relazione alle quali è prevista la facoltà di scioglimento anche “incentivato” da parte delle amministrazioni locali.

 

Si rammenta che il 568-bis, lett. a) suddetta, nell’autorizzare lo scioglimento, reca alcune misure di favore fiscale volte ad agevolare le amministrazioni locali nel percorso di ridimensionamento e razionalizzazione delle proprie partecipate.

La norma dispone infatti che se lo scioglimento è in corso ovvero è deliberato non oltre ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della disposizione[63], gli atti e le operazioni posti in essere in favore di pubbliche amministrazioni in seguito allo scioglimento della società o azienda speciale sono esenti da imposizione fiscale, incluse le imposte sui redditi e l'imposta regionale sulle attività produttive, ad eccezione dell'imposta sul valore aggiunto e le imposte di registro, ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa. Inoltre, ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze realizzate in capo alla società controllante non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell'esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi.

Il comma 8 in esame estende ora tali norme anche allo scioglimento dei consorzi, atteso che questi costituiscono una delle fattispecie giuridiche mediante cui gli enti locali esercitano funzioni istituzionali.


 

Articolo 7, comma 8-bis
(Cessazioni delle partecipazioni da parte
delle amministrazioni pubbliche)

 

 

Il comma 8-bis dell’articolo 7 prevede che le partecipazioni delle amministrazioni territoriali nelle società non strettamente necessarie per le rispettive finalità istituzionali possano essere mantenute anche dopo la scadenza del termine di cessazione delle stesse, ora previsto al 31 dicembre 2015, qualora le amministrazioni interessate abbiano entro tale termine approvato il mantenimento della partecipazione mediante appositi piani di razionalizzazione.

 

Il comma 8-bis modifica la disciplina sulla cessazione delle partecipazioni societarie da parte delle pubbliche amministrazioni dettate dall’articolo 1, comma 569 della legge n.147 del 2013 (legge di stabilità 2014)

Tale norma, si rammenta, proroga al 1° gennaio 2015 del termine entro il quale procedere alla cessione, da parte delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001[64], delle partecipazioni in società aventi per oggetto sociale attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali della P.A. partecipante. La norma medesima dispone altresì che entro i dodici mesi successivi alla cessazione (e dunque, entro il 1° dicembre 2016) la società è tenuta a liquidare in denaro il valore della quota del socio cessato, sulla base dei criteri stabiliti dalla disciplina civilistica sui criteri di determinazione del valore delle azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso (art. 2437-ter, secondo comma cc.)[65].

Si ricorda che il predetto termine era stato inizialmente fissato dal comma 29 dell’articolo 3 della legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007) in 36 mesi dalla data di entrata in vigore della medesima legge, e dunque scaduto il 1° gennaio 2011. Il comma 569 della legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013) aveva poi prolungato il predetto termine di quattro mesi oltre la data di entrata in vigore della medesima legge di stabilità, e dunque al 1° maggio 2014 (disponendo contestualmente che, decorso tale tempo, la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessasse ad ogni effetto) e, da ultimo, l’articolo 2,del decreto-legge ha esteso il termine medesimo fino a dodici mesi, vale a dire al 1°gennaio 2015.

Con il comma 8-bis in esame si aggiunge ora all’articolo 1 della legge n.147/2013 un ulteriore comma, il 569-bis, nel quale si precisa che il suddetto termine di cessazione non trova applicazione nei confronti degli enti locali e territoriali[66] che nel dare attuazione al processo di razionalizzazione delle società partecipate locali previsto dall’articolo 1, commi 611 e 612 della legge si stabilità 2015 (L. n. 190/2014) hanno operato come segue:

§  abbiano mantenuto la propria partecipazione mediante l’approvazione di un apposito piano operativo di razionalizzazione;

§  tale partecipazione sia presente in società ed altri organismi aventi ad oggetto attività di produzione di beni e servizi indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali “anche solo limitatamente ad alcune attività o rami d’impresa”.

Inoltre il comma 569-bis medesimo dispone che:

§  la competenza all’emanazione del provvedimento di cessazione della partecipazione spetta all’assemblea dei soci;

§  qualunque delibera degli organo amministrativi e di controllo interni alle società partecipate che contrasti con le determinazioni contenute nel piano operativo di razionalizzazione è nulla ed inefficace.

 

Si richiamano brevemente le disposizioni contenute nei commi 611 e 612 della legge di stabilità 2014, in cui si prevede la riduzione del numero delle società entro il 31 dicembre 2015 :

a.    soppressione delle società e delle partecipazioni sociali non indispensabili per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali (anche mediante liquidazione e cessione);

b.    soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;

c.    eliminazione delle partecipazioni in società che svolgono attività analoghe a quelle svolte da altre partecipate o enti pubblici (anche mediante fusione o internalizzazione delle funzioni);

d.    aggregazione delle società di servizi pubblici locali di rilevanza economica; e) riorganizzazione interna delle società per contenere i costi di funzionamento (anche mediante riduzione delle remunerazione degli organi amministrativi e di controllo).

 

Per raggiungere l'obiettivo di razionalizzazione, si prevede la definizione e approvazione da parte degli organi di vertice delle amministrazioni interessate di un piano operativo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni, in relazione ai rispettivi ambiti di competenza, entro il 31 marzo 2015, corredato da relazione tecnica, che deve essere trasmesso alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti e pubblicato sul sito istituzionale dell’amministrazione. Entro il 31 marzo 2016, deve essere pubblicata, a cura della medesima amministrazione, una relazione sui risultati conseguiti, che, al pari del piano, dovrà essere trasmessa alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti e pubblicata sul sito istituzionale dell’amministrazione.

Le amministrazioni pubbliche cui è destinata tale disciplina sono: le regioni e le province autonome, gli enti locali, le camere di commercio, gli istituti di istruzione universitaria pubblici e le autorità portuali.

 

Al riguardo si osserva che il processo di eliminazione delle partecipazioni societarie previsto dai commi 611 e 612 sopradetti concerne le partecipazioni non indispensabili al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente partecipante, e, quindi, non sembrerebbe sussistere un obbligo (salvo autonome decisioni dell’ente) di dismissione per quelle partecipazioni in società che, come recita il comma 569-bis in esame, producano beni e servizi “indispensabili al perseguimento” di tali finalità.

Poiché peraltro il comma in esame fa riferimento, come si è sopra precisato, a partecipazioni indispensabili “anche solo limitatamente ad alcune attività o rami d’impresa”, recando quindi una definizione delle partecipazioni in questione in parte diversa da quella per le quali le norme suddette (come pure la norma originaria, costituita dall’articolo 3 della legge n.244/2007[67]) non pongono l’obbligo di dismissione, potrebbe ipotizzarsi che tale difformità lessicale sia alla base dell’intervento operato con il comma 569-bis.

Su tale questione apparirebbe pertanto necessario un chiarimento, anche al fine di meglio perimetrare l’applicabilità della norma.


 

 

Articolo 7, comma 9
(Norme in materia di TARI)

 

 

Il comma 9 aggiunge il comma 654-bis all'articolo 1, della legge n. 147 del 2013, in materia di tassa sui rifiuti. In particolare, si dispone che tra le componenti di costo per la determinazione della tariffa vanno considerati anche gli eventuali mancati ricavi relativi a crediti risultati inesigibili con riferimento alla tariffa di igiene ambientale, alla tariffa integrata ambientale, nonché del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES).

 

Si ricorda che la legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013, commi 639-668 e 682-705) ha istituito la nuova tassa sui rifiuti - TARI individuandone il presupposto, i soggetti tenuti al pagamento, le riduzioni e le esclusioni, e riprendendo, in larga parte, quanto previsto dalla normativa vigente in materia di TARES (contestualmente abrogata). Il decreto-legge n. 16 del 2014 ha autorizzato i comuni a introdurre riduzioni della Tari per rifiuti speciali assimilati avviati al riciclo e ha reso meno stringenti i criteri di determinazione della tariffa, che sta alla base della tassa (comma 650).

 

Ai sensi del comma 654 la tassa, che deve assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio, deve comprendere anche i costi dello smaltimento dei rifiuti nelle discariche. Sono, invece esclusi i costi relativi ai rifiuti speciali al cui smaltimento provvedono a proprie spese i relativi produttori.

 

Poiché il credito inesigibile si potrebbe riferire anche ad anni diversi da quello in cui viene addebitata la tassa, si osserva che la norma rischia di porre tale nuovo onere in capo ad una platea di contribuenti potenzialmente diversa da quella che ha usufruito del servizio.

 

Si segnala, infine, che il comma 4 del medesimo articolo estende la facoltà dei comuni di affidare la gestione dell'accertamento e della riscossione della TARES con le medesime modalità già previste per la TARI, vale a dire ai soggetti ai quali, alla data del 31 dicembre 2013, risultava affidato il servizio di gestione dei rifiuti o di accertamento e riscossione del tributo comunale sui rifiuti.


 

 

Articolo 7, comma 9-bis
(Modalità di notifica in materia di catasto
nelle provincie di Trento e Bolzano)

 

 

Il nuovo comma 9-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, autorizza le province autonome di Trento e Bolzano ad utilizzare lo strumento della notifica mediante affissione all'albo pretorio, di cui è data notizia nel Bollettino Ufficiale della Regione e altri strumenti adeguati di comunicazione, anche collettiva, compresi quelli telematici, per portare alla conoscenza degli intestatari le nuove rendite di particelle catastali coinvolte in interventi di miglioramento della rappresentanza cartografica catastale o di revisione degli estimi catastali, nell'esercizio delle funzioni amministrative in materia di catasto terreni e urbano delegate alle province autonome ai sensi del decreto legislativo n. 280 del 2001, per i fini previsti dall'articolo 74 della legge n. 342 del 2000 (attribuzione o modificazione delle rendite catastali).

 


 

Articolo 7, comma 9-ter
(Attribuzione ai rifiuti della caratteristica di “ecotossico”)

 

 

Il comma 9-ter dell’articolo 7, inserito nel corso dell’esame al Senato, detta una disposizione transitoria per l’attribuzione ai rifiuti della caratteristica di pericolo HP14 “ecotossico” (rifiuti che presentano o possono presentare rischi immediati o differiti per uno o più comparti ambientali) nelle more dell’adozione, da parte della Commissione europea, di specifici criteri per l’attribuzione ai rifiuti di tale caratteristica.

Si prevede, in particolare, che tale caratteristica venga attribuita secondo le modalità dell’accordo ADR per la classe 9-M6 e M7.

La norma è esplicitamente finalizzata a favorire la corretta gestione dei centri di raccolta comunale per il conferimento dei rifiuti presso gli impianti di destino, nonché per l’idonea classificazione dei rifiuti.

 

L’allegato D alla parte IV del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente) contiene l’elenco dei rifiuti istituito dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000 (“Decisione della Commissione che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi”).

L’articolo 3, comma 6, del D.L. 2/2012 ha sostituito il punto 5 del citato Allegato D prevedendo, tra l’altro, che, nelle more dell'adozione, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di uno specifico decreto che stabilisca la procedura tecnica per l'attribuzione della caratteristica H14, sentito il parere dell'ISPRA, tale caratteristica viene attribuita ai rifiuti secondo le modalità dell'accordo ADR per la classe 9 - M6 e M7.

L’ADR (Accordo internazionale per il trasporto di merci pericolose su strada) prevede 9 classi di pericolosità per le merci. La classe 9 è una classe “residuale” che comprende le materie e gli oggetti che, durante il trasporto, presentano un pericolo diverso da quelli compresi sotto il titolo delle altri classi[68]. Le sottocategorie M6 ed M7 riguardano materie pericolose per l’ambiente acquatico, rispettivamente liquide o solide.

Si segnala che, in data 29 settembre 2011, è stato emanato un parere ISPRA/ISS[69] in merito all’applicazione della classificazione dei rifiuti, con particolare riferimento alla caratteristica H 14 introdotta dagli allegati D e I del decreto legislativo n. 152 del 2006 in attesa della definizione di criteri univoci in sede europea.


 

Il regolamento della Commissione europea n. 1357/2014 ha sostituito l'allegato III della direttiva 2008/98/CE, recante le caratteristiche di pericolo per i rifiuti, richiamando in nota i criteri stabiliti nell'allegato VI della direttiva 67/548/CEE del Consiglio ai fini dell’'attribuzione della caratteristica di pericolo HP 14. La decisione della Commissione europea 955/2014 modifica la decisione 2000/532/CE relativa all'elenco dei rifiuti. La nuova disciplina europea si applica dal 1° giugno 2015.

 


 

Articolo 7, comma 9-quater
(Utilizzo dei contributi per le opere dell’Expo 2015)

 

 

Il comma 9-quater, introdotto al Senato, autorizza il Comune di Milano ad utilizzare l'importo complessivo dei contributi ministeriali assegnati, comprese le economie di gara, per far fronte a particolari esigenze impreviste e a variazioni venutesi a manifestare nell'ambito dell'esecuzione delle opere essenziali per lo svolgimento dell’evento Expo Milano 2015, inserite nell'Allegato 1 del D.P.C.M. 6 maggio 2013.

 

Il D.P.C.M. 6 maggio 2013, oltre alla nomina del Commissario unico per l’evento Expo Milano 2015, all’istituzione di organi e soggetti per la gestione delle attività e di un tavolo istituzionale, cosiddetto Tavolo tecnico, per gli interventi regionali e sovra regionali presieduto dal presidente pro-tempore della Regione Lombardia, elenca nell’Allegato 1 le opere infrastrutturali “essenziali” per lo svolgimento dell’evento Expo Milano 2015 con il dettaglio dei relativi investimenti suddivisi tra le varie fonti di finanziamento, che per la contribuzione di parte statale risultano pari a 1.482 milioni di euro.

 

La medesima norma prevede che le somme assegnate all'opera "Collegamento SS 11 - SS 233" Zara -Expo, dall'Allegato 1 del DPCM 6 maggio 2013, e quelle destinate al lotto 1B del medesimo intervento dal decreto-legge 145 del 2013 e dal successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 27 giugno 2014 sono da intendersi integralmente e indistintamente assegnate all'opera "Collegamento SS 11 - SS 233".

 

Per il collegamento SS 11-SS 233 l’Allegato 1 del citato D.P.C.M. prevede un finanziamento statale pari a 55,2 milioni di euro.

L'articolo 13, commi da 1 a 3, del D.L. 145/2013 ("Destinazione Italia") ha revocato risorse, assegnate per diversi lavori non avviati e indicati nelle delibere CIPE n. 146 del 17 novembre 2006 e n. 33 del 13 maggio 2010, che sono confluite nel cosiddetto "Fondo revoche", istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dall’articolo 32, comma 6 del D.L. 98/2011. Tali risorse sono destinate, tra l’altro, nel limite di 17,2 milioni di euro al collegamento Zara- Expo S.S. 11 – S.S. 233, lotto 1-B, a cui si sommano ulteriori 42,8 milioni di euro, derivanti dalla riduzione di quanto assegnato per l'annualità 2013 dal CIPE nella seduta del 9 settembre 2013, per la realizzazione della linea M4 della metropolitana di Milano.

Con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 27 giugno 2014, n. 46385, sono state apportate variazioni in termini di competenza, cassa e residui, allo stato di previsione del Ministero delle infrastrutture, per quanto riguarda tra l’altro gli anni finanziari 2015-2016, assegnando in termini di competenza e cassa 7,2 milioni di euro per l’anno finanziario 2015 al collegamento Zara- Expo S.S. 11 – S.S. 233, lotto 1-B.


 

 

Articolo 7, comma 9-quinquies
(Trasferimento funzioni provinciali)

 

 

L’articolo 7, comma 9-quinquies, introduce una norma di carattere sanzionatorio nei confronti delle regioni che entro il 30 ottobre 2015 non abbiano approvato in via definitiva le leggi relative al trasferimento delle funzioni provinciali non fondamentali, individuate con l'accordo sancito tra Stato e regioni in sede di Conferenza unificata l'11 settembre 2014, in attuazione della legge di riforma del sistema delle autonomie locali (L. 56/2014, art. 1, comma 95).

La sanzione consiste nel versamento annuale da parte di ciascuna regione inadempiente (entro il 30 novembre per il 2015 e entro il 30 aprile per gli anni successivi), a ciascuna provincia e città metropolitana situata nel proprio territorio, delle somme corrispondenti alle spese sostenute da queste per l’esercizio delle funzioni non trasferite.

La quantificazione di tale spese è demandata ad un decreto del Ministero dell’interno, da emanarsi entro la medesima data del 30 ottobre 2015.

L’obbligo del versamento cessa a partire dalla data di effettivo esercizio della funzione da parte dell’ente individuata dalla legge regionale.

 

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 1, comma 95, della cd. ‘legge Delrio’, le regioni, provvedono a dare attuazione all'accordo Stato-regioni entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge. Decorso il termine senza che la regione abbia provveduto, si applica il potere sostitutivo dello Stato (ai sensi dell’art. 8 della legge n. 131/2003).

 

Per ciò che attiene all'attuazione a livello regionale della normativa sul riordino delle funzioni delle province, la Conferenza delle regioni e delle province effettua il relativo monitoraggio.

In base agli ultimi dati, del 23 luglio 2015, sei regioni hanno provveduto ad adottare le relative leggi regionali: Calabria, Liguria, Lombardia, Marche, Toscana e Umbria.

Nelle altre regioni, le giunte hanno presentato i disegni di legge di attuazione, il cui iter risulta in corso di svolgimento.

 

 

La legge 56/2014 distingue tra funzioni fondamentali, demandate alle province, e funzioni non fondamentali.

Nelle specifico, le funzioni fondamentali sono:

a)    pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;

b)    pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali

c)    programmazione provinciale della rete scolastica

d)    raccolta ed elaborazione dati ed assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;

e)    gestione dell'edilizia scolastica;

f)     controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale.

Le province possono altresì, d'intesa con i comuni, esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive.

In base alla legge n. 56/2014, le altre funzioni attualmente esercitate dalle province (funzioni non fondamentali) devono essere oggetto di un riordino complessivo mediante accordo in sede di Conferenza unificata, con il quale Stato e Regioni devono individuare in modo puntuale tali funzioni e stabilirne le relative competenze sulla base dei seguenti principi: individuazione per ogni funzione dell'ambito territoriale ottimale di esercizio; efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei comuni; sussistenza di riconosciute esigenze unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio mediante intesa o convenzione.

Lo Stato provvede al riordino delle funzioni di sua competenza con apposito DPCM e le Regioni con proprie leggi. Come previsto dalla legge n. 56, le funzioni che nell'ambito del processo di riordino sono trasferite dalle province ad altri enti territoriali continuano ad essere da esse esercitate fino alla data dell'effettivo avvio di esercizio da parte dell'ente subentrante; tale data è determinata nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per le funzioni di competenza statale ovvero è stabilita dalla regione per le funzioni di competenza regionale.

In data 11 settembre 2014, è stato sancito in sede di Conferenza unificata l'accordo per l'individuazione delle funzioni non fondamentali delle province, oggetto di riordino. L’accordo individua quali funzioni amministrative oggetto di riordino di competenza statale unicamente funzioni relative alla materia della tutela delle minoranze linguistiche. Le regioni si impegnano ad adottare le iniziative legislative di loro competenza entro il 31 dicembre 2014.


 

 

Articolo 7, comma 9-sexies
(Disponibilità del Fondo di rotazione destinate al Piano di Azione Coesione per copertura sgravi contributivi)

 

 

Il comma, introdotto nel corso dell’esame al Senato, posticipa dal 30 settembre 2014 al 1° gennaio 2015 il termine con riferimento al quale sono individuate le effettive disponibilità del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie destinate agli interventi del Piano di azione coesione, utili a garantire la copertura finanziaria degli oneri derivanti dagli sgravi contributivi finalizzati a nuove assunzioni a tempo indeterminato, autorizzati dai commi 118-123 della legge n.190/2014 (legge di stabilità per il 2015).

A tal fine è modificato il comma 122 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, recante la norma di copertura finanziaria delle citate disposizioni, precisando che ad essa si provvede mediante riprogrammazione delle risorse non ancora impegnate alla data del 1° gennaio 2015 (in luogo del 30 settembre 2014) del Fondo di rotazione destinate agli interventi del Piano di azione coesione.

Tale comma, si rammenta provvede alla copertura degli oneri derivanti dagli incentivi in materia contributiva previsti dai citati commi 118 e 121, stimati pari a 1 miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni per il 2018, mediante la riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie di cui alla L. 183/1987, già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione, che, dal sistema di monitoraggio del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, risultavano non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014.

La norma di copertura si riferisce a quella quota di risorse di cofinanziamento nazionale che nel corso del 2011, a seguito di specifico accordo con la Commissione (ai sensi dell’articolo 33 del Regolamento CE n. 1083/2006), a causa dei forti ritardi nell’utilizzo dei fondi strutturali del ciclo 2007-2013, sono state distolte dai programmi Operativi attuativi dei Fondi strutturali che rischiavano il c.d. disimpegno automatico delle risorse, per essere riprogrammate su una serie di nuovi interventi individuati nel Piano di Azione Coesione.

In particolare, la riprogrammazione delle risorse dei fondi strutturali, con riferimento ai Programmi Operativi in forte ritardo di attuazione, è stata attuata tramite l’aumento, in termini percentuali, della quota di cofinanziamento comunitario, elevata dall’originario 50 al 75 per cento (limite massimo di partecipazione UE), e la corrispondente riduzione della quota di cofinanziamento nazionale (dal 50 al 25 per cento)[70].

Le risorse di cofinanziamento, che sono fuoriuscite dai programmi attuativi dei fondi strutturali, sono state riprogrammate e destinate agli obiettivi prioritari del Piano di Azione Coesione, nel rispetto del principio di territorialità (cfr. l'accordo siglato a novembre 2011 tra il Governo italiano e le Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia interessate dalla rimodulazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali).

Il Piano di Azione Coesione, articolato in più fasi di riprogrammazione, ha raggiunto nel suo complesso, a febbraio 2014, un valore di 13,5 miliardi di euro, a cui concorrono risorse nazionali derivanti dalla riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei Programmi Operativi (11,6 miliardi di euro) e risorse riprogrammate attraverso rimodulazione interna ai medesimi Programmi (circa 2 miliardi di euro).

L'utilizzo, per mezzo del Piano di Azione Coesione (PAC), di quota parte delle risorse di cofinanziamento ha evitato il disimpegno delle risorse comunitarie non utilizzate nell'ambito dei Programmi Operativi, che avrebbe generato, a sua volta, anche la perdita della corrispettiva quota di cofinanziamento nazionale.

Lo stato di attuazione delle linee di intervento programmate attraverso il Piano di Azione Coesione viene monitorato dal Sistema Informatico della Ragioneria Generale dello Stato che assicura, sulla base delle informazioni periodicamente inviate dalle Amministrazioni titolari degli interventi, una situazione aggiornata sul livello degli impegni e dei pagamenti. In base ai dati presenti su tale sistema, secondo le informazioni fornite dalla Ragioneria, al 31 dicembre 2014 risultano impegni giuridicamente vincolanti pari a 2.775,6 milioni di euro, pari al 29,9% delle risorse programmate. I pagamenti ammontano a 909,4 milioni di euro, pari al 9,8% delle risorse.

Atteso il basso livello di utilizzo delle risorse, in sede di legge di stabilità 2015, si è fatto ricorso ad una parte delle risorse non impegnate del PAC per coprire gli oneri derivanti dalla misura di decontribuzione INPS per le assunzioni a tempo indeterminato (art. 1, commi 118-123, legge n. 190/2014), per l’importo complessivo di 3,5 miliardi.

Secondo le informazioni fornite a suo tempo dalla Ragioneria generale dello Stato, l’individuazione delle risorse a carico del PAC è stata effettuata previa analisi dello stato di attuazione delle singole linee di intervento del Piano, d cui è emersa la disponibilità di risorse libere da impegni giuridicamente vincolanti alla data del 30 settembre 2014, sulla base delle scelte effettuate dal Gruppo di Azione Coesione.

 

Alla luce di quanto detto, sarebbe opportuno un chiarimento circa l’ammontare delle disponibilità del richiamato fondo al 1° gennaio 2015 rispetto a quelle presenti in data 30 settembre 2014.

 


 

 

Articolo 7, commi 9-septies – 9-quinquiesdecies
(Fondo integrativo Azienda del gas)

 

 

I commi da 9-septies a 9-quinquiesdecies dell’articolo 7, introdotti nel corso dell’esame al Senato, dispongono la soppressione, con effetto dal 1° dicembre 2015, del Fondo Gas (il fondo integrativo dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, vecchiaia e superstiti a favore del personale dipendente dalle aziende private del gas).

Più nel dettaglio, dalla suddetta data, oltre a cessare ogni contribuzione al Fondo Gas e a non venire liquidata alcuna nuova prestazione, è istituita presso l'INPS la Gestione ad esaurimento del Fondo Gas, che subentra nei rapporti attivi e passivi già in capo allo stesso, a carico della quale sono posti gli oneri riguardanti i trattamenti pensionistici integrativi in essere alla data del 30 novembre 2015 e le pensioni ai superstiti da essi derivanti (commi 9-septies, 9-octies e 9-novies).

Il patrimonio della Gestione è integrato mediante la riserva di legge accertata alla data del 30 novembre 2015 e secondo quanto previsto per la copertura degli oneri relativi ai trattamenti pensionistici integrativi in essere all'atto della soppressione del Fondo, per cui è stabilito un contributo straordinario pari a 351.646 euro per il 2015, 4.219.748 euro per il 2016, 3.814.309 euro per il 2017, 3.037.071 euro per il 2018, 1.831.941 euro per il 2019 e 110.145 euro per il 2020 a carico dei datori di lavoro delle aziende private del gas. Si demanda ad un successivo decreto interministeriale la definizione criteri con cui ripartire tra i suddetti datori di lavoro gli oneri relativi al contributo straordinario, nonché i tempi e le modalità di corresponsione del contributo all'INPS (commi 9-octies e 9-decies).

A favore degli iscritti in servizio o in prosecuzione volontaria della contribuzione che non maturano il diritto al trattamento pensionistico integrativo da parte del soppresso Fondo Gas alla data del 30 novembre 2015, è posto, a carico dei datori di lavoro, un importo pari all’1% per ogni anno di iscrizione al Fondo Gas (eventualmente rapportato alla frazione d'anno), moltiplicato per l'imponibile previdenziale relativo allo stesso Fondo Gas per l'anno 2014, che può essere lasciato presso il datore di lavoro o destinato a previdenza complementare; in quest'ultimo caso è considerata utile la data di iscrizione al Fondo Gas ai fini della determinazione dell'anzianità necessaria per la richiesta delle prestazioni pensionistiche complementari del sistema obbligatorio (di cui al D.Lgs. 252/2005) (comma 9-undecies). Tali importi sono destinati con le seguenti modalità (comma 9-duodecies):

§  in caso di adesione espressa (o mediante il sistema del silenzio assenso decorsi sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame), al fondo di previdenza complementare di riferimento del settore o ad altro fondo contrattualmente previsto. A decorrere dal mese successivo alla data di soppressione del Fondo Gas i datori di lavoro versano al fondo di riferimento del settore o ad altro fondo il suddetto importo in 240 quote mensili di uguale misura, accreditate nelle posizioni individuali degli iscritti. In caso di cessazione del rapporto di lavoro, l'importo residuo sarà conferito al fondo di previdenza complementare in un'unica soluzione, conferimento che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro con passaggio dei lavoratori a seguito di gara, è a carico dell'azienda cedente. In caso di cessione parziale o totale dell'azienda, di sua trasformazione, di altre operazioni che comunque comportino la prosecuzione del rapporto di lavoro e nel caso di passaggio diretto nell'ambito dello stesso gruppo, l'importo residuo è versato al fondo di previdenza complementare dell'azienda subentrante con le modalità previste alla presente lettera. Sui suddetti importi si applica il contributo di solidarietà del 10% previsto in favore della previdenza obbligatoria sulle somme a carico del datore di lavoro destinate a finalità di previdenza complementare (di cui all'art. 16, c. 1, del D.Lgs. 252/2005)[71] (lettera a));

§  in caso di espressa non adesione (entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame), ad un fondo di previdenza complementare. In tale ipotesi i datori di lavoro accantonano l'importo calcolato (con le stesse modalità previste al punto precedente) e lo erogano al momento della risoluzione del rapporto di lavoro. Gli importi accantonati sono rivalutati secondo le modalità previste dal successivo comma 9-terdecies (vedi infra). Nel caso in cui il lavoratore medesimo aderisca al fondo di previdenza complementare successivamente alla chiusura del Fondo Gas, vengono liquidate le somme da lui maturate fino a quel momento secondo le modalità previste al punto precedente, comunque all'atto di risoluzione del rapporto di lavoro; dal mese successivo a detta adesione il datore di lavoro versa la quota rimanente nella posizione individuale del fondo di previdenza complementare (lettera b)).

Si prevede poi un meccanismo di rivalutazione degli importi residui non ancora conferiti al Fondo o accantonati presso le aziende: questi sono maggiorati nella misura del 10% (a titolo forfetario di interessi e rivalutazioni), al compimento del quinto, decimo e quindicesimo anno dall'inizio della rateizzazione, mentre la rivalutazione è pari al 30% nel caso di cessazione del rapporto di lavoro per pensionamento durante i primi cinque anni di rateizzazione. Alle predette rivalutazioni si applica il trattamento fiscale previsto per le rivalutazioni del trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile[72] (comma 9-terdecies).

Dall’attuazione di quanto previsto dalle precedenti disposizioni (commi da 9-septies a 9-terdecies), tenuto conto del contributo straordinario di cui al comma 9-decies (vedi supra), non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (comma 9-quaterdecies).

L’entità del suddetto contributo straordinario (così come i criteri di ripartizione dello stesso tra i datori di lavoro, nonché dei tempi e delle modalità di corresponsione del contributo straordinario all'INPS) può essere rideterminata, con decreto direttoriale, qualora, a seguito dei risultati del monitoraggio, effettuato dall’INPS, delle minori entrate contributive e delle minori spese per prestazioni pensionistiche derivanti dall'applicazione delle suddette disposizioni, risulti insufficiente alla copertura dei relativi oneri (comma 9-quinquiesdecies).

Fondo di previdenza per il personale dipendente dalle aziende private del Gas

Il Fondo di previdenza per il personale dipendente dalle aziende private del Gas è un Fondo obbligatorio integrativo dell’Assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti, istituito con la L. 1084/1971.

Sono obbligatoriamente iscritti al Fondo i dipendenti delle aziende private del gas con qualifica di impiegato o di operaio, mentre è escluso dall'iscrizione il personale assunto per lavori di carattere eccezionale o temporaneo, nonché i dipendenti con qualifica di dirigente.

Per il finanziamento delle pensioni integrative, nonché per le relative spese di amministrazione, è dovuto al fondo un contributo totalmente a carico delle aziende (non è prevista la contribuzione figurativa).

Originariamente, non era prevista la contribuzione volontaria nel richiamato Fondo. Successivamente, l’art. 38, c. 5, della L. 289/2002 ha riconosciuto ai lavoratori iscritti al fondo Gas che, per effetto delle operazioni di separazione societaria in conseguenza degli obblighi derivanti dal D.Lgs. 164/2000, ovvero per messa in mobilità a seguito di ristrutturazione aziendale, all’atto di cessazione del rapporto di lavoro con le predette aziende non avessero maturato il diritto alle prestazioni pensionistiche del fondo, la facoltà in presenza di contestuale contribuzione figurativa, volontaria od obbligatoria nell’AGO, di proseguire volontariamente il versamento dei contributi integrativi, fino al conseguimento dei requisiti per le predette prestazioni (in attuazione di quanto previsto è stato emanato il DM 16 giugno 2003).

 

Articolo 7, comma 9-sexiesdecies
(Contributo in favore di Campione d’Italia)

 

 

Il comma 9-sexiesdecies, introdotto nel corso dell’esame al Senato, attribuisce al comune di Campione d’Italia, in considerazione delle sue peculiarità geo-politiche e dell'evoluzione negativa del tasso di cambio del franco svizzero, un contributo di 8 milioni di euro per il 2015.

 

Il contributo è posto a valere sulle disponibilità residue della “Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari" - in cui è articolato il “Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili" istituito dall’articolo 1, comma 10 del decreto-legge n. 35 del 2013[73], di cui l’articolo 8, commi 1 e 2, del provvedimento in esame reca norme di disciplina - non richieste dalle Regioni e dalle Province autonome alla data del 30 giugno 2015.

 

Il contributo non è considerato tra le entrate finali rilevanti ai fini del patto di stabilità interno.

Si ricorda che, ai sensi del comma 3 dell’articolo 31 della legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011), che reca la disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali, il saldo finanziario degli enti, rilevante ai fini del patto, è costituito dalla somma algebrica degli importi risultanti dalla differenza tra accertamenti e impegni, per la parte corrente, e dalla differenza tra incassi e pagamenti, per la parte in conto capitale, al netto delle entrate derivanti dalla riscossione di crediti e delle spese derivanti dalla concessione di crediti, come riportati nei certificati di conto consuntivo.

 

Gli oneri derivanti dal periodo precedente - in termini di minori interessi attivi derivanti allo Stato per mancate anticipazioni a valere sulla relativa Sezione del “Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili, le cui disponibilità (8 milioni) sono ora concesse come contributo a fondo perduto - quantificati a 109.120 euro per il 2016, a 106.152 euro per il 2017 e a 103.143 euro a decorrere dal 2018, si provvede a valere sul Fondo speciale di parte corrente, allo scopo utilizzando parzialmente l'accantonamento riferito al Ministero dell'economia e delle finanze.


 

 

Articolo 7, commi 9-septiesdecies–9-duodevicies
(Concessioni demaniali marittime)

 

 

Il comma 9-septiesdecies demanda alle Regioni una ricognizione delle rispettive fasce costiere, finalizzata anche alla proposta di revisione organica delle zone di demanio marittimo ricadenti nei propri territori.

Tale adempimento deve essere attuato entro 120 giorni dalla data di conversione in legge del decreto-legge in esame. La proposta è inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e all'Agenzia del demanio, che nei 120 giorni successivi al ricevimento della proposta, attivano, per gli aspetti di rispettiva competenza, i procedimenti previsti dagli articoli 32 (Delimitazione di zone del demanio marittimo) e 35 (Esclusione di zone dal demanio marittimo) del codice della navigazione, anche convocando apposite Conferenze di servizi.

 

Tale procedimento è propedeutico all’adozione della disciplina relativa alle concessioni demaniali marittime, prorogate, al 31 dicembre 2020 (articolo 1, comma 18, del decreto-legge 194/2009) relativamente a quelle insistenti su beni demaniali marittimi lacuali e fluviali con finalità turistico-ricreative, ad uso pesca, acquacoltura ed attività produttive ad essa connesse, e sportive, nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto. L’articolo 34-duodecies del decreto-legge 179/2012, infatti, in attesa della revisione della legislazione nazionale in materia di concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, ha previsto la proroga fino al 31 dicembre 2020 della durata delle concessioni in essere al 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del decreto-legge 194/2009) e la cui scadenza era fissata entro il 31 dicembre 2015.

La necessità di procedere alla revisione della normativa in materia di concessioni demaniali marittime era stata sollevata dall'apertura di una procedura di infrazione comunitaria (n. 2008/4908) nei confronti dell'Italia circa la disciplina che prevedeva il rinnovo automatico delle concessioni e la preferenza accordata al concessionario uscente. Il legislatore italiano è dapprima intervenuto con il menzionato articolo 1, comma 18, del decreto-legge 194/2009, abrogando il secondo comma dell'articolo 37 del Codice della navigazione, che dava preferenza al concessionario uscente in occasione del rinnovo delle concessioni. La Commissione europea, con un atto successivo (messa in mora complementare 2010/2734 del 5 maggio 2010) ha però evidenziato ulteriori profili di illegittimità della normativa italiana. In seguito agli ulteriori rilievi, con l’articolo 11 della legge comunitaria 2010 (legge n. 217 del 2011) è stato abrogato il comma 2 dell’articolo 01 del decreto-legge 400/1993 , il quale fissava in sei anni la durata delle concessioni demaniali marittime e prevedeva il loro rinnovo automatico alla scadenza per la stessa durata. L’articolo 11 della legge comunitaria 2010 ha infine delegato il Governo ad emanare, entro il 17 aprile 2013, un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime. In conseguenza di questi interventi legislativi, la procedura di infrazione è stata chiusa in data 27 febbraio 2012.

Successivamente l'articolo 1, comma 547 della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) ha esteso le previsioni dell'articolo 1, comma 18, del decreto-legge n. 194/2009, come sopra modificato, alle concessioni aventi ad oggetto:

§  il demanio marittimo, per concessioni con finalità sportive;

§  il demanio lacuale e fluviale per concessioni con finalità turistico-ricreative e sportive;

§  i beni destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto.

L'articolo 12-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 ha previsto che i canoni delle concessioni demaniali marittime dovuti a partire dall'anno 2014 siano versati entro il 15 settembre di ciascun anno. Contestualmente si prevede che gli enti gestori intensifichino i controlli sull'adempimento del pagamento. Infine, attraverso una modifica del comma 732 dell'articolo unico della legge di stabilità 2014 (L. n. 147/2013), il termine per il riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali marittime è prorogato dal 15 maggio 2014 al 15 ottobre 2014. Tale riordino non risulta peraltro attuato.

 

Il comma 9-duodevicies proroga le utilizzazioni delle aree di demanio marittimo per finalità diverse da quelle di cantieristica navale, pesca e acquacoltura, in essere al 31 dicembre 2013, fino alla definizione del procedimento previsto dal comma precedente e comunque non oltre il 31 dicembre 2016.


 

 

Articolo 7-bis
(Assicurazione amministratori locali e rimborso spese legali)

 

 

L’articolo 7-bis, introdotto nel corso dell’esame del provvedimento al Senato, integra il contenuto dell’articolo 86, comma 5, del Testo unico degli enti locali (TUEL, adottato con D.Lgs. n. 267 del 2000) che prevede la possibilità per gli enti locali di assicurare gli amministratori degli enti contro i rischi conseguenti all'espletamento del loro mandato.

 

La disposizione del TUEL elenca gli enti locali ai quali è riconosciuta tale facoltà: comuni, province, comunità montane, unioni di comuni, consorzi. Mentre nella versione originaria dell’istituto (art. 23, L. 816/1985), tale copertura assicurativa era ammessa solo nei comuni e nelle province.

La finalità dell’istituto è di evitare che gli amministratori ricavino danni economici dal (corretto) esercizio del mandato. Tuttavia, in assenza di ulteriori indicazioni della normativa primaria (contenuto concreto della disposizione, spazio, copertura e limiti della copertura assicurativa), l’applicazione di tale istituto è stata rimessa alla regolamentazione degli enti territoriali e alla elaborazione giurisprudenziale.

Proprio recependo gli orientamenti giurisprudenziali, il legislatore è successivamente intervenuto prevedendo l’illegittimità della stipula da parte di un ente pubblico di polizze assicurative destinate alla copertura dei danni erariali che gli amministratori potrebbero essere chiamati a risarcire, in conseguenza di loro responsabilità amministrativa o contabile.

Infatti, l’art. 3, comma 59, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), stabilisce che è nullo il contratto di assicurazione con il quale un ente pubblico assicuri i propri amministratori per i rischi derivanti dall'espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti la responsabilità per danni cagionati allo Stato o ad enti pubblici e la responsabilità contabile. I contratti di assicurazione in corso alla data di entrata in vigore della legge finanziaria 2008 hanno cessato di avere efficacia alla data del 30 giugno 2008. In caso di violazione di tale disposizione, il legislatore ha stabilito che l'amministratore che pone in essere o che proroga il contratto di assicurazione e il beneficiario della copertura assicurativa sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l'ammontare dei premi complessivamente stabiliti nel contratto medesimo.

 

La nuova formulazione del comma 5, innanzitutto, pur confermando la possibilità di assicurare gli amministratori, precisa che ciò debba avvenire senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Si ricorda che l’onere finanziario da porre a carico del bilancio dell’ente locale è rappresentato dai premi assicurativi corrisposti.

 

Inoltre gli enti locali ai quali la disposizione si applica sono individuati non più mediante elencazione esplicita, bensì mediante rinvio all'articolo 2 del medesimo TUEL, che al comma 1 intende per enti locali “i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni”.

Pertanto, in virtù della modifica è esplicitato che l’assicurazione contro i rischi conseguenti all’espletamento del mandato può essere stipulata anche in favore degli amministratori delle città metropolitane e delle comunità isolane.

Viceversa, non figurano più espressamente tra i destinatari della disposizione i consorzi fra enti locali, menzionati dall'articolo 86 che si va a novellare. Si ricorda, peraltro, che i consorzi di funzioni tra gli enti locali sono stati soppressi ai sensi dell'art. 2, comma 186, lett. e), L. 23 dicembre 2009, n. 191.

 

In terzo luogo, è introdotta una nuova disposizione che disciplina l’ipotesi di rimborso delle eventuali spese legali sostenute dagli amministratori locali. Infatti, non esistono previsioni normative al riguardo (mentre tale ipotesi è ammessa per i dipendenti delle regioni e degli enti locali) e la materia è stata oggetto finora esclusivamente di orientamenti giurisprudenziali.

 

Si ricorda che l’ordinamento ammette e disciplina l’ipotesi di rimborso delle spese legali sostenute dai dipendenti degli enti locali e delle regioni.

Infatti, gli artt. 16 del D.P.R. 1 giugno 1979 n. 191 e 67 D.P.R. 15 maggio 1987 n. 268, successivamente abrogati dal D.L. 9 febbraio 2012 n. 5, conv. in legge 4 aprile 2012, n. 35, a loro volta riprodotti nell’articolo 28 del CCNL 14 settembre 2000, relativo al personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali prevedono che l'ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l'apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti d'ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall'apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento. In caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o colpa grave, l'ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni stato e grado del giudizio[74].

Secondo la costante più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione deve essere esclusa l’applicabilità della citata disciplina agli amministratori degli enti locali. “Infatti il diritto al rimborso delle spese legali relative ai giudizi di responsabilità civile, penale o amministrativa a carico di dipendenti di amministrazioni statali o di enti locali per fatti connessi all’espletamento del servizio o comunque all’assolvimento di obblighi istituzionali, conclusi con l’accertamento dell’esclusione della loro responsabilità, non compete all’assessore comunale, né al consigliere comunale o al sindaco, non essendo configurabile tra costoro (i quali operano nell’amministrazione pubblica ad altro titolo) e l’ente un rapporto di lavoro dipendente, non potendo estendersi nei loro confronti la tutela prevista per i dipendenti, né trovare applicazione la disciplina privatistica in tema di mandato” (Cass. Civ., I, sentenza 17 marzo 2015 n. 5264, conforme a Cass. n. 25690/2011, n. 20193/2014).

Per quanto riguarda la giurisprudenza contabile, invece, non si ravvisano orientamenti uniformi (si veda, ex multiis, C. Conti Lombardia Sez. contr. Parere, 21 marzo 2012, n. 86 in senso favorevole[75]). Più di recente, si è pronunciata la Sezione delle Autonomie della Corte dei Conti, che ha ritenuto “inammissibile il quesito posto sulla rimborsabilità delle spese legali sostenute da un amministratore, assolto in sede penale con la formula “perché il fatto non sussiste”, in quanto riferito a questione estranea alla materia di contabilità pubblica, nei sensi di cui all’art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003” (deliberazione n. 3 del 19 febbraio 2014). Successivamente, la Sezione Regionale Controllo Umbria con la Deliberazione n. 21/2014/PAR del 15 maggio 2014, ha ritenuto che gli orientamenti maturati finora sembrano non far emergere divieti per gli Enti territoriali di considerare le ragioni degli amministratori assolti, anche a fini di rimborso delle relative spese legali. È da escludere solo che l’ente locale possa applicare in via analogica le norme applicabili ai soli dipendenti pubblici. Viceversa, “non è da escludere che l’“agire” degli amministratori pubblici possa anche essere apprezzato dall’Ente medesimo a fini di rimborso delle spese legali, nel quadro del generale principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., oltre che delle indicazioni normative precostituzionali (v. art. 11 del R.D.L. n.383/1934: “La gratuità dell’ufficio non esclude il rimborso delle spese che l’investito dell’ufficio stesso sia obbligato a sostenere nell’esercizio delle sue funzioni”). In tale ambito, però, andranno evidentemente considerati tutti i (vari) limiti e condizioni che presiedono la materia, quali individuati dalla giurisprudenza, ad iniziare dal fondamentale limite interno del possibile conflitto di interessi tra l’Ente ed il “proprio” amministratore, ovvero di quello esterno della stipula di un contratto assicurativo, ex precitato art. 86, comma 5, del TUEL.

 

In base a tale disposizione, il rimborso delle spese legali degli amministratori locali è ammissibile con alcuni limiti ed in presenza di determinate condizioni.

I limiti sono due:

·      le spese sono rimborsabili nel rispetto dei parametri stabiliti per la liquidazione dei compensi per la professione forense, previsti dal decreto di cui all'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (D.M. 10 marzo 2014, n. 55);

·      gli enti locali possono prevedere il rimborso delle spese legali senza nuovi o maggiori oneri della finanza pubblica, come stabilito anche per le spese di assicurazione (v. supra).

 

Per quanto riguarda le condizioni di ammissibilità, il rimborso delle spese è possibile nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione, in presenza di tre requisiti:

·      assenza di "conflitto di interessi" con l'ente amministrato;

·      presenza di nesso causale tra funzioni esercitate (dall'amministratore locale) e fatti giuridicamente rilevanti;

·      assenza di dolo o colpa grave.

 

In relazione alla individuazione delle condizioni di ammissibilità del rimborso delle spese legali, stante la formulazione del testo, occorrerebbe precisare quale sia il procedimento in cui siano stati adottati i provvedimenti di assoluzione o proscioglimento (procedimento penale, procedimento per responsabilità amministrativa o entrambi). Occorrerebbe altresì precisare a chi spetti verificare la sussistenza dei tre requisiti individuati per il rimborso delle spese legali.

Si valuti inoltre se occorra prevedere una specifica elencazione legislativa delle ipotesi di conflitto di interessi tra l’amministratore e l’ente.

 


 

 

Articolo 8, commi 1-9
(Incremento del fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti delle regioni e contributi in favore degli enti territoriali)

 

 

L’articolo 8 reca, ai commi da 1 a 4, un incremento delle risorse per il pagamento dei debiti pregressi delle regioni e delle province autonome di cui al decreto legge n.35 del 2013, stabilendo anche le modalità per l’utilizzo delle risorse medesime, ed introduce poi, ai commi da 5 a 9, ulteriori disposizioni per l’utilizzo da parte degli enti locali delle somme già disponibili per assicurare il pagamento dei debiti medesimi a valere sulle risorse non utilizzate già stanziate per il pagamento dei debiti pregressi.

 

Commi 1-4. Risorse per il pagamento dei debiti pregressi delle regioni.

Il comma 1 incrementa di 2 miliardi euro per il 2015 le risorse di una delle tre Sezioni – vale a dire quella destinata al pagamento dei debiti non sanitari delle regioni e province autonome - in cui è articolato il “Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili" istituito dall’articolo 1, comma 10 del decreto-legge n.35 del 2013[76].

Si rammenta che il decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 all'articolo 1 comma 10, più volte modificato, ha previsto l'istituzione nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze del "Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili", la cui dotazione, comprensiva degli ulteriori incrementi poi disposti con i decreti legge n. 102 del 2013[77] e 66 del 2014[78] ammonta a 16.547 milioni per il 2013 e di 23.298 milioni per il 2014. Il Fondo è distinto in tre sezioni a cui corrispondono tre articoli del relativo capitolo di bilancio, denominati rispettivamente:

§  "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali" con una dotazione di 3.411 milioni di euro per l'anno 2013 e di 7.189 milioni di euro per l'anno 2014[79];

§  "Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari" con una dotazione di 5.630 milioni di euro per l'anno 2013 e di 6.426 milioni di euro per l'anno 2014;

§  "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale", con una dotazione di 7.505 milioni di euro per l'anno 2013 e di 9.683,4 milioni per l'anno 2014.

Ai sensi del comma 13 dell'articolo 1 (per gli enti locali) e del successivo articolo 2 (per le regioni), il fondo era destinato al pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili maturati nel 2012 o dei debiti per i quali fosse stata emessa fattura nel 2012. Successivamente l'articolo 32 del decreto-legge n. 66 del 2014, oltre ad incrementare la dotazione del Fondo di 6 miliardi per il 2014 ( dotazione inclusa negli importi dei Fondi in questione prima indicati), ed a stanziare (all’articolo 31) 2 miliardi per i debiti degli enti locali verso le società partecipate ne ha esteso l'ambito applicativo anche ai debiti maturati nel 2013, inclusi quelli contenuti nei piani di riequilibrio pluriennale degli enti locali.

Per un quadro complessivo sullo stato dei pagamenti dei debiti in questione si rinvia all’apposito sito del MEF http://www.mef.gov.it/focus/article_0003.html

 

Il comma 1 in esame, oltre ad disporre una ulteriore dotazione della suddetta sezione del fondo per il 2015 (anno per il quale non risultavano finora iscritti importi) prolunga altresì di un ulteriore anno – dal 31 dicembre 2013 al 31 dicembre 2014 – il termine di maturazione dei crediti per l’ammissione al pagamento. Il comma medesimo dispone infatti che il suddetto incremento di 2 miliardi di euro è destinato alle seguenti tipologie di debiti:

§  debiti certi liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari maturati alla data del 31 dicembre 2014;

§  debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine;

§  debiti fuori bilancio che presentavano i requisiti per il riconoscimento alla data del 31 dicembre 2014, anche se riconosciuti in bilancio in data successiva.

Viene altresì precisato che la nuova dotazione è assegnata, coerentemente con le finalità già perseguite dal decreto-legge n.35 del 2013 nel destinare risorse agli enti territoriali ed agli enti del Servizio sanitario nazionale per il pagamento dei debiti pregressi, al fine di garantire il rispetto dei tempi di pagamento di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, attuativo della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

L'incremento di 2 miliardi è disposto utilizzando le risorse disponibili sulla base delle somme non erogate all’esito delle richieste di pagamento avanzate ai sensi del decreto legge n. 35 del 2013, come successivamente rifinanziato dal decreto legge n.66 del 2014. In particolare il comma in esame stabilisce che a copertura del nuovo stanziamento vengono utilizzate le somme iscritte in conto residui delle altre due sezioni del predetto Fondo, rispettivamente per:

§  108 milioni di euro della "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali";

§  1.892 milioni di euro della "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale".

La disposizione precisa inoltre che l'importo di 2 miliardi è ulteriormente incrementabile delle ulteriori eventuali risorse disponibili ed inutilizzate di tale ultima Sezione.

 

Il comma 2 prevede come criterio di riparto delle risorse di cui al comma precedente quello della proporzionalità rispetto alle richieste trasmesse[80], da parte del Presidente e del responsabile finanziario della regione o provincia autonoma, al Ministero dell'economia e delle finanze entro il 30 giugno 2015. Il termine è stabilito a pensa di nullità della richiesta. Si prevede inoltre che un diverso criterio può essere individuato – entro la data del 10 luglio 2015 - dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.

Le somme da concedere, sulla base del criterio citato o di quello alternativo individuato dalla Conferenza Stato-regioni, sono stabilite con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro il 15 luglio 2015.

Tale decreto assegna inoltre anche eventuali disponibilità relative a:

§  anticipazioni di liquidità attribuite precedentemente, ma per le quali gli enti non hanno compiuto alla data del 30 giugno 2015 le operazioni volte al rimborso dell’anticipazione ricevuta, alla predisposizione del piano di pagamento dei debiti ed alla sottoscrizione del contratto di rimborso con il Ministero dell’economia, come previste dall’articolo 2 comma 3 del D.L. n.35/2013[81];

§  somme conseguenti a verifiche negative effettuate dal competente organo del Ministero dell’economia (costituito dal Tavolo di cui all’articolo 2, comma 4, del D.L. 35 medesimo[82]) fatte salve le risorse relative alla Gestione commissariale della Regione Piemonte ed alla Regione Campania.

 

Si tratta in particolare, quanto alla Regione Piemonte alle risorse di cui all’articolo 1, comma 454, della legge di stabilità 2015, nel quale si è previsto che la gestione commissariale della regione Piemonte assuma con bilancio separato rispetto a quello della regione: a) i debiti commerciali al 31 dicembre 2013 della regione, per un importo non superiore a quello delle risorse assegnate alla regione Piemonte a valere sul Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili delle Regioni e degli enti del SSN destinati ad essere pagati a valere sulle risorse ancora non erogate previste, distintamente per la parte sanitaria e per quella non sanitaria, delle predette anticipazioni; b) il debito contratto dalla regione medesima per le anticipazioni di liquidità già contratte ai sensi del richiamato articolo 2 del decreto-legge n. 35 del 2013. La medesima gestione commissariale può assumere, con il bilancio separato rispetto a quello della regione, anche il debito contratto dalla regione Piemonte per le anticipazioni di liquidità già contratte ai sensi del richiamato articolo 3 del decreto-legge n. 35 del 2013. Quanto invece alla Regione Campania, il comma 13 dell'articolo 11 del decreto-legge n. 76 del 2013[83] ha previsto che la quota dell'anticipazione di euro 1.452.600.000, attribuita alla Regione Campania (con D.M. 14 maggio 2013), non utilizzata per il pagamento dei debiti di cui all'articolo 2 del decreto-legge 35/2013, è destinata alla copertura della parte del piano di rientro della regione, per la parte non finanziata non finanziata da altri provvedimenti.

Il comma dispone infine che sempre con decreti del Ministero dell'economia saranno infine assegnate le ulteriori eventuali risorse resesi disponibili e inutilizzate nella "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale" come previsto dal terzo periodo del comma 1.

Il comma 3 prevede che l'erogazione dell'anticipazione di cui al comma 2 a ciascuna regione e provincia autonoma è subordinata agli adempimenti di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto legge 35/2013, sopra illustrati.

Il comma 4 dispone che l'erogazione delle anticipazioni, oltre che essere condizionata alla verifica positiva del Tavolo tecnico già citato al comma 2, è altresì subordinata alla formale certificazione dell'avvenuto pagamento di almeno il 75 per cento dei debiti e dell'effettuazione delle relative registrazioni contabili da parte delle regioni con riferimento alle anticipazioni di liquidità ricevute precedentemente.

Commi 5-9. Disposizioni per l’utilizzo da parte degli enti locali delle somme già disponibili

Il comma 5 esclude dai saldi di cassa rilevanti per il pareggio di bilancio delle regioni (comma 463 della legge di stabilità 2015) per l'esercizio 2015 i pagamenti in conto residui concernenti la spesa per acquisto di beni e servizi e i trasferimenti di parte corrente agli enti locali soggetti al patto di stabilità interno, effettuati a valere sulle anticipazioni di liquidità erogate in attuazione delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 3 dell’articolo in commento.

Si rammenta che il comma 463 della legge n. 190 del 2014 (stabilità 2015) ha previsto che le regioni a statuto ordinario devono conseguire, a decorrere dall'anno 2016 nella fase di previsione e a decorrere dal 2015 in sede di rendiconto: a) un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali; b) un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti, escluso l'utilizzo del risultato di amministrazione di parte corrente, del fondo di cassa, il recupero del disavanzo di amministrazione e il rimborso anticipato dei prestiti. Nel 2015, per le regioni che non hanno partecipato alla sperimentazione, l'equilibrio di parte corrente è dato dalla differenza tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento, con l'esclusione dei rimborsi anticipati.

 

Il comma 6 prevede l'utilizzo di 850 milioni di euro per la concessione di anticipazioni di liquidità al fine di far fronte ai pagamenti da parte degli enti locali di tre tipologie di debiti:

§  debiti certi, liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2014;

§  debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine;

§  debiti fuori bilancio che presentavano i requisiti per il riconoscimento alla data del 31 dicembre 2014, anche se riconosciuti in bilancio in data successiva, ivi inclusi quelli contenuti nel piano di riequilibrio finanziario pluriennale, di cui all'articolo 243-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267[84], approvato con delibera della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti.

A tal fine sono utilizzati:

§  650 milioni delle somme disponibili e non più dovute sul conto di tesoreria di cui al comma 11 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 35 del 2013, provenienti dalla "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali" del Fondo di cui al comma 10 del medesimo articolo;

Il comma 11 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 35 del 2013 ha previsto la stipula di un addendum – i cui contenuti in questa sede non si illustrano - alla Convenzione tra Ministero dell'economia e Cassa depositi e prestiti e il trasferimento delle disponibilità della Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali su apposito conto corrente acceso presso la Tesoreria centrale dello Stato, intestato al Ministero dell'economia, su cui la Cassa depositi e prestiti è autorizzata a effettuare operazioni di prelevamento e versamento

§  200 milioni delle somme iscritte in conto residui della "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali" del Fondo citato.

 

Il comma 7 demanda ad un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da adottare entro il 30 giugno 2015, la fissazione dei criteri, i tempi e le modalità per la concessione e la restituzione delle somme di cui al comma 6 agli enti locali, ivi inclusi gli enti locali che non hanno precedentemente avanzato richiesta di anticipazione di liquidità. Tali criteri, tempi e modalità sono stabiliti in conformità alle procedure di cui all'articolo 1 del decreto-legge n. 35/2013.

Al fine di agevolare la comprensione del testo, si potrebbe valutare l'opportunità di inserire un riferimento più preciso, con indicazione dei commi, rispetto all'attuale riferimento alla "conformità alle procedure di cui all'articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35" che non è di immediata leggibilità[85].

Il comma 8 specifica che le somme di cui al comma 7 saranno erogate previa formale certificazione alla Cassa depositi e prestiti dell'avvenuto pagamento di almeno il 75 per cento dei debiti e dell'effettuazione delle relative registrazioni contabili da parte degli enti locali interessati con riferimento alle anticipazioni di liquidità ricevute precedentemente.

Il comma 9, infine, autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio in conto residui tra le Sezioni del Fondo di cui al comma 10 dell'articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, con propri decreti, da comunicare alla Corte dei conti.


 

 

Articolo 8, commi 4-bis-4-quater
(Accesso anticipazioni di liquidità per il CREA)

 

 

I commi da 4-bis a 4-quater, introdotti al Senato, consentono al Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (CREA) – ente derivante dall’incorporazione nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA) dell’Istituto nazionale di economia agraria (INEA) – l’accesso ad anticipazioni di liquidità nel limite massimo di 20 milioni di euro per l'anno 2015, per il pagamento di debiti certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2014, derivanti dall'incorporazione dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA).

 

Ai sensi dell'articolo 1, comma 381-383 della Legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015) l'Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA) è stato incorporato nel Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura (CRA) che ha assunto la nuova denominazione di Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (CREA), conservando la natura di ente nazionale di ricerca e sperimentazione.

Il nuovo ente, ai sensi di quanto previsto dal comma 381 e ss., è subentrato nei rapporti giuridici attivi e passivi dell'INEA[86], ivi inclusi i compiti e le funzioni ad esso attribuiti dalle disposizioni vigenti.

 

Il passaggio dai vecchi enti di ricerca ad un nuovo ente unico riordinato e razionalizzato– non ancora del tutto perfezionatosi - è avvenuto secondo una sequenza procedimentale articolata, indicata dal medesimo comma 381. Il comma testé citato:

§  ha demandato ad un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali (da adottarsi di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione), entro il 31 marzo 2015 l’individuazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie dell'INEA da trasferire al Consiglio.

§  ha disposto che entro il 1 marzo 2015 venisse deliberato il bilancio di chiusura dell'INEA dall'organo in carica alla data di incorporazione e trasmesso per l'approvazione al MIPAAF e al MEF.

A febbraio 2015 è stato deliberato il bilancio di chiusura di INEA.

§  ai fini dell'attuazione di tale procedura ha previsto la nomina di un commissario straordinario (che può avvalersi di due sub commissari).

Con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali del 24 marzo 2015 (che ha sostituito il Precedente D.M. del 2 gennaio 2015 ritirato successivamente in sede di autotutela) è stato nominato, in sostituzione degli organi statutari del CRA, secondo la procedura prevista dall’articolo 1, comma 382 della stessa legge di stabilità 2015, Salvatore Parlato quale Commissario straordinario del Consiglio. Il commissario dura in carica un anno, prorogabile, per motivate esigenze, una sola volta.

Sono stati inoltre nominati due sub-commissari, ai sensi di quanto consentito dal medesimo comma 382: Michele Pisante e Alessandra Gentile.

Al commissario il comma 381 ha attribuito il compito di predisporre, entro centoventi giorni dalla data della sua nomina:

-      un piano triennale per il rilancio e la razionalizzazione delle attività di ricerca e sperimentazione in agricoltura,

La Bozza del piano triennale per il rilancio del CREA è stata depositata dal Commissario straordinario del CREA in data 13 maggio 2015 presso la XIII Commissione della Camera.

-      lo statuto del Consiglio e gli interventi di incremento dell'efficienza organizzativa ed economica, finalizzati all'accorpamento, riduzione e razionalizzazione delle strutture e delle attività degli enti, (numero limitato di centri per la ricerca e la sperimentazione, a livello almeno interregionale, su cui concentrare le risorse della ricerca e attivazione di convenzioni e collaborazioni strutturali con altre PP.AA., regioni e privati), con l’obiettivo di una riduzione delle articolazioni territoriali pari ad almeno il 50 per cento, nonché alla riduzione delle spese correnti pari ad almeno il 10 per cento, rispetto ai livelli esistenti a legislazione vigente.

Il comma 381 ha poi previsto che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, tenuto conto delle proposte del commissario, approvi, con decreto di natura non regolamentare, da emanare previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, la direttiva di indirizzo triennale delle attività di ricerca e sperimentale, lo statuto del Consiglio e il piano degli interventi necessari ad assicurare il contenimento della spesa e la riduzione del numero delle sedi nonché l'equilibrio finanziario del Consiglio.

Lo schema di D.M. in questione non è ancora pervenuto alle Camere per il parere.

 

L'Ente INEA incorporato è divenuto pertanto Centro di responsabilità amministrativa del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (CRA), ora CREA, come da decreto n. 3 del 21/01/2015 del Commissario straordinario.

Il nuovo assetto del CREA è stato presentato ad Expo il 25 giugno scorso, alla presenza del Commissario straordinario del CREA (cfr.comunicato stampa del Mipaaf)[87].

 

Si ricorda, infine, che l’articolo 1, comma 383 della legge di stabilità 2015 ha disposto - nelle more dell’attuazione del riordino del Consiglio – una riduzione di 3 milioni di euro a decorrere dal 2015 del contributo ordinario annuo a carico dello Stato a favore del Consiglio per la sperimentazione e la ricerca in agricoltura (CRA). La stessa legge di stabilità 2015 ha peraltro operato, al comma 252, un’ulteriore riduzione dei contributi al CRA, per 1 milione a decorrere dall’anno 2015[88].

Per ciò che attiene alla situazione economico finanziaria dell’INEA, ente beneficiario in modo prevalente di risorse provenienti dal bilancio statale e da attività a favore di committenze pubbliche[89], commissariato dal MIPAAF con decreto n. 18 del 3 gennaio 2014 per “irregolarità e disfunzioni nella sua conduzione”, la Corte dei Conti, nell’ultima Relazione disponibile sul controllo eseguito , adottata a luglio 2014 e relativa nell’anno 2012 già affermava l’esistenza al 2012 (cfr. stato patrimoniale-passività, a pag. 36 della Relazione) di residui passivi per 22,7 milioni di euro, di cui debiti verso i fornitori pari a 9 milioni di euro. Con riferimento alla consistenza dei residui passivi, la Corte osservava in quella sede che essi, oltre ad esprimere la crescente difficoltà dell’Istituto a programmare i pagamenti, esponevano l’Istituto stesso al rischio di contenziosi con i fornitori (l’INEA nel 2012 ha sostenuto circa 10.000 euro di spese legali per contenziosi promossi da fornitori).

I dati sono stati aggiornati nel corso dell’Audizione informale del Commissario straordinario Prof. Giovanni Cannata tenutasi il 3 novembre 2014 presso la XIII Commissione della Camera. In quella sede il Commissario rilevava che i debiti verso terzi ammontavano “a circa 50 milioni di euro causati dalla carenza di dotazioni di funzionamento adeguate e da una gestione finanziaria non corretta protrattasi per quasi 10 anni”. La memoria depositata non specifica quanti di tali debiti siano verso i fornitori.

 

In particolare, ai sensi del comma 4-bis, il CREA può presentare al Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento del tesoro, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. in esame, con certificazione del Commissario straordinario, un'istanza di accesso ad anticipazione di liquidità, nel limite massimo di 20 milioni di euro, per l'anno 2015, finalizzata al pagamento di debiti certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2014, derivanti dall'incorporazione dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA).

 

Per le finalità di cui al presente comma, è autorizzato, per l'anno 2015, l'utilizzo delle somme iscritte in conto residui, per l'importo di 20 milioni di euro, della "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali" del Fondo di cui al comma 10 dell'articolo 1 del D.L. n. 35/2013 (legge n. 64/2013)[90].

 

Il comma 4-ter stabilisce che all'erogazione della somma di cui al comma 4-bis si provvede a seguito:

a)   della presentazione da parte dell'ente di cui al comma 4-bis di un piano dei pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2014 e di misure idonee e congrue di copertura annuale del rimborso dell'anticipazione di liquidità maggiorata degli interessi, verificate da apposito tavolo tecnico cui partecipano l'ente, i Ministeri vigilanti e il Ministero dell'economia e delle finanze,

b)   della sottoscrizione di un apposito contratto con il Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento del tesoro, nel quale sono definite le modalità di erogazione e di rimborso delle somme, comprensive di interessi, in un periodo non superiore a trenta anni, prevedendo altresì, qualora l'ente non adempia nei termini stabiliti al versamento delle rate dovute, sia le modalità di recupero delle medesime somme da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, sia l'applicazione di interessi moratori.

Il tasso di interesse a carico dell'ente è pari al rendimento di mercato dei buoni poliennali del tesoro a cinque anni in corso di emissione.

 

La RT afferma che dalla concessione dell'anticipazione di liquidità al CREA non derivano oneri in termini di minori rimborsi delle anticipazioni in quanto le condizioni concesse all'ente CREA coincidono con quelle concesse agli enti locali a valere sullo stesso Fondo anticipazioni liquidità (cfr. articolo 1, comma 13 del D.L. n. 35/2013).

Il comma 4-quater prevede che in caso di mancato rimborso dell'anticipazione maggiorata degli interessi, il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato a trattenere la relativa quota parte a valere sull'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 6, comma 1, del D.Lgs. n. 454/1999 (la norma testé richiamata concerne le entrate dell’ente CRA, ora divenuto CREA) e, in ogni caso, sulle somme a qualunque titolo dovute dallo Stato all'ente, fino a concorrenza della rata dovuta.

 

I proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare dell'ente sono prioritariamente destinati al rimborso dell'anticipazione.


 

L’articolo 6, comma 1 del D.Lgs. n. 454/1999 stabilisce le entrate proprie del CRA (ora CREA a seguito della incorporazione di INEA), disponendo che esse sono:

a)  il contributo ordinario annuo a carico dello Stato, per l'espletamento dei compiti dell’Istituto (cap. 2083/MIPAAF) e per le spese del personale (cap.2084/MIPAAF);

b)  il contributo per singoli progetti o interventi a carico del Fondo integrativo speciale per la ricerca (di cui all'articolo 1, comma 3, del D.Lgs. n. 204/1998, il Fondo è iscritto sul capitolo 7310/MEF);

c)  i compensi ottenuti da ciascun istituto per le attività di ricerca e di consulenza svolte a favore di soggetti pubblici e privati;

d)  le assegnazioni di spesa finalizzate per progetti speciali da parte del Ministero o di altre amministrazioni pubbliche;

e)  rendite del proprio patrimonio, fondi provenienti da lasciti, donazioni e contributi da parte di soggetti pubblici e privati;

f)   i contributi alla ricerca provenienti dall'Unione europea;

g)  i proventi di brevetti ottenuti a seguito dello svolgimento di ricerche realizzate;

h)  ogni altra entrata.

 


 

 

Articolo 8, commi 10-12
(Contributo ai comuni)

 

 

Il comma 10 attribuisce ai comuni, per l'anno 2015, un contributo di complessivi 530 milioni di euro; esso appare conseguente alle norme di fiscalità immobiliare contenute nella legge di stabilità 2015 relative, in particolare, ai limiti massimi posti delle aliquote d’imposta ed alla introduzione di detrazioni sull’abitazione principale.

Si affida a un decreto ministeriale la determinazione della quota di spettanza di ciascun comune, che deve tenere conto, tra l’altro, dei gettiti standard ed effettivi dell'IMU e della TASI e della verifica del gettito per l'anno 2014, derivante dalle disposizioni in materia di IMU agricola di cui al decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4.

 

Più in dettaglio, le norme in commento stabiliscono che la quota di spettanza di ciascun comune è stabilita con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro il 10 luglio 2015. Per la determinazione di tale quota è adottata una metodologia, previo parere della Conferenza Stato - città ed autonomie locali, che deve tenere conto anche dei gettiti standard ed effettivi dell'IMU e della TASI e della verifica del gettito per l'anno 2014, derivante dalle agevolazioni IMU nel settore agricolo disposte dall'articolo 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4.

In base al comma 9-quinquies dell'articolo 1 del decreto-legge n. 4 del 2015, il Ministero dell'economia e delle finanze provvede entro il 30 settembre 2015 (anticipato al 30 giugno dal comma 13 dell'articolo in esame), alla verifica del gettito per l'anno 2014, derivante dalle disposizioni agevolative di cui allo stesso articolo, sulla base anche dell'andamento del gettito effettivo. Con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, si provvede alle modifiche delle variazioni compensative spettanti a ciascun comune.

 

Si ricorda che un analogo contributo è stato concesso per l’anno 2014 ai sensi dell’articolo 1, comma 731, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014), come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera d) del decreto-legge n. 16 del 2014: esso, pari a 625 milioni di euro, è stato ripartito con il decreto del 6 novembre 2014 (pubblicato nella G. U. n. 271 del 21 novembre 2014) tenendo conto dei gettiti standard ed effettivi dell'IMU e della TASI.

 

L’originaria formulazione del comma 731 della legge di stabilità 2014 attribuiva ai comuni un contributo di 500 milioni di euro, finalizzandolo alla previsione, da parte dei medesimi enti, di detrazioni dalla TASI a favore dell’abitazione principale (non più previste ex lege ma lasciate all’autonomia dei singoli comuni). Con le modifiche del decreto-legge n. 16 del 2014, l’importo del contributo è stato innalzato a 625 milioni ed è stata eliminata la specifica finalizzazione delle risorse al finanziamento di detrazioni.

 

Il medesimo decreto-legge n. 16 del 2014 ha attribuito ai comuni, per l’anno 2014, la possibilità di elevare l'aliquota massima TASI, per un ammontare complessivamente non superiore allo 0,8 per mille, rispetto al limite massimo già fissato dalla legge di stabilità 2014 (comma 677), per il quale la somma delle aliquote TASI e IMU per ciascuna tipologia di immobile non poteva essere superiore al 10,6 per mille e l’aliquota TASI non poteva superare il 2,5 per mille. La facoltà di aumentare l'aliquota nella predetta misura è stata tuttavia condizionata al finanziamento di detrazioni d'imposta sulle abitazioni principali aventi effetti equivalenti alle detrazioni IMU.

Anche per il 2015 l’articolo 1, comma 679 della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) ha confermato il livello massimo di imposizione della TASI già previsto per l'anno 2014 (2,5 per mille); è stata inoltre confermata, per il medesimo anno 2015, la possibilità di superare i limiti di legge relativi alle aliquote massime di TASI e IMU, per un ammontare complessivamente non superiore allo 0,8 per mille, alle richiamate condizioni.

 

La Nota metodologica del Dipartimento delle Finanze del 29 luglio 2014 ha chiarito che il riparto del contributo di 625 milioni è stato effettuato tenendo conto dell’applicazione del nuovo regime di tassazione immobiliare vigente dal 2014, confrontato con quello del 2013; quantificando per ciascun comune, da un lato, il fabbisogno da finanziare e, dall’altro, le nuove risorse a disposizione attraverso il pieno utilizzo dello sforzo fiscale, secondo la normativa vigente. Il saldo netto tra il fabbisogno totale da finanziare e le risorse disponibili è stato il principale riferimento per l’ammontare del contributo di 625 milioni previsto nel D.L. 16/2014. Infine, si è tenuto conto del fatto che le differenze tra il gettito 2014 e il gettito 2013, valutate a livello di aliquote di base dell’IMU e della Tasi all’uno per mille, sono regolate nell’ambito del Fondo di solidarietà comunale (FSC).

In particolare il DF ha chiarito che il fabbisogno complessivo di ciascun comune è stato calcolato sulla base di tre componenti: la prima relativa allo sforzo fiscale dell’IMU sull’abitazione principale, che alla luce della nuova normativa non è più esercitabile dai comuni (gettito effettivo IMU relativo alle abitazioni principali e alle relative pertinenze stimato per il 2013); la seconda, concernente l’onere delle detrazioni a favore delle abitazioni principali e delle relative pertinenze, tali da garantire in corrispondenza di un’aliquota massima TASI l’esenzione per un numero di immobili sostanzialmente uguale agli immobili esentati con l’IMU; la terza relativa alla TASI ad aliquota di base - ovvero 1 per mille come fissato nel comma 676 della legge di stabilità 2014 - non concretamente applicabile sugli immobili diversi dall’abitazione principale, per effetto dei predetti limiti di legge.

 

Le disposizioni in commento sembrano dunque finalizzate a fornire adeguato sostegno finanziario ai comuni per l’anno 2015, in ragione degli oneri da essi sostenuti con riferimento alla fiscalità immobiliare, secondo le richiamate prescrizioni della legge di stabilità 2015.

Con una modifica introdotta nel corso dell’esame al Senato è stato specificato che, del complessivo contributo di 530 milioni di euro, l'importo di 472,5 milioni è ripartito in proporzione alle somme attribuite ai sensi del citato D.M. del 6 novembre 2014. La restante quota di 57,5 milioni di euro è invece ripartita tenendo conto della verifica del gettito IMU sui terreni agricoli per l'anno 2014 di cui all'articolo 1 del decreto-legge n. 4 del 2015.

Le somme complessive non sono considerate tra le entrate finali rilevanti ai fini del patto di stabilità interno.

Si ricorda che il patto di stabilità interno per gli enti locali è disciplinato in via generale dall’articolo 31 della legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011), come più volte modificato ed aggiornato, da ultimo dall’articolo 1, commi 489-500, della legge n. 190/2014 (stabilità 2015). La disciplina del patto per gli enti locali è finalizzata all’obiettivo del miglioramento del saldo finanziario degli enti, costituito dalla somma algebrica degli importi risultanti dalla differenza tra accertamenti e impegni, per la parte corrente, e dalla differenza tra incassi e pagamenti, per la parte in conto capitale, al netto delle entrate derivanti dalla riscossione di crediti e delle spese derivanti dalla concessione di crediti, come riportati nei certificati di conto consuntivo. Nel saldo di cui al primo periodo rilevano anche gli stanziamenti di competenza del fondo crediti di dubbia esigibilità.

 

Il comma 11 autorizza, ai fini di cui al comma 10, l'utilizzo delle somme iscritte in conto residui, per l'importo di 530 milioni di euro, della "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali" del Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili[91]. Tali somme sono versate all'entrata del bilancio dello Stato e riassegnate allo stato di previsione del Ministero dell'interno per le finalità di cui al comma 9.

Non appare chiaro il riferimento alle finalità di cui al comma 9, considerato che il comma 11 è finalizzato espressamente anche al comma 10 e che il comma 9 prevede l'autorizzazione al Ministero dell'economia a variare con propri decreti il conto residui tra le tre Sezioni del Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili, fattispecie che non dovrebbe ricorrere in questo caso non essendovi variazioni tra Sezioni.

Ai fini dell’utilizzo delle somme in questione per l’assegnazione del contributo ai comuni, andrebbe peraltro chiarito se si tratta di importi iscritti a residuo a fronte dei quali non corrispondono impegni già assunti negli esercizi precedenti.

 

Il comma 12 prevede la copertura degli oneri derivanti dal comma 10, in termini di minori interessi attivi per lo Stato determinati dal venir meno della restituzione della quota interessi delle anticipazioni di liquidità della Sezione enti locali del Fondo di cui all’articolo 10 del D.L. n. 35/2013, le cui risorse sono ora destinate a trasferimenti a fondo perduto.

Tali oneri sono quantificati in 5.671.000 euro per l'anno 2016, 5.509.686 euro per l'anno 2017 e in 5.346.645 a decorrere dall'anno 2018, alla copertura finanziaria dei quali si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo speciale di parte corrente allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.


 

 

Articolo 8, comma 13
(Anticipo termini per verifica gettito IMU agricola 2014
ai fini delle variazioni compensative conseguenti)

 

 

Il comma 13 anticipa dal 30 settembre al 30 giugno 2015 il termine ultimo per la verifica del gettito IMU dei terreni montani e parzialmente montani relativo all'anno 2014, prevista dall'articolo 1, comma 9-quinquies, del D.L. n. 4/2015.

La verifica – ai sensi della norma testé citata – è operata dal Ministero dell’economia e finanze, sulla base di una metodologia condivisa con l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e adottata sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali.

La verifica è esplicitamente finalizzata ad assicurare la più precisa ripartizione delle variazioni compensative di risorse tra i comuni interessati dalla revisione del sistema di esenzione, operata con il medesimo D.L., fermo restando l'ammontare complessivo delle suddette variazioni determinato dal nuovo regime per il 2014 e per gli anni 2015 e seguenti.

 

Si ricorda che il nuovo regime di esenzione dall’IMU dei terreni montani e parzialmente montani, determinato dai commi 1-4 dell’articolo 1 del D.L. n. 4/2015, risulta complessivamente meno restrittivo rispetto a quello definito dalla precedente normativa in materia (art. 22 del D.L. n. 66/2014 e relativo D.M. 28 novembre 2014); pertanto, le variazioni compensative di risorse disciplinate dai commi 7 e seguenti del medesimo articolo 1 del D.L. n. 4 sono conseguenti alla ridefinizione del gettito stimato in applicazione del nuovo criterio di individuazione dei terreni esenti per l’anno 2014 e per gli anni 2015 e seguenti.

In particolare, con i commi 8 e 9 dell’articolo 1 sono definiti gli importi e le modalità di compensazione delle variazioni di risorse relative all'anno 2014, per i singoli comuni, conseguenti dall'attuazione del nuovo sistema di esenzione.

Per tale anno, le variazioni sono quelle indicate, per ciascun comune, nella misura di cui all'allegato B del decreto legge, che evidenzia, complessivamente, un gettito per i comuni, con il nuovo regime di esenzione, pari a circa 230,69 milioni di euro (comma 8).

L’applicazione dei nuovi criteri di esenzione determina, dunque, per l’anno 2014, una stima di gettito complessivamente inferiore rispetto a quanto previsto in applicazione della normativa precedente (359 milioni).

Essendo già intervenute le regolazioni contabili con i comuni, secondo la procedura e gli importi previsti dal D.M. 28 novembre 2014, tale diversa stima di gettito comporta, per il 2014, un rimborso in favore dei comuni - secondo gli importi indicati nell'allegato C del provvedimento in esame - complessivamente stimato in 128,85 milioni di euro, volto a compensare i comuni medesimi delle differenze di gettito imputabili al cambio di normativa (comma 9).

Come precisato nella Relazione tecnica del D.L. n. 4, queste integrazioni di risorse compensano i comuni anche dell’applicazione del comma 4 dell’articolo 1, secondo cui, per il solo anno 2014, i contribuenti che sarebbe risultati esenti ai sensi della precedente normativa, ma soggetti all’IMU secondo il nuovo regime, non sono tenuti al versamento dell’imposta.

I comuni interessati dai rimborsi vengono inoltre autorizzati, sulla base degli importi indicati nel medesimo allegato, a rettificare gli accertamenti a titolo di fondo di solidarietà comunale e di gettito IMU previsti nel bilancio 2014.

Al fine di assicurare la più precisa ripartizione delle variazioni compensative di risorse di cui ai suddetti allegati A, B e C – e fermo restando l'ammontare complessivo delle suddette variazioni, pari, complessivamente, a 230.691.885,33 euro per l'anno 2014 e a 268.652.847,44 euro dall'anno 2015 – il comma 9-quinquies prevedeva, prima della novella apportata dal decreto legge in esame, che il Ministero dell'economia provvedesse entro il 30 settembre 2015 alla verifica del gettito per l'anno 2014, derivante dalle disposizioni recate dall’articolo 1 del provvedimento, sulla base dell'andamento del gettito effettivo, utilizzando allo scopo una metodologia condivisa con l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), da adottarsi sentita la Conferenza Stato-città e Autonomie locali.

Il comma in esame anticipa dal 30 settembre al 30 giugno il termine suddetto. Trattandosi di un mero anticipo dei termini di verifica, la relazione tecnica del comma 13 qui in commento attribuisce allo stesso effetti neutrali dal punto di vista finanziario.

 


 

 

Articolo 8, comma 13-bis
(Proroga versamento prima rata IMU agricola)

 

 

Il comma 13-bis, introdotto al Senato, dispone una moratoria per il pagamento della prima rata dell'imposta municipale propria sui terreni agricoli dovuta per il 2015; il versamento di detta rata, il cui termine è scaduto il 16 giugno 2015, viene prorogato al 30 ottobre 2015 senza che siano dovuti sanzioni e interessi.

 

Si ricorda che il regime dell’IMU agricola, ed in particolare i criteri di calcolo ed esenzione dell’imposta sono stati più volte oggetto di revisione da parte del legislatore.

Da ultimo, il decreto-legge n. 4 del 2015 ha modificato i criteri di esenzione dal versamento dell'IMU sui terreni montani agricoli ricadenti in aree montane e di collina in senso meno restrittivo rispetto alla disciplina normativa pregressa.

In particolare, in estrema sintesi, l'esenzione dall'imposta municipale propria (IMU) si applica:

a)  ai terreni agricoli nonché a quelli incolti ubicati nei Comuni classificati totalmente montani di cui all'elenco dei Comuni italiani trasmesso all'Istat e poi pubblicato dal medesimo Istituto;

b)  ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati ubicati nei Comuni delle isole minori di cui all'articolo 25, comma 7, allegato A, della legge n. 448 del 2001;

c)  ai terreni agricoli nonché a quelli incolti posseduti e condotti - anche in comodato ed in affitto - dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei Comuni classificati parzialmente montani ai sensi del citato elenco ISTAT.

È necessario che il soggetto che concede il terreno in affitto o in comodato a un coltivatore diretto o a un imprenditore agricolo professionale, iscritto nella previdenza agricola, abbia egli stesso la qualifica di coltivatore diretto o di IAP, iscritto nella previdenza agricola, come peraltro ribadito dal Dipartimento delle Finanze nella risoluzione n. 2/DF, nella quale si chiarisce che l'aliquota base dello 0,76% è sempre applicabile, salvo che comuni abbiano deliberato una diversa specifica aliquota per la categoria terreni agricoli.

 

A decorrere dall'anno 2015, per i terreni ubicati nei comuni della cd. collina svantaggiata, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, spetta una detrazione di 200 euro. Nell'ipotesi in cui nel relativo elenco allegato al citato decreto-legge n. 4 del 2015, in corrispondenza dell'indicazione del comune, sia riportata l'annotazione parzialmente delimitato (PD), la detrazione spetta unicamente per le zone del territorio comunale che ricadono nel perimetro delle esenzioni ai sensi della circolare n. 9 del 14 giugno 1993.

I nuovi criteri di esenzione si applicano a decorrere dall'anno 2015, nonché all'anno 2014, ma, in tal caso, l'IMU non è dovuta se i terreni, che risultano imponibili ai sensi del nuovo sistema, sono invece esenti in virtù del pregresso sistema di cui al D.M. 28 novembre 2014.

Inoltre, rimangono esenti i terreni a immutabile destinazione agro silvo pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile che non ricadono in zone montane o di collina, come definite dal D.M. 28 novembre 2014.

 

Si rammenta che sulla materia sono allo stato pendenti ricorsi amministrativi volti ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti connessi e che attuano la disciplina di esenzione dell’imposta (esenzione prevista dall’articolo 7 comma 1 lett. h) del D.Lgs. n. 504/92 e regolata da ultimo con il decreto-legge n. 4 del 2015).

 

In ragione dell’incertezza normativa ingenerata dalle norme succedutesi nel tempo, l’articolo 1, comma 5 del richiamato decreto-legge n. 4 del 2015 ha fissato il termine di versamento dell'imposta complessivamente dovuta per l'anno 2014, nell'ammontare definito secondo i nuovi criteri applicativi indicati dal medesimo decreto-legge, al 10 febbraio 2015; la norma ha altresì stabilito che, in caso di versamento effettuato entro il termine del 31 marzo 2015, non fossero dovuti sanzioni e interessi.

Si rammenta che l’articolo 9, comma 3 del D.Lgs. n. 23 del 2011 chiarisce, in linea generale, che i soggetti passivi effettuano il versamento dell'imposta per l'anno in corso in due rate di pari importo, scadenti la prima il 16 giugno e la seconda il 16 dicembre. Resta in ogni caso nella facoltà del contribuente provvedere al versamento dell'imposta complessivamente dovuta in unica soluzione annuale, da corrispondere entro il 16 giugno.

 

 


 

 

Articolo, 8, commi da 13-ter a 13-quinquies
(Esigenze finanziarie delle città metropolitane e delle province)

 

 

I commi da 13-ter a 13-quinquies dell’articolo 8 dispongono in favore della città metropolitana di Milano e delle province, in relazione a specifiche esigenze finanziarie delle stesse, un contributo per l'anno 2015 pari rispettivamente a 50 ed a 30 milioni di euro; prevedono altresì, per il medesimo anno, un contributo di 30 milioni alle province e città metropolitane per il sostegno degli alunni con handicap.

In particolare il comma 13-ter attribuisce per il 2015 alla città metropolitana di Milano ed alle province, in relazione “alla necessità di sopperire alle specifiche e straordinarie esigenze finanziarie” delle stesse un contributo di 80 milioni di euro, di cui 50 milioni alla città metropolitana di Milano. Le corrispondenti risorse sono reperite a valere sulle risorse di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 8 del provvedimento in esame che, si rammenta, hanno incrementato di 2 miliardi di euro per il 2015 gli stanziamenti per il pagamento dei debiti pregressi delle regioni e delle province autonome (di cui all’apposito Fondo previsto dal comma 10 dell’articolo 1 del D.L. n.35/2013[92]).

Secondo quanto specifica il comma in esame, si tratta delle risorse non richieste dalle Regioni e dalle Province autonome alla data del 30 giugno 2015, data, quest’ultima, prevista dal comma 2 dell’articolo 8 per la presentazione (a pena di nullità in caso di mancato rispetto del termine) delle richieste di accesso alle risorse del Fondo. Il comma stabilisce inoltre che le somme erogate alla città metropolitana di Milano ed alle province non sono considerate tra le entrate finali rilevanti ai fini del patto di stabilità interno, di cui all'articolo 31, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183[93].

Ai fini dell’erogazione degli importi in questione alle province, il comma in esame prevede che:

§  il contributo è erogato entro il 30 settembre 2015 alle sole province che nell’anno utilizzano integralmente la quota libera dell’avanzo di amministrazione e che hanno “massimizzato tutte le aliquote”;

§  il contributo è distribuito in misura proporzionale al conseguimento dell’equilibrio di parte corrente di ciascuna provincia e, a tal fine, ciascuna dovrà comunicare al Ministero dell’interno (soggetto erogatore) le risorse di cui necessitano per conseguire tale equilibrio;

Il comma 13-quater inoltre attribuisce alle province e alle città metropolitane un contributo di 30 milioni di euro per il 2015 per le esigenze di assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap, nonché per i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione degli alunni medesimi. Come per il precedente comma 13-ter le corrispondenti risorse sono reperite a valere sulle risorse di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 8, non richieste dagli enti territoriali interessati entro il 30 giugno 2015.

 

Il diritto allo studio degli alunni con disabilità si concretizza attraverso l’integrazione scolastica, che si realizza in tutti i gradi dell’istruzione scolastica all’interno delle classi ordinarie, secondo i princìpi stabiliti dalla L. 104/1992 (in particolare, artt. da 12 a 16), poi confluiti negli artt. da 312 a 325 del d.lgs. 297/1994 (c.d. Testo unico dell’istruzione).

In particolare, il richiamato art. 13, comma 3, della L. 104/1992 (identico all’art. 315, co. 2, del D.Lgs. 297/1994) ha previsto che nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando l’obbligo per gli enti locali di fornire l'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali – ai sensi del DPR 616/1997 –, sono garantite attività di sostegno mediante l'assegnazione di docenti specializzati (che affiancano i docenti curriculari e sono forniti di particolare specializzazione)[94].

L’art. 139, co. 1, lett. c), del D.Lgs. 112/1998 – anch’esso richiamato dal provvedimento – ha attributo alle province, in relazione all’istruzione secondaria superiore, e ai comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con disabilità o in situazioni di svantaggio.

 

Nel quadro della situazione normativa descritta, il testo, destinando il contributo esclusivamente alle province e alle città metropolitane, riguarda dunque l’assistenza per gli studenti con disabilità che frequentano gli istituti di istruzione secondaria di secondo grado.

Agli oneri derivanti dalla disposizione – derivanti presumibilmente dai riflessi finanziari negativi prodotti dalla mancata inclusione delle somme previste dai due commi precedenti nel patto di stabilità interno - che sono indicati dal comma 13-quinquies pari a circa 1,5 milioni di euro per il 2016 e per il 2017 ed a circa 1,4 milioni per a decorrere dall'anno 2018, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2015-2017, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciale» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2015, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

 


 

Articolo 8, comma 13-sexies
(Cause di ineleggibilità dei sindaci)

 

 

L’articolo 8, comma 13-sexies, aggiunge un nuovo periodo all'articolo 60, comma 3 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico degli enti locali), disponendo che la causa di ineleggibilità dei sindaci in altro comune non ha effetto nei confronti del sindaco in caso di elezioni contestuali nel comune nel quale l'interessato è già in carica e in quello nel quale intende candidarsi.

 

L’art. 60 del TUEL prevede diverse cause di ineleggibilità alla carica a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale e circoscrizionale. In dettaglio non sono eleggibili a queste cariche:

§  il Capo della polizia, i vice capi della polizia, gli ispettori generali di pubblica sicurezza che prestano servizio presso il Ministero dell'interno, i dipendenti civili dello Stato che svolgono le funzioni di direttore generale o equiparate o superiori;

§  nel territorio, nel quale esercitano le loro funzioni i prefetti della Repubblica, i vice prefetti ed i funzionari di pubblica sicurezza;

§  nel territorio, nel quale esercitano il loro ufficio, gli ecclesiastici ed i ministri di culto, che hanno giurisdizione e cura di anime e coloro che ne fanno ordinariamente le veci;

§  i titolari di organi individuali ed i componenti di organi collegiali che esercitano poteri di controllo istituzionale sull'amministrazione del comune o della provincia nonché i dipendenti che dirigono o coordinano i rispettivi uffici;

§  nel territorio, nel quale esercitano le loro funzioni, i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, ai tribunali amministrativi regionali, nonché i giudici di pace;

§  i dipendenti del comune e della provincia per i rispettivi consigli;

§  il direttore generale, il direttore amministrativo e il direttore sanitario delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere;

§  i legali rappresentanti ed i dirigenti delle strutture convenzionate per i consigli del comune il cui territorio coincide con il territorio dell'azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionati o lo ricomprende, ovvero dei comuni che concorrono a costituire l'azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionate;

§  i legali rappresentanti ed i dirigenti delle società per azioni con capitale superiore al 50 per cento rispettivamente del comune o della provincia;

§  gli amministratori ed i dipendenti con funzioni di rappresentanza o con poteri di organizzazione o coordinamento del personale di istituto, consorzio o azienda dipendente rispettivamente dal comune o dalla provincia;

§  i sindaci, presidenti di provincia, consiglieri metropolitani, consiglieri comunali, provinciali o circoscrizionali in carica, rispettivamente, in altro comune, città metropolitana, provincia o circoscrizione.

 

Sono inoltre ineleggibili, nel territorio, nel quale esercitano il comando, gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle Forze armate dello Stato (tale disposizione, in precedenza contenuta nell’art. 60, comma 1, n. 3) del TUEL, è ora recata dall’art. 1487 del D.Lgs. 66/2010).

 

Le cause di ineleggibilità non hanno effetto se l’interessato cessa dalle funzioni o dall’incarico entro la data della presentazione delle candidature, ad eccezione dei dirigenti delle ASL che devono cessare dalle loro funzioni almeno 180 giorni prima della scadenza dell’organo elettivo per il quale intendano candidarsi.

 

La disposizione in esame consente, dunque, ai sindaci che si candidano alla carica di sindaco o di consigliere comunale in altro comune, di rimanere in carica per il periodo della campagna elettorale. La deroga vale però solamente in caso di elezioni contestuali, mentre, negli altri casi, il sindaco che intende candidarsi deve dimettersi al momento della presentazione della candidatura.

 


 

 

Articolo 8, comma 13-septies
(Finanziamento oneri di servizio pubblico marittimo)

 

 

Il comma 13-septies dell’articolo 8, introdotto al Senato, prevede che le risorse di cui al comma 16, lettera c), dell'articolo 19-ter del decreto-legge n.135/2009, convertito ,con modificazioni, dalla legge 166/2009, possano essere utilizzate, a copertura degli oneri annuali di servizio pubblico relativi a contratti di servizio affidati sulla base di una procedura di gara aperta e non discriminatoria, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie di settore e nei limiti di quanto necessario per coprire i costi netti determinati dall'adempimento degli obblighi di servizio pubblico come individuati dallo stesso contratto.

L’articolo 19-ter, comma 16, lettera c), del citato decreto-legge prevedeva l’assegnazione di 13.686.441 euro annui al finanziamento del contratto di servizio tra Saremar-Sardegna Regionale Marittima S.p.a. e regione Sardegna.

 

L’assegnazione di tali risorse alla regione Sardegna, secondo quanto stabilito dall’articolo 1, comma 5-bis, del decreto-legge 125/2010, come convertito dalla legge n. 163/2010, cessava i suoi effetti, a far data dal 30 luglio 2012. Ciò in quanto l’erogazione delle risorse citate era subordinata al completamento del processo di privatizzazione della società Saremar.

 

A tale proposito si ricorda che il Ministero dei Trasporti – Direzione generale per il trasporto marittimo e per vie d’acqua interne ha comunicato, con nota Prot. n. 12514 del 31.7.2012, di trovarsi nell’impossibilità di poter utilizzare i fondi stanziati a copertura dei costi relativi ai servizi svolti dalla Saremar S.p.A. Conseguentemente la regione Sardegna ha provveduto a garantire con risorse proprie, nelle more dell'espletamento della gara di cui al comma 1, e comunque con decorrenza dal 1° agosto 2012, il mantenimento dei livelli essenziali di servizio pubblico ivi previsti ed indispensabili ad assicurare la continuità territoriale marittima mediante affidamento alla Saremar S.p.a. di un apposito contratto di servizio pubblico.

L’importo della autorizzazione di spesa di cui si tratta è stato successivamente ridotto dall’ art. 1, comma 78, L. 27 dicembre 2013, n. 147, che ha stornato 5,4 milioni di euro per assicurare i collegamenti di servizio di trasporto marittimo veloce nello Stretto di Messina, per l'anno 2014, autorizzando la relativa spesa.

 


 

 

Articolo 8, commi da 13-octies a 13 duodecies
(Regione Sicilia)

 

 

I commi 13-octies e 13-novies, introdotti nel corso dell’esame al Senato, attribuiscono alla Regione Siciliana un contributo di 200 milioni di euro, anche al fine di tener conto del minor gettito derivante alla Regione Siciliana dalle modifiche della disciplina della riscossione dell'IRPEF, mediante utilizzo delle risorse destinate al pagamento dei debiti pregressi delle regioni (di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo in esame) che non sono richieste dalle Regioni e dalle Province autonome alla data del 30 giugno 2015, secondo le procedure dettata dal medesimo comma 2.

Si rinvia alla relativa scheda di lettura per ulteriori precisazioni.

Gli oneri derivanti dalla norma in esame, stimati in 2.728.000 euro per l'anno 2016, 2.653.796 euro per l'anno 2017 e 2.578.580 euro a decorrere dall'anno 2018 sono coperti mediante la riduzione del Fondo speciale di parte corrente iscritto, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze.

 

Si rammenta preliminarmente che l'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074, in attuazione dello Statuto Speciale della regione siciliana (articolo 36 del regio decreto-legge 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2), stabilisce il principio generale secondo cui spettano alla Regione tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate. Il successivo articolo 4 precisa, poi, che nelle entrate spettanti alla Regione sono comprese anche quelle che, sebbene relative a fattispecie tributarie maturate nell'ambito regionale, affluiscono per esigenze amministrative, ad uffici finanziari situati fuori dal territorio della Regione.

 L'articolo 7 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 1074 del 1965, in attuazione dell'articolo 37 dello Statuto attribuisce alla Regione Siciliana il gettito dei tributi sui redditi di lavoro dipendente degli addetti agli stabilimenti situati nel territorio della regione, ma con sede legale fuori dal territorio siciliano.

Il Governo, nella risposta all’interrogazione in Commissione Finanze 5-03421 pubblicata il 6 agosto 2014, ha chiarito che la Struttura di Gestione dell'Agenzia delle Entrate attribuisce alla Regione Siciliana il gettito dell'IRPEF relativo ai versamenti effettuati tramite i modelli F24:

a)  presentati nel territorio siciliano, in base all'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074, che stabilisce il principio generale secondo cui spettano alla Regione tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate;

b)  presentati nel resto del territorio nazionale, ma contenenti il versamento di ritenute sui redditi di lavoro dipendente e assimilati, corrisposti da sostituti d'imposta, fiscalmente non domiciliati nella Regione Siciliana, a soggetti che prestano la loro opera in stabilimenti ed impianti siti nella predetta Regione (ai sensi dell'articolo 7 del citato DPR n. 1074 del 1965 che, in attuazione dell'articolo 37 dello Statuto, attribuisce alla Regione Siciliana il gettito dei tributi sui redditi da lavoro dei dipendenti delle imprese industriali e commerciali, addetti agli stabilimenti situati nella Regione, ma con sede legale fuori dal territorio siciliano).

 

Le disposizioni in commento prevedono che l’attribuzione delle risorse sia effettuato anche al fine di tener conto del minor gettito derivante alla Regione Siciliana dalle modifiche della disciplina della riscossione dell'IRPEF.

Al riguardo si rammenta tra l’altro che la Regione Siciliana, nel ricorso alla Corte Costituzionale del 25 febbraio 2014 col quale sono state impugnate diverse disposizioni della legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147), ha rammentato le ricadute fiscali dei recenti interventi normativi (tra cui l’impugnato articolo 1, comma 402 della richiamata legge 147 del 2013 in materia di emolumenti delle Forze armate) in tema delle procedure di pagamento dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato: alla luce di tali modifiche il Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), attraverso un sistema informatico unico, gestisce i processi del trattamento economico del personale delle amministrazioni dello Stato e di quello delle pubbliche amministrazioni aderenti.

A parere della Regione, la disposta centralizzazione dei pagamenti stipendiali, ed anche dei connessi adempimenti fiscali ha comportato la localizzazione fuori dal territorio siciliano della fase di riscossione delle ritenute alla fonte sui redditi da lavoro dei dipendenti dell’Amministrazione dello Stato o di una pubblica Amministrazione aderente al sistema MEF che lavorano in Sicilia: tale trasferimento della gestione dei trattamenti economici, prima liquidati nell’ambito del territorio siciliano, a parere della Regione ha determinato il venir meno di rilevanti entrate altrimenti di spettanza regionale, in contrasto con le richiamate norme finanziarie contenute nello Statuto della Regione e nelle norme attuative.

Con la sentenza n. 89 del 2015 la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del citato dell’articolo 1, comma 402, della legge n. 147 del 2013, in riferimento all’art. 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455: pur riconoscendo l’incidenza negativa sulle finanze regionali, essa è stata qualificata come effetto indiretto della norma impugnata, avente ad oggetto non l’imposta sul reddito delle persone fisiche né la sua devoluzione, bensì una diversa disciplina contabile e organizzativa della gestione dei pagamenti stipendiali effettuati dalle amministrazioni centrali dello Stato, riconducibile alla potestà esclusiva dello Stato ex articolo 117, secondo comma, Cost., lettera e) (sistema tributario e contabile) e g) (organizzazione amministrativa dello Stato). La Consulta ha affermato che il danno lamentato dalla Regione, pur sussistente, non può dunque mettere in discussione l’esercizio di un potere tipico ed esclusivo dello Stato, per di più rispondente nel caso di specie ad evidenti principi di razionalità sia organizzativa che economica.

 

 

Il comma 13-decies, introdotto nel corso dell’esame al Senato, per consentire l'attuazione delle misure per l'equilibrio finanziario della Regione Siciliana contenute nell'articolo 11 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, stabilisce che per le annualità 2014 e 2015 l'assegnazione della quota dell'imposta dovuta ai sensi del già richiamato articolo 37 dello Statuto speciale della Regione Siciliana sia effettuata mediante attribuzione diretta alla Regione, da parte dell’apposita struttura di gestione a ciò preposta (di cui al decreto interministeriale 22 maggio 1998, n. 183) nell'importo indicato dal comma 3 dello stesso articolo 11, al netto delle somme attribuite alla Regione Siciliana con le modalità stabilite dal decreto del Direttore generale delle finanze del 19 dicembre 2013 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana del 24 dicembre 2013, n. 301). Per l'anno 2014, l'attribuzione avviene utilizzando le risorse finanziarie disponibili sulla contabilità speciale n. 1778 ''Agenzia Entrate – fondi di bilancio''.

Il comma 13-undecies, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede che, per gli anni 2014 e 2015 resti fermo l'accertamento del gettito effettivo spettante alla Regione Siciliana in attuazione dell'articolo 11 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento delle finanze, anche sulla base dei dati forniti dall'Agenzia delle entrate, al fine di definire l'importo di un eventuale conguaglio da versare da parte della predetta regione all'entrata del bilancio dello Stato.

 

Si rammenta che l’articolo 11 del D.L. n. 35 del 2011 individua la tipologia di gettito tributario spettante alla Regione, vale a dire la quota di imposta sui redditi prodotti dalle imprese industriali e commerciali riferibile agli impianti aventi sede nella Regione, secondo quanto disposto dall'articolo 37 dello Statuto Regionale e dalla norma di attuazione contenuta nel D.Lgs. 241/2005, e quantifica la spettanza regionale in relazione all'esercizio 2013 in 49 milioni di euro.

Questa somma è attribuita direttamente alla Regione dalla Struttura di Gestione individuata dal D.M. 183/1998, vale a dire la Direzione centrale per la riscossione del Dipartimento delle entrate (Ministero delle finanze). Il D.M. 183/1998, in attuazione di quanto disposto dall'articolo 22, comma 3, del D.Lgs. 241/1997, recante norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, individua la struttura di gestione cui è affidato il compito di ripartire tra gli enti destinatari dei versamenti unitari le somme a ciascuno di essi spettanti nel Ministero delle finanze, dipartimento delle entrate, direzione centrale per la riscossione. Il decreto determina, inoltre, le modalità di attribuzione di tali somme.

Lo stesso articolo 11, al comma 2, dispone che, a decorrere dal 2014, l'attribuzione del gettito spettante alla Regione avviene secondo le modalità applicative da definire con Decreto dirigenziale del Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge, d’intesa con l’Assessorato regionale dell’economia della Regione siciliana. Ai sensi di tale norma è stato emanato il decreto del Direttore generale delle finanze del 19 dicembre 2013, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana del 24 dicembre 2013, n. 301, citato dalla norma in commento.

Il comma 13-duodecies attribuisce una quota pari a 326.942.000 euro per l'anno 2015 e a 384.673.000 euro a decorrere dall'anno 2016, nell'ambito delle risorse già iscritte in bilancio al capitolo 2862 di cui al programma "federalismo" relativo alla missione "Relazioni finanziarie con le autonomie territoriali" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, sia attribuita, mediante iscrizione su apposito capitolo di spesa del medesimo stato di previsione, alle regioni e province autonome al fine di compensare le minori entrate per effetto della manovrabilità disposta dalle stesse, applicata alla minore base imponibile derivante dalla misura di cui al comma 20, dell'articolo 1, della legge n. 190 del 2014, in materia di IRAP.

 

Si ricorda che il comma 20, nonché i commi da 22 a 25 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2015 introducono alcune agevolazioni in materia di Imposta regionale sulle attività produttive – IRAP (contenuta nel decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446). In particolare, si dispone l’integrale deducibilità dall’IRAP del costo sostenuto per lavoro dipendente a tempo indeterminato, eccedente le vigenti deduzioni – analitiche o forfetarie – riferibili allo stesso costo. L’agevolazione opera in favore di taluni soggetti sottoposti a imposta e decorre dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014.

 

Il riparto del contributo fra le regioni e le province autonome, sulla base di apposite elaborazioni fornite dal Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento delle finanze, è approvato entro il 30 settembre 2015 in sede di Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.

Il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


 

Articolo 8-bis
(Valle d’Aosta – patto di stabilità interno e servizi ferroviari)

 

 

L’articolo 8-bis ridetermina in diminuzione, per circa 60 milioni di euro, l’obiettivo del Patto di stabilità interno della regione Valle d’Aosta per il 2015, all’esito del recente accordo intervenuto nel luglio 2015 tra la regione medesima ed il Ministero dell’economia; provvede inoltre in ordine al subentro della regione medesima allo Stato - con l’assunzione dei relativi oneri - nei rapporti con il gestore del servizio ferroviario regionale (Trenitalia S.p.A.) a far data dal 1° gennaio 2011. A tal fine viene corrisposto alla regione un contributo aggiuntivo per il 2015 di circa 120 milioni, anche a compensazione di minori entrate derivanti da modifiche di aliquote di gettiti ad essa spettanti.

 

In particolare il comma 1 stabilisce l’obiettivo del patto di stabilità interno della regione Valle d’Aosta per il 2015 in 701 milioni di euro, in riduzione di circa 60 milioni rispetto a quanto previsto a legislazione vigente (articolo 1, comma 454 della legge di stabilità 2013 n.228/2012) e provvede al finanziamento del corrispondente, quantificato in 60 milioni di euro in termini di indebitamento netto, che viene posto a carico del Fondo per gli oneri non previsti a legislazione vigente conseguenti all’attualizzazione di contributi pluriennali[95].

Tale rideterminazione è disposta in applicazione dell’Accordo del 21 luglio 2015 intervenuto tra il Ministero dell’economia e la regione nel quale si attesta il conseguimento dell’obiettivo del patto di stabilità interno per il 2014 (con un livello di spese in termini di competenza eurocompatibile determinato in 849 milioni) e, nel contempo si amplia il tetto di spesa per il 2015 ai fini del patto medesimo per 60 milioni di euro.

 

Il comma 2 dispone circa il subentro della regione Valle d’Aosta allo Stato, nei rapporti con il gestore dei servizi di trasporto ferroviario regionale (Trenitalia S.p.A.), di cui la regione medesima assume in via definitiva gli oneri a far data dal 1° gennaio 2011.

Con tale norma si viene a definire un rapporto tra Stato e regione aperto dall’articolo 2 del decreto legislativo n.194 del 2010[96] e del conseguente Accordo Stato-Valle d’Aosta dell’11 novembre 2010, come recepito dall’articolo 1, comma 160 della legge n.220/2010 (legge di stabilità 2010).

Su tale questione è successivamente intervenuto l’articolo 17 del decreto-legge 16/2014, i cui commi da 1 a 3 consentono il pagamento diretto a Trenitalia Spa delle somme dovute in relazione allo svolgimento, fino al 31 luglio 2014, del servizio ferroviario nella regione Valle d’Aosta nelle more del completamento del trasferimento a tale regione delle competenze in materia di rete ferroviaria interessata dai contratti di servizio nazionale. A tal fine tali disposizioni prevedono che lo Stato disponga il pagamento diretto a Trenitalia S.p.A. di 13,4 milioni di euro per i servizi resi nel periodo gennaio-luglio 2014 nella regione Valle d’Aosta al fine di favorire il completamento del passaggio delle competenze relative al “trasporto pubblico locale ferroviario” tra lo Stato e la regione si cui ora interviene il comma 8-bis in commento.

Il comma 2 dell’articolo 17 in questione ha altresì previsto che il pagamento del servizio a decorrere dal 31 luglio 2014 a carico della Regione Valle d'Aosta è escluso dal patto di stabilità interno nel limite di 9,6 milioni di euro per l'anno 2014 e di 23 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015

In relazione a tale vicenda, qui sinteticamente riepilogata, il comma 2, nel disporre il subentro della regione nei servizi ferroviari regionali stabilisce che la stessa ne assuma integralmente gli oneri, al netto di quanto già erogato ai sensi dell’articolo 17 del decreto legge n.16/2014.

Il comma 2 medesimo dispone altresì un trasferimento alla regione di 120 milioni di euro per il 2015 erogato sia in relazione al subentro della regione allo Stato nella gestione del servizio ferroviario regionale sia – senza che però la norma ne determini le rispettive suddivisioni – a ristoro della perdita di gettito subita dalla regione a seguito delle modifiche alle accise sull'energia elettrica, sugli spiriti e sulla birra, che l’articolo 4, comma 1, lettere a) e b) della legge 690/1981 attribuisce alla medesima regione[97].

La quota parte dell’importo di 120 milioni – come sopra detto, non precisata in norma – è aggiuntiva rispetto a quanto già stabilito dalla legge di stabilità 2015 (legge 190/2014 articolo 1, comma 525) che ha disposto un trasferimento di 70 milioni annui, a decorrere dal 2015, per la perdita di gettito derivante dalle modifiche alle accise predette.

Si rammenta che la accisa sull'energia elettrica spetta alla regione per l'intero gettito, mentre l’ accisa sugli alcolici, spetta per i nove decimi. La misura delle due compartecipazioni è stabilita, insieme a tutti gli altri tributi erariali spettanti alla Regione, all'articolo 4 della legge n. 690 del 1981, recante le norme principali dell'ordinamento finanziario della Regione Valle d'Aosta.

Si ricorda che i tributi erariali nel caso della Regione Valle d'Aosta - e della Regione Sardegna - sono ancora riscossi dallo Stato che provvede poi a ‘devolvere’ alla regione la quota spettante. Nelle altre autonomie speciali, invece, i tributi erariali spettanti sono riscossi direttamente, vale a dire che le entrate corrispondenti alle quote di compartecipazione ai tributi erariali ad esse spettanti, sono versate direttamente sui conti infruttiferi ordinari intestati alla Regione o alla Provincia autonoma, istituiti presso le tesorerie dello Stato

Alla copertura del predetto onere di 120 milioni di onere, si provvede mediante utilizzo delle risorse di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 8, del decreto-legge in esame, non richieste dalle Regioni e dalle Province autonome alla data del 30 giugno 2015 (i citati commi stanziano risorse per i pagamenti da parte delle regioni dei debiti scaduti nel 2014 o fuori bilancio, come meglio illustrati nella relativa scheda di questo dossier).

Il comma 3 provvede alla copertura degli oneri in termini di minori interessi attivi derivanti dal comma 2, pari a circa 1,6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017 ed a 1,5 milioni a decorrere dal 2018, a valere sul Fondo speciale di parte corrente 2015-2017, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciale» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2015.

 


 

 

Articolo 9, commi 1-5
(Disposizioni concernenti le regioni)

 

 

I commi in esame recano modifiche ad alcune disposizioni della legge di stabilità per il 2015 relative:

§  alla determinazione degli equilibri del bilancio delle regioni, riducendo il valore del concorso di alcune poste di bilancio che rientrano nel calcolo dei saldi (comma 1);

§  all’utilizzo delle risorse stanziate per il patto verticale incentivato ai fini del contributo alla finanza pubblica dovuto dalle regioni per l’anno 2015 (comma 2);

§  alla disciplina del patto verticale incentivato (comma 3);

§  all’estensione della disciplina del pareggio di bilancio, quale nuova modalità di concorso agli obiettivi di finanza pubblica, anche alla Regione Sardegna (comma 4);

§  alle modalità di ripiano del disavanzo al 31 dicembre 2014 delle regioni, in deroga alle disposizioni vigenti (comma 5).

 

 

In particolare, il comma 1 novella l'articolo 1, comma 465, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015), riducendo da 2.005 a 1.720 milioni di euro l’ammontare complessivo massimo del concorso di determinate poste di bilancio, indicate dal comma medesimo, alla determinazione dei saldi di equilibrio che in termini di competenza e di cassa, nell’anno 2015, le regioni a statuto ordinario sono tenute a conseguire, ai fini del rispetto delle nuove modalità di contenimento dei saldi di finanza pubblica.

 

Si ricorda che con la legge di stabilità per il 2015 (commi da 460 a 478 dell’art. 1) è stato introdotto per le regioni a statuto ordinario il vincolo del pareggio di bilancio quale nuova modalità di contenimento della spesa pubblica, in luogo del patto di stabilità interno incentrato sull'osservanza di un limite posto alle spese finali.

In linea con quanto previsto dall’articolo 9 della legge n. 243/2012[98], il comma 463 stabilisce che le regioni a decorrere dal 2015, in fase di rendiconto, e a decorrere dal 2016, in fase di previsione, devono conseguire il pareggio di bilancio - definito come "saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa" - sia tra le entrate e le spese finali sia tra le entrate e le spese correnti.

Sono quindi stabilite le regole – vale a dire i saldi di riferimento - per il pareggio di bilancio (commi 463-464), le specifiche voci di entrata e di spesa che vi concorrono, nonché, in relazione all'esercizio 2015, gli specifici criteri da utilizzare per il computo di alcune voci contabili e l’individuazione di talune poste da escludere (commi 465-469).

In particolare, il comma 465 qui modificato, individua alcune particolari voci di bilancio che rientrano nel computo dei saldi, per un importo massimo complessivo consentito per il 2015.

 

In particolare, ai sensi del comma 465 della legge di stabilità 2015, qui modificato, concorrono alla determinazione dei saldi di equilibrio, nel limite massimo complessivo di 2.005 milioni, ora ridotti a 1.720 milioni di euro, le seguenti voci:

§  ai fini degli equilibri di cassa, gli utilizzi del fondo di cassa al 1° gennaio 2015, tenendo anche conto delle royalty derivanti dalle concessioni di coltivazioni di idrocarburi in terraferma, nonché gli incassi per accensione di prestiti riguardanti i debiti autorizzati e non contratti negli esercizi precedenti;

§  ai fini degli equilibri di competenza: gli utilizzi delle quote vincolate del risultato di amministrazione al 1° gennaio 2015, tenendo anche conto delle entrate derivanti dall’applicazione; il saldo tra il fondo pluriennale vincolato iscritto in entrata e in spesa; gli utilizzi della quota libera del risultato di amministrazione accantonata per le reiscrizioni dei residui perenti.

 

La Relazione tecnica precisa che la disposizione di cui al comma 1 è recata in applicazione di quanto concordato in sede di Intesa sancita in Conferenza Stato-regioni nella seduta del 26 febbraio 2015, prevista dal comma 465 medesimo della legge di stabilità 2015, con cui sono state definite le modalità del concorso delle Regioni a statuto ordinario agli obiettivi di finanza pubblica per l'anno 2015 stabiliti dalla legge di stabilità.

 

Si ricorda, al riguardo, che il comma 465 stabilisce che l’importo delle voci rilevanti ai fini dei saldi di equilibrio è determinato, per le singole regioni, dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano (e poi recepita con decreto del Ministro dell’economia) entro il 31 gennaio 2015, fermo restando che per ciascuna regione ciò avverrà nei limiti del fondo di cassa al 1° gennaio 2015, della quota vincolata del risultato di amministrazione e della quota libera del risultato di amministrazione accantonata per i residui perenti.

L'intesa è stata sancita in Conferenza permanente nella seduta del 26 febbraio 2015. Nell’Intesa, l’importo massimo del limite previsto dal comma 465 è stato rideterminato in 1.720 milioni di euro (in luogo dei 2.005 milioni previsti dal comma medesimo) ed è stato così ripartito tra le regioni:


 

 

 

Distribuzione regionale

Distribuzione importo rideterminato

PIEMONTE

175.036.500,00

150.156.000,00

LOMBARDIA

316.817.107,80

271.783.254,58

VENETO

132.530.500,00

113.692.000,00

LIGURIA

62.155.000,00

53.320.000,00

EMILIA R.

166.415.000,00

142.760.000,00

TOSCANA

149.773.500,00

128.484.000,00

UMBRIA

43.308.000,00

37.152.000,00

MARCHE

62.556.000,00

53.664.000,00

LAZIO

178.900.215,61

153.470.509,15

ABRUZZO

58.546.000,00

50.224.000,00

MOLISE

20.451.000,00

17.544.000,00

CAMPANIA

224.961.000,00

192.984.000,00

PUGLIA

257.775.230,49

221.133.863,56

BASILICATA

39.298.000,00

33.712.000,00

CALABRIA

116.476.946,10

99.920.372,71

totale RSO

2.005.000.000

1.720.000.000

 

Si segnala, altresì, che nel prospetto riepilogativo degli effetti finanziari delle norme, incluso nella Relazione tecnica, si afferma che il miglioramento in termini di indebitamento netto di 285 milioni di euro (determinato dalla riduzione da 2.005 a 1.720 milioni del limite massimo di cui al comma 465) è stato stabilito al fine di compensare il mancato effetto per l'anno 2015 derivante dalla riduzione delle risorse per l'edilizia sanitaria, stabilita anch’essa con l’Intesa del 26 febbraio 2015, cui si rinvia.

 

 

Il comma 2 - aggiungendo il comma 488-bis all'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 - recepisce l'Intesa sancita in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 26 febbraio 2015 per quel che concerne l’utilizzo del contributo per l’applicazione del c.d. patto verticale incentivato, stanziato dall’articolo 1, comma 484, della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015).

 

Si ricorda che il comma 484 citato attribuisce alle regioni a statuto ordinario ed a tre autonomie speciali (Sicilia, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia) un contributo, nel limite complessivo di 1 miliardo di euro, per l’attuazione del c.d. patto verticale incentivato che, si ricorda, costituisce un istituto introdotto per favorire una maggiore flessibilità per il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti territoriali.

Il contributo, destinato a coprire l’83,33 per cento degli spazi finanziari che ciascuna regione cede agli enti locali del proprio territorio, è ripartito tra le regioni destinatarie secondo quote definite nella Tabella 1 allegata alla legge di stabilità 2015. Gli importi possono tuttavia essere variati mediante accordo da sancire in sede di Conferenza Stato-Regioni entro il 31 gennaio 2015.

Stante il vincolo generale dell’invarianza dell’obiettivo complessivo di ciascun comparto regione-enti locali, nel cedere gli spazi ciascuna regione migliora per un pari importo il proprio obiettivo di bilancio, individuato per le Regioni a statuto ordinario e la Regione Sardegna (regioni per le quali vige l'obiettivo del pareggio di bilancio) nel saldo tra entrate e spese finali in termini di cassa ed invece in termini del tetto di spesa eurocompatibile per la Sicilia ed il Friuli Venezia Giulia. Il contributo non rileva ai fini del pareggio di bilancio ed è destinato dalle regioni all'estinzione anticipata del debito.

 

In particolare, il comma 2 è volto ad autorizzare le regioni a statuto ordinario ad utilizzare le risorse attribuite per l'applicazione del patto verticale incentivato ai fini del contributo finanziario imposto alle regioni dall'articolo 46, comma 6, del decreto-legge n. 66 del 2014, limitatamente alla quota ripartita a ciascuna regione in sede di Intesa (si veda la Tabella che segue).

Si rammenta che il citato comma 6 dell’articolo 46 del D.L. n. 66/2014, come modificato dal comma 398 dell’art. 1 della legge di stabilità 2015, determina il contributo alla finanza pubblica che le regioni a statuto ordinario sono tenute ad assicurare, pari complessivamente a 500 milioni di euro per l'anno 2014 e a 750 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018. Le regioni potranno decidere gli ambiti di spesa sui quali incidere per realizzare il risparmio e l'ammontare del risparmio riferito a ciascuna regione mediante intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.

 

L’utilizzo per tale finalità delle risorse attribuite per il patto verticale incentivato è consentito soltanto alle regioni che abbiano effettivamente attivato il meccanismo del patto verticale incentivato, vale a dire abbiano ceduto spazi finanziari validi ai fini del patto di stabilità interno agli enti locali (comuni, città metropolitane e province) ricadenti nel proprio territorio nei termini indicati dalla normativa vigente (30 aprile 2015) e provvedano alla riduzione del debito.

Soltanto al verificarsi di tali condizioni, il Ministero dell'economia e delle finanze provvede direttamente a versare le somme spettanti alle regioni (come ripartite in sede di Intesa) all'entrata del bilancio dello Stato. Sulla base delle comunicazioni del Ministero dell'economia e delle finanze, le regioni provvedono a dare evidenza nei propri rendiconti di tali operazioni a salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica.

 

Sul punto, l’Intesa sancita in Conferenza permanente nella seduta del 26 febbraio 2015 ha stabilito che il concorso agli obiettivi di finanza pubblica delle Regioni a statuto ordinario per l’anno 2015 sia realizzato, tra l’altro, anche mediante l’utilizzo delle risorse per il patto verticale incentivato per 802,13 milioni di euro. A tal fine, l’Intesa prevede che le regioni riversino le risorse ricevute per l’attuazione del patto verticale incentivato (non utilizzabili ai fini del pareggio di bilancio) ad apposito capitolo dello stato di previsione dell’entrata del bilancio dello Stato.


 

Nell’Intesa la distribuzione del contributo è illustrato nella seguente tabella:

                                           

Distribuzione contributo del patto incentivato

PIEMONTE

70.026.298,20

LOMBARDIA

142.138.144,80

VENETO

53.021.057,40

LIGURIA

24.866.154,00

E.ROMAGNA

66.577.122,00

TOSCANA

59.919.409,80

UMBRIA

17.326.094,40

MARCHE

25.026.580,80

LAZIO

102.352.298,40

ABRUZZO

23.422.312,80

MOLISE

8.181.766,80

CAMPANIA

89.999.434,80

PUGLIA

64.652.000,40

BASILICATA

15.721.826,40

CALABRIA

38.903.499,00

totale RSO

802.134.000,00

FRIULI

18.910.000,00

SICILIA

127.966.000,00

SARDEGNA

50.980.000,00

totale RSS

197.856.000,00

totale

999.990.000,00

 

Si ricorda che già gli scorsi anni il contributo assegnato alle regioni per il patto verticale incentivato è stato utilizzato per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.

 

In particolare, per il 2013 e per il 2014[99], il contributo per il patto verticale incentivato è stato attribuito alle Regioni a statuto ordinario ed alle regioni Sicilia e Sardegna per un importo complessivo pari, per ciascun anno, a 1.272 milioni di euro. Con l'Accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni del 11 luglio 2013[100], è stata definita la ripartizione degli spazi finanziari che le regioni possono cedere agli enti locali del proprio territorio per ciascuno degli anni 2013 e 2014. Con il medesimo accordo le regioni a statuto ordinario hanno peraltro definito la ripartizione tra le stesse del taglio di risorse disposto dall'art. 16 del D.L. n. 95/2012 (c.d. spending review) per complessivi 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014. In sostanza, come già avvenuto per il 2012, le risorse attribuite alle regioni a statuto ordinario per l'incentivazione del patto regionalizzato verticale sono state messe a disposizione – dalle regioni stesse – per il taglio di risorse disposto dal decreto-legge n. 95 del 2012.

 

Il comma 3 reca alcune modifiche al comma 484 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 che disciplina il patto verticale incentivato.

 

Come già sopra ricordato, il patto verticale incentivato costituisce un istituto introdotto, a partire dal 2012, per favorire una maggiore flessibilità per il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti territoriali. In particolare, il patto incentivato prevede l’attribuzione alle regioni di un contributo, a fronte del quale le stesse si impegnano a cedere, ai comuni e alle province ricadenti nel proprio territorio, spazi finanziari per sostenere maggiori spese, soprattutto in conto capitale, senza incorrere nella violazione del patto[101].

Per il 2015, la disciplina prevede un contributo di 1 miliardo di euro in favore delle regioni a statuto ordinario e alla Sicilia, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia, destinato a coprire l’83,33 per cento degli spazi finanziari che ciascuna regione cede agli enti locali del proprio territorio. Tale contributo è ripartito tra le regioni destinatarie secondo le quote definite nella Tabella 1 allegata alla legge di stabilità 2015; tuttavia, tali importi possono essere variati mediante accordo da sancire in sede di Conferenza Stato-Regioni entro il 31 gennaio 2015.

Come già detto sopra, l’accordo è stato raggiunto nell’Intesa del 26 febbraio 2015.

Nel cedere gli spazi ciascuna regione migliora per un pari importo il proprio obiettivo di bilancio, individuato per le Regioni a statuto ordinario e la Regione Sardegna (regioni per le quali vige l'obiettivo del pareggio di bilancio) nel saldo tra entrate e spese finali in termini di cassa ed invece in termini del tetto di spesa eurocompatibile per la Sicilia ed il Friuli Venezia Giulia. Il contributo non rileva ai fini del pareggio di bilancio ed è destinato dalle regioni all'estinzione anticipata del debito.

Gli spazi finanziari sono ceduti per il 25 per cento alle province e alle città metropolitane e per il 75 per cento ai comuni.

 

Il comma 3 interviene in più punti della disciplina di cui al comma 484 al fine di precisare:

a)   la procedura per la rideterminazione degli obiettivi, rinviando, a tal fine, a quanto previsto dai commi 481 e 482 della legge di stabilità 2015, che disciplinano la rideterminazione degli obiettivi in caso di applicazione della c.d. regionalizzazione (orizzontale e verticale) del patto.

In particolare, ai sensi del comma 481:

-  le regioni definiscono criteri di virtuosità e modalità operative previo confronto in sede in Consiglio delle autonomie locali (e comunque con i rappresentanti degli enti locali – in caso il Consiglio non sia istituito);

-  entro il 15 aprile, gli enti locali comunicano all'ANCI, all'UPI e alla Regione gli spazi finanziari di cui necessitano per effettuare i pagamenti in conto capitale ovvero gli spazi finanziari che sono disposti a cedere;

-  entro il 30 aprile, la regione comunica agli enti locali interessati i saldi obiettivo rideterminati e al Ministero dell'economia e delle finanze tutte le informazioni utili alla verifica dell'equilibrio dei saldi.

Secondo quanto disposto dal comma 482:

-  entro il 15 settembre la regione, sulla base delle informazioni ricevute dagli enti locali ed in accordo con essi, può procedere alla rimodulazione dei saldi obiettivo esclusivamente per consentire pagamenti in conto capitale; provvede quindi contestualmente ed in misura corrispondente a rimodulare i saldi obiettivo dei restanti enti locali, ovvero a rideterminare l'obiettivo di saldo della regione stessa tra entrate e spese finali;

-  entro il 30 settembre, la regione comunica agli enti locali i saldi obiettivo così rideterminati e comunica al Ministero dell'economia e delle finanze, in riferimento agli enti locali ed alla regione stessa, tutte le informazioni utili alla verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi.

b)   l’utilizzo da parte degli enti locali beneficiari degli spazi finanziari ceduti dalla regione, in particolare, stabilendo che essi vengano destinati dagli enti locali per sostenere maggiori pagamenti in conto capitale con priorità per i pagamenti relativi ai debiti commerciali di parte capitale maturati alla data del 31 dicembre 2014 (e non più in maniera esclusiva per tale tipologia di pagamenti, come previsto dalla normativa previgente, peraltro relativi a debiti maturati alla data del 30 giugno 2014);

c)   che la quota di spazi finanziari riservata ai comuni si intende pari al 75 per cento degli spazi complessivamente ceduti sino a soddisfazione delle richieste; gli eventuali spazi non assegnati sulla predetta quota possono pertanto essere assegnati agli altri enti locali ricadenti nel territorio della regione.

 

È altresì modificato il comma 485 al fine di aggiungere alla data del 30 aprile 2015 anche quella del 30 settembre 2015, quale termine perentorio per la comunicazione al MEF da parte delle regioni delle informazioni per la verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica in caso di rideterminazione dei saldi obiettivo in applicazione della flessibilità regionale di tipo verticale.

 

Il comma 4 estende alla Regione Sardegna l’applicazione della disciplina del pareggio di bilancio sopra descritta (introdotta dai commi da 460 a 478 della legge di stabilità per il 2015) - con esclusione del comma 465, il quale, si ricorda (cfr. la scheda relativa al comma 1), riguarda la quantificazione di determinate poste di bilancio da includere nella determinazione dei saldi di equilibrio delle regioni a statuto ordinario dell’anno 2015.

L’applicazione del pareggio di bilancio per la Regione Sardegna a decorrere dal 2015 è peraltro già stata prevista dal decreto legge n. 133/2014, convertito con legge n. 164/2014 (art. 42, commi 9-13).

 

Con riferimento alla Regione Sardegna, il comma 9 dell'art. 42 del decreto legge 133/2014, stabilisce che a decorrere dal 2015 l'obiettivo per la Regione, ai fini del concorso alla finanza pubblica, debba essere il pareggio di bilancio, come definito dall'articolo 9 della legge n. 243 del 2012 (saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali).

 

Come sopra già ricordato, i commi da 460 a 478 dell’art. 1 della legge di stabilità per il 2015 hanno introdotto per le regioni a statuto ordinario una diversa modalità di concorso agli obiettivi di finanza pubblica vincolando ciascuna regione al conseguimento del pareggio di bilancio, in luogo del patto di stabilità interno, che impegnava le regioni all'osservanza di un limite alle spese complessive (commi 460-462).

In particolare, in linea con le disposizioni dell’articolo 9 della legge n. 243/2012, attuativa del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione, il comma 463 prevede che le regioni a statuto ordinario devono conseguire, ai fini del concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica, a decorrere dall'anno 2016 nella fase di previsione e a decorrere dal 2015 in sede di rendiconto:

§  un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra entrate finali e spese finali;

§  un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra entrate correnti e spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti.

 

I commi 465 e 466 recano una serie di prescrizioni normative di dettaglio in ordine alle modalità di calcolo dei saldi di equilibrio e all’individuazione delle specifiche voci di entrata e di spesa che vi concorrono, nonché, in relazione all'esercizio 2015, di talune poste da escludere (commi 465-469).

Sono escluse dal computo dei saldi per l'anno 2015 determinate tipologie di spese tassativamente elencate dalla legge (L. n. 190/2014, art. 1, commi 145 e 466), costituite:

§  dai pagamenti relativi a debiti in conto capitale delle regioni non estinti alla data del 31 dicembre 2013, nel limite di 60 milioni di euro. I suddetti pagamenti devono riferirsi a debiti certi, liquidi ed esigibili – nonché riconosciuti o aventi i requisiti a tal fine - alla suddetta data, per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento; la norma contiene la disciplina specifica sia per l'individuazione dei debiti, che per la determinazione dello spazio finanziario concesso a ciascuna regione (individuato con Decreto del Ministero dell'economia e finanze entro il 15 marzo 2015);

§  dalle riscossioni e concessioni di crediti;

§  dalle risorse provenienti direttamente o indirettamente dall'Unione europea e le relative spese di parte corrente e in conto capitale, con esclusione delle spese connesse ai cofinanziamenti statali o regionali;

§  le spese relative al cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali dell'Unione europea.

Come nella precedente normativa sul contenimento della spesa, sono inoltre disciplinati il monitoraggio dei risultati e gli adempimenti delle regioni (commi 470-472, 478), nonché le sanzioni in caso di inosservanza del patto e le misure antielusive (commi 473-477).

 

Il comma 5 disciplina le modalità di ripiano del disavanzo al 31 dicembre 2014 delle regioni, in deroga alle disposizioni vigenti previste dal decreto legislativo n. 118 del 2011, in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio.

In particolare, il comma dispone che il disavanzo al 31 dicembre 2014 delle regioni - al netto del debito autorizzato e non contratto - possa essere ripianato nei sette esercizi successivi a quote costanti, contestualmente all'adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo, sottoposto al parere del collegio dei revisori, nel quale sono individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio, in deroga a quanto disposto in materia dall'articolo 42, comma 12, del D.Lgs. n. 118/2011, che ne prevede il ripiano nel primo esercizio del bilancio di previsione ovvero nei tre esercizi considerati dal bilancio a seguito dell'adozione di una apposita delibera consiliare; in ogni caso non oltre la durata della legislatura regionale.

La deliberazione contiene altresì l'impegno formale di evitare la formazione di ogni ulteriore potenziale disavanzo, ed è allegata al bilancio di previsione e al rendiconto, costituendone parte integrante.

Con periodicità almeno semestrale il Presidente della giunta regionale trasmette al Consiglio una relazione riguardante lo stato di attuazione del piano di rientro.

 

Nel corso dell’esame al Senato è stata eliminata la disposizione che prevedeva che la quota del disavanzo formatosi nel 2014 fosse interamente applicata all'esercizio 2015, in quanto ora tale quota – che nel testo originario era scomputata dal disavanzo complessivo registrato a fine 2014 - rientra nel disavanzo complessivo al 31 dicembre 2014, da ripianarsi in sette esercizi finanziari.

 

Il comma 12, dell'articolo 42, del decreto legislativo n. 118 del 2011 dispone che l'eventuale disavanzo di amministrazione accertato con l'approvazione del rendiconto della gestione dell'ultimo esercizio chiuso, al netto del debito autorizzato e non contratto, è applicato al primo esercizio del bilancio di previsione dell'esercizio in corso di gestione. La mancata variazione di bilancio che, in corso di gestione, applica il disavanzo al bilancio è equiparata a tutti gli effetti alla mancata approvazione del rendiconto di gestione. Il disavanzo di amministrazione può anche essere ripianato negli esercizi considerati nel bilancio di previsione, in ogni caso non oltre la durata della legislatura regionale, contestualmente all'adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo nel quale siano individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio. Il piano di rientro è sottoposto al parere del collegio dei revisori. Ai fini del rientro, possono essere utilizzate le economie di spesa e tutte le entrate, ad eccezione di quelle provenienti dall'assunzione di prestiti e di quelle con specifico vincolo di destinazione, nonché i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali disponibili e da altre entrate in c/capitale con riferimento a squilibri di parte capitale.

 

Il risultato di amministrazione (avanzo di amministrazione se positivo, disavanzo di amministrazione se negativo), distinto in fondi liberi, fondi accantonati, fondi destinati agli investimenti e fondi vincolati, è accertato con l'approvazione del rendiconto della gestione dell'ultimo esercizio chiuso, ed è pari al fondo di cassa aumentato dei residui attivi e diminuito dei residui passivi. Tale risultato non comprende le risorse accertate che hanno finanziato spese impegnate con imputazione agli esercizi successivi, rappresentate dal fondo pluriennale vincolato determinato in spesa del conto del bilancio. Nel caso in cui il risultato di amministrazione non presenti un importo sufficiente a comprendere le quote vincolate, destinate ed accantonate, la differenza è iscritta nel primo esercizio considerato nel bilancio di previsione, prima di tutte le spese, come disavanzo da recuperare, secondo le modalità previste al citato comma 12.


 

 

Articolo 9, comma 6
(Ristrutturazione del debito delle regioni)

 

 

Il comma 6 interviene sull’articolo 45 del decreto-legge n. 66 del 2014, che reca disposizioni in merito alla ristrutturazione di parte del debito delle regioni, al fine di ridurre l’onere che gli enti devono destinare al servizio di tale debito .

In particolare, la novella è relativa al comma 2 dell’articolo 45, il quale ha autorizzato il Ministero dell’economia e finanze ad effettuare emissioni di titoli di Stato ai fini del riacquisto da parte delle regioni dei titoli obbligazionari da esse emessi, aventi specifiche caratteristiche: vita residua pari o superiore a 5 anni e valore nominale dei titoli obbligazionari regionali in circolazione pari o superiore a 250 milioni di euro. Per i titoli in valuta rileva il cambio fissato negli swap[102] di copertura insistenti sulle singole emissioni.

L’articolo 1, comma 700, della legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014) ha inoltre autorizzato, per le operazioni suddette, l’apertura di una apposita contabilità speciale presso il Ministero dell’economia e delle finanze.

La modifica introdotta dalla norma in esame è finalizzata a prevedere, per le operazioni di riacquisto dei titoli obbligazionari regionali, un contributo da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, fino a un importo massimo complessivo di circa 543,17 milioni euro, a valere sulle disponibilità della contabilità speciale medesima.

 

Si rammenta che l’articolo 45 richiamato disciplina la ristrutturazione di parte del debito delle regioni, con una conseguente riduzione dell’onere annuale destinato al pagamento dello stesso, limitatamente a due tipologie di operazioni di indebitamento:

1.    mutui contratti con il Ministero dell’economia e finanze, direttamente o per il tramite della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., con vita residua pari o superiore a 5 anni e importo del debito residuo da ammortizzare superiore a 20 milioni di euro; in questi casi la scadenza viene allungata fino a trent'anni da ammortizzare con rate costanti ad interessi pari a quelli dei BTP con durata finanziaria più vicina al nuovo mutuo;

2.    titoli obbligazionari regionali con vita residua pari o superiore a 5 anni e valore nominale dei titoli pari o superiore a 250 milioni di euro. In particolare, il comma 2 autorizza il Ministero dell’economia e delle finanze ad effettuare emissioni di titoli di Stato ai fini del riacquisto da parte delle regioni dei titoli obbligazionari da esse emessi e aventi le caratteristiche suddette. Per i titoli in valuta rileva il cambio fissato negli swap di copertura insistenti sulle singole emissioni. In questi casi, la regione finanzia il riacquisto dei titoli utilizzando il ricavato di un mutuo concesso dal MEF e con contestuale cancellazione dei derivati insistenti su di essi (comma 12).

In questo modo, il debito delle regioni verso il mercato verrebbe sostituito con un debito delle stesse verso il Tesoro.

Le regioni assumono in autonomia le decisioni in ordine al riacquisto dei titoli e alla chiusura anticipata delle eventuali operazioni in strumenti derivati ad essi riferite.

 

Secondo la Relazione tecnica al disegno di legge di conversione del D.L. n. 66/2014, il valore dei titoli aventi tali caratteristiche sarebbe pari a 8.727 milioni di euro in termini nominali, suddiviso tra 9 regioni. Questi titoli, con un profilo di rimborso c.d. bullet (ossia in un'unica soluzione a scadenza), rappresenterebbero spesso il sottostante di derivati che ne hanno trasformato sia il profilo di ammortamento, sia il tasso da fisso a variabile o viceversa, includendo anche diverse tipologie di opzioni.

I pagamenti non più dovuti a seguito del riacquisto dei titoli obbligazionari vengono sostituiti dal rimborso del capitale e dal pagamento degli interessi relativi ai nuovi mutui erogati dal Ministero dell’economia alle regioni, mutui che possono essere rimborsati in trenta rate annuali.

Si tratta, pertanto, di una operazione di buy-back di titoli di debito delle Regioni, avente lo scopo di generare risparmi sulla spesa per interessi della pubblica amministrazione e una semplificazione delle posizioni debitorie delle Regioni. Risparmi che derivano dalla circostanza - secondo quanto espresso dal Governo sull’intervento effettuato mediante l’articolo 45 del D.L. n. 66/2014 - che l’operazione sostituisce titoli regionali emessi anni fa a tassi ben più alti degli attuali con mutui a tassi correnti, a sua volta finanziati agli attuali tassi di mercato da parte del Tesoro.

 

Secondo quanto precisato nella Relazione tecnica al provvedimento in esame, il contributo viene autorizzato nel limite di 543,17 milioni di euro, corrispondente alla quota di risorse stanziate ai sensi dell’art. 45 del D.L. n. 66/2014, che sarebbe stata destinata alla concessione del mutuo alla regione Valle d’Aosta, regione che non ha fatto richiesta di accedere all’operazione di ristrutturazione del debito.

La Relazione sottolinea altresì che la provvista di fondi per le operazioni di concessione dei finanziamenti è già stata effettuata per il 2014 e le relative somme sono state versate all’apposita contabilità speciale; la disposizione in esame, pertanto consentirà la conclusione di un maggior numero di operazioni, non pregiudicando il venir meno per lo Stato dell’incasso delle relative quote di rimborso a carico delle Regioni, garantendo allo stesso tempo una maggiore riduzione del debito.

 

Si rammenta, infine, che in base alla normativa vigente, gli enti territoriali non possono più emettere strumenti finanziari derivati, secondo quanto espressamente previsto dall’articolo 62 del D.L. n. 112 del 2008 come da ultimo modificato dalla legge di stabilità per il 2014. Tale disposizione prevede infatti espressamente che alle regioni, alle province autonome di Trento e di Bolzano e agli enti locali è fatto divieto di emettere titoli obbligazionari o altre passività che prevedano il rimborso del capitale in un'unica soluzione alla scadenza, nonché titoli obbligazionari o altre passività in valuta estera.

Attualmente, in base all’articolo 62 sopra citato gli enti territoriali possono solamente:

§  estinguere anticipatamente i contratti derivati da essi detenuti;

§  riassegnare i medesimi contratti a controparti diverse dalle originarie (cosiddette “novazioni soggettive”) senza che vengano modificati i termini e le condizioni finanziarie dei contratti riassegnati;

§  ristrutturare i contratti derivati a seguito di modifica della passività sottostante, esclusivamente nella forma di operazioni prive di componenti opzionali e volte alla trasformazione da tasso fisso a variabile o viceversa e con la finalità di mantenere la corrispondenza tra la passività rinegoziata e la collegata operazione di copertura;

§  perfezionare contratti di finanziamento che includono l’acquisto di cap da parte dell’ente, cioè di un’opzione che protegga l’ente dal rialzo dei tassi su mutui stipulati a tasso variabile.

 

Per un approfondimento sulla disciplina e sull’utilizzo da parte delle regioni degli strumenti di finanza derivata si rinvia alle considerazioni contenute nelle due ultime Relazioni della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle Regioni, la prima del luglio 2013, riferita agli esercizi 2011 e 2012, e la seconda del gennaio 2015, riferita all’esercizio 2013.

 


 

Articolo 9, comma 7
(Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale
delle aree urbane degradate
)

 

 

Il comma 7 modifica l'articolo 1, comma 431, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) al fine di prorogare dal 30 giugno 2015 al 30 novembre 2015 il termine entro il quale i comuni inviano alla Presidenza del Consiglio dei ministri i progetti di riqualificazione urbana finalizzati alla predisposizione del Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate.

La norma in esame inserisce, inoltre, l’intesa in sede di Conferenza Unificata nel procedimento per l’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui deve essere approvato il bando con le modalità e la procedura per la presentazione dei progetti comunali.

 

Nei commi da 431 a 434 della legge di stabilità 2015 sono contenute le norme volte alla predisposizione di un Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate, costituito da progetti presentati dagli enti locali e valutati da un Comitato ad hoc, e all'istituzione di un Fondo per l'attuazione del suddetto Piano da destinare all'attuazione degli interventi previsti, con 50 milioni di euro per l'anno 2015 e 75 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017.

In particolare, il previgente comma 431 prevedeva che i comuni interessati entro il 30 giugno 2015 trasmettessero progetti di riqualificazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Gli interventi, previsti nei suddetti progetti, devono essere coordinati tra loro e volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità e del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale.

Il comma 431 prevedeva inoltre, che entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge di stabilità 2015, fosse approvato un bando, contenente le modalità e la procedura, per la trasmissione dei suddetti progetti comunali, attraverso l’emanazione di un D.P.C.M., su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.


 

 

Articolo 9, comma 8
(Modifica procedura di rivalsa per reintegro fondo di rotazione attuazione politiche comunitarie per tempestiva esecuzione
delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia
)

 

 

Il comma 8 modifica la procedura di rivalsa per reintegro delle somme anticipate dal Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie per tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in caso di violazioni imputabili ad amministrazioni regionali o locali. In particolare, viene modificato il comma 9-bis dell'articolo 43 della legge n. 234 del 2012 prevedendo l'intesa, in luogo della semplice acquisizione del parere da parte delle amministrazioni responsabili.

 

Il comma 9-bis dell’articolo 43 della legge n. 234 del 2012 recante la disciplina della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea è stato introdotto dall’articolo 4-bis del decreto-legge n. 1 del 2015 recante disposizioni urgenti per l'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell'area di Taranto, convertito con modificazioni dalla legge n. 20 del 2015.

La disposizione autorizza il Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie ad anticipare gli oneri derivanti dalle sentenze di condanna a sanzioni pecuniarie inflitte dalla Corte di giustizia europea, con successiva rivalsa sulle amministrazioni responsabili delle violazioni, anche tramite compensazione con i finanziamenti loro assegnati per interventi comunitari.

Il comma 9-bis dispone infatti che ai fini dell’esecuzione tempestiva delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea ai sensi dell’articolo 260, paragrafi 2 e 3 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie è autorizzato ad anticipare, nei limiti delle proprie disponibilità ed entro i termini di scadenza fissati dalle Istituzioni europee, gli oneri finanziari derivanti da tali sentenze. L’articolo precisa inoltre che il Fondo, al fine del reintegro delle somme anticipate, provvede a rivalersi sulle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, sentite le stesse, anche attraverso compensazione con le risorse accreditate dall'Unione europea per il finanziamento di interventi comunitari riguardanti iniziative a titolarità delle stesse Amministrazioni e corrispondenti cofinanziamenti nazionali.

 

 

Il Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie è stato istituito, con la legge 16 aprile 1987, n. 183, presso il Ministero dell’economia e delle finanze[103], con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio, per garantire il coordinamento degli interventi previsti dalla normativa comunitaria con quelli degli altri strumenti nazionali di agevolazione, e il proficuo utilizzo dei flussi finanziari destinati all'attuazione delle politiche strutturali.

Con il D.P.R. 29 dicembre 1988, n. 568, è stato dettato il regolamento per l’organizzazione e le procedure amministrative di funzionamento del Fondo.

Per quanto riguarda le modalità di pagamento dei contributi (comunitari e nazionali) per l'attuazione dei programmi di politica comunitaria, si ricorda che il Fondo di rotazione si avvale, per il suo funzionamento, di due appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la Tesoreria generale dello Stato, nei quali vengono versate, rispettivamente, le somme erogate dalle Istituzioni della Comunità europea a favore dell'Italia, e le somme annualmente determinate con la legge di bilancio (articolo 5 della legge n. 183 del 1987).

Attraverso il Fondo di rotazione si assicura la centralizzazione presso la tesoreria dello Stato dei flussi finanziari provenienti dall’Unione europea e la gestione univoca dei relativi trasferimenti in favore delle Amministrazioni e degli Enti titolari, consentendo anche di monitorare l’impatto di tali flussi sugli aggregati di finanza pubblica, in funzione anche del rispetto dei vincoli del patto di stabilità.

Nel bilancio dello Stato (cap. 7493/Economia) sono iscritte le somme da versare annualmente al conto corrente infruttifero aperto presso la tesoreria centrale dello stato denominato "Ministero del tesoro - Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie: finanziamenti nazionali”. Nel bilancio per il 2015, la dotazione del capitolo è pari a 4.950 milioni di euro per il 2015, 4.450 milioni per il 2016 e a 4.950 milioni per il 2017.

 

Il comma 9-bis - oggetto di modifica da parte della disposizione in commento - è inserito al capo VII della legge n. 234 del 2012 nell’ambito della disciplina in materia di contenzioso. In particolare, l’articolo 43 disciplina il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di regioni o di altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell’Unione europea, riprendendo le disposizioni dell’articolo 16-bis della legge n. 11 del 2005, introdotto dalla legge comunitaria 2007 (25 febbraio 2008, n. 34).

 

L’articolo 43, specificamente, prevede misure volte ad assicurare l’adempimento degli obblighi europei e internazionali dello Stato derivanti, in particolare, dalle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea, dalle sentenze di condanna della Corte di giustizia, dalle sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo originate dalla violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (e dei relativi Protocolli addizionali). A tal fine, viene introdotto il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti dei soggetti responsabili dell’inadempimento degli obblighi derivanti dalla normativa dell’Unione europea, individuati nelle regioni, le province autonome, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici ed i soggetti equiparati, stabilendo che lo Stato può esercitare il diritto di rivalersi nei confronti di tali enti nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e di altri fondi aventi finalità strutturali (commi 1 e 3). La norma precisa inoltre (comma 4) che tale diritto di rivalsa è esercitato dallo Stato per compensare gli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna della Corte di Giustizia dell’Unione europea ex articolo 260, paragrafi 2 e 3 del TFUE.[104]

Sanzioni pecuniarie della Corte di giustizia dell’Unione europea

La Corte di giustizia dell’Unione europea può condannare gli Stati membri al pagamento di sanzioni pecuniarie per violazione di obblighi derivanti dall’ordinamento dell’Unione, accertata in esito ad una procedura di infrazione di cui agli articoli 258 e 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE).

 

Ai sensi dell’articolo 258 del TFUE, la Commissione quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi incombenti in virtù del Trattato, dopo aver posto lo Stato in condizione di presentare le sue osservazioni (mediante una lettera di messa in mora) emette un parere motivato al riguardo. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia. Ai sensi dell’articolo 260 del TFUE, quando la Corte di giustizia emetta, in esito al ricorso della Commissione europea di cui all’articolo 258, una sentenza con cui si accerti che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi incombenti in virtù dei trattati, tale Stato è tenuto a prendere provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta. Se la Commissione ritiene che lo Stato interessato non abbia adottato tali provvedimenti, dopo averlo posto in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte, precisando l’importo della somma forfettaria o della penalità da versare da parte dello Stato membro in questione. La Corte di giustizia, qualora riconosca che lo Stato membro non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità.

Nel caso di mancato recepimento di una direttiva la Commissione può adire direttamente la Corte di giustizia, ai sensi dell’articolo 260, per chiedere la condanna pecuniaria.

 

Ai sensi dell’articolo 260 sopra richiamato le sanzioni che la Corte di giustizia può comminare ad uno Stato membro per violazioni del diritto dell'UE consistono dunque in una somma forfettaria e/o in una penalità di mora.

Le due sanzioni possono essere inflitte cumulativamente qualora la violazione del diritto dell'Unione sia particolarmente grave e persistente. Non è possibile determinare a priori l'ammontare esatto delle sanzioni pecuniarie che la Corte di giustizia può infliggere a uno Stato membro in caso di mancata esecuzione di una sentenza della Corte di giustizia. I criteri per la quantificazione di somma forfettaria e penalità di mora sono indicati in due comunicazioni della Commissione europea del 2005 e del 2010: (SEC(2005)1658) che detta la disciplina generale, modificata dalla (SEC(2010)923), relativa al mancato recepimento di direttive.

 

L'Italia ha subito sinora due condanne pecuniarie.

 

La prima, relativa al mancato recupero degli aiuti illegittimamente concessi dall’Italia per l’assunzione di lavoratori mediante i contratti di formazione e lavoro, prevedeva il pagamento - di 30 milioni di euro a titolo forfettario e di una ulteriore penalità, per ogni sei mesi di ritardo nell'attuazione della sentenza, pari alla moltiplicazione dell’importo di base di 30 milioni per la percentuale degli aiuti illegali incompatibili il cui recupero non è ancora stato effettuato o non è stato dimostrato rispetto al totale degli aiuti non recuperati.

 

Nella seconda condanna, relativa alle discariche abusive, è stato seguito un criterio più complesso: una somma forfetaria di 40 milioni di euro più una penalità decrescente su base semestrale di 42,8 milioni dalla quale però devono essere detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenenti rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 euro per le altre discariche regolarizzate


 

 

Articolo 9, comma 9
(Addizionali e compartecipazioni regionali ai tributi statali e
posticipo riduzione contributi alle Regioni a Statuto ordinario
)

 

 

Il comma 9 modifica alcune disposizioni del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario) al fine di rinviare all'anno 2017 i meccanismi di finanziamento delle funzioni regionali (attribuzione della compartecipazione IVA in base al principio di territorialità; fiscalizzazione dei trasferimenti statali; istituzione dei fondi perequativi).

Si tratta di un rinvio che va ricondotto alla circostanza che il riassetto tributario delle regioni a statuto ordinario costituisce una parte della riforma del federalismo fiscale (legge 5 maggio 2009, n. 42) rimasta per lo più incompiuta, per mancanza dei provvedimenti attuativi. L’operazione di “fiscalizzazione” dei trasferimenti statali prevista nel provvedimento che ha dato attuazione alla delega sulla fiscalità regionale – costituito dal decreto legislativo 6 maggio 2011, n.68 - non si è infatti finora realizzata, né è quindi intervenuto il decreto che avrebbe dovuto individuare i trasferimenti statali da sopprimere[105].

 

In particolare, le modifiche recate dal comma 9 in esame al D.Lgs. n. 68 del 2011 sono le seguenti:

a)   viene novellato l’articolo 2, comma 1, posticipando al 2017 la decorrenza iniziale del meccanismo di rideterminazione dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), previsto dal D.Lgs. n. 68 al 2013, nonché l’identico termine stabilito per la contestuale rideterminazione delle aliquote Irpef di competenza statale.

Viene conseguentemente posticipato il termine di emanazione del relativo decreto attuativo del Presidente del Consiglio dei Ministri – prima previsto entro un anno dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 68/2011 – ora fissato adottato entro sessanta giorni dalla data del 31 luglio 2016, termine entro il quale dovrà essere emanato il D.P.C.M. di individuazione dei trasferimenti erariali da sopprimere in modo tale da garantire al complesso delle regioni a statuto ordinario entrate corrispondenti al gettito assicurato dall'aliquota di base vigente, di cui all’articolo 7, comma 2, del citato D.Lgs. n. 68/2011, come modificato dalla lettera c) del comma in esame.

Si rammenta che la disciplina dettata dal decreto legislativo 68/2011 prevede che a decorrere dall'anno 2013 e con riferimento all'anno di imposta precedente, l'addizionale regionale all’IRPEF è rideterminata con D.P.C.M. da adottare entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo medesimo. La nuova aliquota di base dovrà essere determinata in modo da garantire la neutralità del gettito complessivo delle regioni a statuto ordinario. In particolare, dovrà assicurare a queste ultime un gettito il cui ammontare coincida con l’importo ottenuto dalla somma tra il gettito assicurato dall’aliquota di base dell’addizionale IRPEF prevista dal d.lgs. n. 446/1997, i trasferimenti statali soppressi (di cui all’articolo 7 del D.Lgs. n. 68/2011) e la compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina soppressa (di cui all’articolo 8, comma 4 del D.Lgs. n. 68/2011). All'aliquota così determinata si aggiungono le percentuali indicate nell'articolo 6, comma 1 del D.Lgs. n. 68/2011 (le quali individuano la misura massima di incremento dell’aliquota di addizionale regionale IRPEF che le regioni, nell’ambito dell’autonomia tributaria loro attribuita, hanno la facoltà di deliberare). Sino alla rideterminazione effettuata con il DPCM, l’aliquota di base dell’addizionale regionale IRPEF è fissata in misura pari allo 0,9%. Qualora le regioni esercitino la facoltà di aumentare l’aliquota di base, l’incremento della misura non può essere superiore:- allo 0,5%, per l’anno 2013 (art. 5, co. 1, lettera a)); - all’1,1%, per l’anno 2014 (art. 5, co. 1, lettera b)); - al 2,1% a decorrere dal 2015 (art. 5, co. 1, lettera c)). Con il DPCM suddetto sono contestualmente ridotte, per le regioni a statuto ordinario e a decorrere dall'anno di imposta 2013, le aliquote dell'IRPEF di competenza statale, mantenendo pertanto inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente.

b)   viene novellato l’articolo 4, comma 2, estendendo fino al 2016 le modalità di calcolo dell’aliquota di compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) che, sulla base della normativa vigente, spetta a ciascuna regione a statuto ordinario, al netto di quanto devoluto alle regioni a statuto speciale e delle risorse UE, che la norma citata limitava ai soli anni 2011 e 2012, quale periodo transitorio previsto dal D.Lgs. n. 68/2011.

In particolare, si rammenta che l’articolo 4 del D.Lgs. n. 68/2011 prevedeva che per gli anni 2011 e 2012 continua ad applicarsi la disciplina della compartecipazione regionale IVA prevista dal D.Lgs. n. 56 del 2000[106].

 

Viene inoltre posticipato all’anno 2017 il termine iniziale – prima indicato nell’anno 2013 - da cui decorrerà la modalità a regime di determinazione dell’aliquota di compartecipazione, secondo i principi recati dall’articolo 15, comma 3 del medesimo D.Lgs. n. 68, secondo il quale la percentuale di compartecipazione all'IVA è stabilita al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni in una sola regione.

Secondo l’articolo 4, comma 2, del D.Lgs. n. 68/2011, qui novellato, a decorrere dal 2013 (ora 2017) l’aliquota di compartecipazione è determinata ai sensi di quanto previsto dall’art. 15 comma 3 e 5 del decreto medesimo. Tali norme stabiliscono che la compartecipazione sarà fissata con D.P.C.M. in misura pari al livello minimo assoluto del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni rilevato in una sola regione. Alle regioni nelle quali il gettito tributario non risulta sufficiente a garantire la copertura finanziaria di tale fabbisogno è riconosciuta una quota del fondo perequativo istituito, con decorrenza 2013, dal comma 5 del citato articolo 15, (decorrenza anch’essa ora spostata al 2017 dal presente comma 9, lettera d), come si dirà in seguito).

E’ infine posticipato al 2017 anche il termine iniziale – prima fissato al 2013 - contenuto nel comma 3 del medesimo articolo 4, a decorrere dal quale le modalità di compartecipazione IVA alle regioni a statuto ordinario saranno stabilite in conformità al principio di territorialità.

Il comma 3 dell’articolo 4 del D.Lgs. n.68 prevede che tale principio tenga conto del luogo di consumo, identificandolo con quello in cui avviene la cessione di beni; nel caso di servizi il luogo di prestazione può essere identificato con quello del domicilio del soggetto fruitore. Nel caso di cessione degli immobili si fa riferimento alla loro ubicazione. I criteri di attuazione vengono definiti con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri.

c)   viene novellato l’articolo 7, comma 1, posticipando al 2017 - in luogo del 2013 – la soppressione dei trasferimenti dallo Stato alle regioni a statuto ordinario e fissando al 31 luglio 2016 – in luogo del 31 dicembre 2011 – la data di emanazione del relativo D.P.C.M. di individuazione dei trasferimenti statali da sopprimere.

Si rammenta che tale norma dispone, a decorrere dal 2013 (ora 2017), la soppressione di tutti i trasferimenti statali, sia di parte corrente che e in conto capitale (limitatamente a quelli non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento), spettanti alle regioni a statuto ordinario[107]. I trasferimenti soppressi dovranno essere compensati con le entrate derivanti dall'incremento dell'addizionale IRPEF come disciplinato dall'articolo 2, comma 1, del D.Lgs. n. 68/2011 (ora modificato – quanto ai termini di decorrenza - dalla precedente lettera a).

Il D.P.C.M. soppressivo dei trasferimenti dovrà essere adottato sulla base delle valutazioni della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale. Il D.P.C.M. dovrà, inoltre, essere accompagnato da una relazione tecnica che ne illustri le conseguenze di carattere finanziario e su di esso dovranno esprime il parere le Commissioni di Camera e Senato competenti per i profili finanziari. Eventuali ulteriori trasferimenti da sopprimere dovranno essere individuati con le medesime modalità.

d)   viene novellato l’articolo 15, commi 1 e 5, spostando dall’anno 2013 all’anno 2017 i termini iniziali relativi rispettivamente alle fonti di finanziamento delle spese regionali ed alla istituzione del fondo perequativo.

Quanto al finanziamento delle spese regionali il comma 1 dell’articolo 15 del decreto legislativo n. 68/2011 elenca le entrate regionali che, a decorrere dal 2013 dovranno coprire le spese per le funzioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nella sanità, nell'assistenza, nell'istruzione e nel trasporto pubblico locale (conto capitale).

Si tratta in sintesi delle seguenti entrate:

§  compartecipazione all'IVA;

§  quote dell'addizionale IRPEF, come ridefinita ai sensi del comma 1 dell'articolo 2 del D.Lgs.68. Il gettito dell'addizionale IRPEF così rideterminata dovrà finanziare – insieme alle altre voci - non solo le funzioni attinenti ai LEP ma anche altre funzioni non attinenti ai LEP;

§  l'IRAP fino alla data della sua sostituzione con altri tributi. Il comma 2 specifica – in analogia con quanto fatto per l'addizionale IRPEF – che il gettito deve essere calcolato con riferimento all'aliquota base senza considerare le eventuali variazioni apportate dalle regioni e su base imponibile uniforme;

§  quote del fondo perequativo definito dal successivo comma 5 del decreto legislativo;

§  entrate proprie, nella misura stabilita nel riparto delle disponibilità finanziarie per il 2010 per il servizio sanitario nazionale. Si tratta delle entrate delle aziende sanitarie (ticket e altro) che annualmente entrano a far parte del finanziamento del servizio sanitario nazionale.

Quanto al fondo perequativo, ai sensi del comma 5 esso è alimentato da una compartecipazione all'IVA, tale da assicurare la copertura integrale di tutte le spese individuate dall'articolo 14 comma 1 del D.Lgs. n. 68/2011, cioè le spese per la sanità, l'assistenza, l'istruzione e il trasporto pubblico locale (limitatamente alle spese in conto capitale). Nel primo anno di funzionamento queste spese sono computate in base alla spesa storica (o dei costi standard ove fossero già stati stabiliti), mentre nei quattro anni successivi si deve progressivamente arrivare a calcolarle sulla base dei costi standard.


 

 

Articolo 9, commi 9-bis–9-quater
(Tassa automobilistica in caso di leasing)

 

 

I commi 9-bis, 9-ter e 9-quater, inseriti nel corso dell’esame al Senato, sono volti a chiarire che, in caso di leasing, il soggetto tenuto al pagamento della tassa automobilistica è esclusivamente l’utilizzatore.

 

In particolare il comma 9-bis precisa che il comma 29 dell'articolo 5, del decreto-legge 30 dicembre 1982, n. 953, come sostituito dall'articolo 7, comma 2, della legge 23 luglio 2009, n. 99, si interpreta nel senso che in caso di locazione finanziaria il soggetto tenuto al pagamento della tassa automobilistica è esclusivamente l'utilizzatore. Si chiarisce inoltre che è configurabile la responsabilità solidale della società di leasing solo nell'ipotesi in cui, in base alle modalità stabilite dall'ente competente, la società di leasing abbia provveduto al pagamento cumulativo, in luogo degli utilizzatori, delle tasse dovute per i periodi compresi nella durata del contratto di locazione finanziaria.

Il comma 29 citato definisce i soggetti tenuti al pagamento delle tasse di cui al comma 28 del medesimo articolo 5, ovvero delle tasse cui sono soggetti veicoli e autoscafi per effetto dell'iscrizione nei rispettivi pubblici registri .

 

Il comma 9-ter sostituisce il comma 3, articolo 7 della legge 23 luglio 2009, n. 99 prevedendo che la competenza ed il gettito della tassa automobilistica sono determinati in relazione al luogo di residenza dell'utilizzatore a titolo di locazione finanziaria del veicolo.

Nella formulazione vigente, invece, la competenza territoriale degli uffici del pubblico registro automobilistico e dei registri di immatricolazione è determinata in relazione al luogo di residenza del soggetto proprietario del veicolo.

 

Il comma 9-quater chiarisce che la disposizione di cui al nuovo comma 9-ter si applica ai veicoli con scadenza del termine utile per il pagamento successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame (ovvero il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale).

 


 

 

Articolo 9, commi 10 e 11
(Finanziamento policlinici universitari)

 

 

Il comma 10 dell’articolo in esame, aggiungendo il comma 1-bis all’art. 8 del D.Lgs. n. 517/1999[108], è diretto ad estendere l’applicabilità, della disciplina prevista al comma 1 del medesimo articolo, riguardante i rapporti fra SSN[109], e università non statali che gestiscono direttamente policlinici universitari, anche alle università non statali che gestiscono policlinici per il tramite di enti dotati di autonoma personalità giuridica di diritto privato, senza scopo di lucro, costituiti dalle stesse Università non statali e da queste controllati attraverso la nomina della maggioranza dei componenti degli organi di amministrazione.

Il comma 11 prevede che continuano ad applicarsi i finanziamenti statali in favore dei policlinici universitari gestiti direttamente da università non statali previsti dall’art. 1, comma 377, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013), anche nel caso in cui le strutture indicate modifichino la propria forma giuridica nei termini disposti dal nuovo comma 1-bis, art. 8, del D.Lgs. 517/1999, introdotto dal decreto-legge in esame.

 

Tali finanziamenti sono previsti a titolo di concorso statale agli oneri connessi allo svolgimento delle attività strumentali dirette a fini istituzionali e ammontano a 50 milioni di euro per l'anno 2014 e di 35 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024. L’erogazione è comunque subordinata alla sottoscrizione dei protocolli d'intesa, tra le singole Università e la Regione interessata, comprensivi della definitiva regolazione condivisa di eventuali contenziosi pregressi.

 

In forza di una modifica approvata nel corso dell’esame al Senato viene poi previsto che il Governo presenta al Parlamento entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione sui provvedimenti adottati in attuazione del comma 377, articolo 1, legge 27 dicembre 2013, n. 147, sopracitato, sulle erogazioni effettuate, sulla loro finalizzazione e sullo stato di eventuali contenziosi pregressi e in essere.

 

La finalità della norma, come indicato nella relazione illustrativa del provvedimento, è disciplinare la separazione organizzativa, gestionale e di imputazione economica tra l’attività universitaria e quella assistenziale, ferma restando la conservazione di una stretta e inscindibile relazione funzionale tra l’azione del Policlinico e quella dell’Ateneo.

Nel nuovo assetto organizzativo, pertanto, il Policlinico si configura come ente dotato di soggettività giuridica, senza finalità di lucro, dotato di autonomia patrimoniale, sul quale il controllo dell’Ateneo viene esercitato mediante la nomina della maggioranza dei componenti degli organi di amministrazione. Trattandosi di una modifica dell’articolazione organizzativa del Policlinico, che in ogni caso resta sottoposto al controllo dell’Università e finalizzato al perseguimento degli scopi dell’Ateneo stesso, la trasformazione non comporterebbe un mutamento del regime normativo o la perdita del finanziamento statale straordinario di cui all’art. 1, co. 377, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013), destinato ai Policlinici gestiti direttamente da università non statali (v. ante).

Delle Università non statali italiane legalmente riconosciute[110], quelle che gestiscono policlinici come strutture assistenziali nel proprio ambito universitario sono: l’Università Cattolica del Sacro Cuore, l’Università Campus Bio-Medico di Roma e l’Università Vita-Salute S. Raffaele di Milano. Quest’ultima, in base al proprio statuto (art. 2, co. 4), sviluppa la ricerca prevalentemente in collaborazione con l’Ospedale San Raffaele S.r.l, la Fondazione Centro San Raffaele e l’Associazione Monte Tabor.

 

In proposito si sottolinea che la collaborazione tra SSN e Università sottende due diversi modelli organizzativi: i Policlinici universitari, da una parte, e le cosiddette aziende miste, dall’altra, che derivano dalla stipula di convenzioni tra Aziende Ospedaliere e Università.

Con riferimento ai Policlinici universitari, l’art. 5 del D.P.R. n. 129/1969[111] che detta disposizioni sull’ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche e degli istituti universitari di ricovero e cura, prevede che gli istituti clinici gestiti direttamente dalle Università costituiscono nel loro insieme un ospedale Policlinico universitario equiparato ad ospedale regionale e devono pertanto essere in possesso dei requisiti generali relativi agli ospedali e, in particolare, di quelli generali regionali[112].

 

Si segnala al riguardo la sentenza del Consiglio di Stato (sez. VI) n. 5544 del 17 ottobre 2000 con cui la giurisprudenza del supremo organo amministrativo ha inteso sottolineare che l’espresso riferimento all’Università di appartenenza configura i Policlinici universitari come parte integrante delle Università cui si riferiscono, ma con rilevante autonomia che pure non è equivalente a quella tecnica e amministrativa delle strutture ospedaliere delle aziende sanitarie[113]. Inoltre, mentre nella definizione delle Aziende sanitarie, il legislatore ha previsto la natura di “azienda dotata di personalità giuridica pubblica”, per i policlinici la definizione si riduce “ad azienda dell’università” cui in ogni caso non sono applicabili i poteri di indirizzo tecnico, promozione e supporto che le regioni esercitano nei confronti delle Aziende sanitarie ai sensi del co. 2 dell’art. 1 D.Lgs. 502/1992.

 

Il modello organizzativo di Azienda Ospedaliera Universitaria è previsto dal D.Lgs. n. 517 del 1999, la cui disciplina intende garantire uno sviluppo contestuale tra attività di assistenza, ricerca e didattica nell’ambito di una stessa struttura sanitaria, attraverso specifici protocolli d’intesa tra le Regioni e Atenei in ragione degli obiettivi di collaborazione tra sistema sanitario regionale e sistema formativo universitario, di potenziamento della ricerca biomedica e medico-clinica, della formazione del personale medico e sanitario e, non ultima, della programmazione congiunta delle attività assistenziali.

La realizzazione di nuovi policlinici gestiti da università non statali, anche attraverso l’utilizzo di strutture pubbliche o private accreditate, deve essere preventivamente autorizzata dal MIUR, d’intesa con il Ministero della Salute, sentita la Conferenza Stato-regioni.

 

In particolare ai sensi dell’art. 2, co. 2 e 3 del D.Lgs. 517/1999 è stato indicato un periodo transitorio di 4 anni nel quale è stata prevista la coesistenza (che può considerarsi tuttora presente) delle due tipologie organizzative degli “ex Policlinici universitari a gestione diretta”, denominate aziende ospedaliere universitarie integrate con il SSN, e Aziende ospedaliere convenzionate con l’Università, denominate Aziende ospedaliere integrate con l’Università.

 


 

 

Articolo 9, commi da 11-bis a 11-quater
(Consorzio interuniversitario CINECA e affidamento di servizi informativi strumentali nel sistema dell’istruzione,
dell’università e della ricerca)

 

 

I commi 11-bis e 11-ter recano disposizioni relative al Consorzio interuniversitario CINECA.

In particolare:

§  si estende esplicitamente la possibilità di partecipare al Consorzio anche a soggetti privati;

§  se ne affida il controllo analogo (a quello esercitato sui propri servizi) a tutti i soggetti consorziati, congiuntamente.

§  Il comma 11-quater stabilisce, con previsione di carattere generale, le condizioni per l’affidamento diretto di servizi informativi strumentali al funzionamento dei soggetti facenti parte del sistema dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

 

In materia si ricorda, preliminarmente, che il Consiglio di Stato (Sezione Sesta), con sentenza 26 maggio 2015, n. 2660[114], concernente l’affidamento senza gara di servizi informatici al CINECA, ha ritenuto che il legame che sussiste tra l’università aggiudicatrice – facente parte del Consorzio – e il CINECA stesso non sia riconducibile al modello dell’in house.

In particolare, la sentenza riassume, innanzitutto, i principi generali affermati con la c.d. sentenza Teckal della Corte di Giustizia UE (sentenza 18 novembre 1999, C-107/98), e poi ribaditi con pronunce successive (cfr., in particolare, sentenza 8 maggio 2014, C-15/13):

§  l’affidamento diretto (senza gara e senza ricorso a procedure di evidenza pubblica) di appalti e concessioni è consentito tutte le volte in cui si possa affermare che l'organismo affidatario, ancorché dotato di autonoma personalità giuridica, presenti connotazioni tali da giustificare la sua equiparazione a un “ufficio interno” dell'amministrazione affidante[115];

§  detta equiparazione sarebbe predicabile esclusivamente in presenza di due specifici presupposti, identificati nel c.d. “controllo analogo”, ovvero in una situazione, di fatto e di diritto, nella quale l’ente sia in grado di esercitare sulla società un controllo analogo a quello che lo stesso ente esercita sui propri “servizi interni”, e nella necessità che la società svolga la “parte più importante della propria attività” con l'amministrazione o le amministrazioni affidanti.

Rammenta, inoltre, che la Corte di Giustizia UE si era già pronunciata chiarendo che il requisito del c.d. controllo analogo richiede la necessaria partecipazione pubblica totalitaria, dal momento che la partecipazione di soggetti privati al capitale di una società esclude in ogni caso che l’amministrazione aggiudicatrice possa esercitare sulla medesima un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi (cfr. sentenza 11 gennaio 2005 della Corte di Giustizia, C-26/03).

Peraltro, evidenzia come non assumano rilievo nel giudizio le innovazioni relative alla partecipazione di soggetti privati introdotte dall’art. 12, co. 1, lett. c), della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 – peraltro, non ancora recepite nell’ordinamento – in quanto, nel caso di specie, manca una prescrizione legislativa che espressamente preveda la partecipazione di tali soggetti al CINECA.

 

Oltre a ciò, la sentenza evidenzia che risultano carenti anche gli ulteriori presupposti richiesti dalla giurisprudenza comunitaria per l’affidamento in house:

§  esistenza di strumenti idonei ad assicurare l’esercizio da parte dell’università, anche in forma congiunta con altri enti consorziati, di poteri di controllo analogo (da ritenersi esclusa in virtù della “posizione di indiscussa primazia riconosciuta al MIUR nell’ambito dell’organizzazione e del funzionamento del CINECA”[116]);

§  attività prevalentemente svolta a favore di soggetti consorziati (dal momento che evidenzia che il CINECA svolge, direttamente o tramite società controllate, una parte rilevante della propria attività a favore di soggetti non consorziati, pubblici e privati, sia in Italia che all’estero).

 

 

Lart. 12, co. 1, della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 (c.d. nuova direttiva appalti) stabilisce che un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva quando siano soddisfatte contemporaneamente le seguenti condizioni:

a)   l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi;

b)   oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi;

c)   nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

 

Nello specifico, il comma 11-bis, oltre a disporre, a livello normativo primario, che il Consorzio opera senza scopo di lucro ed è sottoposto alla vigilanza del MIUR (previsioni attualmente presenti nell’art. 1 dello statuto), stabilisce che ad esso possono partecipare – “secondo lo statuto” – persone giuridiche pubbliche o private che svolgono attività nel settore dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

Si intende, dunque, che la disciplina di partecipazione al CINECA sarà definita nel dettaglio dallo statuto, che il medesimo Consorzio sarà tenuto ad adeguare alle disposizioni introdotte.

 

Il comma 11-ter dispone che il MIUR e le altre amministrazioni consorziate esercitano, congiuntamente, un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi. Al tal fine, si prevede – questa volta, esplicitamente – l’eventuale adeguamento dello Statuto.

Tali previsioni, dunque, consentirebbero l’affidamento di servizi in house al CINECA.

 

Il comma 11-quater stabilisce, con previsione di carattere generale, che i servizi informativi strumentali al funzionamento dei soggetti facenti parte del sistema dell’istruzione, dell’università e della ricerca possono essere svolti direttamente dai medesimi soggetti, ovvero, a determinate condizioni, per il tramite di enti, anche con personalità giuridica di diritto privato, costituiti su iniziativa delle pubbliche amministrazioni e da queste partecipati.

In particolare, le condizioni che devono essere soddisfatte – che ricalcano le disposizioni contenute nell’art. 12, co. 1, della nuova direttiva appalti – sono le seguenti:

§  le amministrazioni partecipanti esercitano su tali enti, anche in maniera congiunta, un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi;

§  oltre l’80% delle attività dell’ente si realizzano nello svolgimento dei compiti ad esso affidati dalle amministrazioni controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalla stessa;

§  nella persona giuridica controllata non vi è partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto e che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

 

Il Consorzio interuniversitario CINECA è stato costituito per iniziativa del Ministero della Pubblica Istruzione ed in forza della Convenzione sottoscritta, in data 14 luglio 1967, dai Rettori delle Università di Bologna, Firenze e Padova e dell’Istituto Universitario di Economia e Commercio e di Lingue e Letterature Straniere di Venezia, e finalizzata alla costituzione di un "Consorzio interuniversitario per la gestione del centro di calcolo elettronico dell’Italia Nord-orientale".

In base allo Statuto del Consorzio – come approvato, da ultimo, nel 2011 –, il CINECA non ha scopo di lucro, ha personalità giuridica di diritto privato ed è sottoposto alla vigilanza del MIUR.

Possono fare parte del Consorzio, oltre al MIUR e agli enti universitari che lo hanno promosso, le università e gli enti pubblici di ricerca. Attualmente fanno parte del Consorzio 70 università italiane (statali e non) e 4 enti di ricerca (CNR, Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale - OGS, INDIRE e INVALSI).

Tra le finalità del Consorzio rientra, in particolare:

a)  promuovere l’utilizzo dei più avanzati sistemi di elaborazione dell’informazione a sostegno della ricerca scientifica e tecnologica, pubblica e privata, e delle sue applicazioni;

b)  garantire i servizi del calcolo scientifico ad alte prestazioni al sistema nazionale della ricerca anche applicata, pubblica e privata;

c)  favorire il trasferimento tecnologico al pubblico nel campo dell’informatica;

d)  gestire un centro che assicuri servizi informatici gestionali e di elaborazione a tutti i consorziati, con priorità al MIUR e alle Università;

e)  consentire l’utilizzo delle risorse e dei servizi anche ad altri enti pubblici e privati sulla base di apposite convenzioni o contratti;

f)   elaborare, predisporre e gestire, nell’interesse del sistema nazionale dell’istruzione, dell’università e della ricerca, appositi sistemi informatici.

Sono organi del Consorzio: il Consiglio Consortile; il Presidente; il Consiglio di Amministrazione; il Direttore; il Collegio dei revisori dei conti; l’Organismo di Vigilanza.

 

Per completezza, si ricorda che l’art. 7, co. 42-bis, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012) ha disposto l’accorpamento dei Consorzi interuniversitari CINECA, CASPUR e CILEA, al fine di razionalizzare la spesa per il funzionamento degli stessi attraverso la costituzione di un unico soggetto a livello nazionale con il compito di assicurare l’adeguato supporto, in termini di innovazione e offerta di servizi, alle esigenze del Ministero, del sistema universitario, del settore ricerca e del settore istruzione.

 


 

 

Articolo 9-bis
(Razionalizzazione ed efficientamento della spesa del Servizio sanitario nazionale, in attuazione delle intese sancite dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano)

 

 

L’articolo 9-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, chiarisce che, in attuazione della lettera E) dell’Intesa del 26 febbraio 2015 e dell’Intesa del 2 luglio 2015, si applicano le disposizioni di cui ai successivi articoli da 9-ter a 9-octies, finalizzate a conseguire consistenti risparmi in ambito sanitario. Pertanto, l’articolo 9-bis, si configura come una sorta di premessa alle disposizioni immediatamente successive e può essere collegato all’articolo 9-septies (vedi infra la scheda) che ridetermina, con una riduzione pari a 2.352 milioni di euro, il livello del finanziamento del SSN a decorrere dal 2015.

Le misure proposte dagli articoli da 9-bis a 9-octies rafforzano e inaspriscono quelle precedentemente introdotte ad opera dell’art. 17 del decreto-legge n. 98/2011[117], dell’art. 15 del decreto-legge n. 95/2012[118] (c.d. Spending Review) e, per quanto riguarda la farmaceutica, le misure del decreto-legge n. 158/2012[119] (c.d. Decreto Balduzzi), le quali restano ancora efficaci. Lo scopo delle disposizioni in esame, è infatti quello di conseguire risparmi ulteriori, non sostitutivi.

 

Come rilevato dal documento del 10 giugno 2015 Stato e prospettive del Servizio sanitario nazionale, nell'ottica della sostenibilità del sistema e della garanzia dei principi di universalità, solidarietà ed equità della Commissione 12° del Senato: “Le misure correttive sul settore sanitario si sono accentuate con la crisi e per il terzo anno consecutivo stanno determinando risultati eccezionali nei dati di contabilità nazionale. La spesa sanitaria continua a ridursi in valori nominali passando da 112,5 mld nel 2010 a 109,3 mld nel 2013 (dati di preconsuntivo DEF 2014). Nel 2012 si è verificata la riduzione più consistente, quando la spesa si è assestata su 109,6 mld, un valore inferiore di ben 4 mld rispetto a quanto programmato dopo la spending review del D.L. 95/12. Anche per il 2013 i preconsuntivi della sanità riportati nel DEF 2014 segnano ancora ben 1,9 mld in meno rispetto alle previsioni del DEF 2013”.


 

Per quanto riguarda la spending review in sanità, si ricorda che l’articolo 15, comma 22, del decreto-legge n. 95/2012 quantifica la riduzione del livello del fabbisogno del servizio sanitario nazionale e del correlato finanziamento, conseguente agli interventi operati dal complesso delle disposizioni di cui all’art. 15 dello stesso decreto-legge n. 95/2015, in:

§  900 milioni di euro per il 2012;

§  1.800 milioni di euro per il 2013;

§  2.000 milioni di euro per il 2014;

§  2.100 milioni di euro a decorrere dal 2015.

 


 

 

Articolo 9-ter
(Razionalizzazione della spesa per beni e servizi,
dispositivi medici e farmaci)

 

 

L’articolo 9-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca misure finalizzate alla razionalizzazione dei processi di acquisto di beni e servizi in ambito sanitario, di dispositivi medici e di farmaci.

La razionalizzazione degli acquisti in sanità è stata regolamentata dall’art. 17 del decreto-legge n. 98/2011[120], le cui misure sono state precisate, rese attuabili ed ampliate dall’art. 15 del decreto-legge n. 95/2012[121] (l’articolo in esame fa esplicito riferimento alle misure contenute nell’art. 15, co. 13, lettere a), b) e f) del decreto-legge n. 95/2012). Entrambi i provvedimenti hanno dunque fornito le norme quadro da cui sono discese tutte le successive misure di contenimento della spesa per l’acquisto di beni e servizi in sanità. Tali norme restano pertanto ancora in vigore, ma vengono rafforzate dalle misure qui contenute con l’obiettivo di conseguire ulteriori risparmi.

Contestualmente, viene specificato che, al fine di conseguire ulteriori risparmi resta valido anche quanto stabilito in materia di pagamento dei debiti e di obbligo di fattura elettronica di cui, rispettivamente, al decreto legge 35/2013[122], e al decreto-legge n. 66/2014[123], tenendo altresì conto della progressiva attuazione del Regolamento degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e qualitativi relativi all’assistenza ospedaliera di cui al Decreto 2 aprile 2015, n. 70 (nel corpo dell’articolo il Regolamento è identificato dall’Intesa. Sarebbe invece più opportuno riferirsi al Decreto 2 aprile 2015, n. 70).

 


 

 

Misure di razionalizzazione degli acquisti in sanità:
l’articolo 15 del decreto legge 95/2012

 

L’art. 15, co. 13, lettera a) del decreto-legge n. 95/2012, impone una riduzione degli importi e delle prestazioni, a questi collegate, contenute nei contratti in essere di appalto di servizi e di fornitura di beni e servizi, stipulati da aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale. La misura della riduzione è fissata al 5 per cento per il 2012 e ,a decorrere dal 1° gennaio 2013, al 10 per cento. Le riduzioni sono applicate per tutta la durata dei contratti. Al fine di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza con specifico riferimento alle esigenze di inclusione sociale, le regioni e le province autonome sono autorizzate a conseguire i risparmi anche con misure alternative, purché in grado di assicurare l'equilibrio del bilancio sanitario. La norma non si applica agli acquisti di farmaci.

L’art. 15, co. 13, lettera b) del decreto-legge n. 95/2012, integra una disposizione, contenuta nell’art. 17 del decreto-legge n. 98/2011, che ha previsto, a partire dal luglio 2012, la pubblicazione, da parte dell’Osservatorio dei contratti pubblici, attivato presso l’Autorità nazionale anticorruzione (A.N.A.C.), dell’elaborazione di prezzi di riferimento da mettere a disposizione delle regioni, in particolare delle Centrali regionali per gli acquisti, quali ulteriori strumenti operativi di controllo e razionalizzazione della spesa. In effetti, dal luglio 2012, sul sito dell’A.N.A.C., sono state pubblicate le elaborazioni dei prezzi di riferimento relativamente a: principi attivi; dispositivi medici (i prezzi di riferimento relativi ai dispositivi medici sono stati poi annullati dalle sentenze del TAR Lazio numero: 4401/2013; 4586/2013; 4589/2013; 4601/2013; 4602/2013; 4603/2013); servizio di ristorazione; servizio di pulizia; servizio di lavanderia/lavanolo; materiali da guardaroba; prodotti di cancelleria. L’elaborazione dei prezzi di riferimento, nonché, in sua assenza, le analisi effettuate dalle Centrali regionali per gli acquisti, impone alle Aziende sanitarie, in caso di significative differenze tra il prezzo di acquisto ed i prezzi di riferimento, la rinegoziazione dei contratti e la facoltà di recesso senza penali. Successivamente, il decreto-legge n. 95/2012 ha precisato che per “significative differenze” devono intendersi le differenze superiori al 20% rispetto al prezzo di riferimento. Conseguentemente, a legislazione vigente, le Aziende Sanitarie sono tenute a proporre ai fornitori, i cui prezzi contrattuali superano del 20% i prezzi pubblicati dall’Osservatorio dei contratti pubblici o dalle Centrali regionali d’acquisto, una rinegoziazione per portare la differenza al di sotto di tale soglia: in caso di esito negativo della rinegoziazione, entro 30 giorni dalla trasmissione della proposta, le Aziende sanitarie possono recedere dal contratto senza oneri aggiuntivi. Al fine di assicurare comunque la disponibilità dei beni e servizi indispensabili per garantire l'attività gestionale e assistenziale, nelle more dell'espletamento delle gare indette in sede centralizzata o azienda, le Aziende sanitarie possono stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro anche di altre regioni, o tramite affidamento diretto a condizioni più convenienti in ampliamento di contratto stipulato da altre aziende sanitarie mediante gare di appalto o forniture.

Infine, la lettera f) del co. 13 dell’art. 15 ridetermina, a decorrere dal 2014, al valore del 4,4 per cento il tetto di spesa per l'acquisto di dispositivi medici.

 

Partendo dal quadro legislativo sopra riassunto, l’articolo 9-ter, al comma 1, propone ulteriori misure di razionalizzazione, che rappresentano la prosecuzione di quelle finora proposte in questo ambito.

Acquisto di beni e servizi – commi 1, lettera a) e commi 2, 4 e 5

Il comma 1, alla lettera a) impone agli enti del SSN, per l’acquisto dei beni e servizi di cui alla Tabella A allegata al provvedimento in esame (vedi infra), di proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti in essere che abbia l'effetto di ridurre i prezzi unitari di fornitura e/o i volumi di acquisto, rispetto a quelli contenuti nei contratti in essere, senza che ciò comporti modifica della durata del contratto. La misura della riduzione è fissata su base annua al 5% del valore complessivo dei contratti in essere.

 

Il comma 2 estende tale misura di risparmio a tutte le tipologie di contratti in essere di beni e servizi di cui alla Tabella A, quindi anche alle concessioni di lavori pubblici, alla finanza di progetto, alla locazione finanziaria di opere pubbliche e al contratto di disponibilità. In deroga all’art. 143, co. 8, del D.Lgs. n. 163/2006, la rinegoziazione delle condizioni contrattuali non comporta la revisione del piano economico-finanziario dell’opera, fatta salva la possibilità per il concessionario di recedere dal contratto.

 

Il successivo comma 4 regola l’ipotesi di mancato accordo tra enti del SSN e fornitori. Nello specifico, entro 30 giorni dalla trasmissione della proposta in ordine ai prezzi o ai volumi, nel caso in cui i fornitori non siano d’accordo con la riduzione proposta, gli enti del SSN hanno diritto di recedere dal contratto, in deroga all’articolo 1671 del codice civile, senza alcun onere a carico. E' fatta salva anche la facoltà del fornitore di recedere dal contratto entro 30 giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione, senza alcuna penalità da recesso verso l'amministrazione. Il recesso è comunicato all'amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione.

 

Il comma 5 ribadisce quanto già stabilito dall’art. 17 del decreto-legge n. 98/2011 in tema di risoluzione (recesso) dei contratti e disponibilità di beni e servizi. Al fine di assicurare comunque la disponibilità dei beni e servizi indispensabili per garantire l'attività gestionale e assistenziale, nelle more dell'espletamento delle gare indette in sede centralizzata o aziendale, gli enti del SSN possono stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro, anche di altre regioni, o tramite affidamento diretto a condizioni più convenienti in ampliamento di contratto stipulato, mediante gare di appalto o forniture, da aziende sanitarie della stessa o di altre regioni o da altre stazioni appaltanti regionali per l’acquisto di beni e servizi, previo consenso del nuovo esecutore.

Dispositivi Medici (DM) – commi 1, lettera b), 3 e 6-9

Il comma 1, lettera b) prevede una procedura di rinegoziazione anche per i contratti in essere aventi ad oggetto i dispositivi medici (DM). Nel caso dei dispositivi, però, non è fissata una misura di riduzione. La norma prevede infatti che la rinegoziazione deve essere condotta nel rispetto del tetto di spesa nazionale, confermato al 4,4%, e del tetto di spesa fissato per la regione di riferimento. Tutti i tetti di spesa regionali devono essere definiti entro il 15 settembre 2015 con accordo in Conferenza Stato-Regioni tenendo conto delle differenze che esistono tra sistemi sanitari regionali in termini di produzione diretta dei servizi sanitari vs. produzione del privato accreditato. I tetti regionali dovranno essere aggiornati con cadenza biennale. La disposizione in commento chiarisce che la rinegoziazione dei contratti, da parte degli enti del SSN, deve avere l'effetto di ridurre i prezzi unitari di fornitura e/o i volumi di acquisto, rispetto a quelli contenuti nei contratti in essere, senza che ciò comporti modifica della durata del contratto stesso. Quanto sopra detto in tema di risoluzione dei contratti per la fornitura di beni e servizi vale anche per i contratti aventi ad oggetto DM.

 

Il settore dei dispositivi medici (DM) si caratterizza per l’eterogeneità delle famiglie di prodotti che ne fanno parte. Il tetto alla spesa del SSN in dispositivi medici è stato introdotto dall'art. 17, comma 1, lett. c) del decreto-legge n. 98/2011 che stabilisce che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, la spesa sostenuta dal SSN per l'acquisto dei dispositivi, compresa la spesa relativa all'assistenza protesica, è fissata entro un tetto a livello nazionale e a livello di ogni singola regione, riferito rispettivamente al fabbisogno sanitario nazionale standard e al fabbisogno sanitario regionale standard. Successivamente l’art. 15, co.13, lettera f), del decreto-legge n. 95/2012 ha fissato, a decorrere dal 2014, il tetto della spesa in dispositivi al valore del 4,4 per cento del livello di finanziamento del SSN. A legislazione vigente, l'eventuale superamento del tetto è recuperato interamente a carico della regione attraverso misure di contenimento della spesa sanitaria regionale o con misure di copertura a carico di altre voci del bilancio regionale. Non è tenuta al ripiano la regione che abbia fatto registrare un equilibrio economico complessivo.

 

L’effetto finanziario atteso dalla razionalizzazione degli acquisti di DM è reso possibile anche dalle misure previste dai commi 3, 6 e 7 dell’articolo in esame, che sono finalizzate a rendere più puntuale (rispetto alle caratteristiche e ai consumi) l’identificazione dei dispositivi medici.

 

La famiglia dei dispositivi medici comprende una grandissima varietà di prodotti (da guanti, mascherine, sacche di drenaggio a specifici device ad alta tecnologia). Infatti, si identifica quale dispositivo medico qualsiasi prodotto progettato al fine di prevenire, diagnosticare, curare o controllare una malattia/ferita/handicap e il cui meccanismo d’azione è di norma fisico (azione meccanica, conduzione di corrente elettrica, stimolazione, sostituzione, ausilio di organi) e non farmacologico/metabolico/immunologico; anche se nello svolgimento della propria funzione un dispositivo può essere coadiuvato con funzione accessoria da sostanze che agiscono con questi ultimi meccanismi d’azione (per maggiori informazioni: la sezione del sito del Ministero della salute dedicata ai dispositivi).

Proprio per la loro varietà, e per la grande differenza di utilizzo, la centralizzazione degli acquisti, per i dispositivi medici, se non guidata da criteri che tengano conto della qualità oltre che del prezzo, può risultare, senza le opportune verifiche, di scarsa utilità nel lungo periodo (sul punto anche le già citate sentenze del TAR Lazio).

Le prestazioni di assistenza protesica e i dispositivi rimborsati dal SSN sono individuati dal Decreto del Ministero della sanità 27 agosto 1999, n. 332 (c.d. Nomenclatore Tariffario nazionale), che ne stabilisce le rispettive tariffe e ne definisce le modalità di erogazione. Il decreto individua nel dettaglio le categorie di persone che hanno diritto all'assistenza protesica, le prestazioni che comportano l'erogazione dei dispositivi riportati negli elenchi 1, 2 e 3 del Nomenclatore tariffario e le modalità di erogazione. Più nello specifico:

§  l'elenco n. 1 del Nomenclatore contiene i dispositivi (protesi, ortesi e ausili tecnici) costruiti su misura e quelli di serie la cui applicazione richiede modifiche eseguite da un tecnico abilitato su prescrizione di un medico specialista ed un successivo collaudo da parte dello stesso. I dispositivi contenuti nell'elenco n. 1 sono destinati esclusivamente al paziente cui sono prescritti;

§  l'elenco n. 2 del Nomenclatore contiene i dispositivi (ausili tecnici) di serie, la cui applicazione o consegna non richiede l'intervento del tecnico abilitato;

§  l’elenco n. 3 del Nomenclatore contiene gli apparecchi acquistati direttamente dalle Aziende sanitarie ed assegnati in uso (ad esempio ventilatori polmonari, montascale).

Il Nomenclatore Tariffario non è mai stato aggiornato, nonostante l'art. 11 dello stesso Nomenclatore preveda un ambito di validità triennale, con la conseguenza che attualmente gli ausili protesici e i dispositivi sono rimborsati alle farmacie convenzionate o alle aziende fornitrici secondo i prezzi di riferimento definiti dal Nomenclatore Tariffario Nazionale, e quindi spesso con un prezzo maggiore rispetto a quello con cui sono attualmente reperibili sul mercato. Inoltre, essendo quello dei dispositivo un ambito ad alta tecnologia, nel Nomenclatore del 1999 non sono compresi moltissimi dispositivi e ausili di ultima generazione. La Commissione XII della Camera con la Risoluzione conclusiva 8-00040, approvata nel marzo 2014, ha impegnato il Governo all’aggiornamento del Tariffario e al rafforzamento dell'attività di monitoraggio sull’acquisto e il consumo dei DM (vendi infra).

Successivamente, il Ministro della salute ha dichiarato (documento depositato nel corso dell'audizione del 4 febbraio 2015 al senato dal Ministro Lorenzin), che l’aggiornamento del Nomenclatore tariffario sarà incluso nell’atteso Aggiornamento del Decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001 di definizione dei Livelli essenziali di assistenza.

Il Rapporto sulla spesa rilevata dalle strutture sanitarie pubbliche del SSN per l’acquisto di dispositivi medici I Semestre 2014, valuta l’impegno finanziario rilevato per l’acquisto di DM da parte delle strutture sanitarie pubbliche del SSN per il 2014 pari a 1.711 milioni di euro, in crescita del 34% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (1.276 milioni di euro). Nel leggere le cifre fornite dal Rapporto, bisogna tuttavia considerare che il numero di aziende sanitarie che hanno trasmesso i dati nel primo semestre del 2014 è sensibilmente aumentato rispetto allo stesso periodo del 2013; ragione per cui il dato di crescita annuale (il 34%) non può essere ritenuto del tutto attendibile.

 

Il comma 3 prevede, ai fini della rinegoziazione dei contratti e nelle more dell’individuazione dei prezzi di riferimento da parte dell’A.N.A.C., che il Ministero della salute metta a disposizione delle regioni i prezzi unitari dei dispositivi medici presenti nel Nuovo sistema informativo sanitario ai sensi del decreto del Ministro della salute 11 giugno 2010.

 

La spesa in dispositivi medici è identificata grazie agli strumenti e ai meccanismi recentemente introdotti o aggiornati: i flussi CE riferiti agli acquisti di dispositivi medici (D.M. 15 giugno 2012) e il monitoraggio dei consumi (D.M. 11 giugno 2010).

Il D.M. 11 giugno 2010 ha previsto l'istituzione, nell’ambito del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS), di una banca dati finalizzata al monitoraggio dei consumi di dispositivi medici utilizzati nelle strutture sanitarie.

L’alimentazione della banca dati è a cura delle singole Regioni. Il monitoraggio prevede la raccolta di informazioni relative:

§  ai contratti stipulati per l’approvvigionamento di dispositivi medici, da comunicarsi successivamente alla stipula; tali informazioni sono riferite ad aspetti di carattere generale per l’impianto contrattuale e ad aspetti specifici per ciascun dispositivo oggetto del contratto;

§  alle distribuzioni interne (consegne) alle strutture sanitarie di dispositivi medici per ciascun mese solare.

L’obiettivo della rilevazione dei dati sui contratti è quello di garantire un livello di informazione tale da permettere la comparazione, a parità di condizioni, dei prezzi offerti dai diversi fornitori sul territorio. La scelta di rilevare le informazioni relative alle distribuzioni interne, piuttosto che le informazioni relative agli effettivi consumi, è invece determinata dalla minore complessità nella rilevazione del dato da parte delle Aziende Sanitarie. Pertanto, ai fini della determinazione dei consumi si assumono i valori riferiti alle distribuzioni interne effettuate.

Per quanto riguarda i prezzi di riferimento, si ricorda che l'art.17, co. 1, lett. a), del decreto-legge n. 98/2011 ne ha previsto l'elaborazione quale strumento principale in grado di contenere la spesa così da rispettare il tetto, e ha attribuito all'Osservatorio dei contratti pubblici presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture (Avcp) - ora ANAC - il compito di pubblicare, a partire dal 1 luglio 2012, le elaborazioni dei prezzi di riferimento oltre che per i dispositivi medici anche per farmaci per uso ospedaliero e per i servizi sanitari e non sanitari, individuati dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) tra quelli di maggiore impatto sulla spesa sanitaria complessiva. A seguito della pubblicazione dei prezzi di riferimento, relativamente ad un set di principi attivi, dispositivi medici, materiale di guardaroba, materiale di cancelleria e dei servizi di lavanderia, ristorazione e pulizia, è stato introdotto, con il decreto-legge n. 95/2012, l' istituto della "rinegoziazione" da effettuare sulla base di uno scostamento del prezzo contrattuale superiore del 20% rispetto al prezzo di riferimento e il diritto di recedere dagli stessi senza alcun onere.

La tabella dei prezzi di riferimento per i dispositivi, pubblicata sul sito dell'Osservatorio, contiene una nota che specifica che alcuni dei prezzi di riferimento indicati sono interessati dalle "sentenze del TAR Lazio numero: 4401/2013;4586/2013;4589/2013; 4601/2013; 4602/2013; 4603/2013. I prezzi pubblicati mantengono la validità di riferimento quali strumenti di programmazione e razionalizzazione della spesa secondo lo spirito del D.L. n. 95/2012".

Sul punto si ricorda che il TAR per il Lazio (sezione terza) con la sentenza n. 04401/2013 del 2 maggio 2013, ha disposto l'annullamento dell'elenco dei prezzi di riferimento per i dispositivi medici come stabiliti dall'Autorità di vigilanza dei contratti pubblici (AVCP). Il Collegio ha censurato la metodologia utilizzata per la definizione dei prezzi di riferimento, individuando diversi motivi di illegittimità. In particolare, il Collegio ha ritenuto non adeguata la procedura di individuazione del prezzo di riferimento, spesso basata su un limitato numero di rilevazioni con conseguente scarsa rappresentatività del campione. Inoltre, la fissazione del prezzo di riferimento al decimo percentile (ovvero alla media tra il decimo e il venticinquesimo percentile nel caso di un numero di rilevazioni compreso tra 5 e 10), è stata ritenuta distorsiva, poiché, in presenza di un limitato numero di rilevazioni, il prezzo di riferimento è sostanzialmente determinato dai primi due o tre prezzi più bassi. Infine, il Collegio ha ritenuto che l'uso della classificazione nazionale dei dispositivi medici, che individua classi di prodotti eccessivamente ampie ricomprendenti al loro interno prodotti diversi, implica che il prezzo di riferimento non sia omogeneo e confrontabile rispetto ai singoli e concreti dispositivi.

L'ultima tabella sui prezzi di riferimento dei dispositivi è stata pubblicata nel maggio 2014.

 

Il comma 6 impegna il Ministero dell’economia e delle finanze a trasmettere mensilmente al Ministero della salute le informazioni concernenti i dati delle fatture elettroniche riguardanti dispositivi medici acquistati dalle strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale.

 

Nel corpo del comma 6 viene ribadito che restano ferme le modalità di trasmissione, da parte delle aziende fornitrici di dispositivi medici, delle fatture elettroniche al Sistema di Interscambio (SDI), ai fini del successivo invio alle Amministrazioni destinatarie secondo le regole di cui al D.M. 3 aprile 2013, n. 55 ed al Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato come stabilito dall’art. 7-bis, co. 3, del decreto legge 35/2013.

 

Il comma 6 specifica che le fatture devono riportare il codice di repertorio di cui al decreto del Ministro della salute 21 dicembre 2009. Con successivo protocollo d’intesa tra il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato e Agenzia delle Entrate - e il Ministero della salute dovranno essere definiti:

§  i criteri di individuazione delle fatture elettroniche riguardanti dispositivi medici acquistati dalle strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale;

§  le modalità operative di trasmissione mensile dei dati dal MEF al Ministero della salute;

§  la data a partire dalla quale sarà attivato il servizio di trasmissione mensile.

 

Il Repertorio dei dispostivi medici raccoglie le informazioni relative ai DM in commercio in Italia per i quali sia stata chiarita la disponibilità alla vendita alle strutture del SSN. Il decreto 21 dicembre 2009 ha introdotto elementi di semplificazione nella registrazione dei dispositivi medici, rispondendo alle osservazioni della Commissione UE, che aveva aperto verso l’Italia una procedura di infrazione. Fra l’altro, il decreto impegna le strutture del SSN ad astenersi, nelle gare per l'acquisizione dei dispositivi medici e, più in generale, nei rapporti commerciali, dal richiedere ai fornitori qualsiasi informazione disponibile nel Repertorio dei dispositivi medici.

Le recenti Linee guida per il corretto utilizzo dei dati e della documentazione presente nel repertorio dei dispositivi medici, approvate nel febbraio 2015 dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, sottolineano che dall’analisi del flusso informativo per il monitoraggio dei consumi dei DM direttamente acquistati dal SSN è emersa la presenza di alcune criticità legate alla gestione del numero di Repertorio e, di conseguenza, la necessità di approfondire tali tematiche. Le criticità riscontrate consistono, in particolare nella difficoltà nell’identificazione/attribuzione ai dispositivi medici del numero di registrazione all’interno del sistema Banca Dati / Repertorio (BD/RDM). Dagli ulteriori approfondimenti effettuati è emerso, in generale, uno scarso ricorso, da parte delle strutture sanitarie, alla consultazione del sistema Banca Dati / Repertorio dei Dispositivi Medici e degli strumenti in esso disponibili con la conseguenza che, in fase di approvvigionamento dei dispositivi medici, le strutture sanitarie richiedono la documentazione sui DM ai fornitori.

 

Il comma 7 istituisce, presso il Ministero della salute, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, l’Osservatorio nazionale sui prezzi dei dispositivi medici allo scopo di supportare e monitorare le stazioni appaltanti e verificare la coerenza dei prezzi a base d’asta rispetto ai prezzi di riferimento definiti A.N.A.C. o ai prezzi unitari disponibili nel flusso consumi del Nuovo sistema informativo sanitario.

 

I commi 8 e 9 estendono al settore dei dispositivi medici, il meccanismo del ripiano nei casi del superamento del tetto di spesa regionale, secondo modalità analoghe a quelle previste dalla normativa vigente per il ripiano dello sforamento del tetto della spesa farmaceutica.

 

Il decreto-legge n. 159/2007[124] ha introdotto, all’articolo 5, un nuovo sistema di regolazione della spesa dei farmaci a carico del SSN, in base al quale l'AIFA attribuisce ad ogni azienda titolare di autorizzazioni all'immissione in commercio di farmaci un budget annuale, calcolato distintamente per i medicinali equivalenti e per quelli coperti da brevetto. La somma dei budget delle aziende farmaceutiche deve corrispondere all'onere a carico del SSN per l'assistenza farmaceutica territoriale/ospedaliera. In caso di superamento del tetto per la farmaceutica territoriale a livello nazionale, tale eccedenza è ripartita, tra aziende farmaceutiche, grossisti e farmacisti in misura proporzionale alle relative quote di spettanza sui prezzi dei medicinali, fermo restando l’obbligo per le regioni di adottare le necessarie misure di contenimento. In virtù di tale procedura, e solo nel caso in cui vi sia un superamento del limite di spesa a livello nazionale, le aziende farmaceutiche interessate versano direttamente alle regioni la loro quota di spettanza, proporzionale allo sfondamento del tetto di spesa (pay-back), mentre gli atri soggetti della filiera scontano una riduzione proporzionale dei margini di loro spettanza. Le modalità di attuazione dei pay-back sulla spesa farmaceutica convenzionata sono state fissate nell’ambito della Determinazione AIFA 18 Febbraio 2011 (G.U. n.47 del 26 febbraio 2011).

A decorrere dal 2013, in caso di sforamento del tetto della farmaceutica ospedaliera, il ripiano è stato messo a carico delle aziende farmaceutiche per una quota pari al 50 per cento del valore eccedente il livello nazionale. Il restante 50 per cento dello sforamento è rimasto a carico delle sole regioni nelle quali è superato il limite.

La Nota AIFA sulla metodologia applicativa del 28 marzo 2013 descrive le regole e la metodologia utilizzata nell’attribuzione del budget provvisorio 2013.

Successivamente, si è aperto un nutrito contenzioso tra le aziende farmaceutiche e l’AIFA sulla metodologia applicativa concernente il calcolo della spesa farmaceutica.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater), con sentenza N. 04538/2015, ha rilevato delle irregolarità nella metodologia applicativa adottata dall'Aifa concernente il calcolo della spesa farmaceutica ospedaliera ai fini della successiva individuazione del budget da assegnare a ciascuna impresa operante nel comparto, ai sensi dell'art.15, co. 8, del D.L. n.95/2012. Le censure del TAR, che sono state applicate anche al recentissimo ricorso 2015/10079 del 22 luglio 2015, si riferiscono non tanto al meccanismo in sé, ma a come questo è stato applicato dall’AIFA.

Riguardo le modalità applicative con cui è stata data attuazione al sistema di contenimento della spesa pubblica farmaceutica ospedaliera, il Collegio rileva:

1)  l'impossibilità per le aziende farmaceutiche di scorporare la spesa relativa alla "distribuzione diretta" - mediante consegna del medicinale da parte delle ASL -, e la distribuzione "in nome e per conto" - effettuata attraverso le farmacie convenzionate - dalla vera e propria spesa ospedaliera risulta essere palesemente insufficiente a tutelare la posizione giuridica delle aziende destinatarie dei provvedimenti di ripiano, in quanto queste ultime hanno ragione di ritenere che nei dati relativi alla distribuzione diretta trasmessi dalle Regioni siano contenute quantificazioni erronee per un valore pari a molte centinaia di milioni che potrebbero portare a ritenere non sfondato il tetto previsto per la spesa ospedaliera ovvero a ridurre i ripiani a cifre modeste ed assolutamente diverse da quelle richieste con i provvedimenti impugnati;

2)  la mancata esatta quantificazione delle somme già restituite dalle aziende attraverso le procedure di rimborsabilità condizionata (payment by results, risk-sharing e cost-sharing) e a titolo di pay-back sui farmaci di fascia A ceduti in ospedale;

3)  la parziale assenza della trasparenza necessaria affinché le aziende farmaceutiche destinatarie del procedimento di ripiano, possano controllarne l'esattezza del pay-back loro attribuito.

 

Dal punto di vista procedurale, il provvedimento in esame detta la normativa di cornice, mentre lascia definire le modalità procedurali del ripiano ad un apposito Accordo da stipularsi in sede di Conferenza Stato-regioni.

In particolare, entro il 30 settembre di ogni anno, dovrà essere certificato in via provvisoria l’eventuale superamento del tetto di spesa a livello nazionale e regionale per l’acquisto di DM. Tale eventuale superamento del tetto di spesa dovrà essere certificato in via provvisoria da un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sulla base dei dati di consuntivo relativi all’anno precedente, rilevati dalle specifiche voci di costo riportate nei modelli di rilevazione economica consolidati regionali CE, salvo conguaglio da certificare con il decreto da adottare entro il 30 settembre dell’anno successivo, sulla base dei dati di consuntivo dell’anno di riferimento. L’eventuale superamento del tetto di spesa regionale è posto a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici per una quota complessiva pari al 40% nell’anno 2015, al 45% nell’anno 2016 e al 50% a decorrere dal 2017. Ciascuna azienda fornitrice concorre alle predette quote di ripiano in misura pari all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa per l’acquisto di dispositivi medici a carico del Servizio sanitario regionale. Le modalità procedurali del ripiano sono definite, su proposta del Ministero della salute, con apposito Accordo in sede di Conferenza Stato-regioni.

 

La puntuale gestione dei flussi informativi per la corretta tracciabilità della spesa è una premessa indispensabile per l’applicazione del meccanismo del pay-back. Per quanto riguarda i flussi informativi per la storicizzazione della spesa relativi ai dispostivi medici, lo stesso provvedimento in esame, ai commi 3, 6 e 7, introduce disposizioni finalizzate a rendere più puntuale (rispetto alle caratteristiche e ai consumi) l’identificazione dei dispositivi medici.

Inoltre, sempre come previsto dall’articolo in esame, le modalità del ripiano dovranno essere definite con apposito Accordo in sede di Conferenza Stato-regioni.

Conseguentemente, l’introduzione dello strumento del pay-back per la spesa a valere sull’anno in corso, appare condizionata ai necessari tempi tecnici di messa a punto della metodologia applicativa.

Settore farmaceutico – commi 10 e 11

I commi 10 e 11 dettano norme sui farmaci. Viene previsto:

§  la rinegoziazione in riduzione dei farmaci a carico del SSN. Le procedure di rinegoziazione, a carico dell’AIFA, devono concludersi entro il 30 settembre 2015. L’intervento legislativo è attuato sostituendo il co. 1 dell’art. 11 del decreto-legge n. 158/2012;

§  l’inserimento dei medicinali equivalenti nel Prontuario farmaceutico nazionale in sede di periodico aggiornamento dello stesso Prontuario (aggiornamento per il quale non viene indicata nessuna scadenza) alla data di scadenza del brevetto o del certificato di protezione complementare del farmaco originatore di riferimento. Norma già esistente a legislazione vigente e recata dal secondo periodo del vigente comma 1 dell’art. 11 del decreto legge, ora sostituito dal provvedimento in esame. Pertanto l’intervento legislativo è attuato inserendo il comma 1-bis nel corpo dell’art. 11 del decreto-legge n. 158/2012;

§  contenimento del prezzo dei farmaci biotecnologici alla scadenza del brevetto sul principio attivo;

§  rinegoziazione in riduzione del prezzo dei farmaci soggetti a rimborsabilità condizionata.

Rinegoziazione in riduzione dei farmaci a carico del SSN

Il comma 10 sostituisce la disciplina prevista dal decreto legge 158/2012[125] in materia di revisione straordinaria del Prontuario farmaceutico nazionale. Recentemente, la legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014), al comma 585, ha posticipato - dal 30 giugno 2013 al 31 dicembre 2015 - la revisione straordinaria del prontuario da parte dell’l’Agenzia italiana per il farmaco (AIFA) sull’esplicita base del criterio specifico del costo/beneficio e dell’efficacia terapeutica nonché della previsione di prezzi di riferimento per categorie terapeutiche omogenee. In luogo della revisione del Prontuario farmaceutico nazionale, il comma 10 dispone che l’AIFA, entro il 30 settembre 2015, rinegozi al ribasso con le aziende farmaceutiche il prezzo di rimborso dei medicinali a carico del SSN, nell’ambito di raggruppamenti di medicinali terapeuticamente assimilabili.

 

A legislazione vigente, il co. 1 dell’art. 11 del decreto-legge n. 158/2012 contiene disposizioni finalizzate ad una revisione straordinaria del Prontuario farmaceutico nazionale e dirette a favorire, da parte del SSN, l’impiego razionale ed economicamente compatibile dei medicinali. La misura è stata adottata per adeguare il settore farmaceutico convenzionato agli interventi sulla spesa farmaceutica attuati con il decreto legge n. 95/2012, che hanno fra l’altro ridotto gli spazi economici destinati alla rimborsabilità dei farmaci. A tale scopo, l’AIFA, sulla base delle valutazioni della Commissione consultiva tecnico-scientifica e del Comitato prezzi e rimborso , avrebbe dovuto provvedere, entro il 30 giugno 2013 – poi secondo le modifiche della stabilità 2015 entro il 31 dicembre 2015 - ad una revisione straordinaria del Prontuario farmaceutico nazionale sulla base del criterio costo-beneficio ed efficacia terapeutica, prevedendo anche dei prezzi di riferimento per categorie terapeutiche omogenee, escludendo dalla rimborsabilità i farmaci terapeuticamente superati (ponendoli pertanto in fascia C, comprendente farmaci a totale carico del paziente).

Con riferimento alla valutazione dell'equivalenza terapeutica per la definizione di categorie omogenee, si sottolinea che, l'AIFA, nel marzo 2014, ha messo a punto apposite Linee guida, chiarendo che possono essere considerati equivalenti i farmaci a base del medesimo principio attivo che, ai sensi di altre disposizioni di legge, sono già stati oggetto di specifica valutazione comparativa sotto i profili di efficacia e di sicurezza da parte delle competenti autorità regolatorie, nonché i farmaci originatori ed i rispettivi equivalenti (generici) e i farmaci biologici di riferimento, inclusi i biotecnologici, ed i corrispondenti biosimilari.

La determinazione del prezzo dei farmaci rimborsati dal SSN, mediante la contrattazione tra Agenzia Italiana del Farmaco e le Aziende Farmaceutiche (ai sensi del comma 33, art. 48, del D.L. n. 269/2003 - L. n. 326/03), è un’attività che l’Agenzia svolge sulla base delle modalità e dei criteri indicati nella deliberazione CIPE 1° febbraio 2001 “Individuazione dei criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci”. Per l’avvio di questa attività occorre la presentazione, da parte dell’Azienda Farmaceutica, della domanda accompagnata da una documentazione dalla quale emerge:

§  un rapporto costo/efficacia positivo, vale a dire che il medicinale deve essere ritenuto utile per il trattamento di patologie per le quali non esiste alcuna cura efficace, o fornire una risposta più adeguata rispetto a farmaci già disponibili per le stesse indicazioni terapeutiche, o presentare un rapporto rischio/beneficio più favorevole rispetto ad altri medicinali già disponibili in Prontuario per la stessa indicazione;

§  la presenza di altri elementi di interesse per il SSN, quantificandoli, se il nuovo medicinale non presenta una superiorità clinica significativa rispetto a prodotti già disponibili o sia quantomeno ugualmente efficace e sicuro di altri prodotti già disponibili.

Il Comitato Prezzi e Rimborso (CPR) dell’AIFA interviene successivamente, esaminando le richieste di rimborsabilità pervenute, supportato anche dai dati di consumo e spesa forniti dall’Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali- OSMED (qui i dati sulla spesa farmaceutica contenuti nel Rapporto Osmed 2014). Quindi, le contrattazioni che hanno come oggetto le specialità medicinali registrate secondo la procedura nazionale, e le procedure comunitarie di mutuo riconoscimento o centralizzata, possono dar luogo ad un accordo con le Aziende Farmaceutiche in cui sono specificati i prezzi e le condizioni di ammissione alla rimborsabilità. In seguito l’accordo è ratificato dalla Commissione Tecnico Scientifica e quindi sottoposto all’esame del Consiglio di Amministrazione dell’Agenzia per la successiva delibera, poi pubblicata in Gazzetta ufficiale.

Per i medicinali a carico del cittadino (classe C), l’AIFA svolge un’azione di monitoraggio sui farmaci con obbligo di prescrizione (ricetta), verificando il rispetto di due condizioni: il prezzo del medicinale può essere aumentato ogni due anni (negli anni dispari); l’incremento non può superare l’inflazione programmata. Per i farmaci senza obbligo di prescrizione (SOP) il prezzo è stabilito liberamente dal produttore (Fonte AIFA: Sezione del sito dedicata all’ABC del Farmaco).

 

L’intervento legislativo è attuato sostituendo il co. 1 dell’art. 11 del decreto legge 158/2012 con i comma 1 e 1-bis.

 

Nel dettaglio il comma 10 dispone che:

a)  l’attuale rubrica dell’art. 11 del decreto legge 158/2012 Revisione straordinaria del Prontuario farmaceutico nazionale e altre disposizioni dirette a favorire l'impiego razionale ed economicamente compatibile dei medicinali da parte del Servizio sanitario nazionale sia sostituita dalla seguente: “Disposizioni dirette a favorire l’impiego razionale ed economicamente compatibile dei medicinali da parte del Servizio sanitario nazionale”;

b) il comma 1 del decreto-legge n. 158/2012, è sostituito con i commi 1 e 1-bis.

Anziché procedere alla revisione straordinaria del Prontuario farmaceutico nazionale, il nuovo comma 1 impegna l’Aifa, entro il 30 settembre 2015, a rinegoziare con le aziende farmaceutiche, in riduzione, il prezzo di rimborso dei medicinali a carico del SSN. La rinegoziazione deve essere condotta nell’ambito di raggruppamenti di medicinali terapeuticamente assimilabili, individuati sulla base dei dati relativi al 2014 dell’Osservatorio nazionale sull’uso dei medicinali-OSMED-AIFA, separando i medicinali a brevetto scaduto da quelli ancora soggetti a tutela brevettuale, autorizzati con indicazioni comprese nella medesima area terapeutica, aventi il medesimo regime di rimborsabilità, nonché il medesimo regime di fornitura.

Si osserva che la norma in esame sostituisce i “prezzi di riferimento per categorie terapeutiche omogenee”, utilizzato nel corpo del vigente comma 1 del decreto-legge 158/2012, con “prezzo di rimborso dei medicinali a carico del SSN nell’ambito di raggruppamenti di medicinali terapeuticamente assimilabili”. Merita rilevare che, mentre la definizione di categoria terapeutica omogenea è contenuta in un Comunicato della Commissione unica del farmaco, pubblicato nel supplemento ordinario n. 127 alla Gazzetta ufficiale, Serie generale, n. 155, del 5 luglio 1999, non esiste alcuna definizione normativa del concetto di medicinali terapeuticamente assimilabili.

Le "categorie terapeutiche omogenee" ai sensi del disposto di cui all'art. 36, commi 8 e 16, della legge n. 449/1997, sono un "gruppo di farmaci (principi attivi e relative preparazioni farmaceutiche) che, in rapporto all'indicazione terapeutica principale, hanno in comune il meccanismo d'azione e sono caratterizzati da una efficacia clinica ed un profilo di effetti indesiderati pressoché sovrapponibile, pur potendo i singoli farmaci diversificarsi per indicazioni terapeutiche aggiuntive. In una categoria terapeutica sono inclusi medicinali che, per forma farmaceutica, dose unitaria e numero di unità posologiche, consentono di effettuare un intervento terapeutico di intensità e durata sostanzialmente simile".

 

Sempre secondo il nuovo comma 1, l’azienda farmaceutica, tramite l'accordo negoziale con AIFA, può ripartire la riduzione di spesa a carico del SSN tra i propri medicinali inseriti nei raggruppamenti terapeuticamente assimilabili, attraverso l’applicazione selettiva di riduzioni del prezzo di rimborso.

Il risparmio atteso dal SSN attraverso la rinegoziazione con l'azienda farmaceutica è dato dalla sommatoria del valore differenziale tra il prezzo a carico del SSN di ciascun medicinale inserito nei raggruppamenti terapeuticamente assimilabili di cui l’azienda è titolare e il prezzo più basso tra tutte le confezioni autorizzate e commercializzate che consentono la medesima intensità di trattamento a parità di Dosi Definite Giornaliere (DDD) - semplificando: fissazione del prezzo massimo del rimborso al prezzo della confezione meno costosa - moltiplicato per i corrispondenti consumi registrati nell’anno 2014.

In caso di mancato accordo con l’azienda farmaceutica, totale o parziale, l’AIFA propone che sia la stessa azienda farmaceutica a restituire alle Regioni il risparmio che il SSN aveva atteso dalla rinegoziazione. L’azienda farmaceutica a questo punto può scegliere di rifondere tale somma:

§  direttamente alle regioni, con le modalità di pay-back, fino a concorrenza dell’ammontare della riduzione attesa dall’azienda stessa;

§  con la riclassificazione in classe C (completamente a carico dell’assistito) dei medicinali terapeuticamente assimilabili di cui l’azienda è titolare, fino a concorrenza dell’ammontare della riduzione attesa dall’azienda stessa.

Rimborsabilità di un farmaco generico subordinata all’accertamento della scadenza della copertura brevettuale del medicinale di riferimento

Il comma 1-bis, introdotto dal comma 10 del provvedimento in esame nel corpo dell’art. 11 del decreto-legge n. 158/2012, riproduce alla lettera il secondo periodo del comma 1 del vigente art. 11.

Come a legislazione vigente, la norma subordina l’inserimento dei medicinali equivalenti nel Prontuario farmaceutico nazionale - in sede di periodico aggiornamento dello stesso Prontuario (aggiornamento per il quale non viene indicata nessuna scadenza) -, alla data di scadenza del brevetto o del certificato di protezione complementare del farmaco originatore di riferimento, come pubblicata dal Ministero dello sviluppo economico. In tal modo, la rimborsabilità da parte del SSN di un farmaco generico viene vincolata all’accertamento della scadenza della copertura brevettuale del medicinale di riferimento (c.d. originatore), configurando una sorta di patent linkage.

Contenimento del prezzo dei farmaci biotecnologici alla scadenza del brevetto sul principio attivo

L’intervento legislativo viene attuato inserendo nel corpo dell’articolo 48 del D.L. 269/2003 i nuovi commi 33-bis e 33-ter.

 

Il comma 11, capoverso 33-bis dell’articolo in esame intende:

§  contenere il prezzo dei farmaci biotecnologici alla scadenza del brevetto sul principio attivo o del certificato di protezione complementare. In particolare, in assenza dell’avvio di una concomitante procedura di contrattazione del prezzo relativa ad un medicinale biosimilare o terapeuticamente assimilabile, l’AIFA avvia una nuova procedura di contrattazione del prezzo con il titolare dell’autorizzazione in commercio del medesimo medicinale biotecnologico al fine di ridurne il prezzo di rimborso da parte del SSN.

 

I farmaci biotecnologici (biotech) rappresentano una delle novità terapeutiche più rilevanti di questi ultimi anni, sia per il loro impatto sulla terapia di molte patologie, sia perché hanno aperto nuove strade per interventi farmacologici innovativi. Tra i più noti vi sono l’insulina ricombinante, l’ormone della crescita umano, i vari tipi di interferone e l’eritropoietina. La gran parte dei farmaci biotech di prima generazione si sta avvicinando alla data di scadenza della copertura. Ciò rende possibile l’introduzione sul mercato di farmaci definiti biosimilari, che come i farmaci generici/equivalenti, possono essere immessi sul mercato una volta che gli originatori non sono più coperti da brevetto.

Secondo il Primo Rapporto di ricerca 2013: i farmaci biotecnologici e le politiche nazionali e regionali per il loro governo, nel 2012 la spesa per farmaci biotecnologici è risultata pari a circa 3,5 miliardi di Euro, corrispondenti al 12,5% della spesa farmaceutica complessiva ed al 15,9% della spesa per farmaci rimborsabili dal SSN.

L’intervento legislativo è attuato introducendo il comma 33-bis nel corpo dell’art. 48 (Tetto di spesa per l'assistenza farmaceutica) del decreto legge 269/2003, il cui vigente comma 33 è dedicato alla determinazione del prezzo dei farmaci rimborsati dal SSN (vedi quanto detto supra).

Rinegoziazione in riduzione del prezzo dei farmaci soggetti a rimborsabilità condizionata

Il comma 11, capoverso 33-ter dell’articolo in esame intende:

§  rinegoziare in riduzione, con le aziende farmaceutiche, il prezzo di un medicinale soggetto a rimborsabilità condizionata (payment-by-result, risk/cost-sharing, success-fee) nell'ambito dei Registri di monitoraggio presso l’AIFA, già concordato sulla base degli accordi sottoscritti in sede di contrattazione del prezzo del medicinale. La rinegoziazione si applica quando i benefici del medicinale, rilevati dopo almeno due anni di commercializzazione nell’ambito dei Registri di monitoraggio Aifa, risultano inferiori rispetto a quelli attesi e garantiti nell’ambito dell’accordo negoziale.

 

L’AIFA utilizza sistemi di rimborsabilità in grado di garantire fattispecie contrattuali originali, volte ad affrontare in modo più efficace le problematiche legate all’accesso al mercato dei farmaci innovativi, destinati alla cura di patologie gravi e invalidanti (fra le quali le malattie rare). Il principio che guida questi accordi è di rimborsare il farmaco innovativo in base alla sua efficacia, lasciando nei casi di fallimento terapeutico (failures) il costo della terapia a carico dell’azienda produttrice. Il risk sharing si inserisce nel contesto più ampio del payment by results o for performance cioè un pagamento sulla base dei risultati, volto a promuovere una più alta qualità delle cure e dell’assistenza sanitaria.

L’intervento legislativo è attuato introducendo il comma 33-ter nel corpo dell’art. 48 (Tetto di spesa per l'assistenza farmaceutica) del decreto-legge n. 269/2003.


 

 

Tabella A

 

Si riportano in maniera sintetica i beni e i servizi indicati nella Tabella A allegata al provvedimento in esame.

 

Prodotti dietetici; Prodotti chimici; Materiali e prodotti per uso veterinario; Altri beni e prodotti sanitari e non; Prodotti alimentari; Materiali di guardaroba, di pulizia e di convivenza in genere; Combustibili, carburanti e lubrificanti; Supporti informatici e cancelleria; Materiale per la manutenzione; Acquisto prestazioni di trasporto sanitario da privato; Contributi a società partecipate e/o enti dipendenti della Regione; Consulenze sanitarie e sociosanitarie da terzi – Altri soggetti pubblici; Consulenze sanitarie da privato – articolo 55, comma 2, CCNL 8 giugno 2000; Altre consulenze sanitarie e sociosanitarie da privato; Collaborazioni coordinate e continuative sanitarie e sociosanitarie da privato; Lavoro interinali – area sanitaria e non; Altre collaborazioni e prestazioni di lavoro – area sanitaria; Altri servizi sanitari e sociosanitari a rilevanza sanitaria da pubblico – Altri soggetti pubblici della Regione; Altri servizi sanitari da privato; Lavanderia; Pulizia; Mensa; Riscaldamento; Servizi di assistenza informatica; Servizi trasporti (non sanitari); Smaltimento rifiuti; Utenze telefoniche; Utenze elettricità; Altre utenze; Premi di assicurazione – R.C. Professionale; Premi di assicurazione – Altri premi assicurativi; Altri servizi non sanitari da altri soggetti pubblici; Altri servizi non sanitari da privato; Consulenze non sanitarie da Terzi – Altri soggetti pubblici; Consulenze non sanitarie da privato; Collaborazioni coordinate e continuative non sanitarie da privato; Altre collaborazioni e prestazioni di lavoro – area non sanitaria; Formazione (esternalizzata e non) da pubblico e privato; Manutenzione e riparazione ai fabbricati e loro pertinenze; Manutenzione e riparazione agli impianti e macchinari; Manutenzione e riparazione alle attrezzature sanitarie e scientifiche; Manutenzione e riparazione ai mobili e arredi; Manutenzione e riparazione agli automezzi; Altre manutenzioni e riparazioni; Fitti passivi; Canoni di noleggio – area sanitaria e non; Canoni di leasing – area sanitaria e non; Indennità, rimborso spese e oneri sociali per gli Organi Direttivi e Collegio Sindacale; Altri oneri diversi di gestione.


 

 

Articolo 9-quater
(Riduzione delle prestazioni inappropriate)

 

 

Riduzione delle Prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale ad alto rischio di inappropriatezza – commi 1-7

I commi da 1 a 6 dell’articolo 9-quater, inserito nel corso dell’esame al Senato, prevedono che, con decreto ministeriale, da adottare, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, siano individuate le condizioni di erogabilità e le indicazioni prioritarie per la prescrizione appropriata delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale ad alto rischio di inappropriatezza. Al di fuori delle condizioni di erogabilità, le prestazioni sono a totale carico dell’assistito. Per garantire il rispetto delle condizioni prescrittive da parte dei medici prescrittori, la norma prevede che in caso di comportamenti prescrittivi non conformi alle condizioni e alle indicazioni di cui al decreto ministeriale, si applichino delle penalizzazioni su alcune componenti retributive del trattamento economico (precisamente sul trattamento economico accessorio) spettante ai medici. Inoltre, la mancata adozione da parte dell'ente del SSN dei provvedimenti di competenza nei confronti del medico prescrittore comporta la responsabilità del direttore generale ed è valutata ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi assegnati al medesimo dalla regione.

Di conseguenza, il comma 7 stabilisce che le regioni e gli enti del SSN ridefiniscano i tetti di spesa annui degli erogatori privati di specialistica ambulatoriale interessati dall’introduzione delle nuove condizioni di appropriatezza, riducendo per il 2015 il valore dei contratti di almeno l’1 per cento del valore complessivo della relativa spesa consuntivata per l'anno 2014.

 

In particolare, il comma 1 demanda a un decreto del Ministro della salute, da adottarsi d’intesa con la Conferenza Stato-regioni entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame, l’individuazione delle condizioni di erogabilità e delle indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, di cui al Nomenclatore dell’assistenza specialistica ambulatoriale (decreto 22 luglio 1996).

 

In premessa si ricorda che il D.Lgs. n. 502/1992, all’art. 1, co. 2, vincola l’erogazione delle prestazioni dei Livelli essenziali ed uniformi di assistenza al rispetto dei principi della dignità della persona, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse.

Il Nomenclatore dell’assistenza specialistica ambulatoriale riporta le prestazioni specialistiche ambulatoriali erogabili dal SSN e, sotto questo profilo, definisce il livello essenziale di assistenza in questo regime di erogazione. Il Nomenclatore è stato approvato con il Decreto del Ministro della sanità del 22 luglio 1996. L’Allegato 2 al Nomenclatore riporta specifiche indicazioni clinico-diagnostiche ai fini della erogabilità a carico del SSN di alcune prestazioni.

Con il Decreto del Ministero della Salute 18 ottobre 2012 è stata confermata l’erogabilità delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale contenute nel decreto 22 luglio 1996 e sono state ridefinite, nell'allegato 3, le relative tariffe di riferimento nazionale.

Sono a carico del SSN anche le prestazioni di chirurgia ambulatoriale e di diagnostica strumentale, che, seppur non presenti nel decreto del 1996, erano precedentemente erogate in regime di ricovero e le prestazioni che sono mere modifiche descrittive del decreto del 1996. Le regioni non in piano di rientro possono imputare tariffe superiori a quelle previste dal decreto dell’ottobre 2012, purché l’importo sia posto a carico dei propri bilanci.

Nel periodo intercorso dall’ultima revisione del Nomenclatore nazionale ciascuna Regione ha autonomamente aggiornato il proprio, sia prevedendo l’introduzione, la modifica o l’eliminazione di singole prestazioni, sia stabilendo proprie tariffe.

Ritenendo utile la conoscenza e la valutazione delle politiche locali, l’Agenas ha effettuato il Confronto tra il nomenclatore tariffario nazionale ex DM 18.10.2012 e i nomenclatori tariffari regionali approvati dalle Regioni al 31 ottobre 2014, limitatamente alle prestazioni di cui al nomenclatore ex DM 22.07.1996.

 

Il comma 2 precisa che le prestazioni erogate al di fuori delle le condizioni di erogabilità previste dal decreto ministeriale, sono a totale carico dell’assistito. Per questo, il comma 3 specifica che il medico deve indicare, nella prescrizione, le condizioni di erogabilità della prestazione o le indicazioni di appropriatezza prescrittiva previste dal decreto ministeriale di cui al comma 1.

 

Il comma 4 stabilisce che l’informazione e l’aggiornamento dei medici prescrittori sia a cura degli enti del SSN, i quali sono anche incaricati di effettuare i controlli necessari ad assicurare che la prescrizione delle prestazioni sia conforme alle condizioni e alle indicazioni di cui al decreto ministeriale previsto dal comma 1.

 

I commi 5 e 6 introducono alcune disposizioni sanzionatorie.

Nello specifico, il comma 5 stabilisce che, in caso di un comportamento prescrittivo non conforme alle condizioni e alle indicazioni di cui al decreto ministeriale previsto dal comma 1, l’ente del SSN richiede al medico prescrittore le ragioni della mancata osservanza delle condizioni ed indicazioni.

In caso di mancata risposta o di giustificazioni insufficienti, l’ente del SSN adotta i provvedimenti di competenza, applicando:

§  al medico prescrittore dipendente del SSN una riduzione del trattamento economico accessorio, nel rispetto delle procedure previste dal contratto collettivo nazionale di settore e dalla legislazione vigente;

§  al medico convenzionato con il SSN una riduzione, mediante le procedure previste dall’accordo collettivo nazionale di riferimento, delle quote variabili dell’accordo collettivo nazionale di lavoro e dell’accordo integrativo regionale.

 

Il comma 6 regolamenta la mancata adozione, da parte dell’ente del SSN dei provvedimenti di competenza nei confronti del medico prescrittore. In questo caso, viene ritenuto responsabile il direttore generale, il cui comportamento inadempiente è valutato ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi assegnati al medesimo dalla regione.

 

Infine, il comma 7 stabilisce che le regioni e gli enti del SSN ridefiniscano i tetti di spesa annui degli erogatori privati di specialistica ambulatoriale interessati dall’introduzione delle nuove condizioni di appropriatezza, riducendo per il 2015 il valore dei contratti di almeno l’1 per cento del valore complessivo della relativa spesa consuntivata per l'anno 2014.

Criteri di appropriatezza dei ricoveri di riabilitazione ospedaliera – commi 8-9

I commi 8 e 9 intendono ridurre il numero dei ricoveri inappropriati di riabilitazione ospedaliera e le giornate inappropriate di ricovero.

 

Il comma 8 traspone normativamente quanto convenuto al punto B.2 co.1, dell’Intesa Stato Regioni del 2 luglio 2015, sulla riduzione dei ricoveri di riabilitazione ad alto rischio di inappropriatezza.

La norma demanda a un decreto del Ministro della salute, da adottarsi d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, l’individuazione dei criteri di appropriatezza dei ricoveri di riabilitazione ospedaliera, tenendo conto della correlazione clinica del ricovero con la tipologia di evento acuto, della distanza temporale tra il ricovero e l’evento acuto e, nei ricoveri non conseguenti ad evento acuto, della tipologia di casistica.

Si rileva che il comma in esame non indica alcun termine temporale entro il quale il decreto del Ministro della salute deve essere adottato. L’Intesa del 2 luglio 2015 poneva invece il termine di 30 giorni dalla data di stipula dell’intesa stessa.

Le prestazioni riabilitative ex art. 26, legge n. 833/1978 sono prestazioni sanitarie dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa. I trattamenti sono erogati nelle fasi di riabilitazione intensiva ed estensiva ed in regime di assistenza extraospedaliera a carattere residenziale a ciclo continuativo, semiresidenziale o diurno, ambulatoriale e domiciliare. L’articolo 8-sexies del decreto legislativo n. 502/1992 prevede che il Ministero della Sanità determini le tariffe massime da corrispondere alle strutture accreditate e che, periodicamente, effettui l’aggiornamento delle stesse. In deroga all’art. 8-sexies, l’art. 15, co. 15, del decreto-legge n. 95/2012 ha stabilito che il Ministro della salute, di concerto con il MEF, sentita la Conferenza Stato-regioni, debba determinare le tariffe massime che le regioni possono corrispondere alle strutture accreditate, sulla base dei dati di costo disponibili e, ove ritenuti congrui ed adeguati, dei tariffari regionali, tenuto conto dell'esigenza di recuperare, anche tramite la determinazione tariffaria, margini di inappropriatezza ancora esistenti a livello locale e nazionale. Il Decreto 18 ottobre 2012, Remunerazione prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti, assistenza ospedaliera di riabilitazione e di lungodegenza post acuzie e di assistenza specialistica ambulatoriale ha quindi individuato i criteri generali in base ai quali le regioni adottano il proprio sistema tariffario (le tariffe delle prestazioni di riabilitazione e lungodegenza ospedaliera, per tipo di ricovero, sono indicate nell’Allegato 2 del decreto), nel rispetto dei principi di appropriatezza e di efficienza.

Il documento del Ministero della salute Metodologia per la definizione dei criteri/parametri di appropriatezza ed efficienza dei ricoveri di riabilitazione ospedaliera: Report di sintesi risultati applicazione metodologia 2010-2012 sintetizza i risultati emersi dall’applicazione della metodologia per la definizione dei criteri/parametri di appropriatezza ed efficienza dei ricoveri di riabilitazione ospedaliera per l’anno 2012 e dall’analisi del trend 2010-2012. La metodologia è stata sviluppata tra il 2010 ed il 2013 secondo il modello di riferimento che individua in appropriatezza, efficienza ed efficacia gli strumenti per garantire i Livelli Essenziali di Assistenza in condizioni di equilibrio economico.

Il modello è focalizzato sulle principali tipologie di riabilitazione (ortopedica, neurologica, cardiologica e pneumologica) ed analizza l’attività di riabilitazione ospedaliera preceduta da evento acuto ed i ricoveri di riabilitazione non preceduti da evento acuto, escludendo altre tipologie residuali di casistiche riferite ad altri “percorsi” del paziente. Il primo criterio di analisi della metodologia è la potenziale inappropriatezza clinica, individuata mediante i criteri di:

§  correlazione clinica dei ricoveri di riabilitazione preceduti da evento acuto: intesa come correlazione tra la tipologia di ricovero riabilitativo e l’evento acuto che ha preceduto il ricovero;

§  distanza evento acuto dei ricoveri di riabilitazione preceduti da evento acuto: intesa come la distanza temporale tra l’evento acuto ed il successivo ricovero riabilitativo;

§  tipologia della casistica per i ricoveri di riabilitazione non preceduti da evento acuto.

La metodologia, inoltre, definisce le soglie minime e massime di durata di degenza da considerare come appropriate, sia in degenza ordinaria che in DH. Mediante tali soglie, applicate ai ricoveri clinicamente appropriati, si individua:

§  il secondo criterio di analisi (potenziale inappropriatezza organizzativa): ricoveri con durata inferiore alla soglia minima;

§  terzo criterio di analisi (potenziale inefficienza): ricoveri con durata superiore alla soglia massima.

 

Conseguentemente, il comma 9 stabilisce che, a decorrere dal 2015 per i ricoveri ordinari e diurni non conformi ai criteri di appropriatezza, ovvero ad elevato rischio di inappropriatezza, di cui al decreto ministeriale previsto dal comma 8, effettuati nelle strutture private accreditate ed identificati a livello regionale, sono applicate penalizzazioni tariffarie. Nello specifico:

§  una riduzione pari al 50% della tariffa fissata dalla regione ovvero, se di minor importo, l’applicazione della tariffa fissata dalla medesima regione per i ricoveri di riabilitazione estensiva presso strutture riabilitative extraospedaliere;

§  una riduzione del 60% (in luogo dell’attuale 40%) della remunerazione tariffaria prevista nella prima colonna dell’Allegato 2 del decreto ministeriale 18 ottobre 2012, per le giornate oltre-soglia con riferimento a tutti i ricoveri ordinari di riabilitazione, clinicamente appropriati, effettuati nelle strutture private accreditate.


 

 

Articolo 9-quinquies
(
Rideterminazione dei fondi per la contrattazione integrativa del
personale dipendente del Servizio sanitario nazionale
)

 

 

L’articolo 9-quinquies, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca disposizioni finalizzate alla rideterminazione dei fondi della contrattazione integrativa del personale dipendente per consentire la piena realizzazione del risparmio associato agli effetti connessi alle riorganizzazioni finalizzate al rispetto degli standard ospedalieri di cui al Decreto 2 aprile 2015, n. 70 (si pensi, ad esempio, al caso di soppressione, riqualificazione o accorpamento di una o più unità operative complesse o semplici).

 

Il Decreto 2 aprile 2015 , n. 70, Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, entrato in vigore il 19 giugno 2015, definisce i criteri in base ai quali le regioni devono procedere, entro il triennio di attuazione del Patto per la salute 2014-2016, alla riorganizzazione della loro rete ospedaliera, portando la dotazione dei posti letto ospedalieri, accreditati ed effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie. Le regioni nell'adottare la riorganizzazione della rete ospedaliera nel rispetto della dotazione di posti letto, assumono come riferimento un tasso di ospedalizzazione pari a 160 per mille abitanti, di cui il 25 per cento riferito a ricoveri diurni (parametri vincolanti dettati dall'articolo 15, comma 13, lettera c) del decreto-legge n. 95/2012).

Il Decreto n. 70/2015 dovrà essere applicato dalle regioni entro autunno 2015. Ogni regione e provincia autonoma dovrà infatti adottare un provvedimento generale di programmazione e riduzione dei posti letto ospedalieri che ridisegnerà la rete ospedaliera regionale. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del Decreto n. 70/2015, dovranno anche essere definiti i valori soglia per volumi di attività specifici, correlati a indicatori di appropriatezza quali gli esiti migliori e le soglie per rischi di esito. Inoltre, il regolamento prevede la messa a punto di ulteriori atti programmatori - quali linee guida regionali e accordi interregionali-, che rendono non immediata la sua completa attuazione (qui in maggiore dettaglio i contenuti del Decreto n. 70/2015) .

Si ricorda che il Patto della salute 2014-2016 ha previsto che, al processo di riassetto strutturale e di qualificazione della rete ospedaliera, dovrebbe corrispondere un eguale rafforzamento dei servizi territoriali. In questo senso, il Patto ha voluto potenziare le forme organizzative complesse dell'assistenza territoriale: le Aggregazioni funzionali territoriali (Aft) e le Unità complesse di cure primarie (UCCP), entrambe basate sull'aggregazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, capaci di garantire l'assistenza su tutto l'arco della giornata, offrendo prestazioni di medicina specialistica e medicina generale.

 

In particolare, la norma stabilisce che, a decorrere dal 1° gennaio 2015, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale è decurtato di un importo pari alle riduzioni derivanti dalla rideterminazione delle strutture ospedaliere operata in attuazione dei processi di riorganizzazione discendenti dall’attuazione del Decreto 2 aprile 2015, n. 70 “Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”.

 

La norma in commento traspone normativamente quanto convenuto al punto C.3. Efficientamento della spesa di personale a seguito della riduzione di strutture complesse e di strutture semplici conseguente al riordino della rete ospedaliera dell’Intesa del 2 luglio 2015. Nell’Intesa si sottolinea come la riorganizzazione della rete ospedaliera prevista nel Decreto 2 aprile 2015, n. 70 comporterà in molte Regioni una riduzione di strutture semplici e complesse. Nell’Intesa viene chiarito come, di conseguenza, gli atti aziendali dovranno prevedere una rideterminazione degli incarichi di struttura semplice e complessa cui sono associate specifiche voci retributive, che a normativa vigente sarebbero confluite nei fondi della contrattazione integrativa. L’intesa conviene che le risorse relative al trattamento accessorio, liberate a seguito delle riorganizzazioni correlate al rispetto degli standard ospedalieri, siano portate permanentemente in riduzione dell’ammontare complessivo dei fondi destinati annualmente al trattamento accessorio.

 

La RT al provvedimento afferma che la disposizione consente la piena realizzazione del risparmio associato alle riorganizzazioni finalizzate al rispetto degli standard ospedalieri. La stessa RT chiarisce che la norma in esame provvede a mutuare quanto previsto dal secondo periodo dell’art. 9, co. 2-bis, del decreto-legge n. 78/2010, che prevede che, dal 1° gennaio 2015, l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio dei pubblici dipendenti sia decurtato di un importo pari alle riduzioni operate ai sensi del primo periodo dello stesso art. 9, co. 2-bis, ossia in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.

 

La norma ora in commento può anche riferirsi all’art. 9, co. 32, del decreto legge 78/2010, che ha precisato che “A decorrere dal 31 maggio 2010 le pubbliche amministrazioni che, alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale, anche in dipendenza dei processi di riorganizzazione, non intendono, anche in assenza di una valutazione negativa, confermare l'incarico conferito al dirigente, conferiscono al medesimo dirigente un altro incarico, anche di valore economico inferiore. Non si applicano le eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli”. Si ricorda infine che la disciplina contrattuale (art. 39, co. 8, del Ccnl 8 giugno 2000) prevede, nelle ipotesi di revoca anticipata dell’incarico per riorganizzazione aziendale, “nel caso di attribuzione di un incarico diverso da quello precedentemente svolto, a seguito di ristrutturazione aziendale, in presenza di valutazioni positive riportate dal dirigente, allo stesso sarà conferito, un incarico di pari valore economico”.

 


 

 

Articolo 9-sexies
(
Potenziamento monitoraggio beni e servizi)

 

 

L’articolo 9-sexies, introdotto nel corso dell’esame al Senato, detta misure per il potenziamento del monitoraggio delle procedure di acquisto di beni e servizi da parte delle regioni e delle province autonome.

Nello specifico, il comma 1 prevede che le regioni e le province autonome mettano a disposizione di Consip e dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (A.N.A.C.) tutte le informazioni necessarie al monitoraggio del rispetto della normativa in materia di beni e servizi con particolare riferimento agli acquisti effettuati tramite le centrali di acquisto regionali. Il comma 2 dispone altresì un potenziamento delle verifiche prevedendo che siano effettuate trimestralmente.

L’intervento legislativo è attuato operando inserimenti nel corpo dell’art. 15, co. 13, del decreto-legge n. 95/2012[126].

 

Il comma 1 prevede che le regioni e le province autonome, ai sensi dell’art. 15, co. 13, lettera d), mettano a disposizione di CONSIP e dell'Autorità nazionale anticorruzione, secondo modalità condivise, tutte le informazioni necessarie alla verifica della correttezza dell’utilizzo delle procedure per l’acquisto di beni e servizi, relativi alle categorie merceologiche presenti nella piattaforma CONSIP, attraverso gli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla stessa CONSIP, ovvero, se disponibili, dalle centrali di committenza regionali di riferimento (di cui all’art. 1, co. 455, della legge n. 296/2006), sia con riferimento alle convenzioni e alle ulteriori forme di acquisto praticate dalle medesime centrali regionali.

L’intervento legislativo è attuato inserendo un periodo nel corpo dell’art. 15, co. 13, del decreto-legge n. 95/2012.

 

Il comma 2 dispone un potenziamento delle verifiche già condotte a legislazione vigente dal Tavolo di verifica degli adempimenti prevedendo che siano effettuate trimestralmente.

L’intervento legislativo è attuato inserendo la lettera d-bis) nel corpo dell’art. 15, co. 13, del decreto-legge n. 95/2012.

 


 

 

Articolo 9-septies
(
Rideterminazione del livello di finanziamento
del Servizio sanitario nazionale
)

 

 

L’articolo 9-septies registra la riduzione di 2.352 milioni di euro, a decorrere dal 2015, del livello del finanziamento del SSN a cui concorre lo Stato. La rideterminazione, in riduzione, del livello di finanziamento del SSN consegue al contributo aggiuntivo che le regioni devono assicurare alla finanza pubblica per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018. Nel corso di successivi atti concertativi tra lo Stato e le regioni, sono stati individuati gli ambiti di spesa, all’interno dei quali conseguire i risparmi necessari a raggiungere l’ammontare del contributo aggiuntivo, e tra questi è stata individuata anche la sanità. Le misure contenute negli articoli da 9-bis a 9-sexies del provvedimento in esame sono pertanto finalizzate a conseguire tali risparmi, anche se il comma 2 consente alle regioni e alle province autonome di conseguire l'obiettivo di risparmio anche adottando misure alternative.

Il comma 3 tiene conto della riduzione del fondo sanitario nazionale per la Regione siciliana, la cui quota, a decorrere dal 2015, è rideterminata in 174,36 mln di euro.

Il comma 4 registra la rideterminazione del contributo della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia agli obiettivi di finanza pubblica per gli anni dal 2014 al 2017 in termini di saldo netto da finanziare e di indebitamento netto.

 

Nel box a seguire viene illustrato nel dettaglio il percorso legislativo e concertativo che ha portato alla rideterminazione del livello di finanziamento del SSN.

 

L’Intesa del 10 luglio 2014 sul Patto per la salute per il triennio 2014-2016 ha definito, all’art. 1, il quadro finanziario per il triennio di vigenza e ha disciplinato alcune misure finalizzate a una più efficiente programmazione del SSN, al miglioramento della qualità dei servizi e all’appropriatezza delle prestazioni.

La legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190/2014) ha dato attuazione a molte disposizioni contenute nel Patto, e, al comma 556, ha fissato il livello di finanziamento per il biennio 2015-2016 come segue: 112.062.000.000 euro per il 2015; 115.444.000.000 euro per il 2016.

Contestualmente, la legge di stabilità 2015 ha anche stabilito che l'ammontare delle risorse destinate alla sanità poteva essere rideterminato in base al contributo aggiuntivo che le regioni devono assicurare alla finanza pubblica per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, pari complessivamente a 3.452 milioni di euro (art. 46, co. 6, del decreto-legge 66/2014 come modificato dal comma 398 della stessa legge di stabilità 2015).

L’art. 46, co. 6, del decreto legge 66/2014 dispone che le regioni e le province autonome, sono tenute ad assicurare un contributo alla finanza pubblica pari a 500 milioni di euro per l'anno 2014 e a 750 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017. I commi 398 e 399 della legge di stabilità 2015 estendono il contributo di 750 milioni al 2018 ed incrementano il concorso alla finanza pubblica delle regioni e delle province autonome determinato dall'art. 46 del decreto legge 66/2014 per gli anni dal 2015 al 2017. Nello specifico, per gli anni dal 2015 al 2018 le Regioni a statuto ordinario sono tenute ad assicurare un contributo aggiuntivo alla finanza pubblica pari a 3.452 milioni di euro per ogni anno. Il contributo è aggiuntivo rispetto ai 750 milioni di euro stabiliti, per cui complessivamente il contributo è pari a 4.202 milioni di euro annui. Come per il contributo iniziale, le regioni 'in sede di auto coordinamento' decidono gli ambiti di spesa sui quali operare le riduzioni e per quali importi. Rispetto alla disciplina prevista per il contributo di 750 milioni di euro, la norma aggiunge l'inciso secondo il quale la determinazione degli ambiti sui quali operare le riduzioni di spesa deve avvenire nel "rispetto dei livelli essenziali di assistenza".

 

In relazione alle Regioni a statuto speciale e le Province autonome, i commi da 400 a 405 e da 415 a 417 determinano il contributo aggiuntivo – e ne disciplinano la realizzazione - per 467 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e di 513 milioni per l'anno 2018. Ciascuna regione, per l'importo ad essa assegnato, realizza il contributo sia in termini di indebitamento netto (riduzione di spesa) che di saldo netto da finanziare.

 

La stessa legge di stabilità 2015 ha inoltre previsto che gli ambiti di spesa da cui attingere le risorse necessarie all’ammontare del contributo aggiuntivo avrebbero dovuto essere individuati entro il 31 gennaio 2015 con una Intesa in sede di Conferenza Stato-regioni.

L’Intesa, poi sancita il 26 febbraio 2015, ha quindi previsto il concorso delle Regioni a statuto ordinario per complessivi 4.202 milioni di euro per gli anni 2015-2018 (750 milioni di euro + 3.452 milioni di euro) a cui si aggiunge quanto previsto dal decreto-legge n. 95/2012, art. 16, co. 2, che prevede una riduzione delle risorse spettanti alle Regioni a statuto ordinario per 1.050 milioni di euro a decorrere dal 2015.

L’Intesa del febbraio 2015 mette anche in chiaro che il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno 2015 è effettuato con le seguenti modalità:

1)  Contributo di cui all'art. 16, co. 2, del decreto legge 95/2012 mediante riduzione del Fondo per lo sviluppo e coesione per 1.050 milioni di euro;

2)  Contributo di cui all'art. 46, co. 6, del decreto legge 66/2014 mediante:

a)  riduzione delle risorse destinate al finanziamento del settore sanitario per 2.000 milioni di euro (con riferimento alla quota di pertinenza delle Regioni a statuto ordinario) e 2.352 milioni di euro, incluse le autonomie speciali;

b)  utilizzo delle risorse per il patto verticale incentivato per 802,13 milioni di euro;

c)  riduzione del Fondo per lo sviluppo e la coesione per 750 milioni di euro;

d)  riduzione dell'edilizia sanitaria, in termini di saldo netto da finanziare, per 285 milioni di euro;

e)  riduzione di 285 milioni di euro del limite previsto dall'art. 1, co. 465, della legge 190/2014, in termini di indebitamento netto;

f)  ulteriori risorse per 364,87 milioni di euro da recuperare su indicazione delle Regioni.

 

L’Intesa del 26 febbraio 2015 al punto E) rinvia a una nuova intesa - che, ai sensi dell’art. 30, co.2, del Patto della salute  avrebbe dovuto essere adottata entro il 31 marzo 2015 -, il dettaglio delle misure in grado di garantire economie in sanità non inferiori a 2.352 milioni di euro, alle quali corrisponde pari riduzione delle risorse destinate dalla legge si stabilità 2015 al finanziamento della sanità. A tempo stesso, l’Intesa sottolinea che le regioni e le province autonome possono conseguire il raggiungimento dell’obiettivo finanziario intervenendo su aree della spesa sanitaria alternative a quelle individuate dalla futura Intesa, ferma restando la garanzia del raggiungimento dell’equilibrio di bilancio del proprio servizio sanitario regionale. L’Intesa del febbraio 2015 impegna infine regioni e province autonome a rafforzare i sistemi di monitoraggio utili all’attuazione del Regolamento sugli standard ospedalieri (di cui all’Intesa 5 agosto 2014, poi recepita a livello normativo dal Decreto n. 70/2015).

 

Il Documento di economia e finanza ha successivamente confermato i contenuti dell’Intesa del 26 febbraio 2015 e ha chiarito che la riduzione operata sul livello di finanziamento statale al SSN, pari a 2.352 milioni di euro, decorre dal 2015, per poi continuare negli anni successivi. Inoltre, poiché la legge di stabilità 2015 ha determinato il finanziamento statale del SSN in 112,062 miliardi di euro per il 2015 e in 115,444 miliardi di euro per il 2016, a seguito dell’Intesa del 26 febbraio 2015, il DEF ha registrato la riduzione conseguente di pari importo del livello di finanziamento del SSN, rideterminato in 109,7 miliardi per il 2015 e in 113,1 miliardi per il 2016.

 

In ultimo l’Intesa del 2 luglio 2015 ha individuato gli ambiti sui quali operare un efficientamento della spesa sanitaria, da adottare con atto legislativo, ove necessario, con conseguente rideterminazione del livello del finanziamento del SSN.

 

 

La RT al provvedimento sottolinea che l’obiettivo di risparmio, pari a 2.352 milioni di euro è assicurato, oltre che dalle disposizioni contenute negli articoli da 9-bis a 9-sexies, anche dagli altri interventi previsti dall’Intesa Stato-regioni del 2 luglio 2015, tra i quali:

§  la ridefinizione dell’assistenza ospedaliera, conseguente all’attuazione del Decreto 2 aprile 2015, n. 70;

§  l’impegno delle regioni, contenuto nel punto E dell’Intesa del 2 luglio 2014 a rivedere la programmazione degli investimenti relativi ai cespiti acquistati con contributi in conto esercizio, già programmati per l’anno 2015 e non ancora effettuati, al fine di assicurare per l’anno 2015 economie non inferiori a 300 milioni di euro.

 

Pertanto, nella RT al provvedimento, gli effetti della manovra nel settore sanitario sono riportati nella seguente tabella:

 


 

 

Per salvaguardare i livelli essenziali di assistenza, il comma 2 consente alle regioni di conseguire le economie necessarie anche adottando misure alternative, purché assicurino l'equilibrio del bilancio sanitario con il livello del finanziamento ordinario.

 

Come previsto dall’Intesa del 26 febbraio 2015, il comma 3 stabilisce che il concorso agli obiettivi di finanza pubblica della Regione siciliana di cui all'articolo 1, commi 400, 401 e 403, della legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014), attualmente pari a 273 milioni di euro, sia rideterminato in 174.361,73 migliaia di euro, al fine di tener conto della riduzione del Fondo sanitario nazionale per la Regione Siciliana, pari a 98.638,27 migliaia di euro a decorrere dall'anno 2015.

 

Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono al finanziamento del Servizio sanitario nazionale con risorse provenienti interamente dal proprio bilancio e senza alcun onere a carico dello Stato. Fa eccezione la Regione siciliana, sola regione tra le autonomie speciali, a non finanziarie completamente i servizi di assistenza sanitaria sul proprio territorio. Ai sensi della legge n. 296/2006, art. 1 co. 830, infatti, la regione a decorrere dal 2009, partecipa alla spesa sanitaria nella misura del 49,11%. Per la restante parte essa riceve i finanziamenti dallo Stato al pari delle regioni a statuto ordinario. Per tale ragione, la Regione siciliana è esclusa dalla normativa concernente le regioni a statuto speciale.

Il sistema di finanziamento delle regioni a statuto speciale prevede che, attraverso le entrate fiscali che ricevono sotto forma di compartecipazioni ai tributi erariali (le cui quote sono stabilite negli statuti speciali e nelle norme di attuazione), esse provvedono al finanziamento integrale dell'esercizio delle funzioni attribuitegli dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione.

In particolare la regione Valle d'Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano - ai sensi dell'articolo 34, comma 3 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 -, la Regione Friuli Venezia Giulia - ai sensi dell'articoli 1, comma 144 della legge n. 662/1996 -, e la Regione Sardegna - ai sensi dell'articolo 1, comma 836 della legge n. 296/2006 -, provvedono al finanziamento del rispettivo fabbisogno senza alcun apporto a carico del Bilancio dello Stato.

Si ricorda inoltre che, stante il diverso modo di finanziamento dei Servizio sanitario nazionale sul proprio territorio e in ragione del principio di coordinamento della finanza pubblica, tutte le regioni e le province autonome sono tenute a contribuire agli obiettivi di finanza pubblica.

 

Il comma 4, come sottolineato dalla Relazione al provvedimento, prevede che il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, in termini di indebitamento netto, della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia previsto dalla legge di stabilità 2015, attualmente pari a 87 milioni di euro, sia rideterminato in 38,168 milioni di euro a seguito della riduzione del livello del finanziamento del SSN conseguente all’Intesa del 2 luglio 2015. L’intervento normativo neutralizza l’impatto di 48, 832 milioni in termini di indebitamento netto per la regione Friuli Venezia Giulia in considerazione che l’articolo 1, co. 517 della legge di stabilità 2015 prevede la rideterminazione degli obiettivi del Patto di stabilità interno della Regione Friuli Venezia Giulia a seguito dell’aggiornamento della previsione della spesa sanitaria, in conformità ai parametri tendenziali previsti nell’ambito del Patto della salute.

 

Si ricorda che la Regione Friuli-Venezia Giulia provvede direttamente al finanziamento dall'assistenza sanitaria nel proprio territorio senza alcun onere a carico dello Stato. Il livello complessivo della spesa sanitaria regionale è tuttavia stabilito nell'ambito della determinazione del livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, operato annualmente con legge dello stato sulla base di quanto concordato tra Stato e Regioni nell'ambito del Patto della salute.

 


 

 

Articolo 9-octies
(
Clausole di salvaguardia per le Regioni a statuto speciale
e le Province autonome
)

 

 

L’articolo 9-octies introdotto nel corso dell’esame al Senato, in esame reca la norma di garanzia per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, prevedendo che esse concorrano al conseguimento degli obiettivi di cui gli articoli da 9-bis a 9-septies del provvedimento in esame, secondo le procedure previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione.


 

 

Articolo 9-nonies
(Potenziamento delle misure di sorveglianza dei livelli
dei controlli di profilassi internazionale del Ministero della salute)

 

 

L’articolo 9-nonies, inserito nel corso dell’esame al Senato, al fine di potenziare le misure di sorveglianza dei livelli dei controlli di profilassi internazionale per salvaguardare la collettività da rischi per la salute, autorizza il Ministero della salute, per le medesime finalità di cui all’articolo 1, comma 599 della legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190/2014) e ferme restando le autorizzazioni di spesa ivi previste, ad effettuare un’ulteriore spesa di 3.100.000,00 Euro per il 2015 e di 2.341.140,00 Euro a decorrere dal 2016 anche allo scopo di fronteggiare le emergenze sanitarie relative all’incremento dei flussi migratori che si verificano soprattutto in area mediterranea, oltre che in previsione della grande affluenza di cittadini stranieri in Italia in occasione dello svolgimento di Expo 2015 e del Giubileo straordinario 2015-2016 (comma 1).

 

Il comma 599 della legge n. 190/2014 - legge di stabilità per il 2015 - prevede che il Ministero della salute sia autorizzato a dotarsi degli strumenti e delle risorse sanitarie necessarie per potenziare le misure di prevenzione e contrasto delle malattie infettive e diffusive sul territorio nazionale, e per rafforzare i livelli di controllo di profilassi internazionale, anche mediante l’acquisto di idonei dispositivi medici, presidi medico-chirurgici e la predisposizione di spazi adeguatamente allestiti, nonché mediante specifiche attività formative dirette al personale medico e paramedico. A tal fine è autorizzata la spesa di 3 milioni di euro per il 2015 e di 1,5 milioni di euro annui a decorrere dal 2016.

Sono autorizzate, anche in deroga alle norme vigenti, le richieste di aspettativa, nel limite di 6 mesi, da parte di personale medico o paramedico che intenda prestare la propria opera nei paesi del continente africano attualmente interessati dal fenomeno del virus Ebola[127].

 

Il comma 2, al fine di potenziare l’attività di programmazione sanitaria e di monitoraggio del Ministero della salute, prevede l’incremento della spesa di euro 400.000 per l’anno 2015 e di euro 1.124.000 per l’anno 2016 per le esigenze di ricorrere a specifiche professionalità ad alta specializzazione che non possono essere reperite con il personale di ruolo del Ministero della salute, di cui all’articolo 5 del D.P.R. n. 791/1982[128] e per potenziare le attività di accesso ed ispettive presso le strutture del Servizio sanitario nazionale di cui all’articolo 4, comma 2, della legge n. 37/1989[129].

Il comma 3 provvede agli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 3.500.000 euro per l'anno 2015 e a 3.465.140 euro annui a decorrere dall'anno 2016, mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente, iscritto, ai fini del bilancio triennale 2015-2017, nell’ambito del programma Fondi di riserva e speciali della missione Fondi da ripartire dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2015, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della salute.

 

La RT, dopo aver illustrato le disposizioni, afferma che alla quantificazione degli oneri stimati si è provveduto sulla base delle seguenti considerazioni.

L’articolo 47-ter, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 300 del 1999, nel testo come modificato da ultimo dall’articolo 1, comma 2, lettera e), punto 1, della legge n. 172 del 2009, conferma in capo al Ministero della salute le funzioni in materia di programmazione tecnico-sanitaria di rilievo nazionale e indirizzo, coordinamento e monitoraggio delle attività tecniche sanitarie regionali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze per tutti i profili attinenti al concorso dello Stato al finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Tra le funzioni in materia di programmazione sanitaria, specificate da ultimo dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 59 del 2014, recante il nuovo “Regolamento di organizzazione del Ministero della salute”, sono individuati compiti di grande rilievo per la governance del SSN, tra cui in particolare la definizione e il monitoraggio del piano sanitario nazionale e dei piani di settore aventi rilievo e applicazione nazionale, l’analisi dei fabbisogni finanziari del SSN e dei costi standard in sanità, la determinazione dei criteri generali per la classificazione e la remunerazione delle prestazioni del SSN, la promozione e verifica della qualità e sicurezza delle prestazioni.

Al fine di garantire tali funzioni, il Ministero della salute ed in particolare la Direzione generale della programmazione sanitaria si avvale dal 1982 anche del personale con specifiche professionalità ad alta specializzazione, ai sensi dell’articolo 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 791 del 1982, fino ad un massimo di 20 unità, appartenenti ai ruoli dei professori e ricercatori universitari, di quelli di altre amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, degli enti locali e di enti pubblici anche economici e del personale in posizione di comando ai sensi dell’articolo 4, comma 2, della legge n. 37 del 1989 fino ad un massimo di 250 unità, appartenenti prioritariamente a strutture del SSN.

 


 

 

Articolo 9-decies
(Programma straordinario per il Giubileo 2015-2016)

 

 

L’articolo 9-decies, inserito nel corso dell’esame al Senato, autorizza, per l’anno 2016, un contributo di 33.512.338 euro a favore della Regione Lazio, finalizzato all’attuazione del programma straordinario per il Giubileo 2015-2016, in considerazione, in particolare, delle esigenze sanitarie connesse alla grande affluenza di persone che si verificherà in occasione di tale evento. La norma prevede che il predetto contributo sia finanziato a valere sulle risorse di cui all’articolo 20 della legge n. 67 del 1988[130].

 

La relazione tecnica evidenzia che le disponibilità di bilancio, relative alle risorse di cui all’articolo 20 della legge n. 67 del 1988, sono pari, per il 2016, a 845.508.185 euro, quindi ampiamente sufficienti a garantire l’erogazione del predetto contributo, e per il 2017 a 1.195.000.000 euro.

 

La concessione del contributo è subordinata alla preventiva presentazione da parte della Regione Lazio al Ministero della salute, del programma degli interventi da realizzare. Acquisito su tale documento il parere favorevole del Ministero della salute di concerto con quello dell’economia e delle finanze, la Regione richiede l’ammissione al finanziamento per ogni singolo intervento, e l’erogazione delle somme è effettuata per stati di avanzamenti dei lavori (comma 1).

 

L’art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67 ha autorizzato un programma pluriennale di investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie per complessivi € 17.575.028.276,02 volto alla riqualificazione del patrimonio edilizio e tecnologico pubblico e alla realizzazione di residenze sanitarie assistenziali. Per la copertura del programma le leggi finanziarie prevedono annualmente le risorse a graduale copertura dell’intero programma.

Il programma finanziario è stato poi integrato per consentire il potenziamento dei programmi nel settore della radioterapia, nell’ambito dei programmi di edilizia sanitaria, con la legge finanziaria 2000, che autorizza la spesa di ulteriori € 15.493.706,98, ripartiti con D.M. 28 dicembre 2001.

Ulteriore integrazione è stata apportata con la legge finanziaria 2001 che ha incrementato le risorse di € 2.065.827.596,36, di cui € 826.143.140,92 ripartiti con DM 8 giugno 2001 per la libera professione intramoenia. La somma residua, pari a € 1.239.684.455,44, è stata ripartita alle Regioni con delibera CIPE del 2 agosto 2002, n.65.

La legge Finanziaria 2007, all’art. 1, comma 796, lett. n) eleva a complessivi 20 miliardi di euro la dotazione di risorse per il citato programma pluriennale di interventi, rendendo disponibili nel prossimo triennio ulteriori € 2.424.971.723,98. La legge Finanziaria 2008, all’art.1 comma 279 ha disposto un ulteriore incremento di 3 miliardi di euro.

Complessivamente il programma ex art. 20 è stato portato quindi a quota 23 miliardi euro. Ulteriori integrazioni sono state disposte dalle successive leggi finanziarie.

Il programma pluriennale di investimenti riguarda sia le Regioni e le Province Autonome che gli Enti (IRCCS, IZS, Policlinici universitari a gestione diretta, Ospedali Classificati e ISS) di cui all’art. 4, comma 15, della legge n. 412 del 1991, e successive modificazioni.

 

Al fine di consentire il perseguimento delle finalità sopra illustrate il comma 2 dispone per gli anni 2015 e 2016, per gli enti del Servizio sanitario regionale della Regione Lazio, la sospensione dell’applicazione delle limitazioni alla spesa per l’assunzione di personale a tempo determinato previste dall’articolo 9, comma 28, del decreto legge 78/2010[131], che prevede che tale spesa non può essere superiore al cinquanta per cento di quella sostenuta nel 2009.

 

La RT afferma che l'afflusso di pellegrini per l’evento del Giubileo straordinario comporterà inevitabilmente un incremento degli accessi alle strutture sanitarie presenti nel territorio della Regione Lazio. Pertanto, al fine di affrontare l’evento straordinario del Giubileo, la regione Lazio per effetto della disposizione del comma 2 può procedere con le assunzioni di unità di personale con contratto a tempo determinato per la durata dell'evento.

Si può stimare, quindi, un fabbisogno di personale da reclutare con contratto a tempo determinato per le unità operative interessate all’evento Giubileo, sintetizzato nella tabella seguente:

 

Tipologia     Fabbisogno unità di personale

Dirigenza Medica e Sanitaria     64

Comparto ruolo sanitario  264

Comparto ruolo tecnico    50

Totale     378

 

Si stima, inoltre, un aumento dell’organico dell’Ares di circa 200 unità di personale da assumere a tempo determinato.

 

Il comma 3 consente ai pellegrini che fanno ingresso sul territorio nazionale per il Giubileo straordinario, di usufruire gratuitamente, previo versamento di un contributo volontario di 50 Euro comprovato da idoneo titolo, dell’assistenza ospedaliera in urgenza presso le strutture ospedaliere che erogano prestazioni sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale ai sensi del decreto legislativo n. 502/1992[132] e successive modificazioni. In caso di mancato versamento del contributo i pellegrini corrispondono, per le sopracitate prestazioni, le tariffe vigenti nella Regione dove insiste la struttura ospedaliera.

Il comma 4 esclude dal contributo i pellegrini provenienti da Paesi con i quali l’Italia ha accordi in materia sanitaria, in quanto l’assistenza di tali pellegrini è regolata da accordi o da normativa di settore.

Il comma 5 stabilisce che le somme derivanti dal pagamento di quanto previsto al comma 3 sono versate ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad apposito capitolo di spesa dello stato di previsione del Ministero della salute destinato al rimborso alle Regioni delle spese sostenute per l'erogazione delle prestazioni sanitarie in favore dei pellegrini.

Il comma 6 dispone che nel caso in cui le richieste di rimborso pervenute al Ministero della salute da parte delle Regioni per l'erogazione dei servizi di cui al comma precedente eccedano le somme riassegnate sul capitolo di spesa destinato a tali rimborsi, ai maggiori oneri si provvede mediante specifico vincolo a valere sulle risorse finalizzate all'attuazione dell'articolo 1, comma 34, della legge n. 662 del 1996[133], per il biennio 2015-2016.

 

La RT afferma che possono versare il contributo i pellegrini censiti dal Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, che fanno ingresso sul territorio nazionale per il Giubileo della Misericordia. E’ stato evitato il richiamo ai pellegrini che entrano con visto o senza visto perché la disposizione si riferisce ad entrambe le fattispecie ed ha per oggetto i pellegrini che provengono da paesi con i quali l’Italia non ha siglato accordi in materia sanitaria. Il supporto del Vaticano è indispensabile per distinguere i pellegrini dal resto dei turisti in ingresso per motivi diversi dal Giubileo. Inoltre, è stato individuato il Pontificio Consiglio quale principale interlocutore tra MAECI/Interno/Salute.

Il contributo, non obbligatorio, è certo e preventivo ed interviene in sostituzione del pagamento diretto da parte del pellegrino che potrebbe essere soggetto a rischio di insolvenza.

 

I commi 6 e 7 prevedono, rispettivamente, che il Ministero dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio e che le modalità di attuazione dei commi 3, 4 e 5 verranno definite con successivi provvedimenti del Ministero della salute.


 

 

Articolo 9-undecies
(
Disposizioni in ambito sanitario dirette a favorire
la tempestività dei pagamenti
)

 

 

Le disposizioni dell’articolo in esame intendono garantire, nel corso dell’esercizio, e nelle more dell’espressione dell’Intesa di riparto del Fondo sanitario nazionale, una regolare gestione di cassa delle risorse stanziate per il SSN, al fine di evitare l’insorgenza, presso le regioni e gli altri enti interessati, di ulteriori oneri connessi alla carenza di liquidità. La mancata definizione del riparto del finanziamento del fondo sanitario nazionale entro il termine dell’esercizio di riferimento, ha infatti costituito motivo di criticità per le regioni, tanto che, nel tempo, si è resa necessaria l’emanazione di norme per garantire l'ordinato finanziamento della spesa sanitaria corrente. Le anticipazioni di cassa in favore delle regioni hanno finora riguardato la quota indistinta del Fondo sanitario nazionale. La norma in commento è diretta ad introdurre anche per altre fattispecie un regime di erogazione anticipata a valere sul finanziamento di competenza dell’esercizio. La misura dell’erogazione è stabilita in un importo non superiore all’80% dell’ultimo valore disponibile in sede di riparto assentito in Conferenza Stato-Regioni.

 

Il primo periodo del comma 1 dell’articolo in esame si riferisce al "riparto delle disponibilità finanziarie del SSN" ovvero al riparto del finanziamento statale del SSN tra le singole Regioni, con la contestuale individuazione delle fonti di finanziamento del SSN. Sul riparto, proposto dal Ministero della Salute, si raggiunge un'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. L’Intesa è poi recepita con propria delibera dal Comitato interministeriale per la programmazione economica - CIPE. In sede di determinazione del riparto del fabbisogno sanitario nazionale, vengono distinte la quota destinata complessivamente alle regioni a statuto ordinario (con una ulteriore quota del finanziamento vincolata al perseguimento di determinati obiettivi sanitari) e le quote destinate ad enti diversi dalle regioni. Per quanto riguarda la medicina penitenziaria, l’art. 2, co. 283, della legge n. 244/2007, (Finanziaria 2008) ha previsto un decreto di riparto apposito per il finanziamento delle spese che le Aziende sanitarie sostengono per tutte le funzioni sanitarie, i rapporti di lavoro e i beni strumentali afferenti alla sanità penitenziaria.

La mancata definizione del riparto del finanziamento del fondo sanitario nazionale entro il termine dell’esercizio di riferimento, ha costituito motivo di criticità per le regioni, tanto che, nel tempo, si è resa necessaria l’emanazione di norme per garantire l'ordinato finanziamento della spesa sanitaria corrente.

A legislazione vigente, l'art. 2, co. 68, della legge n. 191/2009 (legge finanziaria 2010), come prorogato dall'art. 15, co. 24, del decreto-legge n. 95/2012, autorizza il MEF a concedere alle regioni a statuto ordinario e alla Sicilia anticipazioni rispetto al livello del finanziamento statale del SSN. L'erogazione è fissata al livello del 97 per cento (98 per cento per le regioni che hanno rispettato gli adempimenti previsti dalla vigente normativa nell'ultimo triennio) delle somme dovute in rapporto alla quota indistinta, al netto delle entrate proprie e, per la Sicilia, della compartecipazione regionale al finanziamento della spesa sanitaria. La restante quota del 3 per cento (2 per cento) viene erogata a seguito dell'esito positivo della verifica degli adempimenti previsti dalla vigente normativa.

 

Le anticipazioni di cassa in favore delle regioni hanno finora riguardato la quota indistinta del Fondo sanitario nazionale.

Il comma 1 dell’articolo in commento allarga le anticipazioni ad alcune componenti del finanziamento del SSN destinate alle stesse regioni, ma finora non ricomprese nelle anticipazioni. Le componenti del finanziamento a cui vengono allargate le anticipazioni sono:

§  quote destinate a finanziare gli istituti zooprofilattici sperimentali;

§  quote destinate alla medicina penitenziaria;

§  quote destinate agli enti che hanno stabilmente accesso al finanziamento corrente del SSN a cui concorre lo Stato e per i quali non sia già previsto uno specifico regime di anticipazione, ovvero non siano stabiliti specifici adempimenti o atti preliminari ai fini del riconoscimento delle risorse.

 

Il comma 2 stabilisce un regime di erogazione anticipata anche nei confronti delle università con riferimento al finanziamento della formazione dei medici specialisti e nelle more del perfezionamento del D.P.C.M. di assegnazione delle risorse. Anche in questo caso, la misura dell’erogazione è stabilita in un importo non superiore all’80% dell’ultimo valore disponibile in sede di riparto assentito in Conferenza Stato Regioni.

 

Infine il comma 3 autorizza, nei confronti degli enti di cui ai commi 1 e 2, in sede di conguaglio eventuali necessari recuperi, anche a carico delle somme a qualsiasi titolo spettanti per gli esercizi successivi.

 


 

 

Articolo 9-duodecies
(Organizzazione e funzionamento dell’Agenzia italiana del farmaco)

 

 

L’articolo 9-duodecies, inserito nel corso dell’esame al Senato, incrementa a 630 unità la dotazione organica dell’AIFA - dalle attuali 389 -, al fine di consentire il corretto svolgimento delle funzioni ad essa attribuite, anche in relazione alle disposizioni contenute nella legge di stabilità per il 2015 (Legge n. 190/2014), e di adeguare il numero dei dipendenti agli standard delle altre agenzie regolatorie europee, ed individua le misure per la copertura degli oneri da ciò derivanti.

 

L'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) è un ente di diritto pubblico istituito dal decreto legge 30 settembre 2003 n. 269 (art. 48). Esso ha iniziato la sua attività nel luglio 2004 ed opera sulla base degli indirizzi del Ministero della salute, ed è sottoposto alla vigilanza del medesimo ministero e di quello dell’economia e delle finanze. Svolge la sua attività in collaborazione con le Regioni, l’Istituto superiore di sanità, gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, le associazioni dei pazienti, i medici e le società scientifiche. L'Agenzia è dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia organizzativa, patrimoniale, finanziaria e gestionale. L’Agenzia cura l’intero percorso del farmaco: dalla sperimentazione clinica, all’immissione in commercio secondo criteri di qualità, sicurezza ed efficacia, operando un monitoraggio continuo delle reazioni avverse e del profilo rischio–beneficio attraverso la rete nazionale di farmacovigilanza; fornisce inoltre informazione pubblica e indipendente per favorire il corretto uso dei farmaci e orientare il processo delle scelte terapeutiche e l’appropriatezza delle prescrizioni. Inoltre l’Agenzia cura l’aggiornamento degli operatori sanitari attraverso le attività editoriali e i programmi di formazione a distanza. Oltre a realizzare al proprio interno l’intero processo decisionale, garantendo così l’unitarietà del sistema farmaceutico e l’equità nell’accesso ai medicinali quali strumenti di tutela della salute l’AIFA governa la spesa farmaceutica, in stretto rapporto con le Regioni e l’industria, mantenendo l’equilibrio economico nell’ambito del tetto di spesa stabilito annualmente dallo Stato. Essa inoltre rafforza i rapporti con le Agenzie degli altri Paesi, con l'Agenzia europea dei medicinali (EMA) e con gli altri organismi internazionali. Sono organi dell’Agenzia il direttore generale, il consiglio di amministrazione, il collegio dei revisori. Il nuovo regolamento di organizzazione, amministrazione e ordinamento del personale dell’AIFA è stato adottato e pubblicato nell’ottobre 2009.

 

Il comma 1, pertanto, dispone l’incremento della dotazione organica dell’Agenzia anche in relazione allo svolgimento delle nuove funzioni previste dalla legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190/2014).

Il previsto aumento della dotazione organica è posto in relazione anche alla necessità di adeguare il numero dei dipendenti agli standard delle altre agenzie regolatorie europee.

 

L’articolo 1, comma 588 della legge citata dispone che l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) predisponga valutazioni di Health Technology Assessment (HTA) per caratterizzare e individuare i percorsi farmaco-terapeutici che possano garantire l’impiego efficiente e costo-efficace delle risorse disponibili.

Le valutazioni sono predisposte a supporto del Ministero della salute e delle regioni, al fine di garantire un equo ed omogeneo accesso dei pazienti a tutti i medicinali, con particolare riferimento ai medicinali innovativi o di eccezionale rilevanza terapeutica.

Questa funzione dell’AIFA è prevista inserirsi nell’ambito delle attività previste ai fini dell’attuazione della Direttiva 2011/24/UE del Parlamento Europeo sull’assistenza sanitaria transfrontaliera (v. ante) mediante il network permanente per l’Health Technology Assessment (HTA network) anche, con specifico riferimento ai medicinali, al fine di raggiungere gli obiettivi previsti da questa direttiva.

Per tali finalità, la funzione è prevista a supporto della Cabina di regia istituita presso il Ministero della salute e delle indicazioni del Piano sanitario nazionale.

La norma ricorda inoltre che le valutazioni nazionali di HTA sui medicinali forniscono informazioni trasparenti e trasferibili ai contesti assistenziali regionali e locali, sull’efficacia comparativa dei medicinali e sulle successive ricadute in termini di costo-efficacia nella pratica clinica, prima dell’immissione in commercio, durante la commercializzazione e l’intero ciclo di vita del medicinale.

Si prevedono compiti specifici per l’AIFA nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali per essa disponibili: l’Agenzia, in collaborazione con le regioni, è chiamata a coordinare le valutazioni dei diversi percorsi diagnostico-terapeutici che si sono sviluppati localmente, per garantire l’accesso e l’uso appropriato ai medicinali. Inoltre, le valutazioni, integrate con i dati di utilizzo e di spesa dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali, oltre che con quelli raccolti attraverso i registri di monitoraggio AIFA, sono utilizzate nell’iter istruttorio delle procedure di rivalutazione di prezzo o di rimborsabilità dei medicinali.

Infine si prevede che le regioni, senza nuovi o maggiori oneri, si dotino, compatibilmente e nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili, di un presidio HTA a supporto delle pertinenti valutazioni.

Il comma in esame attua l’articolo 27 del Patto per la salute 2014-2016.

 

Ai fini della copertura della dotazione organica così incrementata il comma 2 prevede che, nel triennio 2016-2018, nel rispetto della programmazione triennale del fabbisogno e previo espletamento della procedura di reclutamento di cui all’articolo 35, comma 4, del decreto legislativo n. 165/2001[134], per favorire una maggiore valorizzazione della professionalità acquisita dal personale con contratto di lavoro a tempo determinato - stipulato ai sensi del comma 7 dell’articolo 48 del decreto legge n. 269/2003[135], convertito dalla legge n. 326/2003 -, l’Agenzia può bandire procedure concorsuali per titoli ed esami per l’assunzione di personale a tempo indeterminato, con una riserva di posti non superiore al 50 per cento per il personale non di ruolo che, alla data di pubblicazione del bando di concorso presti servizio, a qualunque titolo e da almeno sei mesi presso la stessa Agenzia, e nel limite di posti disponibili nella propria dotazione organica. I concorsi possono essere banditi in deroga alle procedure di mobilità di cui all’articolo 30, comma 2, del D.Lgs. 165/2001[136], nonché di ogni altra procedura per l’assorbimento del personale in esubero dalle amministrazioni pubbliche.

 

Il comma 7 dell’articolo 48 del D.L. 269/2003, prevede, tra l’altro, che l'Agenzia può assumere, in relazione a particolari e motivate esigenze, cui non può far fronte con personale in servizio, e nei limiti delle proprie disponibilità finanziarie, personale tecnico o altamente qualificato, con contratti a tempo determinato di diritto privato.

La relazione che accompagna la modifica normativa in esame sottolinea che quest’ultima è motivata dalla necessità di potenziare l’Agenzia aumentandone la pianta organica e salvaguardando l’elevata qualificazione specialistica e tecnica acquisita fino ad ora dal personale assunto con contratti a tempo determinato che si stanno avviando alla scadenza.

Lo scopo dell’incremento della dotazione organica è, in particolare, quello di garantire certezza nei tempi dei processi registrativi ed ispettivi, in linea con gli altri Paesi europei, oltre che la trasparenza nelle relative procedure.

 

Si prevede, quanto alle procedure di assunzione, che le stesse debbano essere effettuate in modo da garantire l'assunzione, negli anni 2016, 2017 e 2018, di non più di 80 unità per ciascun anno, e comunque nei limiti della dotazione organica, così come incrementata. Inoltre, è prevista la possibilità di prorogare, fino al completamento delle predette procedure concorsuali, e comunque non oltre il 31 dicembre 2017, i contratti di lavoro a tempo determinato in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Il comma 3 – e la tabella ad esso allegata - quantifica gli oneri derivanti dalle disposizioni dei due commi precedenti in 2.750.000 Euro per il 2016, in 8.250.000 Euro per il 2017 in 13.750.000 Euro per il 2018 e in 16.500.000 Euro a decorrere dal 2019. L'onere economico derivante da tali previsioni viene coperto mediante l'incremento delle tariffe e dei diritti, individuati dalla norma, spettanti ad AIFA per i servizi da essa resi. Come evidenziato dalla relazione tecnica si tratta, quindi, di risorse che non gravano sulla finanza pubblica, in quanto a carico di soggetti privati.

Si tratta, più specificamente:

§  delle entrate derivanti (art. 48, comma 8, lettera b del D.L. 269/2003) dalla maggiorazione del 20 per cento delle tariffe di cui all'articolo 5, comma 12, della legge 29 dicembre 1990, n. 407 e successive modificazioni (tariffe e diritti spettanti al Ministero della sanità, all’ISS e all’INAIL - in quanto ente che ha assorbito le funzioni dell’ISPESL - per le prestazioni - ivi comprese le ispezioni - fornite a richiesta dei soggetti interessati);

§  delle entrate, per la parte che confluisce nel bilancio dell’AIFA, derivanti dai pagamenti di tariffe da parte delle imprese farmaceutiche che svolgano convegni, congressi o riunioni in Italia o all’estero;

§  del diritto annuale a carico di ciascun titolare di autorizzazione all'immissione in commercio per il funzionamento, l'aggiornamento e l'implementazione delle funzionalità informatiche della banca dati dei farmaci autorizzati o registrati ai fini dell'immissione in commercio, nonché per la gestione informatica delle relative pratiche autorizzative (art. 17, comma 10, lettera d) del D.L. n. 98/2001).

 

A copertura dell'onere relativo a ciascun anno di riferimento, gli incrementi sono imputati, in misura pari al 64,57 per, cento, alle tariffe di cui all'articolo 48, comma 8, lettera b), e comma 10-bis del decreto-legge n. 269/2003 (prime tre voci delle tabelle 1 e 2) e, in misura pari al 35,43 per cento, ai diritti di cui all'articolo 17, comma 10, lettera d), del decreto-legge n. 98/2011 (quarta voce delle tabelle 1 e 2).

 

Il comma 4 prevede che il Ministro della salute, di concerto con l'Agenzia, assicura con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il monitoraggio dell'onere effettivo derivante dalle assunzioni di cui al comma 2 e delle maggiori entrate di cui al comma 3. Nel caso in cui si verifichino, o siano in procinto di verificarsi, scostamenti positivi o negativi tra i suddetti oneri e le maggiori entrate, il Ministro della salute, su proposta dell'Agenzia, è autorizzato a rimodulare con proprio decreto gli incrementi delle tariffe e dei diritti di cui alla tabella richiamata al comma 3.

I commi 5 e 6, modificando il comma 12 dell’articolo 158 del D.L.gs. n. 219/2006[137] prevedono che, con decreto del Ministro della salute, previo parere dell'AIFA, siano aggiornate le tariffe in materia farmaceutica e siano individuate quelle relative a prestazioni non ancora oggetto di tariffe, con l'introduzione di importi ridotti per le piccole e medie imprese (in analogia alla riduzione già spettante alle medesime per il diritto annuale citato al comma 3) per le variazioni di carattere amministrativo delle autorizzazioni all'immissione in commercio di medicinali e per le variazioni (delle stesse autorizzazioni) connesse alla modifica del sito di produzione. Il decreto ministeriale è adottato entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame ed è applicabile dal mese successivo.

 

Articolo 10
(Norme in materia di anagrafe e carta di identità elettronica)

 

 

L’articolo 10 (commi 1 e 2) modifica la disciplina dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR).

In primo luogo ne estende le competenze anche alla materia dello stato civile e alla tenuta delle liste di leva, prevedendo l’istituzione presso l’ANPR dell’archivio informatizzato dei registri di stato civile dei comuni e stabilendo che essa fornisca i dati per la tenuta delle liste di leva (comma 1, lett. a). Viene modificata anche la disciplina delle funzioni dei comuni in materia anagrafica, lasciando solo per il periodo transitorio necessario al completamento della banca dati nazionale la possibilità al comune di utilizzare i dati anagrafici locali. Inoltre, si prevede che l’ANPR metta a disposizione dei comuni un sistema di controllo e di gestione dei dati necessari per lo svolgimento delle loro funzioni istituzionali (comma 1, lett. b). Per la realizzazione dei nuovi compiti dell’ANPR, viene confermato il ruolo della Sogei, quale soggetto tecnico attuatore dell’anagrafe nazionale (comma 2).

L’articolo in esame interviene anche sulla disciplina della carta di identità elettronica (CIE) che non è più definito documento obbligatorio di identificazione. Inoltre, viene definitivamente superato il progetto di unificazione della CIE e della tessera sanitaria nel Documento digitale unificato - DDU le cui norme regolatrici vengono abrogate (commi 2-5).

Le spese previste per l’implementazione di ANPR e CIE sono quantificate in 59,5 milioni per il 2015, 8 milioni per il 2016 e a 62,5 milioni di euro, ogni cinque anni, a decorrere dal 2020. Per le attività di gestione si prevedono oneri per ulteriori 0,7 milioni dal 2016. La copertura è assicurata mediante l’utilizzo delle risorse già stanziate per la realizzazione del documento unificato e mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (comma 6).

Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR).

Come anticipato, l’articolo 10 (commi 1 e 2) introduce alcune modifiche alla norma istitutiva dell'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), recata dall'articolo 62 del Codice dell'amministrazione digitale – CAD (decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82) come modificato dall'articolo 2 del decreto-legge n. 179 del 2012.

 

L’art. 2 del D.L. n. 179/2012 ha disposto l'unificazione del sistema anagrafico nazionale, già strutturato in quattro partizioni (Indice nazionale delle anagrafi-INA, anagrafe comunale, AIRE centrale e AIRE comunale) in un’unica anagrafe - l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), istituita presso il Ministero dell'interno. La finalità dell’intervento è quella di accelerare il processo di automazione amministrativa rendendo più efficiente la gestione dei dati anagrafi della popolazione e riducendone i costi.

L’Anagrafe della popolazione residente è una delle 'basi di dati di interesse nazionale' definite dall'articolo 60 dello stesso Codice (insieme al repertorio nazionale dei dati territoriali, la banca nazionale dei contratti pubblici, il casellario giudiziale, il registro delle imprese, gli archivi automatizzati in materia di immigrazione e asilo, l'Anagrafe nazionale degli assistiti e l'anagrafe nazionale delle aziende agricole).

Tale base di dati è sottoposta a un audit di sicurezza con cadenza annuale in conformità alle regole tecniche dell'articolo 51 del CAD (Sicurezza dei dati, dei sistemi e delle infrastrutture delle pubbliche amministrazioni). I risultati dell'audit sono inseriti nella relazione annuale del Garante per la Protezione dei dati personali.

La prima fase di attuazione dell’ANPR è avvenuta con il DPCM 23 agosto 2013, n. 109 che ha costituito l’anagrafe nazionale che è subentrata all’INA e all’AIRE. Il subentro alle anagrafi comunali è stato rinviato a successivi decreti attuativi (art. 1).

Successivamente, con il DPCM 10 novembre 2014, n. 194, sono state introdotte le modalità di attuazione e di funzionamento dell'Anagrafe nazionale della popolazione residente e le modalità di definizione del piano per il graduale subentro dell'ANPR alle anagrafi della popolazione residente.

Infine, il regolamento anagrafico della popolazione residente, adottato con il DPR 223 del 1989, è stato modificato con DPCM al fine di adeguarlo alla nuova disciplina dell’anagrafe nazionale. Lo schema di DPCM, che ha ricevuto i pareri del Consiglio di Stato e del Garante della privacy ed è stato deliberato dal Consiglio dei ministri il 3 luglio 2015, non risulta ancora pubblicato.

 

In particolare, con la lettera a) del comma 1, l’articolo in esame introduce un comma 2-bis all’articolo 62 del CAD che prevede che l'Anagrafe nazionale “contenga” l’archivio informatizzato dei registri dello stato civile tenuti dai comuni.

Si ricorda, in proposito, che attualmente è già operativo il Centro nazionale di raccolta dei supporti informatici contenenti i dati registrati negli archivi informatici comunali dello stato civile che, come previsto dalla normativa (DPR 396/2000), raccoglie i dati inviati dai comuni in materia di stato civile al fine di assicurarne la conservazione in caso di impossibilità anche temporanea di accesso a tali dati (vedi oltre). Il Centro è collocato presso il Centro nazionale servizi demografici (CNSD), la stessa struttura del Ministero dell’interno che gestisce l’ANPR.

 

L’esigenza di inserire nell’ANPR anche i dati dello stato civile è tra le proposte avanzate dall’Agenzia dell’Italia digitale, nel quadro dell’assistenza tecnica che l’Agenzia fornisce al Ministero dell’interno e al Dipartimento della funzione pubblica per il completamento del quadro normativo per l’attuazione e il funzionamento dell’ANPR.

 

In particolare, sono state proposte modifiche per prevedere l’istituzione, nell’ambito dell’Anagrafe nazionale, di un archivio informatizzato contenente i registri dello stato civile tenuti dai comuni. La proposta prevede altresì che l’Anagrafe nazionale fornisca ai comuni i dati necessari ai fini della tenuta e dell’aggiornamento delle liste elettorali, nonché delle liste di leva. In tal modo verrebbe semplificato l’esercizio, da parte dei comuni, dei relativi servizi statali, anche sopprimendo la previsione introdotta dal decreto-legge n. 90/2014, convertito dalla legge 114/2014, in base alla quale, in deroga al generale divieto di duplicazione delle banche dati, è consentito ai comuni di conservare in locale i dati anagrafici necessari allo svolgimento di tutte le altre funzioni, ad esclusione di quelle anagrafiche, necessariamente svolte nell’ambito dell’ANPR (Agenzia per l’Italia digitale, Risultati obiettivi 2014, Ultimo aggiornamento 10 Febbraio 2015).

 

La legislazione nelle materie relative alla cittadinanza, allo stato civile ed alle anagrafi è riservata dalla Costituzione alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, 2° comma, lett. i) Cost.). Ferma restando la competenza legislativa statale, i comuni hanno una competenza gestionale dei servizi elettorali, di stato civile, di anagrafe, di leva militare e di statistica. Le relative funzioni sono esercitate dal sindaco, quale ufficiale di governo il quale sovrintende alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione ed agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica (artt. 14 e 54 TUEL).

L’ordinamento dello stato civile è disciplinato dal D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.

Ogni comune ha un ufficio dello stato civile e il sindaco, quale ufficiale del Governo, è l’ufficiale dello stato civile. Il sindaco può delegare le funzioni di ufficiale civile.

L’ufficiale dello stato civile esercita le seguenti funzioni:

a)    forma, archivia, conserva e aggiorna tutti gli atti concernenti lo stato civile e cura la trasmissione dei dati al centro nazionale di raccolta;

b)    trasmette alle pubbliche amministrazioni che ne fanno richiesta in base alle norme vigenti gli estratti e i certificati che concernono lo stato civile, in esenzione da ogni spesa;

c)    rilascia, nei casi previsti, gli estratti e i certificati che concernono lo stato civile, nonché le copie conformi dei documenti depositati presso l’ufficio dello stato civile;

d)    verifica, per le pubbliche amministrazioni che ne fanno richiesta, la veridicità dei dati contenuti nelle autocertificazioni prodotte dai cittadini in tutti i casi consentiti dalla legge.

L’ufficiale dello stato civile è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell’Interno. La vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta al Prefetto.

In particolare, in ciascun ufficio dello stato civile sono registrati e conservati in un unico archivio informatico tutti gli atti formati nel comune o comunque relativi a soggetti ivi residenti, riguardanti la cittadinanza, la nascita, i matrimoni e la morte. E’ prevista, inoltre, istituzione di un centro nazionale di raccolta dei supporti informatici contenente tutti i dati registrati negli archivi informatici comunali per assicurarne la conservazione in caso di eventi dannosi o calamitosi. Esclusivamente in caso di prolungata impossibilità di accesso ai dati conservati negli archivi comunali, il centro è tenuto a svolgere i compiti di competenza dei comuni in materia di stato civile, ad esclusione della formazione di nuovi atti e di aggiornamento di quelli esistenti (art. 10, DPR 396/2000). Il Centro nazionale di raccolta dei supporti informatici contenenti i dati registrati negli archivi informatici comunali dello stato civile è attualmente allocato presso il Centro nazionale servizi demografici (CNSD), costituito con decreto del Ministro dell’interno del 23 aprile 2002 presso la Direzione centrale per i servizi demografici, al quale è affidata la gestione unitaria delle attività e delle infrastrutture informatiche che fanno capo alla stessa Direzione centrale.

 

La norma prevede altresì che l'Anagrafe nazionale fornisca (ai comuni, come specificato dalla relazione illustrativa del disegno di legge di conversione presentato al Senato, A.S. 1977) i dati necessari ai fini della tenuta delle liste di leva. In tal modo – come specificato dalla medesima relazione illustrativa - viene semplificato l'esercizio, da parte dei comuni, delle relative funzioni statali.

 

Come già ricordato sopra, i comuni hanno competenza gestionale, tra gli altri, dei servizi di leva militare e il sindaco, in quanto ufficiale di governo sovrintende agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia (artt. 14 e 54 TUEL). Anche se la leva obbligatoria è stata sostituita nel 2005 dal servizio militare professionale, i comuni continuano a svolgere le attività per la formazione e l'aggiornamento delle liste di leva per l'eventuale ripristino della leva obbligatoria. Le modalità di tenuta delle liste da parte dei comuni e di accesso da parte dell’Amministrazione della difesa sono definite dal Ministero della difesa, di concerto con il Ministero dell'interno, acquisito il parere della Conferenza Stato-Città e autonomie locali (Codice dell’ordinamento militare, D.Lgs. 66/2010, art. 1931).

 

Per l'attuazione delle disposizioni di cui sopra l’articolo in esame fa rinvio all'adozione di uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che dovranno altresì stabilire un piano di integrazione (si tratta di un piano di integrazione dell'archivio nazionale dello stato civile, secondo quanto si legge nella relazione illustrativa del d.d.l. A.S. 1977), da ultimare entro il termine del 31 dicembre 2018.

Da quanto si legge nella medesima relazione illustrativa, la data indicata “tiene conto dell'attuale stato di attuazione dell'ANPR, per la cui operatività sono stati adottati due decreti attuativi (decreti del Presidente del Consiglio dei ministri n. 109 del 2013 e n. 194 del 2014) con una prospettiva di realizzazione del subentro dell'ANPR alle anagrafi comunali nel secondo semestre del 2016”.

 

Con un’altra disposizione (comma 1, lett. b), l’articolo in esame modifica in alcuni punti la disciplina dei rapporti tra anagrafe nazionale e anagrafi comunali, attraverso una novella del comma 3 dell’articolo 62 CAD. Si prevede che:

§  l’ANPR assicuri ai comuni la disponibilità non solo dei dati e degli strumenti per lo svolgimento delle funzioni statali a loro attribuite (anagrafe, stato civile, leva ecc.), ma anche degli atti necessari per tale svolgimento;

§  l’ANPR metta a disposizione dei comuni un sistema di controllo, gestione e interscambio puntuale e massivo di dati, servizi e transazioni necessario ai sistemi locali per lo svolgimento delle funzioni comunali. Si prevede, dunque, un impegno maggiore dell’ANPR che nella formulazione previgente era tenuta ad assicurare ai comuni la disponibilità dei dati anagrafici e dei servizi per l’interoperabilità;

§  i comuni possano, come prima, utilizzare – per l’esercizio delle funzioni non trasferite all’ANPR - i dati anagrafici detenuti in loco e costantemente allineati a quelli nazionali ma solamente per il periodo transitorio necessario al completamento della banca dati nazionale.

 

Per le nuove attività introdotte dal comma 1 - quali l'inserimento nell'Anagrafe degli archivi di stato civile, la fornitura ai comuni dei dati sulle liste di leva e la creazione del sistema unificato di controllo gestione e interscambio dei dati a disposizione dei comuni - il Ministero dell'interno continua ad avvalersi della SoGeI, società partecipata dal Ministero dell’economia e delle finanze, cui è affidata la realizzazione tecnica dell’ANPR. Il Ministero dell’interno cura le attività di implementazione dell'Anagrafe, ivi incluse quelle di progettazione d'intesa con l'Agenzia per l'Italia digitale (comma 3).

 

Si ricorda che ai sensi della normativa vigente, il Ministero dell’interno si avvale, per la progettazione, l’implementazione e la gestione dell'ANPR, della società di gestione del sistema informativo dell'amministrazione finanziaria (L. 228/2012, artt. 1, comma 306) i cui diritti di azionista sono esercitati dal ministero dell’economia e delle finanze (articolo 83, comma 15, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133). Si tratta, appunto della Sogei - Società Generale d'Informatica S.p.A., società di Information Technology a partecipazione totale del Ministero dell'economia e delle finanze.

Carta di identità elettronica

I commi 3, 4 e 5 modificano la normativa vigente in materia di carta di identità elettronica, intervenendo sulle disposizioni dell'articolo 10 del decreto-legge n. 70 del 2011. Questo decreto legge ha modificato a sua volta il decreto legge n. 7 del 2005 nella parte che disciplina l'emissione della carta di identità elettronica, in particolare aggiungendo il comma 2-bis all'articolo 7-vicies ter.

Il citato comma 2-bis (anch’esso oggetto di novella da parte dell’articolo in esame) qualificava la carta di identità elettronica come “documento obbligatorio di identificazione” e (in seguito alla integrazione recata dal decreto-legge n. 70 del 2011) ne riservava l'emissione al Ministero dell'Interno. La normativa del 2011 prevedeva altresì l'unificazione in un unico documento (Documento digitale unificato – DDU) della carta di identità elettronica e della tessera sanitaria, rilasciata dal Ministero dell'economia e delle finanze, e dettava le modalità con cui attuare questo obiettivo.

 

Il comma 3, attraverso una novella al DL 7/2007, art. 7-vicies ter, comma 2-bis, conferma la competenza del Ministero dell’interno ad emettere la carta di identità elettronica, che però non viene più considerato documento obbligatorio di identificazione.

 

A proposito dell’obbligatorietà della carta di identità quale documento di identificazione, si ricorda che la carta d’identità costituisce un mezzo di identificazione ai fini di polizia, ma ha carattere facoltativo e il suo ottenimento costituisce un diritto del cittadino. Tuttavia l’autorità di polizia può obbligare le persone pericolose o sospette di dotarsi della carta d’identità (art. 4, Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773). La carta d’identità deve essere esibita alla richiesta dell’autorità di polizia, ma nessuna disposizione pone l’obbligo di portarla con sé (ad eccezione delle categorie di persone viste sopra) e pertanto non è assoggettabile a nessuna sanzione chi, alla richiesta della polizia, non è in grado di esibire la carta d’identità (Cass. pen. 16 ottobre 1951). In ogni caso è punito penalmente chi, dietro richiesta della polizia, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale.

 

Inoltre, il comma 3 demanda ad un decreto del Ministro dell'interno – da adottare di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'Agenzia per l'Italia digitale, il Garante per la protezione dei dati personali e la Conferenza Stato-città autonomie locali - la definizione delle caratteristiche tecniche, delle modalità di produzione, di emissione, di rilascio della carta di identità elettronica, nonché di tenuta del relativo archivio informatizzato.

Infine, viene soppressa la clausola di neutralità finanziaria previgente nel novellato comma 2, così come non si prevede più che la fase di inizializzazione del documento sia riservata ai Servizi demografici del Ministero dell’interno.

 

Il comma 4 dispone il superamento del Documento digitale unificato - DDU, abrogando i commi 2 e 3 dell'articolo 10 del decreto legge 70 del 2011 che prevedevano l'unificazione della CIE con la tessera sanitaria, le modalità di emissione del documento unificato e la sua utilizzazione.

 

Si osserva che andrebbe abrogato anche il comma 3-quinquies in quanto dispone che il DDU sostituisce a tutti gli effetti di legge il tesserino di codice fiscale rilasciato dall’Agenzia delle entrate:

 

Il comma 5 precisa che nelle more dell'attuazione della carta di identità elettronica come prevista dalla nuova normativa (e quindi dell'emanazione del citato decreto del Ministro dell'interno) continuano ad applicarsi, per il rilascio di questo documento, le procedure previste dall'articolo 7-vices ter, comma 2, del decreto legge n. 7 del 2005.

 

La Carta di identità elettronica, uno degli elementi del più generale processo di informatizzazione della Pubblica amministrazione, fu inizialmente proposta nel 1997 (L. 127/1997, articolo 2). La CIE era intesa come uno degli strumenti principali del processo di informatizzazione della pubblica amministrazione. Infatti, oltre a mantenere la funzione del documento cartaceo attestante l’identità della persona, essa dovrebbe avere la funzione di strumento di accesso ai servizi innovativi che le pubbliche amministrazioni locali e nazionali mettono a disposizione per via telematica. Tra i diversi provvedimenti intervenuti in materia di CIE si ricorda, in primo luogo, l’articolo 10, co. 1, del decreto-legge n. 70/2011 che ha riservato al Ministero dell’interno la responsabilità, in precedenza attribuita ai comuni, sul processo di produzione e rilascio della stessa. Successivamente, l’articolo 40 del D.L. n. 1/2012 ha previsto la definizione di una tempistica graduale per il rilascio della carta d’identità elettronica a partire dai comuni che dovranno essere identificati con decreto interministeriale. Inoltre, ha stabilito che le carte d’identità elettroniche devono essere munite anche della fotografia e delle impronte digitali della persona a cui si riferiscono.

Un ulteriore aspetto oggetto di intervento legislativo è quello legato alla possibilità di unificare i documenti in formato elettronico. In particolare, l’articolo 10, co. 3, del D.L. n. 70/2011, come modificato dal D.L. 179/2012 (art. 1, co. 2, lett. b) ha demandato ad un DPCM la definizione dell’ampliamento delle possibili utilizzazioni della carta d’identità elettronica anche in relazione all’unificazione sul medesimo supporto della carta d’identità elettronica con la tessera sanitaria (il c.d. documento digitale unificato). La conseguente definizione delle modalità tecniche di produzione, distribuzione e gestione del documento unificato è rinviata all’adozione di un decreto interministeriale.

Norma di copertura

Il comma 6, come modificato al Senato, detta la norma di copertura finanziaria della complessiva spesa relativa ai commi 1 e 5 dell’articolo 10 - pari a 59,5 milioni di euro per l'anno 2015, 8 milioni di euro l'anno 2016 e a 62,5 milioni di euro, ogni cinque anni, a decorrere dall'anno 2020. Inoltre, per le attività di gestione, la norma evidenzia oneri per ulteriori 2,7 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016.

A tali oneri si provvede:

§  quanto a 59,5 milioni di euro per l'anno 2015, a 8 milioni di euro l'anno 2016 e a 62,5 milioni di euro, ogni cinque anni, a decorrere dall'anno 2020, mediante corrispondente utilizzo delle risorse, anche in conto residui, previste per la realizzazione e il rilascio gratuito del documento unificato, di cui alla autorizzazione disposta dall'articolo 10, comma 3-bis, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, pari a 60 milioni di euro per il 2013 e di 82 milioni a decorrere dal 2014;

§  quanto a 0,7 milioni di euro per il 2017 e a 0,7 milioni a decorrere dall'anno 2017, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282/2004.

Si ricorda che il Fondo ISPE è stato istituito dall'articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282 del 2004 al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze (cap. 3075) viene utilizzato in modo flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di interventi legislativi recanti oneri finanziari. Nel bilancio di previsione per gli anni 2015-2017 (legge n. 191/2014 e relativo D.M. Economia del 29 dicembre 2014 di ripartizione del bilancio in capitoli) il Fondo presenta una dotazione pari a 271,7 milioni per il 2015, a 415 milioni per il 2016 e a 314,4 milioni per il 2017.

§  quanto a 2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo speciale di parte corrente allo scopo utilizzando parzialmente l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.


 

Articolo 11, commi 1-7-ter e 12-16
(Misure per la ricostruzione dei territori abruzzesi
interessati dal sisma del 6 aprile 2009
)

 

 

I commi 1, da 2 a 7-ter e da 12 a 16 recano una serie di misure per la ricostruzione dei territori abruzzesi interessati dagli eventi sismici del 2009.

Il comma 1 interviene sulla disciplina dei contratti stipulati tra privati per la redazione dei progetti e la realizzazione dei lavori di ricostruzione nei territori dell’Abruzzo colpiti dal sisma del 6 aprile 2009 al fine di disciplinare gli elementi e le informazioni che tali contratti devono contenere, a pena di nullità. Il comma 3 prevede l’adeguamento dei contratti già stipulati, inclusi i contratti preliminari, alla nuova disciplina prima della progettazione esecutiva.

Relativamente ad alcune figure coinvolte nei lavori di ricostruzione, il comma 2 stabilisce che il direttore dei lavori non possa avere rapporti con le imprese affidatarie dei lavori, mentre il comma 4 prevede l’assunzione della qualifica di incaricati di pubblico servizio da parte degli amministratori di condominio, dei rappresentanti legali dei consorzi e dei commissari dei consorzi obbligatori, nello svolgimento delle prestazioni professionali necessarie alle attività di riparazione o ricostruzione.

Una serie di disposizioni interviene sui termini di inizio e di fine dei lavori, nonché sull’avanzamento dei lavori medesimi, al fine di prevedere sanzioni e penali nel caso di ritardi (commi 5 e 5-bis).

Ulteriori disposizioni riguardano il subappalto per le lavorazioni della categoria prevalente nei limiti della quota parte del trenta per cento dei lavori e disciplina le fattispecie di risoluzione dei contratti (commi 6 e 7).

Il comma 7-bis estende ai centri storici delle frazioni del Comune dell'Aquila e degli altri Comuni del Cratere il contributo disposto, per le abitazioni private, anche con un solo proprietario, non adibite ad abitazione principale, distrutte o danneggiate dal sisma.

Il comma 7-ter, prevede una autorizzazione da parte dei comuni in merito alla richiesta di eseguire lavori di riparazione o ricostruzione di immobili privati danneggiati dal sisma, in regime di anticipazione finanziaria da parte dei proprietari o aventi titolo.

Il comma 12 prevede la destinazione di risorse a interventi previsti nel quadro di un programma di sviluppo a favore dei territori colpiti dal sisma del 2009.

I commi 13 e 14 sono volti ad estendere le competenze dell’Ufficio speciale per la ricostruzione dei 56 comuni del cratere, anche ai comuni fuori cratere e a prevedere, per la nomina dei titolari dei due Uffici speciali per la ricostruzione, l’emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il comma 14-bis prevede che l'istruttoria finalizzata all'esame delle richieste di contributo per la ricostruzione degli immobili privati avvenga sulla base dei criteri e degli indirizzi formulati dai Comuni.

Il comma 14-ter riconosce anche per gli anni 2016 e 2017 la possibilità per il comune dell'Aquila di prorogare o rinnovare i contratti di lavoro a tempo determinato

Il comma 15 assegna, infine, al comune dell'Aquila un contributo straordinario di 8,5 milioni di euro per il 2015.

Contratti riguardanti la redazione dei progetti ed i lavori di ricostruzione (commi 1 e 3)

Il comma 1, modificato durante l’esame al Senato, interviene sui contratti tra privati, stipulati ai sensi dell'articolo 67-quater, comma 8 del D.L. 83/2012, recante la modalità e i contenuti dei contratti per la redazione dei progetti e la realizzazione dei lavori di ricostruzione nei territori dell’Abruzzo colpiti dal sisma del 6 aprile 2009. L’ambito di applicazione della disposizione sembra interessare tutti i contratti, sia quelli già stipulati sia quelli che saranno stipulati dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina. Il comma 1 è finalizzato a disciplinare gli elementi e le informazioni che tali contratti devono contenere, a pena di nullità: si tratta in particolare:

§  delle informazioni di cui alle lettere a), b), c), d), e), ed f) del medesimo articolo 67-quater;

 

Il comma 8 dell'articolo 67-quater del D.L. 83/2012 che disciplina i criteri e le modalità della ricostruzione del comune dell'Aquila e dei comuni del cratere, già stabilisce che i contratti per la redazione dei progetti e la realizzazione dei lavori di ricostruzione devono essere redatti per iscritto a pena di nullità e devono contenere, in maniera chiara e comprensibile, osservando in particolare i principi di buona fede e di lealtà in materia di transazioni commerciali, valutati in base alle esigenze di protezione delle categorie di consumatori socialmente deboli, le seguenti informazioni:

a)   identità del professionista e dell'impresa;

b)   requisiti di ordine generale e di qualificazione del professionista e dell'impresa, indicando espressamente le esperienze pregresse e il fatturato degli ultimi cinque anni, nonché la certificazione antimafia e di regolarità del documento unico di regolarità contributiva;

c)   oggetto e caratteristiche essenziali del progetto e dei lavori commissionati;

d)   determinazione e modalità di pagamento del corrispettivo pattuito;

e)   modalità e tempi di consegna;

f)    dichiarazione di voler procedere al subappalto dell'esecuzione dell'opera, ove autorizzato dal committente, indicandone la misura e l'identità del subappaltatore.

§  dell’attestazione SOA per le categorie e classifiche corrispondenti all'assunzione del contratto;

 

L’attestazione SOA è la certificazione obbligatoria per la partecipazione alle gare per i contratti pubblici di lavori, con importo a base d’asta superiore a 150.000,00 euro, direttamente o in subappalto, che garantisce il possesso da parte dell’impresa del settore delle costruzioni dei requisiti previsti dalla normativa del Codice dei contratti pubblici (artt. 40, 49, 50 del d.lgs. 163/2006 e articoli contenuti nel Titolo III della parte II del Regolamento di esecuzione del Codice dei Contratti pubblici di cui al D.P.R. 207/2010).

L’attestazione SOA ha validità quinquennale (sempre che ne venga verificata la validità al terzo anno dal primo rilascio) e viene rilasciata a seguito di un’istruttoria da parte delle Società Organismi di Attestazione (SOA), autorizzate ad operare dall’ANAC.

§  delle sanzioni e delle penali, ivi compresa la risoluzione del contratto, per il mancato rispetto delle modalità e dei tempi di consegna (di cui alla lettera e del citato articolo 67-quater), e per ulteriori inadempimenti.

Il riferimento alle attestazioni SOA e alle sanzioni e alle penali è stato inserito nel corso dell’esame al Senato e innova rispetto alla disciplina contenuta nell’articolo 67-quater considerato che le informazioni precedentemente richiamate dovevano essere contenute nei contratti per la redazione dei progetti e la realizzazione dei lavori di ricostruzione già nella normativa previgente.

 

Sulla base di una modifica inserita al Senato, il comma 1 prevede, inoltre, la sostituzione della certificazione antimafia di cui alla lettera b) dell'articolo 67-quater, comma 8, con la autocertificazione di cui all'articolo 89 del decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 159.

 

L’art. 89 del D.Lgs. n. 159 del 2011, che disciplina l’autocertificazione della dichiarazione antimafia per i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi o forniture dichiarati urgenti ed i provvedimenti di rinnovo conseguenti a provvedimenti già disposti, stabilisce che tali contratti sono stipulati, autorizzati o adottati previa acquisizione di apposita dichiarazione con la quale l'interessato attesti che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui all'articolo 67. La dichiarazione deve essere sottoscritta con le modalità di cui all'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

 

Un’ulteriore integrazione rispetto al testo del decreto legge originariamente presentato è la generica previsione in base alla quale i contributi sono corrisposti sotto condizione risolutiva.

 

L’art. 3 del D.L. n. 39 del 2009 ha previsto l’erogazione di contributi statali a fondo perduto per i proprietari privati colpiti dal sisma 2009, prevedendo, in particolare, con la lettera a), la concessione di contributi a fondo perduto, anche con le modalità, su base volontaria, del credito d’imposta e, sempre su base volontaria, di finanziamenti agevolati garantiti dallo Stato, per la ricostruzione o riparazione di immobili adibiti ad abitazione considerata principale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, distrutti, dichiarati inagibili o danneggiati ovvero per l’acquisto di nuove abitazioni sostitutive dell’abitazione principale distrutta. Il contributo di cui alla presente lettera è determinato in ogni caso in modo tale da coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, la ricostruzione o l’acquisto di un alloggio equivalente. Inoltre, il medesimo articolo 3, alla lettera e), ha previsto la concessione di contributi, anche con le modalità del credito di imposta, per la ricostruzione o riparazione di immobili diversi da quelli adibiti ad abitazione principale, nonché di immobili ad uso non abitativo distrutti o danneggiati e. alla lettera e)-bis, nel caso di immobili condominiali, l’assegnazione dei fondi necessari per riparare le parti comuni direttamente all’amministratore che è tenuto a preventivare, gestire e rendicontare in modo analitico e con contabilità separata tutte le spese relative alla ricostruzione. In tali fasi l’amministratore si avvale dell’ausilio di condomini che rappresentino almeno il 35 per cento delle quote condominiali.

 

Infine il comma 1 stabilisce che il committente (nel testo originario si fa riferimento al direttore dei lavori) garantisce, trasmettendo copia della documentazione ai comuni interessati per gli idonei controlli, la regolarità formale dei contratti stipulati. In tale caso è prevista l’applicazione dell’articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che prevede per chiunque rilasci dichiarazioni mendaci, formi atti falsi o ne faccia uso nei casi previsti dal medesimo testo unico sugli atti amministrativi, l’applicazione del codice penale e delle leggi speciali in materia.

 

Si ricorda che in merito alle attività di ricostruzione da parte di privati, conseguenti ai danni causati dal sisma del 2009 in Abruzzo, l'art. 3-ter, comma 1 del D.L. n. 125 del 2010 ha interpretato l'art. 3, lettere a), e) e e-bis) del D.L. n. 39 del 2009, nel senso che i contributi a fondo perduto ivi previsti e destinati alla ricostruzione, riparazione o acquisto di immobili, sono concessi ai privati o ai condomini costituiti da privati ai sensi degli articoli 1117 e seguenti del codice civile, a titolo di indennizzo per il ristoro, in tutto o in parte, dei danni causati dal sisma del 6 aprile 2009 ad edifici di proprietà privata. Conseguentemente, i contratti stipulati dai beneficiari per la esecuzione di lavori e per l'acquisizione di beni e servizi connessi non si intendono ricompresi tra quelli previsti dall'art. 32, comma 1, lettere d) ed e), del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163).

Si ricorda che l’articolo 32, comma 1, lettere d) ed e), del citato decreto legislativo n. 163 del 2006 riguarda l’applicabilità delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici ai seguenti contratti affidati da privati di importo pari o superiori alle soglie comunitarie. In particolare, la lettera d) riguarda i contratti per lavori affidati da soggetti privati come specificati nell'allegato I al Codice medesimo, nonché per lavori di edilizia relativi ad ospedali, impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, edifici scolastici e universitari, edifici destinati a funzioni pubbliche amministrative, di importo superiore a un milione di euro, per la cui realizzazione sia previsto, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, un contributo diretto e specifico, in conto interessi o in conto capitale che, attualizzato, superi il 50 per cento dell'importo dei lavori. La lettera e) riguarda invece gli appalti di servizi, affidati da soggetti privati, relativamente ai servizi il cui valore stimato, al netto dell’IVA, sia pari o superiore a 211.000 euro e per i quali sia previsto, da parte dei soggetti delle amministrazioni aggiudicatrici, un contributo diretto e specifico, in conto interessi o in conto capitale che, attualizzato, superi il 50 per cento dell'importo dei servizi.

 

Il comma 3, modificato durante l’esame al Senato, prescrive l'adeguamento dei contratti già stipulati, ivi compresi i contratti preliminari, prima della approvazione della progettazione esecutiva, alle disposizioni del comma 1 dell’articolo in esame. Il testo originario del decreto prevede l’adeguamento dei contratti già stipulati, purché non in corso di esecuzione, entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge. Nel caso di mancata conferma della sussistenza dei requisiti accertati da parte del direttore dei lavori, si prevede l’avvio di una nuova procedura di selezione dell’operatore economico da parte del committente e la risoluzione degli eventuali obblighi precedentemente assunti senza oneri di risarcimento da parte del committente.

Le obbligazioni precedentemente assunte si intendono non confermate anche in mancanza della prescritte verifiche nei tempi stabiliti dal decreto legge in esame.

Rapporti tra direttore dei lavori e imprese affidatarie (comma 2)

Il comma 2, modificato durante l’esame al Senato, stabilisce che il direttore dei lavori (il testo originario del decreto fa riferimento anche al progettista) non può avere in corso e neanche avere avuto negli ultimi tre anni rapporti diretti (la natura diretta di tali rapporti è stata specificata nel corso dell’esame al Senato) di natura professionale, commerciale o di collaborazione, comunque denominati, con l'impresa affidataria dei lavori di riparazione o ricostruzione, anche in subappalto, né rapporti di parentela con il titolare o con chi riveste cariche societarie nella stessa. Per tale finalità, la norma prevede una apposita autocertificazione da prodursi al committente, trasmettendone, altresì, copia ai comuni interessati per gli idonei controlli anche a campione. Il riferimento ai rapporti di parentela e alla presentazione di un’apposita autocertificazione è stato inserito nel corso dell’esame al Senato.

Assegnazione della qualifica di incaricati di pubblico servizio (comma 4)

Il comma 4 prevede l’assunzione della qualifica di incaricati di pubblico servizio, ai sensi dell'articolo 358 del codice penale, da parte degli amministratori di condominio, dei rappresentanti legali dei consorzi e dei commissari dei consorzi obbligatori, nello svolgimento delle prestazioni professionali necessarie alla riparazione o alla ricostruzione delle parti comuni degli edifici danneggiati o distrutti dal sisma rese ai sensi delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri adottate per consentire la riparazione o la ricostruzione delle parti comuni degli immobili danneggiati o distrutti dagli eventi sismici del 6 aprile 2009.

 

L’art. 358 del Codice penale stabilisce che, agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.

Con riferimento alla costituzione di consorzi obbligatori, si ricorda che l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3820 del 12 novembre 2009 (Ulteriori interventi urgenti diretti a fronteggiare gli eventi sismici verificatisi nella regione Abruzzo il giorno 6 aprile 2009 e altre disposizioni di protezione civile) demanda ai comuni, entro il 28 febbraio 2011, l'individuazione di aggregati edilizi, per i quali occorre la costituzione di consorzi obbligatori ai fini del compimento delle opere di riparazione (articolo 7, commi 3 e 3-bis dell'ordinanza). I comuni pubblicano sull'Albo pretorio e sul sito internet istituzionale, con periodicità almeno settimanale, l'elenco degli aggregati e delle eventuali partizioni già individuati. La pubblicazione vale anche quale invito ai proprietari ed ai titolari dei diritti reali delle unità immobiliari degli edifici interessati a costituirsi in consorzio obbligatorio, entro venti giorni dalla pubblicazione stessa (trenta giorni per L'Aquila) per lo svolgimento di tutte le attività riguardanti la completa attuazione degli interventi. Decorso inutilmente il suddetto termine temporale, il comune si sostituisce ai proprietari inadempienti (entro il successivo termine di quindici giorni e previa diffida ad adempiere) mediante la nomina di un commissario e l'occupazione degli immobili a titolo gratuito ai soli fini della realizzazione delle finalità del consorzio obbligatorio (articolo 7, comma 13).

Certificazioni di conclusione lavori, sanzioni e penali per ritardo nei lavori di ricostruzione (commi 5, 5-bis)

Il comma 5, modificato durante l’esame al Senato, stabilisce l’obbligo di consegna delle certificazioni di conclusione lavori e di ripristino della agibilità sismica, con redazione e consegna dello stato finale entro 30 giorni dalla chiusura dei cantieri. Il riferimento al ripristino della agibilità sismica è stato inserito nel corso dell’esame al Senato.

In caso di ritardo agli amministratori di condominio, ai rappresentanti di consorzio e ai commissari dei consorzi obbligatori si applica la riduzione del 20% sul compenso per il primo mese di ritardo e del 50% per i mesi successivi.

 

L’art. 8, comma 2, dell’O.P.C.M. n. 3803 del 2009 stabilisce che i compensi spettanti agli amministratori di condominio per le prestazioni professionali rese ai sensi delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri emanate per consentire la riparazione o la ricostruzione delle parti comuni degli immobili danneggiati o distrutti dagli eventi sismici del 6 aprile 2009, rientrano tra le spese ammissibili a contributo, nel limite massimo del 2% della somma ammessa a contributo.

L’art. 6, comma 4, della O.P.C.M. n. 4013 del 2012 stabilisce che i compensi spettanti agli amministratori di condominio di cui all'art. 8, comma 2 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 agosto 2009, n. 3803, come sostituito dall'art. 1, comma 1 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 ottobre 2009, n. 3917, rientrano tra le spese ammissibili a contributo, nel limite massimo complessivo derivante dall'applicazione progressiva dei seguenti scaglioni: 2% della somma ammessa a contributo per contributi fino a 1.000.000 di euro; 1% della somma ammessa a contributo per contributi tra 1.000.001 di euro e 5.000.000 di euro; 0,5% della somma ammessa a contributo per contributi tra 5.000.001 di euro e 10.000.000 di euro; 0,2% della somma ammessa a contributo per contributi eccedenti i 10.000.001 di euro.

 

Il comma 5-bis, introdotto al Senato, dispone una serie di misure finalizzate a sanzionare eventuali ritardi nei lavori di riparazione o ricostruzione degli edifici.

Inizio e fine lavori

Il comma in esame stabilisce, per un verso, che il termine per l'inizio dei lavori di riparazione o ricostruzione degli edifici, ai fini dell'applicazione delle penali, inizia a decorrere, indipendentemente dal reale avviamento del cantiere, trascorsi trenta giorni dalla concessione del contributo e, per l’altro, che la data di fine lavori è indicata nell'atto con cui si concede il contributo definitivo.

Eventuali ritardi imputabili a amministratori di condominio, rappresentanti dei consorzi, procuratori speciali, rappresentanti delle parti comuni sono sanzionati con una decurtazione del due per cento per ogni mese, e frazione di mese di ritardo, del compenso complessivo loro spettante.

Stato di avanzamento lavori e conclusione lavori

Il comma 5-bis stabilisce, inoltre, che il direttore dei lavori, entro quindici giorni dalla avvenuta comunicazione di maturazione dello stato di avanzamento lavori (SAL), trasmette gli atti contabili al beneficiario del contributo, che provvede entro sette giorni a presentarli presso l'apposito sportello degli Uffici Comunali/Uffici Territoriali per la Ricostruzione.

Eventuali ritardi sono sanzionati attraverso:

§  l’applicazione al direttore dei lavori di una decurtazione del cinque per cento sulle competenze spettanti in rapporto all'entità del SAL consegnato con ritardo per ogni mese, e frazione di mese, di ritardo;

§  l’applicazione al beneficiario di una decurtazione del due per cento sulle competenze complessive per ogni settimana, e frazione di settimana, di ritardo.

La norma in esame dispone altresì che spetta ai comuni calcolare e applicare le suddette decurtazioni.

I comuni, previa verifica della disponibilità di cassa, devono nel termine massimo di quaranta giorni formalizzare il pagamento del SAL, ad eccezione degli ultimi SAL estratti per verifica amministrativa.

Sono quindi dettate ulteriori disposizione relative alle certificazioni di conclusione dei lavori, di migliorie e interventi difformità.

A conclusione dei lavori, il direttore dei lavori certifica che gli stessi sono stati eseguiti secondo le previsioni progettuali.

Nel caso di migliorie o altri interventi difformi, il direttore dei lavori e l'amministratore di condominio, il rappresentante del consorzio o il commissario certificano che i lavori relativi alle parti comuni sono stati contrattualizzati dal committente ed accludono le quietanze dei pagamenti effettuati dagli stessi.

Analoga certificazione viene effettuata dal committente in relazione alle migliorie o interventi difformi apportati sull'immobile isolato o sulle parti esclusive dello stesso se ricompreso in aggregato.

 

Si ricorda che l’art. 11, comma 11-bis del D.L. 76/2013 prevede che i pagamenti degli stati di avanzamento dei lavori (SAL) degli edifici della ricostruzione privata, emessi dal direttore dei lavori, successivi al primo SAL, vengono effettuati, dal presidente del consorzio, dall'amministratore del condominio, o dal proprietario beneficiario nel caso in cui l'unità immobiliare non sia ricompresa in un consorzio o in un condominio, solo a fronte di autocertificazione ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, rilasciata dall'impresa affidataria dei lavori con cui si attesti l'avvenuto pagamento di tutte le fatture scadute dei fornitori e dei subappaltatori relative ai lavori effettuati nel precedente SAL. L'autocertificazione non si applica alla rata finale del pagamento.

 

In base all’art. 194 del regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti pubblici (D.P.R. n. 207/2010) che disciplina lo stato di avanzamento lavori, quando si deve effettuare il pagamento di una rata di acconto, il direttore dei lavori redige, nei termini specificati nel contratto, lo stato d'avanzamento dei lavori e l’art. 180 del medesimo regolamento prevede, in particolare, che l'ufficio di direzione lavori deve trovarsi sempre in grado di rilasciare prontamente gli stati d'avanzamento dei lavori ed i certificati per il pagamento degli acconti.

L’art. 133 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006) prevede l’applicazione di penali in caso di ritardo nella emissione dei certificati di pagamento o dei titoli di spesa relativi agli acconti e alla rata di saldo rispetto alle condizioni e ai termini stabiliti dal contratto, fino alla dichiarazione di risoluzione del contratto.

Il medesimo art. 133, comma 9 prevede inoltre l’applicazione ai progettisti e agli esecutori di lavori pubblici di penali per il ritardato adempimento dei loro obblighi contrattuali, la cui entità e modalità di versamento sono disciplinate dagli artt. 143 e 144 del regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti pubblici (D.P.R. n. 207/2010).

In particolare, l’art. 143 del suddetto regolamento prevede che il termine per l'emissione dei certificati di pagamento relativi agli acconti del corrispettivo di appalto non può superare i quarantacinque giorni a decorrere dalla maturazione di ogni stato di avanzamento dei lavori a norma dell'articolo 194. Il termine per disporre il pagamento degli importi dovuti in base al certificato non può superare i trenta giorni a decorrere dalla data di emissione del certificato stesso.

L’art. 145 del suddetto regolamento stabilisce che il contratto indica le penali da applicare nel caso di ritardato adempimento degli obblighi contrattuali.

 

Domanda di allaccio ai servizi e conservazione della documentazione relativa ai pagamenti

Il comma 5-bis stabilisce, infine, che quattro mesi prima della data presunta della fine lavori, l'amministratore di condominio, il presidente del consorzio o il commissario dei consorzi obbligatori presentano domanda di allaccio ai servizi.

Eventuali ritardi sono sanzionati con una decurtazione del due per cento per ogni mese, e frazione di mese, del compenso complessivo loro spettante.

Le società fornitrici dei servizi hanno quattro mesi di tempo per provvedere.

In caso di ritardo si applica alle stesse una sanzione pari ad euro 500 al giorno, da versare al Comune.

Tutta la documentazione relativa ai pagamenti effettuati, a qualunque titolo, con la provvista derivante dal contributo concesso per la ristrutturazione o ricostruzione degli edifici colpiti dal sisma deve essere conservata per cinque anni.

Subappalto (comma 6)

Il comma 6 consente alle imprese affidatarie di ricorrere al subappalto per le lavorazioni della categoria prevalente nei limiti della quota parte del trenta per cento dei lavori, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 1656 del codice civile per cui l'appaltatore non può dare in subappalto l'esecuzione dell'opera o del servizio senza essere stato autorizzato dal committente.

Sono nulle tutte le clausole che dispongano il subappalto dei lavori in misura superiore o ulteriori subappalti.

È fatto obbligo all'affidatario di comunicare al committente, copia dei contratti con il nome del sub-contraente, l'importo del contratto e l'oggetto dei lavori affidati.

Il contratto per la realizzazione dei lavori di riparazione o ricostruzione non può essere ceduto, sotto qualsiasi forma, anche riconducibile alla cessione di ramo d'azienda, neanche parzialmente, a pena di nullità.

 

Il comma 2 dell’art. 118, che disciplina il subappalto nel Codice dei contratti pubblici, stabilisce in particolare che per i lavori, per quanto riguarda la categoria prevalente, con il regolamento (art. 170, comma 1, D.P.R 207/2010), è definita la quota parte subappaltabile, in misura eventualmente diversificata a seconda delle categorie medesime, ma in ogni caso non superiore al trenta per cento.

Si ricorda che l’art. 2, comma 9 del D.L. n. 39 del 2009 ha previsto per l'affidamento degli interventi per i cosiddetti Moduli abitativi provvisori (MAP) la deroga al citato articolo 118 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, al fine di consentire il subappalto delle lavorazioni della categoria prevalente fino al cinquanta per cento e l’affidamento degli appalti con procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando ai sensi dell'articolo 57, comma 6, del Codice dei contratti pubblici, anche in caso di affidamento ai sensi dell'articolo 176 (Contraente generale) del medesimo decreto legislativo .

Risoluzione del contratto (comma 7)

Il comma 7, modificato durante l’esame al Senato, prevede la risoluzione di diritto del contratto per la realizzazione dei lavori di riparazione o ricostruzione in caso di fallimento dell'affidatario dei lavori o di liquidazione coatta, nonché nei casi di reati accertati e per decadenza dell'attestazione di qualificazione per i quali la risoluzione del contratto è prevista dall'articolo 135, comma 1, del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 163 del 2006). E’ stato soppresso il riferimento al concordato preventivo contenuto nel testo originario del decreto legge.

La disposizione in commento, secondo quanto previsto nel corso dell’esame al Senato, si applica anche in caso di cessione di azienda o di un suo ramo, ovvero di altra operazione atta a conseguire il trasferimento del contratto a soggetto diverso dall'affidatario originario da parte del soggetto esecutore dei lavori di riparazione o ricostruzione, salvo consenso del committente.

 

L’art. 135, comma 1, del Codice dei Contratti pubblici disciplina i casi di risoluzione del contratto per reati accertati e per decadenza dell'attestazione di qualificazione.

In particolare, fermo quanto previsto da altre disposizioni di legge, qualora nei confronti dell'appaltatore sia intervenuta l'emanazione di un provvedimento definitivo che dispone l'applicazione di una o più misure di prevenzione di cui all'articolo 3, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ed agli articoli 2 e seguenti della legge 31 maggio 1965, n. 575, ovvero sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per i delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, dagli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale, nonché per reati di usura, riciclaggio nonché per frodi nei riguardi della stazione appaltante, di subappaltatori, di fornitori, di lavoratori o di altri soggetti comunque interessati ai lavori, nonché per violazione degli obblighi attinenti alla sicurezza sul lavoro, il responsabile del procedimento propone alla stazione appaltante, in relazione allo stato dei lavori e alle eventuali conseguenze nei riguardi delle finalità dell'intervento, di procedere alla risoluzione del contratto.

Borghi abruzzesi (comma 7-bis)

Il comma 7-bis, introdotto al Senato, prevede l’estensione ai centri storici delle frazioni del Comune dell'Aquila e degli altri Comuni del Cratere del contributo disposto, per le abitazioni private, anche con un solo proprietario, non adibite ad abitazione principale, distrutte o danneggiate dal sisma del 2009, ubicate nel centro storico del capoluogo del comune dell'Aquila di cui all'articolo 67 quater, comma 5 del D.L. n. 83 del 2012.

La norma in commento precisa che il suddetto contributo è disposto limitatamente agli immobili che in sede di istruttoria non risultino, alla data di entrata in vigore del presente provvedimento, già oggetto di assegnazione di alcuna tipologia di contributo per la ricostruzione o riparazione dello stesso immobile.

Tale disposizione è finalizzata ad evitare che la presenza di edifici diruti (ruderi) possa rallentare o pregiudicare il rientro della popolazione negli altri edifici e per favorire la valorizzazione urbanistica e funzionale degli immobili ricadenti nei borghi abruzzesi.

 

Il comma 5 dell’art. 67-quater del D.L. 83/2012 riconosce, a favore delle unità immobiliari private, anche con un solo proprietario, diverse da quelle adibite ad abitazione principale, distrutte o danneggiate dal sisma, ubicate nel centro storico del capoluogo del comune dell'Aquila, un contributo per la riparazione e per il miglioramento sismico, pari al costo, comprensivo dell'imposta sul valore aggiunto, degli interventi sulle strutture e sugli elementi architettonici esterni, comprese le rifiniture esterne, e sulle parti comuni dell'intero edificio, definite ai sensi dell'articolo 1117 del codice civile, nonché per gli eventuali oneri per la progettazione e per l'assistenza tecnica di professionisti abilitati.

La fruizione dei benefici previsti è subordinata al conferimento della delega volontaria da parte del proprietario ai comuni, ai sensi della lettera c) del comma 2 del medesimo articolo 67-quater, relativamente alla fasi della progettazione, esecuzione e gestione dei lavori, previa rinuncia ad ogni contributo o indennizzo loro spettante. In caso di mancato consenso è facoltà del comune procedere all'occupazione temporanea degli immobili.

Sono escluse dal contributo le unità immobiliari costruite, anche solo in parte, in violazione delle vigenti norme urbanistiche ed edilizie o di tutela paesaggistico-ambientale, senza che sia intervenuta sanatoria ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47.

Anticipazione finanziaria per i lavori di ricostruzione (comma 7-ter)

Il comma 7-ter, introdotto al Senato, prevede la possibilità per i comuni di autorizzare i lavori di riparazione o ricostruzione di immobili privati danneggiati dal sisma del 2009 in regime di anticipazione finanziaria, da parte dei proprietari o aventi titolo, ferma restando l'erogazione delle risorse nei limiti degli stanziamenti previsti a legislazione vigente.

La norma in commento precisa che l'esecuzione degli interventi in anticipazione non modifica l'ordine di priorità definito dai comuni per la erogazione del contributo che sarà concesso nei modi e nei tempi stabiliti, senza oneri finanziari aggiuntivi e che il credito maturato nei confronti dell'ente locale, a nessun titolo, può essere ceduto o offerto in garanzia, pena la nullità della relativa clausola. La norma fa genericamente riferimento ai contributi non esplicitando il riferimento alla disciplina che regola i contributi medesimi; in proposito, si consideri quanto stabilito dall’articolo 3 del D.L. 39/2009, che ha previsto l’erogazione di una serie di contributi per i proprietari privati (si rinvia al paragrafo relativo al comma 1 laddove si parla della corresponsione dei contributi sotto condizione risolutiva) e il D.P.C.M. 4 febbraio 2013, che definisce le procedure per il riconoscimento dei contributi per la ricostruzione privata, conseguente agli eventi sismici del 6 aprile 2009, adottato ai sensi dell'articolo 67-quater, comma 9, del D.L. n. 83 del 2012.

Programma di sviluppo (comma 12)

Il comma 12, modificato durante l’esame al Senato, prevede la destinazione di risorse per interventi previsti in un programma di sviluppo a favore dei territori colpiti dal sisma del 2009.

La norma in esame dispone l’utilizzo delle risorse a valere sull'autorizzazione di spesa, di cui all'articolo 7-bis del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, come rifinanziata da successive disposizioni il cui riferimento è stato inserito al Senato, a favore della ricostruzione privata nei comuni interessati dal sisma in Abruzzo.

 

L'articolo 7-bis del D.L. 43/2013 autorizza la spesa di 197,2 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2019, per la concessione di contributi a privati per la ricostruzione o riparazione di immobili danneggiati, prioritariamente adibiti ad abitazione principale, ovvero per l'acquisto di nuove abitazioni, sostitutive dell'abitazione principale distrutta, prevedendo altresì che tali risorse siano assegnate ai Comuni interessati con delibera del CIPE in relazione alle effettive esigenze di ricostruzione, previa presentazione del monitoraggio sullo stato di utilizzo delle risorse allo scopo finalizzate e ferma restando l'erogazione dei contributi nei limiti degli stanziamenti annuali iscritti in bilancio. Per consentire la prosecuzione degli interventi previsti senza soluzione di continuità, il CIPE può altresì autorizzare l'utilizzo, nel limite massimo di 150 milioni di euro per l'anno 2013, delle risorse destinate agli interventi di ricostruzione pubblica, di cui al punto 1.3 della delibera del CIPE n. 135/2012 del 21 dicembre 2012, in via di anticipazione, a valere sulle suddette risorse pari a 197,2 milioni di euro, fermo restando, comunque, lo stanziamento complessivo di cui al citato punto 1.3.

La suddetta autorizzazione è stata rifinanziata successivamente dalle seguenti disposizioni. La legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), in tabella E, reca il rifinanziamento del citato art. 7-bis del decreto-legge n. 43/2013 nella misura di 300 milioni di euro per ciascuna delle annualità 2014 e 2015 (missione sviluppo e riequilibrio territoriale). L'articolo 4, comma 8, del decreto-legge n. 133 del 2014 dispone il rifinanziamento, nella misura di 250 milioni di euro per l’anno 2014, in termini di sola competenza. La legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), in tabella E, reca il rifinanziamento nella misura complessiva di 5.100 milioni di euro per il periodo 2015-2020, di cui 200 milioni di euro per l'anno 2015 e 900 milioni di euro per l'anno 2016.

Con la delibera CIPE del 20 febbraio 2015, n. 22/2015 sono state assegnate le risorse per la ricostruzione di immobili privati e per servizi di natura tecnica e assistenza qualificata previste dalle seguenti disposizioni: decreto-legge n. 43/2013, legge n. 147/2013, decreto-legge n. 133/2014, e legge n. 190/2014, a valere sulle annualità 2014-2016 per complessivi euro 1.126.482.439,78.

 

La norma in esame destina una quota fissa, non superiore al 4% degli stanziamenti annuali di bilancio, per gli importi così determinati in ciascun anno, ad interventi nel quadro di un programma di sviluppo, volto ad assicurare effetti positivi di lungo periodo in termini di valorizzazione delle risorse territoriali, produttive e professionali endogene, di ricadute occupazionali dirette e indirette, di incremento dell'offerta di beni e servizi connessi al benessere dei cittadini e delle imprese.

In particolare tali risorse dovranno essere destinate a interventi e attività di: adeguamento, riqualificazione e sviluppo delle aree produttive; attività di promozione turistica e culturale (nel testo originario si fa riferimento alle attività e ai programmi di promozione dei servizi turistici e culturali); attività di ricerca, innovazione e alta formazione; sostegno delle attività imprenditoriali; accesso al credito da parte delle imprese, anche piccole e microimprese; sviluppo della connettività, anche attraverso la banda larga, per imprese e cittadini.

Il comma in esame prevede inoltre che gli interventi siano realizzati nell'ambito di un programma di sviluppo predisposto dalla struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri dedicata alla ricostruzione ed istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° giugno 2014.

La disposizione in esame prevede altresì che il programma, sottoposto al CIPE per l'approvazione e l'assegnazione delle risorse, individui tipologie di intervento, amministrazioni attuatrici, disciplina del monitoraggio, della valutazione degli interventi in itinere ed ex post, della eventuale revoca o rimodulazione delle risorse per la più efficace allocazione delle medesime.

Competenze degli Uffici speciali per i comuni danneggiati dal sisma del 2009 in Abruzzo (commi 13-14 e 14-bis)

I commi 13 e 14 sono volti ad estendere le competenze dell’Ufficio speciale per la ricostruzione dei 56 comuni del cratere, anche ai comuni fuori cratere e a prevedere, per la nomina dei titolari dei due Uffici speciali per la ricostruzione, l’emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

A tale fine, i commi 13 e 14 modificano, rispettivamente, i commi 2 e 3 dell'articolo 67-ter del decreto-legge n. 83 del 2012 che disciplinano le modalità per l’istituzione dell’Ufficio speciale per la ricostruzione dei territori della città dell'Aquila e dell’Ufficio speciale per la ricostruzione dei 56 comuni del cratere, e le funzioni e la composizione dei medesimi Uffici.

In particolare, il comma 13 estende le competenze del secondo ufficio speciale anche ai comuni fuori cratere con riferimento agli interventi previsti di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 39 del 2009.

 

L’art. 1, comma 3 del D.L. 39 del 2009 prevede che gli interventi di cui all’articolo 3, comma 1, del medesimo decreto, ad eccezione di quelli di cui alla lettera f), possono riguardare anche beni localizzati al di fuori dei territori dei comuni, che abbiano risentito una intensità MSC (scala Mercalli-Cancani-Sieberg) uguale o superiore al sesto grado, identificati con il decreto del Commissario delegato 16 aprile 2009, n. 3, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 89 del 17 aprile 2009, in presenza di un nesso di causalità diretto tra il danno subito e l'evento sismico, comprovato da apposita perizia giurata.

Gli interventi previsti dall’articolo 3, comma 1, del D.L. n. 39 del 2009 sono specificati dalle seguenti lettere:

a)  la concessione di contributi a fondo perduto, anche con le modalità, su base volontaria, del credito d’imposta e, sempre su base volontaria, di finanziamenti agevolati garantiti dallo Stato, per la ricostruzione o riparazione di immobili adibiti ad abitazione considerata principale, distrutti, dichiarati inagibili o danneggiati ovvero per l’acquisto di nuove abitazioni sostitutive dell’abitazione principale distrutta;

b)  l'intervento di Fintecna S.p.a. ovvero di società controllata dalla stessa indicata, a domanda del soggetto richiedente il finanziamento, per assisterlo nella stipula del contratto di finanziamento di cui alla lettera a) e nella gestione del rapporto contrattuale;

d)  l'esenzione da ogni tributo, con esclusione dell'imposta sul valore aggiunto, e diritto degli atti e delle operazioni relativi ai finanziamenti ed agli acquisti di cui alla lettera a) inclusi quelli concernenti la prestazione delle eventuali garanzie personali o reali, con la riduzione dell'ottanta per cento degli onorari e dei diritti notarili;

e)  la concessione di contributi, anche con le modalità del credito di imposta, per la ricostruzione o riparazione di immobili diversi da quelli adibiti ad abitazione principale, nonché di immobili ad uso non abitativo distrutti o danneggiati;

e-bis) nel caso di immobili condominiali, l’assegnazione dei fondi necessari per riparare le parti comuni direttamente all’amministratore che sarà tenuto a preventivare, gestire e rendicontare in modo analitico e con contabilità separata tutte le spese relative alla ricostruzione;

g)  la concessione, previa presentazione di una perizia giurata, di indennizzi a favore delle attività produttive per la riparazione e la ricostruzione di beni mobili distrutti o danneggiati, il ripristino delle scorte andate distrutte o il ristoro di danni derivanti dalla perdita di beni mobili strumentali all'esercizio delle attività ivi espletate;

h)  la concessione di indennizzi per il ristoro di danni ai beni mobili anche non registrati;

i)   la concessione di indennizzi per i danni alle strutture adibite ad attività sociali, culturali, ricreative, sportive e religiose;

l)   la non concorrenza dei contributi e degli indennizzi erogati alle imprese ai sensi del presente comma ai fini delle imposte sui redditi e della imposta regionale sulle attività produttive, nonché le modalità della loro indicazione nella dichiarazione dei redditi.

 

Il comma 14-bis, introdotto al Senato, prevede, con una modifica all'articolo 67-ter, comma 2, ultimo periodo, del D.L. n. 83 del 2012, che l'istruttoria finalizzata all'esame delle richieste di contributo per la ricostruzione degli immobili privati avvenga sulla base dei criteri e degli indirizzi formulati dai Comuni.

 

L’articolo 67-ter, comma 2, ultimo periodo, del D.L. decreto-legge n. 83 del 2012, stabilisce che i suddetti Uffici speciali curino l'istruttoria finalizzata all'esame delle richieste di contributo per la ricostruzione degli immobili privati, anche mediante l'istituzione di una commissione per i pareri, alla quale partecipano i soggetti pubblici coinvolti nel procedimento amministrativo.

Proroga dei contratti di lavoro a tempo determinato del comune dell'Aquila (comma 14-ter)

Il comma 14-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, al fine di assicurare la continuità delle attività di ricostruzione e di recupero del tessuto urbano e sociale della città, riconosce anche per gli anni 2016 e 2017 la possibilità per il comune dell'Aquila di prorogare o rinnovare i contratti di lavoro a tempo determinato previsti dall'articolo 2, comma 3-sexies, del D.L. 225/2010, anche in deroga alle vigenti normative limitative delle assunzioni a tempo determinato in materia di impiego pubblico (ex articolo 7, comma 6-ter, del D.L. 43/2013), nel limite massimo di spesa di 1 milione di euro per ciascun anno a valere sulle disponibilità in bilancio, fermo restando il rispetto del patto di stabilità interno e della vigente normativa in materia di contenimento della spesa complessiva di personale.

 

Si ricorda che l’art. 2, c. 3-sexies, del D.L. 225/2010, ha disposto una deroga al blocco delle assunzioni per il Comune de L'Aquila e per i comuni montani della provincia de L'Aquila. Più specificamente, è stato previsto in deroga all'articolo 14, comma 9, del D.L. 78/2010, e all'articolo 24, comma 1, del D.Lgs. 150/2009, recanti, rispettivamente, norme volte al contenimento dei costi del personale degli enti territoriali e norme concernenti le progressioni di carriera nella P.A., che il Comune de L’Aquila possa stipulare contratti di lavoro a tempo determinato per gli anni 2011, 2012 e 2013 nel limite massimo di spesa di 1 milione di euro per ciascun anno. Lo stesso comma ha previsto altresì la facoltà, per i comuni della provincia de L’Aquila e quelli di cui all'articolo 1, comma 2, del D.L. 39/2009[138], con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti che al 31 dicembre 2010 avessero avuto una dotazione di personale pari o inferiore ai due terzi della pianta organica, di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato per gli anni 2011, 2012 e 2013, nel limite di spesa di 1 milione di euro per ciascun anno, per avvalersi di personale fino al limite di quattro quinti della pianta organica e nel rispetto delle condizioni prescritte dal patto dì stabilità interno, fatto comunque salvo il limite del 40% nel rapporto tra spese per il personale e spesa corrente. I predetti contratti sono consentiti nel rispetto del patto di stabilità interno.

Contributo straordinario per il comune dell’Aquila (comma 15)

Il comma 15 assegna, a valere sulle risorse previste dall'articolo 7-bis, comma 1, del D.L. 43 del 2013 (in proposito si rinvia al comma 12 del presente articolo) al comune dell'Aquila un contributo straordinario di 8,5 milioni di euro per il 2015 destinato:

a)   per l’importo di 7 milioni di euro, alla copertura degli oneri connessi al processo di ricostruzione della città;

b)   per l’importo di un milione di euro, all’integrazione delle risorse previste per l’esenzione dal pagamento della TASI per i fabbricati, ubicati nelle zone colpite dal sisma del 6 aprile 2009, distrutti o oggetto di ordinanze sindacali di sgombero in quanto totalmente o parzialmente inagibili. L’esenzione, decorrente dal 2015, opera fino alla definitiva ricostruzione ed agibilità dei fabbricati stessi ed è prevista dall'articolo 1, comma 448, della legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014);

c)   per l’importo di 0,5 milioni di euro alle medesime finalità di cui alla suddetta lettera b) per i comuni diversi dall'Aquila interessati dal sisma.

Clausola di invarianza finanziaria (comma 16)

Il comma 16 stabilisce che si provvede con le risorse umane finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente all'attuazione delle misure previste dai commi da 1 a 11 e da 13 a 14 del presente articolo.


 

 

Articolo 11, comma 1-bis
(Esenzione dalla riduzione del Fondo di solidarietà comunale
per i comuni terremotati)

 

 

Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, introduce una novella al comma 436 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2015 (legge 190/2014), volta ad escludere i comuni colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012 (comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo nonché i comuni di Ferrara, Mantova) e quelli danneggiati dagli eventi sismici del 6 aprile 2009 (provincia dell'Aquila e altri comuni della regione Abruzzo) dall’applicazione del taglio di risorse a titolo di Fondo di solidarietà comunale, da attuarsi, per finalità di contenimento della spesa pubblica, ai sensi dei commi 435 e 436 dell’articolo 1 della legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190/2014).

Resta ferma la misura della riduzione da applicare ai comuni danneggiati dagli eventi sismici del 21 giugno 2013 nel territorio delle province di Lucca e Massa Carrara, fissata nel 50 per cento di quanto applicabile alla generalità dei comuni.

 

I commi 435 e 436 della legge di stabilità 2015 definiscono il concorso dei comuni al contenimento della spesa pubblica, stabilendo una riduzione del Fondo di solidarietà comunale di 1.200 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015.

Il comma 436 prevede per l’anno 2015, fermo restando l’obiettivo complessivo di contenimento della spesa disposto dal comma precedente, una minore riduzione da applicare in favore dei comuni colpiti da recenti eventi sismici, per i quali è previsto uno sconto del 50 per cento rispetto al taglio da applicare ai restanti comuni.

La norma indica i seguenti comuni:

a)  comuni colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012, individuati ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del D.L. 6 giugno 2012, n. 74 (comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo) e dall'articolo 67-septies del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (comuni di Ferrara, Mantova[139]);

b)  comuni danneggiati dagli eventi sismici del 6 aprile 2009, che hanno colpito la provincia dell'Aquila e altri comuni della regione Abruzzo, individuati con decreto del Commissario delegato n. 3 del 16 aprile 2009 e con decreto del Commissario delegato n. 11 del 17 luglio 2009;

c)  comuni danneggiati dagli eventi sismici del 21 giugno 2013 nel territorio delle province di Lucca e Massa Carrara, per i quali è stato deliberato lo stato di emergenza con deliberazione del Consiglio dei ministri 26 giugno 2013.

 

Con la novella disposta dal comma in esame i comuni dell’Emilia e della Lombardia nonché quelli dell’Abruzzo, di cui alle lettere a) e b) del comma 436, vengono dunque esentati dalla riduzione dei trasferimenti.

La norma non determina effetti finanziari in quanto l’esclusione dei suddetti comuni dalla riduzione del Fondo di solidarietà comunale 2015, di cui al comma 436, è posta a carico dei restanti comuni.

 


 

 

Articolo 11, comma 8
(Tracciabilità dei flussi finanziari)

 

 

Il comma 8 stabilisce l’applicazione delle disposizioni in materia di tracciabilità finanziaria degli appalti alle erogazioni dei contributi destinati ai soggetti privati per la ricostruzione e il ripristino degli immobili danneggiati dal sisma in Abbruzzo del 6 aprile 2009.

 

L’articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, (Piano straordinario contro le mafie) richiamato dalla disposizione in esame, ha introdotto norme volte a garantire la tracciabilità dei flussi finanziari nelle procedure relative a lavori, servizi e forniture pubbliche. Le disposizioni impongono ai soggetti interessati di utilizzare – salvo eccezioni specificamente indicate – conti correnti dedicati alle pubbliche commesse, ove appoggiare i relativi movimenti finanziari, e di effettuare i pagamenti con modalità tracciabili. La tracciabilità dei flussi finanziari è altresì tutelata mediante l’obbligo di indicare il Codice unico di progetto – CUP, assegnato a ciascun investimento pubblico sottostante alle commesse pubbliche, al momento del pagamento relativo a ciascuna transazione effettuata in seno ai relativi interventi.

 

Il comma 8 in commento prevede, inoltre, che la Corte dei conti effettui verifiche a campione, anche tramite la Guardia di finanza, sulla regolarità amministrativa e contabile dei pagamenti effettuati e sulla tracciabilità dei flussi finanziari ad essi collegati. Si prevede che gli Uffici speciali per la ricostruzione segnalino alla Guardia di finanza e alla Corte dei conti le irregolarità riscontrate nell'ambito della loro attività di controllo. Tali uffici speciali sono istituiti dall'articolo 67-ter del decreto-legge n. 83 del 2012, articolo dedicato alla gestione ordinaria della ricostruzione: essi sono chiamati a svolgere, tra l’altro, un’attività di promozione e assistenza tecnica della qualità della ricostruzione, monitoraggio finanziario e attuativo degli interventi, informazione trasparente sull’utilizzo dei fondi, controllo della conformità e della coerenza urbanistica ed edilizia delle opere nonché verifica della coerenza rispetto al progetto approvato con controlli puntuali in corso d’opera. Essi curano anche l’istruttoria per l’esame delle richieste di contributo degli immobili privati, oltre a verificarne la congruità tecnica ed economica.

 


 

Articolo 11, commi 9, 11 e 11-bis
(Misure per la ricostruzione degli immobili pubblici
e delle chiese nei territori abruzzesi)

 

 

Il comma 9 prevede la predisposizione di programmi pluriennali degli interventi per la ricostruzione degli immobili pubblici danneggiati dagli eventi sismici del 6 aprile 2009 in Abruzzo, inclusi gli edifici di interesse artistico, storico, culturale o archeologico, per i quali i lavori non possono essere iniziati senza l’autorizzazione del soprintendente, nel caso di edifici sottoposti alla tutela dei beni culturali, ovvero senza la preventiva autorizzazione paesaggistica nel caso di edifici sottoposti alla tutela dei beni paesaggistici (comma 11). Il comma 11-bis contiene, inoltre, misure specificamente volte alla riparazione o alla ricostruzione delle chiese e di altri edifici ecclesiastici attraverso disposizioni che riguardano la progettazione.

Programmi pluriennali degli interventi per la ricostruzione degli immobili pubblici danneggiati (commi 9 e 11)

Il comma 9 prevede la predisposizione di programmi pluriennali degli interventi per la ricostruzione degli immobili pubblici danneggiati.

I suddetti programmi pluriennali, predisposti dalle amministrazioni competenti per settore di intervento e riguardanti l'intera area colpita dal sisma, devono comprendere il piano finanziario delle risorse necessarie, assegnate o da assegnare, ed essere coerenti con i piani di ricostruzione adottati dai comuni.

A tale riguardo, l'amministrazione competente consulta i sindaci interessati, nonché le diocesi in caso di edifici di culto.

Il programma è reso operativo, attraverso l'approvazione di piani annuali, predisposti nei limiti dei fondi disponibili, e nell’osservanza dei criteri di priorità e di altre indicazioni stabilite con delibera del CIPE e approvati con la delibera del medesimo Comitato.

La norma in esame consente altresì che, in casi motivati da specifici bisogni o particolari andamenti demografici, il programma degli interventi per la ricostruzione degli edifici adibiti all'uso scolastico danneggiati possa prevedere, con le risorse destinate alla ricostruzione pubblica, la costruzione di nuovi edifici scolastici.

La disposizione in commento si applica anche agli edifici di interesse artistico, storico, culturale e archeologico sottoposti a tutela ai sensi della seconda parte del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42 del 2004) riguardante i beni culturali.

In tale ambito, il comma 11 specifica che, nel caso di edifici di interesse artistico, storico, culturale o archeologico, sottoposti a tutela ai sensi della parte seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, i lavori non possono essere iniziati senza la preventiva autorizzazione del soprintendente (di cui all'articolo 21, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004) e, nel caso di edifici sottoposti a tutela ai sensi della parte terza (riguardante i beni paesaggistici) del decreto legislativo n. 42 del 2004, i lavori non possono essere iniziati senza la preventiva autorizzazione paesaggistica di cui all'articolo 146 dello stesso decreto legislativo.

 

L’art. 21, comma 4, del D.Lgs. 42/2004 stabilisce che l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. Il mutamento di destinazione d'uso dei beni medesimi è comunicato al soprintendente per le finalità di cui all'articolo 20, comma 1, relativo agli interventi vietati.

L’art. 146 del d.lgs. 42/2004 disciplina la procedura riguardante l’autorizzazione per interventi sui beni paesaggistici.

Ai sensi del comma 5 dell’art. 146, sull'istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la regione, dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge o in base alla legge; la medesima regione, ai sensi del comma 6, può delegare l’esercizio del potere autorizzatorio ad altri livelli di governo (province, comuni, enti parco).

La suddetta autorizzazione è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione. I lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l'anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo. Il termine di efficacia dell'autorizzazione decorre dal giorno in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente necessario per la realizzazione dell'intervento, a meno che il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente efficacia di quest'ultimo non sia dipeso da circostanze imputabili all'interessato (comma 4 dell’art. 146).

 

Si segnala che durante l’esame al Senato è stato soppresso il comma 10, che istituiva la Stazione Unica appaltante (SUA) per i territori colpiti dal sisma del 2009, in conformità al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 giugno 2011, in attuazione dell'articolo 13 della legge 13 agosto 2010, n. 136, Piano straordinario contro le mafie, con il compito di assicurare:

a)   l'efficacia, l'efficienza e l'economicità nell'espletamento delle procedure di evidenza pubblica;

b)   l'imparzialità, la trasparenza e la regolarità della gestione dei contratti pubblici;

c)   la prevenzione del rischio di infiltrazioni criminali;

d)   il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro. 

Ricostruzione o riparazione delle chiese e di altri edifici ecclesiastici (comma 11-bis)

Il comma 11-bis, introdotto al Senato, prevede misure volte alla riparazione o alla ricostruzione delle chiese e di altri edifici ecclesiastici. Si segnala che la norma, che è collocata nel contesto dell’articolo 11 rubricato misure urgenti per la legalità, la trasparenza e l’accelerazione dei processi di ricostruzione dei territori abruzzesi interessati dal sisma del 6 aprile 2009, non fa esplicito riferimento a tali territori.

In particolare, la norma in esame prevede che sono considerate lavori pubblici ai sensi del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006) le attività di riparazione o di ricostruzione, finanziati con risorse pubbliche, delle chiese e degli altri edifici dedicati all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, e all'educazione cristiana, così come indicati all'articolo 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985 n. 222 (Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi).

Sono considerate lavori pubblici le attività di ricostruzione o riparazione delle chiese e degli edifici ecclesiastici, che sono beni culturali ai sensi della Parte Seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

Sulla nozione di bene culturale, si veda l’apposito approfondimento.

 

La norma in esame prevede, inoltre, che le funzioni di stazione appaltante per la scelta dell’impresa affidataria dei lavori di riparazione o di ricostruzione siano svolte dai competenti uffici territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Il comma 33 dell’articolo 33 del Codice dei contratti pubblici sottolinea che l'espressione «stazione appaltante» comprende le amministrazioni aggiudicatrici (definite dal comma 25 ossia: le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti) e gli altri soggetti di cui all'articolo 32 (ad es. concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici, ecc…).

Il Capo II, titolo IV, della parte seconda del Codice dei contratti pubblici disciplina dagli articoli 197 a 205 i contratti relativi ai beni culturali. In particolare, l’art. 197 riporta l’elenco delle disposizioni comuni applicabili ai contratti pubblici relativi ai beni culturali.

 

Il comma 11-bis stabilisce che alla redazione dei progetti, preliminare, definitivo ed esecutivo dei lavori previsti, siano applicate le disposizioni recate dagli articoli 90 e 91 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, che, in particolare, in materia di servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria disciplinano, rispettivamente, le procedure per la progettazione interna ed esterna delle amministrazioni aggiudicatrici in materia di lavori pubblici e le relative procedure di affidamento.

La norma in esame prevede l’espressione del parere, obbligatorio e non vincolante, della Diocesi competente, nel procedimento di approvazione del progetto.

Al riguardo si ricorda che l’art. 9 del D.Lgs. 42/2004 dispone che per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose, il Ministero e, per quanto di competenza, le regioni provvedono, relativamente alle esigenze di culto, d'accordo con le rispettive autorità.

In materia il 26 gennaio 2005 è stata raggiunta, fra la CEI e il Mibact, un’intesa relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni ecclesiastiche.

Da ultimo, nel novembre 2014 sono state adottate le Linee guida sulla tutela dei beni culturali ecclesiastici.

 

Occorre, dunque, valutare se il previsto parere della Diocesi competente non debba essere anche vincolante.

 

È consentita inoltre l’acquisizione, da parte della stazione appaltante, dei progetti preliminari, definitivi e esecutivi eventualmente già redatti alla data di entrata in vigore della presente disposizione e depositati presso gli uffici competenti.

In particolare, la norma consente l’acquisizione dei suddetti progetti già redatti alle seguenti condizioni:

§  conformità con quanto previsto dai citati articoli 90 e 91 del D.Lgs. 163/2006;

§  compatibilità dei medesimi progetti con i principi della tutela, anche ai fini del rilascio dell'autorizzazione del soprintendente di cui al citato art. 21 del Codice dei beni culturali e del paesaggio;

§  rispondenza con le caratteristiche progettuali ed economiche definite nel programma pluriennale degli interventi per la ricostruzione degli immobili pubblici danneggiati di cui al precedente comma 9;

§  idoneità, anche finanziaria, alla ristrutturazione e ricostruzione degli edifici.

Ulteriori revisioni dei progetti, che si rendessero necessarie, dovranno avvenire senza maggiori oneri a carico della stazione appaltante.

In generale, si prevede una clausola di invarianza finanziaria per l'attuazione delle suddette disposizioni.

 


 

Articolo 11, commi 11-ter e 11-quater
(Riparto dei consumi per le strutture dei progetti CASE e MAP
nei territori abruzzesi interessati dal sisma del 2009)

 

 

Il comma 11-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, consente ai comuni di utilizzare fino al 31 marzo 2016 l’attuale modalità di riparto dei consumi rilevati per ogni edificio del progetto Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili (CASE) e nei Moduli Abitativi Provvisori (MAP). Il comma 8-quinquies dell'articolo 4 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.133 (cd. “sblocca Italia”) prevede che tale modalità di riparto dei consumi rilevati, anche per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria, si basa sulle superfici lorde coperte degli alloggi.

A partire dal 1° aprile 2016, invece, il riparto dei consumi rilevati per ogni edificio, anche per il riscaldamento, l’energia elettrica e la produzione di acqua calda sanitaria, avverrà in base agli effettivi consumi registrati dai contatori installati o da installare negli edifici del progetto CASE e nei MAP. Si segnala che nella nuova modalità di riparto si menziona esplicitamente l’energia elettrica, che non è richiamata nel metodo di riparto attualmente vigente.

 

Il comma 8-quinquies dell'articolo 4 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.133, su cui interviene la norma in esame, obbliga tutti gli assegnatari di alloggi del Progetto CASE e dei moduli abitativi provvisori (MAP) al pagamento del canone concessorio stabilito dai comuni e a sostenere le spese per la manutenzione ordinaria degli stessi e delle parti comuni. Per la gestione della complessa situazione emergenziale delineatasi a seguito degli eventi sismici, per l'edilizia residenziale pubblica, Progetto CASE e MAP, i comuni ripartiscono i consumi rilevati per ogni edificio, anche per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria, secondo le superfici lorde coperte degli alloggi. La manutenzione straordinaria degli alloggi del Progetto CASE e dei MAP è effettuata dai comuni nei cui territori sono ubicati gli alloggi, nei limiti delle risorse disponibili stanziate per la ricostruzione dei territori della regione Abruzzo colpiti dagli eventi sismici del 6 aprile 2009 e assegnate a tale finalità con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica, nell'ambito delle risorse destinate alle spese obbligatorie, sulla base delle esigenze rilevate dagli Uffici speciali per la ricostruzione e su proposta del coordinatore della struttura di missione per il coordinamento dei processi di ricostruzione e sviluppo nei territori colpiti dal sisma del 6 aprile 2009, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° giugno 2014.

 

Il comma 11-quater reca una clausola di invarianza finanziaria al fine di stabilire che dalle disposizioni dettate dal comma 11-ter non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e che le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti eventualmente necessari con le risorse umane finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente.


 

Articolo 11, comma 16-bis
(
Modifiche alla disciplina definitoria in materia di gestione dei rifiuti)

 

 

Il comma 16-bis dell’articolo 11, inserito nel corso dell’esame al Senato, modifica la disciplina in materia di gestione dei rifiuti, relativamente alle definizioni di "produttore di rifiuti", "raccolta" e "deposito temporaneo" riportate, rispettivamente, nelle lettere f), o) e bb) del comma 1 dell'art. 183 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice dell'ambiente).

La parte quarta del decreto legislativo n. 152 contiene, infatti, la normativa in materia di gestione dei rifiuti che è stata modificata dal decreto legislativo n. 205 del 2010 al fine di recepire la direttiva quadro 2008/98/UE. 

Il comma 16-bis reca un contenuto identico a quello dell’articolo 1 del decreto legge n. 92 del 2015, recante misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l'esercizio dell'attività d'impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, in corso di esame (A.C. 3210) presso le Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive).

Conseguentemente, il comma 3 dell’articolo 1 del disegno di legge di conversione del decreto legge, oltre ad abrogare l’articolo 1 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92, precisa che restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e fa salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo articolo 1 del decreto-legge n. 92 del 2015

 

In particolare, la lettera a) integra la definizione di "produttore di rifiuti" - di cui alla lettera f) del comma 1 dell'articolo 183 del D.Lgs. 152/2006 - allo scopo di includervi anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile la produzione dei rifiuti medesimi. L'ampliamento della portata della norma comporta, pertanto, che nella nozione di "produttore" di rifiuti rientrino tutti i soggetti ai quali sia imputabile l'attività materiale e giuridica di produzione dei rifiuti. Si tratta di un ampliamento che traduce in norma un'interpretazione della giurisprudenza riguardante la nozione di "produttore di rifiuti".

 

La lettera f) del comma 1 dell'articolo 183 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nella versione antecedente alle modifiche del decreto legge 92/2015, definisce "produttore di rifiuti" il soggetto la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore). Si tratta di una definizione in linea con l'articolo 3, numero 5), della direttiva 2008/98, che definisce "produttore di rifiuti" la persona la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale di rifiuti) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre opera­zioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti.

L'articolo 188 del D.Lgs. 152/2006 individua le responsabilità nella gestione dei rifiuti prevedendo che il produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provvedono direttamente al loro trattamento, oppure li consegnano ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti.

La giurisprudenza si è più volte pronunciata in ordine all'individuazione della nozione di "produttore" esaminando il ruolo dell'appaltatore con riferimento alle attività di gestione dei rifiuti, al fine di distinguerne gli obblighi e le responsabilità rispetto alle diverse figure del committente e del subappaltatore.

In relazione all'ampliamento della nozione di "produttore di rifiuti" disposta dalla norma in commento, si richiama la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione III penale, 21 gennaio 2000 n. 4957, laddove si precisa che il riferimento all'"attività" produttrice di rifiuti non può essere limitato solo a quella materiale ma deve essere estesa pure a quella "giuridica" ed a qualsiasi intervento, che determina, poi, in concreto la produzione di rifiuti (si veda inoltre Cass. pen. Sez. III, 5 giugno 2003, n. 24347, e Cass. pen. Sez. III, 12 ottobre 2005, n. 36963).

In alcune sentenze la giurisprudenza ha espresso un diverso orientamento volto a ritenere che l'appaltatore, in ragione della natura del rapporto contrattuale, che lo vincola al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio è, di regola, il produttore del rifiuto; su di lui gravano, quindi, i relativi oneri, pur potendosi verificare, come osservato in dottrina, casi in cui, per la particolarità dell'obbligazione assunta o per la condotta del committente, concretatasi in ingerenza o controllo diretto sull'attività dell'appaltatore, detti oneri si estendono anche a tale ultimo soggetto (si veda da ultimo la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III Penale, 16 marzo 2015, n. 11029, e prima Cass. pen. Sez. III, 18 maggio 2012, n. 19072, e 19 ottobre 2004, n. 40618).

Nella relazione di accompagnamento del decreto legge 92/2015 si sottolinea che l'ampliamento della portata dell'articolo 183, comma 1, lettera f), del D.Lgs. 152/2006 è finalizzato ad aderire "agli indirizzi giurisprudenziali da ultimo ribaditi nella sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 5916 del 2015", che, tra l'altro, richiama la citata sentenza n. 4957 del 2000.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 5916 del 2015 ha annullato l'ordinanza dell'11 luglio 2013 del Tribunale di Gorizia, che ha rigettato il ricorso in appello del PM avverso il provvedimento con cui era stato negato il sequestro preventivo di alcune aree e capannoni ubicati all'interno dei cantieri navali di Monfalcone gestiti da Fincantieri, richiesto sulla base della ipotizzata violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) e b), per chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo D.Lgs. n. 152 del 2006. La sentenza ha annullato l'ordinanza con rinvio al Tribunale di Gorizia, che il 21 maggio 2015 ha adottato il provvedimento di sequestro.

La Corte osserva che, "secondo quanto emerge dagli atti, la gestione dei rifiuti derivanti dalla attività di costruzione di navi presso i cantieri navali della Fincantieri di Monfalcone, è attività materialmente realizzata da diverse singole ditte affidatarie di incarichi conferiti da Fincantieri per specifici ambiti tecnici, prevedendo un preventivo conferimento di detti rifiuti ad opera di tali ditte a Fincantieri - che ne curava le annotazioni di carico e scarico sugli appositi registri -, il successivo trasferimento di questi da bordo nave, ove erano prodotti, alla terraferma e la loro selezione e trasporto a cura di una ulteriore ditta a ciò incaricata dalla stessa Fincantieri". In proposito, la Corte rileva, "premesso che non risulta che le ditte subappaltatrici di Fincantieri siano titolari della necessaria autorizzazione per la gestione dei rifiuti dalle medesime prodotti nel corso dello svolgimento delle loro multiformi attività, ...che, per un verso, non risulta chiara la ragione della tesi fatta propria dal Tribunale goriziano, secondo la quale la qualificazione attribuita a Fincantieri di produttore in senso giuridico dei rifiuti varrebbe ad esimere le ditte subappaltatrici, certamente produttrici in senso materiale dei rifiuti, da qualsivoglia responsabilità connessa alla illegittima gestione dei rifiuti stessi. Infatti, la giurisprudenza richiamata dal Tribunale decidente è inequivoca nell'affermare che, dovendosi ritenere produttore di rifiuti "non solo il soggetto dalla cui attività deriva la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione" (Corte di Cassazione, Sezione III penale 21 gennaio 2000 n. 4957), siffatta qualificazione non vale a privare della medesima qualifica anche il soggetto che materialmente determina la produzione di rifiuti".

 

La lettera b) è volta a ricomprendere nella definizione di "raccolta" - di cui alla lettera o) del comma 1 dell'articolo 183 del D.Lgs. 152/2006 - oltre alla cernita preliminare, il deposito preliminare alla raccolta dei rifiuti ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento.

 

La "raccolta" rappresenta una delle attività che rientrano nella "gestione" dei rifiuti (definita nella lettera n dell'articolo 183 sulla scorta di quanto previsto dal numero 9 dell'articolo 3 della direttiva 2008/98).

La citata lettera o) del comma 1 dell'articolo 183, nella versione antecedente alla modifiche disposte dal decreto legge 92/2015, stabilisce che per "raccolta" dei rifiuti si intende il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta di cui alla lettera «mm», ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento.

L'articolo 3, numero 10), della Direttiva 2008/98 definisce "raccolta" il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento. La modifica introdotta dalla lettera b), che è strettamente collegata alla modifica alla definizione di "deposito temporaneo" di cui si parlerà di seguito, sembra pertanto volta ad operare un adeguamento della disposizione nazionale a quella europea considerato che la norma previgente faceva riferimento al deposito e non al deposito preliminare (v. infra).

 

La lettera c) è volta a modificare in due punti la definizione di "deposito temporaneo" - di cui alla lettera bb) del comma 1 dell'articolo 183 del D.Lgs. 152/2006 - al fine di:

§  includere il deposito preliminare alla raccolta dei rifiuti ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento (ricompreso nella definizione di "raccolta" ad opera della lettera b) nella definizione di "deposito temporaneo";

§  precisare che per luogo ove i rifiuti sono prodotti si deve intendere l'intera area in cui si svolge l'attività che ha determinato la produzione dei rifiuti.

 

La definizione, antecedente alle modifiche disposte dal decreto legge, intendeva il "deposito temporaneo" come il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti o, per gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci, specificandone le condizioni. 

L'intervento operato dalla lettera c) dell'articolo 1 del decreto legge interviene pertanto sulla prima parte della definizione di "deposito temporaneo", per un verso, includendovi, oltre al raggruppamento dei rifiuti, anche il deposito preliminare alla raccolta dei rifiuti medesimi (ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento) e, per l'altro, introducendo una precisazione relativa al luogo in cui i rifiuti sono prodotti segnatamente facendo riferimento all'intera area in cui si svolge l'attività che ha determinato la produzione dei rifiuti.

Restano ferme le condizioni di cui ai numeri da 1) a 5) alle quali è sottoposto il "deposito temporaneo" e che riguardano, tra l'altro, la previsione di limiti quantitativi e temporali entro i quali i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento, il rispetto delle norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura dei rifiuti pericolosi. Il rispetto di tali condizioni esonera il deposito temporaneo dal regime autorizzatorio disciplinato dall'articolo 208 fatti salvi l'obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico da parte dei soggetti di cui all'articolo 190 ed il divieto di miscelazione di cui all'articolo 187 (articolo 208, comma 17, del D.Lgs. 152/2006).

In merito alle modifiche recate dalle lettere b) e c) della norma in esame si rammenta che nella direttiva 2008/98 non è riportata una definizione di "deposito temporaneo", che invece si rinviene in alcuni allegati. La direttiva, infatti, distingue, nell'ambito delle operazioni di smaltimento elencate nell'Allegato I tra "deposito permanente" (D1, deposito sul o nel suolo) e deposito preliminare (D15, cioè prima di un'operazione di trattamento e di smaltimento). Viene precisato, in via residuale rispetto al deposito preliminare, che il "deposito temporaneo", prima della raccolta, nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, è il deposito preliminare alla raccolta a norma dell'articolo 3, punto 10, della direttiva. Si consideri, in proposito, l'integrazione operata dalla lettera b) alla definizione di "raccolta".

Il considerando 15 della medesima direttiva 2008/98 distingue inoltre tra il deposito preliminare dei rifiuti in attesa della loro raccolta, la raccolta di rifiuti e il deposito di rifiuti in attesa del trattamento, per cui gli enti o le imprese che producono rifiuti durante le loro attività non dovrebbero essere considerati impegnati nella gestione dei rifiuti e soggetti ad autorizzazione per il deposito dei propri rifiuti in attesa della raccolta. 

Nell'ambito della definizione di raccolta, il considerando 16 della direttiva 2008/98 specifica che il deposito preliminare di rifiuti è inteso come attività di deposito in attesa della raccolta in impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero o smaltimento. Dovrebbe essere operata una distinzione tra il deposito preliminare di rifiuti in attesa della raccolta e il deposito di rifiuti in attesa del trattamento, tenuto conto dell'obiettivo della presente direttiva, in funzione del tipo di rifiuti, delle dimensioni e del periodo di deposito e dell'obiettivo della raccolta. Tale distinzione dovrebbe essere operata dagli Stati membri.

 

Nella citata sentenza n. 5916 del 2015, la Corte di Cassazione si sofferma sul richiamo al "deposito temporaneo" a cui il Tribunale di Gorizia fa ricorso con riguardo all'accumulo sulla terraferma dei rifiuti frutto delle lavorazioni compiute dai soggetti committenti di Fincantieri. In proposito, la Corte rileva che, "affinché si possa parlare di deposito temporaneo, come tale esente dall'obbligo di autorizzazione, è necessario, prescindendosi dagli, ora non rilevanti, requisiti quantitativi e di durata del deposito, che esso avvenga ad opera dello stesso produttore e nell'area ove il rifiuto viene prodotto". Nel caso di specie, invece, secondo la Corte, "il deposito è frutto dell'intervento diretto di Fincantieri ed è eseguito in un'area distinta rispetto a quella ove i rifiuti sono prodotti verso la quale gli stessi sono conferiti appunto attraverso l'intervento di Fincantieri, che li preleva da bordo nave e li trasferisce sulla terraferma ove, peraltro, gli stessi sono oggetto di successiva lavorazione - principalmente si tratta della loro cernita in funzione delle varie tipologie di rifiuto presenti - a cura di una ulteriore ditta a ciò incaricata da Fincantieri". Ad avviso della Corte, si è "quindi di fronte ad una ipotesi riconducibile al concetto di stoccaggio, cioè al deposito preliminare ad una successiva attività di gestione, come tale rientrante nel più ampio genus delle operazioni di smaltimento o di recupero di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006 per le quali è necessaria la specifica autorizzazione (Corte di Cassazione, Sezione III penale, 4 dicembre 2013, n. 48491). Ad escludere, infine, la riconducibilità della fattispecie a quella del deposito temporaneo sta la circostanza, già dianzi ricordata, che i rifiuti sono portati sulla terraferma senza una preventiva suddivisione, che come detto è oggetto di un'attività, successiva al loro trasbordo e rilascio sulla terraferma, compiuta da una ulteriore ditta appaltatrice di Fincantieri".

 

In conseguenza dell’introduzione del comma 16-bis nell’articolo 11, la rubrica del medesimo articolo fa ora riferimento anche alle norme in materia di rifiuti.


 

Articolo 11, comma 16-ter
(
Modifiche alla disciplina transitoria in materia di
autorizzazione integrata ambientale
)

 

 

Il comma 16-ter dell’articolo 11 introduce alcune modifiche alla disciplina transitoria riguardante i procedimenti per il rilascio o l'adeguamento dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), al fine di consentire la prosecuzione dell'esercizio delle installazioni, nelle more della chiusura dei procedimenti autorizzativi da parte delle competenti autorità regionali. Tali modifiche operano attraverso la sostituzione del comma 3 dell'articolo 29 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46, che ha attuato la direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento).

La disposizione reca un contenuto identico a quello dell’articolo 2 del decreto legge n. 92 del 2015, recante misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l'esercizio dell'attività d'impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, in corso di esame (A.C. 3210) presso le Commissioni riunite VIII (ambiente) e X (attività produttive).

Conseguentemente, il comma 3 dell’articolo 1 del disegno di legge di conversione del decreto legge, oltre ad abrogare l’articolo 2 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92, precisa che restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e fa salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo articolo 2 del decreto-legge n. 92 del 2015

 

L'articolo 29 del decreto legislativo n. 46 reca una serie di disposizioni transitorie. In particolare, il comma 2 prevede che i gestori delle installazioni esistenti che non svolgono attività già ricomprese all'Allegato VIII alla Parte Seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come introdotto dal D.Lgs. 128/2010 (cd. terzo correttivo del D.Lgs. 152/2006, che ha trasposto e sistematizzato la disciplina in materia di autorizzazione ambientale integrata), presentino istanza per il primo rilascio dell'AIA ovvero istanza di adeguamento ai requisiti del Titolo III-bis della Parte Seconda del D.Lgs. 152/2006 (che raggruppa le norme riguardanti l'autorizzazione integrata ambientale), nel caso - così recita la norma - in cui "l'esercizio debba essere autorizzato con altro provvedimento"; a tal fine, viene previsto che i gestori presentino l'istanza entro il 7 luglio 2014. L'art. 82, paragrafo 2, della direttiva 2010/75/UE prevede che gli Stati membri applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate conformemente alla direttiva a decorrere dal 7 luglio 2015 per le installazioni ivi indicate.

Il previgente comma 3 dell'art. 29 del D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 46, stabiliva che l'autorità competente concludesse i procedimenti avviati in esito alle istanze di rilascio o di adeguamento di cui al comma 2 entro il 7 luglio 2015 e che, nelle more della conclusione dell'istruttoria delle istanze di cui al comma 2, e comunque non oltre il 7 luglio 2015, gli impianti potessero continuare l'esercizio in base alle autorizzazioni previgenti.

Il nuovo comma 3 dell'art. 29:

§  conferma il termine del 7 luglio 2015 per la conclusione dei procedimenti avviati in esito alle istanze di primo rilascio o di adeguamento cui al comma 2 da parte dell'autorità competente;

§  consente, nelle more della conclusione dei procedimenti, la prosecuzione dell'esercizio in base alle autorizzazioni previgenti, se del caso opportunamente aggiornate a cura delle autorità che le hanno rilasciate;

§  condiziona la prosecuzione dell'esercizio alla piena attuazione degli adeguamenti proposti nelle istanze secondo le tempistiche ivi definite in quanto necessari a garantire la conformità dell'esercizio dell'installazione con il Titolo III-bis della Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

 

Si segnala che il Ministero dell'ambiente, con una nota del 17 giugno 2015, ha fornito ulteriori criteri sulle modalità applicative della disciplina in materia di prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento alla luce delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 46 del 2014. Specifici chiarimenti sono forniti in ordine alle disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 29 di tale decreto, che si applicano alle sole installazioni in cui non sono svolte attività già soggette agli obblighi in materia di prevenzione e riduzione integrata dell'inquinamento (IPPC) ai sensi della precedente normativa. In tale ambito, le parti non esplicitamente autorizzate con AIA (ad esempio perché gestite da un diverso gestore), nell'ambito di installazioni già dotate di AIA ai sensi della precedente normativa, potranno essere dotate di AIA in occasione del primo riesame o aggiornamento sostanziale dell'autorizzazione che si renderà necessario, ma ad esse non sono applicabili le scadenze (7 settembre 2014 e 7 luglio 2015) previste nell'articolo 29, commi 2 e 3, del D.Lgs. 46/2014.

 

L'autorizzazione integrata ambientale (AIA), disciplinata dal titolo III-bis (artt. da 29-bis a 29-quattuordecies) del cd. Codice ambientale, ha per oggetto, ai sensi dell'art. 4, comma 4, lettera c), del D.Lgs. 152/2006, la "prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle attività di cui all'allegato VIII e prevede misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente salve le disposizioni sulla valutazione di impatto ambientale". Ai sensi dell'art. 7, commi 4-bis e 4-ter, sono sottoposti ad AIA in sede statale i progetti relativi alle attività di cui all'allegato XII e loro modifiche sostanziali, mentre sono sottoposti ad AIA secondo le disposizioni delle leggi regionali e provinciali i progetti di cui all'allegato VIII che non risultano ricompresi anche nell'allegato XII al decreto e loro modifiche sostanziali.

 

In conseguenza dell’introduzione della predetta disposizione nell’articolo 11, la rubrica del medesimo articolo fa ora riferimento anche alle norme in materia di emissioni industriali.


 

Articolo 11, comma 16-quater
(
Bonifica ambientale e riqualificazione urbana
del comprensorio Bagnoli - Coroglio
)

 

 

Il comma 16-quater dell’articolo 11, inserito nel corso dell’esame al Senato, modifica in più punti la disciplina – contenuta nell’articolo 33 del D.L. 133/2014 (cd. “sblocca Italia”) - per la realizzazione di interventi di bonifica ambientale e di rigenerazione urbana in aree territoriali di rilevante interesse nazionale, con specifico riguardo al comprensorio Bagnoli-Caroglio. Le disposizioni intervengono sulla procedura di selezione del Commissario straordinario di Governo (lett. a), nonché provvedono all’individuazione dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti S.p.A. quale Soggetto attuatore e all’istituzione di una Cabina di regia, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con riferimento al comprensorio di Bagnoli Coroglio (lett. b e c). Conseguentemente vengono modificate le disposizioni riguardanti la definizione del programma di rigenerazione urbana, anche con riguardo al coinvolgimento del comune di Napoli.

 

L’articolo 33 del citato decreto legge n. 133 ha dettato una nuova disciplina per la realizzazione di interventi di bonifica ambientale e di rigenerazione urbana in aree territoriali di rilevante interesse nazionale, individuate sulla base di una delibera del Consiglio dei ministri (commi 1-10), e ha dettato specifiche disposizioni per la realizzazione di tali interventi nel comprensorio Bagnoli-Caroglio, che è stato dichiarato dallo stesso articolo area di rilevante interesse nazionale (commi 11-13-quater).

 

In particolare, la lettera a) interviene sulla procedura di nomina del Commissario straordinario del Governo, allo scopo di prevedere che venga scelto tra persone, anche estranee alla pubblica amministrazione, di comprovata esperienza gestionale e amministrativa e che venga nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Presidente della regione interessata. La norma, che modifica il primo periodo del comma 5 del citato articolo 33, innova con riguardo al provvedimento che dispone la nomina, considerato che la disposizione attualmente rinvia all’articolo 11 della legge n. 400 del 1988, che prevede l’adozione di un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, per la nomina dei Commissari straordinari del Governo.

 

Il Commissario straordinario del Governo, insieme al Soggetto attuatore, è preposto alla formazione, all’approvazione e all’attuazione del programma di risanamento ambientale e del documento di indirizzo strategico per la rigenerazione urbana nelle aree territoriali di rilevante interesse nazionale. Al Commissario straordinario di Governo sono, altresì, conferiti compiti di: coordinamento degli interventi infrastrutturali d'interesse statale (comma 5 dell’art. 33); convocazione della conferenza di servizi (comma 9) sulla proposta del programma di risanamento ambientale, corredata dallo specifico progetto di bonifica degli interventi sulla base dei dati dello stato di contaminazione del sito; adozione del programma di rigenerazione urbana (comma 10).

 

La lettera b), attraverso una modifica del comma 12 dell’articolo 33 del D.L. 133/2014, individua il Soggetto Attuatore, con riferimento al comprensorio di Bagnoli Coroglio, nell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti S.p.A. (Invitalia), quale società in house dello Stato. La norma, pertanto, deroga alla disciplina generale dettata dal comma 6 del medesimo articolo 33, che demanda la nomina del Soggetto Attuatore a un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri nel rispetto dei principi europei di trasparenza e di concorrenza.

 

Il medesimo comma 6 dell’articolo 33 del D.L. 133/2014 prevede, inoltre, che al Soggetto Attuatore compete l'elaborazione e l'attuazione del programma di risanamento e rigenerazione di cui al comma 3, con le risorse disponibili a legislazione vigente per la parte pubblica, e che lo stesso Soggetto Attuatore opera altresì come stazione appaltante per l'affidamento dei lavori di bonifica ambientale e di realizzazione delle opere infrastrutturali. In via straordinaria, per l'espletamento di tutte le procedure ad evidenza pubblica di cui all’articolo 33 i termini previsti dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ad esclusione di quelli processuali, sono dimezzati.

 

La lettera b) prevede, inoltre che il trasferimento al Soggetto Attuatore, con oneri a carico del medesimo, della proprietà delle aree e degli immobili di cui è attualmente titolare la società Bagnoli Futura S.p.A. in stato di fallimento, avvenga con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro il 30 settembre 2015.

 

In conseguenza della predetta modifica, andrebbe valutato un coordinamento con il contenuto del comma 12 dell’articolo 33 del D.L. 133 del 2014 relativamente agli effetti collegati alla trascrizione del decreto di nomina del Soggetto Attuatore considerato che la nomina del soggetto è ora prevista ex lege.

 

Il comma 12 dell’articolo 33 prevede attualmente che il trasferimento delle aree avvenga con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (di cui al comma 6) con cui è nominato il Soggetto attuatore. La trascrizione del decreto di nomina del Soggetto Attuatore produce gli effetti di cui all'articolo 2644, secondo comma, del codice civile. Tale disposizione, lo si ricorda, prevede che, seguita la trascrizione, non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione o iscrizione di diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l'acquisto risalga a data anteriore. Successivamente alla trascrizione del decreto e alla consegna dei titoli, tutti i diritti relativi alle aree e agli immobili trasferiti, ivi compresi quelli inerenti alla procedura fallimentare della società Bagnoli Futura S.p.A., sono estinti e le relative trascrizioni cancellate. La trascrizione del decreto di nomina del Soggetto Attuatore e degli altri atti previsti dal presente comma e conseguenti sono esenti da imposte di registro, di bollo e da ogni altro onere ed imposta.

Il comune di Napoli, sulla base del disposto dell’articolo 114, comma 19 della citata legge n. 388 del 2000 (Finanziaria 2001), ha acquisito la proprietà delle aree oggetto degli interventi di bonifica; successivamente, con la costituzione nel 2002 della Bagnolifutura S.p.A., Società di Trasformazione Urbana (STU), ai sensi dell’art. 120 del D.Lgs. 267/2000 (Testo unico ordinamento enti locali), il comune di Napoli ha conferito le medesime aree alla STU, la cui missione era, tra l’altro, quella della progettazione e della realizzazione di interventi di trasformazione previsti dal PUE Bagnoli-Coroglio, oltre che la bonifica delle aree.

 

La lettera c), che sostituisce il comma 13 dell’articolo 33 del D.L. 133/2014, prevede l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di una Cabina di regia, presieduta dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio all’uopo delegato, e composta dal Commissario straordinario, da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri dello sviluppo economico, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti, nonché da un rappresentante, rispettivamente, della regione Campania e del Comune di Napoli. Alle riunioni della Cabina di regia possono essere invitati a partecipare il Soggetto Attuatore, nonché altri organismi pubblici o privati operanti nei settori connessi al programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana del comprensorio Bagnoli-Coroglio. Secondo quanto prevede esplicitamente la norma, l’istituzione della cabina di regia è finalizzata a definire gli indirizzi strategici per l’elaborazione del predetto programma, assicurando il coinvolgimento dei soggetti interessati, nonché il coordinamento con ulteriori iniziative di valorizzazione del comprensorio, anche con riferimento alla sua dotazione infrastrutturale.

 

Il nuovo comma 13.1, che riprende il contenuto del vigente comma 13 dell’articolo 33, prevede che, per il comprensorio Bagnoli-Coroglio, la società per azioni di cui al comma 12 del medesimo articolo 33, unitamente al Soggetto Attuatore, partecipa alla procedura di definizione del programma di rigenerazione urbana e di bonifica ambientale, al fine di garantirne la sostenibilità economico-finanziaria dell'operazione.

 

Il comma 13 dell’articolo 33 prevede attualmente che, per il comprensorio Bagnoli-Coroglio, il Soggetto Attuatore e la società di cui al comma 12 partecipano alle procedure di definizione e di approvazione del programma di rigenerazione urbana e di bonifica ambientale, al fine di garantire la sostenibilità economico-finanziaria dell'operazione. Il secondo periodo del comma 12 prevede che il Soggetto Attuatore costituisce, ai fini del trasferimento delle aree di cui è titolare Bagnoli Futura S.p.A., una società per azioni, il cui capitale azionario potrà essere aperto ad altri soggetti che conferiranno ulteriori aree ed immobili limitrofi al comprensorio di Bagnoli-Coroglio meritevoli di salvaguardia e riqualificazione, previa autorizzazione del Commissario straordinario del Governo.

 

Il nuovo comma 13.2, che riprende il contenuto del comma 13-ter dell’articolo 33 che conseguentemente viene soppresso, prevede che il Soggetto Attuatore, sulla base degli indirizzi strategici definiti dalla predetta Cabina di regia acquisisca in fase consultiva le proposte del comune di Napoli, con le modalità e nei termini stabiliti dal Commissario straordinario. Si prevede inoltre, che il Soggetto Attuatore esamini le proposte del comune di Napoli, avendo prioritario riguardo alle finalità del redigendo programma di rigenerazione urbana e alla sua sostenibilità economico-finanziaria. Come già previsto dal vigente comma 13-ter, il comune di Napoli può chiedere, nell'ambito della conferenza di servizi di cui al comma 9 (convocata dal Commissario straordinario del Governo al fine di ottenere tutti gli atti di assenso e di intesa da parte delle amministrazioni competenti), la rivalutazione delle sue eventuali proposte non accolte e, in caso di mancato accordo, provvede il Consiglio dei Ministri anche in deroga alle vigenti previsioni di legge (ai sensi del terzo periodo del comma 9 dell’articolo 33).

 

Il vigente comma 13-ter prevede, ai fini della definizione del programma di rigenerazione urbana, che il Soggetto Attuatore acquisisce in fase consultiva le proposte del comune di Napoli, con le modalità e nei termini stabiliti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 6 (di nomina del Soggetto Attuatore). Il Soggetto Attuatore esamina le proposte del comune di Napoli, avendo prioritario riguardo alle finalità del redigendo programma di rigenerazione urbana e alla sua sostenibilità economico-finanziaria. Il comune di Napoli può chiedere, nell'ambito della conferenza di servizi di cui al comma 9, la rivalutazione delle sue eventuali proposte non accolte. In caso di mancato accordo si procede ai sensi del terzo periodo del comma 9.


 

 

Articolo 11-bis
(Disposizioni in materia di economia legale)

 

 

L'articolo 11-bis, prorogando le disposizioni dell'articolo 29, comma 2, del decreto-legge 90/2014 fino all'attivazione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia (e comunque entro il 7 gennaio 2016), dispone che l’affidamento dei lavori pubblici nei settori a rischio di infiltrazione mafiosa possa essere concesso nel semplice presupposto che l’impresa abbia chiesto l’iscrizione nelle white list tenute dalle prefetture.

 

Si ricorda, infatti, che il suddetto decreto-legge n. 90 ha previsto - all’articolo 29, comma 1 - l’obbligatoria iscrizione delle imprese che operano nei settori a rischio (si tratta ad esempio di attività di trasporto di materiali in discarica per conto terzi, noli a caldo e a freddo, guardianie di cantieri) negli elenchi delle imprese non soggette a rischio di infiltrazione mafiosa tenuti dalle prefetture (la prefettura competente è quella della provincia ove l'impresa ha posto la propria residenza o sede legale) e periodicamente verificati per confermare il mantenimento del possesso dei requisiti originari.

In particolare, il comma 2 dell'articolo 29 stabilisce che, in via transitoria, e per un massimo di 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge (termine scaduto lo scorso 25 giugno), le stazioni appaltanti possano – nei settori a rischio di infiltrazione mafiosa – procedere all’affidamento di contratti o all’autorizzazione di subcontratti, in presenza della sola richiesta di iscrizione alle white list istituite presso ogni prefettura. Il decreto-legge n. 90, infatti, presumeva che l’obbligatorietà dell’iscrizione comportasse un elevato numero di domande e dunque un rallentamento dei tempi per le verifiche prefettizie e intendeva evitare che questo determinasse un rallentamento nelle procedure di affidamento dei lavori.

Qualora la prefettura neghi l’iscrizione, gli affidamenti debbono essere revocati, a meno che l'opera sia già in corso di ultimazione ovvero nel caso in cui la fornitura di beni e servizi sia ritenuta essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico e il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi.

 

Si rammenta che i settori ritenuti dal legislatore maggiormente a rischio di infiltrazione mafiosa sono i seguenti:

a) trasporto di materiali a discarica per conto di terzi;

b) trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi;

c) estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti;

d) confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume;

e) noli a freddo di macchinari;

f) fornitura di ferro lavorato;

g) noli a caldo;

h) autotrasporti per conto di terzi;

i) guardiania dei cantieri.

Per le imprese che operano in questi settori, l’iscrizione obbligatoria alla white list assorbe i contenuti della comunicazione e dell’informazione antimafia.

 

L’articolo 11-bis del decreto-legge n. 78/2015 prolunga dunque l’efficacia della disciplina transitoria introdotta dal D.L. 90/2014, fino alla attivazione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, e comunque nel termine di dodici mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del primo dei regolamenti attuativi della stessa banca dati.

Si rammenta che il primo regolamento attuativo della Banca dati nazionale (ai sensi dell’art. 99, comma 2-bis, del codice antimafia) è il D.P.C.M. 30 ottobre 2014, n. 193[140], pubblicato nella Gazzetta del 7 gennaio 2015. Pertanto, il nuovo termine di efficacia delle disposizioni che consentono l’affidamento dei lavori pubblici, in presenza di una semplice richiesta di iscrizione alla white list, scade il prossimo 7 gennaio 2016.

 


 

 

Articolo 12, commi 1-4, 7 e 8
(Disciplina ZFU Emilia)

 

 

L’articolo 12, modificato nel corso dell’esame al Senato, istituisce una Zona Franca Urbana nel territorio colpito dall’alluvione del 17 gennaio 2014 nella provincia di Modena e in alcuni comuni colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012. Le microimprese con sede all’interno della Zona Franca potranno beneficiare di agevolazioni fiscali nei due periodi di imposta (quello in corso e quello successivo), finanziate con 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016.

 

Il comma 1, modificato nel corso dell’esame parlamentare, istituisce una ZFU (Zona Franca Urbana)

§  nell'intero territorio colpito dall'alluvione del 17 gennaio 2014 (D.L. 4/2014),

§  nei comuni colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012 (D.L. 74/2012), purché aventi "zone rosse" nei centri storici.

 

Della ZFU istituita, la norma reca anche una perimetrazione esplicita, che comprende i comuni di Bastiglia, Bomporto, Camposanto, Medolla, San Prospero, San Felice sul Panaro, Finale Emilia, comune di Modena limitatamente alle frazioni di la Rocca, San Matteo, Navicello, Albareto, Cavezzo, Concordia sulla Secchia, Mirandola, Novi di Modena, S. Possidonio, Crevalcore, Poggio Renatico, Sant'Agostino; inoltre, durante l’esame parlamentare, tra le frazioni sono state inserite anche Carpi, Cento, Mirabello e Reggiolo.

 

Le Zone Franche Urbane (ZFU) sono aree in cui dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo inespresse.

L’istituzione delle ZFU risale alla legge finanziaria 2007 (L. 296/2006, art.1 comma 340 e successivi), che le ha finanziate con un Fondo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico.
La legge finanziaria 2008 (L. 244/2008, commi 561, 562 e 563) ha confermato tale stanziamento e ha definito in maggior dettaglio le agevolazioni fiscali e previdenziali che, oggi, trovano la loro definizione particolareggiata all’interno del Decreto Interministeriale 10 aprile 2013 in attuazione di quanto previsto dall’art. 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179. La
circolare 30 settembre 2013, n. 32024 fornisce chiarimenti in merito alla tipologia, alle condizioni, ai limiti, alla durata e alle modalità di fruizione delle agevolazioni fiscali e contributive previste dal decreto 10 aprile 2013.

 

Il comma 2, modificato nel corso dell’esame parlamentare, elenca i requisiti delle imprese che possono beneficiare delle agevolazioni proprie del regime ZFU:

a)   essere micro-imprese[141], con un reddito lordo nel 2014 inferiore a 80.000 euro e un numero di addetti inferiore o uguale a 5;

b)   appartenere ai settori di attività individuati dai codici ATECO-45, 47, 55, 56, 79, 93, 95, 96 (tale lettera è stata inserita durante l’esame parlamentare);

Classificazione ATECO:

45 commercio all'ingrosso e al dettaglio e riparazione di autoveicoli e motocicli;

47 commercio al dettaglio (escluso quello di autoveicoli e di motocicli);

55 alloggio;

56 attività dei servizi di ristorazione;

79 attività dei servizi delle agenzie di viaggio, dei tour operator e servizi di prenotazione e attività connesse;

93 attività sportive, di intrattenimento e di divertimento;

95 riparazione di computer e di beni per uso personale e per la casa;

96 altre attività di servizi per la persona;

c)   essere già costituite alla data di presentazione dell'istanza di cui al comma 8 e comunque non oltre il 31 dicembre 2014;

Il comma 8 rinvia, in quanto compatibili alle disposizioni del D.M 10 aprile 2013. Più in particolare l’art. 14, che disciplina le modalità di accesso alle agevolazioni, prevede che per fruire dei benefici, i soggetti in possesso dei requisiti previsti, presentano al Ministero dello sviluppo economico un'apposita istanza, nei termini previsti con il bando del medesimo Ministero. Nell'istanza, i soggetti richiedenti indicano l'importo delle agevolazioni complessivamente richiesto. Nella medesima istanza è, altresì, dichiarato l'ammontare delle eventuali agevolazioni ottenute a titolo di «de minimis» nell'esercizio finanziario in corso alla data di presentazione dell'istanza e nei due esercizi finanziari precedenti;

d)   svolgere la propria attività all'interno della zona franca;

e)   essere nel pieno e libero esercizio dei propri diritti civili, non essere in liquidazione volontaria o sottoposte a procedure concorsuali.

 

Gli aiuti di stato così concessi devono rispettare, ai sensi del comma 3, i limiti ed le condizioni di operatività degli aiuti di stato de minimis, di cui al regolamento (CE) della Commissione 18 dicembre 2013, n. 1407/2013 ed al regolamento (CE) della Commissione del 18 dicembre 2013, n. 1408/2013 (aiuti de minimis nel settore agricolo).

 

In vigore dal 1° gennaio 2014, il nuovo Reg. (UE) n. 1407/2013 della Commissione (del 18 dicembre 2013) è relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea; esso semplifica e chiarisce le regole già vigenti, come parte dell’iniziativa della Commissione sulla modernizzazione degli aiuti di Stato, volta a ridurre gli oneri amministrativi per le imprese e gli Stati membri. Con il nuovo regolamento, viene mantenuto il massimale di 200.000 euro per gli aiuti «de minimis» - non soggetti a notifica - che un’impresa unica può ricevere nell’arco di tre anni da uno Stato membro (tale massimale è di 100.000 euro per le imprese che effettuano trasporto di merci su strada per conto terzi). Tra le modifiche introdotte (rispetto al previgente regolamento 1998/2006): le imprese che si trovano in difficoltà finanziarie non sono più escluse dallo scopo del regolamento e di conseguenza possono accedere agli aiuti de minimis; è stata semplificata e chiarita la definizione giuridica di impresa; a determinate condizioni, è possibile beneficiare - ai sensi del regolamento de minimis - di prestiti assistiti fino ad un milione di euro.

Per gli aiuti cd. de minimis nel settore agricolo, il Reg. (UE) 1408/2013 del 18 dicembre 2013, n. disciplina quegli aiuti di piccolo ammontare concessi da uno Stato membro a un'impresa unica agricola (di importo complessivo non superiore a 15.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari) che per la loro esiguità e nel rispetto di date condizioni soggettive ed oggettive non devono essere notificati alla Commissione, in quanto non ritenuti tali da incidere sugli scambi tra gli Stati membri e dunque non suscettibili di provocare un’alterazione dalla concorrenza tra gli operatori economici.

Tale importo è di gran lunga inferiore a quello fissato (200.000 euro) nel regolamento UE n. 1407/2013, alla generalità delle imprese esercenti attività diverse da:

a)  pesca e acquacoltura;

b)  produzione primaria dei prodotti agricoli;

c)  trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli nei casi seguenti:

i)   qualora l'importo dell'aiuto sia fissato in base al prezzo o al quantitativo di tali prodotti acquistati da produttori primari o immessi sul mercato dalle imprese interessate,

ii)  qualora l'aiuto sia subordinato al fatto di venire parzialmente o interamente trasferito a produttori primari.

d)  aiuti per attività connesse all'esportazione verso paesi terzi o Stati membri, ossia aiuti direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l'attività d'esportazione;

e)  aiuti subordinati all'impiego di prodotti nazionali rispetto a quelli d'importazione.

 

Come ulteriore requisito di accesso alle agevolazioni, il comma 4 prevede che i soggetti beneficiari abbiano la sede principale o l'unità locale all'interno della zona franca e rispettino i limiti e le procedure previsti dai regolamenti comunitari citati.

 

Il comma 7 destina ai fini predetti 20 milioni di euro - per ciascuno degli anni 2015 e 2016 - tratti dalle risorse dell'articolo 22-bis del decreto-legge 24 n. 66/2014.

 

Il D.L. n. 66/2014 (articolo 22-bis) aveva autorizzato la spesa di 75 milioni per il 2015 e di 100 milioni per il 2016 per gli interventi in favore delle zone franche urbane di Campania, Calabria, Puglia e Sicilia (articolo 37, comma 1, del D.L. n. 179/2012), delle ulteriori zone franche individuate dalla delibera CIPE n. 14 del 2009 ricadenti nelle regioni non comprese nell'obiettivo Convergenza (nell'ambito dei comuni di Cagliari, Iglesias, Quartu Sant'Elena, Campobasso, Velletri, Sora, Pescara, Ventimiglia, Massa-Carrara, Matera), nonché della zona franca del comune di Lampedusa (istituita dall'articolo 23, comma 45, del D.L. n. 98/2011). Tuttavia la tabella E allegata alla legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014) dispone un definanziamento delle risorse destinate agli interventi nelle zone franche urbane (ZFU) previste dall'articolo 22-bis del D.L. n. 66/2014, il che comporta la riduzione da 75 a 40 milioni delle risorse disponibili per il 2015.

 

Ai fini applicativi, il comma 8 rinvia, in quanto compatibili, alle disposizioni di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 aprile 2013, e successive modificazioni, recante le condizioni, i limiti, le modalità e i termini di decorrenza e durata delle agevolazioni concesse ai sensi dell'articolo 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.

Si ricorda che l’art. 37 del D.L. 179/2012 dispone che la riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013 oggetto del Piano di Azione Coesione, nonché la destinazione di risorse proprie regionali, possono prevedere il finanziamento delle tipologie di agevolazioni in favore delle imprese di micro e piccola dimensione localizzate o che si localizzano nelle Zone Urbane individuate dalla delibera CIPE n. 14/2009 , nonché in quelle valutate ammissibili nella relazione istruttoria ad essa allegata e quelli rivenienti da altra procedura di cui all' art. 1, comma 342, della medesima legge n. 296 del 2006 , ricadenti nelle regioni ammissibili all'obiettivo Convergenza.

 


 

 

Articolo 12, commi 5 e 6
(Agevolazioni ed esenzioni fiscali nelle
Zone Franche Urbane dell’Emilia
)

 

 

Il comma 5 indica puntualmente le agevolazioni tributarie temporanee previste per la Zona Franca dei territori dell’Emilia colpiti dal sisma e beneficiari delle norme di vantaggio disposte complessivamente dall’articolo 12 in esame. Esse consistono nella parziale esenzione dalle imposte sui redditi e dall’IRAP, alle condizioni di legge, nonché dall’esenzione degli immobili produttivi dalle imposte municipali.

 

Si rammenta inoltre che, oltre ai limiti soggettivi (previsti dal comma 2) e a quelli per gli aiuti di Stato previsti dalla normativa europea (citata al comma 3), le agevolazioni sono previste nel limite di 20 milioni per ciascun anno 2015 e 2016, ai sensi del comma 7. Si rinvia alla relativa scheda di lettura per ulteriori approfondimenti.

 

Le agevolazioni in particolare consistono in:

§  esenzione dalle imposte sui redditi del reddito derivante dallo svolgimento dell'attività svolta dall'impresa nella ZFU fino a concorrenza, per ciascun periodo di imposta, dell'importo di 100.000 euro del reddito derivante dallo svolgimento dell'attività svolta dall'impresa nella ZFU;

§  esenzione dall'IRAP del valore della produzione netta derivante dallo svolgimento dell'attività svolta dall'impresa nella ZFU, nel limite di euro 300.000,00 per ciascun periodo di imposta, riferito al valore della produzione netta;

§  esenzione dalle imposte municipali proprie per gli immobili siti nella zona franca, posseduti e utilizzati dai citati soggetti per l'esercizio dell'attività economica.

 

Si osserva che la disposizione prevede l’esenzione dalle “imposte municipali proprie” non chiarendo, al riguardo, se con tale espressione si intenda fare riferimento alla sola imposta municipale propria – IMU (di cui al D.Lgs. n. 23 del 2011 ed al D.L. n. 201 del 2011, come successivamente modificati nel tempo) ovvero al complesso di imposte che costituiscono la IUC (imposta unica comunale, costituita da TASI, TARI e IMU, come disciplinata dalla legge n. 147 del 2013, legge di stabilità 2014).


 

Si evidenzia altresì che, per il 2015 gli imprenditori esonerati dalla norma hanno pagato l’acconto dell'IMU entro il 16 giugno, prima che il provvedimento in esame entrasse in vigore (il 20 giugno). Occorrerebbe dunque chiarire se l’esenzione opera per l’intera imposta dovuta nel 2015 ovvero per il solo ammontare riferibile al saldo; nella prima ipotesi, occorrerebbe predisporre specifiche modalità di recupero delle somme già versate.

 

Il comma 6 precisa che tali esenzioni operano esclusivamente per due periodi di imposta, ovvero quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto e quello successivo.

 

 


 

Articolo 13, comma 01
(Proroga dello stato di emergenza conseguente agli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012)

 

 

Il comma 01 dell’articolo 13, inserito nel corso dell’esame al Senato, proroga al 31 dicembre 2016 il termine di scadenza dello stato di emergenza - fissato dall’art. 1, comma 3, del D.L. n. 74/2012 - conseguente agli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012 verificatisi nelle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto.

 

Si ricorda che lo stato di emergenza è stato dichiarato con la delibera del Consiglio dei Ministri del 22 maggio 2012 e prorogato fino al 29 luglio 2012 con la delibera del Consiglio dei Ministri del 30 maggio 2012.

Il termine è stato prorogato al 31 maggio 2013 dall’articolo 1, comma 3, del decreto legge n. 74 del 2012, sul quale incide la norma in commento. Il termine è stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2014 dall’articolo 6, comma 1, del D.L. 43/2013 e, da ultimo, al 31 dicembre 2015 dall’articolo 7, comma 9-ter, del D.L. 133/2014.


 

Articolo 13, commi 1-6
(Rimodulazione interventi a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012)

 

 

I commi da 1 a 6 dell’articolo 13 intervengono sulla disciplina delle misure destinate alle popolazioni colpite dagli eventi sismici che si sono verificati nel maggio 2012 nelle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. In particolare, i commi 1 e 2 consentono al Presidente della regione Lombardia, in qualità di Commissario delegato per la ricostruzione, di destinare fino a 205 milioni di euro per la concessione di contributi per la ricostruzione o riparazione di edilizia abitativa, ad uso produttivo e per servizi pubblici e privati, nonché di contributi a favore delle imprese. Il comma 4 estende dal 30 giugno 2015 al 31 dicembre 2016 il termine per l'esenzione IMU nelle zone interessate dal sisma dei fabbricati distrutti od oggetto di ordinanze sindacali di sgombero, in quanto totalmente o parzialmente inagibili. Il comma 5 estende la possibilità di richiedere finanziamenti agevolati da parte delle imprese agricole ubicate nelle zone colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012 anche in caso di danni subiti dai prodotti in corso di maturazione o di stoccaggio.

Il comma 3 prevede la riduzione degli obiettivi del patto di stabilità interno per i comuni della regione Emilia Romagna interessati dal sisma del 2012, riduzione pari alle somme derivanti da rimborsi assicurativi per i danni provocati sui propri immobili e che concorrono al finanziamento degli interventi di ripristino, ricostruzione e miglioramento sismico, nel limite complessivo di 20 milioni per il 2015.

Contributi per la ricostruzione e a favore delle imprese (commi 1 e 2)

Il comma 1 consente al Presidente della Regione Lombardia, in qualità di Commissario delegato per la ricostruzione (come è stato specificato nel corso dell’esame al Senato), di destinare fino a 205 milioni di euro per la concessione di:

§  contributi per la ricostruzione o riparazione di edilizia abitativa, ad uso produttivo e per servizi pubblici e privati, nonché di infrastrutture, dotazioni territoriali e attrezzature pubbliche distrutti o danneggiati in relazione al danno effettivamente riportato (articolo 3, comma 1, lett. a), del D.L. 74/2012);

§  previa presentazione di perizia giurata, di contributi a favore delle attività produttive, industriali, agricole, zootecniche, commerciali, artigianali, turistiche, professionali, ivi comprese le attività relative agli enti non commerciali, ai soggetti pubblici e alle organizzazioni, fondazioni o associazioni con esclusivo fine solidaristico o sindacale, e di servizi, inclusi i servizi sociali, socio-sanitari e sanitari, aventi sede o unità produttive nei comuni interessati dalla crisi sismica che abbiano subito gravi danni a scorte e beni mobili strumentali alle attività loro proprie (articolo 3, comma 1, lett. b), del D.L. 74/2012);

§  contributi a favore della delocalizzazione temporanea delle attività danneggiate al fine di garantirne la continuità produttiva (articolo 3, comma 1, lett. f), del D.L. 74/2012).

 

Il D.L. 74/2012, successivamente modificato da numerose disposizioni, ha dettato un'articolata disciplina degli interventi per la ricostruzione, l'assistenza alle popolazioni e la ripresa economica nel territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessate dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012.

Ai fini del predetto decreto i Presidenti delle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto operano in qualità di Commissari delegati (art. 1, comma 2, del D.L. 74/2012).

Per una disamina delle norme adottate nella presente legislatura destinate ai territori colpiti dagli eventi sismici del 2012, si rinvia al relativo tema e all’approfondimento riguardante la sospensione dei tributi ed i finanziamenti agevolati.

 

Alla copertura finanziaria delle predette risorse, secondo quanto stabilito dal comma 2, si provvede:

§  quanto a 140 milioni di euro, mediante riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 3-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (c.d. "plafond ricostruzione");

Tale articolo 3-bis reca interventi agevolativi per le zone colpite dal sisma. In particolare, con riferimento ai contributi di cui alle lettere a), b) ed f) sopra ricordate, esso consente che tali contributi siano concessi anche mediante finanziamenti agevolati; i relativi contratti sono assistiti da garanzia statale nel limite di 6 miliardi di euro. I beneficiari dei finanziamenti agevolati usufruiscono inoltre di un credito di imposta, fruibile esclusivamente in compensazione, pari, per ciascuna scadenza di rimborso, all’importo ottenuto sommando alla sorte capitale gli interessi dovuti. Ai fini dell'attuazione delle suddette disposizioni, il comma 6 dello stesso articolo 3-bis autorizza la spesa massima di 450 milioni di euro annui a decorrere dal 2013.

§  quanto ai restanti 65 milioni, a valere sulle risorse relative all'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 11, comma 13, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (c.d. "plafond moratoria"), disponibili nel bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri.

 

I commi da 7 a 12 dell’articolo 11 del D.L. 174/2012 disciplinano la procedura per concedere ai titolari di reddito di impresa che hanno i requisiti per accedere ai contributi per la ricostruzione degli immobili danneggiati, in aggiunta ai predetti contributi, la possibilità di chiedere ai soggetti autorizzati all'esercizio del credito un finanziamento, assistito dalla garanzia dello Stato, della durata massima di due anni per provvedere al pagamento dei tributi, dei contributi e dei premi sospesi, nonché di quelli da versare dal 1° dicembre 2012 al 30 giugno 2013.

Il richiamato comma 13 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla concessione di un credito d’imposta di cui al comma 10 del medesimo articolo 11: a tali oneri si provvede mediante utilizzo di quota parte delle risorse che l’articolo 7, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, destina al Fondo per la ricostruzione.

A tale proposito si ricorda che l’articolo 2 del decreto-legge n. 74 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, a decorrere dall'anno 2012, il Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma, da assegnare alla Presidenza del Consiglio dei ministri (comma 1) e detta le modalità di riparto (comma 2); i commi 3 e 4 recano le modalità di alimentazione del Fondo medesimo. Il comma 6, infine, prevede l’intestazione ai Presidenti delle regioni interessate di apposite contabilità speciali.

Il comma 2 prevede che le predette risorse sono versate sulla contabilità speciale n. 5713 (di cui all'articolo 2, comma 6, del decreto-legge n. 74 del 2012) intestata al Presidente della regione Lombardia.

Riduzione degli obiettivi del patto di stabilità interno (comma 3)

Il comma 3 prevede la riduzione degli obiettivi del patto di stabilità interno per i comuni della regione Emilia Romagna interessati dal sisma del 2012, nel limite complessivo di 20 milioni per il 2015.

Per ciascun ente, la riduzione è pari alle somme derivanti da rimborsi assicurativi incassati dagli enti locali per i danni su edifici pubblici provocati dal sisma sui propri immobili, che concorrono al finanziamento degli interventi di ripristino, ricostruzione e miglioramento sismico, già inseriti nei piani attuativi del Commissario delegato per la ricostruzione.

 

Gli obiettivi sono ridotti con le procedure previste per il patto regionale verticale previste dall'articolo 1, comma 480, della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014).

Si ricorda che i commi da 480 a 483 della legge di stabilità per il 2015 recano la nuova disciplina della regionalizzazione del patto di stabilità, verticale ed orizzontale, al fine di adeguarla ai nuovi vincoli imposti alle regioni a statuto ordinario, basati sul conseguimento del pareggio di bilancio. Tale disciplina sostituisce, a partire dal 2015, quella precedente, contenuta, ai commi 138-140 (patto regionale verticale) e ai commi 141-142 (patto regionale orizzontale) della legge n. 220/2010.

Le due forme di flessibilità – che hanno lo scopo di consentire agli enti locali di poter effettuare pagamenti in conto capitale (destinati agli investimenti) – sono ora riunite in una unica procedura, per cui gli spazi finanziari acquisiti da una parte degli enti locali, sono compensati o dalla Regione o dai restanti enti locali, attraverso un miglioramento dei saldi obiettivo.

In particolare, il comma 480 richiamato prevede che le regioni possono autorizzare gli enti locali del proprio territorio a peggiorare il saldo obiettivo per consentire un aumento dei pagamenti in conto capitale, a patto che sia garantito il rispetto dell'obiettivo complessivo a livello regionale. La compensazione può avvenire in due modalità:

§  attraverso un contestuale miglioramento (di pari importo) dei saldi dei restanti enti locali (flessibilità orizzontale);

§  attraverso un contestuale miglioramento (di pari importo) dell'obiettivo di saldo della regione, tra entrate finali e spese finali in termini di cassa (flessibilità verticale).

Poiché la disposizione in esame fa riferimento specifico alla flessibilità di tipo verticale, si presuppone che la compensazione, a livello regionale, della riduzione degli obiettivi del patto di stabilità per i comuni sia effettuata attraverso un contestuale miglioramento (di pari importo) dell'obiettivo di saldo della regione Emilia Romagna.

Per quanto concerne la rideterminazione degli obiettivi, il comma 481 prevede:

§  entro il 15 aprile gli enti locali comunicano all'ANCI, all'UPI e alla Regione gli spazi finanziari di cui necessitano;

§  entro il 30 aprile, la regione comunica agli enti locali interessati i saldi obiettivo rideterminati e al Ministero dell'economia e delle finanze tutte le informazioni utili alla verifica dell'equilibrio dei saldi.

Secondo quanto disposto dal comma 482:

§  entro il 15 settembre la regione, sulla base delle informazioni ricevute dagli enti locali ed in accordo con essi, procede alla rimodulazione dei saldi obiettivo e provvede quindi contestualmente ed in misura corrispondente a rimodulare i saldi obiettivo dei restanti enti locali, ovvero a rideterminare l'obiettivo di saldo della regione stessa tra entrate e spese finali;

§  entro il 30 settembre, la regione comunica agli enti locali i saldi obiettivo così rideterminati e comunica al Ministero dell'economia e delle finanze, in riferimento agli enti locali ed alla regione stessa, tutte le informazioni utili alla verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi.

 

Si ricorda, infine, che i comuni interessati dal sisma del 2012 sono quelli individuati dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 74 del 2012, indi dall'articolo 67-septies n. 83 del 2012.

L'articolo 1 del citato decreto-legge n. 74 del 2012 precisa l’ambito di applicazione delle proprie disposizioni ai territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo colpiti dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012. In particolare, ai sensi del comma 1, le disposizioni del decreto-legge sono volte a disciplinare gli interventi per la ricostruzione, l'assistenza alle popolazioni e la ripresa economica nei territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo colpiti dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012, per i quali è stato disposto il differimento dei termini per l'adempimento degli obblighi tributari con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 1° giugno 2012, nonché di quelli ulteriori indicati nei successivi decreti. Nell’allegato 1 al DM sono quindi individuati i comuni danneggiati dagli eventi sismici. Successivamente l’articolo 67-septies estende l’applicabilità delle disposizioni in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici al territorio dei comuni di Ferrara e Mantova, nonché - ove risulti l’esistenza del nesso di causalità tra danni ed eventi sismici – dei comuni di Castel d’Ario, Commessaggio, Dosolo, Mottegiana, Pomponesco, Viadana, Adria, Bergantino, Castelnovo Bariano, Fiesso Umbertiano, Casalmaggiore, Casteldidone, Corte de’ Frati, Piadena, San Daniele Po, Robecco d’Oglio, Argenta.


 

Esenzione IMU (comma 4)

Il comma 4 estende di 18 mesi - dal 30 giugno 2015 al 31 dicembre 2016 - il termine per l'esenzione IMU nelle zone interessate dal sisma. A tal fine esso novella l'articolo 8, comma 3, del decreto-legge n. 74 del 2012, il quale prevede che i fabbricati ubicati nelle zone colpite dal sisma in Emilia, distrutti od oggetto di ordinanze sindacali di sgombero, in quanto totalmente o parzialmente inagibili, sono esenti dall’IMU, fino alla loro definitiva ricostruzione e agibilità.

Il termine era già stato esteso (dal 31 dicembre 2014 al 30 giugno 2015) dai commi 662-664 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014), la quale prevede un monitoraggio, entro il 30 marzo 2015, al fine di verificare l’effettiva platea dei beneficiari da parte della Regione Emilia Romagna, d’intesa con il MEF (comma 663).

Si rammenta che la legge di stabilità 2015 provvede alla copertura degli oneri, pari a 13,1 milioni di euro per l’anno 2015 (per un’estensione di sei mesi dell’esenzione) mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (comma 664).

Estensione dei finanziamenti agevolati (comma 5)

Il comma 5 estende la possibilità di richiedere finanziamenti agevolati da parte delle imprese agricole ubicate nelle zone colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012 anche in caso di danni subiti dai prodotti in corso di maturazione o di stoccaggio (con il D.L. n.74/2012 per tale tipologia di danni era stata prevista la sola concessione, previa presentazione di perizia giurata, di contributi).

I contratti di finanziamento, secondo quanto prevede l’art. 3-bis, del D.L. n. 95/2012, sono assistiti da garanzia statale nel limite di 6 miliardi di euro; i beneficiari usufruiscono inoltre di un credito di imposta pari, per ciascuna scadenza di rimborso, all’importo ottenuto sommando alla sorte capitale gli interessi dovuti.

Quanto ai danni subiti dai prodotti in corso di maturazione o di stoccaggio, il testo fa riferimento al regolamento (CE) n. 510/2006, al fine di delimitare l’ambito oggettivo dei prodotti, riferendoli a quelli tutelati attraverso le indicazioni geografiche e le denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e alimentari. Tale provvedimento è stato, peraltro, abrogato e sostituito dal regolamento (UE) n. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari.

Copertura finanziaria dei commi 3 e 4

Il comma 6 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dai commi 3 e 4, pari a 33,1 milioni di euro per il 2015 ed a 26,2 milioni di euro per il 2016, a cui si provvede mediante il versamento all'entrata del bilancio dello Stato delle risorse relative all’autorizzazione di spesa di cui al citato articolo 11, comma 13, del decreto-legge n. 174 del 2012, disponibili nel bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri.


 

 

Articolo 13-bis
(Disciplina ZFU Sardegna)

 

 

L’articolo 13-bis, introdotto durante l’esame al Senato, istituisce una Zona Franca Urbana nel territorio colpito dall’alluvione del 18-19 novembre 2013 dei comuni della regione Sardegna. Ai fini dell’istituzione è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro nell’anno 2016.

 

Più in particolare l’articolo:

§  istituisce una ZFU (Zona Franca Urbana) nei territori dei comuni della Sardegna colpiti dall’alluvione del 18-19 novembre 2013 per il quale è stato dichiarato lo stato di emergenza (delib. C.d.M. 19 novembre 2013, G.U. 274/2013).

Le Zone Franche Urbane (ZFU) sono aree in cui si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo inespresse.

L’istituzione delle ZFU risale alla legge finanziaria 2007 (L. 296/2006, art.1 comma 340 e successivi), che le ha finanziate con un Fondo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico.
La legge finanziaria 2008 (L. 244/2008, commi 561, 562 e 563) ha confermato tale stanziamento e ha definito in maggior dettaglio le agevolazioni fiscali e previdenziali che, oggi, trovano la loro definizione particolareggiata all’interno del Decreto Interministeriale 10 aprile 2013 in attuazione di quanto previsto dall’art. 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179. La
circolare 30 settembre 2013, n. 32024 fornisce chiarimenti in merito alla tipologia, alle condizioni, ai limiti, alla durata e alle modalità di fruizione delle agevolazioni fiscali e contributive previste dal decreto 10 aprile 2013;

§  destina, ai fini predetti, 5 milioni di euro per il 2016 tratti dalle risorse dell'articolo 22-bis del decreto-legge 24 n. 66/2014.

Il D.L. n. 66/2014 (articolo 22-bis) aveva autorizzato la spesa di 75 milioni per il 2015 e di 100 milioni per il 2016 per gli interventi in favore delle zone franche urbane di Campania, Calabria, Puglia e Sicilia (articolo 37, comma 1, del D.L. n. 179/2012), delle ulteriori zone franche individuate dalla delibera CIPE n. 14 del 2009 ricadenti nelle regioni non comprese nell'obiettivo Convergenza (nell'ambito dei comuni di Cagliari, Iglesias, Quartu Sant'Elena, Campobasso, Velletri, Sora, Pescara, Ventimiglia, Massa-Carrara, Matera), nonché della zona franca del comune di Lampedusa (istituita dall'articolo 23, comma 45, del D.L. n. 98/2011). Tuttavia la tabella E allegata alla legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014) dispone un definanziamento delle risorse destinate agli interventi nelle zone franche urbane (ZFU) previste dall'articolo 22-bis del D.L. n. 66/2014, il che comporta la riduzione da 75 a 40 milioni delle risorse disponibili per il 2015;

 

§  demanda ad un decreto interministeriale la definizione della perimentazione della zona e delle agevolazioni alle imprese ivi localizzate.

Il decreto, adottato dal Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti la Regione Sardegna e il CIPE, è emanato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto;

§  provvede alla copertura dell’onere di 5 milioni di euro con corrispondente riduzione del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica , di cui all’articolo 10, comma 5 del D.L. 282/2004, convertito con modificazioni dalla L. 307/2004.

 


 

Articolo 13-ter
(Misure per la città di Venezia)

 

 

L’articolo 13-ter reca una serie di misure riguardanti la città di Venezia.

In particolare, il comma 1, attraverso una modifica all'articolo 4, primo comma, della legge 29 novembre 1984, n. 798, integra la composizione del Comitato, a cui è demandato - ai sensi del terzo comma della medesima disposizione oggetto della novella - l'indirizzo, il coordinamento ed il controllo per l’attuazione degli interventi per la salvaguardia di Venezia, prevedendo anche la partecipazione del Ministro dell'economia e delle finanze, con la finalità esplicitata nella norma di garantire l'effettiva attuazione dei medesimi interventi.

 

Nell’ambito della legislazione per Venezia, l’art. 4 della L. 798/1984 (c.d. legge speciale per Venezia) prevede l’istituzione del Comitato di indirizzo, coordinamento e controllo per l'attuazione degli interventi previsti dalla medesima legge. Il Comitato è costituito dal Presidente del Consiglio dei ministri, che lo presiede, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dal Presidente della giunta regionale del Veneto, dai sindaci dei comuni di Venezia e Chioggia, o loro delegati, nonché da due rappresentanti dei restanti comuni di cui all'articolo 2, ultimo comma, della legge 16 aprile 1973, n. 171, designati dai sindaci con voto limitato.

Secondo quanto previsto dall’art. 4 della legge 798 del 1984, il Comitato esprime suggerimenti circa una eventuale diversa ripartizione dello stanziamento complessivo autorizzato in relazione a particolari esigenze connesse con l'attuazione dei singoli programmi di intervento. Sempre la legge 798/1984 (art. 4, quarto comma) prevede che il Comitato presenti annualmente al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione degli interventi L’ultima relazione al Parlamento è stata presentata il 29 novembre 2013 (Doc. CXLVII, n. 1).

 

Il comma 2 riguarda la Fondazione La Biennale di Venezia e modifica il D.Lgs. 19/1998 (successivamente modificato, in particolare, dal D.Lgs. 1/2004) - con il quale è stata operata la trasformazione dell'ente pubblico «La Biennale di Venezia» in persona giuridica privata - in particolare intervenendo sulla riconferma del presidente e dei componenti degli organi, il rinnovo dell’incarico di direttore generale, la durata dell’incarico dei direttori di settore.

 

La prima modifica, relativa all’art. 7, riguarda la riconferma del presidente e di ciascun componente degli organi della Fondazione (consiglio di amministrazione e collegio dei revisori dei conti) che passa (da una sola volta) a non più di due volte.

In base all’art. 7 vigente, la durata degli organi della Fondazione - individuati nel Presidente, nel consiglio di amministrazione e nel collegio dei revisori dei conti - è di quattro anni. Il presidente e ciascun componente possono essere riconfermati per una sola volta e, se nominati prima della scadenza quadriennale, restano in carica fino a tale scadenza. Tale previsione non si applica nei confronti dei componenti di diritto del consiglio di amministrazione, ossia il sindaco di Venezia, che assume la vicepresidenza della Fondazione, il Presidente della regione Veneto o un suo delegato, il Presidente della provincia di Venezia o un suo delegato.

 

La seconda modifica, relativa all’art. 14, riguarda la durata dell’incarico dei direttori di settore, che passa (da un periodo massimo di quattro anni e comunque non superiore alla durata in carica del consiglio di amministrazione che li ha nominati) a non poter eccedere la durata dei programmi previsti per i 12 mesi immediatamente successivi alla scadenza del consiglio di amministrazione che li ha nominati.

Inoltre, viene soppressa la previsione in base alla quale lo statuto può prevedere che, in presenza di eccezionale complessità dei programmi, le funzioni di direzione dei settori di attività culturali possano essere attribuite, anche per specifici interventi, ad un collegio di non più di tre membri.

 

In base all’art. 13 del D.Lgs. 19/1998, la Fondazione ha un settore permanente di ricerca e produzione culturale, rappresentato dall'archivio storico delle arti contemporanee (ASAC), e sei settori finalizzati allo sviluppo dell'attività permanente di ricerca nel campo dell'architettura, delle arti visive, del cinema, della musica, della danza e del teatro, in coordinamento con l'ASAC, nonché alla definizione ed organizzazione, con cadenza almeno biennale, delle manifestazioni di rilievo internazionale nel settore artistico di propria competenza[142].

In base all’art. 14 vigente, i direttori dei settori di attività culturali sono scelti tra personalità, anche straniere, particolarmente esperte nelle discipline relative alla progettazione e realizzazione dei programmi di attività dei settori di rispettiva competenza[143]. Restano in carica per un periodo massimo di quattro anni e comunque per un periodo non superiore alla durata in carica del consiglio di amministrazione che li ha nominati e cessano dall'incarico per dimissioni o per revoca, disposta dal consiglio di amministrazione per gravi motivi.

Essi curano la preparazione e lo svolgimento delle attività del settore di propria competenza nell'ambito dei programmi approvati dal consiglio di amministrazione e delle risorse loro attribuite dal consiglio medesimo.

 

La terza modifica, relativa all’art. 17, riguarda il rinnovo dell’incarico del direttore generale che passa (da una sola volta) a non più di due volte.


 

In base al testo vigente dell’art. 17, il direttore generale è scelto tra persone in possesso di comprovati e adeguati requisiti tecnico-professionali in relazione ai compiti della Fondazione, nell'ambito di una terna di nominativi formulata dal presidente, ed è nominato con deliberazione del consiglio di amministrazione.

Il contratto individuale è a tempo determinato per una durata massima di quattro anni, rinnovabile per una sola volta, e può essere revocato per gravi motivi.

Il direttore generale è responsabile della struttura organizzativa e amministrativa della Fondazione e ne dirige il personale; sottoscrive i contratti e gli atti fonte di obbligazioni per la Fondazione; partecipa alle sedute del consiglio di amministrazione con funzioni di segretario e cura l'esecuzione delle relative deliberazioni[144].


 

Articolo 13-quater
(Proroga dei termini per la cantierabilità degli interventi)

 

 

L’articolo 13-quater, inserito nel corso dell’esame al Senato, proroga di due mesi, dal 31 agosto 2015 al 31 ottobre 2015, i termini per la cantierabilità degli interventi di cui alle lettere b) e c) del comma 2 dell’articolo 3 del D.L. 133/2014 (cd. “sblocca Italia) finanziati a valere sulle risorse del medesimo articolo 3.

Si fa notare che il rispetto di tali termini è necessario per evitare la revoca dei finanziamenti assegnati (comma 5 dell’art. 3 del D.L. 133/2014).

 

L’art. 3, commi 1 e 1-bis, del D.L. 133/2014 (convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) ha destinato al Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dal comma 1 dell’art. 18 del D.L. 69/2013 (cd. “sblocca cantieri”) nuove risorse per 3.890 milioni di euro.

Il successivo comma 2 ha individuato le opere da finanziare (suddividendole in tre categorie, indicate alle lettere a), b) e c) del medesimo comma) e demandato l’assegnazione delle risorse ad uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

Lo stesso comma 2 ha altresì previsto un termine di 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge (vale a dire entro il 13 ottobre 2014) per l’emanazione del decreto interministeriale di assegnazione delle risorse agli interventi individuati dalla lettera b), ossia ai seguenti interventi appaltabili entro il 28 febbraio 2015 e cantierabili entro il 31 agosto 2015: ulteriore lotto costruttivo Asse AV/AC Verona Padova; completamento asse viario Lecco-Bergamo; messa in sicurezza dell'asse ferroviario Cuneo-Ventimiglia; completamento e ottimizzazione della Torino-Milano con la viabilità locale mediante l'interconnessione tra la SS 32 e la SP 299-Tangenziale di Novara-lotto 0 e lotto 1; Terzo Valico dei Giovi - AV Milano Genova; Quadrilatero Umbria-Marche; completamento Linea 1 metropolitana di Napoli; rifinanziamento dell'articolo 1, comma 70, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, relativo al superamento delle criticità sulle infrastrutture viarie concernenti ponti e gallerie; messa in sicurezza dei principali svincoli della Strada Statale 131 in Sardegna. Il termine per la cantierabilità degli interventi era già stato prorogato dal 30 giugno 2015 al 31 agosto 2015 dall’articolo 8, comma 2, lettera b), del D.L. 192/2014.

Il medesimo comma 2 ha inoltre fissato un termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge n. 133 (ossia entro il 12 dicembre 2014) per l’emanazione del decreto interministeriale di assegnazione delle risorse agli interventi di cui alla lettera c), ossia ai seguenti interventi appaltabili entro il 30 aprile 2015 e cantierabili entro il 31 agosto 2015: metropolitana di Torino; tramvia di Firenze; lavori di ammodernamento ed adeguamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, dallo svincolo di Rogliano allo svincolo di Atilia; autostrada Salerno-Reggio Calabria svincolo Laureana di Borrello; adeguamento della strada statale n. 372 "Telesina" tra lo svincolo di Caianello della Strada statale n. 372 e lo svincolo di Benevento sulla strada statale n. 88; completamento della S.S. 291 in Sardegna; variante della "Tremezzina" sulla strada statale internazionale 340 "Regina"; collegamento stradale Masserano-Ghemme; ponte stradale di collegamento tra l'autostrada per Fiumicino e l'EUR; asse viario Gamberale-Civitaluparella in Abruzzo; primo lotto Asse viario S.S. 212 Fortorina; continuità interventi nuovo tunnel del Brennero; quadruplicamento della linea ferroviaria Lucca Pistoia; aeroporti di Firenze e Salerno; completamento sistema idrico integrato della Regione Abruzzo; opere segnalate dai Comuni alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dal 2 al 15 giugno 2014 o richieste inviate ai sensi dell'art. 18, comma 9, del decreto-legge n. 69 del 2013.

 


 

 

Articolo 14
(Clausola di salvaguardia)

 

 

L'articolo 14 differisce dal 30 giugno al 30 settembre 2015 il termine – previsto dall'articolo 1, comma 632, della legge di stabilità per il 2015 (L. n. 190 del 2014) – per l'eventuale adozione del provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di aumento dell'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo e dell'aliquota sul gasolio usato come carburante, in misura tale da determinare maggiori entrate nette non inferiori a 1.716 milioni di euro a decorrere dal 2015.

 

Si ricorda che tale incremento delle accise sui carburanti era stato previsto quale clausola di salvaguardia, da attivare per l'eventualità del mancato rilascio, da parte del Consiglio UE, delle misure di deroga ai sensi dell'articolo 395 della direttiva 2006/112/CE (direttiva IVA), in relazione alle disposizioni in materia di reverse charge e split payment (articolo 1, comma 629, lettera a), numero 3), capoverso d-quinquies, e lettera b) della legge di stabilità per l'anno 2015).

 

La prima norma richiamata (art. 1, comma 629, lettera a), n. 3) capoverso d-quinquies della legge n. 190 del 2014) ha introdotto il meccanismo del c.d. reverse charge alle cessioni di beni effettuate nei confronti di ipermercati (codice di attività 47.11.1), supermercati (codice di attività 47.11.2) e discount alimentari (codice di attività 47.11.3). Il meccanismo ha carattere temporaneo trovando applicazione per un periodo di quattro anni (art. 1, comma 631, L. 190/2014).

 

Per “reverse charge” o inversione contabile si intende un particolare meccanismo che prevede il trasferimento di una serie di obblighi relativi alle modalità con cui viene assolta l’Iva, dal cedente di beni / servizi all’acquirente (in deroga alla disciplina generale in materia di imposta sul valore aggiunto). In tal modo, l’acquirente risulta allo stesso tempo creditore e debitore del tributo, con obbligo di registrare la fattura sia nel registro degli acquisti che in quello delle fatture.

Tale sistema, ritenuto particolarmente efficace nella prevenzione delle frodi IVA, è già applicabile nell’ordinamento italiano in una serie di ipotesi specifiche (cfr. art. 17 del DPR n. 633 del 1972). In tali casi al pagamento dell'imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d'imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d'imposta, con l'annotazione "inversione contabile" e l'eventuale indicazione della norma di riferimento, deve essere integrata dal cessionario con l'indicazione dell'aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nei registri fatture nei registri corrispettivi entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro acquisti.

 

La seconda disposizione (art.1, comma 629, lettera b)), prevede invece che per le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nei confronti di enti pubblici per le quali gli stessi non sono debitori IVA, l'imposta è in ogni caso versata dai medesimi secondo modalità e termini fissati con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze (c.d. split payment). Il decreto è stato emanato il 23 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3 febbraio 2015, serie generale.

Il cd. meccanismo di “split payment”, costituisce una speciale modalità di versamento dell’imposta sul valore aggiunto, per le operazioni effettuate nei confronti di enti pubblici che non risultano debitori d’imposta; tale meccanismo prevede che al fornitore del bene o del servizio è erogato il solo importo del corrispettivo pagato dalla P.A., al netto dell’IVA indicata in fattura; l’imposta è quindi sottratta alla disponibilità del fornitore e acquisita direttamente dall’Erario.

 

Si ricorda che, con riferimento a tale ultima fattispecie, l'articolo 1, comma 632 della legge di stabilità per l'anno 2015 ha disposto che, pur nelle more del rilascio della misura di deroga, detta disposizione trovi comunque applicazione per le operazioni per le quali l'imposta sul valore aggiunto è esigibile a partire dal 1° gennaio 2015.

 

Si segnala che la Commissione UE, nella comunicazione al Consiglio del 22 maggio 2015 nell'ambito della procedura di cui all'articolo 395 della direttiva 2006/112/CE si è opposta alla richiesta di concedere la misura di deroga necessaria per l'applicazione del reverse charge alle forniture riguardanti la grande distribuzione.

In merito la Commissione ha affermato che un'applicazione indistinta e globale del reverse charge a un alto numero di prodotti, destinati essenzialmente al consumo finale, non può essere considerata una misura speciale prevista dall'articolo 395 della direttiva Iva. Inoltre, la Commissione ha ritenuto che non ci siano prove sufficienti del fatto che la misura richiesta contribuirebbe a contrastare le frodi e che, al contrario, la misura in questione implicherebbe seri rischi di frode a scapito del settore delle vendite al dettaglio e a scapito di altri Stati membri. Infine, la Commissione non ha condiviso la stima di impatto positivo effettuata dalle autorità italiane, in quanto la misura in questione è utile alla prevenzione non di tutte le tipologie di frodi che sono alla base dell'evasione dell'imposta, ma principalmente delle "frodi carosello", ovvero le forme di evasione realizzate cedendo o prestando più volte gli stessi beni o servizi tra vari Stati membri senza alcun versamento di IVA all'erario.

 

Per quanto invece riguarda lo split payment, con la proposta di decisione del 12 giugno 2015 COM(2015) 289 final, la Commissione Europea ha espresso parere favorevole sulle misure riguardanti lo split payment; su tale proposta della Commissione dovrà pronunciarsi il Consiglio all'unanimità, a norma dell'articolo 395, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE sull'IVA.

La proposta della Commissione subordina l’autorizzazione a tale misura di deroga a precisi limiti temporali, disponendone l'efficacia fino al 31 dicembre 2017, e condiziona l’autorizzazione al fatto che, nelle fatture emesse in relazione alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi alle pubbliche amministrazioni, debba essere introdotta una menzione speciale indicante che l'IVA deve essere versata su un conto bancario distinto e bloccato dell'amministrazione fiscale.

 

In termini generali si rileva che la materia delle accise sui carburanti è interessata da diversi interventi normativi. La legge di stabilità per l'anno 2014 (articolo 1, comma 626 della legge n. 147 del 2013) ha stabilito un aumento delle accise sui carburanti (benzina, benzina con piombo e gasolio usato come carburante) per il periodo dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2018, da disporsi con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane da adottare entro il 31 dicembre 2016, in misura tale da determinare maggiori entrate nette non inferiori a 220 milioni di euro per l'anno 2017 e a 199 milioni di euro per l'anno 2018.

L'articolo 19, comma 3 del D.L. n. 91 del 2014 ha altresì disposto un aumento, decorrente dal 1° gennaio 2019, dell'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché dell'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante. L'incremento sarà determinato da un provvedimento direttoriale dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli da adottare entro il 30 novembre 2018 con efficacia dalla data di pubblicazione sul sito internet dell'Agenzia, tale da determinare maggiori entrate nette non inferiori a 140,7 milioni di euro nel 2019, a 146,4 milioni di euro nel 2020 e a 148,3 milioni di euro a decorrere dal 2021.

La legge di stabilità per l'anno 2015, all'articolo 1, comma 718, prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2018, con provvedimento del direttoriale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, l'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché l'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante, sarà aumentata in misura tale da determinare maggiori entrate nette non inferiori a 700 milioni di euro per l'anno 2018 e ciascuno degli anni successivi.

Si segnala inoltre il possibile incremento delle accise che potrebbe essere disposto ai sensi dell'articolo 10, comma 9 del D.L. 31 dicembre 2014, n.192 (c.d. mille proroghe) sempre nell'ambito di un meccanismo di salvaguardia. Si prevede infatti che, qualora dal monitoraggio delle entrate attese dalla c.d. voluntary disclosure, emerga un andamento che non consenta la copertura degli oneri derivanti dall'articolo 15 del D.L. n. 102 del 2013 (c.d. decreto- legge IMU) il Ministro dell'economia e delle finanze, con proprio decreto, da emanare entro il 30 settembre 2015, determinerà l'aumento della misura degli acconti ai fini dell'IRES e dell'IRAP, dovuti per il periodo d'imposta 2015, e l'aumento, a decorrere dal 1° gennaio 2016, delle accise di cui alla Direttiva del Consiglio 2008/118/CE del 16 dicembre 2008, in misura tale da assicurare il conseguimento dei predetti obiettivi anche ai fini della eventuale compensazione delle minori entrate che si dovessero generare per effetto dell'aumento degli acconti.

Si rammenta da ultimo che l’aliquota di accisa sulla benzina dal 1 gennaio 2015 è pari a 728,40 euro per mille litri ed a 617,40 euro per mille litri per il gasolio usato come carburante.


 

 

Articolo 15
(Servizi per l’impiego)

 

 

L'articolo 15 reca disposizioni in merito al funzionamento dei servizi per l'impiego e alle funzioni amministrative connesse alle politiche attive per il lavoro.

Più nel dettaglio, per garantire livelli essenziali di prestazioni in materia di servizi e politiche attive del lavoro, il comma 1 prevede la conclusione di un accordo, in sede di Conferenza unificata, tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le regioni e le province autonome, volto all’elaborazione di un piano di rafforzamento dei servizi per l’impiego, attraverso l'impiego coordinato di fondi nazionali e regionali, nonché dei programmi operativi cofinanziati dal Fondo sociale europeo.

I programmi operativi (PO) suddividono gli obiettivi strategici generali concordati nell'accordo di partenariato in priorità di investimento e obiettivi specifici, suddivisi ulteriormente in azioni concrete. Tra questi, il programma operativo italiano Sistemi di politiche attive per l'occupazione delinea lo scopo del finanziamento (2,177 miliardi di euro, di cui 1,181 dal bilancio UE), con cui rafforzare le politiche nazionali sul mercato del lavoro, anche al fine del raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 sull'occupazione e all’attuazione delle raccomandazioni specifiche per l'Italia.

Sul punto, si ricorda che lo schema di decreto legislativo (AG 177) predisposto in attuazione della normativa di delega di cui all’articolo 1, commi 3 e 4, della L. 183/2014 (cd. Jobs act), attualmente all’esame delle Commissioni parlamentari competenti, ridisegna la disciplina della materia in esame, procedendo, tra l’altro, all’individuazione dei soggetti che costituiscono la rete dei servizi per le politiche del lavoro, affidandone il coordinamento alla nuova Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro e definendo i principi comuni alle politiche attive

In particolare, potrebbe essere opportuno un coordinamento tra il suddetto comma 1 e l’articolo 2 del citato schema di decreto legislativo, che demanda ad apposito decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in Conferenza Stato, regioni e province autonome, l’individuazione, tra l’altro, delle linee di indirizzo triennali e gli obiettivi annuali In materia di politiche attive (con particolare riguardo alla riduzione della durata media della disoccupazione, ai tempi di servizio e alla quota di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro), nonché l’indicazione dei livelli minimi delle prestazioni da erogare su tutto il territorio nazionale.

Il comma 2 dispone che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali stipuli con ogni regione e con le province autonome una convenzione volta a regolare la gestione dei servizi per l’impiego e delle politiche attive del lavoro, allo scopo di garantire i medesimi livelli essenziali delle prestazioni in materia.

Il comma in esame contiene una disposizione analoga a quella prevista dall’articolo 11 dello schema di decreto legislativo richiamato, nell’ambito dell'organizzazione del servizi per il lavoro e delle politiche attive del lavoro a livello territoriale. Anche in questo caso potrebbe essere opportuno un coordinamento tra le due norme.

I commi 3 e 4 dispongono che le convenzioni stipulate con le regioni a statuto ordinario possano prevedere che il Ministero partecipi agli oneri di funzionamento dei servizi per l’impiego per il 2015 e il 2016, nei limiti di 90 milioni di euro annui (importo così modificato nel corso dell’esame al Senato, in luogo di 70 milioni di euro annui) ed in misura proporzionale al numero di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato direttamente impiegati in compiti di erogazione di servizi per l’impiego. A tal fine, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è autorizzato ad avvalersi, per una somma non superiore al medesimo importo di 90 milioni di euro annui, del Fondo di rotazione per il finanziamento della formazione professionale, di cui all’articolo 9 del D.L. 148/1993[145].

Il comma 5 prevede, per le regioni a statuto ordinario, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame e per il solo anno 2015, un meccanismo di anticipazione delle risorse finanziarie che sarebbero erogabili a seguito della stipulazione della convenzione. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali provvede, su richiesta della regione e a valere sul richiamato Fondo di rotazione, all’assegnazione della relativa quota annua. Qualora la convenzione con la regione destinataria dell’anticipazione non sia stipulata entro il 30 settembre 2015, è operata una riduzione di importo corrispondente alla erogazione effettuata a valere sui trasferimenti statali a qualsiasi titolo disposti in favore della regione stessa e, come specificato nel corso dell’esame al Senato, nella misura non utilizzata per la copertura di spese di personale dei centri per l'impiego (con conseguente riassegnazione al richiamato Fondo di rotazione).

Il comma 6, a fini di coordinamento con le suddette norme finanziarie, attraverso una novella dell’articolo 1, comma 429, della L. 190/2014 (Stabilità 2015), abroga la previsione che consentiva un’anticipazione di risorse alle regioni per il temporaneo funzionamento dei servizi per l’impiego[146].

Il comma 6-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, consente, nelle more dell'attuazione del processo di riordino delle funzioni connesse alle politiche attive del lavoro e al solo fine di consentire la continuità dei servizi erogati dai centri per l'impiego[147], alle province e città metropolitane, in deroga a quanto previsto dall’articolo 4, comma 9, terzo periodo, del D.L. 101/2013 (secondo cui le province possono prorogare, esclusivamente per necessità connesse alle esigenze di continuità dei servizi, i contratti di lavoro a tempo determinato fino al 31 dicembre 2015 nel rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente[148], del patto di stabilità interno e delle norme in materia di contenimento della spesa complessiva di personale), di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato (con scadenza non successiva al 31 dicembre 2016) anche nel caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno per l'anno 2014, alle medesime finalità e condizioni previsti per l'esercizio dei predetti servizi, a condizione che venga garantito l'equilibrio di parte corrente nel periodo interessato dai contratti stessi.

Si segnala che un’ulteriore disposizione concernente la possibilità, per le province e citta metropolitane, di procedere alla stipula di contratti a tempo determinato è contenuta anche all’articolo 1, comma 7, ultimo periodo, del provvedimento in esame, alla cui scheda si rimanda.


 

 

Articolo 16, comma 1
(Affidamento in concessione dei servizi negli istituti
e nei luoghi della cultura)

 

 

L’articolo 16, comma 1, prevede che, per accelerare l'avvio e lo svolgimento delle procedure di gara per l'affidamento in concessione dei servizi negli istituti e nei luoghi della cultura di appartenenza pubblica[149], nonché allo scopo di razionalizzare la spesa pubblica, le amministrazioni aggiudicatrici possono avvalersi, sulla base di apposite convenzioni per la disciplina dei relativi rapporti, di Consip S.p.A., anche quale centrale di committenza, per lo svolgimento delle relative procedure.

 

Al riguardo si ricorda che il 19 febbraio 2015 il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e l’Amministratore delegato di Consip hanno presentato un progetto per i servizi aggiuntivi nei musei autonomi e nei poli museali regionali[150].

In base alle linee guida, ci saranno tre tipi di gara.

La prima rende disponibili per il Mibact, e facoltativamente per gli enti locali, i servizi gestionali, ossia i servizi operativi (manutenzione edile ed impiantistica, pulizia e igiene ambientale, guardaroba, facchinaggio) e i servizi “di governo” (sistema informativo, call center, anagrafe tecnica).

La seconda gara punta all’acquisizione, a livello nazionale, di un servizio di biglietteria, prenotazione e prevendita, usato da tutti i siti Mibact e, facoltativamente, dagli enti locali. In pratica, la gara si concentrerà sulla creazione di un unico sistema di prenotazione e prevendita, che si integrerà con i sistemi utilizzati dai singoli concessionari.

La terza gara riguarda i servizi culturali finalizzati allo sviluppo di specifici progetti culturali e alla migliore fruizione dei siti, come le audioguide, i laboratori didattici, le visite guidate, le mostre. A tale gara potranno accedere il Mibact e gli enti locali con differenti modalità: in particolare, per il Mibact, sulla base dei progetti elaborati dai Direttori dei musei autonomi e dei poli museali regionali verranno bandite da Consip gare per ciascun museo o polo museale. Per gli enti locali, si svilupperà una gara, bandita da Consip, da aggiudicare sulla base di progetti territoriali di valorizzazione[151].

Le linee guida prevedevano che per tutte e tre le gare il bando fosse pubblicato nel primo semestre dell’anno ed evidenziavano che il progetto porrà fine alle proroghe delle concessioni dei servizi aggiuntivi nei luoghi della cultura[152].

 


 

 

Articolo 16, comma 1-bis
(Grande Progetto Pompei e Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia)

 

 

Il comma 1-bis prolunga fino al 31 gennaio 2019 le funzioni del Direttore generale di progetto del Grande progetto Pompei, prevedendo che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, lo stesso Direttore e le competenze ad esso attribuite confluiscono nella “Soprintendenza Pompei”, nuova denominazione della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia.

Inoltre, estende a 24 mesi la durata massima degli incarichi di collaborazione dei componenti della segreteria tecnica di progettazione costituita per accelerare la progettazione degli interventi previsti nell’ambito del medesimo Grande progetto Pompei, intervenendo anche sul limite massimo di spesa.

 

Il Grande progetto Pompei

 

L’art. 2 del D.L. 34/2011 (L. 75/2011) ha disposto l'adozione, da parte del Ministro per i beni e le attività culturali, di un programma straordinario ed urgente di interventi conservativi di prevenzione, manutenzione e restauro da realizzarsi nell'area archeologica di Pompei e nei luoghi ricadenti nella competenza territoriale della (allora) Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e di Pompei, al fine di rafforzare l’efficacia delle azioni e degli interventi di tutela nelle suddette aree. Per il finanziamento del programma straordinario è stata prevista la possibilità di utilizzo delle risorse derivanti dal Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) destinate alla regione Campania e di una quota dei fondi disponibili nel bilancio della Soprintendenza speciale, determinata con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali. Inoltre, è stato previsto che la quota di risorse da destinare al programma straordinario di manutenzione da parte della regione Campania sarebbe stata individuata dalla Regione medesima nell’ambito del Programma di interesse strategico regionale (PAR) da sottoporre al CIPE per l’approvazione.

Il programma straordinario è stato approvato dal Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici l'8 giugno 2011[153].

Con comunicato stampa del 9 giugno 2011 il Mibac ha, poi, reso noto che “il piano, articolato in cinque fasi, prevede un investimento complessivo di 105 milioni di euro, così suddivisi: 8,2 milioni di euro per il piano della conoscenza, 85 milioni di euro per il piano delle opere, 7 milioni di euro per il piano della fruizione e della comunicazione, 2 milioni di euro per il piano della sicurezza e 2,8 milioni di euro per il piano di rafforzamento e di capacity building”.

Nel febbraio 2012 il progetto per Pompei è stato inserito nella riprogrammazione del Piano di azione Coesione.

A seguire, il 29 marzo 2012, la Commissione europea, con decisione n. C(2012) 2154, lo ha finanziato quale Grande Progetto Comunitario a valere su risorse del Programma Operativo Interregionale “Attrattori culturali, naturali e turismo” FESR2007-20013 (POIn)”.

 

Qui Lo stato di avanzamento dei lavori del progetto alla data del 18 aprile 2015.

 

Per ulteriori approfondimenti, si rinvia al Dossier del Servizio Studi n. 182 del 9 giugno 2014.

 

In particolare, la lett. b) – inserendo il comma 5-ter nell’art. 2 del D.L. 83/2014 (L. 106/2014) – dispone che lo svolgimento delle funzioni del Direttore generale di progetto è esteso fino al 31 gennaio 2019, nel limite massimo di spesa di 100 mila euro lordi annui per il triennio 2017-2019.

Al relativo onere si provvede a carico delle risorse disponibili sul bilancio della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia, che dal 1° gennaio 2016 assume la nuova denominazione di “Soprintendenza Pompei” e nella quale, dalla stessa data, confluiscono il Direttore generale di progetto e le funzioni ad esso attribuite.

Le conseguenti misure di carattere organizzativo e le modalità per il progressivo trasferimento di funzioni e strutture alla medesima Soprintendenza saranno definite con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per la cui emanazione – di cui non è indicato il termine – si fa riferimento all’art. 30, co. 4, del nuovo Regolamento di organizzazione del Mibact (D.P.C.M. 29 agosto 2014, n. 171).

 

Per accelerare la realizzazione del Grande progetto Pompei, l’art. 1, commi da 1 a 7, del D.L. 91/2013 (L. 112/2013) – come modificato dall’art. 2 del D.L. 83/2014 (L. 106/2014) – ha previsto la nomina di un Direttore generale di progetto, coadiuvato da una struttura di supporto, e di un Vice Direttore generale vicario, fissando la relativa indennità complessiva in un importo non superiore a 100 mila euro lordi annui[154]. Alla nomina si è proceduto con D.P.C.M. 27 dicembre 2013.

Al Direttore generale di progetto sono stati affidati specifici compiti, prevedendo che gli stessi dovessero essere svolti in stretto raccordo con la Soprintendenza, della quale rimanevano fermi compiti e attribuzioni in ordine alla gestione ordinaria del sito.

In particolare, il Direttore generale di progetto deve:

§  definire e approvare i progetti degli interventi di messa in sicurezza, restauro e valorizzazione previsti nel “Grande Progetto Pompei”, assicurare l’efficace e tempestivo svolgimento delle procedure di gara per l’affidamento dei lavori e l’appalto dei servizi e delle forniture necessari, nonché seguire la fase di attuazione ed esecuzione dei relativi contratti. Fra l’altro, il Direttore generale di progetto ha assunto le funzioni di stazione appaltante;

§  assicurare supporto organizzativo e amministrativo alle attività di tutela e valorizzazione di competenza della Soprintendenza;

§  informare ogni sei mesi il Parlamento sullo stato di avanzamento dei lavori e su eventuali aggiornamenti del cronoprogramma[155];

§  collaborare per assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità della gestione dei contratti pubblici, anche al fine di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose, nel quadro del Protocollo di legalità stipulato con la Prefettura.

 

Inoltre, il Direttore generale di progetto è stato preposto all’Unità “Grande Pompei” – della quale lo stesso D.L. 91/2013 ha previsto la costituzione per consentire il rilancio economico sociale e la riqualificazione ambientale e urbanistica dei comuni interessati dal piano di gestione Unesco “Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata”, dotandola di autonomia amministrativa e contabile –, e ne ha assunto la rappresentanza legale.

La copertura dei relativi oneri è stata prevista dall’art. 1, comma 8, del medesimo DL per gli anni dal 2014 al 2016.

 

Con riguardo alla formulazione del testo, occorre riferirsi – secondo quanto dispone l’art. 1, co. 9, del D.L. 91/2013 (L. 112/2013) – alla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia[156].

 

La lett. a) stabilisce che gli incarichi di collaborazione dei componenti della segreteria tecnica di progettazione costituita per accelerare la progettazione degli interventi previsti nell’ambito del Grande progetto Pompei, possono essere conferiti per la durata massima di 24 mesi (e non più di 12), entro il limite di spesa di 900 mila euro annui (e non più di 900 mila euro, di cui € 400 mila per il 2014 e € 500 mila per il 2015).

 

La lett. c) provvede alla copertura degli oneri derivanti dalle modifiche di cui sopra a decorrere dal 2016, a carico delle risorse disponibili sul bilancio della Soprintendenza Pompei, nel limite massimo di 900 mila euro annui.

Al tal fine, si novella l’art. 2, commi 5 e 6, del D.L. 83/2014 (L. 106/2014).

 

 

Si segnala che la norma in commento nulla dispone con riferimento alla copertura finanziaria degli oneri aggiuntivi relativi al 2015, derivanti dall’aumento del limite di spesa per gli incarichi conferiti alla segreteria tecnica di progettazione anche per il 2015, da 500 a 900 mila euro.

Sul punto, tuttavia, la Relazione tecnica allegata al maxi emendamento del Governo, sembra indicare che anche per il 2015 si provvede a valere sul bilancio della Soprintendenza speciale per Pompei, precisando, al riguardo, che “il bilancio 2015 contiene apposito capitolo denominato “studi di fattibilità, ecc.”, con stanziamento di circa 900.000 euro”.

 

L’art. 2, comma 5, del D.L. 83/2014 (L. 106/2014), al fine di rispettare i termini per l’attuazione del Grande progetto Pompei e di accelerare la progettazione degli interventi ivi previsti, ha disposto la costituzione, presso la Soprintendenza Speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia, di una segreteria tecnica di progettazione, composta da non più di 20 unità di personale (esterno alla pubblica amministrazione), alle quali possono essere conferiti, in deroga ai limiti finanziari previsti dalla legislazione vigente, incarichi di collaborazione ai sensi dell’art. 7, co. 6, del d.lgs. 165/2001[157], per non più di 12 mesi e nel limite di spesa di € 900 mila, di cui € 400 mila per il 2014 e € 500 mila per il 2015. Gli incarichi sono conferiti per la partecipazione alle attività progettuali e di supporto al Grande Progetto Pompei, sulla base delle esigenze e dei criteri stabiliti dal Direttore generale di progetto, d’intesa con il Soprintendente Speciale.

 

Il comma 6 del medesimo articolo ha disposto che ai relativi oneri si provvede, nel limite di € 400 mila per il 2014, con le risorse disponibili sul bilancio della Soprintendenza speciale, e nel limite di € 500 mila per il 2015, ai sensi dell’art. 17 del medesimo D.L. 83/2015[158].

 


 

 

Articolo 16, comma 1-ter
(Commercio nelle aree di alto valore culturale)

 

 

Il comma 1-ter dell’articolo 16, introdotto durante l’esame al Senato, interviene sul comma 1-ter dell’articolo 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, introdotto dall’articolo 4 decreto-legge 83 del 2014, convertito dalla legge n. 106 del 2014. In particolare si tratta della normativa che disciplina il commercio nelle aree in cui esistono complessi monumentali interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti. La norma prevede che sia necessaria l’intesa con la Regione, da parte degli uffici territoriali del Ministero:

§  nell’adozione delle determinazioni volte a vietare gli usi non compatibili con le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale;

§  nel riesame delle autorizzazioni e delle concessioni di suolo pubblico che non risultino più compatibili con le esigenze di tutela e di valorizzazione.

La norma trae origine dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 140 del 2015, la quale ha fra l’altro dichiarato l’illegittimità costituzionale del nuovo comma 1-ter dell’articolo 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio nella parte in cui non prevede alcuno strumento idoneo a garantire una leale collaborazione tra lo Stato e le regioni nell’esercizio delle funzioni di cui sopra.

 

Il vigente articolo 52, comma 1-ter del Codice, con l’obiettivo di contrastare l’esercizio - nelle aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico - di attività commerciali e artigianali, in forma ambulante o su posteggio, non compatibili con le esigenze di tutela del patrimonio culturale, prevede, al comma 1, prevede che i comuni, sentito il soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l'esercizio del commercio.

Il comma 1-ter[159] richiede l’adozione, da parte delle Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici e delle Soprintendenze, sentiti i Comuni, di apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione, con specifico riguardo alle attività commerciali e artigianali su aree pubbliche, in forma ambulante o su posteggio, nonché a qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale.

Inoltre, i competenti uffici territoriali del Ministero e i Comuni avviano procedimenti di riesame delle autorizzazioni e delle concessioni di suolo pubblico non più compatibili con le esigenza di tutela del patrimonio culturale, anche in deroga:

§  alle disposizioni regionali che regolano le modalità di esercizio del commercio su aree pubbliche;

§  ai criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per il commercio su aree pubbliche stabiliti nell’intesa in sede di Conferenza unificata, prevista dall’articolo 70 del D.Lgs. 59/2010 attuativo della c.d. Direttiva “Servizi”.

 

Si ricorda che la materia del commercio su aree pubbliche trova la sua disciplina nell’articolo articolo 28 del D.Lgs. n. 114/1998 (cd. decreto “Bersani”) recante “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio”, così come modificato dall’articolo 70 del D.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, che ha recepito la cd. “direttiva Servizi”.

Ai sensi del citato articolo 28, il commercio sulle aree pubbliche può essere svolto:

§  su posteggi dati in concessione per dieci anni;

§  su qualsiasi area, purché in forma itinerante.

L'esercizio del commercio sulle aree pubbliche è soggetto ad apposita autorizzazione. L'autorizzazione all'esercizio dell'attività di vendita sulle aree pubbliche esclusivamente in forma itinerante è rilasciata, in base alla normativa emanata dalla regione, dal comune nel quale il richiedente intende avviare l'attività.

La disciplina delle modalità di esercizio del commercio è attribuita alle regioni (comma 12), che stabiliscono, altresì i criteri generali ai quali i comuni si devono attenere per la determinazione delle aree e del numero dei posteggi da destinare allo svolgimento dell'attività, per l'istituzione, la soppressione o lo spostamento dei mercati che si svolgono quotidianamente o a cadenza diversa, nonché per l'istituzione di mercati destinati a merceologie esclusive. In ogni caso resta ferma la finalità di tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale e sono vietati criteri legati alla verifica di natura economica o fondati sulla prova dell'esistenza di un bisogno economico o sulla prova di una domanda di mercato, quali entità delle vendite di prodotti alimentari e non alimentari e presenza di altri operatori su aree pubbliche (comma 13). Le regioni, nell'ambito del loro ordinamento, provvedono all'emanazione delle suddette disposizioni acquisendo il parere obbligatorio dei rappresentanti degli enti locali e prevedendo forme di consultazione delle organizzazioni dei consumatori e delle imprese del commercio (comma 14).

 


 

 

Articolo 16, commi 1-quater-1-sexies
(Interventi per i luoghi della cultura delle province e tutela
del patrimonio archivistico e bibliografico)

 

 

I commi 1-quater e 1-quinquies intendono garantire il funzionamento di archivi e altri luoghi della cultura che facevano capo alla competenza delle province fino all’intervento della L. 56/2014, che non menziona tra le competenze dei nuovi enti la gestione dei beni culturali.

In particolare, dispongono l’adozione, entro il 31 ottobre 2015, di un piano di razionalizzazione di tali luoghi della cultura, che può prevedere il versamento agli archivi di Stato dei documenti degli archivi storici delle province, l’eventuale trasferimento al Mibact dei relativi immobili, nonché la individuazione di altri istituti e luoghi della cultura da trasferire sempre al Mibact.

Entro la stessa data possono essere trasferiti al Mibact i funzionari archivisti, bibliotecari, storici dell’arte e archeologi in servizio a tempo indeterminato presso le province.

Il comma 1-sexies reca alcune modifiche al codice di beni culturali (D.Lgs. 42/2004) finalizzate ad assicurare condizioni uniformi su tutto il territorio nazionale per la tutela del patrimonio archivistico e bibliografico.

 

Più nello specifico, il comma 1-quater prevede l’adozione, entro il 31 ottobre 2015, con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro per gli affari regionali (e le autonomie), e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita l’Agenzia del Demanio e previa intesa in sede di Conferenza unificata, di un piano di razionalizzazione degli archivi e degli altri istituti della cultura finora facenti capo alla competenza delle province.

In base all’art. 101 del D.Lgs. 42/2004, sono istituti e luoghi della cultura i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali.

Il piano può prevedere il versamento agli archivi di Stato competenti per territorio[160] dei documenti degli archivi storici delle province - fatta esclusione per quelle trasformate in città metropolitane ai sensi della L. 56/2014 – e l’eventuale trasferimento al Mibact degli immobili demaniali di proprietà delle stesse province adibiti a sede o deposito degli archivi.

Inoltre, con lo stesso piano di razionalizzazione possono essere individuati altri istituti e luoghi della cultura finora facenti capo alla competenza delle province, da trasferire al Mibact mediante la stipula di accordi di valorizzazione tra lo Stato e gli enti competenti, ai sensi dell’art. 112 del codice dei beni culturali (D.Lgs. 42/2004)[161].

Al riguardo, rispondendo, il 18 giugno 2015, all’interrogazione 5-04606, il rappresentante del Governo aveva fatto presente era in corso un censimento di biblioteche, teatri, musei, archivi storici, istituti culturali, artistici e musicali e altri luoghi di cultura (ad esempio aree archeologiche) di proprietà provinciale nonché del numero totale del personale impegnato e delle complessive spese di gestione, proprio allo scopo di individuare adeguate soluzioni.

 

Il comma 1-quinquies prevede che, sempre entro il 31 ottobre 2015, i funzionari archivisti, bibliotecari, storici dell’arte e archeologi in servizio a tempo indeterminato presso le province possono essere trasferiti al Mibact.

A ciò si provvede attraverso procedura di mobilità (art. 30 D.Lgs. 165/2001), anche in soprannumero rispetto alla dotazione organica fissata in 19.050 unità dal nuovo regolamento di organizzazione del Mibact (D.P.C.M. 171/2014), a valere sulle facoltà assunzionali dello stesso Mibact non impegnate per l’inquadramento del personale del comparto scuola ivi comandato e, comunque, per un importo pari ad almeno 2,5 milioni di euro annui. Il Mibact comunica al Dipartimento della funzione pubblica e al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato le assunzioni effettuate e i relativi oneri.

Al riguardo, la relazione tecnica riferita al maxiemendamento presentato al Senato specifica che la dotazione organica del Mibact presenta, nell’Area III, una vacanza di 656 posti, a fronte di 672 unità di personale delle province potenzialmente interessato al trasferimento.

A decorrere dal completamento della procedura di mobilità, al Mibact non si applica la previsione recata dall’art. 1, co. 425, della L. 190/2014, in base alla quale il Dipartimento della funzione pubblica avvia presso le amministrazioni dello Stato la ricognizione dei posti da destinare alla ricollocazione del personale delle province interessato ai processi di mobilità, con divieto, fino completamento del procedimento, di effettuare assunzioni a tempo indeterminato.

 

Il comma 1-sexies reca alcune modifiche al D.Lgs. 42/2004 finalizzate ad agevolare l’attuazione delle misure precedentemente illustrate, nonché ad assicurare condizioni uniformi su tutto il territorio nazionale per la tutela del patrimonio archivistico e bibliografico.

In particolare, la lett. b) modifica l’art. 5 del D.Lgs. 42/2004 (in particolare, sopprime il comma 2 e modifica il comma 3), prevedendo che anche le funzioni di tutela su manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, libri, stampe e incisioni non appartenenti allo Stato – finora affidate tout court alle regioni – possano essere esercitate dalle stesse regioni sulla base di specifici accordi o intese e previo parere della Conferenza Stato regioni.

Si tratta, cioè, dell’estensione di quanto già previsto con riferimento a carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi matrici e negativi.

 

La lett. a) reca una modifica all’art. 4 del D.Lgs. 42/2004, derivante dalle modifiche apportate all’art. 5.

In particolare, l’art. 4 affida al Mibact l’esercizio delle funzioni di tutela, facendo salve le funzioni già conferite alle regioni ai sensi dei commi 2 (riferimento che ora scompare) e 6 dell’art. 5.

 

Anche la lett. c) reca una modifica all’art. 63 dello stesso D.Lgs. 42/2004, derivate dalle modifiche apportate all’art. 5.

In particolare, l’art. 63 concerne l’obbligo di denuncia dell’attività commerciale relativa a cose antiche o usate. La dichiarazione preventiva deve essere presentata all’autorità locale di pubblica sicurezza, che la trasmette al soprintendente e alla regione.

Chi esercita il commercio deve annotare giornalmente le operazioni eseguite in apposito registro, effettuando una descrizione dettagliata qualora le cose superano i limiti di valore previsti dal D.M. 95/2009. Il soprintendente verifica l’adempimento dell’obbligo relativo alla descrizione dettagliata, anche attraverso i carabinieri preposti alla tutela del patrimonio culturale. La verifica è svolta da funzionari della regione nei casi di esercizio della tutela affidata alle regioni dall’art. 5.

 


 

 

Articolo 16-bis
(Misure per favorire la rappresentanza territoriale negli organi di amministrazione di associazioni e fondazioni con finalità di gestione di beni del patrimonio mondiale dell’umanità)

 

 

Il comma unico dell’articolo 16-bis in commento - articolo introdotto nel corso dell’esame al Senato e confluito nel c.d. maxiemendamento – novella l’articolo 1, comma 420, della legge di stabilità per il 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147).

Il comma 420 in oggetto stabilisce che il limite massimo di cinque componenti degli organi di amministrazione, previsto dall’articolo 6, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, non si applica alle istituzioni culturali, a condizione che comprovino la gratuità dei relativi incarichi e che la maggioranza dei componenti dell’organo sia costituita dai membri designati dai fondatori pubblici. Si ricorda altresì che il richiamato articolo 6 stabilisce che tutti gli enti pubblici, anche economici, e gli organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato, provvedano all'adeguamento dei rispettivi statuti al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, gli organi di amministrazione e quelli di controllo, ove non già costituiti in forma monocratica, nonché il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero non superiore, rispettivamente, a cinque e a tre componenti.

La nuova formulazione del comma 420 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2014 trasforma la deroga al limite massimo di cinque componenti degli organi di amministrazione a favore delle istituzioni culturali, in una deroga che riguarda invece più specificamente le associazioni e fondazioni costituite al fine di gestire beni inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità – istituita dalla Convenzione dell’UNESCO sulla protezione del patrimonio mondiale, culturale e naturale dell’umanità del 23 novembre 1972 (la cui autorizzazione alla ratifica è intervenuta con la legge 6 aprile 1977, n. 184) -, e che ricadono nel territorio di più province, fermo restando l’obbligo di dimostrazione della gratuità dei relativi incarichi.


 

 

Articolo 16-ter
(Assunzioni nelle Forze di polizia e nei Vigili del fuoco)

 

 

L'articolo 16-ter, comma 1, autorizza l'assunzione straordinaria di personale nella Polizia di Stato (1.050 unità), nell'Arma dei carabinieri (1.050 unità), nella Guardia di finanza (400 unità), per ciascuno degli anni 2015 e 2016. La disposizione è finalizzata all’incremento dei servizi di prevenzione e di controllo del territorio, di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, anche in relazione all’imminente svolgimento del Giubileo straordinario della Misericordia che si svolgerà dall’8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016.

 

Le assunzioni sono a valere sulle facoltà assunzionali previste per il rispettivo anno successivo: le assunzioni del 2015 a valere sulle facoltà assunzionali del 2016 e le assunzioni del 2016 a valere su quelle del 2017; in entrambi questi anni la normativa vigente prevede che possano essere effettuate assunzioni per una spesa pari a quella relativa al personale cessato dal servizio nel corso dell’anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso del medesimo periodo.

 

L’articolo 66, comma 9-bis, del D.L. n. 112/2008 (comma successivamente modificato dal decreto legge n. 95 del 2012) ha stabilito disposizioni speciali per il turn over del comparto sicurezza: esso prevede che per il biennio 2010-2011 i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco possono procedere, secondo specifiche modalità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella relativa al personale cessato dal servizio nel corso dell’anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell’anno precedente. Tale facoltà di assumere è fissata nella misura del 20% per il triennio 2012-2014, del 50% nel 2015 e del 100% a decorrere dal 2016 (l’ultima autorizzazione ad assumere è stata disposta con il D.P.C.M. 8 settembre 2014).

In deroga a tali percentuali, l’articolo 1, comma 91, della L. 228/2012 ha stabilito che le assunzioni nel Comparto difesa-sicurezza e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco possano essere incrementate con specifico decreto, fino al 50% per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e fino al 70% per il 2015.

La legge di stabilità 2014 (L. 147, 2013, art. 1, comma 464) ha introdotto una ulteriore deroga ai limiti suesposti, prevedendo l’effettuazione di assunzioni aggiuntive nel Comparto Sicurezza e del Comparto Vigili del fuoco e soccorso al fine di incrementare l'efficienza dell'impiego delle risorse tenendo conto della specificità e delle peculiari esigenze del Comparto stesso. Tali assunzioni possono essere effettuate a condizione che il turn over complessivo relativo allo stesso anno non sia superiore al 55% (con un incremento quindi pari al 5%), e che il contingente complessivo di assunzioni sia corrispondente ad una spesa annua lorda pari a 50 milioni di euro per il 2014 e a 120 milioni a decorrere dal 2015, con riserva di assunzione di 1.000 unità per la Polizia di Stato, 1.000 unità per l'Arma dei carabinieri e 600 unità per il Corpo della Guardia di Finanza .

 

Le assunzioni sono autorizzate in deroga alle disposizioni ordinarie sulle procedure di reclutamento.

 

Si tratta in particolare delle seguenti disposizioni:

§  art. 66, comma 10, DL 112/2008: prevede che le assunzioni effettuate nell’ambito del turn over stabilito dal medesimo art. 66 siano autorizzate secondo le modalità di cui all'articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 165/165 (adozione delle procedure di reclutamento sulla base di programmazione triennale del fabbisogno di personale; autorizzazione con DPCM dell'avvio delle procedure concorsuali e le relative), previa richiesta delle amministrazioni interessate, corredata da analitica dimostrazione delle cessazioni avvenute nell'anno precedente e delle conseguenti economie e dall'individuazione delle unità da assumere e dei correlati oneri, asseverate dai relativi organi di controllo;

§  art. 2199 del D.Lgs. 66/2010 (codice ordinamento militare): che regola in dettaglio le procedure per il reclutamento del personale nelle carriere iniziali delle Forze di polizia a ordinamento civile e militare;

§  art. 1, comma 264, L. 190/2014: prevede che le assunzioni del personale dei Corpi di Polizia e dei Vigili del fuoco da effettuare nel 2015 ai sensi dal citato decreto-legge n. 112/2008 (art. 66, comma 9-bis), non possono essere effettuate prima del 1° dicembre 2015. Sono previste le seguenti eccezioni: allievi agenti della Polizia di Stato del concorso 2014, personale della Polizia penitenziaria da assumere per il 2014 e il 2015, allievi ufficiali, frequentatori di corsi per ufficiali, allievi marescialli e personale dei gruppi sportivi. In deroga a tale disposizione, l'Arma dei carabinieri è stata autorizzata ad anticipare al 15 aprile 2015 l'assunzione di 150 allievi carabinieri da trarre dai vincitori del concorso bandito nell'anno 2010 (art. 5, comma 3-ter, D.L. 7/2015).

 

Le assunzioni hanno decorrenza non prima del 1° ottobre, sia per il 2015 (anche in virtù della deroga al limite del 1° dicembre di cui sopra) sia per il 2016.

 

Per tali assunzioni è previsto si attinga in via prioritaria alle graduatorie dei vincitori dei concorsi approvate non prima del 1° gennaio 2011, riservati ai volontari in ferma prefissata quadriennale (art. 2199, comma 4, lett. b), D.Lgs. 66/2010) ovvero ai volontari delle Forze armate raffermati o in congedo, indetti in caso di disponibilità di ulteriori posti rispetto a quelle programmati (art. 2201, comma 1, D.Lgs. 66/2010).

 

Per i posti residui, è previsto lo scorrimento delle graduatorie (per i medesimi concorsi) degli idonei non vincitori. Per l'Arma dei carabinieri, per i posti residui è altresì autorizzato l'ampliamento dei posti dei concorsi riservati ai volontari in ferma prefissata annuale (art. 2199, comma 4, lett. a).

 

Ulteriori modalità attuative sono demandate a "provvedimenti" delle Amministrazioni di riferimento – Interno, difesa ed Economia e finanze – da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in commento, in modo da assicurare la precedenza ai concorsi più risalenti nel tempo e alle migliori posizioni nelle rispettive graduatorie (comma 2)

 

Analoga autorizzazione all'assunzione straordinaria è prevista per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per 250 unità per l'anno 2015 (a valere sulle facoltà assunzionali per l'anno successivo). Per queste assunzioni (decorrenti anch’esse da non prima il 1° ottobre 2015) è previsto si attinga per metà alla graduatoria selettiva per titoli (indetta con decreto ministeriale n. 3747 del 27 agosto 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4ª serie speciale, n. 72 dell'11 settembre 2007) e per metà alla graduatoria di concorso pubblico (a 814 posti di vigile del fuoco indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4ª serie speciale, n. 90 del 18 novembre 2008); il termine di validità delle due graduatorie erano state da ultimo prorogate dall’art. 8 del decreto-legge 101/2013 (comma 3).

 

Il comma 4 circoscrive ai ruoli iniziali la possibilità di procedere alle assunzioni, per l’anno 2015, a partire dal 1° ottobre 2015 (ossia in deroga al limite del 1° dicembre 2015) per l’Arma dei carabinieri e per i Vigili del fuoco.

 

Le residue facoltà assunzionali per il 2016 e 2017, risultanti all’esito delle assunzioni disposte dall’articolo in esame, possono essere effettuate a decorrere dal 1° dicembre dell’anno di riferimento. Viene confermata anche per il 2016-2017 la deroga a tale limite temporale per allievi ufficiali e frequentatori di corsi per ufficiali, degli allievi marescialli e del personale dei gruppi sportivi. Per i Vigili del fuoco, le residue assunzioni possono essere effettuate a decorrere dal 1° dicembre 2016, in quanto il comma 3 prevede l’utilizzo delle facoltà assunzionali solo di quell’anno e non anche del 2017 (comma 5).

 

Il comma 6 reca la quantificazione degli oneri per l’attuazione dell’articolo in esame, nonché della conseguente autorizzazione di spesa pari a 16.655.427 euro per il 2015 e di 11.217.902 euro per il 2016.

Alla copertura di tali oneri si provvede tramite utilizzo di una corrispondente somma disponibile del Fondo per le vittime della mafia, delle richieste estorsive e dell'usura.

 

Si ricorda in proposito che l’articolo 5, comma 1, del decreto-legge 79/2012 ha stabilito che le somme del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura di cui all' articolo 2, comma 6-sexies, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, che si rendono disponibili al termine di ogni esercizio finanziario sono riassegnate al Fondo per il finanziamento degli interventi urgenti e indifferibili (articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5).

 


 

 

Articolo 16-quater
(Stabilizzazione lavoratori comuni della Regione Calabria)

 

 

L’articolo 16-quater, introdotto dal maxi emendamento al Senato, estende ai comuni della Calabria interessati da procedure di stabilizzazione di lavoratori socialmente utili le deroghe già previste, per i medesimi lavoratori, dall’articolo 1, comma 207, della L. 147/2013, anche nel caso di utilizzazione di finanziamenti regionali e, a determinate condizioni, di mancato rispetto del patto di stabilità interno per il 2014.

Più nel dettaglio, le predette procedure di stabilizzazione, con contratto a tempo determinato, possono avvenire:

§  anche nel caso di utilizzazione di finanziamenti regionali, in deroga alla normativa vigente richiamata dall’articolo 1, comma 207, della L. 147/2013 (vedi infra) e, fermo restando il rispetto del patto di stabilità interno e dell’indicatore dei tempi medi di pagamento, anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 23 del D.Lgs. 81/2015, che introduce un "tetto" all'utilizzo del contratto a tempo determinato (stabilendo che, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, non possono essere assunti lavoratori a tempo determinato in misura superiore al 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione) e dall’articolo 259, comma 6, del D.Lgs. 267/2000 che disciplina la riduzione delle dotazioni organiche degli enti locali dissestati (disponendo che l’ente locale ridetermina la dotazione organica dichiarando eccedente il personale comunque in servizio in sovrannumero rispetto ai rapporti medi dipendenti-popolazione);

§  nel caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno per l’anno 2014, solo per consentire la prosecuzione (a valere sui finanziamenti regionali) dei rapporti di lavoro a tempo determinato sottoscritti ai sensi del citato articolo 1, comma 207, della L. 147/2013 e finanziati con le risorse di cui all’articolo 1, comma 1156, lett. g-bis), della L. 296/2006 (che ha disposto lo stanziamento, a decorrere dall’anno 2008, di un ulteriore contributo, pari a 50 milioni di euro, per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili nonché per iniziative connesse alle politiche attive per il lavoro), viene disapplicata la sanzione di cui all’articolo 31, comma 26, lettera d), della L. n. 183/2011, che vieta agli enti che hanno violato il patto di stabilità interno di assumere o stabilizzare personale a qualsiasi titolo, nonché di stipulare contratti di servizio “elusivi” con soggetti privati[162].

 

Si prevede, inoltre, che la Calabria disponga con propria legge regionale la copertura finanziaria a carico del bilancio regionale e assicuri la compatibilità dell’intervento con il raggiungimento dei propri obiettivi di finanza pubblica.

 

L’art. 1, c. 207, della L. 147/2013, dispone tra l’altro, per l'anno 2014, al fine di favorire l’inserimento lavorativo, mediante contratti a tempo determinato, degli LSU e dei lavoratori titolari di determinati strumenti di sostegno al reddito (CIGS, indennità di mobilità e trattamento speciale di disoccupazione) degli enti pubblici della sola regione Calabria, si prevede la possibilità di utilizzare le risorse di cui al citato art. 1, c. 1156, lettera g)-bis, della L. 296/2006, pari a 50 milioni annui, a carico del Fondo per l’occupazione, previsti per la stabilizzazione degli LSU in favore delle regioni che rientrano negli obiettivi di convergenza dei fondi strutturali dell’Unione europea (la definizione delle modalità di assegnazione delle risorse è rimessa ad uno specifico decreto interministeriale). Fermo restando il rispetto del Patto di stabilità interno, le assunzioni a tempo determinato possono avvenire in deroga alla normativa vigente (che limita, a vario titolo, le assunzioni, anche a tempo determinato, da parte delle PA), in particolare, in deroga:

§  all’art. 9, c. 28, del D.L. 78/2010, il quale ha disposto che, a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello Stato e ulteriori enti pubblici ivi indicati possano avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009;

§  all’art. 3, c. 5, del D.L. 90/2014 (che ha abrogato l’art. 76, c. 7, del D.L. 112/2008), che contiene specifiche norme volte a rimodulare le limitazioni al turn over per gli enti territoriali;

§  ai commi 557 e 562 dell’art. 1 della L. 296/2006 che prevedono, rispettivamente, che gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurino la riduzione delle spese di personale, garantendo il contenimento della dinamica retributiva, mediante la riduzione dell'incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, (attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento della spesa per il lavoro flessibile, nonché mediante la riduzione delle strutture ed il contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa) e che per gli enti non sottoposti al patto di stabilità interno le spese di personale (al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali) non devono superare il corrispondente ammontare dell'anno 2008.

Inoltre, al solo fine di consentire la stipula dei suddetti contratti a tempo determinato fino al 31 dicembre 2014, il richiamato art. 1, c. 207, della L. 147/2013 ha previsto che il mancato rispetto del Patto di stabilità interno per il 2013, non comportasse l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 31, comma 26, lettera d), della L. n. 183/2011, che vieta agli enti che lo hanno violato di assumere o stabilizzare personale a qualsiasi titolo, nonché di stipulare contratti di servizio “elusivi” con soggetti privati).

 

Articolo 17
(Disposizioni finali)

 

 

L'articolo 17 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Ove necessario, il Ministro può disporre il ricorso ad anticipazioni di tesoreria da regolarizzare entro l'esercizio in cui è erogata l'anticipazione, con l'emissione di ordini di pagamento sui pertinenti capitoli di spesa. La disposizione è finalizzata all'immediata attuazione di quanto previsto dal decreto-legge in esame.


 

Articolo 18
(Entrata in vigore)

 

L’articolo 18 reca la consueta clausola di entrata in vigore del decreto-legge. Esso è dunque in vigore dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

 

 



[1]     Compresi gli enti locali commissariati per fenomeni di infiltrazioni mafiose, ai sensi dell’articolo 1, comma 436, della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012).

[2]     Si ricorda che tale riduzione è stata quantificata, a decorrere dall’anno 2012, in 500 milioni di euro per le province e in 2.500 milioni di euro per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti. I comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, non coinvolti dalla riduzione dei trasferimenti erariali di cui al richiamato articolo 14, non operano, pertanto, alcuna riduzione a valere sul saldo programmatico.

[3]     Cfr. l’Allegato n. 4/2 al D.Lgs. n. 118/2011 - aggiunto dal D.Lgs. n. 126/2014 - relativo al “Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria”, nella parte relativa all'accertamento dell'entrata e alla relativa imputazione contabile.

[4]     Con riferimento al riaccertamento dei residui attivi, si ricorda che la nuova formulazione dell’articolo 3 del D.Lgs. n. 118/2011, recante i principi contabili generali e applicati, prevede, al comma 4, il riaccertamento annuale dei residui attivi e passivi per verificare le ragioni del loro mantenimento o la reimputazione all'esercizio nel quale sono esigibili. Possono essere conservati tra i residui attivi solo le entrate accertate esigibili nell'esercizio di riferimento, ma non incassate e tra i residui passivi solo le spese impegnate, liquidate o liquidabili nel corso dell'esercizio, ma non pagate.

[5]     Si tratta di una novità rispetto alla disciplina precedente, che non considerava invece rilevanti ai fini del patto di stabilità interno gli stanziamenti dell’ex “Fondo svalutazione crediti” (l’analogo fondo sostituito dal Fondo crediti di dubbia esigibilità) in quanto “non impegnabili”. Sul punto la Circolare n. 6 del 2014, relativa all’applicazione del patto di stabilità per il 2014, ribadiva espressamente che il valore relativo agli impegni di spesa del Titolo I del bilancio di previsione degli enti locali non considera, per definizione, il “fondo svalutazione crediti” in quanto l'importo accantonato, secondo i principi contabili allora vigenti, «non va impegnato, confluendo in tal modo, a fine esercizio, nel risultato di amministrazione quale fondo vincolato». Ne conseguiva, pertanto, che lo stesso, non dando luogo a impegni e confluendo nell'avanzo di amministrazione accantonato per tale finalità, non rilevava ai fini del patto di stabilità interno.

[6]     Vale a dire, nel caso in esame, un allentamento dei vincoli del patto di stabilità mediante una diminuzione dell’obiettivo di saldo dello stesso; ciò consentirà ai comuni l’effettuazione di maggiori spese, per l’importo che sarà ad essi autorizzato in base alla procedura prevista dai commi in esame, senza con ciò sforare il saldo-obiettivo.

[7]     Si ricorda che una delle misure sanzionatorie previste nelle ipotesi di mancato rispetto del patto dal comma 26 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011, consiste proprio nella riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato. Tale sanzione si applica anche nei confronti degli enti locali della Regione Siciliana e della Sardegna, che ancora beneficiano di trasferimenti erariali.

[8]     Si ricorda che sulla base delle direttive europee - Direttiva 2011/7/UE (sostitutiva della precedente Direttiva 2000/35/CE) - relative ai ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali concernenti contratti di fornitura di beni e servizi sia tra privati che tra privati e pubbliche amministrazioni, recepite nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, poi successivamente modificato dal Decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, i termini ordinari per il pagamento per le transazioni commerciali in cui la parte debitrice è una pubblica amministrazione sono fissati in 30 giorni (termine prorogabile fino a 60 giorni solo in presenza di determinate condizioni).

[9]     Per ente capofila si intende l’ente responsabile del servizio associato: nel caso di esercizio associato di funzioni tramite convenzione, l’ente capofila è il comune presso il quale sono situate gli uffici comuni per l’esercizio di tali funzioni, o il comune delegato dagli altri all’esercizio della funzione, nel caso di attivazione della possibilità, prevista dal testo unico degli enti locali di utilizzare uffici comuni o di delegare l’esercizio delle funzioni da parte dei comuni partecipanti alla convenzione a favore di uno di essi (art. 30, comma 4, TUEL).

[10]   Nonché dei trasferimenti erariali per le province della regione Siciliana e della regione Sardegna.

[11]   Si ricorda che per i comuni, a seguito della soppressione del Fondo sperimentale di riequilibrio comunale disposta ai sensi dell’articolo 1, comma 380, della legge n. 228/2012, la riduzione delle risorse deve intendersi riferita al Fondo di solidarietà comunale.

[12]   Quindi, come specificato nella Relazione tecnica allegata, nel rispetto dei vincoli finanziari di cui all’art. 9, c. 28, del D.L. 78/2010, il quale ha disposto che, a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello Stato e ulteriori enti pubblici ivi indicati possano avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. Lo stesso comma, così come novellato dall’art. 3, c. 6, del D.L. 101/2013, introduce una deroga al predetto limite posto alle assunzioni di personale, prevedendone la disapplicazione per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), nei limiti di 50 unità di personale ed esclusivamente per lo svolgimento dell'attività di vigilanza sui concessionari della rete autostradale. Lo stesso comma precisa che la deroga si giustifica al fine di assicurare la continuità della citata attività di vigilanza, ai sensi dell'art. 11, comma 5, secondo periodo, del D.L. 216/2011, che ha trasferito al MIT tale attività in seguito alla soppressione dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali. Si ricorda che gli artt. 3, c. 9, lett. b), e 11, c. 4-bis e c. 4-ter, del D.L. 90/2014 hanno introdotto ulteriori deroghe a quanto stabilito dal citato c. 28 dell’art. 9 del D.L. 78/2010 disponendo che tali limiti non si applicano:

§  anche con riferimento ai lavori socialmente utili, ai lavori di pubblica utilità e ai cantieri di lavoro, nel caso in cui il costo del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell'Unione europea. Nell'ipotesi di cofinanziamento, i limiti medesimi non si applicano con riferimento alla sola quota finanziata da altri soggetti;

§  agli enti locali in regola con l'obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell'art. 1 della L. 296/2006 nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente;

§  nei confronti dei comuni colpiti dal sisma del 20 e del 29 maggio 2012 a decorrere dall'anno 2013 e per tutto il periodo dello stato di emergenza.

[13]   Si ricorda che l’istituto giuridico del dissesto finanziario degli enti locali, che qui non si dettaglia, si ha se l'ente non può garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte (titolo VIII della parte II del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, emanato con il D.Lgs. n. 267/2000).

[14]   Si ricorda che con la legge di stabilità per il 2015 è stato introdotto per le regioni a statuto ordinario il vincolo del pareggio di bilancio quale nuova modalità di contenimento della spesa pubblica, in luogo del patto di stabilità interno incentrato sull'osservanza di un limite posto alle spese finali.

[15]   Si ricorda che l’istituto giuridico del dissesto finanziario degli enti locali, che qui non si dettaglia, si ha se l'ente non può garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte (titolo VIII della parte II del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, emanato con il D.Lgs. n. 267/2000).

[16]   Società per gli studi di settore - SOSE Spa, istituita.

[17]   In quanto, si ricorda, che per tali comuni – contrariamente a quanto avviene nelle altre regioni a statuto speciale - la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato.

[18]   Si ricorda che sulla base delle direttive europee - Direttiva 2011/7/UE (sostitutiva della precedente Direttiva 2000/35/CE) - relative ai ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali concernenti contratti di fornitura di beni e servizi sia tra privati che tra privati e pubbliche amministrazioni, recepite nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, poi successivamente modificato dal Decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, i termini ordinari per il pagamento per le transazioni commerciali in cui la parte debitrice è una pubblica amministrazione sono fissati in 30 giorni (termine prorogabile fino a 60 giorni solo in presenza di determinate condizioni).

[19]   Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione.

[20]   Recante “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”.

Si ricorda che il decreto legislativo n. 231/2002 è stato ampiamente modificato dal D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192, che ha recepito nel nostro ordinamento la Direttiva 2011/7/UE (sostitutiva della precedente direttiva 2000/35/CE) relativa ai ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali concernenti contratti di fornitura di beni e servizi sia tra privati che tra privati e pubbliche amministrazioni.

[21]   Recante il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.

[22]   L’avanzo destinato è una delle quattro quote in cui si suddivide l’avanzo di amministrazione, costituite dall’avanzo libero, destinato, vincolato, accantonato.

[23]   Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al D.Lgs. n. 267/2000, come modificato dal D.Lgs. n. 118/2011.

[24]   Inoltre, le previsioni di competenza relative alle spese correnti sommate alle previsioni di competenza relative ai trasferimenti in c/capitale, al saldo negativo delle partite finanziarie e alle quote di capitale delle rate di ammortamento dei mutui e degli altri prestiti, con l’esclusione dei rimborsi anticipati, non possono essere complessivamente superiori alle previsioni di competenza dei primi tre titoli dell’entrata, ai contribuiti destinati al rimborso dei prestiti e all’utilizzo dell’avanzo di competenza di parte corrente e non possono avere altra forma di finanziamento, salvo le eccezioni tassativamente indicate nel principio applicato alla contabilità finanziaria necessarie a garantire elementi di flessibilità degli equilibri di bilancio ai fini del rispetto del principio dell’integrità.

[25]   Termine che per il 2015 è stabilito al 30 luglio 2015 ( anziché al termine ordinario del 31 dicembre dell’anno precedente), come da ultimo disposto dal D.M. 13 maggio 2015.

[26]   L’articolo 163 dispone altresì che nel corso dell'esercizio provvisorio non è consentito il ricorso all'indebitamento e gli enti possono impegnare solo spese correnti, le eventuali spese correlate riguardanti le partite di giro, lavori pubblici di somma urgenza o altri interventi di somma urgenza. Gli enti possono impegnare mensilmente, unitamente alla quota dei dodicesimi non utilizzata nei mesi precedenti, per ciascun programma, le spese correnti per importi non superiori ad un dodicesimo degli stanziamenti del secondo esercizio del bilancio di previsione deliberato l'anno precedente, ridotti delle somme già impegnate negli esercizi precedenti e dell'importo accantonato al fondo pluriennale vincolato, con l'esclusione delle spese:

a)   tassativamente regolate dalla legge;

b)   non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi;

c)   a carattere continuativo necessarie per garantire il mantenimento del livello qualitativo e quantitativo dei servizi esistenti, impegnate a seguito della scadenza dei relativi contratti.

[27]   Decreto legislativo 23 giugno 2011, n.118, recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

[28]   Più precisamente il punto 2 di tale Allegato stabilisce che:

“Le obbligazioni giuridiche perfezionate sono registrate nelle scritture contabili al momento della nascita dell'obbligazione, imputandole all'esercizio in cui l'obbligazione viene a scadenza. La scadenza dell'obbligazione è il momento in cui l'obbligazione diventa esigibile.

L'accertamento presuppone idonea documentazione e si perfeziona mediante l'atto gestionale con il quale vengono verificati ed attestati i requisiti anzidetti e con il quale si da atto specificamente della scadenza del credito in relazione a ciascun esercizio finanziario contemplato dal bilancio di previsione.

L'iscrizione della posta contabile nel bilancio avviene in relazione al criterio della scadenza del credito rispetto a ciascun esercizio finanziario. L'accertamento delle entrate è effettuato nell'esercizio in cui sorge l'obbligazione attiva con imputazione contabile all'esercizio in cui scade il credito

Per i crediti di dubbia e difficile esazione accertati nell'esercizio è effettuato un accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità, vincolando una quota dell'avanzo di amministrazione.”

[29]   Come si legge nell’Allegato 4/2, punto 3.1:,

“Un'entrata derivante dall'assunzione di prestiti è accertata nel momento in cui è stipulato il contratto di mutuo o prestito (anche obbligazionario, ove consentito dall'ordinamento) o, se disciplinata dalla legge, a seguito del provvedimento di concessione del prestito. L'accertamento è imputato all'esercizio nel quale la somma oggetto del prestito è esigibile (quando il soggetto finanziatore rende disponibile le somme oggetto del finanziamento).

Generalmente, nei mutui tradizionali la somma è esigibile al momento della stipula del contratto o dell'emanazione del provvedimento.

Considerato che, nel rispetto del principio della competenza finanziaria, i correlati impegni relativi alle spese di investimento sono imputati all'esercizio in cui le relative obbligazioni sono esigibili, l'inerenza tra l'entrata accertata a titolo di indebitamento e la relativa spesa finanziata è realizzata attraverso appositi accantonamenti al fondo pluriennale vincolato. Nel caso in cui le leggi consentano agli enti di indebitarsi in relazione ad obbligazioni già scadute contabilizzate in esercizi precedenti non si dà luogo all'istituzione del fondo pluriennale vincolato”.

[30]   In particolare il comma 7, lett. a) prevede la cancellazione dei residui attivi e passivi cui non corrispondono obbligazioni perfezionate e scadute alla data del 1° gennaio 2015. Per ciascun residuo eliminato in quanto non scaduto sono indicati gli esercizi nei quali l'obbligazione diviene esigibile, secondo i criteri individuati nel principio applicato della contabilità finanziaria di cui all'allegato n. 4/2. Per ciascun residuo passivo eliminato in quanto non correlato a obbligazioni giuridicamente perfezionate, è indicata la natura della fonte di copertura.

[31]   Fattispecie che hanno comportato l’introduzione ad opera della legge di stabilità 2015 ( L. n. 190/2014, in particolare i commi 507-509) di alcune disposizioni, che qui non si dettagliano, volte ad attenuare il possibile impatto negativo del nuovo istituto contabile.

[32]   Il comma fa più precisamente riferimento sia alle quote “destinate” del risultato di amministrazione, usualmente costituite da quelle relative ad investimenti, sia alle quote” libere” dello stesso, cioè a quelle risultanti dalla differenza tra il risultato medesimo e le quote destinate.

[33]   Il riaccertamento non avrà pertanto ad oggetto le altre operazioni previste nel comma 7, vale a dire: la conseguente determinazione del fondo pluriennale vincolato da iscrivere in entrata del bilancio dell'esercizio 2015; la variazione del bilancio 2015 e di quello pluriennale 2015-2017 (predisposto con funzione conoscitiva), in considerazione della cancellazione dei residui; la reimputazione delle entrate e delle spese cancellate in attuazione della cancellazione dei residui; l'accantonamento di una quota del risultato di amministrazione al fondo crediti di dubbia esigibilità.

[34]   L'articolo 200 del TUEL prevede le seguenti forme di copertura finanziaria delle spese di investimento imputate agli esercizi successivi:

a)    risorse accertate esigibili nell'esercizio in corso di gestione, confluite nel fondo pluriennale vincolato accantonato per gli esercizi successivi;

b)    risorse accertate esigibili negli esercizi successivi, la cui esigibilità è nella piena discrezionalità dell'ente o di altra pubblica amministrazione;

c)    utilizzo del risultato di amministrazione nel primo esercizio considerato nel bilancio di previsione, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 187. Il risultato di amministrazione può confluire nel fondo pluriennale vincolato accantonato per gli esercizi successivi.

[35]   Tale allegato precisa inoltre che non costituiscono idonee forme di copertura degli investimenti le altre entrate accertate e imputate a esercizi successivi a quello in corso di esercizio, quali i permessi da costruire, in considerazione dell'incertezza che gli accertamenti imputati a esercizi futuri possano tradursi in effettive risorse disponibili per l'ente.

[36]   Che a sua volta fa seguito ai differimenti prima al 31marzo e poi al 31 maggio 2015 disposti dai precedenti decreti ministeriali 24 dicembre 2014 e 13 maggio 2015.

[37]   Si evidenzia che si fa riferimento ai comuni delle sole regioni Sicilia e Sardegna in quanto in queste regioni – contrariamente a quanto avviene nelle altre regioni a statuto speciale - la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato.

[38]   http://finanzalocale.interno.it/apps/floc.php/in/cod/23

[39]   Per l’anno 2013, il D.P.C.M. di riparto delle risorse del Fondo è stato adottato il 13 novembre 2013 (anziché entro la data del 30 aprile 2013, secondo quanto previsto dal comma 380 dell’articolo 1 della legge n. 228/2012). Nelle more della sua definizione si è provveduto all’erogazione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale nella forma di anticipi: un primo acconto è stato erogato alla fine del mese di febbraio 2013, per un importo complessivo pari a 1.566 milioni; un secondo acconto è stato erogato a settembre 2013, per un importo di 2.500 milioni; il D.P.C.M. 13 novembre 2013 ha, poi, disposto il pagamento a saldo sul fondo di solidarietà comunale anno 2013.

Analogamente, per l’anno 2014, il D.P.C.M. di riparto è stato adottato il 1° dicembre 2014. In corso d’anno, un primo anticipo era stato erogato ai comuni con provvedimento del Ministero dell’interno il 10 marzo 2014, ai sensi dell’articolo 8 del D.L. n. 16/2014 (pari, per ciascun comune, al 20 per cento di quanto spettante per l'anno 2013 a titolo di Fondo di solidarietà comunale); un secondo acconto è stato attribuito a settembre 2014, ai sensi dell’articolo 43, comma 4, del D.L. n. 133/2014 (pari, per ciascun comune, al 66 per cento di quanto spettante per l'anno 2014).

[40]   La norma rimanda alla legge di assestamento ovvero ad appositi decreti di variazione del Ministro dell’economia l’adozione delle variazioni compensative, in aumento o in riduzione, della dotazione del Fondo, al fine di tenere conto dell’effettivo gettito IMU derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, che, si ricorda, è ora interamente riservata allo Stato (ai sensi del comma 380, lett. f) della legge n. 228/2012.

[41]   La norma indica specifici fattori cui deve attenersi il D.P.C.M. per il riparto, quali: gli effetti finanziari derivanti dall’abolizione della riserva di gettito IMU stabilita dall’articolo 13, comma 1 del D.L. n. 201/2011 e dalla contestuale attribuzione allo Stato del gettito derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento; la dimensione del gettito dell'imposta municipale propria ad aliquota base di spettanza comunale; la diversa incidenza delle risorse soppresse (di cui al Fondo sperimentale di riequilibrio comunale e ai trasferimenti erariali a favore dei comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna) sulle risorse complessive per l’anno 2012; le riduzioni disposte ai sensi della c.d. spending review, di cui al comma 6 dell'articolo 16 del D.L. n. 95/2012; la soppressione dell’IMU sulle abitazioni principali e l’istituzione della TASI; l'esigenza di limitare le variazioni, in aumento ed in diminuzione, delle risorse disponibili ad aliquota base, attraverso l'introduzione di un'appropriata clausola di salvaguardia. La predetta clausola di salvaguardia opera al netto della quota ripartita sulla base dei fabbisogni standard.

[42]   Tale criterio corrisponde alla metodologia di calcolo delle assegnazioni del Fondo di solidarietà finora utilizzata. Secondo tale criterio, la dotazione del FSC è ripartita sulla base della differenza tra il totale delle risorse storiche di riferimento e la somma tra le entrate IMU ad aliquota base, al netto della quota di alimentazione del FSC, e le entrate da TASI ad aliquota di base. Come esplicitato nella Nota metodologica all’Allegata all’Accordo del 31 marzo, tale modalità di riparto determina per alcuni comuni la necessità di un finanziamento ulteriore del FSC che si aggiunge alla quota di alimentazione fissa basata sull’IMU (pari al 38,2% dell’IMU ad aliquota base). Tale ulteriore contributo identifica una sorta di” prelievo negativo” sul FSC che contribuisce ad alimentare l’ammontare complessivo del Fondo. Nel 2014, i c.d. prelievi negativi risultano pari a oltre 147 milioni di euro.

[43]   Recante “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”. Si ricorda che il decreto legislativo n. 231/2002 è stato ampiamente modificato dal D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192, che ha recepito nel nostro ordinamento la Direttiva 2011/7/UE (sostitutiva della precedente direttiva 2000/35/CE) relativa ai ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali concernenti contratti di fornitura di beni e servizi sia tra privati che tra privati e pubbliche amministrazioni.

[44]   Si ricorda che per i comuni, a seguito della soppressione del Fondo sperimentale di riequilibrio comunale disposta ai sensi dell’articolo 1, comma 380, della legge n. 228/2012, la riduzione delle risorse deve intendersi riferita al Fondo di solidarietà comunale.

[45]   Come risulta dalla Relazione tecnica, dai dati del Conto annuale 2013 emerge che i dipendenti delle province delle regioni a statuto ordinario in posizione di comando presso altre amministrazioni sono pari a 471 unità.

[46]   Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 8 gennaio 2003, n. 2 (Comportamenti di rilievo penale e posizione di comando del dipendente pubblico – nota di Rossella Bocci) ,in “Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni”, n. 1, an.2003.

[47]   Si ricorda che l’art. 14, c. 27, lett. h), del D.L. 78/2010 (L. 122/2010), come modificato, in particolare, dall’art. 19, c. 1, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012), nel definire a regime le funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lett. p), Cost., ha attribuito agli stessi, tra l’altro, le competenze relative alla “organizzazione e gestione dei servizi scolastici”.

[48]   Al riguardo, la Corte dei conti, Sez. Autonomie (N.19 /SEZAUT/2015) ha affermato che “se l’ente deve coprire un posto di organico per il quale è prevista una specifica e legalmente qualificata professionalità, eventualmente attestata da titoli di studio precisamente individuati – in quanto tale assunzione è necessaria per garantire l’espletamento di un servizio essenziale, alle cui prestazioni la predetta professionalità è strettamente e direttamente funzionale - non potrà ricollocare in quella posizione unità soprannumerarie sprovviste di tale requisiti. E se questa dovesse essere l’unica esigenza di organico da soddisfare nell’arco del biennio considerato dalla norma, una volta constatata l’inesistenza di tali professionalità tra le unità soprannumerarie da ricollocare, l’ente potrà procedere ad assumere nei modi ordinari”.

[49]   Sul punto, si ricorda che la Circolare del 29 gennaio 2015, n. 1 del Dipartimento della funzione pubblica, nel definire le linee guida per l’attuazione delle disposizioni in materia di personale e di altri profili connessi al riordino delle funzioni delle province e delle città metropolitane, dispone che, nelle more del completamento del procedimento di cui ai commi 424 e 425 della L. 190/2014 alle amministrazioni individuate è fatto divieto di effettuare assunzioni a tempo indeterminato a valere sui budget 2015 e 2016.

[50]   L’articolo 76, comma 7, del D.L. 112/2008 (così come da ultimo modificato dall’articolo 1, comma 558, della L. 147/2013) stabiliva il divieto, per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale fosse pari o superiore al 50% delle spese correnti, di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti potevano procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 40% della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Specifici limiti erano poi previsti per il personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale. Ai fini del computo della richiamata percentuale venivano calcolate le spese sostenute anche dalle aziende speciali, dalle istituzioni e società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero con funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero svolgenti attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica (tali disposizioni non si applicavano alle società quotate su mercati regolamentati). Inoltre, si disponeva che con apposito D.P.C.M., da adottare entro il 30 giugno 2014, potesse essere modificata la richiamata percentuale, al fine di tenere conto degli effetti del computo della spesa di personale in termini aggregati. Per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale fosse pari o inferiore al 35% delle spese correnti erano ammesse, in deroga al citato limite del 40% e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turn over in grado di consentire l'esercizio di specifiche funzioni.

[51]   Recante “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”. Si ricorda che il decreto legislativo n. 231/2002 è stato ampiamente modificato dal D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192, che ha recepito nel nostro ordinamento la Direttiva 2011/7/UE (sostitutiva della precedente direttiva 2000/35/CE) relativa ai ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali concernenti contratti di fornitura di beni e servizi sia tra privati che tra privati e pubbliche amministrazioni.

[52]   Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali.

[53]   In particolare, l’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 102/2013, che ha operato una rimodulazione delle risorse complessive del Fondo per gli anni 2013 e 2014, ha ridefinito la dotazione della Sezione enti locali, incrementandola per l’anno 2013 a 3,4 miliardi e riducendola a 189 milioni di euro per il 2014. Ai sensi del comma 8 del medesimo articolo 13, la dotazione per il 2014 della Sezione enti locali è stata poi nuovamente incrementata di 2 miliardi, a seguito del riparto effettuato con il D.M. 10 febbraio 2014 dell’incremento di risorse del Fondo disposto dal D.L. n. 102.

[54]   Le disponibilità della Sezione enti locali per l’anno 2013 sono state ridotte di 35 milioni di euro dall’articolo 2, comma 3, del D.L. n. 120/2013 a parziale copertura dell’aumento delle disponibilità del Fondo di solidarietà comunale per il medesimo anno.

[55]   Le disponibilità della Sezione enti locali per l’anno 2014 sono state ridotte di 75 milioni di euro dall’articolo 11, comma 8, del D.L. n. 91/2013, a copertura degli oneri derivanti dall'istituzione del Fondo rotativo per la concessione di finanziamenti alle fondazioni lirico sinfoniche.

[56]   Organo composto da un singolo commissario per i comuni con popolazione sino a 5.000 abitanti, e composto invece da una commissione di tre membri per i comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti e per le province.

[57]   Si ricorda, in particolare, l’art. 8, comma 2, lett. a) e b), del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174 per quel che concerne i termini per operare le riduzioni; poi l'art. 1, commi 119 e 121, della L. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), per l’incremento, a decorrere dal 1° gennaio 2013, delle riduzioni stesse e per la definizione di nuovi i criteri per il riparto tra le province delle riduzioni di spesa; da ultimo, l'art. 10, comma 1, lett. a) e b), del D.L. 8 aprile 2013, n. 35, per quel che concerne i criteri di riparto delle riduzioni relative agli anni 2013 e 2014 per i comuni.

[58]   Il SIOPE (istituito dall’articolo 28 della legge n. 289/2002) consiste in un sistema di rilevazione telematica di tutte le operazioni di riscossione e di pagamento effettuate dai tesorieri e dai cassieri delle amministrazioni pubbliche, rese omogenee attraverso un sistema di codificazione uniforme per tipologia di enti, che permette di rilevare in tempo reale le informazioni sui flussi di cassa delle amministrazioni, anche al fine di migliorare la conoscenza dei conti pubblici nazionali e garantire la rispondenza dei conti pubblici alle condizioni previste dall'art. 104 del trattato istitutivo della Comunità Europea, relativo alla procedura sui disavanzi eccessivi.

[59]   La determinazione degli importi delle riduzioni del Fondo di solidarietà comunale, da ultimo, per l’anno 2014 è stata effettuata con il D.M. Interno 3 marzo 2014.

[60]   La riduzione delle risorse per l’anno 2012, in mancanza della deliberazione della Conferenza Stato città ed autonomie locali, è stata effettuata con D.M. Interno 25 ottobre 2012, in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi nell’anno 2011, sulla base dei dati di pagamento desunti dal SIOPE.

[61]   Anticipazione prevista dal comma 13 dell’articolo 1 del decreto-legge n.35 del 2013.

[62]   Come si è già esposto nell’illustrare l’articolo 2 del decreto-legge in esame, l'articolo 243-bis del TUEL consente ai comuni e alle province per i quali sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario di ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale. Il consiglio dell'ente locale, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della citata deliberazione, delibera un piano di riequilibrio finanziario pluriennale della durata massima di dieci anni. Il piano di riequilibrio finanziario pluriennale deve necessariamente contenere: a) le eventuali misure correttive adottate dall'ente locale in considerazione dei comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno; b) la puntuale ricognizione, con relativa quantificazione, dei fattori di squilibrio rilevati, dell'eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall'ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio; c) l'individuazione, con relative quantificazione e previsione dell'anno di effettivo realizzo, di tutte le misure necessarie per ripristinare l'equilibrio strutturale del bilancio e per l'integrale ripiano del disavanzo di amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio entro il periodo massimo di dieci anni; d) l'indicazione, per ciascuno degli anni del piano, della percentuale di ripiano del disavanzo di amministrazione da assicurare e degli importi previsti o da prevedere nei bilanci annuali e pluriennali per il finanziamento dei debiti fuori bilancio.

[63]   La decorrenza è dal 6 marzo 2014, atteso che il comma 568-bis è stato inserito nella legge di stabilità 2014 ad opera del decreto-legge 6 marzo 2014, n.16 (convertito dalla legge n.68/2014).

[64]   L’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. sul pubblico impiego, D.Lgs. n. 165/2001 definisce amministrazioni pubbliche tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. di riforma dell’organizzazione del Governo, D.Lgs. n. 300/1999.

[65]    L’articolo 2437-ter, secondo comma del codice civile dispone che il valore di liquidazione delle azioni della società è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni.

[66]   Il comma usa genericamente il termine enti, che tuttavia, alla luce del riferimento della norma ai commi 611 e 612 della legge di stabilità 2015 è necessariamente riferito agli enti locali e territoriali cui si applicano tali due commi.

[67]   Il cui comma 29 si riferisce (rinviando al comma 27) alle partecipazioni in” società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”.

[68]   Dal 1° gennaio 2015 è in vigore l’ADR 2015

(http://www.unece.org/fileadmin/DAM/trans/danger/publi/adr/adr2015/ADR2015e_WEB.pdf).

[69]   http://www.iss.it/binary/ampp/cont/Ecotx_rf.pdf

[70]   In sostanza, in accordo con le Istituzioni europee, fermo restando l’importo, in valori assoluti, del finanziamento comunitario dei Programmi Operativi in ritardo di attuazione, l’intervento comunitario viene ad assumere un peso percentuale maggiore (da 50 al 75 per cento) consentendo la riduzione della quota percentuale di cofinanziamento nazionale (dal 50 al 25 per cento).

[71]   L’art. 16, c. 1, del D.Lgs. 252/2005 ha previsto, per le contribuzioni o somme versate a favore di forme pensionistiche complementari da parte dei datori di lavoro (diverse da quella costituita dalla quota di accantonamento al TFR), l’assoggettamento ad un contributo di solidarietà pari al 10%.

[72]   In base al quale il trattamento di fine rapporto, con esclusione della quota maturata nell'anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall'ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente. Per l’applicazione del suddetto tasso di rivalutazione per frazioni di anno, l'incremento dell'indice ISTAT è quello del mese di cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di dicembre dell'anno precedente. Le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero.

[73]   Decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante “Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali”, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64.

[74]   Tale disciplina non si applica ai dipendenti assicurati per responsabilità civile ai sensi dell'art. 43, comma 1 del medesimo Accordo.

[75]   Secondo la sezione della Corte, i presupposti per ottenere il diritto al rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente sono i seguenti: 1) nesso di causalità tra esercizio delle attribuzioni affidate e fatti penalmente rilevanti; 2) gradimento dell'ente sulla scelta del difensore; 3) assenza di conflitto di interessi; 4) conclusione del procedimento con sentenza definitiva di assoluzione con formula piena o liberatoria che escluda la sussistenza del dolo o colpa grave. Tali presupposti, sono applicabili, in quanto riconducibili a varie disposizioni del contratto di mandato, anche ai fini del rimborso delle spese legali in favore degli amministratori, con l'eccezione del requisito della conclusione del procedimento con sentenza definitiva di assoluzione.

[76]   Decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante “Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali”, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64.

[77]   Convertito in legge dalla L. n.124 del 2013.

[78]   Convertito in legge dalla L. n.89 del 2014.

[79]   Per tale anno va aggiunto anche un importo di 2 miliardi di euro, stanziato dall’articolo 31 del decreto-legge n.66/2014 al fine esclusivo del pagamento dei debiti degli enti locali nei confronti delle società dagli stessi partecipate.

[80]   Che possono essere presentate anche dagli enti che non abbiano finora richiesto anticipazioni di liquidità ai sensi dei precedenti provvedimenti.

[81]   Nel comma 3 dell’articolo 2 di tale provvedimento si dispone che all’erogazione delle somme si provvede a seguito: a) della predisposizione, da parte regionale, di misure, anche legislative, idonee e congrue di copertura annuale del rimborso dell'anticipazione di liquidità, maggiorata degli interessi; b) della presentazione di un piano di pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili, alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine; c) della sottoscrizione di apposito contratto tra il Ministero dell'economia e delle finanze e la regione interessata, nel quale sono definite le modalità di erogazione e di restituzione delle somme, comprensive di interessi e in un periodo non superiore a 30 anni.

[82]   Tavolo coordinato dal Ragioniere generale dello Stato e composto dal Capo Dipartimento degli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri; b) dal Direttore generale del Tesoro e dai segretari delle Conferenze Stato- Regioni e di quella delle regioni.

[83]   Convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 9 agosto 2013, n. 99.

[84]   Come si è già esposto in relazione a precedenti norme del presente provvedimento, l'articolo 243-bis del TUEL consente ai comuni e alle province per i quali sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario di ricorrere, con deliberazione consiliare, alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale. Il consiglio dell'ente locale, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della citata deliberazione, delibera un piano di riequilibrio finanziario pluriennale della durata massima di dieci anni. Il piano di riequilibrio finanziario pluriennale deve necessariamente contenere: a) le eventuali misure correttive adottate dall'ente locale in considerazione dei comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno; b) la puntuale ricognizione, con relativa quantificazione, dei fattori di squilibrio rilevati, dell'eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall'ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio; c) l'individuazione, con relative quantificazione e previsione dell'anno di effettivo realizzo, di tutte le misure necessarie per ripristinare l'equilibrio strutturale del bilancio e per l'integrale ripiano del disavanzo di amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio entro il periodo massimo di dieci anni; d) l'indicazione, per ciascuno degli anni del piano, della percentuale di ripiano del disavanzo di amministrazione da assicurare e degli importi previsti o da prevedere nei bilanci annuali e pluriennali per il finanziamento dei debiti fuori bilancio.

[85]   L'articolo 1 del decreto-legge 35 del 2013 contiene 23 commi tra i quali andrebbero estrapolati, secondo la disposizione del decreto-legge in esame, quelli che fanno riferimento alle "procedure" e che siano in connessione con "i criteri, i tempi e le modalità per la concessione e la restituzione" delle somme destinate agli enti locali. Inoltre non dovrebbe trattarsi delle procedure per l'emanazione del decreto ministeriale atteso che il comma in esame ne reca già la disciplina, fissandone il termine e prevedendo il preventivo parere della Conferenza Stato-città.

[86]   Con una apposita comunicazione ai fornitori ex INEA, questi sono stati informati che nella fase transitoria di incorporazione e creazione del nuovo ente è stato disposto di provvedere al pagamento delle sole spese obbligatorie ed indifferibili e che pertanto i pagamenti potranno essere effettuati solo dopo l'avvenuta "migrazione" dei dati contabili del bilancio INEA nel nuovo bilancio del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria.

[87]   Il nuovo assetto prevede, distribuiti in tutto il territorio nazionale, 12 Centri di ricerca - ciascuno con una o più sedi di cui

6 disciplinari: - genomica e bioinformatica, - agricoltura e ambiente, - difesa e certificazione, - ingegneria e trasformazioni agroalimentari, - alimenti e nutrizione,- politiche e bioeconomia

6 di filiera: - cerealicoltura e colture industriali, - colture arboree - cioè alberi da frutta, agrumi e olivo- viticoltura ed enologia, - orticoltura e florovivaismo, - zootecnia e acquacoltura, - foreste e produzioni del legno

[88]   Pertanto, a legge di bilancio 2015-2017, il capitolo 2083/MIPAAF relativo al contributo ordinario statale a favore del CRA reca uno stanziamento di 1,568 milioni di euro per il 2015, di 0,57 milioni di euro per il 2016 e di 0,56 milioni di euro per il 2017 e successivi Si consideri infine che il capitolo 2084/MIPAAF espone poi lo stanziamento (spese di natura obbligatoria non determinate dalla Tabella C, ma direttamente iscritte a bilancio) da assegnare al CRA per le spese del personale e degli organi. Lo stanziamento a legge di bilancio 2015-2017 è pari a 94,8 milioni per il 2015 a 94,5 milioni per il 2016 e a 95,3 milioni per il 2017.

[89]   In particolare, INEA è beneficiario delle risorse destinate ad enti ed istituti di ricerca di cui alla legge n. 454/1995, che, per quanto attiene agli enti vigilati dal Mipaaf, sono allocate complessivamente sul capitolo 2200/MIPAAF. Per l’anno 2014, sulla base dello schema di D.M. di riparto di tali risorse, INEA è stato assegnatario di 466,9 mila di euro, la quasi totalità delle risorse del cap. 2200 (587 mila euro per il 2014).

Il cap. 2200/MIPAAF reca a bilancio 2015-2017, la somma di 421,9 mila di euro per il 2015, di 380,9 mila euro per il 2016 e di 379,6 mila euro per il 2017.

Inoltre, sul cap. 2081/pg.2/MIPAAF iscritto il contributo straordinario statale all’INEA. A Bilancio di previsione 2015-2017 tale capitolo espone uno stanziamento pari a 9,8 milioni per ciascuno degli anni 2015-2017.

[90]   Il Fondo è iscritto sul capitolo di bilancio 7398/pg.1/MIPAAF.

[91]   Il Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti certi, liquidi ed esigibili, si rammenta, è stato istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, dall’articolo 1, comma 10, del D.L. 8 aprile 2013, n. 35, al fine di assicurare alle regioni e agli enti locali la liquidità necessaria ai suddetti pagamenti di debiti maturati alla data del 31 dicembre 2012, con obbligo di restituzione. Il Fondo è ripartito in tre Sezioni, destinate, rispettivamente, al pagamento dei debiti degli enti locali, delle regioni (debiti non sanitari) e degli enti del Servizio Sanitario nazionale. Quanto alle risorse specifiche della “Sezione enti locali”, la sua dotazione finanziaria (inizialmente stabilità dall’articolo 1, comma 10, del D.L. n. 35/2013 in 1,8 miliardi di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014) è stata rideterminata ai sensi del D.L. n. 102/2013 e del D.L. n. 66/2014, in 3,4 miliardi per l'anno 2013 e in 5,2 miliardi per l'anno 2014.

[92]   Decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante “Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali”, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64.

[93]   Il comma 3 dell’articolo 31 dispone in proposito che Il saldo finanziario tra entrate finali e spese finali calcolato in termini di competenza mista è costituito dalla somma algebrica degli importi risultanti dalla differenza tra accertamenti e impegni, per la parte corrente, e dalla differenza tra incassi e pagamenti, per la parte in conto capitale, al netto di alcune poste di entrata.

[94]   Per completezza, si ricorda che l’art. 13, co. 1, della L. 104/1992 stabilisce – in analogia con quanto dispone l’art. 315 del D.Lgs. 297/1994 – che l'integrazione scolastica della persona con disabilità si realizza anche attraverso la programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi, sportivi e con altre attività sul territorio gestite da enti pubblici o privati. A tale scopo gli enti locali, gli organi scolastici e le unità sanitarie locali, nell'ambito delle rispettive competenze, stipulano accordi di programma.

[95]   Di cui articolo 6, comma 2, del decreto-legge 154/2008.

[96]   Si ricorda che l’art. 2 del D.Lgs. n. 194 del 2010, recante “Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d'Aosta in materia di trasporto ferroviario”, ha attribuito alla Regione i servizi di trasporto ferroviario disciplinati con contratto di servizio nazionale, erogati sulle direttrici Aosta/Pre-Saint-Didier, Aosta/Torino e su ogni altra tratta che insistesse sul territorio regionale ed ha previsto che entro dodici mesi (dal 9 dicembre 2010), con accordo di programma tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Dipartimento della pubblica amministrazione e innovazione e la Regione, dovessero essere individuate le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie a garantire un livello di erogazione dei servizi almeno pari a quello delle regioni vicine e che tra le risorse finanziarie dovessero essere individuate separatamente le risorse necessarie per l'erogazione del servizio di trasporto e il corrispettivo per il complesso delle prestazioni fornite dal Gestore dell'infrastruttura ferroviaria (RFI).

[97]   Sul punto nell’accordo Stato-regione del 21 luglio le parti convengono che la compensazione della perdita di gettito in questione sia regolata in via definitiva con successivo e separato accordo.

[98]   Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione.

[99]   Disciplinato dall’articolo 1, commi 122-125, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013), come successivamente novellato dall’articolo 1-bis del D.L. n. 35/2013 e dall'articolo 1, commi 541-542 della legge 147/2013 (legge di stabilità 2014).

[100]  Accordo tra Governo e Regioni concernente: a) determinazione, per gli anni 2013 e 2014, del concorso finanziario delle Regioni a Statuto ordinario di cui all’articolo 16, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.135; b) ripartizione, per gli anni 2013 e 2014, degli importi degli spazi finanziari ceduti dalle singole Regioni e attribuiti ai comuni ed alle province ricadenti nel proprio territorio indicati nella tabella 1 allegata all’articolo 1, comma 122, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 e successive modificazioni (legge di stabilità 2013). Repertorio atti n. 101/CSR dell’11 luglio 2013.

[101]  Si ricorda che a partire dal 2009, a fine di rendere più sostenibili gli obiettivi degli enti soggetti ai vincoli del patto di stabilità, sono state introdotte nell'ordinamento una serie di misure di flessibilità (i c.d. patti di solidarietà fra enti territoriali) - sia a livello regionale, con la cosiddetta regionalizzazione orizzontale e verticale del patto di stabilità, che a livello nazionale, con il patto orizzontale nazionale tra comuni - che sono andate ad affiancare e ad integrare la disciplina nazionale del patto. In particolare, attraverso le compensazioni orizzontali e verticali a livello regionale si consente alle regioni di intervenire a favore degli enti locali del proprio territorio, attraverso una rimodulazione degli obiettivi finanziari assegnati ai singoli enti e alla regione medesima – fermo restando il rispetto degli obiettivi complessivi posti dal legislatore ai singoli comparti - al fine di consentire agli enti locali di poter disporre di maggiori margini per l'effettuazione di spese senza incorrere nella violazione del patto.

[102]  Tra gli swap, l’interest rate swap (IRS) è la tipologia di derivato più diffusa presso le amministrazioni territoriali. L’interest rate swap è un contratto bilaterale con cui le parti, al fine di gestire il rischio di tasso di interesse o di ridurre il costo finale del debito, prevedono di scambiarsi, per tutta la durata del contratto, flussi periodici di interessi calcolati su una determinata somma di denaro presa a riferimento (denominata capitale nozionale di riferimento): una parte riceve un flusso di interesse a tasso fisso e corrisponde alla controparte un importo periodico di interessi a tasso variabile, indicizzato e incrementato di uno spread. L’ente territoriale che corrisponde il tasso variabile, trasforma una passività a tasso fisso (come è, prevalentemente, il caso del debito degli enti locali) in una a tasso variabile, al fine di sfruttare un ribasso dei tassi di mercato e realizzare, pertanto, una operazione volta a minimizzare il costo del debito; viceversa, nel caso sia l’Ente a pagare il tasso fisso, si trasforma una passività a tasso variabile in una a tasso fisso: scopo principale dell’operazione, in questo caso, sarà la riduzione dell’esposizione ai rischi di mercato derivanti da un rialzo dei tassi di interesse.

A questa forma contrattuale base, denominata anche Plain vanilla, possono essere aggiunte ulteriori termini, tra cui il collar, ovvero la clausola che limita le oscillazioni del tasso d’interesse variabile all’interno di un valore minimo (floor) o massimo (cap), mentre non sono ammesse le opzioni "digitali", ovvero le ulteriori condizioni contrattuali che, al verificarsi di determinati eventi, moltiplicano il valore dei flussi finanziari che una parte deve corrispondere all'altra.

[103]  Il Fondo è stato istituito nell'ambito del Ministero del tesoro presso la Ragioneria generale dello Stato “Ispettorato generale rapporti con l’Unione europea – IGRUE”, con le caratteristiche di fondo di rotazione con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio.

[104]  La norma detta poi, ai commi 5 e seguenti, le specifiche modalità di esercizio del diritto di rivalsa che può essere esercitato in modo differente, a seconda che l’obbligato sia un ente territoriale, ovvero un ente od organismo pubblico diverso assoggettato al sistema di tesoreria unica, ovvero altro ente.

[105]  Sulla situazione attuativa del federalismo fiscale per quanto concerne la fiscalità regionale si rinvia, da ultimo, all’audizione del prof. Zanardi, membro dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, tenutasi presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale nella seduta del 22 gennaio 2015.

[106]  Ai sensi della quale: - la misura delle aliquote di compartecipazione può essere rideterminata annualmente, al fine di garantire la compensazione dei trasferimenti soppressi, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e finanze, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni; - la base imponibile cui applicare l’aliquota di compartecipazione IVA corrisponde al gettito IVA complessivo realizzato nel penultimo anno precedente a quello in considerazione, al netto di quanto devoluto alle regioni a statuto speciale e delle risorse UE

[107]  Sulla natura dei trasferimenti da sopprimere, la norma fornisce le seguenti indicazioni:

§  devono avere carattere di generalità e permanenza;

§  sono quelli destinati al finanziamento dell'esercizio delle competenze regionali, compresi quelli destinati all'esercizio di funzioni da parte di province e comuni.

[108]  Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell'articolo 6 della L. 30 novembre 1998, n. 419.

[109]  In particolare il comma 1 dell’art. 8 prevede, fatte salve le forme particolari di autonomia statutaria spettanti alle stesse università non statali, l’applicazione dei protocolli d'intesa tra Regioni e Università per disciplinare gli ambiti operativi-organizzativi, senza che sia possibile alcuna deroga alle disposizioni in materia di personale.

[110]  Le Università non statali legalmente riconosciute in Italia sono in totale 24 e possono ricevere, in base alla L. 243 del 1991, contributi dello Stato presentando annualmente al MIUR, il bilancio preventivo dell’esercizio in corso, quello consuntivo dell’anno precedente e una relazione sulla struttura e sul finanziamento dell’università medesima, con l’indicazione di specifici dati statistici e informativi.

[111]  Ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche e degli istituti universitari di ricovero e cura.

[112]  Previsti, rispettivamente, all’articolo 19 e 23 della L. 132/1968 che disciplina gli enti ospedalieri e l’assistenza ospedaliera.

[113]  Peraltro, i policlinici universitari, in quanto rientranti nella definizione giuridica di pubblica amministrazione sono destinatari della specifica norma di cui all’art. 1, comma 1, del D.L. n. 95/2012 (L. n. 135/2012), che impone la valutazione di convenienza quale presupposto per l’adesione alle convenzioni CONSIP.

[114]  Relativa ad un ricorso proposto dal CINECA contro la società Be Smart Srl, nei confronti dell’Università degli Studi di Reggio Calabria, per la riforma della sentenza del TAR Calabria-Catanzaro (Sez. II) n. 1186 del 2014.

[115]  Poiché in questo caso non vi sarebbe un rapporto di alterità sostanziale, ma solo formale, sicché non si tratterebbe, nella sostanza, di un effettivo “ricorso al mercato” (outsourcing), bensì di una forma di “autoproduzione” o comunque di erogazione di servizi pubblici “direttamente” ad opera dell’amministrazione, attraverso strumenti “propri” (in house providing).

[116]  Si fa riferimento, in particolare, alle previsioni statutarie che stabiliscono le prerogative del MIUR, significativamente più estese rispetto a quelle riconosciute agli altri consorziati: la presenza di un rappresentante del MIUR in tutti gli organi direttivi del CINECA (il Consiglio consortile — art. 7, co. 1, lett. b; il Consiglio di Amministrazione — art. 11, co. 1, lett. d; il Collegio dei revisori dei conti — art. 13, co. 1); la possibilità di assumere le più importanti deliberazioni del Consiglio consortile solo con il voto favorevole del rappresentante del MIUR, che, pertanto, dispone di una sorta di diritto di veto (art. 7, co. 5 e art. 8, co. 1, lett. l); il potere attribuito al MIUR di disporre lo scioglimento degli organi consortili, per gravi inadempienze o perdite (art. 20). A termini di legge, al MIUR è, poi, riservato il potere di approvare lo Statuto del CINECA (art. 61 del R.D. 1592/1933), nonché le sue modifiche.

[117]  Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111/2011.

[118]  Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135/2012.

[119]  Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189/2012.

[120]  Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111/2011.

[121]  Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135/2012.

[122]  Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 64/2013.

[123]  Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89/2014.

[124]  Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, convertito in legge, con modificazioni, L. 29 novembre 2007, n. 222.

[125]  Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute, convertito, con modificazioni, dalla legge 189/2012.

[126]  Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135/2012.

[127]  Sull’epidemia a rapida diffusione causata dal virus Ebola, e sulle misure adottate dall’Oms e dai diversi Governi per fronteggiarne l’espansione si può consultare l’apposita sezione del Ministero della salute: www.salute.gov.it/ebola.

[128]  Norme per il potenziamento delle strutture dell'Ufficio centrale della programmazione sanitaria.

[129]  Contenimento della spesa sanitaria.

[130]  Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988).

[131]  Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.

[132]  Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.

[133]  Misure di razionalizzazione della finanza pubblica. La disposizione richiamata concerne la possibilità di vincolare quote del Fondo sanitario nazionale alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale.

[134]  Il citato comma 4 dell’articolo 35 prevede che le determinazioni relative all'avvio di procedure di reclutamento sono adottate da ciascuna amministrazione o ente sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale e che con D.P.C.M. sono autorizzati l'avvio delle procedure concorsuali e le relative assunzioni del personale delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, delle agenzie e degli enti pubblici non economici. Per gli enti di ricerca, l'autorizzazione all'avvio delle procedure concorsuali e alle relative assunzioni è concessa, in sede di approvazione del piano triennale del fabbisogno del personale e della consistenza dell'organico, secondo i rispettivi ordinamenti.

[135]  Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326/2003.

[136]  Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[137]  Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE.

[138]  Cioè i comuni interessati dagli eventi sismici verificatisi nella regione Abruzzo a partire dal 6 aprile 2009 che, sulla base dei dati risultanti dai rilievi macrosismici effettuati dal Dipartimento della protezione civile, abbiano risentito un’intensità MSC uguale o superiore al sesto grado, identificati con il decreto del Commissario delegato 16 aprile 2009, n. 3.

[139]  Nonché, ove risulti l'esistenza del nesso causale tra i danni e gli indicati eventi sismici, dei comuni di Castel d'Ario, Commessaggio, Dosolo, Pomponesco, Viadana, Adria, Bergantino, Castelnovo Bariano, Fiesso Umbertiano, Casalmaggiore, Casteldidone, Corte dè Frati, Piadena, San Daniele Po, Robecco d'Oglio, Argenta.

[140] Regolamento recante disposizioni concernenti le modalità di funzionamento, accesso, consultazione e collegamento con il CED, di cui all'articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121, della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, istituita ai sensi dell'articolo 96 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.

[141]  La definizione di riferimento è quella della Raccomandazione della Commissione 6 maggio 2003, n. 2003/361/CE, e del decreto del Ministro delle attività produttive 18 aprile 2005 (un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro, secondo l’articolo 2 comma 3 dell'allegato 1 alla citata raccomandazione).

[142]  Lo statuto può definire, nell'ambito dei settori esistenti, ulteriori campi di ricerca.

[143]  Le funzioni di direzione dei settori di attività culturali non sono compatibili con l'esercizio attivo delle funzioni di dipendente dello Stato o di qualsiasi ente pubblico o privato, nonché con qualsiasi altra attività di natura pubblica o privata incompatibile con il settore di attività cui il direttore è preposto. I dipendenti dello Stato o di enti pubblici vengono collocati in aspettativa senza assegni per tutta la durata dell'incarico.

[144]  Le funzioni di direttore generale non sono compatibili con l'esercizio attivo delle funzioni di dipendente dello Stato o di qualsiasi ente pubblico o privato o con altra attività professionale privata.

[145]  L’articolo 9 del D.L. 148/93 prevede una serie di interventi a carico del Fondo per la formazione professionale. Si ricorda che il Fondo per la formazione professionale è un fondo di rotazione (con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio) istituito dall’articolo 25 della L. 845/1978 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con l’obiettivo di favorire l'accesso al Fondo sociale europeo e al Fondo europeo di sviluppo regionale e alimentato, oltre che da risorse pubbliche, da contributi a carico dei datori di lavoro. L’articolo 9 del D.L. 148/93 prevede, in particolare, che il Fondo finanzi interventi di formazione continua, di aggiornamento o riqualificazione, per operatori della formazione professionale, indipendentemente dal loro inquadramento professionale, dipendenti degli enti di cui all'art. 1, c. 2, della L. 40/1987 (enti privati che applichino per il personale il contratto nazionale di lavoro di categoria; rendano pubblico il bilancio annuale per ciascun centro di attività; non perseguano scopi di lucro; abbiano carattere nazionale; operino in più di una regione; siano dotati di struttura tecnica ed organizzativa idonea); interventi di formazione continua a lavoratori occupati in aziende beneficiarie dell'intervento straordinario di integrazione salariale; interventi di riqualificazione o aggiornamento professionali per dipendenti da aziende che contribuiscano in misura non inferiore al 20 per cento del costo delle attività, nonché interventi di formazione professionale destinati ai lavoratori iscritti nelle liste di mobilità,

[146]  L’art. 1, c. 429, della L. 190/2014, nella parte abrogata dal provvedimento in esame, allo scopo di consentire il temporaneo funzionamento dei servizi per l’impiego, in attesa del riordino delle relative funzioni, autorizzava il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in attesa della successiva imputazione ai programmi operativi regionali e nei limiti di 60 milioni di euro (a valere sul richiamato Fondo di rotazione per la formazione professionale e l’accesso al fondo sociale europeo, di cui all’articolo 25 della L. 845/1978), a concedere anticipazioni delle quote europee e di cofinanziamento nazionale dei programmi a titolarità delle regioni cofinanziati dall’Unione europea con i fondi strutturali.

[147]  Sul punto, si ricorda che lo schema di decreto legislativo n. 177 (predisposto in attuazione della normativa di delega in materia di lavoro, cd. Jobs act, di cui all’articolo 1, commi 3 e 4, della L. 183/2014), attualmente all’esame delle Commissioni parlamentari competenti, contiene disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e politiche attive.

[148]  Quindi, come specificato nella Relazione tecnica allegata, nel rispetto dei vincoli finanziari di cui all’art. 9, c. 28, del D.L. 78/2010, il quale ha disposto che, a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello Stato e ulteriori enti pubblici ivi indicati possano avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. Lo stesso comma, così come novellato dall’art. 3, c. 6, del D.L. 101/2013, introduce una deroga al predetto limite posto alle assunzioni di personale, prevedendone la disapplicazione per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), nei limiti di 50 unità di personale ed esclusivamente per lo svolgimento dell'attività di vigilanza sui concessionari della rete autostradale. Lo stesso comma precisa che la deroga si giustifica al fine di assicurare la continuità della citata attività di vigilanza, ai sensi dell'art. 11, comma 5, secondo periodo, del D.L. 216/2011, che ha trasferito al MIT tale attività in seguito alla soppressione dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali. Si ricorda che gli artt. 3, c. 9, lett. b), e 11, c. 4-bis e c. 4-ter, del D.L. 90/2014 hanno introdotto ulteriori deroghe a quanto stabilito dal citato c. 28 dell’art. 9 del D.L. 78/2010 disponendo che tali limiti non si applicano:

-     anche con riferimento ai lavori socialmente utili, ai lavori di pubblica utilità e ai cantieri di lavoro, nel caso in cui il costo del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell'Unione europea. Nell'ipotesi di cofinanziamento, i limiti medesimi non si applicano con riferimento alla sola quota finanziata da altri soggetti;

-     agli enti locali in regola con l'obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell'art. 1 della L. 296/2006 nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente;

-     nei confronti dei comuni colpiti dal sisma del 20 e del 29 maggio 2012 a decorrere dall'anno 2013 e per tutto il periodo dello stato di emergenza.

[149]  L’art. 117 del D.Lgs. 42/2004 prevede che negli istituti e nei luoghi della cultura possono essere istituiti servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico. In particolare, rientrano tra tali servizi: il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali; i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario; la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali; la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni; i servizi di accoglienza, inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro; i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba; l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali.

Tali servizi possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria.

La loro gestione è attuata nelle forme previste dall'articolo 115, ossia attraverso gestione diretta (svolta per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni) o gestione indiretta (tramite concessione a terzi).

[150]  Il 7 gennaio 2015, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha indetto - sulla base dell’art. 14, co. 2-bis, del D.L. 83/2014 (L. 106/2014) - una selezione pubblica per il conferimento dell'incarico di direttore dei seguenti 20 musei autonomi: Galleria Borghese (Roma); Gallerie degli Uffizi (Firenze); Galleria dell’Accademia (Firenze); Galleria Estense (Modena); Galleria Nazionale delle Marche (Urbino); Galleria Nazionale dell’Umbria (Perugia); Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (Roma); Gallerie dell’Accademia (Venezia); Gallerie Nazionali d’arte antica (Roma); Museo Archeologico Nazionale (Napoli); Museo Archeologico Nazionale (Reggio Calabria); Museo Archeologico Nazionale (Taranto); Museo Nazionale del Bargello (Firenze); Museo di Capodimonte (Napoli); Palazzo Ducale (Mantova); Palazzo Reale (Genova); Parco archeologico di Paestum (Paestum); Pinacoteca di Brera (Milano); Polo Reale (Torino); Reggia di Caserta (Caserta). Qui le informazioni sullo stato della procedura di selezione.

      Inoltre, sempre sulla base dell’art. 14, co. 2-bis, del D.L. 83/2014, l’art. 14 del D.P.C.M. 171/2014 ha previsto la costituzione dei (nuovi) poli museali regionali, uffici di livello dirigenziale non generale, che costituiscono articolazioni periferiche della Direzione generale Musei. Essi assicurano sul territorio l'espletamento del servizio pubblico di fruizione e di valorizzazione degli istituti e dei luoghi della cultura in consegna allo Stato o allo Stato comunque affidati in gestione, provvedendo a definire strategie e obiettivi comuni di valorizzazione, in rapporto all'ambito territoriale di competenza, e promuovono l'integrazione dei percorsi culturali di fruizione e, in raccordo con il segretario regionale, dei conseguenti itinerari turistico-culturali. I poli museali regionali, da individuare con decreto ministeriale di natura non regolamentare, sono non più di 17 e operano in una o più regioni, ad esclusione delle regioni Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta.

[151]  Sull’argomento, si veda anche la risposta resa dal rappresentante del Governo l’1 aprile 2015 all’interrogazione a risposta immediata in Assemblea 3/01408.

[152]  Il 22 gennaio 2015, rispondendo all’interrogazione a risposta in Commissione 5-04123, il rappresentante del Governo ha depositato una nota che indica i luoghi della cultura statali con concessione di servizi aggiuntivi in regime di proroga.

[153]  Così, rispondendo il 20 luglio 2011 all’interrogazione a risposta immediata 3-01761.

[154]  Sull’argomento è poi intervenuto l’art. 1, co. 395, della L. 147/2013 (legge di stabilità 2014).

[155]  La relazione sullo stato di avanzamento dei lavori aggiornata al 30 giugno 2014 è stata trasmessa alle Camere il 15 ottobre 2014 (Doc. CCXX, n. 1). La successiva relazione, aggiornata al 31 dicembre 2014, è stata trasmessa il 5 febbraio 2015 (Doc. CCXX, n. 2). L’ultima relazione, aggiornata al 30 giugno 2015, è stata trasmessa il 23 luglio 2015 (Doc. CCXX, n. 3). Il 4 marzo 2015 si era svolta, presso la VII Commissione della Camera, una audizione del Direttore generale di progetto, che aveva fornito dati aggiornati al 28 febbraio 2015.

[156]  L’art. 1, co. 9, del D.L. 91/2013 (L. 112/2013) ha sostituito alla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia. E’ stato, dunque, emanato il DM 3 dicembre 2013, di cui è stata data notizia nella GU n. 31 del 7 febbraio 2014.

[157]  L’art. 7, co. 6, del d.lgs. 165/2001 prevede che, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

-      l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;

-      l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

-      la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;

-      devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti d'opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nei campi individuati dalla norma in oggetto, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti, al quale, inoltre, non viene erogata la retribuzione di risultato. I contratti stipulati in violazione dei limiti predetti sono nulli e determinano responsabilità erariale e dirigenziale ai sensi dell’articolo 21 dello stesso D.lgs. 165/2001.

[158]  Per approfondimenti, si rimanda al Dossier del Servizio Studi n. 182 del 9 giugno 2014, predisposto in occasione dell’esame del D.L. 83/2014.

[159]  Il comma 1-ter era stato introdotto dal D.L. 91/2013 come comma 1-bis, e poi rimunerato e modificato dall’articolo 4, comma 1, del D.L. 83/2014.

[160]  Gli Archivi di Stato sono presenti in ogni città capoluogo di provincia, per un totale di 100 sedi. Qui approfondimenti.

[161]  L’art. 112 citato prevede che possono essere definiti accordi fra lo Stato - per il tramite del Ministero – le regioni e gli altri enti pubblici territoriali per definire strategie e obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica. In assenza degli accordi, ciascun soggetto pubblico è tenuto a garantire la valorizzazione dei beni di cui ha comunque la disponibilità.

[162]  Analoga previsione è contenuta anche nell’ultimo periodo del citato articolo 1, comma 207, della L. 147/2013, nel caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno per l’anno 2013.